DOMENICA DELLA SANTISSIMA TRINITÁ (2021)

FESTA DELLA SANTISSIMA TRINITÁ (2021)

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O Dio, uno nella natura e trino nelle Persone, Padre, Figlio e Spirito Santo, causa prima e fine ultimo di tutte le creature, Bene infinito, incomprensibile e ineffabile, mio Creatore, mio Redentore e mio Santificatore, io credo in Voi, spero in Voi e vi amo con tutto il cuore.

Voi nella vostra felicità infinita, preferendo, senza alcun mio merito, ad innumerevoli altre creature, che meglio di me avrebbero corrisposto ai vostri benefìci, aveste per me un palpito d’amore fin dall’eternità e, suonata la mia ora nel tempo, mi traeste dal nulla all’esistenza terrena e mi donaste la grazia, pegno della vita eterna.

Dall’abisso della mia miseria vi adoro e vi ringrazio. Sulla mia culla fu invocato il vostro Nome come professione di fede, come programma di azione, come meta unica del mio pellegrinaggio quaggiù; fate, o Trinità Santissima, che io mi ispiri sempre a questa fede e attui costantemente questo programma, affinché, giunto al termine del mio cammino, possa fissare le mie pupille nei fulgori beati della vostra gloria.

[Fidelibus, qui festo Ss.mæ Trinitatis supra relatam orationem pie recitaverint, conceditur: Indulgentia trium annorum;

Indulgentia plenaria suetis conditionibus (S. Pæn. Ap.,10 maii 1941).

[Nel giorno della festa della Ss. TRINITA’, si concede indulgenza plenaria con le solite condizioni: Confessione [se impediti Atti di contrizione perfetta], Comunione sacramentale [se impediti, Comunione Spirituale], Preghiera secondo le intenzioni del S. Padre, S. S. GREGORIO XVIII]

Canticum Quicumque


(Canticum Quicumque * Symbolum Athanasium)


Quicúmque vult salvus esse, * ante ómnia opus est, ut téneat cathólicam fidem:
Quam nisi quisque íntegram inviolatámque serváverit, * absque dúbio in ætérnum períbit.
Fides autem cathólica hæc est: * ut unum Deum in Trinitáte, et Trinitátem in unitáte venerémur.
Neque confundéntes persónas, * neque substántiam separántes.
Alia est enim persóna Patris, ália Fílii, * ália Spíritus Sancti:
Sed Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti una est divínitas, * æquális glória, coætérna majéstas.
Qualis Pater, talis Fílius, * talis Spíritus Sanctus.
Increátus Pater, increátus Fílius, * increátus Spíritus Sanctus.
Imménsus Pater, imménsus Fílius, * imménsus Spíritus Sanctus.
Ætérnus Pater, ætérnus Fílius, * ætérnus Spíritus Sanctus.
Et tamen non tres ætérni, * sed unus ætérnus.
Sicut non tres increáti, nec tres imménsi, * sed unus increátus, et unus imménsus.
Simíliter omnípotens Pater, omnípotens Fílius, * omnípotens Spíritus Sanctus.
Et tamen non tres omnipoténtes, * sed unus omnípotens.
Ita Deus Pater, Deus Fílius, * Deus Spíritus Sanctus.
Ut tamen non tres Dii, * sed unus est Deus.
Ita Dóminus Pater, Dóminus Fílius, * Dóminus Spíritus Sanctus.
Et tamen non tres Dómini, * sed unus est Dóminus.
Quia, sicut singillátim unamquámque persónam Deum ac Dóminum confitéri christiána veritáte compéllimur: * ita tres Deos aut Dóminos dícere cathólica religióne prohibémur.
Pater a nullo est factus: * nec creátus, nec génitus.
Fílius a Patre solo est: * non factus, nec creátus, sed génitus.
Spíritus Sanctus a Patre et Fílio: * non factus, nec creátus, nec génitus, sed procédens.
Unus ergo Pater, non tres Patres: unus Fílius, non tres Fílii: * unus Spíritus Sanctus, non tres Spíritus Sancti.
Et in hac Trinitáte nihil prius aut postérius, nihil majus aut minus: * sed totæ tres persónæ coætérnæ sibi sunt et coæquáles.
Ita ut per ómnia, sicut jam supra dictum est, * et únitas in Trinitáte, et Trínitas in unitáte veneránda sit.
Qui vult ergo salvus esse, * ita de Trinitáte séntiat.
Sed necessárium est ad ætérnam salútem, * ut Incarnatiónem quoque Dómini nostri Jesu Christi fidéliter credat.
Est ergo fides recta ut credámus et confiteámur, * quia Dóminus noster Jesus Christus, Dei Fílius, Deus et homo est.
Deus est ex substántia Patris ante sǽcula génitus: * et homo est ex substántia matris in sǽculo natus.
Perféctus Deus, perféctus homo: * ex ánima rationáli et humána carne subsístens.
Æquális Patri secúndum divinitátem: * minor Patre secúndum humanitátem.
Qui licet Deus sit et homo, * non duo tamen, sed unus est Christus.
Unus autem non conversióne divinitátis in carnem, * sed assumptióne humanitátis in Deum.
Unus omníno, non confusióne substántiæ, * sed unitáte persónæ.
Nam sicut ánima rationális et caro unus est homo: * ita Deus et homo unus est Christus.
Qui passus est pro salúte nostra: descéndit ad ínferos: * tértia die resurréxit a mórtuis.
Ascéndit ad cælos, sedet ad déxteram Dei Patris omnipoténtis: * inde ventúrus est judicáre vivos et mórtuos.
Ad cujus advéntum omnes hómines resúrgere habent cum corpóribus suis; * et redditúri sunt de factis própriis ratiónem.
Et qui bona egérunt, ibunt in vitam ætérnam: * qui vero mala, in ignem ætérnum.
Hæc est fides cathólica, * quam nisi quisque fidéliter firmitérque credíderit, salvus esse non póterit.

MESSA

(Messale Romano di S. Bertola e G. Destefani, comm. di D. G. LEFEBVRE O. S. B; L. I. C. E. – R. Berruti & C. Torino 1950)

Doppio di I° classe. – Paramenti bianchi.

