LA SUMMA PER TUTTI (10)

LA SUMMA PER TUTTI (10)

R. P. TOMMASO PÈGUES

LA SOMMA TEOLOGICA DI S. TOMMASO DI AQUINO IN FORMA DI CATECHISMO PER TUTTI I FEDELI

PARTE SECONDA

SEZIONE SECONDA

Idea particolareggiata del ritorno dell’uomo verso Dio.

Capo VIII.

La carità: sua natura; atto principale; formula di questo atto.

816. Che cosa è dunque la carità?

La carità è una virtù che ci innalza alla vita di intimità con Dio in ordine a Lui stesso, in quanto Egli è la sua propria felicità e si è degnato di volerla comunicare anche a noi (XXIII, 1).

817. Che cosa suppone in noi questa vita di intimità con Dio, alla quale ci innalza la virtù della carità?

Questa vita di intimità con Dio suppone in noi due cose: prima una partecipazione della natura divina che divinizza la nostra natura e ci eleva sopra ogni ordine naturale, sia umano che angelico, sino all’ordine proprio di Dio, facendo di noi come altrettanti dei e mettendoci in grado di essere della sua famiglia; poi certi principi di azione proporzionati a questo essere divino, che ci mettono in grado di agire da veri figliuoli di Dio, come Dio stesso agisce, conoscendolo come Egli si conosce, amandolo come Egli si ama e potendo godere di Lui come Egli stesso ne. gode (XXIII, 2).

818. Questi due ordini di beni sono legati indissolubilmente alla presenza della carità nell’anima?

Questi due ordini di beni sono indissolubilmente legati alla presenza della carità nell’anima, e la carità stessa non ne è che il coronamento.

819. Dunque è sempre vero che chiunque ha la carità nell’anima ha pure la grazia sanificante e le virtù ed i doni?

Sì; chiunque ha la carità nell’anima ha sempre necessariamente la grazia santificante e le virtù ed i doni (XXIII, 7).

820. La carità è la regina di tutte le virtù?

Sì; la carità è la regina di tutte le virtù (XXIII, 6).

821. Perché dite che la carità è la regina di tutte le virtù?

Perché essa le domina tutte, e le fa agire in vista del possedimento di Dio che è il suo proprio oggetto (XXIII, 6).

822. Come aderisce la carità e come si unisce a Dio, ossia al possedimento di Dio suo proprio oggetto?

Per mezzo dell’amore la carità aderisce e si unisce a Dio, ossia al possedimento di Dio suo proprio oggetto (XXVII).

823. In che cosa consiste questo atto di amore per il quale la carità aderisce e si unisce a Dio, ossia al possedimento di Dio suo proprio oggetto?

Consiste in questo, che l’uomo per mezzo della carità vuole a Dio quel bene infinito che è Dio stesso; e vuole per sé quel medesimo bene che è Dio, il quale è a Se stesso la propria felicità (XXV, XXVII).

824. Che differenza passa tra questi due amori?

Passa questa differenza, che il primo è amore di compiacenza in Dio, in quanto è felice in Se stesso; il secondo è amore di compiacenza in Dio, in quanto è la nostra propria felicità.

825. Questi due amori sonò inseparabili nella virtù della carità?

Sì; questi due amori sono assolutamente inseparabili nella virtù della carità.

826. Perché dite che questi due amori sono inseparabili nella virtù della carità?

Perché si dominano l’un l’altro e sono reciprocamente causa l’uno dell’altro.

827. Come dimostrate che essi si dominano l’un l’altro e sono reciprocamente l’uno causa dell’altro?

Perché effettivamente, se Dio non fosse il nostro bene, noi non avremmo alcuna ragione di amarlo; e se Egli non avesse in Sé come nella sua sorgente il bene che è per noi, noi non lo ameremmo con l’amore con cui lo amiamo (XXV, 4).

828. Ciascuno di questi due amori è un amore puro e perfetto?

Sì; ciascuno di questi due amori è un amore puro ed un amore perfetto.

829. Ciascuno di essi è un amore della virtù di carità?

Sì ciascuno di essi è un amore della virtù di carità.

830. Vi è tuttavia fra questi due amori un certo ordine; e quale dei due occupa il primo posto?

Sì; fra questi due amori esiste un ordine; e quello che occupa il primo posto è l’amore che ci fa compiacere in Dio per il Bene infinito che Egli è a Se stesso.

831. Perché questo amore deve essere il primo?

Perché il bene che Dio è a Se stesso supera il bene che Dio è per noi: non ché questo bene sia differente, perché è sempre Dio come è in Se stesso; ma perché in Dio è di una maniera infinita e come nella sua sorgente, mentre in noi non è che di una maniera finita e derivata.

832. L’amore della carità si estende ancora ad altri, oltreché a Dio ed a noi?

Sì; l’amore della carità si estende a tutti quelli che già posseggono la felicità di Dio, o sono in grado di possederla un giorno (XXV, 6, 10).

$33. Chi sono coloro che posseggono già la felicità di Dio?

Sono gli Angeli e gli eletti del cielo.

834. Chi sono coloro che sono in grado di possederla un giorno?

Sono le anime dei giusti che sono ancora nel Purgatorio, e tutti gli uomini che vivono sulla terra.

835. Dunque bisogna amare con amore di carità tutti gli uomini che vivono sulla terra?

Sì; bisogna amare con amore di carità tutti gli uomini che vivono sulla terra.

836. Vi sono dei gradi nell’amore di carità che dobbiamo avere per gli altri come per noi?

Sì; vi sono dei gradi in questo amore di carità; perché noi dobbiamo amare anzitutto e soprattutto noi stessi; poi gli altri secondoché sono più vicini a Dio nell’ordine soprannaturale, o più vicini a noi nei diversi ordini di rapporti che possono unirei ad essi, quali ad esempio i legami del sangue, dell’amicizia, della comunità di vita, ecc.

837. Che cosa si vuol significare quando si dice che nell’ordine, ossia nei gradi dell’amore di carità, dopo Dio dobbiamo amare anzitutto e soprattutto noi stessi?

Ciò vuol dire che prima di tutto e soprattutto noi dobbiamo desiderare per noi stessi la felicità di Dio, ad eccezione soltanto di Dio, al quale dobbiamo desiderare tale felicità anteriormente e di preferenza ad ogni altro.

838. Non vi è che la felicità di Dio che dobbiamo desiderare per noi stessi e per gli altri in virtù della carità?

Vi è la felicità di Dio prima di tutto e soprattutto; ma possiamo anche e dobbiamo desiderare a noi e agli altri, in virtù della carità, tutto ciò che è ordinato a tale felicità o ne rimane sotto la dipendenza.

839. Vi è qualche cosa di direttamente ordinato alla felicità di Dio?

Sì; vi sono gli atti delle virtù soprannaturali (XXV, 2).

840. Sono dunque gli atti delle virtù soprannaturali che noi dobbiamo volere per noi e per gli altri, immediatamente dopo la felicità di Dio ed in ragione di questa felicità?

Sì: immediatamente dopo la felicità di Dio ed in ragione di questa felicità, noi Dobbiamo volere per noi e per gli altri gli atti delle virtù soprannaturali.

841. Possiamo desiderare per noi e per gli altri i beni temporali in virtù della carità?

Sì; possiamo e qualche volta dobbiamo desiderare a noi ed agli altri i beni temporali in virtù della carità.

842. Quando si debbono desiderare questi beni?

Quando sono indispensabili alla nostra vita sulla terra ed alla pratica della virtù.

843. Quando possiamo desiderarli?

Quando non sono indispensabili ma possono essere utili.

844. Se fossero nocivi al bene della virtù, non potremmo più desiderarli per noi o desiderarli agli altri, senza andare contro la virtù della carità?

No; se questi beni temporali divengono un ostacolo alla vita della virtù e sono causa di peccato, noi non possiamo più desiderarli né per noi né per gli altri, senza andare contro la virtù della carità.

845. Potreste darmi una formula precisa ed esatta dell’atto di amore che costituisce l’atto principale della virtù della carità?

Sì; eccola sotto forma di omaggio a Dio: Mio Dio, amo con tutto il cuore sopra ogni cosa Voi, Bene infinito e nostra eterna felicità; e per amor vostro amo il prossimo mio come me stesso, e perdono le offese ricevute. — Signore, fate ch’io vi ami sempre più.

Capo IX.

Atti secondari, ossia effetti della carità: la gioia, la pace, la misericordia, la beneficenza, la elemosina, la correzione fraterna.

846. Che cosa segue nell’anima quando possiede la virtù della carità e ne produce veramente l’atto principale?

Ne segue un primo effetto che è la gioia (XXVII, 1).

847. Questa gioia, effetto proprio della carità, è assoluta e senza alcuna mescolanza di tristezza?

È assoluta e senza alcuna mescolanza di tristezza, quando si riferisce al bene infinito che Dio è a Se stesso ed ai suoi eletti nel cielo: ma è mescolata con la tristezza quando si riferisce al bene di Dio non ancora posseduto dalle anime del Purgatorio, o da noi e da tutti quelli che vivono ancora sulla terra. (XXVIII, 2).

848. Perché in questo ultimo caso la gioia della carità è mescolata con la tristezza?

In questo ultimo caso la gioia della carità è mescolata con la tristezza, a causa del male fisico o morale che trovasi o può trovarsi in coloro che sono in questi diversi stati (Ibid.)

849. Anche allora però è la gioia che deve dominare in virtù della carità?

Sì: anche allora è sempre la gioia che deve dominare in virtù della carità; perché questa gioia ha per oggetto principale e per prima causa la infinita felicità del divino Amore che gode eternamente del Bene infinito che non è altri che Lui, e che Egli possiede essenzialmente al sicuro da ogni male (Ibid.).

850. Vi è un altro atto od un altro effetto che tien dietro in noi all’atto principale della carità?

Sì; questo atto o questo effetto è la pace (XXIX, 3).

851. Che cosa è dunque la pace?

La pace è la tranquillità dell’ordine, ossia l’armonia perfetta risultante in noi ed in tutte le cose dall’essere le nostre affezioni e le affezioni di tutte le altre creature orientate verso Dio, oggetto supremo della nostra perfetta felicità (XXIX), 1).

852. Non vi sono che questi due atti interni che siano in noi effetto o conseguenza dell’atto principale della carità?

No; vi è ancora un altro effetto interno, conseguenza di tale atto, ed è la misericordia (XXX).

853. Che cosa intendete per misericordia?

Per misericordia intendo una speciale virtù distinta dalla carità di cui però è frutto, che ci fa impietosire come è di dovere sulla miseria altrui, stante che può ciascuno andar soggetto alla stessa miseria; o almeno ci fa ritenere in certo modo tale miseria altrui come miseria propria, a motivo dell’amicizia che ad altri ci lega (XXX, 1, 3).

854. La virtù della misericordia è una grande virtù?

Sì; essa è anche per eccellenza la virtù che conviene a Dio, non in quanto al sentimento affettivo di dolore o di tristezza che non potrebbe trovarsi in Lui; ma in quanto agli effetti che questo sentimento eccitato dalla carità, produce al di fuori (XXX, 4).

855. Fra gli uomini questa virtù conviene soprattutto ai più perfetti?

Sì; anche fra gli uomini questa virtù conviene ai più perfetti; perché più un essere si avvicina a Dio più bisogna che la misericordia regni in lui, disponendolo a soccorrere dovunque, intorno a sé e secondo la possibilità dei suoi mezzi sia spirituali che temporali, ai miseri che incontra (XXX, 4).

856. La pratica di tale virtù sarebbe un grande aiuto per lo stabilimento ed il consolidamento della pace sociale tra gli uomini?

Sì; la pratica di tale virtù sarebbe il mezzo per eccellenza per istabilire e consolidare la pace sociale tra gli uomini.

857. Possono esservi anche degli atti esterni che siano effetto proprio della virtù della carità, in ragione del suo atto principale?

Sì; ed al primo posto di questi atti sta la beneficenza (XXXI, 1).

858. Che cosa è la beneficenza?

La beneficenza, come lo indica il nome, è un atto che consiste nel fare del bene (Ibid.).

859. Questo atto è sempre l’atto proprio della sola virtù della carità?

Sì; questo atto è sempre l’atto proprio della sola virtù della carità, quando si considera sotto la sua ragione assoluta di beneficenza (Ibid.).

860. Può essere anche atto di altre virtù distinte dalla carità e sotto la sua dipendenza?

Sì; può essere ed è sempre l’atto di altre virtù distinte dalla carità, ma sotto la sua dipendenza, quando alla ragione generale di bene si aggiunge una ragione speciale e particolare, come quella di essere cosa dovuta e necessaria e di cui si ha bisogno (Ibid).

861. Quale virtù interviene nell’atto della beneficenza, quando alla ragione generale di bene si aggiunge quella speciale di cosa dovuta?

Allora interviene la virtù della giustizia (XXXI, 1 ad 3).

862. E quale virtù interviene in questo medesimo atto di beneficenza, quando alla ragione generale di bene si aggiunge la ragione speciale di cosa necessaria e di cui si ha bisogno?

La virtù della misericordia (Ibid.).

863. Come si chiama l’atto di carità che consiste nel fare del bene per intermezzo della misericordia?

Si chiama elemosina (XXXII, 1).

864. Vi sono diverse specie di elemosine?

Sì; vi sono due grandi specie di elemosine: le elemosine spirituali e le elemosine corporali (XXXII, 2).

865. Quali sono le elemosine corporali?

Le elemosine corporali sono le seguenti:  Dar da mangiare agli affamati; dar da bere

agli assetati; vestire gl’ignudi; alloggiare i pellegrini; visitare gl’infermi; visitare i carcerati; seppellire i morti (XXXII, 2).

866. E le elemosine spirituali quali sono?

Consigliare i dubbiosi; insegnare agli ignoranti; ammonire i peccatori; consolare gli afflitti; perdonare le offese; sopportare pazientemente le persone moleste; pregare Dio per i vivi e per i morti (XXXII, 2).

867. Tutte queste elemosine sono di una grande importanza?

Sì: tutte queste elemosine sono di una grande importanza; e noi sappiamo dal Vangelo che nel giorno del giudizio sarà da esse motivata la sentenza di eterna condanna o di eterna ricompensa.

868. Quando vi è obbligo stretto e grave di fare la elemosina?

Vi è obbligo stretto e grave di fare la elemosina ogni volta che il prossimo si trova in urgente bisogno spirituale o corporale, e non ci siamo che noi per soccorrerlo (XXXII, 5).

869. Benché non vi sia immediatamente ed in maniera determinata un bisogno urgente da soccorrere, vi è però obbligo stretto e grave di non lasciare inutili per il bene del prossimo o della società i doni spirituali o temporali ricevuti da Dio in sovrabbondanza?

Sì: benché non vi sia immediatamente ed in maniera determinata un urgente bisogno da soccorrere, vi è però l’obbligo stretto e grave di non lasciare inutili per il bene del prossimo o della società i doni spirituali o temporali ricevuti in sovrabbondanza da Dio (XXXII, 5, 6).

870. Tra le diverse elemosine ve ne è una particolarmente delicata ed importante?

Sì; la correzione fraterna (XXXIII, 1).

871. Che cosa intendete per correzione fraterna?

Intendo quella elemosina spirituale, ordinata propriamente a guarire il male del peccato in colui che pecca (XXXIII, 1).

872. Questa elemosina è un atto della virtù di carità?

Questa elemosina è un atto di carità compiuto per mezzo della misericordia, col concorso della prudenza che deve proporzionare i mezzi ad un fine tanto eccellente, quanto delicato e difficile (XXXIII, 1).

873. La correzione fraterna è cosa di precetto?

Sì; la correzione fraterna è obbligatoria e di precetto; ma non è tale se non in quanto ci è imposta, secondo le circostanze, per ritrarre il nostro fratello da un male che impegna la sua salute (XXXIII, 2).

874. Chi sono coloro che son tenuti alla correzione fraterna?

Ognuno che sia animato dallo spirito di carità e che, per conseguenza, non ha da rimproverare a se stesso ciò che può scoprire di grave nel prossimo, è tenuto ad ammonire il prossimo stesso chiunque sia, anche se superiore; a patto però di usare tutti i riguardi voluti, e purché vi sia una fondata speranza che il prossimo si emenderà; in caso contrario è dispensato dal suo obbligo e deve astenersene (XXXIII, 3-6).

Capo X.

Vizi opposti alla carità ed ai suoi atti: l’odio, il cattivo umore o disgusto spirituale e l’accidia, l’invidia, la discordia, la contenzione, lo scisma, la guerra, la rissa, il duello, la sedizione, lo scandalo.

875. Qual è il sentimento che deve essere bandito innanzi tutto dal cuore dell’uomo nei suoi rapporti col prossimo?

È il sentimento dell’odio (XXXIV).

876. Che cosa è dunque l’odio?

L’odio è il vizio più grave opposto direttamente all’atto principale della carità, che è l’atto di amore di Dio e del prossimo (XXXIV, 2-4).

877. È possibile che Dio sia odiato da alcuna delle sue creature?

Sì; purtroppo è possibile che Dio sia odiato da alcuna delle sue creature (XXXIV, 1).

