LO SCUDO DELLA FEDE (129)

Paolo SEGNERI S. J.:

L’INCREDULO SENZA SCUSA

(Tipogr. e libr. Salesiana, TORINO, 1884)

PARTE SECONDA

CAPO VIII.

Si segue a difendere da due altre imposture ereticali i miracoli della Chiesa, per finir di evincer li sussistenti.

I. Terribile è la passione. Fa questa ai ciechi sognare di aver mille occhi a conoscere le altrui fraudi, quando non ne hanno due soli a vedere le loro neppur vegliando. Privi però gli eretici di miracoli, vogliono ad ogni modo avvilire tutti quelli che accadono fra i cattolici, con criticarci, ora facili nell’ammetterli, ora finti nel raccontarli, che è quasi un di mostrarci tra noi di accordo a vendere una tal merce ed a comperarla per pochi soldi, sol perché ella non è merce legittima, ma falsata. – Ed io dico loro, che se non avessero perduto affatto ogni lume, vedrebbero chiaramente, come imposture si grosse convien che tornino finalmente in obbrobrio del calunniatore più assai che del calunniato. Finiamo dunque per cumulo di vittoria di abbattere parimente ambedue queste opposizioni: il che è agevolissimo, mentre ambedue non hanno altro di sodo, che la fronte de’ loro sostenitori.

I.

II. E per cominciar dalla prima: Che ardire è il loro, dire, che noi siamo facili più del giusto in ammettere ogni miracolo? Non nego io già; che il volgo, mal consapevole di quanto può la natura, non reputi talora per un effetto miracoloso quello che in sé non è, ma sol pare a lui perché non sa donde nasca. Nego bene, che di tal condizione sieno i miracoli, che vengono approvati per tali da’ pastori delle chiese e da’ prelati delle congregazioni stabilite ad esaminarli. Chi si persuade altrimenti, oltre alla malignità, scopre anche la sua ignoranza: mentre non sa quante difficoltà s’incontrino in una Roma prima di ottenere ad un sol prodigio la debita approvazione. Qual tribunale però troverà mai fede, se non la trova questo, sì rigido ad ogni prova, si spassionato, sì santo? Che se pure volessimo noi concedere alla perfidia de’ novatori, errato in qualche caso lor noto; chi però vorrà credere, che erri sempre? Si dia per vero, che il parlamento del regno, dopo anche molti processi, condanni a morte un che egli stimò reo, mentre era innocente; sarà per questo credibile che innocenti sian tutti gli uomini da lui condannati a morire? – Eppure un solo vero miracolo che fosse stato operato nella chiesa romana, a canonizzare la sicurezza de’ suoi oracoli, e la santità delle sue operazioni nello spazio di centosettanta anni in qua, cioè dappoi che uscì in campo Lutero per infamarla di adultera; basterebbe a manifestarla per Chiesa vera di Cristo, come un solo anello del re basta a manifestar la sua vera sposa senza che ella ne porti le dita cariche.

III. Senonchè questa medesima facilità al credere meraviglie che i novatori oppongon tanto ai Cattolici, denota evidentemente, che fra’ Cattolici a volta a volta ne accadano delle vere. Imperocché, donde mai nasce fra noi una tale facilità più che in altri popoli? Forse dall’ignoranza? Non già: attesoché, quanto sanno meno di Dio i popoli dementati dall’eresie, e quanto meno ne sanno anche gli ebrei, i tartari, i turchi ignoranti affatto! Eppure presso a costoro dov’è che trovisi questa facilità di credere successi miracolosi tra loro occorsi?

IV. Dirassi dai novatori, che il demonio stravolge con sì bell’arte la fantasia de’ Cattolici per farli riposar più tranquillamente ne’ loro errori? Ma non ha il demonio tanto maggior possanza su gli infedeli e su gl’idolatri, i quali riconoscono lui per Dio? Come però, per mantenerli in errore, non istravolge egli loro continuamente la fantasia di maniera simile? Conviene a forza che i novatori confessino, come in grembo alla Chiesa Romana sia la sorgente unica de’ miracoli, e che di ciò persuasi i cattolici dallo Spirito Santo, loro intimo illustratore, sentano in se medesimi quella pia propensione a crederli facilmente: propensione, la quale può fare, che essi talora nel giudicarne in privato piglino qualche abbaglio, come lo piglia chi da un principio vero, applicato male, cava una conclusione che non è vera: ma non può fare, che il piglino quando i miracoli con pubblica autorità si deducono al loro foro contenzioso,e quivi restano legittimamente dilucidati. Se in altri popoli una tal propensione non trova luogo, è perché tra loro mai di miracoli non si parla. Chi tiene dal partito di un re potente, che usci armato alla testa di un bravo esercito veterano, agevolmente riceve tosto per vere le prime nuove della vittoria conseguita da lui sotto alcuna piazza. Laddove chi tien del partito di un signore fallito al pari di credito o di danaro, per quanto il brami, non sa prestare tuttora fede alla fama che dice: Ha vinto. La buona causa che però i Cattolici dalla loro, è quella che sì gli inclina a tener per veri i miracoli che si odono narrar da questo o da quello: sapendo che innumerevoli son veri, e che la miniera onde nascono, che è la divina potenza, per quanto scavisi, nulla scema. Una simil credulità per certo fra gli eretici non può incorrersi. Ma perché? Perché di miracoli non v’è tanto fra loro, non dico di verità, ma di verisimiglianza, che basti alla falsità per farne una favola : Validior veritas, quam falsitas , disse colui (Ficinus), et falsitas fallit imagine veritatis. E con questo viene anche a sciogliersi ciò che in secondo luogo voleva opporsi, cioè, che i miracoli nostri siano belle finzioni inventate da quegli istorici che le contano.

