IL COMBATTIMENTO SPIRITUALE (2)

IL COMBATTIMENTO SPIRITUALE (2)

[P. Lorenzo SCUPOLI, presso G. A. Pezzana, Venezia – 1767)

CAPO PRIMO

Volendo tu, figliuola in Cristo amatissima, conseguire l’altezza della perfezione, ed accostandoti al tuo Dio, diventare uno stesso spirito con Lui, ch’è la maggiore e la più nobile impresa, che dire e immaginar si possa, hai prima da conoscere, in che cosa consista la vera e perfetta vita spirituale. – Perché molti, senz’altro pensare, l’hanno posta nel rigore della vita, nella macerazione della carne, nei cilici, nei flagelli, nelle lunghe vigilie, nei digiuni, ed in altre simili asprezze e corporali fatiche. – Altri, e particolarmente le donne, si danno a credere di esser giunte a gran segno, quando dicono di molte orazioni vocali, odono molte Messe, e lunghi Uffizi, frequentano le Chiese, e le Comunioni. Molti altri (tra i quali se ne ritrova talvolta qualch’uno che, vestito d’abito religioso, vive nei Chiostri) si sono persuasi che la perfezione in tutto dipenda dal frequentare il Coro, dal silenzio, dalla solitudine, e dalla regolata disciplina. E così, chi in queste, e chi in altre somiglianti azioni, tiene che sia fondata la perfezione. – Il che però non è così, che siccome dette operazioni sono ora mezzo d’acquistare spirito, ed ora frutto di spirito, così dire non si può che in esse sole consista la perfezione cristiana, ed il vero spirito. – Sono, senza dubbio, mezzo potentissimo d’acquistare spirito a quelli che bene, e discretamente l’usano per prendere vigore e forza contro la propria malizia, e fragilità,- per armarsi contro gli assalti, ed inganni dei nostri comuni nemici, per provvederli di quelli aiuti spirituali, che a tutti i servi di Dio, ed ai novelli massimamente sono necessari. –  Sono poi frutto di spirito nelle persone veramente spirituali, le quali castigano il corpo, perché ha offeso il suo Creatore e per tenerlo soggetto ed umiliato nel suo servigio: tacciono, e vivono solitarie per fuggire qualunque minima offesa del Signore, e per conversare nei cieli: attendono al culto divino ed all’opere di pietà, orano e meditano la Vita e Passione di Nostro Signore non per curiosità e gusti sensibili, ma per conoscere vieppiù la malizia propria, e la bontà, e misericordia di Dio: per Infiammarsi sempre più nell’amor divino, e nell’odio di loro stessi, seguendo con l’abnegazione loro e, Croce in spalla, il Figliuolo di Dio, frequentano i Ss. Sacramenti per gloria dì S. D. M. per più congiungersi strettamente con Dio, e per pigliar nuova forza contro i nemici. – Ma ad altri poi, che pongono nelle suddette operazioni esteriori tutto il fondamento loro, possono non per difetto delle cose in sé (che tutte sono santissime) ma per difetto di chi le usa, porgere talvolta più che i peccati aperti, occasione di rovina; mentre in esse solo intenti, lasciano il cuore in abbandono in mano delle inclinazioni, e del demonio occulto, il qual vedendo, che quelli già sono fuori del diritto sentiero, gli lascia non solamente continuare nei suddetti esercizj con diletto; ma anco spaziare, secondo il loro vano pensiero, per le delizie del Paradiso, dove si persuadono d’essere sollevati tra i Cori Angelici, e di sentire Dio dentro di loro, i quali talora si trovano tutti assorti in certe meditazioni piene d’alti, curiosi, e dilettevoli punti, e quali scordati del mondo e delle creature, par loro d’essere rapiti al terzo Cielo.  – Ma in quanti errori si trovino quelli avviluppati, e quanto siano lontani da quella perfezione che noi andiamo cercando, facilmente si può comprendere dalla vita e costumi loro. Perché vogliono questi in ogni cosa grande e piccola essere preferiti, ed avvantaggiati agli altri sono di proprio capo, ed ostinati ad ogni loro voglia, e ciechi ne’ propri, sono solleciti e diligenti osservatori, e mormoratori dei detti e fatti altrui. Che se tu li tocchi per un poco in una loro vana riputazione, in che essi si tengono, e si compiacciono esser tenuti dagli altri, e li levi da quelle divozioni, che usano a stampa, si alterano tutti e