IL COMBATTIMENTO SPIRITUALE (5)

IL COMBATTIMENTO SPIRITUALE (5)

[P. Lorenzo SCUPOLI, presso G. A. Pezzana, Venezia – 1767)

Del modo di combattere contro la negligenza.

CAP. XX.

Perché tu non cada nella misera servitù della negligenza: cosa che non solo impedirebbe il cammino della perfezione, ma ti darebbe in mano dei nemici. Hai da fuggire ogni curiosità ed attacco terreno, e qualunque occupazione che allo stato tuo  non conviene. Poi t’hai da fare sforzo, perché presto corrisponda ad ogni buona ispirazione, ed a qualunque ordine dei tuoi Superiori, facendo ogni cosa a quel tempo ed in quel modo, ch’è il loro piacimento. Né ritardare pure per una brevissima dimora, perché quel solo prima indugiare, porta appresso il secondo, e quello il terzo, e gli altri ai quali il senso si piega e cede più facilmente che ai primi, essendo già allettato e preso dal piacere che n’ha gustato. Onde si incomincia l’azione troppo tardi, o come noiosa si lascia alle volte del tutto. E così a poco a poco si va facendo l’abito della negligenza, che ci riduce poi a segno tale, che nel punto stesso che da quella siamo tenuti legati, ci proponiamo ancora una volta essere molto solleciti e diligenti, accorgendoci di essere stati per allora negligentissimi, con rossore di noi medesimi. – Quella negligenza scorre dappertutto, e col suo veleno non pure infetta la volontà, facendole abborrire l’opera, ma men acceca l’intelletto perché non veda quanto vani e mal fondati siano i proponimenti di eseguire per l’avvenire, questo e diligentemente quello che dovendosi effettuare allora, volontariamente affatto ti lascia, oppure si prolunga in altro tempo. Né basta il fare presto l’opera che hai da fare, ma s’ha da fare nel tempo proprio che ricerca nel tempo proprio, che ricerca la qualità e l’essere di quell’opera e con tutta quella diligenza che se le conviene, perché abbia ogni possibile perfezione. Che non è diligenza, ma finissima negligenza, fare innanzi tempo l’opera e spedirsene prestamente, e senza che si faccia bene, perché poi quietamente ci diamo all’accidioso riposo; al quale fisso stava il nostro pensiero, mentre che, con prestezza, si faceva l’opera. Tutto questo gran male avviene, perché non si confiderà il valore della buona opera fatta nel suo tempo, e con animo risoluto all’incontrar la fatica, e difficoltà che porta il vizio della negligenza, ai novelli soldati. Hai tu dunque spesso da considerare, che una sola elevazione di mente a Dio, ed un inchino con le ginocchia a terra a suo onore, vale più che tutti i tesori del mondo, e che, qualunque volta facciamo violenza a noi stessi ed alle viziose passioni, gli Angioli portano all’anima nostra dal Regno del Cielo una Corona di gloriosa vittoria. Ed all’incontro che ai negligenti Iddio poco a poco va togliendo le grazie, che loro dato aveva, ed ai diligenti le aumenta, facendoli poi entrare nel suo primo gaudio. Alla fatica e difficoltà, se tu non sei da tanto nei primi principi che le vadi da generoso incontro, hai da occultarla in modo che paia minore di quella che dai negligenti era giudicata. Il tuo esercizio per avventura ricerca molti, e molti atti per acquistare una virtù, ed una fatica per molti giorni, ed i nemici da espugnare ti paiono molti, e forti. Comincia tu a produrre atti, quasi che pochi n’abbi a fare, che per pochi dì ti bisogna faticare, e combatti contro di un inimico, come che altri non vi fossero da combattervi, e con una confidenza grande, che tu con l’aiuto di Dio, sii più forte di loro: che a questo modo facendo, comincerà a debilitarsi la negligenza, ed a disporsi poi, perché vi entri di mano in mano la virtù contraria. L’istesso dico dell’orazione. Ricerca l’esercizio tuo talvolta un’ora di orazione. E questo par duro alla negligenza tua, mettiti in essa, quasi volendo orare per lo spazio  di un ottavo d’ora, che facilmente passerai all’altro, e da questo  a quel che rimane. Che se talora allora nel secondo, o negli altri ottavi sentissi troppo violente ripugnanza, e difficoltà tralascia l’esercizio per non fastidirti ripigliando però d’indi a poco di nuovo il tralasciato esercizio. Questo stesso modo anco hai da tenere nell’opere manuali, quando accade, che ti bisogna fare più cose, le quali alla tua negligenza parendo molte, e difficoltose, tu vieni a disturbarti tutta. Comincia tu con tutto ciò animosamente, e quieta da una, come se altro non avessi a fare, che così diligentemente facendo,verrai a farle tutte con assai minor fatica di quello, che nella negligenza tua ti pareva. Che se tu non farai nel suddetto modo, e non andrai incontro alla fatica e difficoltà, che ti si mostra, di tal modo ti prevalerà il vizio della negligenza, che non solo la fatica e difficoltà, che seco porta nel principio l’esercizio delle virtù, quando sarà presente, ma da lontano ti terrà ansiosa, e noiosa, temendo sempre d’essere esercitata ed assalita dai nemici, e di vederti persona alle spalle che alcuna cosa t’imponga: onde nella quiete stessa vivresti inquieta. E sappi, figliuola, che questo vizio di negligenza col suo nascosto veleno, poco a poco, non solo marcisce le prime e piccole radici, che avevano a produrre gli abiti delle virtù, ma quelle degli abiti già acquistati; come fa il tarlo al legno, così egli va rodendo insensibilmente, e consumando la midolla della vita spirituale, ed ad ognuno, ma agli spirituali particolarmente, il demonio con questo mezzo tende insidie e lacci. Vigila tu dunque orando ed operando bene, e non aspettare di tessere il panno per la veste nunziale, quando devi trovartene ornata per incontrare lo sposo. E ricordati ogni giorno che ti dà la mattina, non ti promette la sera, e dandoti la sera, non ti viene promessa la mattina. E però spendi tutti i momenti delle ore, secondo il piacimento di Dio e come se altro tempo non ti viene concesso, tanto più che d’ogni momento n’hai da rendere minutissimo conto. Conchiudo con l’avvertirti che tu reputi come perduta quella giornata (ancorché avessi spedite molte faccende) nella quale non avrai ottenuto più vittorie contro le tue male inclinazioni e volontà propria, né ringraziato il tuo Signore dei suoi benefizi, e particolarmente della sua penosa passione, che per te soffrì, e dal paterno e dolce castigo, quando ti avrà fatta degna del tesoro inestimabile di alcune tribolazioni.

