CATECHISMO CRISTIANO PER LA VITA INTERIORE DI J. J. OLIER (3)

J. J. OLIER

CATECHISMO CRISTIANO PER LA VITA INTERIORE (3)

A cura del Sacerdote Maurilio Andreolotti

III edizione

EDITRICE ÀNCORA

MILANO

Visto: nulla osta per la ristampa Genova, 21 maggio 1945. On. MARIO CARPANETO, Revis. Eccles.

IMPRIMATUR Genuæ, die 25 V 1945. STEPHANUS FULLE, P. V

Proprietà Riservata – Editrice Ancora – Milano

E. A. (Ge) R. n. 29 – 1 – 1944

Approvazione del Vescovo di Pamiers.

(per la prima edizione).

LEZIONE XII.

A Dio solo è dovuto ogni onore. Come dobbiamo comportarci se ci avvenga di essere disprezzati e umiliati?

D. – Chi dunque merita di essere onorato?

R. – Dio solo. A Lui solo, dice S. Paolo, ogni lode e ogni onore;Soli Deo honor et gloria. (I Tim., I, 17). a noi la confusione, aggiunge il profeta Daniele. (Nobis autem confusio faciei. (Dan., IX, 7). Dio solo è degno di onore e di gloria, perché Dio solo è perfetto in se stesso, perciò Nostro Signore diceva: Nessuno è buono fuorché Dio. Nemo bonus nisi solus Deus. – Luc., XVIII, 19). Tutto ciò che non è Dio, da sé è niente e non ha nessun bene fuorché ciò che riceve da Dio; epperò Gesù Cristo diceva ancora: La mia dottrina non è mia, ma di Colui che mi ha mandato. (Mea doctrina non est mea, sed ejus qui misit me. – Joan., VII, 18).

D. – Ma non si onorano forse i Santi che sono nel Cielo? Anzi Dio medesimo vuole che siano onorati.

R. – L’onore che si rende ai Santi si rende a Dio, il quale abita nei Santi; e se si onorano i giusti su la terra, lo Spirito Santo è quello che si onora in essi, perché Egli abita in loro, li santifica e dà loro la grazia e la virtù di essere fedeli a Dio. – Perciò si dice nella Scrittura che Dio è ammirabile nei suoi Santi, [Ps. LXVII, 38], perché con la sua potenza innalza la loro debolezza a cose sublimi, e la loro ignoranza a grandi lumi, e nella loro bassezza fa risplendere la sua grandezza. Dio pertanto è quello che si onora nei Santi. Nostro Signore medesimo voleva che in Lui non fosse onorato se non il Padre suo; non voleva ricevere per sé nessuna lode, ma tutto rinviava al Padre suo. A quel giovane che lo chiamava Maestro buono, disse: «Perchè mi chiami tu buono? Nessuno è buono, se non Dio solo » – Luc., XVIII, 19-20), come se dicesse: « Vedete voi questa bontà che riluce in me? Essa viene dal Padre mio, da Lui ha origine; e se Egli non la diffondesse in me, Io non l’avrei. Prima che il Padre mio me l’avesse comunicata, Io ero niente e non avevo niente, non ero che niente come gli altri uomini; e la mia umanità venne tratta dal nulla, come le altre creature. Dio si effuse in me e in me versò tutta la pienezza dei suoi tesori, talmente che a Lui solo, appartengono, e tutto quanto di buono, di bello e di perfetto vi è in me, tutto è da Lui; tutto questo non è bene mio, ma bene di Dio, il quale è l’Autore di tutte le perfezioni e di tutte le bellezze che vedete in me. Egli deve essere onorato per le sue opere e soprattutto per questo capolavoro che è la mia Umanità ». Gesù Cristo, inoltre, dichiarava di essere obbrobrio degli uomini e rifiuto della plebe  [Ps. XXI, 7], perché in se stesso» come uomo, era niente, e di più perché era caricato dei peccati del mondo intero.

