GNOSI, TEOLOGIA DI sATANA (29): ERRORI in ROSMINI

GNOSI, TEOLOGIA DI sATANA (29):

Errori in ROSMINI (1)

[Dom P. Benoît: Revue du Monde Catholique, 1° Apr. 1889]

 

1. Rosmini è un sacerdote la cui grande pietà e le sante imprese sono state una delle glorie dell’Italia. Egli ha pure avuto l’onore di lasciare dietro di sé una congregazione religiosa, che si è resa raccomandabile per la devozione alla Chiesa e le opere di carità. Tuttavia, questo dimostra una volta di più come lo spirito dell’uomo abbia bisogno costantemente di essere preservato dall’errore per mezzo del Magistero della Chiesa. Infatti la Santa Sede, che già altra volta, al quarto Concilio Laterano IV non ha esitato a condannare il beato Joachim de Flore, anch’egli pio sacerdote e capo di una abbazia illustre, giunge a segnalare ai pastori del mondo intero gli errori di Rosmini, affinché mettano in guardia contro di essi i maestri della gioventù, soprattutto i professori dei seminari. Noi dobbiamo porre molta attenzione a questa condanna, perché un certo numero di questi errori si ritrovano in tutte le contrade della terra, particolarmente in Francia, se non sempre nella forma che dava loro Rosmini, ma almeno per quanto riguarda la sostanza [si ritrovano infatti tutti gli errori-orrori della solita, vecchia e stantia solfa gnostica … panteismo, emanatismo, deismo, essere infinito, e così via …:  v. in È. Couvert: “La gnosi, tumore in seno alla Chiesa” in “dalla gnosi all’Ecumenismo”, riportato negli articoli del blog exsurgatdeus.org: La gnosi, teologia di satana …-ndr-]

I

L’ERRORE FONDAMENTALE:

CONFUSIONE TRA L’ESSERE INDEFINITO E L’ESSERE INFINITO

2. L’errore fondamentale di Rosmini ci sembra essere la confusione tra l’essere in generale e l’Essere divino, in altri termini tra l’indefinito e l’infinito: «Nell’essere che fa astrazione dalle creature e da Dio, vale a dire nell’essere indeterminato, c’è la stessa essenza che in Dio, essere non indeterminato, ma assoluto. (1)»

(1) [« In esse quod præscindit a creaturis et a Deo, quod est esse indétermination, atque in Deo, esse non indeterminato sed absoluto, eadem est essentia ». -Prop. VI].

 3. L’essere in generale è l’essere considerato dall’astrazione dello spirito come se non avesse alcuna determinazione; è l’essere possibile così come l’essere reale, l’essere partecipato e ricevuto come l’essere esistente essenzialmente, l’essere che non esiste che nello spirito così come l’essere che esiste nella natura. L’Essere divino, che lo si chiama anche l’Essere semplicemente, o l’Essere infinito, è l’Essere unico, reale e sussistente, che richiude in sé tutta la pienezza dell’essere. L’essere, in generale, è qualcosa di sì vago, che lo si ritrova in tutto ciò che è inteso dallo spirito; l’Essere infinito è così preciso che non esiste che in una sola realtà, distinta non solo dall’essere generale, ma ogni altro essere reale. L’essere in generale di dice di tutto, si ritrova in tutto, perché, non avendo in sé nulla di determinato, conviene ad ogni oggetto; l’Essere divino è separato da tutto il resto da un’eccellenza che non soffre, tra esso e le altre realtà, che una lontana analogia, e di conseguenza, in luogo di dirsi di tutto ciò che è, esso non può pure dirsi di soggetti plurimi, e non si dice che di uno solo [« infinitum absolutum est ens comprehendens omnes perfectiones eujusque limitis expertes; proinde non concipitur ut in potentia ad hajusmodi perfectiones, sed ut eas actualiter nabens; et consequenter non est quid indeterminatum et determinabile, sed ens habens proprïam naturam nullis limitibus specificis aut genericis circumscriptam aut circumscribendam. At ens in génère oppositas omnino proprietates exhibet. Non enim est quid infinitum comprehensive, seu actu, sed solummodo extensive seu in potentia; est quid maxime indeterminatum ac determinabile, et reapse determinatur in generibus, speciebus et individuis. Quocirca ens in génère inspecium dici infinitum privative, vel in potentia; quod quantum différat a vero infinito nemo, nisi mente prorsus cæcus, non videt. » (Card. Zigliara, Summaphil. Ontol., lib. II, cap. m, art. 4, n. 5.)]. In una parola, l’essere in generale è un concetto astratto e vago che si dice di tutto: l’Essere divino è una realtà concreta e determinata che si dice di uno solo: « Questo Dio, dice il Concilio del Vaticano, essendo una sostanza spirituale, una, singola, interamente semplice ed incommutabile, deve essere proclamata distinta dal mondo in realtà e per essenza, ineffabilmente elevata al di sopra di tutto ciò che non è Esso, che esiste o può concepirsi. » [Qui cum sit una et singularis simplex omnino et incommutabilis substantia spiritualis, prædicandus est re et essentia a mundo distinctus in se et ex se beatissimus, et super omnia, quæ præter ipsum sunt et concipi possunt, ineffabiliter excelsus. » (Conc. Vat., de Fide catholica, I.)]