Del regger i sensi esteriori, e come da quelli si passi a contemplare la Divinità.

CAP. XXI

Grande avvertenza, e continuo esercizio si richiede nel reggere, e regolare bene i nostri sensi esteriori, perché l’appetito, che è come capitano della nostra natura corrotta, inclina strabocchevolmente a cercare i piaceri, e contenti, né potendo per sé solo farne acquisto, si serve dei sensi quasi soldati suoi e strumenti naturali per prendere i loro oggetti, le immaginazioni dei quali cavando e tirando a sé, stampa nell’anima: da che poi ne segue il piacere, il quale per la cognizione ch’è fra essa e la carne, si sparge per tutta quella parte dei sentimenti che sono capaci di tal diletto, onde ne succede tanto all’anima quanto al corpo, una contagione comune che corrompe il tutto. Tu vedi il danno, attendi al rimedio. – Sta ben avvertita a non lasciar andare i tuoi sensi liberamente dove vogliono, né ti servire dell’uso loro, dove la sola dilettazione e non alcun buon fine o utilità o necessità ti muove a farlo; e se non te ne avvenendo sono scorsi troppo avanti, fa’ che tu li ritiri addietro, o li regoli di maniera che, dove prima si facevano miserabilmente prigioni di vari contenti, ottengano da ciascun oggetto notabile preda e le portino dentro all’anima; onde ella raccolta in se stessa spieghi le penne delle potenze verso il cielo delle contemplazioni di Dio. Il che potrai fare in questo modo. – Quando si rappresenta a qualsivoglia dei tuoi sensi esteriori alcun oggetto, separa col pensiero dalla cosa creata lo spirito che è in quella, e pensa ch’ella da sé non ha niente di tutto ciò che a tuoi sensi foggiare, ma che tutto è opera di Dio, che con lo spirito suo invisibilmente le dà quell’essere, bontà o bellezza, ed ogni bene ch’è in lei, e quivi rallegrati, che il tuo Signore solo sia cagione e principio di tante e così varie perfezioni di cose, che in se stesso eminentemente tutte le contenga; non essendo esse che un minimissimo grado delle sue divine ed infinite eccellenze. – Quando ti avvedrai di essere occupata nel mirare cose che hanno un nobile essere, ridurrai col pensiero al suo niente la creatura, fissando l’occhio della mente al sommo Creatore ivi presente, che quell’essere le ha dato, ed in Lui solamente prendendo diletto, dirai: O essenza divina sommamente desiderabile, quanto godo, che tu solo sei principio infinito d’ogni essere creato! Parimente scorgendo arbori, erbe, e cose simili, con l’intelletto vedrai che, quella vita che hanno, non l’hanno da loro, ma dallo Spirito che non vedi, e che solo le vivifica, e potrai cosi dire: Ecco qui la vera vita, da cui, in cui, e per cui, vivono, e crescono tutte le cose. O vivo contento di questo cuore! Così dalla vista degli animali bruti, ti leverai con la mente a Dio, che dà loro il senso, ed il moto, dicendo: “Oh primo motore, che tutto il mondo movendo, sei immobile in te stesso, quanto mi rallegro della tua stabilità e fermezza!” E sentendoti allettare dalla bellezza delle creature, separa quello che vedi, dallo spirito che non ved e considera che tutto quel di bello che fuori appare, e dello spirito solo invisibile, da cui è cagionata quella esterna bellezza, e di’ tutta lieta: Ecco i rivoli del fonte increato, ecco le gocciole del pelago infinite di ogni bene; Oh come nell’intimo del cuore gioiscono, pensando all’eterna immensa bellezza che è cagione d’ogni bellezza creata! –  E scorgendo in altri bontà, sapienza, giustizia ed altre virtù, dirai al tuo buon Dio: Oh ricchissimo tesoro di virtù, qual è il mio compiacimento che da te e per te unicamente derivi ogni bene, e che tutto a paragone delle tue divine perfezioni, sia come niente! Ti ringrazio, Signore, di questo e di ogni altro bene che al prossimo mio hai fatto: ricordati Signore della mia povertà e del bisogno grande che tengo della virtù della N. Stendendo poi le mani a fare alcuna cosa, pensa, che Iddio è prima cagione di quella operazione, e tu non altro, che vivo strumento di Lui, al quale innalzando il pensiero, di’ a questo modo: Quanto è il contento che provo dentro me stessa, supremo Signore del tutto, di non poter operare senza te alcuna cosa, anzi che Tu sei il primo e principale operatore di tutte! Gustando cibo, o bevanda, confiderà che Iddio è quello che le dà quel sapore, ed in Lui solo dilettandoti potrai dire: Rallegrati anima mia, che come fuora del tuo Dio non hai alcun vero contento, così in Lui solo ti puoi in ogni cosa unicamente dilettare. – Se ti compiacerai nell’odorare alcuna cosa al senso grata, non fermandoti in quel compiacimento, passa col pensiero al Signore, da cui ha la sua origine quell’odore, e di ciò sentendo interna consolazione, dirai: Deh fa’ Signore, che come io gioisco che da te proceda ogni soavità, così l’anima mia spogliata e nuda d’ogni terreno piacere, ascenda in alto, e renda gratissimo odore alle tue nari divine. – Quando odi alcuna armonia di suoni e canti, rivolta con la mente al tuo Dio, dirai: Quanto godo, Signore e Dio mio delle infinite tue perfezioni, che tutte insieme, non pure in te stesso rendono sopra celeste armonia, ma ancora unitamente agli Angioli nei cieli ed in tutte le creature fanno meraviglioso concerto.

Come le stesse cose ci sono mezzo per regolare i nostri sensi, passando alla meditazione del Verbo incarnato nei misteri della sua vita e Passione.

CAP. XXII.