Lo Spirito Santo, il cui regno comincia con la festa di Pentecoste, viene a ridire alle nostre anime in questa seconda parte dell’anno (dalla Trinità all’Avvento – 6 mesi), quello che Gesù ci ha insegnato nella prima (dall’Avvento alla Trinità – 6 mesi). Il dogma fondamentale al quale fa capo ogni cosa nel Cristianesimo è quello della SS. Trinità, dalla quale tutto viene (Ep.) e alla quale debbono ritornare tutti quelli che sono stati battezzati nel suo nome (Vang.). Così, dopo aver ricordato, nel corso dell’anno, volta per volta, pensiero di Dio Padre Autore della Creazione, di Dio Figlio Autore della Redenzione, di Dio Spirito Santo, Autore della nostra santificazione, la Chiesa, in questo giorno specialmente, ricapitola il grande mistero che ci ha fatto conoscere e adorare in Dio l’Unità di natura nella Trinità delle persone (Or.). — « Subito dopo aver celebrato l’avvento dello Spirito Santo, noi celebriamo la festa della SS. Trinità nell’officio della domenica che segue, dice S. Ruperto nel XII secolo, e questo posto è ben scelto perché subito dopo la discesa di questo divino Spirito, cominciarono la predicazione e la credenza, e, nel Battesimo, la fede e la confessione nel nome del Padre, del Figlio, dello Spirito Santo ». Il dogma della SS. Trinità è affermato in tutta la liturgia. È in nome del Padre del Figlio e dello Spirito Santo che si comincia e si finisce la Mesa e l’Ufficio divino, e che si conferiscono i sacramenti. Tutti i Salmi terminano col Gloria Patri, gli Inni con la Dossologia e le Orazioni con una conclusione in onore delle tre Persone divine. Nella Messa due volte si ricorda che il Sacrificio è offerto alla SS. Trinità. — Il dogma della Trinità risplende anche nelle chiese: i nostri padri amavano vederne un simbolo nell’altezza, larghezza e lunghezza mirabilmente proporzionate degli edifici; nelle loro divisioni principali e secondarie: il santuario, il coro, la navata; le gallerie, le trifore, le invetriate; le tre entrate, le tre porte, i tre vani, il frontone (formato a triangolo) e, a volte le tre torri campanili. Dovunque, fin nei dettagli dell’ornato il numero ripetuto rivela un piano prestabilito, un pensiero di fede nella SS. Trinità. — L’iconografia cristiana riproduce, in differenti maniere questo pensiero. Fino al XII secolo Dio Padre è rappresentato da una mano benedicente che sorge fra le nuvole, e spesso circondata da un nimbo: questa mano significa l’onnipotenza di Dio. Nei secoli XIII e XIV si vede il viso e il busto del Padre; dal secolo XV il Padre è rappresentato da un vegliardo vestito come il Pontefice.Fino al XII secolo Dio Figlio è rappresentato da una croce, da un agnello o da un grazioso giovinetto come i pagani rappresentavano Apollo. Dal secolo XI al XVI secolo apparve il Cristo nella pienezza delle forze e barbato; dal XIII secolo porta la sua croce, ma è spesso ancora rappresentato dall’Agnello. — Lo Spirito Santo fu dapprima rappresentato da una colomba le cui ali spiegate spesso toccano la bocca del Padre e del Figlio, per significare che procede dall’uno e dall’altro. A partire dall’XI secolo fu rappresentato per questo sotto forma di un fanciullino. Nel XIII secolo è un adolescente, nel XV un uomo maturo come il Padre e il Figlio, ma con una colomba al disopra della testa o nella mano per distinguerlo dalle altre due Persone. Dopo il XVI secolo la colomba  riprende il diritto esclusivo che aveva primieramente rappresentare lo Spirito Santo. — Per rappresentare la Trinità si prese dalla geometria il triangolo, che con la sua figura, indica l’unità divina nella quale sono iscritti i tre angoli, immagine delle tre Persone in Dio. Anche il trifoglio servì a designare il mistero della Trinità, come pure tre cerchi allacciati con il motto Unità scritto nello spazio lasciato libero al centro della intersezione dei cerchi; fu anche rappresentata come una testa a tre facce distinte su un unico capo, ma nel 1628 Papa Urbano VIII proibì di riprodurre le tre Persone in modo così mostruoso. — Una miniatura di questa epoca rappresenta il Padre e il Figlio somigliantissimi, il medesimo nimbo, la medesima tiara, la medesima capigliatura, un unico mantello: inoltre sono uniti dal Libro della Sapienza divina che reggono insieme e dallo Spirito Santo che li unisce con la punta delle ali spiegate. Ma il Padre è più vecchio del Figlio; la barba del primo è fluente, del secondo è breve; il Padre porta una veste senza cintura e il pianeta terrestre; il Figlio ha un camice con cintura e stola poiché è sacerdote. — La solennità della SS. Trinità deve la sua origine al fatto che le ordinazioni del Sabato delle Quattro Tempora si celebravano la sera prolungandosi fino all’indomani, domenica, che non aveva liturgia propria. — Come questo giorno, così tutto l’anno è consacrato alla SS. Trinità, e nella prima Domenica dopo Pentecoste viene celebrata la Messa votiva composta nel VII secolo in onore di questo mistero. E poiché occupa un posto fisso nel calendario liturgico, questa Messa fu considerata costituente una festa speciale in onore della SS. Trinità. Il Vescovo di Liegi, Stefano, nato verso l’850, ne compose l’ufficio che fu ritoccato dai francescani. Ma ebbe vero, principio questa festa nel X secolo e fu estesa a tutta la Chiesa da Papa Giovanni XXI nel 1334. — Affinché siamo sempre armati contro ogni avversità (Or.), facciamo in questo giorno con la liturgia professione solenne di fede nella santa ed eterna Trinità e sua indivisibile Unità (Secr.).

Incipit 

In nómine Patris,  et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus 

Tob XII: 6.

Benedícta sit sancta Trínitas atque indivísa Unitas: confitébimur ei, quia fecit nobíscum misericórdiam suam.

[Sia benedetta la Santa Trinità e indivisa Unità: glorifichiamola, perché ha fatto brillare in noi la sua misericordia.]

Ps VIII: 2

Dómine, Dóminus noster, quam admirábile est nomen tuum in univérsa terra!


[O Signore, Signore nostro, quanto è mirabile il tuo nome su tutta la terra!]

 Benedícta sit sancta Trínitas atque indivísa Unitas: confitébimur ei, quia fecit nobíscum misericórdiam suam.

[Sia benedetta la Santa Trinità e indivisa Unità: glorifichiamola, perché ha fatto brillare in noi la sua misericordia.]

Oratio

Orémus.

Omnípotens sempitérne Deus, qui dedísti fámulis tuis in confessióne veræ fídei, ætérnæ Trinitátis glóriam agnóscere, et in poténtia majestátis adoráre Unitátem: quaesumus; ut, ejúsdem fídei firmitáte, ab ómnibus semper muniámur advérsis. 

[O Dio onnipotente e sempiterno, che concedesti ai tuoi servi, mediante la vera fede, di conoscere la gloria dell’eterna Trinità e di adorarne l’Unità nella sovrana potenza, Ti preghiamo, affinché rimanendo fermi nella stessa fede, siamo tetragoni contro ogni avversità.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Romános. Rom XI: 33-36.