4. Ora, Rosmini confonde l’essere in generale, frutto dell’astrazione dello spirito, con l’ “Esse” divino, realtà infinita e sussistente: « L’essere indeterminato che, senza alcun dubbio è conosciuta da ogni intelligenza, e questo divino che è manifestato all’uomo nella natura [« Esse indeterminatum, quod procul dubio notum est, omnibus intelligentes, est divinum illud quod homini in natura manifestatur. » (Prop. IV) » – Dio, senza dubbio, come dice S. Paolo [Quia quod notum est Dei, manifestum est in illis; Deus enim illis manifesiavit. Invisibilia enim ipsius, a creatura mundi, per ea quæ facta sunt, iutellecta, conspiciuntur; sempiterna quoque ejus virtus, et divinitas, » (Rom., I, 19-20.)] e come ripete il Concilio Vaticano [« Apostolus qui a gentibus Deum per ea, quæ facta sunt, cognitum esse testatur. » De fide cath. (cap. IV.) può essere conosciuto dalla ragione naturale, perchè la ragione dell’uomo può, con le sue forze naturali, conoscere l’esistenza di Dio, la sua potenza, la sua saggezza, la sua bontà. Così lo hanno conosciuto i filosofi pagani, dice San Paolo, ed è per questo, aggiunge, che essi sono colpevoli per non avergli reso il culto che gli era dovuto [Ita ut sint inexcusabiles: quia cum cognovissent Deum, non sicut Deum glorificaverunt, aut gratias egerunt; sed evanueruut in cogitationibus suis et obteuratum est insipiens cor eorum. (Rom., I, 20-21.)]. – Per Rosmini, al contrario, i filosofi antichi hanno conosciuto Dio perché hanno conosciuto l’essere in generale; la ragione naturale può conoscere Dio perché essa può conoscere l’essere indeterminato. L’essere indeterminato, dice commentando, o piuttosto falsificando il testo di San Paolo, è questo essere divino che tutte le intelligenze possono conoscere, che è manifestato all’uomo nella natura (Prop. IV). – Secondo Rosmini, l’essere indeterminato o l’essere in generale è l’Essere stesso di Dio, e spirito, intentendo l’essere in generale, possiede in lui l’Essere divino: « In seno all’universo, cioè nelle ntelligenze che si incontrano, c’è qualcosa al quale conviene il nome di divino, non in senso figurato, ma nel senso proprio[« In natura igitur universi, id est in intelligentes quæ in ipso sunt, aliquid est cui convenit denominatio divini non sensu fîgurato, sed proprio. » (Prop. III)]

