LA SITUAZIONE (14)

LA SITUAZIONE (14):

DOLORI, PERICOLI, DOVERI E CONSOLAZIONI DEI CATTOLICI DEI TEMPI PRESENTI

OPERA DI MONSIGNORE G. G. GAUME PROTONOTARIO APOSTOLICO

Custos, quid nocte?

Sentinella: che è della notte?

CONSOLAZIONI

Lettera Decimaquarta.

Caro Amico.

Voi siete impaziente di sapere come io potrei giustificare il titolo di questa mia lettera. Parlare di consolazioni ai Cattolici, allorché tutto si pare ad essi soggetto di profonda tristezza, a voi son certo che sembra difficile. In ogni caso, voi temete non le gioje annunziate siano più immaginarie che reali. Giudicatene voi stesso: sol ricordatevi al tribunale ove sederete a giudicare, che voi siete Cattolico, e che io parlando m’indrizzo a’ Cattolici. Checché ne dicano oggidì taluni non so quali antropologi, l’uomo è ben altra cosa che un bruto. Ch’egli non vive solo di alimenti grossolani; sì vive di verità. La verità gli è pane, gli è vino, gli è vita, gli è tesoro. Dalla culla sino alla tomba egli la domanda, egli sempre la cerca. Felice se la possiede; infelice e disperato, se muore senza averla trovata. Ecco perché la prima felicità dei Santi in cielo è il contemplare Dio, la verità medesima nel pieno splendore del suo lume; e la prima consolazione dell’uomo su questa terra è il vedere la verità con quella chiarezza che gli consente la condizione terrestre. Ma le verità che hanno il privilegio di procurargli le più dolci consolazioni, sono le verità religiose. Ve ne sono tre soprattutto che io or dispongo di segnalarvi.

La prima, che Dio è infallibile nelle sue parole.

La seconda, che la società umana non è abbandonata al caso.

La terza, che la Chiesa Cattolica è veramente la sposa unica, sempre fedele e sempre feconda, del Dio del Calvario.

Perché dico io che queste verità sono consolanti sopra tutte? Perché il Cristiano che le possiede può fare a meno di tutto il resto; essendo esse la sua fortuna, la sua bussola, la sua àncora in mezzo alle tempeste. Ora ai giorni nostri, e voi mel consentirete volentieri, queste verità sono singolarmente abbassate appresso gli uomini.

Che cosa è Dio? In quanto a molti è una parola; per altri è il male; per la moltitudine, Dio è come un vecchio monarca detronizzato, che si può impunitamente dimenticare, disprezzare, insultare.

Che cosa è la società? Una nave senza pilota, che voga a grado dei venti; una palestra ardente, in cui il potere, la ricchezza, gli onori sono posti premio al più forte ed al più astuto; un edilizio di fabbrica umana, che l’uomo, senza debito di renderne ragione, ordina a suo talento. – Che cosa è la Chiesa? Una instituzione, che ha compito il suo tempo; un ostacolo, piuttosto che un mezzo; una vecchia decrepita, che non ha più latte da somministrare. Tali sono gli oltraggi, che a parole ed in fatti, taluni si permettono di lanciare, a giornata finita. Poi si rivolgono ai Cattolici, e li domandano con ironia: « Dov’è il vostro Dio? dove sono le leggi sociali di cui voi parlate? che cosa è la vostra Chiesa? » Se ha per noi tortura, non è quella di sentire beffeggiare tutto ciò che noi rispettiamo, tutto che noi crediamo, tutto che noi amiamo? Ma ad un tempo che è mai di più desiderevole, quanto il vedere Dio nostro padre, e la Chiesa nostra madre splendidamente vendicati? Ebbene, questa splendida vendetta sorge dagli avvenimenti che si preparano, e già cominciano compirsi. – Or come mai tanto? Se l’uomo che voi più amate al mondo vi avesse annunziato venti anni fa una serie di fatti superiori a tutte le umane previsioni; forse, che al vedere alla lettera compiuti questi atti non possibili a prevedere, la vostra fiducia non si sarebbe conciliata, non che la vostra ammirazione rapita, sicché, vi terreste per fortunato, e vi esaltereste superbamente in voi stesso di avere per amico un uomo inspirato da Dio, un profeta di primo grado? Ora, non già da venti anni, sì da ben venti secoli, il Figliuol di Dio, l’oggetto di tutte nostre affezioni, venuto fra gli uomini ci ha predetto tutto quello che ora vediamo. Non ci ha Egli forse detto, e fatte dire le parole seguenti? « Verrà giorno, in cui appena vi avrà più fede sulla terra. Tornati gli uomini ad esser simili ai contemporanei del diluvio, nemici della verità, avidi di favole e di menzogne, e’ non baderanno più che ai loro corpi. Bere, mangiare, fabbricare, maritarsi, vendere e comprare; questa sarà l’unica loro sollecitudine; e Dio, l’anima, l’eternità non varranno più nulla per essi. (Luc. XVII, 26).

« Per voi, quegli ultimi giorni saranno tempi pericolosi: il mondo sarà popolato di uomini egoisti, cupidi,arroganti, superbi, bestemmiatori, disubbidienti ai lorogenitori, ed ingrati, scellerati, snaturati, nemici dellapace, calunniatori, incontinenti, crudeli, senza benignità,traditori, protervi, gonfii, amanti dei piaceri più che diDio, aventi apparenza di pietà, di cui rigettarono dase lungi la sostanza ». (II Tim. III, 1-5).Non è questa dipintura al naturale? Di tutti questitratti ove è quello che non si addica al mondo attuale,in sua generalità; e certo con tale verità che non convienea verun’altra epoca? Ben io so, che in tutti itempi vi furono errori e delitti; ma l’apologia dell’errore, ma la riconoscenza legale dell’errore nel seno delle nazionicattoliche, il delitto senza rimorso, l’ingiustizia senza restituzione, lo scandalo senza riparazione; ela teoria del delitto, l’apologia del delitto, l’orgogliodel delitto e di tutti i delitti; non solo della ribellionecontro Dio, contro la Chiesa, contro i potentati, mala negazione sistematica dell’autorità di Dio, della Chiesa,e dei Re; la teoria della ribellione, l’apologia della ribellione, l’orgoglio della ribellione, la consacrazionelegale del principio medesimo di ogni ribellione: questoè ciò che non si trova, se non nel mondo presente,e fa il carattere proprio della sua perversità.Ecco, mio caro amico, quello che è stato vedutoe predetto sono già duemila anni. Qual cosa più incredibiledi simigliante profezia? Qual cosa più divina ditale visione? Quanti misteri fu di bisogno a penetrare,prima di arrivare a questo? All’epoca, in cui questeparole uscivano di bocca al Figliuol di Dio e dei suoiApostoli, il mondo non era ancora cristiano. A giudicarlevere, bisognava primieramente che il divenisse,il che sembrava impossibile; bisognava che tale rimanesselungo tempo, il che non poteva prevedersi. Maquello che pareva men possibile, anzi il più impossibilea prevedere, si è che il mondo un giorno dimenticherebbela mostruosa schiavitù, la degradazioneprofonda, le lamentevoli miserie, da cui il Cristianesimo lo aveva cavato fuori; che calpesterebbe il sanguedel Calvario, prezzo del suo riscatto; che prenderebbein disgusto le libertà, i lumi, le felicità dovute al Vangelo;che richiamerebbe con ardore il suo antico tiranno,e caccerebbe il suo benefattore opprimendolodi oltraggi, e gridando: « noi non vogliamo che turegni più su di noi! »Io ripeto; qual cosa più incredibile! Cionnostantel’incredibile è sotto gli occhi nostri. Nostro Signoreadunque ha ben veduto! Egli ha ben veduto quelloche nessun occhio umano poteva vedere. Ravvisatodi tal guisa lo spettacolo del mondo attuale, perquanto affliggente ci possa mai essere, mi consola, mirapisce. Meglio che tutti i ragionamenti, esso dimostrala mia fede, dimostrando la divinità del di leiAutore.Venga ora l’empio a domandare al Cattolico: Ove èil tuo Dio? Il Cattolico gli risponderà: Il mio Dio!Egli è qui! Ei ti vede, ti ascolta; e giudicherà te edi simili a te. Sono già duemila anni che ha inciso abulino il vostro ritratto, annunziato tuttocciò che voidite, tuttocciò che voi fate, eziandio le vostre orgie segrete. E sì gli astri del firmamento mi narrano la sua gloria con meno di eloquenza di quello che i vostri delitti e le vostre bestemmie senza esempio e senza nome non mi rivelino la sua prescienza infinita. Io vi veggo: io credo! – La stessa consolazione per noi, mio caro amico, è nelle rivoluzioni che sconvolgono il mondo presente. La società, del pari che l’uomo, non si è formata da se stessa. Creazione divina, essa esiste in virtù di leggi fondamentali, che non sono l’opera sua. Vivere e prosperare, se essa le osserva; degenerare e perire, se essa le viola: è questa la vicenda, di cui la medesima non può francarsi. Tutte le leggi divinamente date alle società umane si conchiudono in una sola. Ed è tale, come loro fu intimato: Come l’uomo, di cui voi non siete che lo svolgimento, voi siete state create e messe al mondo per conoscere Iddio, amarlo, servirlo, e quindi per tal via arrivare alla felicità. – A tale legge il Divino Legislatore dette sanzione non meno certa di quel che fosse la stessa Legge. Egli ha detto: Si raccoglie quello che si semina; ed inoltre: la giustizia innalza le nazioni, il peccato le rende infelici. Ancora: ogni nazione, ogni regno che ricusa di servirmi, perirà. Più: se il Signore non custodisce la Città, vegliano invano coloro che la custodiscono. E del pari: io sono il Re immortale dei secoli; non essendo i Re della terra che miei ministri. Tutti a me debbono ubbidienza e fedeltà, come vassalli al loro Signore. E se fia che osino ribellarsi contro di me, ed io li spezzerò come vasi di argilla: sicché ieri in potenza, domani se voi li cercherete, e non saranno più. E con essi periranno le loro opere, e le società che vollero fondare senza di me, lungi da me, e mio malgrado ».

Questa èla Gran Carta dell’umanità. Ove sono oggidì governi e popoli, che se ne sovvengano? Ed il Cattolico si guardi bene dal rammentarla; chesubito gli si risponderà con bestemmia. « La nostra parola dipende da noi; chi èil nostro Signore? Labia nostra a nobis sunt; quis noster Dominus est? Siamo noi il diritto. Noi diremo, noi faremo, noi ordineremo, noi proibiremo, secondo nostro arbitrio; noi non dipendiamo da alcuno. »

Ecco ciò che da pezza si dice su tutti i tuoni, ed in tutte le lingue. Al vedere la prosperità dei ribelli, il Cattolico medesimo è tentato di domandare a se stesso, ove siano le leggi divine delle Società: perciocché Legge e sanzione sembrano oscurarsi a’ suoi occhi. Ma e’ si rassicuri e si consoli: poiché le tenebre ecco che si dissipano; sicché la base divina delle Società ricomparisce; e, chi sa vedere, essa ricomparisce circondata di nuovo splendore. – Fatevi a guardare voi stesso, mio caro amico: quale spettacolo presenta l’Europa attuale? Più rivoluzioni, e certo rivoluzioni sociali, in un anno, che altre volte in un secolo. I popoli si trastullano colle corone dei Re, come i fanciulli coi balocchi. Da settant’anni in quatrentanove troni caduti: ventidue dinastie esiliate, peregrinanti a piedi per tutte le vie di Europa. Inoltre venticinque Carte e Costituzioni acclamate, giurate, e lacerate. Le forme di governo fra loro più opposte, succedentisi come le foglie sugli alberi, o come gli abiti di Arlecchino in su le spalle dell’istrione. Il mondo poggia sopra un vulcano; talché tutti coloro che ancora si appellano principi, re, imperatori, scossi e vacillanti sopra il loro trono, stanno sbattuti e pensierosi, come il pilota in su la sommità del naviglio durante la tempesta. – Per restringere l’orizzonte, vedete quel che accade oggidì in Italia, a Napoli sopra tutto. Un avventuriere intraprende il conquisto di un regno di dieci milioni di anime, con in mano una frusta. Sin sotto Capua, non lamenta Garibaldi che otto morti, e trentacinque feriti. Presso alla città capo del regno, mentre la fedeltà si rifugia fra le donne ed i contadini, ecco corrono al tradimento, come si farebbe alla gloria, in gran folla generali, ufficiali, nobili, letterati, tutti educati da quarant’anni in qua da preti, da religiosi. A tanta defezione, il Re fugge, la monarchia crolla, la nazione è cancellata dal numero delle nazioni, divenuta un proconsolato di non so qual nuovo impero. A dir vero l’Europa intera, e noi primi ci siamo arrossiti per Napoli – (In mezzo a tante defezioni scoraggianti è stata certo grande consolazione a tutte le anime ben nate ed a tutti i cuori ben fatti, che siasi trovato l’eroico Re Francesco II, il quale ha gloriosamente lavato il suo popolo dalia macchia, colla quale il tradimento lo aveva coverto. Egli è finalmente caduto, perché l’Europa del secolo XIX ha permesso che il trionfo della forza costituisse un diritto; ma e caduto da Re. Egli è caduto gloriosamente, come caddero i Maccabei per la difesa della giustizia. Egli è disceso dal trono puro da ugni errore, scevro da ogni bassezza: ha ceduto tatto quello che gli era permesso di cedere; ha difeso tutto quello che gli era prescritto di difendere; e deponendo la corona, di cui si mostrò tanto degno, sulla rupe di Gaeta ha potuto ben dire all’attuale società che cammina verso la barbarie: « Io ho sacrificato il mio potere, la mia corona, la mia patria al buon diritto ed alla giustizia ». I naviganti passando quindi innanzi per davanti Gaeta, la saluteranno con santo e terribile raccoglimento, e diranno: « Qui fu la gloriosa dimora del magnanimo Re Francesco II, allorché combatté per la causa di tutti i Sovrani, mentre niun Sovrano combattè per la causa sua » … Oh! i nemici di Francesco II non si rallegrino della di lui caduta; poiché questa è la caduta del diritto politico cristiano, ed è l’inaugurazione di un diritto nuovo, di cui i rivoluzionari saranno i primi a provarne i tristi e duri effetti! Non se ne rallegrino, si; che tale caduta non ha servito, sé non ad accrescergli la simpatia dell’Europa, e l’amore dei suoi popoli; e nel tempo stesso a preparargli la via ad una splendida restaurazione. Se il trionfo dell’iniquità non può esser durevole; il nuovo diritto rivoluzionario che si è inaugurato colla forza e col tradimento dovrà un giorno cedere il posto al diritto eterno ed immutabile della giustizia, che è l’unica base, su cui possono le società aver vita durevole e stabile; ed allora il virtuoso Monarca risalire sul trono degli Augusti Avi suoi, ove lo chiama il desiderio e l’affetto dei suoi popoli ora gementi sotto le strette del più duro dispotismo rivoluzionario, ed ove non ritornerà che per ricondurre in mezzo ad essi l’ordine, la pace, e la vera felicità.)  — Ma noi non possiamo di troppo insuperbire! Che cosa abbiamo noi fatto in Francia ha già pochi anni, e che spettacolo abbiamo di noi dato al mondo? Nel 1848 dugento cinquanta democratici crollano in poche ore la monarchia francese. Ed otto giorni dopo, trentasei milioni di uomini si prostravano dinanzi loro! A tale è la Spagna; a tale Europa. Che cosa è dunque l’Europa? Già vel diceste da voi stesso: l’Europa è ormai tavola fradicia, che un colpo di piede basta a ridurre in polvere. Ora l’Europa è tale a punto, che fu fatta. Che diranno adunque al Cattolico codeste agitazioni perpetue, tante vergogne incredibili, tali catastrofi subitanee? Esse gli dicono della frivolezza delle società fatte da mano d’uomini, e dell’evidenza delle leggi divine, assai più che non gl’insegnino tutti i libri di filosofia politica. – Queste oscillazioni incessanti gli sono la pruova visibile che l’Europa moderna somiglia a un ago calamitato che smarrì il suo polo. Queste vergogne incredibili gli si manifestano effetto d’una educazione che non fortifica, non porge armi contro di nulla; per cui intende esser giusto castigo dato ad una società che fu ostinatamente infedele a questa divina legge che dice: « L’uomo raccoglie quello che ha seminato ». Sol una cosa arma l’uomo contro il male, ed è la Religione. All’ora delle grandi lotte del dovere contro l’interesse, e dell’onore contro la fellonia, solamente la Religione inspira i sublimi sagrifizii, le eroiche fedeltà. Ma per armare l’uomo, la Religione dev’essere l’anima della sua anima; e tale non sarà mai, se non mediante l’educazione. – (Questo bisogno di trasfondere in tutta la sua pienezza il Cattolicesimo alla crescente gioventù nel tempo della sua prima educazione, se vuole salvarsi la società, viene eloquentemente dimostrato dal celebre Gesuita P. Felix nelle Conferenze che in quest’anno tiene in Parigi nella Chiesa di Notre Dame. Nella prima delle quali, recitata la prima domenica di Quaresima, e che è come il programma di tutte le altre, egli dice: « Niente più è certo, non v’ha oggi nel mondo se non queste due grandi bandiere che si dividono l’umanità; cioè la bandiera del Cristianesimo, e quella dell’anticristianesimo. La seconda non si darà indietro che davanti alla prima: ciò che la farà indietreggiare non sarà il soldato animato dalla bajonetta, dalla mitraglia, e dal cannone; ciò che farà indietreggiare la barbarie, barbarie esterna, e barbarie interna, sarà il Cristo, il Cristo vincitore delle anime, mediante la sua verità, vincitore dei cuori mediante il suo amore, vincitore delle volontà mediante la sua autorità. Continueremo con Gesù Cristo la nostra marcia progressiva? Ci daremo indietro, allontanandoci da Gesù Cristo, verso le frontiere della barbarie? È la questione dell’avvenire. Ma questa questione che porta nelle sue pieghe la barbarie, e la decadenza o il progresso, chi potrà risolverla? – L’educazione. – Per arrestare il progresso della barbarie rinascente, fa d’uopo una grande rigenerazione cristiana. Ed in qual modo il Cristianesimo rinnoverà la sua immortale giovinezza? mediante la formazione e la restaurazione di Gesù Cristo nelle novelle generazioni. Si, il Cristo che si forma e che s’ingrandisce nei fanciulli; il Cristo nelle loro intelligenze, il Cristo nel loro cuore, il Cristo nelle loro volontà, il Cristo nella loro anima, il Cristo in tutto il loro essere; la vita del Cristo insomma che scorra a pieni rivi pel cuore dell’infanzia nelle vene dell’umanità, ecco il progresso nell’avvenire. Da qui a settant’anni voi tutti non sarete più; un’altra generazione vi terrà luogo sulla scena del 1mondo. Quale sarà questa umanità? Sarà civilizzata e progressiva? Sarà retrograda e barbara? È questo il segreto di Dio; ma questo segreto è nelle vostre mani. Sarà quella che voi l’avrete fatta; barbara e retrograda se l’educherete senza Gesù Cristo e contro Gesù Cristo: civilizzata e progressiva se l’educherete con Gesù Cristo e per Gesù Cristo. » – Grandi verità! ma chi le intende nel loro diritto ampio, universale, religioso e sociale senso? Buono, che l’umanità più che dagli uomini è dall’alto misteriosamente, ma potentemente guidata, governata, e svolta dal Dio dell’amore, dall’eterno operatore della giustizia. Fede in questa suprema idea, e l’ordine, la vera libertà, la giustizia trionferanno fra gli uomini: idea, che solo porge come un fanale, stella di ultima speranza, il Cristianesimo perfetto, cioè il Cattolicismo e Roma, a tutte le generazioni della terra.) –  L’Europa ha chiuso gli occhi a queste verità elementari, e gli orecchi alle parole del Capo della Chiesa. Pio IX medesimo ha detto: « La gran leva della rivoluzione, che mette oggidì il Papato in pericolo, è l’ammirazione per l’antichità pagana ». Resta a sapere come dopo diciotto secoli questa fanatica ammirazione fiorisca in tutto suo vigore nel centro medesimo del Cattolicismo, fra genti al tutto cattoliche, tutte e solo educate dal clero cattolico. Ad onta di tal solenne avvertimento; ad onta delle terribili lezioni dell’esperienza, e della conoscenza del male, e del prossimo pericolo, si è continuato e si continua a dare per lo spazio di dieci anni alla gioventù italiana, francese, europea, a modelli e maestri gli Autori che pur si osa appellare del secolo d’oro; cioè dire gli eterni panegiristi dell’antichità pagana, del vecchio Bruto, delle vecchie instituzioni, e in una parola, della vecchia gloria di Roma pagana. In tal guisa, sprezzatore ostinato delle leggi della Providenza, il mondo attuale semina la zizania a piene mani, presumendosi di sì trasformar la natura delle cose, mediante una certa coltura, di cui si crede d’avere il segreto, e di raccoglierne in tal modo tutto il buon grano. Tentativo insensato, non meno che colpevole! Ch’esso vien punito per quello stesso, in cui ha peccato. Perciocché le generazioni, che ebbe avvelenate, gli rendono ciò che ricevettero; onde discacciano i loro maestri, spodestano i re, rovesciano da cima a fondo quell’ordine di cose, che non si avvera esser quello che si fece loro ammirare. Aspettano il giorno solenne, in cui Dio renderà a ciascuno secondo le sue opere, queste infelici vittime di funesta educazione, invocano sui governi e sui maestri, autori e fautori di tale disciplina, gli anatemi ed i gastighi, ond’esse vengono colpite. In esilio, nelle prigioni, e sino a piedi del patibolo, ove le menano colpevoli traviamenti, esse dicono come Ruffini, Gallenga, Melegari, Orsini e tutti i rivoluzionari che rivelarono la causa dei loro delitti: «I due focolari delle idee repubblicane in Europa sono i collegii, e le società segrete. Egli è verissimo; noi siamo rivoluzionarii e democratici: dalle nostre file escono gli assassini dei Re; ma di chi n’è la colpa? Noi siamo a punto quello che siamo stati fatti; sicché i nostri maestri sono coloro che ci fecero ciò che siamo. Nei collegii, fra i repubblicani ed i regicidi dell’antichità, coi quali voi ci fate passare la nostra gioventù, noi abbiamo attinto il nostro entusiasmo per l’antica Roma, e l’odio contro i Re. Puniteci, proscriveteci; ma se volete esser giusti, dopo d’aver fatto la processura contro gli assassini, fatela anche a quelli che li educano  ». – (Parole testuali dei Rivoluzionari italiani oggidì alle porte di Roma. Sono le precise parole che si leggono nelle Memorie di Orsini alla gioventù italiana Cap. I . pag. 1., e nel Giornale L’Opinione di Torino del 27 Gennaro 1858, riportate per disteso dall’Autore nel Volume IX della sua operaLaRivoluzione, pag. 39 e 43, e nel Vol. X, pag. 9. I giornali tutti del Novembre 1856 riportarono le memorabili parole del Gallenga, che confessava aver attinte le sue tendenze regicide negli studii di sua gioventù. Lo stesso ha confessato ultimamente di sé il noto Canonico Spinucci ; e pochi giorni addietro il Sindaco di Lucca proponeva come suo merito alla candidatura di Deputato al parlamento di Torino l’essersi fatto notare nel Collegio per l’amore avanzato alla patria italiana attinto negli studi delle belle lettere la gioventù – Confessioni che valgono tant’oro, e che sono un grande avviso a chi tocca.) – In quanto a quei colpi ripetuti di fulmine, che atterrano in un batter d’ occhio le monarchie le più antiche, e le istituzioni in apparenza più forti, ciò al Cattolico è la giustizia di Dio che passa. È il supremo Legislatore che vendica le sue leggi, che confonde gli artefici di Babele, e che spogliando del vano loro orpello le nazioni colpevoli, pone la loro nudità in spettacolo al mondo. Senza dubbio egli è ben lontano dall’applaudire al male; ma si rallegra in vedere la sua fede consolidata, e la Providenza dimostrata. Il lavoro dell’uomo ben può essere colpevole; ma l’opera è divina. – Allorché Nabuccodonosorre metteva la Giudea a fuoco ed a sangue, saccheggiava Gerusalemme, profanava i vasi del santuario, sgozzava i sacerdoti, menava prigioniero il popolo di Dio, e delle rovine sanguinose che aveva accumulate faceva piedistallo al suo orgoglio; la sua opera era certo satanica. Ma non è men vero che Nabuccodonosorre era lo stromento della giustizia divina. Che la spada vendicatrice sfolgorava di tanto splendore nelle sue mani, che forzava gli stessi Giudei ad esclamare. « Voi siete giusto, o Signore! abbiamo violate le vostre leggi, e voi ci trattate come meritiamo ». (Daniele IX, 11). Lo stesso ragionamento vale pei Nabuccodonosorri di tutt’i secoli; poiché a rivelare la sua previdenza nel governo delle società, Iddio arma l’iniquità degli uni per punire l’iniquità degli altri. Più l’istrumento è debole ed il castigo terribile, e più l’azione del cielo si rende manifesta. Quando dopo una giornata di gravi calori Iddio vuol rinfrescare l’atmosfera e renderle la sua trasparenza, usa chiamar la tempesta. In un batter d’occhio la di lei missione è compita. L’aria è purificata; ma a prezzo della natura sconvolta; vedendosi di poi scoperte le fondamenta degli edifizii crollati, le radici degli alberi schiantati … Tali son pure le rivoluzioni nell’ordine morale. Allorché le grandi verità, basi all’ordine universale, vengono oscurate dalle passioni, snaturate dal sofisma sino ad essere come se non fossero, l’Onnipotente si leva nella sua collera, scuotendo le società, schiantando gl’imperi, distruggendo i fondamenti che la sua mano aveva lor posti. Ma dalle rovine la verità brilla di nuovo splendore, ai buoni consolante, formidabile agli empii. In giorni d’incertezza e di tenebre, in che viviamo, questa dimostrazione solenne della Previdenza è data seconda e veracissima consolazione a’ Cristiani. Se non che ve n’ha delle altre, Ch’io v’invierò al prossimo corriere.

Tutto vostro etc.

LA SITUAZIONE (15)

LA SITUAZIONE (13)

LA SITUAZIONE (13):

DOLORI, PERICOLI, DOVERI E CONSOLAZIONI DEI CATTOLICI DEI TEMPI PRESENTI

OPERA DI MONSIGNORE G. G. GAUME PROTONOTARIO APOSTOLICO

Custos, quid nocte?

Sentinella: che è della notte?