Di sopra ti ho mostrato, come noi possiamo dalle cose sensibili levare la mente alla contemplazione della divinità. Ora apprendi un modo di pigliar motivo dalle stesse per la meditazione del Verbo incarnato, considerando i sacratissimi misteri della sua vita, e passione. – Tutte le cose dell’universo possono servire per questo effetto, considerando in esse, come di sopra, il sommo Dio, come cosa prima cagione che loro ha dato tutto quell’essere, bellezza, ed eccellenza che hanno; e da questo passando poi a considerare quanto grande ed immensa sia la sua bontà, ch’essendo unico principio, e Signore di tutto il creato, ha voluto discendere a tanta bassezza di farsi uomo e patire, e morire per l’uomo, permettendo che le stesse fatture della sua mano, si armassero contro di Lui per crocifiggerlo. Molte cose poi particolarmente ci portano avanti gli occhi della mente questi santi misteri, come armi, funi, flagelli, colonne, spine, canne, chiodi, martelli, ed altre, che furono strumenti della sua passione. I poveri alberghi ci ridurranno alla memoria la stalla ed il presepio del Signore. Piovendo ci sovverrà di quella sanguinosa divina pioggia, che nell’orto stillando dal suo sacratissimo corpo, irrigò la terra; le pietre che mireremo, ci rappresenteranno quelle che si spezzarono nella sua morte, la terra, quel moto, che fece allora, il Sole, le tenebre che l’oscurarono, e vedendo le acque verremo a ricordarci di quella, che uscì dal suo sacratissimo costato. Il che parimente dico d’altre cose simili. Gustando il vino, o altra bevanda, rammentati dell’aceto e fiele del tuo Signore. Se la soavità degli odori ti alletta, ricorri con la mente al fetore dei corpi morti, ch’Egli sentiva nel monte Calvario. Vestendovi, ricordati che il Verbo eterno si vestì di carne umana per vestite te della sua divinità. Spogliandoti abbi memoria del tuo Cristo, che fu spogliato nudo  per essere flagellato e confitto in Croce per te. Udendo rumori e gridi di gente, ricordati di quelle abbominevoli voci: Crocifige, crocifige, tolle, tolle, che intuonarono nelle sue divinissime orecchie. – Ogni volta che batte l’orologio, ti sovvenga di quell’affannoso battimento di cuore che al tuo Gesù piacque sentire, quando nell’orto cominciò a temere della sua vicina passione e morte, ovvero ti paia di sentire quelle dure percosse con le quali fu inchiodato in Croce. In qualunque occasione che ti si appresti di mestizia e di dolori tuoi o d’altri, pensa che sono come niente rispetto alle incomprensibili angosce che trafissero ed afflissero il corpo e l’anima del tuo Signore. 

D’altri modi di regolare i nostri sensi, secondo diverse occasioni che ci si rappresentano.

CAP. XXIII.