D. – Come dobbiamo dunque comportarci quando siamo umiliati, disprezzati e dimenticati?

R. – Quando non siamo considerati o siamo tenuti in nessun conto, dobbiamo rallegrarci dicendo nel nostro cuore: « Mio Dio, son ben contento di non essere osservato, né considerato dalla gente, e godo che nessuno pensi a me: così almeno, o mio Dio, non usurperò il vostro posto nei pensieri e nella mente degli uomini: se non occupo nessun posto nel loro cuore e non sono oggetto dei loro sguardi, — questo è per me un gran piacere ». – Tali erano i pensieri del gran martire di Antiochia, sant’Ignazio, quando prevedeva che sarebbe stato divorato dalle bestie e seppellito nel corpo di quelle: Le bestie saranno il mio sepolcro, diceva; così almeno, dopo la mia morte non occuperò il pensiero di nessuno. Allora sarò veramente discepolo di Gesù Cristo, quando il mondo non vedrà neppure il mio corpo. (Blanditiis demulcete ferus, ut mihi sepulcrum fiant, et nihil de corpore meo relinquant; ne, cum obdormiero, molestus cuiquam sim. Tunc ero vere Jesu Christi discipulus; quando mundus nec corpus meum videbit. – S. Ignat. Mart., Epist, ad Rom., n. 4).

LEZIONE XIII.

 Il funesto desiderio di essere onorato è desiderio comune e universale; modo di combatterlo e di rimediarvi.

D. – Spiegatemi meglio ancora questo punto, poiché si tratta di un desiderio troppo naturale.

R. –  È necessario infatti, insistere su questo punto, perché il desiderio di essere stimato, onorato e amato è talmente universale e comune, che non vi è quasi nessuno che, a meno di star bene attento, non parli e non operi sempre con questo spirito. Tutti abbiamo in noi questo desiderio funesto e idolatrico di riempire di noi tutto il mondo, di godere la stima di tutti i cuori, e così essere come idoli da tutti considerati, ammirati e amati. [Desiderio veramente idolatrico, perché tenta di mettersi al posto di Dio]. Tutti, nella nostra carne, siamo pieni di desideri che lo spirito maligno ci ha inoculati col peccato di Adamo; dimodochè la nostra carne ci spinge a tentare, come il demonio, di metterci al posto di Dio nel mondo; e mentre prima l’uomo voleva essere onorato come l’immagine di Dio e raccogliere in sé tutti gli omaggi delle creature per offrirli a Dio, dopo il peccato invece, ha voluto riceverli per sé e in tal modo essere idolatrato e adorato al posto di Dio. Gli uomini, per la maggior parte, non agiscono, né parlano se non col desiderio di essere stimati e di imprimere l’amore di se medesimi nel cuore delle persone che li ascoltano.

D. – Ma come si può fare per non cader in siffatto disordine?

R. – Bisogna, quando ci mettiamo a far qualche cosa o a parlare, rinunciare a noi stessi, ciò che si può fare nel modo seguente: « Mio Dio, in questa azione o in questa conversazione, rinuncio a ogni desiderio di comparire; rinuncio a ogni desiderio di essere stimato; rinuncio a tutti i tristi desideri della mia carne, la quale in ogni cosa non cerca che se stessa; rinuncio al mio amor proprio e a tutto l’orgoglio di cui sono impastato ». – Sarà necessario, inoltre fortificarci con l’abbandonarci allo Spirito di Nostro Signore, il quale dopo il Battesimo è in noi per fare con noi le nostre azioni, affinchè per facciamo opere di Gesù Cristo e non dell’uomo vecchio, opere dello spirito e non della carne; affinché in noi Dio in ogni cosa sia glorificato dal Figlio suo Gesù Cristo.

D. – Ecco una bella dottrina; ma la troviamo noi nella Scrittura?

R. – Certo, potrei citare molti testi che stabiliscono tali verità; mi contenterò di dirvi ciò che dice quel nostro maestro in Gesù Cristo che è san Pietro: Chi parla,  parli il linguaggio di Dio, come parola di Dio; chi ha un ministero, lo eserciti come per una virtù comunicata da Dio, affinché in tutto sia onorato Dio per Gesù Cristo. (1 Piet. IV, II)

D. – Bisogna dunque far tutto nello Spirito di Gesù Cristo operante in noi?

R. – Appunto; bisogna uscire di noi medesimi [Ossia rinunciare a noi stessi e alle inclinazioni disordinate della nostra natura] per così dire, ed entrare nella virtù di Gesù Cristo, ossia unirci allo Spirito di Gesù e operare nella sua virtù (sotto la sua influenza) per onorare Iddio suo Padre; altrimenti siamo pieni di impurità e di intenzioni cattive le quali infettano tutte le nostre azioni.