DOVERI

Lettera Decimaterza

Caro Amico

Sapere come il demonio, discacciato dal suo impero per opera del Figlio di Dio, abbia trovato modo di rientrarvi, e riprendervi autorità quasi tanto assoluta, com’era altre volte; è ciò dovere capitale dei Cattolici d’oggigiorno. Che da questa conoscenza dipende tutto il successo della lotta. Or come acquistarla? Interrogandone forse gli accademici, i sapienti, i letterati? no, per fermo. Chi dunque? la prima buona donna in cui v’incontriate; o, il vostro portiere, un lavoratore, un operaio qualunque, tanto solo che sia dotato della facoltà elementare di unire due idee. Domandate: come avviene che un campo si copre di zizania? Purché non prendano la vostra questione per celia, essi vi risponderanno; un campo si copre di zizania, perché vi si è seminata la zizania. Dite loro: Io ho viaggiato in un paese che si chiama l’Alemagna; questo paese è luterano. Sapete Voi, perché vi si professi il luteranismo, e non un’altra eresia? Ed e’ vi risponderanno ancora: Si professa il luteranismo in Alemagna, perché vi si è insegnato il luteranismo. Voi aggiungete: Io ho visitato un paese che professa una religione totalmente diversa; questo paese si chiama là Turchia: essa è maomettana. Perchè? Essi vi risponderanno sempre: L a Turchia professa il maomettanismo, perché vi si è insegnato il maomettanismo. – In questa risposta del più volgare buon senso sta quella che noi cerchiamo, e che tutti debbono cercar e con noi. Si domanda come il paganesimo, o il satanismo (poiché è tutt’uno) si trovi oggidì in piena fioritura nel campo d’Europa? E noi rispondiamo arditamente con tutte le buone donne di Francia e di Navarra: « L’EUROPA DI OGGIDÌ È PAGANA , PERCHÈ SI è SEMINATO IL PAGANESIMO ». Tutti gli assiomi di matematica sono meno certi di questa risposta dell’ignoranza. Che per verità, in fatto di idee, di costumi, di arti, di politica, di tendenze sociali, l’Europa d’oggidì sia già per metà paganizzata; che la rivoluzione che la domina miri a ricondurci agli splendori, alle glorie, alle ,libertà dei tempi antichi, vale a dire pagani, ben noi il vediamo cogli occhi nostri, il tocchiamo colle nostre mani, e Pio IX ne gitta solenne grida a tutto il mondo. Ma come si fanno in seno alle società le seminagioni del bene e del male, della verità e dell’errore? A mezzo dell’insegnamento. L’anima che viene al mondo, dice S. Tommaso, è tavola rasa, tabula rasa. Se vi scrivete il Cristianesimo, essa sarà cristiana; se scrivete il paganesimo, il giudaismo, il maomettanismo, sarà pagana, giudea, maomettana. Se ad un tempo vi scrivete il Cristianesimo e il paganesimo, essa sarà parte cristiana e parte pagana, sino a che, aiutando le passioni, essa non sia più niente di netto e riciso, o meglio tutto pagana. Per tal modo si rende manifesto che buono o cattivo, Cristiano o pagano, giudeo o maomettano, L’ UOMO È IN SOMMA UN ESSERE AMMAESTRATO; e non è altro, che questo. In qual tempo si dà l’insegnamento, i cui frutti vengono più abbondanti e più durevoli? Quando l’anima dell’uomo ancor fresca riceve con facilità, e ritiene con fedeltà tutto quello che le si gitta dentro: dai dieci ai venti anni, giustamente appellato dallo Spirito Santo il tempo decisivo della vita: adolescens (e non già puer) juxta viam suam, etiam cum senuerit non recedet ab ea. Quali poi sono le classi della società che tramandano alle altre ciò che esse ricevettero mediante l’insegnamento,e si le si fanno loro immagine? Un uomo che ben se ne intende, il sig. Thiers, ha detto: l’istruzione secondaria formar quelle che si chiamano le classi illuminate di una nazione. Or se le classi illuminate non sono la nazione intera, esse la caratterizzano. I loro vizi, le loro qualità, le loro inclinazioni buone o cattive, sono bentosto quelle della nazione intera; esse fanno tutto il popolo infetto del contagio delle loro idee e dei loro sentimenti. Da quello che è detto sin qui, nasce questa conseguenza irrepugnabile: il paganesimo abbondare in Europa, perché è stato seminato con abbondanza in cuore alla gioventù letterata. – Se inoltre vi prenda desiderio di sapere quando, come, e per cui opera ciò venne operato, vi dico che non è già una lettera che mi domandate, ma piuttosto un libro. (Questo libro esiste, scritto dall’autore; ed intitolato la Rivoluzione, ricerche istoriche sull’origine e la propagazione del male m Europa dall’epoca del rinascimento fino ai giorni nostri. 12. vol. in 8. Tradotta nelle principali lingue dell’Europa. Opera veramente classica, e degna di  essere letta e meditata). – Ma di quale maniera il paganesimo si è sì esteso da macchiare tutto, o si è allargato come il cancro da rodere fino alle parti vitali delle società cristiane? In altri termini: come l’antico principe di questo mondo, rientrato vittorioso nel suo impero, procede oggi al capo di una potente armata, per assalire e racquistare la sua antica città capitale, di cui spera e non senza ragione, di presto vedersi aprire le porte dinanzi? Si legge nell’istoria di un antico popolo che un re del paese venne spodestato e bandito in perpetuo. E bene egli sei meritava, essendo un Usurpatore, un libertino, un ipocrita, un despota senza fede né legge. Tutta la gente fece plauso alla rivoluzione; e giurò che il tiranno non rimetterebbe mai più piede nell’impero. Il principe legittimo, dotato di tutte buone qualità, era risalito sul trono, e formava la felicità dei suoi sudditi. Nessuno pensava più all’esule; quando un giorno certi amatori di curiosità artistiche e letterarie trovarono in sgombrando certe macerie, non so che statue ed alcuni manoscritti della data del suo regno. Ed e’ le riconobbero opere di artisti e letterati cortigiani del despota, e non meno corrotti di lui. Fra le statue, alcune lo ripresentavano cogli attributi della forza, del coraggio, e della saggezza; le altre ripresentavano le sue imprese, ed ancora le sue azioni più delittuose. Molte figuravano i membri della sua infame e numerosissima famiglia, una ai complici delle sue iniquità, sin nelle più turpi attitudini di voluttà! Tutte codeste statue furono giudicate degne di favore; trovate di lavoro squisito. Soli i vecchi avvisarono che quello che oltraggia il pudore non è mai bello né moralmente, né fisicamente. I vecchi vennero pertanto trattati da rimbambiti, dicendosi loro che la sensazione è il criterio del bello, e che il bello è ciò che piace ai sensi. Or come le sensazioni più vive sono quelle della carne e della voluttà, fu ammesso che la carne a nudo è il tipo del bello. Si propose al re di conservarle, ove altro non fosse, come oggetti di arte. Ed egli lasciò fare. Si collocarono adunque quelle statue nei palazzi reali, nelle abitazioni principesche. I manoscritti non furono meno ammirati che le statue. Si dichiarò solennemente che essi erano capi lavori inarrivabili di gusto e di stile; tesori di filosofia, di poesia e di eloquenza; che ivi solamente si trovava in tutta sua purità la lingua nazionale. Tutte queste opere, cantavano, è vero, la gloria del tiranno, la grandezza e prosperità del suo regno; ma si fece intendere al re non esservi alcunché di sconcio a conservarle come modelli di letteratura. E si aggiunse: purgandoli da certe oscenità, possono venir messi nelle mani della gioventù non solo senza danno, ma ancora con vantaggio. Sotto la direzione di maestri virtuosi e devoti alla monarchia, i giovani non prenderanno altro, che la forma, e ripugneranno la sostanza. Bene i vecchi scossero la testa; ma il principe lasciò fare. Mentre alcune legioni di giovani artisti copiavano le statue del tiranno, di cui si popolavano le case particolari, i giardini e le pubbliche piazze, altre legioni di scolari studiavano con ardore nei monumenti del suo regno. Ei bisogna dirlo! gli uomini più rispettabili del regno erano incaricati dell’educazione. Sino allora il loro insegnamento scritto o parlato, aveva avuto a scopo il glorificare, come meritava, il principe legittimo, facendone rilevare le buone qualità, e i benefizii. Al certo come ebbero essi a spiegare i libri nuovi, questi maestri onesti e dabbene non mancarono di dire ai loro allievi: « L’usurpatore era un miserabile, uno scellerato. I suoi artisti ed i suoi letterati non valevano di meglio. Ma ei fa d’uopo confessare che erano uomini di prim’ordine. Il regno del tiranno che essi hanno cantato, e sotto il quale hanno vissuto, è stato per molti riguardi l’epoca più brillante della nostra storia nazionale. Ed allora fu che si vide sorgere tutta una plejade di uomini grandi in ogni genere, fondarsi le instituzioni le più forti, apparire i caratteri più maschi, risplendere le virtù più eroiche. Egli è ben dispiacevole che il regno dei nostri principi legittimi non abbia prodotto nulla di somigliante soprattutto in poesia, in eloquenza, in belle arti. Ciò dicendovi, noi adempiamo ad un penoso dovere; ma voi avete diritto «alla verità. » – Questi eccellenti maestri insegnavano tutte queste cose colla migliore buona fede del mondo, fino al punto di trattare da barbari coloro che tenevano il contrario. I giovinetti intesero tali elogii giornalmente per lo spazio di dieci anni. Tutti impararono a mente la vita del tiranno, e le glorie del suo regno. Onde una delle loro grandi occupazioni fu ripeterle in verso ed in prosa. Ed affine d’identificarle colle idee, cogli usi, e cogli uomini di quell’età loro si insegnò a rappresentarle perfino nel teatro; il che essi fecero con applauso di numerosi spettatori. Sempre devoti al principe legittimo, i maestri avevano cura di ripetere ai loro allievi almeno una volta a settimana che essi dovevano ben ringraziare Iddio e del discacciamento del tiranno, e della cessazione del suo regno. Ma la gioventù, stimolata in senso contrario, accettò gli elogii, ed esaminò le eccezioni. E come essa non conosceva altrimenti i delitti dell’usurpatore che a detta di altri, pensò che, forse, si era voluto calunniarlo; e che in ogni caso, un regno sì fecondo in capi lavori ed in grandi uomini non era poi così tristo come si diceva. Questa opinione si sparse insensibilmente nel popolo, fattoglisi già familiare la fama di queste cose, mediante le statue, gli oggetti di arte, i teatri, ed i libri. – Si era a tale, quando improvvisamente il tiranno si appresenta alle frontiere. Egli lancia una grida, nella quale ricordando tutte le glorie del suo regno, annunzia che viene a riportare i lumi, le scienze, le arti, e la brillante civilizzazione, di cui i monumenti, ad onta delle calunnie dei suoi nemici, facevano ancora l’ammirazione di tutti. Di subito il re legittimo a capo dell’armata muove contro l’usurpatore. Ma l’armata tradisce: la gioventù acclama il tiranno: le città gli aprono le loro porte: e il tiranno risale sul trono, in quella che il sovrano legittimo in piccol corteggio di sudditi fedeli, ripiglia tristamente il cammino dell’esilio. – Se io non m’inganno, caro amico, quest’antica storia rende chiaramente ragione del come, che voi cercate. Meditatevi sopra; datela a leggere ai vostri vicini; e dite loro francamente, cento volte il giorno, se accade, che l’insegnamento è una seminagione, e che si raccoglie inevitabilmente quello che si semina. Ed affine di meglio applicare questa verità alle circostanze presenti aggiungetevi gli aforismi come appresso. La rivoluzione è un principio, un’idea, anzi un insieme di idee. La trasmissione di un principio, d’un’idea, di un cumulo d’idee, si opera mediante l’insegnamento. Dunque l’insegnamento considerato nel suo più largo concetto è quello che ha fatta la rivoluzione. Quello che l’insegnamento ha fatto, sol esso l’insegnamento può disfare. – Il Cattolicismo è la sola perfetta negazione della rivoluzione.Se l’Europa ha mai un avvenire di pace e di felicità,ella il dovrà al Cattolicismo applicato a tutto, ilpiù intimamente che si possa.Ma sarebbe veramente fanciullesco il pretendere diapplicare intimamente il Cattolicismo alla società, continuandoun sistema d’insegnamento, il quale, se nonha applicato il paganesimo all’Europa, non ha almeno impedito di applicarglielo sino a incancrenirla dentro alle ossa, e sì condurla all’agonia. Se i Cattolici accettano con grande serietà questi veri elementari; se ne fanno regola invariabile alla loro condotta, essi avranno compito il più grande dei doveri imposto loro dalle presenti occorrenze. Io so bene che a ciò fare, come per il resto, è tardi. Se la questione capitale del paganesimo nell’educazione cristiana, anziché esser messa da parte come disputatone inutile, dannosa, intempestiva, allorché fu proposta, fosse stata presa seriamente, e sì la riforma fosse stata prontamente applicata, saremmo noi forse ove siamo di presente? Quanti errori sarebbero stati prevenuti, quante false ammirazioni estinte, quante idee vere seminate nella società! in altri termini, quanti elementi di restaurazione preparati! Nel cataclismo, cui tutto il mondo ormai teme, noi vedremmo una tavola di salvezza che ci manca. Già si vedrebbe sorgere da servire di punto d’appoggio all’ordine sconcertato, e di addentellato all’avvenire, una generazione ben diversa da quella, che a nome delle rimembranze pagane, sconvolge oggidì l’Italia, ed in difetto di Inni a Giove, fa di entrare nelle Chiese di Roma a cantare i Te Deum in onore di Mazzini e di Garibaldi. Ma checché ne sia, gli è tempo di pentirsi; e sempre è bello l’abbracciare la verità, allorché si conosce. Da tutti i punti di veduta, la salvezza si vede essere a questo prezzo: Veritas liberabit vos.

Il vostro etc.

LA SITUAZIONE (14)

LA SITUAZIONE (12)

LA SITUAZIONE (12):

DOLORI, PERICOLI, DOVERI E CONSOLAZIONI DEI CATTOLICI DEI TEMPI PRESENTI

OPERA DI MONSIGNORE G. G. GAUME PROTONOTARIO APOSTOLICO

Custos, quid nocte?

Sentinella: che è della notte?

DOVERI

Lettera Duodecima

Caro Amico

È meno di un anno che apparve uno scritto avente a scopo il legittimare lo spogliamene del patrimonio di S. Pietro; e ciò che è più insultante, il non lasciare al Vicario di Gesù Cristo che uno scettro derisorio.mQuesto scritto è senza nome di autore. Per bocca del suo Capo il mondo cristiano dichiarollo « un insigne monumento d’ipocrisia, ed un ignobile quadro di contraddizioni ». Tale essendo, gli manca valore intrinseco, ed estrinseco. Ciò nulla ostante, quest’opuscolo di ottanta pagine ha messo l’Europa sossopra. Più di dugento scrittori, francesi e stranieri, preti e vescovi, reputarono bene di doverlo confutare. – Un sì grande effetto per una sì piccola causa! Vi è in ciò un mistero. Voi forse, caro amico, giudicherete che bene avrebbero dovuto di leggieri addarsene, e ciascuno domandarsi perché uno scritto assurdo in se stesso, ed impossibile in altre età destasse tanto rumore; perché il senso cristiano sembri così indebolito in Europa, che abbia dovuto temersi la seduzione di un gran numero, se non si fosse con tutta fretta cercato di dimostrare che la notte non è giorno! – Si sono messi dunque all’opera ; e conviene esser giusto dicendo che la difesa è andata più lungi dell’attacco. Nell’opuscolo alcerto non si è veduta altra cosa dall’opuscolo infuori. Sotto la maschera dell’anonimo si è riconosciuto non già l’autore, chiunque esso siasi, né il pensiero personale di un uomo isolato: ma una potenza terribile, contro la quale è paruto necessario il ricorrere a questo grande spiegamento di forze: ed in rispetto a ciò non si sono ingannati. Preso alla lettera, l’opuscolo è stato confutato in tutte le lingue. Onde agli occhi dell’Europa esso è stato, se si vuole, stritolato, polverizzato. Ma possiam dire la stessa cosa della potenza occulta, di cui esso è riguardato come il programma, e la prima prova? Si è detta la sua natura, la sua origine, il mistero della sua forza, e il mezzo di vincerla? Le frasi eloquenti, e gli argomenti perentorii indirizzati contro la figlia, hanno uccisa la madre? l’hanno essi convertita, arrestata? Guardale a quello che accade e succede in Europa da un anno in qua. L’hanno forse almeno illuminata? Pur questo meschino risultato è più che dubbioso. – Che si è fatto adunque? Si è provato, si è dimostrato fino all’evidenza di un assioma di geometria, che l’indipendenza territoriale della S. Sede è necessaria al libero esercizio della sua autorità spirituale;

che il Capo di dugento milioni di Cattolici sparsi per tutte le parti del mondo non può esser l’ospite, e molto meno il pensionato o il vassallo di un re qualunque;

Che il potere temporale del Papa è il più antico, il più sacro, il più paterno, il più utile, il più legittimo di tutti i poteri esistenti;

Che le leggi dello Stato Pontificio non si oppongono alle riforme ed alle libertà vere, non solo più, ma forse anche molto meno, di quello che fanno le leggi di certi paesi che presumono essere a capo della civilizzazione; Che violare il diritto di proprietà, e di sovranità nella persona del Santo Padre, è la stessa cosa che violarlo nella rappresentazione di tutti i proprietarii e di tutti i Sovrani; scuotere tutti i troni; preparare le vie alla democrazia, mettendo in effetto sopra un punto della terra il sogno anarchico che essa si promette di realizzare dappertutto; e commettere in ultimo un atto di demenza e di fellonia che pone ogni cosa a repentaglio, l’ordine sociale più ancora che non l’ordine religioso. – Ecco, mio caro amico, ciò che è stato provato senza replica nelle confutazioni del detto opuscolo, e di altri scritti del medesimo conio. Era ben dovere il ciò fare; e questo dovere è stato nobilmente adempito. I forti sono stati meglio armati, i deboli fortificati, taluni disertori forse illuminati e richiamati; tutti messi in guardia. – Ma che è della potenza contro la quale si è ragionato? Posto che n’avesse bisogno, è stata essa confermata nella sua maniera di vedere, dimostrandosi quel che già da pezza essa ha ben veduto: poiché tutto quello che si è procurato con tanta diligenza di provare, ben essa sel sa. Sel sa da molto tempo; e meglio di qualunque altro. Ma per ciò a punto che lo sa, essa lo vuole, e lo vuole con tale volontà che non hanno mai arrestato, ed è lecito temere, che non arresteranno giammai né le confutazioni, né le grida di allarme, né le protestazioni della giustizia e del buon senso.

Poniamo pure che si sia fatta dubbiosa, e che per poco essa sospenda il suo cammino, o lo rallenti! Tale potenza non però smetterà il suo intento. Sicché fino a quando esisterà sarà una minaccia senza posa contro alla Chiesa, allo Stato, a tutti gl’interessi costituiti ed esistenti. In tal guisa, io ridico, si è attaccato il male nelle sue manifestazioni, e si è ben fatto: ma ciò non basta; bisogna attaccarlo nella sua causa. A che giova tagliare i rami di un albero avvelenato, se lasciate sussistere il tronco e le radici? Il medico che dice all’ammalato: Il vostro stato è grave, gravissimo; può venirne la morte: e ciò provato sino all’evidenza, dipoi si ritira senza indicare né la natura del male, né la causa, né il rimedio; tal maniera di medico, foss’egli membro di tutte le accademie del mondo, dottore di tutte le università, punto non migliora lo stato dell’ammalato. Che cosa si è fatto insinora? Parole di eloquente indignazione furono scagliate dalla penna dei più abili scrittori, dalle labbra dei più grandi oratori. Esse hanno impresso ardenti stimmate in sulla fronte degli uomini che oggigiorno sconvolgono l’ordine sociale, i quali a fin d’arrivare il loro scopo calpestano egualmente le leggi divine ed umane, e senza vergogna, fanno della ingratitudine, della ipocrisia, e della viltà, loro ausiliarii e loro complici. Ma che? Non è questo un arrestarsi alla superficie, senza penetrare il fondo? Non è un prendere l’effetto per la causa, e lo strumento per la mano che lo muove? La rivoluzione guarda tutto ciò con compassione, e ci dice: «Voi sbagliate i vostri colpi. Nel 93, io non era né Marat, né Robespierre, né Babeuf; oggi io non sono né Vittorio Emmanuele, né Garibaldi, né Mazzini, né Kossutb, né alcun altro dei loro complici manifesti o secreti. Questi uomini sono miei figli e miei soldati; ma essi non sono me. Questi uomini sono manifestazioni passeggiere; ma io, io sono uno stato permanente. Essi sono alcuni fatti; io sono un principio ».

Si sono adunque ben vituperati con energia gli uomini della rivoluzione! Di nuovo ripeto: Si è ben fatto. Ma ancora una volta, caro Amico, ciò non basta. Che bisogna dunque fare, e qual è il dovere più imperioso dei Cattolici nelle occorrenze solenni, in cui noi versiamo? Ditemi: se un giorno vedeste i vostri figli, fin a ieri brillanti di salute, divenuti pallidi e languidi, che fareste voi? Di subito, ed a colpo certo voi cerchereste della causa di questo doloroso cangiamento. E tale sarebbe il vostro primo pensiero, poiché tale v’incomberebbe il vostro primo dovere. Conosciuta la causa del male, voi senza più ricorrereste al rimedio. – Or il gran dovere dei Cattolici sta nell’imitarvi. Facciano essi di esaminare seriamente e senza preoccupazione, davanti a Dio e davanti alla storia, come l’Europa, in altri tempi sì cristiana, sia uscita dalla sua via, sino a mettersi in sull’orlo d’abisso; e sì conosceranno quale veramente fosse stata la causa primiera e sempre attiva di questa fatale aberrazione. E conosciuta questa causa, bisogna armarsi di volontà irremovibile di schiantarla, e distruggerla. Or voi, ben sapete, come fuvvi nella vita dell’Europa un’età, in cui, ad onta del peccato originale e delle sue conseguenze inevitabili, l’ordine sociale intero poggiava sopra il Cristianesimo. Idee, leggi, istituzioni, arti, feste, linguaggio, il Cristianesimo informava ogni cosa del suo spirito, imprimeva il suo suggello a tutto. E questo è un fatto. Tutte le posizioni che il Cristianesimo teneva una volta, oggi tienle un nuovo padrone. E questo regna nelle idee, nelle leggi, nelle istituzioni, nelle arti, nelle feste, nel linguaggio. E questo è un altro fatto. – Di tale fenomeno quale n’è la causa? Primieramente chi è mai questo nuovo Padrone, questo Usurpatore audace che incalza il Cristianesimo colla spada alle reni, e tiene la società per la gola, minacciandola di soffocarla, con toglierle la respirazione della fede? Se e’ ricusa di nominarsi, e voi raffiguratelo alle sue opere. Esaminata da vicino l’Europa presente, l’Europa sulla quale egli regna, essa non è né luterana, né calvinista; non né protestante, né giudea, né maomettana: essa è qual cosa di più, o se volete, qual cosa di meno. Ma questo più o meno che è esso mai? Esso si definisce per se medesimo dai suoi grandi caratteri. Ai giorni della Chiesa nascente, satana regnava pienamente sopra il mondo; e ‘1 suo regno si compendiava in una triplice apoteosi.

– Apoteosi della ragione. Non v’erano più credenze stabili: anzi contraddizione universale; eguaglianza di tutte le religioni davanti alla legge; ammissione di tutti gli dei al medesimo Panteon; derisioni perpetue della fede, degli usi, dei costumi e delle tradizioni dei maggiori.

– Apoteosi della carne. Culto universale dei sensi, per il lusso delle vestimenta, delle abitazioni, del nutrimento, e di tutte sorte di voluttà; per una civilizzazione materiale raffinatissima, e messa al servigio di tutte le concupiscenze; per la letteratura e la poesia, pei teatri e per le arti, cantando, glorificando, e riproducendo in marmi, in bronzi, in statue ed in dipinture tutte le infamie degli dei e degli uomini, collocandole con onore dentro a’ palagi, in sulle pubbliche piazze, e nei giardini, e nelle case particolari, e sulle pareti, e nelle volte, e sul suolo, e dappertutto.

– Apoteosi della volontà. In alto, ogni potere temporale e spirituale concentrato in un uomo regnante a suo libero ed anche capriccioso talento, senza alcuno sindacato che avesse in terra, o temesse nel cielo. In basso, l’adorazione servile del Divus Imperatore. Dappertutto, odio del Cristianesimo, che predicava i diritti di Dio, e il principio di libertà; odio del Cristiano, servitore di Dio ed apostolo della libertà; odio del Cristianesimo e del Cristiano insieme, rivelantesi ad ogni modo, con l’ingiuria, e la calunnia, e non risparmiando le carneficine. – Tale fu, contrassegnato dei suoi grandi caratteri il regno di satana sopra il mondo pagano negli ultimi giorni di sua esistenza.

Or ripigliate, mio caro amico, ciascuno di cosiffatti caratteri; studiatevi sopra accuratamente; e vedete se la storia delle nazioni cristiane porga una sola età, eccetto la nostra, ove questa triplice apoteosi sia ricomparita nella pienezza delle sue manifestazioni. Che è tutto questo, se non l’antico paganesimo ritornato nel mondo; tale di certo a cui, per esser compito, non manca altro che la forma plastica? Ove non si voglia chiudere volontariamente gli occhi alla luce, non v’ha di che prendere abbaglio: e però diciamo che l’Usurpatore, che noi abbiamo a combattere, è quel desso che il Cristianesimo nascente trovò re e dio di questo mondo. In quanto a noi, come accadeva a’ nostri primi padri, la vera lotta non è contro uomini di carne e di sangue, sì bene contro le potenze dell’aria, contro gli spiriti del male, ritornati reggitori di questo mondo di tenebre. Non est nobis colluctatio adversus carnem et sanguinem, sed adversus principes et potestates, adversus mundi rectores tenebrarum harum, contra spiritualia nequitiæ, in cælestibus (Ad Ephes. V. 12). Ciò posto, qual è la natura della guerra, che noi abbiamo a sostenere? Evidentemente la nostra si mostra dover essere una reazione anti-pagana. Ogni altra guerra è cieca, sterile, infelice: l’invasione del paganesimo è universale, incessante; dunque la reazione vuol essere universale, incessante. E questa è la grande, anzi unica necessità della nostra epoca. La società può vivere senza strade di ferro, senza telegrafi elettrici, senza giornali, senza cannoni rigati, ed anche senza Camere legislative, mute o parlanti; ma al punto in cui essa si trova, non può a meno di fare una reazione antipagana, più certo che non possa fare a meno sia di pane per nutrirsi, sia di aria per respirare. – Onde la è questa letteralmente, questione di vita o di morte. – Ma rimane a sapere per qual mistero l’antico tiranno dell’umanità, dopo mille anni di scacciamento, or si trovi vivissimo ed onnipotente in seno alle nazioni cristiane? Quest’altra questione fornirà argomento alla mia prossima lettera.

Tutto vostro etc.

LA SITUAZIONE (11)

LA SITUAZIONE (11):

DOLORI, PERICOLI, DOVERI E CONSOLAZIONI DEI CATTOLICI DEI TEMPI PRESENTI

OPERA DI MONSIGNORE G. G. GAUME PROTONOTARIO APOSTOLICO

Custos, quid nocte?

Sentinella: che è della notte?

DOVERI

Lettera Undecima

Caro Amico.

I doveri dei Cattolici derivano dalla nozione medesima della Chiesa; e si misurano dalla gravità delle circostanze in atto, che ne determinano la natura. Or che cosa è la Chiesa? In tutto rigore della parola, la Chiesa val quanto madre nostra, madre delle nazioni civili. Che essa in effetto è quella che ci ha generati alla vita soprannaturale, e come conseguenza, ai lumi, alla libertà, al ben essere, che innalzano grandemente i popoli cristiani sopra dei pagani antichi, e degl’idolatri dei nostri giorni. Profferite pure arditamente un premio, un brevetto d’invenzione, una statua a sua scelta nel Pantheon, all’uomo che scoprirà una libertà vera, un raggio di pura luce, un progresso reale, una instituzione completamente utile, una cosa veramente grande e bella, che non venga dalla Chiesa. La Chiesa è quella che ha tratto il mondo dalla barbarie, e gl’impedisce che vi ricada. Conciossiachè per tenere lontana una novella caduta dell’umanità, ella da diciotto secoli in qua ha versato a torrenti il suo sangue più puro. Veglie, lagrime, preghiere, fatiche, umiliazioni, lotte incessantemente rinascenti; a tutto si è ella sacrificata per il bene dei suoi figli. Ed è ben poca cosa all’amor suo il tutelarci i beni del tempo, se non ci conduce ancora al possesso dei beni futuri. Or questa madre, tante volte nostra madre, geme tutta oggidì nel dolore. Sicché dal primo tempo che essa viaggia nella valle di lagrime, non ha mai potuto dire con più di verità: O voi tutti che passate pel cammino della vita, Cattolici del secolo XIX, cercate nella storia del passato, e vedete , se v’ha un dolore che sia paragonabile al mio! Di faccia a questo nuovo Calvario, come dobbiamo noi diportarci? Un figlio vede oltraggiare la propria madre; la vede ingiuriata, schiaffeggiata, spogliata, cacciata brutalmente dalla sua dimora: qual è il suo primo sentimento, il suo primo dovere? Il suo cuore parla, il suo sangue ribolle. Meglio che una metà, e più ancora che se stesso, egli ama cotesta sua madre in que’ suoi patimenti; onde tutto quello che può fare per difenderla, tutto egli fa. Consociarci ai mali della Chiesa, difendere la Chiesa; ecco, o Cattolici, i due primi nostri doveri. La natura ciò detta, la fede ciò comanda. Ma che vuol dire consociarsi ai mali della Chiesa? Vuol dire riguardare, risentire come fatto a noi stessi quello che si fa a Lei. I suoi dolori devono esser nostri; occupare i nostri pensieri, alimentare le nostre conversazioni, inspirare le nostre preghiere. Il nostro cuore deve vivamente commuoversi alle ferite che a Lei si fanno; le nostre guance arrossire agli schiaffi che le si danno; la nostra anima indegnarsi alle calunnie colle quali si perseguita; i nostri occhi piangere alle umiliazioni colle quali viene abbeverata, ed alle lagrime che le si fanno versare: opprobria exprobrantium tibi ceciderunt super me. Se avvenisse altrimenti, ove sarebbe la nostra pietà filiale verso la Chiesa? Vergogna a colui, il quale può leggere con indifferenza il racconto giornaliero delle sue angosce; a colui, la cui vita non si covre di un velo di tristezza; a colui, il quale in questi momenti di dolore supremo non ha in orrore le feste e i piaceri mondani. Il figlio che ride e canta vicino a sua madre addolorata, fu egli mai un buon figlio? Questa compassione nondimeno non vuole essere sterile. Se finisce sulle labbra, chi la prenderà per verace? L’albero si conosce ai frutti; la realità di un sentimento si conosce solo agli atti. Gli atti inoltre di nostra compassione verso la Chiesa devono variare secondo le persone, e le circostanze. La Chiesa è povera: voi siete ricco; datele del vostro oro. Siete povero voi stesso? dividete con lei il vostro pane. La Chiesa è attaccata colle armi alla mano? un sangue generoso scorre nelle vostre vene: offritele adunque il vostro sangue. La Chiesa è indegnamente calunniata: voi avete una voce; parlate: avete una penna; scrivete per la di lei difesa. La Chiesa è abbandonata, tradita da coloro che si dicevano suoi figli devoti; la di lei confidenza è in Dio solo: affrettatele colle vostre preghiere il soccorso dall’alto. La nostra divisa in somma sia il motto di Tertulliano: « Oggidì ogni Cattolico dev’essere soldato: in his omnis homo miles. » – In questa lotta obbligata, inevitabile, se la spada dello zelo deve armare il braccio al Cattolico; lo scudo della fede deve covrire il suo capo. È questo un nuovo dovere che gli incombe. Che voglio dire con ciò, mio caro amico? Voglio dire che il Cattolico deve prima di tutto provvedere alla propria sicurezza in modo da non mai contristare la Chiesa col divenire egli stesso la vittima dell’errore e del sofisma. Per questo, che cosa deve egli fare? Conoscere con precisione ciò che è vero e ciò che è falso nella questione attuale; per conseguenza ciò che deve sostenere, o pur combattere, di maniera che non faccia mai concessioni sospette, triste preludio di deplorabili defezioni. Per ciò che la rivoluzione attacca egualmente la società e la Chiesa, essa ha sofismi pronti al servizio di questa doppia iniquità: tanti che volumi interi non basterebbero a contenerli, né, che è più, a confutarli partitamente. Sicché il cattolico, se vuole preservarsi dai tratti veementi del nemico, deve prendere per regola immutabile di sua condotta e dei suoi discorsi queste massime eterne:

1° Chi si espone volontariamente al pericolo, vi perisce. I cattivi discorsi divorano come la cangrena.

Il cattolico deve dunque con somma cura evitare le conversazioni, e le letture capaci di falsare il suospirito sopra gli avvenimenti del giorno. Che egli si diffidi soprattutto dei giornali, che sono grandi corruttori del senso morale e della coscienza pubblica. L’uomo èfiglio della sua educazione, si diceva in altri tempi; e ciò era vero. L’uomo èfiglio del suo giornale, può dirsi oggi giorno; e in cento lettori, questo si avvera almeno di ottanta.

2. ° In fatto di politica, dovere del Cattolico è il sapere e il dire:

« La forza non costituisce il diritto,

« Il successo non giustifica niente.

« Il sagrificarsi e soccombere in causa giusta, èvera gloria;

« Il tradimento che trionfa, èvera vergogna.