“O altitúdo divitiárum sapiéntiæ et sciéntiæ Dei: quam incomprehensibília sunt judícia ejus, et investigábiles viæ ejus! Quis enim cognovit sensum Dómini? Aut quis consiliárius ejus fuit? Aut quis prior dedit illi, et retribuétur ei? Quóniam ex ipso et per ipsum et in ipso sunt ómnia: ipsi glória in sæcula. Amen”. 

[O incommensurabile ricchezza della sapienza e della scienza di Dio: come imperscrutabili sono i suoi giudizii e come nascoste le sue vie! Chi infatti ha conosciuto il pensiero del Signore? O chi gli fu mai consigliere? O chi per primo dette a lui, sí da meritarne ricompensa? Poiché da Lui, per mezzo di Lui e in Lui sono tutte le cose: a Lui gloria nei secoli. Amen.]

P. G. Semeria: Le epistole delle Domeniche, Op. naz. Per il mezzogiorno d’Italia, Milano, 1939.

(Nihil obstat sac. P. De Ambroggi – Imprim. P. Castiglioni vic. Gen. Curia Arch, Mediolani, 1-3-1938)

DIO É CARITA’.

La gloria del Cristianesimo, della Rivelazione cristiana, che ha per oggetto suo primo Dio, è di aver saputo e di saper parlare alla nostra mente e al nostro cuore, appagando i due supremi bisogni dell’anima, sapere e amare. Ce n’è per le intelligenze più aristocratiche, ce n’è per i cuori più umili, quelle si arrestano pensose, questi si fermano giocondi.  Oggi l’Epistola della domenica ha una parola delle più sublimi e delle più consolanti. Dio è carità: «Deus charitas est». Dio è un fuoco, una promessa, un suono infinito di amore, di bontà, di carità. La carità è il suo attributo, per noi Cristiani più alto, più caratteristico. Vedete, o fratelli, le armonie mirabili del dogma, della morale di N. S. Gesù Cristo. La carità è il grande comandamento della sua Legge, così grande che può parere e dirsi in qualche modo il solo: in realtà riassume, compendia in sé tutti gli altri. È « praeceptum magnum in lege ». Bisogna amar Dio e tutti quelli e tutto ciò che Egli desidera vedere amato da noi. Amare Dio! Che gran parola! Se Dio permettesse all’uomo di amarlo, pensando quanto Egli è grande, quanto noi siamo piccini, dovremmo riguardarlo come una concessione straordinaria da parte di Dio. Ebbene, no, Dio non ci permette: Egli ci comanda di volerGli bene, come figli al Padre, come amici all’Amico. Ma noi Gli dobbiamo voler bene, perché (ecco il dogma) Egli è buono, anzi è la stessa bontà, una bontà non contegnosa, non fredda, una bontà calda, espansiva: è carità. Questo dogma corrisponde a quel precetto: nel precetto si raccoglie tutta la morale, in quel precetto e in questo dogma si compendia la storia dogmatica dei rapporti di Dio con noi. La carità è la chiave della creazione, della Redenzione, della Santificazione. Noi siamo da tanti secoli ormai abituati a sentirci predicare questo ritornello: Dio è carità, che rimaniamo quasi indifferenti. Ma quei primi che raccolsero queste parole dalle labbra di Gesù e poi dagli Apostoli, ne rimasero estatici. Per secoli i Profeti avevano con una commossa eloquenza celebrato la grandezza di Dio e la Sua giustizia. Certo non avevano dimenticato la misericordia, attributo troppo prezioso perché nella sinfonia profetica potesse mancare. Ma la grande predicazione profetica era la predicazione della grandezza e della giustizia: volevano incutere il timore di Dio in quel popolo dalla dura cervice e dal cuore incirconciso. E parve una musica nuova e dolce questa del Figlio di Dio, di Gesù: Dio è bontà, è amore, è carità: vuole essere amato. E lo so, e l’ho detto e lo ripeto: al ritornello ci abbiamo fatto l’orecchio. Ma siamo noi ben convinti di questo dogma? Crediamo noi davvero, crediamo noi sempre alla bontà di Dio? Purtroppo l’amara interrogazione ha la sua ragion d’essere. Perché crederci davvero vuol dire amare Dio fino alla follia come facevano i Santi, e ciò è più difficile in certi momenti oscuri della vita, è un po’ difficile sempre. La carità di Dio è anch’essa misteriosa come sono misteriosi tutti gli attributi di Dio, dato che Dio stesso è mistero. – Oggi la Chiesa ce lo ricorda celebrando la SS. Trinità, il primo mistero della nostra fede, e cantando con le parole di Paolo: « O altitudo divitiarum sapientiæ et scientiæ Dei! » – Dio è un abisso dove la ragione da sola si smarrisce, guidata dalla fede cammina quanto quaggiù è necessario ed è possibile, come chi tra le tenebre ha una piccola, fida lucerna. È un abisso, è un mistero anche l’amore di Dio. Dobbiamo accettarlo, crederlo. Perciò l’Apostolo definisce i Cristiani così: gli uomini che hanno creduto e credono alla carità di Dio. « Nos credidimus charitati ». Ma credendo, e solo credendo a questo mistero della bontà, della carità di Dio per noi, per tutti, ci si rischiara il buio che sarebbe altrimenti atroce della nostra povera esistenza: ci si illumina quel sovrano dovere di amare anche noi il nostro prossimo che renderebbe tanto meno triste il mondo e la vita se noi ne fossimo gli esecutori fedeli. Il Dio della carità accenda nei nostri cuori la Sua fiamma e faccia splendere ai nostri sguardi la Sua luce!

 Graduale 

Dan III: 55-56. Benedíctus es, Dómine, qui intuéris abýssos, et sedes super Chérubim, 

[Benedetto sei Tu, o Signore, che scruti gli abissi e hai per trono i Cherubini.]

Alleluja

Benedíctus es, Dómine, in firmaménto cæli, et laudábilis in sæcula. Allelúja, 

[V.Benedetto sei Tu, o Signore, nel firmamento del cielo, e degno di lode nei secoli. Allelúia, alleluia.]

Dan III: 52 V. Benedíctus es, Dómine, Deus patrum nostrórum, et laudábilis in sæcula. Allelúja. Alleluja. 

[Benedetto sei Tu, o Signore, nel firmamento del cielo, e degno di lode nei secoli. Allelúia, allelúia]

Evangelium

Sequéntia  sancti Evangélii secúndum Matthæum. Matt XXVIII: 18-20

“In illo témpore: Dixit Jesus discípulis suis: Data est mihi omnis potéstas in coelo et in terra. Eúntes ergo docéte omnes gentes, baptizántes eos in nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti: docéntes eos serváre ómnia, quæcúmque mandávi vobis. Et ecce, ego vobíscum sum ómnibus diébus usque ad consummatiónem sæculi”. 

