CATECHISMO CRISTIANO PER LA VITA INTERIORE DI J. J. OLIER (7)

J. J. OLIER

CATECHISMO CRISTIANO PER LA VITA INTERIORE (7)

LEZIONE XI

Col darci e unirci di tutto cuore e con semplicità a Gesù Cristo nell’orazione, noi entriamo in comunione con le sue preghiere e tutti i suoi altri beni.

D. – In conclusione, dobbiamo essere ben convinti che sia necessario ricorrere a Nostro Signore Gesù Cristo, se vogliamo fare qualche preghiera che possa essere gradita a Dio; e che la preghiera fatta in unione con Gesù Cristo è oltremodo più vantaggiosa e potente che se la facessimo di per noi soli. Inoltre, è indifferente che si preghi in una lingua piuttosto che in un’altra, purché si rimanga uniti a Nostro Signore e in comunione col suo Spirito e la sua preghiera. Rimangono tuttavia due piccoli dubbi che vi propongo:

1°. Siamo noi proprio sicuri che, abbandonandoci a Gesù Cristo, partecipiamo, in comunione, alla sua virtù e alla grazia delle sue preghiere?

2°. Come possiamo sapere che siamo uniti a Lui?

R. – In risposta al primo dubbio, dovete ricordarvi ciò che dice la Scrittura: Basta cercare il Signore con semplicità di cuore. [Sentite de Domino in bonitate, et in simplicitate cordis quærite illum. (Sap., I , 1). Dobbiamo sapere che Nostro Signore è in noi e ci aspetta con le braccia aperte; basta, pertanto, che lo cerchiamo con tutta semplicità e che ci abbandoniamo a Lui per fare tutte le opere nostre e le nostre preghiere con Lui. Egli, infatti, abita appunto in noi per essere l’Ostia di lode di Dio; ci considera come i suoi templi per magnificare il Padre suo senza intermissione e per mezzo nostro, in noi e con noi; a tutti dice per bocca di Davide: Magnificate con me il Signore, ed esaltiamo insieme il suo nome. [Magnificate Dominimi mecum, et exaltemis nomen ejus in idipsum. – Ps. XXXIII, 4]. – Basta dunque che gli diciamo con tutta semplicità: Signor mio Gesù Cristo che siete la mia lode, [Laus mea tu es. -Jer., XVII, 14], mi compiaccio con viva gioia di tutte le lodi che Voi date al Padre vostro; mi unisco e mi dono a Voi per lodarlo e pregarlo per mezzo vostro e con Voi; voglio essere con Voi un’unica Ostia di lode per glorificare Iddio per tutta l’eternità. – Tanto basta, purché abbiamo nel cuore l’affetto e il desiderio che gli manifestiamo con le parole; ed è certo che allora siamo in comunione con Lui e con le sue preghiere.

D. – Ma questo è poi proprio vero?

R. – Certo; è tanto vero che se così facciamo con vera e pura carità, vi assicuro che ne ricaveremo frutti meravigliosi. Questa dottrina, è espressa nel simbolo degli Apostoli.

D. – Non mi ricordo di averla mai trovata nel Simbolo.

R. – Eppure vi è, benché molti non se ne accorgano quando recitano il Simbolo; si trova nella terza parte, la quale si riferisce alla persona dello Spirito Santo e alla sua azione nella Chiesa: Credo nello Spirito Santo, la santa Chiesa cattolica, la Comunione dei Santi:  [Credo in Spiritum Sanctum, sanctam Ecclesiam catholicam, sanctorum communionem. – Quest’ultima è l’espressione importante.

D. – Ma come mai nella Comunione dei Santi, può intendersi questa verità? So bene che lo Spirito Santo ha formato la Chiesa Cattolica; so che riempie il cuore di tutti i fedeli, e anche il cuore dei Santi del Paradiso; so che essendo lo Spirito Santo quello che riempie i Santi del Cielo e parimenti i giusti della terra, quando abbiamo la carità, abbiamo la medesima vita coi Santi; ma che siamo in comunione di vita anche con Gesù Cristo, non mi sembra cosa contenuta in quelle parole.