D. – Quanto siamo infelici e miserabili, poiché rimanendo in noi stessi (ossia seguendo le nostre inclinazioni) non possiamo far nulla che possa piacere a Dio!

R. – La nostra carne è così corrotta che guasta e rovina tutto ciò in cui s’ingerisce. Perciò non meritiamo soltanto di essere dimenticati e disprezzati come il niente, ma ancora di essere perseguitati e calpestati. Insomma, da noi medesimi non possiamo meritare che l’inferno. (Tanquerey: De gratia, n. 30)

D. – Che dite mai? Come mi umiliate! Come annientate la confidenza ch’io avevo in me stesso!

R. – Eppure non ho detto nulla che non sia confermato dalla S. Scrittura.

LEZIONE XIV.

Del dovere di amare la sofferenza, che è il secondo braccio della Croce; perché da noi medesimi siamo peccato.

D. – Per amore di Dio spiegatemi meglio la verità che mi avete esposta, affinché sia talmente impressa nella mia mente che non ne esca mai più, e io possa amare il dolore, la sofferenza, la persecuzione, le calunnie, in una parola amare la penitenza che devo fare su la terra, la quale ne è il soggiorno.

R. – Il primo ramo della Croce sono le umiliazioni e dobbiamo sopportarle, tanto per giustizia come per spirito di Religione. Il secondo ramo della Croce è la sofferenza, e dobbiamo amare i patimenti e sopportare in pace la persecuzione, la calunnia ecc. non solo perché lo Spirito Santo che abbiamo ricevuto nel Battesimo, ci infonde tale inclinazione, ma anche per giustizia, a motivo del nostro demerito. Per essere persuasi di questa verità basta ricordarci che da noi stessi siamo peccato.

D. – Scusate; ho bensì sentito dire che siamo peccatori; ma che siamo anche peccato, non lo intendo.

R. – Eppure, non siamo soltanto peccatori, ma nella nostra carne siamo peccato (Rom. VII). [L’uomo caduto è carne (Gen., VI, 3), ma la carne è contraria alla legge di Dio, come dice San Paolo, per cui può chiamarsi peccato. L’uomo, inoltre, nasce colpevole del peccato originale, e soggetto alla concupiscenza che lo porta ad ogni sorta di peccati].

D. – Se così è, non v’è obbrobrio, né calunnia, né persecuzione che non ci sia dovuta, ma spiegatemi dunque in qual modo siamo peccato.

R. – Per questo, è necessario ricordarvi qualche punto di dottrina. L’uomo cristiano, come sempre insegna san Paolo, è composto di due cose; una si chiama carne, l’altra spirito. Così è diviso l’uomo nella Scrittura. Se non che queste espressioni non significano il corpo e l’anima. Infatti, con la parola spirito non s’intende l’anima, ma lo Spirito Santo con tutti i doni che sono nati dallo spirito, come la fede, la speranza, la carità, l’umiltà, la pazienza e altri doni, altre grazie e virtù simili: san Paolo chiama tutte queste virtù Frutti dello Spirito, (Galat., V, 22, 23), e Nostro Signore Gesù Cristo aveva già detto: Ciò che è nato dalla carne è carne, e ciò che è nato dallo Spirito è spirito. (Joann., III, 6).