5. Per Rosmini, in effetti, lo spirito, dal momento che egli lo intende come essere generale, è unito a Dio perché l’essere al quale è unito dall’atto di comprensione è l’Essere stesso di Dio; e l’essere in generale, l’essere di ogni cosa, dice Rosmini, « è un’attualità che non si distingue dall’attualità divina [« Est actualitas non distincta a reliquo actualitatis dîvinæ. » (Prop. III)]; è un atto che è identico all’Atto primario; all’« atto puro ». E non è dunque, notiamolo bene, per una semplice metafora che Rosmini dà all’essere in generale il nome di Essere divino, bensì nel linguaggio più stretto. Per lui, ciò che prende il nome di essere, non può mai essere preso come un effetto di Dio, una immagine di Dio: ma è Dio stesso!!! « Affermando il divino nella natura, egli dice, noi non impieghiamo questo vocabolo, “il divino”, per sigificare un effetto non divino della causa divina, e la nostra intenzione non è quella di parlare di un certo divino che sarebbe tale per partecipazione [« Cum divinum dicimus in natura, vocabulum istud divinum non usurpamus ad significandum effectuai non dïvinum causæ divinæ; neque mens nobis est loqui de divino quodam quod tale sit per participationem. » (Prop. II)], che sarebbe divino solo per partecipazione o impropriamente; il divino che è nella natura, è l’essere stesso di Dio!

6. Rosmini si compiace specialmente di identificare l’essere in generale con il Verbo. Secondo lui, il Verbo di Dio è questo essere primitivo che è alla base di ogni conoscenza intellettuale, questo essere che intende l’intelligenza nel momento in cui intende qualcosa, in una parola, l’essere in generale. L’essere in generale è così completamente identico al Verbo che Dio, il Padre stesso non può percepire che una distinzione di ragione tra l’uno e l’altro. « L’essere indeterminato, oggetto di intuizione, dice Rosmini, è qualcosa del Vero che la comprensione del Padre distingue dal Verbo non realmente, ma logicamente [« Esse indeterminatmn intuitionis, esse initiale, est aliquid Verbi, quod mens Patris distinguit non realiter sed secundum rationem a Verbo. » (Prop, VII).]

7. Conclusioni

Rosmini pone una semplice differenza di ragione tra l’essere in generale e l’Essere divino. Questi è l’essere preso nel suo soggetto infinito; l’altro è l’essere considerato come astratto da ogni soggetto: esse quod præscindit a Deo et a creaturis (Prop. VI.). Rosmini chiama il primo l’essere indeterminato, “esse indeterminatum”, ed in secondo l’essere assoluto,esse absolutum”. Ma l’uno non differisce dall’altro che per pura astrazione di spirito; in realtà l’uno è identico all’altro: l’essere in generale è realmente l’essere stesso di Dio o del Verbo. Tale è, a nostro avviso, l’errore fondamentale del sistema rosminiano. A questo proposito, il sistema di Rosmini, non differisce per nulla dal sistema di Hegel.

II

PRIMA CONSEGUENZA: PANTEISMO

8. Ma Hegel è un incredulo di professione, e non teme di gettarsi apertamente nel panteismo. Rosmini è un pio sacerdote, e retrocede davanti all’abisso che gli si apre davanti. Ma inutile cercar di scappare; di buono o cattivo grado, egli cade nel panteismo. Egli ha posto il principio, la conclusione si impone. Le formule pantesiste compaiono in ogni istante sotto la sua penna: egli cerca bene di dissimularne il carattere, tenta anche di corregerle, ma non riesce che a mostrare imbarazzo, e non riesce a sottrarsi all’impero di questo mostruoso errore. E in effetti Rosmini mette l’essere in generale, all’origine dell’ordine ontologico così come dell’ordine logico; poiché ogni essenza, egli dice, è dell’essere, così come ogni idea è una visione dell’essere. Ecco perché gli da il nome di “essere iniziale”. « L’essere, oggetto di intuizione, dice Rosmini, è l’atto iniziale di tutti gli esseri [« Esse, objectum intuitionis, est actus initialis omnium entium. » (Prop. IX.)]. Ecco pèrchè gli dà il nome di “essere iniziale”, vale a dire che l’essere indeterminato è il fondo di ogni realtà, così come di ogni pensiero, è l’essere nel quale e per il quale comincia tutto ciò che è, in qualunque modo esso sia: « L’essere iniziale è l’inizio sia delle cose ideali che delle cose reali [« . . . Esse initiale est initium, tam cognoscibilium quam subsistentium. » (Prop. IX.)]. Questo essere, di cui lo spirito ha naturalmente l’intuizione, è dunque il fondo di tutti gli esseri finiti, che non meritano il nome di esseri se non perché possiedono questo essere primitivo ed universale: «Gli esseri finiti, dei quali si compone il mondo, sono il risultato di due elementi, cioè del termine reale finito e dell’essere iniziale che dà a questo stesso termine la forma dell’essere  [« Entia finita quibus componitur mundus résultant ex duobus elementis, id est ex termino reali finito et ex esse initiali quod eidem termino tribuit formam entis. » (Prop. V.)]. Ma questo essere è anche il fondo della natura divina; perché Dio, come la creatura, non è un essere che perché Egli è l’essere: l’essere iniziale, dice Rosmini, è parimenti l’inizio di Dio, come noi lo concepiamo, e delle creature [« Est pariter initium Dei, prout a nobis concipitur, et creaturarum. » (Prop. IX)]