« Dio si ride dei consigli degli uomini.

« La giustizia di Dio rende il contraccambio con solennità!

« Aderirsi a Pietro è attaccarsi all’IMMUTABILE. I Re che fanno ciò, al dire degli oracoli divini, si armano di chiodi i loro occhi e di spade le reni.

3. ° In materia poi religiosa, ogni Cattolico, sia uomo, sia donna, sia fanciullo deve sapere a mente, e sostenere questi assiomi della fede, e del senso comune:

a) Spogliare il Santo Padre dei suoi Stati, non è una questione puramente temporale, e moralmente indifferente: chespogliare ingiustamente alcuno, fosse egli anche Papa, èrubare. Or rubare èquestione totalmente morale e religiosa.

b) Togliere alla Santa Sede la sua indipendenza materiale èmenare la Chiesa a scisma, ed il Papa al martirio. A Colui, la cui parola deve comandar le prescrizioni della fede all’universo, non sono possibili che due posti in questo mondo; il trono, o il patibolo.

c) Dire che si ha diritto di spogliare il Papa per causa di utilità pubblica, èun gridare la legittimità del diritto della forza, inaugurare i l comunismo , e prepararne il trionfo.

d) Negare la necessità, l’utilità delle possessioni temporali della Chiesa, approvare lo spogliamento, di cui essa è la vittima, biasimare la resistenza che ella oppone ai consigli degli uni, alle violenze degli altri, non turbarsi affatto dei suoi anatemi, anzi pensare che i suoi fulmini non colpiscano in cosiffatte materie; è lo stesso che volersi rendere colpevolissimo dinanzi a Dio, e degnissimo delle pene più severe: essendo un approvare quello che la Chiesa riprova, sostenere le dottrine che ella condanna, dichiarare incolpevoli quegli atti che ella vitupera. »

Presumere che il Papa spogliato del suo temporale venga più rispettato e meglio ubbidito; è un far la parte dell’assassino di strada, il quale dice al viandante: amico, se io ti svaligio, ciò è nel tuo migliore; camminando a piedi nudi, sarai più stimato; e da me alleviato di tutto quello che porti, ti sentirai molto più libero. Se non che si darà una pensione al Papa! — Pane di pensione, pane di munizione; pane di munizione, pane di sommissione; pane di sommissione, pane di lagrime e di dolore. Credere che le concessioni e le riforme avrebbero salvato il Papa, questo è pascolo di sciocchi. La rivoluzione ha già detto: « Solo una concessione, solo una riforma può appagarmi; ed è la piena ed intera cessazione del governo temporale della Chiesa ». (Parole dei rivoluzionari italiani – v. cit. Cardinal Antonelli). Il Papa in difendere i suoi stati, non difende già un pezzo di terra; ma difende il diritto da qualsivoglia punto si riguardi; diritto sociale, diritto di sovranità, diritto di proprietà! Questi grandi principii basteranno al Cattolico a fare giustizia dei tanti sofismi, al certo inetti, onde siamo assaliti come da uno sciame di vespe in furore. Contrassegnammo un secondo pericolo, che è lo scisma. – Or vi ha due mezzi da poterne campare, l’uno negativo, e l’altro positivo. Il primo consiste in ripudiare, qualunque sia il suo titolo o il suo patrono, ogni opinione contraria alla spirito della Sede Apostolica, alle dottrine romane, all’infallibilità personale del Vicario di Gesù Cristo, ed alla sua suprema autorità in tutta la Chiesa; in una parola, rinnegare ogni opinione che tenda a legittimare l’insubordinazione al Santo Padre insino ad un certo grado o punto, o, come molti non arrossiscono di dire, l’emancipazione dalle esigenze della corte di Roma. Il secondo consiste in prendere per guida invariabile le parole di S. Ambrogio: Ubi Petrus, ibi Ecclesia: Ove è il Papa, ivi è la Chiesa. Innalzare i suoi sguardi di sopra a tutte le teste, ed anche a tutte le mitre, per fissarli alla Tiara: sapere quello che pensa il S. Padre, e pensare come lui né più, né meno; approvare ciò che egli approva; condannare ciò che egli condanna; fare ciò che egli ordina, con una docilità da fanciulli, questo, amico mio, è l’infallibile secreto per tenersi nel cammino della verità, e dentro il girone della Chiesa.

Parlerò ora della persecuzione, che è l’altra prova, cui noi possiamo essere chiamati? Rilegga il Cattolico gli annali dei suoi eroici avi, o la storia contemporanea dei suoi fratelli dell’estremo Oriente. E quindi apprenderà in una, e le precauzioni a cui attenersi per sfuggire ai suoi nemici, la rassegnazione onde soffrire la perdita dei suoi beni, e la sublime calma colla quale deve rendere omaggio alla verità, vivere nelle prigioni o nell’esilio, portare le catene del confessore, o soffrire i tormenti del martire. Questi nobili esempi dati da uomini di ogni età e condizione, da donne deboli, e da timide verginelle, infiammeranno il suo coraggio, e gli faranno dire: Perché non potrò io quello che tanti altri? cur non potero, quod isti et istæ? – Soprappreso da tanto eroismo in nature fragili, come lui, ben comprenderà essere il martirio una grazia, la più grande di tutte, ricompensa a lunga fedeltà! Se accade, riconciliarsi seriamente con Dio, mettere in regola i suoi affari temporali, mostrarsi scrupolosamente fedele nelle piccole cose, affine di meritare di essere fedele nelle grandi; soprattutto cibarsi sovente dell’Eucaristia, pane dei forti, vino che feconda le vergini; senza la quale, a giudizio dei primitivi Cristiani, il martirio è impossibile. E tali sono pei Cattolici i mezzi d’esser sempre, come diceva Tertulliano, di stirpe generosa, pronta al morire, expeditum morii genus. Se noi non siamo degni di fornire il sanguinoso arringo della persecuzione, altre prove ci aspettano. Le calamità pubbliche, gli sconvolgimenti sociali, le angosce di più sorte non possono mancare. Per renderle meritorie al cattolico, due virtù saranno la sua armatura; la pazienza e la carità. – Paziente, egli dirà a se stesso: Io ho bisogno di espiazione. E che sono le pene di questa vita al confronto delle gioie e delle ricompense dell’altra? Gittando ad ogni patimento i suoi sguardi sull’antico patriarca del dolore, ei dirà come Giobbe: « Il Signore me l’aveva dato, il Signore me l’ha tolto; Egli ha fatto ciò che ha trovato buono; sia benedetto il suo santo nome »; e sulla gran Vittima del mondo, dirà col Divino Modello: » Padre, se può essere, questo calice si allontani dalle mie labbra; intanto si faccia la volontà vostra, e non la mia». Caritatevole poi, riguarderà le creature non come causa delle sue sofferenze, si come strumenti della Providenza, la quale percuote per purificare, o per abbellire. Ed alla sua memoria s’appresenterà il precetto evangelico: « Pregate per coloro, che vi perseguitano: » Anzi sulle sue labbra saranno le parole del Divino Maestro spirante: » Padre, perdonateli, poiché essi non sanno quello che si fanno ». Onde degno figlio dei suoi avi, egli imiterà i primitivi Cristiani, i quali lungi dall’odiare i loro persecutori, pregavano notte e giorno per essi, e loro ubbidivano in tutto quello che Dio non proibisce. Tuttavolta egli saprà vituperare il male con energia, e chiamare gli empii col loro nome, come anche quelli facevano. – Il Divino Maestro, di cui poco fa abbiamo letta la tenera preghiera, non ha Egli forse chiamato i suoi persecutori lupi rapaci, lupi rapaces, sepolcri imbiancati, sepulcra dealbata, figli di satana, a patre diabolo? Il di lui Precursore non ha qualificati i Giudei increduli per razza di vipere, genimina viperarum? Per Tertulliano, il nome di Nerone non significa forse tutti i delitti? E da Lattanzio, Decio era un esecrabile animale, execrabile animal Decius! Per quanto siano dure, queste qualifiche non possono offendere, se non coloro che le meritano, o coloro che sconoscono i diritti dello zelo, perché ignorano quelli della verità. Usando di queste necessarie cautele, il Cattolico provvede alla propria sicurezza. Imperocché così egli combatte il male nelle sue manifestazioni e nei suoi effetti. Ma ciò non basta: chebisogna attaccarlo anche nella sua causa, che è un altro dovere di cui vi ragionerò fra  breve.

Tutto vostro etc.

LA SITUAZIONE (12)

LA SITUAZIONE (10)

LA SITUAZIONE (10):

DOLORI, PERICOLI, DOVERI E CONSOLAZIONI DEI CATTOLICI DEI TEMPI PRESENTI

OPERA DI MONSIGNORE G. G. GAUME PROTONOTARIO APOSTOLICO

Custos, quid nocte?

Sentinella: che è della notte?

Lettera Decima

Caro Amico,

Se nei consigli della Providenza non sarà a noi concesso di salvare il mondo attuale, come non fu dato ai padri nostri di Roma e di Gerusalemme di sottrarre i Giudei ed i Romani al castigo sì giustamente meritato; a che metterà mai la grande insurrezione presente contro Dio? Come finirà questa guerra senza esempio negli annali dei popoli battezzati? Al certo come finirono tutte le grandi lotte del male contro il bene. Dopo che Iddio ha fatto risuonare la sua parola paterna, e tuonò indarno; Egli fa parlare ai suoi fulmini. Se al figlio ostinatamente riottoso fa bisogno della correzione; se i peccati dei primi Cristiani, sì veramente Cristiani, furono, al dire dei Padri, la cagione delle spaventevoli tempeste, notissime già tanto col nome di persecuzioni: come sarà da credere, che l’Europa attuale si rimetterà nel diritto cammino per un sentiero cosperso di rose? L’uomo indurato non grida misericordia, se non si trova alle dure strette dell’avversità. Or dunque a salvare una società ostinata nel male, che rimedio è necessario? È necessario quel che a punto gli uni temono, gli altri sperano, e che tutti presentono; è necessaria la pruova. E che sarà essa mai? Ogni prova chiude in sé doppio mistero; mistero di espiazione, mistero di rinnovazione. Il fuoco del crogiuolo consuma la lega: l’oro solo n’esce puro e lucente. Ora avviene il medesimo del fuoco della tribolazione. E così ebbero sempre fine, mercè d’un’azione diretta e sovrana della giustizia di Dio, le grandi epoche del male, il mondo antidiluviano, il mondo pagano. E similmente mercè d’un’azione diretta e sovrana della misericordia di Dio, ebbero cominciamento le due grandi epoche del bene, il mondo patriarcale, il mondo cristiano. Tale è la prova in sua natura. Ma che sarà, in rispetto a noi, quella che ci si prepara? La fede e la ragione, e le analogie della storia ci porgono la medesima risposta. L’avvenire riservato all’Europa è senza meno una catastrofe proporzionata al male che ne è la causa, di cui essa sarà il castigo. Politica, filosofia, letteratura, arti, educazione, industria, danza, musica, ogni cosa fu invasa dal male sotto il nome di lumi e di civilizzazione. Esso è dappertutto, è inveterato, ha resistito a tutti i rimedii. Sicché portando oggidì sveltamente in faccia del sole una mano sacrilega sopra il Padre del mondo cristiano, esso tocca al suo ultimo confine. La società, in cui, come a dire, incarnossi, facendone l’anima della sua anima, osso delle sue ossa, carne della sua carne, si è da sé sottoscritto il suo decreto di morte: e la catastrofe sarà la sua tomba; scritta ne è la sorte nella storia. Non mai avvenne che una società si ringiovanisse, e molto meno un mondo. Così la catastrofe del diluvio non ringiovanì il mondo antidiluviano, ma lo inghiottì; né l’invasione dei barbari ringiovanì il mondo romano, anzi lo fece scomparire dalla faccia della terra. – Una grande rovina; questo apparisce in sul primo piano del quadro: e per vederlo, non fa bisogno del telescopio: basta l’occhio nudo. Ma dietro da sì grande rovina che altro vedete voi? Oh! mio caro amico, già ben vel dicevo in sul cominciare: l’amicizia vi accieca. Voi per fermo male v’indirizzate a me: che io non sono profeta, né figliuol di profeta: ed a rispondervi sicuramente, e’ bisognerebbe essere tale. L’avvenire è in mano di Dio; ed allorché ci facciamo a scandagliarlo, entriamo di necessità nel dominio delle congetture. Non attendete dunque da me né profezie, né quasi-profezie: sì qualche semplici congetture; ed ecco quel che io posso darvi. E perciocché ve ne tenete contento, io ve ne porgo qualcheduna; attendendo in questa lume più alto e sicuro, possano frattanto le mie parole illuminare un lato di quell’avvenire che domani forse sarà il presente; di quell’avvenire pieno di speranza agli uni, di terrore agli altri, a tutti di mistero! L’un dei due: o l’elemento cattolico, che nell’Europa intera sopravviverà alla catastrofe, basterà solo a comporre nuovo ordine di cose; ed in tal caso, alla prova conseguiterà un’epoca di pace sociale e di trionfo della Chiesa. L’occhio dell’uomo vedrà allora il più consolante dei miracoli: compita che avrà l’opera sua la rivoluzione, spezzato, bruciato, scannato, saccheggiato tutto quello che bisogna, e i suoi figli medesimi, l’un dopo l’altro, secondo l’usato, divorati; quindi il timore diverrà l’inizio della saggezza. Meno colpevoli delle altre le Classi popolari, che, ad onta dei loro disordini e la indifferenza, conservarono i principii della fede, si rivolgeranno verso la Chiesa, scongiurandola di salvarle. E questa sarà come l’aurora di un mondo novello; e si vedrassi che la Providenza non va mai a tentoni. Si saprà che migliaia di chiese sono state riparate, ingrandite o di nuovo edificate da cinquant’anni in qua , non per rimanere deserte, né per venir convertite in luoghi profani. A tutti gli occhi brillerà intanto la ragione perché  tanti corpi religiosi uscirono come per miracolo dal seno di una società profondamente corrotta. Allora l’attività disconosciuta dello zelo cattolico e le sue meravigliose creazioni si spiegheranno da per se stesse; e le lagrime amare della Chiesa saranno asciugate, ed i suoi lunghi dolori compensati da gioie materne di sopra ad ogni maniera di gioie. – E Maria giustificherà tutte le speranze del mondo cattolico. Vittoriosa di bel nuovo, fra tante volte, del serpente infernale, dirà ben ella perché fu riservato al nostro secolo, e non ad altro l’aggiungere alla di Lei corona 1’ultima e la più vaga gemma. In tal modo si compiranno in tutta loro estensione i magnifici oracoli dei profeti dell’antico e nuovo Testamento; oracoli, che a giudizio di molti, non si avverarono sin qui se non in maniera incompleta. Allora Dio solo sarà grande sulla terra. Allora il suo Cristo regnerà dall’Oriente all’Occidente, come Salomone, nella pienezza della pace. Allora non vi sarà che un solo ovile ed un solo pastore: unum ovile et unus pastor. – O per contrario l’elemento cattolico che rimarrà in Europa sarà troppo debole da non poter comporre esso solo una novella società; ed allora, posto che l’Occidente non debba divenire una terra maledetta e solitaria, come la Giudea dopo il passaggio di Nabuccodonosorre, un nuovo sangue sarà infuso nelle vene dei suoi rari abitanti. L’Europa sarà per vedere quel che diceva Napoleone I. Sbucati non si sa donde, e condotti da alcuni capi improvvisati, di cui la Previdenza fa eroi, che la storia poi chiama Attila, Genserico, Tamerlano, e da se stessi si appellano il flagello di Dio, la verga dei re, ed il terrore del mondo, questi figli del deserto verranno, come i loro avi, a curvare la loro testa sotto alla mano del Cattolicismo: e da quest’elemento cristiano verrà una novella Europa. Per quanto strana possa ad alcuni parere cotale soluzione a primo colpo d’occhio, essa nondimeno non moverà il sorriso alle labbra di alcuno spirito serio. – In Oriente, alcuni misteriosi presentimenti ciò appunto annunziano; e in Occidente, la è questa preoccupazione dei più profondi pensatori da più di ottant’anni in qua. La mancanza di spazio non mi dà di citarvene le prove. Nell’una e nell’altra delle sue parti, la disgiuntiva che io ho sinora dichiarata, presuppone che 1’umanità è ben lontana dall’aver compiti i suoi destini sopra la terra. Se si ammette secondo alcuni, che la fine dei tempi si avvicina, ecco quel che ci attende. – Malgrado la prova, l’Europa non si convertirà. La rivoluzione trionfante continuerà ad estendere le sue conquiste ed a consolidare il suo regno. La dissoluzione sociale fatta più profonda che ai tempi del Basso-Impero, compirà di fare del mondo moderno un cadavere vivente. E perché si mantengano in stato di aggregazione gli elementi sociali, pur sempre pronti a disciogliersi, il dispotismo più duro che mai si fosse veduto, graverà sopra il mondo. La guerra dell’uomo contro Dio si allargherà in proporzioni di più in più generali: e questa guerra sarà governata da un nuovo impero anticristiano più terribile di quelli che lo hanno preceduto. Se l’ipotesi, ov’io ragiono, è vera, questo impero è già fuori dalla culla: e consentite, mio caro amico, ch’io vi spieghi il mio pensiero. Sapete che è nei destini della Chiesa l’aver sempre di fronte un grande impero nemico. La ragione è tutta nell’esistenza delle due Città; la Città del bene, e la Città del male, ambedue non periture. Discendendo dal Cenacolo, la Chiesa, o la Città del bene, trovò l’impero romano, contro il quale ebbe a combattere per cinque o sei secoli. Caduto l’impero romano, la lotta non finì. I brani ancor sanguinanti del colosso si giacciono tuttavia sul suolo dell’Occidente, e già all’estremo Oriente si innalza un nuovo impero anticristiano, non meno esteso, non men crudele, e certo più durevole di quello dei Cesari. L’impero di Maometto perseguita la Chiesa; e per fermo la tiene in scacco già quasi mille e dugento anni. Al di d’oggi si ritrova nelle convulsioni dell’agonia. Se noi entriamo nel periodo delle ultime lotte, la Chiesa, secondo quel che è stato predetto divinamente, deve attendersi, e noi con essa, nuovi e più terribili combattimenti. Eccettuata forse qualche tregua di breve durata, e più apparente che reale, la guerra si continuerà su tutti i punti del pianeta; poiché la Chiesa non cesserà mai di essere Cattolica. Questa guerra poi diverrà ognora più accanita, sino all’apparizione di colui, che personificandola, sarà la più alta espressione del male, l’anticristo per eccellenza. E il suo regno sarà l’epoca di quelle lotte formidabili che metteranno in pericolo la salute medesima dei predestinati. Ma come tutte le grandi epoche del male, finirà anch’esso mediante un’azione diretta e sovrana di Dio. Colui, al quale è stato dato ogni potere nel cielo e sulla terra, verrà in soccorso della verità; e dopo aver ucciso l’uomo del peccato col soffio della sua bocca, Egli porterà seco la Chiesa sua sposa nel soggiorno dell’eterna pace. E in tal guisa finirà il mondo. Checché sia di codeste vicende, ciò solo rimane incontrastabile. – In mezzo alle perplessità del presente, ed alle incertezze dell’avvenire, ben gravi doveri incombono ai cattolici. Ed io ve ne parlerò nella mia prossima lettera.

Tutto vostro, etc.

LA SITUAZIONE (11)

LA SITUAZIONE (9)

LA SITUAZIONE (9):

DOLORI, PERICOLI, DOVERI E CONSOLAZIONI DEI CATTOLICI DEI TEMPI PRESENTI

OPERA DI MONSIGNORE G. G. GAUME PROTONOTARIO APOSTOLICO

Custos, quid nocte?

Sentinella: che è della notte?

ROMA tipografia Tiberina – 1861

Lettera Nona

Caro Amico.

I pericoli finora contrassegnati sono nella natura della contemporanea situazione; vale a dire nel trionfo ogni dì più completo della rivoluzione. A meno dì un miracolo, essi l’un giorno o l’altro diverranno terribili realità. Le quali realità saranno dappertutto, ove la rivoluzione regnerà, nella proporzione della potenza del suo regno. Ma la prospettiva dello scisma e della persecuzione mette in spavento soprattutto i Cattolici. Gli altri, che è il gran numero, ne sono a mala pena tocchi. Ma e’ non si rassicurino sì presto; poiché vi sono motivi di timore comuni a tutti. Parlo delle calamità pubbliche, conseguenze della situazione. Abbiate questo per certo, che la rivoluzione ha io odio tutto quello che essa non ha fatto; e tutto ciò che essa odia, lo distrugge. Conferitele oggi il potere assoluto; che ad onta delle sue protestazioni, essa sarà domani quel che fu ieri, quel che sarà sempre; cioè guerra a morte contro la religione, la società, la famiglia, la proprietà. Genio del male, non si muta, né può cangiare. Non si faccia a dire che noi la calunniamo; sono i suoi atti, che la tradiscono. Vi ricordate il 93, e ‘1 48: e ben vedete ciò che essa è in Italia nel 1860 (e nel 1861!). Con audacia nuova, essa si mette sotto ai piedi la doppia carta del mondo civile, la religione ed il diritto delle genti; e la lacera, portandone i brani insanguinati in punta delle sue baionette. Sulle bandiere scrive il diritto di rivolta contro ad ogni autorità, eccetto la sua; il diritto di opprimere, di bandire, di incarcerare chi le dispiaccia: e specialmente il diritto di spogliare tutti i sovrani, spogliando il Sovrano più legittimo di tutti: e questo dritto è sollecita di mettere senza meno in pratica. – Che cosa è questa, se non il comunismo in grande, preludio al piccolo? Se, contro ogni giustizia divina ed umana, è permesso ai Re di annettersi dei regni; perché mai si proibirebbe ai privati di annettersi il portafoglio, la casa, il campo dei loro vicino? Quello che più mette spavento si è 1’attitudine delle nazioni in veduta di siffatti attentati. L’Europa certo è minata di sotto, smantellata di sopra da un popolo di barbari! E fra i re, questi applaudiscono; gli altri si stanno con l’arma al braccio. Invano, l’oracolo infallibile della verità, il Pontefice Supremo, si affatica in gridare, « la rivoluzione prendere di mira tutti i troni; la società precipitarsi al comunismo, che vuol dire 1’ultimo confine del disordine e della sventura.  » I sordi non sentono,. i ciechi non veggono: l’Europa officiale s’irrita, o sorride: le persone oneste van ripetendosi: il trionfo della rivoluzione è impossibile! – In tal modo hanno sempre ragionato i popoli colpevoli, e gli spiriti volgari alla vigilia delle grandi catastrofi:  « Il mondo non è stato mai tanto illuminato, né la fortuna pubblica più prospera, né l’armata più valorosa, né il senato più fedele, né l’imperatore più potente che oggidì: » così ragionavano i Romani dell’alto e del basso Impero; i primi qualche anni prima dell’invasione dei Barbari, i secondi pure alla veduta delle flotte di Maometto II. In breve, così a punto ragionavano gli addormentatori al tempo dei nostri stati generali. Essi non vedevano, o non volevano vedere che il 93 si conteneva nell’89, come il pulcino nell’uovo, onde bastava un colpo di becco per dischiuderlo. – In quanto a me, caro amico, confesso che questa calma per nulla mi rassicura: né ha mai rassicurati gli spiriti più chiaroveggenti. Ma udito il S. Padre, ascoltate alcun altro osservatore. Lo spogliamento del dominio temporale è l’estremo colpo dato all’ultima radice, che mediante la proprietà attacca la Chiesa al suolo di Europa. « Ora, diceva il Signor De Bonald sono già trent’anni, in Europa la religione pubblica è finita, se non ha più alcuna proprietà; è finita l’Europa, se essa non ha più religione pubblica. ». (Theor. du pouvoir. tom. III. p. 106). – Nel 1849 Donoso Cortes mi scriveva: » Io vi devo mille e mille ringraziamenti per la benevolenza che avete avuta di spedirmi una copia dell’Opera, nella quale così franco, e profondamente avete scandagliato la piaga di questa Società moribonda. (Ou allons-nous? Coup d’oeil sur les tendances de l’epoque actuelle). E la lettura di essa mi tornò oltremodo trista, ma ad un tempo deliziosa: trista, per la rivelazione delle grandi e formidabili catastrofi; deliziosa, per la manifestazione sincera della verità. Le mie idee e le vostre sono presso a poco le stesse in tutti i punti. Dio ha fatto la carne per la putredine, ed il coltello per la carne imputridita. Noi siamo da presso alla più grande delle catastrofi, che ricordi la storia. Di presente quello che io veggo di più chiaro si è la barbarie dell’Europa, e dinnanzi alla barbarie il disertamento. La terra per dove sarà passata la civilizzazione filosofica, sarà maledetta;sarà la terra della corruzione e del sangue: Dipoi …verrà quello che ha da venire. »Da altro punto di veduta, speculando l’imperatore Napoleone I arrivava alla medesima conclusione. Egli diceva ha già quarant’anni: « Fra cinquant’anni l’Europa sarà o repubblicana, o cosacca » Egli certo avrebbe detto socialista, se l’espressione allora fosse esistita.Così, invasione di barbari di dentro, o invasione di barbari di fuori, e forse l’una e l’altra; le cavallette all’Egitto; le orde semi-nude a’ Romani; la debolezza per umiliare la forza; la barbarie selvaggia per castigare la barbarie sapiente: equazione provvidenziale tra il delitto ed il castigo. Chi al vedere quel che accade, potrà dire che le induzioni della logica,le analogie della Storia, ed i presentimenti del genio non sieno altro che sogni?Pur agli occhi del più volgare buon senso è cosa certa, che il trono di S. Pietro, cioè la piena indipendenza materiale del Papa, è la sola diga che resta all’Europa contro il dispotismo e la barbarie. Crollato questo trono, ogni maggiore sciagura è a temere; poiché tutto diviene possibile.Aggiungete, mio caro amico, che agli occhi del vero Cattolico la rivoluzione non è al certo un fatto, come tutti gli altri fatti che. avvengono nel mondo, ma un. castigo. Le ragioni poi del nostro timore non sono tanto in quel che vediamo, quanto in ciò che crediamo.Come la calamita attrae il ferro, così il delitto attira a sé il castigo; perciocché fra il delitto ed il castigo s’interpone quella medesima proporzione che è tra causa ed effetto: talché solo il pentimento può salvare il colpevole. Tali assiomi del mondo morale sono per noi più certi che quelli di geometria. Gettate intanto i vostri sguardi sopra una carta dell’Europa. Fate di vedere, se troverete una nazione battezzata, la quale da quattro secoli in qua non sia colpevole di scisma, di eresia, di spogliamento, di persecuzioni atroci, di indifferenza e di bestemmie senza pari e senza nome nella Storia delle età anteriori. Spogliare la Chiesa, incatenare la Chiesa, schiaffeggiare la Chiesa: queste tre espressioni non compendiano forse nelle sue relazioni generali, la vita di queste figlie ben nate a riguardo della loro madre? In teoria o in fatti, tutte sono colpevoli d’insurrezione permanente contro il Cristianesimo. Or sono esse in via di pentimento? Interrogate i loro atti; ascoltate ciò che si dice; vedete ciò che succede. In faccia alla suprema umiliazione che al dì d’oggi si dà al Sommo Pontefice, qual è il loro contegno, e il linguaggio? questo si accorda con quello, poiché tutti dicono sicuramente: « Che gli affari del Papa si accomodino, o no, monta ben poco. La è questione puramente temporale, non avente alcuna connessione coll’ordine religioso, e meno ancora coll’ordine sociale. E veramente che gli oltramontani (N. B. In Francia si chiamano oltramontani coloro che pensano come si pensa a Roma) cerchino di darle codeste proporzioni e carattere che non ha, niuno ne farà le meraviglie: chele fondamenta della società moderna e della prosperità pubblica poggiate sugl’immortali principii dell’89, sono tanto solide, da non aversi nulla a temere da questa pugna ormai antiquata tra il temporale e lo spirituale ». – Dipoi, gittando sopra il passato un superbo disdegno, ed al cielo intimando insolente sfida, esse aggiungono: « Si dava credere al medio evo che il Papa doveva esser Re; che i popoli avevano bisogno del Cristianesimo e della Chiesa; che più le società erano sottomesse, e più sarebbero fiorenti. Onde si vedevano i i nostri buoni avi, tremanti alla voce dei preti, non osare di esser liberi senza loro permesso; o se vi osavano, dannati a pubbliche espiazioni. Ora questi tempi d’ignoranza non sono più. « Per quanto è dipenduto da noi, noi ci siamo emancipati dalla tutela del Cristianesimo; costituitici fuori delle sue leggi, anzi in opposizione colla Chiesa; e siamo ben lontani dal pentircene. Qual male quindi ce ne è venuto? Bandito che abbiamo dai nostri consigli Colui che si appella il Re dei Re, e ridendoci della Chiesa e dei suoi fulmini, noi procediamo di progresso in progresso. E per verità non siamo mai state né più illuminate, né più libere, né più ricche, né più forti, né più prosperevoli. A che serve il Papa? A che serve la Chiesa? A che il Cristianesimo? La nostra civilizzazione, la più brillante che fu mai al mondo, è solenne disdetta agl’insegnamenti del passato ». – È questo per avventura discorso di un penitente? Tuttavolta l’iniquità non può sfuggire alla giustizia suprema. Quantunque Iddio, paziente perché eterno, può aspettare gl’individui sino alla soglia della eternità: non vi è però eternità per le nazioni. Ricompense, o punizioni, elle hanno lor mercede su questa terra, il trionfò sociale dell’orgoglio e del sensualismo, festino di Baldassarre, non saprebbe durar sempre. E se avvenisse altrimenti, l’uomo sarebbe più forte di Dio: Il male avrebbe vinto; tal che giammai satana avrebbe operato prestigio somigliante capace di sedurre anche gli eletti. – Egli è dunque vero; che enorme ammasso di debiti contratti con la giustizia divina minaccia l’Europa di terribile scadimento. Il solo mezzo di campare dalla catastrofe, sarebbe d’intendersi col creditore, domandando umilmente dilazione e perdono. Ma secondo ogni probabilità, questo non si farà. Anzi possiamo dire che ben lontana dal rientrare in se stessa, la parte anticattolica, la più numerosa e la più influente nella società, si continuerà nella sua sterile agitazione, decorata del nome di politica e di polemica. Come già per l’addietro, si gitterà in balia alle sue speculazioni, ai suoi piaceri, alla sua vita di movimento e di rumore: sicché inebriata del presente, e non curantesi dell’avvenire, discenderà nella voragine al frastuono dei violoni. – Almeno la parte della società, che insieme colla fede, conserva l’intelligenza del male e del rimedio, alzerà le mani al cielo, sollecitando, mediante la doppia voce della preghiera e della limosina, la misericordia e la saggezza dell’Altissimo. Ma salverà essa l’Europa? Ha mille e seicento anni che i primi Cristiani si trovavano al cospetto di un mondo che non era ancora cristiano; tale non voleva divenire; anzi ne impediva gli altri, e che è più, perseguitava con ingiurie e con tutta la sua collera coloro che già professavano il Cristianesimo. E i padri nostri sparsi per tutto l’impero, pregavano dì e notte per la conversione di questo mondo ostinato e persecutore, « Noi invochiamo, dicevano essi, per la salute degl’imperatori, il Dio eterno, vivo, e vero. Noi domandiamo per loro vita lunga, regno tranquillo, pace continua, senato fedele. Noi ritardiamo con tutta la possa dei nostri voti la caduta dell’impero ». (Tertull. Apolog. c. XXX. ctc.) E invero non mai furono fatte preghiere più ferventi e più generose: ma quale ne fu il risultato? La società romana si ostinò nella sua via di odio e di disprezzo: onde non ebbe più né regno tranquillo, né pace continua, né senato fedele. Sicché travolgendosi di rivoluzione in rivoluzione, l’impero a poco a poco interamente disparve combattuto e disfatto dai barbari. Al secolo decimonono, noi (i figli dei martiri) siamo a petto a un mondo che vien cessando di essere cristiano; e non vuole più questo nome; non vuole che altri se ne fregi, sino a perseguitare con sarcasmi e con odio coloro che si protestano tali, compresovi il Papa medesimo. Or saremo noi più felici dei nostri antenati? Siamo noi forse più fervorosi? Se la grandezza dell’iniquità si stima al prezzo delle grazie ricevute, come la gravità della caduta si misura dall’altezza d’onde si cade; il mondo, che abusò il sangue del Calvario,  diciotto secoli di benefizii, si reputerà egli men colpevole di quello che ne venne privato?