D. – E per la parola carne cosa intendete?

R. – Lo vedete bene dalle citate parole di Nostro Signore; la carne è ciò che non è lo Spirito Santo, o che non è nato dallo Spirito, ma dalla carne. Perciò, nella Scrittura il corpo e l’amina sono chiamati carne. L’anima soprattutto quando segue la carne e le inclinazioni della carne; e anche il nostro spirito (la nostra mente, il complesso delle nostre facoltà spirituali) sono chiamati carne quando agiscono per giungere ai fini della carne; infine, tutti i loro pensieri sono chiamati carne perché nascono dalla carne; perciò la Scrittura li condanna come degni di morte (mortiferi): La prudenza della carne, dice san Paolo, è morta; (Rom VIII, 6) e in altro luogo: Ebbimo dei pensieri di carne. Facientes voluntatem carnis et cogitationum.(Ephes. II, 2). – Ma ciò che è nato dallo Spirito Santo e che si chiama spirito, non ci appartiene, non è nostro, non è noi, perché è Dio stesso, ed effetto della sua presenza, ossia la sua luce, la sua sapienza, il suo ardore, il suo amore ecc. Non abbiamo dunque motivo di gloriarcene, né di comprendere questi doni nel numero delle cose nostre; perché in noi sono doni della pura liberalità di Dio e della sua grande misericordia, mossa a compassione dalla nostra miseria e dalla carità del Figlio suo morto per noi su la Croce.

LEZIONE XV.

Spiegazione del medesimo argomento.

D. – Ma, insomma, che abbiamo noi di noi medesimi?

R. – Da noi non abbiamo che il niente e il peccato; siamo dunque ben poca cosa, e meritevoli di ogni pena e di ogni persecuzione. Che siamo niente, l’abbiamo già detto; da tutta l’eternità, infatti, cosa avevamo? Niente. L’essere che abbiamo è forse nostro? Mai più, Dio ce ne ha coperti, ma è suo e, quantunque ce ne abbia fatto dono, è suo ancora ed Egli vuole che glielo offriamo in omaggio, usandone per orarlo.

D. – Ma come mai siamo anche peccato?

R. – Vi spiegherò anche questo con la grazia di Dio. Il nostro primo padre Adamo, era stato creato nell’innocenza, ma peccò e in lui peccarono tutti gli uomini.

D. – In che modo intendete che tutti siamo peccatori in Adamo?

R. – Se un padre avesse fatto un contratto per sé e per tutta la sua famiglia, non è forse vero che tutti i suoi figli e successori sarebbero obbligati a osservare le condizioni ch’egli avrebbe pattuite?

D. – E’ vero.

R. – Orbene, il nostro primo padre fece con Dio il primitivo accordo a nome di tutti i suoi figli e di tutta la sua famiglia. Ma col suo peccato violò il patto concluso: perciò i suoi successori, ossia i suoi discendenti, furono tutti coinvolti con lui nel suo delitto, e ne hanno giustamente subito tutto il castigo. Ne consegue che siamo peccato anche noi. – Il peccato del primo padre ha fatto in noi un tale guasto, ha instillato in noi una irruzione tale che l’uomo, dopo la colpa originale, non è che carne e peccato. Perciò Dio disse: Il mio Spirito non rimarrà nell’uomo, perché è carne, (Gen. VI, 3) ossia perché il suo essere, spirituale e corporale, è infetto dal peccato; il suo spirito è divenuto carne, materiale come la carne, cieco come la carne; non cerca che gli appetiti della carne; è animale e terreno come la carne, è depravato e ha perduto la sua rettitudine; alieno dalle sue prime intenzioni, non ha più che desideri impuri, bassi e corrotti; in una parola non ha più niente della somiglianza con Dio. – L’uomo è talmente depravato nel suo fondo, che è tutto inclinato al male e al peccato; e per la miseria e il veleno del peccato originale, è così fortemente inclinato al male che è un abisso, un baratro di peccato, portando in sé il principio non solo di qualche peccato, ma di tutti i peccati.

D. – Ahimè! cos’è questo? Perché mai ci gloriamo della nostra carne? Se il Savio proibisce all’uomo di esser superbo perché è polvere e cenere, (Eccli. X, 9) quanto più sarà da condannare la superbia nella carne, poiché questa è tutta impastata di peccato!

LEZIONE XVI.

La nostra carne non è che peccato.

