IL SACRO CUORE (42)

IL SACRO CUORE (42)

J. V. BAINVEL – prof. teologia Ist. Catt. Di Parigi;

LA DEVOZIONE AL S. CUORE DI GESÙ-

[Milano Soc. Ed. “Vita e Pensiero”, 1919]

PARTE SECONDA.

CAPITOLO III

L’ATTO PROPRIO DELLA DEVOZIONE AL SACRO CUORE

Una divozione sì specifica sopra tutto per il oggetto; ma è pur sempre un insieme un insieme di idee, di sentimenti, di pratiche, in relazione con quell’oggetto. Per conoscerla sempre meglio, vi bisogna dunque studiarla anche da questa parte, domandandosi quale è l’atto proprio della devozione al Sacro Cuore. La risposta può dedursi  dall’oggetto e dal fine della devozione, questo fine essendo determinato dalla natura dell’oggetto. Ma, per non procedere unicamente a priori, dovremo pure esaminare i testi ed i fatti (V. sopra – I parte, c. III § 2 – i testi della santa, sullo spirito della devozione). – La questione dell’atto proprio potrebbe esprimersi benissimo così: Quali sono il carattere e lo spirito proprio della devozione al sacro Cuore, quali ne sono le pratiche speciali, secondo quale spirito e questo carattere? Si può riferir tutto a questi due capi: fine e atto proprio delle devozione, spiegandone lo spirito, le pratiche e il carattere.

I.

SCOPO DELLA DEVOZIONE AL SACRO CUORE

L’amore vuole amore. L’amore sconosciuto vuole amore riparatore.