« Gesù disse a’ suoi discepoli: Ogni potere mi fu dato in cielo ed in terra: andate adunque, ammaestrate tutte le genti, battezzandole nel nome del Padre, del Figliuolo e dello Spirito Santo, insegnando loro di osservare tutte le cose, che io vi ho comandate: ed ecco io sono con voi tutti i giorni, fino al termine del secolo ».

OMELIA

[Mons. G. Bonomelli, Misteri Cristiani; vol. IV, Queriniana ed. Brescia, 1896]

RAGIONAMENTO II.

La SS. Trinità secondo il Simbolo – Mistero che trascende la ragione umana – Vestigia della Trinità nel creato.

Ci sta dinanzi un essere qualunque, una pietra, un albero, un animale, un uomo. Noi lo vogliamo studiare e conoscere. Qual via terremo per raggiungere l’intento? Se non erro, non vi sono che due vie. Noi possiamo e dobbiamo considerare e studiare la pietra, l’albero, l’animale, l’uomo nelle loro manifestazioni esterne, nelle loro qualità, nei loro effetti, che cadono sotto dei nostri sensi e che possiamo sottoporre alla esperienza. È la prima via, più facile e comune. Ma noi possiamo anche andare più oltre e spingere l’occhio nostro più addentro nella pietra, nell’albero, nell’animale, nell’uomo; possiamo armare la mano e l’occhio di strumenti potentissimi e penetrare l’intima loro natura, scrutarne le fibre più riposte, numerare, misurare e pesare gli elementi, afferrare e stabilire le leggi a cui soggiacciono e ridurle ad un codice sicuro ed invariabile. È  questa la seconda via, più difficile, ma più perfetta e riserbata a pochi. Fratelli dilettissimi! La fede e la ragione ci mettono dinanzi l’Essere degli esseri, Dio infinito. Per conoscerlo noi possiamo tenere le due vie, che vi ho accennate: noi possiamo studiarlo e conoscerlo nelle sue meravigliose ed ineffabili manifestazioni esterne, nelle opere tutte delle sue mani, come Creatore e  conservatore ed anche come Redentore e della bellezza, varietà e grandezza delle medesime assurgere al conoscimento della sua esistenza e delle sue perfezioni divine quali risplendono nell’universo creato e nella economia della Redenzione. È ancora la prima via, rischiarata dalla ragione e dalla fede. Parimenti dinanzi alla maestà di Dio, posti in faccia a questo Essere che è infinito, che tutte le cose produce dal nulla, conserva, regge e penetra, che faremo noi? Ci prostreremo noi tremebondi e in religioso silenzio lo adoreremo? È il consiglio che ci dà il Nazianzeno (Oraz. 35) e potremmo seguirlo. Oseremo noi, tenendo nella destra la face della fede, riverenti e consci della nostra debolezza, entrare nei misteri della vita divina e scandagliare secondo le nostre forze gli abissi della sua essenza e fissare l’occhio in quelle tre Persone, nelle quali essa sì svolge e si appunta? E questo pure possiamo fare ed è bene il fare, seguendo l’esempio dei Padri e camminando sulle loro tracce, Investigare la Trinità è da temerario; crederla è proprio delle anime pie; conoscerla è la stessa vita, ci grida S. Bernardo (Lib. V, de Consid., c. 8). –  Accostiamoci adunque con animo umile a questo mistero dei misteri, addentriamoci in mezzo a questa luce sfolgorante, che per il suo eccesso diventa tenebre per la nostra debolezza, E per non mettere piede in fallo nell’alto cammino, ecco i termini del nostro assunto in questo Ragionamento, che deve essere l’introduzione del prossimo. 1.° Vedremo la dottrina della SS. Trinità quale ci è data dalla Chiesa, Maestra infallibile. 2.° Vedremo come a noi pellegrini sulla terra e contemplanti le eterne verità, quasi in ispecchio e in enigma, non sia possibile dimostrare in se stessa la SS. Trinità. Finalmente 3.° Vedremo nel creato lo ombre, dirò meglio, le vestigia della Trinità. – E dove potremo noi trovare esposta nettamente ed autorevolmente la dottrina della Chiesa cattolica intorno al dogma del SS. Trinità? Senza dubbio ne’ suoi Simboli e nominatamente in quello che più ampiamente la spiega e porta il nome del grande Atanasio. (Il simbolo volgarmente detto Atanasiano non è di S. Atanasio, ma corre sotto il suo nome perché esprime la dottrina di quell’incomparabile campione intorno alla Trinità. Questo simbolo appartiene ad un’epoca Posteriore, perché proscrive gli errori dei Nestoriani, dei Monofisiti, dei Monoteliti e degli Apollinaristi, con una precisione che lo mostra composto dopo di essi, nel 5° secolo. Lo si attribuisce a Virgilio di Tapsa). Lo volto nella nostra lingua parola per parola. « Questa è la fede cattolica, che veneriamo un Dio solo nella Trinità e la Trinità nella Unità; che non confondiamo le persone, né separiamo la sostanza. Perocchè altra è la Persona del Padre, altra quella del Figlio e altra quella dello Spirito Santo; ma una sola è la Divinità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, eguale la gloria, coeterna la maestà! Qual è il Padre, tale è il Figlio, tale lo Spirito Santo: increato il Padre, increato il Figlio, increato lo Spirito Santo: immenso il Padre, immenso il Figlio, immenso lo Spirito Santo: eterno il Padre, eterno il Figlio, eterno lo Spirito Santo, e tuttavia non sono tre eterni, ma un solo eterno; come non sono tre increati, né tre immensi, ma un solo increato, e un solo immenso. Similmente onnipotente è il Padre, onnipotente il Figlio, onnipotente lo Spirito Santo; e tuttavia non sono tre onnipotenti, ma un solo onnipotente. Così Dio è il Padre, Dio il Figlio, Dio lo Spirito Santo, e nondimeno non sono tre Dei, ma un solo Dio. Così Signore è il Padre, Signore il Figlio, Signore lo Spirito Santo, e nondimeno non sono tre Signori, ma un solo Signore; perché come la verità cristiana ci obbliga a confessare che ciascuna persona è Dio e Signore, così la Religione Cattolica ci vieta di dire che sono tre Dei e tre Signori. Il Padre non è fatto da alcuno, né creato, né generato; il Figlio viene dal solo Padre; non è fatto, né creato, ma generato; lo Spirito Santo viene dal Padre e dal Figlio; non è fatto, né creato, né generato, ma procede. Un solo pertanto è il Padre, non tre Padri; un solo il Figlio, non tre Figli; un solo lo Spirito Santo, non tre Spiriti Santi. E in questa Trinità non vi è nulla che sia prima o poi, nulla di maggiore o di minore; ma tutte tre le Persone sono tra loro coeterne e coeguali, onde per ogni rispetto, come sopra si disse, si ha da venerare l’Unità nella Trinità e la Trinità nella Unità ».  