Tutto vostro etc.

LA SITUAZIONE (10)

L’ABOMINIO DELLA DESOLAZIONE (3)

[Mgr. J. Fèvre, 

REVUE DU MONDE CATHOLIQUE. 15 DECEMBRE I901]

L’ABOMINIO DELLA DESOLAZIONE (3)

Lettera ai vescovi di Francia

(… CONTINUA)

V. – Questi sono dei pericoli certi, ma non sono molto gravi o molto dannosi; dobbiamo arrivare al grande pericolo della Chiesa in Francia, al pericolo che la minaccia a sua volta, in tutti i paesi che la luce del sole della civiltà “moderna” illumina. Le infiltrazioni protestanti, le nozioni poco riflessive sul ruolo delle lettere e sui compiti della filosofia nella Chiesa, qualche illusioni sulla necessità di costituire alla romana i seminari maggiori di Francia: queste cose meritano certamente attenzione. Ma il male, il grande male che deve attirare tutta la riflessione, provocare tutti gli sforzi, provocare una resistenza indispensabile ed unanime da parte dell’Episcopato, è la trasformazione che sta avvenendo, sotto i nostri occhi, da parte del triplice complotto secolare e delle manovre scellerate dell’anti-cristianesimo. Per lasciare da parte considerazioni troppo generiche di scienza speculativa, dobbiamo metterci alla presenza della storia. Il Vangelo è stato inteso, da Gesù Cristo a Lutero, come inteso ed applicato al mondo dalla Santa Chiesa Romana; il Vangelo è stato spiegato diversamente, da Fozio in Oriente, da Lutero in Occidente; e questa diversa spiegazione mette da parte la vecchia costituzione della Santa Chiesa, ne scarta il suo capo, il Romano Pontefice, e intende far camminare il mondo sotto le leggi del libero pensiero. Per tre secoli, attraverso una gestazione che è superfluo commentare qui, Lutero ha partorito Cartesio, Cartesio ha aperto la strada all’autocrazia o al parlamentarismo a Luigi XIV, a Mirabeau, a Napoleone. Poi, con la dissoluzione del principio religioso, l’Europa è passata da Bayle a Voltaire, da Voltaire a Proudhon. Oggi, tutti questi elementi di dissoluzione religiosa e di razionalismo filosofico stanno producendo un caos immorale e antisociale, dal quale si suppone che emerga un mondo nuovo. Questo radicalismo eretico, scismatico e rivoluzionario è stato a lungo chiamato anticristianesimo. Anticristianesimo significa, in breve, rifiutare non solo la Chiesa, ma il Vangelo, Gesù Cristo e Dio, per riportare il mondo alle infermità della natura decaduta e costituire un l’ordine sociale sull’ateismo. Non sarebbe possibile, dopo venti secoli di cristianesimo, tornare alle abiezioni del paganesimo e ristabilire il culto degli idoli nei templi. Giove è morto; si può tentare di restaurare i misteri della buona deità, ma non nella loro forma antica. È davvero un mondo nuovo; è davvero un rinnovamento dell’ordine dei secoli che si vuol tentare; ma si tratta di sapere in cosa consiste, e non tutti sanno percepirlo, spiegarlo o capirlo. Per procedere per analisi, e prendere le cose in ordine sperimentale, vediamo, in Francia, l’avvento di nuovi ceti, personificati da un partito di governo. Questo partito è entrato in scena con la parola d’ordine di “guerra contro il clericalismo”, un sinonimo mascherato di cristianesimo, ma è un travestimento che non può mascherare la realtà delle cose. Da venticinque anni, questo grido di guerra è stato affermato da un insieme di leggi assolutamente ipocrite, non meno assolutamente anticristiane. Lentamente ma inesorabilmente, seguendo le parole di un sostenitore del sistema, con un senso pratico e molto chiaro, siamo arrivati a tagliare, uno dopo l’altro, tutti i membri delle nostre chiese. Da vent’anni, ciò che è in corso in Francia è la demolizione, pietra dopo pietra, del grande edificio della civiltà cristiana. Non vogliono chiudere le chiese, come nel 1793, né, tanto meno, metterle a terra; ma lo Stato se ne appropria e vuole cambiarne l’uso. Questo fatto è ovvio; è superfluo insistere. Senza entrare in polemica, si tratta di sapere in virtù di quali principi di teorie filosofiche e politiche si persegue per legge l’estromissione del Cristianesimo. È in virtù di due teorie che sono state chiamate, una: l’americanesimo; l’altra, internazionalismo: una sconfigge la Chiesa nell’ordine sociale; l’altra porta una nuova regola, diversa dal Cristianesimo, per ordinare le relazioni delle nazioni tra loro. L’americanismo è una dottrina che pretende di regolare ovunque, nell’universo, la condizione della Chiesa, in accordo con ciò che esiste in America. L’America, originariamente abitata da razze autoctone, la cui barbarie portò alla loro rovina, fu ripopolata da rifugiati inglesi in fuga dalla tirannia del protestantesimo ufficiale. Questi puritani, vittime della persecuzione, una volta stabiliti, divennero a loro volta persecutori. In verità, avevano una certa libertà di libero esame, persino una certa tolleranza, ma erano ben lontani dall’aver costituito un regime veramente accettabile per la Chiesa Cattolica. Il nostro amico chiaroveggente, Jules Tardivel, editore-proprietario de La Vérité de Québec, in un libro di assoluta sincerità e di irrefutabile documentazione, ha descritto la situazione religiosa degli Stati Uniti, ha messo la realtà contro i sogni, e ha dimostrato che questa cosiddetta democrazia liberale è effettivamente la meno tollerante e la meno giusta di tutte le democrazie. Il fanatismo protestante vi spinge per l’assenza di religione; ma non ammette l’uguaglianza dei diritti e la libera espansione dei Cattolici. Si può ammirare la prodigiosa crescita degli Stati Uniti in un periodo di tempo molto breve. È possibile credere che questo bambino, che ieri era in costume, diventato un gigante, sarà in grado di soddisfare le esigenze della civiltà cristiana? Ma, ha detto Leone XIII, « questo errore deve essere distrutto; nessuno deve pensare che sia possibile prendere in prestito dall’America l’esempio di una condizione eccellente della Chiesa: Error tollendus ne quis hinc sequio existimet petendum ab America exemplum optimi Ecclesiæ status. Ora non c’è un solo americanismo, ce ne sono quattro. Il più recente è l’americanismo italiano. Ma cos’è questo americanismo? Nient’altro che liberalismo italiano coperto dalla bandiera a stelle e strisce. Ha un solo dogma essenziale: che che il potere temporale del Papa è il peggior nemico del Cattolicesimo. Gli italo-americanisti sostengono di basarsi sulle dottrine di alcuni Vescovi americani. Poco d’accordo sui dettagli, sono generalmente d’accordo nel proclamare l’inutilità degli ordini contemplativi e gli svantaggi dell’unione di Chiesa e Stato. L’americanismo tedesco è il più impetuoso. È il prodotto più recente dello spirito che ha causato la cosiddetta riforma del XVI secolo. Vuole riformare ulteriormente la Chiesa Cattolica e attacca soprattutto l’ispirazione divina delle Sacre Scritture. Su questo punto si confonde con il radicalismo dell’empietà.  L’americanismo francese è il prodotto di diversi elementi, il principale dei quali è l’ignoranza della condizione della Chiesa in America. Negli Stati Uniti, la grande maggioranza della popolazione è protestante o indifferente; in Francia, essa è quasi esclusivamente cattolica. Gli Stati Uniti sono un paese nuovo, con poche o nessuna tradizione e spirito cattolico; in Francia, la Religione Cattolica fa parte della vita quotidiana del popolo ed è confermata dai costumi più antichi. Gli Stati Uniti, dove il protestantesimo delle sette prevale nella maggioranza della popolazione, non possono offrire ai popoli cattolici né esempi, né principi che possano aumentare lo spirito di religione in mezzo a loro. Un altro errore della scuola francese è quello di parlare del movimento americano come un insieme di studi acquisiti e di determinazioni formali, accettate dalla gerarchia, messe in pratica dai preti e dai fedeli. Questo è un errore assurdo. – In America, l’americanismo è solo un insieme di opinioni fluttuanti, per le quali nessuno vorrebbe essere incolpato pubblicamente. In fondo, l’americanismo in America non è che un compromesso con i protestanti, un desiderio di non offenderli, una tendenza a mostrare generosità accomodando i loro costumi. Ma non c’è nessuna prova che queste usanze, queste tendenze, questi voti siano approvati o anche tollerati dalle autorità ecclesiastiche. Sono per lo più frasi senza fine che accarezzano l’onda dei pensieri, ma non prendono vita. Per quanto riguarda le relazioni tra Chiesa e Stato, i giornalisti dicono che il sistema americano è il più desiderabile per tutti i popoli. I giornalisti non sono né canonisti né teologi. Il giorno in cui i preti o i Vescovi ammettessero queste opinioni, dovremmo esaminare la loro ortodossia. Per il momento, Leone XIII ha parlato chiaro e forte. I Paesi cattolici devono conformarsi al principio dell’unione di Chiesa e Stato. Nei paesi protestanti, la Chiesa ha lo stesso diritto, inerente alla sua istituzione divina. Non accetterà mai di essere messa sullo stesso piano delle sette. Se non può far valere il suo diritto, accetta la posizione che gli viene data. Negli Stati Uniti essa è liberamente tollerata. Questa tolleranza è meglio della persecuzione e dell’oppressione, e nella misura in cui migliora una situazione precedente più penosa, la Chiesa non esita, in attesa di qualcosa di meglio, ad accontentarsi. L’americanismo francese non conta, senza dubbio, che degli apostati; ma ne ha almeno uno. Gli altri sono spiriti sinceri e onesti che vogliono, con la loro strategia, promuovere gli interessi della Chiesa; ma mancano di equilibrio, buon senso e penetrazione; i risultati della loro propaganda sono, finora, poco degni di lode. Il lato in cui sembrano più biasimevoli è che le loro incoerenze, senza approvare positivamente gli attacchi della persecuzione, purtroppo forniscono loro pretesti e scuse. Le opere della Chiesa vengono distrutte, presumibilmente per migliorare una situazione che queste belle menti hanno criticato. Ma, con Leone XIII, non dobbiamo stancarci di ripeterlo: 1° Nessun dogma può essere cambiato, né si può cambiare, per ottenere i favori dell’opinione pubblica: bisogna essere Cattolici intransigenti; 2° la disciplina si adatta senza dubbio ai tempi e ai luoghi; ma il legame che lega i fedeli all’autorità ecclesiastica, non può, meno che mai, essere indebolito. Da lì segue: 1° che bisogna accettare la direzione esterna e non dire che lo Spirito Santo è sufficiente a dirigere le anime; 2° che bisogna, senza dubbio, praticare le virtù naturali, ma non minare la preminenza delle virtù soprannaturali; 3° che non bisogna rimproverare i voti religiosi come contrari al genio dei nostri tempi; 4° che non dobbiamo gettare sfavori sulla vita religiosa; e che non dobbiamo propugnare un nuovo metodo per portare i dissidenti alla Chiesa, né screditare le cosiddette virtù passive, che sono attive quanto le altre. L’americanismo è l’espressione più o meno cieca, più o meno esplicita della follia e del tradimento. – L’internazionalismo, un’altra forma di aberrazione attuale, un’altra terribile fonte di perversione e rallentamento, non è, sotto altro nome, che solo il giudaismo talmudico. I massoni, i contestatori, i liberi pensatori, i cosiddetti intellettuali Cattolici, non sono che i duplicati o i complici del giudaismo. Dopo ventitré anni, un complotto ordito da tempo contro la Francia cattolica è arrivato al governo francese. Tutte le leggi anticristiane emanate da allora sono state promulgate sotto l’ispirazione dottrinale dell’internazionalismo giudaico e dell’alta banca, un tesoro largamente aperto al tradimento. L’alleanza universale israelita è il centro ed il fulcro della cospirazione anticristiana; il suo duplice scopo è quello di fondere tutte le patrie in un’unica repubblica, di fondere tutte le religioni in una vaga religiosità e di prendere il comando del mondo. Sotto la sua ispirazione e guida, le società segrete e la stampa stanno lavorando per distruggere l’idea di patria e per distruggere ogni principio della religione. Già in passato, i Giudei erano stati i promotori o gli esecutori di tutte le eresie, gli agenti della cospirazione permanente che rappresenta, nella storia, le debolezze dell’umanità ed il genio del male. Oggi, questo potere nemico, divenuto liberale ed umanitario, è all’assalto delle patrie e della Santa Chiesa. L’idea che il clero francese possa entrare, a qualsiasi titolo, in questa cospirazione giudaica non è ammissibile; ma c’è un elemento di seduzione. Hecker, il fondatore dei paulisti, voleva eliminare le barriere religiose, proibire la polemica, estendere i limiti della tolleranza e considerare solo i risultati nella morale. I Congressi delle Religioni propongono l’unione suprema delle religioni e cercano così di realizzare una nuova relazione con Dio ed il progresso interiore della Chiesa. In questa scossa, non tutto è falso; ma non tutto è certo. Il sistema, almeno, non può essere un principio di forza. Cercare rimedi a mali molto gravi è nostro dovere; lavorare per una grande unità attraverso la fede e la Chiesa è la nostra speranza. Ma niente, niente, ce n’è per l’indebolimento delle credenze e la diminuzione delle virtù; niente, niente, per l’anticristianesimo, la contraffazione satanica del Vangelo e il programma del futuro Anticristo. L’ora è solenne, l’uomo diventa inquieto e va dove Dio lo conduce. Il mondo è molto agitato; materialmente sta progredendo; intellettualmente, è molto debole; moralmente, molto basso; socialmente, pronto alla guerra civile e straniera. Possiamo essere schiacciati; è per essere confusi. In linea di principio, però, solo la Chiesa possiede le luci e le grazie della salvezza. Non c’è altro nome che il nome di Gesù Cristo; non c’è altro potere che quello infallibile del Romano Pontefice, per assisterci nella battaglia. – Il clero, secolare e regolare, è sufficiente per l’opera; ma non c’è nulla da cambiare nei nostri principi di spiritualità, nelle nostre leggi di educazione clericale, nelle nostre tradizioni di propaganda religiosa. La dolce Francia, la razza che ha versato lo spirito di Gesù Cristo nel cuore delle nazioni, deve essere sostenuta contro il complotto giudeo-massonico, deve essere sollevata dal clero, con l’infusione di sangue nuovo, il sangue della pura teologia e degli insegnamenti della Cattedra apostolica. – [Desidero citare qui e raccomandare caldamente due opere molto appropriate per dissipare la confusione e riaccendere il coraggio: uno è intitolato: “Le P. Heckcr è un santo?” di Charles Maignen; l’altro “L’américanismo e la cospirazione universale”, di Henri Delassus. Queste due opere sono due capolavori di buon senso, scienza e risoluzione, qualcosa, ahimè, troppo raro oggi. L’abate o padre Maignen ha pubblicato altre due opere sullo stesso argomento: una intitolata: Nazionalismo, Cattolicesimo, rivoluzione; l’altra: Nuovo Cattolicesimo e nuovo clero. Il primo si riferisce all’americanismo francese e lo demolisce con grande forza di ragione; il secondo è dedicato all’imbecille conciliatorismo che apre la porta allo scisma e riecheggia le due opere dell’antisemita dell’antisemita francese: “L’Abomination dans le lieu saint” et “La désolation dans le sanctuaire”. Questi libri non sono solo di circostanza; sono classici fondamentali, un manuale per l’uomo che vuole conoscere il suo dovere e compierlo.]. – Da questo, Monsignori, si deve concludere che ogni inerzia, ogni effusione, ogni complicità in presenza di leggi anticristiane è più che una colpa; è un crimine ed una follia! Il dovere dell’ora presente è, più che mai, l’intransigenza dottrinale, il fervore morale, la lotta per Dio e per la patria. I Vescovi hanno fatto la Francia; tocca a loro, Eccellenze, conservarla, risvegliare gli spiriti abbattuti, vincere il male con il bene.

VI. – Tutto si sta oscurando in Francia. Il coraggio, già così debole, minaccia di indebolirsi ancora di più sotto i colpi, tanto abili quanto sicuri, del nemico. Per scrollarsi di dosso la tristezza presente, per riaccendere il coraggio, per sostenere e sviluppare le nostre forze, dobbiamo andare a combattere. Ahimè, dopo i dodici anni in cui abbiamo lanciato il grido di guerra, non possiamo che constatare l’inutilità dei nostri sforzi e, salvo il sacrificio personale che ci è stato imposto, non sappiamo come potremmo contribuire più efficacemente alla salvezza della Francia. Dall’umile parte nostra, crediamo nella necessità della resistenza e nell’urgenza delle grandi battaglie. Abbiamo persino pronunciato il nome di una crociata interna, guidata dal clero. Ma ora, quando parliamo di sguainare la spada apostolica, ci viene detto che il Papa la difende e che i Vescovi, astenendosi, hanno semplicemente seguito il motto di ordine pontificio. Inoltre, si aggiunge, scuotendo la testa, per mostrare la propria saggezza e caricarci di ironia, che gli approcci segreti sono da preferire alla rumorosa pubblicità; che sembra più dignitoso, più conforme ai costumi nazionali, portare le proprie lamentele a chi ha l’autorità pubblica: è dare a chi ha il potere un pegno di fiducia nella sua probità e giustizia. – A nessun costo, non si vuole interferire nella politica e scendere nell’arena dei partiti. Per quanto riguarda l’istruzione del Papa, non intendiamo, in nessun modo, introdurci nel governo effettivo della Chiesa. È a Pietro, è al Papa, che Gesù Cristo ha detto: Pace, agnelli miei, pace, pecore mie, conferma i tuoi fratelli. Le parole rivolte a Pietro, ai suoi successori, ai cooperatori che il Papa chiama a condividere la propria sollecitudine, non sono rivolte a nessun altro; e nessuno, sia esso re o imperatore, sia esso il più grande dei maestri o il primo degli uomini di genio, può legittimamente contraddire o ostacolare ‘gli ordini del governo ecclesiastico. Attenersi tuttavia ai documenti ufficiali, ci sembra cento volte provato che la consegna del Papa sia di difendere la Chiesa; che questo dovere è imposto ai soldati ordinari e agli ufficiali di stato maggiore; che il Papa lo ha particolarmente stabilito nell’Enciclica Sapientiæ christianæ e più recentemente, in una lettera al Cardinale Richard, in difesa degli ordini religiosi. In Francia, tutti sono più o meno convinti della necessità di combattimenti valorosi; tutti lo dichiarano, ma quando si tratta di agitare solo la punta delle dita, tutti lo evitano. Qui, però, c’è un enigma posto dalla sfinge della storia. Da un lato, in Francia, ci viene detto ufficialmente che i Vescovi, astenendosi dall’agire, obbediscano alle raccomandazioni del Papa; dall’altro, ci viene assicurato che a Roma c’è, contro i nostri Vescovi, una denuncia unanime del loro rifiuto di obbedire agli appelli del Papa. C’è, qui, un’evidente contraddizione in termini. Non è possibile che lo stesso Papa ordini contemporaneamente di agire e di astenersi; quanto ai Vescovi, essi possono essere reprensibili solo nella misura in cui si sono sottratti agli ordini del Papa; non possono esserlo se il Papa ordina veramente l’azione. Ma il Papa decreta davvero l’azione? Ufficialmente, non ci sono prove; ufficiosamente, è possibile. Quindi c’è il dubbio e, nel dubbio, bisogna astenersi. Ci viene dato, per giustificare la cosiddetta inerzia del Papa, mentre le nostre chiese vengono demolite, il progetto di salvare con le concessioni, il bilancio dei culti. Ma noi, che non siamo niente e che possiamo parlare tanto più liberamente, noi che non crediamo nella probità dei nostri settari politici, abbiamo scritto, molti anni fa, al Cardinale Segretario di Stato per dirgli la nostra incredulità riguardo alla diplomazia che lascia distruggere le nostre chiese per salvare il bilancio. Non che mettessimo in dubbio la sua saggezza, ma ci sembrava che rinunciare a difenderci significasse incitare il nemico, e affrettare piuttosto che ritardare la soppressione del risarcimento dovuto dallo Stato alla Chiesa per i beni confiscati dalla Costituente. – Infatti, per vent’anni, la nostra gloriosa saggezza ha portato solo alla rovina; e se tutto è perduto, non abbiamo nemmeno la consolazione di scrivere: … fuorché l’onore! Quanto al paralogismo che consiste nel non fare politica, nel non scendere nell’arena dei partiti, esso è letteralmente pietoso; e non si capisce come una mente appena fiera, possa ancora coprirsene. La difesa della Chiesa non è né un lavoro di partito né un’azione politica. È un dovere di fede, di coscienza, di probità, di onore, e chi, costituito in dignità ecclesiastica, sostenesse che il suo dovere non è quello di difendere la Chiesa, dimostrerebbe solo la sua indegnità. A nostro modesto parere, il più grande bisogno della Francia nelle attuali circostanze è, al contrario, la formazione di un partito cattolico, dedicato unicamente alla difesa della Chiesa. La difesa della Chiesa invocando il diritto divino ha, senza dubbio, un grande prezzo e deve venire prima di ogni altro; ma ha poche possibilità di essere ascoltato dai politici. La difesa della Chiesa mettendo in moto le forze politiche, con una lega per il bene pubblico, con il suffragio universale e la composizione delle camere, con incessanti appelli all’opinione, è, a nostro avviso, la migliore procedura di apologetica. È, inoltre, quella che ci sembra più in linea con le indicazioni del Papa sull’unione dei Cattolici e la loro azione comune per far galleggiare la nave che porta la fortuna della Francia. Cosa dobbiamo pensare dell’antiquato sistema di indirizzare i reclami all’autorità costituzionale? Questo sistema aveva la sua ragion d’essere, quando il capo dello Stato era il vero detentore del potere. I rimproveri o le lamentele erano formulati da persone con autorità e venivano indirizzati ad un potere che poteva ascoltarli, che a volte doveva accoglierli. Oggi non è più così. – La costituzione che ci governa non ha investito nessuno di responsabilità; ha soprattutto legato le mani del capo dello Stato; ha costituito dei piccoli re che possono commettere impunemente tutti i crimini, ed è una specie di beffa rivolgersi a loro per fare ammenda. I nostri padroni sono criminali politici, dei persecutori della Chiesa, e nel rivolgersi a loro con una tale denuncia, oltre alla colpa di ingenuità, ci sembra che non ci sia niente di peggio che aver l’onore di rivolgere loro la parola. Sarebbe inoltre molto, forse troppo nel dire, chiamare i persecutori delle canaglie; ma questa gente vuole il male che fa; esortarli ad astenersi da esso è un modo come un altro per entrare nel loro piano. Politicamente, non c’è nulla da chiedere al nemico; legalmente, pure se il nemico volesse concederci una qualche grazia, non può. La macchina legislativa funziona come la ghigliottina; e Loubet, il lupetto, che firma l’esecuzione dei suoi decreti, se sa che sono ingiusti, non può che essere, legalmente, un boia, il boia di Francia, l’uomo più infelice, se sa quello che fa; il meno stimabile se, sapendolo, ha il triste coraggio di eseguirlo. Questo è il caso di ricordare una parola famosa: la legalità uccide. Mer Parisis, che aveva deciso, dopo matura riflessione, di agire pubblicamente, era disposto ad opinare nelle sue interviste su questo argomento; secondo lui, le condoglianze, i placet, i mercuriali, le rimostranze, tutte queste erano tutte pratiche dell’Ancien régime. Sotto il regime attuale, era ancora la sua opinione che non c’era niente da chiedere a nessuno; deputati, senatori, ministri, presidente, re o imperatori, possono ascoltarci favorevolmente, ma possono solo offrirci l’acqua benedetta di corte. – Oggi l’opinione pubblica è la regina del mondo; se vogliamo ottenere qualcosa, dobbiamo rivolgerci all’opinione pubblica. La procedura, sono d’accordo, è lunga, ma è unica, rigorosamente obbligatoria. Trascurare l’opinione pubblica è un tradimento di se stessi. Inoltre, non dobbiamo credere che sia impossibile, o addirittura difficile. In generale, si coglie solo l’opinione di questioni serie, di alti interessi. Questi interessi sono i nostri; queste questioni ci riguardano molto da vicino e nessuno personalmente può disdegnarle con ragione. Le masse sono sempre difficili da scuotere; ma la stampa è una leva di forza superiore, per sollevare le masse popolari. C’è qualcosa di vero nell’opinione che suppone che i giornali si annientino a vicenda; in fondo è insostenibile. Le contraddizioni stesse non sono inutili, per chiarire le idee e assicurare loro, attraverso la precisione, virtù più trascinante. Nonostante le contraddizioni, un’opinione giusta, un sentimento vero, un dovere patriottico e pio, se sono serviti da una stampa intelligente, hanno tutte le possibilità di essere accreditati. L’opinione è la regina del mondo; e la stampa è il suo veicolo ordinario, spesso il suo carro di trionfo. Allo stato attuale, di cosa si tratta? Nella società attuale, il partito rivoluzionario, nel suo insieme, vuole abolire la proprietà privata e amministrare la proprietà collettiva solo mediante lo Stato, con l’instaurazione di una nuova schiavitù, che non lascerà all’uomo nessuna libertà. Lo Stato persecutore vuole, inoltre, sopprimere ogni pratica religiosa, ogni forma di Chiesa, dove solo il necessario viene offerto all’imbecillità umana, così come ai ciarlatani ed ai comici è concesso il libero esercizio senza garanzie governative. Rabbini protestanti, rabbini giudei, rabbini musulmani o buddisti, non vuole più Vescovi e preti. Con un “trucco di volgare abilità” che può ingannare solo gli sciocchi, non può che abusare che dei nani, intende servirsi dei rabbini per demolire i Vescovi, e…, ma questa è l’ultima goccia, spera di potersi servire dei Vescovi per demolire la Chiesa. Per prendere le cose nel modo diatonico più indulgente, l’idea essenziale del regime repubblicano è di elevare lo Stato al di sopra della Chiesa; è di ridurre la Chiesa alla servitù e all’impotenza. Questi settari dicono tutti più o meno la stessa cosa, nella loro testa: questa cosa capitale per la Repubblica è sostituire la società laica alla società religiosa. Tutto si riduce ed è sottomesso a questo pensiero. La Repubblica si crederà definitivamente padrona solo quando avrà distrutto o reso schiava la Chiesa in Francia. Tra essa e la Chiesa è una lotta di principio, è un’incompatibilità assoluta. Tutti i repubblicani di tradizione vogliono la supremazia dello Stato sulla Chiesa, la secolarizzazione della società. Finché dura questo regime, con il suo personale suo spirito di empietà radicale, sarà lo stesso pensiero di ostilità contro la Chiesa, la stessa pretesa ipocrita e violenta di supremazia, di onnipotenza, la stessa politica di dominio secolare. Cullarsi con altre idee è un’illusione; lusingarsi della rassegnazione dei ministri è prossimo alla follia. La cosa peggiore è che questa esecrabile progenie, che si crede repubblicana e che è solo giacobina, cioè una canaglia negatrice, può permettersi tutti questi attacchi solo violando la Costituzione, minacciando le sue stesse leggi. Da tre anni, la costituzione francese si dice liberale, cioè favorevole, in linea di principio, a tutte le libertà. Che, secondo i tempi e le circostanze, i poteri pubblici siano più o meno rigorosi, il rigore e l’allentamento dei vincoli sociali hanno un solo scopo, la garanzia di tutte le libertà civili. Ora, i malandrini che ci opprimono, per raggiungere la Chiesa, per legarla, con la speranza di assassinarla, hanno, sotto la copertura della loro Repubblica, stabilito solo una dittatura, un mostro con quattrocento teste senza cervello; e questa dittatura, intendono usarla solo togliendo alla Chiesa, voglio dire ai suoi membri, tutte le libertà civili favorevoli alla libera pratica del loro culto. Gli atti di culto devono essere liberi come tutti gli altri atti civici, anzi, per la loro nobiltà, anche di più. Questi tiranni cancroidi non l’intendono così e per abbattere il culto, proclamano il principio della servitù universale. La guerra contro questo regime di follia criminale è un dovere sacro, necessario e tanto più efficace perché si tratta di difendere allo stesso tempo focolari ed altari. Noi, senza dubbio, come popolo Cristiani, come Vescovo, abbiamo, anche se a titolo minore, il dovere di difendere la Chiesa per se stessa, di difenderla così come istituita da Gesù Cristo, un francese immortale, il più grande dei cittadini francesi. Lo dobbiamo tanto più che difendendola, manteniamo il nostro diritto civile, ci rinchiudiamo nella Costituzione come nella cittadella della verità sociale e del diritto pubblico. – Non ho mai capito, non capirò mai e ancor meno ammetterò che, fin dall’inizio della persecuzione, non ci siamo accampati su questo campo di battaglia; che non abbiamo predicato la crociata di liberazione. Non riuscendo a farlo, si arriva alla guerra civile, preludio della guerra estera. La Francia, come nazione, assomiglia ad un alveare di api che si uccidono a vicenda. O meglio, assomiglia a Gerusalemme, dove i Giudei combattevano tra loro mentre l’ariete di Tito abbatteva i bastioni della città santa.

