LA SITUAZIONE 7

LA SITUAZIONE (7):

DOLORI, PERICOLI, DOVERI E CONSOLAZIONI DEI CATTOLICI DEI TEMPI PRESENTI

OPERA DI MONSIGNORE G. G. GAUME PROTONOTARIO APOSTOLICO

Custos, quid nocte?

Sentinella: che è della notte?

ROMA – Tipografia Tiberina – 1861

Lettera Settima

Caro Amico.

I sofismi, de’ quali abbiamo fatta ragione, mirano a stabilire come per principio, che l’indipendenza materiale non è necessaria alla Chiesa; e che la povertà le conviene meglio che le ricchezze. Dal particolare si passa al generale, e si pretende che il Papa presente deve abbandonare le Provincie invase dalla rivoluzione; e per questo si cita l’esempio di Pio VI. La scelta per vero non è felice. Or appunto perché ha sotto gli occhi l’esperienza del suo venerabile predecessore, Pio IX non deve ceder nulla. Pio VI dopo aver sottoscritto, forzatovi, e costretto, il trattato di Tolentino, conservò forse per questo il resto dei suoi Stati? La cessione che egli credette poter fare alla forza brutale, impedì forse d’esser cacciato da Roma e dall’Italia qualche mese più tardi, d’esser privato della libertà, e di morire in prigione? Or pensate, se un simile risultato sia di bastante incoramento a Pio IX! – Per altra parte, le circostanze non sono più quelle. Al tempo di Pio VI, la rivoluzione non ancora aveva detto chiaramente la sua ultima parola. Si poteva veramente prendere abbaglio intorno a’ suoi intendimenti, e credere che essa si contentasse di un’usurpazione parziale. Oggidì simile illusione non è più possibile. La rivoluzione non vuole solamente parte del dominio di S. Pietro, anzi lo vuole tutto; né vi fa più mistero. Inoltre, l’eminentissimo Cardinale Antonelli fa notare con ragione, che Pio VI fu spogliato con violenza, ed a Pio IX si propone di abdicare. Or niun Papa ha mai abdicato; egli non può, né deve. » Se dunque, egli aggiunge, si consideri la differenza dei casi, si vedrà facilmente che lo stesso motivo che indusse Pio VI a cedere, obbliga Pio IX ad una negativa assoluta. « Pio VI in circostanze completamente diverse dalle circostanze attuali, si trovava in faccia di una violenza insormontabile, e di una forza materiale. Pio IX al contrario è alle prese con un principio che si vorrebbe far prevalere. Or la forza materiale non è che un fatto. Di sua natura essa è limitata, enon si fa sentire che nel cerchio della sua azione, che essa non può oltrepassare. La cosa è tutt’ altra quando trattasi di principii. Di loro natura essi sono universali e di una inesauribile fecondità: essi non si arrestano al punto, a cui si vuol restringere la loro azione, ma tendono ad un’applicazione generale. « In conseguenza Pio VI cedendo alla forza materiale poteva sperare ragionevolmente di salvare il resto dei suoi Stati; mentrechè Pio IX cedendo ad un preteso principio, abdicherebbe virtualmente la sovranità di tutti i suoi Stati, ed autorizzerebbe uno spogliamento contro ogni principio di giustizia e di ragione. D’onde può vedersi che l’esempio di Pio VI conduce piuttosto ad una conclusione totalmente opposta a quella che si ha in veduta ». (Dispaccio del 29 Febbraro 1860 in risposta alla Circolare del Sig. Thouvenel Ministro degli Affari Esteri in Francia). – Voi potete intanto apprezzare questo nuovo sofisma, di cui si è menato tanto rumore; ma di questo, e di tutti gli altri del medesimo genere bisogna fare una più compita giustizia in favore dei Cattolici. Or pur tolte di mezzo tutte le allegate ragioni, l’interesse medesimo della società minacciata dal comunismo pagano fa a Pio IX un dovere particolare di non sanzionare nulla di quel che si osa contro il suo dominio temporale.

IL PAPA DIFENDENDO IL SUO DIRITTO, DIFENDE TUTTI I DIRITTI.

Ecco il punto, sul quale bisogna mantenere la questione. Per dirlo di passata, a vergogna di certi Cattolici più o meno elevati negli ordini sociali, ecco ciò che hanno benissimo compreso, e nobilmente espresso i Protestanti di Meklemburgo nel loro indirizzo a Pio IX. Già noi abbiamo veduto come il Papa difendendo la sua indipendenza, difende la libertà! Resta a dimostrare che egli ad un tempo difende l’autorità, la proprietà, tutti i beni, tutti i diritti, la società medesima; tutto questo contro la barbarie. Per qualificare quanto ci minaccia, io non ho altre espressioni. Onde se quelle che io adopero sono troppo forti, voi le addolcirete; ma prima di mettervi in cerca di sinonimi, vi piaccia ascoltarmi. Confessate primieramente, caro amico, che noi assistiamo ad uno strano spettacolo. Che cosa avviene sotto gli occhi nostri? Due forze nemiche sono alle prese; la rivoluzione ed il Cattolicismo. Che vuole la rivoluzione? – Inaugurare il suo diritto-Qual è questo diritto?-È il diritto dell’uomo regnante senza dipendenza e senza sindacato dell’autorità di Dio; ciò vuol dire il diritto delia forza – Che cosa è l’inaugurazione del diritto della forza? È il trionfo della barbarie; essendo in verità lo stesso diritto, che regola i selvaggi ed i lupi. Quindi vedete ove noi siamo arrivati: sotto il cielo, un sol uomo oggidì difende il vero diritto, il diritto della giustizia contro il diritto rivoluzionario. Per salvarlo, egli si sacrifica agli oltraggi, alle persecuzioni, alla povertà, forse anche al martirio. Ma la sua causa è la causa di tutti, la causa della civilizzazione. Or non sembrerebbe egli naturale, che l’Europa intera dovesse serrarsi intorno a Lui, e sì secondarlo eroicamente mercè della triplice potenza delle sue preghiere, del suo denaro, e del suo sangue? Ciò non ostante, gran che! non solo ei viene abbandonato; ma ancora, anziché reputargli la sua invincibile energia, voi piuttosto avete ad udire milioni di uomini di ogni paese, di ogni stato, e di ogni grado biasimare la condotta di lui, dargli dell’ostinato, e condannarlo d’acciecamento e di ambizione mondana. – È in tal guisa che la più alta questione sociale si abbassa e riduce alle meschine proporzioni di un vile interesse. Che Dio li perdoni; e’ non sanno quello che si dicono! E non sanno, che l’eroico Pio IX, in difendendo il diritto cristiano contro il diritto rivoluzionario, tutela l’ordine contro il disordine, l’autorità contro l’anarchia, la proprietà contro il socialismo, la civilizzazione contro la barbarie; il castello del nobile, lo scrigno del banchiere, il magazzino del negoziante, la cassa di risparmio dell’operaio, il campo del lavoratore, non meno che il trono dei Re, pur quello di Vittorio Emmanuele. Chétutti i diritti sono collegati fra loro. Il palazzo e la capanna poggiano sullo stesso fondamento! L’incendio non ha scelte a fare; con una stessa vampache balza impetuosa, consuma i quartieri dei ricchi, ed i sobborghi de’ poveri. Se avverrà che si riconosca come principio che per veduta di convenienza o di utilità nazionale, si possa, in dispregio di tutti i diritti e di tutti i trattati esistenti, spropriare un principe qualunque, foss’egli anche Papa; quindi a poco un sol trono non resterà in piedi; e con più forte ragione verun proprietario non sarà più in sicuro. Per fermo quel medesimo principio a cui voi oggi vi richiamate contro il Sommo Pontefice, con pretensione anche di farglielo sanzionare, quel desso domani per la logica inesorabile della democrazia sarà rivolto contro di voi stesso: che avrete a rispondervi? Ecco quello che non si vuol comprendere: or dovrei dire, ecco ciò che non si può più comprendere. È a tale infatti l’impotenza di logica, anzi l’indebolimento del senso comune, anche presso un gran numero di persone oneste, che queste idee elementari stanno all’altezza di venti cubiti dalla loro testa. Veramente fra tutti i sintomi del male a cui l’Europa è in preda, io non ne conosco altro più spaventevole di questa debolezza, o di questa perversità d’intelligenze. Allorché v’imbattete in un uomo che va a tentoni in pieno meriggio, e prende le carrozze per portoni di rimesse, e chiama bianco ciò che è nero; voi senza più dite che quest’uomo è colpito di vertigine o di demenza. Or vedendo che un mondo mi porge lo stesso spettacolo, come non avrò io adire che esso è già da presso alla barbarie? Imperocché quel che è follia all’individuo, suona barbarie pei popoli. . Ma checché sia di ciò, a chi conserva la facoltà di unire due idee, la caduta del trono temporale di San Pietro significa nell’ordine sociale l’incertezza di tutti i diritti, lo scotimento di tutti i troni, ed il segnale di uno sconquasso generale, Nell’ordine religioso poi è in rispetto alla Chiesa l’entrata nella fase la più difficile di sua esistenza; forse il ritorno alle catacombe. Per le nazioni da ultimo, che condannano la loro madre a questa dura prova, è il cominciamento di un avvenire sconosciuto, che lo sguardo più sicuro non osa ravvisare. – Non dispiaccia ciò udire agli autori ed approvatoli dello spogliamento; ma tal fatto che essi si sforzano di ridurre a meschine proporzioni, è gravido di immensi avvenimenti, i quali scuoteranno l’Europa sino da suoi fondamenti. Noi vi ritorneremo sopra più in là: e frattanto, vi parlerò di pericoli più prossimi; ciò richiedendo lo scopo pratico delle mie lettere: questi nuovi pericoli sono lo scisma, e la persecuzione.

Tutto vostro etc.

L’ABOMINIO DELLA DESOLAZIONE (1)

L’ABOMINIO DELLA DESOLAZIONE (1)

Lettera ai Vescovi di Francia

[Mgr. J. Fèvre, 

REVUE DU MONDE CATHOLIQUE. 15 DICEMBRE 1901]

Monsignori…

Un antisemita, membro della Ligue de la Patrie Française, ha recentemente pubblicato due opere sulle disgrazie del tempo. Di fronte alla dolorosa situazione in cui versa la Chiesa – una situazione che peggiora di giorno in giorno – vorrei, miei Signori, in una lettera indirizzata a voi, trarre alcune conclusioni da queste opere, o piuttosto aggiungere ad esse considerazioni su alcuni fatti nuovi. Questi fatti mi sembrano elementi necessari di apprezzamento ed indicazioni urgenti per una risoluzione di condotta. L’interesse della Chiesa e della Francia è la sola causa determinante di questa lettera e la ragion d’essere delle sue sollecitudini.

I. – Ma prima diciamo una parola, a titolo di preambolo, Monsignori, sulle due opere dello scrittore antisemita, un patriota di buono stampo ed un Cattolico della migliore marca, che ritengo essere colui che, abdicando a qualsiasi residuo di particolarismo francese, si colloca esattamente all’interno del diritto pontificio e si limita a rivendicare l’adempimento dei doveri che esso impone, a tutti, re e popoli, pastori e gregge. La prima di queste opere è presentata sotto il titolo biblico: L’abominio nel luogo santo. L’obiettivo dell’autore è di indagare se e in che misura si è prodotto in Francia l’abominio predetto da Daniele sulla riprovazione della Giudea. A tal fine, l’autore stabilisce una somiglianza tra il popolo giudeo prima di Gesù Cristo ed il popolo francese dopo il suo avvento. Il popolo giudeo aveva ricevuto da Dio la vocazione di custodire, nel tempio della Sinagoga e nel suo territorio chiuso tra montagne, i dogmi, le leggi e le istituzioni sacre della legislazione divina; il popolo francese ha ricevuto da Dio, dopo le invasioni dei barbari, con il battesimo di Clodoveo, con il battesimo della regalità e della già nazione di Francia, poi con la chiamata di Carlo Magno all’Impero, la missione di custodire, di diffondere in tutto l’universo la rivelazione di Gesù Cristo, e di difendere a Roma, il Papa, Vicario di Gesù Cristo, Pastore sovrano, unico ed infallibile del genere umano redento dalla Croce del Calvario. Come risultato di questa vocazione, la Francia ha sia oneri che benefici: gli oneri sono di adempiere sempre fedelmente i doveri inerenti alla sua missione; i benefici sono di vedere la sua fortuna dipendere dalla sua fedeltà al servizio del Vangelo e della Chiesa; è di ricevere, per la sua fedeltà, la benedizione temporale di Dio e, in caso di infedeltà, di incorrere nei suoi anatemi. La storia ci mostra la Francia fedele e benedetta per mille e più anni: benedetta, cioè saggiamente costituita al suo interno, che persegue il suo destino nella pace di Dio e che prevale incessantemente su tutte le sue frontiere. Il mondo, sotto l’autorità dei Romani Pontefici e sotto l’impulso della Francia, gradualmente entra nel seno della Chiesa, nella luce e nella potenza del Vangelo, in tutto il progresso e la gloria della civiltà. Nel IX secolo apparve Fozio; nel XVI secolo apparve Lutero. Questi due grandi eresiarchi sono i nemici forzati di Roma, di cui rifiutano il primato spirituale, ed i distruttori intenzionali della Francia, la figlia primogenita della Chiesa. Per effetto della loro predicazione, i tre grandi imperi della forza, Russia, Germania ed Inghilterra insorgono in Europa, ostili, a dir poco, contro la Francia e Roma, ed armati per la loro comune rovina. Lì si trova il grande senso della storia moderna, appena sospettato da Bossuet negli ultimi capitoli della sua storia. Ora, questo complotto, tre volte secolare, ordito contro la Chiesa e la Francia, parla di scisma e di eresia, questo complotto ha avuto i suoi complici, se non i suoi ciechi collaboratori all’interno della stessa Francia. Gli umanisti del Rinascimento avevano diminuito l’amore tradizionale per il Cristianesimo; i filosofi, basandosi solo sulla ragione, come Lutero, avevano scosso le colonne della filosofia e del diritto; i principi, beneficiando, credevano essi, dei dubbi dei filosofi e delle false dottrine degli eretici, avevano innalzato, anche nei paesi cristiani, il tipo augusteo dei Cesari. Da questo miscuglio di debolezze, errori e iniquità nacque la Rivoluzione, che era soprattutto anticristiana, nemica radicale dei Romani Pontefici, e che spingeva fino all’ateismo la sua furia cieca contro la vocazione provvidenziale della Francia. Da un secolo a questa parte, non ci sono che due grandi questioni in Francia per la rivoluzione satanica: separarsi da Roma, prima amministrativamente e poi effettivamente; e distruggere, in Francia, ogni appartenenza alla Chiesa; perseguire, nelle istituzioni e nelle persone, lo sradicamento di ogni principio religioso; riconoscere solo i rapporti degli uomini tra loro per lo sfruttamento della terra ed il fragile mantenimento di un’esistenza fugace. La conseguenza finale di questa situazione è lo scisma. Finché ci saranno, in Francia, tante persone senza fede, senza culto, senza morale; finché la società si baserà sulla Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo ad esclusione dei diritti di Dio; finché la legge si dichiarerà atea e pretenderà di esserlo; nel momento stesso in cui la politica, satura di ateismo, è decisa a spingere fino in fondo il radicalismo distruttivo della legge e delle istituzioni, non si capisce, al di fuori dello scisma, come la Francia possa mantenere la pratica religiosa. Non è da uno scisma per tradimento dei Vescovi, Monsignori, che la Francia può perire: l’autore dichiara questo scisma impossibile; ma lo scisma preparato dall’allontanamento della moltitudine, scritto nelle leggi, perseguito in una cospirazione giudeo-massonica, appena contrastato da qualche protesta, sembra dover essere derivato dallo Stato, come il risultato delle nostre aberrazioni visibili, come il termine logico dei nostri attacchi rivoluzionari, come il coronamento della rivoluzione contro Dio. – La seconda opera dell’autore antisemita si intitola: Desolazione nel Santuario: è ancora un titolo biblico, ma applicato alle realtà attuali. L’Abominio nel Luogo Santo studiava nei suoi atti e nelle sue circostanze il tentativo dello Stato di corrompere la Chiesa; la Desolazione nel Santuario cerca gli effetti, oggi certi, di questo tentativo di corruzione. Per ragionare con forza e concludere con decisione, nel primo scritto, l’autore si è appoggiato alla storia di Francia e ha sostenuto la sua requisitoria contro il governo persecutore con la testimonianza di diciotto secoli; per ragionare con la stessa forza e concludere con la stessa decisione; l’autore si appoggia, nella sua nuova accusa, sulla storia della Chiesa, “Il Papa e la Chiesa, dice San Francesco di Sales, sono uno”; ma il Papa, gerarca supremo della Chiesa, è assistito nel suo governo dai Vescovi stabiliti, dice San Tommaso, come giudici e agenti subalterni, nelle principali città. Ora, questo governo, composto dal Papa come capo permanente e continuatore infallibile, e dai Vescovi come capi locali, confermati nell’ortodossia dal Papa, offre questo tratto caratteristico: la conferma pontificia è, per i Vescovi, la fonte del potere, la regola dell’azione, e, in caso di fallimento, sempre possibile, il necessario, assolutamente necessario e, inoltre, l’unico controllo. Per i Vescovi, quindi, c’è bisogno di una ferma adesione, un legame indissolubile, alla Cattedra del Beato Pietro, Pastore dei Vescovi come è il Pastore di tutti i Cristiani. Se, alla luce di questo principio, voi esaminate i venti secoli di storia ecclesiastica, cosa vedete? Vedete che i Vescovi che erano fermi nella fede, i Padri e i Dottori della Chiesa, e tutti i Prelati che erano costanti nell’ortodossia e nella disciplina, erano tali solo per la loro devozione alla Cattedra Apostolica; al contrario, tutti i Prelati che naufragavano nella fede o nella morale; tutti i Vescovi caduti nell’eresia o nello scisma; tutti i Vescovi che sono stati traditori di Dio, di Gesù Cristo e della sua Chiesa, erano tali perché infedeli a Roma, ribelli alla sua monarchia, divisi dal Romano Pontefice. Stabilita questa regola di discernimento, l’autore arriva ai nostri tempi e nota, da un lato, il fatto flagrante della persecuzione per vent’anni; dall’altro, il fatto certo che nessun tradimento scandaloso è avvenuto nella Chiesa per vent’anni. Al contrario, legioni di valorosi soldati sono insorti nello Stato, combattendo per Dio e per la Patria; e si son visti nell’episcopato, fin dall’inizio, solenni atti di resistenza. Rendendo alla fedeltà e alla bravura un giusto omaggio, è dunque evidente: 1° Che la persecuzione non ha fatto che accrescersi ed aumentare, distruggendo in tutte le istituzioni, la proprietà ecclesiastica, violando nel clero secolare e regolare tutti i diritti sanciti dal diritto canonico; 2°. Che la continua estensione e austerità della persecuzione è in parte attribuibile alla mancanza di una sufficiente resistenza nella Chiesa. Invece di combattere il nemico di Dio e del nome cristiano, si è generalmente pensato di disarmarlo con una procedura sdolcinata e con un spirito assoluto di conciliazione. Sembrava che il dissenso non fosse che solo in superficie; che unendosi ad esso senza secondi fini si sarebbe ammorbidito il persecutore; che era necessario obbedire alla legge e prestarsi all’evoluzione della patria; che Dio parlava attraverso gli eventi della storia; che era patriottico e pio prestarsi al trionfo della Repubblica. In breve, sotto l’influenza delle nostre illusioni, della nostra cecità, delle nostre debolezze, delle nostre miserie, siamo arrivati ad una situazione che fa pena agli uomini di spirito e agli uomini di fede. – Senza appoggiarci qui,  Monsignori, a nessuna colpa particolare o generale, senza recriminare contro nessuno, senza istituire alcun processo, io stabilisco per principio che la salvezza della Francia deve essere l’opera della Chiesa; che la Chiesa, attraverso il suo clero secolare e regolare, possiede il rimedio a tutti i mali del mondo e la medicazione necessaria all’applicazione efficace di questo rimedio. Sono i Vescovi che hanno fatto la Francia, sono i Vescovi che devono salvarla. Che non l’abbiano fatto è evidente; che sia stato loro impedito, io voglio crederlo… Ecco perché voglio ricercare quali ostacoli esistono nel clero all’azione redentrice dei Vescovi. Non sono i Vescovi che biasimo; essi non sono miei sudditi e non sono io il loro giudice. Ma è ai Vescovi che voglio indicare, il più brevemente e rispettosamente possibile, gli ostacoli che impediscono il nostro progresso e, per non essere infinito, denunciare questi imbarazzi prima di tutto nell’ordine delle dottrine e degli insegnamenti.

