LO SCUDO DELLA FEDE (276)

LO SCUDO DELLA FEDE (276)

P. Secondo FRANCO, D.C.D.G.,

Risposte popolari alle OBIEZIONI PIU’ COMUNI contro la RELIGIONE (18)

4° Ediz., ROMA coi tipi della CIVILTA’ CATTOLICA, 1864.

CAPO XIX.

MARTIRI — PROPAGAZIONE DELLA FEDE

1. I Martiri sono in minor numero di quel che si dice. II. Sono opera del fanatismo. III. Ogni causa ha i suoi martiri. IV. L’interesse e le mene dei preti han sostenuto il Cristianesimo.

Una delle glorie più inclite della fede cristiana è la corona dei Martiri, che di ogni età e condizione hanno dato il sangue per Gesù Cristo. Fino ab antico però i persecutori del Cristianesimo che ne vedevano tutta la bellezza e la forza, le portarono invidia, e si brigarono di sottrarre le memorie di essi a’ Cristiani disperdendone i corpi e le ceneri, ed apponendo ai Martiri finti delitti, acciocché non fossero creduti morti per la causa della santa fede. – L’incredulità di questi ultimi tempi ha ritentato con altri argomenti la prova stessa, e si sforza di rapir alla Chiesa di Cristo un’aureola sì gloriosa.

I. Dicono quindi che il numero dei Martiri non è poi sì grande come il narrano le leggende devote; che però non è a farne così gran caso. Questo strale contro del Cristianesimo l’avventò pel primo il protestante Dodwello: ma in mal punto per la sua causa, poiché quel detto aguzzò l’ingegno agli eruditi, per investigar qual ne fosse il numero, e tra gli altri al dotto Ruinart, il quale con documenti di ogni fatta alle mani pose in chiaro siffattamente la sterminata moltitudine che essi sono, che mai nessuno osò più rivocarla in dubbio. Io non starò qui a raccogliere tutte le cifre, ché sarebbe lavoro eccedente affatto lo scopo di questo libretto. Dirò solo che dieci furiosissime persecuzioni si scatenarono ne’ tre pri mi secoli contro la Chiesa, e si sparsero per tutta la vastità dell’Impero romano, che abbracciava le Spagne, le Gallie, l’Africa, 1’Italia, gran parte dell’Asia e quasi tutto il mondo allor conosciuto: che in tutti questi paesi i Cristiani furono messi alla discrezione dei Cesari, de’ proconsoli, de’ pretori, de’ sacerdoti degl’idoli, i quali, per ingraziarsi col popolo che li chiedeva a morte, li dannarono alle scuri, ai capestri, ai roghi, agli anfiteatri, alle saette, alle pietre ed a tutte le carneficine che il furore combinato con la malizia seppero inventare. I soli nomi de’ loro persecutori bastano a farne prova, giacché Nerone, Domiziano, Caligola, Massimiano, Massimino, Caracalla, Eliogabalo, Diocleziano, Licinio, Decio, sono i nomi della crudeltà. – Gli storici ecclesiastici, d’accordo cogli autori profani, ne raccontano a lungo le orride spietatezze e le vittime senza numero; ma senza allegar queste testimonianze, noi abbiamo la confessione degl’increduli stessi, i quali non ricordando che altrove hanno cercato di diminuirne il numero, affermano che nei primi secoli la maggior parte dei Cristiani correva al martirio per una specie di mania epidemica, suscitata dalla predicazione dei Padri della Chiesa. Se dunque la mania aveva soprappreso il maggior numero dei Cristiani, chi potrà enumerare le vittime che essa ha fatto?

II. Il perché passiamo a vedere piuttosto la causa che essi allegano per spiegare come fossero tanti di numero. La mania, di cui favellano, non è altro che il fanatismo, e questo basta, osservano essi, a render ragione di tante vittime, polche chi non sa come si ecciti ed infiammi tra il fuoco delle persecuzioni? Infatti, ogni religione, per quanto assurda, vanta i suoi martiri. Aggiungete l’interesse che i preti trovano nel mantenere le superstizioni, le minacce che essi fanno di eterne pene a chi non accetta i loro dormi, e voi avrete compreso come tanti abbiano profusa la vita per sostenere il Cristianesimo, e come esso si mantenga in piedi fino a’ dì nostri. Ora per rispondere a costoro, chiederemo in primo luogo che cosa sia il fanatismo, il quale ha una virtù così potente sopra la terra? Il definiscano pur come vogliono, dovranno concedere che sia un esaltamento dell’animo accecato da qualche passione, per cui apprende per bene reale un oggetto che non è tale e che lo vuole procacciare a qualunque costo. Or, di grazia, chi furono i primi ad accecarsi e passionarsi così furiosamente per Gesù Cristo? Non furono certamente solo plebe indotta e moltitudine ignorante; v’ebbe anche filosofi chiari e dottori insigni che, dai primi momenti che la nuova religione apparve nel mondo, l’abbracciarono con tutto il cuore. Che anzi in tutti i tempi gli uomini più assennati e più dotti, siccome appare fino al presente dai loro volumi, ne furono i più teneri ed i più appassionati. Singolare cecità d’intelletto, la quale più si apprende a chi più vede! Inoltre, come avvenne un sì subito fanatismo? Gli uomini si andarono a riposare quest’oggi sobri, tranquilli, sani di mente, e la dimane si svegliarono pazzi e farnetici per questa nuova dottrina. E ciò nella Giudea non meno che in Roma, nell’Asia non meno che nell’Africa, in Oriente ed in Occidente, presso i popoli barbari e presso i colti; e quel che è più mirabile, quegli stessi che oggi avevano posto in croce Gesù qual malfattore, pochi giorni dopo a molte migliaia insieme son presi da tanto fanatismo per Lui, che si lasciano scannar mille volte piuttosto che rinnegarlo. Oh che è questo mai? Una febbre che ad un dato punto invade tutto l’uman genere! Avremo almeno qualche gran causa posta in atto per destare tal fanatismo. Sarà comparso qualche filosofo maraviglioso sopra la terra, qualche uomo portentoso, il quale coi fulmini della sua eloquenza, col fascino della sua dottrina, coll’autorità della sua persona e col fulgore di sua maestà avrà rapite, infiammate, travolte, trascinate le moltitudini alla sua sequela, non è vero? Eh appunto. A destare tanto fanatismo furono alcuni pochi uomini, non illustri per sangue, non ragguardevoli per scienza, di professione pescatori, di patria Giudei, senza credito, senza aderenze, senza ricchezze, senza autorità. Ora mentre i filosofi più riveriti, i savi più accreditati, gl’Imperatori più potenti non sono riusciti a destare fanatismo altro che in pochi seguaci ed aderenti, quelli l’hanno eccitato in tutte le parti della terra, fino al punto di far versare il sangue a torrenti, per mantenere quello che essi avevano annunziato. Singolare effetto di un vastissimo incendio di fanatismo, senza che si veda chi lo accenda! Ma forse il segreto di questo fanatismo sarà tutto nelle dottrine di questa nuova religione. Gli uomini corrono facilmente dove le passioni li attirano, e la sperienza mostra che non è difficile sollevar tutti gli animi offrendo oro, libertà, piaceri. Così lo mostrarono un Maometto, un Lutero; e lo mostrarono tuttodì tanti Catilini novelli, i quali fanno correre le turbe sciocche al grido di libertà, benché sempre menzognera. Avran fatto altrettanto anche i banditori dalla dottrina di Gesù Cristo? Ma voi, o lettore, sapete che non solo non offrirono nulla di tutto ciò, ma al contrario mossero la più cruda guerra che mai fosse stata mossa alle passioni del mondo. All’intelletto imponevano che si sottomettesse a credere misteri ardui, difficili, imperscrutabili; al cuore non solo non offrivano appagamenti, ma imponevano dolorosi sacrifizi; non si parlava se non di mortificazione, di abnegazione, di croce non interrotta fino alla morte. La pratica del Cristianesimo è tutt’altro che adatta a destar fanatismo. E per verità qual fanatismo può destarsi a pregare in segreto lungamente? Quale a staccarsi interiormente dai beni di questa terra? Qual fanatismo a digiunare, quale a vincersi, a mortificarsi? Quale ad imprendere seco stesso una lunga lotta per raffrenare i pensieri, per moderare gli affetti per rinnegare l’amor proprio, per vincere gli appetiti segreti dell’avversione, della collera, della lascivia, della superbia, che sempre ci pullulano in cuore? E con tutto ciò fino a qual punto non giunse egli un tal fanatismo? Fino alla perdita delle sostanze, della patria, della vita. Fino all’incontrare tormenti e stragi mille volte peggiori della morte. Or che è egli mai ciò? Non è al tutto straordinario un fanatismo che poté produrre effetti così portentosi? Dov’è dunque, lo ripeto, la causa che ha potuto destarlo? Lettore, conchiudete voi qual sia il grado di fanatismo che ci vuole per ascrivere la propagazione del Cristianesimo al fanatismo.

III. Ogni causa, continuano essi, ha i suoi martiri, e gli idolatri non meno che gli eretici li vantano, e perfino gli stupidi Indiani muoiono per le loro fallaci divinità. Qual prova è dunque questa che serve all’errore non meno che al vero? Chi così replicasse, oltre a molte altre cose, mostrerebbe anche di non aver mai compreso come sia addotta e come provi in favore del Cristianesimo la ragione tratta dai Martiri. Noi adunque non diciamo che sia vero il Cristianesimo, perché altri ha versato il sangue per Gesù Cristo, ma perché altri l’ha versato in un tal complesso di circostanze, che non era moralmente possibile a forza umana il versarlo. Concediamo che possa giungere un impeto di passione a portare un uomo mad infuriare contro sé stesso; può il fanatismo fare che altri si precipiti da una rupe, o che si dia ad infrangere alle ruote di un carro; può un amore stolido di gloria fare che altri s’investa nelle picche o nelle spade di un esercito; può persino un’impazienza portata alla disperazione fare che altri, violento contro sé stesso, si dia la morte: ciò non lo neghiamo, e non è di qua che si trae l’argomento in favore del Cristianesimo. Sono tutte le circostanze che accompagnano il martirio cristiano, che ne formano la prova così gagliarda. Imperocché non può la sola natura far che migliaia e migliaia d’uomini tutti in un punto cospirino a voler dar la vita nel tempo per riceverla nell’eternità, a perdere il presente che godono sull’espettazione di quello che solo sperano, ad incorrere mali certi e presenti, per timore di mali solo creduti e lontani. Non può la sola natura far tutto ciò, quando non vi ha passione alcuna in moto che presti le forze e risvegli, dirò così, il furore. Non può la sola natura somministrar tanto coraggio a uomini non robusti per natura, non audaci per allevamento, come vecchi cadenti, donne imbelli, fanciulle timide e giovani di prima età. Non può la sola natura fare che non solo siano non temuti i più acerbi mali della vita, ma desiderati, ma ambiti, ma cercati, ma abbracciati con tutto l’ardore. Se un impeto momentaneo di furore può precipitare alcuno a darsi una morte celere, una morte furiosa, una morte non possibile a ritrattarsi; non può la sola natura tenere volonterose in mezzo ai tormenti inauditi coteste vittime per giorni interi, settimane ed anni, e tenervele sempre contente, sempre giubilanti di una gioia sì pura e sovrumana che rapisce i carnefici, che confonde i tiranni, che persuade le intere moltitudini a seguitare quel Gesù per cui esse patiscono: mentre potrebbero ad ogni istante con una parola cessarsi le pene, anzi volgersele in delizie, in onori, in cariche che loro sono profferte. Tutto ciò nol può la natura, bisogna che v’intervenga al tutto una virtù soprannaturale che conforti l’umana debolezza. Hanno i miscredenti cercato di accozzare tutti insieme gli esempi che hanno trovato nelle storie, per dimostrare che ogni causa ha i suoi Martiri: ma non era mestieri di tal opera. Mettano in mostra una sola vittima che regga al confronto della nostra Agnese e della nostra Cecilia, e diam loro vinta la causa. E tuttavia accresce la forza di questa ragione la moltitudine dei prodigi, onde il cielo onora questi suoi eletti campioni nell’atto del martirio. Conciossiaché spesse volte le fiere invece di sbranarli si prostrano loro dinanzi con riverenza, i roghi accesi si spengono, i metalli liquefatti non bruciano, le spade perdono il taglio, le punte non feriscono; essi camminano sui carboni accesi come sopra le rose, i templi delle false divinità si diroccano alla loro presenza, gl’idoli cadono da sé infranti, e spesso sono ancora colpiti di cecità, di paralisi, di morte, i tiranni che infuriano contro di loro: e ciò alla presenza d’intere moltitudini che o l’attribuiscono alla magia, oppure si convertono al Cristianesimo. Come, dunque, non è visibile la mano di una causa superiore che li favorisce ed aiuta? Alleghino, se possono, alcun che di somigliante quelli che affermano che ogni causa ha i suoi Martiri, e poi impugnino pure la prova da noi addotta, che siamo disposti a far loro ragione: ma se noi possono fare, si contentino che noi crediamo a testimoni che si fanno scannare in favore delle verità che professano.

IV. Resta ora ad esaminare la difficoltà che tolgono dall’interesse che i preti hanno avuto nel mantenere la cristiana superstizione e dell’averla sostenuta colle minacce che hanno fatte ai popolidelle pene eterne; ma questa non è men vana dell’antecedente.Imperocché prima di tutto, come avvenne che alcuni, anzi chetanti volessero essere sacerdoti ai primi tempi del Cristianesimo?Finalmente gli uomini non sono poi tanto stupidi in quello che riguardai loro vantaggi. Ora egli è certo che il sacerdozio alloranon fruttava altro che maggiori fatiche, rischi più gravi e quasisempre la perdita della vita. Scorrete gli annali di quei tempi, etroverete che cominciando dal primo Sacerdote, il romano Pontefice,venendo giù fino all’ultimo chierico, i Sacerdoti ebbero semprela prerogativa di sopportare le più spietate carneficine. Per tresecoli niun Papa la scampò, niun Vescovo illustre ne fu esente, ed i Sacerdoti furono sempre la preda più desiderata e più cerca dai persecutori di nostra fede. Dovevano avere a quei tempi gli uomini un gusto un po’ strano, quando avevano tanta smania di farsi impendere e squartare. Inoltre, il sacerdozio è dignità spirituale non temporale; e sebbene nell’età posteriore non andasse sempre disgiunta da vantaggi anche terreni, pure erano questi allora sì tenui, ed i pesi sì gravi, che è inesplicabile l’essersi trovati tanti che così volonterosi vi si sobbarcassero. Certamente il genere di vita loro prescritto, il distacco dai beni della terra, il finanziamento alle gioie della famiglia, la obbligazione della continenza e la persecuzione continua dei figliuoli del secolo, non dovevano essere motivi che, discorrendo all’umana, ve li confortassero molto.. – Ma su via, poniamo pure che eleggessero quello stato per interesse, come avvenne poi che trovassero tanto credito presso le moltitudini da dover essere così ascoltati e così temuti? Gli uomini allora erano di una tempera diversa dalla nostra? Se venisse da noi un bramino dall’India, un agà turco, od un sacerdote qualunque degl’idoli, sarebbe creduto così fattamente che sulla sua parola gli uomini ne dovessero impallidire? Io credo che per quanto gridassero, minacciassero, strepitassero, commovessero cielo e terra, mai non riporterebbero altro che le nostre beffe e le nostre risate. E che gli antichi Romani non fossero d’altro pensiero dal nostro, voi lo potete raccogliere anche da ciò che sapevano burlarsi benissimo dei Giudei che vivevan fra loro. Or perché ciò? Perché fino a tanto che non sono allegate prove che convincano I’intelletto della verità di una religione, fintantoché non è creduta vera, essa non ha forza ad intimorire co’ suoi dorami e colle sue minacce. Ebbene, questo è che accade nel nostro caso. Quando è che un sacerdote comincia ad essere riverito ed ascoltato dagli uomini? Quando gli uomini hanno creduto alla religione che predica. Fra i Cristiani questo poi è evidentissimo. lmperocché e donde se non dalla fede traiamo che i sacerdoti sono da ascoltare? La fede sola è quella che ci ammaestra di tutto quello che li riguarda, che essi cioè sono scelti da Dio per sì alto ministero, che sono a ciò deputati con special consacrazione, che hanno una tutta propria autorità sopra il comun dei fedeli, che chi ascolta loro ascolta lo stesso Cristo. Se la fede precedendo non ci assicurasse di tutte queste verità, non vi sarebbe ragione per cui né riverirli, né temerli. Dunque, non sono i sacerdoti che rendono augusta e credibile la fede e che la sostengono, come dicono i miscredenti: è tutto il contrario; la fede è quella che dà peso ed autorità ai Sacerdoti presso il popolo cristiano. Volete vederlo ancor più chiaramente? Consultate il buon senso del popolo. Che cosa dice egli quando vede qualche Sacerdote a prevaricare? Non dice no, che non sia perciò buona la santa fede, ma afferma invece che sebben sia riprovevole quel Sacerdote per la sua condotta, pure deve rispettarsi per ragione della sua dignità. Vedete dunque quanto sia vero che non è il Sacerdote che dà credito alla fede, ma la fede invece che dà credito al Sacerdote? – E similmente vuol dirsi del timore e delle minacce, all’ombra di cui si dice stabilito il Cristianesimo. Questa sciocca ragione che fu messa in campo dall’empio Lucrezio contro ogni sorta di religione: Primus in orbe Deos fecit timor; questa ragione, io dico, si scioglie colla stessa osservazione fatta di sopra. Come non vedono costoro che, senza credere prima agli Dei, non è possibile di temerli? Chi avrebbe mai pensato a temere i ladri, la peste, il malanno, se prima non avesse saputo che esistessero il malanno, la peste ed i ladri? Oh una volta gli effetti venivano dopo le cagioni, ora sono le cagioni che vengono dietro agli effetti! E pur mirabile la Religione cristiana quando per impugnarla bisogna rinunziare, non dico alla filosofia, ma pure al senso comune. Né niun dica che un timor panico può soprapprendere le moltitudini, anche senza che vi sia un solido fondamento a temere: siccome accade agl’idolatri, i quali temono divinità che hanno occhi e non vedono, mani e non toccano; perocché questa replica non ha valore. Conciossiaché un timor panico non può incatenare tanti milioni d’uomini e tante generazioni; un timor panico non può aver luogo presso tanti savi e tanti dottori, quanti ne ha contati e ne conta il Cristianesimo; e poi gli uomini che non si rattengono dal fare il male per timore di castighi che credono certi, come si tratterrebbero per un timor panico? – Né vale l’esempio tratto dagl’idolatri, i quali temono inutilmente divinità che sono vane: perocché tanto è lungi che il così temere sia un errore, che è anzi l’unico vero che loro è rimasto. Per lume di natura non pienamente annebbiata dai vizi, e per tradizione loro provenuta dai primi padri, essi comprendono che Dio esiste e che è vindice delle iniquità; che non esercitandosi sulla terra la giustizia, questa debba senza manco veruno aver luogo pienissimo nell’altra vita. Quindi in ciò non s’ingannano. L’errore è solo nell’oggetto da cui aspettano i castighi, o nella qualità della punizione che aspettano, o nel modo che prendono per onorare e placare la divinità; ma questo appunto perché è errore, è tutt’altro che comune; mentre noi vediamo che ogni gente idolatrica si forma un’idea della divinità a proprio modo. Il timore adunque che è comune a tutti gli uomini, dimostra il sentimento che tutti hanno della divina giustizia: il timore poi di questo o quel castigo, che è speciale ad ogni gente idolatria, colla stessa sua varietà condanna il paganesimo. Appar quindi falsissimo che un errore possa impadronirsi delle intere moltitudini e per secoli interi, e quindi che dall’errore si possa ripetere il coraggio dei Martiri, che non può avere altra causa che l’aiuto del cielo.

IL CATECHISMO DI F. SPIRAGO (XXVII)

IL CATECHISMO DI F. SPIRAGO (XXVII)

CATECHISMO POPOLARE O CATTOLICO SCRITTO SECONDO LE REGOLE DELLA PEDAGOGIA PER LE ESIGENZE DELL’ETÀ MODERNA

DI

FRANCESCO SPIRAGO

Professore presso il Seminario Imperiale e Reale di Praga.

Trad. fatta sulla quinta edizione tedesca da Don. Pio FRANCH Sacerdote trentino.

Trento, Tip. Del Comitato diocesano.

N. H. Trento, 24 ott. 1909, B. Bazzoli, cens. Eccl.

Imprimatur Trento 22 ott. 1909, Fr. Oberauzer Vic. G.le.

SECONDA PARTE DEL CATECHISMO:

MORALE (8).

 I COMANDAMENTI DELLA CHIESA

1. I COMANDAMENTI DELLA CHIESA SONO UN COMPLETAMENTO DEL III COMANDAMENTO DI DIO.

Il 1° comandamento prescrive l’osservanza del riposo domenicale in alcuni giorni per ringraziare Dio di grazie speciali;

il 2° prescrive il modo di santificare la domenica e i giorni di riposo supplementari;

il 3° e il 4° prescrivono il modo di santificare la domenica più importante, il giorno di Pasqua;

il 5° e il 6° prescrivono il modo di prepararsi per la santificazione delle domeniche e delle principali feste dell’anno.

2. NOI SIAMO TENUTI, SOTTO PENA DI PECCATO GRAVE AD OSSERVARE I COMANDAMENTI DELLA CHIESA, PERCHÉ LA DISOBBEDIENZA AD ESSA È DISOBBEDIENZA A CRISTO STESSO.

Gesù ha dato alla sua Chiesa gli stessi poteri che ha avuto da suo Padre. (S. Giovanni XX, 21). Se quindi la Chiesa comanda, è come se l’ordine venisse da Cristo stesso: “Tutto ciò che legherete sulla terra sarà legato in cielo” (S. Matth. XVI, 18). – È disobbedire a Cristo quando disobbediamo alla Chiesa: “Chiunque vi disprezza – disse ai suoi Apostoli – disprezza me” (Luca X, 16). – Gesù chiama la sua Chiesa un regno e la paragona ad un ovile, per indicare l’obbedienza dovuta dai fedeli ai superiori ecclesiastici. – Perché, inoltre, la Chiesa non dovrebbe avere ogni diritto di imporre leggi alle quali i suoi membri sono tenuti a sottomettersi?

Quindi trasgredire volontariamente e per negligenza un comandamento della Chiesa è commettere un peccato grave.

Chi – dice Gesù Cristo – non ascolta la Chiesa – deve essere considerato un pagano ed un pubblicano (S. Matth. XVIII, 171). L’Antico Testamento prevedeva la pena di morte per chi resisteva al sommo sacerdote per orgoglio (Deut. XVIII, 12); la legge mosaica considerava quindi un peccato grave la disobbedienza all’autorità sacerdotale.

3. L’AUTORITÀ ECCLESIASTICA PUÒ, PER GRAVI MOTIVI, ESENTARE I FEDELI DALLE LEGGI DA ESSA STABILITE.

Gesù Cristo disse infatti ai suoi apostoli: “Ciò che sciogliete in terra, sarà sciolto in cielo”. (S. Matth. XVIII, 18). In molte diocesi, per esempio, è permesso mangiare carne il venerdì, quando c’è una festa molto solenne; in altre, alcuni giorni festivi vengono trasferiti alla domenica successiva.

Primo comandamento della Chiesa: l’osservanza delle feste.

1. Questo primo comandamento prescrive di osservare:

1° le feste di Nostro Signore, 2° quelle della Vergine Maria, 3° quelle dei Santi, compresa quella del patrono del paese o del luogo.

Già i primi Cristiani celebravano le ricorrenze di alcuni importanti eventi importanti o di benedizioni di Dio. Furono istituite delle feste – dice S. Pietro Crisol. -affinché eventi accaduti una volta rimanessero nella memoria dei Cristiani per sempre nella memoria dei Cristiani. Le feste sono state istituite per ricordare i benefici di Dio, per lodarlo e ringraziarlo. (S. Vinc. Ferr.). “Purtroppo – dice san Girolamo – molti pensano solo a trasformare le feste in giorni di festa e di piaceri, come se il mangiare ed il bere potessero onorare coloro che hanno cercato di piacere a Dio con il digiuno e la mortificazione” (S. Girolamo).

1 . Le feste di N. S. di diritto comune sono: Natale (25 dicembre); la Circoncisione o Capodanno (1° gennaio); Epifania o Re Magi (6 gennaio); Pasqua, Ascensione, Pentecoste, Corpus Domini, Cristo-Re. – Poiché il Natale, la Pasqua e la Pentecoste sono gli eventi principali della Religione, ognuna di queste feste ha una festa aggiuntiva il giorno successivo: Santo Stefano dopo Natale, Lunedì di Pasqua e Lunedì di Pentecoste.

2. Le feste della Vergine Maria sono: Immacolata Concezione (8 dicembre); la Natività (8 settembre); l’Annunciazione (25 marzo); la Purificazione o Candelora (2 febbraio); l’Assunzione (15 agosto). Si celebrano così tante feste della Vergine perché la sua vita è così strettamente legata a quella di N. S. Per gli altri Santi la Chiesa celebra solo il giorno della loro morte, perché è il giorno della loro nascita alla vita eterna. Per Maria (e per S. Giovanni Battista) si celebra anche il giorno della natività, perché Maria era santa fin dalla nascita.

3. Le feste dei Santi sono: S. Stefano (26 dic.); S. Pietro e S. Paolo (29 giugno) e Ognissanti (1° novembre). – I patroni variano a seconda del paese e del luogo.

Tutte queste feste si dividono in fisse e mobili: le prime si celebrano ogni anno nello stesso giorno, le seconde variano di anno in anno.

Le feste fisse sono: l’Immacolata Concezione, il Natale, l’Epifania, la Purificazione, l’Annunciazione, SS. Pietro e Paolo, l’Assunzione, la Natività della Vergine, Ognissanti.

Le feste mobili sono: “Pasqua (celebrata la domenica successiva al plenilunio dopo l’equinozio di primavera), cioè tra il 22 marzo e il 25 aprile), l’Ascensione (40 giorni dopo la Pasqua), Pentecoste (50 giorni dopo Pasqua), Corpus Domini (2° giovedì dopo Pentecoste). – Alcune di queste feste, Pasqua e Pentecoste, ricordano le feste dell’Antico Testamento, figure di quelle del Nuovo Testamento: alcune di esse coincidono con antiche feste pagane: il Natale sostituisce le notti sacre celebrate dai pagani in onore del sole; la Candelora, all’inizio di febbraio, coincide con le feste accompagnate da processioni illuminate da fiaccole per l’alba del giorno. La Chiesa ha fatto questa sostituzione per allontanare i Cristiani dalle solennità idolatriche. Alcune feste come il Santissimo Nome di Gesù, la Trinità e il Nome di Maria sono state spostate alla domenica per non aumentare il numero dei giorni festivi.

2. SIAMO OBBLIIGATI A CELEBRARE LE FESTE COME LA DOMENICA: quindi con l’astenersi dal lavoro servile e col partecipare alle funzioni. – A causa delle circostanze, il Papa ha trasferito in diversi Paesi alcune feste alla domenica successiva. L’esperienza ha dimostrato, inoltre, che la molteplicità a volte vanifica il suo scopo. – Tutte queste feste costituiscono l’Anno Ecclesiastico.

L’anno liturgico.

Oltre al sabato, gli ebrei celebravano già alcuni anniversari di eventi importanti. La Pasqua in ricordo dell’uscita dall’Egitto; 50 giorni dopo, la Pentecoste in ricordo della promulgazione della legge al Sinai; in autunno la Festa dei Tabernacoli in memoria del loro soggiorno nel deserto. Per gli israeliti si trattava di un riassunto della loro storia. Lo stesso vale per le feste cristiane, soprattutto durante la Settimana Santa, che sono un riassunto della storia di Nostro Signore

1. L’ANNO LITURGICO È LA RAPPRESENTAZIONE ANNUALE DELLA VITA DI CRISTO E DEGLI AVVENIMENTI CHE L’HANNO PRECEDUTA O SEGUITA.

La Chiesa ce li rappresenta per farceli ricordare ed imitare. Durante l’Avvento dobbiamo unirci ai patriarchi che sospiravano per il Salvatore; a Natale, ai pastori che si rallegrarono davanti alla sua mangiatoia; in Quaresima, con il digiuno di Gesù Cristo; a Pasqua, con la festa del Signore. – A Pasqua dobbiamo risorgere con Lui; a Pentecoste dobbiamo chiedere lo Spirito Santo con gli Apostoli. Inoltre, la Chiesa ha posto in ogni giorno dell’anno la festa di un Santo. – Le feste dei Santi sono come pianeti brillanti intorno al sole della giustizia; la Chiesa le ha istituite per aiutarci a meditare sulla vita di coloro che con la loro imitazione della vita di Gesù Cristo sono un modello di perfezione cristiana, per spronarci maggiormente a seguire il Maestro divino e a chiedere la loro intercessione per ottenere più facilmente le grazie meritate dal Salvatore. “Pregare con la Chiesa – dice sant’Agostino – è pregare nel modo più perfetto “. – Infine, distribuendo le feste dei Santi lungo tutto l’anno liturgico, la Chiesa sembra dirci che non tutti i giorni sono giorni di riposo, eppure, nonostante le vostre occupazioni terrene, dovete sempre avere l’anima innalzata verso Dio, secondo il precetto dell’Apostolo: “Sia che mangiate sia che beviate sia che facciate qualsiasi cosa fate tutto per la gloria di Dio”. (I. Cor. X, 31).

2. L’ANNO LITURGICO INIZIA CON LA PRIMA DOMENICA DI AVVENTO, ED È SUDDIVISA IN TRE CICLI PRINCIPALI, DI NATALE, DI PASQUA E PENTECOSTE, che corrispondono ai misteri della nascita, della resurrezione e della missione dello Spirito Santo.

L’anno liturgico è quindi una glorificazione della S. Trinità, che ci ricorda l’amore del Padre che ci ha mandato suo Figlio, l’amore del Figlio che è morto per noi, l’amore dello Spirito Santo Spirito Santo che si comunica a noi: così la Chiesa celebra la prima domenica dopo Pentecoste la festa della Santissima Trinità. Trinità, che riassume i tre cicli. Ognuna delle tre feste principali è preceduta da un tempo di preparazione e viene seguita da altre feste che sono loro correlate.

L’Avvento è il periodo di preparazione al Natale. Quel che segue è costituito dalla Circoncisione, l’Epifania, la Purificazione e le domeniche dopo l’Epifania.

Le quattro settimane di Avvento rappresentano i secoli (spesso si arrotonda a 4000 anni) di attesa del Redentore. La festa dell’Immacolata Concezione (8 dicembre) si inserisce molto bene in questo periodo. Dopo quaranta secoli di tenebre, ignoranza e peccato, sorge dul mondo il sole della giustizia e Maria ne è come l’aurora. (Cant. dei Cant. VI, 9). – Le settimane e le feste che seguono il Natale sono come la figura della giovinezza e della maturità di Cristo fino alla sua entrata nella vita pubblica, e quindi della sua vita nascosta a Nazareth. Ci sono almeno due, e al massimo sei domeniche dopo l’Epifania, a seconda che la Pasqua cada prima o dopo. Il tempo che precede la Pasqua è quello della Settuagesima e i quaranta giorni di Quaresima. – Il ciclo che segue comprende i quaranta giorni che vanno da Pasqua all’Ascensione. I termini Septuagesima (70), Sexagesima (60), Quinquagesima (50) derivano dall’usanza di alcune chiese primitive di iniziare la Quaresima 70, 60 o 50 giorni prima della Pasqua, per espandere ulteriormente i giorni di digiuno. Il mercoledì dopo la Quinquagesima è chiamato Mercoledì delle Ceneri, perché in questo giorno il Sacerdote cosparge di cenere il capo dei fedeli, dicendo: “Ricordati, o uomo, che sei polvere ed in polvere ritornerai”. “Questo mercoledì è il 46° giorno prima di Pasqua e l’inizio della Quaresima, che dura esattamente 40 giorni, poiché non si digiuna la domenica (ce ne sono 6). Durante questo periodo, la Chiesa ci ricorda la vita pubblica del Salvatore, che inizia con il digiuno e termina con la passione. I 40 giorni che seguono la Pasqua sono esattamente quelli che Gesù Cristo trascorse sulla terra dopo la sua risurrezione. La 1ª domenica dopo Pasqua è chiamata in Albis (depositis), perché in questo giorno i neo-battezzati (il Sabato Santo) depongono le loro vesti bianche. I 3 giorni che precedono l’Ascensione sono chiamati “Rogazioni“. (In questi giorni si svolgono le processioni).

La preparazione alla Pentecoste comprende i 10 giorni dopo l’Ascensione: il ciclo successivo comprende di solito da 24 a 28 domeniche. –

I 10 giorni che precedono la Pentecoste rappresentano i 10 giorni durante i quali gli Apostoli hanno atteso lo Spirito Santo0; le settimane che seguono sono l’immagine della storia del mondo fino al Giudizio Universale. Ecco perché l’ultima domenica dopo la Pentecoste leggiamo il Vangelo della seconda venuta del Salvatore. (S. Matth. XXIV, 15-35). Il numero maggiore o minore di domeniche dopo la Pentecoste è dovuto alla mobilità della festa di Pasqua. La fine dell’anno liturgico ci porta le feste di Cristo Re [istituita nel 2925], di tutti i Santi e dei defunti, per ricordarci della nostra comunione con i Santi in cielo e con le anime del Purgatorio ed il nostro destino di unirci a loro un giorno. La Festa dei Morti si inserisce molto bene nella stagione (2 nov.), quando gli alberi spogli ed i campi vuoti sono il simbolo perfetto della morte.

3. QUESTE TRE FESTE PRINCIPALI SONO IN PERFETTA ARMONIA CON LA NATURA.

L’Avvento (nel nostro emisfero settentrionale) è un periodo di buio e di freddo; era lo stato morale dell’umanità prima di Gesù Cristo. Verso la fine di dicembre le giornate si accorciano; con la nascita del Salvatore, la luce divina si diffonde nel mondo. A Pasqua, una nuova vita si manifesta nella natura: tutto torna verde, tutto rifiorisce. La Pasqua è la festa di Cristo risorto. A Pentecoste, gli alberi e la campagna sono in piena fioritura; la venuta dello Spirito Santo produce una nuova fioritura nell’umanità, perché è l’origine della vera civiltà e della vera moralità.

La Chiesa ha collegato le Epistole, i Vangeli ed il canto liturgico a queste feste e a questi periodi.

I Vangeli sono estratti dai quattro libri degli Evangelisti; le Epistole, dagli altri libri della Scrittura. Queste pericopi sono state create da San Girolamo e introdotte in alcuni paesi occidentali da Carlo Magno. (+814).

II. Secondo comandamento della Chiesa: la partecipazione alla Santa Messa.

Il 2° COMANDAMENTO DELLA CHIESA CI ORDINA DI PARTECIPARE DEVOTAMENTE AD UNA MESSA COMPLETA LA DOMENICA E NEI GIORNI FESTIVI.

III e IV Comandamento della Chiesa: confessione annuale e la Comunione pasquale.

Questi comandamenti ordinano a tutti i fedeli di confessarsi una volta all’anno e di ricevere la comunione almeno a Pasqua. Le nostre comunioni non devono essere rare, perché l’Eucaristia è il cibo delle nostre anime; un’anima che rimane a lungo senza questo cibo muore di fame. Se non mangiate – disse Gesù – la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avrete vita in voi” (S. Giovanni, VI, 56). I fedeli della Chiesa facevano la comunione ogni volta che partecipavano alla Messa, in seguito furono limitati alle tre feste principali, Natale, Pasqua e Pentecoste, e infine, essendo aumentata la tiepidezza, il Concilio Lateranense (1216) prescrisse a tutti i Cristiani che avessero raggiunto l’età del discernimento di confessarsi almeno una volta all’anno e di ricevere la Comunione devotamente almeno una volta all’anno (Can. 21). Il Concilio di Trento ha voluto che la confessione annuale si faccia anche a Pasqua: “È consuetudine generale e salutare di confessarsi durante il tempo santo della Quaresima, che è particolarmente adatto a questa devozione. “Il Concilio approva e accetta questa usanza, che è lodevole e degna di essere conservata”(14 Cap. 5). Va da sé che per coloro che si trovino in stato di peccato mortale la Confessione deve precedere la Comunione pasquale per non riceverla in modo indegno. – Questi comandamenti non sono osservati da una confessione nulla o da una comunione sacrilega: i papi Alessandro VI e Innocenzo Xi hanno condannato le proposte contrarie.

2. IL PERIODO PASQUALE DURA SOLO 15 GIORNI PER IL DIRITTO COMUNE, DALLA DOMENICA DELLE PSLME ALLA DOMENICA IN ALBIS, MA I VESCOVI SONO LIBERI DI PROLUNGARLO SECONDO LE NECESSITÀ DELLA DIOCESI. (Papa Eugenio IV, 1440).

I diocesani sono tenuti a informarsi sulle consuetudini locali: il periodo pasquale è ovunque abbastanza lungo perché non si possa usare la falsa scusa della mancanza del tempo.

3. LA COMUNIONE PASQUALE È STATA IMPOSTA PERCHÉ L’HA ISTITUITA GESÙ CRISTO.

Cristo ha istituito il S. Sacramento nel tempo di Pasqua. È anche il tempo in cui Gesù Cristo è risorto dai morti. È conveniente che anche noi resuscitiamo spiritualmente dalla morte del peccato con una buona confessione. Infatti, “a causa del peccato grave l’anima è in uno stato di morte, e l’assoluzione le restituisce lo Spirito Santo che è la sua vita. – L’Angelo disse alle donne che cercavano Gesù al sepolcro: “Voi cercate un uomo vivo tra i morti; Egli non è più qui” (S. Giovanni). Come Gesù Cristo è risuscitato dai morti, così noi dobbiamo camminare in una nuova vita. (Rom. VI, 4). Molte persone hanno l’abitudine di acquistare abiti nuovi per la Pasqua. Bisogna avere molta cura nel rivestire la propria anima con la grazia santificante.

4. COME REGOLA GENERALE, I FEDELI DOVREBBERO RICEVERE LA COMUNIONE PASQUALE NELLA LORO PARROCCHIA, ma la Chiesa dispensa facilmente da questo precetto. (Ben. XIV).

La Chiesa sa infatti che i peccatori preferiscono aprire la loro coscienza ad un Sacerdote che non li conosce, perché in tal modo sono meno esposti a ricevere i Sacramenti indegnamente. – In passato, i fedeli erano obbligati a confessarsi nella loro parrocchia; lo scopo di questo precetto era quello di ispirare loro il rispetto per il pastore incaricato delle loro anime.

5. CHIUNQUE TRASCURI IL DOVERE PASQUALE E MUOIA SENZA PENTIMENTO, PUÒ ESSERE PRIVATO DELLA SEPOLTURA ECCLESIASTICA. (Conc. Latr. 1215).

La Chiesa pronuncia questa pena quando la trasgressione della legge è pubblica ed il moribondo ha rifiutato il Sacerdote sul letto di morte. – Il parroco, prima di rifiutare la sepoltura ascolta il parere del proprio Vescovo: quando il tempo è troppo breve e c’è dubbio, deciderà a favore del defunto.

Quinto e sesto comandamento della Chiesa: la legge del digiuno e dell’astinenza.

Il digiuno è antico quanto l’umanità stessa; era la legge imposta in Paradiso. Dio allora proibì agli israeliti di mangiare varie carni. (Levit. XI, 2), e nel giorno della riconciliazione furono obbligati a digiunare per 24 ore. (Ibid. XXIII). Gesù Cristo ed Elia digiunarono per 40 giorni, e Giovanni Battista, il precursore, digiunava in modo molto severo. La Chiesa prescriveva il digiuno per motivi molto seri.

In origine, la legge del digiuno era molto rigorosa, ma la legge comune è stata mitigata in molte diocesi in considerazione delle circostanze di luogo e di tempo.

La legge rigorosa proibisce i cibi grassi e più di un pasto al giorno nei 40 giorni di Quaresima, nei giorni delle Quattro Tempora e in alcune vigilie. – L’astinenza senza digiuno.è prescritta ogni venerdì e sabato dell’anno [quella del sabato poi fu abolita – ndr.). – In origine la legge era così severa da proibire uova e latticini e qualsiasi pasto prima del tramonto. La degenerazione del genere umano e la crescente tiepidezza della popolazione costrinsero la Chiesa a mitigare questa legge nel corso dei secoli. In virtù di un indulto pontificio i Vescovi permettono ai loro diocesani di consumare vari piatti proibiti dalla legge generale. All’inizio della Quaresima, l’annuncio quaresimale viene pubblicato in tutte le chiese, indicando queste particolari disposizioni. – Esse non sono uguali in tutte le diocesi. Quando ci si ferma per un certo tempo in una diocesi straniera, ci si deve conformare alle sue usanze, come già raccomandava S. Ambrogio a santa Monica.

Nella legge della Chiesa si deve distinguere tra: 1° astinenza dalle carni, 2° digiuno e 3° combinazione di digiuno ed astinenza.

L’astinenza in senso stretto consiste nel privarsi del cibo grasso, ed è prescritta ogni venerdì dell’anno. Il digiuno, che consiste nell’accontentarsi di un pasto al giorno ed uno spuntino leggero, è prescritto nei giorni di Quaresima, ad eccezione delle domeniche, nei giorni delle Quattro Tempora, nelle vigilie di Natale, Pentecoste, dell’Assunzione (poi sostituita con l’Immacolata Concezione).

Il digiuno ed astinenza insieme sono prescritti nei giorni di Quaresima per i quali non c’è dispensa, nei giorni di Quattro Tempora e nelle vigilie suddette.

Il 5° e il 6° comandamento della Chiesa ci obbligano ad osservare i giorni di astinenza e digiuno.

1. DOBBIAMO OSSERVARE LASTINENZA IL VENERDÌ, PERCHÉ È IL GIORNO DELLA MORTE DEL SALVATORE.

Tutti i cibi grassi sono proibiti; tuttavia, molti Vescovi permettono l’uso di grassi animali. È permesso mangiare animali acquatici, pesci, gamberi, rane, lumache e tartarughe, perché in passato ed in alcuni Paesi, questi erano gli alimenti dei poveri: sono permessi anche uova e latticini.

– La Chiesa prescrive l’astinenza dalla carne, perché Gesù Cristo ha rinunciato al suo corpo per noi, perché la carne è l’alimento meno indispensabile e che la privazione della carne è una mortificazione. L’astinenza deve anche ricordarci che dobbiamo lottare contro la concupiscenza della carne, che è particolarmente eccitata dagli alimenti grassi (S. Th. Aq.). Molte persone, contro l’astensionismo, mettono avanti le parole di Cristo: “Non è ciò che entra nella bocca che contamina l’uomo (Matteo XV, 11). Senza dubbio, ma ha anche detto: “Tutto ciò che esce dal cuore di un uomo lo contamina”. (Ibid. 18). Ora, la disobbedienza contro la Chiesa viene dal cuore e lo contamina. Ovviamente, non è l’alimento materiale che rende impuro l’uomo; “non è il frutto – dice S. Agostino – che ha corrotto Adamo, è stato Adamo a contaminare il frutto”. Non c’è astinenza quando in un giorno festivo – Natale, ad esempio – cade di venerdì, perché Gesù stesso non vuole che digiuniamo quando dovremmo gioire (S. Matth. IX, 15). –

Di diritto comune l’astinenza è anche prescritta il sabato.