R. – L’espressione Comunione dei Santi in parte va intesa come avete detto; ma racchiude ancora un altro senso. Significa pure che nella Chiesa vi è per i fedeli una comunione a tutte le cose sante, che in quella sono contenute; e che come si partecipa, in comunione, al Corpo sacratissimo di Gesù Cristo e al suo Sangue, così si partecipa, in comunione, al suo Spirito quando a questo si ha divozione; e non solamente al suo Spirito, ma pure a tutte le cose sante che da questo Spirito sono operate; in quella guisa che ricevendo noi il santo Sacramento dell’Altare partecipiamo, in comunione, non soltanto al prezioso Corpo e al prezioso Sangue di Gesù Cristo, ma inoltre al suo Spirito e alle sante operazioni che questo Spirito diffonde nel Cuore di Gesù Cristo. Abbiamo qui un tesoro inestimabile, di cui non potremmo mai persuaderci senza la fede. Lo stesso avviene rispetto all’ammirabile interiore della SS. Vergine, di S. Giuseppe, di S. Giovanni o di qualsiasi altro Santo. Considerando infatti, per esempio, l’interiore tutto divino della santissima Vergine e le operazioni santificanti che lo Spirito di Dio diffondeva in quello, siamo bene spesso attratti a partecipare, in comunione spirituale, allo Spirito Santo e alle grazie interiori ch’Egli operava nell’anima santissima di Maria; ed è questo ancora un tesoro incomprensibile che non sarà mai penetrato dalle creature, avendone Dio riservato a sé la cognizione. [Non potremo mai comprendere quanto sia santo e perfetto l’interiore, ossia il Cuore della santissima Vergine, perché abbraccia tutte le perfezioni dell’ordine soprannaturale. È un oceano impenetrabile di bellezze soprannaturali]. Da tutto ciò che abbiamo detto, risulta dunque che possiamo a nostro piacimento partecipare, in comunione, alle preghiere di Gesù Cristo e alle altre operazioni del suo Spirito, purché ci uniamo a Lui con un semplice atto di fede e di carità.

LEZIONE XII.

Come possiamo noi sapere che nell’orazione siamo uniti a Gesù Cristo.

D. – Ma possiamo noi sapere e sentire che nell’orazione siamo uniti a Nostro Signore Gesù Cristo? E’ questo il secondo dubbio che vi ho proposto.

R. – È una difficoltà questa che alle anime devote dà occasione di molte colpe; perché ordinariamente per essere sicure delle cose sante e delle operazioni dello Spirito Santo, vogliono sentirle in se medesime. Orbene è questo un errore, il quale è troppo comune nella devozione e nuoce al progresso nella pietà. A questo riguardo il nostro divin Maestro, che è il vero dottore della divozione e il Padre della vita cristiana come della Religione vera, ci porge un grande insegnamento. Egli diceva che vi sarebbero stati degli adoratori in ispirito e in verità, i quali avrebbero adorato il Padre suo che è spirito, con operazioni di puro spirito, [Veri adoratores adorabunt Patrem in spiritu et veritate … Spiritus est Deus, et eos qui adorant eum, in spiritu et veritate oportet adorare. – Joann., IV, 23, 24] vale a dire per la fede e la carità. [Senza che c’entrino i sensi e il sentimento]. San Paolo insegna pure in altri termini la stessa cosa, quando dice che i Cristiani, per elevarsi a Dio non si servono che della fede e della carità: Fides quas per charitatem operatur. [Gal. V, 6]. Da ciò risulta che, quando vogliamo unirci a Nostro Signore, non servono, per conoscere ch’Egli è in noi, né le immaginazioni della fantasia, né i lumi sensibili della mente; dobbiamo contentarci della semplice fede e della carità, senza voler sentire altra cosa che ci attiri, né alcun effetto sensibile nel nostro cuore. La pura carità e la fede sono come i due animali spirituali che tirano il bel carro della Chiesa, di cui abbiamo detto sopra [Currus Dei… – Ps, LXVII, 18). – Onde persuaderci ancor più che non si richiedono nel nostro interiore disposizioni sensibili per unirci a Gesù Cristo ed entrare in comunione con la sua vita, osserviamo che, neppure quando ci accostiamo alla Comunione del Corpo e del Sangue di Gesù Cristo, si richiedono tali disposizioni sensibili onde partecipare allo spirito e alla vita che Egli ci dà in questo Sacramento.

D. – Dovrò dunque ritenere che ci accostiamo alla Santa Comunione principalmente per ricevere in noi lo spirito, la vita e le virtù di Nostro Signore?

R. – Certo; il Corpo e il Sangue di Gesù Cristo sono come un veicolo che ci porta il suo Spirito onde renderci partecipi della sua vita e delle sue divine operazioni, perché sia il nostro cibo e faccia crescere in noi tutte le sue virtù: Crescamus in illo per omnia, [Ephes., IV, 15].Insomma, perché infonda in noi la pienezza della sua vita interiore e ci faccia giungere persino alla pienezza di Dio: [Ut impleamini in omnem plenitudinem Dei. – Ephes., III, 19].