II – “La Francia”, disse il cardinale Gousset, “sarà salvata da buoni Vescovi e buoni preti. “Le Encicliche dei Romani Pontefici hanno affermato solennemente con quale insieme di scienza, di virtù e di sacrifici, preti e Vescovi potevano diventare i salvatori della loro nazione. Due Vescovi su novanta, per dare una base migliore alle dottrine papali, hanno preteso dai seminaristi il baccellierato in letteratura ricevuto all’Università di Francia. Questi due Vescovi si incontrarono ad un certo punto con il fondatore della scuola carmelitana, che, come Arcivescovo di Parigi, voleva elevare i gradi e le conoscenze umanistiche del clero francese al più in alto nell’Università. L’opinione quasi unanime dell’Episcopato, senza voler respingere positivamente questa scuola, era quella di non mandarvi i suoi preti, anche se la suddetta scuola fosse opera di un Vescovo. – Le ragioni di questo rifiuto non derivavano certamente da un’avversione alla crescita del sapere letterario e alla sua consacrazione mediante titoli. I Vescovi non erano propensi innanzitutto per il pericolo della formazione sacerdotale, poi il danno delle malsane dottrine, poi ancora l’assoggettamento del prete ai suoi rivali, l’immatricolazione nei ranghi dello stato laico, e la tentazione di entrare al suo servizio lasciando la Chiesa. Più di una volta, abbiamo visto questi preti, divenuti dottori dell’Università, scambiare la tonaca con la redingote, e, con trasformazioni che non oso descrivere, porsi come nemici pubblici di Santa Madre Chiesa. Il baccalaureato offre un pericolo minore, ma è comunque un pericolo per la vocazione. Il Vescovo di Orléans, così liberale, lo sperimentò più di una volta; si faceva in quattro per moltiplicare il numero dei preti e dei baccalaureati; spesso i baccalaureati non diventavano preti e il generoso Dupanloup era riuscito solo a fornire ai licei dei maestri di studio. Un corrispondente di Vérité Française ha obiettato che il baccalaureato richiesto come condizione “sine qua non” per entrare nel seminario maggiore stava diventando una nuova irregolarità e che la creazione di un’irregolarità era al di là del potere di un Vescovo. Un Vescovo può fare un regolamento valido per la sua diocesi, ma è privo delle qualità per imporre una legge alla Chiesa universale. Questo è evidente: non intendiamo in alcun modo opporci alla regolamentazione diocesana di un Vescovo; ma crediamo che, come legge generale, possa essere discussa e non ammessa. Due altri corrispondenti dello stesso giornale hanno sollevato molte altre obiezioni, una in extenso, secondo l’adagio: Unus est instar omnium: « Permettetemi di offrire alcuni pensieri, suggeritimi dalla misura intrapresa da NN. SS. i vescovi di Tarentaise e di Mende, riguardo all’ammissione dei candidati al sacerdozio nei loro seminari maggiori. D’ora in poi, nessuno riceverà l’abito ecclesiastico in Tarentaise e Mende, se non può dimostrare di aver ottenuto il diploma di maturità. Questa decisione, di eccezionale gravità, ha conseguenze che non sono suscettibili di provocare una legittima emozione tra i Cattolici, perché può alienare dagli ordini sacri, soggetti molto degni, capaci di fare molto bene nella Chiesa, e che, forse privi della scienza dell’università laica e neutrale, sono ricchi della scienza dei Santi, e potranno acquisire conoscenze sufficienti in teologia per amministrare i Sacramenti secondo le regole prescritte, e, con l’aiuto della grazia, guidare le anime con sapienza. Voi ricordate molto opportunamente il caso del Venerabile Curato d’Ars, e se ne potrebbero citare molti altri, anche di Santi che la Chiesa onora con il culto pubblico nella sua liturgia. Ma non è questo punto di vista che voglio considerare. « Certamente, la misura imposta ai futuri chierici di Tarentaise e Mende nasce dalla lodevole preoccupazione di assicurare che il prete nella società contemporanea non sia in alcun modo inferiore agli uomini del mondo, e che la carriera sacerdotale, chiedo perdono per questa espressione, sia di difficile accesso come le carriere liberali. Questo è un bel tributo alla dignità del sacerdozio. Tuttavia, vedo alcuni inconvenienti in esso. Vi sono giovani che vengono a chiedere alla Chiesa di dar loro un posto tra i suoi chierici, di farli ministri di Cristo e di affidare loro la missione di lavorare per la salvezza del popolo cristiano. » Per sapere se possono essere sottoposti alla lunga preparazione che li porterà al sacerdozio, che bisogno c’è di consultare lo Stato? Ai professori delle Facoltà della nostra Repubblica, atei, settari e persecutori, è stato affidato il compito di discernere gli eletti per il sacerdozio? Se questi signori dell’istruzione superiore, molti dei quali sono protestanti o ebrei, hanno la fantasia di essere difficili verso i candidati ecclesiastici, il vostro seminario rimarrà chiuso per causa loro. C’è dunque un legame necessario tra il grado di scienze umane richiesto per il baccalaureato e le qualità necessarie per diventare prete? La vocazione al sacerdozio è inseparabile dal diploma rilasciato dal Ministro della Pubblica Istruzione, e deve essere contrassegnato dal timbro del governo? Finora la Chiesa non ha proibito ai suoi sacerdoti di sostenere la prova degli esami universitari, ma imporre loro questa prova, farne una condizione sine qua non per l’ammissione agli ordini sacri, che è ripugnante al suo carattere di società perfetta, sarebbe in qualche modo un abbassamento, un’abdicazione dei suoi diritti nelle mani dello Stato, che non ha nulla a che fare con il reclutamento dei ministri di Dio e di cui sarebbe il giudice, se il baccalaureato fosse indispensabile per entrare in seminario. Si dimentica, sembra, che il sacerdozio non sia, come uno stato mondano qualsiasi, l’oggetto della sola scelta della libertà umana, e che, per presentarsi all’ordinazione, bisogna essere chiamati da Dio. Può il Signore aver sottoposto questa vocazione al giudizio dei laici, troppo spesso ostili al Cattolicesimo?  C’è un elemento soprannaturale nello stato ecclesiastico che non si trova altrove; bisogna tenerne conto.  Inoltre, nel considerare le materie dell’esame di maturità, sappiamo dove il governo può portare i futuri studenti del santuario? – Forse lontano dalla teologia. Infatti, se finora il programma degli studi secondari laici ha coinciso più o meno con quello degli studi teologici preparatori, non c’è nessuna garanzia che questo accordo duri a lungo; le tendenze attuali fanno addirittura temere che cessi presto e che nei licei non si acquisisca più una conoscenza sufficiente del latino per poter trattare gli autori ecclesiastici. Senza dubbio, le lettere profane, le scienze matematiche, fisiche e naturali non devono rimanere estranee a coloro che con la loro vocazione intendono guidare i fedeli; ma una giusta parte deve essere lasciata nella vita del futuro seminarista allo studio del latino e della sana letteratura. Se i programmi sopprimono questa quota già piccola, bisognerò seguirli ciecamente? Allora ci sarà lo spettacolo davvero curioso di un esame che non comprende nessuna materia preparatoria per gli studi per i quali essa è richiesta; sarà il semplice fatto di essersi presentati davanti allo Stato con qualche tipo di conoscenza estranea che deciderà l’ammissione al seminario. Infine, vedo un notevole pericolo nell’imporre le dottrine filosofiche che si insegnano nell’Università a persone il cui ruolo sarà proprio quello di insegnare al mondo le nozioni del vero, del giusto, del bello e del buono, così poco conosciute nel nostro tempo. Perché, come tutti sappiamo, la filosofia universitaria, se davvero ne esiste una, ha demolito più di quanto abbia costruito, e ha già avuto un’influenza troppo disastrosa su una parte del giovane clero; è ad essa che si deve, per molti, l’introduzione del neo-kantismo tra il nostro popolo, a scapito delle idee sane e in contrasto con le istruzioni del Sommo Pontefice. – « Se mi si obietta che gli esaminatori non decidono sulla vocazione stessa, risponderò: poiché obbligate i futuri chierici a far stabilire il loro grado di scienza dagli accademici, e questo sotto pena di avere la porta del santuario chiusa … state davvero facendo dipendere la vocazione stessa ed il sacramento dell’ordine dall’opinione di questi signori? Che per i funzionari dello Stato, e anche per le carriere liberali, sia richiesto un dato massimo di conoscenze umane, e che l’Università sia il giudice dell’attitudine dei candidati, molto bene; ma non è il caso dell’ammissione allo studio della teologia e dei suoi annessi. Spetta solo alla Chiesa e non allo Stato dire fino a che punto le scienze umane siano necessarie ai giovani chierici. Questa questione preoccupa da molto tempo la Chiesa, che ha provveduto attraverso l’istituzione di seminari minori, di cui si riserva la direzione. Perché il Vescovo dovrebbe abdicare ai suoi diritti e trasferirli allo Stato? Perché affidare allo Stato l’esercizio del controllo che appartiene di diritto al Vescovo e che solo lui può esercitare con discernimento e saggezza ed in conformità con le vedute della Provvidenza sui futuri continuatori dell’opera di Gesù Cristo? « Che nessuno mi rimproveri di esporre la Chiesa all’accusa di essere nemica delle scienze secolari (deliberatamente non dico oltre la scienza); essa le ha sempre incoraggiate, e molti nelle file del clero, regolare e secolare, hanno reso in questo campo servizi eminenti che solo l’ignoranza e l’ingratitudine possono misconoscere, Non è sufficiente ricordare questo? Non sono stati i nostri benedettini che, mentre convertivano e civilizzavano i popoli, ci hanno conservato i capolavori dell’antichità classica? E i gesuiti non hanno forse contribuito in larga misura allo sviluppo degli studi scientifici e letterari? Né mi si accusi di fideismo, perché nessuno più di me vuole vedere il clero brillare in tutti i rami della scienza; ma i preti, sopra tutti gli altri, devono dare la preferenza agli studi ecclesiastici, e non è scioccante far dipendere la vocazione sacerdotale da un esame in materie secolari davanti ad una giuria laica spesso incredula? – « Per riassumere, vedo nella decisione presa un pericolo per il reclutamento del clero, un abbandono dei diritti della Chiesa, un pericolo per la dottrina ed una concezione inesatta della vocazione sacerdotale. Inutile dire che queste semplici e franche riflessioni non mi impediscono affatto di dare un’esplicita testimonianza di rispetto ai venerabili prelati, il cui zelo si preoccupa giustamente di garantire al loro clero una seria formazione sia nella scienza che nelle virtù sacerdotali? » Di tutte queste obiezioni, ne conservo solo due: la prima è l’inutilità della misura; la seconda è la sua inadeguatezza. Ecco un bambino che è arrivato al seminario minore in sesta o quinta elementare. Ogni anno, questo allievo aveva le sue note di classe giornaliere, le sue sedute settimanali, un esame semestrale e la solenne consacrazione della distribuzione dei premi. – Questo allievo è passato dalle classi di grammatica a quelle di umanità, ha studiato le leggi dello stile, la poetica e l’eloquenza; non ha negletto lo studio elementare delle scienze fisiche e matematiche. E dopo tre, quattro o cinque anni di seminario, i delegati del Vescovo, o il Vescovo stesso non sono capaci di apprezzare la sua attitudine alla filosofia e al ministero ecclesiastico? E questa incapacità, di cui confessano di essere giustamente privi, la riceverebbero da laici, esaminatori universitari, dopo una sola composizione e un esame di tre quarti d’ora; essendo certi, inoltre, che questi stessi esaminatori, capaci di giudicare il merito letterario, non discernono, non sospettano neppure, in questo ambito, il punto in cui dovrebbe prepararsi alle scienze della Chiesa. Dico, per me, salva reverentia, che questo apprezzamento del merito di un retore del seminario minore, è, per il superiore, per il professore dello stabilimento, e ancor più per il Vescovo, un dovere rigoroso, e che essi devono, su un punto così delicato, così serio, così importante, non riferirsi a nessuno. L’ammissione al seminario maggiore appartiene a loro e a nessun altro; e il giorno in cui questa ammissione dipenderà dai rivali dei nostri collegi ecclesiastici, dai nemici della Chiesa, quel giorno nei nostri annali deve essere segnato con una pietra nera…. « Può essere che l’ammissione al seminario maggiore sia stata a volte decisa con eccessiva indulgenza, ma sarebbe da giudicare allora, in modo non definitivo.  Deve essere successo a volte, visto che si sta cercando un rimedio.  Ma il rimedio non è nell’Università, è nella Chiesa; e se il giudizio dell’Università non fosse soggetto ad un ulteriore controllo, sarebbe una grande disgrazia; che il popolo della Chiesa abbia il coraggio di compiere tutto il suo dovere; non ha nulla da chiedere allo Stato per questa lontana preparazione al sacerdozio.  Il baccalaureato, come semplice valutazione del merito letterario, ha l’autorità che dovrebbe avere?  – Confesso che sono lontano dal crederci. Un piano di studio ben pensato, un insieme di classi ben applicate, un lavoro costante, saggio e con un po’ di entusiasmo per prestarsi ad esso, ci sembra essere la migliore garanzia di un corso di seminario. Questo sistema d’istruzione non mira ad un diploma; non si rinchiude negli stretti confini di un programma; si estende e si espande fino agli estremi delle frontiere dell’istruzione secondaria; ci si sforzi in tutto per dare all’allievo il giusto sentimento per ciò che deve sapere, e il sentimento del grande per tutto ciò che deve ignorare.  Un tale piano di studio e di insegnamento ci sembra essere di gran lunga superiore a questa preparazione per il baccalaureato, che è lo scopo esclusivo delle scuole secondarie e dei college, che sembra solo suscettibile di rendere l’insegnamento più piccolo e la testa più bassa. – Citerò qui un aneddoto. All’epoca in cui ero studente nel seminario minore, Mons. Parisis era vescovo di Langres. Questo Vescovo, che non basta chiamare grande, aveva severamente proibito in seminario la preparazione del baccalaureato, non solo per le future reclute del santuario, ma anche per i giovani che erano destinati alla carriera civile. Nella mente del prelato, la ragione di questo divieto era che la preparazione al baccalaureato gli sembrava adatta solo per abbassare il livello desueto. Al contrario, pensava che l’educazione, liberata da questi bordi e liberata da questi limiti, dovesse crescere ogni giorno di più e portare l’educazione al punto più alto della solidità. Il ministro Villemain sosteneva il contrario: il Vescovo, per mettere da parte queste pretese, lanciò una sfida al ministro: la sfida di far competere gli studenti del seminario minore con i collegi maggiori di Parigi. Il ministro non accettò; temeva, e aveva le sue ragioni, che i seminaristi minori di Langres sarebbero arrivati a battere, agli occhi di tutta la Francia, gli studenti del Collège Louis-le-Grand. Il fatto è che, sotto il potente impulso di questo Vescovo, si era formata a Langres una generazione di allievi di altissimo merito. In due o tre occasioni, gli studenti di questo seminario si sono presentati per il baccalaureato; sono stati i primi a ricevere i voti più alti ed i posti migliori. Queste sono ragioni serie, questi fatti sono decisivi. – C’è un altro aspetto della questione. Tutti sanno che l’esame di maturità è solo una lotteria: gli stupidi riescono spesso a causa della pietà che ispirano; i forti falliscono perché sono forti. Il diploma di maturità è volgarmente chiamato pelle d’asino; se non ha la virtù di far crescere le orecchie, non può impedire che si facciano. La moltiplicazione delle pelli d’asino ha creato, in Francia, una specie di mandarinato, di mediocrazia, che ci ha fatto abbassare la stima e la grandezza reale. Il più grande dei mali della Francia, il peggiore dei flagelli, è l’assenza di uomini. La Francia sta cadendo, al punto da essere minacciata di essere completamente cancellata. L’abbassamento delle menti, dei cuori e dei caratteri è un fatto universale. Come risultato di questo abbassamento, si sono formati dei partiti che si oppongono tanto più aspramente al parroco tanto più sono colpiti da una peggiore ignoranza. Le invenzioni criminali del socialismo minacciano di sorprendere e dominare un paese che una volta era la patria del buon senso, dell’onore e del patriottismo. La guerra alla proprietà, al matrimonio, alla famiglia, all’esercito, all’ordine pubblico e all’indipendenza del Paese sono oggi i passatempi di banditi, transfughi dell’Università. Siamo minacciati dal destino medesimo della Polonia e dell’Irlanda. E in questa crisi formidabile, cosa ci viene offerto, come rimedio? L’obbligo del baccalaureato per i chierici… molto simile a quel rimedio del debole Melantone che, spaventato dalle catastrofi scatenate sulla sua patria dal suo padrone, propose, come rimedio efficace, una rinascita della letteratura. Io non sono nemico della letteratura: la amo, la coltivo anche senza altra ispirazione che la mia fede ed altro maestro che il mio zelo. La letteratura non ha mai rovinato nulla; non deve essere denunciata. Ma non dobbiamo dimenticare che la predicazione del Vangelo, la conquista del mondo da parte della parola apostolica, la sconfitta del vecchio paganesimo, sono opera dei dodici pescatori raccolti dalle sabbie della Galilea. Ma non dobbiamo dimenticare che dopo l’annientamento della barbarie pagana, i missionari senza lettere dei tempi merovingi sconfissero la barbarie selvaggia dei Goti, degli Unni e dei Vandali. Non dobbiamo dimenticare che questi missionari analfabeti, sostenuti dalla parola degli Apostoli e dal sangue dei martiri, hanno creato le nazioni cristiane, hanno costituito queste nazioni nel Cristianesimo, hanno dotato questo Cristianesimo di lingue, di scienze e di lettere, che sono tutte radiose emanazioni del Vangelo. Soprattutto, però, non dobbiamo dimenticare che quando la rinascita del paganesimo nel XVI secolo prese a ribaltare l’opera dei missionari e dei martiri, non passò molto tempo prima che scuotesse la fede, obliterasse le coscienze, cancellasse il sapere, minasse le istituzioni, dissolvesse il Cristianesimo e compromettesse persino la civiltà ed il suo futuro. Poi, e nessun uomo istruito può negarlo, dacché l’anticristianesimo, al quale il baccalaureato appartiene, ha fatto deviare il corso della civiltà cristiana e ha scosso le istituzioni dei popoli, ora non ci si parla che di una religione senza Dio, un cristianesimo senza Cristo ed una chiesa polverizzata, della quale ogni atomo vivente è re e pontefice. Sotto la copertura di queste negazioni antisociali e omicide, ciò che ci rimane è la ragione, impotente, senza bussola e senza base; è l’anima consegnata a tutta la cecità e la furia delle passioni; è la schiavitù necessaria alla conservazione dell’umanità corrotta; è il dispotismo, la forza necessaria per mantenere gli uomini fuori dalla cultura, senza appoggio morale, costantemente minacciata dal progresso materiale rimasto senza contrappeso. « Noi saremo abbrutiti dalla scienza – diceva Monsieur de Maistre – e questo è il peggior tipo di barbarie ».

IL MESSIA GIUDAICO (3)

Roger Gougenot des Mousseaux

– IL GIUDEO, Il giudaismo e la giudaizzazione
dei popoli cristiani –

2e édition
Paris: F. Wattelier, 1886

CAPITOLO DODICI. (3)

SECONDA DIVISIONE. –

IL MESSIA GIUDAICO, SEGUITO, REALTA’ E CONGETTURE.

L’attesa di un Messia, il futuro sovrano dei popoli, è l’attesa del « nucleo indistruttibile della nazione ». Alcune opinioni dissenzienti tra i riformatori, ma un evento li avrebbe riuniti ai credenti. – Se qualche seduttore pretendesse di essere il Messia, i  Giudei si schiererebbero con lui o con gli Stati che li hanno resi cittadini? – C’è una relazione evidente tra il Messia che il giudeo attende e l’uomo che il Cristiano chiama Anticristo. – Tutto si sta preparando per la grande unità cosmopolita di cui quest’uomo deve essere l’espressione – Quando l’opera di scristianizzazione del mondo sarà completata, il mondo non potrà accettare come suo padrone un fascinatore di razza giudaica? – Esempi di dominatori respinti, e poi accettati all’unanimità. – Esempi di uomini saliti improvvisamente dal nulla all’apice in tempi di disordini. – Dal treno a vapore con cui vanno le idee e le cose, come stupirsi che dal seno di Giuda sorga uno che realizzi le idee di sovranità cosmopolita di cui i Giudei sono gli apostoli? – Non ci sarà qualche Mosè a capo di qualche formidabile esodo? – I Giudei non possono almeno diventare le forze secondarie e ausiliarie di qualche conquistatore? – Esempi delle risorse che Israele sa accumulare su un unico punto; possibilità, strutture. – Uno sguardo al futuro dall’alto della storia.

L’attesa del Messia è dunque, ancora oggi l’attesa di Israele! E nonostante la singolare e prodigiosa battuta d’arresto, nonostante il crollo delle credenze talmudiche da questa parte dell’Occidente dopo venti secoli di incrollabile resistenza, una fede viva in questo immenso personaggio rimane il perno, il punto essenziale ed indistruttibile. Ma questo Messia sarà un semplice mortale? Sarà un uomo o un Dio-uomo? Tale è la questione controversa tra i credenti, perché ognuno oggi si fa un Messia e lo veste a suo piacimento. Infine, umanamente parlando, l’avvento di questo futuro dominatore dei popoli è un fatto accettabile che il mondo poss vedere senza vedersi in preda ad un accesso di risate? La grande maggioranza, il vero nucleo della razza giudaica, continua, come abbiamo detto, a vedere in lui l’uomo su cui si concentrano i desideri e le aspettative dei secoli. Quanto alla minoranza meno credente, per la quale un’era gloriosa o messianica avrebbe un significato di “Messia”, il minimo evento basterebbe a confortare la loro fede debole o zoppicante e a ricostruirla sul modello della legge dei loro padri. Se, per esempio, la fama di un uomo straordinario risuonasse nel mondo, i credenti ortodossi, abbagliati o sedotti, griderebbero: Ecco l’uomo d’Israele, colui che Israele stava aspettando; ecco il Messia! Ebbene, a questo grido religioso e tutto nazionale, quasi tutta la minoranza si riunirebbe al grande numero, e quest’uomo diventerebbe per essa il Messia. Israele potrebbe sbagliarsi, cosa che – come la storia testimonia – ha fatto venti volte nel corso dei secoli, ma questo non gli impedirebbe di essere pronto ad ingannarsi di nuovo. Di fronte a questa certezza, la domanda che possiamo ora porre è la seguente: ogni giudeo, presso qualsiasi popolo che gli offre il diritto di cittadinanza, è o non membro di due nazioni allo stesso tempo, in qualsiasi popolo che gli dia diritto di cittadinanza? Infatti nessun uomo può servire a due padroni. È questi un membro della nazione giudaica, in primo luogo per sangue e soprattutto per culto, con il quale questa nazionalità si confonde; ed è pure un membro della nazione francese se, a causa della nostra legislazione, afferma di essere francese? E in questo caso, è più francese che giudeo o più giudeo che francese? Cosa sarebbe, cosa farebbe, per esempio, se qualche agitatore, se qualche conquistatore, innalzando lo stendardo del Messia e la sua fronte coronata dall’aureola che nel giorno glorioso della vittoria si getterebbe su di essa, si proponesse come il desiderato di Israele? E quello che si chiede al giudeo francese, lo chiediamo a qualsiasi altro! Infine, se egli è un seduttore al quale le profezie della Chiesa hanno dato il nome di Anticristo; se i Cristiani credono che questo avventuriero inizierà il corso delle sue seduzioni dai Giudei, perché si dice che Israele deve mostrare venire da lui il suo Messia, non è peccare contro il senso comune non ritenere insensato il giudeo che si illude del suo futuro predominio sul Cristiano? – Cerchiamo solo le cose nelle parole, e poi, sia che ci mettiamo dal punto di vista puramente umano, sia che ci mettiamo con entrambi i piedi sul terreno delle profezie, che fanno parte dei tesori della scienza della Chiesa, vedremo le relazioni più intime che legano l’uno all’altro, o piuttosto che portano a fondere in uno, la credenza del giudeo nel suo Messia e quella del Cristiano nell’uomo che col suo linguaggio chiama Anticristo. Infatti, se le Sacre Scritture non sono agli occhi del Cristiano una sciocchezza assurda e superata; se appena rimane in lui questa credenza indispensabile alla civilizzazione delle società umane: che la Chiesa cioè non possa né mentire né ingannarsi; se pensiamo che l’Anticristo, non più che il Messia, non sia una favola, un mito, un simbolo; ricordiamoci che il suo regno, terribile e fecondo di rivoluzioni inaudite, di prodigi di ogni genere, è una realtà futura, il che equivale a dire che è un fatto necessariamente in via di formazione, in procinto di arrivare a noi per le vie che gli eventi costruiscono giorno per giorno. Ma guardiamoci, al tempo stesso, dal dimenticare che questo personaggio è un dominatore così simile a quello che i Giudei stanno aspettando, (… unificazione dei popoli, etc, realizzazione parziale del socialismo …) che sarà difficile, praticamente impossibile – per questi ciechi – non essere ingannati da lui; perché egli porta in sé la riunione, la sintesi perfetta di tutte le aspirazioni anticattoliche che diciotto secoli di Giudaismo attribuiscono al futuro liberatore di Giuda. Ricordiamoci, inoltre, che potrebbe non esserci un intervallo di tempo molto lungo tra l’apparizione di questo personaggio e l’epoca in cui la nostra vita si sta svolgendo. E già, se accettiamo di considerare il futuro, tutto sembra prepararsi per il suo insediamento, o meglio per il suo passaggio. – E davanti ai nostri occhi, da un capo all’altro della terra, il mondo politico, il mondo economico e commerciale, guidati o trascinati dalle società del mondo occulto, di cui i Giudei sono i prìncipi, hanno cominciato a suscitare da tutte le parti con instancabile ardore la grande unità cosmopolita (« La nostra politica sarà essenzialmente universale, cosmopolita, ecc. » (Sic.) Archivi israeliti, nº 1, p. 8, gennaio 1869). Così si chiama, nel linguaggio dell’epoca, il sistema dal quale emergerebbe l’abolizione di tutte le frontiere, di tutte le patrie, o, se si vuole, la sostituzione della patria particolare di ogni popolo con una grande ed universale patria che sarebbe quella di tutti gli uomini. Ora, questa unità, che richiede un capo, non prepara forse, mentre si forma, l’avvento prodigioso di un dominatore unico e supremo nel quale i Giudei potrebbero vedere il Messia e allo stesso tempo, i Cristiani riconoscervi l’Anticristo? – Quando il Cristianesimo, gradualmente e metodicamente espulso dal governo e dall’educazione dei popoli, e da allora in poi rifiutato dalla crescente licenziosità dei costumi, dagli appetiti di una feroce ambizione e di una sfrenata avidità, vedendosi ovunque proscritto, vituperato e vilipeso, non sarà più che un oggetto di disprezzo e di odio in mezzo alle masse che esso aveva civilizzato (« Quando il Figlio dell’uomo verrà, pensate che troverà la fede sulla terra? » – San Luca, cap. XVIII, v. 8.) Pensiamo che questo dominatore di popoli, che questo conquistatore di menti deformate e di cuori corrotti, che questo supremo fascinatore il cui desiderio sarà il desiderio della razza umana, non possa appartenere alla razza giudaica? L’ostacolo potrebbe allora essere un residuo di quei sentimenti cristiani che sono diventati un pregiudizio odioso per gli uomini attuali, e di cui il nostro secolo si sta già preoccupando e gloriando di dissipare le vestigia? Se, in molte delle circostanze che l’imprevisto fece sorgere con l’onnipotenza delle rivoluzioni moderne e la vivacità di un’ultima istanza, abbiamo visto con i nostri occhi un uomo abbandonato, come deve essere dapprima l’Anticristo, se non respinto dal popolo al quale si è offerto come salvatore sequestrato dalla forza pubblica, condannato senza che un’anima si muovesse, imprigionato, graziato, ricatturato dopo un nuovo tentativo e condannato, poi dimenticato di nuovo, divenire improvvisamente, perché l’umore politico era cambiato, l’uomo del momento, agitare, rovesciare gli spiriti in suo favore, piegare sotto milioni di suffragi gli indifferenti e i nemici della vigilia, come si può negare, indipendentemente dal linguaggio profetico delle Scritture della Chiesa, che in circostanze preparate da molto tempo, egli sarà il padrone delle volontà, della vita e delle forze di un popolo? che, in circostanze lungamente preparate dai rivoluzionari del mondo, un uomo solo, uno di quei corifei delle rivoluzioni che affascinano e portano via le moltitudini, possa, in un istante, trovarsi sulle labbra, nelle volontà e alla testa del popolo, desideroso di volgere le meravigliose capacità della sua persona alla meta finale delle loro aspirazioni?  Quando i giorni malvagi del secolo scorso scomparvero, per lasciare il posto al secolo che occupiamo ora, non abbiamo forse visto uomini che erano usciti dalla profonda oscurità alzare orgogliosamente la testa sotto le piume del tocco direttoriale, drappeggiarsi nelle pieghe della toga consolare, e a cui mancava solo l’audacia e il genio per salire al pinnacolo, per prendere e appropriarsi, tra gli applausi della folla, le insegne del potere supremo? Non abbiamo forse visto, mentre il torrente delle idee e delle passioni rivoluzionarie ruggiva, un uomo di prodigi, un soldato, emergere dalle profondità della Corsica (la Corsica non sarebbe stata allora dichiarata francese, che chiede, in tempi di tumulto, all’uomo la cui mano afferra vigorosamente il timone, il suo certificato di nascita?) sotto il cui sguardo il mondo taceva, sotto la cui mano popoli e re si umiliavano? Non l’abbiamo forse visto portato sui baluardi dal popolo più generoso della terra? Non abbiamo visto i suoi luogotenenti coprire, senza stupire il mondo, o tentare di coprire le sue spalle con il manto dei re? Non abbiamo visto il figlio di un locandiere, il seminarista, l’intrepido, il leggendario Murat, seguito da vicino dal suo compagno Bernadotte, un povero figlio di Guascogna, fare ognuno sede di un trono della sella del loro cavallo? (Questo è ciò che dice il primo ministro della Gran Bretagna, egli stesso giudeo di origine. Il maresciallo Soult pensava di essere in procinto di salire sul trono del Portogallo, dal quale forse sognava di fare la scalata del trono iberico). Il maresciallo Soult non si vide forse nel momento di dare alla sua valorosa spada la forma di uno scettro?  E chi si sarebbe sorpreso se lo stesso desiderio avesse attraversato il cuore del giudeo   Masséna? Questo figlio prediletto della vittoria: era forse impari al suo fratello d’armi e di razza in ciò che non fosse stato altro che ambizione? – Ebbene, che le circostanze tornino a essere quelle di allora; che la fortuna politica abbia nuovi e più irresistibili sorrisi di nuovi volti; che sorga un sofista di grande abilità, uno di quei corifei delle rivoluzioni il cui fiato fanatizza i popoli, uno di quei retori e capitani valorosi per i quali il soldato si appassiona, e che, forse all’insaputa del pubblico, così come Soult e Masséna, si scoprisse essere uno della progenie fuorviata della razza giudaica; emerga uno di quegli abili e gloriosi sconosciuti i cui fratelli di sangue saprebbero tanto bene come conciliare quanto come sostenere, e soprattutto in un momento in cui le leggi della civiltà rivoluzionaria hanno fatto di ogni cittadino e di conseguenza di ogni giudeo un soldato; che quest’uomo aggiunga l’audacia ai servigi e chi di noi, dopo gli spettacoli di cui il nostro secolo ha saziato i nostri occhi, non immaginerà che non possa cadere tutto ad un tratto un diadema imperiale, e abbattersi sulla fronte di questo nuovo arrivato? Chi ci dirà a quale altezza quest’uomo ambizioso non possa salire, calpestando le macerie dei troni infranti dalle rivoluzioni e dalle battaglie? E chi penserà che questo nuovo imperatore di una repubblica universale ed egualitaria, ampliando la terribile via seguita un tempo dagli imperatori della repubblica romana, non possa inaugurare una nuova era cesariana! Chi si stupirebbe, in una parola, di vederlo dettare le sue leggi al mondo, le cui redini finanziarie sono maneggiate e non cesseranno di esserlo dalle mani di Israele, in procinto di diventare da un capo all’altro della terra quello che è in Germania, cioè il distributore ed il regolatore delle sole idee che il pubblico liberale e letterato favorisce ed acclama! Gli uomini eminenti del Giudaismo non sono forse già degli uomini adulati, ricercati, corteggiati?  E non sono già i consigli elettorali d’Inghilterra o di Francia, con il suffragio d’élite, cioè il suffragio ristretto, e con il suffragio confuso delle masse, cioè il cosiddetto universale, esitanti nell’elevarli sul pinnacolo? E non sono già i loro banchieri, i loro finanzieri, la maggior parte dei quali sono veri uomini di stato, i banchieri e talvolta i ministri dei principi, i finanzieri dei regni, i capi ed i dominatori di tutte le imprese industriali, di tutte le grandi e colossali società d’Europa, gli arbitri, in una parola della pace e della guerra, con cui gli eletti alla vittoria, le più alte teste coronate o le repubbliche più orgogliose devono contare, e molto più di quanto il volgo supponga?