878. Come spiegate che Dio, Bene infinito da cui emana ogni bene per le sue creature sia nell’ ordine naturale come nell’ordine soprannaturale, possa essere odiato da alcuna delle creature stesse?

Si spiega con la depravazione morale di alcune creature, che non considerano più Dio sotto la ragione di Bene infinito e come sorgente di ogni altro bene, ma sotto la ragione di Legislatore che proibisce un male che si ama, o sotto la ragione di Giudice che condanna e punisce il male che si è commesso, e di cui non si vuole pentirsi e domandare perdono (XXXIV, 1).

879. È dunque una specie di ostinazione diabolica nel male, che fa sì che delle creature ragionevoli portino odio a Dio?

Sì; è una specie di ostinazione diabolica nel male quella per cui delle creature ragionevoli portano odio a Dio.

880. L’odio a Dio è il più grande di tutti i peccati?

Sì; l’odio a Dio è senza paragone il più grande di tutti i peccati (XXXIV, 2).

881. Può essere mai permesso portare odio ad alcuno fra gli uomini?

No; non può essere mai permesso di portare odio ad alcuno fra gli uomini (XXXIV, 3).

882. Ma se si tratta di uomini che fanno il male, non si ha il diritto di odiarli?

No; non si ha mai il diritto di odiare gli uomini che fanno il male; ma si deve detestare il male che fanno, appunto per l’amore che si deve avere per essì (XXXIV, 3).

883. Non si ha mai diritto di voler loro male?

No: non si ha mai diritto di voler loro male per il male; ma in vista del vero bene che si vuole loro o alla società e più ancora a Dio, si può desiderare che essi provino certi mali destinati a ricondurli al bene, o a salvaguardare il bene della società e la gloria di Dio (XXXIV, 8).

884, Si può mai augurare ad un uomo che vive sulla terra, per quanto colpevole possa essere, la dannazione eterna?

No; non si può mai augurare ad un uomo che vive sulla terra, per quanto colpevole possa essere, la dannazione eterna; perché questo sarebbe un andare direttamente contro l’atto della virtù di carità, che ci deve far desiderare a tutti la felicità finale di Dio, eccettuati soltanto i demoni ed i reprobi che già sono all’inferno.

885. Vi è un vizio che si oppone specialmente al secondo effetto della carità che si chiama la gioia?

Si: è il vizio della tristezza, rispetto al bene spirituale e soprannaturale che è l’oggetto proprio della carità, e che noi sappiamo essere Dio in Se stesso, nostra perfetta felicità (XXXV).

886. Come è possibile siffatta tristezza?

Siffatta tristezza è possibile perché l’uomo, a causa del suo gusto spirituale depravato, riguarda il bene divino, oggetto della carità, come cosa non buona, odiosa ed attristante.

887. Tale tristezza è sempre un peccato mortale?

Tale tristezza è sempre un peccato mortale, quando passa dalla parte inferiore del nostro essere, ossia dalla parte sensibile fino alla parte razionale e superiore (XXXV, 1).

888. Perché allora è un peccato mortale?

Perché è direttamente contraria alla carità, che facendoci un dovere di amare Dio sopra ogni cosa, ci fa anche per conseguenza un dovere essenziale di considerare in Lui la nostra requie e la gioia fondamentale ed ultima dell’anima nostra (XXV, 3).

889. Questa tristezza è un peccato capitale?

Sì; questa tristezza è un, peccato capitale, perché fa sì che gli uomini compiano molte cose cattive e commettano numerosi peccati, sia per evitarla e liberarsene, sia perché il suo peso li fa abbandonare a certe cattive azioni (XXXV, 4).

890. Come si chiama la tristezza che è peccato capitale?

Si chiama accidia, o disgusto spirituale.

891. Potreste dirmi quali sono gli effetti della accidia, ossia i peccati che ne derivano?

Sono la disperazione, la pusillanimità, il torpore riguardo ai precetti, il rancore, la malizia, la. divagazione dell’anima verso cose illecite (XXXV, 4 ad 2).

892. L’accidia è il solo vizio opposto alla gioia della carità?

No; ve ne è ancora un altro che si chiama invidia (XXXVI).

893. Che differenza passa tra questi due vizi, opposti ambedue alla gioia della carità?

Vi è questa differenza che l’accidia o disgusto spirituale si oppone alla gioia del bene divino, in quanto ché questo bene è in Dio e deve essere anche in noi; mentre l’invidia si oppone alla gioia del bene divino, in quanto ché tale bene è quello del prossimo (XXXV, XXXVI).

894. Che cosa è dunque l’invidia?

L’invidia è la tristezza del bene altrui, non perché questo bene ci cagiona del male, ma solamente perché tale bene è di altri e non è nostro (XXXVI, 1, 2, 2).

895. La tristezza della invidia è peccato?

Sì; perché è un rattristarsi di ciò che deve essere causa di gioia, cioè del bene del prossimo (XXXVI, 2).

896. L’invidia è sempre un peccato mortale?

Sì: l’invidia è sempre un peccato mortale di sua natura, come essenzialmente contraria alla gioia della carità; può avere però ragione di peccato veniale, quando si tratta di primi moti imperfetti in materia di atti umani volontari.

897. L’invidia è un peccato capitale?

Sì: l’invidia è un peccato capitale, perché la sua malvagia tristezza porta l’uomo a numerosi peccati, sia per evitarla che per conformarvisi (XXXVI, 4).

898. Quali sono gli effetti della invidia, ossia ì peccati che ne derivano?

Sono la insinuazione, la detrazione, il godimento nelle avversità del prossimo, l’afflizione nelle sue prosperità e l’odio (XXXVI.4).

899. Vi sono anche dei vizi opposti alla carità dal lato della pace?

Sì; vi sono numerosi vizi opposti alla carità dal lato della pace.

900. Quali sono i numerosi vizi opposti alla carità dal lato della pace?

Sono la discordia, nel cuore; la contenzione nelle parole; o nell’azione, lo scisma, la rissa, la sedizione, la guerra (XXXVII – XLII).

901. Potreste dirmi in che consiste precisamente la discordia, che è un peccato contro la carità?

Consiste nel non volere intenzionalmente quello che gli altri vogliono, quando è accertato che gli altri vogliono il bene, vale a dire ciò che è per l’onore di Dio ed il bene del prossimo, e nel non volerlo appunto per questa ragione; oppure nel cadere in questo disaccordo senza cattiva intenzione diretta, ma per riguardo a cose di per sé essenziali all’onore di Dio ed al bene del prossimo; oppure, di qualsiasi oggetto si tratti e qualunque sia la rettitudine di intenzione, nel portare in questo disaccordo una ostinazione ed una pertinacia indebita (XXXVII, 1).

902. E che cosa è la contenzione?

La contenzione sta nel combattere con altri a parole (XXXVIII, 1).

908. La contenzione è un peccato?

Sì; se si combatte con altri per il solo fatto di contraddirlo; con più forte ragione sarebbe se si facesse per nuocere al prossimo o alla verità difesa dal prossimo nelle sue parole; sarebbe pure se difendendo la verità, si facesse con un tono e con tali parole da offendere il prossimo (XXXVII, 1).

904. Che cosa intendete per scisma?

Lo scisma è una rottura, ossia una scissione per la quale ci sì separa intenzionalmente dall’unità della Chiesa, sia rifiutando di sottomettersi al Sommo Pontefice come Capo di tutta la Chiesa, sia rifiutando di comunicare con i membri della Chiesa stessa in quanto tali (XXXIX, 1).

905. Perché noverate la guerra fra i peccati opposti alla carità?

Perché la guerra, quando è ingiusta, è uno dei più grandi mali di cui si possa essere responsabili riguardo al prossimo.

906. Può essere mai permesso di fare la guerra?

Sì; può essere permesso fare la guerra quando si fa per una causa giusta, e senza commettere ingiustizie nel corso di essa (XL, 1)

907. Che cosa intendete per causa giusta?

Intendo la dura necessità di far rispettare anche con la forza e con le armi i diritti essenziali alle relazioni degli uomini tra loro quando questi diritti sono stati violati da una nazione straniera che rifiuta di ripararli (XL, 1)

908. Soltanto allora è permesso di fare guerra?

Sì: unicamente allora è permesso di fare la guerra (XL, 1).

909. Quelli che combattono in una guerra giusta, e lo fanno senza commettere ingiustizie nel corso della guerra stessa, compiono un atto di virtù?

Sì; coloro che combattono nel corso di una guerra giusta e non vi commettono alcuna ingiustizia, compiono un grande atto di virtù. poiché si espongono ai più gravi pericoli per il bene degli uomini o per il bene di Dio, che essi difendono contro coloro che vi attentano.

910. Che cosa intendete per il peccato opposto alla pace, che voi chiamate rissa?

Per rissa intendo una specie di guerra privata fatta tra individui senza alcun mandato dell’autorità pubblica; ed a questo titolo è sempre di per sé una colpa grave in colui che ne è autore (XLI, 1).

911. Si può riferire a questo vizio l’atto speciale che si chiama duello?

Sì; con questa differenza che il duello procede più freddamente e meno sotto l’impeto della passione, circostanze che non fanno che accrescere la sua gravità.

912. Il duello, di per sé, è sempre essenzialmente cattivo?

Sì; il duello è sempre di per sé essenzialmente cattivo, perché fa mettere in rischio la propria vita e quella del prossimo, contrariamente alla volontà di Dio che ne è il solo padrone.

913. E la sedizione che cosa è, fra i vizi che si oppongono alla carità in ragione della pace?

La sedizione è un vizio per il quale le parti di uno stesso popolo cospirano o si sollevano in tumulto le une contro le altre, o contro la legittima autorità incaricata di provvedere al bene della collettività (XLII, 1).

914. La sedizione è un grande peccato?

Sì; la sedizione è sempre un grandissimo peccato, perché non essendovi nelle cose umane niente di più grande né di più eccellente dell’ordine pubblico, condizione indispensabile degli altri beni in questo stesso ordine, ne segue che il delitto della sedizione, insieme con quello della guerra ingiusta, ed in un certo senso forse più ancora di esso, è il più grande dei delitti contro il bene degli uomini (XLII, 2).

915. Vi è qualche vizio speciale che si oppone direttamente alla carità, in ragione del suo atto esterno della beneficenza?

Sì; questo vizio è lo scandalo (XLII).

916. Che cosa è dunque lo scandalo?

Lo scandalo sta nel dare ad alcuno, occasione di peccato, con ciò che si fa o si dice; oppure nel prendere occasione di peccare da ciò che è detto o fatto da altri. Nel primo caso si scandalizza; nel secondo si è scandalizzati (XLIII, i).

917. Non vi sono che le anime deboli che si scandalizzano?

Sì; non vi sono che le anime deboli non ancora consolidate nel bene che si scandalizzano, nel senso proprio della parola; benché sia di ogni anima delicata il restare penosamente impressionata, quando vede farsi un atto qualsiasi cattivo (XLIII, 5).

918. I giusti e le anime virtuose sono incapaci di scandalizzare?

Sì; i giusti e le anime virtuose sono incapaci di scandalizzare, perché prima di tutto non fanno niente di male che possa veramente scandalizzare; e poi se altri si scandalizza di ciò che esse fanno, è per causa della sua propria malizia, non operando esse che come devono operare (XLIII, 6).

919. Vi può essere qualche volta, per le anime giuste e virtuose, l’obbligo di omettere certe cose per non scandalizzare i pusillanimi?

Sì; qualche volta può esservi obbligo per le anime giuste e virtuose di omettere certe cose per non scandalizzare i pusillanimi, purché non si tratti affatto di cose necessarie alla salute (XLII, 7).

920. Si è mai tenuti a tralasciare un bene qualunque per evitare lo scandalo dei cattivi?

No; non si è mai tenuti a tralasciare un bene qualunque per evitare lo scandalo dei cattivi (XLIII, 7-8).

Capo XI.

Precetti relativi alla carità.

921. Vi è qualche precetto nella legge di Dio che riguardi la virtù della carità?

Sì: vi è un precetto nella legge di Dio che riguarda la carità (XLIV, 1).

922. Qual è questo precetto?

Questo precetto è il seguente: Tu amerai il tuo Dio con tutto il tuo cuore, e con tutta la tua mente, e con tutta l’anima tua, e con tutte le tue forze (XLIV, 4).

923. Che cosa vogliono dire precisamente queste parole?

Vogliono dire che nelle nostre azioni, ogni nostra intenzione deve rivolgersi a Dio; che tutti i nostri pensieri devono essere a Lui sottomessi; che tutte le nostre affezioni sensibili devono essere regolate secondo Dio; e che tutti i nostri atti esterni devono essere il compimento della sua volontà (XLIV, 4, 5).

924. Questo precetto della carità è un precetto grave?

Questo precetto è il più grave di tutti i precetti, in quanto ché comprende virtualmente tutti gli altri ed a questo tutti gli altri sono ordinati (XLIII, 1-3).

925. Questo precetto è unico e semplice, oppure ne comprende diversi anche come precetto diretto della carità?

Questo precetto è insieme unico e molteplice anche come precetto della carità; e ci vuol dire che bene inteso basterebbe da se stesso nell’ordine della carità, perché non si può amar Dio senza amare il prossimo che noi dobbiamo amare in ordine a Dio stesso; ma perché sia da tutti compreso, al primo precetto è aggiunto il secondo che forma una cosa sola col primo: Tu amerai il tuo prossimo come te stesso (XLI\

926. Questi precetti della carità sono compresi nel numero dei precetti del Decalogo?

No; questi precetti della carità non sono compresi nel numero dei precetti del Decalogo. Li precedono e li dominano, perché i precetti del Decalogo non sono che per assicurare il compimento dei precetti della carità (XLIV, 1 ad 3).

927. Questi precetti sono manifesti di per se stessi nell’ordine soprannaturale, senza bisogno di promulgarli?

Sì; questi precetti sono manifesti per se stessi nell’ordine soprannaturale senza bisogno di promulgarli; perché come è legge di natura innata in tutti i cuori che nell’ordine naturale Dio debba essere amato sopra ogni cosa e tutto il resto in ordine a Uni, così è legge essenziale nell’ordine soprannaturale che Dio, principio di tutto in questo ordine, sia amato di un amore soprannaturale sopra ogni cosa, e tutto il resto sia amato per amor Suo.

928. Dunque è un andare contro ciò che vi è di più essenziale nell’ordine delle affezioni, non amando Dio sopra ogni cosa ed il prossimo nostro come noi stessi?

Sì; è un andare contro ciò che vi è di più essenziale nell’ordine delle affezioni, non amando Dio sopra ogni cosa ed il prossimo nostro come noi stessi.

Capo XII

Del dono della sapienza corrispondente alla carità. – Vizio opposto.

929. La virtù della carità ha un dono dello Spirito Santo che le corrisponde?

Sì; la virtù della carità ha un dono dello Spirito Santo che le corrisponde ed è il più perfetto di tutti, vale a dire il dono della sapienza (XLV).

930. Che cosa intendete per dono della sapienza?

Intendo quel dono dello Spirito Santo per il quale l’uomo, sotto l’azione diretta dello Spirito Santo, giudica di tutte le cose con la propria mente, prendendo come regola e norma dei propri giudizi la più alta e sublime di tutte le cause che è la Sapienza stessa di Dio, quale si è degnata di manifestarsi a noi per mezzo della fede (XLV, 1).

931. Potreste dirmi in che cosa si distingue il dono della sapienza dalla virtù intellettuale dello stesso nome, ed ancora dai doni della intelligenza, della scienza, del consiglio, in quanto essi stessi si distinguono dalle virtù intellettuali che si chiamano intelligenza, scienza e prudenza?

Sì; ecco tutto in poche parole: da parte della mente, nell’ordine delle cose di fede, vi sono diversi atti essenzialmente distinti, ai quali corrispondono delle virtù e dei doni proporzionati ed ugualmente distinti tra loro. La fede tende essenzialmente all’atto di assentire alle affermazioni di Dio. Questo atto di assentimento che è l’atto principale nelle cose di fede, trae dietro a sé come atti secondari e complementari, e che perfezionano la mente nello stesso ordine delle cose di fede, gli atti di percepire e di giudicare. L’atto di percepire è unico come genere, e ad esso corrisponde sia la virtù intellettuale della intelligenza, sia in linea più alta di perfezione il dono della intelligenza. L’atto di giudicare è molteplice e sì divide in tre: in quanto ché giudica in generale in ordine alle ragioni divine od in ordine alle ragioni umane, ed in quanto ché fa applicazioni ai casi particolari. Nel primo caso gli corrisponde la virtù intellettuale che è la sapienza, e più alto il dono della sapienza; nel secondo caso, la virtù intellettuale che è la scienza, e più alto il dono della scienza; nel terzo caso, la virtù intellettuale che è la prudenza, e più alto il dono del consiglio.

932. Si potrebbe dare un nome generico a questa dottrina che avete esposta?

Sì; si potrebbe chiamare in qualche modo l’economia del nostro organismo psicologico soprannaturale nell’ordine delle cose di fede.