Questa legge doveva, nello spirito della Chiesa, assicurare l’abrogazione del sabato, ma è generalmente caduta in disuso. Resta vero, tuttavia, che dobbiamo fare qualche sacrificio per prepararci santamente alla domenica. In particolare, i festeggiamenti del sabato sera non dovrebbero essere prolungati troppo, perché è facile che si perdano le funzioni della domenica.

2. DURANTE LA QUARESIMA DOBBIAMO ACCONTENTARCI DI UN SOLO PASTO AL GIORNO PER IMITARE I 40 GIORNI DI DIGIUNO DI GESÙ E PREPARARCI DEGNAMENTE ALLA PASQUA.

La Quaresima inizia il Mercoledì delle Ceneri e dura fino alla domenica di Pasqua. Le domeniche non dono mai giorno di digiuno.

La Quaresima è di tradizione apostolica (S. Ger.), ed è stata istituita in memoria del digiuno del Salvatore nel deserto. Dovrebbe essere un tempo di penitenza e di espiazione dei nostri peccati. (Il viola, colore liturgico del tempo, è un colore di lutto) (S. Matth. IX, 15). Dovremmo anche meditare sulla Passione di Cristo, soprattutto durante la Settimana Santa. (I sermoni quaresimali di solito si concentrano sulla penitenza e sulla Passione). – Il digiuno e la meditazione delle sofferenze di Gesù sono il modo più semplice per ottenere la grazia della contrizione e del perdono e sono la migliore preparazione alla Confessione ed alla Comunione pasquale. – Nei secoli passati, la Quaresima era molto più dura di quella attuale: i nostri antenati non mangiavano carne per tutta la Quaresima e mangiavano solo la sera. Questa era la disciplina del Medioevo ed il Concilio di Toledo del 653 scomunicava chi la trasgrediva; ai tempi di Carlo Magno era addirittura un reato punibile civilmente. – Oggi la Quaresima è molto semplice. La Chiesa ci chiede solo di accontentarci del pasto di mezzogiorno concedendoci la colazione del mattino e uno spuntino leggero la sera. Una persona abile non può mangiare altro senza infrangere la legge (Alessandro VII, propos. condannata 39). Bere non è proibito, ma è opportuno farlo solo per dissetarsi. È conveniente non assumere bevande troppo nutrienti o troppo abbondanti. Ripetiamo che è necessario attenersi scrupolosamente alle prescrizioni diocesane.

Non si è tenuti a digiunare fino al compimento del 21° anno di età.

3. NOI DOBBIAMO OSSERVARE LE QUATTRO TEMPORA PER CHIEDERE A DIO BUINI SSCERDOTI E RINGRAZIARLO PER LE GRAZIE RICEVUTE DURANTE LA STAGIONE PRECEDENTE.

I giorni delle Quattro Tempora sono il mercoledì, il venerdì ed il sabato all’inizio di ogni stagione; sono i giorni in cui si svolgono le ordinazioni.

Quattro-Tempora deriva dal latino: Quatuor tempora, le 4 stagioni. Esse cadono la terza settimana di Avvento, la seconda settimana di Quaresima, l’ottava di Pentecoste e la terza settimana di settembre. – Questo digiuno era già abituale tra gli israeliti (Zacc. VIII, 19) e Gesù Cristo stesso ci esorta a chiedere a Dio dei buoni sacerdoti: “La messe è molta – Egli ha detto – ma gli operai sono pochi”. Il Signore ha chiesto a Dio di mandare operai nella sua vigna. “(Matteo IX, 37).

4. DOBBIAMO OSSERVARE LE VIGILIE DI ALCUNE FESTIVITÀ PER PREPARARCI A CELEBRARLE DEGNAMENTE.

Le grazie della festa saranno proporzionali alla preparazione. I primi Cristiani si riunivano alla vigilia delle feste, trascorrevano la notte in preghiera e assistevano al santo Sacrificio, seguendo l’esempio di Cristo che spesso trascorreva la notte in preghiera. (S. Luca VI). Quando le persecuzioni cessarono e i Cristiani poterono tenere le loro riunioni durante la giornata, i Papi trasferirono gli uffici notturni alla vigilia della festa. La Messa di mezzanotte a Natale è l’ultima traccia di questa usanza, e delle Veglie rimane solo il digiuno.

Le veglie con digiuno sono quelle di Natale, Pasqua, Pentecoste, l’Assunzione (poi trasferita all’Immacolata Concezione).

5. LA CHIESA NON VUOLE CHE L’ASTINENZA O IL DIGIUNO INFLUISCANO SULLA NOSTRA SALUTE O CHE CI IMPEDISCANO DI SDEMPIERE AI NOSTRI DOVERI DI STATO.

È consentito l’uso della carne nei giorni di astinenza alle persone in cattiva salute,

cioè i malati, i convalescenti, i bambini sotto i 7 anni (poiché non hanno ancora peccato, non devono fare penitenza), gli anziani (oltre i 60 anni) che risentono degli effetti dell’età. In alcune diocesi sono esonerati anche coloro che sono sottoposti a lavori molto faticosi, sia intellettuali che fisici: tuttavia, non è la carriera in sé a dispensare, ma il rapporto tra la forza fisica ed il lavoro da svolgere. – Si può ottenere la dispensa anche per un viaggio faticoso, o quando non si è il proprio padrone, come i servi o i soldati, o quando si è costretti a prendere i pasti in albergo, come gli studenti, i viaggiatori che sono costretti a mangiare di sfuggita ai buffet delle stazioni, gli impiegati delle ferrovie, persone che prendono l’acqua per la loro salute. – I poveri ridotti a chiedere l’elemosina per il loro pane possono, nei giorni di astinenza, mangiare i piatti grassi dati loro in elemosina, altrimenti sarebbero costretti a fare la fame. – Chi è esente dovrà comunque fare uno sforzo in alcuni giorni, come il Mercoledì delle Ceneri, il Venerdì Santo e la Vigilia di Natale. Soprattutto evitare accuratamente di dare scandalo, secondo le parole di S. Paolo: “Fate attenzione che la vostra libertà non diventi una pietra d’inciampo per i deboli (I Cor. VIII, 9) e “se quello che mangio offende il mio fratello, non mangerò più carne per tutta la vita” (Ivi, 13).

2. Sono esentati dal digiuno coloro che non hanno raggiunto l’età di 21 anni, così come coloro che non godono di buona salute e coloro che fanno un pesante lavoro intellettuale o materiale.

Durante il periodo della crescita, c’è bisogno di cibo abbondante. Il digiuno è talvolta consigliabile per imparare l’autocontrollo. – Le persone in cattiva salute sono i malati, i convalescenti e gli anziani (oltre i 60 anni).- Tra le persone che devono svolgere lavori pesanti ci sono coloro che svolgono mansioni di interesse pubblico, come confessori, predicatori, maestri di scuola, gli insegnanti, medici, giudici, infermieri, ecc. che hanno bisogno di un’alimentazione speciale. – Una dispensa generale viene talvolta concessa in tempi di epidemia, in alcune diocesi anche per una fiera. – Il dovere di preservare la vita è di diritto divino, quello del digiuno di diritto ecclesiastico: in caso di conflitto fra i due il diritto umano deve cedere il passo a quello divino. Ma chi è esonerato dal digiuno deve compensare con altre opere buone: i confessori e i parroci sono generalmente autorizzati a fare questa commutazione.

3. Nessuno deve digiunare eccessivamente, perché Dio richiede un servizio ragionevole. (Rom. XII, 1).

Chi digiuna in modo smodato è come un cocchiere che, eccitando i suoi cavalli, esporrebbe la sua carrozza ad un grande pericolo, o come una nave senza zavorra, che diventa il trastullo del vento (S. Efr.). Ci sono santi, come San Bernardo, che sono caduti erroneamente in questo errore e che se ne sono pentiti amaramente, perché la rovina della loro salute impediva loro di lavorare e li esponeva alle tentazioni. È bene quindi non mortificarsi corporalmente senza il consiglio del proprio direttore: il digiuno deve uccidere i peccati della carne, ma non la carne stessa (S. Greg. M.); esso non deve indebolire il corpo al punto di essere incapace di pregare e adempiere ai doveri di stato (S. Ger.). Bisogna trattare il proprio corpo come un bambino, e punirlo solo quando è disobbediente. I digiuni sono un rimedio: se presi in eccesso, essi sono dannosi: bisogna essere severi con se stessi, ma non crudeli; la durezza verso se stessi è difficilmente compatibile con la dolcezza verso gli altri.

6. IL DIGIUNO E L’ASTINENZA SONO MOLTO UTILI PER IL CORPO E PER L’ANIMA; danno luce alla mente, forza alla volontà, molte virtù, la salute, la remissione dei peccati, il perdono dei peccati, l’esaudimento delle preghiere, grazie straordinarie e la ricompensa celeste.

Il digiuno ha molti benefici spirituali. Daniele, che alla corte di Nabucodonosor, mangiava solo legumi e acqua, prevalse in saggezza su tutti i consiglieri del re. (Dan. I.). Tutti i grandi dottori della Chiesa erano molto mortificati. – Il digiuno rende forte la volontà: doma tutte le inclinazioni malvagie della carne e respinge le tentazioni del diavolo (1. Cor. IX, 27). “La carestia fa capitolare le fortezze, e il digiuno fa capitolare il corpo di fronte alle esigenze della ragione e della volontà” (S. Alberto Magno), doma le passioni come un cavaliere, doma la furia di un cavallo furioso per mezzo delle redini (Rodriguez). – Il diavolo considera il nostro corpo come il suo migliore alleato, perché sa che i nemici dall’interno sono i più pericolosi (S. Bern.); ma con il digiuno leghiamo il nostro corpo in modo che non possa tradirci all’avvicinarsi dei nemici esterni (Rodr.), gli togliamo forze inutili che non può trasformare in armi contro di noi (S. Aug.). Un uccello leggero sfugge più facilmente ad un uccello rapace di uno il cui volo è appesantito da troppo cibo. (S. Bonav.). Gli atleti preparati alla battaglia con l’astinenza (I Cor. IX) otterranno la vittoria e molte alte virtù. Il digiuno ci prepara prima alla preghiera, poi alla dolcezza, alla pazienza ed alla castità. “Mai un’alta perfezione è stata raggiunta senza il digiuno; esso rende gli uomini simili agli Angeli che non mangiano e non bevono (S. Cyp., S. Ath.). L’uomo spirituale cresce nello stesso che l’uomo animale muore, come in una bilancia dove uno dei piatti sale mentre l’altro scende. – Il digiuno fa bene alla salute e allunga la vita, l’astinenza è la madre del vigore. (S. Ger.); i compagni di Daniele mangiavano molto poco, e dopo 10 giorni avevano un aspetto migliore degli altri giovani (Dan. 1.). Gli anacoreti della Tebaide, come Sant’Antonio eremita, San Paolo l’eremita, digiunarono molto e raggiunsero l’età di 100 anni; Sant’Alfonso (+ 1787) digiunava a pane e acqua ogni sabato in onore della Beata Vergine Maria e visse fino a 90 anni. Ippocrate, il padre della medicina, morì più che centenario. Quando gli chiesero perché fosse vissuto così a lungo, rispose: “io non mi sono mai saziato”. I medici in genere prescrivono ai malati una dieta come condizione per la guarigione. Il corpo, come i vestiti, dura più a lungo quando viene risparmiato. “La temperanza – dice la Sapienza (XXXI, 24) – prolunga la vita”. – Il digiuno ottiene il perdono dei peccati. Dio perdonò i Niniviti perché digiunarono. (Giona III); la razza umana è stata perduta a causa dell’ingordigia, sarà salvata dal digiuno. – Il digiuno previene quaggiù le pene del purgatorio. – Dio esaudisce prontamente le preghiere di coloro che digiunano. -Quando Oloferne assediò Betulia, gli abitanti ricorsero al digiuno e alla preghiera, e Dio li liberò miracolosamente per mezzo del braccio di Giuditta (IV). Il digiuno e l’elemosina sono le due ali della preghiera (S. Aug.); l’anima di un corpo mortificato può salire più facilmente a Dio, così come gli uccelli migratori compiono più facilmente il loro viaggio, perché sono alleggeriti dalla privazione del cibo (S. Vinc. F.). – Il digiuno ha sempre ottenuto grazie speciali da Dio. Dopo il digiuno, Mosè ottenne un incontro con Dio sul Sinai ed Elia ebbe una visione sul Monte Horeb (III Re, XIX). La protezione miracolosa dei giovani nella fornace fu certamente la ricompensa per il loro digiuno. Questo esercizio ci spiritualizza e divinizza, per così dire, ed è per questo che a Dio piace entrare in relazione con noi (Rodrig.). – Il digiuno ottiene una ricompensa celeste. Mosè ed Elia apparvero alla trasfigurazione sul Tabor, perché erano stati gli unici tra i patriarchi ad aver digiunato 40 giorni come Gesù (S. Vinc. F.).

7. L’ASTINENZA E IL DIGIUNO SONO GRADITI A DIO SOLTANTO QUANDO CI SFORZIAMO ALLO STESSO TEMPO DI EVITARE IL PECCATO E DI FARE IL BENE.

Il digiuno non è ancora la perfezione. (I. Cor. VIII, 8), ma è un mezzo per arrivarci domando le passioni e facilitandoci il bene. “Dio tiene meno conto dell’astinenza dal cibo che dell’annientamento del peccato”. (S. Antonino). A che cosa serve che un uomo si astenga dalla carne se fa a pezzi il suo prossimo con la calunnia? (S. Aug.) Egli assomiglia allora al sepolcro, imbiancato all’esterno e pieno di putredine all’interno (S. Matth. XXIII, 27), al diavolo che non mangia e non smette di fare il male (S. Onorato). Il digiuno non è in grado di alimentare la preghiera ed è una lampada senza olio, perché dobbiamo digiunare solo per poter pregare meglio. Il digiuno senza elemosina è un è un campo senza seme (S. Pietro Crisol.); non è un digiuno per Dio, ma per se stesso negare ai poveri ciò che si è risparmiato con il digiuno (S. Greg. M.).

V. La legge del tempo proibito.

Il tempo “chiuso” o proibito è il tempo durante il quale la Chiesa proibisce la celebrazione solenne del matrimonio e ne disapprova i festeggiamenti chiassosi.

Tra la 1ª domenica di Avvento e l’Epifania, tra il Mercoledì delle Ceneri e la Domenica di Quasimodo, la Chiesa proibisce la celebrazione del matrimonio e le celebrazioni rumorose.

Questa è una decisione del Concilio di Trento (24, 10). In precedenza, la stagione di “chiusura” comprendeva ancora le tre settimane tra le Rogazioni e la Domenica della Trinità. – Questi periodi sono tempi di penitenza incompatibili con i piaceri; questi tempi sono destinati dalla Chiesa a meditare sui grandi misteri della salvezza: l’Avvento e quello dell’Incarnazione, la Quaresima a quello della Redenzione. Non è opportuno distrarsi da queste grandi verità con i piaceri del mondo. – Anche le grandi feste di Pasqua e di Natale fanno parte del periodo di chiusura. Dobbiamo abbandonare le gioie del mondo e dedicarci esclusivamente alle gioie spirituali. – I Vescovi possono permettere che i matrimoni siano celebrati in tempo chiuso ma non con solennità; solo il papa può concedere, da solo o tramite il Vescovo, la solennità del matrimonio in tempo chiuso. – La pubblicazione dei matrimoni non è proibita in tempo chiuso. – I balli sono altamente riprovevoli, mentre i concerti sono tollerati. Coloro che non rispettano questa legge deve temere la minaccia del Signore: “Trasformerò i vostri giorni di gioia in giorni di lutto” (Amos VIII, 10).

IL CATECHISMO DI F. SPIRAGO (XXVI)

IL CATECHISMO DI F. SPIRAGO (XXVI)

CATECHISMO POPOLARE O CATTOLICO SCRITTO SECONDO LE REGOLE DELLA PEDAGOGIA PER LE ESIGENZE DELL’ETÀ MODERNA

DI

FRANCESCO SPIRAGO

Professore presso il Seminario Imperiale e Reale di Praga.

Trad. fatta sulla quinta edizione tedesca da Don. Pio FRANCH Sacerdote trentino.

Trento, Tip. Del Comitato diocesano.

N. H. Trento, 24 ott. 1909, B. Bazzoli, cens. Eccl.

Imprimatur Trento 22 ott. 1909, Fr. Oberauzer Vic. G.le.

SECONDA PARTE DEL CATECHISMO:

MORALE (7).

IL III° COMANDAMENTO DI DIO.

Ricordiamo che Dio ha detto al suo popolo, al Sinai, di santificare il sabato. Sono sei giorni che lavorerete e userete per i vostri affari”. (Esodo.XX, 8). È quindi una comprensione incompleta di questo comandamento includere solo il riposo settimanale; esso è doppio e ordina 1° questo riposo, 2° il lavoro. (Cat. rom.).

Nel 3° COMANDAMENTO DIO CI ORDINA DI SANTIFICARE LA DOMENICA E DI LAVORARE DURANTE LA SETTIMANA.

I. LA SANTIFICAZIONE DELLA DOMENICA.

Affinché l’uomo, con le mille preoccupazioni della vita, non dimentichi il suo Creatore ed il suo fine ultimo e non ricada in una sorta di barbarie, Dio gli ha ordinato di santificare un giorno alla settimana. Noi soddisfiamo periodicamente i nostri bisogni materiali: fame, sete, sonno, quindi Dio ha voluto che avessimo dei giorni fissi per riflettere sulle verità eterne e per ritemprare le forze dell’anima (Mons. Gaume). Nei giorni festivi, l’uomo ha il tempo di riparare con la preghiera alle colpe commesse (S. Greg. M.), e per ringraziare Dio dei benefici ricevuti durante la settimana.

1. DIO HA ORDINATO DI SANTIFICARE IL 7° GIORNO PERCHÉ EGLI SI RIPOSÒ IL 7° GIORNO DELLA CREAZIONE.

“Dio -,dice Mosè nel suo racconto della creazione – benedisse il settimo giorno e lo santificò”. Lo santificò, perché in quel giorno si riposò da ogni lavoro”. (Gen. II, 2). L’uomo essendo l’immagine di Dio deve imitarlo e quindi, seguendo il suo esempio, deve riposare il 7° giorno dopo 6 giorni di lavoro. Inoltre, l’uomo ha bisogno di questo riposo settimanale: ogni giorno, dopo il suo lavoro, ha bisogno di un riposo di 6-7 ore..La Rivoluzione aveva sostituito la domenica con la decade: ma il vecchio ordine delle cose si è presto ristabilito. “Il numero sette appartiene ai fondamenti della natura e della religione (S. Th. Aq.). (ci sono 7 colori nello spettro solare, 7 toni nella musica). “Dio ha fatto le stelle perché servissero a segnare i tempi, i giorni e gli anni” (Gen. 1, 14); la luna, in particolare, ha fatto sì che tutti i popoli prestassero attenzione al riposo settimanale, perché ha nuove fasi ogni 7 giorni. Già nel 150 d.C. Teofilo di Antiochia scriveva: Tutti i popoli dell’universo conoscono il 7° giorno”. I Cristiani osservano la domenica, gli ebrei il sabato, i maomettani il venerdì, i mongoli il giovedì, i negri della Guinea il martedì, i manichei il lunedì. – La festa del 7° giorno è una figura del riposo eterno del cielo. (Eb. IV, 9). Il giorno del Signore è è un’ombra della festa futura nel Paradiso celeste; con la sua celebrazione ravviviamo il desiderio di quelle gioie eterne. (S. Greg. M.). Le nostre feste sono anche un simbolo della beatitudine celeste.

2. DIO COMANDÒ AI GIUDEI DI OSSERVARE IL SABBAT.

Il sabato era un giorno di gioia per i Giudei, già perché in quel giorno furono liberati dalla schiavitù dell’Egitto, ma Dio volle anche che questo giorno fosse santificato dal riposo e dall’astinenza dal lavoro servile. “In giorno di sabato non lavorerai” (Esodo XX, 10), da cui il nome sabato, che significa riposo. Era il più adatto per il culto divino, perché ricordava il beneficio più segnalato di Dio, (Ezech. XX, 12); inoltre era una figura del riposo del futuro Messia nel sepolcro. – I Giudei osservavano il sabato in modo molto rigoroso. La sua profanazione era severamente punita e non potevano andare in giro per le più piccole occupazioni, e neanche la manna cadeva. Un israelita che aveva solo raccolto un poco di legna venne lapidato (Num. XV, 32), e i farisei contestavano persino il diritto di fare opere di carità. (S. Matth. XII, 12). – Il sabbat ebraico cade di sabato, quello cristiano di domenica.

3. Gli APOSTOLI SOSTITUIRONO IL SABATO CON LA DOMENICA, PERCHÉ GESÙ CRISTO È RISORTO DAI MORTI DI DOMENICA.

La domenica è propriamente il giorno della Santissima Trinità.

Nel primo giorno della settimana (Act. Ap. XX, 7; I. Cor. XVI. 2), il Padre ha dato inizio alla creazione, il Figlio è risorto dai morti, lo Spirito Santo è disceso sugli Apostoli. – Gli Apostoli erano competenti per fare questa traslazione, perché la legge del Sinai non si riferiva tanto ad un giorno specifico quanto al riposo settimanale, e la legge dell’Antico Testamento era solo una figura di quella del Nuovo. – La domenica è chiamata anche giorno del Signore (Apoc. I, 10), perché è riservata in modo speciale al suo servizio. È stato S. Giustino (+139) a usare per primo, e a ragione, la parola “giorno del sole” nella sua apologia, e a ragione, perché in quel giorno il Salvatore, come il sole nascente risplendeva nella luminosità della sua risurrezione. (S. Amb.). Era il giorno in cui Dio creò la luce, quando lo Spirito Santo discese sugli Apostoli in fiamme di fuoco, quando ognuno doveva cercare nuova luce sul proprio destino. Costantino introdusse l’osservanza nella legislazione civile (321), seguito da Carlo Magno e da tutti i legislatori civili.

4. LA DOMENICA SIAMO OBBLIGATI AD ASTENERCI DAI LAVORI SERVILI, PARTECIPARE ALLE FUNZIONI PUBBLICHE OLTRE AD OCCUPARCI DELLA SALVEZZA DELLE NOSTRE ANIME ED A PROCURARCI UN’ONESTA RICREAZIONE.

Chiamiamo lavori servili quelli che si compiono principalmente con uno sforzo materiale e causano fatica corporea; derivano questo nome dal fatto che sono eseguiti da persone in servizio. (Th. Aq.). Se prendiamo la legge in senso stretto, anche il commercio (fiere e mercati) rientrerebbe nell’idea di lavoro servile; tuttavia, dice il cardinale Gousset, la consuetudine in alcuni Paesi può consentire una certa tolleranza, tranne che per il tempo degli uffici pubblici. Sull’esempio di Dio, dobbiamo riposare il settimo giorno, e come Cristo ha fatto la domenica in cui depose il suo sudario e le sue bende e lasciò il sepolcro, così noi dobbiamo liberarci dai legami delle cure temporali e sollevarci a Dio attraverso la preghiera. Il riposo corporeo è necessario per l’anima, perché un uomo appesantito dalla fatica non è in grado di pregare. – Il servizio pubblico obbligatorio è la Santa Messa (che di solito include la predicazione). Fin dai primi secoli, secondo S. Giustino, i fedeli erano presenti al santo Sacrificio; al Vangelo si teneva un’omelia, e l’usanza si è generalmente conservata. La Santa Messa è obbligatoria la domenica, perché non esiste un ufficio più perfetto.

La domenica otteniamo la nostra salvezza anche attraverso la ricezione dei Sacramenti, la preghiera, l’assistenza al sermone, le buone letture e le opere di misericordia. Prendiamo un onesto svago attraverso il riposo ed i piaceri consentiti.

Il riposo corporale è prescritto proprio per permetterci di lavorare con maggiore zelo per la nostra salvezza. Non sono gli abiti più belli, che fanno la domenica, ma la purezza e la bellezza dell’anima (San Leone M.). Per rispetto occorre non solo tagliarsi la barba, ma tagliare tutto ciò che è peccaminoso e vizioso. (S. Bonav.). La domenica, più degli altri giorni, la Chiesa ci facilita la ricezione dei Sacramenti. La Chiesa desidera che noi riceviamo i sacramenti; desidera che noi riceviamo la santa Comunione. (Conc. Tr. XXII, 6). La domenica, la Chiesa ci offre anche l’opportunità di pregare attraverso le sue funzioni pomeridiane ed in tutte le parrocchie c’è, la domenica, almeno un servizio di preghiera. In tutte le chiese parrocchiali di domenica c’è almeno un sermone. I nostri antenati avevano l’abitudine, la domenica, di fare delle letture pie, delle spiegazioni dei vangeli e delle vite dei Santi. Cristo guarì la maggior parte dei malati di sabato, nonostante lo scandalo e le mormorazioni dei Giudei: colui che aveva una mano inaridita (S. Matth. XII, 9-21), il nato cieco (S. Giovanni IX), l’idropico in casa del capo dei farisei (S. Luca XIV, 1); era per insegnarci che nel giorno del Signore dobbiamo praticare opere di carità.

La domenica sono leciti: 1° i lavori servili assolutamente indispensabili; 2°le occupazioni di poca importanza; 3° i lavori intellettuali; 4° una ricreazione dignitosa.

È lecito fare lavori servili necessari. Dio non vuole che questo comandamento ci sia nocivo: “Il sabato – dice Gesù – è stato fatto per l’uomo, e non l’uomo per il sabato” (S. Marco II, 27). Il lavoro è quindi permesso se necessario per il mantenimento della vita: preparare il cibo, portare il raccolto quando il pericolo di perdita è grave; tutto ciò che è di ordine ed interesse generale: alcuni servizi postali, ferroviari, telegrafici e di polizia. L’autorità ecclesiastica è competente a consentire il lavoro domenicale in alcuni casi, “perché – dice Gesù – il Figlio dell’uomo è anche Signore del sabato” (S. Luc VI, 5) e ciò che il Figlio dell’uomo può, anche la Chiesa può. – Poiché la domenica è stata istituita per il nostro bene spirituale e la nostra salvezza, è permesso, e persino obbligatorio, di domenica, compiere tutte le opere che possano procurarla, in particolare quelle che riguardano il culto divino: “I Sacerdoti – dice Cristo -trasgrediscono il sabato nel tempio, senza offendere Dio” (S. Matth. XII, 5). Siamo anche tenuti alle opere di misericordia in quel giorno, perché nulla contribuisce di più alla nostra salvezza. La nostra salvezza, infatti, dipende dalla sentenza del Giudice sovrano, il quale ci ha dato l’esempio della carità di sabato e l’ha dichiarata espressamente lecita. (S. Matth. XII, 12). Le opere servili sono proibite, ma non quelle di carità per il bene del prossimo. (S. Iren.). Sant’Odila aveva eretto un ospedale nelle vicinanze del suo convento: vi visitava gli ammalati ad ogni servizio, e li serviva tutto il giorno: molti santi facevano lo stesso. Tuttavia, la domenica possiamo compiere solo le opere di misericordia necessarie. Infatti,” dice Suarez, “se per ragioni di carità fossero permessi tutti i servizi servili, tutti gli artigiani e i braccianti potrebbero lavorare con questa intenzione, il che equivarrebbe all’abrogazione della legge”. Le opedi misericordia possono anche fare a meno della Santa Messa, perché sono esse stesse un culto di Dio (S. Jac. I, 27). “Voglio misericordia – dice il Signore- e non sacrifici” (S. Matth. IX, 13), cioè preferisco le opere di carità agli atti esterni del culto. Tuttavia, è necessario partecipare alle funzioni religiose per quanto possibile secondo il precetto di Cristo: “Fate l’uno e non tralasciate l’altro” * (S. Matth. XXI 11,23). – Sono consentiti anche i lavori domestici minori, la cui omissione causerebbe disordine: spazzare le stanze, le consuete faccende di cucina, una leggera riparazione di un indumento improvvisamente strappato, a maggior ragione il lavoro intellettuale: lettura, scrittura, musica. – Poiché la domenica è stata istituita per il nostro tempo libero, un onesto svago, come le passeggiate e il gioco moderato, non sono proibiti.

Peccati contro la santificazione della domenica.

Si pecca contro il comandamento della santificazione della domenica:

1. QUANDO SI COMPIE UN LAVORO SERVILE SENZA NECESSITÀ O RICHIESTA.

L’imperatore Valentiniano diceva: “Chi lavora di domenica è un sacrilegio, come chi mette del vino impuro in un vaso sacro”. Il Cristiano deve il riposo domenicale ai suoi subordinati, anche alle sue bestie da soma (Esodo XX, 8-10); così i servi e gli operai devono lasciare i padroni che li costringono a lavorare la domenica. – È già un peccato mortale fare un lavoro molto servile per 2 o 3 ore la domenica senza un motivo molto serio. – Il peccato può essere meno grave se il lavoro è più leggero, se ci sono motivi reali, anche se imperfettamente sufficienti, se c’è un fondato timore di essere licenziato dal proprio posto (ma il padrone commette un peccato mortale). – Il peccato è grave, quando c’è uno scandalo, anche se il lavoro è leggero o il tempo non è così lungo; è per questo scandalo che Gesù Cristo ha detto “sarebbe meglio legare una pietra al collo dello scandalosi e gettarlo negli abissi del mare”. (S. Matth. XVIII, 6). Per gli israeliti Dio aveva decretato: “Chiunque violerà il sabato sarà messo a morte; se qualcuno lavora in quel giorno, perirà in mezzo al mio popolo”. (Esodo XXXI, 14).

2. QUANDO SI MANCA ALLA SANTA MESSA SENZA MOTIVO.

Alcune festosità del sabato fanno spesso mancare all’Ufficio divino della Domenica. Che follia”, dice San Francesco di Sales, “trasformare la notte in giorno, il giorno in notte, e trascurare i propri doveri verso Dio per futili divertimenti”.

3. QUANDO CI ABBANDONIAMO A SVAGHI TROPPO RUMOROSI, TROPPO FATICOSI PER IL CORPO, PERSINO COLPEVOLI,

come la caccia con i segugi o le battute, i balli pubblici, soprattutto questi ultimi, che sono la causa di tanta immoralità, risse e sregolatezze, che portano al disgusto del lavoro e al vagabondaggio. – Le attività ricreative più profane della domenica sono peccaminose in sé, perché di tutte le opere il peccato è il più servile, perché rende schiavo del diavolo (S. Giovanni VIII, 34). Guai a noi se, in un giorno consacrato al servizio di Dio e alla salvezza della nostra anima, offendiamo Dio e feriamo mortalmente le nostre anime; se trasformiamo le feste del cielo in feste dell’inferno (Mons. Gaume). Alcuni Cristiani aspettano il giorno del Signore, per abusare della libertà del lavoro per la libertà del vizio.(Eus. Ces.). Per molti i giorni di festa sono i migliori giorni di lavoro per satana. Egli imita Apollonio, il crudele generale di Antioco, che con i suoi 22.000 uomini rimase tranquillo a Gerusalemme per tutta la settimana e fece massacrare tutti nel sabbath. Anche lui lascia riposare le anime per tutta la settimana; ma quando arriva la domenica, le spingerà ad ogni tipo di peccato, all’orgoglio ed alla vanità del vestire, alla passione per il gioco d’azzardo ed il ballo, alle visite pericolose, all’intemperanza nel mangiare e nel bere. le donne ad una toeletta insensata, gli uomini ad una gratificazione sensuale, che trasformano le istituzioni più sacre in peccato. (S. Ant.). La Domenica scaccia il demone del guadagno, dell’avidità materiale, ma sembra essere sostituito dai sette demoni dei piaceri sensibili, più malvagi di quello. Sembrano essere appesi agli stendardi delle società di canto, di tiro a segno, pompieri e ginnastica; dissolvono la vita familiare e divorano i risparmi. (Mons. Schmitz, Vescovo ausiliario di Colonia). S. Agostino si chiede se non sarebbe meglio profanare la domenica con il lavoro che con questi vizi. Offendere Dio è colpevole, ma è un doppio crimine offenderlo in un giorno a Lui consacrato. Abusare di questo giorno per le follie del mondo è una specie di sacrilegio (S. Cipr.), è saccheggiare i tesori della Chiesa. (S. G. Cris.). –

Motivi che dovrebbero indurci ad osservare il riposo domenicale.

1. La santificazione della domenica attira delle benedizioni temporali.

Dio è così buono che non ci chiede di fare lavori pesanti al suo servizio, ma solo di riposare. “La settimana ha 168 ore, Dio ve ne chiede solo una e voi volete usarla per opere profane” (S. G. Cris.). L’uomo avrà veramente successo solo a condizione di osservare la domenica. – Colombo nel suo viaggio verso l’America osservò il più possibile il riposo domenicale. Questo non ritardò il successo della sua spedizione. Coloro che osservano la domenica sono spesso protetti provvidenzialmente da grandi disgrazie. Un dipendente di una compagnia di piroscafi del Mississippi si rifiutò di scaricare il carico la domenica e fu licenziato; pochi giorni dopo la caldaia scoppiò e la maggior parte dei suoi compagni perirono. Il buon Dio aumenta la fortuna di coloro che osservano la domenica. Un operaio sosteneva che il bisogno lo costringeva a lavorare la domenica: uno dei suoi amici si offrì di fargli fare un periodo di prova di 6 mesi, promettendo di risarcirlo per le eventuali perdite. La prova è andata avanti e l’operaio ammise che durante questi 6 mesi aveva guadagnato più di prima. Non a caso nella Scrittura si dice: “Dio benedisse il settimo giorno”.(Gen. II. 3). – Alcuni produttori sostengono che il riposo domenicale paralizzi la produzione e danneggia fortemente l’industria; ma questo non è vero. L’esperienza dimostra che riducendo l’orario di lavoro si aumenta la capacità della produzione del lavoratore. L’operaio che osserva la domenica lavora di più e meglio durante la settimana. Un arco troppo sollecitato perde la sua elasticità e il lavoratore sovraccarico di lavoro perde la sua forza produttiva. Rousseau diceva: “Se volete creare un popolo attivo e industrioso, date loro delle feste. Questi giorni perduti saranno ritrovati più volte”. – In Inghilterra, il riposo domenicale è molto rigido: negozi, cabaret, teatri, ecc. sono chiusi. Anche le poste e le ferrovie non funzionano, eppure l’Inghilterra è in testa a tutti gli altri Paesi industriali. Gli ebrei osservano il loro sabato molto rigorosamente, e non si nota che si stiano impoverendo.

2. Dio punisce i profanatori della domenica con punizioni temporali, in particolare la malattia e la povertà.

Dio punisce spesso coloro che lavorano la domenica. È a causa della profanazione di questo giorno che Dio fece distruggere a Nabucodonosor la città di Gerusalemme e portò i Giudei in cattività. (Esdr. XIII, 18). La punizione abituale per i profanatori della domenica è che diventino schiavi di tutti i vizi (Louis de Gr.); chi la domenica cerca le ricchezze della terra, trova i tesori del peccato e perde quelli del cielo. (S. Amb.). – Il lavoro ininterrotto rovina la salute: quando si scala una montagna, bisogna fermarsi di tanto in tanto, altrimenti si rischia di cadere per la stanchezza. “Il riposo – dice Mons. Gaume – è una legge naturale, come il cibo”. Il lavoro di certe fabbriche provoca la morte precoce di una grandissima parte dei lavoratori. Ne muoiono più che su un campo di battaglia. Il riposo è un dovere non solo verso Dio, ma anche verso se stessi. – La profanazione della domenica è un suicidio. – Vi visiterò – dice il Signore a questi profanatori -con la povertà” (Lev. XXVI, 16). Essi lavorano senza arricchirsi perché sono privati della benedizione di Dio. Come Dio è solito punire dove si è peccato (Sap. XI, 17), colui che ha profanato la domenica per l’avarizia, ottiene il contrario di ciò che cercava: diventa più povero. Questo vizio attira su interi Paesi raccolti scarsi, grandine, inondazioni, ecc. – I cinesi sono uno dei pochi popoli che non hanno un giorno di riposo settimanale, e sono fisicamente bassi, vigliacchi, immorali, afflitti da malattie epidemiche, e le recenti guerre hanno dimostrato che questa nazione di 400 milioni di anime non ha la forza di resistere.

3. La profanazione della domenica rovina la famiglia e la società.

Prima di tutto, mina la famiglia, perché i membri della famiglia che non frequentano l’Ufficio Divino perdono gradualmente la nozione dei loro doveri e cadono nei più profondi errori: il padre diventa prodigo, la madre negligente, i figli disordinati. I legami della famiglia si allentano e la casa, invece di essere un paradiso, si trasforma in un inferno. Un padre che lavora la domenica trascura il più sacro dei suoi doveri, l’educazione dei figli; impegnato tutta la settimana, ha solo questo giorno per conoscere i suoi figli e dare loro buoni consigli. – Ma non appena la famiglia viene minata, l’intera società viene scossa.; un edificio crolla non appena le sue fondamenta vacillano. La profanazione della domenica è un’aperta ribellione contro l’autorità di Dio, ne consegue che fa perdere il rispetto per ogni autorità, paterna, civile e religiosa; essa fa perdere la nozione e la pratica della religione, ci fa dimenticare Dio come fine ultimo e riporta l’uomo alla barbarie del paganesimo. – La Chiesa, con la sua festa domenicale è la barriera che separa il vero Cristiano dal Cristiano di nome, il predestinato dai reprobi; si sarà separati nell’eternità da coloro da cui si è stati separati quaggiù; chi la domenica non si considera tra i figli di Dio, sarà escluso dalla sua famiglia nell’eternità. Il momento della nostra morte sarà quello che sono state le nostre domeniche; è nelle domeniche che raccogliamo i beni eterni. (S. Greg. Naz.).

2. IL COMANDAMENTO DEL LAVORO.

Ci sono due tipi di lavoro: quello intellettuale e quello manuale.

È un errore considerare lavoratori solo gli operai, i manovali, gli artigiani ed i servitori, escludendo da questi i funzionari pubblici, Sacerdoti, insegnanti, medici e così via. Non fanno lavori manuali, ma lavoro di testa, che spesso è più faticoso e porta ad un disagio maggiore del primo.

I pagani consideravano il lavoro una vergogna, Gesù Cristo lo ha nobilitato e santificato.

Nel paganesimo c’erano due classi di uomini: l’aristocrazia o i padroni e gli schiavi o gli artigiani che in molti Stati non godevano del diritto di cittadinanza, mentre i primi, disprezzando il lavoro, trascorrevano il loro tempo nell’ozio o si limitavano all’impiego pubblico. Il Salvatore venne e santificò il lavoro con il suo esempio e i suoi insegnamenti (la parabola della vigna, S. Matth. XX, dove mostra la necessità del lavoro per la salvezza). I Cristiani illustri non si vergognavano del lavoro: San Paolo si guadagnava da vivere come tessitore di tende (Atti XX, 31; XVIII, 3); sant’Ilario lavorava nei campi, e i monaci del Medioevo lavoravano nell’agricoltura e copiavano manoscritti. – Un mestiere ed il lavoro manuale non sono disonorevoli; al contrario, un uomo si onora con la propria attività ed il proprio sforzo personale. (Leone XIII). Ciò che degrada l’uomo è l’ozio e il vizio; non è degenere, quindi, mettersi al servizio. Servire un uomo nell’ordine provvidenziale non è servire l’uomo, ma è Dio che lo ha ordinato: Gesù stesso è venuto per servire, non per essere servito. Lo stato di servo è migliore dello stato di schiavo di una passione (S. Aug.). i servi devono vedersi attaccati al servizio di Dio. (S. Greg. Naz.).

1. DAL PECCATO ORIGINALE, DIO HA IMPOSTO ALL’UOMO ILNLAVORO COME PUNIZIONE.

Questo non significa che prima del peccato l’uomo non avrebbe lavorato; egli avrebbe lavorato e le sue occupazioni sarebbero state un piacere per lui. Dopo la caduta, Dio disse all’uomo: “Mangerai il tuo pane con il sudore della tua fronte” (Gen. III, 19), finché non tornerai alla terra da cui sei venuto”.

2. IL COMANDAMENTO DI LAVORARE SI APPLICA A TUTTI GLI UOMINI SECONDO LE LORO CAPACITÀ:

Chiunque – dice S. Paolo – non vuole lavorare, non deve neppure mangiare“. (II. Th. III, 10).

Questo è vero soprattutto dopo il peccato originale: tutti ne siamo affetti, tutti quindi dobbiamo portarne la pena. Per costringerci a lavorare, Dio ha reso la terra arida senza gli sforzi dell’uomo; l’ozio universale sarebbe una carestia universale. Per questo motivo San Paolo ha proposto il principio sopra citato. I ricchi sono anch’essi obbligati a lavorare; possono utilizzare il frutto del loro lavoro per le elemosine e le opere buone. Quante principesse e donne ricche hanno realizzato ornamenti sacri con le proprie mani, seguendo l’esempio di Santa Elisabetta del Portogallo (+1336). Una volta si domandava ad un uomo che aveva fatto fortuna, perché continuasse a lavorare: “Pensi – rispose – che il buon Dio mi abbia dato le mani per niente? Anche Nella sua regola, Benedetto prescriveva di alternare preghiera e lavoro. – Chi non può lavorare è ovviamente esonerato; S. Paolo è un uomo di fede. Paolo non dice: “Chi non lavora…, ma chi non vuole lavorare, non deve mangiare”. Giobbe dice: “L’uomo è nato per il lavoro, come un uccello per l’aria” (V, 7); anche gli animali, come la formica, ci esortano al lavoro. (Prov. VI, 6). E così San Paolo scriveva: “Vi chiamiamo al lavoro delle vostre mani, come vi abbiamo comandato”. (I. Tess. IV, 11).

3. UN UOMO È SOPRATTUTTO VINCOLATO ALLE OCCUPAZIONI DEL SUO STATO.

La società umana comprende necessariamente diversi stati: medici, sacerdoti, aratori, artigiani, giureconsulti, soldati, scapoli e coniugati; assomiglia ad un corpo, ogni membro del quale ha un compito particolare (I. Cor. XII, 12), come un orologio, con tutti i suoi ingranaggi, grandi e piccoli, che si intrecciano tra loro. – È Dio che chiama ogni uomo ad uno stato specifico, chiamato per questo “vocazione“, dandogli il gusto, la capacità e l’opportunità. Di conseguenza l’uomo sente un’attrazione interiore verso questo stato, che deve seguire, come gli uccelli viaggiatori il cui istinto in autunno li spinge verso paesi più caldi. Non seguire la propria vocazione e spingersi in uno stato al quale non si è chiamati, sarebbe come per un uccello migratore rimanere in paesi freddi in inverno: da una parte e dall’altra è la morte, temporale per i primi, eterna per i secondi. I genitori devono quindi stare attenti a non forzare la vocazione dei figli. – La vocazione viene da Dio stesso, compiere i doveri del proprio stato è propriamente essere al servizio di Dio; questi doveri sono quindi i più importanti; tutti gli altri devono venire dopo di loro. “Tutto ciò che non è un dovere di stato è vanità e ozio. ” (Card. Galura). Bisogna saper lasciare Dio per Dio ‘ diceva san Filippo Neri. Il dovere di stato di Cristo era quello di salvare il mondo: appena si trattava di questo, lasciò tutto il resto; così, all’età di 12 anni, lasciò i suoi genitori per rimanere nel Tempio. – La donna samaritana al pozzo di Giacobbe, si dimenticò persino di mangiare. (S. Giovanni IV, 34). Mosè si comportò allo stesso modo: quando nel suo colloquio con Dio sul Sinai, apprese che il popolo era caduto nell’idolatria (Esodo XXXII, 7). –

L’adempimento fedele dei doveri di stato porta alla perfezione; la loro negligenza porta alla rovina temporale ed eterna.