9. Questo essere si estente dunque a tutto, si trova in fondo a tutto, a Dio, come al mondo, all’essere infinito come all’essere finito. In questo senso, è virtuale “virtuale”, perché ha una estensione infinita, perché non è ristretto ad una realtà, ma si trova in tutto ciò che esiste come il fondo comune di ogni sostanza: esse virtuale et sine limitibus ( Prop. X). ma benché estesa a tutto, essa resta semplice. Perché l’essere in generale esclude ogni composizione: non si possono trovare più elementi, è un elemento semplice: esso rientra nella composizione di ogni essere reale, ma egli stesso è senza componenti: « L’essere virtuale è senza limiti, dice Rosmini, è la prima e più semplice di tutte le entità; così, ogni altra entità è composta, e negli elementi che la compongono, entra sempre e necessariamente l’essere virtuale. Esso è la parte essenziale di tutte le entità, benché divise dal pensiero (3). [« Esse virtuale et sine limitibus est prima ac simplicissima omnium entitatum, àdeo ut quælibet alia entitas sit composita, et inter ipsius componentia semper et necessario sit esse virtuale.Est pars essentialis omnium omnino entitatum, utut cogitatione dividantur. » (Prop. X)]:

10. Ma se l’essere in generale è l’essere divino in se stesso, se l’essere in generale o l’essere divino, entra entra nella composizione di ogni essere reale, tutto ciò che è, si trova, come fondo stesso del suo essere, come elemento essenziale della sua sostanza, essere Dio egli stesso. È la tesi panteista. – il Concilio Vaticano pronunzia questo anatema: « Se qualcuno dice che non c’è che una sola ed unica sostanza in Dio e in tutte le cose, che sia scomunicato » [« Si quis dixerit, unam eamdemque esse Dei et rerum omnium substantiam vel essentiam, anathema sit. » (Const. DE FIDE CATH., cap. I, can. 2.). – Rosmini dice: « Nell’essere indeterminato, c’è la stessa sostanza che in Dio » [In esse quod… est esse indeterminatum, atque in Deo… eadem est essentia. » (Prop. VI)] – Egli aggiunge: « L’essere indeterminato è il fondo iniziale di Dio e delle creature » [Est pariter initium Dei… et creaturarum. » (Prop. IX.)]. Come potrebbe allora sfuggire alla conclusione: « In Dio e nelle creature, c’è lo stesso fondo iniziale, c’è la stessa essenza? » Eccolo dunque con i panteisti: la sua dottrina, come la loro, merita certamente gli anatemi della Chiesa.