(Il Petit Figaro ci dice il 12 aprile 1869, che secondo il Réveil, un giornale socialista, è vero che: « Gli eredi di M. de Rothschild conoscono finalmente la cifra esatta della fortuna del famoso finanziere; la somma totale è di un miliardo e settecento milioni. » – « Con i suoi fratelli egli prestava a tutto il mondo, e comandava, borsa alla mano, a tutti i sovrani. » Le Monde”, 18 novembre 1868. La fortuna di questa famiglia può aumentare a dismisura con operazioni, matrimoni, ed essere associata ad altre fortune giudaiche!… Vedi la nota al cap. X, div. 2, su M. de Rothschild). – – In verità, in mezzo a questi innumerevoli parvenus della nazione giudaica; in mezzo a questi uomini di cui l’Europa fa i suoi consiglieri e giudici, i suoi legislatori e capi dell’esercito, perché non dovrebbe un giorno, nel momento di una crisi suprema, incontrare un uomo che i popoli, unendosi, renderebbero depositario del potere universale? E che questo potere si chiami presidenza o regalità, protettorato, cesarismo o impero, la parola muterebbe nei fatti la cosa?

[L’emancipazione del giudeo ha prodotto gli effetti che ci si aspettava; « essa ha permesso a questo popolo di entrare in ogni carriera. Esso avuto ministri notevoli, finanzieri eminenti, grandi oratori, distinti militari, abili ingegneri, profondi giureconsulti, grandi artisti; in una parola, hanno tutto ciò che è necessario per formare un ambiente indipendente e per governarsi. » – Aggiungiamo: e per governare altri oltre che se stesso … -. Amédée Nicolas, Conjectures sur les âges de l’Eglise, p. 372; Paris, 1858]. – Perché dunque stupirsi, se i nostri occhi sono rivolti verso i punti dell’avvenire che minacciano tutta l’Europa di sconvolgimenti radicali, che dal sangue di Giacobbe appaia improvvisamente in una luce inattesa il dominatore che realizzerebbe le dottrine cosmopolite di cui Israele è l’apostolo, e di cui il liberalismo non è che l’eco? Dove dunque, in verità – poiché le nazioni docili alla sua voce tendono a unirsi, a fondersi in un solo popolo – dove possiamo trovare un uomo più adatto del giudeo alla nuova posizione, più intimo con l’universalità degli interessi e delle cose di cui è quasi ovunque l’artefice, più cosmopolita, e ripetiamo questo termine, poiché Israele è il solo uomo che può essere, grazie al privilegio della sua costituzione fisica, e che è da tempo immemorabile, per il fatto stesso della dispersione, cittadino dell’intero pianeta? (Vedi capitolo sulle influenze). Quale uomo, da qualunque punto di vista ci si ponga, avrebbe più giuste e legittime possibilità del giudeo di essere accettato in mezzo a popolazioni che sono mosse, turbate, confuse, pressate, spinte da guerre o sconvolgimenti le une contro le altre; popolazioni che, addestrate a maledire Cristo e la legge civilizzatrice della devozione, non sanno che già a malapena apprezzare altri beni che i beni se non quelli della terra, ed i cui appetiti furiosi si rivolgono, come verso una meta finale, dal lato delle ricchezze, per la cui moltiplicazione il genio del giudeo sembra essere stato creato apposta. In questo dato momento, come non ammettere che la razza giudaica tiri fuori dal suo seno qualche Giuseppe dotato dei doni necessari all’organizzazione e al governo di qualche colossale Egitto? … un qualche Mosè suscitato per organizzare, per dirigere verso la terra dei patriarchi? (Vedi tutti i suoi tentativi, tutti i suoi preparativi per assicurare il suo ritorno. Leggete tutti i suoi diari: – per esempio, Archives israélites, Univers israélite, ecc. ecc.) … qualche esodo formidabile, per distruggere l’orgoglio di qualche faraone? Come, almeno, non pensare che al di sopra di questi figli di Giacobbe, si possa incontrare, se li releghiamo ad un ruolo secondario, un grande politico, un uomo ambizioso, un genio abbastanza forte, grazie al supporto delle mobili e prodigiose risorse d’Israele, per governare le folle chiamate a recitare sotto i suoi ordini l’ultimo atto delle rivoluzioni ed impadronirsi del ruolo supremo? Ma, se non può  rassegnarsi ad essere solo il secondo di quel quel genio ambizioso la cui stella farebbe brillare ai suoi occhi il trionfo che la sua segreta ed terribile ambizione sogna, dove incontrerebbe allora Giuda quella leva di Archimede capace di sollevare il mondo? Dove mai sortirebbe la popolazione giudaica necessaria per questo esodo trionfale, per questa conquista del potere universale, per l’esercizio di questo prodigioso dominio che i popoli conquistati o sedotti devono subire e accettare? Non possiamo dirlo, e tuttavia risponderemmo senza il minimo imbarazzo: sarà ovunque; ed inoltre, se sarà necessario, sarà in un luogo determinato, un qualsiasi luogo! Sarà ovunque, perché è lì che abita il giudeo, questo popolo il cui flusso mobile e cosmopolita si diffonde, come per una pendenza naturale, in tutte le pieghe di questo pianeta. Oppure sarà in un certo luogo, se le attività delle sette rivoluzionarie e di certi agglomerati giudaici vi hanno preparato, in Europa o altrove, la sorpresa di questi eventi. E il loro arrivo può essere rapido, perché già ai nostri giorni, cioè nei primi giorni dell’era del progresso materiale, uno sbuffo di vapore è sufficiente, per terra o per mare, per trasportare moltitudini immense. Già, grazie all’apparente capriccio del caso, o grazie ai calcoli del genio, un intero popolo di Giudei si trova, come se fosse l’esecuzione di un piano a lungo desiderato, agglomerato in uno Stato che porta un nome ritornato moderno, il nome della Romania, il paese che Israele e i suoi avversari hanno chiamato con labbro unico la nuova Palestina. Ora, non dimentichiamolo: L’angolo di terra che il Danubio bagna, vicino ad annegare nel Mar Nero, e sul quale il nostro sguardo era appena fissato, ospita e condensa una forza che in pochi brevi anni è passata da venticinque a quasi cinquecentomila anime, una cifra che ci sembrerebbe enorme se i nostri occhi non la vedessero crescere e prestarsi ad uno sviluppo tanto rapido quanto mostruoso; se, inoltre, a poche ore da questa potente e crescente popolazione, la Russia, la Polonia, l’Ungheria e l’Austria la nutrono con sciami di questi figli di Giacobbe, la cui fecondità è confermata da un improvviso ed inspiegabile risveglio. (la sola Germania ne ha 1.250.000, l’Europa 3.238.000, ecc. – Geografia e statistica medica, ut supra, vol. II, pp. 132-135; 1857. –  Il nuovo Fremdemblatt ci dice, nell’aprile 1869, che l’Ungheria, ai confini della Romania, conta 500,000 Giudei). – Riassumiamo, quindi, e chiediamoci: Questa nazione universale, aiutata da tutto ciò che il nostro mondo contiene e produce di scontenti e di miscredenti; aiutata da tutto ciò che si chiama e si crede filosofo; aiutata da tutti gli uomini di ingenua filantropia; da tutti i sognatori privi di un credo definito, o la cui ignoranza non prende per guida che un cattolicesimo sentimentale; aiutata dall’associazione latente della massoneria universale, di cui i principali direttori del giudaismo sono l’anima e la vita; aiutata dall’associazione patente dell’Alliance Israélite Universelle, che raccoglie e salda al suo corpo gli elementi disintegrati di tutti i culti; non è questa nazione, noi diciamo, sulla via di diventare la prima forza del mondo? Padrona della stampa e dell’educazione; padrona dell’oro e dell’industria nella maggior parte dei regni; padrona del vapore che dà le ali ad intere nazioni formate in corpi d’armata (Prussia a Sadowa; primo tentativo, che sarà ben superato.), e li vomita su un punto dello spazio,  con meno sforzo che qualche anno fa una diligenza impiegava nel trasportare qualche famiglia borghese da una città all’altra vicina; in una parola, reclutando tutte le forze vive dei popoli, questa nazione potrebbe lasciar cadere come dal cielo, senza alcun  serio problema, un bel giorno, uno sciame di popolazione su un dato punto dell’Europa: Sulla Palestina, se questo è il suo scopo; su quella terra desolata, immersa in un lutto ineffabile da quando è rimasta vedova di Israele, e che vedremmo così prontamente restaurata, riprendere i suoi sorrisi e la sua gioia se, ancora una volta, si aprirà al popolo opulento e industrioso che un tempo fecondava il suo seno? Il giorno in cui piacesse a Israele approfittare di una delle grandi crisi che la politica rivoluzionaria sta preparando per il mondo, per effettuare questo rimpatrio, con quanta facilità le legioni ed i milioni di Giudei si lascerebbero trasbordare verso la Terra Santa! E lasciamo che il lettore, che è stato messo sulla strada per convincersi con il proprio ragionamento, ci permetta di fare un’ipotesi in cui includeremo come elementi solo i fatti resi possibili dallo stato attuale e dal corso delle menti e delle cose. Noi non supponiamo, per esempio, una di quelle crisi in cui conviene, per un ministro come il defunto M. de Cavour, cominciare in sordina, e riunire alla sua politica gli avventurieri malsani degli Stati vicini, per gettarli su questi e quelli territori limitrofi, oggetto della sua cupidigia; non ipotizziamo nemmeno una di quelle crisi maggiori per cui si tratta, per un ministro come M. de Bismark, di distruggere una sola ed unica potenza, sollevando contro di essa i suoi vicini ed i suoi stessi sudditi; queste due supposizioni, infatti, sarebbero troppo meschine; ma ammettiamo una di quelle terribili, immense crisi, uno di quei tormentoni europei la cui la fermentazione che comincia in tutti i popoli, fa presagire che coinvolga il mondo intero, e che, improvvisamente scatenata, precipita e schiaccia i regni gli uni contro gli altri. (Una mescolanza, per esempio, delle questioni dell’Oriente e dell’Europa, su cui l’America e parte dell’Asia interferiscono, trascinate dalla Russia e dall’Inghilterra, ecc, ecc.). La nostra ipotesi è ben stabilita, ben compresa … ci siamo! Tutto è in agitazione e si solleva; un terribile rumore di rovine risuona, perché vengono portati i primi colpi. Ma per un momento la mischia cessa; ci fermiamo, ci raccogliamo, la stanchezza e la vertigine danno una parvenza di calma: una calma sinistra durante la quale i cuori si preparano a riprendere il gioco finché non emerga un vincitore, finché non si compia la frantumazione finale di mezzo continente…. Un grido esce in quel momento e si ripete di bocca in bocca: i Giudei! I Giudei stanno entrando nella mischia! Ecco, ecco, i Giudei si muovono e appaiono, emergendo improvvisamente dal seno delle nazioni straniere, e prendendo forma come corpo di una nazione. Un favore crescente li accoglie, perché sappiamo che i Giudei, in mezzo a quelle folle i cui colpi sono sospesi, contano su nomerosi amici interessati e calorosi. Contano su quelli che le società segrete si sono arruolati in tutte le tenebre e nei conciliaboli dei due mondi; e noi sappiamo, da un secolo, quale fu nelle grandi guerre la terribile azione di queste società (si legga il protestante Eckert, l’Abbé Gyr, ecc.); essi contano su tutto ciò che maledice con essi Cristo, tutto ciò che sogna con essi lo sconvolgimento delle istituzioni e delle società cristiane; infine, essi contano, volenti o nolenti, su tutto ciò che soffre del male della cupidigia e dell’invidia; tutto ciò che si nutre di sogni malsani e di utopie demagogiche; tutto ciò che fermenta nel mondo delle idee false e dei sentimenti viziosi! – Loro? i Giudei, arrivare? è un sogno! Dove allora? – Un sogno? Vedremo. Guardate, il telegrafo, infatti, ha dato i suoi ordini ed il vapore sbuffa. Alcuni, là, favoriti dalle popolazioni o dai partiti, arrivano col passo delle valanghe, dopo essersi condensati in certe regioni della terra, dove, come nelle vicinanze delle rive del Danubio, le speranze con cui il futuro li lusinga si sono accumulati a centinaia di migliaia. Dal nord e dall’est, dall’ovest e dal sud, nei campi di battaglia della guerra e della politica, ecco arrivare, ecco cadere truppe rigonfie, e come la locusta del deserto, i Giudei di ogni lingua, gli arbitri improvvisati del mondo! … Questi nuovi arrivati, queste persone inaspettate, sono gli alleati dei russi, degli inglesi o di qualsiasi altro? Non lo sappiamo…. Ma volgi i tuoi occhi al mare, e in quelle navi cullate dalle onde, non vedete di nuovo nuove reclute? Su queste potenti navi? – Sì. – Su queste immense flotte? – Sì. I primi stanno salpando dai porti d’America; sono carichi di ausiliari e stipendiati. I porti di questo e quello stato in Europa hanno lasciato scappare gli altri. Equipaggiate dai Giudei, queste città galleggianti avanzano cariche dei loro emigranti raccolti su questa e quella costa, e come il gregge ramassato dei garibaldini dell’epoca, felici di militare al soldo d’Israele e di troncare un attacco della loro febbre cosmopolita abbandonandosi a qualche crociata disperata contro la Croce, con cui qualche popolo si segna ancora! – [La storia delle conquiste del tartaro Alessandro, di Tamerlano, assomiglia ad un racconto orientale. Ricordando ciò che il mondo ha visto, pensiamo a ciò che può vedere oggi che gli eventi non marciano più, ma saltano e coprono la terra come torrenti. Una campagna di quindici giorni ha appena trasformato l’Europa centrale; e, in un colpo solo, l’impero austriaco si è frantumato come un vetro, grazie ad indecisioni e viltà, grazie ai tradimenti orchestrati dalle società occulte di tutta l’Europa, e nonostante la forza, nonostante l’eroico coraggio dei suoi eserciti. Da quel sinistro e meraviglioso giorno, ed era ieri, quali nuovi, quali spaventosi progressi sono stati fatti nell’arte di distruggere e domare gli uomini! Abbiamo evitato di basarci sulle antiche profezie della Chiesa, che esamineremo in un altro lavoro, ed i cui testi annunciano in termini positivi i grandiosi eventi che ci sembrano in via di realizzazione. A maggior ragione lasciamo da parte le profezie di ogni origine che, soprattutto ai nostri giorni, tormentano il mondo. Il nostro unico scopo, sotto l’impero tirannico e atroce della politica dei fatti compiuti, che risale alla rovina del diritto cristiano; in altre parole, il nostro unico scopo, sotto il regno mobile dell’imprevisto, che oggi desola i popoli strappati al terreno fisso e solido della fede cristiana, è quello di far apparire, ad occhi sani e limpidi, un angolo del quadro vivente in cui si scontrano e cercano di muoversi gli eventi che qualsiasi osservatore può giudicare possibili. La maggior parte di essi sono contenuti in tre volumi del 1861, 1862 e 1863, che abbiamo riportato dal Piemonte: I futuri destini, – Commenti alle predizioni, ecc. – e Il Vaticinatore, Torino, Martinengo. – Una collezione francese, l’oracolo di M. H. Dujardin, aveva preceduto queste opere; Parigi, 1840, Camus] – Gli occhi degli uomini si volgono verso il grandioso teatro degli eventi; e alcuni tremano di indignazione impotente, mentre altri battono le mani. Poi, pacificamente o meno, le successive spedizioni di Israele si uniscono agli eserciti dei popoli che si uniscono per dare al mondo il suo padrone, e le sue flotte cadono sulla costa semiabbandonata della Palestina, dove, viaggio dopo viaggio, gettano i loro sciami trionfanti. Dimenticando che in tempi di disordini e vertigini rivoluzionarie le concezioni più strane si rivelano talvolta le più fattibili, si sorride all’ipotesi. Si sorride, si alzano le spalle; un modo facile e banale di decidere questioni difficili! Eppure, per sorridere, bisogna aver perso la memoria dei fatti a cui si è appena assistito; non bisogna voler ricordare che solo ieri una delle nazioni più potenti del mondo, la prima potenza marittima della terra, tremava davanti a un fantasma certamente meno formidabile di quello del Giudaismo; un fantasma che, sorgendo davanti all’Inghilterra, minacciava ogni giorno di prendere forma e privava del sonno i suoi statisti ed i suoi marinai. Sì, era ieri; e come dimenticare che, da un capo all’altro delle sue coste, l’Impero Britannico, aspettandosi e temendo valanghe di navi ostili, rivolgeva i suoi occhiali al mare, dove il vento che soffiava dalla parte dell’Unione si accontentava questa volta di portare minacce! Queste bande avventurose e improvvisate, conosciute come Feniani, non furono in un attimo il terrore dell’Inghilterra? Non fu forse che in un batter d’occhio, assurdo come era stato dichiarato il giorno prima, l’Inghilterra tremò davanti a loro? Se, lasciando da parte le sacre profezie, che darebbero al Cristiano una vittoria troppo facile, ci limitiamo a seguire con i nostri occhi il corso attuale degli eventi, il progresso delle dottrine, delle influenze e delle forze giudaiche non ci si mostra, scendendo su di noi dalle altezze del futuro, un nuovo tipo di feniani che, o dalla Romania, o da questo o quel punto del pianeta, il Giudaismo avrà tratto dal suo sangue? E, prima o poi, cosa si può dire a queste parole, a questo grido: Eccoli, lanciati dal vapore nei loro carri da guerra, o su navi armate con i loro milioni, coperte dai loro soldati, e accanto ai quali si dovranno senza dubbio contare le flotte e gli eserciti di qualche coalizione di potenze. Un grande spettacolo che, in questa forma o in un’altra, non importa quale, si compirà un giorno, con immensa sorpresa di coloro che la natura delle loro menti e la forza dei loro studi preparano così fortemente a non vedere nulla. – I Giudei, i Giudei! sarà gridato quasi improvvisamente da tutte le parti, in una delle grandiose crisi in cui i popoli gettati insieme, scagliati gli uni contro gli altri, si mescolano come corpi schiacciati. E i Giudei avanzano! Non hanno appena messo a capo uno dei loro? O almeno non hanno appena acclamato, senza chiedergli qual è il suo sangue, un conquistatore, un uomo dotato del genio dell’inganno politico, un sinistro fascinatore attorno al quale si affollano moltitudini fanatiche? Tutti insieme prendono a chiamarlo il Messia; ascoltiamo, ascoltiamo! Tutti insieme lo chiamano freneticamente il salvatore, la gloria, la pace e la gioia del mondo. Trasportato dalla corrente di questa forza militante, appare lo strano trionfatore, e queste grida lo precedono: Gloria e felicità alla terra liberata! Eccolo finalmente, il vero Messia; colui che maledice e scaccia ignominiosamente il Cristo, austero ed oscuro nemico dell’uomo; colui che schiaccia l’infame, colui che ne purifica il mondo. Egli è l’apostolo ed il principe della fratellanza universale; la sua santa missione è quella di unire gli uomini, di unificare i popoli e di colmarli dei beni della terra. La sua legge suprema è il godimento di tutti i beni ed i piaceri, che è stata ignorata ed oltraggiata fino ad oggi da tutti gli ingannatori e ipocondriaci che, sotto il segno detestabile della croce e sotto il bastone dei Vescovi, docili al governo della tiara, hanno tiranneggiato la terra! Per un momento stupito, il mondo si arresta, esita; poi, da tutte le parti, i popoli, in armi e semidistrutti, gridano: A noi, a noi il Messia dei Giudei; che viva e che regni! Abbiamo la pace e la gioia di cui egli riempie gli uomini, e che tutte le nazioni della terra siano una sola nazione sotto il suo scettro. Egli è il re dei re. Felici ed orgogliosi di essere suoi luogotenenti, che i nostri governanti di tutte le date siano umiliati sotto la forza del suo braccio. Che sia il nostro monarca, il nostro padre; no, che sia il nostro Dio! Popoli, inginocchiamoci e crediamo alla sua parola: che l’umanità, l’unico vero Dio della terra, adori in questo rappresentante il più mirabile e divino di tutti gli uomini! Ma a cosa serve questo quadro di fantasia, in cui, evitando ogni intervento soprannaturale, ed ogni impossibilità politica, si noterà la cura che abbiamo avuto nel riunire certi tratti che le tradizioni dei popoli attribuiscono ai giorni tormentati dell’Anticristo? A cosa servono questi elementi che la nostra penna sembra dare come per anticipazione la forma definitiva della storia? Perché se è inequivocabile per l’osservatore che vuole porsi al di fuori di ogni profezia che qualcosa di nuovo, incredibilmente immenso, si sta preparando, sta fermentando nel mondo, e viene persino annunciato a favore della nazione giudea da precursori, non è affatto men certo, quando si tratta di rivoluzioni il cui ardore a lungo represso minaccia di rovesciare il mondo, che l’evento atteso sotto un aspetto, ama presentarsene sotto un altro, ed entra in scena solo attraverso una delle porte i cui battenti sembravano rifiutare di aprirsi. A cosa serve questo quadro, ripetiamo, se non a notare che, nel mondo rivoluzionario appena nato, gli eventi indicati, lungi dall’avere il minimo carattere di impossibilità, sono possibili da tutti i punti di vista, e sono possibili in mille modi! (Attenti come eravamo a prendere in considerazione, in termini di elementi storici solo realtà palpabili, non ci siamo preoccupati che dei Giudei, ed abbiam o omesso, nella costruzione della nostra ipotesi l’intervento delle dieci tribù d’Israele nella costruzione della nostra ipotesi. Alcuni uomini seri e dotti sostengono, e noi non lo ignoriamo affatto, che il nucleo di queste dieci tribù, relegato in una delle oasi interne dell’Africa, forma lì il nucleo della dell’Africa, forma un popolo a parte, pronto a venire, un bel giorno, e con un nuovo esodo, a gettare un peso inaspettato nella bilancia degli eventi …..) – Ed è in vista delle possibilità di questo futuro che, pur mantenendo per i Giudei i sentimenti di sincera fraternità che l’uomo civilizzato deve ad ogni altro uomo, noi provochiamo chiunque si degni di iniziarsi alle cose e alla persone di questo mondo, a formarsi l’idea di un ruolo immenso e improvviso che potrebbe svolgere in questo mondo il più tenace e scaltro, il più anticristiano e il più cosmopolita dei popoli, quello che, presente in ogni paese, non cessa di essere cittadino di una nazione straniera; colui che con un  tratto do telegrafo può, in un istante, agglomerare su uno stesso punto flotte ammassate; in una parola, colui che tiene nelle sue mani il prezzo di tutte le cose, e, se la storia moderna non ci inganna, colui che tiene più o meno il prezzo di tutti gli uomini, il segno di ogni potere e di ogni godimento, il talismano universale, il re dei metalli e degli imperi decristianizzati: l’oro.