VII – All’epoca in cui si finisce questa lettera, i giornali pubblicano, Monsignori, una lettera militante del Vescovo di Nancy, Mons Turinaz è ancora giovane; ma è già un anziano: il suo episcopato risale all’essere indeterminabile che il maresciallo Soult ha chiamato Foutriquet. Il vescovo di Nancy è un ex professore di teologia; ha finito i suoi studi a Roma: è uno scrittore ed un oratore; sa quello che dice e misura la portata delle sue parole. Quindi cosa dice? In un appello alla Francia, aveva detto: Giustizia e Libertà: ecco cosa chiedono i Cattolici. – « Parole superbe, gli hanno gridato; ma parole. » Al che il Vescovo risponde: « La prima regola dei Cattolici e dei liberali sinceri è quella di chiedere giustizia e libertà; e di comprendere, sotto questa richiesta, la Religione cristiana e la Chiesa Cattolica. « La seconda regola è mettere gli interessi della Francia e della Religione al di sopra degli interessi degli individui e dei partiti. » E come conclusione, aggiunge: « Bisogna scegliere, tra coloro che hanno aderito alla prima regola, i candidati che offrono le migliori possibilità di successo. Allora tutti loro devono, a qualunque partito appartengano, mettere la loro influenza e la loro azione al servizio di questi candidati senza restrizioni e senza riserve. » Questa è una parola d’ordine di battaglia elettorale. Il Prelato non dimentica, inoltre, che c’è un altro campo d’azione, un’altra arena di lotta pro Deo e pro Ecclesia. In altre parole, distingue la lotta religiosa da quella politica. Nella lotta politica, vuole i laici come leader; nella lotta cattolica, vuole i Vescovi come leader. « Sì – dice – tutto questo era pratico, tutto questo era possibile, e di tutto questo non si è fatto nulla. – C’è altro da fare oggi? Lui risponde con tutta l’energia della sua anima: « No, mille volte no. » Mille volte no è molto; l’energia è una buona cosa; la letteratura oratoria è una bella cosa. Ma non si è forse, in presenza di un’inerzia perseverante, è qualcos’altro? Non mi piace, Eccellenze, in generale, la nota di disperazione. – Un leader non deve mai disperare della sua causa; nei suoi discorsi deve almeno esprimere fiducia. Non averla è sentirsi già sconfitto e demoralizzare i suoi soldati; farne una dimostrazione valorosa è elettrizzare i soldati e affilare le spade. La parola d’ordine di un generale coraggioso è: « avanti sempre! » Il modello dei suoi proclami è il mirabile appello di La Roche-Jaquelin: « Se avanzo, seguitemi; se mi ritiro, uccidetemi; se muoio, vendicatemi ». Un tale proclama è di bronzo. Nello stato in cui si trova l’episcopato, dopo vent’anni di corruzione del governo, se non ha fornito una resistenza, o anche un’azione comune, è perché ci sono uomini tra di esso che hanno abdicato alla loro libertà d’azione, e se non tradiscono positivamente, rifiutano almeno di combattere: non faranno mai nulla di decisivo contro il governo che ha distribuito loro dei mezzucci, secondo la formula di Bismark e le riserve di un mediatore disonesto. In presenza di queste decisioni, i discorsi sono poca cosa; le mozioni, apparentemente le più decisive, sono quasi niente. Scendere nell’arena delle rivendicazioni religiose; sventolare la bandiera della guerra santa; colpire di punta e di taglio, tutto questo linguaggio cavalleresco, per le creature di Dumay, è pura verbosità, e, per il persecutore, un atto di rivolta, una violazione della parola d’onore. Ho già espresso, e ripeto l’espressione di questo pensiero: non sfuggiremo alla persecuzione con le parole; alle parole, senza dubbio utili, ma si devono aggiungere i fatti e, soprattutto, i sacrifici. Per determinare la questione: abbiamo bisogno di confessori che siano risoluti nel loro proposito di martirio. – Cito, a questo proposito, due aneddoti. Durante l’invasione persiana, la flotta nemica, imbarcata in un porto greco, si preparava a partire. Un semplice soldato, Cynégire, teneva una barca con la mano. La sua mano fu tagliata; prese la barca con l’altra mano, che cadde con un’ascia; poi morse la barca con i denti; la sua testa cadde, ma la flotta persiana fu fatta prigioniera. A La Roquette, alla vigilia degli assassinii, il prete della Madeleine, preso da un santo entusiasmo, gridò: « Sine sanguinis effusione, non fit remissio. ». Se non versiamo il sangue, non otterremo la nostra liberazione. La Provvidenza lo accettò come vittima; fu la salvezza della Francia, o almeno la fine della Commune. Credo che sia necessario richiamare questi ricordi e raccomandarne la loro imitazione. Il Vescovo di Nancy è un Crisostomo; che sia un Basilio o un Atanasio: per salvare un paese, basta un eroe. Che il signor Turinaz sputi in faccia ai persecutori l’obbrobrio dei loro crimini; che denunci, facendo i loro nomi, le canaglie che preparano il ritorno del 93. Il suo coraggio ha già subito l’appropriazione indebita dell’imbecillità popolare; dovrà poi sopportare i rigori dei saltimbanchi diventati satrapi. Dubito che si accontenteranno di tagliargli la borsa. La verità è che temono la perpetrazione della violenza; non vogliono nemmeno apparire capaci di commetterla. Ma alla fine, se il Vescovo dice tutto quello che c’è da dire, se mette tutta la sua testa nel suo cuore, e tutta la sua anima al servizio del suo braccio, vedremo la salvezza che viene da Dio. I procuratori emetteranno dei mandati di cattura; i commissari e i gendarmi andranno al vescovado di Nancy. Il Vescovo sarà allontanato dal suo palazzo, ammanettato; se va, andrà tra due gendarmi, in una prigione. Lì comincerà a trovarsi pienamente Vescovo; sarà rivestito di ogni potere. Allora il giudizio di Dio sarà reso e satana sarà espulso dall’episcopato. Quello che seguirà è facile da indovinare. Per quanto mi riguarda, Eccellenze, nell’umile ambito in cui non posso pretendere l’immolazione, mi limito a denunciare i pericoli dell’umanesimo, l’inadeguatezza di una filosofia ingannevole, l’infiltrazione protestante nell’esegesi, e soprattutto i gravi pericoli delle due grandi eresie americanista ed internazionale. È su questi cinque punti che oso attirare la vostra attenzione e provocare rispettosamente la decisione della vostra autorità. La salvezza deve iniziare con l’espurgo delle idee; deve continuare con la risoluzioni al combattimento e trionfare attraverso il martirio.

Ad ogni giorno è sufficiente la sua pena.: Sufficii diei malitia sua. Sono, Eccellenze, con il più profondo rispetto, vostro servitore, rammaricandomi di non avere che solo una penna per la lotta, ma senza paura del martirio.

Riaucourt, 30 novembre 1901.

JUSTIN FEVRE,

Protonario Apostolico.

SABATO SANTO (2021)

SABATO SANTO

[P. GUÉRANGER, ABATE DI SOLESMES:

L’Anno liturgico, (trad. P. Graziani – vol. I, Ed. Paoline, Alba Cuneo –  1956]

AL MATTINO

Gesù nel sepolcro.

La notte è passata sul sepolcro ove giace il corpo dell’Uomo-Dio. Ma se la morte trionfa nell’oscuro fondo d’una grotta silenziosa ed imprigiona fra le sue pareti colui che dà la vita agli esseri, il suo trionfo sarà breve. Hanno un bel vegliare i soldati all’ingresso della tomba! non potranno mai impedire al divino prigioniero di spiccare il suo volo. I santi Angeli adorano con profonda devozione il corpo esanime di Colui che col suo sangue ha « pacificato il cielo e la terra » (Col. I, 20). Il suo corpo, solo per poco separato dall’anima, è rimasto unito al Verbo; solo un momento l’anima ha cessato di animarlo, senza perdere l’unione con la Persona del Figlio di Dio. Il sangue sparso sul Calvario è pure rimasto unito alla divinità e ricomincerà a scorrere nelle vene dell’Uomo-Dio, non appena scoccherà il momento della sua risurrezione.

Eccesso dell’amore divino.

Avviciniamoci anche noi alla sua tomba e veneriamo la spoglia divina di Gesù. Ora comprendiamo gli effetti del peccato, «per il quale entrò la morte nel mondo, e la morte s’è estesa a tutti gli uomini » (Rom. V, 12). Gesù «che non conobbe il peccato» (II Cor. V, 21) ha tuttavia permesso che la morte estendesse il suo dominio sopra di Lui per diminuirne gli orrori e restituirci, con la sua risurrezione, l’immortalità perduta per il peccato. Adoriamo con la massima riconoscenza quest’ultimo annientamento del Cristo che, con la sua incarnazione, si degnò di prendere la « forma di schiavo » (Fil. II, 7), ed ora s’è abbassato ancora di più. Eccolo senza vita in una tomba! Se tale spettacolo ci rivela la spaventosa potenza della morte, ben più ci mostra l’immenso ed incomprensibile amore di Dio per l’uomo: un amore che ha superato qualsiasi eccesso, sì da poter dire, che il Figlio di Dio tanto più ci ha glorificati quanto più s’è abbassato. Come dunque ci dovrà essere cara la tomba che genera alla vita! E come dobbiamo ringraziarlo, non solo per aver voluto morire per noi sulla Croce, ma anche per avere abbracciata, per amor nostro, l’umiliazione del sepolcro!

La Madre dei dolori.

Scendiamo ora a Gerusalemme a visitare la Madre dei dolori. Anche sull’afflitto cuore è passata la notte; ma le scene del giorno si sono ripetute nella sua mente senza lasciarla in pace un istante. Ha riveduto il Figlio calpestato sotto i piedi di tutti e colare sangue da ogni parte. Quante lacrime ha già versato durante quelle lunghe ore! ed ancora non le viene reso il suo figlio Gesù! Vicino a lei Maddalena, affranta dalle emozioni che l’hanno scossa attraverso le vie di Gerusalemme e sul Calvario, è muta dal dolore; essa non altro aspetta che la luce del nuovo giorno, per ritornare al sepolcro a rivedere i resti mortali del caro Maestro. Le altre donne, non amate come Maddalena ma ugualmente care a Gesù, che le aveva viste affrontare Giudei e soldati, e stargli vicine sino alla fine, ora circondano di delicatezze la Madre, consolandosi al pensiero di alleviare il proprio dolore, quando, trascorso il Sabato, andranno con Maddalena a portare nel sepolcro il tributo del loro amore.

I Discepoli.

Giovanni, il figlio adottivo, il prediletto di Gesù, piange sul Figlio e sulla Madre. Altri Apostoli e discepoli, come Giuseppe di Arimatea e Nicodemo, visitano a loro volta questa casa di dolore. Pietro, nell’umiltà del suo pentimento, non teme di tornare alla Madre della misericordia; e tutti, sommessamente, parlano del supplizio di Gesù e dell’ingratitudine di Gerusalemme. La santa Chiesa, nell’ufficio di questa notte, ci dà un’idea dei discorsi di questi uomini, che rimasero scossi nell’intimo della loro anima da una sì terribile catastrofe. « Il giusto muore, essi dicono, e nessuno si commuove! L’abbiamo perduto di vista di fronte all’iniquità; simile ad un agnello, non ha aperto bocca, ed è stato trascinato nel luogo del dolore; ma il suo ricordo è un ricordo di pace » (Respons. 6.0 del Notturno).

L’attesa della Risurrezione.

Così discorrono questi fedeli, mentre le pie donne, in preda al dolore, si preoccupano degli onori funebri. La santità, la bontà, la potenza, i dolori e la morte di Gesù: tutto è loro presente; ma, dell’annunciata imminente risurrezione, non se ne ricordano affatto. Soltanto Maria vive di questa certezza. Lo Spirito Santo, parlando della donna forte, dice: « Durante la notte non fa spegnere la sua lucerna » (Prov. XXXI, 18). Ora questa parola oggi si compie nella Madre di Gesù. Il suo cuore non soccombe, perché sa che presto il figlio dalla tomba sorgerà alla vita. La fede nella risurrezione del Salvatore, quella fede senza la quale, come dice l’Apostolo, sarebbe vana la nostra religione (I Cor. XV, 17), è, per così dire, tutta concentrata nell’anima di Maria. La Madre della Sapienza conserva questo prezioso deposito; e, come portò in seno Colui che il cielo e la terra non possono contenere, così oggi, con la ferma e costante fede nelle parole del Figlio, essa compendia tutta la Chiesa. Sublimità del Sabato, che tra tante sue tristezze, viene ad accrescere le grandezze di Maria! La santa Chiesa ne perpetua il ricordo, ed avendo in animo di consacrare alla sua Regina un giorno alla settimana, le dedica il Sabato.

LA GIORNATA DEL SABATO SANTO

Riti dell’Ufficio.

Dai tempi più antichi il giorno d’oggi, come quello di ieri, è trascorso senza l’offerta del divino Sacrificio. Ieri la Chiesa non lo celebrò, perché l’anniversario della morte di Cristo le sembrava riempire di ricordi l’intera giornata. Per la medesima ragione si priva oggi della celebrazione del Sacrificio; perché la sepoltura di Cristo non è che la conseguenza della sua Passione, e perciò, finché il suo corpo giace inanimato nella tomba, non è opportuno rinnovare il divino mistero nel quale egli è offerto glorioso e risuscitato. Anche la Chiesa Greca, che durante la Quaresima non digiuna il Sabato, imita poi la Chiesa latina nell’estendere a questo giorno le più austere pratiche.  – Questo è un giorno di grande lutto e in esso la Chiesa si ferma sul sepolcro del Signore, medita la sua Passione e la sua Morte, fino al momento in cui, avendo celebrata la solenne Vigilia, attesa notturna della Resurrezione, essa si ammanterà di quella gioia pasquale che si manifesterà in tutta la sua grandezza nei giorni che seguiranno. Ma se la Sposa del Cristo deve oggi rimanere presso il sepolcro ove riposa il suo Signore, nondimeno essa rompe quel silenzio con il canto e la recita delle diverse ore dell’Ufficio, come ha già fatto nei giorni passati. Prima del levare del sole, inizia col canto delle Tenebre; seguono poi Prima, Terza, Nona che ricordano quanto Gesù ha sofferto, il giorno avanti, durante quelle stesse ore. Ora Gesù non soffre più e la Chiesa lo sa; riposa come vincitore e il suo trionfo è vicino. Ecco perché durante la recita dell’Ufficio, dopo aver detto: « Cristo s’è fatto obbediente fino alla morte, alla morte della croce », essa aggiunge: «per questo Iddio l’ha esaltato e gli ha dato un nome che supera ogni altro nome » e termina con questa preghiera: « O Dio onnipotente, noi anticipiamo la risurrezione del Figlio tuo con un’attesa piena di amore: fa in modo che la nostra preghiera ottenga la gloria di questa stessa resurrezione. Te lo chiediamo per Gesù Cristo nostro Signore ».

I Vespri pongono termine a questa giornata, e viene soppressa Compieta. La recita di Compieta precede normalmente il riposo, ma questa notte la Chiesa ci invita a vegliare fino al momento gioioso in cui annunzierà la risurrezione del Signore.

LA SERA

Ci sarà utile fermarci ancora qualche istante sui misteri di quei tre giorni durante i quali l’anima del Redentore rimase separata dal corpo. Questa mattina abbiamo visitato il sepolcro e adorato il sacro corpo, che la Maddalena e le compagne si accingono ad onorare fin dal primo mattino, con nuovi tributi. È giusto che anche noi, in questo momento, veneriamo l’anima santa di Gesù. Essa non è nella tomba: la dobbiamo seguire per i luoghi ove risiede, mentre attendiamo che venga a ridar vita alla membra, che sono state separate per un certo, tempo dalla morte.

L’inferno.

Esistono quattro vaste regioni, dove mai alcun vivente potrà entrare. La divina rivelazione ci ha soltanto manifestata la loro esistenza. La prima è l’inferno dei dannati, macabro soggiorno in cui satana e i suoi angeli, insieme a tutti i reprobi della razza umana, sono condannati per l’eternità alle fiamme vendicatrici. È il regno del principe delle tenebre, dov’egli non cessa mai di tramare contro Dio e l’opera sua, piani perversi e sempre sventati.

Il Limbo dei bambini.

La seconda vasta regione è il limbo, ove si trovano le anime dei bambini che uscirono da questo mondo prima d’essere battezzati. Secondo la più autorevole dottrina della Chiesa, quelli che vi dimorano non soffrono alcun tormento e, sebbene non potranno mai contemplare l’essenza divina, possono tuttavia godere una felicità naturale e proporzionata ai loro desideri.

Il purgatorio.

Una terza regione è il luogo dell’espiazione, in cui le anime uscite da questo mondo col dono della grazia si purificano da ogni macchia per essere ammesse all’eterna ricompensa.

Il limbo dei Giusti.

Infine, abbiamo il limbo dov’è prigioniera delle ombre l’intera schiera dei santi che morirono dal giusto Abele al momento in cui Gesù Cristo spirò sulla croce. Là stanno i nostri progenitori. Noè, Abramo, Mosè, David, gli antichi Profeti; Giobbe e gli altri giusti del paganesimo; i santi personaggi che sono legati alla vita di Cristo: Gioacchino, padre di Maria e Anna sua madre; Giuseppe, Sposo della Vergine e Padre putativo di Gesù; Giovanni il precursore, coi suoi genitori Zaccaria ed Elisabetta. Finché la porta del cielo non sarà aperta dal sangue redentore, nessun giusto potrà più salire a Dio. Uscendo da questo mondo le anime più sante dovettero scendere nel limbo. Molti passi dell’Antico Testamento designano gl’« inferi » come il soggiorno dei giusti che meglio hanno servito ed onorato Dio; solo nel Nuovo Testamento si cominciò a parlare del Regno dei Cieli. Però questa temporanea dimora non conosce altre pene che quella dell’attesa e della prigionia. Le anime che vi abitano possiedono sempre la grazia, certe d’una felicità che non avrà fine; esse sopportano rassegnatamente una tale severa relegazione, conseguenza del peccato, ma vedono con gioia sempre crescente l’avvicinarsi del momento della loro liberazione.

Gesù agl’inferi.

Avendo il Figlio di Dio accettato tutte le condizioni della nostra umanità, non poteva trionfarne che con la risurrezione; e le porte del cielo non si sarebbero riaperte che con la sua Ascensione; l’anima sua, separata dal corpo, doveva anch’essa scendere agl’« inferi » per condividere un poco l’esilio dei giusti. « Il Figlio dell’uomo, egli aveva detto, starà tre giorni e tre notti nel cuore della terra » (Mt. XII, 40). Ma tanto più il suo ingresso in questi luoghi doveva essere salutato dalle acclamazioni del popolo santo, quanto più doveva far pompa di maestà e mostrare la potenza e la gloria dell’Emmanuele. Nel momento in cui Gesù sulla Croce esalò l’ultimo respiro, il limbo dei giusti si vide improvvisamente illuminato da splendori celesti; l’anima del Redentore unita alla divinità del Verbo discese un istante in mezzo a quelle ombre, e del luogo d’esilio ne fece un Paradiso. Fu il compimento della promessa di Cristo morente al ladrone pentito: «Oggi sarai meco in Paradiso».

La felicità dei giusti.

Chi potrebbe ridire la felicità in questo momento dei giusti che avevano atteso da tanti secoli; la loro ammirazione e il loro amore all’apparire dell’anima divina che viene a condividere e dissipare il loro esilio? Quali sguardi di bontà getta l’anima di Gesù su quell’immensa schiera di eletti a lui preparata da tanti secoli, su questa porzione della Chiesa ch’Egli ha riconquistata col suo sangue, ed alla quale furono applicati dalla misericordia del Padre i meriti di questo sangue prezioso prima ancora che fosse versato? Noi, che all’uscire da questo mondo abbiamo la speranza di salire a Colui che ci è andato a preparare un posto in cielo (Gv. XIV, 2), uniamoci alle gioie dei nostri padri, adorando la condiscendenza dell’Emmanuele, che si degnò rimanere tre giorni nei luoghi sotterranei, per accettare e santificare tutti i destini, anche quelli transitori, dell’umanità.

Gesù vincitore di satana.

Ma in questa visita ai luoghi infernali, il Figlio di Dio manifesta anche la sua potenza. Sebbene non discenda sostanzialmente nella dimora di satana, Egli vi fa sentire la sua presenza; e il superbo principe di questo mondo deve, in questo momento, cadere in ginocchio ed umiliarsi. In quel Gesù che aveva fatto crocifiggere dai Giudei, ora riconosce proprio il Figlio di Dio. L’uomo è salvato, la morte è distrutta, il peccato è cancellato; d’ora innanzi le anime dei giusti non scenderanno più nel seno d’Abramo, ma andranno in cielo, accompagnate dagli Angeli fedeli, che le porteranno a regnare lassù col Cristo, loro divino Capo. Il regno dell’idolatria sta per soccombere; gli altari sui quali si offrivano a satana gl’incensi della terra ovunque crollano e s’infrangono. La casa dell’uomo armato viene forzata dal suo divino avversario; tutto ciò che possiede gli viene portato via (Mt. XII, 29); il libello della nostra condanna è stato portato via al serpente, e la croce che con tanta gioia aveva visto innalzare per il Giusto, è stata per lui, secondo l’energica espressione di S. Antonio, come un amo mortifero che porta in punta l’esca per il mostro marino, che si dibatte e muore dopo averla inghiottita. – Lo spirito di Gesù fa sentire pure la sua presenza ai giusti, che sospirano nel fuoco dell’espiazione. La sua misericordia porta sollievo alle loro sofferenze e ne abbrevia il tempo della prova. Molti di loro vedono in quei tre giorni finire le loro pene e si uniscono alla moltitudine dei santi per circondare di lodi e di amore colui che apre le porte del cielo. Non è contrario alla fede cristiana il pensare, con alcuni teologi, che la permanenza dell’Uomo-Dio nella regione del limbo dei bambini fu anche per loro di consolazione; ed allora essi appresero che un giorno si sarebbero congiunti ai loro corpi, e si sarebbe aperta per loro una dimora meno oscura e più ridente di quella in cui la divina giustizia li terrà prigionieri fino al giudizio finale.

Preghiera.

Ti salutiamo e ti adoriamo, anima santissima del nostro Redentore, durante le ore che ti degnasti passare insieme coi nostri padri; glorifichiamo la tua bontà ed ammiriamo la tua tenerezza verso gli eletti; ti ringraziamo per aver umiliato il nostro terribile nemico: degnati di schiacciarlo sempre sotto i nostri piedi. O Emmanuele, sei rimasto abbastanza nella tomba: è ora di ricongiungere l’anima tua al corpo. Il cielo e la terra aspettano la tua risurrezione; già la Chiesa, è impaziente di rivedere il suo Sposo. Esci dal sepolcro, autore della vita! trionfa sulla morte e regna in eterno.

LA VEGLIA PASQUALE

Durante i primi secoli, i fedeli vegliavano nella Chiesa per tutta la notte, dal sabato alla domenica, attendendo il momento gioioso della risurrezione. Di tutte le veglie dell’anno, nessuna altra era frequentata con tale entusiasmo e i fedeli che celebravano il passaggio di Cristo dalla morte alla vita, partecipavano, nel medesimo tempo, come testimoni alla solenne amministrazione del Battesimo ai catecumeni: funzione che simbolizzava il passaggio dalla morte spirituale alla vita della grazia. – La Chiesa d’Oriente ha continuato fino ad oggi l’antica tradizione di questa grande vigilia. In Occidente, a cominciare dal Medio Evo, il desiderio di accorciare l’austerità di un digiuno che durava dalla sera del Venerdì Santo fin dopo la Vigilia Pasquale, contribuì a far anticipare poco alla volta l’ora della Messa notturna della risurrezione, prima nel pomeriggio, poi a mezzogiorno e in seguito, dal XII secolo in avanti, nella stessa mattina del Sabato. Durand de Mende, verso la fine del XIII secolo, attesta che a quel tempo appena qualche Chiesa conservava l’usanza primitiva. Questa modificazione portò una specie di contraddizione tra il mistero di questo giorno e l’Ufficio divino che vi si celebra. Cristo era ancora nella tomba e già veniva celebrata la sua resurrezione, e gli stessi riti di questa Vigilia, fatti apposta per preparare l’anima al mistero della Pasqua, avevano perduto buona parte del loro significato. In più, svolgendosi oggi questa cerimonia durante le ore di lavoro, veniva resa difficile la partecipazione da parte della grande maggioranza dei Cristiani. Accogliendo il desiderio dei Pastori e dei fedeli, nel 1951 Papa Pio XII restituì la Vigilia alla sua ora normale, invitando il popolo cristiano a riprendere la tradizione della pietà dei padri.

Innanzitutto noi esporremo il piano generale di questa funzione e in seguito ne spiegheremo tutte le parti. Il centro di questa vasta cerimonia è l’amministrazione del Battesimo ai catecumeni; i fedeli devono tenerlo ben presente se vogliono seguire con utilità e intelligenza questo dramma sacro. Si comincia con la benedizione del fuoco; poi viene esposto il Cero pasquale; la cerimonia delle Letture serve a legare quanto è già stato fatto e quanto ancora avverrà; terminate le Letture si passa alla benedizione dell’acqua; essendo così preparata la materia del Battesimo, i catecumeni ricevono il sacramento della rigenerazione; in seguito, il Vescovo conferirà loro la Cresima. A questo punto, i fedeli che sono stati testimoni della rigenerazione dei neofiti vengono invitati a rinnovare gli impegni del battesimo. Ha inizio il Santo Sacrificio in ricordo della Risurrezione e i neofiti vengono ammessi per la prima volta a partecipare ai sacri misteri.

La Stazione.

A Roma, la Stazione è nella Chiesa madre e matrice di S. Giovanni in Laterano; il Sacramento della rigenerazione è amministrato nel Battistero Costantiniano. I gloriosi ricordi del IV secolo aleggiano ancora sotto le volte di questi antichi santuari; infatti ogni anno ivi si amministra il Battesimo di qualche adulto, e numerose ordinazioni aggiungono nuovi splendori alla giornata.

I. – BENEDIZIONE DEL FUOCO E DELL’INCENSO

L’ultimo Scrutinio.

Mercoledì scorso i catecumeni furono convocati per oggi all’ora di terza (le nove del mattino). È il momento dell’ultimo Scrutinio, presieduto dai sacerdoti, i quali domandano il Simbolo a coloro che non lo hanno ancora professato. Fatta la stessa cosa per l’Orazione Domenicale e per gli attributi biblici dei quattro Evangelisti, uno dei sacerdoti, dopo aver esortato gli aspiranti al Battesimo a mantenersi raccolti ed in preghiera, li congeda.

Il nuovo fuoco.

All’ora di Nona (le tre pomeridiane), il Vescovo si reca insieme a tutto il clero nella chiesa; quindi ha inizio la Veglia del Sabato Santo. Il primo rito da compiere è la benedizione del nuovo fuoco, che con la sua luce illuminerà la funzione per tutta la notte. Era usanza dei primi secoli cavare, ogni giorno, il fuoco da un ciottolo, prima dei Vespri, e con esso accendere le lampade e i ceri che dovevano ardere durante l’ufficio e rimanere accesi in chiesa fino ai Vespri del giorno seguente. La Chiesa di Roma praticava tale usanza con maggior solennità il mattino del Giovedì Santo; in tal giorno il nuovo fuoco riceveva una benedizione speciale. In seguito ad un’istruzione, che il Papa S. Zaccaria fece per lettera a S. Bonifacio, Arcivescovo di Magonza nell’VIII secolo, venivano accese col fuoco tre lampade, che poi erano custodite con diligenza in un luogo segreto. Ad esse s’attingeva la luce per la notte del Sabato Santo. Nel secolo appresso, sotto il Papa S. Leone IV, nell’847, la Chiesa di Roma finì per estendere anche al Sabato Santo l’usanza degli altri giorni dell’anno, consistente nell’ottenere il nuovo fuoco da una pietra (Questa pratica del nuovo fuoco pare sia d’origine irlandese).

Il Cristo, Pietra e Luce.