Avendo veduto, come si abbia da innalzare l’intelletto dalle cose sensibili alla Divinità, ed ai misteri del Verbo incarnato; qui aggiungerò altri modi per cavarne diverse meditazioni, acciocché, come differenti tra loro sono i gusti dell’anime, così abbiano molti e diversi cibi; oltreché ciò potrà servire non pure alle persone semplici, ma a quelle ancora, che sono d’ingegno elevato, e più avanti nella via dello spirito, il quale in chi si sia, non è sempre ugualmente disposto e pronto alle più alte speculazioni. Né tu hai da dubitare di confonderti fra quella varietà di cose, se ti atterrai alla regola della discrezione, ed all’altrui consiglio, il quale intendo, che tu debba seguire con umiltà e confidenza non solamente in quello, ma in ogni altro avvertimento che ti venga da me. Nel mirare tante cose vaghe alla vista, e pregiate in terra, considera che tutte sono vilissime e come sterco, rispetto alle celesti ricchezze, alle quali (dispregiando tutto il mondo) aspira con ogni affetto. Rivolgendo lo sguardo verso il sole, pensa che più di quello è lucida e bella l’anima tua, se sta in grazia del tuo Creatore, altrimenti che ella è più oscura ed abbominevole delle tenebre infernali. Alzando gli occhi del corpo al Cielo che ti copre, penetra con quelli dell’anima più sopra al Cielo empireo, ed ivi affissati col pensiero come in luogo che ti è apparecchiato per eterno felicissimo albergo, se in terra vivrai innocentemente. – Sentendo cantare uccelli, o altri canti, leva la mente a quelli del Paradiso, dove risuona continuo alleluja, e prega il Signore che ti faccia degna di lodarlo perpetuamente, insieme con quelli spiriti celesti. Quando ti avvedi, che prendi diletto delle bellezze della creatura, mira con l’intelletto che ivi nascosto giace il serpente infernale tutto intento e pronto ad ucciderti, o almeno a ferirti, contro il quale così potrai dire: Ah, maledetto serpente, come stai insidiosamente apparecchiato per divorarmi ! Poi rivolto a Dio dirai: Benedetto sii tu, Iddio mio che mi hai scoperto il nemico, e liberato dalle sue rabbiose fauci. E dall’allettamento fuggi subito alle piaghe del Crocifisso, occupando la mente in esse, e considerando quanto soffrì il Signore nella sua sacratissima carne per liberarti dal peccato, e renderti odiosi i diletti della carne. Un altro modo ti ricordo per fuggire questo pericoloso allettamento, ed è che tu t’interni bene a pensare, quale sarà dopo la morte quell’oggetto, che allora piace tanto. Mentre cammini, ricordati che per ogni passo che muovi, ti vai avvicinando alla morte. Così vedendo uccelli per l’aria, e scorrere acque, pensa, che con maggior velocità la tua vita se ne va volando al suo fine. Levandosi venti impetuosi, o folgorando e tuonando, ti sovvenga del tremendo giorno del Giudizio e, posta in ginocchione, adora Dio, pregandolo che ti conceda grazia e tempo di apparecchiarti bene per comparire allora davanti alla sua Altissima Maestà. – Nella varietà degli accidenti, che possono occorrere alla persona, così ti eserciterai quando, per esempio, sei oppressa d’alcun dolore, o melanconia, o caldo, freddo, o altro: solleva la mente a quell’eterna volontà alla quale per tuo bene è piaciuto che in tal misura e tempo, tu senta quell’incomodo, onde tu lieta per lamore, che ti mostra il tuo Dio, e per l’occasione di servirlo in tutto quello che più gli piace, dirai con il tuo cuore: Ecco in me il compiacimento del divino volere, che ad eterno amorosamente ha disposto che io al presente sostenga questo travaglio. Ne sia lodato per sempre il mio benignissimo Signore. E quando si crea nella tua mente