D. – Non potreste spiegarmi meglio questa miseria?

R. – Vi dirò ciò che penso. La carne è talmente peccato, che è tutta inclinazione e movimento al peccato, anzi a ogni sorta di peccato: dimodoché l’anima nostra, se lo Spirito Santo non la trattenesse con la sua assistenza e con l’aiuto della sua grazia, sarebbe trascinata dalle inclinazioni della carne, le quali tendono tutte al peccato e sono tutte seminate nell’anima, attesa la sua intima e stretta unione con la carne. [Notiamo come il Servo di Dio affermi la distinzione fra l’anima e la carne. L’anima, con l’aiuto della grazia, può resistere e non lasciarsi trascinare dalla carne.

D. – Dio mio! Ma cosa è dunque la carne?

R. – La carne è l’effetto del peccato e il principio del peccato; in una parola, si può dire della carne ciò che i Giudei dicevano del cieco nato, che è tutta nata nel peccato. [Joan. IX, 24]

D. – Ma, se è così perché non cadiamo ad ogni istante nel peccato?

R. – Effetto della misericordia di Dio, che ci trattiene, e dell’assistenza del suo divino Spirito che risiede in noi per sorreggerci.

D. – Siamo dunque obbligati a ringraziare il Signore con viva riconoscenza, anche per i peccati che non commettiamo?

R. – Certo, sant’Agostino lo riconosce per se medesimo nelle sue Confessioni ed è questo il sentimento ordinario dei Santi, perché la carne è inclinata al male con tale forza che Dio soltanto può trattenere l’uomo affinché non cada nel peccato. [Conf. L. II, c. VII]

D. – Ma come! A ciò non basterebbero la sapienza umana e la filosofia?

R. – No; anticamente, infatti, i più grandi filosofi e gli uomini più sapienti che mai siano vissuti, sebbene conoscessero la virtù e avessero grande orrore per il vizio, non mancarono tuttavia di cadere in gravissimi disordini, anzi precipitarono nei vizi più sozzi e più vergognosi alla natura. [Cfr. Rom., I , 18, 32]. Dobbiamo pertanto essere oltremodo riconoscenti a Gesù Cristo, perché ci ha dato il suo Spirito onde rialzar l’anima nostra e ritirarla dal fango del peccato e dalle inclinazioni della carne nelle quali è tutta immersa. Non potremo mai esprimere né intendere di quanta riconoscenza dobbiamo essere animati verso Gesù Cristo. È bene ripeterlo, non v’è sorta di peccato, non v’è imperfezione o disordine, non v’è errore o sregolatezza, di cui la carne non sia piena; non v’è pazzia di cui non sarebbe capace a ogni ora.

D. – Ma dunque, senza il soccorso di Dio, io sarei pazzo, anche in pubblico?

R. – Ciò sarebbe poco, perché sarebbe soltanto contro la civile società; ma sappiate che senza la grazia di Dio, senza la virtù dello Spirito di Dio, non v’è impurità, sozzura, infamia, ubriachezza, bestemmia; ecc., in una parola, non v’è peccato di cui l’uomo non si renderebbe colpevole. Per poco che vogliamo entrare in noi stessi, dovremo riconoscere che portiamo in noi una strapotente inclinazione al male, e ad ogni sorta di male e di peccato. Se non fossimo sostenuti dalla grazia di Dio, cadremmo nell’abisso di ogni peccato.

LEZIONE XVII.

La nostra carne è tutta contraria e ribelle a Dio e al suo Divino Spirito.

D. – Desidererei che mi spiegaste meglio questa verità, affinché possa concepire maggiormente orrore per la carne.

R. – La carne è peccato in quanto è tutta contraria a Dio, in quanto combatte contro lo Spirito, come dice san Paolo, e lo Spirito combatte pure contro di essa [Galat. VI, 17]. Perciò la carne è simile al demonio, il quale combatte contro Dio; la carne è della natura stessa del demonio. Non dobbiamo dunque stupirci se diciamo che dobbiamo odiare la nostra carne e aver orrore di noi medesimi; non dobbiamo stupirci se diciamo che l’uomo, nello stato in cui si trova, deve essere maledetto e perseguitato; in verità non v’è male che non debba giustamente cadere sopra di lui, per causa della sua carne. L’odio, la maledizione, le persecuzioni che colpiscono il demonio devono pure colpire la carne e tutte le sue tendenze.