II.

V. In prima, questa opposizione medesima facevano i gentili alla religione cristiana nei primi secoli, tacciandola di rea fede in tali racconti. Ciò dunque che i novatori, come Cristiani, risponderanno giustamente ai gentili in comun difesa, risponderemo ad essi novatori noi parimente, come Cattolici.

VI. Dipoi nelle sacre scritture si presuppone, che le operazioni miracolose rechino una testimonianza autorevole alla verità della fede, come tante voci di Dio, non imitabili da alcun altro: Contestante Deo signis et portentis (Ad Heb. 2). Dall’altro lato è certissimo, che non ognuno può essere spettatore di queste operazioni miracolose dovunque accadono. Adunque è certo altresì, che la fede umana ha da aver forza ad accreditarle di modo, che chi non le crede si giudichi inescusabile. Né appare donde fosse colpevole più Tommaso, che in non voler piegarsi alle attestazioni che della risurrezione di Cristo gli rendevan gli apostoli suoi colleghi, quando dìcevangli di averlo infino veduto cogli occhi loro: Vidimus Dominum. Mirino però i novatori di qual fallo essi vengono a farsi rei, ricusando di credere a tanti testimoni, per la virtù, per la scienza, e per la saviezza, degnissimi di ogni fede. Tra gli scrittori di prodigi tali si arruolano molti santi: Basilio, Crisostomo, Girolamo, Gregorio Magno, il Nazianzeno, il Nisseno, ed il Turonense, Atanasio, Agostino, Teodoreto, Beda, Bernardo, Bonaventura, Antonino e più altri de’ quali ha Dio fornito ogni secolo. Qual temerità sarà dunque ripudiar tutti questi come ingannati, o ancor come ingannatori, massimamente professandosi anch’essi in molti di que’ prodigi testimoni di veduta, come gli apostoli tutti a Tommaso incredulo? Forse che i novatori lasciano di apportar l’autorità dei dottori pur da lor lodati, dove la stimano favorevole, benché da lungi, a qualcuno dei loro errori?Anzi oh come studiosi ne vanno in busca? Se dunque l’accettano in un caso più per valida ad attestare, come poi vengono a rigettarla nell’altro? Approbans personam testis in uno actu, approbat eam in omni alio simili (L. si Quis testib. C. de test.)

VII. Appresso. non v’hané anche ragione di cavillare la narrazionedi altri scrittori meno santi, ma pure alienissimi dal mentire in materia di religione, dove ogni menzogna equivale ad un sacrilegio. Se gli scrittori, di cui si parla, fossero etnici, o fossero eretici, avremmo veramente qualche motivo di dubitare della loro fede, perché sì gli uni come gli altri non si fanno molta coscienza di dir bugie. Platone (L. 4. de rep.), fra gli etnici stimò laudevolissimo il giovare talora al volgo con una menzogna acconcia, quasi che ciò sia far da medico ben esperto, il quale inganna il fanciullo infermo con pillole confettate, ma per sanarlo. E gli eretici d’oggidì concordano, in affermare, che nessuna scelleratezza sia da temersi dov’è la fede, quasi che questa sugga, per dir così, dalle opere ree qualunque malignità, come dalle serpi il fulmine ogni veleno. Essi dunque a ragione dovranno esserci sospettissimi, quando riferiscano eventi superiori alle forze della natura, mentre, crederanno di far bene mentendo, o almeno crederanno di non far male. Ma non già si hanno a tener sospetti sì facilmente i Cattolici, presso cui è fallo degno di morte eterna il fingere miracoli non sussistenti, ed è caso anche grave d’inquisizione, cioè di un foro che non porta rispetto a veruna persona, a veruna penna per inclita ch’ella sia.

VIII. All’ultimo, chi accusa altri di falsario, è in debito di provarlo: Et actore non probante, reus absolvitur: massimamente quando la reità, non pur non è certa, ma né anche è probabile. Eppure quale argomento può rendere mai probabile la finzione di quei miracoli, non per altro odiosi agli eretici di oggidì, se non perché su’ capi loro riescono tanti folgori? ì Potevasi indovinare mai, che Lutero avrebbe conteso il purgatorio; che Calvino e che Carlostadio avrebbero negata la presenza di Cristo nell’eucaristia; che Zuinglio avrebbe riprovato fl. sacrifizio della messa; quando i Cattolici, tanti secoli prima, raccontaron miracoli attestatoli della verità da costoro oppugnati novellamente?