pensiero di cosa buona, subito rivoltati a Dio, e riconoscilo da Lui e rendigliene grazie. Quando leggi, ti paia di vedere il Signore fatto quelle parole e ricevile come se venissero dalla sua divina bocca. – Mirando la S. Croce considera che ella è lo stendardo della tua milizia, dal quale scostandoti, cadrai nelle mani dei crudeli nemici, e seguendolo giungerai in Cielo carica di gloriose spoglie. Nel vedere la cara immagine di Maria Vergine, rivolta il cuore a Lei che regna in Paradiso, ringraziandola che sempre fu apparecchiata alla volontà del tuo Dio che ha partorito, allattato, e nutrito il Redentore del mondo, e che nel nostro conflitto spirituale non ci manca mai del suo favore ed aiuto. – Le immagini dei Santi ti rappresentino tanti Campioni, che avendo corsa la loro lancia valorosamente, ti hanno aperta la strada per la quale camminando tu ancora, sarai insieme con essi coronata di perpetua gloria. – Quando vedrai le Chiese, fra le altre devote considerazioni, potrai pensare, che l’anima tua è tempio di Dio, e però come stanza sua la devi conservare pura, e monda. – Sentendo in qualunque tempo i tre segni della Salutazione Angelica, potrai fare le seguenti brevi meditazioni, che sono conformi alle sacre parole che si sogliono dire avanti ciascuna di quelle orazioncelle celesti. Al primo segno, ringrazia Dio di quell’ambasciata, che dal Cielo mandò in terra, e fu il principio della nostra salute. Al secondo, rallegrati con M. V. delle sue grandezze, alle quali fu sublimata per la sua singolare profondissima umiltà. Al terzo segno, insieme con la felicissima Madre e l’Angelo Gabriele, adora il divino Fanciullo nuovamente concepito. Né ti scordare di inchinare per riverenza così un poco il capo per ciascun segno, ed alquanto più che nell’ultimo. – Queste meditazioni divise per i tre segni, servono per tutti i tempi. Le seguenti si dividono per la sera, la mattina ed il mezzo giorno, e sono appartenenti alla passione del Signore, essendo noi purtroppo debitori, ricordarci spesso dei dolori che per quella sostenne la nostra Signora, mostrandoci ingrati, se non lo facciamo. La mattina, compassionandola nelle se azioni per la presentazione a Pilato e ad Erode, per la sentenza della sua morte e per lo portare la Croce. Al mezzo giorno, penetra col pensiero al coltello di doglia che trafisse il cuore della sconsolata Madre, per la crocifissione e morte del Signore, e per la crudelissima lanciata nel suo sacratissimo Costato. Quelle meditazioni de’ dolori della Vergine potrai fare dalla sera del  Giovedì fino al mezzo giorno del Sabato, le altre negli altri giorni. Mi rimetto però alla tua particolare devozione: ed all’occasione, che ne porgeranno le cose esteriori. E per conchiuderti in breve modo, con che hai da regolare i sensi, sii desta sì, che in ogni cosa, ed accidente, non dall’amore loro, o abborrimento, ma dalla sola volontà di Dio tu sia mossa e tirata, e quel tanto abbracciando od abborrendo, che vuole Iddio che tu abbracci, od abborrisca. – Ed avverti, che non ti ho dato io i suddetti modi di reggere i sensi, perché tu ti occupi in questi, dovendo stare quasi sempre raccolta nella mente tua col tuo Signore, il quale vuole, che con frequenti atti attenda a vincere i tuoi nemici e le passioni viziose, e col resistere loro, e con gli atti delle virtù contrarie, ma te l’ho insegnati acciò sappi regolarti quando accade il bisogno. – Perché hai da sapere, che si fa poco frutto quando si prendono molti esercizi, benché in se stessi siano buonissimi, e sono ben spesso intrigamento di mente, amor proprio, instabilità e lacci del demonio. 