s’inquietano soprammodo. – E se Iddio per ridurli al vero conoscimento di loro stessi ed alla strada della perfezione, gli manda travagli ed infermità, o permette persecuzioni (che non vengono mai senza sua volontà, così volendo o permettendo, e sono la pietra del tocco della lealtà dei servi suoi), allora scoprono il loro falso fondo, e l’interiore corrotto e guasto della superbia, perché in ogni avvenimento o tristo o lieto che sia, non vogliono rassegnarsi, ed umiliarsi sotto la divina mano, acquietandoli nei giusti sempre, benché segreti giudizi di Dio, né ad esempio del suo umiliato ed appassionato Figliuolo, abbassarsi sotto tutte le creature, tenendo per cari amici i persecutori, come strumenti della divina bontà, e cooperatori alla  mortificazione, perfezione e salute di loro stessi. –  La onde certa cosa è, che questi tali sono posti in grave pericolo, perché avendo l’occhio interno ottenebrato, e mirando con quello loro medesimi e l’operazioni esterne che sono buone, s’attribuirono molti gradi di perfezione, e così insuperbiti giudicano gli altri, e per loro non è chi li converta, fuorché uno straordinario aiuto di Dio. –  Perciocché aliai più agevolmente si converte, e riduce al bene il peccatore manifesto, che l’occulto e coperto col manto delle virtù apparenti. – Tu vedi dunque figliuola chiaramente che, nelle suddette cose, nel modo, che ti ho dichiarato, non consiste la vita spirituale. – La quale hai da sapere, che in altro non consiste, che nel conoscimento della bontà e grandezza di Dio, e del nostro niente, ed inclinazione ad ogni male; nell’amor suo, ed odio di noi stessi; nella soggezione non solo a Lui, ma per amor suo ad ogni creatura; nella espropriazione d’ogni nostro volere, e rassegnazione totale nel suo divino piacimento, ed oltre ciò, che tutto quello si voglia, e faccia da noi puramente per gloria di Dio, e per suo solo compiacimento, e così Egli vuole e merita di essere amate, e servito. – Questa è la legge di amore impressa dalla mano dell’istesso Signore nei cuori dei suoi fedeli servi. Questa è la negazione di noi medesimi, che ricerca da noi. Questo è il soave giogo, ed il peso suo leggero. Questa è l’ubbidienza, alla quale con l’esempio e con la voce, il nostro Redentore e Maestro ci chiama. – E poiché aspirando nell’altezza di tanta perfezione, hai da fare continua violenza a te stessa, ad espugnare generosamente, ed annichilare tutte le voglie, o grandi o piccole che siano, di necessità conviene che con ogni prontezza d’animo ti apparecchi a questa battaglia, poiché la corona non si dà se non ai valorosi combattitori. – La quale, siccome è più d’ogni altra difficile (poiché combattendo contro di noi, siamo da noi stessi combattuti), così la vittoria ottenuta, sarà di ogni altra più gloriosa, e a Dio più cara. – Perché se tu attenderai a calcare e a dar morte a tutti i tuoi disordinati appetiti, desideri e voglie, ancorché minime, farai maggior piacere e servigio a Dio, che se tenendo alcune di quelle volontariamente vive, ti flagellassi infino a sangue, e digiunassi più che gli antichi Eremiti ed Anacoreti, o convertissi al bene le migliaia di anime. Che quantunque il Signore abbia cara più in sé la conversione dell’anime che la mortificazione d’una voglietta, nondimeno tu non hai da volere, né da operar altro più principalmente, che quello, che quello Signore da te ristrettamente ricerca e vuole. –  Ed Egli senza fallo più si compiace, che tu ti affatichi, ed attenda a mortificare le tue passioni, che se tu lasciandone pur una avvedutamente, e volontariamente viva in te, lo servissi in qualunque cosa, sia pur grande, e di maggior momento. – Ora, che tu vedi figliuola in che consiste la perfezione Cristiana, e che per acquistarla hai da imprendere una continua, ed asprissima guerra contro te stessa, e fa bisogno, che di quattro cose, come d’armi sicurissime e necessarie ti provveda per riportare la palma e restar vincitrice in questa spirituale battaglia. Queste sono:

la diffidenza di noi stessi.

la confidenza in Dio,

L’esercizio, e

L’orazione.