D. – Ma i Cristiani quando ricevono Gesù Cristo nella santa Comunione sentono forse queste cose? Sentono forse le operazioni del suo Spirito? Sentono la lode che Gesù Cristo rende a Dio nel loro cuore? Sperimentano forse sensibilmente le virtù che da Lui emanano nell’anima loro?

R. – No, perché Nostro Signore, essendo, dopo la sua Risurrezione, tutto spirito, anche le sue operazioni sono puramente spirituali: Spiritus et vita sunt, [Joann., VI, 64], perciò non sono sensibili. Quando prendiamo il nostro cibo corporale, non tutte le parti del corpo sentono l’effluvio segreto della virtù dell’alimento che si diffonde in esse; parimenti Nostro Signor Gesù Cristo, nostro alimento spirituale, non ha voluto rendersi sensibile per le anime nostre, ma le vivifica in un modo che non avvertiamo. Basta come abbiamo detto più volte, basta unirci con la nuda fede e la sola carità, a Nostro Signore, il quale è spirito in noi: Factus in spiritum vivificantem; [1 Cor., XV, 45]; così parteciperemo a Lui, ed entreremo in comunione col suo Spirito e con le sue divine operazioni. [II Servo di Dio era stato istruito in questa materia dal santo e celebre Padre de Condren, il quale gli aveva spiegato che, se nelle opere nostre, abbiamo il sentimento della presenza di Nostro Signore in noi, noi asseconderemo un tal pio sentimento e ci abbandoneremo a Lui. Che se non avremo nessun sentimento, ci uniremo a Nostro Signore con la disposizione del nostro cuore, desiderando avere i medesimi pensieri e le medesime disposizioni ch’Egli aveva nel fare azioni simili. Se non conosciamo tali disposizioni, o se stentiamo a formarle nell’anima nostra, ci uniremo semplicemente a Lui, in ispirito di fede, desiderando offrire a Dio le opere nostre con le sue. Cfr. Icard, Doctr. de M. Olier, pag. 231-232].

LEZIONE XIII.

Unendoci a Gesù Cristo, partecipiamo non solo allo Spirito Santo operante in Lui, ma anche a questo divino Spirito Santo in quanto è diffuso in ognuno dei Santi della Chiesa.

D. – Dove mai avete trovato che partecipiamo, in comunione, non solo allo Spirito Santo, ma anche alle sue operazioni in Gesù Cristo?