933. Questo insegnamento ha qualche cosa di particolarmente perfetto?

Sì; perché lo dobbiamo a S. Tommaso di Aquino; ed egli stesso ci avverte di non averlo appreso in tutta la sua armoniosa bellezza, se non in seguito riflessioni particolarmente attente e mature (VIII, 6).

934. Fra le virtù ed i doni che perfezionano la intelligenza nella cognizione della verità, quale occupa il primo posto in perfezione?

La virtù della fede dalla quale dipendono tutte le altre virtù e gli altri doni, e che ha per missione e per iscopo di assistere e di aiutare le altre virtù e gli altri doni nella cognizione della verità.

935. E dopo la virtù della fede che cosa vi è di più perfetto?

Dopo la virtù della fede vi è di più perfetto il dono della sapienza.

936. In che cosa consiste la perfezione del dono della sapienza, specialmente rispetto al dono della scienza?

Consiste in questo, che il dono della scienza ci fa giudicare divinamente delle cose, giudicandole secondo le loro proprie cause immediate e create; mentre il dono della sapienza ci fa giudicare divinamente di tutte le cose, giudicandole secondo la più alta di tutte le cause, dalla quale tutte le altre dipendono e che non dipende da nessuna.

937. Dunque al più alto grado di conoscenza cui si possa arrivare su questa terra, si arriva per mezzo del dono della sapienza?

Sì; per mezzo del dono della sapienza si arriva al più alto grado di conoscenza cui si possa arrivare su questa terra.

938. Questo dono sì elevato e sì bello ha un vizio che gli si oppone?

Sì; ed è precisamente il difetto di sapienza, che consiste nel portare il giudizio finale sopra una cosa, senza tenere in nessun conto, o disprezzando i sovrani consigli di Dio (XLVI).

939. Come si dovrà chiamare questo vizio?

Questo vizio non ha che un nome che gli convenga: quello di somma stoltezza e di somma follia (XLVI, 1).

940. È molto diffuso tra gli uomini?

Sì; perché praticamente è il vizio di tutti coloro che ordinano la loro vita al di fuori od in opposizione ad ogni considerazione delle cose divine.

941. Può esso convenire anche ad nomini del resto assai intelligenti nell’ordine delle cose umane?

Sì; può convenire ad uomini del resto assai intelligenti nell’ordine delle cose umane.

942. Vi è opposizione irriducibile tra la sapienza del mondo e la sapienza di Dio?

Sì: vi è opposizione irriducibile tra la sapienza del mondo e la sapienza di Dio, perché l’una di esse è follia agli occhi dell’altra.

943. In che cosa consiste tale irriducibile opposizione?

Consiste nel fatto che il mondo reputa sapienti coloro che ordinano la loro vita il meglio possibile per non mancare di nulla su questa terra, riponendo il loro ultimo fine nei beni del mondo con dispregio del Bene di Dio che ci è promesso in un’altra vita; mentre la sapienza dei figliuoli di Dio consiste nel subordinare tutto, nelle cose della vita presente, al futuro possedimento di Dio nel Cielo.

944. Questi due modi di vivere sono necessariamente distinti in tutto e per tutto?

Sì; questi due modi di vivere sono necessariamente distinti in tutto e per tutto, perché l’ultimo fine di ciascuno di essi è assolutamente diverso; e nella vita è l’ultimo fine che domina tutto.

945. Dunque l’uomo tende al suo vero ultimo fine e vi si può orientare come si conviene in tutti gli atti della sua vita, per mezzo della sola pratica e col mettere in opera le virtù teologali della fede, speranza e carità, e dei doni che loro corrispondono?

Sì; con la sola pratica e col mettere in opera le virtù teologali della fede, speranza e carità, e dei doni che loro corrispondono, l’uomo tende al suo vero ultimo fine, e vi si può orientare come si conviene in tutti gli atti della sua vita.

LA SUMMA PER TUTTI (11)

LA SUMMA PER TUTTI (9)

LA SUMMA PER TUTTI (9)

R. P. TOMMASO PÈGUES

LA SOMMA TEOLOGICA Di S. TOMMASO DI AQUINO IN FORMA DI CATECHISMO PER TUTTI I FEDELI

PARTE SECONDA

SEZIONE SECONDA

Idea particolareggiata del ritorno dell’uomo verso Dio.

Capo I.

Degli atti buoni o cattivi considerati nei particolari della loro specie, e secondo le condizioni del loro stato ordinario fra gli uomini. – Le virtù teologali.

691. Quali sono le più importanti di tutte le virtù, delle quali interessa sommamente produrre gli atti?

Sono le virtù teologali.

692. Perché dite che queste virtù sono le più importanti, e che interessa sommamente produrne gli atti?

Perché esse fanno sì che l’uomo raggiunga il suo ultimo fine soprannaturale, in quanto può e deve raggiungerlo su questa terra, per rendere meritoria tutta la sua vita e conseguire un giorno nel cielo questo stesso ultimo fine che deve formare la sua eterna felicità.

693. È dunque impossibile che l’uomo faccia alcunché di buono soprannaturalmente senza le virtù teologali?

Sì: è affatto impossibile che l’uomo faccia alcunchè di buono soprannaturalmente senza le virtù teologali.

694. Quali sono le virtù teologali?

Le virtù teologali sono: la fede, la speranza e la carità.

Capo II.

La fede: sua natura; le condizioni del suo atto; il Credo: la formula dell’atto di fede. – I peccati che le sono opposti: l’infedeltà, l’eresia, l’apostasia, la bestemmia.

695. Che cosa è la fede.

La fede è una virtù soprannaturale per la quale il nostro intelletto aderisce fermissimamente e, senza timore di errare, benché non lo comprenda, a ciò che Dio ci ha rivelato specialmente di Se stesso e della sua volontà di darsi un giorno a noi come oggetto della nostra perfetta felicità (I, II, IV).

696. Come può il nostro intelletto aderire fermamente e senza timore di ingannarsi a ciò che Dio ha rivelato e che esso non comprende?

Basandosi sulla autorità di Dio che non può ingannarsi né ingannare (I, 1).

697. E perché Dio non può ingannarsi né ingannare?

Perché Egli è la stessa Verità (I, 1; IV, 8).

698. Ma come sappiamo noi che Dio ci ha rivelato ciò che voi dite?

Lo sappiamo per mezzo di coloro a cui lo ha rivelato, e per mezzo di coloro cui ha confidato il deposito della sua rivelazione (I, art. 6-10).

699. Chi sono coloro a cui Dio lo ha rivelato?

Anzitutto è il primo uomo stesso a cui Dio si è manifestato direttamente; sono poi tutti i Profeti dell’Antico Testamento, e finalmente gli Apostoli al tempo di Gesù Cristo (I, 7).

700. Come sappiamo che Dio si è rivelato al primo uomo, ai Profeti ed agli Apostoli?

Lo sappiamo per mezzo della storia che ce lo narra, dicendoci anche i prodigi ed i miracoli operati da Dio per convincere gli uomini del suo intervento soprannaturale.

701. Il miracolo prova in modo assoluto che Dio è intervenuto?

Sì; perché esso è il contrassegno stesso di Dio, non potendo alcuna creatura compierlo per sua propria virtù.

702. Dove si trova la storia di questi interventi soprannaturali di Dio e della Sua rivelazione?

Questa storia si trova soprattutto nella Santa Scrittura, detta anche Bibbia.

703. Che cosa intendete per Sacra Scrittura o Bibbia?

Intendo un insieme di libri divisi in due collezioni, che si chiamano Antico e Nuovo Testamento.

704. Questi libri rassomigliano a tutti gli altri libri?

No; questi libri non rassomigliano a tutti gli altri libri; perché gli altri libri sono scritti da uomini, mentre questi sono stati scritti da Dio stesso.

705. Che cosa volete dire dicendo che questi libri sono stati scritti da Dio stesso?

Voglio dire che Dio ne è l’autore principale, e per iscriverli si è servito di uomini scelti da Lui come di altrettanti strumenti.

706. Dunque tutto quello che si contiene in tali libri vi è stato messo da Dio?

Sì: tutto ciò che si contiene in tali libri vi è stato messo da Dio, parlando del primo esemplare autografo scritto dagli scrittori sacri; perché gli altri non sono divini se non in quanto sono conformi al primo.

707. Quando dunque noi leggiamo questi libri, è come se intendessimo parlarci Dio stesso?

Sì; quando leggiamo questi libri è come se intendessimo Dio stesso che ci parla.

708. Ma non possiamo ingannarci sul senso della parola di Dio?

Sì; noi possiamo ingannarci sul senso della parola di Dio; perché se vi sono dei tratti di per se stessi chiarissimi, ve ne sono anche degli oscuri.

709. Donde nasce questa oscurità della parola di Dio nella Santa Scrittura, ossia nella Bibbia?

Questa oscurità talvolta deriva dai misteri stessi che la Bibbia contiene; poiché in ciò che essa ha di più essenziale, si tratta di verità che Dio solo conosce per Se stesso e che superano ogni intelligenza creata; deriva inoltre dall’antichità di tali libri, scritti primieramente per dei popoli che non avevano Né la nostra lingua, né le nostre abitudini di vita: deriva finalmente dagli errori che si sono potuti inserire sia nelle copie della lingua originale sia nelle traduzioni che ne sono state fatte, e nelle copie delle traduzioni stesse.

710. Vi è qualcuno che sia garantito di non errare circa il senso della parola di Dio nella Santa Scrittura, e circa il deposito dove essa si trova?

Sì: vi è il Sommo Pontefice e per mezzo di Lui la Chiesa Cattolica nel suo insegnamento universale (I, 10).

711. Perché dite che il Sommo Pontefice e per mezzo di Lui la Chiesa Cattolica nel suo insegnamento universale non possono errare circa il senso della parola di Dio nella Santa Scrittura, e circa il deposito dove essa si è conservata?

Perché Dio stesso ha voluto che fossero infallibili.

712. E perché Dio ha voluto che fossero infallibili?

Perché senza di questo gli uomini non avrebbero avuto i mezzi necessari per raggiungere sicuramente il fine soprannaturale a cui Egli li chiama (I, 10).

713. Si vuole alludere a questo quando si dice che il Papa e la Chiesa sono infallibili nelle questioni riguardanti la fede ed i costumi?

Sì; è proprio questo il senso di tali espressioni; e si intende dire che il Papa e la Chiesa non possono mai ingannarsi né ingannare quando insegnano oppure interpretano agli uomini la parola di Dio, in ciò che si riferisce alle verità essenziali riguardanti le cose che bisogna credere o fare, per conseguire un giorno ciò che deve formare la nostra perfetta felicità.

714. Esiste un ristretto delle verità essenziali riguardanti ciò che bisogna credere, e che sono il fondamento di ciò che bisogna operare per conseguire un giorno la nostra perfetta felicità?

Sì; è il Simbolo degli Apostoli, ossia il «Credo» (I, 6).

715. Potreste dirmi il Simbolo degli Apostoli ossia il «Credo»?

Eccolo quale lo recita ogni giorno la Chiesa Cattolica:

Io credo in Dio Padre onnipotente, Creatore del cielo e della terra; e in Gesù Cristo, suo unico Figliuolo, Nostro Signore; il quale fu concepito di Spirito Santo, nacque da Maria Vergine, patì sotto Ponzio Pilato, fu crocifisso, morto e seppellito, discese all’inferno, il terzo giorno risuscitò da morte, salì al cielo, siede alla destra di Dio Padre onnipotente, di là ha da venire a giudicare i vivi e i morti. Credo nello Spirito Santo, la santa Chiesa cattolica, la comunione dei Santi, la remissione dei peccati, la risurrezione della carne, la vita eterna. Così sia.

716. La recita del Simbolo degli Apostoli, ossia del «Credo», è l’atto di fede per eccellenza?

Sì; la recita del Simbolo degli Apostoli ossia del «Credo», è l’atto di fede per eccellenza; e non sapremmo raccomandarlo mai troppo a tutti i fedeli come pratica quotidiana.

717. Potreste darmi ancora una formola del- L’atto di fede, breve e precisa, che sia essa pure eccellentemente l’atto della virtù soprannaturale della fede, la prima delle virtù teologali?

Sì: ed eccola sotto forma di omaggio a Dio: Mio Dio, credo fermamente quanto Voi, infallibile Verità, avete rivelato e la santa Chiesa ci propone a credere. Ed espressamente credo in Voi, unico vero Dio in tre Persone uguali e distinte, Padre, Figliuolo e Spirito Santo; e nel Figliuolo incarnato e morto per noi, Gesù Cristo, il quale darà a ciascuno, secondo i meriti, il premio o la pena eterna. Conforme e questa Fede, voglio sempre vivere. — Signore, accrescete la mia fede.

718. Chi sono coloro che possono fare questo atto di fede?

Soltanto coloro che hanno la virtù soprannaturale della fede (IV, V).

719. Dunque gli infedeli non possono fare questo atto di fede?

Gli infedeli non possono fare questo atto di fede; perché essi non credono a ciò che Dio ha rivelato in ordine alla loro felicità soprannaturale: sia che lo ignorino e non si abbandonino confidenti all’azione di Dio che può e vuole dar loro il bene secondo che a Lui piace: sia che avendolo conosciuto, abbiano poi rifiutato di prestarvi il consentimento del proprio intelletto (X).

720. E gli empi possono fare questo atto di fede?

No; gli empi non possono fare questo atto di fede; perché malgrado ritengano per certo ciò che Dio ha rivelato in forza dell’autorità di Dio stesso che non può ingannarsi né ingannare, l’adesione della loro mente non è effetto di simpatia soprannaturale verso la parola di Dio che al contrario detestano, quantunque non possano non ammetterla (V, 2 ad 2).

721. Si danno degli uomini che possono credere in questo modo, senza fare pertanto l’atto di fede della virtù soprannaturale?

Sì; ed essi non fanno altro che imitare in ciò i demoni (V, 2).

722. Gli eretici possono fare l’atto di fede della virtù soprannaturale?

No; gli eretici non possono fare l’atto di fede della virtù soprannaturale; perché anche se aderiscono con il loro intelletto a questo od a quel punto della dottrina rivelata, non vi aderiscono affatto sulla parola di Dio, ma sul loro proprio giudizio (V, 3).

723. Gli eretici, riguardo all’atto di fede, sono in errore ancora più degli empi e dei demoni?

Sì; perché la parola di Dio e la sua autorità non sono il motivo dell’adesione del loro intelletto.

724. Gli apostati possono fare l’atto di fede?

No; gli apostati non possono fare l’atto di fede; perché il loro intelletto ha completamente rinnegato ciò che prima avevano creduto sulla parola di Dio (XI).

725. I peccatori possono fare l’atto di fede, anche come atto della virtù soprannaturale?

Sì; i peccatori possono fare l’atto di fede anche come atto della virtù soprannaturale, quando hanno di fatto questa virtù; e possono averla, sebbene in uno stato imperfetto, quando non hanno la carità, ossia sono in istato di peccato mortale (IV, 1-4).

726. Dunque non ogni peccato mortale è un peccato contro la fede?

No; ogni peccato mortale non è un peccato contro la fede (X, 1, 4).

727. In che consiste precisamente il peccato contro la fede?

Il peccato contro la fede consiste nel non volere sottomettere il proprio intelletto alla parola di Dio per rispetto e simpatia verso questa parola (X, 1-3).

728. È sempre colpa dell’uomo se questi non sottomette il proprio intelletto alla parola di Dio, per rispetto e simpatia verso questa parola?

Sì: è sempre colpa dell’uomo, ed è perché resiste alla grazia attuale di Dio che lo invita a fare questo atto di sottomissione (VI, 1, 2).

729. Tutti gli uomini che vivono sulla terra hanno sempre questa grazia attuale?

Sì; tutti gli uomini che vivono sulla terra hanno sempre questa grazia attuale, benché in diversi gradi ed in quanto a Dio piace di distribuirla nei disegni della sua Provvidenza.

730. È una grazia grande di Dio di avere la virtù della fede soprannaturale?

Sì; quella di avere la virtù della fede soprannaturale è in certa maniera la più grande grazia di Dio.

731. Perché dite che l’avere la fede soprannaturale è la più grande grazia di Dio?

Perché senza la fede soprannaturale non possiamo assolutamente nulla in ordine alla nostra salvezza, e si è interamente perduti per il cielo, salvo che non la si riceva da Dio prima di morire (II, 5-8; IV, 7).

732. Quando dunque si ha il bene di possederla, sarebbe una colpa grave l’esporsi a perderla con delle pratiche, conversazioni o letture di natura tale da apportarvi danno?

Sì: sarebbe colpa gravissima se si facesse scientemente; ed è sempre cosa deplorevolissima correre un simile pericolo, anche se sulle prime non vi fosse propria colpa.

733. Importa dunque sommamente scegliere bene le proprie pratiche e le proprie letture, per non esporsi, ma al contrario per conservare e sviluppare in sè il gran bene della fede?

Sì; ciò importa sommamente, soprattutto oggigiorno che nel mondo, con la libertà sfrenata della stampa, si possono incontrare tante occasioni che sono un pericolo per la fede.