Non sarebbe possibile esprimere con maggior precisione la fede cattolica intorno al dogma fondamentale della Trinità, su cui si impernia l’altro dogma fondamentale della Incarnazione, dal quale poi, come da fonte immediata, scaturiscono tutti gli altri. – La dottrina della Trinità si aggira tutta su due punti, l’unità della natura, o essenza, o sostanza, che dire vogliamo, e la Trinità delle Persone, come chiaramente afferma il Simbolo. E poiché è pur necessario determinare i concetti per sapere ciò che crediamo, non vi sia grave che vi intrattenga qualche minuto sui due concetti di natura, o essenza o sostanza, e su l’altro di Persona. Il concetto di natura, o essenza, o sostanza, che per noi qui non differiscono, sta racchiuso nella risposta alla domanda sì comune: — Che cosa è questa? – Voi rispondete: – Questa è acqua: questa è una pianta: questo è un uomo -. La parola “è” vi dice la natura della cosa, il genere, a cui appartiene, la base, la radice, che sta nel fondo della cosa stessa. La sostanza, o la natura, o essenza, noi non la vediamo; essa si nasconde nella cosa e si invola incessantemente ai nostri sensi. – Ma questa natura si circoscrive, si determina, mi si presenta nelle sue proprietà specifiche, che la distinguono da tutti gli altri esseri, ed allora io dico: Ecco l’acqua, ecco il cedro, ecco il cavallo. Le qualità proprie indicano l’acqua, la vita vegetale specifica il cedro, e la vita animale determina il cavallo. –  Salgo più alto: vedo un uomo: la sua natura si determina in modo incomparabilmente più perfetto, perché intende, ragiona, vuole, è padrone di sé, ed è impossibile confonderla con altra, e giunge a dire: Io esisto, io vivo, io sento, io intendo, io voglio, io sono libero, io sono io, e non posso essere altro che io, io Pietro, io Giovanni, e allora dico: ecco che spunta la persona: ecco la natura pervenuta al supremo suo grado di determinazione e di affermazione coscienziosa dell’essere mio. La persona adunque non è un’altra natura sovrapposta alla natura, ma la natura stessa nella massima sua perfezione ed è per questo che la parola persona non si dice degli esseri inferiori, ma soltanto dell’uomo (S. Tomm. S. Th. Ia, q. 29, a,3). Ora la natura divina, infinita, immensa, tutta e sempre in atto, da cui tutto muove e deriva ogni perfezione, debb’essere sovranamente determinata e perciò il concetto di persona le è proprio come quello di natura. Una sola persona? No: quell’infinita Essenza fiorisce necessariamente in tre Persone. Perché in tre Persone e non in una sola Persona, come una sola è l’Essenza? Perché in Dio tutto è infinito. Mi spiego. Tu, o uomo, sei e pensi e vuoi: sono tre cose, o tre proprietà inseparabili dalla tua natura: nella tua natura spuntano due forze o potenze tra loro distintissime, l’intelligenza e la volontà, e questa emana da quella, come quella emana da chi per essa e con essa intende. Queste tre proprietà, rampollanti tutte dal fondo dell’anima tua in modo che ciascuna tutta la possiede e la comprende, in te, che sei finito, concorrono in una sola persona, in un solo io: in Dio, che è infinito, ciascuna di queste proprietà è infinita ed ecco che ciascuna è una persona, eguali tra loro, perché la natura è comune e da tutte e tre egualmente posseduta. La prima Persona, l’io intelligente, produce la seconda Persona, l’io pensato o inteso, sua Immagine perfetta e sostanziale; e l’io intelligente e l’io pensato, o inteso producono l’eterno e sostanziale Amore, che li congiunge e tu hai il terzo io, o terza Persona. In te stesso adunque, o uomo, hai un riflesso, una pallida immagine delle tre Persone della S. Trinità e dei rapporti loro vicendevoli. Ma di questo profondissimo dei misteri della nostra fede e delle sue convenienze razionali, in altro Ragionamento : per ora è da vedere che la ragione, per sé stessa, è impotente a darcene una rigorosa dimostrazione. – Vi furono alcuni Padri (e dei maggiori) e sulla loro autorità alcuni scrittori ecclesiastici, degnissimi di rispetto, i quali affermarono, Platone e la scuola platonica aver conosciuto la Trinità e questa, almeno dopo la rivelazione evangelica, potersi dimostrare colla ragione, come si dimostrano le altre verità filosofiche. Ma questa affermazione, messa alla prova, non regge e devesi abbandonare. –  La terra, l’universo, l’ordine che vi regna, la ragione, la coscienza, il grido dell’umanità tutta proclamano che vi è Dio; che è l’Essere primo e sovrano, ordinatore Supremo d’ogni cosa, eterno, sapientissimo, giustissimo: chi sia in se Stesso non è facile conoscerlo: sappiamo che vi è: argomentiamo alcune sue perfezioni da ciò che Egli squaderna, come dice il poeta, nell’universo: come sia in se stesso: qual sia la sua vita intima: quali le azioni e le processioni, che si compiono nelle inscrutabili profondità della sua natura, a noi non è possibile saperlo, s’Egli non ce lo dice. – Scorrete col pensiero tutte le creature uscite dalla mano di Dio: fissate l’occhio della mente sopra di esse, ciascuna di esse, studiatele per ogni verso e dovrete confessare, che voi non potete penetrare nell’intima loro natura: che al di là di ciò che conoscete vi è pur sempre qualche cosa che sfugge alle vostre indagini, che si vela al vostro sguardo, che si sottrae a tutti i vostri sforzi e questo qualche cosa inesplorata e inesplorabile è ciò che forma il fondo d’ogni essere, volete materiale, volete spirituale. Ora se le creature tutte nel fondo dell’essere loro sfidano e sfideranno l’occhio più acuto del sapiente, come credere ch’esso possa penetrare nelle profondità dell’Essere divino e vedere e contemplare gli atti ineffabili, che vi si compiono? Più che una presunzione audace e intollerabile sarebbe una follia degna di compassione. Noi non possiamo conoscere Dio che salendo dalle creature, quasi per altrettanti gradini, a Lui, che ne è il Creatore e Conservatore: dal visibile montiamo all’invisibile, dal temporario all’eterno, dall’effetto argomentiamo la Causa, la Causa prima. È questa l’unica via additata e battuta da tutti i filosofi e teologi di tutti i tempi e di tutti i paesi, Cristiani e non Cristiani. Ebbene: le creature tutte vi dicono ch’esse sono effetti e che Dio è loro Causa: vi presentano in sé stesse il suggello della Causa e questa Causa è una sola, Dio, non trino, ma uno. Illustrerò la verità con una similitudine. Voi vedete una statua: che vi dice essa? Vi dice, che vi è uno scultore e che essa è sua creazione. Egli per farla, l’ha pensata e nella sua mente ne ha formata l’immagine: poi colla sua volontà ha determinato di eseguirla nel marmo; poi collo scalpello, colla mano, guidata dall’occhio, l’ha scolpita. Guardando la statua, voi conoscete lo scultore, come unica sua causa, ma non potrete mai neppure immaginare la pluralità di cause, se così posso esprimermi, che concorsero insieme, con unico atto, a produrre la statua. – I teologi cattolici, con a capo S. Tommaso, insegnano che gli atti di Dio, fuori di Dio, cioè che hanno per termine le creature sotto qualsiasi forma, si riferiscono a Dio in quanto è uno nella sua essenza, precisamente come gli atti dell’uomo fuori dell’uomo provengono da lui in quanto è un solo operante, benché vi concorrano l’intelligenza e la volontà. Questi atti fuori di Dio provengono da Dio Padre, da Dio Figlio, da Dio Spirito Santo, ma non in quanto si distinguono, sebbene in quanto sono un solo Dio, una sola Natura e per conseguenza i loro effetti rappresentano Dio come un solo, come una sola Natura, ed è impossibile che lo rappresentino nella Trinità delle Persone. Queste sono prodotte dagli atti interni del conoscere e dall’amare, che rimangono nella essenza divina. È dunque impossibile che l’uomo, salendo dalle