IX. Aggiungasi, che se tutti i nostri prodigi sono mere fole, non pub capirsi come in tanto spazio di tempo non vi sia stato veruno il quale si ponesse a volerle scoprire per quelle che erano, traendo al chiaro queste ree talpe sì sagaci a intanarsi. È possibile, che tutti i dottori cattolici che sono tanti, tutti i principi, tutti i prelati si lascino sopraffare da tanta stolidità, che non distinguano il falso dal vero, ma facciano una ragione medesima del vetro e del diamante, dove per altro è sì grande la inclinazione che han tutti gli uomini saggi a svelar gl’inganni? Tommaso Moncero (che fu il primo ad isvegliare nella Germania l’error degli anabattisti) si volle provare a fingere dei miracoli in confermazione di tale errore, egli riuscì così poco, che fu chiamato per soprannome il fingitor de’ miracoli da quei suoi popoli stessi che lo dannarono finalmente alle fiamme per altro capo lor più molesto, cioè per l’ubbidienza che da esso toglievasi ai magistrati. Eppure tutta quella Germania medesima approvò una volta per veri gl’innumerabili miracoli quivi fatti da un Bonifazio, confessando ella di avere lei sottoposto per essi l’altero collo al giogo di Cristo; tutta l’Inghilterra approvò quei di Agostino; tutta l’Ibernia quei di Patrizio; tutta la Dania quei di Remberto; e così più altre nazioni approvarono tutte al pari quelli dei loro apostoli, spediti là dal Romano Pontefice a predicarvi. Onde quando vogliasi rivocare punto in questione la verità di tali successi, gettinsi pure alle fiamme l’istorie tutte a conto d’inutili: mentre, come sappiamo per via d’istorie essersi le Gallie rendute già all’imperio romano, e rendute in virtù dell’armi di Cesare; così sappiamo per via d’istorie, essersi quelle nazioni rendute già alla Chiesa Romana, e rendute in virtù de’ miracoli quivi fatti da quei loro famosi conquistatori.

X. Senonchè mirate, come la soave provvidenza ha voluto a questi increduli stessi turar la bocca, con dire a ciascun di loro (come disse Cristo a Tommaso), che venga, e veda: Veni et vide. Ecco però, che a tal effetto ella ha voluti nella sua Chiesa Cattolica alcuni prodigi, non passeggeri, non pellegrini, ma ospiti permanenti, cosicché ciascuno a piacer suo può venire a certificarsi, sol che egli tolga l’incomodo di un viaggio, quale fanno tanti oggidì per ricreazione. Di tali prodigi v’è chi già compilonne un volume giusto (Sylv. Petrasancta). Ma per brevità io mi ristringo al solo regno di Napoli, che tutti alletta per altro anche di lontano coll’amenità del suo paradiso. Quivi, a convincere i pertinaci, ecco prontissimo il sangue di s. Giovanni e il sangue di s. Gennaro. Ambedue questi sangui già congelati, si liquefanno da se stessi, e sobbollono apertamente: quello di s. Giovanni, al leggersi l’Evangelio della sua decollazione: quello di s. Gennaro, nel comparire al cospetto della sua testa. Che sono però questi? Sono racconti istorici, o sono cose esposte al guardo di chi pur segue a ripetere: S’io non veggo, non crederò: Nisi videro, non credam? Gli eretici, che non sanno qui cosa si dire, vorrebbero ridurre sì strani effetti ai moti altissimi di simpatie naturali. Ma questa è la meraviglia che solamente ne’ paesi Cattolici si ritrovino cimpatie sì belle, e nulla n’abbiano i lor paesi infedeli. Tale è la pena giustamente dovuta all’incredulità ben proterva: dovere penar più per non indursi a credere, che per credere.

XI. E poi. siano pur simpatie que’ moti miracolosi pur ora detti: sono più secoli che l’ossa del glorioso s. Nicola, nuotano in Bari dentro un umore prodigiosissimo, che ne sgorga giornalmente in gran copia, e chiamasi manna dalla sanità ch’egli suol portare agl’infermi in diverse parti del mondo donde è richiesto. Dicano però i novatori come può avvenire a forza di simpatia, che ossa morte da tanto tempo, sudino ancora, e nuotando in mezzo a tant’acqua, mai non infracidiscano come l’altre, ma si conservino sempre nel primo fiore? Che accade ricorrere alle occulte ragioni? La cagione è manifestissima; e tale è la provvidenza divina, che con questi ed altri miracoli ancora stabili vuole illustrare la sua Chiesa sì chiaramente, che si discerne apertamente dall’altre che non son sue. Però faccian pure gli eretici quanto sanno co’ loro inchiostri più neri: mai non arriveranno a spegnere una scintilla di raggi sì luminosi, quali son quei ch’ella segue tuttora a vibrar dal volto.

Autore: Associazione Cristo-Re Rex regum

Siamo un'Associazione culturale in difesa della "vera" Chiesa Cattolica.