734. Vi è ancora un altro peccato contro la fede?

Sì: è il peccato della bestemmia (XII).

735. Perché dite che la bestemmia è un peccato contro la fede?

Perché va direttamente contro l’atto esterno della fede che è la confessione della fede stessa con le nostre parole: ogni bestemmia infatti consiste nel profferire qualche parola ingiuriosa contro Dio o contro i suoi Santi (XIII, 1).

736. La bestemmia è un gran peccato?

La bestemmia è sempre di per sé un grandissimo peccato (XIII, 2-3).

737. L’abitudine di profferire bestemmie scusa, o almeno diminuisce, la loro gravità, quando vengono profferite?

Al contrario tale abitudine piuttosto le aggrava, perché invece di impegnarsi a correggersene, si è lasciato che questo male sì grave si radicasse tanto profondamente (XIII, 2 ad 3).

Capo III

Dei doni dello Spirito Santo corrispondenti alla fede: la intelligenza e la scienza. – Vizi opposti: la ignoranza, l’accecamento dello spirito e l’istupidimento del senso.

738. La virtù della fede, in coloro nei quali si trova, basta per far loro apprendere come debbono sulla terra, la verità di Dio?

Sì: essa basta, ma in quanto possiede alcuni doni dello Spirito Santo che le sono di aiuto (VIII, 2),

739. Quali sono i doni dello Spirito Santo destinati ad aiutare la virtù della fede?

Sono l’intelligenza e la scienza (VIII, IX).

740. Come aiuta il dono della intelligenza, la virtù della fede nella conoscenza della verità di Dio?

Il dono della intelligenza aiuta la virtù della fede nella conoscenza della verità di Dio, facendo sì che il nostro intelletto, sotto l’azione diretta dello Spirito Santo, penetri il senso dei termini delle affermazioni divine e di tutte le proposizioni che ad esse si possono riferire, in modo da potere pienamente intendere tali proposizioni e tali affermazioni, se esse non superano la capacità della nostra intelligenza; e se si tratta degli stessi misteri, in modo da conservarli integri, malgrado tutte le difficoltà che questi misteri possano sollevare (VIII, 2).

741. Il dono della intelligenza è dunque per eccellenza il dono della luce?

Sì; il dono della intelligenza è per eccellenza il dono della luce; e tuttociò che noi abbiamo di chiarezza e di gaudio intellettuale nell’ordine della verità soprannaturale, la cui chiara visione formerà in cielo la nostra felicità, lo dobbiamo su questa terra, come a prima origine, e questo dono della intelligenza che fa fruttificare in noi, nel nostro spirito, i germi delle infinite verità che sono le affermazioni divine, oggetto proprio e diretto della virtù della fede (VIII, 2).

742. Il dono della intelligenza aiuta anche in ordine al bene da operare?

Sì: il dono della intelligenza aiuta sommamente in ordine al bene da operare, perché il suo scopo o suo effetto è di illuminare la mente umana sulle ragioni di bontà soprannaturale in ordine al vero fine soprannaturale dell’uomo, che è la visione di Dio (ragioni contenute nella verità rivelata che riceviamo da Dio per mezzo della fede), affinché la volontà dell’uomo divinizzata dalla carità possa dirigervisi come si conviene (VII, 3, 4, 5).

743. Potreste dirmi come ed in che cosa il dono della intelligenza, che è una perfezione soprannaturale della nostra mente, si distingue dalla fede e dagli altri doni che sono pure perfezioni soprannaturali della mente stessa come il dono della sapienza, della scienza e del consiglio?

Sì: ecco tutto in poche parole: La fede pone davanti alla mente dell’uomo, sotto forma di proposizioni enunciate in nome di Dio, delle verità di cui le principali la sorpassano. Queste verità ora riguardano Dio stesso, ora le creature, ora l’azione dell’uomo. Se l’uomo per mezzo della fede può assentire come conviene a tali verità, però non ne può vivere con la intelligenza secondo che conviene al conseguimento del bene che sono per lui queste verità, se non a condizione di penetrarne i termini, in quanto essi sono i principi o gli elementi del triplice giudizio che può dover fare intorno ad essi in questo stesso ordine. Il dono della intelligenza ha per proprio oggetto siffatta penetrazione dei termini delle proposizioni enunciate in nome di Dio. In quanto al triplice giudizio, questo viene emesso in modo perfetto per mezzo della sapienza, in ciò che appartiene alle cose di Dio; per mezzo della scienza in ciò che appartiene alle creature, e per mezzo del consiglio in ciò che appartiene all’azione dell’uomo (VIII, 6).

744. Potreste mostrarmi dopo questo la importanza e l’ufficio del dono della scienza, che è il secondo dono che più specialmente si riferisce alla virtù della fede?

Sì; ed ecco tutto ugualmente in poche parole: In virtù del dono della scienza il fedele in istato di grazia, sotto l’azione diretta dello Spirito Santo, giudica con certezza assoluta ed infallibile verità, non già seguendo il processo naturale del ragionamento ma come per istinto ed in modo intuitivo, il vero carattere delle cose create nel loro rapporto con le cose della fede, in quanto debbono essere credute o debbono regolare la nostra condotta, scorgendo immediatamente ciò che nelle creature è in armonia con la prima Verità, oggetto della fede e fine ultimo dei nostri atti, e quello che non lo è (IX, 1-3).

745. Questo dono è oggigiorno di una importanza tutta speciale per i fedeli?

Sì; perché costituisce il rimedio per eccellenza ad uno dei più grandi mali che hanno funestato la umanità specialmente dopo il Rinascimento.

746. Qual è il male di cui parlate?

È che da allora in poi ha prevalso, anche presso gli uomini che formavano in altri tempi la società cristiana, il regno della falsa scienza, che non ha più compreso il vero rapporto delle creature con Dio, prima Verità e fine ultimo dell’uomo; ma nell’ordine speculativo ha fatto dello studio delle creature un perpetuo ostacolo alla verità della fede, e nell’ordine pratico ha suscitato il rifiorimento della antica corruzione pagana, tanto più pernicioso perché susseguente ad una fioritura più soprannaturale delle virtù praticate dai Santi.

747. È questa una delle principali cause del male che regna nel mondo ed affligge la società moderna?

Sì; questa è una delle principali cause del male che regna nel mondo ed affligge la società moderna.

748. Dunque uno dei più grandi rimedi contro il male della società moderna empia e separata da Dio, consiste nella virtù della fede e nei doni della intelligenza e della scienza che la accompagnano, quando i fedeli posseggono la grazia?

Sì; nella virtù della fede e nei doni della intelligenza e della scienza che l’accompagnano quando i fedeli posseggono la grazia, consiste uno dei più potenti rimedi contro il male della società moderna empia e separata da Dio.

749. Quali sono i vizi opposti ai meravigliosi doni dello Spirito Santo, della intelligenza e della scienza?

Sono la ignoranza che si oppone alla scienza, e la cecità della mente con l’istupidimento del senso, che si oppongono alla intelligenza (XV, 1, 2).

750. Donde provengono questi diversi vizi, specialmente gli ultimi due?

Provengono specialmente. dai peccati carnali che soffocano la vita dello spirito (XV, 3).

Capo IV.

Dei precetti relativi alla fede. – Dell’insegnamento catechistico e della Somma di S. Tommaso d’Aquino.

751. Nella legge di Dio vi sono dei precetti relativi alla fede?

Sì; nella legge di Dio, particolarmente nella legge nuova, vi sono alcuni precetti relativi alla fede (XVI, 1, 2).

752. Perché dite « particolarmente » nella legge nuova?

Perché nella legge antica non esistevano precetti che riguardassero i particolari delle cose da credersi, non essendo state ancora tali cose particolareggiate da Dio, in modo da dover essere imposte alla fede di tutto il popolo (XVI, 1).

753. E perché queste cose da credersi che ora sono date nei particolari almeno dei due principali misteri della Trinità e della Incarnazione, in modo da dover imporsi alla fede a tutti gli uomini, non lo erano nell’Antico Testamento?

Perché nell’Antico Testamento il mistero di Gesù Cristo non esisteva ancora che allo stato di promessa o di figura; e doveva essere riservato a Gesù Cristo stesso, al tempo della Sua comparsa, di rivelare agli uomini in tutta la loro pienezza i due misteri essenziali della Trinità e della Incarnazione.

754. Che cosa dunque erano tenuti a credere gli uomini dell’antica legge?

Circa questi due misteri non vi era niente che fossero tenuti a credere esplicitamente; ma in modo implicito li credevano credendo alla perfezione divina ed alle promesse di salute che Dio aveva loro fatto e non cessava di rinnovare (XVI, 1).

755. Bastava questo perché essi potessero fare l’atto di fede della virtù teologale?

Sì; questo bastava perché essi potessero fare l’atto di fede della virtù teologale.

756. La nostra condizione oggigiorno è preferibile a quella degli nomini dell’antica legge, dal punto di vista della fede?

La nostra condizione oggigiorno è senza paragone preferibile a quella degli uomini dell’antica legge, dal punto di vista della fede.

757. In che cosa consiste questa superiorità?

Consiste in questo, che i misteri, la chiara visione dei quali formerà nel cielo la nostra perfetta felicità, ci sono ora manifestati direttamente ed in se stessi, benché in modo ancora velato ed oscuro; mentre nell’antica legge non si conoscevano che implicitamente ed in modo vago e figurato.

758. Vi è un dovere speciale per noi della legge nuova, di vivere col pensiero di questi grandi misteri, e di applicare per intenderli sempre meglio, col mettere in opera i doni della scienza e della intelligenza?

Sì; questo speciale dovere esiste per tutti i fedeli della legge nuova; ed appunto per aiutarci a comprenderli meglio, la Chiesa si dedica con tanta cura ad istruire i fedeli nelle cose della fede.

759. Quale è la forma alla portata di tutti, usata più specialmente dalla Chiesa per questo insegnamento?

È la forma del catechismo.

760. Esiste dunque per tutti i fedeli un vero dovere di conoscere l’insegnamento catechistico e di applicarvisi per quanto è in loro potere?

Sì; è questo uno stretto dovere per tutti i fedeli.

761. L’insegnamento del catechismo si presenta con un valore ed una autorità speciale?

Sì; tale insegnamento del catechismo è quasi la riduzione alla portata comune di ciò che vi è di più sublime e di più luminoso nell’ordine delle più alte verità, che sono come il pane delle nostre intelligenze.

762. Chi è l’autore di questo insegnamento?

È la Chiesa stessa nella persona dei suoi più grandi geni e dei più grandi Dottori.

763. Si può dire che questo insegnamento derivi da ciò che è il frutto per eccellenza dei doni della scienza e della intelligenza nella Chiesa di Dio?

Sì; questo insegnamento deriva da ciò che è il frutto per eccellenza dei doni della scienza e della intelligenza nella Chiesa di Dio: non essendo che la riproduzione a vari gradi del più meraviglioso di questi frutti, che è la «Somma Teologica» di S. Tommaso d’Aquino.

764. La «Somma Teologica» di S. Tommaso di Aquino gode di una autorità speciale nella Chiesa di Dio?

Sì; e la Chiesa ordina che tutti quelli che insegnano in suo nome, si ispirino ad essa nel loro insegnamento (Codice, can. 589, 1366).

765. Non vi è dunque nulla di più eccellente che vivere di tale insegnamento?

Non vi è nulla di più eccellente che vivere di tale insegnamento, perché si è sicuri

allora di vivere nella piena luce della ragione e della fede.

Capo V.

La speranza: sua natura. – Vizi opposti: la presunzione, la disperazione. – Formula dell’atto di speranza. – Quelli che possono fare tale atto.

766. Quale è la seconda virtù teologale?

La seconda virtù teologale è la virtù della speranza.

167. Che cosa è la virtù della speranza?

La virtù della speranza è quella per la quale la nostra volontà, poggiata sull’azione di Dio stesso che viene in nostro soccorso, si dirige verso Dio quale la fede ce lo rivela, come verso ciò che può e deve essere un giorno la nostra perfetta felicità (XVII, 1, 2).

768. La virtù della speranza è possibile senza la fede?

La virtù della speranza è assolutamente impossibile senza la fede che necessariamente presuppone (XVII, 7).

769. Perché dite che la virtù della speranza è impossibile senza la fede, e che essa la presuppone necessariamente?

Perché è la fede sola che dà alla speranza il suo oggetto ed il motivo sul quale appoggiarsi (XVII, 7).

770. Qual è questo oggetto della speranza?

Primieramente e soprattutto è Dio, in quanto è oggetto a Se stesso della propria felicità, e si degna di volersi un giorno comunicare anche a noi nel cielo, per renderci felici della sua medesima felicità (XVI, 1, 2).

771. Può esservi ancora qualche cosa fuori di Dio così considerato, che possa essere oggetto della virtù della speranza?

Sì; qualunque bene vero può essere oggetto della virtù della speranza; purché però

rimanga subordinato all’oggetto primo e principale che è Dio in Se stesso (XVII, 2 ad 2).

772. Qual è il motivo sul quale si appoggia la speranza?

Il motivo sul quale si appoggia la speranza non è altro che Dio stesso, che viene in nostro soccorso da Sé o per mezzo delle sue creature, per metterci in grado di possederlo un giorno nel cielo a titolo di ricompensa (XVII, 2).

773. La speranza implica dunque necessariamente, nel motivo sul quale si appoggia, le nostre azioni virtuose e meritorie, fatte da noi sotto l’azione di Dio che ci aiuta a guadagnare Lui stesso quale vuol darsi a noi nel cielo?

Sì; la speranza implica necessariamente, nel motivo sul quale si appoggia, le nostre azioni virtuose e meritorie, fatte da noi sotto l’azione di Dio che ci aiuta con la sua grazia a guadagnare Lui stesso quale vuol darsi a noi nel cielo.

774. Sarebbe un peccato contro la speranza il far conto di possedere un giorno Iddio, e tenere a noi possibile il conseguirlo, senza darsi premura di prepararvisi con una vita soprannaturalmente virtuosa?

Sì; sarebbe un peccato contro la speranza.

775. Come si chiama questo peccato?

Si chiama presunzione (XXI).

776. È il solo peccato che si possa commettere contro la speranza?

No; ve ne è ancora un altro che si chiama disperazione (XX).

777. In che cosa consiste il peccato di disperazione?

Consiste in questo, che a cagione del bene sì alto che è Dio che deve essere posseduto quale è in Sé, oppure a cagione delle difficoltà constatate intorno a noi o dentro di noi per la pratica di una vita soprannaturalmente virtuosa, si fa a Dio la ingiuria di pensare che noi non arriveremo mai a praticare questa vita ed a conquistare questa felicità; e vi si rinunzia astenendosi ormai da chiamare Dio in aiuto e di contare su Lui, come se Egli non fosse più per concedere tale soccorso, sebbene d’altra parte potesse farlo (XX, 1, 2).

778. Il peccato di disperazione è un peccato particolarmente grave?

Questo peccato in un certo senso è il più grave di tutti; perché di per sé rende impossibile ogni sforzo verso il bene soprannaturale, e fa sì che il peccatore si danni in qualche modo da se stesso (XX, 3).

779. Dunque l’uomo non ha mai il diritto di disperare, per quanto grandi possano essere le sue miserie e la sua debolezza morale?

No; l’uomo non ha mai il diritto di disperare; perché la misericordia di Dio e la sua potenza superano infinitamente le sue miserie e la sua debolezza, per quanto grandi possano essere.

780. Che cosa, dunque, bisogna che faccia l’uomo quando nota le sue miserie o la sua debolezza, e si sente come aggravato sotto il loro peso?

Deve corrispondere prontamente alla azione della grazia che lo invita a rivolgersi a Dio, con la ferma speranza che Dio avrà pietà di lui, lo aiuterà a rialzarsi e gli darà la forza di vivere una vera vita soprannaturale, per meritare di possederlo un giorno nel cielo.

781. Potreste darmi una formula dell’atto di speranza, come atto della virtù teologale chiamata con questo nome?

Sì; ed eccola sotto forma di omaggio a Dio: Mio Dio, spero dalla bontà vostra, per le vostre promesse e per i meriti di Gesù Cristo nostro Salvatore, la vita eterna e le grazie necessarie per meritarla con le buone opere, che io debbo e voglio fare. — Signore, che io non resti confuso in eterno.

782. Questa formula dell’atto di speranza può essere anche abbreviata?

Sì, eccola sotto questa forma: Mio Dio, io spero in Voi con una santa ed invincibile speranza.

783. Chi sono coloro che possono fare questo atto di speranza?

Tutti i fedeli che sono ancora sulla terra possono fare questo atto di speranza.

184. I beati del cielo non hanno più la virtù della speranza?

I beati del cielo non hanno più la virtù della speranza; perché essi posseggono ormai

la felicità di Dio che ancora manca a tutti quelli che la sperano (XVIII, 2).

785. Ed i dannati nell’inferno non hanno più niente della virtù della speranza?

No; i dannati nell’inferno non hanno più niente della virtù della speranza; perché la felicità di Dio, oggetto principale di questa, virtù, è eternamente impossibile per loro (XVII, 2).