L’accuratezza nei doveri di stato è segno che si è coscienzioso in tutte le cose. La vocazione è come la ruota motrice di una macchina: dipende dalla sua marcia regolare il buon funzionamento di tutta la macchina. Questo spiega perché nel processo di canonizzazione, la prima cosa che viene chiesta è la fedeltà con cui il defunto ha esercitato i suoi doveri di stato. È un grande errore, anche da parte di persone pie, immaginare che il tempo dedicato ai doveri di stato sia perso per il servizio di Dio e per la salvezza; al contrario, è la via più rapida verso la perfezione, mentre è una tentazione molto pericolosa trascurare i doveri di stato per la preghiera e le opere di pietà. Chi non le compie è in stato di peccato mortale, e in pericolo di dannazione. Anche se pregasse tutto l’anno e digiunasse per tutta la vita, sarebbe comunque dannato (S. F. de S.). – La preghiera non salverà coloro che non vogliono lavorare. Inostri esercizi di pietà devono essere regolati secondo gli obblighi della nostra vocazione. Una pietà che vanifica questi doveri è una falsa pietà (Id.). Nessuno stato che non sia cattivo in sé, non è un ostacolo alla salvezza. (I. Cor. VII, 17).

4. DURANTE IL LAVORO DOBBIAMO SPESSO ELEVARE LA NOSTRA ANIMA A DIO; PERCIÒ PRIMA DI LAVORARE BISOGNA CHIEDERE LA SUA GRAZIA E DURANTE IL LAVORO, FARE PREGHIERE GIACULATORIE.

Nulla riesce senza la benedizione di Dio, come vediamo nella pesca miracolosa. (San Luca V). Credetemi – diceva san Vincenzo de’ Paoli – tre operai, con la grazia di Dio fanno più di altri dieci. Andare a lavorare senza aver pregato è come un soldato che va in guerra disarmato. S. Paolo ci esorta a un buon proposito prima di andare al lavoro, con le ben note parole: “… sia che mangiate, sia che beviate, sia che facciate qualsiasi cosa, fate tutto per la gloria di Dio.” (I. Cor. X, 31). Davanti a tutte le nostre azioni dobbiamo imitare il tiratore che mira molto chiaramente all’obiettivo da raggiungere; dobbiamo quindi, prima di iniziare il lavoro, fare un segno di croce o dire mentalmente: “A maggior gloria di Dio”. Si può scrivere un numero infinito di zeri, ma essi avranno valore solo se si faranno prendere almeno da una unità; lo stesso vale per le nostre azioni: di per sé sono zeri, ma se le compiamo in nome del buon Dio, Egli li precede di una unità e li rende meritorie. – Durante il lavoro, bisogna fare quello che fa quando si scrive: ad ogni momento si immerge la penna d’oca nel calamaio per continuare a scrivere; così si deve elevare la nostra anima a Dio, in modo da riacquistare sempre nuova forza per il lavoro. Seguendo l’esempio dei piloti, che guardano sempre la loro bussola, noi dobbiamo guardare a Dio di tanto in tanto (S. F. di Sales). Gli Angeli, mentre servono l’uomo, non smettono mai di vedere Dio faccia a faccia (San Bonaventura). Gli architetti, mentre erigono un edificio, non smettono mai di avere tra le mani la squadra ed il filo a piombo, così noi, che dobbiamo costruirci una casa in cielo, dobbiamo avere continuamente davanti agli occhi il filo della carità, in modo da agire solo per questo motivo. (S. F. di S.). Così San Paolo dice: “Pregate incessantemente” (I. Thess. V, 17). Dobbiamo quindi abituarci a recitare spesso, durante il lavoro, preghiere giaculatorie, ad esempio “Signore, vieni in mio aiuto!”, “per la maggior gloria di Dio”. Il nostro motto dovrebbe quindi essere: “Preghiera e lavoro” (Ora et Labora) o “Mano al lavoro, cuore a Dio”.

5. IL LAVORO PORTA BENEFICI TEMPORALI E MERITI ETERNI, PERCHÉ È UNA SORTA DI CULTO DIVINO. Il beneficio temporale consiste nella contentezza e nella felicità.

Poiché Dio ha imposto il lavoro ad Adamo come pena dopo che egli ebbe confessato la sua caduta, chi lavora compie la volontà divina, e quindi compie un’opera gradita a Dio, in un certo senso più perfetta della preghiera. San Francesco di Sales, impedito a pregare dai suoi numerosi doveri di stato, si consolava dicendo: “Quaggiù dobbiamo pregare con le opere ed i fatti. – Le radici del lavoro sono amare, ma i suoi frutti sono dolci. Prima di tutto, porta benefici temporali: l’uomo ozioso si annoia, è sempre insoddisfatto di sé, mentre l’uomo industrioso, felice e gioioso, sente la verità delle parole di Cristo: “Il mio giogo è dolce ed il mio carico è leggero” (Matteo XI, 31). Colui che è impegnato in affari seri non si curerà molto di un concerto che si svolge nel suo quartiere, e sarà altrettanto indifferente alle seduzioni che il diavolo gli suggerisce ; satana lascia in pace quelli chi lavorano. – Una volta abbiamo esortato un monaco a non affaticare troppo il suo corpo. “Se non lo tormento, è lui che mi tormenta” (Cassiano). Il lavoro porta benessere e prosperità temporale. L’ape che ha lavorato bene durante l’estate vive in inverno con le provviste del suo alveare; così l’uomo laborioso si assicura il suo futuro. Una volta un romano fu portato davanti al Senato per aver accumulato una grande fortuna grazie alla magia; si presentò con i suoi attrezzi e disse: “Ecco i miei attrezzi da mago; ahimè, non posso più presentarvi il mio sudore” – Infine, il lavoro, come ogni opera di penitenza, porta meriti eterni. “L’operaio – dice Gesù – merita il suo salario”. (S. Luca X, 7) e S. Paolo aggiunge: “Ciascuno otterrà il suo salario”. Paolo aggiunge: “Ognuno otterrà la sua ricompensa nella misura del suo lavoro. (I. Cor. III, 8). Il guadagno è la molla dell’attività dei commercianti; essi si affannano per un guadagno temporaneo e noi per una ricompensa eterna. (S. Aug.). S. Bernardo vide un giorno uno dei suoi monaci lavorare duramente: “Continua, fratello mio – gli disse – tu non hai da temere il purgatorio.” – Guardiamoci bene quando lavoriamo di non pensare solo al profitto temporale, perché rischiamo di fare un lavoro disonesto che ci priverebbe della nostra ricompensa eterna.

Peccati contro il comandamento del lavoro.

Pecchiamo contro questo comandamento

1° quando ci abbandoniamo all’ozio;

2° quando trascuriamo i nostri doveri di stato;

3° quando, lavorando, ci si dimentica di Dio.

3. LA RICREAZIONE CRISTIANA.

1. OGNINUOMO CHE LAVORA HA IL DIRITTO DI RICREARSI; PERCHÉ LA RICREAZIONE, IL PIACERE, È UN MEZZO PER RIACQUISTARE FORZE NUOVE PER IL LAVORO.

Un arco sempre teso si spezza, così come un uomo che lavora senza riposo diventerebbe incapace di lavorare. – Le attività ricreative all’aperto contribuiscono al bene dell’umanità: rafforzano i legami di carità e prevengono o riconciliano le inimicizie. – Dio vuole che ci ricreiamo, perché ha fatto della natura una fonte di molti piaceri: il colore e la fragranza dei fiori, il canto degli uccelli, la bellezza e il sapore dei frutti, i paesaggi pittoreschi, ecc. Gesù stesso partecipava alle feste, anche ad un banchetto di nozze, e nella parabola del figliol prodigo, parla di danze, musica e banchetti. (S. Luc XV, 25). I banchetti cristiani (agapi) facevano addirittura parte della liturgia primitiva.

2. MA IL NOSTRO GUSTO PER I PIACERI DEVE ESSERE MODERATO E DOBBIAMO ASTENERCI DA TUTTI I PIACERI PECCAMINOSI; DOBBIAMO POI RICIRDARCI DI DIO DURANTE LE NOSTRE RICREAZIONI.

Il gusto per i piaceri non deve essere smodato, come se fossero il fine della vita; devono essere solo un mezzo per riparare le nostre forze. Chi ha un amore eccessivo per il piacere, si corrompe, diventa scontento e si perde nei debiti. – Ogni eccesso è dannoso, e l’eccesso di piaceri è dannoso quanto l’uso smodato di un rimedio. Il sale, preso con moderazione, esalta piacevolmente il sapore dei cibi; preso in eccesso, li rovina. Dobbiamo quindi concederci una pausa solo dopo aver compiuto i nostri doveri. Il riposo è dolce solo dopo il lavoro. Il pensiero della morte è adatto a ispirare la moderazione nei piaceri: Damocle, nel mezzo del più splendido banchetto, perse l’appetito alla vista della spada che pendeva sulla sua testa per un eccessivo gusto per il piacere, pensando che potesse morire da un momento all’altro, e addirittura essere dannati. La nostra epoca soffre molto di questa passione per il piacere. Gli inviti al piacere sono ovunque, e un incontro di piacere si sussegue all’altro, anche se tutti si lamentano del cattivo stato delle cose, che forse è proprio il risultato di questa brama di piacere. Che le vostre ricreazioni – diceva San Francesco di Sales – siano brevi e rare. – Non devono essere peccaminose. Tali sono, per esempio, il gioco d’azzardo con puntate troppo alte, la roulette o altri simili giochi; le maldicenze contro chi è assente; gli scherzi maligni, i discorsi indecenti e la derisione delle cose sacre. Solo i figli ingrati possono divertirsi con ciò che offende il padre loro. – Durante la ricreazione, ricordiamoci di Dio e del nostro fine. Rallegriamoci nel Signore. (Sal. XXXI, 11). San Carlo Borromeo un giorno, giocando a biliardo, gli fu chiesto cosa avrebbe fatto se la fine del mondo lo avesse raggiunto in quel giorno: “Continuerò a giocare – disse – perché lo faccio per la gloria di Dio e pensando a Lui.

IL CATECHISMO DI F. SPIRAGO (XXVII)

LO SCUDO DELLA FEDE (275)

LO SCUDO DELLA FEDE (275)

P. Secondo FRANCO, D.C.D.G.,

Risposte popolari alle OBIEZIONI PIU’ COMUNI contro la RELIGIONE (18)

4° Ediz., ROMA coi tipi della CIVILTA’ CATTOLICA, 1864.

CAPO XVIII

PROFEZIE

I. Le profezie sono oscure; II. Mai non si può aver certezza di esse. III. Un uomo si adattò a certe vaghe tradizioni e si spacciò come Dio.

Dopo i miracoli, le profezie sono, secondo affermazione di Gesù Cristo, un testimonio splendidissimo della verità cristiana. Ed il divin Salvatore che diceva che le opere che Ei faceva, cioè i miracoli, rendevano a Lui testimonianza, affermava pure che tutte le Scritture parlavano di Lui e lo annunziavano. Il perché la santa Chiesa fece sempre grandissimo conto di esse, e se ne valse i tutti tempi, sia presso i popoli gentileschi, cui annunziava la fede la prima volta, sia presso i fedeli che già l’avevano abbracciata, per confermarli viepiù in essa. Ma che? Anche queste dovevano essere dalla incredulità recate in dubbio. Ed in qual modo? Eccolo.

.I. Le profezie, dicono in primo luogo, sono piene di oscurità: come dunque venire in cognizione di cose oscure, per mezzo di ragioni anche più oscure? Per rispondere a questa difficoltà, chiediamo in primo luogo, sono esse oscure prima che si avverino, oppure se anche quando sono avverate? Se almeno dopo il loro compimento non fossero chiare, fossero manifeste, sicché al tutto non si potessero negare, non basterebbero a rendere piena testimonianza alla verità? Certo sì: allora si vedrebbe che quelle parole, che per un qualche tempo tenevano le menti incerte, avevano un chiaro significato, e riscontrandole coll’evento, sarebbero l’espressione di una verità: questa verità poi, dall’essere stata con profezia autenticata, riceverebbe tutta la sua forza. Così, a cagione di esempio, vien detto al serpente, dopo la caduta dei nostri primi padri, che la stirpe della donna gli schiaccerà il capo: similmente ad Abramo, ad Isacco, a Giacobbe, che nella loro stirpe, saran benedette tutte le genti. Ora poniamo che fino al Messia non si veda ancora chiarissimo, né chi sia quegli che debbe operare sì grandi fatti, né in qual modo debbano essere operati; tuttavia, dopoché Gesù Cristo figliuolo di Maria e discendente della stirpe di Abramo, d’lsacco, di Giacobbe è comparso al mondo ed è diventato fonte d’ogni benedizione, quelle profezie divengono chiarissime ed innegabili. Quanti detti arcani, misteriosi, non si ripetono tutto giorno di filosofi, di poeti, di oratori, i quali, al primo udirli, non s’intendono; ma poi, appressati ad un fatto, da tutti si comprendono, sicché più niuno dubita del loro significato! Ora se anche fossero misteriose le profezie in questo modo, non proverebbero ugualmente che è divino quello spirito che le ha dettate, poiché ha potuto per mezzo di esse indicare fatti lontani fuori di ogni umana cognizione? Ma la verità è poi che se vi sono alcune profezie di questa fatta, che cioè si schiariscono solo col metterle a confronto dei fatti, ve ne ha poi moltissime che sono sì chiare, che non possono non intendersi da chiunque le prenda a leggere: però il dire universalmente che le profezie sono oscure è fuori d’ogni verità. Il patriarca Giacobbe, per esempio, afferma che non uscirà la dominazione temporale dalla tribù di Giuda, prima che venga quello che dev’essere mandato. Mosè dice chiaro ai Giudei che Iddio loro susciterà un profeta simile a lui, e che se non l’ascolteranno, Iddio ne sarà vindice. Nel salmo 109 David parla chiaramente di un sacerdote secondo l’ordine di Melchisedecco. Il salmo 21 descrive a lungo tutte le pene del divino Salvatore, con tutte le più minute circostanze di esse. Lo stesso si ripete nel cap. 53 d’Isaia e con tanta esattezza che sembrano piuttosto due Evangelisti che scrivano dopo il fatto, che non due profeti che annunzino avvenimenti, che tarderanno tanti secoli ad avverarsi. Similmente qual cosa più chiara della profezia di Michea, che determina Betlem qual luogo della nascita del Messia? Qual Profezia più manifesta che quella di Daniele, il quale definisce 490 anni prima il momento della sua morte? Come poteva dirsi più chiaramente l’indole mansueta, le virtù, i prodigi d’ogni sorta che avrebbe fatti Gesù, di quello che lo scrivesse Isaia? La venuta nel tempio, che allora si stava solo fabbricando, fu scritta da Aggeo; la sostituzione del sacrifizio dei nostri altari alle antiche oblazioni, da Malachia; la risurrezione di Gesù Cristo, da David; le glorie della santa Chiesa, da Isaia; e ciò per tacere d’innumerevoli altre profezie chiare, solenni, autentiche, riconosciute come appartenenti al divin Redentore perfino dai Giudei. Né niun dica che se fossero state sì chiare, i Giudei le avrebbero riconosciute: perocché anzi se i Giudei le avessero riconosciute, già più non sarebbero vere le profezie. Imperocché quelle medesime profezie che annunciavano Gesù e la sua vita e le sue opere divine, annunziavano pure che il suo popolo non l’avrebbe riconosciuto, che per pena di ciò ne sarebbe stato ripudiato e disperso per tutta la terra, senza tempio, senza altare, senza sacerdote, senza sacrifizio: che in sua vece sarebbe subentrato il popolo gentile; che questo avrebbe riconosciuto Gesù, e che fra le genti sarebbe stato grande il nome di Dio, che esse avrebbero avuto l’oblazione monda, e che sarebbero state il popolo del Signore. – Le quali profezie tutte noi vediamo con alto nostro stupore pienamente e chiaramente verificate. Non può dunque in niun modo rifiutarsi la validità della prova che si trae dalle profezie in favore del Cristianesimo sotto il pretesto dell’oscurità.

II. Altri invece dicono che, qualunque cosa si tenga delle profezie, mai non si potrà avere certezze intorno ad esse. Imperocché onde faccia prova una profezia, si richiedono tre cose: che io sia testimone della profezia; che io sia testimone dell’avveramento di essa; che mi sia dimostrato che non per caso l’effetto si accordò col predicimento. Ora come posso io mai esser certo di tutto ciò, e senza questa certezza come posso fidarmi di una profezia? Questa difficoltà che viene ripetuta da vani increduli, quasi fosse senza replica, ha poi veramente qualche forza? Non è altro che una triplice falsità e gravissima chi ben la consideri. Perché io sia certo di una profezia, dicono in primo luogo, si chiede che io sia testimonio di essa: e questo è al tutto falso. Imperocché non accade menomamente che io l’abbia intesa coi miei orecchi, basta che mi sia testificata con prove al tutto certe che essa fu fatta. Ora nel caso nostro le profezie che riguardavano il Redentore, erano confermate da tutto il popolo giudeo diffuso e sparso per molte nazioni, erano scritte in molti libri, erano tradotte in molte lingue diverse, erano conosciute fino dai Gentili, e ciò molti secoli prima che il Redentore apparisse al mondo. Quindi, senza averle udite di proprio orecchio, io sono più sicuro che esse esistevano, che se le avessi udite. – Che io sia testimonio del loro compimento: e questa è una solennissima falsità. lmperocché il compimento di essa è un fatto, ed i fatti mi possono constare per mille prove al tutto indubitate, senza che io li abbia veduti cogli occhi miei, se già non vogliamo negare tutti i fatti della storia antica e moderna, ai quali noi non siamo intervenuti colla presenza. Nel caso poi speciale dei fatti che riguardano il divino Redentore, non solo noi abbiamo le storie sacre e le profane, diciotto secoli di testimonianze, ed ogni sorta di monumenti che ci fan fede di quanto gli appartiene; ma fino ai dì nostri rimangono in piedi le prove parlanti che Egli fu sulla terra, che operò, che fondò una Chiesa, che le diede leggi, che istituì riti, che stabilì una religione con sacrifizi, sacramenti e pratiche speciali di divin culto. Il perché non vi ha nessun bisogno di aver veduto cogli occhi proprio quello, di che rimangono prove così patenti: come non vi ha bisogno per credere che esista l’America, di averla veduta cogli occhi propri, in faccia a tante testimonianze che noi possediamo della sua esistenza. È falso finalmente che non si possa conoscere se l’avveramento di esse sia opera del caso; oppure di una sapienza provvida che l’abbia disposto. Imperocché si conosce invece benissimo che il caso non può operare con senno, e combinare insieme tante profezie così disparate, quali sono quelle che riguardano il Redentore con tutte le circostanze del suo tempo, della sua venuta, della sua nascita, della sua infanzia e gioventù, dei miracoli, della vita, morte e risurrezione, della fondazione della Chiesa, e somigliante. – Un caso che operasse con tanto senno, sarebbe infinitamente più meraviglioso che non qualunque profezia per quanto straordinaria. Inoltre, tanto è impossibile che il caso abbia verificate le profezie, quanto molte di queste profezie non si potevano verificare se non per una virtù al tutto superiore alla naturale, cioè miracolosa, ed i miracoli sono opera dell’onnipotenza divina. Il profetizzare eventi che non possono aver luogo senza miracolo, è lo stesso che dire, ché Iddio concorrerà a suo tempo con la sua onnipotenza a sostenere quello che il profeta prenunzia, cioè che l’opera dell’uomo si congiungerà con quella di Dio; e se la profezia fosse una pura invenzione umana, che Dio a suo tempo, per darle credito, si farà complice dell’umana perversità. Eppure è indubitato che le profezie, di cui parliamo, contengano il predicimento di molti eventi miracolosi, quali sono che Gesù sia per nascere di Madre Vergine, che sia per dare la vista ai ciechi, la favella ai intitoli, la dirittura agli storpi, agli infermi la sanità, che abbia da risorgere da morte a vita per virtù propria, che abbia a salire in cielo, ed andate dicendo. In tutti questi eventi il caso non poteva avere luogo, né la natura, poiché sono opere che superano la forza dell’uno e dell’altro: ed appare limpido che come Dio solo poteva sapere quello che avrebbe fatto liberamente; così Dio solo poteva ispirare ai profeti tanto tempo prima quello che avrebbe fatto. Resta dunque che la difficoltà, proposta con tanta sicumera, non sia altro che un sofisma da illudere le menti più grossolane.

III. Finalmente, ripiglian altri, un uomo della Galilea avendo osservato che il popolo giudaico, secondo certe tradizioni popolari, aspettava un liberatore, egli stesso si presentò qual desso, e adempiendo in sè alcune di quelle condizioni, che, secondo quelle menti rozze, dovevano accompagnare il sospirato liberatore, ottenne credito ed ingannò un popolo sempre vago di scuotere il giogo della straniera dominazione. Ecco tutta la forza dell’argomento tratto dalle profezie in favore del Cristianesimo. Così essi. Per verità ci voleva tutta la empietà del secolo passato ad apportare siffatta spiegazione, e tutta la leggerezza del presente per accettarla. – Vi erano certe tradizioni popolari che promettevano un futuro liberatore. Ma e dunque chi aveva formate queste tradizioni? Come si era destata una tale espettazione? E come aveva preso piede sì ampiamente che tutta la Giudea ne era piena? Come si era sparsa fra Gentili per modo che gli storici greci e romani la conoscessero? Come la cantavano i poeti sotto di Augusto, in Roma stessa, applicandola per adulazione ora all’uno ed ora all’altro dei Cesari? Un effetto così universale, così solenne. non dovette avere qualche fondamento? Sarebbe strano se dicessimo che vi erano veramente delle profezie? Ma come poi negarle, se il popolo giudeo aveva dei libri, nei quali era descritta profeticamente tutta la vita del futuro liberatore, e se questi libri erano noti a’ Gentili e trasportati già in lingua greca qualche centinaio d’anni prima che il liberatore comparisse? Come negare, io torno a chiedere, che vi fossero profezie? Gesù Cristo le applicò a sé senza che le appartenessero, dicono. È meraviglioso questo trovato. Se le applicò a sé, dunque vi erano; se vi erano, ad alcuno dovevano appartenere, e finora non si sa che nessuno, da Lui in fuori, le abbia in sé stesso verificate. Ma poi tanto è impossibile che altri le applicasse a sé per frode, quanto è impossibile che gli uomini abbiano azione prima di esistere. In queste profezie abbiamo appuntato il popolo, la tribù, la famiglia da cui sarebbe nato, la patria e la madre che avrebbe avuto, la fuga che fanciullo avrebbe dovuto fare in Egitto, il modo onde lo avrebbero perseguitato; la morte che avrebbe sostenuta, la sua risurrezione, la fondazione della sua Chiesa colle lotte e colle vittorie di lei. Or di grazia, come poteva un uomo far verificare di sé tutte quelle circostanze, che evidentemente non dipendevano dalla sua volontà? Come piegare e trarre tutte le volontà a cospirare colla sua? Era vaticinato che sarebbe nato in Betlemme dalla famiglia di David, morto nella settimana determinata da Daniele, nel termine del regno di Giuda annunziato da Giacobbe: come, dunque, prima di nascere ha potuto un uomo ordinare sì fattamente le predizioni a sé, o sé alle predizioni, sì che coincidessero per l’appunto? Come ha fatto ancor fanciulletto a combinare la persecuzione di Erode per dover fuggire in Egitto, secondo la profezia? Come ispirare ai suoi nemici il consiglio di dargli morte e dargliela di croce, colle circostanze tutte degl’insulti, del fiele, del dividersi le sue vesti e trarle a sorte, siccome esigevano le profezie? Abbiamo la vita di Gesù scritta nei profeti tanti secoli prima e con tanta minutezza, che sembra più una storia, narrata dopo il fatto, che un predicimento dell’avvenire; l’abbiamo sì autentica, che non la possono negare i Giudei medesimi, sfidati nemici di Gesù Cristo, e potè tuttavia Gesù Cristo fingere e mostrare in sé verificate quelle circostanze che non erano in sua mano, perché dipendevano dalla libera volontà di uomini svariatissimi nel pensare e negli interessi? – Per fermo non potrà negare di avere una fede molto robusta chi si sente la forza d’ammettere tali assurdi: noi Cattolici, per quanto siamo tacciati di troppa credulità, noi non sentiamo la forza di crederli. – Meno strani riuscivano gl’idolatri, i quali, al sentirsi recitare le antiche profezie, ed al vedersele mostrate così per l’appunto verificate nella persona di Gesù Cristo, dicevano che noi le avevamo inventate dopo il fatto; poiché rispondevano troppo esattamente all’evento: ma noi, che non possiamo dubitare dell’anteriorità di esse per la testimonianza che ce ne fanno i Giudei sfidati nemici di Gesù, per la testimonianza dei filosofi gentili, i quali già prima della morte di Gesù le conoscevano; noi, non potendo ricorrere allo spediente di negarle, non possiamo, finché vogliamo operare ragionevolmente, disconoscerne l’autorità. Che se le profezie sono di quel peso che ognun vede, quanto è dunque sicura quella fede che ne può vantare tante e così solenni in suo favore!

IL CATECHISMO DI F. SPIRAGO (XXV)

IL CATECHISMO DI F. SPIRAGO (XXV)

CATECHISMO POPOLARE O CATTOLICO SCRITTO SECONDO LE REGOLE DELLA PEDAGOGIA PER LE ESIGENZE DELL’ETÀ MODERNA

DI

FRANCESCO SPIRAGO

Professore presso il Seminario Imperiale e Reale di Praga.

Trad. fatta sulla quinta edizione tedesca da Don. Pio FRANCH Sacerdote trentino.

Trento, Tip. Del Comitato diocesano.

N. H. Trento, 24 ott. 1909, B. Bazzoli, cens. Eccl.

Imprimatur Trento 22 ott. 1909, Fr. Oberauzer Vic. G.le.

SECONDA PARTE DEL CATECHISMO:

MORALE (6).

II° COMANDAMENTO DI DIO.

“Non nominare il nome di Dio invano”, cioè non lo nominerete senza rispetto. Per Nome di Dio non intendiamo tanto le lettere e le sillabe di cui è composto il nome, quanto piuttosto la maestà di Dio (Cat. rom.).

CON IL 2° COMANDAMENTO DIO CI ORDINA DI TRIBUTARE ALLA SUA SUPREMA MAESTÀ L’ONORE CHE GLI È DOVUTO, E PROIBISCE TUTTO CIÒ CHE OFFENDE QUESTO RISPETTO.

Noi dobbiamo rispetto al buon Dio, perché Egli è un padrone di infinita maestà e bontà.

Il rispetto è un misto di timore, amore e stima. Quando un sovrano ha diversi milioni di sudditi, e centinaia di migliaia di soldati che può mobilitare a volontà, che può rendere felici o infelici con una parola, ispira paura. Se è molto buono e impegnato a rendere felici i suoi sudditi, sarà amato e stimato. Lo stesso vale per Dio, se consideriamo le sue infinite perfezioni e la sua immensa bontà nei nostri confronti (Galura). – Le infinite perfezioni di Dio! Sulla terra ci sono un miliardo e mezzo di esseri umani: Dio li conosce tutti, li nutre, li governa, risponde alle loro preghiere, li aiuta nelle loro necessità, li premia o li punisce, spesso anche qui sulla terra. Quale conoscenza possiede questo Essere Supremo! Nella spazio immenso si muovono milioni di astri: Dio li ha creati tutti, li conserva e li dirige. Quale potere! Senza contare il mondo invisibile! Vi sono milioni di spiriti, e Dio li conosce tutti, li conserva, li governa, ne riceve l’adorazione. Quale maestà! “Chi tra i forti – cantava Mosè – è come te, Signore? Chi è come te, che sei tutto glorioso nella santità, impressionante e degno di lode, e che fai meraviglie?”. (Esodo XV, 11). Temiamo Dio per la sua infinita maestà e lo amiamo per la sua immensa bontà: questi due sentimenti costituiscono il rispetto.

1. DOBBIAMO MOSTRARE IL NOSTRO RISPETTO PER DIO:

Invocando spesso il Nome santo di Dio con devozione e affetto, soprattutto all’inizio di ogni azione, nelle nostre necessità e in punto di morte.

La Chiesa vuole che invochiamo spesso il santo Nome di Dio, perché per ogni invocazione dei nomi di Gesù e Maria, ci concede 25 giorni di indulgenza, e a coloro che hanno praticato questa devozione per tutta la vita, un’indulgenza plenaria in articolo mortis (Clem. XIII, 5 sett. 1759). Anche Newton, che aveva riconosciuto la maestà di Dio nello studio degli astri, aveva un grande rispetto per il santo Nome di Dio e si inchinava ogni volta che lo sentiva. Molti dei fedeli hanno la lodevole abitudine di inchinarsi ogni volta che il nome di Gesù venga pronunciato, proprio come fa il Sacerdote negli uffici. S. Ignazio di Antiochia aveva invocato il Nome di Gesù migliaia di volte durante la sua vita, e prima della sua morte ripeteva: “Questo Nome non può scomparire dalle mie labbra, non può essere cancellato dal mio cuore. “I due leoni che lo divorarono nell’anfiteatro lasciarono intatto il suo cuore. ‘ Nelle epistole di san Paolo, il Nome di Gesù si trova quasi 250 volte, e la Litania del Santo Nome di Gesù è una continua invocazione di quel santo Nome. – Dobbiamo invocare il santo Nome di Dio all’inizio di ogni azione, soprattutto al mattino. “Qualunque cosa facciate, in parole o in opere, fatelo nel Nome del Signore Gesù” (Col. III, 17). Diciamo dunque all’inizio della benché minima azione: nel Nome di Dio, o nel Nome di Gesù, oppure facciamo il segno della croce con la formula che abbiamo ricevuto. Così facendo, attireremo la benedizione di Dio, ossia il successo delle nostre imprese, e otterremo per il più piccolo atto la ricompensa eterna che il Salvatore promette a chi dà solo un bicchiere d’acqua al suo prossimo nel suo nome (S. Marco IX, 40).

Dobbiamo anche invocare il santo Nome di Dio nei momenti di bisogno. “Invocatemi – dice il Signore

nella tribolazione – Io vi salverò e voi mi glorificherete” (Sal. XLIX, 15). È al grido di Gesù! Maria! che i difensori di Vienna (1688) si precipitarono sui Turchi e li costrinsero a togliere l’assedio. – È soprattutto in punto di morte che dobbiamo invocare il Nome di Gesù, come Santo Stefano che gridò: “Gesù, accogli la mia anima!” (Atti Ap. VII, 58). Lo stesso Salvatore, spirando, disse: “Padre, nelle tue mani affido l’anima mia”. L’invocazione del Nome santo di Gesù è, inoltre, indispensabile per lucrare l’indulgenza della buona morte. – Dobbiamo invocare il Nome di Gesù, perché è il nome più potente, attraverso il quale otteniamo tutto. Chi prega in questo Nome, sarà esaudito (S. Giovanni XVI, 23). È in questo nome che hanno operato gli Apostoli e i Santi: i miracoli che facevano, come disse San Pietro in occasione della guarigione del paralitico: “Nel Nome di Gesù, alzati e cammina” (Act. Ap. III); che i fedeli hanno il potere di scacciare i demoni. (S. Marco XVI, 17). Quando invochiamo il suo Nome, Gesù Cristo ci aiuta a combattere contro satana; i demoni fuggono e tremano appena lo sentono. (S. Giust., S. Gr. Naz.). Questo Nome ha un tale potere contro l’inferno che spesso è efficace anche sulle labbra dei peccatori. (Orig.); ha il potere speciale di rallegrare il cuore (S. Lor. Giust.); come l’olio (Cantico dei Cant. I, 2) illumina, nutre, allevia i dolori (S. Bern.); è un riparo contro tutti i pericoli sia spirituali che corporali o temporali. (S. Vinc. F.). “Io sostengo”, diceva questo santo, “che l’invocazione di questo Nome guarisce anche le malattie corporali”. Tutte le grazie si uniscono nel Nome di Gesù, come i raggi focalizzati da uno specchio. Non c’è altro nome in cielo per il quale siamo salvati”. (Act. Ap. IV, 12); “a questo nome ogni ginocchio si deve inchinare in cielo, in terra e negli inferi”, (Fil. II, 10). Tutti gli uomini dovrebbero dire, come San Bernardo: “Questo Nome è miele in bocca, armonia per l’orecchio, delizia per il cuore”. – La devota invocazione di questo santo Nome è poco compatibile con il peccato mortale, perché nessuno può dire: “Signore Gesù, se non lo S. Spirito Santo” (I. Cor. XII,3), cioè senza essere in stato di grazia.

2° MOSTRANDO UN’ALTA STIMA PER OGNI COSA CHE SERVA PER IL CULTO DI DIO, SPECIALMENTE PER I SUOI MINISTRI, LE COSE E I LUOGHI SACRI, LE CERIMONIE DEL CULTO.

Dobbiamo mostrare grande stima per i ministri di Dio. Rodolfo d’Asburgo ne diede un bell’esempio: mentre andava a caccia incontrò un sSacerdote che portava il viatico a un malato; smontò immediatamente e offrì il suo cavallo al Sacerdote. Il sacerdote glielo riportò, ma lui non volle accettarlo e glielo diede. In cambio, il Ssacerdote gli predisse che avrebbe ricevuto grandi onori e felicità. 9 anni dopo (1272) fu eletto imperatore a Francoforte – Anche il pagano Alessandro Magno può servire da esempio. Il sacerdote dei Giudei era andato ad incontrarlo vestito con i suoi paramenti ed alla testa dell’intero corpo sacerdotale, il re si prostr davanti a lui. Quando gli fu chiesto perché rispose: “Non ho adorato il pontefice, ma il Dio di cui è lui il sacerdote. Dio esige questo rispetto: “Chi disprezza voi, disse Gesù, disprezza me”..(S. Luca X, 16) e l’Antico Testamento conteneva già questo ordine. “Guardatevi dal toccare i miei unti”. (1 Par, XVI, 22). Non sapete. – dice San Giovanni Crisostomo – che gli onori tributati ai Sacerdoti vanno fino a Dio”? 2 – Dio comanda anche il rispetto delle cose e dei luoghi sacri. Al roveto ardente disse a Mosè: “Non ti avvicinare; togliti i calzari, perché la terra su cui stai è sacra”. (Esodo III, 5). “Tremate davanti al mio santuario”, dice ancora (Levit. XXVI, 2); perciò era severamente vietato toccare l’Arca dell’Alleanza. (Numeri IV, 15). Non. Entrare nel mio santuario se non come nel cielo stesso, e non fare o dire mai nulla di terreno lì. (S. Nil.). La santità, Signore, deve essere l’ornamento della tua casa (Sal. XII, 5). Siamo anche tenuti a rispettare le cerimonie religiose. Santa Elisabetta d’Ungheria.portava a Messa la sua corona e non portava mai con sé alcun gioiello. In molte diocesi i fedeli rimangono sempre in ginocchio. È per rispetto al il Vangelo che lo ascoltiamo in piedi, e va da sé che la ricezione dei Sacramenti richiede il più profondo rispetto.

3. DOBBIAMO LODARE SPESSO DIO PER LE SUE INFINITE PERFEZIONI E BONTÀ, SOPRATTUTTO DOPO AVER RICEVUTO DEI BENEFICI DA LUI.

Il cantico dei tre giovani nella fornace (Dan. III) è un cantico di gratitudine, e Tobia (XI, 17) lodò Dio non appena gli si aprirono gli occhi. Zaccaria intonò il Benedictus dopo la sua guarigione, e Maria il Magnificat dopo il saluto di Elisabetta (S. Luca I). Dobbiamo quindi prendere l’abitudine di dire le belle preghiere eiaculatorie: Dio sia lodato! (Deo gratias), Gloria al Padre, ecc..

Sia lodato Gesù Cristo! E se la malattia ci rende difficile parlare, lodiamo Dio dal profondo del cuore; perché Dio, che non è corporeo, non ha bisogno del suono della voce e si contenta della nodtra volontà (S. Aug.). L’anima mia benedica il Signore e tutto ciò che è in me benedica il suo santo Nom (Sal. CII, 1). “Benedirò il Signore in ogni momento; la sua lode sarà sempre nella mia bocca” (id. XXXIII, 1). Il Nome del Signore è degno di lode dal sorgere del sole fino al tramonto (id. CXII, 3). La lode di Dio è nel nostro interesse, perché così facendo attiriamo su di noi più abbondanti benedizioni divine.

II. IL RISPETTO PER DIO PROIBISCE:

I. LA PRONUNCIA INUTILE DEL NOME DI DIO E DI ALTRI NOMI SACRI.

Molte persone hanno l’abitudine di dire: “Mio Dio! Gesù, Maria, Giuseppe ecc. Se ce l’abbiamo, dobbiamo assolutamente eliminare questo disordine e far sì che i nostri vicini ne siano consapevoli. “Quando amerete Dio, vostro Signore, con tutto il vostro cuore e vedete il suo santo Nome profanato nel modo più rivoltante, è impossibile sopportare senza indignarsi”. (S. Bern.). La pronuncia non necessaria del Nome santo di Dio o di altri nomi sacri è almeno un peccato veniale. “Non non prendere sempre in bocca il nome di Dio, altrimenti non sarai senza peccato”. (Eccli. XXIII, 10). Il Signore non riterrà innocente colui che avrà pronunciato invano il nome del Signore suo Dio. (Esodo XX, 7). Abbiamo cura dei nostri abiti di festa per non usurarli troppo in fretta; quanta cura bisogna avere per non abusare del Nome di Dio, degno del nostro massimo rispetto. (S. G. Cr.). Per un eccesso di rispetto superstizioso, i Giudei avevano persino soppresso l’uso del Nome di Dio Jéhovah e usavano solo la parola Signore, Adonaï. (Cat rom.).

2. LE IMPRECAZIONI, CIOÈ AUGURARE IL MALE IN PREDA ALL’IRA, USANDO NOMI SACRI.

I genitori irreligiosi maledicono i loro figli in questo modo; gli operai, il loro lavoro o o i loro attrezzi, pronunciando nomi sacri. Le maledizioni senza l’uso di di nomi religiosi sono gravi peccati contro la carità, ma non sono contrarie al il 2° comandamento “La bocca dei Cristiani non deve fare altro che benedire, dice San Pietro”. (I. Cp. III, 9). Come possiamo ricevere il corpo di Cristo con la stessa lingua che abusiamo per maledire e offendere Dio? – Spesso Dio punisce coloro che bestemmiano permettendo che l’imprecazione si realizzi. – S. Agostino racconta di una madre che maledisse i figli che l’avevano battuta. Essi furono colpiti da violente convulsioni, finché non cominciarono a vagare di regione in regione fino a quando, finalmente, arrivarono a Ippona, la città episcopale di S. Agostino, e furono guariti grazie alle reliquie di Santo Stefano. – S. Ignazio di Loyola chiese una volta l’elemosina ad un signore spagnolo. Il signore si arrabbiò e cominciò a proferire imprecazioni: “Che io possa bruciare il mio corpo se non meriti i ceppi! Dopo un poco nacque il bambino erede al trono, e tutti manifestarono la loro gioia con salve e fuochi d’artificio. Questo gentiluomo accese incautamente un barile di polvere da sparo e morì miseramente per le orribili ustioni. Se l’aratore ara e semina con bestemmie (imprecazioni), è giusto che i suoi raccolti siano maledetti. È forse strano che gli animali muoiano dopo essere stati maledetti? Che il lavoro non abbia successo? “L’empio ha amato la maledizione e questa ricadrà su di lui”, questa è la minaccia di Dio (Sal. CVIII,17).

Questa cattiva abitudine mette in pericolo la salvezza.

L’imprecazione è il peccato che merita l’inferno, dove si troverà per la sua punizione. Il diavolo maledice e bestemmia Dio; tuttavia, in quanto spirito, conserva un certo rispetto e timor di Dio; quando sente il Nome di Gesù trema e fugge; e l’uomo osa abusare del nome di Dio, di Gesù, del Santissimo Sacramento! Questo è un linguaggio più orribile di quello dell’inferno (S. Greg. Naz.). La lingua di un uomo ci permette di concludere sulla sua nazionalità. Si può dire se un uomo viene dall’inferno quando parla la lingua del diavolo. I Padri di S. Padri considerano l’abitudine di bestemmiare come un segno di riprovazione; “coloro che bestemmiano Dio periranno senza speranza” (Sal. XXXVI, 22), non possederanno il regno di Dio. (I Cor. VI, 10). – La gravità della maledizione dipende dalla gravità del male desiderato e dalla serietà con cui viene compiuto. Anche se leggero e sconsiderato rimane un peccato più grande della vana pronuncia del Nome di Dio, perché offende non solo il rispetto dovuto a Dio, ma anche la carità dovuta al prossimo.

3. LA PROFANAZIONE DI PERSONE, LUOGHI, COSE (O AZIONI) CONSACRATE A DIO.

Il disprezzo dei Sacerdoti ricade su Dio, perché, dice Gesù Cristo: “Chi disprezza voi disprezza me” (S. Luc X, 26); chi disprezza i Sacerdoti è quindi colpevole di un’offesa a Dio e merita la stessa punizione dei Giudei che insultarono e disprezzarono il Figlio di Dio. “Ogni sorta di male deriva dalla mancanza di rispetto per i ministri di Dio” (S. G. Cris.); lo vediamo già nell’Antico Testamento nella punizione inflitta a questi bambini, divorati da un’orsa per aver deriso il profeta Eliseo. (IV Re, II, 24). – Le chiese sono profanate da un comportamento disordinato (ridere, chiacchierare, girarsi), dagli sputi (soprattutto vicino all’altare, e vicino al banco della comunione). “Chi è indecente in chiesa se ne va con un peccato più grave di quello con cui è entrato. (S Ambr.). I peccati commessi nella casa di Dio lo feriscono di più; così Gesù, la dolcezza in persona, scaccia con indignazione i venditori ed i compratori dal tempio, dicendo: “La mia casa è una casa di preghiera e voi ne avete fatto un covo di ladri (Matteo XXI, 13). Chi profana il tempio di Dio sarà confuso (I Cor. III,17). – Siamo tenuti ad avere lo stesso rispetto per le cose sacre. Quando Davide trasportò l’arca dell’alleanza a Gerusalemme, Oza fu colpito a morte anche solo per averla toccata (e anche allora con l’intenzione di impedire che cadesse) (II Re VI, 7). – Il re Uzzia fu colpito dalla lebbra perché aveva avuto la presunzione di entrare nel santuario per offrire l’incenso (Paral. XXXVI). Il disturbo e la derisione degli atti religiosi è molto peccaminoso; questo fu il peccato dei figli di Heli che disturbavano i sacrifici e rubavano le vittime. (I. Re II). Questo peccato non è raro al giorno d’oggi dove vediamo gli empi disturbare i sermoni, le funzioni, le processioni con azioni chiassose, insultando i Sacerdoti che portano il viatico, o facendo degli atti religiosi l’oggetto del loro scherno.