Il senso di questa simbolica osservanza, non più praticata se non in questo giorno nella Chiesa latina, è facile coglierlo ed è molto profondo. Gesù Cristo disse: « Io sono la Luce del mondo » (Gv. VIII, 12); dunque la luce materiale è figura del Figlio di Dio. Anche la Pietra è uno dei tipi sotto il quale viene nelle Scritture raffigurato il Salvatore del mondo, « Cristo è la Pietra angolare », ci dicono unanimemente S. Pietro (I Piet. 2, 6) e S. Paolo (Ef. II, 20), i quali non fanno che applicare a lui le parole della profezia di Isaia (Is. XXVIII, 16). Ma in questo momento la viva scintilla che sprizza dalla pietra rappresenta un simbolo ancora più completo: è Gesù Cristo, che balza fuori dal sepolcro incavato nella roccia, attraverso la pietra che ne suggella l’ingresso. – La tomba di Gesù è fuori delle porte di Gerusalemme; le donne e gli Apostoli dovranno uscire dalla città per recarvisi e per costatare la risurrezione. Così il Vescovo e i suoi accompagnatori usciranno dalla chiesa per portarsi sul sagrato, là ove brillerà nella notte il nuovo fuoco. Il Vescovo lo benedice con questa preghiera:

“O Dio, che per mezzo di tuo Figlio, pietra angolare, hai acceso nei fedeli il fuoco del tuo splendore, santifica questo nostro fuoco fatto scaturire dalla pietra affinché servisse alle nostre necessità; e concedi di essere tanto infiammati da queste feste pasquali di celesti desideri da poter giungere con l’anima pura alle feste pasquali dell’eterno splendore. Per lo stesso Cristo nostro Signore”. In seguito, egli asperge il fuoco con acqua benedetta e lo incensa. Ed è giusto che il fuoco misterioso, destinato a fornire la luce al cero pasquale più tardi allo stesso altare, riceva una benedizione particolare e sia salutato con trionfo dal popolo cristiano.

II. – BENEDIZIONE DEL CERO PASQUALE

A questo punto viene portato davanti al Vescovo il Cero che0 la Chiesa ha già preparato affinché riluca durante questa lunga Veglia. Questa grande torcia, tutta d’un pezzo, a forma di colonna, rappresenta il Cristo. Prima d’essere accesa, essa era simboleggiata nella colonna di nube che avvolse la partenza degli Ebrei all’uscita dall’Egitto: sotto questa prima forma essa figura il Cristo nella tomba, morto e sepolto. Quando riceverà la fiamma, vedremo in essa la colonna di fuoco che rischiara i passi del popolo santo e l’aspetto di Cristo raggiante degli splendori della sua risurrezione. Con un punteruolo, il Vescovo traccia su di essa, nei punti stabiliti per ricevere i grani di incenso, una croce. Alla cima di questa croce egli segna la lettera greca Alpha, al fondo la lettera Omega, e tra i bracci della croce quattro numeri, ossia la data dell’anno; e intanto pronuncia queste parole:

“Cristo ieri e oggi Inizio e fine

Alpha e Omega

Suoi sono i tempi

E i secoli

A Lui gloria e onore

Per tutti i secoli e per tutta l’eternità. Amen”.

Il numero di questi grani d’incenso infissi nella massa del Cero rappresenta le cinque piaghe di Cristo sulla Croce, mentre i grani stessi simboleggiano i profumi che la Maddalena e le donne avevano npreparato mentre il Cristo riposava nella tomba. A questo punto, il Diacono accende al nuovo fuoco un piccolo cero e lo presenta al Vescovo che se ne serve per accendere a sua volta il Cero pasquale dicendo:

“La luce della gloriosa risurrezione di Cristo dissipi le tenebre del cuore e dello spirito.”

Poi benedice il Cero recitando questa preghiera:

“Fa’ scendere, o Signore, su questo cero acceso l’effusione abbondante delle tue benedizioni; accendi tu stesso questa luce che deve rischiararci in questa notte, o invisibile rigeneratore; affinché il sacrificio che ti viene offerto durante questa notte sia illuminato dal tuo fuoco misterioso e affinché in ogni luogo ove sia portato quanto ora viene benedetto, la potenza e la malizia del diavolo venga vinta e vi trionfi la potenza della tua divina maestà. Amen”.

Durante questa cerimonia sono state spente tutte le luci della Chiesa. Una volta i fedeli spegnevano perfino il fuoco delle case prima di recarsi in chiesa e non accendevano le altre luci della città se non mediante questo fuoco benedetto, consegnato ai fedeli in pegno della divina risurrezione. Notiamo a questo punto un altro simbolo non meno significativo: l’estinzione di ogni luce, in questo momento significa l’abrogazione della antica legge che è cessata quando venne scisso il velo del Tempio; il nuovo fuoco simboleggia la misericordiosa promulgazione della legge nuova che Gesù Cristo ha portato dissipando tutte le ombre della prima alleanza.

III. – PROCESSIONE SOLENNE E MESSAGGIO PASQUALE

A questo punto il Diacono veste la stola e la dalmatica bianca, prende il Cero pasquale acceso ed entra nella chiesa buia in testa al corteo. Dopo un breve cammino la processione si ferma e tutti si voltano verso il Cero che il diacono solleva ben alto e mentre canta:

Luce di Cristo.

Tutti rispondono: ringraziamo Dio.

Questa prima apparizione della luce proclama la divinità del Padre che si è manifestato a noi attraverso Gesù Cristo: « Nessuno conosce il Padre – ha detto Gesù – se non il Figlio e colui al quale il Figlio avrà voluto rivelarlo» (Mt. XI, 27).

Tutti si alzano e il Vescovo che ha benedetto il Cero pasquale accende alla sua fiamma la sua candela e la processione riprende verso la chiesa. – Al centro della chiesa la processione si ferma ancora e tutti si inginocchiano mentre il diacono canta per la seconda volta in un tono leggermente più alto: Luce di Cristo.

Tutti rispondono: ringraziamo Dio.

Questa seconda ostensione della luce ci parla della divinità del Figlio che si manifestò agli uomini nella incarnazione rivelando loro la sua uguaglianza di natura col Padre.

Il clero e gli altri ministri accendono le loro candele al Cero pasquale e poi la processione continua fino a che il diacono giunge all’altare. Allora alza il Cero per la terza volta mentre tutti si inginocchiano e canta:

Luce di Cristo.

Si risponde sempre: ringraziamo Dio.

Tutti allora si alzano e accendono le candele al Cero. Questa terza ostensione della luce proclama la divinità dello Spirito Santo che ci è stato rivelato da Gesù Cristo quando impose agli Apostoli il solenne precetto che la Chiesa sta per mettere in pratica questa notte: «Andate ed ammaestrate tutte le genti, battezzandole nel nome del Padre e del Figliolo e dello Spirito Santo» (Mt. XXVIII, 19). Per mezzo del Figlio che è « luce del mondo », gli uomini hanno conosciuto la SS. Trinità: il Vescovo, prima di procedere al loro Battesimo, chiederà ai catecumeni di professare la loro fede in essa; a questo punto s’accendono col nuovo fuoco le lampade che stanno appese in chiesa. Tale accensione ha luogo subito dopo quella del Cero pasquale, perché la conoscenza della risurrezione del Salvatore si diffuse successivamente, fino a che tutti i fedeli non ne furono rischiarati. Tale succedersi ci dimostra inoltre che la nostra risurrezione sarà la continuazione e l’imitazione di quella di Gesù Cristo il quale ci apre la via da percorrere per riacquistare l’immortalità, dopo essere, come Lui, passati nella tomba. – Il primo compito del nuovo fuoco è di annunziare gli splendori della Trinità. Ma ora servirà alla gloria del Verbo Incarnato, completando il magnifico simbolo che d’ora innanzi deve attirare i nostri sguardi. – Salito il Vescovo sul trono, il Diacono, lasciato il Cero, viene ad inginocchiarsi ai suoi piedi e chiede la benedizione per compiere il suo solenne ministero. Il Vescovo gli risponde: “Il Signore sia nel tuo cuore e sulle tue labbra affinché tu possa annunziare con dignità e competenza la proclamazione della Pasqua.”

Il Cero pasquale è stato posto sul candeliere in mezzo al presbiterio; il Diacono incensa il leggìo, gira attorno al Cero incensandolo da tutte le parti, ritorna davanti al leggio e inizia il canto dell’Exultet mentre tutti tengono la candela in mano. Negli elogi che il Diacono prodiga a questo Cero glorioso già si sente echeggiare l’annuncio della Pasqua; nel celebrare le lodi della divina fiaccola, di cui il Cero è l’emblema, egli compie la funzione di araldo della Risurrezione dell’Uomo-Dio. Unico ad essere rivestito di bianco, mentre il Vescovo indossa i colori della Quaresima, il Diacono fa sentire la sua voce nella benedizione del Cero con una libertà che non è consentita di solito alla presenza del Sacerdote, e tanto meno del Vescovo. Gl’interpreti della Liturgia c’insegnano che il Diacono rappresenta, in questo momento, la Maddalena e le altre pie donne, che per i primi ebbero l’onore d’essere edotti da Gesù della propria risurrezione e furono incaricati d’avvertire gli Apostoli ch’Egli era uscito dalla tomba e li avrebbe preceduti nella Galilea (Codesta cerimonia era praticata in Gallia, nell’alta Italia e nella Spagna fin dallo scorcio del IV secolo. Ugualmente quella del Cero pasquale a Ravenna, ai tempi di S. Gregorio, e a Napoli nell’VIII secolo.). – Ascoltiamo pertanto i melodiosi accenti di quel sacro canto, che farà battere i nostri cuori e ci farà pregustare le allegrezze che ci riserva questa notte meravigliosa. Il Diacono esordisce con questo lirico tono:

“Esulti ormai l’angelica schiera celeste, esultino divini i misteri, e la vittoria di sì gran Re annunci la tromba della salvezza. Goda pure la terra illuminata dai raggi di tanti fulgori, e resa brillante dallo splendore del Re eterno, si senta sgombra dalla caligine del mondo intero. Si allieti pure la Madre Chiesa adornata degli splendori di tanta luce, e questo tempio risuoni delle acclamazioni dei popoli. Perciò, o fratelli carissimi, che assistete a tanto meraviglioso splendore di questa santa luce, invocate insieme con me, ve ne prego, la misericordia di Dio onnipotente; affinché Egli che, senza alcun mio merito, si è degnato di aggiungermi al numero dei Leviti, infondendo in me lo splendore della sua luce, faccia sì ch’io possa dir tutte le lodi di questo Cero. Per nostro Signore Gesù Cristo suo Figlio, il quale vive e regna Dio con lui nell’unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli”.

R. Così sia.

V. Il Signore sia con voi.

R. E col tuo spirito.

V. In alto i cuori.

R. Li abbiamo al Signore.

V. Ringraziamo il Signore Dio nostro.

R. È degno e giusto.

È veramente degno e giusto acclamare, con tutte le forze del cuore, dell’anima e della voce, l’invisibile Dio Padre onnipotente e il suo Figlio Unigenito, nostro Signore Gesù Cristo. Il quale ha per noi pagato all’eterno Padre il debito d’Adamo, e col pio sangue ha cancellato la nota delle pene dell’antica colpa. Queste, infatti, son le feste pasquali in cui viene immolato il vero Agnello che col sangue consacra le porte dei fedeli. È questa la notte in cui, dopo aver tratti i figli d’Israele, nostri padri, dall’Egitto, li facesti passare a piedi asciutti attraverso il Mar Rosso. È dunque questa la notte in cui lo splendore della colonna di fuoco ha cacciato le tenebre dei peccati. Questa è la notte che oggi, dopo aver per tutto il mondo sottratti dai vizi del secolo e dalla caligine del peccato quelli che credono in Cristo, li restituisce alla grazia, li unisce alla società dei santi. Questa è la notte in cui, spezzate le catene della morte, Cristo esce vittorioso dalla regione dei morti. – Nulla certo ci avrebbe giovato il nascere senza il benefizio della redenzione.

Oh! meravigliosa degnazione della tua pietà verso di noi.

Oh! eccesso incomprensibile di carità: per redimere il servo hai abbandonato alla morte

il Figlio!

Oh! certamente necessario peccato d’Adamo! ch’è stato cancellato dalla morte di Cristo!

Oh! felice colpa, che meritò d’avere tale e tanto Redentore.

Oh! notte veramente beata, che sola meritò di conoscere il tempo e l’ora in cui Cristo risuscitò dalla regione dei morti! Questa è la notte di cui sta scritto: La notte diverrà luminosa come il giorno; e: La notte è la mia luce nelle mie delizie. Difatti la santità di questa notte bandisce i delitti, lava le colpe, ridona l’innocenza ai caduti, l’allegrezza ai mesti; fuga gli odii, fa ritornare la concordia, e, sottomette gl’imperi. Accetta dunque in questa gradita notte, o Padre santo, il sacrificio serale di quest’incenso, che nell’offerta di questo Cero, frutto del lavoro delle api, ti fa la santa Chiesa per mezzo dei suoi ministri. Ma già conosciamo la gloria di questa colonna, che la brillante fiamma accende in onore di Dio. Questa fiamma, sebbene divisa in parti, non diminuisce comunicando la sua luce. Essa, infatti, viene alimentata dalla cera liquefatta che la madre ape ha prodotto per questa preziosa lampada.

O notte Veramente beata, che spogliò gli Egiziani ed arricchì gli Ebrei!

Notte in cui alle terrene s’uniscono le cose celesti, alle umane le divine.

Ti preghiamo dunque, o Signore, a far sì che questo Cero, consacrato al tuo nome per dissipare le tenebre di questa notte, duri sino in fondo senza venir meno e, ricevuto in odore di soavità 0sia unito ai celesti splendori. Trovi ancora la sua fiamma l’Astro del mattino, quell’Astro, dico, che non conosce tramonto, quello che, risorto dalla regione dei morti, brilla sereno sopra il genere umano.

Ti preghiamo adunque, o Signore, a concedere tempi tranquilli in queste gioie pasquali, di reggere, governare e conservare con protezione continua noi tuoi servi, tutto il clero, il devotissimo popolo, insieme al beatissimo nostro Papa Gregorio, e al nostro Vescovo N. Volgi ancora lo sguardo a coloro che ci reggono col potere e, per il dono della tua ineffabile pietà e misericordia, dirigi i loro pensieri alla giustizia e alla pace, affinché dopo la terrena fatica raggiungano la patria celeste insieme con tutto il tuo popolo. Per lo stesso Signor nostro Gesù Cristo tuo Figlio, il quale teco vive, regna Dio nell’unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli.

R. Così sia.

Terminata questa preghiera, il Diacono depone la dalmatica bianca e, indossata quella violacea, torna a lato del Vescovo. Cominciano a questo punto le lezioni prese dai libri dell’Antico Testamento.

IV. – LETTURE

Dopo tale preludio, mentre le luci della risurrezione risplendenti per tutta la chiesa rallegrano i cuori dei fedeli, ha inizio la quarta parte della Vigilia pasquale. Per completare quell’istruzione già iniziata al tempo della Quaresima si procede ora alla lettura di qualche passo delle Scritture particolarmente adatti a questa solenne circostanza. Come per le altre Vigilie dell’antica Chiesa romana, le letture di questa notte erano dapprima in numero di dodici. Al tempo della dominazione bizantina venivano lette anche in greco per i fedeli che non capivano il latino. In seguito, il numero venne ridotto a sei, numero conservato ancora oggi per il Sabato delle Quattro Tempora, oppure a quattro, come si verifica ad esempio nel Sacramentario Gregoriano e nel primo Ordo romano. L’uso delle quattro letture si conservò in diverse chiese mentre altre, e tra esse quella di Roma, erano tornate al numero di dodici. Durante queste letture i sacerdoti compivano sui catecumeni i riti preparatori del Battesimo, pieni di profondo significato. Prima tracciavano sulla loro fronte il segno della croce; poi imponevano su di loro la mano, scongiurando satana di uscire dall’anima e dal corpo per lasciare libero il posto a Gesù Cristo. Imitando l’esempio del Salvatore, toccavano con la propria saliva le orecchie dei neofiti, dicendo « Apritevi »; e poi le narici, aggiungendo: « Respirate la soavità dei profumi ». Quindi ciascun neofita riceveva l’unzione dell’Olio dei Catecumeni sul petto e fra le spalle ; ma prima di questa cerimonia, che lo consacrava atleta di Dio, il sacerdote lo aveva già invitato a rinunciare a satana, alle sue pompe e alle sue opere. Questi riti si compivano prima sugli uomini, poi sulle donne. I bambini dei fedeli, nonostante la loro piccola età, erano pure annoverati secondo il sesso; e, se fra i catecumeni si trovava qualcuno affetto da malattia, e che tuttavia si era fatto portare alla chiesa per ricevere questa notte la grazia della rigenerazione, il sacerdote pronunciava su di lui un’Orazione, nella quale si chiedeva a Dio che lo soccorresse e confondesse la malizia di satana. – L’insieme di questi riti, chiamato Catechizzazione, durava parecchio, per il gran numero degli aspiranti al Battesimo. Per questo motivo il Vescovo si era recato in chiesa fin dall’ora Nona e si era data inizio di buon’ora alla grande Veglia. Ma per tenere attenta l’assemblea durante le ore richieste dall’adempimento di tutti i riti, dall’alto dell’ambone si leggevano i brani delle Scritture più adatti alla solenne circostanza. Tali lezioni nel loro insieme completavano il corso dell’istruzione, di cui abbiamo seguito lo svolgersi durante l’intera Quaresima. – I Catecumeni oggi sono meno numerosi di un tempo e col ritorno della cerimonia alle ore notturne, questi riti preparatori potrebbero essere compiuti anche nel pomeriggio; e sempre per alleggerire questa parte della Veglia, si leggono appena quattro Letture. Esse vengono cantate davanti al Cero pasquale acceso in mezzo al presbiterio mentre tutti sono seduti e ascoltano. Dopo ogni lettura, il Diacono invita l’assemblea dei fedeli a rivolgere a Dio, in ginocchio, una preghiera silenziosa, nella quale ciascuno esprima i sentimenti che la lettura ha fatto nascere in lui. Quindi il Diacono ordina a tutti di alzarsi e il Vescovo raccoglie la preghiera di ciascuno nell’orazione detta colletta (raccogliere) che è la preghiera di tutta la Chiesa. Certi canti ispirati all’Antico Testamento e introdotti dalle stesse letture, riuniscono tutte le voci nella melodia del Tratto e mentre lo istruiscono, contribuiscono a rendere l’uditorio più attento. L’assieme di tutta la funzione presenta l’aspetto di una austera gravità: l’ora in cui Cristo risusciterà nei suoi fedeli non è ancora scoccata.

V. – PRIMA PARTE DELLE LITANIE DEI SANTI E BENEDIZIONE DELL’ACQUA BATTESIMALE

Terminate le Letture, due cantori in ginocchio in mezzo al presbiterio cantano le Litanie dei Santi fino all’invocazione « Propitius esto ». Tutti stanno in ginocchio e rispondono. A questo punto il canto viene interrotto. In mezzo al presbiterio dalla parte dell’Epistola è stato preparato un recipiente con l’acqua che dovrà essere benedetta e con quanto è necessario per questa benedizione; il Vescovo, in piedi davanti al popolo, dà inizio alla benedizione in presenza dei fedeli.

Il Vescovo dice: Il Signore sia con voi.

I fedeli rispondono: E col tuo spirito.

PREGHIAMO

“O Dio onnipotente ed eterno, riguarda propizio la devozione del popolo che rinasce ed anela, come il cervo, alle fonti delle tue acque; e concedigli propizio che la sete ispirata dalla sua fede, pel mistero del Battesimo ne santifichi l’anima e il corpo. La benedizione dell’acqua battesimale è di istituzione apostolica (Quantunque non possa vantare alcun testo del Nuovo Testamento, la benedizione dell’acqua è attestata fin dalla fine del II secolo. S. Basilio l’enumera fra le cose non scritte, ma tramandate « da una tacita e segreta tradizione »), essendo l’antichità di tale pratica attestata dai maggiori dottori, fra cui S. Cipriano, S. Ambrogio, S. Cirillo di Gerusalemme e S. Basilio. È quindi giusto che quest’acqua, strumento della più divina fra le meraviglie, nel glorificare Dio che s’è degnato associarla ai disegni della sua misericordia verso l’umanità, sia circondata di tutto quell’apparato che possa renderla anch’essa gloriosa in faccia al cielo ed alla terra. All’uscire dall’acqua, secondo l’immagine dei padri dei primi secoli, i Cristiani sono i fortunati Pesci di Cristo; niente, quindi, da stupire, se in presenza dell’elemento cui devono la vita, trasaliscano di gioia e rendano gli onori dovuti all’Autore stesso dei prodigi che la grazia sta per operare in essi. La preghiera di cui si serve il Pontefice per benedire l’acqua ci riporta alla culla della fede, per la nobiltà e la forza dello stile, per l’autorità del suo linguaggio e per i riti antichi e primitivi che l’accompagnano. Essa viene cantata sul modo solenne del Prefazio ed è pregna d’un lirismo ispirato. Il Pontefice prelude con una semplice Orazione, dopo la quale esplode l’entusiasmo della santa Chiesa, che, per richiamare l’attenzione di tutti i suoi figli, provoca le loro acclamazioni, mentre li invita ad innalzare i loro cuori, dicendo: In alto i cuori!

V. Il Signore sia con voi.

R. E col tuo spirito.

PREGHIAMO

“O Dio onnipotente ed eterno, assisti a questi misteri e sacramenti della tua grande pietà e manda lo spirito di adozione a rigenerare i nuovi popoli che il fonte battesimale ti partorisce; affinché per effetto della tua virtù si compia ciò che siamo per fare mediante il nostro umile ministero. Per il nostro Signore Gesù Cristo tuo Figlio, il quale teco vive e regna Dio nell’unità dello Spirito Santo.

V. Per tutti i secoli dei secoli.

R. Così sia.

V. Il Signore sia con voi.

R. E col tuo spirito.

V. In alto i cuori.

R. Li abbiamo già al Signore.

V. Ringraziamo il Signore Dio nostro.

R. È cosa degna e giusta.

È veramente degno e giusto, equo e salutare, che noi sempre in ogni luogo rendiamo grazie a te, o Signore santo, Padre onnipotente, Dio eterno; che con invisibile potenza operi mirabilmente l’effetto dei tuoi sacramenti. E benché noi siamo indegni d’essere ministri di sì grandi misteri, tuttavia non ci privare dei doni della tua grazia e porgi l’orecchio della tua pietà alle nostre preghiere. O Dio, il cui spirito negli stessi princìpi del mondo si portava sulle acque, affinché fin d’allora la sostanza delle acque ricevesse la virtù di santificare. O Dio che, lavando con le acque i delitti di un mondo colpevole, nella inondazione del diluvio facesti vedere la figura della rigenerazione; che allora facesti sì che il medesimo elemento divenisse misteriosamente termine del peccato e principio di virtù. Riguarda, o Signore, in faccia la tua Chiesa, e moltiplica in essa le tue rigenerazioni, tu che con l’impetuoso fiume della tua grazia rallegri la tua città, e per tutta quanta la terra apri il fonte del battesimo per rinnovare le nazioni; affinché per comando della tua maestà essa riceva la grazia del tuo Unigenito dallo Spirito Santo. Qui il Pontefice si ferma un istante, e, immergendo la mano nelle acque, le divide in forma di croce, per significare ch’esse, mediante la virtù della croce, hanno riacquistata la capacità di rigenerare le anime. Fino a che Gesù Cristo non morì sulla Croce questo meraviglioso potere era per loro solo una promessa: mancava l’effusione del sangue divino, perché ciò fosse loro conferito. È il sangue di Gesù che opera dentro l’acqua sulle anime mediante la virtù dello Spirito Santo, alla quale s’è richiamato il Pontefice. Ch’egli, con la misteriosa unione della sua divinità, fecondi quest’acqua preparata per la rigenerazione degli uomini; affinché, ricevuta la santificazione dal seno purissimo di questo fonte divino, venga fuori una creatura rinata, una generazione celeste; e tutti, sebbene distinti per sesso o per età, siano partoriti dalla grazia nella medesima infanzia. Per tuo comando, o Signore, s’allontani dunque da qui ogni spirito immondo, e stia lontana ogni malvagità e artifizio diabolico. Non vi abbia parte alcuna la potenza del nemico, non vi voli attorno con insidie, non vi si insinui di nascosto, non la corrompa né la contamini. – Dopo queste parole, con le quali il Vescovo chiede a Dio che voglia allontanare dalle acque l’influsso degli spiriti maligni, che tentano d’infettare tutto il creato, stende su di esse la mano e le tocca. L’augusto carattere del Pontefice e del Sacerdote è sorgente di santificazione; quindi il solo contatto della mano consacrata esercita già un potere sulle creature, in virtù del sacerdozio di Cristo che in lui risiede. Questa sia una creatura santa e innocente, libera da ogni assalto nemico e purgata per l’allontanamento di ogni malvagità. Sia una sorgente viva, un’acqua che rigenera, un’onda che purifica; affinché, quelli che saranno lavati in questo bagno salutare, operando in essi lo Spirito Santo, conseguano la grazia d’una perfetta purificazione. – Pronunciando poi le seguenti parole, il Vescovo benedice tre volte l’acqua del fonte, facendovi tre segni di croce. “Perciò ti benedico, o creatura dell’acqua, pel Dio vivo, pel Dio vero pel Dio santo, per quel Dio che in principio con una parola ti separò dalla terra, e il cui spirito si moveva su di te.” A questo punto, per ricordare le acque una volta destinate a fecondare il Paradiso terrestre, ch’era attraversato da quattro fiumi, il Vescovo le divide con la mano e le getta verso le quattro parti del mondo, che poco dopo dovevano ricevere la predicazione del Battesimo. Compie questo rito così profondo, dicendo le parole:

“Per il Dio che ti fece scaturire dal fonte del Paradiso, e ti ordinò d’irrigare con quattro fiumi tutta la terra; che da amara qual eri nel deserto, ti rese potabile con la sua dolcezza, e che per dissetare il popolo ti fece scaturire dalla pietra. Ti benedico anche per Gesù Cristo, unico suo Figlio, Signor nostro, il quale in Cana di Galilea, con un meraviglioso miracolo della sua potenza, ti cambiò in vino, camminò su di te e in te fu battezzato da Giovanni nel Giordano. Il quale ti fece uscire dal suo costato insieme col suo sangue, e comandò ai suoi discepoli di far battezzare in te i credenti, dicendo: Andate, ammaestrate tutte le genti, battezzandole nel nome del Padre e del Figliolo e dello Spirito Santo.”

Qui il Vescovo sospende il tono del Prefazio e prosegue con un tono più semplice di voce. Quindi, segnata l’acqua col segno della croce, invoca su di essa la fecondità dello Spirito Santo. Mentre noi mettiamo in pratica questi precetti, tu, o Dio onnipotente assisti propizio e benigno alita. – Lo Spirito Santo porta un nome che significa Soffio; è il soffio divino, potente come un turbine, che si fece sentire nel Cenacolo. Questo divino carattere della terza Persona divina viene espresso dal Pontefice con l’alitare tre volte sull’acqua del fonte, in forma di croce; poi continua senza riprendere il tono del Prefazio. – “Tu stesso con la tua bocca benedici queste acque pure, affinché, oltre a naturale virtù di purificare, usate per lavare i corpi, ricevano anche quella di purificare le anime.” Poi prende il Cero e ne immerge l’estremità inferiore nella vasca.

Questo rito, che data dal XI secolo, esprime il mistero del Battesimo di Cristo nel Giordano, quando le acque ricevettero la caparra del loro divino potere, e lo Spirito Santo nel momento in cui, il Figlio di Dio discese nel fiume, si posò sul suo capo in forma di colomba. Oggi non è data più una semplice caparra: l’acqua riceve veramente la virtù promessa, mediante l’azione delle due divine Persone. Perciò il Vescovo, riprendendo il tono del Prefazio ed infondendo nell’acqua il Cero pasquale, simbolo di Cristo, sul quale si fermò la celeste Colomba, canta: Discenda su tutta l’acqua di questo fonte la virtù dello Spirito Santo. – Questa volta, prima di ritirare il Cero dall’acqua, il Vescovo si inchina sul fonte; e, per unire in un solo invisibile simbolo la potenza dello Spirito Santo alla virtù di Cristo, alita di nuovo sopra l’acqua, ma non più in forma di croce, sebbene tracciando col suo alito questa lettera dell’alfabeto greco, ψ, che, in questa lingua, è la prima lettera della parola Spirito, «psuke»; poi prosegue nella sua preghiera:

“E a tutta questa massa d’acqua dia la feconda efficacia di rigenerare. Toglie allora il Cero dal fonte e continua: Qui si cancellino le macchie di tutti i peccati, qui la natura creata a tua immagine e ristabilita nella sua dignità di origine, si purifichi da tutti i deturpamenti antichi; affinché ogni uomo che entra in questo sacramento di rigenerazione, rinasca alla nuova infanzia della vera innocenza.” – Dopo ciò il Vescovo di nuovo sospende il tono del Prefazio e pronuncia senza canto la seguente conclusione:

“Per nostro Signor Gesù Cristo, tuo Figlio, il quale ha da venire a giudicare i vivi e i morti e il mondo col fuoco.”

R. Così sia.

Dopo che il popolo ha risposto Amen, un Sacerdote asperge l’assemblea con l’acqua del fonte, ed un chierico minore, attingendovi un vaso pieno d’acqua, lo conserva per il servizio in chiesa e l’aspersione delle case dei fedeli.

Le preghiere per la benedizione dell’acqua sono ormai terminate; eppure la santa Chiesa non ha ancora finito di compiere, verso quest’elemento, tutto quello che ha stabilito di fare. Giovedì scorso entrò un’altra volta in possesso delle grazie dello Spirito Santo mediante la consacrazione dei Santi Oli; oggi vuole onorare l’acqua battesimale, infondendo in essa questi Oli così rinnovati che furono accolti con tanta gioia. Il popolo fedele imparerà a venerare sempre più la sorgente purificante dell’umana salvezza, nella quale sono racchiusi tutti i simboli dell’adozione divina. Quindi il Vescovo prende

l’ampolla che contiene l’Olio dei Catecumeni, e, versandolo sull’acqua, pronuncia le parole:

“Sia santificato e fecondato questo fonte dall’Olio della salute per la vita eterna di tutti i rigenerandi.”

 R. Così sia.

Allo stesso modo vi versa una parte del sacro Crisma, dicendo:

“L’infusione del Crisma di nostro Signore Gesù Cristo, e dello Spirito Santo Paraclito, sia fatta nel nome della santa Trinità.”