786. Le anime del purgatorio hanno la virtù della speranza?

Sì; le anime del purgatorio hanno la virtù della Speranza; ma l’atto di questa virtù non è più interamente il medesimo di quello lei fedeli che vivono sulla terra. Se infatti esse attendono ancora la felicità di Dio che non posseggono, non hanno più da contare sull’aiuto di Dio per meritarla, non potendo più ormai meritare; e non dubitano più di perderla, essendo ormai per esse impossibile ogni peccato (XVII, 3).

Capo VI.

Del dono del timore corrispondente alla virtù della speranza. – Timore servile. -Timore filiale,

187. Dunque soltanto per coloro che vivono sulla terra, la virtù della speranza deve avere per effetto di armare la volontà contro ciò che sarebbe un eccesso, nel timore di non giungere un giorno a possedere Dio?

Sì; soltanto per coloro che vivono sulla terra la virtù della Speranza deve avere per effetto di armare la volontà contro ciò che sarebbe un eccesso, nel timore di non giungere un giorno a possedere Dio (XVII, 4).

788. Vi è un timore sempre essenzialmente buono, che si riferisce alla virtù della speranza.?

Sì; vi è un timore sempre essenzialmente buono, che si riferisce alla virtù della speranza.

789. Come si chiama questo timore sempre essenzialmente buono. che si riferisce alla virtù della speranza?

È il timore di Dio chiamato timore filiale (XIX, 1-2),

190. Che cosa intendete per timore di Dio chiamato timore filiale?

È il timore per il quale si ha un santo rispetto della presenza di Dio in ragione della sua perfezione e della sua bontà di maestà infinita; e niente si teme tanto, quanto di dispiacergli o di esporsi a perderlo, con ciò che ci impedirebbe di possederlo eternamente nel cielo (XIX, 2).

791. Vi è un altro timore di Dio distinto dal timore filiale?

Sì; si chiama timore servile (XIX, 2).

792. Che cosa si vuole significare con queste parole: «timore servile»?

Con questo si designa un sentimento di ordine inferiore, proprio dei servi, per cui si teme il padrone a causa delle pene o dei castighi che è in grado di infliggere (XIX, 2).

793. Il timore delle pene o dei castighi che Dio può infliggere, ha sempre natura di timore servile?

Sì; siffatto timore delle pene o dei castighi che Dio può infliggere ha sempre natura di timore servile; ma può non avere sempre il carattere difettoso che implica il peccato(XIX, 4).

794. Quando è che il timore servile ha il carattere difettoso che implica il peccato?

Quando la pena o il castigo o la perdita di un bene creato qualunque, che è oggetto di siffatto timore, si teme come male supremo (XIX, 4).

795. Se dunque si teme questo male, non come male supremo, ma subordinatamente alla perdita del bene di Dio amato sopra ogni cosa, il timore servile non è cosa cattiva?

No; è anzi cosa buona, sebbene di ordine inferiore e molto meno buono del timore filiale (XIX, 4, 6).

196. Perché è molto meno buono del timore filiale?

Perché il timore filiale non si preoccupa affatto della perdita dei beni creati, purché il possedimento del Bene increato che è Dio stesso resti assicurato (XIX, 2, 5).

797. Dunque il timore filiale teme unicamente la perdita del Bene infinito che è Dio stesso, e ciò che potrebbe comprometterne il possedimento perfetto?

Sì; il timore filiale teme unicamente la perdita del Bene infinito che è Dio stesso, e ciò che potrebbe comprometterne il perfetto possedimento (XIX, 2).

798. Questo timore filiale ha qualche relazione col dono dello Spirito Santo, chiamato appunto dono del timore?

Sì; questo timore filiale ha il più stretto rapporto col dono dello Spirito Santo che si chiama dono del timore (XIX, 9).

799. Dunque il dono dello Spirito Santo che si chiama dono del timore, si riferisce. Specialmente alla virtù. teologale della speranza?

Sì; il dono dello Spirito Santo che si chiama dono del timore si riferisce specialmente alla virtù teologale della speranza (XIX).

800. In che cosa consiste propriamente il dono dello Spirito Santo chiamato dono del timore?

Consiste in questo, che per mezzo di esso l’uomo resta soggetto a Dio ed all’azione dello Spirito Santo senza resistergli, ma al contrario venerandolo ed evitando di sottrarsi a Lui (XIX, 9).

801. Dove trovasi precisamente la differenza tra il dono del timore e la virtù della speranza?

Tale differenza si trova in questo, che la virtù della speranza riguarda direttamente il bene infinito di Dio da guadagnarsi col soccorso che ci viene da Lui stesso; mentre il dono del timore riguarda piuttosto il male che sarebbe per noi l’essere separati da Dio ed il perderlo, sottraendosi col peccato al divino aiuto che ci viene da Lui per condurci a Sé (XIX, 9 ad 2).

802. La virtù della speranza è superiore al dono del timore?

Sì; come del resto tutte le virtù teologali sono superiori ai doni; ed anche perché la virtù della speranza riguarda il bene da possedersi, mentre il dono del timore riguarda il male che sarebbe la privazione di un tal bene.

803. Il timore che è la caratteristica del dono dello Spirito Santo, è inseparabile dalla carità ossia dall’amore perfetto di Dio?

Sì; il timore che è la caratteristica del dono dello Spirito Santo è inseparabile dalla carità ossia dall’amore perfetto di Dio, perché ha per motivo questo amore (XIX, 10).

804. Può esso esistere insieme con l’altro timore che è il timore servile, esente tuttavia dal carattere di timore cattivo?

Sì; sul principio può esistere col timore servile, esente tuttavia dal carattere di timore cattivo; e per questo si chiama allora timore «iniziale»; ma a misura che la carità aumenta esso pure si accresce, e finalmente non conserva altro che il proprio nome ed il proprio carattere purissimo di timore filiale e casto, tutto penetrato dell’amore di Dio considerato come il solo vero bene, la perdita del quale sarebbe per noi il male supremo ed in certa maniera il solo vero male (XIX, 8).

805. Questo timore sussisterà nella Patria del cielo?

Sì; questo timore sussisterà nella Patria del cielo; ma nel suo ultimo grado di perfezione, e senza avere in nessun modo il medesimo atto che ha sulla terra (XIX, 11).

806. Quale sarà in cielo l’atto del timore filiale?

Sarà per sempre in qualche maniera un atto di santo tremore al cospetto della grandezza infinita del Bene divino e della sua maestà; ma non più un tremore di paura e come se fosse ancora possibile alla beatitudine di perdere Dio; sarà un tremore di ammirazione per cui si ammirerà Dio come esistente infinitamente al di sopra della possibilità della natura, perché il beato avrà eternamente la coscienza vivissima che la propria infinita felicità non gli viene che da Dio (XIX, 11)-

Capo VII.

Dei precetti relativi alla speranza.

807. Nella legge di Dio vi sono dei precetti che si riferiscono alla virtù della speranza e al dono del timore?

Sì; nella legge di Dio vi sono alcuni precetti che si riferiscono alla virtù della speranza ed al dono del timore; ma tali precetti, come del resto i precetti relativi alla fede, in ciò che hanno di principale rivestono uno speciale carattere distinto dal carattere dei precetti propriamente detti, contenuti nella legge di Dio (XXI, 1, 2).

808. Qual è il carattere speciale dei precetti della fede e della speranza, in ciò che hanno di principale?

È che non sono affatto dati a modo di precetti; ma sotto forma di proposizioni, per la fede, e sotto forma di promesse o di minacce, per la speranza ed il timore (XXII, 1).

809. Perché queste specie di precetti sono date sotto forma speciale?

Perché debbono precedere necessariamente i precetti propriamente detti contenuti nella legge (XXII, 1).

810. E perché questi primi precetti relativi alla fede ed alla speranza od al timore, debbono precedere necessariamente i precetti propriamente detti contenuti nella legge?

Perché l’atto di fede fa sì che la mente dell’uomo si pieghi a riconoscere che l’autore della legge è tale da doversi sottomettere a Lui; e la speranza della ricompensa o il timore del castigo fa che l’uomo sia indotto ad osservare i precetti (XXII, 1).

811. E quali sono i precetti propriamente detti che costituiscono la sostanza della legge?

Sono quelli che sono imposti all’uomo già così sottomesso e ben disposto ad obbedire,

per ordinare e regolare la propria vita soprattutto nell’ordine della virtù della giustizia.

812. Questi ultimi precetti sono quelli che costituiscono il Decalogo?

Sì; questi ultimi precetti sono quelli che costituiscono il Decalogo.

813. I precetti relativi alla fede ed alla speranza non sono dunque propriamente precetti del Decalogo?

No; i precetti relativi alla fede ed alla speranza non sono propriamente precetti del Decalogo; ma anzitutto li precedono ed aprono loro la via rendendoli possibili; poi nei complementi, ossia nelle esplicazioni che i Profeti, Gesù Cristo e gli Apostoli hanno dato alla legge di Dio, si presentano essi stessi sotto nuove forme, rivestendo alla loro volta il carattere di ammonizioni e di precetti formali complementari (XXII, 1 ad 2).

814. Dunque niente è più necessario né più rigorosamente voluto da Dio e da Lui ordinato all’uomo, che la sottomissione assoluta della mente dell’uomo a Dio per mezzo della fede, e l’atto di speranza basato sull’aiuto di Dio, in ordine al raggiungimento di Dio stesso, per mezzo di una vita tutta soprannaturale?

Sì; niente è più necessario né più rigorosamente voluto da Dio ed ordinato da Lui all’nomo, che la sottomissione assoluta della sua mente a Dio per mezzo della fede, e l’atto di speranza basato sull’aiuto di Dio, in ordine al raggiungimento di Dio stesso per mezzo di una vita tutta soprannaturale.

815. Vi è una virtù speciale, avente precisamente per iscopo e per compito di fare che l’uomo viva di una vita soprannaturale, in ordine al conseguimento di Dio?

Sì; e questa virtù si chiama la carità.

LO SCUDO DELLA FEDE(168)

D. SERTILLANGES, O. P.

CATECHISMO DEGLI INCREDULI (IV)

[Versione autoriz. Dal francese del P. S. G. Nivoli, O. P. – III ristampa. S. E. I. –

Torino 1944]

IV. — Il Cristianesimo cattolico.

a) La sola vera religione.

D. Tu, partendo dal sentimento religioso in generale, mi hai

trascinato nel campo delle religioni positive, e poc’anzi mi parlavi della vera religione. Perché non vi sarebbe che una vera religione, e perché non tutte?

R. Perché non ogni affermazione è verità; perché ogni particella di verità non è la verità; perché la vita è una e la legge della vita deve dunque altresì essere una, a fine di condurci senza stiracchiamento e senza deviazione alla destinazione una che Dio ci assegna.

D. E naturalmente, la vera religione, per te, è il Cristianesimo.

R. Io sono del parere di Augusto Thierry: «In fatto di religione, non ci è che il Cristianesimo che conti ». E comprendo Littré, che assai prima della sua conversione, diceva: «Se io fossi sicuro che ci fosse un Dio personale, mi farei immediatamente Cristiano ».

D. Se tu fossi Indù, diresti altrettanto del buddismo o del bramanismo.

R. Che cosa potrebbe ciò veramente dimostrare? che la mia mente è debole; che essa soccombe all’eredità; che giudica da argomenti insufficienti e in condizione sfavorevoli alla ricerca: ad ogni modo, la verità non avrebbe nulla a fare con ciò. Non è possibile fondarsi sopra questa ipotesi per uguagliare le religioni l’una all’altra o per mandarle tutte a catafascio.

D. Io ho qualche tentazione di preferire il paganesimo classico, così superiore sotto certi aspetti.

R. Per la sua superiorità e per il suo contrario, tra il paganesimo e il Cristianesimo, vi è il medesimo rapporto che tra Platone e Pascal, tra una portatrice di fiori alle feste Panatenee e una suora di S. Vincenzo de’ Paoli. Io compiango colui che non vede quanto sia superiore l’umile cornetta, e come una qualsiasi frase dei Pensieri dissipi e annulli i sogni sublimi di Platone.

D. Tu almeno ammetti che vi sono verità nelle diverse religioni.

R. Dio è un seminatore generoso; Egli getta a profusione la semente perché un filo d’erba cresca attorno al suo campo.

D. Che cosa intendi con questa metafora?

R. Che il senso del divino, che crea le religioni istintive, è un fatto provvidenziale, essendo un fatto naturale. Ora in un fatto provvidenziale, in un fatto naturale, una parte di verità deve necessariamente introdursi. Inventate dall’uomo, le religioni «false » si studiano di rispondere come possono ai bisogni che le hanno suscitate e che sono bisogni d’uomini. Sopra questo campo dell’uomo, esse si ricongiungono e, perché il loro scopo è lo stesso, si ricongiungono anche alla religione che Dio ci propone.

D. Sarebbe questo il segreto di quelle rassomiglianze che tanti critici rilevano contro di voi?

R. Sicuramente, e molto strani sono coloro che possono vedere lì materia di critica. Una pretesa religione rivelata che, in molte cose, non incontrasse le religioni figlie degli uomini, non sarebbe la religione dell’uomo e non potrebbe esser rivelata.

D. Ma se vi sono verità da per tutto, perché non prendere da tutte le religioni quel che vi è di buono, in vece di rinchiudersi in una sola?

R. Appunto rinchiudendosi in una sola si avrà, quanto all’essenziale quello che è di buono in tutte le altre, e in quanto all’accessorio, nulla impedisce di prenderlo.

D. Non capisco questa risposta.

R. Ricorda il mio paragone. Se il campo del Signore sovrabbonda, ciò che si trova fuori, in fatto di buon grano, tanto più deve trovarsi dentro; ma si potranno trovare fuori, senza che si trovino dentro, dei fiori, delle piante utili, dei minerali preziosi, o qualsiasi cosa che si possa accogliere, Il Cristianesimo se ne valse così largamente; glielo si rimprovera a volte; si tenta di concludere che esso è di mano d’uomo. Ma esso non ha preso di lì il suo germe, il quale viene dalla croce, e per via della croce, dal cielo. Questo germe appunto contiene, oltre a un capitale trascendente, tutto l’essenziale dei valori estranei. E come non lo conterrebbe, essendo germe di vita, germe d’uomo, germe emanato da Colui che crea l’uomo e lo conosce certo tanto quanto l’uomo stesso? Tuttavia, per l’intermedio della natura delle cose, Dio interviene pure in un certo modo nel nascimento delle religioni inferiori e vi lascia la sua traccia, ed è cosa semplicissima che in queste religioni il Cristianesimo vada ad attingere, che Dio lo permetta, che Dio lo consigli, in forza di queste parole evangeliche: « Chi non è contro di voi è per voi», e conforme a quelle dell’Apostolo: «Tutte le cose vi appartengono ».

D. Se così accade del divino nelle religioni istintive, come le chiami tu religioni false?

R. Sono religioni false perché sono imperfette e si pretendono perfette; perché si dicono venute in linea retta da Dio e non vengono che dall’uomo; perché credono così d’impegnare Dio e non impegnano che l’uomo. La religione cristiana è vera per le ragioni contrarie: essa impegna Dio, perché viene da Dio direttamente per rivelazione, e per conseguenza è perfetta.

.D. – Questa perfezione, dici tu, importa che la sola religione cristiana e cattolica contenga in sé è valori di tutte le altre: potresti dimostrarlo con qualche fatto?

R. Ecco in breve le ragioni giustificative. Quello che vi è di buono nel giudaismo è la nozione del vero Dio e il messianismo, è la filosofia corretta di Dio e una storia corretta del suo governo: ora noi abbiamo l’unità di Dio arricchita della Trinità; noi presentiamo degli annali di Dio che conglobano il giudaismo e lo prolungano; perché il Messia è per noi un fatto, invece di una promessa. — Quello che vi è di buono nel paganesimo è l’apparato esteriore, la poesia dei riti, il culto de grandi esseri, il culto del focolare domestico: noi abbiamo, senza il politeismo, una liturgia splendida, una pietà affatto speciale per la famiglia e il culto degli antenati religiosi o dei santi. — Quello che vi di buono nel buddismo, è la misticità, la grandezza delle concezioni cosmiche, il distacco, la carità: noi abbiamo, e ampiamente, tutte queste cose; le abbiamo rinforzate; le abbiamo precisate, purificate, ed evitiamo, col panteismo, il sonno della vita. — Quello che vi è di buono nel maomettismo è un vivo sentimento di Dio unico e del suo governo universale: noi crediamo in un Dio intimo e provvido, senza il fatalismo, al quale Maometto soccombe; senza il sensualismo e il materialismo dell’al di là! — Quello che vi è di buono in Zoroastro o Manete è l’opposizione del bene e del male, ma spinto fino all’eccesso blasfemo, poiché esso divide il Principio supremo: ripudiando quest’eccesso, noi conserviamo il sentimento che vi ci inclinerebbe; proclamiamo il lato tragico dell’esistenza, la lotta di Dio e di satana, il cielo e l’inferno. — Quello che vi è di buono nel protestantesimo è la fede nel Vangelo e il libero esame de’ suoi titoli, è l’interpretazione spirituale dei riti per opposizione a pratiche puramente esteriori: ora anche lì noi non eliminiamo se non l’eccesso, che, per il libero esame assoluto, produce lo sbriciolamento delle credenze, e per eccesso di spiritualità, l’aridità del rito, la dimenticanza del composto umano… – Nello stesso modo si dimostrerebbe che il Cattolicismo ha di tutte le filosofie tutto ciò che esse hanno di buono, non eliminando che i loro vizi, le loro esagerazioni in un senso o nell’altro, le loro insufficienze, i loro errori.