Delle quali tutte con l’aiuto divino e con facile brevità tratteremo.

Della diffidenza di noi stessi

CAP. II

La diffidenza di te stessa, figliuola, talmente ti è necessaria in questo combattimento, che senza quella tu hai da tenere per certo che non solamente non potresti conseguire la desiderata vittoria, ma neppure superare una ben piccola tua passioncella. – E ciò ti si imprima bene nella mente, imperocché noi siamo pur troppo facili, ed inclinati dalla natura corrotta ad una falsa stima di noi stessi, che essendo veramente non altro che un bel nulla, ci diamo pure ad intendere d’essere qualche cosa, e senza fondamento veruno vanamente delle proprie forze presumiamo. – Questo è difetto assai difficile a conoscersi, e dispiace molto agli occhi di Dio, che ama e vuole in noi una leale cognizione di quella certissima verità, che ogni grazia e virtù derivi in noi da Lui solo, che è fonte d’ogni bene, e che da noi nessuna cosa, neppure un buon pensiero, può venire che a grado gli sia. – Ed avvenga che questa tanto importante diffidenza sia per anche opera della sua divina mano, che suole darla ai suoi cari amici, ora con sante ispirazioni, ora con aspri flagelli, e con violente e quasi insuperabili tentazioni, o con altri mezzi non intesi da noi medesimi, pure volendo Egli, che insieme dalla nostra parte si faccia quello che tocca a noi, ti propongono quattro modi, con i quali aiutata principalmente dal superno favore, tu possa conseguire tal diffidenza.

– Il primo è che tu consideri, e conosca la tua viltà, e nullità e che da te non puoi fare alcun bene, per cui meriti di entrare nel Regno dei Cieli.

– Il secondo è, che con ferventi preghiere la domandi spesso ad esso Signore, polche è dono suo. E per ottenerla, prima ti hai da mirare non pure ognuna d’essa, ma al tutto impotente ad acquistarla da te. Così preferendoti più volte davanti alla Divina Maestà, con una certa fede, che per sua bontà sia per concedertela, e con perseveranza aspettandola per tutto quel tempo che disporrà la provvidenza sua, non v’è dubbio, l’otterrai. –

– Il terzo modo che ti avvezzi a temere te stessa, il proprio Giudizio, l’inclinazione forte al peccato, gli innumerevoli nemici, ai quali non sei bastante a fare una minima resistenza, il lungo lor uso di combattere o le stratagemma, le loro trasfigurazioni in angelo di luce, e le innumerevoli arti e lacci che nella via stessa della virtù nascostamente ci tendono.

– Il quarto modo è, che quando ti avviene di cadere in qualche difetto, tu allora penetri più dentro e più vivamente nella considerazione della tua somma debolezza, che a questo fine Dio ha permesso la tua caduta, acciocché avvisata dall’ispirazione con più chiaro lume, che prima, conoscendoti bene, impari a dispregiare te stessa, come cosa pur troppo vile, e per tale tu voglia anche dagli altri essere tenuta, e parimente dispregiata, che senza questa volontà, non vi può essere virtuosa diffidenza, la quale ha il suo fondamento nell’umiltà vera, e nella detta cognizione sperimentale. – Imperocché chiara cosa è, che ad ognuno, che vuol congiungersi colla superna luce e verità increata, è necessario il conoscimento di se stesso: che ai superbi e presuntuosi dà ordinariamente la divina Clemenza per via de’ cadimenti, lasciando giustamente incorrere in qualche mancamento, dal quale si persuadono di poterli difendere, acciocché così venendoli a conoscere, apprendano a diffidare in tutto di se medesimi. – Ma di quello mezzo così miserabile non si suole servire il Signore, se non quando gli altri più benigni, che abbiamo detto di sopra, non hanno portato quel giovamento che intendeva la sua Divina Bontà. La quale tanto permette, che cada più o meno l’uomo, quanto maggiore , o minore è la sua e propria reputazione, di maniera che, dove niente di presunzione si ritrovasse, come fu in Maria Vergine, niente parimenti vi farebbe di caduta. – Talché, quando tu cadi, corri subito col pensiero all’umile conoscimento di te stessa, e con importuna operazione, domanda al Signore, che ti doni il vero lume di conoscerti, e la totale diffidenza di te stessa, se non vorrai ricadere di nuovo, e talvolta in più grave rovina.