creature a Dio, conosca la Trinità delle Persone: potrà averne qualche barlume, qualche conoscenza, come diremo, ma conoscimento chiaro, dimostrazione certa, non mai. – E in vero, se noi sottoponiamo a severo esame le dottrine di Platone e d’altri filosofi antichi e moderni, che parvero mettere il dogma della Santa Trinità nel numero di quelle verità che si dimostrano colla sola ragione, almeno dopo la rivelazione evangelica, troveremo che sono manchevoli, piuttosto ipotesi che tesi, piuttosto analogie, similitudini, verosimiglianze, che verità dimostrate e poste fuori d’ogni controversia. Chi poi afferma che in Platone si trova chiaramente esposta la dottrina cattolica della Santa Trinità, mostra che non ha letto Platone, o, lettolo, non vi ha posto ben mente: giacché la dottrina di Platone su questo capo presenta tali e tante differenze col dogma cattolico, che se quella si accettasse, questo sarebbe non solo alterato, ma totalmente distrutto. Noi dunque, camminando sulle tracce di S. Tommaso e dei grandi teologi, che esprimono il senso della Chiesa, diremo, che la Trinità è il segreto di Dio, è il mistero dei misteri, che dobbiamo credere ed adorare. Ma perché la Trinità Santa è un mistero e mistero dei misteri, non vi sia tra voi chi pensi, esser questo un dogma, una dottrina, che urti e offenda comecchessia la ragione umana. Mistero non vuol dire cosa o dottrina contraria alla ragione, ma cosa o dottrina superiore alla ragione; che certamente esiste, ma che sfugge ai suoi calcoli, e ch’essa non può afferrare nei rapporti intimi e sottoporre al suo sindacato. Fratelli miei! Il mondo materiale e intellettuale, come il mondo morale e sociale, sono pieni di fatti e di fenomeni indubitati, che vediamo co’ nostri occhi e tocchiamo colle nostre mani, e dei quali andiamo ansiosamente cercando le ragioni: noi li chiamiamo misteri di natura, ben differenti senza dubbio dai misteri della fede, perché di quelli si può trovare la spiegazione intrinseca e forse la si troverà, ma di questi sulla terra non si troverà mai; ma pure, almeno per ora, sono misteri: e chi oserebbe negare quei fatti e quei fenomeni, ancorchè l’intima loro ragione di esistere rimanga occulta? Nessuno per fermo, perché un fatto, un fenomeno può essere certo quantunque inesplicato e inesplicabile. L’esistenza d’una cosa può essere fuori d’ogni dubbio, anche quando il modo della esistenza è avvolto tra fitte tenebre. Tali sono: i dogmi della nostra fede, tal è il dogma della Santa Trinità, chiaramente rivelato e imposto da Cristo, ma non spiegato in modo che la ragione lo comprenda e faccia suo. Noi diciamo e professiamo che vi è il mistero d’una sola essenza con tre Persone eguali, perché Dio lo ha rivelato; ma con ciò non diciamo, né professiamo una dottrina, che offenda la ragione, come non offendete la ragione neppur voi allorché riconoscete nell’uomo l’unione d’una sostanza spirituale con una sostanza materiale in un’unica persona e il passaggio della forza da un corpo ad un altro e la sua azione a distanze enormi, benché ignoriate il modo dell’unione, del passaggio e della sua azione, ed ignoriate persino che cosa siano anima e materia e forza in sé stesse. – E non è fare oltraggio alla ragione, ci si dice, quando voi affermate che Dio è un solo e in pari tempo trino? S’Egli è un solo, non può essere trino: se è trino non può essere un solo. Perdono! o fratelli. Noi diciamo che Dio è un solo per ragione della natura, trino per ragione delle Persone, che è ben altra cosa. Io dico: Tu, o uomo, sei un solo: eppure in qualche vero senso tu hai due nature, o sei uno solo in due nature: dico io forse cosa che ripugna alla ragione, o non anzi alla ragione conforme? Io dico: Uomo, la tua anima è una sola, un solo io, semplicissimo io. Tu lo confessi e lo senti: eppure la tua intelligenza non è la tua volontà, e la tua intelligenza e la tua volontà non sono la tua memoria, quantunque la tua intelligenza sia tutta la ripugnanza, perché due cose, o due termini incerti od oscuri mi tolgono di vedere e affermare la conseguenza del loro raffronto e me la devono lasciare incerta ed oscura. È verità che non si dimostra. Ora, parlando della Santa Trinità, i termini che si opporrebbero sarebbero l’essenza, che è una sola, e le Persone, che sono tre. Conosco io che cosa sia l’Essenza divina? So che essa esiste: so che è eterna, infinita, immutabile, che trascende infinitamente la povera mia intelligenza. Dite altrettanto delle Persone, esse pure eterne, infinite, immutabili ed eccedono le forze di qualunque intelligenza creata, fosse pur quella del più sublime degli spiriti celesti. Dunque io non conosco, non posso, non potrò mai conoscere perfettamente i due termini del dogma della Trinità, l’Essenza unica, e la Trinità delle Persone. Se è così, io non potrò mai dire, che codesti termini ripugnano e involgono contraddizione: dal confronto di due termini oscuramente conosciuti traggo una conseguenza chiarissima, dicendo: – si contraddicono -. Questo è offendere le regole della logica. Che dovrò io dire? Non comprendo i due termini e non mi è lecito affermare che si contraddicono. L’astronomo fissa l’occhio sopra una stella, che si perde nella immensità de’ cieli: applica la paralasse: le due linee tirate sopra un lato comune e distanti milioni e milioni di leghe sono parallele, perfettamente parallele ed egli vi dice: – Impossibile misurarne la distanza – ed è vero. Ma dunque quelle due linee sono veramente parallele? – L’occhio, l’esperienza, più scrupolosa vi dicono: si, sono parallele: ma la ragione mi dice con maggiore sicurezza: No; è impossibile che siano parallele; sono impotente a rilevare l’inclinazione. Ma questa vi è. È ciò che dobbiamo confessare noi a maggior diritto, allorché ci pare di scorgere contraddizione tra l’unità dell’Essenza divina e la Trinità delle Persone. L’immensurata e immensurabile distanza tra noi e Dio, crea un’oscurità profonda e attraverso quel buon effetto del nostro corto vedere, ci sembra che l’unità dell’Essere divino non si possa comporre nella Trinità delle Persone. È vera sapienza il dire: Dio ha detto che Egli è uno nella natura e trino nelle Persone: io non lo comprendo, ed è naturale ch’io, essere finito e piccolo, non lo comprenda e mi sembri contrario alla ragione: ma Egli non erra, né può errare, mi basta: credo. Il figlio non crede egli al padre, il discepolo al maestro, il servo al padrone anche in ciò che non intende e che talvolta ripugna alla sua ragione, perché sicuro di non essere ingannato? Si: e questa è pure sapienza. Perché non farò io altrettanto con Dio, mio padre, mio maestro, mio padrone assoluto? Sarei stolto se non lo facessi, e perciò lo faccio. Ma egli è poi vero che la nostra ragione nel mistero della Santa Trinità non vede nulla, che risponda alle sue esigenze? Nulla che la ischiari, e in qualche modo la introduca nei penetrali della sua vita intima? No, essa non ci può dare una formale e perfetta dimostrazione della divina Trinità, ma qua e là nel creato