R. – Non solo vi ho detto che possiamo partecipare, in comunione, allo Spirito Santo e alle sue operazioni in Gesù Cristo; ma inoltre vi avevo già detto che possiamo partecipare, in comunione, allo Spirito Santo diffuso nella santa Chiesa e in tutti i suoi Santi, come per esempio nella Santissima Vergine; e il motivo è questo, che le cose sante emananti da Gesù Cristo sono depositate nella Chiesa come un bene comune a tutti i fedeli: Credo in Spiritum Sanctum, sanctorum Communionem: Credo lo Spirito Santo e la Comunione delle cose sante che sono nella Chiesa; perché chi partecipa al più, partecipa anche al meno; chi partecipa alla causa, partecipa anche agli effetti. Poiché dunque partecipiamo, in comunione, allo Spirito Santo, partecipiamo pure alle operazioni di Gesù Cristo, sia in se stesso, sia nella sua Chiesa, operazioni che sono un effetto di quel divino Spirito, il quale non ci viene dato fuorché secondo la misura della donazione di Gesù Cristo; secundum mensuram donationis Christi. Eph., IV, 7. « Si, tutte le cose sante, le quali emanano da Gesù Cristo, sono poste in comune nella Chiesa, perché la Chiesa forma una famiglia sola di cui Nostro Signore è il capo e il suo divino Spirito è la vita. Tutti i fedeli sono chiamati alla partecipazione di questa vita; tutti possono ricevere i Sacramenti ed hanno il medesimo fine ultimo. I Santi che trionfano nel Cielo, i giusti che combattono sulla terra, le anime che soffrono nelle espiazioni del purgatorio, sono unum in Christo. I meriti sono personali… ma servono a tutti i fedeli ed entrano nel tesoro della Chiesa, perché Dio li considera a favore di coloro che invocano i Santi ». Icard, Op. cit., pag. 250-256]. È questa l’abbondanza del mistico convito dell’Agnello con la varietà dei cibi ch’Egli ci presenta in sé e nei suoi membri; a questo banchetto Egli ci chiama tutti, e la mensa è servita lautamente; a noi la scelta secondo l’istinto dello spirito interiore che ci muove e ci fa scegliere quello spirituale cibo che a Lui piace e tutto per la consumazione dei Santi. [Ad consummationem sanctorum. – Ephes., IV, 12]. Abbiamo nella Scrittura una figura ammirabile di questa importante verità, ed è la manna che Dio dava al suo popolo nel deserto. La manna, benché fosse un cibo tutto della medesima qualità, aveva in sé il sapore di tutte le particolari vivande che i figli d’Israele potevano desiderare; e ciò esprime con tutta semplicità la Comunione dei Santi e delle cose sante, che noi abbiamo in Gesù Cristo, secondo il nostro desiderio. Quando, a cagione d’esempio, vogliamo accostarci ai santi Sacramenti e partecipare, in comunione, alle loro varie grazie, noi lo facciamo unendoci al Santo Spirito di Gesù Cristo, il quale è la sorgente di tutte le grazie. – Esiste pure nella Chiesa la pratica ordinaria di fare la santa Comunione in onore dei Santi, onde partecipare al loro spirito e alle loro grazie; e di fatto ne possiamo ricevere partecipazione, se ci uniamo a Gesù Cristo nel Santo Sacramento, con intenzione di onorare quella parte del suo Spirito ch’Egli diffonde in loro, e di esserne partecipi. – Ma ecco un altro mistero ben consolante; per questa medesima comunione, noi possiamo partecipare anche alle grazie dei giusti che vivono sulla terra. Quando per esempio, vediamo nei fedeli eminenti viri di umiltà, di castità, di pazienza, virtù le quali tutte da Gesù Cristo emanano nei loro cuori e dopo si manifestano nelle loro opere e nelle loro parole, invece di portar loro invidia e gelosia per tali virtù, ciò che accade sovente per suggestione del demonio e dell’amor proprio, ci uniremo al santo Spirito di Gesù Cristo nel santo Sacramento, onorando in Lui la fonte di tali virtù e domandandogli per noi la grazia di parteciparvi in comunione; se adotteremo una tal pratica, vedremo quanto ci sarà utile e vantaggiosa. – Troviamo ancora a questo proposito nella Scrittura una bella figura. Il profeta Isaia, in una misteriosa visione vide il Figlio di Dio tutto sfolgorante di gloria e di maestà; al suo cospetto i Serafini si coprivano il volto con le loro ali, ed Egli era circondato di una veste magnifica e oltremodo splendida, e ciò che era sotto di Lui riempiva il tempio: et ea quæ sub ipso erant replebant templum. – Isa., VI, 1]. Ciò che era sotto Gesù Cristo, ossia l’estremità delle sue vesti, rappresenta le divine operazioni dello Spirito Santo ch’Egli ha inviato sulla terra, le quali riempiono la Chiesa. Lo Spirito Santo abitava in pienezza in Gesù Cristo, corporalmente, come dice san Paolo, vale a dire ch’Egli era in Gesù Cristo come nel Capo e lo animava delle disposizioni che avrebbe poi diffuse nel Corpo della Chiesa; talmente che tutte le divine operazioni, che avvengono nei Santi del Cielo e nei giusti della terra, vengono da Gesù Cristo, il quale invia il suo Spirito per vivificare i suoi membri con la sua vita divina. È dunque cosa importantissima unirci di continuo allo Spirito Santo per compiere santamente le nostre azioni con i sentimenti medesimi di Gesù Cristo, contentandoci di unirci a Lui per la fede e per l’amore, onde troviamo l’aiuto nelle nostre debolezze e il fervore della carità in quel fiume di fuoco di cui parla la S. Scrittura [Dan. VII, 10], il quale usciva dalla faccia di Dio, ossia da Gesù Cristo medesimo. [Gesù Cristo viene chiamato faccia di Dio, perché  Dio si fa conoscere per mezzo del Figlio suo, il quale è l’immagine della sostanza del Padre]. Il fiume poi significa due cose: la via e la vita; perché il fiume è una via animata e vivente; essendo rapido e vivente, è la figura dell’impetuosità dell’amore col quale dobbiamo tendere a Dio, e della virtù dello Spirito che esce da Gesù Cristo per venire in noi ed essere la nostra via, la nostra verità e la nostra vita. Così operava lo Spirito Santo nei primi Cristiani, dei quali era stato detto profeticamente: Ubi erat impetus Spiritus, illuc gradiebantur [Ezech., I, 12]. Essi andavano dove li spingeva lo Spirito.

D. – Quanto è dolce per noi essere Cristiani, poiché abbiamo così potenti aiuti! Quanto è dolce abbandonarci all’amore ed essere condotti con tanta prontezza a Dio!