D. – Ma, se il demonio è maledetto, ciò proviene dal fatto che non si convertirà mai a Dio, né mai potrà essergli sottomesso.

R. – Così anche la carne; per tutto il tempo della nostra vita quaggiù, sarà sempre talmente corrotta, immonda e perversa che non potrà mai convertirsi a Dio, [Finché sussisterà il peccato originale, l’uomo porterà in sé le inclinazioni perverse che lo portano al peccato.] né  sottomettersi alla legge di Dio: Legi Dei non est subjecta, nec enim potest. [Rom. VIII, 7]

D. – Ma in tal caso come è possibile che i Santi, i quali hanno una carne simile allanostra, servano Dio nella presente vita?

R. – Lo Spirito di Dio, cui aderisce l’anima dei Santi, e dal quale viene illuminata, mossa e fortificata, padroneggia la carne, e l’assoggetta a Dio malgrado la sua resistenza. La carne, infatti, sempre resiste a Dio in questa vita: che sebbene la grazia e l’effusione dello Spirito sopra di essa talvolta facciano sì che esulti in Dio, come dice la Scrittura, [Cor meum et caro mea exsultaverunt in Deum vivum Ps. LXXXIII],  tuttavia è sempre pronta a resistere e non si lascia quasi mai vincere, se non per forza.

D. – Ma i demoni cantano forse anche essi le lodi di Dio? Esultano forse anch’essi in Dio?

R. – Mai più, nella condizione in cui si trovano; Dio tuttavia, se volesse, con la sua potenza potrebbe fare che lo lodassero, malgrado la loro depravazione.

D. – Ma perché la nostra carne talvolta esulta in Dio e lo loda, mentre i demoni non lo lodano mai?

R. – La nostra carne, per l’azione dello Spirito Santo, può lodare Dio, a differenza dei demoni, perché questi non sono più in grado di sperare, né di meritare la gloria, mentre la carne viene data come compagna all’anima, la quale ogni giorno spera la gloria e la merita; dimodoché nell’uomo l’anima serve a Dio e gli aderisce nello Spirito, e la carne, suo malgrado, rimane assoggettata allo Spirito, benché non gli sia sottomessa. E qui ancora vi è una somiglianza tra la carne e il demonio. La carne, infatti, è come il demonio, il quale, malgrado la sua rabbia rimane soggetto per forza alla potenza del divino Spirito, tuttavia non vi è sottomesso; orbene la carne pure è disposta in tal modo. Mentre io prego Dio e mi sottometto a Lui, mentre mi elevo a Dio per la virtù dello Spirito Santo, in pari tempo la carne si distoglie da Dio volgendosi verso la creatura, si abbassa verso la terra e così spesso rimuove l’anima da Dio; [Deprimit sensum multa cogitantem. Il corpo corruttibile grava su l’anima, e la terrestre dimora deprime la mente che ha molti pensieri – Sap., IX, 15], mentre l’anima si mantiene nella purezza la carne si porta all’impurità e alla disonestà; mentre l’anima si investe della santità di Dio, la carne aderisce alla creatura, perciò si macchia e si guasta; insomma la carne, come il demonio, non cambia mai, né mai cessa di essere ciò che è.

LEZIONE XVIII.

La perversità della nostra carne merita ogni sorta di umiliazioni da parte di Dio e da parte di ogni creatura.