la trova adombrata. Vediamo queste ombre o queste vestigia di Dio uno e trino. – La sapienza greca, rappresentata da Aristotele, poneva quale aforisma, questo motto: – Omne trinum est perfectum -. Essa considerava questo numero come sacro e quel motto ebbe sempre un’eco fedele presso molti popoli antichi e moderni. Quale e d’onde la ragione di questo fatto? Non sembra inverosimile che la si debba ripetere da una antica e venerabile tradizione, che si nasconde nelle tenebre dei secoli, che risale all’origine dell’umanità e che è forse il riverbero d’una divina rivelazione. Nella quale opinione ci conferma un altro fatto anche più degno di considerazione. Noi, e sopra l’abbiamo notato, siamo ben lungi di ammettere in Platone la dottrina della Santa Trinità, quale è insegnata dai Libri Santi, e professata dalla Chiesa Cattolica. Troppe e troppo sostanziali differenze corrono tra le due dottrine perché possiamo menar buona l’opinione di alcuni Padri e dotti scrittori, che in Platone riconobbero per poco un precursore dell’Evangelista S. Giovanni. Ma è pur sempre vero che il sommo Platone in Dio intravvide una cotale Trinità a suo modo: è pur vero, che qualche sprazzo di questo dogma si trova sparso nei poeti e filosofi greci ed anche nella loro mitologia. È anche vero che nei Libri Sacri dell’India e della Persia e in fondo a quasi tutte le credenze religiose dei popoli, sotto forme più o meno esplicite, si incontrano espressioni e simboli che abbastanza chiaramente alludono ad una certa Trinità nell’Essere divino. Ora come Spiegare l’esistenza senza dubbio confusa e talora contradditoria di questa nozione d’una Trinità divina senza ricorrere o ad una tradizione primitiva, poi alterata, o ad un Vago presentimento della natura umana, che scorge il lontano riflesso del Mistero, che Dio nasconde negli abissi dell’essere suo? Quale che ne sia la vera origine, il fatto è indubitato, ed è un vestigio dell’augusto mistero. – E non basta: Scrutate questa materia inorganica e organica che vediamo e tocchiamo. Perché questa pietra, questo cristallo, questo corpo inanimato, è intimamente congiunto nelle singole sue parti, ne’ suoi atomi e mi presenta, la forma, che vedo? Perché in ogni sua parte, ancorchè minima, v’è una forza invisibile, che opera e stringe in uno gli atomi tutti e forma il corpo, che ci sta dinanzi? Questa forza è distinta dalla materia, che essa trae a sé, unisce e condensa in modi sì diversi e mirabili. Qui dunque abbiamo due Principii distinti, materia e forza, o forma, se così vi piace chiamarla. Ma due termini distinti non si possono concepire senza un rapporto, un nesso qualsiasi tra loro; ed eccoci nella stessa materia un’orma, un vestigio, appena visibile, è vero, ma un vestigio d’un essere, che è uno solo e che mi presenta alcun che di trino. La materia! Qualunque sia la sua natura e quali che siano le sue forme, essa non potrà mai avere che tre dimensioni, la lunghezza, la larghezza, la profondità. Trasformate come meglio vi piace la materia; voi la troverete sempre sottoposta a questa triplice dimensione della larghezza, della lunghezza e della profondità: esse sì intrecciano e si fondono tutte insieme nello stesso corpo, formando un solo corpo e rimanendo tra loro sempre distinte in guisa che l’una non è, né può essere l’altra. E nella materia non abbiamo il numero, il peso e la misura, tre cose distinte nella stessa identica cosa? – Vedete (il pensiero lo tolgo da S. Anselmo) l’acqua: essa è sempre la stessa nella sua fonte, nel fiume, che percorre, nel mare dove entra: così è la stessa essenza nel Padre, nel Figlio e nello Spirito Santo. Vedete il sole: esso è un solo corpo immenso, tutto luce e tutto calore; e la luce non è il sole, né il calore, né il calore è il sole e la luce; tre cose distinte in una sola sostanza, e quel che è una è l’altra, inseparabili e distinte ad un tempo. Vedete l’albero: è una sola sostanza, che comincia dalla radice, si svolge nel tronco, si compie nel frutto: sempre tre cose distinte in una sola sostanza. Non fa mestieri il dire che tutte queste sono similitudini tolte dalla materia, la quale per essere l’ultima eco dell’azione creatrice e il punto più lontano da Dio, ne riverbera debolissima l’immagine. – Vedete l’animale: la Vita, la stessa vita, parte dall’uno, si svolge nell’unione col secondo e si compie nella produzione di un terzo; nella distinzione di tre esseri separati esiste la stessa natura. La famiglia umana consta del padre, della madre, del figlio. La società stessa (espansione della famiglia), come la famiglia, domanda un principio organatore, che risiede nella autorità, un principio che vuolsi organare, la moltitudine, e il mezzo che l’uno e l’altro congiunge, che è la forza delle leggi; principe, personale, o collettivo, sudditi e molteplici vincoli, che li collegano. – Vedete l’uomo nella sua parte più nobile, l’anima; essa è una sola e semplicissima sostanza, come sopra accennava, e da essa emanano perennemente due facoltà, intelligenza e volontà, due principii procedenti l’uno dall’altro e che necessariamente suppongono un primo principio, fonte di entrambi e tutti e tre sussistenti nella comune e unica sostanza. Ma di questa immagine della S. Trinità, la più bella e la più perfetta, che sia tra gli esseri creati, ci occuperemo più a lungo nel prossimo Ragionamento. E qui non si vogliono dimenticare altre e pur belle analogie, che effigiano il mistero della S. Trinità. Carattere inalienabile dell’uomo è il ragionare: ora per ragionare è necessario formare il giudizio: e il giudizio, base d’ogni ragionamento, consta di tre termini, non uno più, non uno meno, il soggetto, il predicato e il vincolo, che li unisce: – il cielo è sereno -. Eccovi i due termini, il cielo, soggetto; sereno, il predicato, e il verbo è, che li unisce. Tutti i giudizi possibili si riducono a questi tre termini, che congiunti formano un solo giudizio. L’uomo ragiona e forma giudizi: e due giudizi, raffrontati tra loro, producono una conseguenza, ed eccovi il sillogismo, forma suprema di tutti i ragionamenti: una proposizione generale, una particolare e la conseguenza, che ne scaturisce: tre in uno ed uno in tre! Finalmente considerate la forma di tutti i verbi, di tutti i tempi, di tutti i paesi, di tutte le grammatiche, di tutti i popoli: essa vi presenta costantemente le tre persone, io, tu, quegli, e per tormentarvi il cervello che facciate, non potrete mai aggiungervi una quarta persona. Che è tutto questo, o fratelli miei? Ho io forse dimostrato l’ineffabile mistero della Trinità? No, sicuramente. Vi ho messo innanzi alcune similitudini, alcune vestigia, alcune immagini, che in qualche modo adombrano il dogma cattolico, lo chiariscono, scemano le difficoltà di pensarlo e ce lo rendono, umanamente parlando, concepibile e credibile. E possiamo noi, proseguendo per questa via, sollevarci più in alto, accostarci ancor più a questa luce sfolgorante e affissarvi l’occhio nostro mortale, rischiarato dalla fede? Sì, lo possiamo!