Quando Gesù mostrava alla beata Margherita Maria il suo cuore infiammato d’amore per gli uomini e, incapace di contenere più a lungo quelle fiamme che lo consumavano, e desideroso di far parte a, tutti delle ricchezze del suo cuore, che cosa voleva? Attirare l’attenzione degli uomini su questo amore, indurli a rendergli omaggio, invitarli ad attingere in questo cuore infinitamente ricco. Se, al dire della santa, Egli si compiace grandemente di essere onorato sotto la figura del suo Cuore di carne, che scopo vuole che ci proponiamo nel rendergli questo onore? Si tratta del fine preciso e prossimo della divozione, non già del fine ultimo e generale che è, evidentemente, la gloria di Dio e la santificazione delle anime. Egli vuole che ci proponiamo di onorare il suo amore e di corrispondergli, rendendo amore per amore. La manifestazione del sacro Cuore alla beata Margherita Maria è la ma-nifestazione dell’amore. Si può dunque collegare tutta la devozione a questo. Da una parte, un amore che reclama corrispondenza d’amore, un amore tenero, esuberante, che vuole ricambio proporzionato d’amore; dall’altra parte l’amore che risponde all’invito dell’amore, l’amore desideroso di non essere troppo al disotto dell’amore immenso che l’ha prevenuto e lo provoca. Se la divozione al sacro Cuore, secondo la parola di Pio VI, ci conduce a venerare l’immensa vita e il prodigo (effusum) amore di nostro Signore per noi, è evidente che ciò serve ad accendere il nostro amore a questo focolare dell’amore. Il ehe è evidente. Ricorderò qualche testo soltanto per mostrare che è proprio così. La beata scriveva al P. Croiset: « Mi si mostrava di continuo un cuore che gettava fiamme da ogni parte, con queste parole Se tu sapessi quanto io abbia sete d’essere amato dagli uomini tu non risparmieresti nulla per questo…. Io ho sete, io ardo dal desiderio d’essere amato » (Lettres inédites, VI, p. 18o rivedute su G. c. XXXV, 600). E precedentemente aveva scritto alla madre de Saumaise: « Egli vivrà malgrado i suoi nemici, e si farà padrone e possessore dei nostri cuori e ne prenderà possesso; perché il fine principale di questa divozione è di convertire le anime all’amor suo » (Lettres, 1, VII (LIX); t. Il, p. II (132); G. LXV, 355). E ancora al P. Croiset: « Egli mi fece vedere che il suo ardente desiderio d’essere amato dagli uomini…. gli aveva suggerito il desiderio di manifestare il suo cuore agli uomini con tutti i tesori d’amore, di misericordia, di grazia, di santificazione e salute che conteneva, affinché tutti coloro che volessero rendergli e procurargli l’onore, l’amore e la gloria che potessero, fossero arricchiti con abbondanza e profusione di questi divini tesori del Cuore di Dio che ne è la sorgente e che si deve onorare sotto la figura di questo Cuore di carne …. Questa devozione è come un ultimo sforzo dell’amor suo che voleva favorire gli uomini in questi ultimi secoli, con questa redenzione amorosa…. per metterci sotto la dolce libertà dell’impero del suo amore, che voleva stabilire nel cuore di tutti coloro che vorrebbero abbracciare questa devozione » (Lettres IV, p. 142 rivedute su G. CXXXIII, p. 568). È ben così che l’intendevano i promotori della divozione: « Il fine della nuova divozione, diceva il postulatore del 1697, è di pagare un tributo d’amore alla sorgente stessa dell’amore » (Memoriale citato da Nilles, 1.a parte, 2.a C. 11, C. 1, p. 338.). – « Il primo fine che si ha in vista, diceva il P. Galliffet, postulatore nel 1727, è di corrispondere all’amore di Gesù Cristo » (Citato da NILLES, CC. cit. p. 340). – E il P. Croiset: « Non si trova qui, per parlare propriamente, che un esercizio d’amore: l’amore ne è l’oggetto, l’amore ne è il motivo principale, ed è l’amore che deve esserne il fine » (1.a parte, c. I, p. 3-4. Mons. DE PRESSY si esprime presso a poco nello stesso modo: « Il suo oggetto, tanto corporale che spirituale, non si riferisce che alla carità, i suoi motivi non respirano che la carità, le sue pratiche e il suo fine non tendono che ad esercitare e perfezionare la carità ». Lettera pastorale per stabilire la divozione al sacro Cuore, I c., col. 1032). – È ben così che l’intende la Chiesa. Essa dice nell’inno alle Laudi: Quis non amantem redamet? Quis non redemptus diligat? ». E nella segreta della Messa Egredimini prega cosi: « Noi vi supplichiamo, Signore che lo Spirito Santo c’infiammi dell’amore che Nostro Signore Gesù Cristo ha fatto scaturire dal suo amore sulla terra, e che ha voluto tanto vedere accendersi ». – Quando Pio IX, nel 1856, estendeva la festa del Sacro Cuore a tutta la Chiesa, fu per « fornire ai fedeli un’incitamento (incitamenta) per amare e ripagare in amore (ad amandum et redamandum) il cuore di Colui che ci ha amato ed ha lavato col suo sangue le nostre colpe » (in: NILLES, 1. 1, parte 1, c. IV, § 1, t. I, p. 167). E, quando lo stesso Pontefice innalzò la festa a un rito superiore, lo fece perché la devozione d’amore al Cuore del nostro Redentore si propagasse sempre di più e penetrasse più addentro nel cuore dei fedeli, affinché « la carità che si è raffreddata, in molti, si rianimi al fuoco del divino amore » (Ibid, p. 170). Si dice pure nel breve di beatificazione di Margherita Maria: « Gesù non ha nulla così a cuore come di accendere nel cuore degli uomini quella fiamma d’amore di cui il suo proprio cuore è infiammato. Per meglio riuscirvi, ha voluto che si stabilisse e si propagasse nella Chiesa, il culto del suo sacratissimo cuore (In: NILLES, 1. 1, parte 2, C. Il, § 2, t. I, p. 346.). La medaglia commemorativa della beatificazione, coniata a Roma nel 1864, rappresenta Gesù che mostra il suo cuore, con questa leggenda: Cor, ut redametur exhibet » (Vedi: NILLES, I. 1, p. 3a , C. 111, t. 1, p; 468.). –