Della confidenza di Dio.

CAP. III

La diffidenza propria, avvenga che in quella pugna, come abbiamo detto, sia tanto necessaria, nientedimeno, se l’avremo sola, o ci daremo in fuga, o resteremo vinti, e superati dai nemici, e però oltre a questa ti bisogni ancora la totale confidenza in Dio, da lui solo sperando, e aspettando qualunque bene, aiuto, e vittoria. Che siccome da noi, che niente siamo, non ci è lecito prometterci altro che cadimenti, onde dobbiamo di noi medesimi diffidare affatto, così dal Signor nostro ogni gran vittoria conseguiremo sicuramente purché, per ottener il suo aiuto, armiamo il cuor nostro d’una viva confidenza in Lui. – E questa parimente in quattro modi si può conseguire. Primo, col domandarla a Dio. – Secondo, col considerare, e vedere coll’occhio della Fede l’onnipotenza, e sapienza infinita di Dio, al quale niente è impossibile né difficile; e ch’essendo la sua bontà senza misura con indicibile voglia sta pronto ed apparecchiato a dare d’ora in ora, e di momento in momento, tutto quello che ci è di bisogno per la vita spirituale, e totale vittoria di noi stessi, ricorrendo alle sue braccia con confidenza. E come farà possibile, che il  nostro Pastore divino, il quale trentatré anni ha corso dietro alla pecorella smarrita, con gridi tanto forti, che ne divenne rauco, e per via tanto faticosa e spinosa, che vi sparse tutto il sangue, e vi lasciò la vita, ora ch’essa pecorella va dietro a Lui con l’ubbidienza dei comandamenti suoi, o pur col desiderio (benché alle volte fiacco) di ubbidirlo, chiamandolo e pregandolo, ch’Esso non le volga quei suoi occhi di vita, non l’oda, e non se la metta sulle divine spalle, facendone festa con tutti i suoi vicini ed Angioli del Cielo? – Che se non lascia il Signor nostro di cercare con diligenza grande ed amore, e di trovare nella dracma Evangelica il cieco e muto peccatore, come sarà possibile che abbandoni quello che, come smarrita pecorella grida e chiama il suo Pastore? – E chi crederà mai che Iddio, il quale batte di continuo al cuore dell’uomo per desiderio d’entrarvi e cenarvi, comunicandogli i doni suoi, e che aprendosigli poi il cuore ed invitandolo, faccia Egli daddovero il sordo, e non vi voglia entrare? – Il terzo modo per acquistare quella santa confidenza, è il ricorrere con la memoria alla verità della Scrittura Sacra, che in tanti luoghi ci mostra chiaramente, che non restò mai confuso chi confida in Dio. – Il quarto modo, il quale servirà per conseguir insieme la diffidenza di te stessa, e la confidenza in Dio, è questo: Quando ti occorre alcuna cosa da fare, e di prendere alcuna pugna, e vincere te stessa, prima che ti proponga, o risolva di volerla fare, rivoltati col pensiero alla tua debolezza, e diffida affatto, voltati poi alla potenza, sapienza e bontà divina, ed in questa confidando delibera d’operare, e di combattere generosamente, e con quelle armi in mano, e con l’orazione, come nel suo luogo dirò, combatti, ed opera poi. – E se non osserverai quell’ordine, avvegnaché ti paresse di fare ogni cosa in confidenza di Dio, ti troverai in gran parte ingannata, essendo tanto propria all’uomo la presunzione di sé medesimo, e tanto sottile, che di nascosto quasi sempre vive nella diffidenza, che ci pare d’avere di noi stessi: e confidenza, che stimiamo aver in Dio. – Perché tu fugga quanto più sia possibile la presunzione, ed operi con la diffidenza di te stessa e confidenza in Dio, fa di bisogno che la considerazione della tua debolezza vada innanzi alla considerazione dell’onnipotenza di Dio, e tutte queste due alle nostre operazioni.