R. – Quanto altresì è importante abbandonarci al santo Spirito di Gesù Cristo, quando vogliamo operare o pregare! È questo un fiume delizioso; dobbiamo berne sovente l’acqua salubre, [Haurietis aquas in gaudio de fontibus Salvatoris. – Isai., XII, 3], ossia unirci sovente allo Spirito Santo, procurando di farlo passare in noi come nostro cibo, onde diventiamo fuoco e amore per Dio. Così non opereremo più fuorché per questo unico principio invece di operare, come si fa comunemente, sotto l’azione dell’amor proprio e dell’uomo vecchio, che ci trascina al peccato.

LEZIONE XIV.

Quante volte e quando dobbiamo unirci allo Spirito di Gesù Cristo nella preghiera vocale e mentale.

D. – Non mi resta che pregarvi di volermi spiegare quante volte nella preghiera debbo unirmi a Gesù Cristo e al suo Spirito Santo.

R. – Per rispondere a questa domanda dobbiamo fare una distinzione. Rispetto all’orazione mentale, dopo avere praticato questa unione nel darvi principio, sarà bene rinnovarla almeno a ogni parte della meditazione, e anche quando l’anima si troverà nell’aridità e nell’oscurità. Nell’orazione vocale e pubblica, bisogna fare o rinnovare questa unione almeno ogni volta che la Chiesa lo impone. Molti non riflettono che la Chiesa ci impone quest’unione con lo Spirito di Gesù Cristo, e pensano che si tratti di una pratica nuova e particolare; ma invece, noi non vogliamo in nessun modo introdurre novità nelle cose di Religione; si tratta qui, infatti della pratica della Chiesa, sia greca, sia latina. Chi avrà assistito qualche volta all’Ufficio del Mattutino, avrà osservato che il Sacerdote, con le prime parole, rivolgendosi a Gesu Cristo, così lo prega ad alta voce: Domine, labia mea aperies; e il coro risponde: Et os meum annuntiabit laudem tuam, vale a dire: Signore venite ad aprire le mie labbra, ond’io possa annunziare le vostre lodi, perché di per me non ne sono capace. Allora il Sacerdote, per attestare che non vuole punto lodare Dio col suo proprio spirito e con le sue proprie intenzioni, ma nello Spirito e nelle intenzioni di Gesù Cristo, il quale è l’ostia e la lode di tutti gli uomini; [… vale a dire l’unica ostia con cui gli uomini possano e debbano onorare Dio! l’unica lode che possano offrirgli. Gesù Cristo è la nostra adorazione, la nostra lode, la nostra preghiera, la nostra azione di grazie verso Dio];  soggiunge, pregando l’Eterno Padre: « Deus, in adjutorium meum intende, ossia: Dio mio, guardate Gesù Cristo il mio aiuto e il mio soccorso; non guardate me, ma il Figlio vostro in noi, il quale vuol essere il nostro aiuto e la nostra lode ». E la Chiesa, in quel punto, piena del sentimento della propria incapacità e indegnità, raddoppia le preghiere a Gesù Cristo dicendo: Domine, ad udjuvandum me festina: Signore, affrettatevi a soccorrermi. Ella invoca lo Spirito di Nostro Signore affinché le venga in aiuto secondo queste parole di san Giovanni: Spiritus et sponsa dicunt: Veni. Et qui audit dicat: Veni…, Domine Jesu. [Apoc., XXII, 17, 20].Dopo queste invocazioni, tutti, inchinandosi profondamente, soggiungono: Gloria Patri, et Filio, et Spiritui Sancto etc. L’inchino profondo, che nella Chiesa latina si fa dai Sacerdoti, risponde ai tre inchini che si usano nella Chiesa greca, quando il celebrante in principio dell’Ufficio solenne fa tre inchini davanti all’immagine di Gesù Cristo e tre altri davanti all’immagine della Santa Vergine: con questi inchini, i chierici intendono significare che si riconoscono incapaci e indegni di glorificare la Maestà di Dio uno in tre Persone, e che adorano Nostro Signore come la lode di Dio, e lo incaricano, unendosi a questo fine al suo Spirito, di glorificare la SS. Trinità.La Chiesa latina, nel medesimo spirito di questo rito della Chiesa greca, dice: Gloria Patri, ecc., con un profondo inchino, per esprimere che, siccome la gloria di Dio consiste nel conoscerlo e lodarlo in modo perfetto, essa ciò non può fare di per se medesima, protestando davanti a Gesù Cristo che Lui solo chiaramente conosce Iddio e solo può lodarlo degnamente nella sua Persona, poiché essendo Egli il carattere e lo splendore della gloria di Dio Padre, col suo essere dice tutto ciò che il Padre è in sé medesimo.Per la medesima ragione, prima di dar principio all’Ufficio, si dice il Pater e l’Ave per unirsi all’interiore di Gesù Cristo, in quanto è mediatore della lode della Chiesa, e a quello della sua santissima Madre. La ragione di questa pratica è fondata sul principio che tutta la religione consiste in due punti: l’uno nell’onorare il Padre, l’altro nel glorificare il Figlio, il quale per la sua risurrezione fu richiamato nella Divinità, [Perché la sua umanità, con la Risurrezione, entrò nel possesso della gloria divina a Lui dovuta, come dice sant’Ambrogio: Nunc per omnia Deus[De fide Resurrect.] e anche san Paolo: Prædestinatus Filius Dei ex resurrectione mortuorum; [Rom., I , 4] così pure san Giovanni nell’Apocalisse: L’Agnello è degno di ricevere la Divinità [Apoc., V, 12], vale a dire, merita gli onori dovuti a Dio. Questi due oggetti del nostro culto sono pure espressi nell’Apocalisse. San Giovanni, infatti, ci rivela il culto di religione che si pratica nel Cielo, di cui la nostra Chiesa su la terra è la vera immagine, [Umbram habens futurorum. – Hebr., X, 1], con queste parole: Primitiæ Deo et Agno.« [Apoc, XIV, 4]. I Vergini furono comperati di tra gli uomini primizie per Dio e per l’Agnello, vale a dire per Dio e per Gesù Cristo; e con queste altre: Sedenti in throno, et Agno benedictio, et honor et gloria. [Ibid. V, 13] – Benedizione, onore e gloria a Colui che siede sul trono e all’Agnello. Donde avviene che, siccome vi sono due oggetti della nostra religione, [Dio e Gesù Cristo, come l’Autore deduce dai due testi citati], abbiamo pure bisogno di due mediatori: uno presso il Padre, l’altro presso Gesù Cristo. Quando lodiamo Dio nelle sue grandezze e nelle sue opere, ricorriamo a Gesù Cristo perché sia il Mediatore della nostra lode; quando vogliamo onorare Gesù Cristo nella sua Persona e nei suoi misteri di cui sono ripieni i salmi di Davide, come dice Nostro Signore medesimo: Quæ scripta sunt in Psalmis de Mel, [Luc., XXIV, 44] noi abbiamo bisogno della SS. Vergine, nostra Mediatrice presso Gesù Cristo, e ci rivolgiamo a Lei, perché sola è degna di lodarlo degnamente. Ecco il motivo sul quale è fondata la recita del Pater e dell’Ave prima d’incominciare l’Ufficio.