D. Una religione così fatta non rischia di essere una dottrina mediocre, nella quale si trova indebolito tutto ciò che essa vuole conciliare?

R. Il risultato è esattamente contrario, perché la fede cattolica ottiene la conciliazione d’ogni cosa appunto spingendo, in qualche modo, ogni cosa all’estremo. Le cose di questo mondo — e dell’altro — sono fatte per vivere insieme; non si oppongono affatto; non diventano inconciliabili se non in vedute parziali e partigiane. Per esempio, un materialismo integrale è sicuro d’incontrare lo spirito, che si rivela nella materia, e uno spiritualismo integrale incontra la materia, che è condizione dello spirito. — Un panteismo integrale raggiunge il Dio trascendente, il quale solo può essere immanente senza cessare di essere Lui stesso, e un deismo corretto raggiunge l’immanenza, senza la quale Dio non è più Colui nel quale noi viviamo, ci moviamo e siamo. — Un razionalista conseguente deve ammettere la fede, se essa ne fornisce le prove, e un credente conseguente rende alla ragione i suoi diritti, che le tolgono il fideismo o il tradizionalismo. — Il fatalismo crede di dare tutto all’azione divina, e il naturalismo tutto alla natura e all’uomo; ma dando anche di più a Dio, non si è più fatalisti, perché gli si dà modo di fondare la libertà mediante la sua stessa azione, come abbiamo potuto vederlo, e se si spinge il naturalismo a fondo, si riconosce alla base della natura un’idea divina, un’impressione divina, uno slancio divino, e la stessa cosa nell’uomo, fosse pure nella sua libertà. Così è di tutto il resto. Il parziale solo è inconciliabile con questo o con quello, come il solo insociabile è l’egoista. Le anime umane in ciò che hanno di più individuale, se eliminano i loro difetti, ciò che è appunto un ritrovare se stesse, hanno sempre una formula di accordo. Così i fatti; così le cose; così le dottrine; così i sentimenti religiosi.

LO SCUDO DELLA FEDE (169)

LA SUMMA PER TUTTI (8)

LA SUMMA PER TUTTI (8)

R. P. TOMMASO PÈGUES O. P. :

LA SOMMA TEOLOGICA DI S. TOMMASO DI AQUINO IN FORMA DI CATECHISMO PER TUTTI I FEDELI

PARTE SECONDA

L’UOMO VENUTO DA DIO E DESTINATO A RITORNARE A DIO

SEZIONE PRIMA

Idea generale del ritorno dell’uomo a Dio

Capo XV.

Del principio esterno che dirige l’uomo nelle sue azioni, ossia della legge.

609. Che cosa intendete per legge?

Intendo un ordine della ragione, in vista del bene comune, emanante dall’autorità e manifestato da essa (XC, 1-4).

601. Un ordine che fosse contrario alla ragione non sarebbe dunque una legge?

No; un ordine o un comando contrario alla ragione non è mai una legge; è un atto arbitrario o di tirannia (XC, 1 ad 3).

602. E che cosa intendete col dire che la legge è un ordine della ragione in vista del bene comune?

Intendo dire che la legge provvede anzitutto al bene dell’insieme, ossia del tutto; e non si occupa della parte o dell’individuo se non in quanto deve concorrere esso stesso al bene comune (XC, 2).

603. Qual è questa autorità dalla quale emana la legge?

È quella a cui incombe di vegliare al bene comune come al bene suo proprio (XC,3).

604. È necessario che una legge sia manifestata e conosciuta perché possa obbligare?

Sì; è necessario che una legge sia manifestata in modo da essere conosciuta, perché possa obbligare (XC, 4).

605. E se la si ignorasse per propria colpa si sarebbe scusati di non osservarla?

No; se si ignora per propria colpa non si è scusati di non osservarla.

606. È dunque importantissimo istruirsi sulle leggi che possono riguardarci?

Sì; è sommamente importante istruirsi sulle leggi che possono riguardarci.

Capo XVI.

Delle diverse leggi. – La legge eterna.

607. Vi sono varie specie di leggi che possono riguardarci, e che di fatto ci riguardano?

Sì; vi sono varie specie di leggi che possono riguardarci e che di fatto ci riguardano.

608. Quali sono queste diverse specie di leggi che possono riguardarci e che di fatto ci riguardano?

Sono la legge eterna, la legge naturale, la-legge umana e la legge divina (XCI, 1-5).

609. Che cosa intendete per legge eterna?

Per legge eterna intendo la legge suprema, che regola tutte le cose e dalla quale dipendono tutte le altre leggi, che non sono altro se non derivazioni o manifestazioni particolari di essa (XCII I, 3).

610. Dove si trova la legge eterna?

La legge eterna si trova in Dio (XCIII, 1).

611. Come viene manifestata questa legge nelle cose?

Questa legge viene manifestata nelle cose per l’ordine stesso delle cose, quale si svolge nel mondo (XCIII, 4-6).

Capo XVII.

La legge naturale.

612. La legge eterna si trova anche partecipata nell’uomo?

Sì; la legge eterna è anche partecipata nell’ uomo (XCIII, 6).

613. Come si chiama la manifestazione e partecipazione della legge eterna nell’uomo?

Si chiama legge naturale (XCIV, 1).

614. Che cosa intendete per legge naturale?

Intendo quel lume della ragione pratica innato nell’uomo, per mezzo del quale l’uomo guida se stesso e compie scientemente delle azioni, che per via di azione cosciente saranno la esecuzione della legge eterna; come le azioni naturali prodotte dagli agenti naturali in virtù della loro naturale inclinazione, sono la esecuzione di quella stessa legge per modo di azione incosciente (XCIV, 1).

615. Vi è nell’uomo un primo principio di questa ragione pratica, ossia un primo precetto di questa legge naturale?

Sì; è quello che posa sulla ragione stessa di «bene» nel senso metafisico della parola; come il principio della ragione speculativa posa sulla ragione di «essere» (XCIV, 2).

616. In che cosa consiste questo primo principio della ragione pratica, ossia questo primo precetto della legge naturale nell’uomo?

Consiste nel proclamare che ciò che è buono deve essere eletto dall’uomo, e ciò che è cattivo deve essere da lui rigettato (XCIV, 2).

617. Questo primo principio o primo precetto regge tutti gli altri?

Sì; questo primo principio o precetto regge tutti gli altri; e gli altri non sono che applicazioni più o meno immediate di esso (XCIV, 2).

618. Potreste dirmi quali ne sono le prime applicazioni che avvengono nell’uomo?

Le prime applicazioni che ne avvengono nell’uomo sono la proclamazione, da parte della sua ragione, del triplice bene conveniente alla sua natura (XCIV, 2).

619. Quale è la proclamazione fatta dalla ragione dell’uomo, in virtù del primo principio della legge naturale, del triplice bene conveniente alla sua natura?

È che per lui è buono ciò che conserva la sua vita fisica o la perfeziona; come pure ciò che conserva questa vita nella specie umana; e tutto ciò ancora che conviene alla sua vita di essere ragionevole (XCIV, 2).

620. Che cosa si deduce da questa triplice proclamazione della ragione pratica nell’uomo?

Si deduce che tutto quello che è essenziale alla conservazione di questa triplice vita o che può concorrere al suo perfezionamento, dalla ragione pratica di ogni uomo sarà proclamata cosa buona; in maniera subordinata però, dimodoché per ordine di dignità verrà prima il bene della ragione, poi il bene della specie e quindi il bene dell’individuo (XCIV, 2).

621. Potreste dirmi ciò che proclama di essenziale il primo principio della legge naturale che riguarda il bene dell’individuo?

Tale principio proclama che l’uomo deve cibarsi e non può mai attentare: alla sua vita (XCIV, 2).

622. Che cosa proclama di essenziale il primo principio della legge naturale che riguarda il bene della specie?

Tale principio proclama che vi debbono essere degli uomini che attendano alla conservazione della specie, accettando le cure ed anche le gioie della paternità e della maternità; e che non è mai permesso di far niente che vada direttamente contro il fine della paternità e della maternità (XCIV, 2).

623. Che cosa proclama di essenziale il primo principio della legge naturale che riguarda il bene della ragione?

Tale principio proclama che l’uomo essendo opera di Dio da cui ha ricevuto tutto, e come essere dotato di ragione essendo fatto per vivere in società con gli altri uomini, deve onorare Dio come suo Sovrano Signore e Padrone, e trattare con gli altri uomini come lo richiede la natura dei rapporti che può avere con essi (XCIV, 2).

624. Tutte le altre prescrizioni della ragione pratica nell’uomo, derivano come conseguenza da questi primi tre principi e dalla loro subordinazione?

Sì; da questi primi tre principi e dalla loro subordinazione derivano, come conseguenza più o meno remota, tutte le altre prescrizioni o determinazioni della ragione pratica che afferma tale cosa essere o non essere affatto buona per tale nomo, e facendogli un dovere di eleggerla o di rigettarla (XCIV, 2).

625. Le altre prescrizioni o determinazioni della ragione pratica che derivano come conseguenza più o meno remota dai primi tre principi della legge naturale, sono identiche presso tutti gli uomini?

No; le altre prescrizioni o determinazioni non sono le stesse per tutti; perché a misura che ci si allontana dai primi principi o dalle cose che riguardano per tutti essenzialmente il bene dell’individuo, il bene della specie ed il bene della ragione, si passa nel campo delle determinazioni positive, che possono variare all’infinito secondo la diversità delle condizioni particolari dei diversi uomini (XCIV, 4).

626. Come avvengono le altre determinazioni che possono variare all’infinito secondo la diversità delle condizioni particolari dei diversi uomini?

Esse avvengono per mezzo della ragione particolare di ogni individuo umano, per mezzo della ragione delle autorità competenti in ciascuno dei diversi aggruppamenti umani, viventi una vita di società determinata.

Capo XVIII,

La legge umana.

627. Le altre determinazioni possono divenire materia o soggetto di legge?

Sì; le altre determinazioni possono divenire materia o soggetto di legge.

628. Di quale legge sono esse materia soggetto?

Esse sono materia o soggetto proprio delle leggi umane (XCV-XCVII).

629. Che cosa intendete per leggi umane?

Intendo gli ordini della ragione di questa o quella società tra gli uomini, che emanano in ogni società dalla suprema autorità e sono da essa manifestate in vista del bene comune (XCVI, 1).

630. Questi ordini debbono essere osservati da tutti quelli che fanno parte di tale società?

Sì; questi ordini debbono essere osservati da tutti quelli che fanno parte di tale società (XCVI, 5).

631. È un dovere di coscienza che obbliga davanti a Dio?

Sì: è un dovere di coscienza che obbliga davanti a Dio (XCVI, 4).

632. Possono darsi dei casi in cui non vi sia obbligo di obbedire?

Sì; possono darsi dei casi in cui non vi sia obbligo di obbedire (XCVI, 4).

633. Quali possono essere questi casi in cui non vi è obbligo di obbedire ad una legge?

Vi è il caso di impossibilità e quello di dispensa (XCVI, 4).

634. Chi può dispensare da obbedire ad una legge?

Da obbedire ad una legge può dispensare quegli solo che è autore di questa legge, oppure ha la stessa autorità dell’autore della legge, o da questa autorità ha ricevuto la potestà di dispensare (XCVII, 4).

635. Se una legge fosse ingiusta si sarebbe tenuti ad obbedire?

No; se una/legge fosse ingiusta non si sarebbe tenuti ad obbedire, purché il rifiuto di obbedienza non cagionasse scandalo o fosse causa di più gravi inconvenienti (XCVI, 4).

636. Che cosa intendete per legge ingiusta?

Intendo una legge fatta senza autorità o in opposizione al bene comune, o lesiva dei giusti diritti dei membri della società (XCVI, 4).

637. Se una legge fosse ingiusta perché lesiva dei diritti di Dio o della sua Chiesa, bisognerebbe osservarla?

No; se una legge fosse ingiusta perché lesiva dei diritti di Dio o dei diritti essenziali della Chiesa, non bisognerebbe mai osservarla (XCVI, 4).

638. Che cosa intendete per diritti di Dio e diritti essenziali della Chiesa?

Intendo tutto ciò che riguarda l’onore ed il culto di Dio, Creatore e Sovrano Signore di

tutte le cose; e ciò che tocca la missione della Chiesa Cattolica nella santificazione delle anime, per mezzo della predicazione della verità e l’amministrazione dei sacramenti.

639. Se dunque una legge umana attentasse alla religione, non bisognerebbe rispettarla?

Se una legge umana attentasse alla religione non bisognerebbe a nessun costo rispettarla (XCVI, 4).

640. Questa legge sarebbe una vera legge?

No; questa legge non sarebbe che una odiosa tirannide (XC, 1 ad 3).

Capo XIX.

La legge divina. – Il Decalogo.

641. Che cosa intendete per legge divina?

Per legge divina intendo quella che Dio ha dato agli uomini, manifestandosi loro in modo soprannaturale (XCI, 4, 5).

642. Quando ha dato Dio questa legge agli uomini?

Dio ha data questa legge agli uomini una prima volta in modo semplicissimo prima della loro caduta nel paradiso terrestre; ma l’ha data poi più tardi in modo molto più speciale per mezzo di Mosè e dei profeti; ed in modo ancora molto più perfetto per mezzo di Gesù Cristo e degli Apostoli (XCI, 5).

643. Come si chiama la legge divina data da Dio agli uomini per mezzo di Mosè?

Si chiama la legge antica (XCVIII, 6).

644. E come si chiama la legge divina data da Dio agli uomini per mezzo di Gesù Cristo e degli Apostoli?

Si chiama la legge nuova (CVI, 3-4),

645. La legge antica era per tutti gli uomini?

No; la legge antica era solamente per il popolo ebreo (XCVIII, 4, 5).

646. Perché Dio aveva dato una legge speciale al popolo ebreo?

Perché questo popolo era destinato a preparare nel mondo antico la venuta del Salvatore degli uomini, che doveva uscire di mezzo ad esso (XCVIII, 4).

647. Come si chiamano i precetti che erano propri del popolo ebreo e non riguardavano che quel popolo nella legge antica?

Si chiamano precetti « giudiciali» e precetti « cerimoniali » (XCIX, 3, 4).

648. Non vi erano anche altri precetti nella legge antica, che sono rimasti nella legge nuova?

Sì: nella legge antica vi erano anche altri precetti che sono rimasti nella legge nuova.

649. Come si chiamano i precetti della legge antica rimasti nella legge nuova?

Si chiamano precetti «morali» (XCIX, art. 1, 2).

650. Perché tali precetti morali della legge antica sono rimasti anche nella legge nuova?

Perché essi costituiscono ciò che vi è di essenziale e di assolutamente inalienabile nelle regole della moralità rispetto ad ogni uomo, per il semplice fatto che è uomo (C, 1).

651. Questi precetti morali sono dunque stati sempre e saranno sempre gli stessi per tutti gli uomini?

Sì; questi precetti morali sono stati sempre e saranno sempre gli stessi per tutti gli nomini (C, 8).

652. Sono essi la stessa cosa che la legge naturale?

Sì; questi precetti morali sono la stessa cosa che la legge naturale (C, 1).

653. Dunque perché dite che fanno parte della legge divina?

Perché onde dar loro ancora più forza e per impedire che la ragione umana deviata li dimenticasse o li corrompesse, Dio stesso volle promulgarli solennemente manifestandosi al popolo eletto al tempo di Mosè; ed anche perché Dio li ha promulgati in ordine al fine soprannaturale a cui ogni uomo è da Lui chiamato (C, 3).

654. Come si chiamano questi precetti morali promulgati solennemente da Dio al tempo di Mosè?

Si chiamano il « Decalogo » (C, 3, 4).

655. Che cosa Significa questa parola: « Decalogo »?

È una parola greca che vuol dire «dieci parole », perché Dio dette questi precetti in numero di dieci.

656. Quali sono i dieci precetti del Decalogo?

1 dieci precetti del Decalogo sono i seguenti:

1° Non avrai altro Dio fuori che me;

2° Non nominare il nome di Dio invano;

3° Ricordati di santificare le feste;

4° Onora il padre e la madre;

5° Non ammazzare;

6° Non commettere atti impuri;

7° Non rubare;

8° Non fare falsa testimonianza;

9° Non desiderare la donna d’altri;

10° Non desiderare la roba d’altri (C, 4, 5, 6).