4. BESTEMMIA. Si commette con parole oltraggiose contro Dio, i suoi Santi e gli oggetti consacrati al culto (S. Th. Aq.).

Giuliano l’apostata non chiamava il Figlio di Dio altro che il Galileo: è ripetendo questa bestemmia: “Hai vinto, Galileo” che spirò sotto un colpo di lancia). Ahimè, ci sono molte persone empie che pronunciano bestemmie; anche le persone cosiddette pie bestemmiano quando, ad esempio, affermano nelle loro prove che Dio li sta castigando più di quanto essi meritino. È una bestemmia parlare in modo sprezzante di Dio, come Alfonso d’Aragona che disse: “Se fossi stato presente alla creazione, avrei fatto notare a Dio molte cose che dovevano essere cambiate”. È ancora bestemmiare l’attribuzione ad una creatura in attributo di Dio (S. Bonav.). Il popolo bestemmiava quando applaudendo al discorso di Erode Agrippa, gridava: “È la voce di un dio non di un uomo “(Act. Ap. XII, 23). Questo era il peccato familiare dei Giudei: “Il mio nome – dice Dio attraverso il profeta Isaia (LII, o) – viene bestemmiato continuamente per tutto il giorno. Anche l’insulto ai Santi è una bestemmia; poiché Dio deve essere lodato nei suoi Santi (Sal.CL, 1); l’insulto fatto a loro può essere ricondotto a Lui (S. Th. Aq,).

Si può considerare in questa categoria il Sacrilegio o profanazione di una cosa destinata al culto di Dio.

Nei Paesi veramente civilizzati questi atti sono puniti dalla legge civile. -Questo fu il peccato del re babilonese Bàlthasar, che profanò i vasi sacri in stato di ebbrezza, bevendo in essi. (Daniele V). Questo è il peccato di coloro che calpestano e maledicono le immagini, che mutilano le croci e le statue, così come è un crimine di lesa-maestà trattare in questo modo le statue di un sovrano! – È particolarmente sacrilego ricevere i Sacramenti in modo indegno, rubare i beni della Chiesa, rubare da una proprietà della Chiesa, o rubare in un luogo sacro. Si dice che i massoni che si procurano le ostie consacrate o da ladri o da empi che ricevono la Comunione, poi commettano gli oltraggi più infami contro di esse: sono le messe nere, un’opera assolutamente satanica. – La bestemmia e il sacrilegio sono peccati veramente diabolici e della massima gravità. La bestemmia è il peccato proprio dei demoni e dei reprobi. (S. Th. Aq.). Come Dio parla attraverso la bocca dei buoni, così satana parla attraverso la bocca dei bestemmiatori.(S. Bernardino). – Questo è peggiore di un cane: un cane non morde la mano del suo padrone, anche quando viene castigato da questo, a causa del cibo che riceve; il bestemmiatore sbava su Dio che l’ha ricoperto di tante benedizioni, perché le prove sono anch’esse una benedizione (S. Bern.). Quando a San Policarpo (+ 167) fu chiesto di rinnegare Cristo, egli rispose: “L’ho servito per 86 anni e non mi ha mai fatto il minimo male. Come potrei bestemmiare il mio Dio e il mio Salvatore!? – Tutti gli altri peccati sembrano leggeri in confronto a questo (S. Ger.); la maggior parte degli altri peccati attaccano solo l’immagine di Dio, la bestemmia attacca direttamente Dio. – Il bestemmiatore pronuncia i suoi insulti contro il Santo d’Israele (IV. Rois XIX, 22); è più grave del furto e dell’omicidio, peggiore della lesa-maestà, perché esso oltraggia il Re dei Re. Insultare un buon principe è un crimine, ma che crimine insultare la bontà suprema (S, Aug.). La maggior parte degli altri peccati hanno origine nell’ignoranza o nella debolezza umana, la bestemmia nasce dalla malizia del cuore (S, Aug. (S. Bern.); gli altri peccati si procurano un vantaggio: la superbia la stima degli uomini, l’avarizia per il denaro, l’intemperanza per il gusto del cibo; il bestemmiatore non ha alcun profitto, non ha alcun piacere. (S, Bern.). – Presso i Giudei questo crimine era punibile con la morte. La bestemmia è sempre un peccato mortale a meno che non l’abbiamo pronunciata senza riflettere o in preda ad un’eccitazione che ci ha tolto il senso di colpa (S. Th. Aq.). Come, grida S. Efrem: “non avete paura del fuoco che cade dal cielo per divorarvi, voi che aprite la bocca contro l’Onnipotente?” Dio punisce terribilmente la bestemmia all’inferno, e spesso già in questa vita; è punita anche nel codice di molte nazioni civilizzate. Non ci si fa beffe di Dio impunemente. (Gal. VI, 7). Balthasar aveva appena profanato i vasi sacri che la sua condanna fu scritta sul muro da una mano vendicatrice: la stessa notte i nemici presero la città, lo uccisero nel suo letto e distrussero il suo impero. (Dan., V). Anche il re d’Assiria, Sennacherib, aveva bestemmiato Dio nella campagna contro gli Israeliti. L’angelo sterminatore uccise 200.000 dei suoi soldati, costringendolo a ritirarsi ed egli stesso morì per mano dei suoi figli (IV. Re XIX). Michele III, l’imperatore di Costantinopoli, fece in un giorno dell’Assunzione parodiare i sacramenti al circo; quella stessa notte si verificò un terremoto e fu ucciso dai suoi figli nel bel mezzo di un banchetto. Erode Agrippa, che si era fatto chiamare Dio, fu immediatamente colpito da violenti dolori alle viscere e morì divorato vivo dai vermi (Act. Ap. XII, 21). Un israelita aveva bestemmiato nel deserto. Mosè lo fece immediatamente arrestare e chiese al Signore quale sorte dovesse essergli inflitta. Che tutto il popolo – rispose a Mosè Dio – Che tutto il popolo lo lapidi”. (Lev. XXIV, 14). Lo stolto che scaglia una pietra contro il cielo non può raggiungere le stelle, ma si espone al pericolo di vederla cadere su di sé, così il bestemmiatore non raggiunge l’oggetto celeste che attacca, ma porta su di sé la vendetta divina. Il bestemmiatore stesso affila la spada che lo colpirà (S. G. Crys ). Chi insulta il fratello merita, secondo Gesù, il fuoco eterno (S. Matth. V, 22), tanto più chi insulta il suo Dio. La Legge di Mosè puniva con la morte chiunque maledicesse il padre o la madre (Esodo XXI, 17), e questo in un’epoca in cui gli uomini conoscevano Dio in modo molto imperfetto. Qual è dunque la pena punizione per coloro che insultano non i loro genitori, ma il loro Dio, ora che la conoscenza di Dio deve essere ed è più perfetta? (S. G. Cris.) Secondo le consuetudini dei diversi tempi, il diritto civile puniva severamente la bestemmia. S. Luigi, re di Francia, fece tagliare la lingua dei bestemmiatori con un ferro rovente; la punizione fu applicata per la prima volta ad un ricco borghese di Parigi e fu un esempio salutare. Se il reato dell’offesa al Capo dello Stato merita una pena, lo stesso vale per l’offesa al Sovrano Signore. (S. G. Cris.). Una volta fu chiesto a san Girolamo perché riprendesse con tanto zelo un bestemmiatore: “I cani”, rispose, “abbaiano per difendere il loro padrone, ed io sarei muto quando il nome del mio Dien viene profanato? Sarò ucciso, ma non sarò messo a tacere”.

5. SIMONIA. Consiste nel comprare cose sacre in cambio di denaro o per cose stimabili al prezzo di denaro.

La simonia era il flagello del Medioevo; vescovati e benefici venivano conferiti al miglior offerente. Sarebbe simonia offrire a un Sacerdote del denaro per l’assoluzione, comprare o vendere reliquie, vendere rosari o oggetti benedetti a prezzi più costosi di altri. Questo vizio prende il nome da Simone il mago che vide gli Apostoli conferire lo Spirito Santo con l’imposizione delle mani, ed offrì loro del denaro dicendo loro: “Date anche a me questo potere, perché ognuno di quelli sui quali imporrò le mani riceva lo Spirito Santo”. (Atti VIII, 19). – Il simoniaco è punito con la scomunica. (Pio IX 12 ottobre 1869); è a lui che si applicano le parole di San Pietro a Simon mago: “Che il tuo denaro perisca con te, tu che hai creduto che il dono di Dio si possa acquistare con il denaro”. (Act. Ap.). Perdiamo lo S. Spirito sa to cercando di comprarlo. (S. P. Dam.). Tuttavia, il fatto di dare una somma di denaro a un Sacerdote per un’intenzione di Messa non è simonia, non più più di quanto non lo sia fare l’elemosina ad un povero e chiedergli di pregare per noi. Nemmeno il casuale (compenso per le stole) dei Sacerdoti è simoniaco, perché non è il pagamento di una cosa sacra, ma solo un contributo al mantenimento del clero. Se ci fosse simonia in questo, San Paolo non avrebbe detto:”I ministri del tempio mangiano di ciò che viene offerto nel tempio e coloro che servono l’altare partecipano all’oblazione dell’altare”. Il Signore ha anche comandato a coloro che annunciano il Vangelo di vivere di Vangelo (I. Cor. IX, 13).

6. PER RIPARARE ALLE BESTEMMIE E SGLI OLTRAGGI CONTRO DIO, I PII CRISTIANI ISTITUIRONO LA DEVOZIONE DEL VOLTO SANTO.

La tradizione cristiana racconta che il volto del Salvatore è stato impresso sul velo presentatogli dalla Veronica (corruzione di Berenice) sulla via del Calvario. Si dice che Santa Veronica abbia donato questa reliquia a S. Clemente, il discepolo e successore di S. Pietro; da allora si trova a Roma ed è conservata a S. Pietro (Fu esposta nel 1849 e fece miracoli). Questo velo reca distintamente i lineamenti del Salvatore: si vede come i suoi carnefici lo abbiano orribilmente sfigurato; è un’immagine delle offese fatte a Dio e ci riempie di santa compassione e di profondo pentimento. In passato, i Papi proibivano di fare riproduzioni, ma nei tempi moderni hanno abrogato questo divieto, e la devozione al Volto Santo, favorita da Dio con numerose grazie, si è diffusa rapidamente. Ad Alicante questa devozione ha guadagnato popolarità dopo una lunga siccità (1849). A Tours gli sforzi di un pio cristiano, M. Dupont, (+ 1876) hanno portato all’erezione della Confraternita del Volto Santo, il cui scopo è quello di riparare alla bestemmia è fu eretta da Leone XIII come arciconfraternita. Santa Gertrude racconta nelle sue rivelazioni che Gesù Cristo le disse: Coloro che venerano l’immagine della mia umanità (del mio volto) saranno illuminati dallo splendore della mia divinità fino al fondo della loro anima”. Si dice anche che abbia detto alla suora S. Pierre (1845): “Poiché in ogni paese è possibile procurarsi una moneta che reca l’impronta legale, così tutto si può ottenere da me con la preziosa moneta del mio Volto Santo” … e ancora: “Più voi farete ammenda onorevole al mio Volto sfigurato, quanto più io ripristinerò l’immagine di Dio sfigurata dal peccato nello splendore del Battesimo”.

IL CATECHISMO DI F. SPIRAGO (XXVI)

IL CATECHISMO DI F. SPIRAGO (XXIV)

IL CATECHISMO DI F. SPIRAGO (XXIV)

CATECHISMO POPOLARE O CATTOLICO SCRITTO SECONDO LE REGOLE DELLA PEDAGOGIA PER LE ESIGENZE DELL’ETÀ MODERNA

DI

FRANCESCO SPIRAGO

Professore presso il Seminario Imperiale e Reale di Praga.

Trad. fatta sulla quinta edizione tedesca da Don. Pio FRANCH Sacerdote trentino.

Trento, Tip. Del Comitato diocesano.

N. H. Trento, 24 ott. 1909, B. Bazzoli, cens. Eccl.

Imprimatur Trento 22 ott. 1909, Fr. Oberauzer Vic. G.le.

SECONDA PARTE DEL CATECHISMO:

MORALE (5).

4. IL CULTO DEI SANTI.

Chiamiamo santi tutti coloro che sono morti in stato di grazia e che quindi sono in cielo ma soprattutto quelli che la Chiesa ha canonizzato.

La canonizzazione di per sé non ha il potere di ammettere nessuno in cielo; è la dichiarazione solenne del Papa, a nome della Chiesa, che una tale o tale persona (dopo un’indagine sull’intero corso della sua vita) ha vissuto una vita santa che (in base ai miracoli provati da essa operata) è in cielo e che dovrebbe essere venerata dalla Chiesa cattolica. La canonizzazione è sempre preceduta dalla beatificazione, che permette al santo di essere venerato da una parte della Chiesa, mentre la canonizzazione riguarda tutta la Chiesa. L’indagine sulla vita e sui miracoli di coloro che sono stati proposti per la canonizzazione è condotta da una giuria composta da cardinali, avvocati, medici e studiosi, e può avvenire solo 60 anni dopo la morte del santo. – A causa del loro numero, la differenza di luminosità e il fatto che la loro vita è più celeste che terrena, i santi possono essere paragonati alle stelle; alle pietre preziose, perché sono rari tra gli uomini, preziose agli occhi di Dio; a pecore, perché per carità si sono sacrificate per i loro simili; ai cipressi il cui legno non marcisce mai, perché hanno evitato la corruzione del peccato; ai cedri del Libano per la loro perfezione; al giglio odoroso, perché le loro virtù si diffondono come profumo tra gli uomini; all’incudine, che resiste ai colpi di martello, perché sono rimasti invariabilmente saldi, nonostante i colpi del destino (S. Efr.); al paradiso terrestre che era irrigato da 4 fiumi, perché possedevano le quattro virtù cardinali (S. Isid.); sono le colonne della Chiesa, perché la sostengono con le loro preghiere. (S. Cris.); sono per la Chiesa ciò che le torri sono per le città; le danno forza e grandezza.

La Chiesa desidera che veneriamo pubblicamente i Santi da essa canonizzati.

La Chiesa sa che il culto dei Santi è buono ed utile per noi (Conc. de Tr. 25); Perciò approfitta di ogni circostanza per incoraggiarci a farlo, dà ad ogni nuovo membro della Chiesa il nome di un Santo, come fa per la Cresima; in ogni giorno dell’anno, ricorda nel suo ufficio la memoria di uno o più santi; espone immagini di santi nelle sue chiese e li invoca nelle sue funzioni (messa, litanie, ecc.).

1. NOI ONORIAMO I SANTI PERCHÉ SONO GLI AMICI DI DIO, I PRINCIPI DEL CIELO ED I NOSTRI BENEFATTORI; IN PIÙ QUESTO ONORE CI PROCURA MOLTE GRAZIE DA DIO.

Onoriamo i santi perché saranno sempre amici e servitori di Dio. Chi onora un capo di Stato onora anche i suoi servitori, ministri, rappresentanti, ecc. Onoriamo i servitori perché questo onore si riflette sui padroni. Ed è questo il motivo per cui sono amati sopra ogni cosa sulla terra (Sant’Alfonso). Durante la loro vita, i Santi hanno rifuggito dagli onori; sono stati disprezzati, vituperati e perseguitati Dio vuole quindi che le loro virtù risplendano e che siano venerati da tutta la cristianità. (Cochem). Dio vuole anche che i fedeli di ordine inferiore ottengano la loro salvezza eterna per mezzo di quelli di ordine superiore. (S. Th. d’Aq.). Dio stesso onora i Santi ed opera meraviglie attraverso la loro intercessione e spesso punisce in modo eclatante coloro che li deridono. Gesù Cristo stesso ha detto: “Se qualcuno mi serve, il Padre mio lo onorerà”. (S. Giovanni, XÏJ, 26). – Noi onoriamo i Santi per il posto d’onore che occupano in cielo. Se già rendiamo onori così grandi ai governanti con cui Dio governa la terra, quanto più dovremmo onorare gli spiriti celesti di cui si serve per guidare la sua Chiesa, interi popoli, nonché per la salvezza degli uomini, e che di conseguenza sono di gran lunga superiori in dignità ai re (Cat. rom.). La maggior parte dei Santi hanno meritato il bene dell’umanità. Alcuni hanno estirpato il paganesimo nei nostri Paesi (come San Martino in Gallia, san Bonifacio in Germania); altri hanno preservato la fede per noi (Sant’Ignazio di Loyola fondando la Compagnia di Gesù) o hanno scritto libri di grande valore (ad esempio, sant’Agostino e san Francesco di S.). Dio spesso risparmia gli uomini per amore dei Santi: Sodoma sarebbe stata sarebbe stata risparmiata se ci fossero stati 10 giusti. (Gen. XVIlï, 32). Dio ha benedetto tutta la casa di Putifar a causa di Giuseppe (I. Gen. XXXIX( 5). 11 lasciò il suo regno a Salomone, Salomone, nonostante la sua perversione, a causa dei meriti di Davide (III Re XI, 12), e i giorni del giudizio saranno abbreviati a causa degli eletti. (S. Matth, XXIV, 22). I Santi pregano Dio dopo la loro morte per i loro parenti ed il loro popolo. Il profeta Geremia, dopo la sua morte, non smise di pregare per il popolo ebraico e per la città santa. (II. Mach. XV, 14). I Santi in cielo e i Cristiani sulla terra sono membri dello stesso corpo. Quando un membro soffre, tutti gli altri soffrono con lui e si sostengono a vicenda, ed è per questo che i Santi in cielo ci sostengono con le loro preghiere. (S. Bonav.). Grandi onori vengono tributati agli uomini che si sono dedicati ai loro contemporanei; si erigono loro statue, si celebrano i loro meriti in discorsi e canti, ed i loro nomi vengono dati ad istituzioni, città, monti e strade. Il faraone ha ricoperto Giuseppe di onori per i suoi servizi all’Egitto ed i Santi sono stati tra i maggiori benefattori dell’umanità. Certamente onoreremmo chi ci ha salvato da un naufragio, a maggior ragione dobbiamo onorare chi ha sopportato tanto dolore per salvarci dalla morte eterna. – Il culto dei Santi è sommamente utile (Concilio di Trento, 25); ci ottiene molti benefici da Dio e soprattutto la pronta risposta alle nostre preghiere. Quando desideriamo un favore da un sovrano della terra, lo otteniamo molto più sicuramente e prontamente attraverso uno dei suoi ministri. Così è con Dio, e più intercessori abbiamo, meglio è. DIO può concedere a molti Santi ciò che avrebbe rifiutato ad uno solo, così come un abate non rifiuterà facilmente un favore che gli viene chiesto da tutti i religiosi dell’abbazia. I mendicanti di una città chiedono il pane di strada in strada. Così nella città celeste dobbiamo passare per le strade degli Apostoli e dei martiri, vergini e confessori per chiedere la loro intercessione presso Dio. (S. Bonav.).

2. NOI ONORIAMO I SANTI, CHIEDENDO A DIO LA LORO INTERCESSIONE PRESSO DIO, CELEBRANDO ANNUALMENTE LE LORO FESTE, VENERANDO LE LORO IMMAGINI E RELIQUIE; PORTANDO I LORO NOMI, METTENDO LE COSE IMPORTANTI SOTTO LA LORO PROTEZIONE, LODANDO I LORO MERITI IN DISCORSI E NEGLI INNI. MA IL MODO MIGLIORE PER ONORARE I SANTI CONSISTE NELL’IMITAZIONI DELLE LORO VIRTÙ.

Dobbiamo essere compagni dei Santi in cielo, così da essere uniti a loro apparteniamo alla stessa grande famiglia, alla comunione dei santi; essi si interessano a noi, soprattutto se li invochiamo, cioè se chiediamo loro di intercedere per noi presso Dio. Invocandoli, riconosciamo il valore delle loro preghiere, è quindi allo stesso tempo un’espressione del nostro rispetto. – Celebriamo la festa dei Santi. I primi Cristiani annotavano il giorno della morte dei martiri, in modo da poterla celebrare annualmente. (S. Cipr. Il mondo celebra giubilei di eventi importanti; perché la Chiesa non dovrebbe farlo? Tuttavia, la maggior parte delle feste dei Santi sono celebrate senza solennità, solo alcune, secondo le usanze di ogni paese, sono giorni festivi. – Veneriamo i ritratti dei nostri genitori, quelli dei sovrani o degli uomini famosi ; ci piace ricordare i membri della nostra famiglia; custodiamo oggetti appartenuti a uomini famosi, della armi di eroi, l’aratro dell’imperatore Giuseppe II); i francesi hanno perfino un tempio a Parigi, il Panthéon, in cui sono sepolti i loro grandi uomini; questa venerazione dovrebbe a maggior ragione essere estesa alle immagini e alle reliquie dei Santi. – Ci piace dare a città, musei e istituzioni il nome di uomini famosi; quindi è giusto chiamarci con il nome di un Santo quando siamo battezzati, cresimati o ammessi a un ordine religioso. – Nel mondo, un’impresa importante è solitamente posta sotto il protettorato di un grande personaggio; ed è così che i Cristiani costruiscono le loro chiese, i loro altari, le loro città e i loro paesi sotto il protettorato dei Santi, che vengono chiamati “patroni”. – In tutto il mondo, gli uomini famosi sono ricordati con il loro nome e in loro onore si compongono cantate; la Chiesa fa lo stesso per i suoi Santi, celebrando la loro memoria con panegirici ed inni. – Ma la cosa più importante è imitare i Santi. “Onorare i santi senza imitarli significa adularli falsamente”. (S. Aug.) La lettura delle vite dei Santi è un modo perfetto per onorarli, se le leggiamo con il desiderio di prenderle a modello.

3. IL CULTO DEI SANTI NON È UNA RIDUZIONE DEL CULTO DOVUTO A DIO, PERCHÉ NOI ONORIAMO I SANTI SOLO A CAUSA DI DIO, NON LI ONORIAMO COME DIO, MA COME SERVI DI DIO.

Onorando i Santi, non diminuiamo in alcun modo il culto di adorazione che dobbiamo a Dio. Chi oserebbe affermare che il rispetto dovuto al sovrano sarebbe diminuito da quello accordato a sua madre, ai suoi figli, ai suoi amici? Al contrario, non farebbe che aumentarlo (S. Ger.). La venerazione dei Santi non è una diminuzione dell’adorazione di Dio come l’amore del prossimo non è una diminuzione della carità; l’una si rinforza con l’altra. (S. Ger.). Onoriamo i santi per Dio, perché sono l’immagine della sua santità, e come veneriamo l’immagine del sovrano, perché è una sua riproduzione, così veneriamo i Santi perché sono l’immagine fedele di Dio. La venerazione dei Santi vale anche per l’amore per il prossimo: noi amiamo il nostro prossimo solo perché è immagine e figlio di Dio. Inoltre, onoriamo i Santi perché sono stati strumenti di Dio per compiere azioni nuove e straordinarie. (S. Bern.). Non possiamo nemmeno onorare i Santi per se stessi, perché il merito delle loro opere appartiene a Dio, perché è stato Lui ad aiutarli a compierle. Non è il pennello a meritare il merito di un quadro, né la penna di una bella scrittura, né alla lingua quello di un bel discorso. Dio è dunque ammirevole nei suoi Santi (S. Bern.). Ecco perché la Beata Vergine non dice: “Ho fatto grandi cose”, ma “L’Onnipotente ha fatto grandi cose in me”. (S. Luc. I, 48). Quindi il disprezzo dei Santi è rivolto a Dio come loro culto. Gesù Cristo considera il disprezzo dei suoi Apostoli come diretto contro se stesso (S. Luc X, 10) e un atto di durezza verso il prossimo come commesso contro se stesso. (S. Matth. XXV, 40). A maggior ragione Dio dovrebbe risentire del disprezzo per i Santi, perché li ama molto più di tutti gli uomini della terra. “Chi onora i Santi onora Gesù Cristo stesso, e chi li disprezza disprezza Gesù Cristo” (S. Ambr.) – C’è un’altra ragione per cui il culto dei Santi non è un insulto a Dio: l’omaggio che rendiamo loro è assolutamente diverso da quello che rendiamo a Dio. Noi adoriamo Dio e non i Santi; sappiamo che c’è una distanza infinita tra Dio e i Santi, perché i Santi, che sono superiori a noi in dignità, sono tuttavia solo creature come noi. Noi ci limitiamo a venerare i santi come si fa sulla terra agli uomini di grande merito, o a quella che abbiamo per i pii servitori di Dio quaggiù, ma è tanto più profondo in quanto è rivolto ai Santi che sono entrati nella vita eterna come vincitori. (S. Aug.) I Santi rifiutano l’adorazione: quando Tobia e la sua famiglia si inginocchiarono davanti all’Arcangelo Raffaele, l’Arcangelo disse loro: “È Dio che dobbiamo glorificare e di cui dobbiamo cantare le lodi!” (Tob. XII, 18). Quando San Giovanni Evangelista cadde alle ginocchia dell’Angelo, quest’ultimo gli disse: “Non fare così, ma adora Dio”. (Apoc. XiX, 10). Quando ci inginocchiamo davanti alle tombe o alle immagini dei Santi, li adoriamo come un servo adora il suo padrone quando si inginocchia davanti a lui per ottenere un favore. Quando facciamo celebrare delle Messe in onore dei Santi, o dedichiamo loro chiese e altari, ci rivolgiamo a Dio solo, e chiediamo ai Santi di aiutarci con le loro preghiere ad ottenere da Lui le grazie di cui abbiamo bisogno che gli chiediamo in questa santa Messa, in questa chiesa e su questo altare; oppure ringraziamo Dio per aver condotto i suoi Santi in modo così mirabile alla santità.. Quindi il culto dei Santi non è idolatria. – Né la venerazione dei Santi è un atto di sfiducia nei confronti di Gesù Cristo, il nostro mediatore. È piuttosto un segno di sfiducia in noi stessi, un segno di umiltà. Non osando, vista la nostra indegnità, rivolgerci noi stessi a Gesù Cristo, ci rivolgiamo ad un intercessore le cui preghiere sono più potenti delle nostre.

4. È UTILE INVOCARE, NELLE DIVERSE CIRCOSTANZE DELLA VITA, DEI SANTI SPECIALI.

Questa utilità è dimostrata dai fatti. Per ottenere una buona morte, preghiamo S. Giuseppe (perché morì assistito da Gesù e Maria), per i bisogni materiali (fu il padre adottivo di Gesù Bambino); contro il pericolo del fuoco, S. Floriano (che annegò per la sua fede); S. Biagio (che ha miracolosamente guarito un bambino con una spina in gola) è invocato per le malattie del collo; S. Odile (che recuperò la vista quando fu battezzata) per le malattie degli occhi. S. Rocco (che curò e guarì gli appestati) contro la peste. S. Giovanni Nepomuceno (che morì come martire per il segreto della confessione), quando si è bersaglio di calunnie; S. Antonio di Padova (che si fece rubare un’opera finita e le cui preghiere ottennero che il rimorso costringesse il ladro a restituire l’oggetto rubato) a ritrovare le cose perdute, ecc. Sembra che Dio abbia concesso ad alcuni Santi un potere speciale per aiutare in certe necessità. (S. Th. d’Aq.). Possiamo concludere da alcune preghiere miracolosamente esaudite, che i Santi sono particolarmente interessati a persone che si trovano in una situazione simile alla loro, ai luoghi in cui vivevano o allo stato che professavano.

5. lL CULTO SOVRAEMINENTE DELLA MADRE DI DIO.

Le figure della Vergine nell’Antico Testamento erano l’albero della vita nel paradiso terrestre che doveva comunicare la vita all’umanità; l’Arca che salvò l’umanità dal diluvio; l’arca dell’alleanza che conteneva la manna; il tempio di Gerusalemme, che all’esterno era di un bianco abbagliante e risplendente (Maria era pura da ogni contaminazione e piena di amore divino); Giuditta, che uccise Oloferne, il nemico giurato del suo popolo; la regina Ester, esentata dalla legge comune (Maria era esentata dalla legge del peccato originale) e che, attraverso la sua mediazione salvò il suo stesso popolo in esilio; la madre dei sette fratelli Maccabei, che assistette alla morte dei suoi 7 figli e che (come Maria) ebbe il cuore trafitto da 7 frecce. – I santi evangelisti ci raccontano ben poco della vita della Beata Vergine. (Nel linguaggio teologico, questo culto superiore è chiamato iperdulico, dal greco per servizio superiore.). Di solito chiamiamo Maria la Madre di Cristo, Madre di Dio o Beata Vergine. – Già Santa Elisabetta chiamava Maria “Madre di Dio” (S. Luc. 1, 43), e il Concilio di Efeso (431) confermò il titolo di Madre di Dio contro l’eresia di Nestorio. Maria ha dato alla luce Colui che è Dio e uomo in una sola Persona. – Il bambino riceve la sua anima da Dio e tuttavia colei che lo partorisce è chiamata sua madre. Allo stesso modo Maria è giustamente chiamata Madre di Dio, anche se non ha dato la divinità a suo Figlio. – Maria è giustamente chiamata “Vergine beata”. Le parole rivolte all’Angelo provano la sua volontà di rimanere vergine (S. Luc I, 34)., e il profeta Isaia aveva già predetto che il Salvatore sarebbe nato da una vergine (Is. VII, 14). È il titolo che le conferisce il simbolo degli Apostoli: Maria concepì Gesù Cristo da vergine; partorì da vergine e rimase vergine. (S. Aug.). Così come il roveto ardente non fu distrutto dal fuoco, allo stesso modo la verginità di Maria non fu danneggiata dalla nascita di Cristo; così come Gesù Cristo è apparso in mezzo agli Apostoli, anche se le porte erano chiuse, allo stesso modo è venuto al mondo senza danneggiare la verginità di sua Madre. (S. Aug.). Egli è come un raggio di sole che passa attraverso il cristallo senza frantumarlo. (S. Aug.); questo cristallo rappresenta Maria, che è la finestra del cielo attraverso la quale Dio ha lasciato trasparire la vera luce (S. Cris.). Maria è la Vergine delle vergini (lit. lauret.). – I fratelli di Gesù Cristo (S. Matth. XIII, 55) sono i parenti di Cristo. Abramo chiamò suo nipote Lot suo fratello. (Gen. XIII, 8). Perché Gesù Cristo sulla croce avrebbe raccomandato sua Madre a San Giovanni, se avesse avuto altri figli che avrebbero potuto prendersi cura di lei? (S. Cris.). Gesù Cristo è stato chiamato il primogenito, cioè colui che secondo la legge (Esodo XIII, 2) doveva essere consacrato a Dio. Gesù Cristo era veramente il primo dei figli di Maria (Rm VIII, 29); Ella ne ha ancora molti altri, questi sono i Cristiani. (Sant’Alfonso). Maria sposò Giuseppe secondo un ordine divino solo per non essere lapidata e perché avesse qualcuno che si prendesse cura di lei e del divino Bambino. (S. Ger.). Si sottopose alla purificazione nel Tempio come Gesù alla circoncisione. Maria è una parola ebraica che significa donna o sovrana. (S. Pier Chris., Giovanni Dam.), Maria significa anche illuminata o illuminatore (S. Bern., S. Bonav.).

Noi onoriamo Maria, la Madre di Dio, con un culto diverso da quello degli altri Santi.

Maria era già molto onorata in vita dall’Angelo all’Annunciazione dell’Incarnazione: la chiamò piena di grazia e benedetta tra le donne (S. Luc I, 26). È un grande onore per l’uomo poter offrire i propri omaggi ad un Angelo che gli appare; nell’Annunciazione, non è l’uomo che onora l’Angelo, ma l’Angelo che saluta l’uomo. Ne consegue che Maria era una creatura superiore all’Angelo. (S. Th. Aq.). Maria non è stata meno onorata da santa Elisabetta: l’ha chiamata benedetta e Madre di Dio (Ibid. 42). Maria stessa aveva avuto una premonizione degli onori di cui sarebbe stata oggetto: “Tutte le generazioni – disse – mi chiameranno beata”. (Ibid. 48). La Chiesa ci esorta a questo culto speciale, poiché raramente dice il Padre Nostro senza aggiungere l’Ave Maria; suona la campana tre volte al giorno per ricordare l’Annunciazione dell’Incarnazione e il culto dovuto in suo onore; fa recitare le Litanie della Beata Vergine durante le funzioni pubbliche. Alla Madonna dedica due mesi, il mese di maggio, il più bello dell’anno, ed ottobre, come mese del Rosario; le ha dedicato numerose chiese, molte delle quali sono diventate famose come luoghi di pellegrinaggi, come Lourdes, Loreto, Maria Zell in Austria, Kevelær nella Prussia renana, Einsiedeln; titoli gloriosi come Mediatrice di tutte le grazie, Madre della Misericordia, Rifugio dei peccatori, Aiuto dei Cristiani, Regina del cielo, ecc. – Questo culto superiore (iperdulia) non è adorazione. “Noi onoriamo Maria -dice sant’Epifanio – ma adoriamo solo il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo”.

1. NOI ONORIAMO MARIA IN MODO SPECIALE PERCHÉ È LA MADRE DI DIO E LA NOSTRA MADRE.

Chi ama veramente Dio onora certamente la Madre di Dio, e più dei Santi che sono solo suoi amici.

Gli onori tributati alla madre di un re salgono al figlio stesso. Dalla devozione a Maria possiamo quindi dedurre il grado di carità (perfezione) di un Cristiano; e infatti i più grandi Santi sono stati i più devoti servitori di Maria. – Maria è veramente nostra madre, perché Gesù ce l’ha donata sulla croce. Le parole che rivolse a Giovanni: “Ecco tua madre” (S. Giovanni XIX, 27) vale per tutti i Cristiani, perché Giovanni li ha rappresentati tutti sul Calvario. (S. Aug.). Maria è la seconda Eva, quindi la seconda madre del genere umano. La prima l’ha persa con la sua disobbedienza, la seconda l’ha salvata con la sua sottomissione (S. Iren.). Una donna ha portato la morte nel mondo, un’altra ha riportato la vita. (S. Bern.). Maria è quindi anche la madre della Chiesa. – Maria, essendo nostra madre si preoccupa della nostra salvezza più di tutti gli altri Santi. (S. Germ.). L’amore di tutte le madri non arrivano all’amore di Maria per uno dei suoi figli (S. Bern.), e Maria ci ama tanto, perché tra tutti i Santi è animata dal più grande amore di Dio e di conseguenza dal più grande amore per il prossimo. Come la luna supera tutte le stelle, così l’amore di Maria per noi supera quello di tutti i Santi, e come il mare accoglie le acque di tutti i fiumi, il cuore di Maria contiene la carità di tutti i Santi. Maria conosce le nostre necessità; le conoscono anche gli Angeli (S. Luca XV, 7), e non è possibile che gli Angeli abbiano una conoscenza maggiore di quella della loro Regina. – Un bambino che ama sua madre. Ama la sua società, ed un buon Cristiano troverà piacere nella devozione a Maria.

2. NOI RENDIAMO UN CULTO SPECIALE A MARIA PERCHÉ DIO STESSO LA ONORA PIÙ DI TUTTI GLI ANGELI E DI TUTTI I SANTI.

I sovrani concedono privilegi alle città in cui sono nati o sono stati incoronati. Così il Re del cielo ha concesso a sua madre privilegi speciali.

Dio ha scelto Maria per essere la Madre di suo Figlio; l’ha preservata dalla macchia del peccato originale, risuscitò gloriosamente il suo corpo e la incoronò Regina del Cielo.

L’Angelo più perfetto non può dire a Dio: “Figlio mio!”. Che privilegio! Maria è veramente una madre ammirevole (Lit.), non solo perché è sia vergine che madre, perché è Madre degli uomini, ma anche perché è la Madre del Creatore e ha dato alla luce Colui che l’ha creata. Maria è il miracolo dei miracoli e nulla di ciò che esiste, tranne Dio, è bello come Lei (S. Isid.). – La sua purezza immacolata (preservazione da ogni peccato), è stata predetta nel Paradiso (Gen. III, 15) dalla maledizione rivolta al serpente: “Ti schiaccerà la testa”, e proclamata dall’Arcangelo Gabriele che la salutava piena di grazia..(Se Maria doveva schiacciare il serpente, non poteva prima essere sotto il suo dominio attraverso il peccato). Solo la dignità di Cristo esige questa purezza assoluta da Maria; quando Dio chiama qualcuno ad una posizione elevata, lo rende degno di essa, e il Figlio di Dio, che ha chiamato Maria alla maternità divina, non ha mancato di renderla degna di essa per grazia (S. Th. Aq.). Un uomo non abbandona al suo più mortale nemico la casa che ha costruito per sé, a maggior ragione lo Spirito Santo non ha consegnato Maria, il suo tempio, al principe dei demoni. (S. Cir. Al.). I Padri hanno sempre chiamato Maria la Vergine Immacolata; i Cristiani hanno sempre rivolto le loro preghiere alla Regina del cielo senza peccato, è per questo motivo che hanno eretto statue al riguardo. Dopo aver consultato i Vescovi di tutto il mondo, Pio IX ha proclamato l’8 dicembre 1854 che l’Immacolata Concezione1 di Maria è una verità rivelata da Dio e sempre creduta dalla Chiesa. Quando apparve a Lourdes nel 1858, Ella disse: “Io sono l’Immacolata Concezione”. (Preservazione, non remissione, del peccato originale fin dal primo momento dell’esistenza della Vergine). Maria è stata esente pure da ogni peccato attuale (Conc. Tr. VI, 23); ella è il cedro del Libano dal legno incorruttibile (Eccli. XXIV, 17), il giglio tra le spine (Cant. dei Cant. 11, 2), lo specchio (Sap. VII, 26). – Maria progredì rapidamente e ininterrottamente come la vite che cresce sempre (Eccli XXIV, 23) fino a raggiungere la cima dell’albero su cui poggia (S. Alf.). La luna completa la sua rivoluzione più rapidamente degli altri pianeti e Maria raggiunse la perfezione più velocemente degli altri Santi (S. Alf.); fece questo rapido progresso perché era più vicina a tutte le grazie e ne ha ricevute più di tutte le altre creature (S. Th. Aq.); Ella è quindi la creatura più santa e più perfetta. Fin dal primo momento della sua esistenza, Maria è stata più santa dei più grandi Santi alla fine della loro vita. (S. Greg. M.); per questo Maria è chiamata la torre di Davide, che si ergeva maestosa sulla collina più alta di Gerusalemme (Cant. dei Cant. IV, 4); è anche chiamata torre d’avorio (per la sua forza ib. VII,4), e specchio della giustizia (Lit.). Di tutte le creature Maria aveva il più grande amore per Dio ed il minore attaccamento alle cose terrene. Lo Spirito l’aveva incendiata come il ferro dal fuoco (S. Ildef.), da cui il titolo di casa d’oro (tempio della carità). – Maria si distinse in tutte le virtù, per questo è chiamata la rosa mistica perché, come la rosa è superiore a tutti gli altri fiori per la bellezza del suo colore e la dolcezza del suo profumo, così Maria è superiore a tutti i Santi per la perfezione della sua carità ed il profumo delle sue virtù, che la fanno anche paragonare ad una “Regina con una veste d’oro arricchita di vari ornamenti”. (Sal. XLIV, 8). – Dio ha dunque amato Maria più di tutti i Santi messi insieme. (Suar.). – Dio ha gloriosamente resuscitato il corpo di Maria. La tradizione racconta che San Tommaso, arrivato troppo tardi per la sepoltura di Maria, volle comunque vedere il suo sacro corpo. Quando il sepolcro fu aperto, il sudario fu trovato vuoto. La Chiesa universale celebra l’Assunzione il 15 agosto: qualsiasi reliquia del corpo della Vergine non può che essere una frode, Maria gode della gloria suprema in cielo; il sole, la luna e le stelle rappresentano Cristo, Maria e i Santi: la luna, per il suo splendore, è nella Scrittura l’immagine di Maria (Cant. dei Cant. VI, 9). È la Regina degli angeli, dei patriarchi, dei profeti, degli apostoli, martiri, confessori, vergini, di tutti i Santi (Lit.); è in grado, più di tutte le creature, di darci un’idea delle perfezioni divine (S. Isid.). La sua esaltazione ci dà una prova speciale della misericordia infinita di Dio che trae l’uomo dalla polvere della terra per elevarlo al di sopra di tutti i cori celesti. (Sal. CXII, 8).

3. RENDIAMO UN OMAGGIO PARTICOLARE A MARIA PERCHÉ LA SUA INTERCESSIONE È LA PIÙ POTENTE PRESSO DIO.

Questa intercessione è straordinariamente efficace, perché già qui sulla terra le sue preghiere sono state esaudite da Gesù Cristo, come vediamo al banchetto di nozze di Cana, Egli farà lo stesso in cielo. Il pagano Coriolano che i senatori ed i pontefici di avevano invano implorato di rinunciare ai suoi attacchi a Roma (49 a.C.), si lasciò piegare dalla preghiera della madre Veturia, anche se questa condiscendenza gli costò la vita; quanto più grande sarà la condiscendenza di Colui che ci ha ordinato di onorare nostra Madre. E se l’intercessione dei Santi, dei servi di Dio, è già così efficace; quale sarà quella della stessa Madre di Cristo? I desideri di Maria sono ordini per suo Figlio, (Sant’Antonino). Maria è la Vergine potente (Lit.), la supplicante onnipotente. (S. Bern.). – Ella può ottenere tutto per noi dal Re del cielo, proprio come una regina della terra ottiene favori per tutti coloro di cui prende in mano gli interessi. (S. Cir. Al.). Maria è la nostra speranza (Salve reg.), perché attraverso di Lei speriamo di ricevere ciò che non oseremmo promettere per noi stessi con le nostre preghiere. Maria è persino chiamata dispensatrice di tutte le grazie; come tutti i favori del re vanno ai suoi sudditi attraverso la porta del palazzo, così tutte le grazie dal cielo alla terra passano attraverso le mani di Maria. (S. Bern.). La luna riflette la luce del sole; e Maria riflette a noi i raggi del sole di giustizia (id.). Il Verbo non ha voluto incarnarsi senza il consenso della Beata Vergine, per farci conoscere che la salvezza di tutti gli uomini è nelle sue mani (S. P. Dam.). Ella stava sotto la croce per manifestare che senza la sua mediazione non si partecipa ai meriti del sangue di Gesù Cristo (Id.). Dio Padre decreta, Gesù Cristo concede e Maria distribuisce le grazie. Ella è dunque la Madre della divina grazia (Lit ). La preghiera della Madre di Dio è sempre esaudita, quando ciò è possibile con Dio. “Tuo figlio ascolta sua Madre: cosa si può dire di un tale Figlio e di una tale Madre!” diceva San Bernardo; È con questi sentimenti che ha composto il Memorare. Chi è colui che ha invocato Maria invano? Cessi per sempre di celebrare la sua clemenza!. “La sua invocazione è sempre così efficace che non è nemmeno necessario chiederle grazie specifiche, è sufficiente raccomandarsi in generale alla sua intercessione” (S. Ildef.). La più piccola preghiera a lui rivolta viene esaudita e colmata di grandi favori”. (S. Andr. Cors.). Non è così severa da lasciare un saluto senza risposta; Ella ci saluta ogni volta che la preveniamo (S. Bonav.). Maria è la Vergine clemente (Lit.); non c’è nulla di severo in Lei, è tutta bontà e dolcezza e saremmo noi ad avvicinarci a Lei con timore.. (Sant’Alfonso).