Leone XIII ha ripetuti) gli stessi insegnamenti nella Enciclica del 28 giugno 1889. Egli scrive: « Gesù non ha desiderio più ardente che di vedere acceso nelle anime il fuoco d’amore da cui il suo proprio cuore è consumato. Andiamo dunque a Colui che non ci domanda altro come prezzo della sua carità, che corrispondenza d’amore ». Tutta la lettera è piena di questa idea. È qui, d’altronde, che ci riconducono sempre i documenti che si riferiscono al sacro Cuore, e nulla è più frequente che incontrare, citata in questo senso la parola del Divin Maestro: « Sono venuto a portare il fuoco nella terra, e che cos’altro desidero se non che si accenda ». Aggiungiamo che, siccome la divozione è un compenso d’amore all’amore sconosciuto e oltraggiato, così quest’amore si presenta naturalmente come un amore di riparazione. Così come vedremo, i documenti ci parlano in pari tempo e di riparazione e d’amore.

II.

L’ATTO PROPRIO DELLA DEVOZIONE

L’atto proprio della divozione al sacro Cuore; l’atto. d’amore; il suo spirito, il carattere, le pratiche. tutto si riferisce all’amore. La riparazione.

È questa una questione su la quale è discusso qualche volta. Per noi è stata già risolta da quel che precede; l’atto proprio della divozione, è, evidentemente, l’atto d’amore. Gesù ci dà il suo cuore per avere il nostro. La divozione all’amore è, essenzialmente, una divozione d’amore. La sua divisa è: Nos ergo diligamus Deum quoniam ipse prior dilexit nos (I Giov., IV, 19). E ancora: Sic nos amantem quis non redamaret? All’amore, rispondiamo con l’amore. Ma, notiamolo bene, per questo appunto che si presenta come una risposta all’amore, quest’amore ha dei caratteri speciali, determinati in gran parte dall’amore che vuol riconoscere rispondendo ad esso. – Io non parlo del colore indescrivibile che gl’imprime il sentimento sempre presente della distanza fra noi e l’Amico divino, la cognizione di ciò che Egli è e di quel che noi siamo; Egli ci mette, a suo riguardo, in una attitudine analoga a quella degli Apostoli dopo la risurrezione, al mattino della pesca miracolosa. Mangiando sotto i suoi sguardi la piccola refezione che Egli stesso aveva preparato loro non osavano domandargli chi fosse ben sapendo che era Gesù. Egli addolcisce tutte le relazioni fra Lui e noi per fondere insieme la condiscendenza infinita che senza abbassarsi discende alla più intima famigliarità, e il rispetto affettuoso che osa amare semplicemente, senza dimenticare l’audacia di rivolger in alto i propri affetti. Voglio indicare certi tratti più speciali di questo amore, tali come li richiede la divozione. È un amore reciproco che non dimentica mai d’essere amato. Se si fosse tentati di dimenticarlo, uno sguardo al sacro Cuore, ce lo ricorderebbe subito. Quest’amore reciproco è, malgrado le distanze, un amore d’amicizia, un amore di famigliarità. di fratellanza intima e tenera. Ciò dipende in parte, senza dubbio, dal fatto che l’amore del sacro Cuore per noi si presenta come un amore umano, sotto forme sensibili, alla misura, per così dire, del nostro cuore. Ma ciò dipende sopra tutto dal fatto che questo amore, essendo quello di Gesù, del Verbo incarnato, non possiamo dimenticare che Egli ha voluto immedesimarsi nella nostra famiglia per immedesimarci nella sua, e che, essendo Dio, ha voluto farsi uomo per fare dell’uomo un Dio. Quest’amore reciproco, pertanto, non dimentica che una parte ha prevenuto, che Gesù ha fatto i primi passi e che non ci resta che corrispondere. Si ferma dunque a studiare questo amore che previene e tutto quello che ha fatto; cerca, pur sapendo di non arrivar mai, di corrispondere alla tenerezza e all’ardore di quest’amore, con tutta la sua potenza di tenerezza e di ardore, alla