R. Così sia.

Da ultimo, tenendo nella destra il Crisma e nella sinistra l’Olio dei Catecumeni, li versa insieme nell’acqua e, terminando questa sacra libazione, che esprime la sovrabbondanza della grazia battesimale, conclude:

“La mescolanza del Crisma che santifica, e dell’Olio che unge e dell’acqua battesimale, sia fatta ugualmente nel nome del Padre e del Figliolo e dello Spirito Santo.”

R. Così sia.

Dopo queste parole il Vescovo sparge gli Oli Santi sulla superficie dell’acqua affinché si impregni tutta quanta di questo ultimo grado di santificazione. Essendo stata benedetta l’acqua, si può procedere all’amministrazione del Battesimo. I catecumeni sono invitati ad avvicinarsi al Vescovo, in mezzo al presbiterio. Durante i primi secoli, il Battesimo veniva amministrato non al centro del presbiterio ma al battistero che allora era fuori della chiesa e la cerimonia aveva luogo secondo questo ordine:

Il corteo si portava al luogo ove era stata preparata l’acqua: l’edificio era staccato dalla chiesa, di forma rotonda e ottagonale. Il centro era costituito da una specie di vasto bacino al quale si accedeva mediante diversi gradini. L’acqua vi veniva fatta affluire attraverso certi canali e vi zampillava dalla bocca di un cervo in metallo. Al di sopra del bacino si elevava una cupola al centro della quale era raffigurato lo Spirito Santo con le ali tese nell’atto di fecondare le acque; una balaustra correva attorno al bacino, allo scopo di separare i battezzandi, i padrini e le madrine dagli altri fedeli: essi soltanto, il Vescovo e i sacerdoti, potevano varcarla. Poco distante venivano innalzate due tende che servivano per gli uomini e le donne e dove essi si ritiravano per asciugarsi e mutarsi l’abito dopo il Battesimo.

Ecco come avveniva la processione verso il battistero. Stava innanzi il Cero pasquale, figura della colonna luminosa che guidò Israele nelle tenebre della notte, verso il mar Rosso; seguivano i catecumeni, accompagnati, gli uomini dai padrini a destra, le donne

dalle madrine a sinistra: ognuno veniva accompagnato al Battesimo da un Cristiano del suo stesso sesso. Gli accoliti portavano, uno il Sacro Crisma, l’altro l’Olio dei Catecumeni; seguiva il clero e infine il Vescovo accompagnato dai suoi ministri. La processione si snodava alla luce delle torce, mentre l’aria risuonava di melodiosi canti. Venivano cantati i versetti del Salmo nel quale David paragonava il suo desiderio di Dio all’ardore col quale il cervo sospira l’acqua del ruscello. Il cervo che si ammirava al centro del battistero stava a significare appunto il desiderio del catecumeno. – Dopo l’appello, essi avanzavano ad uno ad uno, guidati gli uomini dai padrini, e le donne dalle madrine. Spogliato dei vestiti nella parte superiore del corpo, il catecumeno scendeva i gradini della vasca, entrava nell’acqua a portata di mano del Vescovo il quale, con voce alta, gli domandava:

V. Credi in Dio Padre onnipotente, Creatore del Cielo e della terra?

R. Credo, rispondeva il catecumeno.

V. Credi in Gesù Cristo, suo unico Signore, che è nato ed ha patito per noi?

R. Credo.

V. Credi nello Spirito Santo, nella Santa Chiesa Cattolica, nella Comunione dei Santi, nella remissione dei peccati, nella risurrezione della carne, nella vita eterna?

R. Credo.

Dopo questa professione di fede, il Vescovo rivolgeva la domanda:

« Vuoi essere battezzato? ». « Lo voglio », rispondeva il catecumeno.

Allora il Vescovo, mettendo la mano sulla testa del catecumeno, la immergeva per tre volte nel fonte dicendo: « Io ti battezzo nel nome del Padre e del Figliolo e dello Spirito Santo ». – Per tre volte l’eletto veniva immerso nell’acqua; essa lo copriva interamente e lo faceva scomparire allo sguardo dei presenti. Il grande Apostolo spiega questa parte del mistero, dicendo che l’acqua è per l’eletto la tomba dov’è stato sepolto con Cristo, e, come Cristo, lo renderà alla vita; la morte subita è quella del peccato, e la vita che ora possiede è quella della grazia (Rom. VI, 4). Così il mistero della risurrezione dell’Uomo-Dio si riproduce interamente nel Cristiano battezzato. Ma prima che l’eletto uscisse dall’acqua, un rito sublime completava in lui la rassomiglianza col Figlio di Dio. – Come la divina Colomba si era posata sul capo di Gesù, mentre stava immerso nelle acque del Giordano, così il neofita, prima di uscire dal fonte, riceveva da un ministro il sacro Crisma, dono dello Spirito Santo. Tale unzione indica nell’eletto il regale e sacerdotale carattere del Cristiano, che per l’unione con Gesù Cristo, suo capo, partecipa, in un certo grado, alla sua Regalità ed al suo Sacerdozio. – Ripieno così dei favori del Verbo eterno e dello Spirito Santo e ricevuta l’adozione dal Padre, che vede in lui un membro del proprio Figlio, il neofita usciva dal fonte per gli appositi gradini, simile alle pecorelle della divina Cantica, quando risalgono dal lavatoio dove hanno purificata la loro bianca lana (Cant. IV, 2). Il padrino l’attendeva sul limitare del fonte, mentre con una mano lo aiutava a salire e con un’altra lo nascondeva con un panno e lo asciugava dall’acqua che gli grondava da tutte le parti. – Il Vescovo proseguiva nella sua nobile funzione: quante volte immerge un peccatore nell’acqua, altrettante volte un giusto rinasce dal fonte. Ma non può continuare a lungo un ministero, nel quale può essere supplito da altri ministri. Egli solo può conferire ai neofiti il sacramento che li confermerà nel dono dello Spirito Santo: e se per esercitare questo divino potere, dovesse attendere che tutti i catecumeni siano rigenerati, si arriverebbe al grande giorno prima di compiere tutti i misteri della santa notte. Perciò si limitava a conferire con le proprie mani il santo Battesimo ad alcuni eletti, uomini, donne e bambini, lasciando ai ministri la cura di finir di raccogliere la messe del Padre di famiglia. Un apposito luogo del Battistero veniva chiamato Crismario, perché in quel luogo il Vescovo conferiva il Sacramento della Cresima. Là si dirige e sale sul trono che gli è stato preparato; di nuovo lo rivestono dei paramenti sacri che aveva lasciati recandosi al fonte; e subito vengono portati ai suoi piedi prima i neofiti da lui battezzati, e successivamente gli altri rigenerati dal ministero dei sacerdoti. Quindi distribuiva a ciascuno di loro una veste bianca, dicendo: « Ricevi la veste bianca, santa e immacolata ; e portala al tribunale di nostro Signor Gesù Cristo per averne la vita eterna ». I neofiti, dopo aver ricevuto questo eloquente simbolo, si ritiravano dietro le tende del Battistero, dove deponevano gli abiti inzuppati d’acqua, ne indossavano dei nuovi, e, con l’aiuto dei padrini e delle madrine, ponevano sopra ogni altro, la veste bianca ricevuta dal Vescovo. Poi tornavano al Crismario, dove il Pontefice conferiva loro solennemente il Sacramento della Confermazione.

LA CONFERMAZIONE

Giovedì scorso durante la solennità della consacrazione del Crisma, il Pontefice ricordava a Dio, nella sua preghiera, che allorché le acque ebbero adempiuto il lor ministero purificando tutta la terra, sul mondo rinnovato apparve una Colomba con un ramo d’ulivo nel becco annunciante la pace ed il regno di colui che prende dall’Unzione il nome sacro che porterà eternamente. Così pure i neofiti, purificati nell’acqua, attendono ora ai suoi piedi i favori della divina Colomba ed il pegno di pace di cui è simbolo l’ulivo. Già il sacro Crisma è stato sparso sul loro capo; allora non significava altro che la dignità cui dovevano essere elevati. Ora invece non solamente significa la grazia, ma l’opera nelle anime; perciò si richiede la mano del Vescovo, da cui solo dipende la consacrazione del Crisma, non potendo un semplice Sacerdote fare l’unzione che conferma il Cristiano. Davanti al Vescovo sono schierati i neofiti, gli uomini da un lato, le donne dall’altro; i bambini in braccio ai padrini ed alle madrine. Gli adulti poggiavano il piede destro su quello destro di quelli che fungevano loro da padre e da madre, significando con tale segno di unione la filiazione della grazia nella Chiesa. Nel vedere la schiera riunita intorno a lui, il Pastore si rallegra nel suo cuore, ed alzandosi dal trono, esclama: « Discenda in voi lo Spirito Santo e la virtù dell’Altissimo vi conservi da ogni peccato! ». Stendendo poi le mani, invocava su di loro lo Spirito dai sette doni, il quale solo può confermare nei neofiti le grazie ricevute nelle acque del fonte battesimale. – Guidati dai loro assistenti, essi s’avvicinavano l’uno dopo l’altro al Vescovo, ansiosi di ricevere la pienezza del carattere di Cristiano. – Il Vescovo intingeva il pollice nel vaso contenente il Crisma e segnava ciascuno di loro sulla fronte col segno incancellabile, dicendo: « Io ti segno col segno della Croce e ti confermo col Crisma della salute nel nome del Padre e del Figliolo e dello Spirito Santo ». E, dando un leggero schiaffo sulla guancia, che presso gli antichi significava la liberazione d’uno schiavo, lo metteva in possesso della completa libertà dei figli di Dio, dicendo loro: «La pace sia con te » (Nei primi tempi, dicendo «Pax tecum », il Vescovo dava il bacio di pace ai neocresimati. (Nei primi tempi, dicendo «Pax tecum », il Vescovo dava il bacio di pace ai neocresimati. Più tardi il bacio fu sostituito da una piccola carezza sulla guancia, che. per alcuni simbolisti, divenne sinonimo di schiaffo, poiché il soggetto doveva da quel momento sopportare con Cristo e per Cristo ogni genere d’ignominie e patimenti. Per altri, invece rappresenterebbe il colpo che ricevevano sulla spalla quelli che nel Medioevo venivan fatti cavalieri, dovendo anche il cresimato divenire soldato armato di Cristo.). –  Più tardi il bacio fu sostituito da una piccola carezza sulla guancia, che. per alcuni simbolisti, divenne sinonimo di schiaffo, poiché il soggetto doveva da quel momento sopportare con Cristo e per Cristo ogni genere d’ignominie e patimenti. Per altri, invece rappresenterebbe il colpo che ricevevano sulla spalla quelli che nel Medioevo venivan fatti cavalieri, dovendo anche il cresimato divenire soldato armato di Cristo.). I ministri del Pontefice fasciavano la testa dei neocresimati con una benda destinata a salvaguardare da ogni contatto profano la parte della fronte, segnata dal sacro Crisma. Il neofita la doveva tenere per sette giorni, assieme alla veste bianca di cui era stato rivestito. – Frattanto, mentre si svolgevano questi misteri, passavano le ore della notte; e giungeva il momento di celebrare, con un sacrificio di giubilo, l’istante supremo in cui Cristo uscirà dalla tomba. – È tempo che il Pastore riconduca al tempio santo il fortunato gregge, che, in una maniera così gloriosa, è venuto ad accrescerne le file; è tempo di offrire alle amate pecorelle il divino alimento cui d’ora in poi hanno diritto. Si aprivano le porte del Battistero e la processione s’avviava verso la basilica. Il Cero pasquale, come una colonna di fuoco, precedeva lo sciamare dei neofiti; e i fedeli venivano dietro al Vescovo e al clero e rientravano in chiesa trionfanti. Lungo il percorso, veniva ripetuto il cantico di Mosè dopo il passaggio del Mar Rosso.

VI. – RINNOVAZIONE DELLE PROMESSE DEL BATTESIMO E SECONDA PARTE DELLE LITANIE

Terminata la benedizione, l’acqua deve essere portata al fonte battesimale. La processione vi si reca cantando « Sicut cervus »; poi si ritorna in presbiterio. Il Vescovo veste la stola e il piviale bianco, incensa il Cero e poi si volta verso i fedeli che tengono in mano le candele accese e li invita a rinnovare le promesse del Battesimo.

Io credo in Dio Padre Onnipotente, Creatore del cielo e della terra.

E voi credete?

Credo.

Io credo in Gesù Cristo suo Figliolo Unico, Dio e Uomo, morto in Croce

per salvarci. E voi credete?

Credo.

Credo nello Spirito Santo, la Santa Chiesa cattolica, la Comunione dei Santi, la remissione dei peccati, la risurrezione della carne, la vita eterna, E voi credete?

Credo.

Prometto con l’aiuto che invoco e spero da Dio, di osservare la sua santa legge e di amare Dio con tutto il cuore, sopra ogni cosa e il prossimo come me stesso per amor di Dio. E voi promettete?

Prometto.

Rinuncio al demonio, alle sue vanità e alle sue opere, cioè al peccato. E voi rinunciate?

Rinuncio.

Prometto di unirmi a Gesù’ Cristo e seguirlo, di voler vivere e morire per Lui. E voi promettete?

Prometto.

In nome del Padre e del Figliolo e dello Spirito Santo.

A chiusura di questa cerimonia si canta l’altra parte delle litanie dei Santi, mentre il Vescovo si porta in Sacrestia ove veste i paramenti sacri risplendenti di tutta la bellezza della Pasqua.

MESSA SOLENNE DELLA VEGLIA PASQUALE

Le Litanie volgono al termine; e già il coro dei cantori è arrivato al grido d’invocazione: Kyrie eleison! Il Pontefice procede dalla Sacrestia verso l’altare in tutta la maesta dei più grandi giorni. Al suo apparire, i cantori prolungano la melodia sulle parole di supplica, ripetendole tre volte, e tre volte aggiungendo la preghiera al Figlio di Dio: Christe eleison! Da ultimo, si termina con l’invocare tre volte lo Spirito Santo: Kyrie eleison! Mentre si eseguono tali canti, il Vescovo ai piedi dell’altare offre all’Altissimo i suoi primi omaggi con l’incenso; così che non si rende più necessaria l’Antifona ordinaria, che prende il nome di Introito, ad accompagnare l’ingresso del celebrante. – La Basilica comincia ad illuminarsi coi primi bagliori dell’aurora. L’assemblea dei fedeli, suddivisa nei diversi settori, gli uomini nella navata di destra, le donne in quella di sinistra, ha accolto nelle sue file le nuove reclute. Presso le porte, il posto dei catecumeni è vacante; e sotto le navate laterali, al luogo d’onore, si distinguono i neofiti dalla veste bianca e dalle bende e dal cero acceso che tengono in mano. – Terminata l’incensazione dell’altare, tutto ad un tratto, oh trionfo del Figlio di Dio risuscitato! la voce del Ponteifice intona l’Inno Angelico: « Gloria a Dio nel più alto dei cieli; e pace in terra agli uomini di buona volontà »! A tali accenti le campane, mute da tre giorni, risuonano a distesa nel campanile della Basilica; e l’entusiasmo della nostra santa fede fa palpitare tutti i cuori. Il popolo continua con ardore il Cantico celeste; terminato il quale, il Vescovo riassume nell’Orazione seguente i voti di tutta la Chiesa in favore dei suoi nuovi figli.

Epistola (Col. III, 1-4). – “Fratelli: Se siete risuscitati con Cristo, cercate le cose di lassù, ove è Cristo assiso alla destra del Padre; alle cose di lassù pensate, e non a quelle della terra; perché voi siete morti, e la vostra vita è nascosta con Cristo in Dio. Quando comparirà Cristo, vostra vita, allora anche voi comparirete con Lui nella gloria.”.

Finita questa lezione così breve, ma così profonda in ogni sua parola, il Suddiacono scende dall’ambone e viene a fermarsi davanti al trono del Vescovo. Dopo averlo riverito con un profondo inchino, con voce esultante pronuncia queste parole che fa risuonare in tutta la Basilica e ridestano l’allegria in tutte le anime: « Padre venerabile, ti dò una grande gioia: cantiamo Alleluia!» Allora il Vescovo si alza e canta: Alleluia! con un tono allegro. Il coro ripete Alleluia! e per due volte il grido celeste s’alterna fra il coro e il Pontefice. In quel momento svaniscono tutte le passate tristezze; si sente che le espiazioni della santa Quarantena sono state gradite dalla divina maestà; ed il Padre dei secoli, per i meriti del Figliolo risuscitato, perdona alla terra, avendole ridato il diritto di cantare il cantico dell’eternità. Il coro aggiunge questo versetto del Re Profeta, che celebra la misericordia di Dio:

Celebrate il Signore, perché Egli è buono, e perché la sua misericordia dura in eterno.

Tuttavia manca ancora qualcosa alle gioie di questo giorno. Gesù è uscito dalla tomba; ma fino a quest’ora non s’è manifestato a tutti. Soltanto la sua santa Madre, Maddalena e le altre pie donne, l’hanno visto; questa sera soltanto si mostrerà agli Apostoli. Siamo quindi solo all’alba della Risurrezione, perciò la Chiesa esprime ancora0 per un’ultima volta la lode del Signore sotto la forma quaresimale del Tratto.

TRATTO

Lodate il Signore, tutte quante le nazioni; lodatelo tutti, o popoli.

V. Perchè s’è affermata sopra di noi la sua misericordia e la verità del

Signore rimane in eterno.

Mentre il coro canta quest’inno davidico, il Diacono si dirige verso l’ambone, donde farà sentire le parole del santo Vangelo. Non è accompagnato dagli Accoliti con le loro fiaccole, però lo precede il turiferario con l’incenso. Anche questo è un’allusione agli eventi della grande mattinata: le donne sono venute al sepolcro coi profumi, ma ancora non brilla nelle loro anime la fede della risurrezione. – L’incenso rappresenta i loro profumi, mentre l’assenza delle fiaccole significa ch’esse ancora non possedevano questa fede.

Vangelo (Mt. XXVIII, 1-7). – “Dopo la sera del sabato, mentre cominciava ad albeggiare il primo giorno della settimana, Maria Maddalena e l’altra Maria andarono a visitare il sepolcro. Quand’ecco venire un grande terremoto. Perché un Angelo del Signore, sceso dal cielo, si appressò al sepolcro e, ribaltatane la pietra, ci sedeva sopra. Il suo aspetto era come il folgore e la sua veste candida come la neve. E per lo spavento che ebbero di lui, si sbigottirono le guardie e rimasero come morte. Ma l’Angelo prese a dire alle donne: Voi non temete; so che cercate Gesù, il crocifisso. Non è qui; è già risorto, come aveva detto; venite a vedere il luogo dove giaceva il Signore. Or, presto, andate a dire ai suoi discepoli che egli è risuscitato dai morti: ed ecco, vi precede in Galilea wi lo vedrete. Ecco, v’ho avvertite.”

Dopo la lettura del Vangelo, il Pontefice non intona il Simbolo della fede: la santa Chiesa lo riserva per la Messa solenne che radunerà di nuovo i fedeli. Essa segue ora per ora le fasi del divino mistero, e in questo momento vuol ricordarci l’intervallo che dovette trascorrere prima che gli Apostoli, destinati a predicare ovunque la fede della risurrezione, non gli avessero reso omaggio.

Salutato il popolo, il Pontefice s’accinge a offrire alla divina maestà il pane e il vino occorrenti al Sacrificio; per una deroga all’osservanza d’ogni Messa, i cantori non intonano l’Antifona nota sotto il nome di Offertorio. Infatti, quotidianamente tale Antifona accompagna la processione dei fedeli diretti all’altare ad offrire il pane ed il vino che saranno loro restituiti nella Comunione, trasformati nel corpo e nel sangue di Gesù Cristo. Se non che la Funzione s’è prolungata molto; e se l’ardore delle anime è sempre lo stesso, si fa però sentire la fatica del corpo; il piagnucolare dei fanciulli, che si tengono digiuni per la Comunione, fanno già intendere la sofferenza che provano. Il pane e il vino, materia del santo Sacrificio, saranno oggi apprestati dalla Chiesa; e quand’anche non saranno gli stessi neofiti a presentarli, non per questo mancheranno d’assidersi alla mensa del Signore. – Fatta dunque l’offerta, e incensato il pane e il vino e l’altare, il Pontefice raccoglie i voti di tutti i presenti nella Segreta, seguita dal Prefazio pasquale. – Al cominciare del Canone si opera il mistero divino. Nulla è mutato nell’ordine delle cerimonie, fino all’istante che precede la Comunione. Per un’usanza che rimonta ai tempi apostolici, i fedeli, prima di accostarsi al corpo e al sangue del Signore, si scambiavano reciprocamente il bacio fraterno, pronunciando le parole: « La pace sia con te! ». In questa prima Messa pasquale tale costume si omette, perché fu la sera del giorno della risurrezione che Gesù rivolse quelle parole ai discepoli riuniti. La santa Chiesa, sempre ossequiente alle minime circostanze della vita del suo celeste Sposo, ama riprodurle nella sua condotta. Per la stessa ragione omette oggi il canto dell’Agnus Dei, che del resto non data prima del VII secolo, e che presenta alla terza ripetizione le parole: « Donaci la pace ».

È venuto il momento in cui i neofiti, per la prima volta, gusteranno il pane di vita e berranno la celeste bevanda che Cristo istituì nell’ultima Cena. Purificati nell’acqua e ricevuto lo Spirito Santo, essi ormai hanno diritto d’assidersi al sacro banchetto; la bianca tunica che li copre dice abbastanza che la loro anima è rivestita della veste nuziale richiesta agl’invitati nel festino dell’Agnello. S’avvicinano all’altare lieti e riverenti; il Diacono porge loro il corpo delSignore, e poi il calice del sangue divino. Anche i bambini sono ammessi, e il Diacono, intingendo il dito nella sacra coppa, lascia cadere nella loro bocca qualche goccia. Finalmente, per significare che in queste prime ore del Battesimo sono tutti « simili ai bambini appena nati », come si esprime il Principe degli Apostoli, a tutti viene offerto dopo la Comunione un po’ di latte e di miele, simboli dell’infanzia e ricordo, nello stesso tempo, della terra che il Signore promise al suo popolo.

Compiuto infine ogni cosa, il Vescovo conclude le preghiere del Sacrificio domandando al Signore lo spirito di concordia fra tutti i fratelli, che in una medesima Pasqua hanno partecipato ai medesimi misteri. La stessa Chiesa li ha portati nel suo seno materno, lo stesso fonte li ha generati alla vita; sono membri d’un medesimo divino Capo; un medesimo Spirito li ha contrassegnati col suo sigillo; un medesimo Padre Celeste li ha riuniti nella sua adozione, – Ad un cenno del Diacono, dato in nome del Pontefice, l’assemblea si scioglie, e i fedeli, uscendo dalla chiesa, si ritirano nelle loro case, fino al momento che il santo Sacrificio non li riunirà di nuovo per celebrare con maggior splendore la festa delle feste, la Pasqua della Risurrezione.

LODI

Fino a quando durò l’usanza di celebrare la Veglia Pasquale durante la notte dal sabato alla domenica, non vi fu l’Ufficio notturno o mattutino. Ma più tardi, quando venne in uso di anticipare la Messa della notte di Pasqua al mattino del Sabato Santo, si pensò di aggiungere l’Ufficio dei Vespri. Siccome tutta la mattinata era occupata dalle cerimonie liturgiche, la Chiesa pensò di dare ai Vespri una forma molto breve e adatta a quella gioia che si conveniva dopo il canto dell’Alleluia. I Vespri furono pertanto organizzati in modo da fare corpo con la Messa.

Con la restaurazione della Vigilia Pasquale, Mattutino e Lodi di Pasqua hanno subito una modificazione. La Chiesa ha voluto conservare un brano delle Lodi, unendolo alla Messa della quale serve come ringraziamento. – Terminata la Comunione viene intonata l’antifona Alleluja dopo la quale si canta il Salmo 150 che sarà seguito immediatamente ancora dall’antifona Et valde mane e dal canto del Benedictus.

ANTIFONA

Alleluja, Alleluja, Alleluja.

SALMO 150

Lodate il Signore nel suo santuario, lodatelo nel suo maestoso firmamento.

Lodatelo per i suoi prodigi, lodatelo per la sua somma maestà:

Lodatelo con squilli di trombe, lodatelo con l’arpa e la cetra.

Lodatelo col timpano e con danze, lodatelo con strumenti a corda e a

fiato.

Lodatelo con cembali sonori, lodatelo con cembali squillanti: ogni

creatura che respiri, lodi il Signore !

Gloria al Padre e al Figlio e allo Spirito Santo.

Come era nel principio e ora e sempre, e nei secoli dei secoli, Così sia.

ANTIFONA

Al mattino presto della domenica vengono al sepolcro quando il sole è già sorto.

CANTICO DI ZACCARIA

“Benedetto il Signore Dio d’Israele, perché visitò e redense il suo popolo.

Ed elevò per noi il potente Salvatore, nella casa di Davide suo servo.

Come aveva parlato per bocca dei santi, e che un di furono suoi profeti.

Per liberarci dai nostri nemici, e dalla mano di tutti coloro che ci odiano.

Per usare misericordia verso i padri nostri, e ricordare la sua santa

alleanza:

Il patto che giurò ad Abramo, padre nostro, di darsi a noi.

Affinché senza timore, liberati dalla mano dei nostri nemici, serviamo a lui,

Nella santità e nella giustizia alla sua presenza per tutti i nostri giorni.

E tu, o bimbo, sarai chiamato vate dall’Altissimo: poiché precederai il

Signore per preparargli la strada, Per fare conoscere al suo popolo la salvezza in remissione dei peccati, Per la tenera bontà del nostro Dio, per la quale ci visiterà dal Cielo il Messia, Sole nascente,

Per illuminare quanti siedono nelle tenebre e all’ombra della morte,

Per dirigere i nostri passi nella via della pace.

Gloria al Padre e al Figlio e allo Spirito Santo.

Come era nel principio e ora e sempre, e nei secoli dei secoli. Così sia.”

Mentre si canta il Benedictus, il Vescovo incensa l’altare e poi

dopo che è stata ripetuta l’antifona, egli canta questa preghiera:

“Infondi in noi, o Signore, lo Spirito del tuo amore, affinché stiano in perfetta concordia quelli che hai saziato coi sacramenti pasquali. Per Gesù Cristo nostro Signore. Amen”.

Terminata questa preghiera, il Diacono annunzia ai fedeli che la funzione è terminata e aggiunge alla solita formula due Alleluja;

questi due Alleluja verranno ripetuti a fine Messa per tutta la settimana, fino al sabato prossimo incluso.

Andate la Messa è finita, Alleluja, Alleluja !

Ringraziamo Dio, Alleluja, Alleluja !

La Messa termina con la benedizione del Vescovo.

LA SITUAZIONE (8)

LA SITUAZIONE (8):

DOLORI, PERICOLI, DOVERI E CONSOLAZIONI DEI CATTOLICI DEI TEMPI PRESENTI

OPERA DI MONSIGNORE G. G. GAUME PROTONOTARIO APOSTOLICO

Custos, quid nocte?

Sentinella: che è della notte?

ROMA – Tipografia Tiberina – 1861

Lettera Ottava

Caro Amico.