IL MESSIA GIUDAICO (1)

LA SITUAZIONE (6)

LA SITUAZIONE (6):

DOLORI, PERICOLI, DOVERI E CONSOLAZIONI DEI CATTOLICI DEI TEMPI PRESENTI

OPERA DI MONSIGNORE G. G. GAUME PROTONOTARIO APOSTOLICO

Custos, quid nocte?

Sentinella: che è della notte?

ROMA tipografia Tiberina – 1861

PERICOLI

Lettera Sesta.

Caro Amico.

Nel dipingere il quadro della situazione presente, io ho toccato dei dolori dei Cattolici. E di fatto dopo il Calvario, ne conoscete voi di più legittimi e pungenti? Mirate all’Oriente: che cosa vi è dato di vedere? La Cocincina, cinquecentomila Cattolici, inseguiti da tre anni come bestie feroci, e fatti preda a tutti gli orrori della fame, delle prigioni, e delle torture. In Siria, vera carneficina di Cristiani; tale massacro, che per numero di vittime, raffinamento di crudeltà, durata ed estensione di sterminio, si distingue da tutti gli altri. Volgete i vostri sguardi all’Occidente: che spettacolo! – Il regno del demonio che si allarga con rapidità inaudita; un mondo che si dice cristiano, levatosi contro Dio e contro, il suo Cristo, in tutti i tuoni ed in tutte le lingueprorompe in insulti e bestemmie, pigliando a giuoco egualmente la loro autorità, le loro promesse, le loro minacce. Tutta una famiglia di popoli battezzati che calunnia la migliore delle madri, cui senza modo oltraggia; anzi la spoglia, la caccia in bando dal suo ultimo asilo, guerreggiandola con più accanimento che non faccia ai Turchi sterminatori dei loro fratelli. – I principii più sacri del diritto pubblico calpestati con un cinismo fin qui senza esempio;  la libertà umana, prezzo di un sangue divino, tradita, crocifissa; la proprietà, la famiglia scosse dalle loro fondamenta; l’ipocrisia di Giuda, la viltà di Pilato, la fellonia sotto tutti i nomi; e il furto, e’ il brigantaggio; e’ l rovesciamento di tutte cose divine ed umane elevati in diritti, ed anche in doveri: in fine, e soprattutto l’ingratitudine, e l’insensibilità dei colpevoli: ecco un de’ lati del quadro. Vedete da un altro lato quel Vecchio assai meno venerabile dai suoi capelli bianchi, che dalla sua dignità suprema e dalla sua angelica dolcezza, abbeverato di umiliazioni; quel Re il più legittimo di tutti i Re, che è passato facendo il bene, accusato di essere un malfattore; quel santo Pontefice, che non ha cessato di amare, di pregare, e di benedire, riserbato alla prigionia o alla morte: quel Rappresentante della libertà del mondo, condannato come un tiranno; quel Padre che piange, e domanda, ma invano, a coloro che si appellano suoi figli, se non qualche consolazione eguale ai suoi dolori, almeno in conto di elemosina qualche soccorso efficace nella sua estrema angoscia. Nessuna voce potente risponde alla sua; egli è costretto a dire: Ho nutrito ed esaltato dei figli, ed essi mi hanno dispregiato! Filios enutrivi et exaltavi; ipsi autem tpreverunt me! In tal guisa, Calvario sempre all’oriente ed all’occidente, e sempre la Chiesa nostra madre coronatavi di spine e crocifissa: in Oriente dagli infedeli, in Occidente dai suoi proprii figli. Al certo nulla manca alla scena del Golgota. Ed ecco, mio caro amico, il soggetto delle nostre lagrime, e delle lagrime di tutti i Cattolici. Dopo i dolori vengono i pericoli. Allorché il supremo attentato contro a Roma sarà consumato, gli spogliatori ed i loro adepti diranno: Egli è già un fatto compiuto; e si affetteranno di non più pensarvi. Ma noi, Cattolici, noi diremo: Gli è un fatto appena cominciato. Onde staremo in guardia; che l’ora dei perigli sarà arrivata, instabunt tempora periculosa. Che dico? amico, ormai ci siamo. E permettetemi ch’io v’indichi in questa lettera un pericolo terribilissimo, a cui un numero troppo grande di persone non ha saputo sottrarsi; il pericolo del sofisma. – satana è mentitore per natura, mendax; è padre della menzogna: pater mendacii. La prima rivoluzione fu fatta mediante una menzogna: eritis sicut dii. Figlie di questa, tutte le altre rivoluzioni vengono fatte con lo istesso procedimento. Più esse sono gravi; e viemaggiormente mentiscono; Ora oggigiorno le menzogne, le ipocrisie, isofismi, tessuti con un’arte infernale, vanno attorno fra noi più numerosi che gli atomi nell’aria; talché volumi interi non basterebbero a contenerli; onde mi limito a segnalarcene due o tre, intorno ai quali si aggruppano infiniti altri. Abbiamo veduto, che da quattro secoli in qua, una delle più discrete, ma più costanti sollecitudini dei governi cesarei fu di spogliare le Chiese particolari; soccorrendo la legge Civile, fatta dai medesimi spogliatori, che venne a consacrare il furto. Imperocché essa ha tenuto, e voluto, si tenessero per legittimi proprietari i possessori dei beni usurpati. Con un’audacia inaudita, si è domandato alla Chiesa madre ratificasse lo spogliamento delle sue figlie. Minacce di scisma, ostacoli di ogni genere all’esercizio della sua autorità spirituale, nulla è stato omesso per istrapparnele il consenso. La Chiesa Romana, per timore di mali maggiori, si è rassegnata a ben dolorose concessioni, contentandosi di esigere dai Governi una conveniente indennizzazione per le Chiese spogliate dei loro possedimenti. Questa è la base di tutti i moderni Concordati. – Or che cosa fa oggidì la rivoluzione? Rivolge contro la madre gli argomenti adoperati con successo contro le figlie. Da più tempo il fuoco della ribellione è fomentato negli Stati Romani; denaro, calunnie, derisioni sacrileghe, agenti segreti ed agenti accreditati, violenze aperte, ogni mezzo è stato messo in opera, per rendere impossibile il governo temporale del Santo Padre. Quando il suolo fu tutto minato, sì che una sola scintilla bastava allo scoppio finale, si è venuto a dire alPapa: « La vostra postura, Padre Santo, non può più sostenersi. Nel vostro vantaggio, e per causa di tranquillità pubblica, riconoscete il fatto compiuto. Imitate Pio VI vostro venerabile predecessore; consentite a smettere una parte dei vostri dominii; e in sì fare, voi non vi spoglierete, che gì’ imbarazzi. Che in conto d’indennizzazione, le nazioni cattoliche vostre figlie devote, vi forniranno magnifica dotazione ».

« Non potete, SS. Padre, trovare cattivo per la Chiesa di Roma, quello che trovaste buono per le altre Chiese. Voi avete loro detto: un fatto violento vi ha tolti i vostri beni; e Noi ne siamo profondamente afflitti; ma contro la forza non è resistenza da opporre. Per lo bene delle anime, noi rinunziamo ai vostri diritti: onde voi accettate in cambio il trattamento stipulato. Né poi la Religione perirà, per essere voi meno ricche. » – Ridotto alla sua più semplice formula, questo discorso melato è un’argomentazione, men perdonate l’espressione, degna di un assassino di strada: « Io vi ho rubato jeri; dunque io ho il diritto di rubarvi oggidì. Ieri voi vi siete lasciato spogliare, e non ve ne è venuto tanto male; a resisterti oggi, oltre che tornerebbe pericoloso, sarebbe un mancare alla logica, e mentire ai vostri atti precedenti ». Se l’insolenza è odiosa, il sofisma per altra parte è palpabile. – Le concessioni dolorose che la Santa Sede ha creduto di poter fare in detrimento delle Chiese particolari, non può in verun conto farle per se medesima. Primieramente, un giuramento solenne prestato da ciascun Sommo Pontefice vi si oppone: in secondo luogo, con forza non minore vi resiste l ‘interesse della Chiesa universale. Tanta verità vi salterà certo agli occhi. – Che le Chiese di Francia o di Spagna, per esempio, siano per le loro temporalità sotto la dipendenza dei Governi; che questa dipendenza metta ostacoli più o meno alla loro libertà di parola o di azione; questa è grande sciagura, non ha dubbio; nondimeno è sciagura locale. Chequeste Chiese non avendo l’incarico di insegnare a tutte le Nazioni; né la verità cattolica, né il governo generale della Chiesa soffriranno essenzialmente a cagione della loro servitù. Ma ove si tratti della Chiesa di Roma, la questione è tutt’altra. A che diverrà l’insegnamento universale della verità, ed il governo del mondo cattolico, se la metropoli della verità, la maestra di tutte le Chiese cessa di essere appieno indipendente? Come il suo augusto Capo adempirà la missione divina di confermare i suoi fratelli nella fede, dappertutto, e sempre, se non è al tutto libero della sua parola e dei suoi atti? E supponendo pure che egli potesse dare tale insegnamento, che diventerebbe l’autorità di esso? Nelle parole del Papa spogliato di sua indipendenza territoriale, ospite, vassallo, o pensionato di chi che si fosse Sovrano, gli uomini saranno sempre inchinati a temere dell’influenza del padrone. La malignità stessa si studierà di cercarla, lo spirito d’insubordinazione, il mal volere, o la gelosia nazionale sapranno trovarla. E sì l’obbedienza cessa di esser cieca e filiale: essa comincia a dubbiare, sin che per tal modo la fede va a perdersi. E colla fede perisce la libertà umana. Questa libertà, che consiste in resistere fino al sangue, anziché piegare sotto il giogo dell’errore e della iniquità; questa libertà a cui il mondo deve tutte le sue glorie, sta e si posa essenzialmente sopra la fede immobile alla verità ed alla giustizia. Fate di rendere sospetto l’organo autentico dell’una e dell’altra, e l’uomo, anziché ubbidire sino al sangue, non ubbidisce affatto. Imperocché il governo della parola perde tutta la sua autorità; sostituitovi il governo della spada. Il Papa adunque in difendere la sua indipendenza, non è Ancona, né Bologna, né Roma, né qualsivoglia altro pezzo di terra che difende; ma tutela la più gloriosa prerogativa dell’uomo, quella di cui giustamente e’ si mostra più geloso, e di cui va più superbo, cioè la libertà; la libertà di tutti, la libertà del mondo. E vedremo fra breve come Pio IX nella sua eroica lotta, difende tutt’altro, che cosa di mondo. – Passiamo ad un secondo sofisma. « La Chiesa, si dice, sussistette anche senza indipendenza territoriale, né però il governo della parola fu meno potente. L’indipendenza territoriale non è dunque necessaria alla Chiesa ».

Ciò è un voler prendere il fatto pél diritto; o meglio un voler confondere i tempi e le circostanze a fine di intralciare la questione, e per diletto di fare un sofisma di più.. Ecco qual è la verità: nello stabilire la Chiesa, il Figlio di Dio le diede tutto quello che era necessario per conseguire il suo fine. Fine della Chiesa è la santificazione delle anime mediante il libero esercizio della sua autorità spirituale. Or l’indipendenza materiale della Chiesa Romana è necessaria all’esercizio dell’autorità spirituale del S. Padre, organo e Capo supremo della Chiesa. – Così appunto hanno dichiarato ben tante volte nei secoli passati i Vicari di Gesù Cristo; e nei tempi moderni Pio VI particolarmente, e Pio IX. Come l’avete e bene spesso inteso, il semplice buon senso lo dichiara così altamente, che è inutile di insistervi. L’indipendenza materiale della S. Sede è dunque di dritto divino. Senza dubbio, la Chiesa Romana non ne ha goduto sin dalla sua origine. Ma che? sivorrebbe forse che ella avesse posseduto l’indipendenza territoriale nel centro medesimo di un impero, il cui capo era Nerone? Ma perché, non poteva in quelle circostanze mettersi in effetto, non però il diritto era né meno reale, né meno necessario. Onde quando più tardi la Chiesa lo rivendicò ed esercitò, certo non inventò un diritto nuovo, ma semplicemente proclamò il diritto inerente alla sua costituzione. – Si aggiunge « che nei primi secoli, allorché la Chiesa Romana non godeva di alcuna indipendenza territoriale, il governo della parola non fu mai più potente». Bene mel so; ed i sanguinosi annali dei martiri ne sono la prova. Chi dunque imprimeva alla parola del Pontefice Romano la sua autorità onnipotente? In mancanza dell’indipendenza materiale, pegno visibile della libertà del suo insegnamento, Pietro offriva la sua indipendenza morale; egli dava la sua vita. In mezzo dell’anfiteatro, sotto la scure del carnefice, o sotto il dente delle tigri, a vista di un popolo immenso venuto da tutte parti del mondo, il Vescovo della gran Roma, il Padre dei Cristiani lasciandosi coraggiosamente immolare, dava sicurtà alla verità del suo insegnamento. Da Nerone sino a Diocleziano in simile guisa i Papi segnavano le loro bolle.» Come non credere a tali testimoni che si lasciano scannare, esclama Pascal? « Si credeva dunque: e la fede si posava sul martire. –  Questo stato di cose doveva forse, poteva forse durar sempre? Era cotesta un’esistenza regolare? Certo che no. Precisamente perché la Chiesa è militante, ed aveva gloriosamente combattuto, essa doveva crescere di conquiste. Col procacciarle l’indipendenza materiale, queste stesse conquiste, affine di rendere autorevole la di lei parola e comandare la fede, dovevano francarla dal martirio. Ecco, mio caro amico, la ragione profonda di questa indipendenza, che si cerca oggidì di rapire alla Chiesa. satana sa bene quello che fa. Come questa questione ha rapporto sì al presente, e sì all’avvenire, io aggiungo poche altre parole. I fatti d’accordo col ragionamento mostrano ad un tempo l’esistenza e la necessità del diritto sacro alla indipendenza. In effetto relativamente alla sua indipendenza territoriale, la vita della Chiesa si vuol considerare in quattro periodi. Il primo dal suo cominciamento sino a Costantino. A quest’epoca, nessuna indipendenza territoriale; ed è l’era delle persecuzioni e dei martiri; l’impero di satana sul mondo; il regno della Chiesa, potenza puramente spirituale, ristretto a semplici individualità. – Il secondo da Costantino a Carlomagno. A quest’epoca, indipendenza territoriale incompleta e mal definita; ed è, come è stato osservato prima di noi (Muzzarelli: Ricchezze del Clero), l’era delle tribolazioni e delle vessazioni incessanti della S. Sede; l’era delle eresie, che pullulavano come la zizania nel campo, senza difesa sufficiente del padre di famiglia; l’era delle lotte della Chiesa contro satana, che le disputa ancora palmo a palmo il terreno. – Il terzo da Carlomagno sino al rinascimento del paganesimo. A quest’epoca, indipendenza territoriale completa ed autentica: ed è il regno sociale della Chiesa sostituito a quello di satana; la sovranità visibile di Gesù Cristo dappertutto riconosciuta; disfatta di tutte le eresie, di cui nessuna giunge a tale di potenza, da prender radice nel suolo dell’Occidente. – Il quarto, dal rinascimento del paganesimo fino a noi. A muovere da quest’epoca, l’indipendenza territoriale della Chiesa è attaccata di nuovo, e, come l’abbiamo visto, molto tempo prima di Lutero. Quind’innanzi questa indipendenza diviene a più a più manca. Bentosto ricomincia l’era delle tribolazioni, degli scismi, e delle eresie. – Il regno sociale della Chiesa si indebolisce sensibilmente a veduta d’occhio, intanto che quello del male s’aggrandisce in proporzioni eguali. In fine, al dì d’oggi si tenta riportare la Chiesa al suo stato di dipendenza completa, e di potere puramente spirituale, regnante, come ai giorni delle catacombe, sopra semplici individui. Cesare ed il Papa sono l’un al cospetto dell’altro! Dio non voglia che domani ricominci l’era delle persecuzioni e dei martiri! Per tal guisa voi ben vedete a che stiamo, mio caro amico; la storia intera mostra l’autorità spirituale della Chiesa aumentare o diminuire nelle stesse proporzioni che si aumenta o diminuisce la sua indipendenza materiale. I fatti che ho finora indicati, nella loro alta significazione ricevono forza da altro fatto non meno costante. Ed è che si pretende l’indipendenza territoriale non essere necessaria alla Chiesa; le ricchezze del Clero essere piuttosto un male che un bene; la povertà convenire assai meglio alla sposa di un Dio povero, e conferirle, oggidì soprattutto, autorità morale più universale e più rispettata. – Ma se la cosa è tale, donde deriva che tutti i principi, tutti i popoli, in tutte le età in cui si è maggiormente amata la Chiesa, l’hanno circondata di rispetto tanto filiale, e si son dati premura di accrescere la sua indipendenza materiale, facendole omaggio di ricche proprietà, e qualche volta di città e di provincie? Il loro amore fu ben cieco! Per poco che fosse stato chiaroveggente, ei se ne sarebbero astenuti; meglio chiaroveggente, avrebbero ridotto la Chiesa alla dipendenza, ed alla mendicità. Al contrario, i principi eretici e scismatici, e i governi empii e rivoluzionarli, che hanno spogliato la Chiesa, e le impediscono di acquistare, essi sì che hanno soli compreso i veri interessi della religione! ……

A questo modo Costantino, Carlomagno, ed i loro imitatori furono stolti e cattivissimi cristiani ; Errico VIII, ed i suoi somigliami furono uomini di buon senso e cristiani veramente evangelici. Garibaldi, e Vittorio Emmanuele, che oggidì non lasciano più al Papa ove riposare il capo, sono i due primi cattolici del mondo! E vi sono delle buone teste che si lasciano prendere ad un simile sofisma, che lo difendono, che lo propagano, che lo fanno accettare! Ora ne rimane un altro: ma di esso riserbo ad altra mia lettera appresso.

Tutto vostro ecc.

IL MESSIA GIUDAICO (2)

Roger Gougenot des Mousseaux

– IL GIUDEO, Il giudaismo e la giudaizzazione
dei popoli cristiani –

2e édition
Paris: F. Wattelier, 1886

CAPITOLO DODICI. (2)

PRIMA DIVISIONE.                              