Da tempo immemorabile i Cristiani ricorrono a Maria nei pericoli.

Durante l’assedio di Vienna da parte dei Turchi nel 1683 (dal 16 luglio al 13 settembre) Vienna e tutto il mondo cattolico pregavano il Rosario. Il soccorso arrivò nel momento del maggior pericolo; ci fu la gloriosa vittoria del 12 settembre, di cui si ricorda l’anniversario nella festa del Santo Nome di Maria. Nome di Maria. – La Beata Vergine è l’ausilio dei Cristiani. (Lit.). – Anche i semplici fedeli amano rivolgersi a Lei nelle loro necessità. S. G. Nepomuceno ricorse all’immagine miracolosa di Altbunzlau nel suo terribile calvario (1393); Maria è la consolatrice degli afflitti. (Lit.). È a Lei che i Cristiani ricorrono nelle loro malattie. S. Giovanni Damasceno si fece tagliare la mano per ordine del Califfo, a causa dei suoi scritti sul culto delle immagini (+ 780); andò a gettarsi davanti a un’immagine della Vergine e fu guarito. Molti malati sono stati curati a Lourdes e dalla sua acqua, tra cui il famoso avvocato H. Lasserre, che fu guarito dalla cecità e scrisse la storia di questo pellegrinaggio. (1862): Maria è la salute degli infermi (Lit.). – I Cristiani si rivolgono a Maria anche quando, da peccatori sfortunati, desiderano convertirsi. L’invocazione di Maria invia su di loro lo Spirito Santo. È la stella del mattino (lit.) che precede il sorgere del sole; è l’alba (del perdono) (Cant. des Cant. VI, 9); “quando appare l’alba, le tenebre si dissolvono, così la devozione a Maria fa scomparire il peccato” (S. Alf.). – Il mese di maggio è particolarmente consacrato a Maria perché è il mese del rinnovamento. La devozione a Maria è la primavera dell’anima peccatrice. Santa Maria Egiziaca (+ 431) si convertì d’avanti ad un’immagine della Vergine nella Basilica della Croce a Gerusalemme. Maria è pronta a riconciliarci con Dio. Se una madre sapesse che i suoi due figli si odiano mortalmente, farebbe ogni sforzo per riconciliarli, ma Maria è la madre di Cristo, che odia il peccato, e la Madre di tutti gli uomini, anche dei peccatori che sono nemici di Cristo (Sant’Alfonso). – Come la luna si muove sempre tra il sole e la terra, così Maria è sempre tra Dio e il peccatore, e le sue preghiere placano facilmente la severità di Cristo. Alessandro Magno deve aver detto un giorno che una lacrima di sua madre avrebbe cancellato molte sentenze di morte; sarebbe un insulto a Gesù Cristo metterlo al di sotto di quest’uomo, di questo pagano, in termini di rispetto per sua madre. Maria è quindi il rifugio dei peccatori (Lit.); è la Madre della misericordia, rappresentata dall’albero d’ulivo (Eccles. XXIV, 29) che distilla su di noi l’olio del perdono. Maria è la nostra mediatrice. – I Cristiani invocano Maria nei momenti di tentazione. Gli israeliti, grazie all’arca dell’Alleanza, sono stati vittoriosi quando sono entrati nella Terra Promessa (Numeri X, 35) e contro i Filistei (I Re XIV); noi Cristiani siamo vittoriosi in tutte le nostre battaglie contro il diavolo grazie a Maria, l’Arca della Nuova Alleanza. -Maria è anche rappresentata dall’arca di Noè: in ella tutti trovano rifugio dal diluvio infernale. (S. Bern.). Così come la stella del mare guida i marinai attraverso le tempeste verso un porto sicuro, così Maria ci guida verso il cielo attraverso le tempeste della vita (S.Thom. Aq.). Maria è l’acero dei libri sapienziali (Eccli. XXIV, 19) che ci protegge dal sole e dalla pioggia; è un rifugio contro gli attacchi del diavolo, è la nostra protettrice contro di lui, è terribile per lui come un esercito schierato in battaglia (Cantico dei Cantici VI, 3). – Diamo a Maria diversi titoli per mostrare le ragioni della nostra fiducia nella sua potenza: la chiamiamo Nostra Signora del Buon Soccorso, Nostra Signora del Perpetuo Soccorso, Nostra Signora del Buon Consiglio, Nostra Signora dei Dolori, e così via.

La devozione alla Beata Vergine è un’eccellente mezzo per raggiungere la santità e la felicità nell’eternità.

È da notare che tutti i Santi avevano una devozione filiale verso la Vergine. È attraverso di Lei che hanno ottenuto da Dio le grazie più preziose. Tra i servi devoti di Maria vi sono S. Bernardo, abate di Chiaravalle (f 1158), S. Alfonso de Liguori, vescovo di S. Agata dei Goti (vicino a Napoli) e fondatore dei Redentoristi (+ 1787): egli recitava il rosario tutti i giorni, il sabato mangiava pane e acqua, recitava l’Ave Maria ogni ora, quando usciva e rientrava, all’inizio e alla fine delle sue azioni più importanti, al suono dell’Angelus. Fu lui a scrivere il bellissimo libro delle Glorie di Maria. – Maria è la porta del Paradiso. (Lit.). È la vera scala di Giacobbe sulla quale Gesù è sceso sulla terra e sulla quale noi saliamo a Gesù (S. Fulg.). L’inferno non può vantarsi di aver inghiottito un solo fedele servitore della Madre di Dio. (S. Alfonso). – Maria fu anche oggetto di venerazione da parte di molti uomini illustri. S. Bernardo credeva nella certezza della salvezza per coloro che quotidianamente onorano Maria; e S. F. Borgia teme per le anime di coloro che trascurano questa devozione.

6. IL CULTO DELLE IMMAGINI.

Il culto delle immagini risale ai tempi più antichi e risponde a un’esigenza della nostra natura. Il culto delle immagini è antico quanto il Cristianesimo (S. Bas.), come si può vedere nelle catacombe del mondo antico, dove si trovano immagini di Nostro Signore, della Beata Vergine con il Bambino, scene dell’Antico e del Nuovo Testamento, e soprattutto quelle che, in mezzo alle persecuzioni, ci ricordano la potenza di Dio e la futura risurrezione (La risurrezione di Lazzaro, Daniele nella fossa dei leoni, i tre giovani nella fornace, ecc.) Il culto delle immagini si diffuse con il Cristianesimo; crocifissi e statue di Santi decoravano non solo le chiese, ma anche i fori e le strade pubbliche (Eus.). – Questo culto trovò violenti oppositori tra gli imperatori d’Oriente (Leone III nell’anno 726 e altri) che fecero bruciare e distruggere le statue, cancellare le immagini imbrattate nelle chiese e martirizzare i difensori di questa tradizione: furono chiamati iconoclasti (rompitori di immagini). Ma il Concilio di Nicea del 787 dichiarò che solo l’idolatria fosse proibita e che il culto delle immagini fosse lecito. Il culto risponde perfettamente a un’esigenza della natura umana: noi onoriamo i ritratti dei nostri genitori, dei nostri amici, di uomini illustri, e la Divina Provvidenza vuole che l’uomo recuperi attraverso le cose sensibili la felicità effimera che gli hanno fatto perdere. (S. Greg. M.). – È vero che il culto delle immagini era severamente proibito agli Ebrei (Esodo XX, 4), perché gli Ebrei erano di natura molto sensuale, molto inclini all’idolatria e che il Figlio di Dio non era ancora diventato uomo. Ciononostante, c’erano dieci cherubini sull’arca dell’Alleanza nel Santo dei Santi e Mosè innalzò un serpente di bronzo nel deserto, il cui aspetto guarì gli israeliti avvelenati dai morsi di serpente (Num. XXI, 8).

Le immagini religiose sono quelle che rappresentano Cristo, i Santi o le verità religiose.

Cristo è generalmente rappresentato secondo un tipo uniforme; una figura al tempo stesso dolce e severa, con capelli lunghi e barba media; spesso ha il Sacro Cuore sul petto. Maria è rappresentata come Nostra Signora del Buon Soccorso con il Bambino Gesù in braccio, come la Madonna Addolorata (Pietà) con il corpo di Gesù sulle ginocchia, come Nostra Signora dell’Immacolata Concezione senza il Bambino Gesù, vestita di bianco e blu (ad esempio, la Madonna di Lourdes), come Regina del Cielo (Apoc. XII, 1), vestita d’oro, in piedi sulla luna e coronata di stelle. (Tra le immagini più famose della Vergine Maria c’è quella di Santa Maria Maggiore a Roma, dipinta secondo la leggenda da San Luca; la Madonna Sistina di Raffaello che porta in grembo il Bambino Gesù e appare a Papa Sisto: N. Signora del Perpetuo Soccorso, (41X52 ctm.) dipinto su tavola del XIII secolo, raffigurante Maria con il Bambino Gesù, a cui gli Angeli mostrano gli strumenti della Passione e che, spaventato, si aggrappa alla madre. Questa immagine si trova nella chiesa di di S. Alfonso, vicino a Santa Maria Maggiore e al Laterano). Le immagini del Santi si riconoscono dall’aureola: (questi effluvi di luce sono stati visti in molti Santi come Mosè, Santo Stefano e soprattutto Cristo alla Trasfigurazione). I Santi hanno anche i loro simboli caratteristici che indicano le loro funzioni (come i paramenti sacerdotali indossati da Papi e Pontefici), le loro virtù virtù (un giglio indica la purezza; un libro, la conoscenza; un cuore ardente, la carità; la palma, l’eroismo; l’ulivo, la dolcezza, e gli strumenti del loro martirio (spada, frecce, ruota). S. Pietro porta le chiavi. – I 4 Evangelisti traggono i loro simboli dall’inizio dei loro Vangeli: S. Matteo ha accanto a sé un uomo, perché inizia con la genealogia umana di Cristo; S. Marco, un leone, perché inizia con la predicazione di Giovanni, la voce nel deserto; S. Luca un bue, perché inizia con il sacrificio di Zaccaria nel tempio; S. Giovanni, un’aquila per la sublimità dell’inizio: In principio era il Verbo. La sua dottrina vola come un’aquila. Altre immagini simboleggiano i dogmi, come la Santissima Trinità, il Purgatorio, ecc. o rappresentano scene bibliche. (L’Annunciazione, il battesimo di Cristo, l’istituzione del Santissimo Sacramento, ecc.) – Le tre Persone divine sono rappresentate in base alle loro apparizioni (il Padre come un vecchio seduto su un trono, ecc.); è impossibile rappresentare Dio in sé, le immagini devono quindi solo simboleggiare le perfezioni e rendere percepibili gli atti. (Cat. rom.).

Alcune immagini sono chiamate miracolose.

Ci sono immagini miracolose della Vergine in molti luoghi di pellegrinaggio. Più di una di queste immagini è stata miracolosamente preservata dalla distruzione, o sono avvenute guarigioni davanti ad esse. Dio opera questi miracoli per proclamare la divinità della Chiesa, e qualunque cosa si pensi di ciascuno di essi nei dettagli, sarebbe quasi un’empietà negarli tutti in linea di principio; infatti, la Santa Sede controlla rigorosamente questi fatti soprannaturali e non incorona ufficialmente un’immagine fino a quando non sia stata perentoriamente provata.

La più vera di tutte le immagini è la Croce del Salvatore.

Le nostre chiese, i nostri altari, i nostri cimiteri sono tutti adornati con la croce; i Sacramenti non vengono mai amministrati, la Santa Messa non viene mai celebrata senza la presenza della croce, tanto grande è la venerazione della Chiesa per questo segno di salvezza. La croce brilla sulle corone dei principi, sui petti dei cittadini che si distinguono per il decoro; si erge nelle campagne, ai lati delle strade per consolare il viaggiatore e il contadino che bagna il suo campo con il sudore della sua fronte. La croce è la firma del povero ignorante incapace di scrivere; è l’ultimo oggetto che il morente stringe tra le mani e porta nella tomba: essa dovrebbe adornare la casa di tutti i Cristiani, ed è un cattivo segno quando vi si trovano solo immagini profane.

1. L’ADORAZIONE DELLE IMMAGINI CONSISTE NELL’ADORNARE LE PROPRIE ABITAZIONI, NEL PREGARE, SCOPRIRSI IL CAPO DAVABTI AD ESSE, DECORARLE O FARNE LA META DI UN PELLEGRINAGGIO.

Il culto che tributiamo alle immagini non si riferisce all’immagine materiale ma alla persona, Cristo o i Santi, che esse rappresentano (Conc. de Tr. 25). Con l’apparizione della croce, adoriamo Colui che è morto lì per noi (S. Ambr.). Non onoriamo quindi la materia, ma la persona (2° Concilio di Nicea). Alla presenza della croce, noi adoriamo Colui che è morto per noi (S. Ambr.) Così ne è per le immagini di Cesare: chi le insulta è considerato come se avesse insultato Cesare stesso. Baciamo i S. Vangeli per onorare la parola del Salvatore, indipendentemente dal lusso o dalla semplicità tipografica; se per qualche motivo il testo scomparisse, il libro cesserebbe di ricevere il nostro omaggio; è lo stesso delle immagini dei Santi. – Questo culto non è un’adorazione. Quando baciamo i nostri genitori o i nostri figli, non abbiamo altro scopo che mostrare l’affetto del nostro cuore; l’adorazione delle immagini non ha altro scopo che quello di mostrare il nostro amore per i Santi. (S. Nic.). Allo stesso modo in cui accendiamo candele o incenso davanti ai Santi, il culto delle immagini non ha altro scopo che mostrare il nostro amore per loro. Se accendiamo l’incenso davanti a loro, vogliamo solo simboleggiare il fuoco dello Spirito Santo e il profumo delle virtù dei santi. (S. Germ.). – Non è dall’immagine materiale che ci aspettiamo aiuto, ma da Dio per intercessione dei Santi. – Noi Cattolici, siamo ben lontani dal pensare, come fanno i pagani, che le immagini possiedano una virtù propria e di riporre in esse la nostra fiducia. Allo stesso modo, Mosè non confidava nella sua verga, ma nell’onnipotenza di Dio che gli ordinò di usarla.

2. L’ADADORAZIONE DELLE IMMAGINI È BENEFICA; CI DONA SPESSO DELLE GRAZIE STRAORDINARIE CHE CI AIUTANO AD EVITARE LE DISTRAZIONI E CI INCORAGGIANO A FARE IL BENE.

Le immagini di Dio e dei suoi amici, dice San Giovanni Dam., diffondono la grazia dello Spirito Santo. Il diavolo viene allontanato da ogni luogo in cui viene eretta una croce (Sant’Ambrogio). Più di un’anima immersa nel vizio è stata toccata e convertita alla vista dell’immagine come Santa Maria Egiziaca, ed i Santi, specialmente nella loro agonia, hanno amato fissare lo sguardo su un’immagine sacra. – Le immagini sacre ci proteggono dalle distrazioni; sono come una scala che ci permette di salire al cielo.(Alb. Stoltz); e poiché preghiamo meglio davanti alle immagini, queste preghiere sono più efficaci, come dimostrano i numerosi ex voto dei pellegrinaggi. – Le immagini sono un insegnamento, una lezione di dogma e di morale che dobbiamo imitare nei Santi, di cui queste immagini sono come una biografia (S. Germ.); le immagini insegnano ancora più efficacemente delle parole. – Ciò che colpisce l’occhio, diceva già Orazio (Art. poetica), ci commuove più profondamente delle parole. Per il popolo, le immagini sostituiscono i libri (S. Greg. M.); ecco perché, nel Medioevo, prima dell’invenzione della stampa, le immagini erano molto diffuse: i presepi e le stazioni della Via Crucis risalgono a questo periodo. Le immagini che i fedeli trovano nelle chiese sono come un riassunto per immagini della dottrina cristiana.

7. IL CULTO DELLE RELIQUIE.

Chiamiamo reliquie i resti dei corpi dei Santi o gli oggetti che sono stati in contatto intimo con Cristo o con i Santi.

Sono reliquie: l’intero corpo di un santo, un braccio, un piede o anche un pezzo di osso. Si trovano negli e sugli altari, o in possesso dei fedeli. Le reliquie autentiche portano sempre il nome del Santo e il sigillo di un Vescovo; il loro commercio è severamente vietato e solo il reliquiario può essere pagato. – Da sempre, l’uomo ha venerato oggetti che avevano un’intima relazione con Gesù Cristo e con i Santi; ad esempio, il Presepe, la vera Croce, la Veste di S. Pietro, la S. Sindone, il velo del Volto Santo, ecc. Il presepio di Gesù (frammenti) è conservata a Roma, a Santa Maria Maggiore; la Tunica senza cuciture a Treviri; una tunica di Gesù adolescente è ad Argenteuil; la tavola di cedro dell’Ultima Cena nella basilica Lateranense. C’è una S. Sindone a Torino ed il velo di Santa Veronica è a San Pietro a Roma. La Corona di spine a Parigi. La vera Croce fu trovata dall’imperatrice Sant’Elena nel 325: una parte di essa si trova nella chiesa del Santo Sepolcro a Gerusalemme, l’altra a Roma. – Noi consideriamo reliquie tutta la Terra Santa e le crociate (1096-1270) mostrano l’importanza che i Cristiani medievali vi annettevano. Il luogo dell’Annunciazione a Nazareth è particolarmente venerato, a Betlemme il luogo della Natività, a Gerusalemme il Cenacolo, la grotta dell’Agonia, il Calvario e il Santo Sepolcro, il luogo dell’Ascensione. Costantino e sua madre avevano costruito splendide basiliche in tutti questi luoghi. – Da tempo immemorabile sono venerati i paramenti, gli strumenti del martirio dei Santi, il luogo della loro nascita e della loro sepoltura. S. Girolamo riferisce che sant’Antonio eremita aveva ereditato da san Paolo eremita (+ 356) il suo mantello fatto di foglie di fico, che egli teneva in grande venerazione e che indossava solo nelle grandi feste dell’anno. La Chiesa primitiva costruiva già chiese ed erigeva altari sulle tombe dei Santi.

Le S. Reliquie sono venerabili, perché i corpi dei Santi erano templi e strumenti dello Spirito Santo che un giorno risorgeranno nella gloria. (Conc. di Tr. 25).

8. IL CULTO STRAORDINARIO DI DIO.

Onoriamo Dio anche con i giuramenti ed i voti.

Questo culto è chiamato straordinario perché il giuramento e il voto non fanno parte della vita ordinaria, ma si verificano solo in casi particolari: il giuramento, quando la testimonianza dell’uomo non è sufficiente; il voto, quando ci impegniamo liberamente. – Il giuramento onora Dio, perché riconosce la sua onnipotenza, giustizia e santità. Il voto è una sorta di sacrificio, perché sacrifichiamo la nostra volontà con la promessa di un’azione gradita a Dio (Gury).

I. Il giuramento.

A volte capita che la gente si rifiuti di credere ad un uomo. Questi allora porta un testimone che dice: Sì, l’asserzione è vera, ho visto il fatto, saremo più inclini a dare credito alla parola del primo. Questo sarà tanto più vero in quanto questo testimone sarà riconosciuto come più affidabile. Ora, può accadere che un uomo chiami Dio come testimone, cioè che chieda a Dio, che sa tutto, di provare con la sua parola la veridicità della persona che presta giuramento. In questo caso le parole dell’uomo passano come parola di Dio stesso. “Lo scopo del sigillo è quello di provare l’autenticità di un documento; e il giuramento è come un sigillo dato dalla divinità per confermare la verità (Marchant). Il giuramento è una preziosa moneta d’oro che porta l’impronta del Dio vivente (Stolberg). Gesù Cristo prestò giuramento davanti a Caifa, quando quest’ultimo gli chiese in nome di Dio di dire se fosse il Messia (giuramento di assertività). Esaù, al momento di scambiare la sua primogenitura, fece un giuramento che confermava la sincerità del suo impegno (giuramento promissorio).

1. PRESTARE UN GIURAMENTO SIGNIFICA CHIAMARE DIO A TESTIMONIARE CHE SI STA DICENDO LA VERITÀ O CHE SI È PRONTI A MANTENERE LA PROMESSA.

Nel fare un giuramento, si può chiamare direttamente Dio come testimone oppure delle cose sacre. Chiamiamo Dio direttamente come testimone quando diciamo ad esempio: Per Dio; certamente come Dio vive (Ger. XLII); Dio mi è testimone (Rm I, 9); che Dio mi punisca, se ecc.. – Le cose sacre che di solito vengono invocate nel giuramento sono i sacramenti, il crocifisso, il Vangelo, il cielo, ecc. Poiché questi oggetti sono di per sé incapaci di rendere testimonianza o di punire il bugiardo, è evidente che viene invocata la testimonianza di Dio. (S. Th. Aq.). Gesù Cristo stesso dichiara che si può giurare sul tempio, il cielo, il trono di Dio (S. Matth XXIII, 21). – Ma chi dice semplicemente certamente, per certo, sul mio onore, sulla mia coscienza, per quanto vivo, ecc. etc., rafforza solo la sua affermazione, ma non fa un giuramento. – Il giuramento è semplice o solenne; il primo si trova nei rapporti ordinari degli uomini, il secondo davanti alla legge o alle autorità (giuramento dei funzionari o delle truppe). Si giura a testa nuda davanti al crocifisso perché nulla sia nascosto agli occhi del crocifisso; si alzano le tre dita della mano destra in onore della Santissima Trinità. In alcuni paesi le parole alla formula del giuramento sono queste: Dio mi aiuti e il suo santo Vangelo, e si rinuncia alla grazia di Dio e alle promesse del Vangelo, se non dicono la verità. Gli ebrei giurano, a capo coperto, ponendo il palmo della mano sulla Thora (legge), a pagina 40. I maomettani alzano solo un dito, perché non credono nella Santissima Trinità.

2. NON SIAMO OBBLIGATI A RIFIUTARE ALCUN TIPO DI GIURAMENTO, PERCHÉ DI PER SÉ È PERMESSO E PERSINO ONOREVOLE PER DIO.

Se non fosse lecito giurare, Gesù Cristo non avrebbe giurato (S. Matth. XXVI,64), Dio non avrebbe giurato ad Abramo sul monte Moriah che la sua discendenza sarebbe stata numerosa come le stelle del cielo e i granelli di sabbia del mare (Gen. XXII, 16); S. Paolo non avrebbe giurato così spesso nelle sue lettere (Rm 1,9; I Cor 1,23). Inoltre, il giuramento ha uno scopo onesto, serve a risolvere le controversie (Eb. VI, 16).

– Il giuramento è gradito a Dio, perché attraverso di esso professiamo pubblicamente la sua conoscenza, la sua giustizia, il suo potere infinito. Gli atei non dovrebbero quindi essere ammessi al giuramento. Dio vuole che giuriamo in caso di necessità. Se Cristo ha detto:.”La vostra parola sia: sì, sì! no, no! ciò che è più è male” (S. Matth. V, 37), intendeva solo dissuadere i farisei dai giuramenti frivoli a cui erano molto inclini. I Cattolici non hanno quindi alcun motivo per rifiutare i giuramenti in linea di principio, come fanno alcune sette. – Tuttavia, nessuno dovrebbe estorcere il giuramento a chiunque; e chi sfida con un giuramento qualcuno che si induce a spergiurare, è peggiore di un assassino, perché quest’ultimo almeno uccide solo il corpo, mentre lo spergiuro uccide un’anima, anzi due anime: quella di chi giura e la propria, colpevole della morte del prossimo (S. Isid. di Pél.).

3. UN GIURAMENTO PUÒ ESSERE FATTO SOLO PER UN MOTIVO SERIO, IN VERITÀ. EQUITÀ E GIUSTIZIA (Ger. iv, 2.).

Il giuramento, dice Gesù Cristo, viene dal male (S. Matth. V, 37), cioè ha origine nelle cattive inclinazioni dell’uomo; se infatti egli si fosse mantenuto nella giustizia e nella santità originarie, il giuramento sarebbe inutile: è stato usato soltanto quando la sincerità e la fedeltà sono scomparse sempre di più dall’umanità. Quando il male ha corrotto l’universo, solo allora – dice S. J. Chr. – l’usanza del giuramento è stata introdotta; la menzogna e la malizia generale hanno distrutto la fiducia degli uomini nei confronti dei loro simili. La fiducia degli uomini nei loro simili era sparita, e cominciarono a prendere Dio come testimone delle loro parole. Il giuramento è un rimedio, dice S. Aug. usiamo l’uno o l’altro solo per motivi seri. Il giuramento è per un uomo ciò che il bastone è per uno storpio. Non è quindi permesso giurare per questioni banali, come fanno spesso alcuni commercianti. (Cat. rom.). L’abitudine di imprecare porta facilmente a giurare il falso. (S. Aug.). Chi giura spesso accumula crimini e le pene non spariranno dalla sua casa (Sap. XXIII, 12). Dobbiamo quindi giurare quando necessario; chi non parla non mente e chi si astiene dal giurare non dice il falso (S. Bern.). L’ordine di un’autorità è un motivo sufficiente per giurare. – Bisogna anche giurare in verità, cioè parlare come pensiamo o essere disposti a mantenere la parola data. Regolo ha dato un bell’esempio del mantenere la parola data. (250 A.C.). Egli fu fatto prigioniero dai Cartaginesi e tenuto in cattività per sei anni. Dopo avergli fatto giurare che sarebbe tornato in patria se le trattative non fossero andate a buon fine, Regolo si ritirò a Roma. Giunto a Roma, descrisse al Senato la debolezza di Cartagine e la esortò a entrare in guerra., poi tornò in prigionia anche se gli stessi pontefici volevano trattenerlo. S. Pietro, invece, spergiurò nel tribunale del sommo sacerdote (S. Matth. XXVI, 72). È vietato usare equivoci nel giuramento. (Innoc. XI). Tommaso Moro, cancelliere d’Inghilterra, fu imprigionato da Enrico VIII per ostilità contro la Chiesa; gli fu offerta la libertà se avesse giurato la seguente formula: “Mi sottometterò ai dettami del mio padrone e re”. Ebbene molte persone gli consigliarono di prestare questo giuramento al suo sovrano e re. “Questo non è permesso”, rispose, “devo giurare sulla verità”. Non è un peccato sbagliarsi, né essere incapaci di mantenere una promessa a causa di una malattia o di un rovescio. di fortuna. – devi giurare con riflessione, cioè prima di giurare dobbiamo esaminare attentamente la possibilità di mantenere la nostra promessa. Erode fece un giuramento avventato giurando a Erodiade che le avrebbe dato tutto ciò che lei chiedeva, perché allora ella chiese la testa di San Giovanni Battista (S. Marco VI, 23). – Si deve giurare nella giustizia, dire e promettere con giuramento solo ciò che sia permesso. I quaranta persecutori di S. Paolo si impegnarono con un giuramento a non mangiare o bere finché non avessero ucciso la loro vittima. (Atti XXIII, 12). I massoni oggi giurano di rifiutare i sacramenti sul letto di morte. Va da sé che tali giuramenti sono ingiusti e criminali,

2. LO SPERGIURO È UN ORRIBILE SACRILEGIO CHEVCOMPORTA MALEDIZIONE DIVINA E LA DANNAZIONE ETERNA.

Il falso giuramento è chiamato anche spergiuro. Lo spergiuro (cioè colui che giura il falso o che, giurando, intende non mantenere la sua promessa) è come un criminale che usa un sigillo ufficiale per commettere una falsificazione, un crimine degno di una severa punizione. (Marchant). Un falso giuramento è sempre un peccato mortale. (Innoc. XI). Nessun pugnale ferisce così mortalmente, nessuna spada uccide così crudelmente come lo spergiuro (S. G. Cris.). La maledizione di Dio cade sulla casa dello spergiuro (Zac. V, 3); Dio punisce spesso gli spergiuri con una morte improvvisa. Il re di Giud, aveva giurato fedeltà a Nabucodonosor e poi lo aveva tradito; Dio gli annunciò immediatamente, tramite il profeta Ezechiele (XVII), un castigo crudele e la sua morte a Babilonia, e infatti Nabucodonosor lo sconfisse, gli cavò gli occhi e lo portò a Babilonia dove morì (IV Re, XXV). Vladislao, re d’Ungheria, aveva concluso e giurato la pace con il sultano Murad II, nonostante ciò, riprese la guerra e nella battaglia di Varna fu ucciso con la maggior parte dei capi del suo regno (1444). Anche i codici penali umani puniscono molto severamente i giuramenti falsi. Carlo Magno ordinava che agli spergiuri venisse tagliata la mano destra; secondo altri codici, invece, agli spergiuri, venivano tagliate le tre dita con cui avevano giurato. – Chi giura senza un motivo sufficiente commette un peccato almeno veniale: Tuttavia, colui che ha la cattiva abitudine di giurare con leggerezza e che di conseguenza giura cose false, è, se è consapevole della sua abitudine, in stato di peccato mortale (Gury). – Se qualcuno ha giurato una promessa criminale, deve pentirsi e non mantenerla: questo è ciò che avrebbe dovuto fare Erode. – La rottura di una promessa è un peccato grave o leggero, a seconda dell’importanza della cosa promessa. Per questo giuramento è la stessa cosa che per un voto.

2. IL VOTO.

1. IL VOTO È UNA PROMESSA LIBERA FATTA A DIO DI COMPIERE UNA BUONA AZIONE.

Il voto è una promessa fatta a Dio; è quindi almeno un’invocazione mentale a Dio, perché gli diciamo, per così dire, che faremo una buona azione, con questo pensiero: Mio Dio! Te lo prometto, ecc. Il voto si differenzia essenzialmente dalla risoluzione, che non dà a nessuno, nemmeno a Dio, il diritto di esigere qualcosa da noi. Il voto è una promessa libera; nessuno è obbligato a farla (Deut. XXIII, 22), quindi nessuno può essere costretto a farlo. Un voto estorto con la forza è quindi nullo, ma non un voto fatto per paura di una malattia o sotto la pressione del bisogno, perché in questo caso la libertà non viene soppressa. – L’oggetto del voto deve essere gradito a Dio; e non si può promettere il male, come fece Iefte, che, prima di una battaglia, fece voto, in caso di vittoria, di offrire in olocausto la prima persona che uscisse dalla sua casa per andargli incontro: era sua figlia, che egli sacrificò. (Giudici XI). Un tale voto è sciocco ed empio (Ecclesiaste V, 3). Non è permesso adempiere ad un voto che può essere mantenuto solo con un crimine. Si promette generalmente un atto a cui non si è obbligati, ad esempio un pellegrinaggio; si può invece promettere un atto a cui si è già obbligati in altro modo, come l’osservanza dell’astinenza di domenica, la temperanza nel mangiare e nel bere. Se uno non adempie al suo voto, pecca doppiamente. L’unica figlia di un ricco produttore si ammalò; se fosse guarita, il padre promise di non farla lavorare la domenica e nei giorni festivi; la figlia guarì e tutti capiranno come e perché questo fabbricante è obbligato a osservare la domenica, in primo luogo per la legge generale, poi per l’obbligo personale contratto con il voto.

La maggior parte dei voti sono condizionati.

Questi voti sono come un contratto con Dio. Giacobbe ha fatto voto di offrire a Dio una decima dei suoi beni, se fosse tornato sano e salvo alla casa di suo padre. (Gen. XXVIII, 20). Le Rogazioni hanno la loro origine in un voto fatto durante una carestia da parte del santo Vescovo di Vienne, Mamerto (500); la processione di S. Marco, in un voto.voto di San Gregorio Magno; la rappresentazione della Passione, che si svolge ogni 10 anni a Oberammergau, ha anch’essa origine da un voto fatto (1633) dalla popolazione durante un’epidemia. Durante una grave malattia, Luigi di Francia si propose di intraprendere una crociata (1248). Molti Cristiani del nostro tempo durante una malattia o una prova fanno voto di recarsi in pellegrinaggio, “come testimoniano gli ex-voto esposti”, di fare una donazione ad una chiesa (come testimoniano gli ex-voto esposti) di far erigere una statua, di digiunare in determinati giorni, ecc.

I voti più importanti sono quelli religiosi, cioè la libera promessa fatta a Dio di seguire i consigli evangelici.

Questi voti sono quelli di povertà, castità e obbedienza. Sono molto salutari; ci separano completamente dal mondo per servire Dio in modo più perfetto. Sono anche molto graditi a Dio, perché con essi gli offriamo non solo le nostre azioni, ma tutta la nostra persona: dà di più chi dà non solo il frutto ma l’albero stesso (S. Ans.). C’è chi offre a Dio un ornamento, olio, cera, ecc., ma c’è un’offerta più perfetta e più gradita. (S. Aug.). – I voti della religione sono solenni (gli obblighi sono più gravi) o semplici. I voti solenni conferiscono una sorta di santificazione, di consacrazione interiore (S. Thom. Aq.); tuttavia, ciò che è una volta consacrato, non potrà mai più essere usato per scopi profani, a differenza di quanto avviene per la semplice benedizione. Chi ha fatto voti solenni è irrevocabilmente consacrato al servizio di Dio (Lehmkuhl). I voti solenni possono essere revocati solo dal Papa e per motivi molto seri. Prima di fare la professione, cioè di pronunciare i voti solenni, queste persone fanno prima un anno di noviziato e poi emettono i voti semplici per tre anni. (Pio IX, 19 marzo 1857). – Ci sono casi in cui il Vescovo e i superiori delle congregazioni possono revocare i voti semplici per motivi meno importanti.

2. IL VOTO RENDE PIÙ GRADITA A DIO LA BUONA AZIONE A CUI CI SI IMPEGNA. COLUI CHE QUINDI FA UN VOTO È PIÙ PRESTO ESAUDITO DA DIO E RAGGIUNGE LA PERFEZIONE PIÙ RAPIDAMENTE.

Il voto è un atto di fedeltà a Dio; è anche un sacrificio, perché si è rinunciato alla propria volontà a favore di una buona azione. Il digiuno praticato a causa di un voto è più perfetto del digiuno senza voto (S. Fr. di S.), per la stessa carità. Per questo Sant’Agostino scriveva: “La verginità non è tanto un onore, perché si è vergine, ma perché è consacrata a Dio”. – Ne consegue che i fedeli vincolati da un voto vengono esauditi prima: non appena gli abitanti di Oberammergau fecero il loro voto, la peste cessò immediatamente e nessuno morì. Anna, la madre di Samuele, fece un voto chiedendo al Signore un figliolo e ottenne questo grande profeta (I. Re I, 11). Queste grazie straordinarie sono la ragione di tanti ex-voto nei pellegrinaggi, di tante croci ai bordi delle strade, di tanti doni preziosi alle chiese. – Il voto porta più rapidamente alla perfezione (S. F. di S.); infatti, attraverso di esso otteniamo più forza per la pratica del bene, perché il voto rende la volontà più ferma (id). Il pensiero di aver promosso un atto di virtù al proprio Dio, ci spinge con più forza, al bene. “Molti santi – dice San Gregorio Magno -hanno fatto voti per imporsi i vincoli della disciplina divina”. Il voto ottiene anche grazie di scelta. Si può così, prima della festa di alcuni santi, obbligarsi con voto a fare delle novene, per la Quaresima e i mesi di maggio e di ottobre dedicati alla Vergine, e a fare digiuni, elemosine e varie devozioni. È sufficiente provare per vedere quali grazie speciali si ottengono.

3. NON ADEMPIERE AD UN VOTO, O RITARDARE IL SUO ADEMPIMENTO SENZA MOTIVO E UN’OFFESA A DIO (Deut, XXIII, 21).

Bisogna mantenere la parola data agli uomini, a maggior ragione a Dio. “È meglio non fare un voto che farne uno senza adempierlo”. (Eccles. V, 4). Il debitore negligente può essere consegnato alla giustizia, mentre chi inganna Dio rimarrebbe impunito? … (S. P. Dam). Chi viene meno ai suoi voti viene meno gravemente o leggermente, a seconda che l’oggetto sia più o meno importante o dell’intenzione di obbligarsi sotto pena di peccato mortale o veniale. – Un peccato contro un voto può costituire due colpe gravi, se l’atto è grave in sé e disonora Dio in particolare, ad esempio un peccato contro il voto di castità. – Una persona che non è in grado di adempiere al suo voto è dispensata da esso; è tuttavia obbligata a fare almeno ciò che può.

Prima di fare un voto, quindi, bisogna pensare seriamente alla possibilità di adempierlo.

Prima di costruire un edificio, si redige un preventivo e ci si chiede se si avranno i mezzi per finirlo (S. Luc XIV, 28). È quindi imprudente fare un voto perpetuo subito, è meglio iniziare con un voto temporaneo e poi prolungarlo. Francesco di Sales, che aveva fatto voto di recitare il rosario tutti i giorni fino alla sua morte, ammette di ammette di essersi pentito di essersi impegnato così presto. – S. Alfonso aveva fatto il voto di non rimanere mai inoccupato; ma prima di farlo aveva praticato per qualche tempo per verificarne la possibilità. – È quindi saggio consultare il suo confessore o un altro Sacerdote esperto. – Ecco perché la Chiesa impone a coloro che desiderano entrare in religione un intero anno di noviziato, che serve per esaminare la propria vocazione. Chiunque riconosca di non avere una vocazione e ciononostante abbraccia la vita religiosa, deve allora biasimare se stesso e non il suo stato.

Quando un voto non può essere adempiuto, bisogna farsene dispensare o farlo commutare dal suo Vescovo.

Gesù Cristo disse ai suoi Apostoli: “Ciò che sciogliete in terra sarà sciolto in cielo” (S. Matth. XVIII, 18); il Vescovo ha quindi il potere di commutare i voti. Di solito vengono commutati in opere più utili per la salvezza della persona interessata, come ad esempio la ricezione dei Sacramenti. – Ci sono cinque voti che il Papa ha riservato a se stesso per dispensarne: quello della castità perpetua, dell’ingresso in religione, del pellegrinaggio a Roma (tomba degli Apostoli), a Gerusalemme (Santo Sepolcro), a Compostela (tomba di San Giacomo). Il Vescovo può anche concedere queste dispense in casi urgenti, oppure quando questi voti sono solo condizionati, quando c’è un dubbio sulla libertà o la riflessione con cui il voto sia stato fatto o sulla disconoscenza delle sue conseguenze. – In tempo di Giubileo, i confessori hanno la facoltà di commutare i voti che non sono espressamente riservati. – Si è sempre liberi di commutare un voto più perfetto: Dio non si oppone alla generosità del debitore verso il suo creditore (S. Bern.).

IL CATECHISMO DI F. SPIRAGO (XXIII).

IL CATECHISMO DI F. SPIRAGO (XXIII)

CATECHISMO POPOLARE O CATTOLICO

SCRITTO SECONDO LE REGOLE DELLA PEDAGOGIA PER LE ESIGENZE DELL’ETÀ MODERNA

DI

FRANCESCO SPIRAGO

Professore presso il Seminario Imperiale e Reale di Praga.

Trad. fatta sulla quinta edizione tedesca da Don. Pio FRANCH Sacerdote trentino.

Trento, Tip. Del Comitato diocesano.

N. H. Trento, 24 ott. 1909, B. Bazzoli, cens. Eccl.

Imprimatur Trento 22 ott. 1909, Fr. Oberauzer Vic. G.le.

SECONDA PARTE DEL CATECHISMO

LA MORALE (3)

10. I DIECI COMANDAMENTI DI DIO.

1. DIO DIEDE IL DECALOGO AGLI EBREI SUL MONTE SINAI.

I comandamenti furono proclamati il 50° giorno dopo l’uscita degli ebrei dall’Egitto. Dio gli diede un esordio solenne: “Io sono il Signore tuo Dio, che ti ho fatto uscire dal paese d’Egitto”. (Es. XX, 2). Dio agisce come un sovrano che, in testa ai suoi decreti, dichiara il suo nome ed i suoi titoli, per ispirare maggiore rispetto. I 10 comandamenti sono stati incisi su 2 tavole, per rendere chiaro che questi 10 comandamenti sono solo una spiegazione più dettagliata dei 2 comandamenti dell’amore. Chiamiamo questi 10 comandamenti “Comandamenti di Dio” perché Dio è il loro autore. Sono anche chiamati Decalogo, cioè le 10 parole. – La Chiesa cattolica, con l’aiuto dello Spirito Santo, ha modificati in senso cristiano la forma del Decalogo promulgato sul Sinai. Il decalogo ebraico comprende i seguenti comandamenti

1° quello di adorare Dio solo; 2° il divieto di adorare immagini; 3°nominare il nome di Dio invano; 4°. il comandamento di santificare il sabato; 5° il comandamento di onorare i propri genitori; 6° il divieto di omicidio; 7° l’adulterio; 8° il furto; 9° la falsa testimonianza; 10° il desiderio della proprietà altrui. (Es. XX, 1-17). La Chiesa cattolica ha quindi unito il 2° comandamento relativo all’idolatria al 1° comandamento relativo al culto dovuto a Dio, ha diviso invece il 10°, ed ha enfatizzato il 9° comandamento per aumentare il prestigio della donna cristiana. – Nel comandamento relativo al rispetto dovuto ai genitori, la Chiesa aggiunse: “per vivere a lungo” e questo in conseguenza delle parole di S. Paolo nell’epistola agli Efesini. VI, 3. La Chiesa ha anche trasferito l’obbligo di santificare il sabato alla domenica. – L’opinione dei Giudei, secondo cui ciascuna delle due tavole contenesse cinque comandamenti, sembra essere fondata e ciò che spinge a crederlo è che i primi 5 comandamenti del decalogo ebraico si riferiscono a Dio e ai suoi rappresentanti, e che gli altri 5 si riferiscono a noi ed ai nostri simili. Anche il Salvatore, nella sua risposta al giovane nel Vangelo, inizia l’elenco dei comandamenti di Dio con il 6°, che proibisce l’omicidio (S. Matth. XIX, 18), e S. Paolo considera anche che gli ultimi 5 comandamenti ebraici (gli ultimi 6 della legge cristiana) concatenati l’uno all’altro (Rom. XI II, 9).

2. I CRISTIANI SONO ANCHE TENUTI AD OSSERVARE I 10 COMANDAMENTI, PERCHÉ DIO LI HA SCOLPITI NEL CUORE DI OGNI UOMO E PERCHÉ GESÙ CRISTO LI HA PERFEZIONATI.