Quattro fatti si generano a vicenda, e si concatenano con legamento insolubile di parentela. Dispotismo, spogliamento della Chiesa, scisma, e persecuzione: e questo noi vediamo in tutte le epoche della Storia. Tali fatti a punto sono nella situazione attuale. Non dico già che essi ne verranno (ponetevi ben mente); ma dico solamente che essi vi sono. Or i fatti non sono fratelli, se non perché le idee sono sorelle. Stabilito una volta il dispotismo, regio o popolare che fosse, la prima cosa che egli fa è lo spogliare la Chiesa, immortale sua rivale. Impoverirla, affine di indebolirla; indebolirla, affine di tenerla si soggetta; niente di più logico. Or se lo spogliamento colpisce il capo medesimo della Chiesa, spogliandolo della sua indipendenza territoriale; che n’avverrà? Nella ipotesi più favorevole, la parola del Padre comune diviene sospetta: e bene, o mal fondato, questo sospetto al certo è semenza di scisma. Né io non vo’ insistervi. Attendete a ciò che abbiamo detto della libertà umana, la cui sicurtà si trova egualmente nell’indipendenza pontificia. Che se volete ragionamenti, e voi leggete le riflessioni di Napoleone I, tante volte citate. – Disse un dì il guerriero fatto teologo : « l’instituzione che mantiene il Papa custode dell’unità cattolica è un’instituzione ammirabile. Si rimprovera a questo Capo d’essere un Sovrano straniero; eppure bisogna ringraziarne il Cielo. E che! si ponga in un medesimo paese autorità di tal fatta a fianco del governo dello Stato! Congiunta al governo, quest’autorità diverrebbe dispotismo di sultani; separata, ostile forse, essa sarebbe potenza rivale spaventevole, intollerabile. Il Papa è fuori di Parigi: ciò a punto è un bene. Esso non è né a Madrid, né a Vienna; ed è per questo che noi ne sopportiamo l’autorità spirituale. A Vienna, a Madrid, si ha ragione di dire lo stesso. È cosa ottima dunque che il Papa risegga fuori del nostro Stato, e che avendo sua Sede fuori del nostro Stato, non risegga appresso i suoi rivali. Io non sostengo tali cose per certa caparbietà di bigotto, anzi per ragione ». (Riportato da Thiers nella Storia del Consolato.). – Quante sventure si sarebbe Napoleone risparmiate, se avesse posto le sue parole per regola alla sua condotta! Ma egli è proprio del dispotismo il volere di là da ciò che si deve. Ma qui ci si appresenta la seconda supposizione anche più certa della prima, e molto più grave. Il Papa privato di sua indipendenza, si trova alle prese col Principe, di cui è ospite, o vassallo; tal che senza essere prevaricatore non può accordare quel che gli si domanda: che ne accadrà? A trovare di ciò risposta, non fa mestieri risalire tanto alto nella storia. – Il nostro secolo ha veduto un Papa di santa memoria, agnello per dolcezza, ma felicemente leone per la fermezza. Spogliato del suo dominio temporale, questo Papa diviene prigioniero in mano allo spogliatore. Ed accade che non vi è specie di pressura che Cesare non eserciti sopra il Pontefice, a fin di piegarlo ai suoi ingiusti capricci. Dato in preda alle seduzioni, alle minacce, ai mali trattamenti, il Vicario di Gesù Cristo vuol protestare. – Gli si chiude la bocca. Vuol continuare ad ammaestrare ed a governare la Chiesa: la sua parola non può arrivare alle orecchie del mondo cattolico. Abbeverato di oltraggi, egli è trascinato di prigione in prigione; talmentechè, senza esempio negli annali delle antiche persecuzioni, per più di cinque anni il governo della Chiesa gli è divenuto pienamente impossibile (Arcta custodia… per annos quinque et amplius detentus, viis omnibus peniTus interclusis, ne Dei Ecclesiam regere posset, nullo similis persecutionis in priscis annalibus exemplo. Brev. Rom. 24 maji). – Ma se la voce della verità era tenuta forzatamente muta, al contrario era sciolta quella dell’errore. Intorno alla prigione pontificia, tentativi di scisma s’incalzavano con un ardore e con uno strepito da porre la Chiesa di Francia in su l’orlo della sua rovina. E sì venne tempo che la Providenza intervenisse: e v’ intervenne, come in tutti i casi simili, in maniera diretta e sovrana. Colui che si ride dei consigli degli uomini, e comanda agli elementi, è quel desso che ha detto: « Tu sei Pietro, e su questa pietra io edificherò la mia Chiesa, e le porte dell’inferno non prevarranno contro di lei. » Ei si ricordò della sua parola! voi ben sapete del resto. Io v’intendo, caro amico: voi supponete adunque (così pare che mi diciate), che lo scisma stia proprio nello spirito della situazione delle cose? ed anche in tale ipotesi, il credete voi possibile? Alla prima questione già sapete la mia risposta. La situazione in cui versiamo, e della quale parliamo, è il regno della rivoluzione che va di giorno in giorno più ingrandendo. Or la rivoluzione vuole ben più che lo scisma. Lo stesso Pio IX già il disse: essa vuole la totale ruina della religione cattolica, catholicam religiomm funditus evertere. E certo, se mai essa divenisse a padrona assoluta dei suoi atti, allora sì che vedremmo all’aperto tutto il fondo dei suoi pensieri. In quanto ai governi che s’intendono con lei, e presumono dirle come Dio medesimo all’Oceano: tu verrai fin qui; ti proibisco di andare più lungi; non vogliamo prestare loro, anzi ci piace concedere, non aver essi alcuna intenzione scismatica. (È forse non senza un perché, che il governo di Franchi ha tollerato che testé si pubblicasse un opuscolo intitolato: Imperatore e Papa. Quest’opuscolo è un appello per diretto allo scisma! Eccone il sunto: « Soppressione dell’influenza romana, nomina di un Patriarca, concilio ecumenico dell’episcopato francese, volo universale applicato al clero, lo Stato direttore dell’amministrazione religiosa, abolizione dei concordati, costituzione civile del clero. » La tendenza non è ella assai chiara?). – Ma il loro animo per quanto sia buono oggidì, basterà forse a rassicurarcene? Sono forse gli uomini sempre padroni di loro stessi, e degli avvenimenti? S’ignorano forse il trascinamento dell’opinione, e le pretese necessità delle circostanze sì spesso invocate ai tempi di rivoluzione? – Non usciamo fuori dalla storia moderna. La rivoluzione francese al suo primo principiare, in un gran numero dei suoi attori, intendeva essa forse con volontà preconcetta lo scisma della Costituzione civile? N’è dato fortemente dubitarne: ma nulladimeno l’avvenimento si compì. A pie’ dell’atto scismatico, vi è facile vedere sottoscritti quegli uomini stessi, che poco prima avevano giurato rispetto inviolabile alla Religione cattolica. Or rimane la seconda questione: sarebbe oggidì possibile lo scisma? Per metterne i Cattolici in guardia, io potrei tenermi contento a sol rammentare le parole dell’Apostolo: bisogna che vi siano anche le eresie: oportet et hæreses esse: ed a più forte ragione, gli scismi. Questa è senza dubbio una delle mille prove riservate alla Chiesa! E in tale rispetto godrebbe forse la nostra epoca di qualche immunità? Anzi non porta ella forse dentro al suo seno alcuno elemento di questa malattia morale? Che ci vuole dunque per fare scisma? Non più che due cose; cioè una negazione, ed un’affermazione. Negazione di fede e di ubbidienza alla Chiesa; affermazione di ambizione da soddisfare, o d’una falsa postura a conservare. Di certo la negazione non manca ai giorni nostri. Girate lo sguardo intorno a voi; e quindi giudicate dell’albero dai suoi frutti. Ove è la fede de’ molti? Quella fede salda cui niuna forza può rovesciare; quella fede tutta d’un proposito, è, o non è, per la quale ogni concessione riprovata o sospetta è un’apostasia? Un dei caratteri del nostro tempo non è forse l’impazienza del giogo dell’autorità religiosa? Non gli è un fatto sciaguratamente troppo certo, che la più parte delle intelligenze si studiano di sfuggire per una tangente qualunque all’orbita di una fede semplice e piena? E l’indifferenza verso la verità dommatica può andare più avanti? – In quanto espressione autorevole di tali disposizioni degli animi tanto minacciose, che ci eccitano con spavento a metterci in guardia, non abbiamo noi forse al cospetto della legge la eguaglianza del sì e del no in fatto di credenze; fenomeno invero inaudito nel mondo cristiano, che Roma pagana sol vide ai giorni di suo decadimento? Non abbiamo ancora la tranquilla ostinazione di tanti uomini di ogni condizione, di ogni dignità, i quali oggi stesso, rispondono col disprezzo e col sarcasmo ai fulmini della scomunica, coi quali la Chiesa li ha colpiti? – E che diremo dell’affermazione? Un altro carattere distintivo dell’epoca presente non è forse la febbre dei godimenti? Ad una parte troppo numerosa della società, che altro è la vita, se non smania ed affanni per l’oro, per le dignità, pei piaceri? Se l’aumento, o la semplice conservazione di questi beni, dei quali tanti uomini fecero loro dei, avvenga che dipenda da una disubbidienza alla Chiesa; siamo certi che la fede dei martiri si ridesti subito nei cuori a segno che tutti preferiscano la povertà alla fortuna, l’umiliazione agli onori? Che dice la storia dell’Alemagna, dell’Inghilterra, della Francia medesima, e di tutti i paesi, ove dello scisma divennero premio le dignità e le ricchezze? I due elementi dunque dello scisma non mancano. Ora, posto lo scisma come principio, alla minima occasione che si dia, porta senza meno in pratica la persecuzione: altro danno della situazione. Non vogliamo, qui come altrove, accusare in quale che si fosse le intenzioni; che scopo nostro non è affatto di mettere nelle anime inquietudini chimeriche. Ma solamente intendiamo di far rilevare un fatto, che è la connessione esistente tra lo scisma e la persecuzione. Del resto vero èche per quanto, a differenti epoche di scisma, sia stato grande il numero dei fuggitivi da’ sensi della Chiesa, e degli adoratori del fatto compiuto, la Chiesa ed i suoi diritti hanno sempre avuto ed avranno sempre intrepidi difensori. E ‘l potere scismatico è stato sempre sollecito di farne confessori della fede e martiri: chetal fatta di potere pretende di essere ubbidito da tutti, ed a quale che si fosse sacrificio. Per lui è sempre una questione d’amor proprio e di tranquillità, e spesso di vita o di morte. Per le quali condizioni, inerenti alla sua natura, egli è fatalmente forzato, anzi trascinato ad affrontare e sopraffare tutte le resistenze. Ed allora si tagliano teste senza scrupolo, perché si tagliano per principio. La rivoluzione francese anche di ciò porge la prova. Dopo aver decretato solennemente libertà , eguaglianza, fraternità a tutti i cittadini, e ‘l rispetto della Religione, e l’inviolabilità del Re, essa cade nello scisma. E ‘l dì seguente si vede decretare con non minore solennità la proscrizione dei preti e dei Cattolici, i massacri della Vandèa, il regno del terrore, e l’uccisione di Luigi XVI. – Sotto il primo impero non abbiamo noi veduto la persecuzione andare in parallelo coi tentativi scismatici del 1811? Volete anche risalire più alto? Vi ricorda l’Alemagna e l’Inghilterra al XVI secolo. Leggete quel che oggi stesso adopera il clementissimo Imperatore di Russia circa ai suoi sudditi Cattolici. E senza andare sì lungi, guardate alla rivoluzione italiana, che pure non è che al principio, come tratta il clero fedele nei paesi usurpati. Quanti religiosi banditi via de’ loro conventi, e spogliati? Quanti Vescovi fuggitivi, esiliati, o carcerati! – Ma a che aggiungere prove all’evidenza? In tutti i tempi, ed in tutti i paesi, dispotismo, spogliamento della Chiesa, scisma, e persecuzione sono fatti che a vicenda si riferiscono. Colla proscrizione del diritto cristiano ricomincia l’età dei Cesari; e questa è inevitabilmente l’era dei martiri: alla qual legge la storia del passato non porge veruna eccezione. Or la storia del presente sarà ella più felice? Vi risponderà l’avvenire.

Tutto vostro ecc.

LA SITUAZIONE (9)

L’ABOMINIO DELLA DESOLAZIONE (2)

L’ABOMINIO DELLA DESOLAZIONE (2)

Lettera ai Vescovi di Francia

[Mgr. J. Fèvre, 

REVUE DU MONDE CATHOLIQUE. 15 DECEMBRE I901]

III. – Il più grande difetto del baccalaureato universitario è che è completato, coronato e sancito da un corso di filosofia. La filosofia è la scienza delle cause prime e dei fini ultimi; o, più esplicitamente, la scienza degli esseri in generale e degli spiriti in particolare, cioè di Dio, dell’uomo e delle loro relazioni, secondo la rivelazione della fede e la luce della ragione. La filosofia, così intesa, è una creazione propria del Cristianesimo.  Gli antichi non erano più di noi estranei a questo bisogno dell’anima che vuole conoscere l’essenza delle cose e la loro ragione d’essere. Ma, con la loro fede incerta e la loro ragione ancora più incerta, sapevano solo creare grandi sistemi ed inquadrare gli errori che li avevano sedotti e gli idoli che avevano eretto nei loro cuori. Nel pieno dei lumi della civiltà greca, Platone diceva che solo un Dio poteva insegnare la filosofia agli uomini. Confucio, il grande saggio della Cina, si rivolgeva all’Occidente per invocare il desiderato delle nazioni. E Cicerone, il segretario generale della filosofia greca, schiacciato dall’evidenza, dopo aver sintetizzato gli insegnamenti dei filosofi, emise questa sentenza: non c’è niente di così assurdo che non sia stato detto da qualche filosofo: Nibil est tam absurdum quod non dictum fuerit ab aliquo philosophante. La filosofia cristiana, figlia del Vangelo e della Chiesa, mirabile creazione di grandi geni, specialmente di Sant’Agostino d’Ippona, Sant’Anselmo di Canterbury e San Tommaso d’Aquino, ha illuminato il mondo dopo la sua conquista da parte di Gesù Cristo. Non ho niente da dire qui sul suo potere e sui suoi benefici. Basta notare che se i filosofi antichi erano condannati a sbagliare dall’assenza di una fede che non conoscevano, i filosofi moderni si sono dedicati alla stessa oscurità, ripudiando la fede della loro culla. Di fronte alla filosofia tradizionale del Cristianesimo, hanno voluto stabilire una filosofia razionale che si isolasse dalla tradizione per limitarsi alla ragione. Con Bacone rifiutarono questa filosofia cristiana che chiamarono scolastica, cioè d’ignoranza; con Cartesio fecero poggiare l’edificio del nostro sapere sulla sola ragione; e con Leibnitz osarono dire che nel letame della Scolastica non c’erano che poche particelle d’oro da raccogliere. Hinc dérivata clades. – Dopo tre secoli, la filosofia scolastica in Francia era stata più o meno asservita ai filosofi moderni. Critica con Bacone, razionalista con Cartesio, idealista con Malebranche, atea con Spinosa, fantasiosa con Leibnitz, questa filosofia delle scuole cercò di evitare l’errore capitale di ogni sistema, attaccandosi alle verità del simbolo. Così che questa filosofia, cristiana nella sua ispirazione generale, preservata dalle più grandi deviazioni dal presidio del Vangelo, era tuttavia contaminata da errori che la rendevano impotente. Questi tre secoli in cui ha regnato questa filosofia sono tre secoli di decadenza. Si è seguito un solco finendo in una buca fangosa, che non faceva passare più abbastanza luce. Le disgrazie di questa filosofia, vanamente provate dalle catastrofi della storia, non allarmarono altrimenti la fede e il patriottismo, né dei maestri, né degli allievi, né del clero, né dei principi. – È solo negli ultimi cinquant’anni che questa filosofia è stata messa alla prova. Un giorno sarà la gloria del XIX secolo l’aver iniziato il ripudio della filosofia moderna; e per mezzo di voci isolate, per aver propugnato un ritorno alla scolastica, cioè alla filosofia come risulta dagli insegnamenti del Vangelo. Menti isolate avevano preso questa iniziativa; Pio IX e soprattutto Leone XIII presero in mano questo grande interesse della Chiesa e dell’umanità. Leone XIII, lui stesso tomista, scrisse un’enciclica espressamente per riportare i maestri alla filosofia dell’Angelo della Scuola. Da un tale voto alla sua realizzazione, c’è una lunga strada da percorrere. Di tutti i locali, il più difficile da esplorare è il cervello umano. Tre secoli di aberrazione scolastica avevano depositato le ragnatele del filosofismo nella scatola cranica dei francesi; le fibre del cervello francese si erano infettate di emanazioni di questa piccola filosofia; e come la gola si adatta all’espressione di una lingua, così il cervello nazionale era stato invaso da un insegnamento difettoso, che era diventato un’abitudine, una seconda natura. – Nella Chiesa, come ovunque, è difficile tornare dalle infatuazioni; più difficile ancora per le abitudini ecclesiastiche di rispetto delle tradizioni, e anche per quelle abitudini di adulazione che hanno sostituito, tra noi, l’antico vigore dello spirito. Più lo spirito mente si abbassa, più si esalta; più, esaltandosi, si apre ad ammissioni ridicole e si chiude con asprezza alla riparazione critica. La nostra decadenza francese ci riporta alle usanze bizantine. Ammiriamo molto, ma non ammiriamo nulla e ci impantaniamo nella confusione. – Non è che abbiamo trascurato di mettere San Tommaso nel pasticcio di carne tritata, come si chiamano, in cucina, i ripieni. In passato, senza citare il buon uomo che aveva messo San Tommaso in meditazione, Billuart e Goudin avevano acquisito, spiegandola, un’illustrazione e Duns Scoto, contraddicendola, l’immortalità. Oggi, lo confesso, con più lodevole impegno, San Tommaso è stato tradotto; San Tommaso è stato abbreviato; San Tommaso è messo in evidenza, nella prosa e nei versi; soprattutto sono state scritte filosofie nello spirito di San Tommaso. San Tommaso è ovunque; ma non entra nelle menti, non illumina ancora le anime, sia perché le ragnatele rifiutano di riceverlo, sia perché i cervelli non sentono nulla onde digerirlo. Ovviamente non siamo più ai tempi in cui un seminarista chiedeva a un professore di leggere San Tommaso, e il professore rispondeva: “È una cosa seria, ne parlerò con il superiore”. Il superiore, ricevuta la richiesta, rispose a sua volta: “È una questione seria, dovrò convocare il consiglio. Il Consiglio, cioè i superiori e i professori, a loro volta, dopo aver deliberato sulla questione, dopo averla esaminata da tutte le parti, dopo aver soppesato i pro e i contro con il peso del santuario, hanno espresso il serio parere che vi fosse un pericolo nella questione e hanno risposto alla richiesta con un rifiuto. Nel 1840, San Tommaso era ancora pericoloso da leggere; nel 1850 era nella sala di teologia con dei volumi di Patrologia e la Somma dei Concili, alla portata di tutte le mani. Cinquant’anni di voga, anche dopo la formazione romana di un certo numero di professori, non hanno ancora distrutto la tradizione gallicana dei seminari ed introdotto tra noi il seminario romano. San Tommaso è tornato; è giustapposto ai costumi dell’insegnamento gallicano; è sottomesso ai suoi metodi, ai suoi programmi e talvolta è impantanato dalle sue soluzioni. È una riforma radicale che occorre stabilire. Io non ho ancora sentito che ha avuto luogo; sono persino incline più a credere che sia stato rifiutato. La causa di questa strana disgrazia è la mancanza di una Bacone antigallicano. Il cancelliere di Verulam, all’alba del filosofismo moderno, prima di dare il Novum organon, aveva pubblicato il De augmentis scientiarum; aveva fatto un inventario delle dottrine ricevute, e proceduto, egli credeva, al loro espurgo. Bacone fu l’introduttore del razionalismo. Dio, che non manca mai alla sua Chiesa, ci aveva dato un Bacone antitesi del primo; era Jeàn-Baptiste Aubry che P. Freyd chiamava il Colosso di Rodi del seminario francese a Roma. Dopo aver professato a Beauvais, Aubry, che aveva una grande anima, andò a morire missionario a Kouéi-Tchéou. Mentre lavorava per la conversione della Cina, non aveva dimenticato la sua missione di restaurare la Francia. Scriveva incessantemente; quando morì, le sue carte tornarono a casa, lasciate in eredità a suo fratello Agostino, – un vero Agostino – che doveva mettere a frutto l’eredità del defunto. Il nostro Agostino ha pubblicato dieci volumi. Questi dieci volumi sono dedicati esclusivamente all’opera preparatoria per il trionfo di San Tommaso. Nel loro vasto insieme, non si limitano alla speculazione sui principi generali e sul metodo della scienza cattolica; essi impostano la legge costituzionale dei seminari maggiori; trattano successivamente della Sacra Scrittura, del dogma, della morale, del diritto canonico, della storia e della vita spirituale; e su ogni punto realizzano la riforma indispensabile per sostituire il seminario gallicano e le sue disastrose routine con il seminario romano con la solidità dei suoi metodi, la certezza delle sue dottrine e la magnificenza delle sue illustrazioni. I fratelli Aubry non sono forse le due più grandi menti del nostro tempo; sono però certamente i due apostoli più ascoltati della rivoluzione che deve trasformare i seminari e, di conseguenza, trasformare la Francia. San Tommaso trionferà solo a questo prezzo; io credo nella prossimità di questo trionfo.  L’asino di Balaam in persona lo saluta con entusiasmo. Ciò che mi rallegra in questa speranza è che Jean-Baptiste Aubry è morto martire per la sua causa, ucciso dal lavoro; e che suo fratello Augustin Aubry, che si è dissanguato per la pubblicazione delle opere del missionario, ha da dieci anni i vecchi furfanti del gallicanesimo come cibo al suo pranzo. Su questa questione cruciale di San Tommaso e della riforma dell’insegnamento filosofico, ecco una lettera del nostro Agostino. Il Papa aveva scritto al giovane vescovo di Verdun su questo stesso argomento: « Ancora una volta – dice Augustin Aubry, in poche righe molto suggestive, Leone XIII rimette a punto l’insegnamento ecclesiastico. Ai professori dei nostri seminari maggiori egli fa come di un dovere capitale di lasciare da parte le invenzioni di una vana filosofia, di seguire San Tommaso e di coltivarlo come loro maestro e guida. Più energicamente che mai, insiste sull’attuazione del programma delineato nelle sue lettere precedenti. « È impossibile – aggiunge – che l’aumento quotidiano del numero di seminari che potrebbero servire da modello per altri non ci dia una grande soddisfazione…. « Cosa notevole, Leone XIII procede qui per desiderio. Perché questo giro di parole nell’espressione della parola pontificia? Non sentite che ci sono lamentele, dei gravi desiderata? Non si giudica anche a Roma che la filosofia del baccalaureato universitario è un substrato piuttosto dubbio? «Dalla lettera di Leone Xlll ci sembra emergere, chiaro come il sole, che questa filosofia di San Tommaso, questa teologia scolastica, di cui egli chiede da tempo la restaurazione, sarebbe praticata solo in un numero molto ristretto di nostri seminari, suscettibili, dice, di servire da modello per altri. « Ora, quali sono questi seminari modello dove l’insegnamento scolastico regna già in tutta la sua pienezza? Io cerco avidamente la lista delle scuole filosofiche e teologiche dove l’Enciclica Æterni Patris, che prescrive la filosofia di San Tommaso, sia applicata in tutto il suo contenuto. Certamente oggi non ci sono più scuse per non applicare gli ordini del Papa; il suo programma risale al 4 agosto 1879: in 22 anni ci sarebbe stato tempo per la riforma, per la riorganizzazione. « Ahimè! Vorrei credere in una restaurazione solida e generale nel senso e secondo le idee di Leone XIII. Ma la lettera papale del 1° ottobre scorso conferma i timori che da tempo soffocavo. « Timori basati sull’uso generale – con poche eccezioni – di autori classici mediocri e dubbi, a volte anche più o meno contaminati da ontologismo, cartesianesimo, kantismo e razionalismo. « Timori fondati sulla scelta degli insegnanti, sempre zelanti, spesso improvvisati, a volte inferiori, raramente scolastici. « Timori basati sul modo in cui si usa San Tommaso, procedendo per lo più da citazioni isolate che da uno studio di questi trattati – il che è una specie di adulterazione ed un’assoluta ignoranza del suo metodo e della linea tracciata da Leone XIII. « Timori basati sui risultati osservati negli ultimi vent’anni, vale a dire: la depressione dello spirito sacerdotale, l’indebolimento della predicazione, il razionalismo delle idee, l’assenza dei principi più elementari, la divisione infinita delle forze cattoliche. « Osiamo sostenere, e siamo determinati a dimostrare, con cifre alla mano, che il lavoro essenziale deve ancora essere fatto per il ripristino degli studi filosofici e teologici nella maggior parte delle nostre scuole francesi. – « Il considerevole lavoro sui seminari maggiori, che pubblicammo nel 1891, fu l’occasione di una vasta inchiesta la cui documentazione, molto seria, molto significativa, rimane nelle nostre mani, come prova indiscutibile della correttezza dei desiderata di Leone XIII. – « Produrremo questa prova a breve. È stata fatta dagli uomini più importanti del clero e dell’insegnamento, che sono stati così gentili da darci le loro impressioni, e da illuminarci sufficientemente sullo stato delle nostre diocesi, e può essere riassunta in una viva dolenzia del triste stato delle cose sacre nelle nostre diocesi. « Non avremmo pensato che si potesse scendere più in basso e fare del baccalaureato universitario la pietra di paragone della vocazione sacerdotale. « Dedichiamo questi pochi pensieri ai signori della democrazia balzana del clero. Ci permettiamo di segnalare loro questa vena che sembra non abbiano pensato di sfruttare: lo studio dei principi, secondo Leone XIII; una forte preparazione filosofica e teologica, sempre secondo Leone XIII; ma soprattutto dei principi, dei principi, i principi…. « Perché andare al popolo senza solidi principi, senza idee precise – come accade appunto ai nostri suddetti democratizzatori – è rovinare l’opera del buon Dio; è disturbare le coscienze già indebolite; è risparmiare alla Chiesa di Francia amare delusioni e rovine irreparabili. » Non ci fermiamo qui al carattere classico della Somma di San Tommaso, avendo trattato questa grave questione in questa stessa rivista, in una lettera al Sommo Pontefice. Ricordiamo solo che, per ordine di Leone XIII, il corso ecclesiastico di filosofia deve durare due anni.

IV. – La nostra attenzione deve concentrarsi sulla questione della Sacra Scrittura all’alba del XX secolo. Tra i Giudei ed i Cristiani, i libri sacri sono sempre stati oggetto di culto religioso. Sono stati letti, spiegati e commentati: mai un libro è stato letto e commentato tanto quanto la Bibbia. Quando il pozzo dell’abisso fu aperto al mondo, probabilmente volle oscurare le stelle con i suoi neri vapori, ma il grande eresiarca Lutero affettò prima di tutto un aumento della devozione alla Bibbia. La Bibbia era il messaggio di Dio all’umanità: tutto era nella Bibbia, chiaro, accessibile allo spirito più umile. Per essere inondati dalla luce divina e purificati dalla grazia, c’era solo da leggere la Bibbia senza inclinazioni malvagie, i filosofi con il loro orgoglio, lo stato con le sue ambizioni: tutti questi poteri deviati hanno trasformato la Bibbia in polvere. Il protestantesimo non riconosce più né il canone della Scrittura, né il contenuto ed il significato dei testi, né l’autenticità dei due Testamenti. Il Protestantesimo non è ormai che una forma di Filosofismo, una forza cieca del ciclone rivoluzionario: esso non solo ha annientato le Scritture, ma ha divorato tutte le dottrine positive; e storicamente, l’applicazione di questo principio distruttivo avrebbe messo in ginocchio il mondo, se l’istinto dei popoli ed il buon senso dei principi non ne avessero scongiurato la furia. Nonostante il declino della verità in Francia, nonostante il profondo scuotimento della società civile, il clero francese, nel suo insieme, non fu né invaso né minacciato dall’infiltrazione protestante. Ma non si può negare seriamente che non sia fortemente esposto alla tentazione, il popolo ancora di più. Oggi, come in passato, i nostri studiosi e scienziati devono prendere in prestito dalla scienza tedesca non solo le sue procedure e i suoi metodi, ma a volte i risultati ancora incerti delle sue pazienti indagini. Non è lontano da lì accettare dottrine ed indicazioni. Devo ricordarvi che il nostro clero parrocchiale è stato scosso, sedotto, caduto, un esodo come mai si era visto dopo Calvino, e questo in piena pace. I fuggitivi hanno il loro budget, il loro giornale, il loro sostegno da parte dello Stato, l’incoraggiamento dall’estero. Le missioni protestanti furono inviate in Francia in tutte le direzioni; esse circuivano la gente comune e lusingavano le passioni della borghesia. Lo Stato, che ha abolito la facoltà di teologia alla Sorbona, l’ha sostituita con una facoltà protestante e con una cosiddetta facoltà di religione comparata, ma semplicemente per la distruzione del Cattolicesimo. In nome dello Stato e a spese dei contribuenti, i padroni, nati dalla feccia del razionalismo più radicale, lavorano per l’annientamento del grande culto della patria. Due fatti gravi devono essere messi in relazione con queste circostanze: l’insegnamento scritturale micrologico in Francia, la sua debolezza, che non difende le intelligenze dalla seduzione; e in secondo luogo, la deformazione del cervello ecclesiastico da questa disastrosa tradizione del particolarismo francese. Da ciò si deve concludere che la nostra relativa debolezza e l’indiscutibile forza del nemico – anche se questa forza è solo una debolezza – ci creano, nel campo della Scrittura, un pericolo reale. Questo pericolo sembra più grave, se consideriamo l’attuale disfatta. – P. Fontaine, S.-J. “Le infiltrationi protestanti”, prefazione, a p. VIII. “Della morale pubblica e lo scuotimento intellettuale causato dal progresso della Rivoluzione”.. D’altra parte, bisogna notare la pubblicazione dei grandi Dizionari della Sacra Scrittura e della Teologia e la crociata scientifica di cui queste pubblicazioni sottolineano le conquiste. « Come, si chiede un gesuita – non applaudire alla creazione della Scuola esegetica di Gerusalemme, audacemente originale, dove l’Ordine di San Domenico ha portato le sue antiche ed alte tradizioni di scienza teologica scritturale? Le Facoltà di Teologia, che sono come il cuore delle nostre Università cattoliche, hanno anche contribuito a moltiplicare nelle file del clero secolare e delle congregazioni religiose, sacerdoti meglio equipaggiati dei loro predecessori per le lotte scientifiche e la difesa della verità. Daranno la loro vera misura ed i loro frutti più abbondanti il giorno in cui, cessando di essere scuole complementari dei seminari maggiori, avranno vita propria ed autonoma, abbracciando l’intero ciclo delle scienze religiose, con un personale più numeroso e studenti che vi apprenderanno di più (P. Fontaine, S.-J. Le infiltrazioni  protestanti, prefazione, p, VIII.). . Maurice d’Hulst, il cui spirito era insicuro, è ricordato come il patrono, per semplice ipotesi, di questa interpretazione ampia, che ammetteva errori nella Bibbia. L’ipotesi di D’Hulst avrebbe potuto essere messa nella lista nera, come l’ipotesi liberale di Lamennais. Il Papa, sempre benevolo verso la debolezza liberale, si accontentò di rettificare, per mezzo di un’Enciclica, le sue discrepanze; ma, nella sua sincerità, non mancò di dire che questo modo di difendere le Scritture equivaleva ad un tradimento. Dopo quell’Enciclica in cui il Papa aveva posto delle protezioni sull’orlo di tutti gli abissi, il p. Fontaine non crede che sia rimasta senza difetti. A suo modesto parere, la critica mossa alla teologia ha reso dubbia la prima rivelazione; ha scosso l’autenticità del Pentateuco e gli argomenti che fornisce su Dio, l’anima, l’immortalità e la vita futura; ha sminuito la giusta nozione di messianesimo  reso Cristo troppo umano; ha travisato il problema dei sinottici e la questione giovannea; ha compromesso la divinità di Gesù Cristo ed il valore dimostrativo del quarto Vangelo; essa ha alterato la storia dei dogmi sul capitolo “penitenza”; infine, sembrava contestare l’eternità delle pene dell’inferno.  – La Chiesa conserva come tesi consolidate l’autenticità canonica dei libri sacri, la giusta nozione dell’ispirazione divina e l’assoluta veridicità delle Scritture divine. In presenza di queste affermazioni indiscutibili, la critica storica ha il compito di illustrare i libri e di interpretare i testi; soprattutto, deve liberarli dall’infiltrazione dell’esegesi protestante, « che ha invaso – dice P. Fontaine – quasi ogni ramo della scienza ecclesiastica. Invece di diventare meri cronisti dell’esegesi d’oltre Reno, essi metteranno la loro scienza al servizio della dogmatica rivelata. Non passerà molto tempo prima di avere un’esegesi propria, veramente cattolica e veramente scientifica ». Spetta ai Vescovi, Eccellenze, affrettare questo felice evento.

JUSTIN FEVRE

Protonotario apostolico.

(Continua…) 

L’ABOMINIO DELLA DESOLAZIONE (3)