D. – Perché si aggiunge il Credo?

R. – Per richiamare in compendio, nella mente dei fedeli, le opere principali di Dio Padre e di Dio Figlio; e affine di aver davanti agli occhi l’oggetto delle nostre lodi e così considerare nella verità ciò che si contiene più a lungo, ma in figura e in enigma, nei salmi di Davide. [Nell’Ufficio si recitano appunto i salmi]. Per ispirarvi poi un gran rispetto per i Salmi di Davide, che si cantano nell’Ufficio, vi dirò che questo gran Santo fu il Profeta dei Profeti, perché gli altri Profeti non fanno altro che descrivere e annunziare le opere di Dio o di Gesù Cristo e i suoi misteri, ma Davide è il panegirista di Dio e di Gesù Cristo; gli altri ne fanno la storia emblematicamente, ma Davide ne è il paraninfo e la lode; ci sembra che sia questa la ragione della differenza che Gesù Cristo medesimo fece in queste parole: Quello che sta scritto di me nella legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi.[Luc, XXIV, 14. Gesù Cristo fa menzione speciale dei Salmi]. Notiamo che un mezzo eccellente per recitare santamente i Salmi, è di tenersi unito allo spirito, alle intenzioni e al cuore di quel grande e santo Profeta che li compose.

LEZIONE XV

La felicità del Cristiano nell’adorazione e nella Santa Comunione si avvicina a quella dei Santi del Paradiso. – La devozione alla Madonna.

D. – Se ho ben capito ciò che mi avete spiegato in queste istruzioni, la nostra felicità, si avvicina a quella del Paradiso.