IL MESSIA GIUDAICO – II –

Questo linguaggio è abbastanza forte, abbastanza chiaro? – Bene, a sua volta, il presidente del lavoro di Gerusalemme, il grande rabbino Isidoro, sebbene sia l’uomo del progresso, cioè della riforma dogmatica del Giudaismo, usa questo linguaggio: « Gerusalemme è per tutte le religioni la città dei ricordi; per noi è allo stesso tempo la città del passato e del futuro. » (Archives israélites, XI, p. 495; 1868). La vera patria, la patria del cuore e definitiva di ogni Giudeo, è dunque ancora e sempre la Giudea! Altrimenti non c’è Giudaismo! Da qui l’importanza dei pellegrinaggi in questa città, riprende dal canto suo la frangia israelita ostile alla riforma; perché è « rompendo con le nobili tradizioni, diventando indifferenti alle migliori memorie della religione e del proprio paese, che si pronuncia la propria rovina. Gli autori del Rituale lo hanno capito perfettamente quando, nell’ufficio delle grandi feste (Preghiera di Moussaph, per le tre feste),  legarono la speranza della restaurazione d’Israele a questo stesso pellegrinaggio, che è riecheggiato da migliaia di bocche in questi giorni solenni. » – « Pensieri messianici e pensieri di unione universale vengono a noi in gran numero in questo momento; ma se, secondo le parole infallibili dei profeti e le nostre buone e antiche credenze, » si dice che moltitudini di popoli devono un giorno andare al monte Sion e alla casa del Dio di Giacobbe, » o scandalo! … e come tollerarlo? « I dottori della riforma giudaica sembrano credere il contrario »; cioè, che noi Israeliti andremmo « ai templi dei culti stranieri! » E dal pulpito i rabbini mettono in ridicolo le speranze della restaurazione messianica di Giuda! (Universo israelita, II, pp. 67-54; 1866. Id. IX, p. 386; 1867. Da tutte le parti, ahimè, soffriamo; ed è in presenza di questa persecuzione continua, di questo martirio ininterrotto di Israele, che i nostri dottori riformatori in Germania hanno abolito il Messia, la liberazione, le preghiere e la speranza del futuro! »  (L’Univers israélite, p. 147, XX anno; Parigi, settembre 1864). – Oh no, per un cuore veramente israelita, un tale pensiero sarebbe un crimine! Qualunque sia la lingua che si parli fuori, questo Messia è seriamente, impazientemente atteso. Tuttavia, anche tra i Giudei che sono rimasti fedeli alle tradizioni rabbiniche, la maggior parte dei dottori nega la natura divina di colui che Israele attende con una fede che i secoli non possono spegnere e che il minimo soffio ravviva. Questo Messia, – ci dice un antico rabbino, i cui profondi studi lo hanno riportato nel seno della Chiesa ai nostri giorni, e che si è sforzato di rendere i suoi correligionari partecipi della sua felicità, – questo Messia sarà, secondo la credenza contraddittoria e grottesca dei dottori, un uomo del sangue di Davide, ed il cui modo di nascere non avrà nulla di miracoloso. « Egli sarà dotato dello spirito di profezia, e avrà un olfatto così fine, che per mezzo di questo senso discernerà tutte le cose! ….. Tuttavia, non raggiungerà la perfezione di Mosè… » L’oggetto della sua missione sarà di liberare l’Israele disperso, di liberarlo dalla cattività in cui le nazioni lo costringono a gemere, « e di riportarli in Terra Santa dopo aver sconfitto Gog e Magog. » Tocca al popolo eletto ricostruire Gerusalemme ed il suo tempio; tocca a loro ristabilire e consolidare « un regno temporale la cui durata sarà quella del mondo… Tutte le nazioni saranno allora soggette ai Giudei, ed i Giudei disporranno di coloro che le compongono e dei loro beni a loro piacere ». Sposerà molte mogli ed i suoi figli formeranno la linea dei suoi successori dopo che avrà completato la sua lunga e gloriosa carriera. Questa è, per i Giudei giudaizzanti, una delle immagini della felicità promessa sotto il Messia che essi attendono! (Si legga Drach, seconda lettera, p. 99; Parigi, 1827). Secondo le più serie autorità giudaiche, il Giudeo francamente talmudico, e specialmente il Giudeo della folla, nutre ancora i suoi sogni solo con la dolce speranza della conquista delle nazioni cristiane che gli danno diritto di cittadinanza; della sottomissione dei miserabili risparmiati dal suo ferro; della spoliazione dei vinti! – Ma un simpatico aneddoto ci dà la misura ed il grado sempreverde di questa fede di Israele; e se il fatto che ci porta a conoscenza sembra provenire dai Giudei del Medioevo, non immaginiamo però che appartenga ai tempi passati: Appartiene al secolo stesso in cui viviamo. È del tempo in cui il Grande Sinedrio del 1807 aveva appena dato al Primo Impero le sue famose e toccanti risposte sulle qualità civiche e la carità edificante di Israele: risposte che un antico e dotto rabbino ha ridotto al loro giusto valore, ma che sono ancora in uso oggi, sotto la penna dell’avvocato giudeo Bedarride, per cui vendicavano finalmente la nazione giudaica di secoli di calunnie ed insulti di cui l’ingiustizia dei popoli l’aveva ricoperta! « Nella scuola dove sono stato a Strasburgo – ci racconta M. Drach, l’ex rabbino – i bambini hanno deciso di fare man bassa di tutte le pasticcerie della città alla prima apparizione del Messia. Hanno discusso su chi sarebbe stato il depositario di questo prezioso bottino. Mentre aspettavano i dolci, si prendevano a calci e pugni. Queste argomentazioni ad hominem portarono ad un accordo in virtù del quale, ognuno doveva tenersi quello che aveva preso. Per molto tempo ho redatto, a parte me stesso, l’inventario di un bel negozio all’angolo della Place d’Armes, sul quale avevo messo gli occhi. » (Drach, seconda lettera, p. 319; Parigi, 1827). Meglio di qualsiasi parola umana, il piano ingenuo, i dibattiti, le lotte e le convenzioni dei giovani talmudisti d’Alsazia, compagni di studi del dottissimo Drach, nostra vecchia conoscenza, descrivono con tratti tanto caratteristici quanto indelebili le dottrine positive della religione che i loro maestri inculcavano loro! – Fu così con tutta la serietà della fede inculcata nell’infanzia che, nel XIX secolo, e in una delle principali città della Francia che si affrettò a proclamarli cittadini francesi, si vide la credenza nel Messia talmudico, cioè nel Messia che doveva sterminare e spogliare i Cristiani, farsi più pronunciata tra i Giudei  fedeli alla loro legge religiosa. Che cosa ti aspetti”, si potrebbe dire, “ai Giudei che languivano allora in un’ignoranza così crassa e disgustosa! – Ma no, per favore! No, per favore, questa scusa ripugna ai Giudei; e nel tono più forte possibile, l’organo stesso della Riforma giudaica pronuncia queste parole: Che lo si creda o no, « se l’educazione della gioventù occupa un grande posto nelle preoccupazioni del presente, se essa è diventata la questione capitale, tanto che da un estremo all’altro dell’Europa si grida contro l’ignoranza, si può affermare che è stata da tempo immemorabile in Israele una delle questioni che più hanno occupato i rabbini ed i capi della nazione; e che mai è esistita tra noi questa ignoranza che si vuole estirpare oggi. » – « Esclusivamente religiosa fino a quel momento, era, per così dire, gratuita ed obbligatoria. L’emancipazione, abbattendo tutte le barriere, aprendo un vasto campo all’attività dei Giudei e mettendoli su di un piano di completa uguaglianza con i loro concittadini di altre fedi, gettò lo scompiglio in tutte le loro organizzazioni ed abitudini, soprattutto in Francia, dove hanno dovuto abbandonare i loro idiomi particolari per adottare la lingua del paese. » Infine, « l’istruzione religiosa ha subito i contraccolpi di questo felice cambiamento che fu per essa il segnale della decadenza », così come fu per le scienze profane in Israele il segnale del progresso! (Archivi israeliti, XX. p. 945-46; 1867. Strano elogio della propria religione, chiamare felice il cambiamento che porta alla sua decadenza! – Il talmudismo, cioè l’ortodossia farisaico-rabbinica, vi ricevette il più grave fallimento; perché, come ci dice l’antico Rabbino Drach: « Nelle scuole teologiche i corsi erano limitati unicamente al Talmud; il testo della Bibbia era trascurato. Il curriculum delle scuole talmudiche è stato da allora aggiornato; ma è a spese del Talmud ….. che la scienza talmudica è diminuita molto. » Drach, Arm. tra Chiesa e Sinagoga, vol. I, p. 234; 1844. L’ortodossia ne è influenzata; e più si affievolisce, più il Giudeo diventa accettabile). – Ma questo aneddoto che Drach ci ha raccontato senza che sembri sentirne l’importanza, e che sembra riportarci indietro di parecchi secoli, crediamo di doverlo avvicinare al racconto di M. Crémieux, che, nel suo discorso all’assemblea generale dell’Alliance Israélite Universelle, ci dipinge, in questa stessa data e con uguale ingenuità, lo stato pietoso del Giudeo, così diverso dal suo stato trionfante nel momento attuale. – Leggiamo e meditiamo le storie di questi due figli d’Israele, in cui la marcia ed i segni dei tempi si rivelano con un’energia così potente e comica. « Come tutto è già cambiato per noi, signori, in così poco tempo! Quando ero un bambino…, non potevo attraversare le strade della mia città natale senza ricevere qualche insulto. Quante lotte ho sostenuto con i miei pugni! Bene, qualche anno dopo finii i miei studi a Parigi; e quando tornai a Nîmes, nel 1817, presi il mio posto al bar, e non ero giudeo per nessuno! Vidi presto i Giudei conquistare posti elevati, e la mia gioia è stata grande. Sì, io vi dico, signori, che sono orgoglioso dei Giudei, e mi si passi questo sentimento di vanità; perché quando ero bambino essi non contavano nulla, e con l’avanzare dell’età li ho visti pieni di ardore, pieni di coraggio, operosi, buoni cittadini, uomini utili: li ho visti conquistare in tutte le carriere una posizione elevata; ho sentito i loro nomi risuonare tra i più bei nomi con cui il paese si onora. Coraggio, amici miei, raddoppiate l’ardore vostri sforzi; quando il presente è stato conquistato così rapidamente e così bene, allora l’avvenire è bello! » (Archivi israéliti, I, p. 13; 1867). … Rimessa in luce la verità messianica, conserverà dunque oggi due sensi: secondo il primo, quello dell’israelita filosofico e progressista, il Messia non è un uomo, un personaggio, ma è l’epoca filosofica che vediamo prendere forma davanti ai nostri occhi, rovesciare le superstizioni religiose, gli edifici verminosi della Chiesa e del Talmud, e marciare improvvisamente in avanti, avanzare a passi da gigante, riempire il tempo e lo spazio con il rumore delle sue dottrine riformatrici, e trionfare a gloria del giudeo che ne è l’apostolo ed eroe; mentre il Messia è un uomo, un personaggio molto positivo, nel senso del giudeo dell’ortodossia bastarda, e del giudeo di ortodossia franca, che rimase nei paesi remoti dell’Europa, e nelle vaste regioni dell’Africa e dell’Asia, ciò che non erano all’inizio dei secoli i discepoli dei signori Drach e Crémieux.  Per questi fedeli, che formano la massa della nazione, l’epoca filosofica che stiamo attraversando non è che una delle tappe che preparano il Messia, l’uomo sotto la cui legge Israele deve un giorno piegare il mondo. [Non è inutile osservare, andando avanti, e prendendo atto della vitalità delle tradizioni messianiche, che le superstizioni più grottesche si mescolano provvidenzialmente all’attesa della turba giudaica, e testimoniano l’indefettibile e straordinario vigore della fede popolare. I rabbini seri ci insegnano, per esempio, che « secondo le antiche profezie, il Messia è venuto in un dato tempo; che non invecchia e che rimane nascosto sotto terra, dove aspetta di manifestarsi fino a quando Israele non avrà celebrato il sabato come si deve. I talmudisti hanno abusato di queste parabole interpretandole; e ci assicurano che questo Messia darà al suo popolo, riunito nella terra di Chanaan, un pasto il cui vino sarà quello di Adamo stesso; il quale vino è conservato dagli Angeli in ampie cantine al centro della terra ….. In questo pasto, si servirà il famoso pesce Leviathan, lungo due o trecento leghe, come antipasto; » tutto il popolo ne sarà saziato. « All’inizio Dio aveva creato il maschio e la femmina di questo singolare pesce; ma, poiché la loro posterità avrebbe potuto creare grande imbarazzo sulla terra, Dio fortunatamente cambiò idea e uccise la femmina, che salvò per il pasto del Messia. Altri rabbini aggiungono che il toro Behemoth deve essere ucciso per quello stesso giorno. Esso è così mostruoso che mangia ogni giorno il fieno di mille montagne. La femmina di questo toro è stata uccisa per lo stesso motivo, ma non è stata salata, poiché si preferiva il pesce. – I Giudei più ignoranti, – i veri Giudei, quelli della tradizione rabbinica, – giurano ancora nelle questioni importanti per la loro parte del Behemoth. Des Juifs au dix-neuvième siècle, etc., p. 45, di M. Bail, amico dei Giudei; Parigi, 1816, 2° ed. Queste assurdità, mescolate a immoralità di numero e qualità incredibili, come i nostri capitoli hanno mostrato, furono adottate come venerabili verità dalla immensa maggioranza dei Giudei ortodossi. – Si legga nel grave e dotto Drach, antico rabbino, la lettera seconda, pp. 300-330; id. in Armonia, ecc., vol. II, p. 489, ecc. Vedi id. tutti gli scritti in cui è stato versato l’inchiostro dei rabbini, per esempio i Vangeli apocrifi, di G. Brunet, pp. 343-374; Parigi, 1863, ecc.]. – Una cosa è dunque certa, qualunque cosa si dica, che la fede nel Messia vendicatore è viva e vegeta, e prodigiosamente radicata nelle viscere della nazione da un capo all’altro della terra. È la base della religione giudaica;  essa è l’ultima consolazione del giudeo; e, proprio nel corso di quest’anno 1866, i documenti trasmessici da corrispondenti stranieri testimoniano la sua singolare fermezza. Un fenomeno davvero incredibile in mezzo alla decomposizione provvidenziale che le credenze giudaiche hanno cominciato a subire da alcuni anni, e della trasformazione sensibile di Israele, presagio e foriero di eventi futuri. Fedeli a questa tradizione, i Giudei sono quindi attaccati « con straordinario ardore e fermezza, e si aggrappano alla speranza di vedere ben presto la venuta del Messia »; e per la maggior parte « Si aspettano che nasca tra di loro, o piuttosto tra certe famiglie privilegiate e ben conosciute. La principale vive nel punto quasi più centrale d’Europa, la piccola e orrida cittadina di Sada-Gora, nella Bucowina, un vero covo giudeo, e della peggior specie.  » (Altre famiglie messianiche esistono a Belz, in Galizia, a Kozk, in Podlachia, a Kozienica, governo di Sandomirz, ed in diverse comunità ebraiche dell’impero degli zar, ecc.). L’attuale capo di questa famiglia messianica è per gli ortodossi l’oggetto di un culto religioso, che sfiora il feticismo; perché si scopre in quest’uomo solo il più miserabile degli idioti. Piegato sotto il peso della vecchiaia precoce, con gli occhi spenti e incorniciati di rosso, Isrolka, – questo è il suo nome, – « è il giudeo più ricco di tutti i paesi slavi; e chi sa che cosa i Giudei di Russia e di Polonia accumulano di ricchezza nei loro tuguri in rovina, sa cosa significhi ciò. » Grazie alla speranza dell’imminente arrivo del Messia tra i Giudei dei paesi slavi, la famiglia Isrolka ha accumulato milioni da un secolo. « I capi di questa famiglia sono considerati degli operatori di miracoli (baalschem) tra i loro correligionari. Sada-Gora è attualmente il luogo d’incontro universale, il pellegrinaggio preferito, per così dire, dei Giudei di Russia, Polonia, Galizia, Bucowina, Moldavia e Valacchia. È un preciso dovere di fede per i seguaci della famiglia Isrolka, che sono centinaia di migliaia, visitare almeno una volta nella vita il capo di questa famiglia messianica e portargli dei regali. Si attaccano gioielli ai corpi dei membri di questa famiglia, come si farebbe con il corpo di un idolo; vengono ricoperti di ducati ed imperiali. L’avaro più incallito si priva di un pezzo d’oro per sacrificarlo al rappresentante del Messia e per farsi benvolere dalla sua famiglia. Ma né i Giudei che danno volentieri quest’oro, né quelli che lo rimpiangono, amano parlare di questi doni; e, a causa di ciò, si sa molto poco, da lontano, di questi pellegrinaggi a Sada-Gora. D’altra parte, i polacchi e gli stranieri che passano per Sada-Gora non possono lodare abbastanza l’abbagliante opulenza del palazzo del Messia, che sembra essere unico al mondo. » In mezzo a case miserabili e in rovina di piccoli mercanti ed usurai, si trova un palazzo ricco e grandioso, circondato da un certo numero di case eleganti, ma più piccole, e che servono come dimora dei figli e delle figlie sposate di Isrolka. Tutto ciò che si possa immaginare di più lussuoso e di magnifico, è raccolto negli splendidi appartamenti di queste case. Nel palazzo c’è un vero e proprio deposito di argenteria antica e moderna, che ammonta a diverse centinaia di migliaia di talleri. I più magnifici tappeti turchi, le più ricche tappezzerie damascate, si trovano a profusione nelle stanze che servono da abitazione, e questi magnifici oggetti sono devote offerte dei Giudei slavi! Serre ed aranceti disposti con gusto delimitano il grande parco. L’intero palazzo forma una dimora principesca, decorata e arredata con il lusso più raffinato. In mezzo alle sporche baracche di Sada-Gora, ha l’effetto di un palazzo fatato sperduto e fuori posto. Ed il possessore di queste ricchezze e magnificenze, il padre che deve generare il Messia atteso; il vaso sacro di un futuro glorioso a lungo sperato; il discendente di Davide, la cui sola vista è considerata come una felicità così grande da essere comprata a peso d’oro, quest’uomo che essi venerano come un essere soprannaturale, sembra un essere senza ragione, prossimo ad un animale » – Rebiche Isrolka è davvero un uomo privo di ogni facoltà intellettuale. Sotto i capelli bianchi che gli coprono il cranio, gli mancano lo spirito ed il pensiero; egli è vecchio innanzitempo, caduco senza motivo e senza ragione. Il suo linguaggio consiste solo di suoni inarticolati, comprensibili solo alla sua famiglia e al suo segretario intimo. Egli è stupido al massimo grado, si comporta quasi interamente come un bruto, emette grida selvagge e sonnecchia alla maniera degli animali. Tuttavia, quando deve apparire in strada, lo si sa sempre diverse ore prima, e tutte le finestre e le porte, tutte le strade e le piazze si affollano subito di persone desiderose di vederlo. La gente sale sui tetti e sugli alberi per guardare il capo della famiglia messianica; si combatte e si viene schiacciati per ammirare l’idolo. » – Rebiche Isrolka è sposato; ha figli e figlie, e la maggior parte di queste ultime sono sposate fin dall’infanzia. Ogni suo genero, scelto naturalmente tra i ricchi del paese, è tenuto a stabilirsi a Sada-Gora, e a costruirvi, nelle vicinanze del palazzo paterno, una casa simile, ma più piccola. A casa loro, e nei loro appartamenti privati, le sue figlie sono sempre vestite di velluto e di ricche seterie. I cafetani ordinari dei suoi figli e generi sono fatti dei tessuti più preziosi. I bambini hanno cameriere francesi, tedesche, inglesi e russe, governatori e tutori come i giovani principi e le principesse. » Numerosi impiegati si occupano degli affari della casa, che consistono soprattutto nella ricezione delle donazioni. Durante la mattinata, Rebiche Isrolka dà udienze, cioè riceve, assistito dal suo segretario intimo, qualche pellegrino annunciato con largo anticipo, si lascia fissare per qualche istante, senza pronunciare la minima parola ed accetta il dono tradizionale, che non può essere inferiore a dieci fiorini (25 franchi). Nel pomeriggio, va a fare un giro in macchina. Non molto tempo fa era seguito da una carrozza piena di musicisti; ma questo accompagnamento musicale non ha più luogo, probabilmente in seguito ad un divieto delle autorità ufficiali. » Il nonno di Rebiche Isrolka, più di quarant’anni fa, mostrò un lusso simile in Russia, e spinse la temerarietà del suo orgoglio fino al punto da tenere una guardia personale di venti cosacchi che accompagnavano continuamente la sua carrozza. L’imperatore Nicola, che per caso era stato testimone assistendo ad una tale scena, gli proibì categoricamente questo sfoggio di lusso orientale, e lo fece arrestare e gettare nella prigione di Kiew, perché questo giudeo aveva osato sfidare gli ordini del sovrano. I suoi numerosi sostenitori e la sua ricchezza gli aprirono le porte della prigione, e si rifugiò a Sada-Gora, nella Bucowina austriaca, dove l’imperatore Nicola lo rivendicò come suddito russo. Ma il denaro della famiglia Isrolka era più forte di quello dell’imperatore, e fece decidere a dodici contadini del Bukowine di affermare con giuramento che il rifugiato era nato a Sada-Gora. » Alcuni anni fa Rebiche Isrolka fu accusato di fabbricare denaro falso. Delle monete contraffatte erano uscite da casa sua e messe in circolazione. Questo fu un’occasione perfetta per i Cristiani di fare uno scherzo all’arrogante giudeo, il cui lusso insolente offendeva tutti. Rebiche Isrolka fu arrestato senza alcuna pietà, e nonostante le rumorose recriminazioni dei Giudei. Questo arresto causò una vera e propria rivolta. Isrolka fu messo in prigione e subì diversi interrogatori. Ma per quanto spesso lo si interrogasse, non si riusciva mai ad ottenere una parola da lui. Come era prevedibile, i sostenitori di Isrolka ed i membri della famiglia si riunirono per consultarsi su come ottenere il rilascio del padre del Messia. Ma il giudice a cui fu affidato il caso era uno di quegli uomini su cui le seduzioni non fanno presa; egli non era disposto a rilasciare un prigioniero contro il quale erano state mosse accuse così gravi. Dato che questo funzionario non poteva essere conquistato né con promesse né con minacce, cercarono di fargli perdere la reputazione presso i suoi superiori, cosa che si credeva possibile con l’aiuto del denaro. Ma questo piano non ebbe successo. » I sostenitori di Isrolka ebbero allora l’idea di togliere il loro capo dalle grinfie del giudice facendolo promuovere ad una posizione più elevata. Una deputazione con raccomandazioni solide e diplomatiche andò a Vienna; il giudice fu nominato consigliere della corte superiore e lasciò il paese. Il suo successore liberò Isrolka, assolvendolo per mancanza di prove. » La fabbrica di monete false è stata poi scoperta successivamente. Divenne così chiaro che era stato un grande errore credere che Isrolka e la sua famiglia fossero colpevoli della falsificazione del denaro. Queste persone non solo sono troppo ricche, ma anche troppo stupide per commettere un tale crimine. » [Dalla Volks-Halle di Lipsia, Monde, 9 gennaio 1866; – ibid. in parte, Universo israélita, I, p. 34; 1866, tradotto dal Fremdemblatt di Vienna, riprodotto dall’Israélite di Mainz del 30 maggio. – Id. in Archiv Israel, XIII, p. 591; 1866. Questa recensione anti-messianica si stupisce che giornali seri in Austria, dove si trova Sada-Gora, ed in Francia, ripetano questi fatti senza riserve]. Crediamo di dover seguire questo resoconto con un estratto molto curioso di una relazione fatta dal Dr. Buchanan nel 1810 alla Chiesa Anglicana, riguardante questa fede messianica, la cui perseveranza non è da meno tra gli israeliti dell’India rispetto alla parte più centrale dell’Europa. – « Durante il mio soggiorno in Oriente, ho trovato ovunque dei Giudei animati dalla speranza di tornare a Gerusalemme e di vedere i loro Messia. Ma due cose mi hanno colpito soprattutto: il ricordo che conservano della distruzione di Gerusalemme e la speranza che hanno di vedere un giorno questa città santa rinascere dalle sue rovine. Senza re, senza patria, parlano incessantemente della loro nazione; la distanza di tempo e di luogo non sembra aver indebolito in alcun modo il ricordo della loro disgrazia. Parlano della Palestina come di un paese vicino e facilmente accessibile… Essi credono che l’ora della loro liberazione non sia molto lontana e considerano le rivoluzioni che agitano l’universo come presagi di libertà. Un segno sicuro della nostra prossima libertà, dicono, è che in quasi tutti i paesi le persecuzioni sollevate contro di noi stanno rallentando. (Ovunque, dunque, rivoluzioni e catastrofi sono la speranza del giudeo ortodosso. Hist. des Juifs, di Malo, pp. 523-526).

CONCLUSIONE.

Arrivano dunque da tutte le parti i documenti, la cui moltitudine ci porta a riconoscere ciò che è stato riconosciuto da un’assemblea di dotti professori di teologia, con a capo un santo prete di origine giudaica, M. l’abbé Goschler: «I talmudisti – egli diceva – sono il nucleo indistruttibile della nazione che resisterà fino alla fine nella sua testardaggine e nella sua fedeltà nel conservare le scritture » (Goschler, Dict. encycl. de la théologie cathol., vol. XII, p. 453). E quando prestiamo orecchio a questi ortodossi incrollabili, acquisiamo sempre più la certezza che il Messia « è il perno della loro fede e della loro speranza! 3 (S. de Félicité – Vercruysse), La Régénération, p. 43; Courtrai, 1860). – Le parole in cui si esprimono le speranze e la fede immortali dell’immensa maggioranza del popolo giudaico devono dunque essere ripetute alla fine di queste pagine, affinché non lascino mai la nostra memoria, se ci preoccupiamo dell’avvenire: « Gerusalemme sarebbe una parola vuota per noi Giudei? Ma questo sarebbe il rovesciamento immediato del nostro culto, della nostra tradizione, della nostra ragion d’essere! Tutta la religione giudaica è fondata sull’IDEA NAZIONALE; non c’è una sola aspirazione, né un solo impulso, che non sia verso LA PATRIA. Quando ci alziamo, quando andiamo a letto, quando ci smettiamo a tavola, noi invochiamo Dio affinché affretti il nostro ritorno a Gerusalemme, senza indugio, nei nostri giorni; e queste sarebbero parole vane? ….. » E si cesserebbe di credere che l’idea del Messia sia « realizzabile e accettabile!… ». – « Per fortuna non è così! » E possiamo, noi dobbiamo continuare a dire: « Credo fermamente che il Messia debba venire, e benché tardi lo sto aspettando! » Noi lo aspettiamo e, senza che la nostra fede vacilli, ripetiamo con la voce più ferma il grande brindisi nazionale: « L’anno prossimo a Gerusalemme! » Molti Giudei, quando arrivano alla fine della loro carriera, volgono lo sguardo verso la Giudea e vanno, essi dicono, ad aspettare il Messia. Il giudeo è tenace e perseverante. » J. B. Morot, Journal de voy. de Paris à Jérusalem, p. 193; 1869. In un articolo interessante, ma di cui non possiamo condividere tutte le idee e le valutazioni, M. l’abbé E. Michaud sottolinea i fallimenti del Talmud in Israele, che viene trattato come un vecchio straccio, un’accozzaglia tradizionale, e contrario alla legge formale di Mosè. Ci racconta, tuttavia, degli sforzi di una nuova scuola per riabilitarlo, mentre « ciò che subisce nella maggior parte degli israeliti una grave alterazione è il soprannaturale, l’ispirazione biblica e il carattere sacerdotale. » – Il monoteismo, come egli osserva, costituisce talmente l’israelismo, secondo alcuni, che i signori Strauss e Renan, per esempio, « appaiono loro come veri israeliti. » Tuttavia, aggiunge, accanto a queste rovine « una doppia restaurazione sta cercando di avere luogo: la restaurazione dell’idea messianica e della nazionalità ebraica. » Si legga l’articolo intitolato La Crisi israélita en 1867, ne le Correspondent, 25 dicembre 1867).

IL MESSIA GIUDAICO (3)

LA SITUAZIONE (5)

LA SITUAZIONE (5):

DOLORI, PERICOLI, DOVERI E CONSOLAZIONI DEI CATTOLICI DEI TEMPI PRESENTI

OPERA DI MONSIGNORE G. G. GAUME PROTONOTARIO APOSTOLICO

Custos, quid nocte?

Sentinella: che è della notte?