Del modo di regolare la lingua

CAP. XXIV

La lingua dell’uomo ha gran bisogno di essere ben regolata e tenuta a freno, perché ognuno è grandemente inclinato a lasciarla correre e discorrere di quelle cose che più ai sensi nostri dilettano. – Il molto parlare ha radice per lo più da una certa superbia, con la quale persuadendoci noi di saper molto e compiacendoci nei propri concetti, ci sforziamo con soverchie repliche, di imprimerli negli animi altrui per fare del maestro sopra di loro, quasi che abbiano bisogno di imparare da noi. Non si possono esprimere con poche parole i mali che nascono dalle molte parole. La loquacità è madre dell’accidia, argomento di ignoranza e pazzia, porta alla detrazione, ministra di bugie e raffreddamento del devoto fervore.  Le molte parole danno forza alle viziose passioni, e da queste è mossa poi la lingua a continuare tanto facilmente nell’indiscreto parlare. –  Non ti allargare in lunghi ragionamenti con chi ti ode mal volentieri, per non infastidirli, e fa lo stresso con chi ti dà orecchia per non eccedere i termini della modestia. – Fuggi il parlare con efficacia, e con alta voce, che l’una e altra cosa è odiosa assai, e da indizio di presunzione, e vanità. – Di te e dei fatti tuoi, e dei tuoi congiunti non parlar mai, se non per pura necessità, e quanto più brevemente, e ristrettamente potrai: se ti paresse che altri parlassero di sé  soverchiamente, sforzati di trarne buon concetto, ma non imitarli, ancorché le lor parole rendessero alla propria umiliazione, ed accusa di se stessi. Del prossimo tuo, e delle cose appartenenti a lui ragiona men che sia possibile,  fuorché per dirne bene dove lo porti l’occasione. Parla volentieri di Dio e particolarmente dell’amore, e bontà sua, ma con timore di poter errare anche in questo, e ti piaccia stare piuttosto attenta quando altri ne ragiona, conservando le sue parole nell’intimo del cuor tuo. Dell’altre il suono solamente della voce percuota le tue orecchie e la mente stia sollevata al Signore, che se pure bisogna udire il ragionante, per intendere e rispondere non lasciar per questo di dare qualche occhiata col pensiero al Cielo, dive abita il tuo Dio, e mira l’altezza sua, com’Egli sempre riguarda la tua viltà. Le cose che ti cadono in cuore per dirle, siano da te considerate prima che passino alla lingua, che di molte ti avvedrai che bene farebbe che da te non fossero mandate fuori. Ma di più ti avverto, che non poche ancora di quelle che allora penserai essere bene che tu le dica, meglio assai farebbe se le seppellissi con il silenzio, e lo conoscerai pensandovi dopo che sarà passata l’occasione del ragionamento. Il silenzio, figliuola mia, è una gran fortezza nella battaglia spirituale, ed una certa speranza della vittoria. – Il silenzio è amico di chi si fida di se stesso, e confida in Dio ed è conservatore della santa orazione, ed aiuto meraviglioso all’esercizio delle virtù. – Per avvezzarsi a tacere, considera spesso i danni e pericoli della loquacità, ed i beni grandi del silenzio, e prendi amore a questa virtù, e per qualche tempo (per farvi l’abito), taci anche dove non sarebbe male a parlare, purché questo non sia a te, o ad altri di pregiudizio. Ti gioverà anco perciò lo stare lontana dalle conversazioni che invece degli uomini avrai per compagnia gli Angioli, i Santi e lo stesso Dio. – Finalmente ricordati del combattimento che hai alle mani, che vedendo, quanto in questo hai da fare, ti verrà voglia di lasciare le soverchie parole.

Autore: Associazione Cristo-Re Rex regum

Siamo un'Associazione culturale in difesa della "vera" Chiesa Cattolica.