Come possa conoscersi se l’uomo operi con la diffidenza di sé, e confidenza in Dio.

CAP. IV

Pare alle volte assai. al servo presuntuoso, avere ottenuto la diffidenza di sé e la confidenza in Dio, e non sarà così. E di ciò ti chiarirà l’effetto, che produrrà in te il cadimento. – Se tu, dunque, quando cadi, t’inquieti, ti rattristi, e ti senti chiamare ad un certo che di disperazione, di poter andar più innanzi e di far bene, segno certo è che tu confidavi in te, e non in Dio. – E se molta sarà la tristezza, e la disperazione, molto tu confidavi in te, e poco in Dio: essendo che quello che è in gran parte sconfidato  di se stesso, e confidato in Dio, quando cade, non si meraviglia, né si attrista, né si rammarica, conoscendo che ciò gli occorre per sua debolezza, e poca confidenza in Dio, anzi più sconfidato di sé, più assai umilmente confida in Dio, ed avendo in odio il difetto sopra ogni cosa, e le disordinate passioni, cagione del cadimento, con un dolor grande, quieto, e pacifico dell’offesa di Dio, segue poi l’impresa, e perseguita i suoi nemici infino alla morte, con maggior animo e risoluzione. – Quelle cose vorrei, che fossero ben considerate da certe persone, che sanno dello spirituale, le quali, quando sono incorse in alcun difetto, non si possono, né si vogliono dar pace, ed alle volte più per liberarli dall’ansietà ed inquietudine, che nasce dal proprio amore, che per altro, non vedono l’ora d’andar a trovare il Padre spirituale; al quale dovrebbero andare principalmente per lavarsi dalla macchia del peccato, e prender forza contro esso col Santissimo Sacramento.

D’un errore di molti, dai quali la pusillanimità è tenuta per virtù.

CAP. V

Molti in questo ancora s’ingannano, i quali la pusillanimità, ed inquietudine, che segue dopo il peccato (perché è accompagnata da qualche dispiacere) attribuiscono a virtù , non sapendo che nasce da occulta superbia, e presunzione fondata nella confidenza di loro stessi e delle proprie forze, nelle quali perché (stimandosi da qualche cosa) avevano soverchiamente confidato, scorgendo dalla prova della caduta che loro mancano, si turbano e meravigliano, come di cosa nuova e si s’impusillanimiscono, vedendo andato a terra quel sostegno in cui vanamente avevano riposta la confidenza loro. – Non accade quello all’umile, il quale nel suo solo Dio confidando, e di sé niente presumendo, quando incorre in qualsivoglia colpa, ancorché ne senta dolore, non però se ne inquieta, o ne prende meraviglia, sapendo che tutto ciò gli avviene per sua miseria, e propria debolezza da lui, con lume di verità, molto ben conosciuta.

D’altri avvisi, perché acquistiamo la diffidenza di noi, e la confidenza in Dio.