ROMA tipografia Tiberina – 1861

Lettera Quinta

Caro Amico

L’abolizione della sovranità temporale di Nostro Signore Gesù Cristo mediante la decadenza del Papa come principe sovrano, ecco, mio amico, lo scopo parricida, al quale mirano da più secoli le nazioni sedicentisi cristiane. Oggigiorno più che mai si rende manifesto, impossibile il non crederlo. Or, lo ripeto, questo fatto appunto, il più odioso ed il più minacciante dell’istoria, costituisce la nostra situazione. Intorno a questo supremo attentato si gira come intorno al proprio perno, tutto quello che noi vediamo, e tutto quello che noi non vediamo. Guardiamoci bene noi altri Cattolici, dal prendere abbaglio. L’affrancamento dei popoli è un pretesto; l’unificazione dell’Italia, un mezzo; il Piemonte, una maschera; Vittorio Emmanuele, una manovra. Le doppiezze della diplomazia, i trattati fatti o violati, le marcie e le contro-marcie della politica, le soste medesime della rivoluzione; tutte queste cose in somma, che fissano gli sguardi della folla, non sono a vero dire, che il disopra delle carte; circostanze accessorie, e come già dissi innanzi, le peripezie del dramma. Che è difatto in sua intrinseca natura, e quale n’è il vero, il principale attore? A questa doppia questione voi avete letto la risposta, che è nell’enciclica del Papa e nell’editto del suo Vicario. Ma a fine di far risplendere agli occhi di tutti la terribile, ma profonda verità di questa risposta, io mi permetto di indirizzare a voi ed a tutti gli spiriti gravi le seguenti domande: d’onde è, che la Chiesa Cattolica, regina e madre della vecchia Europa, da più secoli sia obbligata di piegarsi del continuo in se stessa, e di andare avanti di concessioni in concessioni al cospetto dello spirito moderno, che a lei ciò non ostante non ne fa mai alcuna? D’onde è che ella abbia veduto tutte le radici, che mediante la proprietà l’attaccavano al suolo di una terra coltivata dalle sue mani, bagnata dal suo sangue, l’una appresso l’altra, svelle e strappate, da settentrione al mezzogiorno? D’onde è, che dopo mille ed ottocento anni di possesso e di affermazione, il Cristianesimo oggidì si trova non già davanti nello scisma ed all’eresia, ma in faccia di quello stesso negatore universale, che esso ebbe a combattere entrando nel mondo? D’onde è, che le nazioni di Europa, battezzate da dodici secoli, siano a tale da non poter sopportare che la Chiesa loro madre possegga fra esse un pollice di terra indipendente? – D’onde è, che l’autorità regale del loro Redentore ripresentata dal suo Vicario, e quell’autorità non pur circondata dal rispetto di tante generazioni, ma consacrata da tanti benefizi duraturi per secoli, ed operati costantemente in tutti i secoli, sia aldi d’oggi talmente non compresa, anzi miscreduta, che si possa impunitamente deridere sino in su i teatri; talmente lontana da ogni popolare affetto, che non ha più appoggio nella coscienza dei più, e che Pio IX, non ostante la sua angelica mansuetudine, venga minacciato di divenire il Luigi XVI del Papato? D’onde è, che si possa citarlo come un reo alla sbarra dell’Europa, e che gli si faccia processura in regola, per decretare che deve spogliarsi da se medesimo della sua sovranità temporale; pena, se noi faccia, di essere dichiarato mallevadore di tutti i disordini commessi, e di tutto il sangue versato in uno spogliamente furioso? D’onde è, che invece di far sentire tra gli spogliatori un grido unanime di maledizione, l’immenso pretorio si divide in due parti, delle quali la più brigante applaudisce all’impazzata, allo scandalo del processo, ed alla condanna dell’innocenza? D’onde viene quest’odio accanito dei figli contro il loro padre? Che è mai questo fenomeno mostruoso, sconosciuto negli annali del delitto? Poiché è evidente che non si attenta al potere temporale della Chiesa se non per indebolire, intralciare ed annientare, se fosse possibile, il suo potere spirituale; come l’Europa di Carlomagno e di S. Luigi, l’Europa delle Crociate, la figlia sì devota delia Chiesa è ella venuta a ripetere il grido di morte del popolo deicida: Noi non vogliamo più che essa regni sopra di noi! Un Prete-Re è un insulto alle nazioni civili: vecchio avanzo di un tempo che non è più, esso deve sparire; la sua presenza fa ombra al secolo dei lumi? Cosiffatte sono, caro amico, le gravi questioni, che si ci presentano davanti. Qual è la risposta? Coloro che non dubitano di cose del mondo, perché non sanno dubitare di niente, certo che ve ne improvviseranno mille. Ma a voi, a voi certo la parola del Santo Padre sarà l’espressione adeguata della verità. Ed in effetto, l’osservatore grave ed intelligente, collocato alla sponda del mare, non dà ragione dell’onda che si frange ai suoi piedi coll’onda che la segue immediatamente. Ma per trovare la causa della tempesta, egli guarda al centro medesimo del movimento. Or a capo della storia del mondo e della teologia di tutti i popoli è scritta una verità che rende ragione di tutto; senza la quale non si saprebbe intendere niente. Qualunque sia l’angolo del pianeta che abiti, o il culto che professi, l’umanità ripete di generazione in generazione: « Dopo il peccato originale due spiriti opposti dominano nel mondo; da una parte lo spirito del bene, lo Spirito Santo; dall’altra, lo spirito del male, l’angelo ribelle. Qualunque cosa si faccia, l’uomo vive sotto l’impero dell’uno, o dell’altro. Se egli si toglie all’azione dello Spirito del bene, cade con certa proporzione conveniente alle abitudini del suo animo, sotto l’azione dello spirito del male, e sì viceversa. Or ciò che è vero dell’uomo, è vero dei popoli, è vero di tutta l’umanità ». – Invano il linguaggio del mondo ignorante e leggiero, cerca travisare con parole vane, o mendaci questo fondamento immutabile delle cose. Questa è nel suo principio la sola possibile e ragionevole filosofia della storia, e la causa vera, ed intrinseca del male. Ciò posto, qual è da più secoli l’andamento generale dell’Europa nelle sue relazioni col Cristianesimo? La ribellione d’oggidì contro il Papato precisamente, che n’è l’ultimo termine, come lo giudicate voi forse il regno dello Spirito Santo, che si estende ognora più sul mondo? O non piuttosto, è il regno di satana, che va ingrandendosi a vista d’occhi?

O L’UNO, O L’ALTRO: QUI NON V’HA MEZZO.

Se voi dubitate, paragonate i tempi coi tempi, i frutti coi frutti. Per formare il vostro convincimento, arrestiamoci, caro amico, ad un solo esempio. Da quei massi di granito che si chiamano i Barbari, e che furono i nostri avi, il mondo ha veduto uscire figliuoli di Abramo. Il nome dell’età che fu testimone di tanto miracolo, è oggidì nome d’ingiuria, io mel so. So ancora tutto quello, di che si è in dritto di far rimprovero al Medio evo. Ma non è meno vero che esso mise in effetto quattro capi lavori, voglio dire, i quattro progressi solo degni di questo nome, che l’umanità abbia mai compiuti. Esso costituì la Religione. Fuvvi un giorno, in cui tutta Europa cantò il medesimo simbolo. Dall’Oriente all’Occidente, dal settentrione al mezzogiorno neppure una voce discordante turbava questo vasto concerto. Unità di fede; magnifico trionfo della verità sopra l’errore. – Esso costituì la Chiesa. Fuvvi un giorno, in cui la Società guardiana della fede divenne la potenza più amata e più rispettata dell’Europa; la più grande proprietaria dell’Europa, ed il clero il primo ordine dello Stato, Autorità della Chiesa; magnifico trionfo dell’intelligenza sopra la forza. Esso costituì la società. Fuvvi un giorno, ove né pur una legge anticristiana, e però antisociale, macchiava i codici dell’Europa. Per mantenere l’armonia sulla terra, come il sole la mantiene nel firmamento, il Re dei Re, rappresentato dal suo Vicario, dominava al di sopra di tutti i Re. La decisione di un padre, organo infallibile di giustizia; era l’ultima ragione del diritto, ed il termine dei conflitti. La parola invece della spada; magnifico trionfo della libertà sopra il dispotismo. – Esso costituì la famiglia. Fu tempo che nell’Europa intera la famiglia si posò sulle quattro basi ond’è la sua forza, la sua felicità, la sua gloria; ciò sono l’unità, l’indissolubilità, la santità, la perpetuità pel rispetto verso l’autorità paterna durante la vita e dopo morte. Lo spirito messo in luogo della carne: magnifico trionfo dell’uomo nuovo sull’uomo vecchio; guarigione in radice della poligamia, del divorzio, e dell’egoismo, piaghe schifose della famiglia pagana! Di tal fatta è la gradazione ascendente percorsa dall’epoca di cui io parlo. Or vedete, caro amico, quella che percorre l’Europa moderna. A che sono divenute le suddette quattro potenti colonne dell’edifizio religioso, e sociale dei nostri antenati?

Ove è oggidì l’unità di fede?

Ove la proprietà e la potenza regale della Chiesa?

Ove il dritto pubblico cristiano?

Ove la costituzione cristiana della famiglia? (Con un decreto del 16 Gennaio 1860 la Corte di Cassazione (di Parigi) ha dichiarato che il divorzio è nel diritto delle genti. (Di quali genti?). – E per quali influenze questi capi lavori della sapienza vennero sfigurati o distrutti? Codeste colonne furono elle scosse o spezzate? Qual cagione, che questi progressi vennero sostituiti da passi retrogradi, i quali ci fanno tornare indietro di venti secoli? Innanzi passerà il Tevere di sopra dalla cupola di S. Pietro, che si tolga al senso comune il rispondere: No, tali opere non sono dello Spirito di Dio. Ma se tutte queste rovine non sono state operate sotto gl’influssi dello Spirito del bene, dunque sono state fatte all’influenza dello spirito del male. Di tal dilemma non si esce. Onde si fa chiaro, a chi non vuole appagarsi di parole, ed appagarne gli altri, le distruzioni lamentevoli che io testé ho notate, e quelle non meno lamentevoli che si vengono preparando, e in somma ciò che noi vediamo, esser l’opera dell’antico principe di questo mondo, già cacciato dal Redentore, ma ritornato in seno malle nazioni cristiane con un’autorità poco diversa da quella che esercitava prima della disfatta che ebbe sul Calvario. DI vittoria in vittoria, egli procede al dì d’oggi scortato dall’Europa sua ausiliaria o complice, alla conquista di Roma già antica sua sede. Rifare della Roma dei Papi la Roma dei Cesari, affine di riportare il mondo all’ordine sociale pagano, riguardato come età di splendore e di prosperità d’Italia; ecco, come noi avvisiamo, quel che Pio IX ed il suo Vicario dicono altamente, senza veruna dubbiezza e senza rigiro di frasi, della rivoluzione e dei suoi disegni. – Tali sono, mio caro amico (ch’io ho ben ragione d’insistervi), la schietta definizione dello stato delle cose, e l’ultimo motto del dramma che ci tiene in angosciosa aspettazione. Né le interpretazioni puerili della saggezza mondana, né il disdire insensato che si fa del partito che si è preso, non faranno sì che si cangi il motto, siccome precisamente intravviene a’ miserabili espedienti della diplomazia, i quali non possono distruggere il fatto.

Tutto vostro etc.

IL MESSIA GIUDAICO (1)

Roger Gougenot des Mousseaux

– IL GIUDEO, Il giudaismo e la giudaizzazione
dei popoli cristiani –

2e édition
Paris: F. Wattelier, 1886

CAPITOLO DODICI. (1)

PRIMA DIVISIONE.                              

IL MESSIA GIUDAICO – I –

Il Giudeo ortodosso non cessa di sperare in una rivoluzione universale che lo elevi, attraverso il suo Messia, al di sopra di tutti i popoli. – Israele ha conservato la sua ingenua e robusta fede nel Messia o no? Sì, ma il Giudeo, da qualche anno, non è più, qua e laggiù, simile a se stesso. – Il rabbino Lazard afferma che il ristabilimento di Gerusalemme è solo una cosa ideale, che non danneggia di conseguenza il loro patriottismo nazionale. – I riformatori tedeschi hanno lo stesso linguaggio, perché parlare di questa restaurazione sarebbe un ostacolo alla loro emancipazione. – I Giudei inglesi sono più franchi, e l’immensa maggioranza dei Giudei crede nel Messia, ma è loro vietato fissarne la data. – Il Messia dei talmudisti rimane il perno della fede giudaica. – La lettera del signor Levy Bing sul Messia, è un capolavoro di chiarezza. – L’unificazione dei popoli deve avvenire, affinché Israele sia, sopra tutti, il popolo-Papa. – Il brindisi universale. – Il cuore e la patria finale di ogni giudeo è quindi ancora la Giudea. – Tuttavia, il Messia non sarà di natura divina. – Egli ricostruirà Gerusalemme e vi riporterà i Giudei liberati. – Il Giudeo talmudico si nutre della speranza della conquista e della spoliazione dei popoli che gli danno il diritto di cittadinanza. – Prova, aneddoti. – Per il giudeo progressista, il Messia è l’epoca filosofica attuale, che rovescia la Chiesa e il Talmud; per il giudeo ortodosso, questa epoca è una delle tappe che preparano il vero Messia. – Superstizioni grottesche. – Famiglie messianiche, descrizioni.

I Giudei hanno sempre sperato nel loro Messia, e, a volte pensandoci, a volte senza rendersene conto, hanno preparato l’opera della rivoluzione sociale ed universale, il cui strumento finale sarebbe questo Messia – che deve essere e sarà il risultato finale – al quale non cessano mai di pensare. Il risultato finale di questa rivoluzione deve essere e sarà quello di stabilire il loro dominio su tutti i popoli della terra! Ma non potremmo capire né la vivacità di questa speranza, né la forza che questa fede tradizionale dà all’esecuzione del loro piano, se non ci fermassimo un momento a considerare l’ardore e la tenacia della loro fede, che lega la mente ed il cuore del Giudeo all’idea del Messia. La questione, quindi, si pone a noi in questi termini: Israele ha conservato o meno la sua fede natia ed ardente nel Messia? E la risposta che ci danno i figli della dispersione è questa: Guai! Guai a chi ha perso questa fede! Mentre tra i Giudei c’è chi crede nel Messia con una fede franca e vigile, altri sembrano negare questo Desiderato dei discendenti di Giacobbe, ed altri ancora alterano e distorcono i tratti così vigorosamente accentuati nella sua figura tradizionale; cerchiamo più che mai, nella nostra ricerca della verità, di osservare alternativamente i pro e i contro; e prima di tutto, ricordiamo che non si tratta più di immaginare che il Giudeo sia qui, là e altrove, quello che era solo qualche anno fa, cioè sempre e ovunque uguale ed identico a se stesso. Dobbiamo quindi guardarci dal prendere colui che è alla portata delle nostre orecchie e dei nostri occhi come se fosse simile nel credo al Giudeo la cui parola e la cui vista non ci sono familiari. Ciò che è notevole, dice un abitante della capitale della Francia, il dotto e reverendo padre Theodore Ratisbonne, un israelita convertito, è la cura con cui i Giudei « … evitano ogni discussione seria e dogmatica. Soprattutto, si evita la grande questione del Messia, l’unica che si interpone tra i Giudei ed i Cristiani. » – Oggi « i Giudei non ammettono più questo punto fondamentale della religione dei loro padri; rifiutano sia il mistero del peccato originale che la promessa del Redentore. Oppure, se invocano ancora il Messia nella recita obbligatoria dei salmi, … non attribuiscono alcun significato alle loro parole; le considerano come formule superate; essi dichiarano persino che non si debba più aspettare il Messia, né chiedere altra emancipazione che quella che hanno ottenuto nella loro situazione politica. Il Messia è venuto per noi il 28 febbraio 1790, con i Diritti dell’Uomo. Così si esprimeva uno degli organi più autorevoli dei Giudei moderni, M. Cahen, il traduttore della Bibbia. » (La Question juive, p. 18, 1868, 31 pages; et M. Cahen, Archives israélites, VIII, p. 801; 1847). Queste parole sono indubbiamente limitate, nell’intenzione del dotto Religioso, ai Giudei letterati e riformisti di una parte dell’Europa, uomini potenti per ricchezza, per la loro influenza, e spesso anche per la loro brillante onorabilità, ma che costituiscono solo un piccolo numero della nazione. Un altro Cristiano, la cui penna rappresenta la Terra Santa elevata all’incrocio di tre continenti come una fortezza la cui cinta attende Israele, si esprime in termini che vale la pena di essere riportata: « La soluzione finale della questione orientale – ci dice M. Vercruysse – non sarà raggiunta dal ristabilimento del popolo israelita nel suo paese, la Palestina? … Il ristabilimento dei Giudei in Palestina ha due lati: quello religioso e quello politico. » – « Il popolo israelita e il popolo arabo o ismaelita sono i popoli che possono rivendicare la più antica nazionalità del mondo; essi sono stati provvidenzialmente conservati e preservati;… e, possiamo esserne certi che i destini di queste due nazionalità, unici e misteriosi, saranno ancora più grandi in futuro che nel passato….. » Tuttavia, i signori Isidore Cahen e Marc Lévy citano queste parole solo per combatterle con una singolare audacia di dottrina riformista. Ascoltiamoli: « Ci siamo spesso pronunciati su questa questione in un senso diverso. La storia non ricomincia, e gli israeliti, messaggeri dell’idea monoteista, devono disperdersi nel mondo, non essere confinati in una fortezza. » (Archivio Israelita, p. 884; 15 ottobre 1866).  È una calunnia che viene ripetuta a sazietà da tutti i teologi del Cristianesimo, che « i Giudei non vollero riconoscere il Messia nel figlio di Maria, perché erano carnali e speravano in lui. I Giudei non volevano riconoscere il Messia nel figlio di Maria, perché erano carnali e speravano in un Messia che avrebbe dato loro innanzitutto il dominio assoluto del mondo, asserzione gratuita e contraria alla storia. In effetti, l’elezione di Israele non ha nulla di mondano. Esso ha da sempre capito che il suo regno non è di questo mondo. È il primo tra le nazioni, come il sacerdote è primo tra i credenti. Esso ha per missione di far conoscere agli uomini la vera dottrina; come potevano gli Israeliti supporre che Dio avrebbe loro sottomesso tutte le nazioni, quando il profeta Daniele aveva appena insegnato che ogni popolo ha il suo Angelo custode, come Israele? (La Bibbia non dice forse di questo Angelo: « Non vi perdonerà quando peccherete? » Esodo, XXIII, 21).Essi erano lontani dall’avere quello spirito intollerante esclusivo ed ambizioso che viene loro attribuito; non c’era e non poteva esserci nulla del genere nelle loro speranze messianiche. (Questo esempio è uno di quelli che ci mostrano ciò che una penna giudea osa mettere sulla carta. Il Talmud, la storia delle tradizioni rabbiniche, che sono il catechismo dei Giudei, la storia dei falsi Messia e delle famiglie messianiche, ci dicono cosa dobbiamo pensare di un tale giudizio. Vedi Marc Levy, Archives israélites, VI, p. 249, 1867; continua a leggere, e vedi il contrario più in basso.). Invano – gridava il rabbino Lazard dal pulpito – si cercherebbe di riportare Gerusalemme alla sua antica gloria. « Non si tratta più di ripopolarla, ma di rivolgere i nostri pensieri verso di essa » perché non è la nostra città materiale, è solo la nostra « città ideale ». – Ed è così che « la preghiera quotidiana che chiede la restaurazione di Gerusalemme non danneggia il nostro patriottismo nazionale ».  (Archivio Israelita, XVII, p. 810; 1867). Così il Giudeo, cessando di essere Giudeo nazione, lo sarebbe solo di culto! E questo culto sarebbe simbolico! Far accettare alla massa della nazione tali enormità: « la nostra bandiera religiosa porta quattro dogmi chiari e luminosi come il sole: l’unità assoluta e rigorosa di Dio; l’immortalità dell’anima; la rivelazione sinaitica, e infine la venuta del Messia. » Ma, per questo dogma della venuta del Messia, dobbiamo intendere solo « la perfettibilità indefinita dell’umanità!  (Archives israélites, IV, p. 164; 1868. Auscher, rabbin. — O Israël !!!).  – Tutta la fede messianica porterà dunque a questa grottesca sottigliezza, contro la quale si protesta una formula che, tra tutti i popoli, esprime la più incrollabile e positiva fede nella cosa attesa: … Io lo attendo come i Giudei  attendono il Messia.I riformatori tedeschi, ci dice l’israelita Rabbiowicz, vedevano nei « passaggi che parlano del ritorno dei Giudei alla terra dei loro ancestri e della restaurazione del regno di Davide… un ostacolo all’emancipazione ». Determinati a sbarazzarsi di questo ostacolo, hanno quindi coraggiosamente fatto il passo di fare buon mercato delle loro speranze messianiche. Questa è la chiave del mistero di questa svolta! Meglio consigliati, al contrario, e più generosi, i Giudei inglesi « hanno compreso che questa sarebbe stata una riforma che avrebbe fatto più male che bene. » Essi trovarono giustorispettare la fede secolare dei Giudei, che hanno il diritto, secondo loro, « di formare i desideri più ardenti di una patria infelice, anche se determinati a non tornare mai, di persona, nella terra dei loro ancestri ». (The Israelite Reform in London, 15 novembre 1866; Archivi Israeliti, XXII, p. 984; 1866).La fede, dunque, non è più uniforme tra tutti i figli della dispersione; ma i meno ciechi sono quelli che si scoraggiano più rapidamente quando si tratta di credere nel loro Messia; e, nel loro pensiero, il credito di questo personaggio scende ogni giorno di più; perché « ha lasciato passare senza mostrarsi tutte le epoche che i rabbini avevano previsto essere giunte alfine delle loro molte supposizioni! » (Seconda lettera di un rabbino convertito (Drach), p. 100; Parigi, 1827). La loro fede incessantemente delusa è diventata, alla lunga, stanca! Alcuni, entrando nel senodella Chiesa, si sono umiliati davanti al Messia di Betlemme e del Calvario, altri si sono forgiati un protestantesimo filosofico, mentre altri ancora sembrano riposarsi e rinfrescarsi con l’immergersi nelle profondità dell’indifferenza. Tuttavia, la grande maggioranza della dispersione è ciecamente fedele alle sue credenze messianiche ed ai suoi rabbini, che, con grande prudenza, guidati dal dotto Abrabanel, hanno decretato l’anatema contro chiunque presuma di fissare una data per l’arrivo del Messia; è solo loro sufficiente vedere apparire a suo tempo questo illustre restauratore di Israele! Ma se questa immensa maggioranza rimane quella che era, allora dunque cos’era? Il seguente passaggio ce lo insegna in termini molto chiari: « I saggi ed i maestri della Sinagoga terminano di solito, ai giorni nostri, con il pensiero di QUESTO TRIONFATORE FUTURO i discorsi che tengono nelle loro assemblee: essi stimolano i loro correligionari alla fedele osservanza della legge, sostenendo la loro speranza di vedere la venuta del Messia e di godere di tutti i beni promessi ad Israele. Ora, uno di questi beni è il momento desiderato del massacro dei Cristiani e la completa estinzione della setta dei Nazareni.  La parola è chiara, e quello che si dice anche oggi si diceva molti secoli fa. Così San Girolamo, che conosceva a fondo le dottrine giudaiche, scriveva a proposito della piccola pietra che si stacca dalla cima della montagna per infrangere la statua di Nabucodonosor: « I Giudei voltano questo passaggio a loro vantaggio, e rifiutano di riconoscere Cristo in questa pietra. Per essi, questa non designa altro che il popolo d’Israele che è diventato improvvisamente abbastanza forte da rovesciare tutti i regni della terra e fondare il suo impero eterno sulle loro rovine. (La Chiesa e la Sinagoga, pp. 18-19; Parigi, 1859). – Più tardi, nel XV secolo, il dotto Rabbi Abrabanel (Su Geremia, cap. XXX) annuncia nei suoi commentari il regno del Messia, tempo glorioso in cui si compirà lo sterminio dei Cristiani e dei gentili; e Reuchlin ci dice: « Essi aspettano con ansia il rumore delle armi, le guerre, la devastazione delle province e la rovina dei regni. La loro speranza è quella di un trionfo simile a quello di Mosè sui Cananei, e che sarebbe il preludio di un ritorno glorioso a Gerusalemme restituita al suo antico splendore. » (Reuchlin: Quindicesimo secolo. Un personaggio molto stimato dai Giudei, che fu ministro delle finanze in Portogallo e Spagna sotto Ferdinando il Cattolico. Fu bandito con il corpo della sua nazione e, checché se ne dica, questa cacciata dei Giudei fu la salvezza della Spagna, di cui erano il flagello, come lo sono ora della Romania…). Queste idee sono l’anima dei commenti rabbinici sui profeti, e sono state tradizionalmente trasmesse ed inculcate nelle menti di quella nazione; e così gli Israeliti si sono da tempo immemorabile preparati per questo evento, la meta suprema delle aspirazioni della razza Giudaica! (Buxtorf, Sinagoga giudaica, cap. XXXV. Maimonide in Surenheinsius, Mischna, parte IV, p. 164; Abrabanel, Præco salutis. La Chiesa e la Sinagoga, pp. 18-20. – Questa preparazione continua vigorosamente anche oggi). Il Messia dei talmudisti, che non è ancora un vinto, non era dunque affatto un mito; e M. Félicité (Vercruysse) può e potrà a lungo affermare che gli israeliti non rinunciano a questa credenza custodita di generazione in generazione durante una così lunga catena di secoli. (Opuscolo intitolato La Régénération du monde, dedicato alle dodici tribù d’Israele; Parigi, 1860, e di cui M. Vercruysse figlio ci fece un graziosissimo regalo al congresso di Malines del 1864; un’opera molto interessante, ma le cui idee non possiamo adottare nella loro totalità). Perché il Messia è « il perno della loro fede e della loro speranza; e non avendo accettato Cristo come il profeta promesso, aspettano! Ma c’è da sperare che un giorno riconosceranno il loro errore; altrimenti c’è da temere che un gran numero finirà per ammettere l’Anticristo come Messia. Questo è ciò che Dio ha previsto e per questo ha voluto avvertirli… » (Ibid., Vercruysse, p. 43. Vedi il seguito). Così, nonostante le numerose defezioni, essi per la maggior parte aspettano, si preparano alla realizzazione di questa speranza instancabilmente sostenuta, ed « immaginano sempre di essere gli eletti, o il popolo di Dio »; immaginano che per questo « sono superiori a tutte le nazioni (Gojim), che sono fisicamente e moralmente diversi da loro, e che queste ultime dovranno essere sterminate al momento della venuta del loro Messia. » Quindi il Giudaismo è stato fino ad oggi, « politicamente, religiosamente e fisicamente, uno spirito di casta, che, per il rigore e l’inesorabile parzialità dei suoi aderenti, non ha eguali in nessuna classe di uomini in Europa…. Quindi da questo un antagonismo permanente tra lo Stato ed il Giudaismo è inevitabile! »  (Kluber, Coup d’oeil des délibérations diplomatiques du Congrès de Vienne, vol. III, p. 390; – Goschler, Dictionnaire encyclopédique de la théologie catholique, dei più sapienti professori e dottori in teologia della Germania, t. XII, p. 451; Paris, 1861, in-8o). Così, in una parte del Giudaismo rimane e si erge l’antica e incrollabile credenza nel Messia come sterminatore e depredatore dei popoli; mentre dall’altra parte, questo dogma a volte evapora, si riduce ad un simbolo, e a volte viene scartato senza un attimo di esitazione se il minimo interesse lo richiede; ma i dottori dotati di una certa prudenza si guardano bene dal respingere brutalmente i fedeli che si ostinano a prenderlo sul serio. – Gli Archivi Israeliti, i cui redattori sono tra coloro che trasformano il Messia in un mito, aprono quindi ampiamente le loro pagine alle credenze degli ortodossi, e ci danno nella seguente lettera un mirabile monumento dell’incrollabile attesa dei Giudei: Nancy, 21 marzo 1864. – « Signore, io sono di quelli che pensano che la nostra generazione non vedrà il giorno della grande riparazione promessa. Eppure non vorrei affermare il contrario, in presenza degli avvenimenti e delle trasformazioni di cui siamo stati testimoni negli ultimi quindici anni! » – « Voi dite: Noi non crediamo che questa idea, – del Messia, e del suo ritorno trionfale a Gerusalemme, – sia fattibile o accettabile! Avete pensato alla gravità di queste parole? Avete ben considerato la gravità di queste parole? Perché sono una negazione completa della nostra fede e della nostra missione nel mondo! Questo non è certo il vostro pensiero; ma è giusto che un organo dell’importanza degli Archivi non sia considerato come non pienamente consapevole dei doveri e delle speranze di Israele. Ma come, voi non credete nella missione finale della casa di Giacobbe? Gerusalemme sarebbe una parola vana per voi? Ma questo sarebbe il rovesciamento immediato del nostro culto, della NOSTRA TRADIZIONE, della nostra ragion d’essere; e, a tal fine, tutti i nostri libri sacri dovrebbero essere immediatamente bruciati? Il nostro rituale, ordinario o straordinario, tutto ci parla sempre della MADRE PATRIA; quando ci alziamo, quando ci corichiamo, quando ci sediamo a tavola, noi invochiamo il nostro Dio di affrettare il nostro ritorno a Gerusalemme, SENZA RITARDO, E FIN DAI NOSTRI GIORNI! (Questo è abbastanza letterale, abbastanza antisimbolico, tanto positivo quanto preciso; e notiamo questa parola: il ritorno alla patria. Cosa sono allora le sue patrie d’occasione per per i Giudei?). Quindi sarebbero solo vane parole? La ripetizione generale e universale di queste parole non avrebbe quindi più senso? Sarebbe pura forma? » Per fortuna non è così; e voi vedete, caro signore, che, se molti di noi hanno dimenticato l’importanza del ritorno, Dio ci ha suscitato nuovi fratelli e sorelle che a volte capiscono meglio di noi stessi QUESTO MIRACOLO, UNICO nella vita del mondo, di un intero popolo disperso da milleduecento anni in tutte le parti dell’universo senza essere confuso o mescolato in nessuna parte con il popolo tra cui vive! E, questa incredibile conservazione, fatta per aprire gli occhi dei ciechi, non avrebbe significato, nessun valore per noi e per il mondo? » Ma guardiamo l’orizzonte e consideriamo tre segni sorprendenti che ci colpiscono. Tre parole, tre cose hanno il privilegio di occupare tutte le menti e di assorbire l’attenzione del tempo presente: NAZIONALITÀ, CONGRESSO, SUEZ.  » Ebbene, la chiave di questo triplice problema (dei popoli che entrano in possesso di se stessi per unificarsi, e unificare con l’aiuto del filo elettrico e del vapore le varie regioni del mondo), la chiave di questa triplice soluzione, è Israele, è Gerusalemme! Come ho detto prima, tutta la religione giudaica è basata sull’idea nazionale. – E che ne siano consapevoli o no, non c’è un battito, non un’aspirazione dei figli d’Israele che non sia verso la patria. (Il paese dei padri! Ci si dirà, come i Giudei possano essere veri cittadini con questo pensiero necessario, con questi desideri dominanti nelle loro anime?). – Ripeto, sarebbe necessario chiudere dal primo all’ultimo dei nostri libri se dovessimo bandire Gerusalemme dai nostri pensieri! » – « E queste aspirazioni, questi pensieri, non sono solo una cosa intima, personale della nostra razza, ma è un bisogno universale; è la realizzazione delle parole dei profeti; come dire? … delle parole di Dio. È la prova della Sua presenza eterna in mezzo a noi; è la sanzione di cui ho parlato. » Se, a poco a poco, la vendetta personale è scomparsa; se il barbaro e stupido pregiudizio del duello non sarà presto più che un ricordo; se, in una parola, non è più lecito farsi giustizia da soli, ma piuttosto rimettersi a giudici generalmente accettati e disinteressati alla controversia, non è forse naturale, necessario, e molto più importante, vedere presto un altro tribunale, un tribunale supremo, incaricato delle grandi controversie pubbliche, dei reclami tra nazioni e popoli, che giudichi in ultima istanza, e la cui parola faccia fede? E questa parola è la parola di Dio, pronunciata dai suoi figli maggiori (i Giudei), e davanti alla quale tutti i minori si inchinano con rispetto, cioè l’universalità degli uomini, i nostri fratelli, i nostri amici, i nostri discepoli. (Io sono il popolo-Papa! una parola sorprendente di Israele, e che lo colloca nel punto di vista più ultramontano: Avete bisogno di un giudice supremo e quindi infallibile, o nazioni della terra! Bene, eccomi qui, devo essere io, io sarò quell’arbitro, quel giudice. Riconoscete in un congresso giudaico, riconoscete in me non solo il popolo-re, ma il popolo-PAPA. » – Ancora una parola, caro signore… Ci stiamo avvicinando all’anniversario dell’uscita degli Israeliti, i nostri padri, dall’Egitto. Fu la sera del 20 aprile che, in tutta la terra, un popolo disperso per quasi duemila anni, nello stesso giorno, ALLA STESSA ORA, IMPROVVISAMENTE, risorge come un solo uomo. Afferra la coppa della benedizione posta davanti a lui e, con voce fortemente accentuata, ripete tre volte il seguente magnifico brindisi: IL PROSSIMO ANNO A GERUSALEMME! Direte voi ancora che la ricostituzione della nazione giudaica non è né fattibile né accettabile? – (Archivi Israeliti, pp. 335-350; 1864 – La lettera dovrebbe essere letta per intera.). LEVY BING. » –