III

SECONDA CONSEGUENZA: L’ONTOLOGISMO

11. Ma non siamo che all’inizio degli errori che scaturiscono dal principio fondamentale di Rosmini. Se l’essere in generale si confonde con l’essere divino, siccome l’intelligenza ha naturalmente una percezione immediata dell’essere generale, bisogna concludere che essa percepisce immediatamente l’essere divino. È ciò che professa Rosmini: « Nell’ordine delle cose create, egli dice, qualcosa di divino in sé, che sostiene l’effetto della natra ivina, è immediatamente manifestata all’intendimento umano.[« In ordine rerum creatarum immédiate manifestatur humano intellectui aliquid divini in seipso, hujusmodi nempe quod ad divinam naturam pertineat » (Prop. I.)]. »

12. Secondo la teologia cattolica, la visione immediata di Dio è essenzialmente soprannaturale; secondo Rosmini c’è una conoscenza immediata di Dio, anche nell’ordine della conoscenza naturale: in ordine rerum creatarum (Prop. I): secondo i Dottori cattolici, Dio non può essere naturalmente conosciuto se non in modo indiretto, nello specchio delle creature, attraverso i segni e gli enigmi della creazione; secondo Rosmini, invece, l’essere divino può essere compreso in se stesso: aliquid divini (Prop. I); non effectum non divinum causæ divinæ (Prop. II). – Tutta la Scuola insegna che l’uomo, con la ragione naturale, conosce immediatamente la creatura e si eleva da ella al Creatore come dall’effetto alla causa necessaria e sovraeminente, mettendo in essa tutte le perfezioni osservate negli esseri creati, per viam indentitatis, scartando da essa tutte le imperfezioni che presentano, per viam remotionis, e portando fino all’infinito ogni perfezione notata in esse per viam excellentiæ ( Theol. P. I, q. XII, a. 12.). Rosmini, al contrario, pretende che noi attingiamo immediatamente non solo « l’effetto non divino della causa divina », ma « la causa divina dall’effetto non divino ». Tutti i Padri e tutti i Dottori della Chiesa dichiarano che l’uomo non può naturalmente conoscere Dio se non elevandosi dall’essere partecipato, e conosce immediatamente l’essere divino inteso nella sua immagine; Rosmini sosiene che l’uomo può, anche naturalmente conoscere non solo l’essere partecipato, ma pure l’essere principio (Prop. II), non solo gli effetti contingenti, ma le cause necessarie ed eterne, non soltanto la creatura, ma pure il Creatore, origine e fine di tutto ciò che esiste. (Prop. I).

13. Questo errore è ciò che si è convenuto chiamare, nei tempi moderni, l’ontologismo. Esso è per Rosmini, così come detto più in alto, una conseguenza necessaria della sua confusione tra l’essere indeterminato e l’essere divino, o piuttosto esso è identico a questo primo errore. Se, in effetti, l’essere in generale è l’essere stesso di Dio, la nostra intelligenza, che naturalmente ha la chiara percezione dell’essere in generale, avrà naturalmente la visione immediata di Dio: il nostro spirito, intentendo l’essere in generale, non comprenderà solamente un effetto divino, una lontana vestigia di Dio, ma la causa suprema stessa, comprenderà questo qualcosa dell’essere necessario ed eterno se stesso, la causa che creata, determina e finisce tutti gli esseri contingenti (Prop. III).

IV

IDEALISMO

14. Rosmini, che ha identificato più in alto l’essere del finito, con l’essere stesso di Dio, identifica di contro, l’essenza del finito con il niente. Secondo la dottrina della ragione e della fede, l’essenza del finito consiste in qualche cosa di positivo e di reale. Secondo Rosmini, « la “quiddità” (Ciò che una cosa è) dell’essere finito non è costituito da ciò che essa ha di positivo, ma dai suoi limiti » [Quidditas (id quod est) entis liniti non constituitur eo quod habet positivi sed suis limitibus. (Prop,XI)]. La ragione, come la fede insegnano come nn solo l’essenza di Dio, ma anche l’essenza della creatura è una realtà positiva. Per Rosmini, « la quiddità » sola dell’essere infinito è costituita dall’entità ed è positiva, ma la quiddità dell’essere finito, essendo costituita dai limiti dell’entità, è negativa » [Quidditas entis infiniti constituitur entitate et est positiva; quidditas vero entis finiti constituitur limitibus entitatis et est negativa. (Prop. XI)]. Ed ancora: « La realtà finita non è, ma Dio la fa essere, aggiungendo un limite alla realtà infinita » [Finita realitas non est, sed Deus facit eam esse addendo infinitæ realitati limitationem. (Prop. XII)]. Ancora: La differenza che esiste tra l’essere assoluto e l’essere relativo non è quella che esiste tra una sostanza e sostanza; essa è altro e molto più grande, perché il primo è l’essere assolutamente, il secondo è il non essere assolutamente. [Discrimen înter esse absolutum et esse relativum non illud est quod intercedit substantiam inter et substantiam sed aliad multo maius; unum enim est absolute ens, alterum est relative ens. (Prop. XIII)]. Ma se l’essenza della creatura consiste in una negazione, siccome la negazione è un essere di ragione, bisognerà concludere che l’essenza della creatura non ha realtà che nello spirito di colui che la concepisce. Eccoci dunque in pieno idealismo.