657. Questi dieci precetti bastano a regolare tutta la vita morale dell’uomo nell’ordine della virtù?

Sì; bastano in quanto alle virtù principali che riguardano i doveri essenziali dell’uomo verso Dio e verso il prossimo; ma per la perfezione di tutte le virtù hanno dovuto essere spiegati e completati dall’insegnamento dei profeti nella legge antica, e più ancora dall’insegnamento di Gesù Cristo e dagli Apostoli nella legge nuova (C, 3, 11).

658. Qual è il miglior mezzo per bene intendere questi precetti, e che li Spiega e li completa per la perfezione della vita morale?

È quello di studiarli in confronto di ciascuna delle virtù considerata nei suoi particolari.

659. Questo studio potrà farsi allora in modo facile?

Sì; perché la natura stessa della virtù spiegherà la natura e l’obbligo del precetto.

660. Sarà questo al tempo stesso il mezzo di bene intendere tutta la perfezione della legge nuova?

Sì; perché la perfezione di questa legge consiste precisamente nel suo rapporto con la eccellenza di tutte le virtù (C, 2; CVII).

661. Questa eccellenza di tutte le virtù riveste un carattere particolare nella legge nuova?

Sì; essa vi riveste il carattere dei consigli che si aggiungono ai precetti (CVII, 4).

662. Che cosa intendete per consigli aggiunti ai precetti?

Intendo gli inviti fatti da Gesù Cristo a tutte le anime di buona volontà, di distaccarsi, per amore di Lui e per ottenere da Lui una gioia più perfetta nel cielo, dalle cose che potrebbero volere senza compromettere l’essenziale della virtù, ma che possono essere un ostacolo alla perfezione della virtù stessa (CVIII, art. 4).

663. A quanti si riducono questi consigli?

Si riducono a tre: povertà, castità ed obbedienza (CVIII, 4).

664. Vi è uno stato speciale in cui si possono praticare eccellentemente questi consigli?

Sì; vi è lo stato religioso (CVIII, 4).

Capo XX,

Del principio esteriore che aiuta l’uomo nella pratica degli atti buoni, ossia della grazia.

665. Basta la direzione della legge perché l’uomo viva della vita della virtù e schivi la vita contraria del peccato e del vizio?

No; ci vuole ancora il soccorso della grazia (CIX, CXIV).

666. Che cosa intendete per grazia?

Per grazia intendo un soccorso speciale di Dio, che aiuta l’uomo a fare il bene ed a fuggire il male.

667. Questo soccorso speciale di Dio è sempre necessario all’uomo?

Sì; questo soccorso speciale di Dio è sempre necessario all’uomo.

668. Dunque l’uomo da se stesso non può mai fare alcun bene o evitar alcun male?

Sì; l’uomo può da se stesso, cioè con i principi della natura che Dio gli ha dato e con gli altri soccorsi naturali che trova d’intorno a sé, compiere un certo bene ed evitare un certo male anche nell’ordine morale o della virtù, ma se Dio non interviene con la sua grazia a guarire la natura umana ferita per il peccato; l’uomo non potrà compiere neppure nell’ordine della virtù naturale tutto il bene ed evitare tutto il male; e nell’ordine della virtù soprannaturale o della vita morale in ordine all’acquisto del cielo, l’uomo con la sua sola natura senza la grazia non può assolutamente nulla (CIX, 1-10).

669. Che cosa comprende questa grazia di ordine soprannaturale?

La grazia di ordine soprannaturale comprende due cose: uno stato abituale dell’uomo, e certe mozioni soprannaturali dello Spirito Santo (CIX, 6).

670. Che cosa intendete per istato abituale dell’uomo?

Per istato abituale intendo un insieme di qualità prodotte e conservate nell’anima da Dio stesso, che divinizzano l’uomo nel suo essere e nelle sue facoltà (CX, 1-4).

671. Come si chiama la qualità fondamentale che divinizza l’essere dell’uomo?

Si chiama grazia abituale o santificante (CX, 1,2, 4).

672. E come si chiamano le altre qualità soprannaturali che divinizzano le facoltà dell’uomo?

Esse sono le virtù ed i doni (CX, 3).

673. Le virtù ed i doni sono congiunti con la grazia abituale e santificante?

Sì; le virtù ed i doni sono congiunti con la grazia abituale e santificante; cosicchè essi derivano dalla grazia, e questa non può mai esistere nell’anima senza che essi esistano nelle facoltà.

674. La grazia, le virtù ed i doni che divinizzano l’anima e le sue facoltà, sono qualche cosa di molto prezioso e di molto grande?

Sì; perché sono ciò che rende l’uomo figlio di Dio e lo mettono in grado di agire in quanto tale.

675. Un uomo rivestito ed ornato della grazia con le virtù ed i doni, supera in perfezione tutto il mondo creato, nell’ordine della natura?

Sì; senza eccettuarne neppure gli Angeli, considerati nella loro sola natura (CXIII, 9 ad 2).

676. Dunque non vi è niente da doversi desiderare di più dall’uomo su questa terra, che di possedere la grazia di Dio con le virtù ed i doni?

No; non vi è niente che l’uomo debba desiderare di più su questa terra, che di possedere e conservare, progredendo in essa tutti i giorni, la grazia di Dio con le virtù ed i doni.

677. In che modo l’uomo può possedere e conservare su questa. terra, progredendo in essa tutti i giorni, la grazia di Dio con le virtù ed i doni?

Corrispondendo fedelmente all’azione soprannaturale dello Spirito Santo, che lo stimola a prepararsi a ricevere la grazia se non la possiede ancora, od a progredirvi tutti i giorni se già la possiede (CXII, 3; CXHI, 3, 3).

678. Come si chiama questa azione dello Spirito Santo?

Questa azione dello Spirito Santo si chiama grazia attuale (CIX, 6; CXII, 3).

679. Dunque noi ci disponiamo a ricevere la grazia abituale o santificante se ancora non la possediamo, ed a progredirvi se già l’abbiamo, col soccorso e sotto l’azione della grazia attuale?

Sì; col soccorso e sotto l’azione della grazia attuale noi ci disponiamo a ricevere la grazia abituale o santificante se non l’abbiamo ancora, ed a progredirvi se già la possediamo.

680. Questa grazia attuale può produrre in noi il suo pieno effetto senza di noi e nostro malgrado?

No; la grazia attuale non può produrre in noi il suo pieno effetto senza di noi e nostro malgrado (CXIII, 3).

681. Bisogna dunque che il nostro libero arbitrio cooperi all’azione della grazia attuale?

Sì; bisogna che il nostro libero arbitrio cooperi all’azione della grazia attuale.

682. Come si chiama questa cooperazione del nostro libero arbitrio all’azione della grazia attuale?

Si chiama corrispondenza alla grazia.

683. Quale carattere riveste l’atto del nostro libero arbitrio quando corrisponde all’azione della grazia attuale, e la grazia abituale si trova nell’anima?

Riveste sempre il carattere di atto meritorio (CXIV, 1, 2).

684. Vi sono più specie di meriti riguardo al nostro atto meritorio?

Sì; vi è il merito condegno ed il merito di convenienza (CXIV, 2).

685. Che cosa intendete per merito condegno?

Intendo il merito che dà uno stretto diritto di giustizia a ricevere la ricompensa (CXIV, 2).

686. Che cosa occorre perché l’atto dell’uomo sia meritorio per merito condegno?

Bisogna che questo atto si compia sotto la mozione della grazia attuale; che proceda dalla grazia santificante per virtù di carità; che tenda all’acquisto della vita eterna per sé, od anche all’aumento in sé della grazia e delle virtù (CXIV, 2, 4).

687. Non si può meritare per gli altri la vita eterna, oppure la grazia santificante l’aumento di questa grazia per merito condegno?

No; queste specie di beni non si possono meritare per gli altri che per merito di convenienza, essendo proprio di Gesù Cristo come Capo della Chiesa il merito condegno per gli altri (CXIV, 5, 8).

688. Che cosa intendete per merito di convenienza (de congruo)?

Intendo quel merito per cui Dio, in grazia dell’amicizia che lo unisce ai giusti, stabilisce – a proposito ed in armonia con ciò che a Lui conviene – di corrispondere al piacere che i giusti Gli arrecano con le loro opere buone, facendo loro piacere Egli stesso con la concessione di ciò che gli domandano o desiderano (CXIV, 6).

689. Dunque ogni ragione di merito per l’uomo consiste sempre nella intimità di Dio con i giusti, ossia nella vita della grazia e delle virtù sotto l’azione dello Spirito Santo?

Sì; nella intimità di Dio con i giusti, ossia nella vita della grazia e delle virtù sotto l’azione dello Spirito Santo, consiste sempre ogni ragione di merito per l’uomo; e tutto ciò che esso fa fuori di questo ordine, anche se non è cattivo in sé, è cosa assolutamente vana che non gli servirà niente nel giorno delle supreme retribuzioni (CXIV, 6).

690. Potreste spiegarmi i particolari di questa vita della grazia e delle virtù sotto l’azione dello Spirito Santo, che deve costituire il tutto della vita dell’uomo su questa terra?

Sì; e ciò sarà oggetto di tutto quello che ci resta da dire nello studio del viaggio, ossia del ritorno dell’uomo verso Dio per mezzo dei suoi atti morali.

LA SUMMA PER TUTTI (7)

LA SUMMA PER TUTTI (7)

R. P. TOMMASO PÈGUES

LA SOMMA TEOLOGICA DI S. TOMMASO DI AQUINO IN FORMA DI CATECHISMO PER TUTTI I FEDELI

PARTE SECONDA

L’UOMO VENUTO DA DIO E DESTINATO A RITORNARE A DIO

SEZIONE PRIMA

Idea generale del ritorno dell’uomo a Dio

Capo VIII.

Delle virtù che possono e debbono essere nell’uomo il principio dei suoi atti buoni.

493. Che cosa intendete per acquisto della virtù?

Intendo il conseguimento, ossia il perfezionamento di tutte le buone abitudini che portano l’uomo a bene agire (XLIX-LXVIII).

494. Che cosa sono queste buone abitudini che portano l’uomo a bene agire?

Sono disposizioni o inclinazioni che si trovano nelle sue diverse facoltà, e che delle sue facoltà rendono buoni gli atti (LV, 1-4).

495. Donde provengono nelle diverse facoltà dell’uomo queste disposizioni e inclinazioni che lo portano a bene agire?

Talvolta provengono parzialmente dalla natura stessa; qualche volta dal soggetto che agisce secondo il modo della virtù; qualche volta ancora direttamente da Dio, che le produce nell’anima con la sua azione soprannaturale (LXII, 1-4).

496. Nell’intelletto dell’uomo vi sono di queste disposizioni o buone abitudini, e di queste virtù?

Sì: nell’intelletto dell’uomo vi sono di queste disposizioni o buone abitudini, è di queste virtù (LVI, 3).

497. Quale effetto producono queste virtù nell’intelletto dell’uomo?

Esse lo inducono a non decidersi che per la verità (LVI, 3).

498. Quali sono queste virtù nell’intelletto dell’uomo?

Sono la « intelligenza », la « scienza », la sapienza », « l’arte » e la « prudenza » LVII, 1-6).

499. Qual è l’oggetto di ciascuna di questo virtù nell’intelletto, ossia nella ragione dell’uomo?

La prima dà la cognizione dei principi; la seconda la cognizione delle conclusioni; la terza la cognizione delle più alte cause; la quarta la direzione per la esecuzione delle opere esterne; la quinta la direzione di tutta la vita morale (LVII, 1-6).

500. Dunque la prudenza è la più importante nella pratica della vita morale?

Sì; la prudenza è la più importante nella pratica della vita morale (LVII, 5).

501. Non vi sono che queste specie di virtù nell’intelletto dell’uomo?

Vi è ancora un’altra virtù nell’intelletto dell’uomo, ed è di un ordine del tutto superiore (LXII, 1-4).

502. Qual è quest’altra virtù nell’intelletto dell’uomo, di un ordine del tutto superiore?

È la virtù della «fede» (Ibid.).

503. Vi sono anche virtù dello stesso ordine nella volontà?

Sì; vi sono anche virtù dello stesso ordine nella volontà (Ibid.).

504. Quali sono queste virtù dello stesso ordine nella volontà?

Sono la «speranza» e la « carità » (Ibid.).

505. Le virtù della fede, della speranza della carità hanno un nome speciale?

Sì: si chiamano « virtù teologali » (Ibid.).

506. Che cosa si intende con queste parole: « virtù teologali? ».

Con queste parole si intende significare che le virtù della fede, della speranza e della

carità si occupano di Dio stesso, e che in Dio hanno anche la loro unica origine (LX, 1).

507. Vi è ancora qualche altra virtù nella volontà?

Sì; nella volontà vi è ancora la virtù della «giustizia» e le altre virtù che ne dipendono (LVI, 6; LIX, 4; LX, 2, 3).

508. Vi sono altre facoltà nell’uomo in cui si trovino delle virtù?

Sì; vi sono le facoltà affettive sensibili (LVI, 4; LX, 4).

509. Quali sono le virtù che si trovano nelle facoltà affettive sensibili?

Sono le virtù della « fortezza » e della « temperanza», con le altre che ne dipendono.

510. Come si chiamano le virtù della giustizia, della fortezza e della temperanza, ed anche della prudenza?

Si chiamano « virtù morali » (LVIII, 1).

5I1. Non si chiamano anche virtù « cardinali »?

Sì; si chiamano anche « virtù cardinali » (LXI, 1-4),

512. Che cosa si intende significare con queste parole: « virtù cardinali »?

Con ciò si vuol dire che sono virtù particolarmente importanti, quasi i cardini — in latino «cardo-cardinis» — su cui si aggirano tutte le altre virtù, fuorché le virtù teologali (Ibid).

513. Le virtù di ordine naturale, ossia acquisite, intellettuali e morali, devono avere nell’uomo delle virtù corrispondenti di ordine soprannaturale, infuse da Dio allo scopo di perfezionare l’uomo in ogni atto della sua vita morale?

Sì; perché queste sole virtù infuse sono proporzionate agli atti che impone all’uomo, nella sua vita morale soprannaturale, il fine soprannaturale che gli danno a conseguire le virtù teologali (LXII, 3, 4).

514. Tutte queste virtù, teologali e cardinali, sono necessarie perché l’uomo viva bene?

Sì; tutte queste virtù sono necessarie perché l’uomo viva bene (LXV, 1-5).

515. E se l’uomo mancasse di una qualunque di tali virtù non potrebbe dirsi virtuoso?

No; perché se l’uomo manca di una qualunque di tali virtù, ciò che gli può restare delle altre virtù non ha mai in lui il carattere e la ragione di virtù perfetta (LXV, 4).

Capo IX.

Dei doni che coronano e completano le virtù.

516. Basta all’uomo, perché la sua vita sia ciò che deve essere in ordine all’acquisto del cielo, che possegga tutte le virtù di cui si è parlato?

No; bisogna che abbia ancora i doni dello Spirito Santo (LXVIII, 2).

517. Che cosa intendete per i doni dello Spirito Santo?

Intendo certe disposizioni abituali che sono nell’uomo per opera dello Spirito Santo, e che rendono l’uomo obbediente e docile a tutte le ispirazioni ed a tutti i moti interni dello Spirito Santo stesso, che lo stimola in vista del possedimento di Dio in cielo (LXVIII, 1,2,3).

518. Perché si richiedono i doni dello Spirito Santo, oltre le virtù precedentemente accennate?

Perché l’uomo, essendo chiamato a vivere da figlio di Dio, non può arrivare alla perfezione di questa vita, se Dio stesso con la sua propria azione, alla quale i doni dispongono, non viene a terminare ciò che l’azione dell’uomo, col mettere in opera le virtù, non può che abbozzare (LXVIII, 2).

519. Quanti sono i doni dello Spirito Santo?

I doni dello Spirito Santo sono sette (LXVII, 4).

520. Quali sono questi sette doni?

Sono la « sapienza », l’« intelletto », la « scienza ». il « consiglio », la « pietà », la « fortezza » ed il « timor di Dio » (LXVIII, 4).

Capo X.

Delle beatitudini e dei frutti dello Spirito Santo, come risultato delle virtù e dei doni.

521. Quando l’uomo è così rivestito delle virtù e dei doni, ha tutto quello che occorre,

in quanto è da lui, per vivere una vita perfetta, in ordine all’acquisto del cielo?

Sì; quando l’uomo è così rivestito dei doni e delle virtù ha tutto ciò che occorre, in quanto è da lui, per vivere una vita perfetta in ordine all’acquisto del cielo.

522. Si può dire anche che egli possegga già in qualche maniera questa vita del cielo cominciata sulla terra?

Sì; si può dire anche che egli in qualche maniera possegga già questa vita di cielo cominciata sulla terra; ed in questo senso appunto si parla su questa terra di beatitudini e di frutti dello Spirito Santo (LXIX, LXX).

523. Che cosa si intende per beatitudini?

Per beatitudini si intendono gli atti delle virtù e dei doni enumerati da Nostro Signore Gesù – Cristo nel Vangelo, i quali per la loro presenza nell’anima o per i meriti che vi hanno lasciato, formano per noi come il pegno della futura beatitudine promessa a ciascuno di essi (LXIX, 1).