IL MESSIA GIUDAICO (2)

LA SITUAZIONE (4)

LA SITUAZIONE (4):

DOLORI, PERICOLI, DOVERI E CONSOLAZIONI DEI CATTOLICI DEI TEMPI PRESENTI

OPERA DI MONSIGNORE G. G. GAUME PROTONOTARIO APOSTOLICO

Custos, quid nocte?

Sentinella: che è della notte?

ROMA tipografia Tiberina – 1861

Lettera Quarta

Caro Amico.

Per quanto ho potuto, ho cercato, caro amico, di ben definire la situazione, in cui siamo. Voi intendete la natura del movimento che ci trascina, anzi, se non erriamo, il punto riciso, ove è la lotta eterna del male contro il bene. Essa si assomma oggidì nello spogliamento dello Stato Pontificio, o, che è tutt’uno, nella soppressione della sovranità visibile di Nostro Signore Gesù Cristo. Ma questo fatto è nato forse come un fungo sopra una quercia? ne è l’idea forse caduta ieri in testa ad alcuno chi che si fosse personaggio? Forse tutto ad un tratto e come a dire di salto l’Europa si è imbattuta, e impigliata nel terribile mal passo d’onde non sa come uscire? A sol pensarlo, è un errore. Il troppo famoso opuscolo Il Papa ed il Congresso non ha già esso creato la presente situazione, l’ha sì bene rivelata; che quello che è, emana da quello che fu. Onde non vedere nella situazione attuale; ma che un avvenimento transitorio, impreveduto, altro o improvvisato, è come un ridurre un gigante alla statura di un nano. Lo spogliamento completo della Chiesa Romana, come abbiamo detto, si manifesta un fatto annunziato da gran tempo, avente sue profonde radici nel passato dell’Europa moderna. E noi ci facciamo a ricercarlo. Perciocché a ben conoscere una malattia, e soprattutto a trattarne con buon successo, ci bisogna conoscerne l’origine. – Lo spogliamento supremo di cui siamo minacciati, considerato come idea e nella sua causa primiera, che è la rabbia di satana, è tanto antico quanto il Cristianesimo: ma se noi lo studiamo nella sua formola e nei suoi pretesti, in una parola nella sua manifestazione pubblica e riconosciuta, esso è sol vecchio di quattro secoli. Voi ben sapete, come entrando il Cristianesimo nel mondo, vi trovò il genere umano curvato sotto il giogo di Cesare. Ogni potere concentrato nelle mani di un uomo; ogni diritto nella sua volontà. Quest’uomo era un dio: questo dio si appellava Nerone, Tiberio, Caligola, Domiziano. Era unità nell’ultima abbiezione. A fine di lacerare questa caria del più mostruoso dispotismo, il Cristianesimo entra a dividere il potere. A fianco a Cesare crea il Pontefice. A Cesare subordinato al Pontefice egli confida i corpi; al Pontefice assegna le anime. Come l’anima ed il corpo, la società spirituale e la società civile, unite senza confondersi, procedono con passo sicuro verso la loro perfezione rispettiva. – In tal modo il dispotismo cesareo divenuto impossibile, la libertà umana è in salvo. Tre secoli di lotta accanita cacciano il demonio da Roma ch’era capitale del suo regno, che si diventa Capo alla Città di Dio. Ma come già ebbe detto l’eminentissimo Cardinal Vicario, satana furioso non però si tenne per vinto. Dopo la sua espulsione non cessò mai di aggirarsi intorno a Roma, e di fare incessanti sforzi per rientrarvi. La storia che ciò racconta, racconta altresì le sue disfatte. Invano resuscitare il passato, egli arrolla talvolta sotto i suoi sediziosi stendardi gl’Imperatori di Alemagna, e i loro legisti. Invano il poeta di Firenze pubblica l’apologia dell’antico Cesarismo; cheDante non vi profitta, come già fallirono i Ghibellini. Sopra il principio evangelico si posa, e sta lungamente l’ordine europeo, come la piramide del deserto sopra la sua base di granito. Questi vieti tentativi contro la sovranità pontificale saranno, se vi piace, le radichette della presente situazione; ma la vera radice è più moderna. Questa radice, senza la quale l’albero non sarebbe mai divenuto sì grande, venne piantata, ha già quattro secoli, nel suolo dell’Europa. A quell’età di sinistra memoria, si eccitò nelle nazioni cristiane dell’occidente certa specie di fanatismo in favore delle istituzioni politiche dei popoli pagani. Presentata come il tipo della forza e della perfezione sociale, la grande unità materiale del mondo di Tiberio si porge, come uno specchio all’Europa stupefatta. Roma antica sorge dalla tomba con tutto il suo corteggio di libertà, di virtù, e di vittorie. Si cantano le sue grandezze; si ridice il segreto di sua potenza; si ricostruisce in idea; ed alla sommità dell’edificio sempre brilla Cesare imperatore e pontefice. – Allora fu che compissi un cangiamento radicale nella politica tradizionale dell’Europa; e Macchiavelli ne fu principale strumento. « La sua opera, dice un autore non sospetto, il Sig. Matter, segna un’era novella, cioè un’era di sovversione completa; non già una semplice rottura tra la religione e la politica; ma proprio un’era di sovvertimento fondamentale delle loro antiche relazioni ». (Hist, des Soc. polit., etc. t. 1, p. 70). Ciò che nessun altro aveva fatto prima di lui, quest’uomo figlio della sua educazione, formola nettamente la teoria dell’onnipotenza cesarea, abolita dal Cristianesimo. Egli la parla, la scrive, la rende popolare. Un ostacolo si oppone, e si opporrà sempre a questa onnipotenza; la proprietà, onde la Chiesa è indipendente; e Macchiavelli si fa sollecito di far ciò bene conoscere: onde in tutta Europa l’ambizione coronata a poco a poco, presto, o tardi saprà farla scomparire: ed aspettando che ciò si esegua, il fiorentino mette mano all’opera nel suo proprio paese. Venti anni prima di Lutero, in seno ad una città cattolica, a poche leghe distante da Roma, egli osa pubblicare che l’unico ostacolo all’unità d’Italia e la causa di tutti i suoi mali è il potere temporale della Chiesa Romana. Si rimane stupefatto in trovare sotto la sua penna, alla lettera, tutta la politica del Piemonte, la Questione Romana di About, i proclami di Garibaldi, il programma di Mazzini, le arringhe di Cavour, i memorandum di Vittorio Emmanuelc, e le istruzioni delle società segrete![Il 3 Marzo di quest’anno (1860) Ricasoli governatore della Toscana diceva alle truppe: La nostra costituzione non può essere ostacolata che dal suo eterno nemico decrepito. Questo nemico è il potere temporale di Roma. » Sopraggiunge in conferma di ciò l’orribile ordine del giorno del generale piemontese Ferdinando Piuelli datato in Ascoli il 3 febbraio di quest’anno 1861; nel quale dice ai suoi soldati « Noi schiacceremo il sacerdotal vampiro, che colle sozze labbra succhia da secoli il sangue della madre nostra; purificheremo col ferro e col fuoco le regioni infestate dall’immouda sua bava, etc. etc. « Altro che Drusi! Satana istesso non avrebbe potuto dichiarare più esplicitamente ove son diretti tutti i suoi sforzi.]. – Voi ne giudicherete da voi stesso: « Abbiamo dunque colla Chiesa e coi Preti noi Italiani, dice Macchiavelli, questo primo obbligo, di essere diventati senza religione, e cattivi; ma ne abbiamo ancora un maggiore, il quale è cagione della rovina nostra. Questo è che la Chiesa ha tenuto e tiene questa nostra Provincia divisa. E veramente alcuna Provincia non fu mai unita o felice, se la non viene tutta alla ubbidienza d’una Repubblica, o d’un Principe E la cagione che la Italia non sia in quel medesimo termine, né abbia anch’ella o una repubblica, o un Principe che la governi, è solamente la Chiesa; perché avendovi abitato e tenuto Imperio temporale, non è stata sì potente, né di tal virtù che la abbia potuto occupare il restante d’Italia, e farsene Principe. E non è stata dall’altra parte sì debole, che per paura di non perdere il dominio delle cose temporali, la non abbi potuto convocare un potente che la difenda contra a quello che in Italia fosse diventato troppo potente. Non essendo dunque stata la Chiesa potente da poter occupare l’Italia, né avendo permesso che un altro la occupi, è stata cagione che la non è potuta venire sotto un Capo, ma è stata sotto più Principi e Signori; dai quali è nata tanta disunione, e tanta debolezza, che la si è condotta ad essere stata preda non solamente dei Barbari potenti, ma di qualunque l’assalta. Di che noi altri Italiani abbiamo obbligo con la Chiesa, e non con altri. » (‘ Discorsi sulle Deche ctc. Lib. I . Cap. XII. – Per facilitare la soppressione del dominio temporale della S. Sede, Macchiavelli toglie ogni scrupolo a coloro che vorranno intraprenderla; assicurandoli, che la religione medesima vi profitterebbe. Qui, mio caro amico, la sorpresa si accresce. Tutte le accuse messe in mezzo e ripetute tanto oggidì al medesimo scopo, ed accettate da moltissimi, tutte si contengono nelle opere di Macchiavelli. a Come l’Italia per aver mancato di Religione, mediante la Chiesa Romana, è rovinata: è questo il titolo del Capitolo XII sopra citato; ove abbiamo pur letto quella conclusione: « Abbiamo dunque colla Chiesa Romana e coi Preti noi Italiani questo primo obbligo di essere diventati senza religione, e cattivi ». Da questo tratto giudicate dell’intero capitolo. Non accade il dirlo! sta a capo di questi sofismi, e di queste calunnie ciò che noi vediamo cogli occhi nostri, o spogliamento del dominio di S. Pietro per causa di utilità Italiana. – Dopo l’esposizione dei motivi, Macchiavelli spinge alla pratica. Tutto ciò che da due anni a questa parte hanno scritto gli unificatori d’Italia e gli spogliatori della S. Sede, è copiato parola per parola dal libro del maestro. Macchiavelli, adulando la vanità ereditaria dei suoi compatrioti, mostra loro la seducente immagine dell’antico impero. L’ultimo capitolo del suo Libro intitolato il Principe, porta questo titolo: Esortazione a liberare l’Italia dai barbari; la quale esortazione si riduce in queste parole: Italiani, volete l’unità italiana sotto un principe italiano? Volete voi che ritornino quei giorni di forza, di gloria, e di felicità, di cui godettero i vostri antenati sotto la grande unità romana? Mettete mano all’opera. La prima cosa è il cacciare i barbari dall’Italia; la quale « rimasta come senza vita, aspetta quale possa esser quello che risani le sue ferite, e ponga fine alle direpzioni e ai sacchi di Lombardia, alle espoliazioni e taglie del Reame e di Toscana, e la guarisca di quelle sue piaghe già per lungo tempo infistolite (Il Principe, c. XXVI). Affin di ristaurare in tutto il suo splendore l’antico impero, e di realizzare l’unità e la libertà italiana, che ne saranno le felici conseguenze, è necessario un Cesare: e Macchiavelli si guarda bene di ciò dimenticare. Al principe ambizioso di tanta gloria ci pone le regole che deve seguire, indica le qualità che deve avere. Prima di tutto, il principe liberatore deve riguardare la religione come un semplice istrumento di regno: « Debbe il principe, dice il maestro, tutte le cose che nascono in favore della religione, come che le giudicasse false, favorirle ed accrescerle, e tanto più lo deve fare, quanto più prudente egli è, e quanto più conoscitore delle cose naturali » (Disc. C. XII). E per dimostrare che tale fosse la condotta dei Romani, veri modelli della buona politica secondo il suo parere, impiega i seguenti capitoli XIII e XIV espressamente a tale oggetto. – A questa sacrilega ciurmeria, il successore di Tiberio aggiungerà la perfidia verso gli uomini. « Non può pertanto un Signore prudente, continua Macchiavelli, né debbe osservare la fede quando tale osservanzia gli torni contro, e che sono spente le cagioni che la fecero promettere …. Né mai ad un principe mancheranno cagioni legittime di colorare la inosservanzia …. Ed hassi ad intendere questo, che un principe, e massime un principe nuovo, non può osservare tutte quelle cose, per le quali gli uomini sono tenuti buoni E però bisogna che egli abbia un animo disposto a volgersi secondo che i venti e le variazioni della fortuna gli comandano; e come di sopra dissi, non partirsi dal bene, potendo; ma saper entrare nel male necessitato …. Nelle azioni di tutti gli uomini, e massime dei principi, si guarda al fine. Faccia dunque un principe conto di vincere c mantenere lo stato: i mezzi saranno sempre giudicati onorevoli e da ciascuno lodati. (Il Principe, c. XVIII). Da queste massime, e da altre dello stesso genere esposte colla medesima crudezza, Macchiavelli conchiude che il suo eroe deve partecipare del lione e della volpe conformemente al modello lasciatoci dagli antichi nostri maestri in politica. « Essendo dunque un principe necessitato saper bene usare la bestia, deve di quella saper pigliare la volpe ed il lione; perché il lione non si difende dai lacci, la volpe non si difende dai lupi. Bisogna dunque esser volpe a conoscere i lacci, e lione a sbigottire i lupi … Quel principe che ha saputo meglio usare la volpe, è meglio capitato. Ma è necessario questa natura saperla ben colorire, ed essere gran simulatore e dissimulatore. (ibid.) – Voi lo vedete, mio caro amico; la situazione delle cose, considerata nella sua formola e nei suoi pretesti, non è nuova. Se non ostante alcuni precursori più o meno numerosi, l’arianesimo si attribuisce giustamente ad Ario, e oò pelagianesimo a Pelagio, perché essi hanno dato nettamente la formola di quest’eresia, e ne sono stati gli apostoli; l’istoria è dunque ben fondata a dare il Macchiavelli per padre della politica piemontese o mazziniana, poiché egli primo ne mise il programma, e preparonne il trionfo. – Se la teoria dello spogliamento della Chiesa Romana risale a quattro secoli, la effettuazione parziale di questo principio supremamente anticristiano è appena posteriore di qualche anno. All’epoca di Macchiavelli la Chiesa era il più gran proprietario dell’Europa. E certo nessuna proprietà era più sacra della sua: ma tutto cangia colla politica cesarea ristorata dal Macchiavelli e dalla sua immensa scuola; che sviluppata il principio dal luteranismo, applicato da tutti i governi, lo spogliamento della Chiesa fa il giro dell’Europa. Tutti i Re vogliono esser Cesari, nel senso antico tutti i principi vogliono esser Re. – Davanti la loro ambizione eccitata e giustificata dal fiorentino, cadono tutte le barriere protettrici del diritto di proprietà ecclesiastica. Lo spogliamento della sposa di Gesù Cristo, o come si dice da due anni in qua, l’annessione, invade rapidamente la Prussia, la Svezia, la Danimarca, l’Olanda. Passa in Inghilterra; e colà come in tutti gli altri paesi, si consuma coll’effusione di torrenti di sangue cattolico. Ajutato dai legisti, e convien confessare, anche da certi membri del Clero, il Cesarismo pagano penetra di più in più nella politica dei governi. Lo spogliamento si estende agli stati cattolici. Giuseppe II passa sua vita in spogliare la Chiesa. La Francia cammina sulle orme delle altre nazioni, e le sorpassa di gran lunga. Il Portogallo, la Spagna, l’Italia medesima l’hanno imitata. Egli è dunque vero che ciò che si fa oggi contro Roma non è che il compimento di un attentato sacrilego cominciato sono ormai quattro secoli, e praticato in tutta Europa. Or tale è il gigante, contro il quale noi abbiamo a lottare. E questa è, mio caro amico, la situazione delle cose di presente, nel triplice punto di vista, dell’origine, della teoria, e della pratica. Domani sarò per parlarvi della causa intrinseca di questo strano fenomeno.

Tutto vostro etc.

LA SITUAZIONE (5)

LA SITUAZIONE (3)

LA SITUAZIONE (3):

DOLORI, PERICOLI, DOVERI E CONSOLAZIONI DEI CATTOLICI DEI TEMPI PRESENTI

OPERA DI MONSIGNORE G. G. GAUME PROTONOTARIO APOSTOLICO

Custos, quid nocte?

Sentinella: che è della notte?