IL CREDO

Offertorium

Orémus

 Tob XII: 6. Benedíctus sit Deus Pater, unigenitúsque Dei Fílius, Sanctus quoque Spíritus: quia fecit nobíscum misericórdiam suam. 

[Benedetto sia Dio Padre, e l’unigenito Figlio di Dio, e lo Spirito Santo: poiché fece brillare su di noi la sua misericordia.]

Secreta

Sanctífica, quæsumus, Dómine, Deus noster, per tui sancti nóminis invocatiónem, hujus oblatiónis hóstiam: et per eam nosmetípsos tibi pérfice munus ætérnum. 

[Santífica, Te ne preghiamo, o Signore Dio nostro, per l’invocazione del tuo santo nome, l’ostia che Ti offriamo: e per mezzo di essa fai che noi stessi Ti siamo eterna oblazione.]

Præfatio de sanctissima Trinitate

… Vere dignum et justum est, æquum et salutáre, nos tibi semper et ubíque grátias ágere: Dómine sancte, Pater omnípotens, ætérne Deus: Qui cum unigénito Fílio tuo et Spíritu Sancto unus es Deus, unus es Dóminus: non in unius singularitáte persónæ, sed in uníus Trinitáte substántiæ. Quod enim de tua glória, revelánte te, crédimus, hoc de Fílio tuo, hoc de Spíritu Sancto sine differéntia discretiónis sentímus. Ut in confessióne veræ sempiternǽque Deitátis, et in persónis propríetas, et in esséntia únitas, et in majestáte adorétur æquálitas. Quam laudant Angeli atque Archángeli, Chérubim quoque ac Séraphim: qui non cessant clamáre cotídie, una voce dicéntes:

[ …veramente degno e giusto, conveniente e salutare, che noi, sempre e in ogni luogo, Ti rendiamo grazie, o Signore Santo, Padre Onnipotente, Eterno Iddio: che col Figlio tuo unigénito e con lo Spirito Santo, sei un Dio solo ed un solo Signore, non nella singolarità di una sola Persona, ma nella Trinità di una sola sostanza. Cosí che quanto per tua rivelazione crediamo della tua gloria, il medesimo sentiamo, senza distinzione, e di tuo Figlio e dello Spirito Santo. Affinché nella professione della vera e sempiterna Divinità, si adori: e la proprietà nelle persone e l’unità nell’essenza e l’uguaglianza nella maestà. La quale lodano gli Angeli e gli Arcangeli, i Cherubini e i Serafini, che non cessano ogni giorno di acclamare, dicendo ad una voce: ]…

COMUNIONE SPIRITUALE

Sanctus,

Sanctus, Sanctus Dóminus, Deus Sábaoth. Pleni sunt coeli et terra glória tua. Hosánna in excélsis. Benedíctus, qui venit in nómine Dómini. Hosánna in excélsis.

Communio

Tob XII:6. Benedícimus Deum coeli et coram ómnibus vivéntibus confitébimur ei: quia fecit nobíscum misericórdiam suam. 

[Benediciamo il Dio dei cieli e confessiamolo davanti a tutti i viventi: poiché fece brillare su di noi la sua misericordia.]

Postcommunio 

Orémus.

Profíciat nobis ad salútem córporis et ánimæ, Dómine, Deus noster, hujus sacraménti suscéptio: et sempitérnæ sanctæ Trinitátis ejusdémque indivíduæ Unitátis conféssio.

[O Signore Dio nostro, giòvino alla salute del corpo e dell’ànima il sacramento ricevuto e la professione della tua Santa Trinità e Unità.]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (2)

ORDINARIO DELLA MESSA

Autore: Associazione Cristo-Re Rex regum

Siamo un'Associazione culturale in difesa della "vera" Chiesa Cattolica.