I 10 comandamenti si applicano anche ai Cristiani. (C. Tr. 6, Can. 19). Perché Dio li ha incisi nel cuore di ogni uomo. È solo perché la luce divina era oscurata dai cattivi costumi e da una corruzione che durava da tempo, che Dio ha ritenuto necessario dissipare le tenebre promulgando la legge del Sinai (Cat. rom.). “Ciò che essi rifiutarono di leggere nei loro cuori fu inciso sulle tavole ” (S. Aug.). – Gesù Cristo ha rinnovato i 10 comandamenti nelle sue parole al giovane ricco. (S. Matth. XIX, 8). Egli disse anche che non era venuto ad abolire la legge, ma ad osservarla. (S. Matth. V, 17). – Nel Sermone sul Monte, Gesù Cristo perfezionò diversi comandamenti del decalogo, ad esempio il 2°, dichiarando peccaminosi tutti i giuramenti inutili; il 5° e l’8°, vietando l’odio e gli insulti contro i propri simili e prescrivendo di fare del bene anche ai propri nemici; il 6° proibendo ogni desiderio colpevole (S. Matth. V)

3. I 10 COMANDAMENTI DI DIO SONO BEN COORDINATI.

I primi 3 contengono i nostri doveri verso Dio; come nostro sovrano Padrone, Dio ci chiede, nel 1° comandamento l’adorazione e la fedeltà; nel 2° il rispetto; nel 3° il servizio.

Il 4° comandamento contiene i nostri doveri nei confronti dei rappresentanti di Dio sulla terra, che sono allo stesso tempo i nostri più grandi benefattori.

Gli altri 6 comandamenti comprendono i nostri doveri verso noi stessi e verso i nostri simili.

Il 5° comandamento protegge la vita, il 6° l’innocenza, il 7° la proprietà e l’8° la reputazione, il 9° e il 10° tutti i diritti della famiglia.

4. CHIUNQUE OSSERVI TUTTI QUESTI COMANDAMENTI SARÀ RICOPERTO SULLA TERRA DALLE GRAZIE E DALLE BENEDIZIONI DI DIO ED OTTERRÀ UN’ETERNITÀ BEATA DOPO LA SUA MORTE.

Nella sua conversazione con il giovane ricco, Gesù gli disse che l’osservanza dei 10 comandamenti porta alla vita eterna (S. Matth. XIX, 17). Possiamo raggiungere il cielo solo attraverso il ponte dell’obbedienza; questo ponte ha 10 arcate, che sono i 10 comandamenti (S. Vin. Fer.). Dio ha organizzato le cose in modo tale che ciò che conduce alla felicità eterna, produca già quaggiù la felicità materiale. “La pietà è utile a tutto; è alla pietà che sono stati promessi i beni della vita presente e quelli della vita futura” (I. Tim IV, 8). Chi osserva i comandamenti di Dio ottiene una conoscenza più perfetta di Dio, pace interiore, salute, ricchezza e onori. “I tuoi comandamenti mi hanno reso saggio” (Sal CXVIII, 104). Chi ama la tua legge gode di grande pace” (Sal. CXVIII, 165). La pace non è altro che la piacevole sensazione di pensare che la nostra condotta sia conforma alla volontà di Dio. “Beato chi ama la legge del Signore, qualsiasi cosa intraprenda avrà successo” (Sal. I, 3). Chi osserva i comandamenti uscirà vittorioso da ogni sofferenza e persecuzione; Gesù Cristo dice che la sua casa è costruita su una roccia, che né i venti, né le piogge torrenziali possono distruggere (Matteo VII, 25). L’uomo giusto assomiglia ad un albero piantato sulle rive di un fiume. (Sal. I, 3). L’esempio di Abramo, di Giuseppe in Egitto, di Davide, di Giobbe ci dimostrano che Dio ricompensa il giusto già in questa vita. E se la nostra ricompensa fosse piccola in questa vita, sarebbe tanto più grande nella prossima; essa supererà tutto ciò che abbiamo sperato e sarà senza misura e senza fine (S. Cris.). È infatti bene mantenere la propria promessa, che dare più generosamente di ciò che si è promesso (S. Gir.).

5. CHIUNQUE TRASGREDISCA UNO SOLO DI QUESTI COMANDAMENTI SARÀ PUNITO IN QUESTO MONDO ED IN ETERNO NELL’ALTRO.

Chi trasgredisce i comandamenti è come un pesce preso all’amo, o come un treno che esce dai binari. Le punizioni temporali del peccato sono di solito un dispiacere, una malattia, la perdita dell’onore o della fortuna, la miseria ed una morte infelice. Lo testimoniano il figliol prodigo, gli abitanti di Sodoma, i figli di Hélie, Assalonne, Baldassarre, il crudele re Antioco, Giuda. Dio non aiuterà nel momento della prova chi non osserva i comandamenti. A chi non osserva i comandamenti, dice Gesù Cristo, costruisce la casa giace sulla sabbia che non resiste alla pioggia battente. (S. Matth. VII, 27). I tuoni ed i lampi sul Sinai sono il simbolo del fuoco eterno, riservato a chi non osserva i 10 comandamenti. (Cat. r.) Chi osserva tutta la legge tranne un comandamento, li trasgredisce tutti. (S. Giac. II, 10) Infatti, tutti i comandamenti sono uno solo, perché sono così strettamente legati che l’uno non esiste senza l’altro. (S. Cris.) Trasgredire un solo comandamento è peccare contro la carità, da cui dipende tutta la legge, da cui dipende tutta la legge. (S. Aug.) Lo stesso vale per uno strumento di cui una sola corda scordata distrugge tutta l’armonia. (S. Cris.) Nel corpo umano un solo organo malato può portare alla morte (S. Aug.); una città di cui una sola parte sia lasciata incustodita è in balia del nemico. L’inferno è pieno di reprobi che, pur avendo osservato alcuni comandamenti, non li hanno osservati tutti.

6. L’OSSERVANZA DEI COMANDAMENTI È FACILE CON LA GRAZIA DI DIO: “Il mio giogo è dolce– disse Gesù Cristo ai suoi discepoli –e il mio carico è leggero“. (S. Matth. Xi, 30).

S. Giovanni disse ai Cristiani: “I comandamenti non sono difficili da osservare”. (I. S. Giovanni V, 3). Il fardello, tuttavia, è di per sé pesante, ma Dio ci aiuta con la sua grazia, se glielo chiediamo. S. Agostino dice: “Se Dio ti comanda, è perché vuole che tu faccia ciò che puoi e che gli chieda di aiutarti a fare ciò che non puoi.”. “Posso fare ogni cosa”, grida S. Agostino. “Tutto posso – esclama S. Paolo – in Colui che mi dà forza” (Fil. IV, 13). Ciò che deve incoraggiarci è aver visto altri Cristiani e soprattutto i Santi darci l’esempio. (S. Cris.).

IL PRIMO COMANDAMENTO DI DIO.

Sul Monte Sinai Dio si espresse in questi termini: “Non avrai divinità straniere accanto a me”. (Esodo XX, 2-7), vale a dire che adorerete solo me come il Signore. (Cat. rom.). Il 1° comandamento richiede un culto sia interno che esterno (S. Alf.). Gesù Cristo l’aveva ricordato quando disse a satana: “Sta scritto: Adorerai il Signore e a Lui solo dovrai servire” (S. Matth. IV. 10).

Con il 1° comandamento Dio ci ordina di adorare Lui e ci proibisce l’idolatria e la superstizione.

I. L’ADORAZIONE O CULTO DI DIO.

Noi ci sentiamo portati a mostrare una stima speciale, cioè ad onorare le persone che sono superiori a noi per potere, esperienza, conoscenza, ecc. Onoriamo i sovrani, gli anziani, gli studiosi, ecc. Quanto più superiore a noi, maggiore sarà il rispetto che avremo per lui. Poiché Dio è infinitamente elevato al di sopra di tutte le cose, gli dobbiamo il massimo rispetto ed onore possibile. Questo rispetto per l’eccellenza si chiama adorazione.

Dobbiamo quindi adorare Dio, perché egli è infinitamente alto sopra di noi e di tutti gli esseri, e perché tutti gli esseri dipendono assolutamente da Lui come Creatore.

Riflettiamo un po’ sull’infinita perfezione di Dio. Meditiamo innanzitutto sulla sua onnipotenza, che si manifesta così splendidamente nel firmamento scintillante di stelle. “I cieli dichiarano la gloria di Dio ed il firmamento proclama la potenza delle sue mani” (Sal. XVIII, 2); la sua eternità… Un giorno è per il Signore come mille anni e mille anni come un giorno” (II. S. Pietro III, 8). Pensiamo alla sua sapienza che ha organizzato in modo così meraviglioso tutta la creazione e che riesce persino a trasformare il male in bene. “0 profondità della potenza divina, sapienza e conoscenza! Quanto incomprensibili sono i suoi giudizi e quanto imperscrutabili le sue vie! (Rm XI, 33); alla cura paterna che Dio ha per le più piccole creature. – Ha rivelato la nascita di Gesù Cristo a dei pastori e a tre pagani. Ha scelto un’umile fanciulla per sua Madre, dei poveri pescatori per suoi Apostoli; fece proclamare il suo Vangelo ai poveri, ecc. “Chi è come il Signore nostro Dio che abita nei cieli? E che non disdegna di guardare le nostre miserie” (Sal. CXII, 5). Quale infinita distanza tra Dio e l’uomo! “Noi amiamo Dio perché lo conosciamo, ma lo preghiamo perché non lo comprendiamo” (S. Gr. de Naz.).

– Siamo assolutamente dipendenti da Dio. “Sia che viviamo sia che moriamo (Rm. XIV, 8) Siamo interamente proprietà di Dio, da Lui abbiamo le membra del nostro corpo, la forza della nostra anima, la nostra esistenza; è Lui che ci ha redento. “Se qualcuno vi rendesse mani, piedi, occhi, ecc. che aveste perso, non sareste disposti a servirlo per il resto della vostra vita per gratitudine? Ebbene, Dio non vi ha dato solo occhi, mani, ecc. ma tutti i possibili beni corporei e spirituali. Non è forse giusto, allora, servire e adorare solo Lui? (S. F. d’Ass.). L’adorazione di Dio è un balsamo prezioso che si produce dalla meditazione delle benedizioni divine (S. Bern.). Non dimentichiamo nemmeno che non siamo nulla senza l’aiuto di Dio. Se Dio ci toglie il cibo, noi periamo, Se non ci dà lo Spirito Santo, siamo ciechi nello spirito; se permette al diavolo di avere troppo potere su di noi cadiamo nel peccato mortale. Lo stesso vale per le altre creature che, come noi, dipendono completamente dal loro Signore, Maestro e Creatore. “Tu sei degno, o Signore nostro Dio, di ricevere gloria, onore e potenza, perché sei tu che hai creato tutte le cose; è per tua volontà che esse sono state create” (Apoc. IV, 11). Venite, adorate il Signore e prostratevi davanti a Colui che ci ha creati, perché Egli è il Signore, il nostro Dio, e noi siamo il popolo del suo pascolo ed il popolo della sua terra. il popolo del suo pascolo e il gregge creato dalla sua mano (Sal. XCIY, 7),

I. ADORARE DIO SIGNIFICA RICONOSCERE INTERIORMENTE ED ESTERIORMENTE CHE EGLI È IL NOSTRO SOVRANO E CHE NOI SIAMO SUE CREATURE E SERVI.

Adorare Dio significa riconoscere la potenza di Dio e la nostra miseria (Marie Lat.). Adorare Dio significa dirgli, come fece Davide: “Il mio essere è nulla davanti a te” (Sal. XXXVIII, 6). L’adorazione divina si manifesta prima con una venerazione interiore di Dio e poi solo con segni esterni. (S. Th. d’Aq.). Chi adora Dio in verità, è chiamato pio.

2. ADORIAMO DIO INTERIORMENTE ATTRAVERSO LA FEDE, LA SPERANZA E LA CARITÀ.

Con la fede ammettiamo tutte le verità rivelate da Dio, e quindi lo riconosciamo come la verità sovrana. Con la speranza, ci aspettiamo ogni bene da Dio onnipotente e sommamente buono, e quindi lo riconosciamo come fonte di ogni bene. Con la carità ci occupiamo esclusivamente di Dio, Lui come meta suprema.

L’esatta conoscenza di Dio è il fondamento più solido del culto di Dio (S. Aug.), perché è impossibile conoscere Dio senza adorarlo. “Chi conosce la potenza di Dio e il suo desiderio di farci del bene, potrebbe forse non riporre la sua speranza in Dio?”. (Cat. rom.). E colui che sa di quanti benefici Dio gli ha concesso, potrebbe non amarlo? “È possibile che una creatura conosca Dio senza amarlo? (S. Th. di Villan.). Il culto di Dio o adorazione è inseparabile dall’amore che abbiamo per Lui. Perché adoriamo ciò che amiamo”. (S. Aug.). Non c’è altra differenza tra l’amore di Dio e la pietà (adorazione) più che tra il fuoco e la fiamma. (S. Fr. di S.). – Il culto divino consiste quindi in queste tre virtù: fede, speranza e carità. (S. Bern.). Dio deve essere adorato attraverso la fede, la speranza e la carità (S. Aug.). Il culto esterno non è altro che l’espressione della fede, della speranza e della carità.

3. ADORIAMO DIO ESTERIORMENTE ATTRAVERSO IL SACRIFICIO, LE PREGHIERE VOCALI, LE GENUFLESSIONI, PROSTRAZIONI, CONGIUNZIONI DELLE MANI, BATTENDOCI IL PETTO E SCOPRENDO IL CAPO.

Il sacrificio consiste nell’abbandono o nella distruzione di un oggetto sensibile al fine di onorare Dio come Signore sovrano di tutte le cose. “Con il sacrificio l’uomo testimonia che Dio è il suo Signore sovrano e la sua beatitudine e si dichiara pronto a dare per Lui i suoi beni, la sua vita e ciò che ha di più caro sulla terra (sacrificio di Isacco). Gli altri atti esterni di adorazione sono solo come ombra del sacrificio, perché con il sacrificio dichiariamo la nostra sottomissione a Dio non a parole (come nella preghiera vocale), né con simboli, come inginocchiarsi e battersi il petto, ma con azioni”. – Genuflettendoci e prostrandoci (come fece Gesù Cristo sul Monte degli Ulivi) riconosciamo che davanti a Dio siamo molto piccoli; congiungendo le mani, che noi siamo come in catene, cioè senza aiuto; battendoci il petto (come il pubblicano nel tempio), che meritiamo di essere picchiati (cioè puniti). Scoprirsi la testa ricorda ai Cristiani che essi servono Dio liberamente. Coprirsi la testa (come i Giudei nella sinagoga) è invece un segno di sottomissione alla legge. (I. Cor. XI, 4-10). Dio impose a Mosè di togliersi i calzari (Esodo III, 5); ancora oggi i maomettani le tolgono prima di entrare nelle loro moschee.

1. Noi dobbiamo adorare Dio esternamente, perché anche il nostro corpo è tenuto ad onorarlo e perché la nostra adorazione interiore è accresciuta dalle nostre dimostrazioni esterne, e perché il culto esterno soddisfa i bisogni della nostra natura umana.

Il corpo e l’anima sono opera di Dio; entrambi gli devono la testimonianza della nostra sottomissione. – Colui che conosce tutto non ha bisogno di segni esteriori come la genuflessione, ecc. perché Egli conosce le intenzioni dei supplicanti, ma questi segni sono utili all’uomo perché sono in grado di infiammare il suo cuore e di accrescere i suoi sentimenti interiori di adorazione. (S. Aug.). Poiché le cerimonie esterne sono solo un mezzo (per aumentare la nostra devozione interiore), possono essere tralasciate se lo danneggiano. Se siamo stanchi, possiamo pregare seduti; possiamo anche, a seconda delle circostanze, pregare in piedi e camminando, quando sappiamo per esperienza che preghiamo meglio in questo modo. “Non stancatevi inginocchiandovi troppo a lungo, perché questo può causare distrazioni. È sufficiente che la mente sia in ginocchio davanti a Dio” (Santa Teresa). – L’uomo è fatto in modo tale da manifestare i suoi sentimenti interiori esteriormente : la sua fisionomia non può nascondere i suoi sentimenti di rabbia, gioia o tristezza che lo animano. Lo stesso vale per i sentimenti di adorazione. Se una casa è in fiamme, le fiamme non tarderanno a manifestarsi! L’uomo dovrebbe negare la sua natura se volesse limitare l’adorazione di Dio ai suoi pensieri e sentimenti interiori.

2. L’adorazione esterna da sola non basta, deve esserci l’espressione di un’adorazione interiore.

Chiunque si inginocchi, si batta il petto, ecc. senza che ciò sia sincero, è un ipocrita, perché sta dando una dimostrazione esteriore di sentimenti interiori che non ha. Quante persone, però, nelle chiese queste cose solo per abitudine o per ostentazione. Non si tratta di salutare Dio come si fa nel mondo, dove si usano tutti i tipi di espressioni educate, come: buongiorno, buonasera, vostro umilissimo servitore ecc. senza attribuire loro il minimo significato. Le cerimonie che fanno parte del servizio di culto devono essere una fedele espressione di ciò che sentiamo dentro di noi. La samaritana disse: “Dio è spirito e chi lo adora deve farlo in spirito e verità” (S. Giovanni IV, 24), cioè il culto esteriore deve essere prima di tutto nel nostro cuore (spirito) e deve rispondere perfettamente all’adorazione interiore (verità). “Perciò non mostrate mai una pietà che non hai; piuttosto nascondi quella che hai”. (Santa Teresa). Coloro che fanno sfoggio della loro pietà assomigliano a persone che si vestono di abiti al di sopra della loro posizione e che di conseguenza vogliono far credere di essere più ricchi di quanto non siano. – Spesso le persone molto viziose cercano di apparire uomini di pietà per farsi passare per santi; si coprono con il mantello della pietà per nascondere la loro depravazione. Si comportano come persone che emanano cattivo odore dalla bocca e si profumano di muschio, o come quelli che, brutti di natura, si truccano per abbagliare gli altri ed attirare la loro attenzione (S. Vinc. Fer.). Gli Egizi avvolgevano i cadaveri nell’olio per evitare che si decomponessero e che emanassero un cattivo odore. È così che satana lavora con i peccatori per far sparire il tanfo dei loro vizi; li imbalsama con il profumo della simulazione in modo che la loro morte non venga riconosciuta. Gli ipocriti si riconoscono dall’ostentazione con cui compiono tutte le loro azioni e dalla mancanza di carità verso il prossimo. Per pregare, si mettono in piedi dove sono più visibili, si battono violentemente il petto, girano gli occhi, sospirano, mostrano un’andatura strascicata edun volto triste, fanno parte di tutte le società religiose, considerano un crimine non confessarsi in certi giorni (ma non considerano un crimine nascondere le colpe in confessione); hanno sempre in bocca formule di pietà, ecc. Dall’altra parte, vivono in inimicizia, parlano male dei loro vicini, rifiutano di fare l’elemosina e nutrono sentimenti di invidia verso il prossimo. Si riconoscono facilmente per come negano la loro nazionalità. “Gli ipocriti sono miserabili martiri del diavolo” (S. Bern.). Il culto esteriore dell’ipocrita non ha fondamento, perché non nasce da un culto interiore. I pianeti e le comete sono corpi celesti brillanti e simili tra loro, ma le comete scompaiono rapidamente, mentre i pianeti brillano costantemente. Lo stesso vale per la pietà e l’ipocrisia. (S. Fr. di S.). Gli

ipocriti rendono la religione ridicola, la fanno odiare e allontanano le persone di buon senso dalle pratiche religiose (perché nessuno vuole essere annoverato tra gli ipocriti); essi non sfuggiranno ad un meritato castigo.

3. Dobbiamo evitare qualsiasi esagerazione nel nostro culto esterno e non trascurare nel suo adempimento i nostri doveri di stato.

Dobbiamo evitare ogni esagerazione nella nostra pietà, che deve essere libera da ogni bigottismo. Non si è veramente pii se si inclina la testa, se si girano gli occhi, affettare la tristezza… al contrario, la vera pietà è gaia (Sailer). Il nostro prossimo deve sentire il piacere di Dio e della virtù che abita in un’anima. (S. Fr. di S.). È anche un difetto variare troppo gli esercizi devozionali. Nella pietà tutto deve essere semplificato. Una breve preghiera, ripetuta cento volte, ha spesso più valore di cento preghiere diverse (S. F. di S.). – Per rendere il culto dovuto a Dio, non bisogna trascurare i propri doveri di stato. Il modo migliore di adorare Dio consiste proprio nell’adempimento fedele dei nostri doveri di Stato. “Chi compie i suoi doveri di stato con zelo e per amore di Dio è veramente pio”. (S. Fr. di S.). La pietà che non si accorda con i doveri di stato è falsa. Come un liquido prende la forma del recipiente in cui viene versato, allo stesso modo la pietà può essere alleata ad ogni stato e ad ogni situazione (S. Fr. di S .).

4. Noi dobbiamo adorare Dio solo, perché Lui solo è il Signore sovrano del cielo e della terra.

Per questo Gesù Cristo disse al diavolo che lo teneva in pugno: “Sta scritto! Tu adorerai il Signore Dio tuo e servire Lui solo” (S. Matth. IV, 10). Sarebbe un segno di disprezzo per un uomo di alta posizione se mi allontanassi da lui per servire un uomo di basso rango. Allo stesso modo, non è lecito dare tutta la propria mente e tutti i propri pensieri ad una creatura e trascurare Dio per amore di una creatura, sarebbe come riconoscere un Dio estraneo. (S. Bas.). Ma possiamo onorare le creature che rispecchiano le perfezioni divine: questo omaggio non è un’adorazione e si riferisce a Dio. La venerazione dei Santi è quindi consentita.

2. IDOLATRIA.

Ogni uomo sente la sua dipendenza da un essere superiore e, di conseguenza, sente il bisogno di adorarlo. Chi non adora Dio, presto renderà omaggio ad una creatura. E chi non adora Dio secondo le prescrizioni e la dottrina della Chiesa, presto lo adorerà in modo insensato.

1. L’IDOLATRIA CONSISTE NELL’ADORARE UNA CREATURA CHE SI RITIEBBE ESSERE DIO, COME AD ESEMPIO IL CULTO DEL SOLE, DEL FUOCO, DEGLI ANIMALI, DELLE STATUE, ECC.

Gli Ebrei erano spesso colpevoli di idolatria; adoravano il vitello d’oro (Es. XXXII), la statua di Nabucodonosor (Dan. III). Anche i soldati giudei che combattevano sotto Giuda Maccabeo avevano preso doni offerti agli idoli. La sconfitta fu la punizione per questa azione e Giuda Maccabeo offrì numerosi sacrifici per la salvezza delle loro anime. (II. Mach. XII, 40). Molti Cristiani si resero colpevoli di idolatria al tempo delle persecuzioni, dove per paura del martirio offrivano sacrifici agli idoli. Anche la grande Rivoluzione commise il crimine di idolatria, quando mise sull’altare la dea Ragione (10 novembre 1793).

Anche oggi i pagani sono idolatri.

I pagani confondono la gloria della creatura con quella del Creatore. (Rm 1,23). I popoli dell’Asia, dove i corpi celesti brillano più che da noi, adoravano il sole, la luna, le stelle; poi il fuoco, fonte di luce, il vento e l’acqua. :(Sap. XIII, 2). Gli Egizi rendevano omaggio agli animali, sia utili che dannosi: i gatti, lo sparviero, il coccodrillo, ma in particolare il bue Apis, un toro nero con una macchia bianca sulla fronte ed altre macchie, che viveva in un tempio. (Veneravano anche delle semplici immagini di di questi animali). I Romani e i Greci adoravano statue e immagini di falsi dei. Per punire i pagani che avevano abbandonato il vero Dio, Dio ha permesso che di cadessero nei vizi più terribili attraverso l’idolatria (Rom. I, 28). Essi si rappresentavano i loro dèi come viziosi e persino come protettori del vizio. Essi fecero di uno di essi, Mercurio, il protettore dei ladri; Bacco, il protettore degli ubriaconi; pensavano di servire questi dei indulgendo in questi vizi. L’idolatria non era altro che l’adorazione del diavolo (I. Cor. X, 20), perché il diavolo ne era l’anima, abitava in questi falsi dei e spesso da lì impartiva i suoi oracoli. Tutti gli dei dei pagani – dice Davide – sono spiriti maligni” (Sal XCV,5). Quanto siamo grati a Dio per la grazia del Vangelo! Alzandoci a Messa al momento del Vangelo, mostriamo a Dio la nostra gratitudine. Oggi nel mondo ci sono ancora circa 800 milioni di persone, più della metà dell’umanità, che sono ancora pagane. Sono particolarmente gli abitanti dell’Africa, dell’India, della Cina e del Giappone. Ogni anno il Papa invia loro numerosi missionari che i Cattolici devono sostenere con le loro elemosine e preghiere. L’opera della Propaganda della fede e l’opera della Santa Infanzia (quest’ultima fondata con lo scopo speciale di accogliere i bambini esposti in Cina, per allevarli e poi farne degli apostoli), sono i migliori missionari.

2. L’IDOLATRIA CONSISTE ANCHE NEL DONO TOTALE DI SÉ AD UNA CREATURA.

Sarebbe ridicolo considerare idolatra chi brucia due grani d’incenso davanti agli idoli, e non chi consacra tutta la propria vita al mondo (S. Bernardino da S.). Le persone avide sono i peggiori idolatri (Ef. V. 6), perché dedicano tutti i loro pensieri, le loro azioni e la loro salute a Mammona, ai beni della terra. L’avidità è idolatria (Colos. III, 5).

Questa idolatria è compiuta da tutti gli uomini che sono immersi nelle passioni terrene, soprattutto gli avari, i superbi, gli intemperanti, gli immorali. Ciò che ciascuno desidera ed ama è il suo “dio” (S. Aug.). Il dio degli avari è il denaro, (Os. VIII, 4); quello dei superbi, è l’onore; quello degli intemperanti, è il loro ventre. (Fil. III, 19); quello degli impuri è il loro corpo (I. Cor. VI, 15). Avarizia, vanità e voluttà sono la trinità dei mondani. – I genitori che amano eccessivamente i loro figli sono anche idolatri (Sap. XIV, 15).

3. L’iIDOLATRIA È UN CRIMINE DI LESA MAESTÀ CONTRO DIO.

L’idolatria è il più grave dei peccati (S. Th d’Aq.). Chiunque se ne rendeva colpevole presso gli israeliti era punito con la morte (Es. XXII, 20). 23.000 ebrei furono messi a morte per ordine di Dio, perché avevano adorato gli idoli. (Ib. XXXII, 28). – L’idolatria è il più grande crimine che si possa commettere sulla terra (Tert.), è il primo e più grande dei vizi (S. Gr. di Nyssa). Chi è idolatra è maledetto da Dio (Deut. XXVII, 15), il che significa che cadrà in miseria; è questa è la triste condizione dei popoli pagani, che si spinsero fino a diventare antropofagi. Essa provocò la morte dei soldati di Giuda Maccabeo, che avevano portato via alcuni dei doni offerti ai falsi dei. Gli idolatri, gli impuri, gli ubriaconi ecc. non possederanno il regno di Dio1 (I Cor. VI, 10).

3. IL CULTO IRRAGIONEVOLE DI DIO.

1. PER CULTO IRRAGIONEVOLE INTENDIAMO LA SUPERSTIZIONE, LO DPIRITISMO, LA MAGIA.

1. La superstizione consiste nell’attribuire alle creature un potere più grande di quello che esse traggono dalla natura o che hanno ottenuto attraverso la benedizione della Chiesa.

La superstizione è di origine pagana. Presso i Romani, gli Aruspici sondavano la volontà degli dèi esaminando le viscere delle vittime sacrificate a loro. I Greci consultavano l’oracolo di Delfi. Lì una sacerdotessa era seduta su un tripode, posto su una fenditura del terreno, dal quale uscivano vapori. Una volta stordita da questi vapori e in stato di incoscienza, emetteva dei suoni che poi venivano interpretati. Fin dai tempi del paganesimo molte usanze pagane superstiziose sono sopravvissute fino ai giorni nostri, ad esempio, si accendevano fuochi sulle montagne alla vigilia di San Giovanni per scongiurare una catastrofe. Alcuni ritengono che i bambini nati di domenica siano predestinati alla felicità, e quelli nati di venerdì come portatori di sfortuna. Fanno portare loro delle cinture rosse per proteggerli dagli incantesimi. Altri sciocchi sostengono che un quadrifoglio o una corda dell’impiccato, indossati sulla persona, portino fortuna. Recentemente in una città protestante della Germania (Francoforte sul M.) molte strade si sono rifiutate di permettere l’apposizione del n. 13 sulle case; il consiglio comunale è stato costretto ad eliminare questo numero. Questo tipo di superstizione riguarda cose naturali. Ma capita anche che alcune persone attribuiscano agli oggetti religiosi una virtù maggiore di quella che hanno in realtà; credono che una candela benedetta, accesa durante un temporale, preservi infallibilmente e da sola dai fulmini, che la recita di certe preghiere impedisca di annegare o bruciare. Questa superstizione cede solo all’istruzione ragionata o alla derisione. – D’altra parte, non si è superstiziosi quando si utilizzano o si portano con sé oggetti benedetti dalla Chiesa e che quindi hanno una virtù soprannaturale, anche se non infallibile. Pertanto, portare una croce benedetta, un rosario, una reliquia, usare l’acqua santa per ottenere da Dio la liberazione da alcuni mali non è superstizioso. – Ci sono persone che accusano la Chiesa di “indurre alla superstizione”; questa accusa è assurda, perché è proprio la Chiesa a combatterla. Oltre alle persone semplici, sono proprio le persone di mentalità forte ad essere superstiziose. Incredulità e superstizione vanno di solito di pari passo.

2. La divinazione consiste nel guardare al futuro e nel ricercare cose occulte con mezzi inadatti a dare queste indicazioni.

I pagani praticavano l’astrologia. Prevedevano il destino degli uomini in base al corso degli astri; ancora oggi, persone di mentalità ristretta sostengono che l’apparizione di una cometa presagisca guerre, carestie o altri mali. Gli auguri romani deducevano il futuro dal grido degli uccelli o dalla voracità dei polli sacri. Ancora oggi i Cristiani si fanno leggere le carte: secondo quanto riportato dai giornali, ci sono centinaia di cartomanti a Berlino, Parigi e in altre grandi città che vengono ricevuti nelle migliori case. Altri interpretano i sogni in base a determinati libri (oracoli), studiano le linee della mano ed il futuro attraverso combinazioni di numeri, figure ed eventi diversi. (Uno starnuto al mattino presto significherebbe un dono; l’ululato di un cane, la morte di una persona; il fermarsi di un orologio, la morte di un parente; il volo di una civetta su una casa, la morte di un membro della famiglia). Alla divinazione sono legate le previsioni della lotteria. I giocatori della lotteria hanno i numeri da un sogno e da ogni cosa o evento che designa il biglietto da prendere. Un terremoto si è verificato a Roma il 1° novembre 1895. 1 milione di lire sull’11 (il numero del terremoto), sul 90, il numero del grande terrore, sull’1 (per via del 1° novembre), sul 4 e sul 38 (per via delle 4 ore e 38 minuti); nessuno di questi numeri è stato estratto! E queste sono cose che succedono nel XIX secolo, in pieno secolo dei lumi! – D’altra parte, non è divinazione dedurre il probabile tempo atmosferico da certi segni del sole, del vento, delle nuvole, degli animali (uccelli, rane, pesci, ecc.). – S. Ambrogio dice degli indovini: “Ignorano il loro stesso futuro e pretendono di conoscere quello degli altri. Chi crede in loro è uno sciocco”. Filippo, re di Francia, ci mostra quanta poca fiducia meritino gli indovini. Gli era stato predetto che sarebbe morto se avesse distrutto una certa immagine. Egli se la fece portare e la gettò nella finestra.

3. Lo Spiritismo consiste nell’evocare gli spiriti con lo scopo di conoscere cose nascoste.

Gli spiritisti si offrono agli spiriti come strumenti (medium); vogliono che lo spirito sconosciuto (demone) usi la loro mano o il loro linguaggio per farsi comprendere da certe manifestazioni, come bussare, scrivere, ecc. “È un essere istruiti dal diavolo, quando si hanno a disposizione le Sacre Scritture, cioè la parola di Dio, a tale scopo”. (S. Th. d’Aq.). Nessuno deve interrogare gli spiriti, perché ciò dispiace al Signore. (Deut. XVIII, 11). Si pensa di scusare gli spiritisti dicendo che, nonostante ciò, siano Cristiani, invochino spesso il nome di Dio e lo preghino.

“È proprio per questo motivo che li odio e li detesto (gli evocatori di spiriti), perché abusano e disonorano il Nome di Dio, e si dicono Cristiani facendo le opere dei pagani”. (S. Cris.).

4. La magia consiste nel far intervenire gli spiriti per produrre cose miracolose.

È un fatto innegabile che, soprattutto tra i pagani, c’erano persone che, con l’aiuto del diavolo, facevano cose straordinarie. In Egitto al tempo di Mosè, i maghi imitavano i suoi miracoli (Esodo VII). Nei tempi degli Apostoli viveva in Samaria Simone il mago che abbagliava la folla con i suoi artifici. (Act. Ap. VIII, 10). Anche l’Anticristo dovrà, con l’aiuto dello spirito maligno, operare molti miracoli apparenti. (II Tess, II, 8). – Non dobbiamo considerare come maghi i prestigiatori che suscitano stupore per la loro abilità.

2. LA SUPERSTIZIONE ACCECA L’UOMO E LO CONDUCE ALLA FOLLIA.

Le persone superstiziose diventano vili e codarde; si spaventano da un momento all’altro: l’ululato di un cane, il fischio nelle orecchie, la vista di una vecchia donna; non hanno energia quando i loro segni preannunciano disgrazie, e si sgomentano quando vedono che i segni della speranza delusi. Questi presagi li rendono spesso impietosi nei confronti dei loro simili; sono molto veloci a pensare male dei loro compagni, rifiutano di fare il bene a certe persone, e in certi giorni, perché credono che ciò comprometta la loro felicità. – La storia che segue mostra quanto sia facile per le persone superstiziose essere ingannate da segnali di avvertimento. Un medico esortava una donna molto malata a ricevere l’estrema unzione. La donna aveva già deciso, quando improvvisamente sentì il grido del cuculo: “Vivrò altri 12 anni – gridò – perché il cuculo ha gridato 12 volte”, e non voleva più sentir parlare di riconciliazione con Dio. Ma le sue condizioni si aggravarono e poche ore dopo era morta. – La superstizione dispiace a Dio. “Sradicherò dal mio popolo l’anima che si rivolge agli indovini ed ai maghi (Levitico XX, 6). “Odiate – disse Davide a Dio – coloro che ripongono la loro fiducia in cose vane” (Sal. XXX, 7). Chiunque riponga la propria fiducia in cose vane o in spiriti malvagi, attribuisce loro un potere superiore a quello di Dio, e pertanto nega le perfezioni divine: la sua santità, la sua onnipotenza, la sua sapienza, ecc. Dio punisce la superstizione molto severamente. Achozia, re d’Israele, mandò dei messaggeri ad Accaron per chiedere a Belzebù di guarirlo. Il profeta Elia incontrò i messaggeri e disse loro: “Tornate dal re che vi ha mandato e ditegli: “Questo è ciò che dice il Signore”: “È forse perché non c’è Dio in Israele che avete consultato Belzebù? Perciò non ti alzerai dal tuo letto di dolore e morirai”. Achozia morì poco dopo. (IV Re I) È vergognoso per i Cristiani rinnovare con il diavolo il patto strappato da Cristo nel Battesimo. (S. Efr.).

Peccati contro il 1° comandamento.

Si pecca contro il 1° comandamento di Dio:

Quando si trascura la preghiera.

I pagani avevano le loro divinità lariane; le salutavano sotto i portici dei palazzi, come sui tetti delle case di paglia; e noi vediamo i Cattolici che conoscono il vero Dio e gli rifiutano il loro omaggio quotidiano. (Lettera circolare dei Vescovi austriaci 1901). I discepoli di Maometto non mancano di inginocchiarsi nel momento in cui risuona la chiamata alla preghiera, anche in mezzo alla strada, ma i presunti Cattolici illuminati si pongono al di sopra della pratica della preghiera. Sfortunate sono le famiglie dalle quali la preghiera in comune sia scomparsa!

2. Quando la religione viene perseguitata sia con discorsi contro la fede, o con la pubblicazione o la protezione1 di giornali irreligiosi o di libri irreligiosi, o con la partecipazione a società anticattoliche.

3. Quando si pratica l’idolatria o ci si lascia assorbire da cose terrene.

4. Quando si è superstiziosi;

5. Quando si pratica la divinazione o ci si fa predire la buona fortuna.

6. Quando si evocano gli spiriti per conoscere cose occulte o compiere prodigi.

IL CATECHISMO DI F. SPIRAGO (XXIV)

LO SCUDO DELLA FEDE (274)

LO SCUDO DELLA FEDE (274)

P. Secondo FRANCO, D.C.D.G.,

Risposte popolari alle OBIEZIONI PIU’ COMUNI contro la RELIGIONE (17)

4° Ediz., ROMA coi tipi della CIVILTA’ CATTOLICA, 1864.

CAPO XVII

TAVOLE PARLANTI E MAGNETISMO

• I. Io non vedo male a prender parte a quelle sedute. Il. Disdico ogni patto col diavolo. III. Vado armato di oggetti devoti. IV. Si può sapere se sia lecito e fin dove il magnetismo?

Quel che abbiamo detto nel capo antecedente, basta a dimostrare che i miracoli non si possono per verun modo spiegare coi nuovi fatti delle tavole parlanti e del magnetismo: ma non basta ad allontanare da quei pericolosi e rei tentativi molti anche di quelli che non si tengono per malvagi Cristiani. Questi si scusano col dire che non vedono male ad assistere a quelle sedute, che il fanno per istruirsi e per una semplice curiosità, che disdicono in cuor loro qualunque patto anche tacito che possa esservi cogli spiriti infernali, che vi vanno armati di oggetti sacri, quali sono le immagini di Cristo, della Vergine e dei Santi: poiché finalmente son possono darsi a credere che vi sia male in una pratica, la quale ha perfino condotto a vita più religiosa uomini che non si curavano di anima. Queste sono sottosopra le ragioni, onde credono potersi scusare agli occhi propri ed altrui: si contentino adunque che le esaminiamo un istante.