ROMA tipografia Tiberina – 1861

Lettera Terza

Caro Amico

Come innanzi ho detto, io ritorno sulle parole tante rimarchevoli e sì poco attese di Pio IX. Queste parole, registrate in un atto solenne, non sono dette a caso. Noi vedremo che esse hanno un senso preciso, e molto più profondo che non sembra al primo colpo d’occhio. Esse sono un tratto di luce gittato sino nelle profondità del mistero d’iniquità che si appella Questione romana. – Il S. Padre col pronunziarle ha strappato l’ultima maschera alla rivoluzione. D’ora innanzi non è più permesso ad alcuno di prendere abbaglio sull’intima natura e sullo scopo finale del movimento che trascina il mondo. Dunque Pio IX ed il suo Vicario avvertono i Cattolici, che satana continua oggigiorno con un successo spaventevole gli sforzi che non mai ha cessato di fare da diciotto secoli in qua per rientrare in Roma, e rifarla capitale della Città del male; e che lo scopo della rivoluzione è di sostituire Roma pagana a Roma cristiana, e sì ricondurre il mondo al paganesimo. Ma che! è mai ciò possibile, e chi mai ha udito parlare di tal cosa? Il nostro secolo invero, così perfettamente estraneo che è a tutto quello che dovrebbe sapere, non mancherà di prendere le parole del Santo Padre per esagerazione e per figura rettorica. Voi stesso, caro amico, sarete forse meravigliato in intendere che il Vicario di Gesù Cristo esponendo all’Europa il programma della Rivoluzione si fa l’eco di tutta la tradizione. – I Padri della Chiesa più illustri, i teologi più rinomati, gl’interpreti della Scrittura meglio autorevoli hanno già espresso il pensiero del Pontefice. Di più, sono di accordo in affermare che satana riuscirà nel suo intento; di modo che la Chiesa diverrà, come ha cominciato, ad una lotta gigantesca, e Roma, diventata di bel nuovo pagana, ne sarà il centro ed il focolare. Che questo giorno si avvicini, io qui non cerco. Quello che io voglio dire si è che il tentativo attuale è un passo in avanti verso questo scopo, ed anche il più singolare che si conosca. Sotto tale rispetto, esso è uno degli avvenimenti più gravi che possano intrattenere lo spirito umano; ed io son sollecito di fissare la vostra opinione. Ma non comportando i limiti di una lettera tutte le testimonianze che vi sono di una tradizione tanto antica quant’è il Cristianesimo1 (Voi le troverete in Suarez, De Àntichisto, Lib. V. cap.VIII.et IX; in Bosio, De signis Ecclesiæ, Lib. XXIV. c. VI; in Cornelio a Lapide in cap. XVII e XVIII Apocal.; in Bellarmino De Sum. Pontif. Lib. III. c. XIII; in Malvenda de Anlich. Lib. IV. c. V; in Baronio Annal. ann. 58. etc. etc.), vogliate contentarvi di una fedele analisi. » Dietro dall’insegnamento degli Apostoli, dice la voce dei secoli, verrà un giorno, in cui satana pieno di rabbia contro Gesù Cristo ed i Cristiani, riconquisterà il terreno che ha perduto, assoderà il suo regno, e lo distenderà molto lungi. Allora egli si gitterà sopra Roma; perciocché essa è la sua rivale, dimora e Sede dei Pontefici. Egli se ne renderà padrone, caccerà il Vicario di Gesù Cristo, perseguiterà i veri fedeli, e scannerà i religiosi ed i sacerdoti (Certum et communi Patrum traditione, quæ   nobis eliam apostolica visa est, constare diximus. Suarez De Antich. Lib.V. c. 9. n. 14. – Odio babebit Romani, et c um ea pugnabit, eamque desolavit et incendet. Bellarm. de Summ. Pont. Lib. III. cap. 3.) » Roma, pagana sotto Nerone e sotto gli altri imperatori fino a Costantino, fu la vera Babilonia, la capitale della Città del male (2° Veram Babylonem fuisse primam Romam, et veram Romam fuissesecundam Babylonem. S. Aug. De Civ. Dei. L. XVIII. c. 2.). Sotto Costantino divenuta cristiana e pia, cessò di essere Babilonia, e cominciòessere la capitale della Città del bene, Città santa e fedele, Sionne prediletta di Dio, colonna della. fede, madre della pietà, maestra della santità. Verso la fine della sua esistenza essa abbandonerà la fede, la pietà, Gesù Cristo, il Sommo Pontefice; essa tornerà a divenire pagana, Babilonia, la capitale della Città del male (Deserens fidem, pietatem, Christum, Pontificem, rursum fiet Babylon. Corn. a Lap. in c. XVII. Apocal.) » Dio il permetterà, affinché noi distinguessimo la città dalla Chiesa, Roma dalla cattedra di Pietro; e ancora perché i Romani imparassero che né al loro merito, né alla maestà della loro città sono essi debitori dell’insigne onore di possedere la Santa Sede e la metropoli di tutto il mondo cattolico. » Questo lugubre destino di Roma non è per nulla contrario alle promesse fatte alla Chiesa ed alla Sede Apostolica. L’una e l’altra persevereranno sempre nella fede e nel possesso della cattedra di Pietro. Collocata in un luogo o in un altro, questa cattedra non perirà, come non perirà la fede che ne deriva. Sarà ella sempre la stessa. La Chiesa durerà sempre visibile, fosse anche obbligata a fuggire in sulle montagne, ed a nascondersi in gran parte nelle caverne e nei deserti. (Non est contra promissiones factas Ecclesiæ et Sedi Apostolicæ de perseverantia in fide, et in Cathedra Petri, quod Roma illo modo destruatur, quia cathedra nunquam defìciet, nec fides ejus, sive in hoc, sive in illo loco consistat; ubique enim eadem erit, semperque Ecclesia visibilis durabit, etiam si vi persecutionis cogatur ad montes fugere, vel in locis occultis magna ex parte se abscondere. Suarez ibid. c. VII). « Anziché nuocere alla Chiesa, questa rivoluzione aumenterà la sua gloria: che Roma cristiana non fu veramente gloriosa, se non quando Roma pagana, assetata di sangue, la perseguitava colla maggior rabbia. E di certo non si mostrò mai di maggiore costanza e di virtù più eroiche sfolgorante. Onde farà lo stesso, allorché Roma sarà di nuovo divenuta pagana. La gloria del Vicario di Gesù Cristo e dei veri fedeli che resteranno nel suo seno, brillerà d’uno splendore molto più vivo, che se Roma fosse sempre rimasta cristiana e pia ». – Tutto questo, mio caro, amico, presuppone un fatto a cui nessuno badava due anni fa, cioè che Roma tornerà a divenire la città capo di un potente impero essenzialmente ostile alla Chiesa; che essa racquisterà il suo antico splendore pagano, e con le sue corruttele ripiglierà il suo dispotico andamento. Or tutte codeste strane cose la tradizione le conobbe. « Roma ritornerà al suo splendore pagano, ed alla idolatria. (Romanam urbem tunc redituram ad pristinam suam gloriam pariter et idololatriam. Corn. a Lapide. Ibid. Ad paganismum rediens, Christum et Christianos, ac maxime Pontificem persequetur, expellet vel occidet. Id.). Pagana, spoglierà il Romano Pontefice delsuo potere temporale, anzi lo caccerà via. E rivestita dellasua primiera potenza, essa se ne servirà in perseguitarei Santi con più furore, ed immolare i martiricon più crudeltà che non fecero i primi Cesari » . (Sanctos persequetur acerbius, et martyriis crudeliorìbus afficiet, quam sub imperatoribus ethnicis passi fueriut. – Malvend. ubi supra.). Per tal quale simiglianza di caso che non so contenermi dal farvi notare, Pio IX per contrassegnare le promesse della presente rivoluzione, adopera gli stessi termini di cui gli antichi Dottori si sono serviti a segnalarne il compimento. Hanno essi detto sono già molti secoli: a Roma ritornerà al suo antico splendore, alle sue ricchezze, alla sua potenza, alla sua gloria, regina e padrona del mondo » (Romam ad pristinum splendorem, opes, vires et pompam redituram; sicut olim fuit regina orbis et domina mondi. Corn. a Lapide in Apocal. cap. XIII. v. 7.) – Pio IX dice oggidì: « Per alienare lo spirito degli Italiani dalla Religione cattolica, i nemici della Chiesa non arrossiscono di affermare e di gridare dappertutto che la Chiesa Romana é l’ostacolo che si infraoppone alla gloria d’Italia, alla sua grandezza, alla sua prosperità, e l’impedisce d’acquistare di nuovo il primiero splendore dei tempi antichi, cioè dei tempi pagani ». (Ecclesiæ hostes . . . ad Italorum animos a fide catbolica abalienandos asserere etiam et quaquaversus ciamitare non erabescunt, catbolicam religionem Italæ gentis gloriæ, magnitudini, et prosperitati adversari … quo Italia pristinum veterum temporum, idest ethnicorum, splendorem iterum acquirere possit. Encycl. ubi supra.). La tradizione aggiunge: « Inebriata della sua novella gloria Roma dirà: Io ho cacciato il mio sposo, e non sono vedova: io son piena di popolo. Il mio re è partito: ma io son meno, anzi sono d’assai meglio regina: tutti a me ubbidiscono, io non ubbidisco ad alcuno, sedeo regina ». – In verità, mio caro amico, tale linguaggio, antico di più secoli, non vi pare egli singolare? Non è quel desso che noi udiamo tutti i giorni? I così detti emancipatori di Roma e dell’Italia non hanno essi incessantemente sulle labbra che Roma è schiava; che, banditone il Papa, la città eterna si tornerà libera fatta regina come già altra volta? Non dicono essi alla medesima: Rallegrati dei gloriosi destini che noi ti promettiamo! Siamo noi oggi i tuoi soldati, perché domani vogliamo essere tuoi figli e tuoi cittadini. Se combattiamo, ciò è per renderti la tua antica maestà, l’antico Campidoglio, i tuoi antichi trionfi: È per fare di te la splendida città capitale di un grande impero. » (Parole di Cavour al parlamento di Torino il dì 11 Ottobre 1860.). La Città dei Papi divenuta di nuovo la Città dei Cesari; tale è dunque il supremo destino di Roma, e l’ultimo trionfo di satana. Or come si compirà quest’apostasia mille volte annunziala? Al certo con chiarezza sovrumana la tradizione già vide il cammino che menerà Roma a questo termine fatale. « La trasformazione di Roma cristiana in Roma pagana non si farà tutta ad un tratto. I Romani degli ultimi tempi faranno lor passi e i marmi e il porfido. Ch’ei faranno consistere la loro gloria negli splendidi edifici, nei templi di idoli, nelle statue di oro e di argento, nelle pietre preziose rappresentanti Venere, Cupido, e le altre abbominevoli divinità dell’antico paganesimo. Ei ameranno i giuochi, gli spettacoli, tutte quelle cose, per le quali gli antichi Romani corruppero i popoli e li tirarono al culto dei falsi Dei ». « Ei si avvezzeranno a riguardare con orgoglio i delitti dei loro antenati: ne faranno soggetto delle loro lodi: onde ambizione loro sarà il contraffare i fatti di Cesare, di Pompeo, di Trajano. Vorranno emularli, e risuscitare la loro gloria, non meno che tutta la vana grandezza di Roma antica. Essi invocheranno i sonori nomi dei Catoni: parleranno di grandezza, di potenza, di libertà: fumi Romani, onde già vediamo che molti si pascono ». (Etiamnum aliquos priscis hisce Romanorum fumis pasci et gloriari videmus. Corn, a lap. ibid.v. 17.). – « Preparati in tal guisa i Romani da gran tempo, che ne avverrà? Ecco che sarà, tenendo sempre dietro ai detti dei Padri, e dei dottori, che tanto predissero: « I confidenti di satana, gli atei, pervertiranno le alte classi fra i Romani. Ei faranno risplendere ai loro sguardi tutta la gloria antica dei loro avi: ei li ecciteranno a riconquistarla, ed a restaurare il culto degli Dei, ai quali l’impero dovette la sua magnificenza. Ei li attireranno alla voluttà, ed alla indipendenza, affin di menarli all’ateismo, come si è bene avverato molte volte in altri paesi. E per non citarne che un esempio, una città non meno santa, non meno provvidenziale che Roma, Gerusalemme fu pagana sotto i Cananei, fedele sotto i Giudei, cristiana sotto gli Apostoli, pagana di nuovo sotto i Romani, maomettana sotto i Saraceni. – « In punizione della sua apostasia, Roma perirà. E Dio permetterà questa grande rovina per vendicare il sangue degli antichi e dei nuovi martiri, di cui Roma sarà abbeverata. I Romani saranno dunque puniti più severamente degli altri, poiché avranno più gravemente peccato. Discendenti degli antichi persecutori, ed abitanti della medesima Città, diverranno essi partecipi alle iniquità dei loro antenati, intesi che sono ad imitarli, ed a rendere a Roma la gloria, lo splendore e la potenza di cui essa si godette sotto il paganesimo ». (Quocirca Deus in iis majorum peccata puniet: quia illis, propter approbationem et imitationem, majorum peccata imputabuntur …eo quod illis placebunt sederà majorum, eaque aemulari volent, ut Romæ pristinum sub gentilisino splendorem, pompam, et imperiuua restituant. Idem, ibid.).  – Gli uomini che fanno questo parlare sono i più grandi nomi della Storia cristiana. E si chiamano Tertulliano, Lattanzio, Cirillo , Crisostomo, Ambrogio, Girolamo, Agostino, Vittorino, Ecumenio, Cassiodoro, Sisto da Siena, Baronio, Bellarmino, Suarez, Cornelio a Lapide, Bosio, ed altri venti, et alios viginti. Devoti fino al sacrifizio del sangue a Roma ed alla Chiesa, nessun altro affetto quello infuori della verità li ha indotti a predire umiliazioni e calamità che essi deplorano nel tempo stesso che le annunziano. Le loro opere, accolte con rispetto come sorgente di vera dottrina, figurano le fiaccole che il passato ha posto in mano al presente per illuminare l’avvenire. Che altro rimane, se non che inchinarsi davanti a tanto grave testimonianza? Ben dappoco sarebbe la ragione che non vedesse sin là.

Tutto vostro ecc.

LA SITUAZIONE (2)

LA SITUAZIONE (2):

DOLORI, PERICOLI, DOVERI E CONSOLAZIONI DEI CATTOLICI DEI TEMPI PRESENTI.

OPERA DI MONSIGNORE G. G. GAUME PROTONOTARIO APOSTOLICO

Custos, quid nocte?

Sentinella: che è della notte?

ROMA tipografia Tiberina – 1861

Lettera Seconda

Caro Amico.

Vi ho promesso dirvi la ragione per la quale la rivoluzione deve voler Roma ad ogni costo. Già l’ultima frase della mia lettera deve avervelo fatto presentire. Ora mi spiegherò più chiaramente. Sarebbe puerile il voler ciò negare. Non si fa guerra al potere temporale della Chiesa, se non per colpire il suo potere spirituale. Si crede con ragione che di quanto progressivamente si indebolirà quest’ultimo, altrettanto si ritrarrà di vantaggio; checiò vuol dire l’emancipazione dell’umanità, o a darne la vera espressione, l’autocrazia dei re e dei popoli. – Qui i fatti parlano più eloquentedmente delle parole. Forse che la rivoluzione mette in moto tutte le sue forze pubbliche e segrete, a fine di ottenere le poche leghe di territorio, di cui si compone lo Stato Pontificio? Forse che l’equilibrio europeo sarà minacciato perché il Successore del pescatore di Galilea avrà un angolo di terra indipendente per ristorare la sua barca e riposarvi la sua testa incanutita dagli anni? Come gl’Italiani medesimi non si avveggono che sono tratti in inganno, e che il loro progetto di unificazione è un’utopia? Voler unificare l’Italia senza la Chiesa, è lo stesso che intraprendere la soluzione di un problema insolubile. Non vi sono se non due cose, le quali uniscono; Dio nel Cielo, e la Chiesa sulla terra. Pretendere di unire senza questi due elementi di unità, e contro questi due elementi di unità, è perfettamente un voler realizzare l’assurdo. Invece dell’unificazione, gl’Italiani, popolazioni di origine differente e di razze antipatiche, realizzeranno la divisione e l’anarchia, seguite dalla rovina del loro paese, o dal dispotismo brutale. Questo sarà, come nei bei giorni di altra volta, l’unità nella schiavitù e nella miseria. – Motivare la guerra contro Roma sulla libertà e sulla felicità da procurare ai sudditi pontifici, è una dolorosa burla. La condotta di coloro che se la permettono è la smentita solenne delle loro parole. Perché dunque questa persistenza a volere spogliare il Papa del suo temporale? Quale forza sconosciuta spinge il mondo a non indietreggiare, per conseguir questo scopo, innanzi ad alcuna manovra per quanto vergognosa e colpevole essa possa essere? Chi vuol dare una seria spiegazione di questo fenomeno altrimenti inesplicabile, deve ricorrere al gran mistero della Storia. – Il mondo si divide in due città nemiche; la città del bene, e la Città del male. Formata dall’origine dei secoli, la città di satana si va sviluppando per tutta la durata dell’antico paganesimo. Il suo centro è successivamente or Ninive, ora Babilonia. Finalmente Roma, regina del mondo, diviene la sua capitale. (S. Agostino De Civitate Dei, Lib. XV. cap. 5.). Di là, come dall’alto della sua cittadella, il Principe del secolo, princeps hujus sæculi, regna da Sovrano. Di là partono gli ordini, che fanno tremare i popoli fino all’estremità della terra; le armate che li saccheggiano; I proconsoli che li spogliano e li opprimono; gli scandali che li degradano; gli editti di proscrizione che per tre secoli abbeverano di sangue cristiano le città e le campagne dell’Oriente e dell’Occidente. Muta di terrore davanti a questa gigantesca potenza, l’umanità non rifina dal darle le sue adorazioni, il suo oro, ed il suo sangue. Intanto i destini della città eterna non sono compiuti. Profondità dei consigli di Dio su questa Città Misteriosa! È necessario che Roma diventi la capitale di un altro impero non meno potente e più esteso del primo. Un altro Dio dovrà regnare sul Campidoglio; altri Re dovranno abitare i suoi palagi; altre armate sottometterle i popoli; altri proconsoli governare le sue Provincie; altre leggi dirigere il genere umano, sotto  qualunque clima egli abiti. Per lungo tempo il mondo illuminato dal sole della verità mediante questa novella Roma, liberato per opera di lei dai ferri della schiavitù, le pagherà con entusiasmo un giusto tributo di riconoscenza e di fedeltà. – Malgrado questa benefica rivoluzione, la rimembranza della Roma pagana, della sua grande unità materiale, delle sue libertà menzognere, e dei suoi ingannevoli splendori, allo stesso modo che il veleno originale, non perirà più nel cuore dell’uomo. Satana manterrà vivo di generazione in generazione il pensiero di risuscitare il suo impero. Agli occhi dei figli di Eva egli metterà sempre in prospetto le antiche glorie del suo regno. Mediante insolenti comparazioni, egli oserà mettere le sue creazioni a confronto delle creazioni del Cristianesimo, e troppo spesso saprà far dare la preferenza alle prime sulle seconde. Le sue istituzioni, le sue arti, le sue ricchezze, i suoi pretesi grandi uomini, i suoi splendidi trionfi, e soprattutto la fascinante apoteosi della volontà umana, diverranno a un gran numero un doppio oggetto di ammirazione e di rincrescimento. Sotto un nome, o sotto un altro, risuscitare quest’ordine di cose, e se si può, far di Roma la capitale di un nuovo impero anticristiano, di cui l’Italia rimenata all’unità politica, sarà come altra volta l’orgoglioso municipio: tale è, o che si vegga, o che non si vegga, l’idea formidabile nascosta in fondo a ciò che si agita sotto gli occhi nostri. Di questa tendenza diabolica, segnalata già da molto tempo da qualcuno, e divenuta oggigiorno palpabile, abbondano le prove: due qui basteranno. Il 28 Giugno di quest’anno, il Cardinal Vicario diceva nel suo Editto all’occasione della festa del Principe degli Apostoli: « Il trionfo di S. Pietro sulla città di Roma ha eccitato una tale rabbia presso il demonio, che egli non ha cessato mai né di attaccare la S. Sede colla guerra la più accanita, né di voler ricondurre Roma agli errori ed alle barbarie antiche. Senza rammentare i suoi sforzi nei secoli passati, non siamo stati noi stessi, e non siamo tuttavia testimoni di quelli chde esso dirige contro la barca di Pietro?» Nella sua Enciclica degli 8 Dicembre 1849 Pio IX, vittima la prima volta della rivoluzione, lo ha detto ancora più esplicitamente. « La rivoluzione, Egli dice, è inspirata dallo stesso satana. Il suo scopo è di distruggere da capo a fondo l’edifizio del Cristianesimo, e di ricostituire sulle sue rovine l’ordine sociale del paganesimo. Il suo gran mezzo è di far brillare agli occhi degl’Italiani le glorie di Roma pagana, affine di rendere odiosa Roma cristiana, come quella che è l’ostacolo che impedisce l’Italia di riconquistare il primiero splendore dei tempi antichi, cioè dei tempi pagani: quo Italia pristinum veterum temporum, idest Ethnicorum, splendorem iterum acquirere possit ». Così parla la più grande Autorità che sia mai sulla terra. Questo linguaggio dell’augusto Pontefice è di troppo rimarchevole; onde non mi tengo contento a solamente citarlo; anzi vi ritornerò sopra nella prossima lettera: ed oggi mi limito a solo cavarne alcune conclusioni. Ricondurre il mondo al paganesimo; è questo l’ultimo motto della rivoluzione. L’oracolo della verità alzandone il velo, aureamente ha parlato. Il grande ostacolo a questo progetto infernale, diabolici eorum consilii, agli occhi della rivoluzione, è il potere temporale della S. Sede. Essa non s’inganna. Il Papa-Re è la sovranità visibile di G. Cristo sul mondo, è la indipendenza della Chiesa e della verità. – La Chiesa essendo oggidì spogliata dappertutto del diritto sovrano di proprietà, questa sovranità visibile scomparisce colla perdita dello Stato Romano. Non potendo andare più lungi, ecco quello che vuole la rivoluzione. Ecco perché il dominio di S. Pietro è così avidamente desiderato, perché Roma torna a diventare l’arena del combattimento; perché finalmente noi vediamo quello che il mondo non ha mai visto, cioè il Vicario di Gesù Cristo minacciato nella sua capitale medesima da centomila scomunicati con grande applauso di tutti i cittadini della Città del male sparsi nel mondo intero. – Presa Roma, satana torna a diventare il principe di questo mondo. Perchè? Perché l’ultimo ostacolo sociale alla di lui potenza, ed all’autorità dei suoi luogotenenti viene a scomparire. Creare un mondo, in cui, come in altri tempi, Gesù Cristo, il Re dei Re, sarà come se non fosse; un mondo, in cui il potere umano senza alcun sindacato, avrà sotto la sua mano la Chiesa e tutti gl’interessi spirituali; tale è il suo scopo. Col Papa-Re questo scopo non può realizzarsi. Voi ciò comprenderete facilmente. – Il Papa, rappresentante di Dio medesimo fra gli uomini, è il depositario e l’interprete incorruttibile della legge eterna di giustizia e di libertà; il muro di bronzo insormontabile ad ogni sorta di dispotismo; il pontefice immutabile che solo può dire con un’autorità sovrana ai re oppressori ed ai popoli ribelli: NON LICET, ciò non è permesso; e fin con pericolo della sua vita è obbligato a ciò dire, e questo appunto ha detto fedelmente di generazione in generazione da diciotto secoli a questa parte. Or il Papa-Re è il Papa materialmente indipendente; è il Papa inviolabile. Il Papa inviolabile è il Papa libero di dire tutta la verità, e di scagliare l’anatema contro gli spogliatori ed i despoti, qualunque sia l’altezza della loro statura. La rivoluzione, che sotto la maschera della libertà e dell’eguaglianza non è che lo spogliamento ed il dispotismo vivente, non può sopportare la sovranità pontificale. La sua esistenza è per lei una questione di vita o di morte. Essa sente a meraviglia che vi ha in quella una forza, la sola che si oppone ad un’altra forza, di cui essa oggi vuole il trionfo e domani l’apoteosi. Essa dunque dirige tutti i suoi attacchi contro questa forza del Pontefice-Re, perché essa sola impedisce, come impedirà sempre i moderni Cesari di scolpire sul loro diadema la divisa dei loro predecessori di altri tempi capace d’abbrutire gli uomini: IMPERATORE E SOMMO PONTEFICE, Imperator et Summus Ponlifex. – Che i pretesi adoratori della libertà se l’abbiano per detto. I loro attentati contro la Sovranità pontificale li conducono (e noi tutti con essi) al dispotismo il più minaccevole che sia mai stato nel mondo. Quando il Papa non sarà più Re, i Re saranno Papi. Tutta la libertà riservata ai popoli che avranno crocifisso Gesù Cristo nella persona del suo rappresentante, sarà di ripetere, sotto le strette mortali della schiavitù, il motto funebre dei gladiatori: Cesare, coloro che vanno a morte ti salutano: Cæsar, morituri te salutant! Se vogliamo renderci veramente ragione della situazione, ecco, mio caro amico, quello che bisogna vedere; il resto, come voi dite, è pei miopi.

Tutto vostro etc.

LA SITUAZIONE (3)