R. – Certamente; perciò Nostro Signore diceva ai suoi discepoli: Il Regno di Dio è dentro di voi. [Regnum Dei intra vos est. – Luc, XVII, 20]. Difatti, possedendo Gesù Cristo in noi nell’orazione o nella santa Comunione, noi possediamo tutto il Cielo. E non dobbiamo stupircene, poiché è questo il privilegio della fede secondo san Paolo: Est fides sperandarum substantia rerum, argumentum non apparentium. [Hebr., X, 1].- La fede ci dà la sostanza delle cose eterne, sebbene non ce ne dia la cognizione chiara, e non ce le faccia possedere nella medesima maniera in cui si possiedono nella gloria. Il Regno del Cielo, considerato nella sua sostanza, consiste nel contemplare Dio in tre Persone e la santa umanità di Gesù Cristo piena dei torrenti della Divinità; consiste pure nella visione della Santa Vergine, la quale è piena di Gesù Cristo, come Gesù Cristo è pieno del Padre suo; consiste inoltre nella visione dell’intera società dei Santi tutta rivestita di Gesù Cristo e da Lui posseduta, in una parola nella visione dell’intero corpo magnifico della Chiesa, tutta piena del suo sole, ch’è Gesù Cristo, [Mulier amicta sole. – Apoc, XII, 1]. Gesù Cristo è quel sole di cui è rivestita la Chiesa trionfante. il quale la compenetra di amore, di lode, di adorazione e di tutto il suo interiore, che glorifica e magnifica Dio suo Padre. Orbene, chi possiede Gesù Cristo nel Santissimo Sacramento possiede quel medesimo Gesù Cristo che è nel Cielo. Gesù Cristo poi dovunque si trovi porta il santuario di Dio suo Padre, e la pienezza della religione verso di Lui e delle lodi che gli offre nei Santi. In una parola, la Chiesa della terra possiede con quella del Cielo i medesimi beni; ma con questa differenza che noi non vi partecipiamo così perfettamente come nel Cielo, perché Gesù Cristo non diffonde in noi tutta la pienezza dei suoi divini torrenti, non trovando in noi la capacità di riceverli. Inoltre, non abbiamo quaggiù la comunione della lode dei Santi come essi la sperimentano nel Cielo, dove i Beati sono affatto vuoti di se medesimi e hanno la capacità di contenersi a vicenda, a imitazione della circuminsessione [Questa espressione indica la reciproca abitazione delle tre divine Persone l’una nell’altra.] delle divine Persone tra loro. Ammiriamo la divina economia del mistero dell’Incarnazione, dove Dio osserva un ordine meraviglioso e una convenienza degna di sé: il Verbo incarnato su la terra era uguale al Padre, [San Paolo dice che Gesù Cristo non credette che fosse una rapina affermarsi eguale a Dio: Non rapinam arbitratus est esse se æqualem Deo. – Philipp., II, 6) e perciò degno di una medesima lode; la sua divinità, benché fosse nascosta, non era meno adorabile, perciò Dio volle che al suo Figlio (incarnato) tutte le creature rendessero gli onori e tutta la gloria ch’Egli medesimo riceveva da quelle. Ma siccome le creature, nella loro imperfezione, erano incapaci di lodarlo degnamente, Dio diffuse nell’anima di Gesù Cristo tutte le virtù e tutti i doni dello Spirito Santo, onde essa potesse perfettamente supplire alla deficienza delle creature e affinché il Verbo divino, per mezzo di quell’anima santissima, ricevesse, in unità col Padre e con lo Spirito Santo, un onore e una gloria superiore a quella che potesse ricevere dalle migliaia di Angeli nel Cielo. – Gesù Cristo, infatti, era ben superiore a tutti gli Angeli riuniti assieme; [Cui enim dixit aliquando Angelorum: Filius meus es tu? A qual degli Angeli disse Egli mai: Tu sei mio Figliuolo? (Hebr.: I, 5); l’anima sua era più capace che non gli Angeli di ricevere le operazioni della Divinità; era il tempio divino nel quale la Divinità era onorata in modo perfetto: talmente che, dovunque si portava la santa Umanità su la terra, Dio vi trovava il suo Cielo e il suo Paradiso e nella umiliazione di Lei trovava la sua gloria. – Dobbiamo ancora ammirare, nel mistero dell’Incarnazione, un altro effetto della sapienza di Dio: l’Umanità di Gesù Cristo, essendo l’arca ammirabile dove Dio desidera essere adorato, e dove Egli abita in pienezza per il bene delle sue creature, è ben degna essa pure di ricevere lodi e onori; perciò Dio volle provvederla di una Chiesa dove tali onori le fossero resi con tutta santità e perfezione; volle edificare per quella santa Umanità un tempio più glorioso di quello di Salomone. [Magna erit domus istius novissimae plus quam primæ. – Agg., II, 10). LQueste parole vennero dette dal Profeta Aggeo per indicare che il secondo tempio costruito dopo la schiavitù di Babilonia sarebbe stato più glorioso del tempio di Salomone perché Gesù Cristo vi sarebbe entrato. L’ autore le applica a Maria Vergine in senso accomodatizio. Questo tempio è la santa Vergine, la quale seguì dappertutto Gesù Cristo per lodarlo e glorificarlo. Come altre volte isacerdoti accompagnavano l’arca in ogni luogo, così pure la santa Vergine accompagnò Nostro Signore in tutti i suoi misteri, di modo ché era per Lui una Chiesa ambulante. Perciò vediamo che a Maria vengono attribuite tutte le qualità della Chiesa. In quella guisa che la Chiesa è da Dio destinata a onorare la santa Umanità di Gesù Cristo, così la Santa Vergine che contiene in eminenza tutte le grazie e tutte le virtù e soprattutto tutta la religione della Chiesa, venne da Dio destinata per glorificare in modo perfetto l’Umanità del Figlio suo e per accompagnarla, come abbiamo detto, in tutto il mistero dell’Incarnazione.