sua generosità, con tutta la sua forza di abnegazione, disinteressata, ecc…. In una parola si sforza, in una lotta ineguale, di rispondere con la perfezione dell’amore, all’amore perfetto che l’ha prevenuto. Ma l’amore di Gesù, come si è rivelato alla beata Margherita Maria, è un amore sconosciuto e oltraggiato. Ed è questo che dà tutta la sua importanza all’atto di riparazione, al culto del sacro ‘Cuore. Questo posto fatto alla riparazione è tale che, qualche volta, sembra presentarsi come il primo atto e il più essenziale della divozione. E pertanto non è così. Prima di tutto, la riparazione, tale come ci apparisce qui, è una riparazione d’amore, non già una riparazione di giustizia e di espiazione, e si traduce per mezzo dell’ammenda onorevole che si rivolge precisamente all’amore sconosciuto e oltraggiato. L’amore è messo dunque in prima linea. Ag-giungiamo che paranco nei testi la riparazione è sempre messa al secondo posto. Vi si dice che il fine principale della divozione è l’amore; la riparazione vien dopo, e come atto speciale d’amore verso l’amore riconosciuto e oltraggiato. L’amore, la consacrazione, o dono amoroso di sé al sacro Cuore, la vita tutta per lui, e in lui, hanno un’importanza infinitamente maggiore negli scritti e nelle preoccupazioni di beata Margherita Maria, che non ne abbiano la riparazione e l’ammenda onorevole. E, se anche fosse altrimenti, non bisognerebbe, per questo, invertire l’ordine. Per la forza stessa delle cose, la riparazione non vien che dopo e come prova speciale di amore. – Altri atti, altre pratiche son care ai devoti del sacro Cuore: Comunione riparatrice, divozione all’Eucaristia, Ora santa, divozione alla Passione, ecc. Care al loro amore perché chieste espressamente da Gesù ai suoi amici fedeli, nella persona della sua amante prediletta, perché praticate o indicate da lei stessa come gradite al cuore del Divino Amico perché manifestazioni spontanee d’un amore tenero, delicato, generoso. Tutto questo proviene naturalmente dalla natura propria di questa divozione. Sono gli aspetti dell’amore. Niente è estraneo all’amore di quel che è rivelazione, traduzione ne d’amore. Ma tutto quello che si fa, tutto quello che si soffre, non si riferisce all’amore come alla sua sorgente e al suo termine. Leggete quello che dice san Paolo della carità (I Cor. XIII, 5 e segg.). Vi trovate come una descrizione della vera divozione al sacro Cuore, poiché vi trovate la descrizione del vero amore. Lo spirito della divozione è dunque uno spirito d’amore. Tutte le pratiche ne sono animate, tutte ci guidano a lui. – Dappertutto dove incontriamo la divozione al sacro Cuore incontriamo questo carattere dell’amore. – È per amore che si stringe a Gesù per studiarvi il suo amore, dalla culla al Calvario; non arrestandosi ai fatti o esteriori che per ricercarvi le tracce dell’amore. È per meglio amarlo che cerca di meglio conoscerlo. È pure per amare che compatisce alle sue pene, che gli rende omaggio vedendolo sconosciuto, che gode delle sue gioie e dei suoi trionfi come se fossero suoi, che vive di lui, infine, e si sforza di piacergli, amandolo sempre più, per innestargli il proprio amore e rendendosi sempre più amabile ai suoi occhi per soddisfare questo amore. È, a dir vero, ai predicatori e agli autori ascetici che appartiene sviluppare tutte queste considerazioni, ma era pur necessario accennarle per farsi un’idea più giusta e vera della divozione. – Le anime di vote troveranno nella loro divozione stessa di che nutrirsene e penetrarsene. Ed è a misura che se ne nutrono e se penetrano, che la loro divozione cresce e diviene in loro una sorgente inesauribile di considerazioni amorose e di amore sempre più tenero, sempre più operoso.