15. Ci si potrebbe stupire nel vedere Rosmini passare dal panteismo all’idealismo. Egli vi passa così disinvoltamente che dopo aver detto che « La realtà finita non è: finita realitas non est (Prop. IV) », dice subito dopo che « l’essere iniziale diviene l’essenza di ogni essere reale, esse initiale fit essentia omnis entis realis (ibid.) », in modo tale da unire in una stessa proposizione queste due asserzioni contrarie, che la realtà finita non è, e che la realtà finita è l’essere stesso di Dio. In effetti, l’essere della creatura è ai suoi occhi l’essere stesso di Dio, talmente che non si può trovare nella creatura un essere proprio, ma soltanto l’essere di Dio. Di conseguenza, se guardate la creatura in ciò che ha di proprio, dovete dire che « la realtà finita non è »; e se guardate in essa l’essere divino divenuto il suo essere, bisogna dire al contrario che essa non è solamente « un effetto non divino di una causa divina (Prop. II) » ma « che essa è qualcosa del Verbo, che il Padre stesso distingue dal Verbo solamente per la ragione (Prop. VII) ».

16. Aggiungiamo altre riflessioni. Rosmini pone un limite nell’essere assoluto, vale a dire nell’essere divino stesso: è così, secondo lui, che è prodotto l’essere limitato della creatura. Ma l’essere divino non respinge, con la sua essenza stessa, ogni limite? L’essere divino è essenzialmente perfetto; dunque essenzialmente esclude ogni imperfezione e per questo un qualunque limite. Se l’Essere divino diviene limitato, non è più l’Essere divino, è distrutto. Ed è assurdo dire che l’Essere divino riceva un limite, che è come pretendere che il cerchio diventi un quadrato senza cessare di essere cerchio. – Poi Rosmini distingue tra l’essenza del finito ed il suo essere. La Scuola ha ben distinto tra l’essenza delle cose e la loro esistenza o il loro essere; essa insegna che l’essenza in Dio è il suo essere o la sua esistenza; ma che nelle creature, l’essenza è una potenza, di cui l’essere o l’esistenza, è l’atto. Ora Rosmini intende l’essenza e l’essere come la Scuola? No affatto, « l’essere è, secondo lui, una realtà che non si distingue dal resto dell’attualità divina, actualitas non distincta a reliquo actualitatis divinæ (Prop. III) »; esso è « quel qualcosa di divino che è manifestato all’uomo nella natura: divinum illud quod homini in natura manifestatur (Prop. IV) »; esso è « qualcosa dell’essere necessario ed eterno: aliquid entis necessarii et æterni (Prop. V) ». Quanto all’essenza, essa è il limite dell’essere. Rosmini dunque impiega le espressioni della Scuola per travestirne il senso.