CAP. VI

E perché tutta la forza di vincere i nostri nemici, nasce principalmente dalla diffidenza di noi stessi e dalla confidenza in Dio, di nuovo ti provvedo di avvisi perché la consegua con il Divino aiuto. – Hai da sapere dunque, e da tenere per cosa ferma, che né tutti i doni, o naturali, o acquistati, che siano, né tutte le grazie gratis date, né la cognizione di tutta la Scrittura, né l’aver lungamente servito Dio, e fatto in questo la consuetudine, ci farà fare la sua volontà, se in qualunque opera buona, ed accetta negli occhi suoi, che abbiamo da fare, ed in qualunque tentazione, che abbiamo da vincere, ed in qualunque pericolo che abbiamo da fuggire, ed in qualunque Croce che abbiamo da portare, conforme alla sua volontà, non si trova aiutato ed elevato il cuor nostro dal particolare aiuto di Dio, e ne porga anco la mano per farlo. – Dobbiamo dunque noi in tutta la vita nostra, in tutti i giorni, in tutte l’ore, ed in tutti i momenti avere la detta risoluzione: che a questo modo per niuna via, e pensiero potremo mai confidare in noi. – Quanto tocca poi alla confidenza in Dio, sappi che niente è più facile a Dio vincere i pochi, che i  molti nemici, i vecchi ed esperti, che i fiacchi e novelli. – Onde sia pur un’anima carica di peccati, abbia pur tutti i difetti del mondo, e sia difettosa quanto mai immaginarla si possa, abbia pur tentato quanto si voglia, e pigliato qualunque mezzo, ed esercizio per lasciare il peccato, ed operare il bene, né mai abbia potuto acquetare un puntino di bene,  anzi sia andata più ponderosa al male, con tutto ciò non deve mancare di confidar in Dio, né deve mai lasciare le armi e gli esercizi spirituali, ma combattere sempre generosamente perché ha da sapere che, in quella pugna spirituale non perde chi non lascia di combattere e di confidare in Dio, l’aiuto del quale mai non manca ai combattenti suoi, benché alcune fiate permetta che siano feriti: combattasi pure, che qui sta il tutto, che la medicina per le ferite è pronta ed efficace ai combattenti che cercano Dio, e l’aiuto suo con confidenza, e quando meno vi pensano, li troveranno morti, i nemici.

Dell’esercizio, e prima dell’intelletto, che dobbiamo tenere guardato dall’ignoranza, e dalla curiosità.

CAP. VII

Se la diffidenza di noi, e la confidenza in Dio tanto necessarie in quella battaglia, saranno sole, non pure non avremo vittoria di noi stessi, ma precipiteremo in molti mali, onde oltre a quello ci è necessario l’esercizio, che è la terza cosa proposta di sopra. – Questo esercizio si ha da fare principalmente con l’intelletto, e con la volontà. Quanto all’intelletto dalle due cose che sogliono impugnarlo, dev’essere da noi guardato. – L’una l’ignoranza; che l’oscura e gli impedisce la conoscenza del vero, ch’è il suo proprio oggetto. Onde con l’esercizio si ha sa rendere lucido e chiaro, perché possa vedere, e discernere bene, quanto ci fa di mestieri, per purificare l’anima dalle passioni disordinate ed ornarla delle virtù sante. Questo lume in due modi si può ottenere. Il primo e più importante è l’orazione, pregando lo Spirito Santo, che si degni infonderlo nei cuori nostri. Questo lo farà sempre se in verità cercheremo Dio solo, e di fare la sua santa volontà, e se ogni cosa sottoporremo col proprio giudizio a quello dei nostri Padri spirituali. – L’altro modo è un continuo esercizio di profonda e leale considerazioni delle cose per vedere come siano, buone, o ree , secondo se insegna lo Spirito Santo, e non come di fuori paiono, e si rappresentano ai sensi, e giudica il mondo. – Questa considerazione, fatta come ci conviene, ci fa chiaramente conoscere, che si debbano avere per nulla, per vanità e bugia, tutte quelle cose, che il cieco e corrotto mondo ama, e deriderà, e che con vari modi e mezzi va procurando; che gli onori, e piaceri della terra non sono altro che vanità, ed afflizione di spirito; che le ingiurie e le infamie, che ci dà il mondo, portano vera gloria, e le tribolazioni contento; che il perdonare ai nemici e far loro bene, sia magnanimità, ed una delle maggiori somiglianze con Dio; che più vale il dispregiare il mondo, che l’esserne Padrone; che l’ubbidire volentieri per amore di Dio alle più vili creature, è cosa più magnanima e generosa, che il comandare ai Principi grandi. Che l’umile conoscimento di noi stessi si deve pregiar più che l’altezza di tutte le scienze, e che il vincere e mortificare i propri appetiti, per piccioli che siano, merita maggior lode, che l’espugnare molte Città, superare potenti eserciti con le armi in mano; far miracoli, e risuscitare i morti.