I. E prima di tutto essi non vedono male ad assistere alle sedate spiritualistiche, il fanno per istruirsi, per una semplice curiosità:

à. Ma qui subito offende quell’io non ci vedo male: perocché, e se altri di vista più acuta che non la vostra lo vedessero, sete poi voi il giudice supremo ed inappellabile di quel che è bene e di quel che è male? Levarsi una curiosità non è male, ma purché non sia peccaminosa; istruirsi è un bene, ma purché si faccia con modi onesti. Ora sono mantenute tutte queste condizioni all’assistere che si fa a quelle sedute? Eccovi alcune osservazioni che vi porranno in istato di giudicarne. – Ma prima adunque presupponete, non potersi ornai più dubitare, dopo le tante prove che se ne sono fatte da uomini dotti, che in quei fatti v’ è una vera intervenzione di spiriti dall’altro mondo, che non sono con noi, che non hanno con noi nulla che sia comune. E sebbene io non neghi che talvolta sia ingannato il pubblico con null’altro che giuochi di saltimbanchi, pure niuno potrà mai negare, se già non si toglie fede ad ogni umana autorità che molte volte non intervengano di veri spiriti. Le operazioni che essi fanno, il dare risposte a persone di ogni fatta che previo accordo muovono questioni, il parlare lingue ignote a quelli che li evocano, il trattare scienze che questi ignorano, il dar conto di avvenimenti lontani nel momento medesimo che succedono, ed altri fatti somiglianti, mostrano con ogni evidenza anche agli occhi della sana filosofia che ci vuole, come causa proporzionata, una intelligenza: se pure non si voglia ammettere l’assurdo che si possa macchinare un ingegno, il quale debba variare le risposte secondo la varietà di tutte le domande possibili a farsi. Del resto, che v’intervengano spiriti, l’abbiamo per confessione di quegli stessi che vi sono interessati, i quali tanto lo concedono, che da essi spiriti traggono la denominazione della loro scuola e si chiamano spiritualisti. – Presupponete in secondo luogo che nell’altro mondo vi siano spiriti e buoni e rei. Vi sono gli Angeli buoni, i quali, serbatisi fedeli a Dio, ne godono ora la vista svelata e sono purissimi spiriti, pieni d’ogni santità, del ministero dei quali si serve Iddio in fa re di quelli che ricevono l’eredità della salute. Vi sono gli spiriti reprobi, i quali non avendo mantenuto, come parlano le Scritture, il lor principato, spogliati della grazia divina, e condannati ad eterne pene, tentano con ogni maniera d’insidie di trarre gli uomini alla perdizione. Vi sono eziandio gli spiriti separati dai corpi, cioè le anime di quelli che ci hanno preceduti, delle quali le une regnano con Cristo in cielo, o si purificano nel purgatorio e sono anime giuste e sante, le altre sono riprovate con sentenza finale e tormentano negli abissi. Tutto ciò è chiaro ed innegabile ai Cattolici. – Ora, ecco la gran questione che ci si presenta: gli spiriti che si danno a conoscere in coteste sedute sono essi buoni o rei? La risposta non è difficile a darsi. Iddio non può permettere che gli spiriti buoni concorrano ad una azione che è gravissimamente da Lui vietata, che la santa Chiesa non solo non riconosce, ma severamente condanna, ad una azione che distruggerebbe molte verità della fede, che evidentemente è perniciosa. Ora è appunto tale l’evocazione degli spiriti: come dunque possono gli spiriti prendervi parte? – Che l’evocazione degli spiriti sia gravissimamente vietata da Dio, non può dubitarsene. È proibita indirettamente dove si vietano gli indovini, gli auguri, gli arioli, i pitoni e le pitonesse, e generalmente tutte le superstizioni per cui s’indagano gli avvenimenti futuri, che è appunto quello che si cerca per mezzo delle tavole parlanti, secondo che osserva la S. Congregazione: Ariotandi divinandique principium quoddam se nactos gloriantur. È proibita direttamente là dove è condannata sì gravemente la temerità di Saul, il quale tentò richiamare lo spirito del morto Samuele. – E sconosciuta al tutto alla Chiesa siffatta comunicazione. Sopra di che osservate che di tutte le maniere di comunicazione che i Cristiani possono avere coll’altro mondo, unica depositaria e custode e maestra è la santa Chiesa: tantoché niuna ve ne sia legittima che da essa non provenga. 1,a religione, dice un filosofo contemporaneo vieta il credere oltre a quello che essa insegna; ma si deve aggiungere, che vieta anche di fare oltre a quello che essa fa. Ora certo di questa via di comunicazione coll’altro mondo sì straordinario, la Chiesa mai non ha parlato, mai non l’ha proposta ai fedeli: sicché conviene dire che o mai non l’ha conosciuta, oppure sempre l’ha invidiata ai suoi figliuoli. Chi può dir dunque che sia legittima, che sia sicura? – Ma v’ è di più, che l’evocazione degli spiriti è direttamente opposta alle dottrine ed ai principii della Chiesa. Avete da sapere, o lettore, che nella Chiesa cattolica gli effetti, che trascendono la natura sono reputati impossibili ad ottenersi da cagioni naturali. Ora come non trascende la natura, l’aver comunicazione con spiriti separati da noi, cogli Angeli, coi Santi, collo stesso Cristo? Il darsi, dunque, un modo con cui arrivare naturalmente a questi effetti, siccome avviene nel nostro caso, è affatto fuori di tutti i Vescovi principi cattolici. Così lo dice espressamente la S. Congregazione nella circolare diretta a tutti i Vescovi della cristianità, dove, condanna quelli che tentano di fare lo stesso per via di magnetismo, apporta appunto questa ragione: Cum ordinentur media physica ad effectus non naturales, reperitur deceptio omnino illicita et haereticalis et scandalum contra honestatem morum. E perché alcuno non creda che ivi si condannino fatti diversi da quelli che si tentano per mezzo delle tavole parlanti, poco sopra li aveva espressi, cioè fare discorsi intorno alla religione, evocare le anime dei morti, ottenerne risposte, scoprire cose ignote e lontane ed esercitare altre superstizioni somiglianti: De ipsa religione sermones instituere, animas mortuorum evocare, responsa accipere, ignota ac longinqua detegere, aliaque id genus superstitiosa exercere, che sono appunto tutte quelle cose che per mezzo delle tavole si ri cercano. – Né queste condanne sono novità. Notano i teologi che queste superstizioni furono in altri tempi, sebbene con qualche accidentale varietà, pur troppo commesse, e già severamente condannate. La sola differenza tra le antiche e le moderne è questa: che allora si commettevano tra i nascondigli e le tenebre, poiché, riverita come era profondamente la Chiesa, i divieti di lei erano non solo rispettati dai singoli, ma pur dai Governi, informati dallo spirito cattolico colle leggi civili mantenuti in onore: laddove al presente che il protestantesimo ha introdotto lo spirito privato del culto, ed il valterianesimo ha magagnato anche i Governi, si commettono sfacciatamente in pieno giorno senza repressione: e con infamia altissima del popolo cristiano gli Hume e i Bort ne danno pubbliche rappresentazioni nelle capitali di Europa e nelle sale di America. I fatti però sono i medesimi, gli stessi scongiuri, le stesse evocazioni fatte per gli stessi fini, come gli effetti che ne provengono sono gli stessi. Laonde per i Cattolici, i quali sono certi che la Chiesa non può condannare quello che non è reo e degno di condannazione, si fa manifesto che, dovendo in quei fatti riconoscersi l’intervento di spiriti dell’altro mondo, questi non possono essere che spiriti reprobi e demoni.- Che se tutto ciò non bastasse a persuadere alcuni più inticchiati di coteste orrende superstizioni, osservate, io direi loro, gli effetti di esse, le risposte che danno, quello che consigliano, e, secondo l’ammonimento di Cristo, dai frutti conoscerete la pianta. Quali sono dunque essi? I giornali che ne riferiscono i fatti quotidiani, e gravi autori che ne hanno esaminata la questione, riportano in gran numero le infermità anche corporali avvenute dietro a quegli Iniqui tentativi, la perdita totale del cervello, l’eccitamento nervoso spinto ad un eccesso quasi epilettico, stranissime perturbazioni nell’ordine interno delle famiglie, e molti casi di morte anche subitanea. Ora gli Angeli santi del Dio della pace e le anime giuste non fanno così. – Ma più ancora si pare la reità di quegli spiriti negli oracoli che rendono: nei quali se qualche volta s’intingono, come or ora diremo, il più delle volte si manifestano per quel che sono. Interrogati sulla Religione cattolica, la disapprovano, infuriano contro i misteri di lei ed i sacramenti. Non possono patire la cattedra tremenda di San Pietro, dalla quale sono smascherati, e le si scagliano contro con una furia di veri demoni. Spropositano orribilmente sulla vita avvenire, sui novissimi, e sovra altre verità indubitatissime di nostra fede. Glorificano l’eresia, lodano gli eresiarchi, vilipendono i Santi: e l’empio Bort, che in Ginevra giunse a formare una religione novella in onor degli spiriti, introduce in certi scellerati suoi libri la persona sacrosanta di Gesù Cristo a favellare dalla tavola da libertino. Le quali cose essendo così come il provano i fatti luculentissimi di ogni giorno, chi sarà ancora tra cattolici o così scemo di cervello che non veda chiaramente donde muovano quei prestigi, o così perduto di coscienza che, vedendolo, pure si adatti a prendervi parte? – Non può dunque esser lecito l’assistere a quelle sedute, perché mai non può esser lecito l’entrare in comunicazione coi nemici di Dio, perché non è lecito di promuovere e coonestare colla propria presenza l’iniquità; e se è scusabile l’intervento di un ministro del Signore, il quale, per assicurarsi dei fatti, è mandato dalla legittima autorità, non può mai esser lecito l’intervenirvi per soddisfare ad una curiosità privata. – So bene che alcuni si rideranno bonariamente di me che credo possibile l’intervento degli spiriti dell’altro mondo negli affari di questo; ma so ancora che quelli che ridono così, ridono di una autorità ben più augusta che non è la mia. Ridono dell’autorità delle sante Scritture, le quali testificano la possibilità di tale intervento mentre ne allegano i fatti qual è quello di Saul; ridono del Vangelo, nel quale ne sono Citati dei fatti indubitabili; ridono della Chiesa, la quale avendo condannata la negromanzia e tante altre superstizioni, dove si suppone un tale intervento, se questo non fosse, si sarebbe divertita a colpeggiar l’aria. Ridono di innumerevoli santi Dottori, i quali tanto suppongono possibile questo fatto che ne ponderano gli effetti ed i modi di preservarsene; ridono dell’autorità di moltissimi Santi, i quali, secondo che testificano le loro vite, l’hanno dovuto anche troppo sperimentare. Anzi ridono pure degli eretici, dei filosofi pagani, degli idolatri, tra quali tutti non è mai rimasto dubbio che potessero intervenire, e sotto nome or di geni, or di demoni li hanno riconosciuti. Il negare adunque la possibilità di sì fatto intervento non è cosa non dico solo da cattolico, ma pur d’uomo ragionevole, il quale non si creda superiore a tutto l’umano genere. Perciò dove la Chiesa o l’autorità legittima dei superiori, o altre gravi ragioni ci premuniscono che in questa od in quella opera lo spirito delle tenebre può aver luogo, la nostra sicurezza, la pietà, l’obbedienza cattolica, il dovere ci costringono a guardarcene prontamente.

II. Io disdico internamente ogni patto col demonio, rispondono alcuni. Il disdire ogni patto col demonio è cosa ottima, ma qui non basta. Quando l’opera è di sua natura indifferente, che cioè può essere o naturale o diabolica, allora quell’atto interno ha il suo valore: ma dove ragioni chiare, e soprattutto per un cattolico l’autorità della Chiesa, indicano che l’opera di sua natura è rea, le proteste non hanno valore: non è la protesta che allora si chiede, è l’obbedienza. Che cosa, infatti, direste voi di uno che percotesse coi pugni, e vi levasse di tasca l’oriuolo, e tuttavia testasse che non intende né di offendervi né di rubarvi? Al danno egli aggiungerebbe la beffa. Similmente, i Vescovi che sono i reggitori del popolo cristiano, la Chiesa che n’è universale maestra, vi dicono che è male, e voi traete innanzi e dite: io lo farò ma con la protesta in contrario; forse la vostra protesta cambia la natura dell’atto? A questo modo potete mormorare, bestemmiare, fornicare, o dar corso a tutti i pravi desideri del cuore, e poi protestando che non avete intenzione di far peccato, tenervi per innocenti. Inoltre la protesta in questo caso è anche inefficace per un’altra ragione. Il patto col demonio può essere di due sorte: chiaro, espresso, esplicito, oppure implicito, nascosto, sottinteso. Nel primo caso l’invocazione di lui è manifesta, espressa. Il secondo caso è ogniqualvolta si adopera un mezzo che è conosciuto non proporzionato naturalmente al fine. Ora può bene chi è incerto sulla natura del mezzo, e crede potersi usare anche onestamente sebbene vi sia chi lo abusi, protestando che non l’adopera altro che in quanto jè lecito salvare la propria coscienza: ma chi sa già che è illecito, quando tuttavia l’adopera, consente veramente nell’atto superstizioso. Ed allora, come osservano i Santi, il demonio concorre a quel segno, senza tener nessun conto delle proteste in contrario. Se aveste convenuto con un vostro servo che al tocco del campanello ei si presentasse, avreste mal garbo a lagnarvi che presentandosi sia venuto a disturbarvi, perché toccando voi il campanello con un atto interiore avete disdetto quel cenno.

III. Porto indosso la corona, ecc. La corona, il crocifisso, l’acqua benedetta e le reliquie sono belle e buone, ma allo scopo presente non servono punto più che le proteste. Chi pone la causa, bisogna che si contenti di averne gli effetti. Qui si è posta in atto una causa superstiziosa, ed il demonio vi concorre per la sua parte. Molto più che, secondo la dottrina cattolica, solo i Sacramenti ben ricevuti producono affetto immanchevole: questi altri mezzi non hanno altro valore che d’intercessione: e però mentre riescono tanto efficaci nelle tentazioni, nelle quali il demonio viene in cerca di noi, possono riuscire di nessuna virtù quando noi, colla nostra curiosità, andiamo in cerca dei demoni. Iddio ci presta il suo soccorso ed il fa molto volentieri, ma secondo l’ordine della sua sapienza, non secondo i capricci delle nostre passioni. – Basterebbe forse a scusarvi da un furto, da un omicidio l’averlo commesso colla corona in tasca o colla reliquia al collo? Certo no. Ebbene essendo illecita in sé, perché gravemente superstiziosa, la vostra assistenza, e perché proibitavi dai legittimi superiori, non la renderete mai lecita coll’acqua santa o col rosario. – Sono avvenute persino delle conversioni… Io veramente non posso finire le meraviglie sopra certuni, i quali tanto veggenti nelle cose del mondo, sono poi sì rozzi nelle cose dell’anima e di Dio. Sua pure che qualche materialista in faccia a quei fenomeni non abbia più potuto negare l’esistenza degli spiriti; ma e non si sa che quel profondo ed arrabbiato nemico dell’umana salute che è il demonio non ha difficoltà di perdere qualche cosa per guadare poi dopo molto di più? Anche nel mondo gli scaltri trovano che è prudenza gittar un ago per ricogliere un palo: pensate adunque se lo spirito reprobo non troverà gran compenso di quella qualunque perdita nell’accreditare il regno della superstizione sulla terra, nello sviare gli uomini dall’obbedienza dovuta alla Chiesa, nel fissarli immobilmente in quegli errori rendendoli ostinati. Non sanno costoro quello che pure è dottrina di tutti i Santi fondati sull’autorità dell’Apostolo, che è vezzo tutto proprio dello spirito infernale incedere per vie tortuose, sorprendere gli uomini sotto aspetto di bene, trasfigurarsi, in una parola, in angelo di luce per ingannarli più sicuramente. Senzaché fa poi veramente una gran perdita il demonio con queste supposte conversioni? Che un materialista si cambi in spiritualista, credetemi, non gli toglie gran fatto. Il passare da uno ad un altro errore è sempre uno star lontano dalla verità, e star lungi dalla verità è dannarsi. Il demonio adunque non perde nulla a siffatte conversioni e guadagna molto nel farle credere: ed il trarle in campo a giustificare quegli errori, è non conoscere cosa sia vera conversione, né sino a qual punto sia scaltro a perdizione delle anime il comune nostro nemico.

IV. E questo potrebbe bastare al mio intento intorno a questa materia; se non che a modo di appendice vo’ aggiungere una parola di risposta ad una domanda che si fa non di rado dalle persone timorate di Dio, intorno all’argomento proposto in questo capo e nell’antecedente. A tutti questi fatti sia del magnetismo, sia delle tavole parlanti è lecito finalmente prendervi parte, o almeno in qualche grado, oppure è assolutamente vietata ogni cosa? Ecco la dimanda a cui vorremmo una risposta precisa. – Per intelligenza della risposta che sono per darvi, premettete brevemente prima, che il magnetismo, dietro a quello che fin qui se n’è scritto, può richiamarsi a tre gradi o stadi che sono i seguenti. Il primo non consiste in altro che nel procurare il sonno ad una persona per ristoramento, si dice, delle forze inferme di lei, e questo si fa, e certo si può fare, con maniere oneste e convenienti, e si suppone che non sia altro che la trasmissione fisica d’un fluido che da un corpo si deriva in un altro. Il secondo grado è quando la persona magnetizzata dallo stato di puro sonno passa allo stato che dicono di sonnambulismo, oppure di lucidità magnetica, oppure di chiaroveggenza, che con tutti questi nomi sogliono chiamarlo. A questo grado si possono rivocare tutti i fenomeni di vedere le cose lontane, di scoprire le interne infermità dei corpi, di leggere ad occhi chiusi, di intendere lingue ignote, di parlar di scienze mai prima non apprese, di dar consulti, e tante altre mirabilie di cui parlano i trattatori di quest’arte. Finalmente vi è un terzo grado, ed è quando la lucidità magnetica arriva tant’oltre che la persona magnetizzata non solo vede tutte le cose sopraddette, ma entra in comunicazione con un’altra specie di esseri, cioè cogli spiriti dell’altro mondo, dai quali riceve comunicazioni; e coi quali fa colloqui e ragionamenti. Questo terzo grado è forse l’anello che lega questi fatti a quelli della tavole parlanti, perocché come ivi gli spiriti fanno segno di presenza per mezzo della persona magnetizzata, così qui fanno segno di presenza per mezzo delle tavole, e già persino senza di esse con altri mezzi più alla mano. – Ciò premesso, eccovi la risposta che mi sembra doversi dare dietro le risoluzioni che fin qui ne abbiamo avute dalla Chiesa. Quanto al primo grado che è procurare altrui il sonno con la trasmissione di un fluido, parmi che non si possa ancora dai privati condannare. La S. Congregazione, sotto il 27 Luglio, diede un decreto così: Rimosso ogni errore, sortilegio ed invocazione implicita ed esplicita del demonio, l’uso del magnetismo, cioè il mero atto di adoperare mezzi fisici, d’altronde leciti, non è moralmente vietato, purché non tenda ad un fine illecito o comunque malvagio. Ora, come pensano uomini dotti e Cristiani, l’effetto che si ottiene in questo grado non eccedere le forze della natura e come può volersi per fini onesti, e per mezzi al tutto onesti conseguirsi: né la Chiesa finora ha interposta sentenza in contrario; così ne conseguita non potersi dire vietato. So bene che molti hanno orrore anche a ciò, ed io per mia parte aggiungerò loro che nol diminuiscono punto, poiché non è senza gravi pericoli anche questo grado. Imperocché, sebbene sia vero che niun privato abbia diritto di prevenire il giudizio della Cattedra apostolica e d’imporre altrui la propria persuasione, pure non è vietato lo sconsigliare quello da cui si vedono spesse volte provenire gravissimi danni fisici e morali, come accade in questo. – Ben diversamente s’ha da parlare del secondo grado, al quale si richiamano tutti i fenomeni sopraccennati del sonnambulismo. Checché abbiano detto e scritto in contrario, è chiaro che da Roma ne è venuta la proibizione. Avendo il Vescovo di Losanna descritto in un caso tutte le particolarità che sogliono intervenire in quel fatto, lo stato della magnetizzata, il modo onde le si fanno le interrogazioni, le risposte che essa rende, e tutte le strane circostanze che intervengono; dimandò se fosse lecito esercitar quell’arte in supplemento della medicina, ed il lasciarsi mettere in quello stato, ed il permettere che altri tenga consulto con magnetizzata intorno alla propria persona od altrui, anche aggiungendovi la cautela di rinunziare ad ogni patto ed intervenzione diabolica. La S. Penitenzieria il 1° Luglio 1841 rispose, non esser lecito l’uso del magnetismo secondochè veniva esposto. Ora essendo tutte quelle particolarità, addotte in esso, appunto quelle che si praticano comunemente, rimane chiaro che quello, che comunemente si pratica, è condannato. Né meno chiaramente parla l’Enciclica diretta, gli ha due anni, dalla S. Congregazione dell’Inquisizione a tutti i Vescovi della cristianità. Chiama nuovo genere di superstizione (novum genus superstitionis) il tentativo di scoprire per arte e prestigio del magnetismo cose occulte, lontane e future per mezzo di donnicciole, che pendono unicamente dal cenno dei magnetizzatori. Dice che studiano ad ingannare e sedurre gli uomini quei moderni che vi si applicano: Decipiendis ac seducendis homonibus student neoterici plures, rati posse occulta, remota ac futura detegi magnetismi arte vel præstigio, præsertim ope muliercularum quae unice a magnetizatoris nutu pendent. Di che ognuno vede se possa ancora illudersi chi dà retta a tutte quelle superstizioni. – E non meno di queste sono vietate quelle che abbiamo accennato appartenere al terzo grado, e per conseguente anche alle tavole parlanti. Anche qui io lascerò parlare la Enciclica sopraccitata: « Di qua, si dice ivi, sedotte ai prestigi di quel che chiamano sonnambulismo o chiara visione, pretendono quelle donnicciole di vedere cose invisibili, e presumono temerariamente di fare discorsi di religione, di evocare le anime dei morti, di averne risposte, di scoprire cose ignote o lontane, e di esercitare altre superstizioni somiglianti. Che però prosegue « qualunque sia l’arte o l’illusione che v’interviene, vi si trova una decezione al tutto illecita, ereticale e scandalosa contro l’onestà dei costumi. Finalmente passa ad eccitare lo zelo di Vescovi e Patriarchi dell’Orbe cattolico, affinché reprimano efficacemente un delitto sì funesto alla religione ed alla società con tutti i mezzi di cui possono disporre. Dalle quali parole i Cattolici che sanno qual è l’obbedienza che si debba ai superiori ecclesiastici, possono raccoglierne in primo luogo quanto siano vani i sotterfugi ai quali ricorrono quelli che affermano esser naturali gli effetti del magnetismo, non saper noi fin dove giungano le forze della natura, così non potersi persuadere che siano illeciti, e somigliante. Non si tratta più ora di investigare né quel che siano in sé, né fin dove giungano le forze della natura, né quello che ad essi ne paia; si tratta di piegare il capo, di sottomettersi alla legittima autorità, di obbedire. – Possono in secondo luogo raccoglierne i Cattolici quanta sia l’impudenza di quelli che, non ostante i divieti fatti dalla legittima autorità, proseguono a dare simili rappresentazioni, e ne tengono sedute pubbliche, e riempiono i giornali di avvisi e di narrazioni dei loro prodigi; quanta sia l’empietà di quelli che proseguono a caldeggiare quasi fosse una scienza naturale quella che è una superstizione diabolica; quanto sia improvvida la condotta di quei governi che lasciano correre siffatte abominazioni; e quanto savia la condotta di quelli, che impiegano la loro autorità nel preservarne il popolo cristiano. Non è necessario di essere impastato di devozione per detestare eccessi così gravi: basta non avere al tutto perduto ogni umano sentimento. – Fatalmente se qualche lettore più pio, vedendo che si commettono nel mondo eccessi sì gravi quasi se ne scandalizzasse, io gli aggiungerò qui sull’ultimo una parola di spiegazione e di conforto. È veramente nuovo nel mondo che con tanta sfacciataggine gli uomini si abbandonino a colpe sì gravi; tuttavia il Maestro divino ci ha prevenuti che così sarebbe stato, perchè non ce ne commovessimo. Dopo i mille anni, dice egli per S. Giovanni, sarà sciolto satana dalla sua prigione, e discorrendo la terra sedurrà le nazioni: Et exibit et seducet gentes (Apoc. XX, 7). “E la seduzione sarà tale – ne dice egli – che, se fosse possibile, sarebbero tratti in errore perfino gli eletti”. “Abbonderà l’iniquità, raffredderassi la carità” (Matt. XXIV, 12). “La fede parrà quasi spenta” (Luc. XXIII, 8). “Gli uomini saranno amanti solo di sè stessi, superbi, blasfemi, disobbedienti ai genitori, senza riguardi ai diritti del sangue e della natura, nemici dell’ordine e della pace” (II Tess., III,2). “Disprezzeranno ogni legittima potestà, bestemmieranno la maestà” (Jud. VIII). Vedrassi allora apparire un nuovo genere di empietà fino a quel tempo sconosciuta, la quale consisterà non nell’abbracciare una falsa religione, ma nel dispettare ogni culto, e nel tenersi al di sopra di tutto ciò che gli uomini riveriscono ed adorano. Gli errori degli uomini non saranno più errori umani, ma errori al tutto diabolici. Attenderanno agli spiriti di errore ed alle dottrine degli stessi demoni, Attendentes spiritibus et erroris et doctrinis dæmoniorum (I Tim. IV, 1) e così prepareranno la strada a quello il cui arrivo sarà secondo l’operazione di satana (II Tess. II), e farà segni, prodigi e falsi miracoli per sedurre gli uomini. Ora chi può meravigliarsi che quello che l’eterna verità ha prenunziato, cominci ad apparire? Non un iota, non un apice della sua divina parola ha da rimanere senza compimento. – Ma e non correremo pericolo di seduzione? II pericolo vi è, e ciò nonostante nulla è più facile che evitarlo: e questo è che, io dicevo tornare a grandissimo conforto dei veri fedeli. Che cosa, dunque, si richiede ad una totale sicurezza? Niente altro che tenersi immobilmente stretto alla rocca incrollabile, che è la S. Chiesa. Qualunque arte peregrina, qualunque invenzione, qualunque prestigio si presenti di nuovo, gridi chiunque vuole, qui è il Cristo, qui è la verità; noi non abbiamo da fare altro che quello che fa un figlioletto affettuoso in caso di incertezza e di dubbio. Esso volge uno sguardo alla madre, e coll’occhio la interroga, e dove abbia un cenno di risposta, egli ha tutto compreso e si acquieta. Similmente il Cristiano, interrogata che ha la Chiesa, se ode dirsi che non v’ha pericolo, è pienamente sicuro che pericolo non vi ha, se ode intimarsi che non è quella la strada da battere, egli allontanandosene francamente, sarà preservato dalla seduzione. – Le vittime pertanto saranno tra quei fedeli, i quali incautamente vorranno prestare orecchio ad ogni pericolosa novità. In più gran numero ancora saranno tra quei Cattolici di puro nome, i quali non riconoscono al tutto l’autorità della Chiesa o non l’ascoltatore, ma soprattutto saranno presso quegli sventurati che appartengono al protestantesimo, i quali non avendo alcun fondamento di certezza si gittano a seguitare qualunque maestro si presenti, come vediamo accadere in Inghilterra, negli Stati Uniti, in Ginevra, dove l’ultimo che si mostra e bandisce qualche nuovo errore, tosto fa seguaci, fa popolo, e forma una religione novella, la quale si dissolve poi il giorno o l’anno seguente all’apparire di un altro errore farneticante. Faccia Dio che i Cattolici sappiano valersi del tesoro che possiedono, e che i protestanti dalla stessa moltitudine e gravità dei loro errori giungano ad invogliarsene!

IL CATECHISMO DI F. SPIRAGO (XXII)

IL CATECHISMO DI F. SPIRAGO (XXII)

CATECHISMO POPOLARE O CATTOLICO

SCRITTO SECONDO LE REGOLE DELLA PEDAGOGIA PER LE ESIGENZE DELL’ETÀ MODERNA

DI

FRANCESCO SPIRAGO

Professore presso il Seminario Imperiale e Reale di Praga.

Trad. fatta sulla quinta edizione tedesca da Don. Pio FRANCH Sacerdote trentino.

Trento, Tip. Del Comitato diocesano.

N. H. Trento, 24 ott. 1909, B. Bazzoli, cens. Eccl.

Imprimatur Trento 22 ott. 1909, Fr. Oberauzer Vic. G.le.

SECONDA PARTE DEL CATECHISMO

LA MORALE (2)

5. IL COMANDAMENTO DELL’AMORE PER IL PROSSIMO.

Tutti sono nostro prossimo senza distinzione di religione, nazionalità, età, sesso o stato (S. Aug.).

La storia del Buon Samaritano ci insegna che lo straniero e persino il nemico è il nostro prossimo. (S. Luc. X). Purtroppo, molte persone considerano come loro prossimo solo chi appartenga alla stessa nazionalità o alla stessa religione. In Cristo non ci sono né Giudei né Greci, ma tutti sono uno (Gal. III, 28).

.1. DOBBIAMO AMARE IL NOSTRO PROSSIMO PERCHÉ GESÙ CRISTO LO COMANDA, PERCHÉ È FIGLIO DI DIO E CREATO A SUA IMMAGINE E SOMIGLIANZA; PERCHÉ DISCENDIAMO DAGLI STESSI GENITORI E SUAMO TUTTI CHIAMATI AD UN’ETERNITÀ BEATA.

Gesù Cristo ha comandato: “Amerai il tuo prossimo come te stesso”. (S. Marco XII, 31). – Chi ama il Padre amerà anche i suoi figli. (I. S. Giovanni V, 1). Ora, il nostro Padre comune è Dio, che ci ha creati tutti (Mal. 11, 10). Siamo tutti suoi figli e dobbiamo quindi amarci gli uni gli altri. “Tutti coloro che discendono dalla stessa persona sono imparentati tra loro. Tutti coloro che hanno ricevuto la vita dallo stesso Dio, sono fratelli e sorelle e devono amarsi gli uni gli altri (Lact.). Chi ama il padre rispetterà certamente anche il suo ritratto; ora, il nostro prossimo è l’immagine di Dio (Gen. I, 27), quindi dobbiamo amarlo. Come la luna riceve la sua luce dal sole, così l’amore per il prossimo deriva dall’amore di Dio. Dobbiamo quindi amare il nostro prossimo con un amore che sarebbe impossibile se non ci fosse Dio (S. Edmond). – Siamo tutti figli della prima coppia, quindi siamo tutti una grande famiglia e il nostro amore deve essere amore fraterno. – Infine, siamo tutti chiamati alla beatitudine eterna. Un giorno dovremo dimorare tutti insieme in eterno, vedere Dio e benedirlo per sempre. S. Giovanni dice: “Vidi una folla innumerevole di ogni nazione, tribù, popolo e lingua; tutti in piedi davanti al trono dell’Agnello, rivestiti di vesti bianche, con rami di palma nelle mani (Ap. VII, 9). Sulla terra vediamo persone che svolgono la stessa professione, sacerdoti, insegnanti, ecc. in stretta unione, così dobbiamo fare noi, che chiamati alla stessa beatitudine, dobbiamo essere uniti dal vincolo della carità. Per questo Gesù Cristo ci ha insegnato una preghiera, quella domenicale, in cui ognuno prega per tutti.

2. L’AMORE PER IL PROSSIMO ESISTE NELLA NOSTRA ANIMA QUANDO SIAMO BENEVOLI NEI SUOI CONFRONTI, SENZA FARGLI DEL MALE MA FACENDOGLI DEL BENE.

L’amore per il prossimo non consiste solo in un sentimento di tenerezza o di benevolenza nei suoi confronti, perché ne trarrebbe poco frutto. S. Giacomo disse: “Se uno dei tuoi fratelli venisse da te nudo e affamato e tu gli dicessi: Vai in pace, riscaldati e saziati, senza alcun aiuto da parte tua, a cosa servirebbero le tue parole?” (Giac. II, 15). L’amore per il prossimo è quindi prima di tutto un atto di volontà e si esprime attraverso la beneficenza. “Non dobbiamo amare solo con le labbra e con le parole, ma soprattutto con le azioni e nella verità. (I. S. Giovanni III, 18). La benevolenza consiste nella gioia di vedere il nostro prossimo felice e nel dispiacere di vederlo infelice. – S. Paolo ci dice: “Rallegratevi con quelli che gioiscono e piangete con quelli che piangono” (Rm XII, 15). Notiamo la gioia di Elisabetta quando seppe che Maria fosse diventata la Madre di Dio, e le disse le parole che recitiamo nell’Ave Maria. (S. Luc. 1,42). Si noti anche la gioia dei vicini di Zaccaria alla notizia della sua guarigione miracolosa in occasione della nascita di San Giovanni Battista (Lc. I, 58); così come la gentilezza di Abramo nei confronti di Lot, al quale cedette volentieri la terra migliore (Gen. 12); quella di Mosè espressa in questi termini: Che tutti i popoli posseggano la saggezza e che Dio dia loro il suo spirito. (Gen. XI, 24). Auguri offerti in occasione di una festa, di un nuovo anno, di un lieto evento, il saluto che ci rivolgiamo l’un l’altro quando ci incontriamo, sono segni di benevolenza. Il Salvatore stesso salutò i suoi Apostoli con queste parole: “La pace sia con voi; gli stessi Angeli salutano, come possiamo vedere dal saluto dell’Arcangelo Gabriele alla Vergine Maria, e i buoni Cattolici usano da tempo la pia formula per salutarsi: Sia lodato Gesù Cristo! S. Paolo raccomanda di essere premurosi l’uno con l’altro (Rom XII, 10). Cancellare la benevolenza sulla terra, è come sopprimere il sole, e con ciò rendere le relazioni degli uomini tra loro impossibili. (S Greg. M.) Le membra di un medesimo corpo sono legati da incidenti che capitano ad uno di essi; quando una spina penetra nel piede, gli occhi cercano di vederla, la lingua viene informata, il corpo si contrae e la mano si muove per estrarla. Noi dobbiamo fare lo stesso verso il nostro prossimo. (S. Aug.) – Non ci è dunque permesso di rallegrarci della disgrazia, né rammaricarci della felicità del nostro prossimo. Le gioie dell’invidia sono diaboliche e sono il segno più certo che l’uomo non possiede l’amore per il prossimo.

Dobbiamo evitare di danneggiare il nostro prossimo nella sua vita, innocenza, proprietà, onore e diritti di famiglia.

specialmente quando si trova nel bisogno.

Dio difende tutto ciò negli ultimi 6 comandamenti. Chi trasgredisce gravemente uno solo di questi comandamenti non ha la carità.

Noi dobbiamo fare del bene al nostro prossimo. Specie quando sia nel bisogno.

Il nostro Giudice ci richiede opere di misericordia e fa dipendere da esse la nostra salvezza. (Mt. XXV, 35). In un edificio, una pietra sostiene l’altra, senza il che l’edificio crollerebbe; allo stesso modo, nella Chiesa, tutti devono sostenersi e sorreggersi a vicenda. (S. Gr. M.) La carità è una catena che ci lega al nostro prossimo e fa sì che ci preoccupiamo di lui con affetto. (S. Giovanni Dam.) Più la carità è perfetta, più è generosa e meno egoista. (Dionigi il Cert.)

3. DOBBIAMO AMARE IL NOSTRO PROSSIMO COME NOI STESSI. MA NULLA CI OBBLIGA AS AMARLO PIÙ DI NOI STESSI.

Gesù Cristo ha detto: “Fate agli altri quello che vorreste fosse fatto a voi”. (Matth. VII, 12). Ciò che non volete sia fatto a voi, non fatelo agli altri. (Tob. IV, 16). Mettetevi spesso nella situazione di uno dei vostri simili e vi comporterete in modo molto diverso da come vi comportate. – Tuttavia, la carità ha i suoi limiti. Mi è concesso, ad esempio, di difendermi dal mio vicino se minaccia la mia vita, e non sono obbligato a privarmi delle necessità della vita per aiutare gli altri. Le vergini sagge non diedero olio alle vergini stolte per paura di non averne abbastanza per sé. (S Matth. XXV, 9). Chi fa questo, però, senza esserne obbligato fa un vero atto eroico di carità, come la vedova di Sarepta che diede al profeta Elia tutto ciò che le restava (III Re XVII). Ma l’amore più grande è dare la vita per i propri simili. (S. Giovanni XV, 13). Lo ha fatto il Salvatore e centinaia di missionari che, per salvare le anime dei loro simili, non temono di esporre la loro vita ad ogni pericolo. – Durante la peste del 1576 S. Car. Borromeo, Arcivescovo di Milano, curò personalmente centinaia di appestati, e spese tutto il suo patrimonio per aiutarli. Molti altri Santi fecero lo stesso.

4. TUTTO CIÒ CHE FACCIAMO AL NOSTRO PROSSIMO, SIA DI BUONO CHE DI CATTIVO, È FATTO A GESÙ CRISTO STESSO, PERCHÉ- DICE GESÙ CRISTO – “QUALUNQUE COSA ABBIATE FATTO AL PIÙ PICCOLO DEI MIEI FRATELLI LO AVETE FATTO A ME”. (Mt. XXV, 40).

Gesù disse a Saulo sulla via di Damasco: “Perché mi perseguiti?”. Eppure, Saulo aveva perseguitava solo i Cristiani. (Act. Ap. IX). Quando San Martino ebbe dato al mendicante metà del suo mantello, Gesù Cristo gli apparve in sogno la notte seguente, circondato da Angeli, vestito di questa metà del mantello e disse: “È con questo mantello che Martino mi ha rivestito oggi”. Dio si pone, per così dire, a protezione del prossimo per proteggerlo, e non possiamo ferirlo senza prima ferire Dio stesso.

5. CHIUNQUE OSSERVI IL COMANDAMENTO DELLA CARITÀ OTTERRÀ SICURAMENTE UN’ETERNITÀ BEATA.

S. Giovanni evangelista rivolgeva continuamente ai Cristiani queste parole: “Figlioli miei, amatevi gli uni gli altri.”. “Quando gli fu chiesto il motivo di queste parole spesso ripetute, rispose: “Se vi amate gli uni gli altri, osserverete tutta la legge”. “S. Paolo ha espresso spesso lo stesso concetto (Rom. XIII, 8; Gal. V, 14). Il Salvatore promette già la vita eterna a colui che, dei 10 comandamenti, osserva quelli relativi all’amore per il prossimo (S. Matth, XIX, 18) e a fare opere di misericordia (id. XXV, 31). Perché chi evita di fare del male ai suoi simili o fa loro l’elemosina non può essere cattivo. Un ubriacone, un giocatore d’azzardo, un avaro, un uomo orgoglioso, un uomo senza fede, un fannullone, un ladro, raramente faranno l’elemosina. Chi fa l’elemosina, colui che pratica le opere di misericordia, possiede molte altre virtù oltre alla generosità. La carità non può esistere senza altre virtù, come il cuore non può esistere in un corpo senza membra. L’elemosina può quindi essere giustamente considerata come il cuore delle virtù (S. Cris.),

6. LA CARITÀ È IL SEGNO PROPRIO DI IN VERO CRISTIANO. INFATTI IL SALVATORE HA DETTO: ” DA QUESTO SEGNO SI CONOSCERÀ CHE SIETE MIEI DISCEPOLI, SE VI AMATE GLI UNI GLI ALTRI. (S. Giovanni XIII, 35).

Gesù Cristo ci ha amati per primo, prima che noi meritassimo di essere amati. Se dunque noi amiamo e facciamo del bene anche a coloro da cui non abbiamo mai ricevuto alcun beneficio, se amiamo sull’esempio di Gesù, siamo veramente suoi discepoli e ci distingueremo facilmente da coloro che di solito amano solo i loro amici e benefattori..(S. Cris.) È perché questo comandamento, dato da Gesù Cristo, non era conosciuto prima di Lui, che Egli ha potuto darlo a noi. (S. Giovanni XI, 34). –

Come sarebbe bello vivere se questa carità regnasse ovunque! Le leggi, i giudici, le punizioni diventerebbero inutili: nessuno farebbe del male al suo prossimo, gli omicidi, le dispute, le liti, i tumulti, i saccheggi e gli altri mali sarebbero sconosciuti tra gli uomini. Non ci sarebbero più poveri, ma ognuno avrebbe ciò di cui ha bisogno. (S. Cris.)

6. L’ASSENZA DI CARITÀ.

Non ha carità

1° COLUI CHE, INVECE DI DESIDERARE IL BENE AL SUO PROSSIMO, È INVIDIOSO DI LUI.

Il peccato di invidia si commette quando, per malizia ci rallegriamo del male del nostro prossimo o ci rattristiamo del bene che gli capita.

L’invidioso non vede (in latino: in privativo e videre, “invidere”) la felicità degli altri e cerca di danneggiarli con parole ed azioni. Questi assomiglia ai serpenti indiani che rosicchiano gli alberi carichi di fiori profumati, perché ne odiano la fragranza. Egli è come la tignola che corrode i vestiti di porpora; come la ruggine che distrugge il ferro; il bruco che divora tutte le foglie verdi di un albero. (S. Aug.) – L’invidioso che si rallegra della disgrazia del suo prossimo è simile al corvo, che trae piacere solo dalla decadenza e dal fetore della decomposizione. – Tuttavia, se la nostra tristezza o la nostra gioia nascono dall’amore per Dio e del prossimo, non sono colpevoli; per esempio, se qualcuno si rattrista per il fatto che un nemico della Chiesa riesca a ottenere una grande influenza negli affari pubblici, o che veda una certa felicità andare a un peccatore che ne abuserà per peccare ulteriormente. – Tra coloro che sono colpevoli di invidia ci sono: satana, che lo fu dri nostri primi genitori nel paradiso terrestre; Caino, di suo fratello Abele, perché il sacrificio di Abele era gradito a Dio. (Gen. IV); i figli di Giacobbe, del loro fratello Giuseppe, perché era il preferito del padre (id. XXXVII); il re Saul, di Davide, perché il popolo lo onorava per aver ucciso il gigante Golia (I Re XVII). Alcuni invidiano gli altri per la loro situazione di fortuna (odio di professione o odio di classe). – Il grado più basso di invidia consiste nel vedere con dispiacere il nostro prossimo progredire nella virtù e nella grazia di Dio. L’invidia spirituale è un peccato contro lo Spirito Santo. Spirito Santo. Ecco come i sommi sacerdoti e i farisei invidiavano Gesù Cristo: quando lo videro fare miracoli, decisero di metterlo a morte (S. Giovanni XI, 47). Questo è il peccato particolare dei demoni, poiché appena vedono un’anima eletta progredire nel bene, entrano in furia e la perseguitano subito. (S. Gr. M.).

2. Di tutti i peccati, è l’invidia che rende l’uomo più simile al diavolo, perché è il peccato particolare del diavolo.

Chi è invidioso assomiglia al demonio (San Cipriano), perché è attraverso l’invidia che la morte è entrata nel mondo (Sapienza II, 24). Proprio come Gesù Cristo ha detto: “Da questo segno si conoscerà che siete miei discepoli se vi amate gli uni gli altri”, allo stesso modo il diavolo può dire: “Sapranno che siete miei discepoli, se vi invidiate a vicenda come io vi ho invidiato (S. Vinc. Fer.). L’invidioso non ha nessuna somiglianza con Dio, e poiché non è nulla, desidera essere circondato solo da miseria e rovina. (S. Bonav.) Di tutti i peccati, è l’invidia che contiene la più grande malizia, perché ogni peccato e vizio ha delle attenuanti. L’intemperanza è scusata dall’appetito; la vendetta dalla difesa dei propri diritti; il furto dalla povertà, ecc; (S. Cris.) L’invidia è peggiore della guerra, perché la guerra ha dei motivi, mentre l’invidia non ne ha nessuno. In più la guerra cessa, l’invidia non cessa mai. L’invidia non è altro che uno stato d’animo diabolico (S. Cris. ). La malizia dell’invidioso è, per così dire, ancora più grande di quella del demonio, perché il demonio invidia solo l’uomo, ma non i suoi simili, mentre l’uomo invidia i suoi fratelli. (L’invidia è l’unico peccato che resiste all’influenza delle opere di misericordia. Possiamo calmare un uomo arrabbiato o un nemico con parole gentili, ma non l’invidioso: “Date da mangiare ai cani e diventeranno mansueti; accarezzate un leone e sarà domato, ma per l’invidioso la cortesia e la condiscendenza non faranno che eccitarlo di più”. (S. Giovanni Dam.) – Di tutti i peccati, l’invidia è quello che dà meno soddisfazione. L’intemperante, l’avaro, l’irascibile ecc., sembrano almeno godere della loro passione, ma l’invidioso no. Assomiglia alla farfalla che, lungi dallo spegnere la luce con il suo battito d’ali, non fa che bruciarsi in essa. (Diez).

3. L’invidia provoca un grande danno all’anima. Essa gli toglie la pace interiore e la salute corporea, e la porta a molti peccati contro la carità e alla dannazione eterna.

Come un verme rosicchia il legno da cui nasce, così l’invidia rode anche il cuore che le ha dato rifugio. Tormenta la mente, distrugge la pace della coscienza, riempie l’anima di malumore e tristezza e allontana ogni gioia. Una volta insediatosi in un’anima, non tarda a manifestarsi esternamente, come accadde al volto smunto di Caino (Gen. IV, 5); toglie al volto i suoi colori freschi e si rivela con il pallore e gli occhi spenti la pena prodotta all’interno. Quando il cuore e le viscere sono dilaniati dagli artigli della malevolenza, nessun cibo soddisfa e nessuna bevanda delizia. (S. Cipr.) L’invidia accorcia la vita umana. (Eccl. XXX, 26). La persona invidiosa è il proprio carnefice (S Gr. de Naz.). Come la ruggine rode il ferro, così l’invidia distrugge a poco a poco l’animale invidiosa (S. Bas.) L’invidia è paragonata a forbici che si consumano con l’uso, o a una lama che taglia il cuore da cima a fondo. L’invidia porta a molti peccati contro la carità. Dopo aver macchiato la terra con il fratricidio, spinse i figli di Giacobbe a vendere il loro fratello, ha ispirato Saul a perseguitare il suo benefattore Davide ed ebbe persino assetato del sangue di Gesù Cristo raggiungendo il suo scopo. – L’invidia porta a mormorare contro la provvidenza divina. Fu l’invidia a far sì che gli operai che erano stati impegnati nella vigna del Signore mormorassero, perché il padre di famiglia dava lo stesso salario agli operai dell’ultima ora (S. Matth. XX, 9). L’invidioso odia i benefici divini. L’invidia esclude dal regno celeste (Gal. V, 20); essa è la garanzia più sicura della dannazione eterna. (S. Bas.) È stata l’invidia a spingere gli angeli all’inferno e ha spinto i nostri primi genitori fuori dal paradiso terrestre. (S. Aug.). Se già dobbiamo amare i nostri nemici sotto pena di peccato, quale sarà la nostra punizione se perseguiremo con invidia coloro che non ci hanno fatto alcun male! (S. Cris.).

4. Il modo migliore per soffocare l’invidia in noi è fare il più possibile del bene al nostro prossimo.

Chi vuole estirpare il mostro dell’invidia dal suo cuore, non ha bisogno né di spada, né di scudo, né di elmo, tutto ciò che deve fare è accendere il fuoco della carità nel suo cuore..(S, Gr. M.) “Fate dunque molto bene a colui verso il quale nutrite sentimenti di invidia.; almeno pregate per lui, affinché sia felice. In questo modo otterrete due vittorie, una sull’invidia e l’altra sull’esercizio delle opere di misericordia (S. Cris.). – Medita anche sulla vanità delle cose terrene: presto dovrete lasciare tutto, e allora non dovrete più rendere conto di ciò che avete posseduto, né delle dignità a cui siete stati chiamati, ma la vostra felicità eterna dipenderà dalle opere buone che avrete fatto. Il primo sarà quindi ultimo e l’ultimo primo. (S. Matth. XIX, 30). Se vuoi essere grande un giorno, umiliati adesso e ama essere sconosciuto e disprezzato, perché chi si umilia sarà esaltato (S. Luc XIV, 11).