V

ERRORI SULLA CREAZIONE

17. Creare è produrre tutta la sostanza: “creatio est eductio totius substantiæ”. In altri termini, è produrre una sostanza dal nulla “creatio est productio ex nihilo, o se si vuole ancora, è produrre una sostanza senza materia o soggetto preesistente: “creatio est productio entis ex nihilo sui et subjecti”. Dio dice: « Che luce sia », e subito la luce è. La luce non esisteva prima né in se stessa, né negli elementi; essa è fatta, non da una materia anteriore, ma dal niente. Ecco la creazione. Rosmini intende la creazione altrimenti. Secondo lui, Dio crea mettendo un limite al suo essere. Spieghiamo il suo pensiero con i termini suoi propri. « Per un’astrazione divina, egli dice, è prodotto l’essere iniziale, primo elemento degli esseri finiti; con un secondo atto, con una immaginazione divina, è prodotto il reale finito, ossia tutte le realtà che costituiscono il mondo [Divina abstractione producitur esse initiale, primum finitorum entium elementum; divina vero imaginatione producitur reale finitum, seu realitates omnes quibus mundus constat. (Prop. XIV)]. Segue una terza operazione dell’essere assoluto creante il mondo, un atto di sintesi divina, cioè di unione dei due elementi che sono: l’essere iniziale o fondamento comune di tutti gli esseri finiti [Tertia operatio esse absoluti mundum creantis est divina synthesis, idest unio duorum elementorum; quæ sunt esse initiale, commune omnium finitorum entium initium, atque reale finitum, seu potius diversa realia finita, termini diversi ejusdem esse initialis. Qua uniorie creautur entia finita (Prop. XV)] ».

18. Così tre atti divini concorrono alla creazione: una astrazione divina, una immaginazione divina ed una sintesi divina. Per astrazione, Dio concepisce l’essere iniziale; con l’immaginazione egli si rappresenta la realtà finita; con la sintesi, unisce i due elementi, cioè l’essere iniziale concepito con astrazione ed il « finito reale, o piuttosto i diversi finiti reali, limiti diversi dello stesso essere iniziale »; in altri termini, esso produce l’essere finito applicando il limite all’essere iniziale, che è secondo la verità l’essere divino stesso: la creazione consiste propriamente nell’applicazione di un limite all’essere iniziale o all’essere divino che è in Dio senza limiti. « Nell’operazione della sintesi divina, l’essere iniziale è messo in relazione con l’intelligenza, non come intelleginile, ma puramente come essenza, con dei limiti reali finiti: per questo gli esseri finiti esistono soggettivamente e realmente [Esse initiale per divinam synthesim ab intelligentia relatum non ut intelligibile sed mere ut essentia, ad terminos finitos reales, efficit ut existant entia finita subjective et realiter. (Prop. XVI.)].

19. l’Autore della Sapienza ci insegna che Dio ha creato tutte le cose « di una materia invisibile, ex materia invisa [Creavit orbem terrarum ex materia invisa. (Sap. XI, 18.)] ». I Padri ed i teologi cattolici intendono unanimamente con “questa materia invisibile” gli elementi uniformi che Dio creò all’origine e con cui formò in seguito i veri esseri. Rosmini intende con questa “materia invisibile”, l’essere iniziale, l’Essere divino, il Verbo stesso, che è il fondo comune, initium, initiale principium, di ogni essere finito: « Il Vergo, egli dice, è questa materia invisibile della quale, come è detto nella Sapienza (XI, 18), furono create tutte le cose dell’universo. [Verbum est materia illa invisa ex qua, ut dicitur (Sap. XI, 18), creatæ fuerunt res omnes universi. (Prop. XIX) ».

20. Ma, se l’essere finito risulta da un’applicazione di un limite all’Essere divino, al Verbo stesso, si può ancora dire che è propriamente prodotto? Rosmini vorrebbe conservare questa espressione; perché si può essa rigettare senza contraddire l’insegnamento manifesto della Chiesa? Tuttavia il suo sistema lo produce, malgrado lui, fino a sopprimere il termine di productione. « La sola cosa che Dio fa creando, egli dice, è che Egli pone integralmente l’atto totale dell’essere delle creature; dunque, propriamente parlando, questo atto non è fatto, ma è posto [Id unum efficit Deus creando, quod totum actum esse creaturarum intègre ponit: hic igitur actus proprie non est factus, sed positus. (Prop. VII.) »; in altri termini, non c’è nella creazione, produzione di un atto sostanziale che comincia allora, ma soltanto emission di un atto preesistente: hic igitur actus proprie non est factus, sed positus. Ma che creazione è, se il suo termine presiste, se non è prodotto?