D. – Ma Gesù Cristo e gli Apostoli hanno forse parlato ai primi Cristiani della divozione a Maria?

R. – A dire il vero, non ne hanno parlato tanto esplicitamente; Nostro Signore si limitò a far conoscere il Padre suo; san Paolo poi non lavorava se non a far conoscere Gesù Cristo ch’Egli voleva dare come fondamento della Religione cristiana, [Fundamentum aliud nemo potest ponere præter id quod positum est, quod est Christus Jesus. ( I Cor., III, 11), ben sapendo che facendo conoscere Nostro Signore, ne faceva conoscere abbastanza quella di Lui Chiesa, che è la santa Vergine. – Ma dopo Gesù Cristo e san Paolo, i santi Padri hanno parlato eminentemente di Maria; ecco, tra gli altri, belle e importanti parole di sant’Ambrogio, uno dei più grandi Dottori della Chiesa latina e Padre spirituale di quel grande luminare della Chiesa che fu sant’Agostino: Che l’anima di Maria- dice quel santo Dottore- sia in ciascuno di noi, per magnificare il Signore; che lo Spirito di Maria sia in ciascuno per rallegrarsi in Dio?[Sit in singulis Mariae anima, ut magnificet Dominum: sit in singulis spiritus Mariæ, ut exsultet in Deo. – Lib. II, in Luc.]. Ci contentiamo di citare questo brano di sant’Ambrogio, ma in sant’Ambrogio noi citiamo la Chiesa intera, la quale ha sempre professato un gran rispetto per questo Santo, come per quello che meravigliosamente la illuminò con la luce della sua dottrina e delle sue virtù. Dio lo ebbe in tanto pregio che dalle sue ceneri volle far nascere nei nostri tempi, quella fenice di grazia per tutto il corpo del suo clero che fu san Carlo Borromeo, il quale aveva una divozione singolare e un particolare rispetto per questo santo e venerabile Padre e Patrono della sua Chiesa di Milano. Sant’Agostino l’onorò pure come Padre e Maestro, gli diede nei suoi scritti questi due gloriosi titoli e ne parlò sempre con elogi straordinari. [S. Aug., tui etiam mali doctoris ore laudatus Ambrosius, etc. Conv. Just., Lib. 1, cap. III) In sant’Ambrogio abbiamo sentito la Chiesa latina, e se ne avessi l’agio, potremmo sentire anche l’intera Chiesa greca nella sua liturgia. – Ma dovendo metter fine a queste istruzioni, diremo che dobbiamo procurare di unirci a Nostro Signore e di rinnovarci nel suo Spirito, non soltanto nei punti che abbiamo indicati nella preghiera vocale della Chiesa, per rendere più gradite a Dio le nostre preghiere; ma inoltre tutte le volte almeno che sentiremo il canto del Gloria Patri. Quando poi vedremo i Sacerdoti inchinarsi davanti al Santo Sacramento, faremo nel nostro cuore ciò che essi fanno esternamente nel coro della Chiesa; non mancheremo allora di umiliarci profondamente davanti a Nostro Signore che abita in noi; e unendoci a Lui, gli protesteremo che ci riconosciamo indegni di lodar Dio e che Egli solo essendo la lode vivente e vera della santissima Trinità, è degno di glorificarla.

Fine della seconda e ultima parte.