2. NÉ HA CARITÀ CHI NUOCE AL SUO PROSSIMO: ALLA LA VITA L’INNOCENZA, I BENI, L’ONORE O AL SUO FOCOLARE DOMESTICO.

3. CHI OMETTE DI COMPIERE OPERE DI MISERICORDIA.

Non si ama il prossimo se, quando è nel bisogno, non lo si aiuta a sufficienza per vivere. (S. Cris.) Lo stretto dovere del ricco è quello di fare l’elemosina. Ma questo dovere è molto trascurato nel nostro tempo. Già Sant’Ambrogio agli avari del suo tempo faceva il seguente mercuriale: “Voi adornate brillantemente le pareti della vostra casa, ma derubate i poveri. Quando un povero alla porta della vostra dimora vi chiede una piccola moneta, voi gli passate accanto, rifiutandogli anche solo un’occhiata, ma pensate al tipo di marmo con il quale sarebbe meglio pavimentare il vostro palazzo. Mentre un uomo affamato vi chiede del pane, il vostro cavallo avrà un morso in oro. O ricco, che giudizio severo porti su di te che avresti potuto alleviare tanta miseria. Il solo diamante che porti al dito potrebbe essere usato per sfamare un intero popolo”. S. Crisostomo si esprime così. Crisostomo si esprime riguardo ai ricchi dal cuore duro: “La cosa peggiore è che siete spinti all’avarizia né dalla povertà né dalla fame. Tua moglie, la tua casa, persino i tuoi animali sono coperti d’oro, mentre chi è fatto a immagine di Dio ed è salvato dal sangue di Gesù Cristo è in miseria a causa della vostra disumanità. Il vostro cane è nutrito con cura, mentre un uomo, o meglio, Gesù Cristo stesso è, a causa di quel cane, gettato in estrema miseria a causa di questo cane. Quali torrenti di fuoco ci vorranno per un’anima così colpevole! (Parleremo più esplicitamente delle opere di misericordia alla fine del decalogo).

7. L’AMICIZIA.

1. Per amici si intendono le persone che condividono gli stessi principi, si sostengono vicendevolmente ed hanno reciproca confidenza.

Le persone che la pensano allo stesso modo fanno amicizia facilmente. Le persone che si somigliano si attraggono. Siamo più bendisposti verso i nostri amici che con le altre persone. I veri amici hanno un solo cuore e una sola anima. L’amicizia è come uno specchio che riflette fedelmente l’oggetto o la persona che vi si riflette. Quando la persona davanti allo specchio ride, muove la testa, l’immagine fa lo stesso; questa sembra volere o non volere in perfetta conformità con essa; così è per l’amicizia. (Ger.) Piccoli malintesi, incomprensioni, lungi dal distruggere l’amicizia, la rafforzano, come i maniscalchi che gettano l’acqua sul fuoco per renderlo più intenso, e i principi che mettono più cura nel custodire una città riconquistata che una mai presa dal nemico. (S. Fr. di S.). I veri amici si sostengono a vicenda. Abbiamo Damon e Pythias che erano amici intimi. Uno di loro fu condannato a morte dal tiranno Dionigi; come ultimo favore, chiese di poter tornare a casa e mettere in ordine i suoi affari. Il suo amico si offrì come ostaggio e promise di morire al suo posto se fosse mancato. Il momento dell’esecuzione si avvicinava e il condannato non era ancora arrivato; Pitia, però, sapeva che l’amico non sarebbe venuto meno alla sua parola data e che sarebbe arrivato. Ed in effetti questi venne. Il tiranno, mosso dall’ammirazione per tale amicizia, perdonò il condannato. – Davide, un povero pastore di Betlemme, e Gionata, il figlio del re Saul (I Re XX, 34; XVIII, 1) si erano conosciuti durante la guerra e la loro nobiltà d’animo li portò a stringere una stretta amicizia. Quando Gionata seppe che Davide veniva inseguito fino alla morte, non prese cibo, tanto era grande il suo dolore. Quando dovette lasciarlo, pianse amaramente. Lo avvertì di tutti i pericoli che lo minacciavano e gli fece persino dono di armi e vestiti. – I veri amici hanno un rapporto di confidenza e di apertura reciproca. Quando si entra in una stanza, si vede subito tutto quello che contiene. È così che gli amici aprono la loro anima l’uno all’altro per comunicare i segreti più intimi. Anche Gesù Cristo ha svelato molti segreti ai suoi discepoli. – I veri amici sono quindi molto franchi e prestano attenzione ai difetti che notano nell’altro. È così che Gesù Cristo ha fatto notare agli Apostoli i loro difetti, dicendo loro di diventare come i bambini (S. Matth. XVIII, 3). S. Grég. M. diceva: “Riconosco come amici solo quelli che hanno il coraggio di avvertirmi dei miei difetti “.

2. Per essere veri amici, è necessario che i principi comuni siano uniformi gli insegnamenti della Chiesa.

L’amicizia è come un edificio, perché poggia su un fondamento che deve essere l’amore ed il timore di Dio.

L’edificio dell’amicizia sarà costruito sulla sabbia se il suo fondamento è il vizio o l’interesse personale. (Galura). Chi è nemico di Dio non sarà mai un vero amico (S. Amb.). Solo colui che ama in Dio, ama veramente ; chi lo ama per altri motivi odia più di quanto ami (S. Aug.). I coralli in fondo al mare non sono altro che vegetazione verdastra, sottile e senza bellezza; appena fuori dall’acqua, diventano rossi, duri e brillanti. Allo stesso modo, l’amicizia diventa bella e solida non appena si eleva nell’amore di Dio.

3. Gli amici i cui principi sono colpevoli sono falsi amici, perché perdono il corpo e l’anima e sono abbandonati nell’infelicità..

Le false amicizie nascono spesso nei luoghi di piacere, tra i giocatori d’azzardo, gli ubriaconi e i beoni, tra persone di cattiva reputazione che hanno bisogno di complici. È così che Giuda ed i Giudei si unirono contro Gesù (S. Matth. XXVI, 16); anche Erode e Pilato divennero amici quando si trattò di condannare Gesù (S. Luc. XXIII, 12).

I falsi amici si legano a qualcuno solo per il momento del bisogno. (Eccl. VI, VII). Quando Giuda, disperato e gemente, portò i 30 denari ai sommi sacerdoti, questi sembravano non conoscerlo più e risposero: “Che cosa ci riguarda?”(S. Matth. XXVII, 4). I falsi amici sono come le rondini che restano in un paese solo finché sia caldo e piacevole e lo abbandonano al primo freddo. (Plinio). Sono anche come quelli che, incontrando un albero da frutto sul loro cammino, lo spogliano dei suoi frutti e poi proseguono per la loro strada; o come le api che lasciano il fiore dopo averne succhiato il miele (Segneri). Essi somigliano alla canna che si spezza appena ci si appoggia sopra. Da qui il detto dei Romani: “Finché sei felice e la fortuna ti sorride, avrai molti amici; ma non appena il tuo cielo si coprirà di nuvole, tutti ti abbandoneranno”(Ovidio). Il bisogno o la povertà sono la migliore pietra di paragone per l’amicizia. (Cassiodoro).

4. È lecito avere amici e preferirli ad altri., perché anche Gesù aveva una predilezione per gli amici.

Gesù amava tutti gli uomini, ma soprattutto i suoi discepoli. Li chiamava amici, figli, figlioli, e li trattava in modo molto affettuoso. Ma tra tutti i suoi discepoli Gesù preferiva Giovanni (S. Giovanni XIII, 23; XX, 2; XXI, 7), poi Pietro e Giacomo che portò con sé nei momenti più importanti della sua vita, sul Tabor e nell’Orto degli Ulivi. Infine, ebbe un amore speciale per Lazzaro e le sue sorelle. (S. Giovanni XI, 5). Sappiamo anche che Dio preferisce coloro che gli assomigliano e lo amano di più, e li favorisce con più grazie ed amore. Di conseguenza ci è concesso anche di avere maggiore fiducia ed affetto per coloro che condividono maggiormente i nostri gusti e che ci vogliono più bene. Il sentimento dell’amicizia è stato profondamente inciso nei nostri cuori dal Creatore.

5. È persino una grande gioia per noi avere dei veri amici, perché ci rendono la vita piacevole e proteggono il nostro corpo e la nostra anima.

È una grande gioia trovare un vero amico. (Eccl. XXV, 12). Un amico ci rende la vita piacevole; grazie al suo ruolo, la felicità è maggiore, la sfortuna minore e le pene sopportabili. Il miglior balsamo per le nostre ferite è avere in ogni dolore qualcuno che ci consoli. (S. Aug.) Allo stesso modo in cui un bastone uniti gli altri è più facile da spezzare, così siamo meno infelici quando amici fedeli ci sostengono nelle disgrazie. Un vero amico è per noi un secondo angelo custode. Così Davide e Gionata. Le armi e le mura sono meno sicure di un’amicizia fedele. (S. Cris.) Non c’è nulla sulla terra che possa essere paragonato ad un vero amico, e la sua fedeltà è più preziosa dell’oro e dell’argento. Chi teme il Signore troverà questo amico (Eccl. VI, 15). Un giorno al re Alessandro magno fu chiesto dove avesse i suoi tesori, ed il re disse ai suoi amici: “Questi sono i miei tesori”. – La vera amicizia sopravvive alla morte, perché la carità non perisce (1. Cor. XIII, 8). I veri amici si incontreranno di nuovo in cielo e si ameranno teneramente. Gesù Cristo non disse forse ai suoi Apostoli che si sarebbero incontrati di nuovo in cielo? (S. Giovanni XVII, 24). I falsi amici, invece, si malediranno a vicenda dopo la morte, perché riconosceranno di essersi resi infelici l’un l’altro,

6. Tuttavia, non dobbiamo mai fare amicizia troppo in fretta, né agire ingiustamente per affetto verso un amico.

Davide già si lamentava: “Quest’uomo – diceva – che era mio amico, nel quale avevo riposto la mia fiducia, che mangiava il mio pane, tramava contro di me”. (Sal. XL, 10). – La Sacra Scrittura ci dà il seguente consiglio: “Stai in guardia anche contro i tuoi amici”. (Eccl. VI, 13). Se avete un amico, mettetelo alla prova nel momento del bisogno e non riponete così rapidamente la vostra fiducia in lui (id. VI, 7). Non giudicatelo tanto dalle parole quanto dai fatti! – Se, per affetto verso il vostro amico, vi viene chiesto di fare del male, fate come il giovane greco a cui fu chiesto di fare un falso giuramento nell’interesse di un amico: “Io sono – rispose – tuo amico solo finché conservo l’amicizia di Dio”. L’amicizia di Dio è ovviamente più preziosa di tutte le amicizie umane.

8. IL COMANDAMENTO DI AMARE I NOSTRI NEMICI.

Chiamiamo nemico chiunque ci odi e cerchi di farci del male. Saulo era un nemico dei Cristiani. I nemici sono come bestie feroci. Ma solo possiede la vera carità chi ama anche i suoi nemici. Un incendio non si spegne con un forte vento, ma viene alimentato da esso. La carità, invece di essere distrutta dalle offese del prossimo, non potrà che crescere. “Il segno più sicuro che abbiamo la vera carità è quando amiamo colui che ci offende. Se amiamo solo chi ci ama, abbiamo pochi meriti, (S. Matth. V, 46). Perché se amiamo i nostri amici li amiamo solo a causa nostra, ma se amiamo i nostri nemici, li amiamo a causa di Dio. (C. Hugo).

1. DOBBIAMO AMARE I NOSTRI NEMICI, PERCHÉ GESÙ CRISTO LO COMANDA. QUANDO DICE: “AMATE I VOSTRI NEMICI, FATE DEL BENE A QUELLI CHE VI ODIANO; PREGATE PER QUELLI CHE VI PERSEGUITANO E VI CALUNNIANO” (S. Matth. V, 44).

Cristo ci ha dato il miglior esempio di amore per i nostri nemici, perché sulla croce ha pregato per i suoi nemici e nell’Orto degli Ulivi guarì il servo a cui Pietro aveva tagliato l’orecchio.. Lo stesso Padre celeste ci dà un esempio di di amore per i nostri nemici, perché fa splendere il suo sole sui buoni e sui cattivi e manda la pioggia dal cielo sui giusti e sui peccatori. Chi ama il suo nemico è veramente un figlio del Padre celeste (S. Matth. V, 45).

Noi dobbiamo amare i nostri nemici, anche perché il nemico è un’immagine e persino uno strumento di Dio.

Il nemico è l’immagine di Dio. Il ritratto di un re, che sia scolpito nell’oro o nel piombo, che sia più o meno grande, è sempre rispettabile. Allo stesso modo, l’immagine di Dio, che sia rappresentata da un uomo vizioso o virtuoso, merita sempre la nostra venerazione ed il nostro amore. Inoltre, non amiamo il peccato ma la persona del nostro nemico. “L’uomo è opera di Dio; il peccato è opera dell’uomo. Amiamo dunque l’opera di Dio senza amare l’opera dell’uomo”(S. Aug.). Amiamo anche il nostro nemico, perché è uno strumento di Dio. “Gli uomini malvagi sono strumenti nella mano di Dio”(S. Aug.) senza che lo sappiano. Così, come il medico usa le sanguisughe per rimuovere i germi impuri dal sangue dei malati e guarirli, allo stesso modo Dio si serve dei nostri nemici per correggere le nostre imperfezioni. I malvagi servono ai buoni come le lime e i martelli lo sono per il ferro. (S. Aug.) I malvagi sono per il bene ciò che l’aratro è per il campo. (S. Cris.) I nostri nemici ci sono utili, perché mettono in evidenza i nostri difetti e ci danno l’opportunità di praticare la virtù. I nemici sono come le api: pungono, ma forniscono miele (Urb. IV), – Quando una lingua viziosa vi punge, consolatevi con il fatto che le vespe non attaccano mai i frutti peggiori. Si dice: “Molti nemici, molto onore”. Infine, dite a voi stessi che un nemico non è in grado di danneggiare chi ama Dio, perché Dio volgerà al bene del suo popolo tutti gli attacchi che esso subisce (Rom. VIII, 28)., come dimostra la vita di Giuseppe in Egitto. Chiunque rifletta su questa sopporterà senza difficoltà le persecuzioni dei nostri nemici.

2. L’AMORE PER I NOSTRI NEMICI CONSISTE NEL NON VENDICARSI DI LORO, NEL RICAMBIARE IL MALE CON IL BENE E, SOPRATTUTTO, DI PREGARE PER LORO E PERDONARLI.

Noi non dobbiamo vendicarci del nostro nemico. Davide ci dà un buon esempio; due volte ebbe l’occasione per uccidere il suo persecutore, Saul, e non gli fece mai nulla. (I Re XXLV e XXVI). I farisei insultarono Gesù (S. Matth. XI, 19; S. John VIII, 48), ma Lui non ha mai ricambiato oltraggio per oltraggio (I. S. Pietro II, 23). Un giorno, in un quartiere di Samaria, uno si rifiutò di riceverlo perché era giudeo; gli Apostoli, indignati, volevano far scendere il fuoco, ma Gesù Cristo li rimproverò e disse loro: “Non sapete di quale spirito siete ” (S. Luc. IX, 55). Un padre promise un diamante al figlio che avesse compiuto l’azione più nobile. Lo diede come ricompensa a colui che, avendo trovato il suo nemico addormentato sull’orlo di un abisso, non ve lo fece cadere (Poesia di Lichtwer). La vendetta non appartiene a noi, ma a Dio, (Rom. XII, 17). Dobbiamo preferire la sofferenza alla vendetta, ed è per questo che Gesù Cristo ha detto: Se qualcuno ti schiaffeggia la guancia sinistra, porgi la guancia destra. (S. Luc VI, 29). Non dobbiamo lasciarci sopraffare dal male, ma dobbiamo vincere il male con il bene. (Rm XII, 21). Vendicarsi dei tuoi nemici, seguendo l’esempio dei santi; è ricompensare il male con il bene, (Sant’Alfonso). Giuseppe, l’egiziano, ripagò i suoi fratelli con il bene il male. Santo Stefano pregò per i suoi carnefici. “La disgrazia dei suoi persecutori lo faceva soffrire più del dolore che gli causavano, perciò pregava per loro.” (S. Fulg.). L’apostolo S. Giacomo, Vescovo di Gerusalemme, venne precipitato dall’alto dal tempio e stava ancora pregando, con le ginocchia spezzate, per i suoi persecutori. – Anche noi dobbiamo perdonare i nostri nemici. Il re Davide perdonò Semei, che gli aveva lanciato pietre e lo aveva insultato (1 Re XVI, 10). Chi fa del bene ai suoi nemici è come il giglio tra le spine, che viene lacerato da esse senza smettere di adornarle con il suo candore. (S. Bern.) Quale nobile sentimento è fare del bene al proprio nemico!

3. CHI FA DEL BENE AL PROPRIO NEMICO INVECE DI VENDICARSI SI CALMA E VIENE RICOMPENSATO DA DIO. CHI SI VENDICA O ODIA IL SUO NEMICO, COMMETTE PECCATO.

Davide ebbe due volte l’opportunità di uccidere il suo persecutore Saul e, senza fargli alcun male, lo ammorbidì e lo toccò a tal punto che scoppiò in lacrime (I. Re. XXIV-XXVI). Il Beato. Hofbauer fu insultato da una donna in una strada di Vienna; egli si avvicinò a lei, raccolse il fazzoletto che gli era caduto e glielo restituì con parole gentili; la donna, vergognandosi di tanta gentilezza, fuggì”. Un verme, benché abbia un corpo molto morbido, è capace di perforare il legno più duro, allo stesso modo la condiscendenza sconfiggerà il nemico più acerrimo”. (Beda). Il vostro nemico è un leone; se non lo ecciti, è come morto (S. Bonav.). Fai del bene al tuo nemico, e gli getterai carboni ardenti sul capo (Rom. XII, 20), cioè il tuo nemico non potrà resistere al tuo amore più di quanto possa resistere ai carboni ardenti.

4 – CHI NON SI VENDICA DEL SUO NEMICO SARÀ RICOMPENSATO DS DIO.

Davide sopportò pazientemente gli insulti di Semei e disse: “Forse Dio vede la mia miseria e mi concederà il bene per il male che ho sopportato in questo giorno (II Re XVI, 12); egli ottenne la vittoria. “Pregare per i propri nemici è difficile, ma quanto maggiore è lo sforzo, tanto maggiore sarà la ricompensa un giorno”. (S. Aug.) Chi si vendica dei propri nemici commette un peccato. Come l’ape che, per vendicarsi, si è vendicata ma poi muore. Chi si vendica è uno sciocco; è come il cane che morde la pietra che gli viene lanciata; perché chi è spinto dal desiderio di vendetta, non pensa che il suo nemico è solo uno strumento nella mano di Dio. (Corn. a. L.) (Sul tema dell’odio, vedi il 5° comm.),

4. CHI PERDONA I SUOI NEMICI OTTIENE DA ZDIO IL PERDONO DEI PROPRI PECCATI; DIO AL CONTRARIO, NONMPERDONA CHI NON PERDONA.

Perdonare i propri nemici è un’opera di misericordia e la più generosa delle elemosine. (S. Aug.) Se perdonate agli altri, otterrete voi stessi il perdono (S. Cris.), come dice la quinta petizione del Padre Nostro. – Se invece non perdonate, attirerete ogni volta la maledizione di Dio su di voi (S. Anastasio). Gesù Cristo ha detto: “Se non perdonerete agli uomini dal profondo del vostro cuore, il Padre vostro celeste non perdonerà le vostre colpe. (S. Matth. VI, 15). Gesù Cristo ci insegna la stessa cosa nella parabola del servo malvagio (S. Matth. XVIII, 23). Egli vuole che perdoniamo il nostro fratello non 7 volte, ma settanta volte 7 (S. Matth. XVIII, 22). ( Cfr. i capitoli sulla mitezza e sull’amore per la pace.)

9. L’AMORE PER SE STESSI

Ognuno di noi è il suo prossimo più prossimo. “Non è possibile trovare qualcosa di più vicino all’uomo che se stesso” (Salv.). Ognuno deve quindi amare se stesso.

Dobbiamo amare noi stessi, perché Dio lo vuole, perché siamo stati creati a sua immagine e somiglianza, riscattati dal suo sangue e chiamati alla vita eterna.

Dio vuole che ci amiamo a vicenda, perché Gesù Cristo ha detto: “Amerai il tuo prossimo come te stesso”. Secondo queste parole, l’amore per se stessi deve essere la regola e la misura dell’amore verso il prossimo. Come può amare il prossimo chi non ama se stesso? “Impara prima ad amare Dio, poi te stesso, e poi il tuo prossimo come te stesso.” (S. Aug.). Dio non ci ha dato un comandamento speciale per amare noi stessi., perché ognuno, avendo la legge naturale incisa nel cuore, è di conseguenza già portato ad amare se stesso (S. Aug.) e perché l’amore di sé è già contenuto nella legge dell’amore del prossimo (S. Th. d’Aq.). – Dobbiamo amare anche noi stessi, perché siamo creati a immagine di Dio. Se veneriamo l’immagine di Dio nel nostro prossimo e anche nel nostro nemico, siamo obbligati a venerarla anche in noi stessi. E se amiamo noi stessi per amore di Dio, il vero amore di sé aumenta in noi nella stessa proporzione in cui aumenta in noi l’amore di Dio (S. Th. d’Aq). -L’amore per noi stessi ci viene comandato anche dall’alto prezzo della nostra redenzione. “Noi non siamo stati comprati con oro o argento, ma con il prezioso sangue di Gesù Cristo” (I. S. Piet. I, 18); siamo stati riscattati a un prezzo molto alto. (I. Cor. VI, 20). – Inoltre, abbiamo una destinazione sublime; siamo chiamati a un’eternità beata. S. Leone M.. dice le seguenti belle parole su questo argomento: “Riconosci, o clCristiano, la tua dignità! Sei diventato partecipe della natura divina e sei diventato membro della membro di Gesù Cristo! Ricorda che sei stato sottratto alle potenze delle tenebre e destinato alle glorie del regno celeste! – Ricordiamoci anche che il Figlio di Dio, facendosi uomo, è diventato nostro fratello, e che siamo diventati figli di Dio (1. S. Giovanni III, 1); che lo Spirito Santo abita in noi (I. Cor. VI, 19), che gli Angeli sono al nostro servizio (Eb. 1, 14): tanti motivi per amare noi stessi. – E poiché l’amore per se stessi alla fine non è altro che l’amore per il prossimo trasferito a se stessi, possiamo dire che amare se stessi è apprezzarsi (un atto dell’intelletto), augurarsi il bene (un atto del cuore), non farsi del male e farsi del bene (un atto della volontà). Questo amorenpuò essere chiamato vero, in antitesi al falso, le cui caratteristiche principali sono la vanagloria, l’egoismo, l’insolenza, la licenziosità, ecc.

Il vero amore per se stessi si dimostra con il desiderio di ottenere ciò che ci rende veramente felici, prima di tutto la salvezza eterna, e poi i beni terreni che ci aiutano a raggiungerla.

Chi ha vero amor proprio agisce secondo le parole di Gesù Cristo: “Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e il resto vi sarà aggiunto”. (S. Matth. VI, 33); egli si prenderà cura della sua salute, del suo cibo, del suo abbigliamento, della sua abitazione, ecc. ma senza eccessiva preoccupazione (S. Matth. VI, 20-32).

Non ama se stesso chi cerca solo i beni beni terreni, o chi disprezza i beni terreni per ottenere il cielo.

Molti uomini non considerano Dio, ma se stessi, il loro ultimo fine, né considerano i beni terreni come mezzi per ottenere il cielo, bensì per soddisfare i loro appetiti sensuali. Si congratulano con se stessi per il possesso di onori, ricchezza, un’alta posizione, ecc. e non sono disposti a rinunciare a queste cose per Dio. Questo amore per se stessi è falso: è la ricerca di sé e l’egoismo. Chi preferisce i beni terreni a quelli eterni non ama se stesso; al contrario, è nemico di se stesso. Sarà solo temporaneamente e relativamente felice qui sulla terra, ma poi eternamente infelice. “Chi commette peccato ed ingiustizia quaggiù è nemico della propria anima (Tob. XII, 10}. – Ci sono molti che assomigliano a questo avaro che dice a se stesso: “Anima mia, hai una grande riserva di beni per molti anni, riposa, mangia, bevi e godi!” Ma Dio gli disse: “Stolto, questa stessa notte la tua anima ti sarà richiesta, a che ti serviranno le tue ricchezze?” Tu ti affanni per nutrire e vestire te stesso, perché non ti affanni anche per procurare vestiario e cibo alla tua anima? Che utilità ha l’uomo se perde la sua anima? (S. Matth. XVI, 26). “Impara ad amare se stessi”, dice Sant’Agostino, “non amando se stessi”. Sono ancora colpevoli coloro che disprezzano iI beni terreni che li aiuterebbero a guadagnare il paradiso, perché così facendo disprezzano la salvezza eterna. Cosa dobbiamo pensare, allora, di un uomo che non si preoccupa del proprio avanzamento (quando tale avanzamento sarebbe utile per la gloria di Dio), oppure espone con leggerezza la sua vita al pericolo, o addirittura si toglie la vita?

IL CATECHISMO DI F. SPIRAGO (XXIII).

L’IMPOSSIBILITÀ DI UN PAPA ERETICO.

Un Papa eretico è un evento assolutamente impossibile secondo il magistero ed i teologi più accreditati.

Pertanto, questo deve farci capire con certezza granitica, divina, che chiunque proclami difformità dal deposito apostolico della fede nella Chiesa cattolica, contro ogni apparenza mediatica, non possa essere il successore di s. Pietro, il Vicario di Cristo, ma un volgare servo del demonio ingannevole e – se ricopre cariche ecclesiastiche – usurpante una posizione indebitamente. Di seguito le motivazioni teologiche.

Definizione dell’Infallibilità del Romano Pontefice, ratificata da Papa Pio IX al Concilio Vaticano, Sessione IV, Capitolo IV, 18 luglio 1870.

“Pertanto, aderendo fedelmente alla tradizione ricevuta fin dall’inizio della fede cristiana, per la gloria di Dio nostro Salvatore, per l’esaltazione della religione cattolica e la salvezza dei popoli cristiani, Noi insegniamo e definiamo, con l’approvazione del Sacro Concilio, che è un dogma divinamente rivelato, che il Romano Pontefice, quando parla ex cathedra, cioè, quando, esercitando le funzioni di Pastore e di Dottore di tutti i cristiani, in virtù della sua suprema autorità apostolica, definisce una dottrina in materia di fede e di morale che deve essere tenuta dalla Chiesa universale, gode pienamente, per l’assistenza divina promessa a lui nel beato Pietro, della stessa infallibilità di cui il nostro Divino Redentore ha voluto che la Sua Chiesa fosse dotata per definire la dottrina in materia di fede o di morale; e di conseguenza tali definizioni del Romano Pontefice sono di per sé irreformabili, e non dal consenso della Chiesa.

“Se qualcuno presume, e Dio non voglia, di contraddire questa Nostra definizione, sia anatema”.

Catechismo del Concilio di Trento, edizione 1962, Baronius Press, Appendice II, pp. 542.

La crisi attuale definita: La cattedra di Pietro è usurpata (rubata)

Al momento non esiste un Sommo Pontefice (Papa) visibile ed operante nel mondo.

Questa spiacevole realtà è incontrovertibile e può essere dimostrata utilizzando almeno tre fonti:

(a) Paolo IV, Costituzione Apostolica: Cum Ex Apostolatus Officio, 15 febbraio 1559:

“… 6. Inoltre, [con questa Nostra Costituzione, che rimarrà valida in perpetuo, Noi stabiliamo, determiniamo, decretiamo e definiamo:] che se mai, in qualsiasi momento, dovesse apparire che un Vescovo, anche se agisce come Arcivescovo, Patriarca o Primate; o un Cardinale della suddetta Chiesa Romana, o, come già menzionato, un qualsiasi legato, o anche il Romano Pontefice, prima della sua promozione o della sua elevazione a Cardinale o Romano Pontefice, abbia deviato dalla Fede Cattolica o sia caduto in qualche eresia: la promozione o l’elevazione, anche se incontestata e con l’assenso unanime di tutti i Cardinali, sarà nulla, non valida e senza valore. . .”

(b) La difesa di San Roberto Bellarmino dei Papi che si dice abbiano errato nella fede.

*Per un riferimento, vedere: Errore papale? A Defense of Popes said to have Erred in Faith di San Roberto Bellarmino, S.J. Dottore della Chiesa Tradotto da Ryan Grant e pubblicato da Mediatrix Press.

(c) L’impossibilità di un Papa eretico.

(Felix Cappello)

[Illustre teologo preconciliare.]

P. Felix Cappello, S.J., su una questione scottante…

Il gesuita p. Felix Cappello (1879-1962) è stato un eccezionale teologo della Chiesa cattolica. Ha conseguito dottorati in Sacra Teologia, filosofia e diritto canonico. Ha insegnato alla Pontificia Università Gregoriana dal 1920 al 1959 ed è stato consulente del Vaticano.

Nel 1911/12 è stata pubblicata l’opera in 2 volumi De Curia Romana (“Sulla Curia Romana”). Il secondo volume tratta in modo specifico della Curia romana nel periodo in cui non c’è il Papa, lo stato di sede vacante e l’assenza di un Papa.

Contiene una trattazione della questione del “Papa eretico” (Papa haereticus) e se la Chiesa abbia il potere di deporlo. Si tratta di una questione che è di grande interesse ai nostri giorni e lo è da tempo, anche in Vaticano: I teologi vaticani starebbero studiando cosa fare con un Papa eretico (2016).

Scrivendo nel 1912, molto prima del Concilio Vaticano II, p. Cappello non è ovviamente influenzato dall’attuale disordine ecclesiale, e quindi non è prevenuto sulla questione in un senso o nell’altro. Allo stesso tempo, scrivendo dopo il Concilio Vaticano I e anche dopo il pontificato di Papa Leone XIII, il suo trattato teologico è informato da una ricchezza di insegnamenti dogmatici e dottrinali che si ritrovano nel magistero pontificio nel XIX secolo, un vantaggio che molti teologi del passato che hanno discusso la questione del Papa haereticus non hanno avuto.

L’analisi di p. Cappello è quindi estremamente competente ed imparziale. Si tratta di un’analisi che è il migliore nei dei due mondi.

ARTICOLO II

Se il Romano Pontefice possa essere deposto dai Cardinali o da un Concilio Generale.

1. Opinioni erronee. – Un molteplice errore, che sa chiaramente di eresia, è stato sollevato dai re e da altri pseudo-cattolici, più o meno imbevuti dei principi del gallicanesimo.

1º Alcuni insegnano che i Cardinali hanno il diritto non solo di eleggere il Sommo Pontefice, ma anche di deporlo per un giusto motivo.

2º Altri affermano che il potere di deporre il Papa appartenga alla società universale dei fedeli, cioè alla Chiesa.

3º Altri affermano che la suddetta facoltà non appartenga ai Cardinali, né alla Chiesa o alla comunità dei fedeli, ma solo ad un Concilio generale. Da qui la proposizione del Gallicanesimo: “I Concili ecumenici sono al di sopra del Papa, anche al di fuori del tempo dello scisma” (in contraddizione con la bolla Execrabilis di Pio II – ndr. -)

4º Alcuni affermano che il Romano Pontefice debba essere deposto da un Concilio generale quando si verifichi una causa gravissima, ad esempio: a) se governa la Chiesa in modo inetto; b) se diventa odioso per la società dei Vescovi o dei fedeli; c) se governa i suoi sudditi in modo empio o ingiustamente; d) se conduce una vita disdicevole; e) se cade nell’eresia.

5º Altri limitano l’autorità dei Concili ecumenici di deporre il Papa solo a casi straordinari, ad esempio se è scandaloso, eretico o di dubbia legittimità. [Si veda quindi Bossuet:Defensio, lib. X, cap. XXI.].

6º Non mancano neanche Dottori che affermano che il Romano Pontefice per alcuni crimini più atroci, soprattutto per depravazione morale, eresia, ecc. perda ipso facto la giurisdizione, cosicché non è necessaria una sentenza di deposizione da parte di un Concilio generale; al massimo, dicono, è necessaria una semplice sentenza dichiarativa del crimine, che è sufficiente.

Tali opinioni sono chiaramente errate, come sarà chiaro da quanto si dirà in seguito.

2. La questione del Papa eretico. – È un dogma cattolico che quando il Romano Pontefice parla ex cathedra, cioè quando svolge il compito di pastore e maestro di tutti i Cristiani, sia infallibile grazie ad una speciale assistenza dello Spirito Santo. Pertanto la presente questione non riguarda il Pontefice in quanto Pastore e Maestro universale della Chiesa, ma piuttosto nella misura in cui sia considerato come una persona privata. A questo proposito, gli Autori sono soliti chiedersi se un Romano Pontefice che cade in eresia perda il potere supremo ipso facto, o se debba essere deposto da un Concilio ecumenico.

Vedremo di seguito se la supposizione sia da ammettere o meno. Diverse opinioni sono comunemente sostenute.

La prima afferma che il Romano Pontefice perda la giurisdizione papale ipso facto per eresia, anche occulta, senza che sia richiesta la sua deposizione [cfr. Palmieri, De Romano Pontifice, p. 40]. – Il secondo afferma che per eresia notoria e apertamente divulgata il Papa sia privato del suo potere ipso facto, prima di qualsiasi sentenza dichiarativa [cfr. Bellarm., De R. Pontif. lib. II, cap. 30; Bouix, De Papa, to. II, p. 653 ss.].

Il terzo sostiene che il Romano Pontefice non decade dal suo potere ipso facto nemmeno a causa di un’eresia notoria o pubblica; ma tuttavia può e deve essere deposto con una sentenza, almeno una che dichiari il crimine [Cfr. Suarez, De fide, disp. 10, sect. 6, n. 6 sq.].

Il quarto sostiene che il Sommo Pontefice non perda la sua giurisdizione a causa dell’eresia, né possa esserne privato con la deposizione [cf. Bellarm., l. c.].

La quinta dichiara che il Romano Pontefice non possa cadere in eresia, nemmeno come dottore privato; cioè nega la supposizione stessa [Cfr. Billot, to. III, p. 141 sq.].

Quale di queste opinioni è la più probabile?

3. La dottrina cattolica da sostenere. – In primo luogo, è certo che il Romano Pontefice non sia soggetto al collegio cardinalizio, né ad un concilio episcopale, essendo egli stesso il Vescovo dei Vescovi, il Pastore dei pastori, il capo di tutte le chiese particolari e della stessa Chiesa universale. Pertanto, il Papa è semplicemente e assolutamente al di sopra della Chiesa universale, e al di sopra di un Concilio generale, tanto che al di sopra di sé stesso non riconosce nessuno sulla terra come suo superiore [cfr. Bellarm., De Concil. auct., lib. II, cap. XIII ss.].

Perciò è inopportuno affermare che i cardinali o i Vescovi riuniti abbiano il diritto di deporre il Romano Pontefice. E infatti:

a) Cristo ha stabilito Pietro e i suoi successori, non i Cardinali o i Vescovi, come fondamento della Chiesa. Ora, se il collegio cardinalizio o un concilio di Vescovi potesse deporre il Pontefice, non saremmo obbligati a dire che quei Cardinali e Vescovi sono il fondamento della Chiesa, contro la volontà positiva di Cristo?

b) Cristo ha affidato a Pietro il compito di “pascere gli agnelli e le pecore e di confermare i fratelli nella fede”. Ma se il Papa potesse essere deposto, non sarebbe lui a pascere o confermare, ma piuttosto il gregge sarebbe pasciuto e confermato da altri.

c) Il Romano Pontefice possiede un potere pieno e completo nella Chiesa, in modo tale che indipendentemente da lui non esista alcun potere di fatto né possa essere concepito.

d) I Vescovi non hanno giurisdizione, o almeno non possono mai esercitarla in modo valido e lecito, se non nella misura in cui dipendono dal Sommo Pontefice; ma se avessero il diritto di deporre il Papa, agirebbero non solo indipendentemente dal Papa, ma anche contro di lui.

e) Un Concilio generale non ha alcun valore, a meno che il Romano Pontefice non lo convochi, non lo presieda e non ne confermi gli atti con la sua suprema autorità.

f) I Vescovi e gli altri alti prelati hanno un potere solo nella misura in cui è loro concesso dalla legge divina, o dalla legge naturale o ecclesiastica. Ma né la legge divina, né quella naturale, né quella ecclesiastica concede ai Vescovi e agli altri prelati il potere di deporre il Romano Pontefice.

Così [segue la conclusione]:

g) Qualsiasi cosa venga fatta dai Vescovi o dai Cardinali, o da qualsiasi altra persona, in quanto al di fuori della Chiesa, deve essere considerato inutile ed illecito. Perché la dove c’è Pietro, o il Romano Pontefice, c’è la Chiesa, secondo l’assioma dei Santi Padri; di conseguenza, se qualcuno vuole agire contro il Papa, per il fatto stesso di essere fuori dalla Chiesa, agisce in modo sbagliato.

Così il diritto di deporre il Romano Pontefice, sotto qualsiasi aspetto venga considerato e in quale caso lo si ritenga idoneo ad essere utilizzato, deve essere considerato un’assurdità, in quanto palesemente ripugnante alla volontà positiva di Cristo ed alla natura del Primato e alla costituzione essenziale della Chiesa.

h) L’ottavo Concilio ecumenico, atto VIII, ha dichiarato: “Leggiamo che il Romano Pontefice ha giudicato tutti i Vescovi delle Chiese, ma non leggiamo che qualcuno abbia giudicato lui”.

i) Il V Concilio Lateranense, sess. XI ha insegnato che: “Che il solo Romano Pontefice, in quanto ha autorità su tutti i Concili, ha il pieno diritto e potere di convocare, trasferire e sciogliere i Concili, risulta evidente non solo dalla testimonianza della Sacra Scrittura, dai detti dei santi Padri della Chiesa e degli altri Romani Pontefici, ma anche dalla confessione di quei Concili stessi”

l) [Papa] Gelasio nella sua epistola ai Vescovi della Dardania dice: “La Chiesa in tutto il mondo sa che la Santa Sede romana ha il diritto di giudicare tutti, e che a nessuno è consentito di giudicare il suo giudizio”.

m) [Papa] Niccolò I nella sua epistola a Michele scrive: “È perfettamente chiaro che il giudizio della Sede Apostolica, la cui autorità non è superata da nessun’altra, non possa essere rivisto da nessuno”.

n) [Papa] Gregorio [Lib. 9, epist. 39 ad Theotistam.]: “Se il beato Pietro – dice – quando veniva rimproverato dai fedeli, avesse prestato attenzione all’autorità che aveva ricevuto nella santa Chiesa, avrebbe potuto rispondere: le pecore non osino rimproverare il loro pastore”.

o) [Papa] Bonifacio VIII [In extrav. Viam sanctam, tit. de maiorit. et obedient.]: “Se – dice – un potere terreno sbaglia, deve essere giudicato dal potere spirituale. Se lo spirituale erra, il minore [viene giudicata] dal maggiore, ma se la suprema [potenza] sbaglia, è [giudicata] solo da Dio, perché non può essere giudicato dall’uomo”.

L’opinione più probabile, anzi certa, se possiamo esprimere il nostro parere, è l’ultima, che afferma che il Romano Pontefice non possa cadere in eresia nemmeno come dottore privato. – Di conseguenza, il Papa non può essere deposto in nessun caso, né direttamente con una sentenza di condanna, né indirettamente con una sentenza che si limiti a dichiarare il reato.

Il perché è chiaro:

a) Cristo Signore ha istituito la Chiesa in modo da provvedere al suo giusto governo ed al beneficio spirituale dei fedeli. Ma se il Romano Pontefice potesse diventare eretico come dottore privato, questo porterebbe senza dubbio più o meno ad un danno e ad un disonore per la Chiesa.

b) Cristo ha detto in modo assoluto e semplice: “Ma Io ho pregato per voi, affinché la vostra fede non venga meno; quando saranno convertiti, conferma i tuoi fratelli” [Lc XXII,32], senza distinguere tra funzione privata o pubblica dell’insegnamento.

c) Il Romano Pontefice, con la forza del Primato, deve comportarsi secondo l’intenzione positiva di Cristo, in modo tale da meritare la piena fiducia dei suoi sudditi. Ma quale fiducia potrebbe meritare, se egli stesso potesse sbagliare come gli altri?

d) È difficile distinguere, nei singoli casi, se il Papa ha parlato ex cathedra o soltanto come dottore privato, e di conseguenza se è infallibile o se è passibile di errore come il resto degli uomini. Di conseguenza, i fedeli, per una buona ragione, resterebbero confusi nel dubbio se una dottrina dovesse essere accettata a capo chino in quanto proposta dal Pontefice, oppure fare altrimenti. Da ciò deriverebbero moltissimi dubbi, domande, ansie delle anime. Tutti questi inconvenienti svaniscono chiaramente se si accetta la nostra opinione.

e) Gli argomenti su cui si basano i sostenitori delle opinioni opposte non hanno forza.

Così: 1º l’esempio di [Papa] Liberio o di un altro Pontefice eretico è, ai nostri giorni, giustamente respinta, poiché la storia critica ne ha dimostrato la falsità, come si può vedere tra i più recenti autori su questo argomento; 2º Canoni c. 6, D. 40, c. 13. C. II, q. 7, che parlano di un’eretico Papa sono apocrifi; 3º Le parole di [Papa] Innocenzo III [Serm. IV in consecratione Pontificis] o sono da riferirsi in generale ai Pontefici, cioè ai Vescovi, o non vanno intese come eresia propriamente detta; o infine, come sostengono non pochi autori, sono apocrife.

Alla luce di tutto ciò, a buon diritto concludiamo che l’opinione che afferma che il Romano Pontefice non possa diventare eretico nemmeno come dottore privato, è molto probabile, anzi secondo il nostro giudizio è del tutto certa.

Fonte: Rev. Felix M. Cappello, De Curia Romana iuxta Reformationem a Pio X, vol. II: De Curia Romana “Sede Vacante” (Roma: Fridericus Pustet, 1912), pp. 8-13.). .

Non sorprende che la posizione di p. Cappello sia in accordo con quella di san Roberto Bellarmino: “È probabile e si può piamente credere che non solo come “Papa” il Sommo Pontefice non possa sbagliare, ma non possa essere un eretico neppure come persona particolare, credendo pertinacemente qualcosa di falso contro la fede” (De Romano Pontifice, Libro IV, Capitolo 6).

Tuttavia, San Roberto Bellarmino riconosceva che questa posizione “non è certa, e l’opinione comune è contraria, all’epoca in cui scriveva (XVI-XVII secolo), per questo ha approfondito la questione:

San Roberto Bellarmino: “Se un Papa eretico può essere deposto?”.

San Roberto Bellarmino: “Se un Papa può cadere in eresia come persona privata?”.

Bisogna ricordare che il Cardinale Bellarmino non era ancora stato dichiarato né santo né Dottore della Chiesa quando il De Curia Romana di P. Cappello fu pubblicato all’inizio del 1910.