21. Sembrava sentire Hegel o gli altri panteisti. Tuttavia questi è Rosmini, uno scrittore attaccato dal fondo delle sue viscere alla Chiesa. Ma egli è vittima di un falso principio al quale si è interamente dato. Egli ha scambiato l’essere in generale per l’essere stesso di Dio: dunque, conclude qui, l’Essere divino stesso è posto con la creazione negli esseri finiti; la creazione non è la produzione di un essere che precedentemente non c’era, ma la delimitazione di un essere preesistente, è la circoscrizione dell’Essere eterno in un limite particolare.

22. L’obiezione principale che opponiamo a questa teoria rosminiana della creazione, è quella supposta e conferma il panteismo del sistema generale. L’orrore di una conseguenza così mostruosa ci lascia appena la libertà di segnalare altri errori minori, ma tuttavia molto gravi. Rosmini mette l’immaginazione in Dio, ma l’immaginazione è una facoltà sensitiva, legata di conseguenza ad un organo e dipendente dal corpo nella sua esistenza e nel suo esercizio. Dio ha un corpo? Non è Dio puro Spirito? Come si può allora attribuire l’immaginazione a Dio? Poi Rosmini ci rappresenta Dio come concepente per astrazione l’essere iniziale, e per immaginazione il fine reale o il limite, applicando con una sintesi il limite all’essere iniziale, per farne un essere finito. Che teoria grossolana! Malgrado la questione seria, non ci si può dispensare dal pensare al fonditore leggendario che, per fare un cannone, prende del vuoto e vi mette del bronzo intorno.

23. Il Concilio Vaticano, seguendo il Concilio Laterano IV e, secondo l’insegnamento unanime dei Dottori cattolici, definisce che Dio ha creato « con un volere liberissimo “liberrimo consilio” (de fide cathol., cap. I) ». Dio, in effetti, poteva benissimo non creare ciò che ha potuto creare; perché, possedendo in se stesso un bene infinito di cui il godimento vince il suo amore, gli è impossibile trovare un accrescimento di perfezione o di felicità nelle creature (Ibid.); l’essere creato non apporta all’Essere infinito alcun profitto necessario; senza dubbio, se lo ha creato, lo ordina alla sua gloria; ma se non lo ha creato, non è meno sovranamente beato ed assolutamente perfetto: la creazione è dunque un atto interamente libero. [« Questo solo vero Dio, per la Sua bontà e per la Sua onnipotente virtù, non già per accrescere od acquistare la Sua beatitudine, ma per manifestare la Sua perfezione attraverso i beni che dona alle Sue creature, con liberissima decisione fin dal principio del tempo produsse dal nulla l’una e l’altra creatura contemporaneamente, la spirituale e la corporale, cioè l’angelica e la terrena, e quindi l’umana, costituita in comune di spirito e di corpo (CONC. LATER. IV, c. 1, Firmiter) » – Conc. Vaticano: Cost. “Dei Filius” cap. I]. Ma Rosmini professa un’altra dottrina. Per lui, l’essere della creatura è l’essere stesso di Dio: dunque, secondo lui, l’essere della creatura, come l’essere divino, è il termine necessario dell’amore che è in Dio. Dio si determina a creare solo perché egli ama nella creatura il suo proprio essere . Ma siccome ama necessariamente il suo proprio essere , non può impedirsi di amarlo nella creatura, e di conseguenza di mettervelo, e così di creare: « L’amore di cui Dio si ama anche nelle creature, ed è questa la ragione che lo determina a creare, essa costituisce una necessità morale, che nell’essere perfettissimo, produce sempre il suo effetto [Amor quo Deus se diligit etiam in creaturis, et qui est ratio qua se déterminat ad creandum, moralem necessitatem coastituit, quæ in ente perfectissimo semper inducit effectum. (Prop. XVIII)] » L’uomo, secondo Rosmini, è libero di camminare o non, di parlare o tacere; ma Dio non è libero, almeno nello stesso grado, di creare o di non creare: « Questa sorta di necessità », una necessità morale che mette in Dio, « lascia intera la libertà bilaterale ai numerosi esseri imperfetti [Hujusmodi enim nécessitas tantum modo in pluribus entibus imperfectis integram relinquit libertatem bilateralem. (Prop. XVIII)] ». (1. Continua …)