D. – Non verrà dunque mai quel tempo in cui l’uomo e la carne non saranno piùpeccato?

R. – Sì, questo avverrà nel Paradiso, nel giorno della risurrezione, quando Dio riformerà questo corpo vile, abietto e umiliato. [Reformabit corpus humilitatis nostræ. -Philip. III. 21]. Il corpo di nostra umiliazione, corpo umiliato, questa espressione di san Paolo è giustissima. L’uomo, infatti, merita ogni umiliazione; non v’è confusione che non gli sia dovuta. Se per esempio si dicesse di me, di voi e di chiunque altro : « Questo uomo è avaro », bisognerebbe sopportarlo, perché  tutti abbiamo in noi un principio di avarizia insaziabile, sebbene la grazia ne abbia forse soffocato il sentimento nell’anima nostra. Se si dicesse che siamo disonesti, lo dovremmo sopportare, perché il seme di ogni vizio e di ogni impurità si trova nella nostra carne, la quale trascinerebbe l’anima al peccato, se lo Spirito non la sorreggesse. Se si dicesse che siamo superbi, lo dovremmo sopportare, pensando che ciò è sempre vero ad onta degli effetti che la grazia di Gesù Cristo e del suo Spirito abbiano operato in noi; né ci si fa torto alcuno o ingiuria col chiamarci orgogliosi, perché la nostra carne rimane sempre la stessa, vale a dire sempre impastata di orgoglio e sempre pronta a produrre atti di superbia; talmente che non cessiamo mai di essere orgogliosi, benché non lo sentiamo, e che pratichiamo talvolta atti di umiltà. Così di tutti gli altri difetti che si possono concepire nell’uomo, perché la carne è la sorgente, la cloaca e come la fogna dove si raccoglie ogni impurità, ogni disordine e ogni peccato.

D. – Allora, non v’è sorta di ingiuria che non dobbiamo sopportare, persuasi che ci sono ben dovute. Le umiliazioni, le ingiurie, le calunnie non debbono punto turbarci.

R. – Dite vero; bisogna fare come quel Santo, il quale essendo condotto al patibolo per un delitto che non aveva commesso, non volle giustificarsi, dicendo nel suo cuore che, senza l’aiuto di Dio, avrebbe commesso quello e altri peggiori ancora. Coi medesimi sentimenti, dobbiamo sopportare ogni persecuzione. Se, come è nostro dovere, fossimo ben persuasi della malizia della nostra carne, la persecuzione ci sembrerebbe cosa ben giusta, anzi dovremmo desiderarla, per reprimere, con tali castighi, la continua ribellione di questa nostra carne contro Dio.

D. – Gli uomini, gli Angeli e Dio medesimo dovrebbero dunque incessantemente perseguitarci?

R. – Sì, così dovrebbe essere e così avverrà nel giorno del giudizio ai peccatori sopra i quali Dio eserciterà la sua vendetta per mezzo di tutte le creature nelle quali Egli abita, e delle quali ognuna sarà come uno strumento esecutore della sua giustizia. [Pugnabit cum illo orbis terrarum contra insensatos. – Sap., V , 21]. Pertanto, nelle malattie, nelle persecuzioni, nelle umiliazioni e in ogni afflizione, dobbiamo metterci dalla parte di Dio contro noi medesimi, e pensare che le meritiamo tutte e di più ancora, che Egli ha diritto di servirsi di tutte le creature per castigarci, e che adoriamo la grande misericordia ch’Egli in tal modo esercita adesso sopra di noi, sapendo che, quando verrà il tempo della sua giustizia, ci tratterà ben più rigorosamente.

D. – E quale sarà il tempo della sua giustizia?

R. – L’altra vita, sarà il tempo della sua giustizia, perché allora Dio non userà più misericordia; allora la sua giustizia non sarà più temperata dalla compassione per la nostra miseria; allora Dio ci tratterà secondo tutta la severità del suo santo giudizio. È cosa orribile, dice la Scrittura, cadere nelle mani del Dio vivente [Hebr. X, 31]. Allora non vi sarà più né croce, né afflizione, di cui l’anima e il corpo del peccatore non saranno cruciati.

D. – Ma allora non è forse più dolce portare adesso quella croce che la giustizia di Dio ci impone, in questo tempo di misericordia, in cui siamo sorretti dalla grazia e dalla virtù che la bontà di Dio ci largisce; piuttosto che aspettare quel tempo in cui il peccatore, mentre sarà oppresso da ogni sorta di tormenti, sarà privo di qualsiasi aiuto e di qualsiasi consolazione?

R. – Avete ben ragione. Nell’inferno, infatti, non vi è più nessun aiuto che sorregga, nessuna grazia che fortifichi, nessuna unzione che consoli e raddolcisca il giogo del rigore di Dio; non vi sarà più nessuno di questi beni, i quali sono, quaggiù il miglior sollievo delle nostre croci e i  nostri patimenti.

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