524. E che cosa si intende per frutti dello Spirito Santo?

Per frutti dello Spirito Santo si intendono certi atti buoni, di natura tale da procurare piacere all’uomo virtuoso, quando agisce nell’ordine soprannaturale sotto la influenza dello Spirito Santo (LXX, 1).

525. Si distinguono i frutti dalle beatitudini?

Se essi sono tutto quello che per l’uomo esiste di più perfetto in senso assoluto, si confondono col frutto per eccellenza che è la beatitudine del cielo. Possono anche identificarsi con le beatitudini della terra; ma sene distinguono nel senso che la sola ragione dibontà basta loro, senza richiedere la ragionedi perfezione e di eccellenza, essenziale allebeatitudini (LXX, 2).

526. Quali sono le beatitudini e le loro ricompense?

Sono queste: Beati è poveri di spirito, perché di loro è il Regno dei Cieli. Beati i miti, perché essi possederanno la terra. Beati coloro che piangono, perché saranno consolati. Beati coloro che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati, Beati i misericordiosi, perché otterranno misericordia. Beati i puri di cuore, perché essi vedranno Dio. Beati i pacifici, perché saranno chiamati figliuoli di Dio (LXIX, 2-4).

527. Quali sono i frutti dello Spirito Santo?

I frutti dello Spirito Santo sono: la «carità », la « gioia», la « pace », la « pazienza», la « benignità », la « bontà », la « generosità », la « mansuetudine », la « fedeltà », la « modestia », la «continenza » e la «castità» (LXX, 3).

528. Dove si trovano enumerati questi frutti dello Spirito Santo?

Si trovano enumerati nella Epistola di S. Paolo ai Galati, al cap. V, vers. 22 e 23.

529. E le beatitudini dove si trovano enumerate?

Le beatitudini si trovano enumerate in S. Matteo al cap. V, vers. 3-10; ed in modo meno completo in S. Luca al cap. VI, vers. 20-22.

530. Non vi è una ottava beatitudine in S. Matteo, riportata anche in S. Luca?

Sì; è la beatitudine di coloro che soffrono persecuzione per la giustizia; ma essa si riporta alle prime sette e ne è come il riassunto e la conseguenza (LXIX, 3 ad 5).

531. Non vi può essere dunque niente di meglio per l’uomo su questa terra, che di vivere la vita delle virtù e dei doni che si manifesta nelle beatitudini e nei frutti dello Spirito Santo?

No; non vi può essere niente di meglio per l’uomo su questa terra, che di vivere la vita della virtù e dei doni, che si manifesta nelle beatitudini e nei frutti dello Spirito Santo.

Capo XI

Dei vizi che possono essere nell’uomo principio dei suoi atti cattivi.

532. Vi è un’altra vita che l’uomo possa vivere sulla terra, opposta alla vita delle virtù e dei doni che si manifesta nelle beatitudini e nei frutti dello Spirito Santo?

Sì; è la vita del peccato o del vizio (LXXI-LXXXIX).

533. Che cosa intendete per vizio?

Per vizio intendo lo stato dell’uomo che vive nel peccato (LXXI, 1-6).

534. Che cosa è il peccato?

Il peccato è un atto o una omissione volontaria che è cosa cattiva (LXXI, 5-6).

535. Un atto o un’omissione volontaria, quando è cosa cattiva?

Quando tale atto o tale omissione è contraria al bene di Dio, al bene del prossimo o al bene dell’uomo stesso (LXXII, 4).

536. Come avviene che l’uomo possa volere qualche cosa di contrario al bene di Dio, al bene del prossimo o al suo proprio bene?

Perché può volere qualche altro bene che si oppone al bene di Dio, al bene del prossimo o al suo proprio bene (LXXI, 2; LXXVII, 4).

537. Qual è quest’altro bene che l’uomo può volere, e che si oppone al bene di Dio, al bene del prossimo o al suo proprio bene?

È il bene che lusinga i suoi sensi, la sua ambizione ed il suo orgoglio (LXXII, 2,8; LXXVII, 5).

538. E donde deriva che l’uomo possa volere il bene che lusinga i suoi sensi, o la sua ambizione o il suo orgoglio, in opposizione al bene di Dio, del prossimo ed al suo proprio bene?

Ciò deriva da questo, che i suoi sensi possono rivolgersi verso quello che loro piace, prevenendo o trascinando la ragione e la volontà, che non vi si oppongono quando potrebbero e dovrebbero opporvisi (LXXI,2 ad 3).

539. Dunque il principio, ed in qualche maniera la ragione, di tutti i peccati si trova per l’uomo nella ricerca illecita dei beni sensibili e temporali?

Sì; nella ricerca illecita dei beni sensibili e temporali si trova per l’uomo il principio, ed in qualche maniera la ragione, di tutti i suoi peccati.

540. Come si chiama questa tendenza a cercare in modo illecito i beni sensibili e temporali, che si trova nell’uomo?

Si chiama concupiscenza o cupidigia (LXXVII, 1-5).

Capo XII.

Del peccato originale e delle sue conseguenze, ossia delle ferite della natura umana.

541. Esisteva nell’uomo questa concupiscenza nel primo stato in cui fu creato da Dio?

No; nel primo stato in cui fu creato da Dio non esisteva nell’uomo questa concupiscenza.

542. Perché, dunque, ora si trova nell’uomo?

Si trova ora, nell’uomo perché l’uomo si trova in istato di peccato (LXXXI-LXXXIII).

543. Che cosa intendete per istato di peccato nell’uomo?

Intendo lo stato susseguente al primo peccato del primo uomo, effetto di questo primo peccato (LXXXI, 1; LXXXII, 1).

544. Perché questo stato susseguente al primo peccato del primo uomo, effetto di questo primo peccato, si trova ora in ciascuno di noi?

Tale stato si trova ora in ciascuno di noi perché abbiamo ricevuto la nostra natura dal primo uomo (LXXXI, 1).

545. Se il primo uomo non avesse peccato, avremmo da lui ricevuto la natura in un altro stato?

Sì; se il primo uomo non avesse peccato noi avremmo ricevuto da lui la natura in istato di integrità e di giustizia originale (LXXXI, 2).

546. Lo stato in cui riceviamo attualmente dal primo uomo la nostra natura è uno stato di colpa?

Sì; lo stato in cui attualmente riceviamo dal primo uomo la nostra natura è uno stato di colpa (LXXXI, 1; LXXXII, 1).

547. Perché la natura che attualmente riceviamo dal primo uomo è in istato di colpa?

Perché noi la riceviamo da lui tale quale è in ragione e come conseguenza del suo peccato (LXXXI, 1).

548. E come si chiama questo stato di colpa della natura che riceviamo dal primo uomo, come conseguenza del suo peccato?

Si chiama peccato originale (Ibid.).

549. Dunque il peccato originale si trasmette a ciascuno di noi per il fatto stesso che riceviamo da Adamo peccatore la nostra natura in tale stato?

Sì; per il fatto stesso che noi riceviamo da Adamo peccatore la nostra natura in tale stato, si trasmette a ciascuno di noi il peccato originale (Ibid.).

550. Che cosa porta seco questo stato di peccato che infetta la natura umana in ciascuno di noi, e che si chiama peccato originale?

Porta seco la privazione di tutti i doni soprannaturali o gratuiti che Dio aveva posto nella nostra natura, nella persona del primo uomo nostro padre comune (LXXXII, 1).

551. Quali erano questi doni soprannaturali o gratuiti, la privazione dei quali costituisce in noi lo stato di peccato che è il peccato originale?

Questi doni soprannaturali o gratuiti erano anzitutto la grazia santificante con le virtù soprannaturali infuse, ed i doni dello Spirito Santo; e quindi il privilegio della integrità annesso a tali doni soprannaturali.

552. Che cosa portava seco il privilegio della integrità accordato alla nostra natura?

Portava la perfetta subordinazione dei sensi alla ragione, e del corpo all’anima.

553. Che cosa risultava da questa perfetta subordinazione dei sensi alla ragione e del corpo all’anima?

Ne risultava che l’uomo non poteva avere nella parte affettiva sensibile alcun movimento disordinato; ed oltre a questo, il suo corpo era impassibile ed immortale.

554. La morte e le altre miserie corporali sono dunque l’effetto proprio del peccato?

Sì; la morte e le altre miserie corporali sono l’effetto proprio del peccato (LXXXV, 5

550. Come si chiamano le conseguenze del peccato, da parte dell’anima?

Si chiamano ferite dell’anima.

556. Potreste dirmi quali sono queste ferite dell’anima?

Sono la ignoranza, la malizia, la infermità e la concupiscenza (LXXXV, 3).

557. Che cosa intendete per ignoranza?

Intendo quello stato della intelligenza o della ragione, per il quale questa si trova privata della disposizione connaturale che aveva verso il vero nello stato di integrità (LXXXV, art. 3).

558. Che cosa intendete per malizia?

Intendo quello stato della volontà, per il quale questa si trova privata della disposizione connaturale che aveva verso il bene nello stato di integrità (LXXXV, 3).

559. Che cosa intendete per infermità?

Intendo quello stato della parte affettiva sensibile, per il quale questa si trova privata della disposizione connaturale verso tutto ciò che è arduo e difficile che aveva nello stato di integrità (LXXXV, 3).

360. Che cosa intendete per concupiscenza?

Intendo quello stato della parte affettiva sensibile, per il quale questa si trova privata della disposizione connaturale verso il piacere sensibile moderato dalla ragione, che aveva nello stato di integrità (LXXXV, 8).

561. Queste quattro ferite della natura sono propriamente l’effetto del primo peccato del primo uomo?

Sì; queste quattro ferite della natura sono propriamente l’effetto del primo peccato del primo uomo (LXXXV, 8).

562. Vengono esse aggravate dai peccati personali dei genitori e degli individui?

Sì; esse vengono aggravate dai peccati personali dei genitori e degli individui (LXXXV, art. 1,2).

563. Vi sono dei peccati personali aventi una influenza particolarmente malvagia, per indurre l’uomo a commettere altri peccati?

Sì; vi sono i peccati « capitali ».

564. Quali sono i peccati capitali?

Sono la «superbia», l’« avarizia » la « gola », la « lussuria », l’« accidia », l’« invidia », l’« ira ».

565. Malgrado tutte queste cause di peccato che sono nell’uomo, provenienti sia dal primo peccato del primo nomo sia dagli altri peccati commessi dai diversi uomini, dobbiamo dire che l’uomo resta libero nei suoi atti morali e non è mai necessitato a peccare?

Sì; malgrado tutte le cause di peccato che sono nell’uomo, provenienti sia dal primo peccato del primo uomo sia dagli altri peccati commessi dai diversi uomini, dobbiamo dire che l’uomo resta libero nei suoi atti morali e non è mai necessitato a peccare.

566. Che cosa ci vorrebbe perché l’uomo cessasse di essere libero nei suoi atti, per causa di tutte queste conseguenze del peccato?

Bisognerebbe che esse avessero per effetto di fargli perdere la ragione (LXXVII, 7).

567. A meno, dunque, che l’uomo non perda la ragione, resta esso sempre libero nei suoi atti, in modo che dipenda da lui di non peccare?

Sì; a meno che l’uomo non perda la ragione esso resta sempre libero nei suoi atti, dimodoché dipende da lui di non peccare.

568. Questa libertà può essere però meno piena e meno perfetta, a causa delle conseguenze del peccato, dimodoché l’uomo, anche quando pecca, sia meno colpevole?

Sì; la libertà dell’uomo è meno piena e meno perfetta per causa delle conseguenze del peccato; dimodoché l’uomo, anche quando pecca, è meno colpevole; purché le sue colpe personali non abbiano parte esse stesse in questa diminuzione della sua perfetta libertà (LXXVII, 6).

Capo XIII.

Della diversa gravità dei peccati e della pena loro dovuta.

569. Non sono dunque tutti ugualmente gravi i peccati quando l’uomo li commette?

No; non sono tutti ugualmente gravi i peccati quando l’uomo li commette.

570. Donde si rileva la maggiore o minore gravità dei peccati dell’uomo, quando questi li commette?

La maggiore o minore gravità dei peccati dell’uomo si rileva dal grado che occupa, nella scala dei beni voluti dalla ragione, quello cui il peccato attenta; e dalla più o meno larga partecipazione di atto volontario libero che si trova in tale peccato (LXXIII, 1-8).

571. Ogni peccato di per sé merita di essere punito?

Sì; ogni peccato di per sé merita di essere punito (LXXXVII, 1).

572. Perché ogni peccato di per sé merita di essere punito?

Perché ogni peccato di per sé è come una usurpazione della libera volontà sopra un dominio che non è di suo diritto; e la pena è come la restituzione fatta dalla volontà, di ciò che contro il proprio diritto aveva usurpato (LXXXVII, 1).

573. La pena del peccato è dunque questione di rigorosa giustizia?

Sì; la pena del peccato è questione di rigorosa giustizia.

574. E chi è che infligge la pena dovuta al peccato?

Una delle tre ragioni che possono intervenire nell’ordine leso dal peccato (LXXXVII, 1).

575. Quali sono queste tre ragioni che possono intervenire nell’ordine leso dal peccato?

La ragione divina sempre; la ragione della autorità umana per le cose che da essa dipendono, e la ragione del peccatore stesso, secondo il grado di responsabilità avuto nel peccato (LXXXVII, 1).

576. Come può intervenire questa ragione del peccatore stesso nella pena inflitta per il peccato?

La ragione del peccatore nella pena inflitta per il peccato può intervenire in due maniere: con i rimorsi e con la penitenza volontaria (LXXXVII, 1).

577. Come interviene la ragione della autorità umana nella pena che può o deve essere inflitta per il peccato?

La ragione della autorità umana nella pena che può o deve essere inflitta per il peccato, interviene a modo di castigo (LXXXVII, 1).

578. E come interviene la ragione divina nella pena che può o deve essere inflitta per il peccato?

La ragione divina interviene in due maniere nella pena che può o deve essere inflitta per il peccato; mediatamente ed immediatamente (LXXXVII, 1).

579. Che cosa intendete col dire che la ragione divina interviene mediatamente ‘nella pena che può o deve essere inflitta per il peccato?

Intendo che essa interviene per la mediazione stessa della ragione del peccatore, e della ragione della autorità umana (LXXXVII, 1).

580. Perché dite che la ragione divina interviene nella pena che può o deve: essere inflitta per il peccato, per la mediazione della ragione del peccatore stesso e della ragione della autorità umana?

Perché la ragione del peccatore e la ragione della autorità umana agiscono in dipendenza dalla ragione divina, e sono in qualche maniera i suoi strumenti (LXXXVII, 1).

581. Non vi è ancora un altro modo con cui la ragione divina può intervenire quasi mediatamente nella pena che può o deve essere inflitta per il peccato?

Sì; ed è per la mediazione delle stesse creature, ossia dell’ordine delle cose che il peccatore guasta col suo peccato (LXXXVII, 1).

582. Si può parlare in questo senso di una certa giustizia immanente?

Sì; in questo senso si può parlare di una certa giustizia immanente, per la quale le cose stesse che sono strumenti della giustizia divina, vendicano con le contrarietà che il peccatore vi incontra e che sono la conseguenza del suo peccato, il peccato da lui commesso (LXXXVII, 1),

583. Che cosa intendete col dire che la ragione divina interviene immediatamente nella pena che può o deve essere inflitta per il peccato?

Intendo l’intervento speciale e di ordine soprannaturale, con cui Dio stesso vendica le infrazioni fatte dal peccatore all’ordine soprannaturale da Lui stabilito (LXXXVII, 3-5).

584. Che cosa porta seco di particolarmente speciale l’intervento di ordine soprannaturale con cui Dio vendica da Se stesso le infrazioni fatte dal peccatore all’ordine soprannaturale da Lui stabilito?

Esso porta seco, riguardo a certi peccati, delle pene che saranno eterne (LXXXVII, art. 3, 5).

Capo XIV.

Dei peccati mortali e dei peccati veniali.

585. Quali sono i peccati ai quali Dio infligge pene eterne?

Sono i peccati mortali (LXXXVII, 3).

586. Che cosa intendete per peccati mortali?

Intendo i peccati che cagionano la morte dell’anima, facendole perdere la carità, principio della sua vita soprannaturale (LXXXVIII, 1).

587. Perché a questi peccati Dio infligge pene eterne?

Perché questi peccati, facendo perdere la vita dell’anima che Dio solo può dare, non permettono più al peccatore di riparare il suo peccato; e rimanendo sempre il peccato bisogna che anche la pena ne rimanga (ibid.).

588. Tutti i peccati che l’uomo commette sono peccati mortali?

No; non tutti i peccati che l’uomo commette sono peecati mortali (LXXXVIII, 1, 2).

589. Come si chiamano i peccati che non sono mortali?

Si chiamano peccati veniali (Ibid.).

590. Che cosa significa questa espressione: peccati «veniali »?

Significa certi peccati meno gravi che non tolgono il principio della vita soprannaturale

che è la carità ossia la grazia, e che per conseguenza possono essere riparati da un atto contrario del peccatore stesso, sotto l’azione ordinaria della grazia; ed a questo titolo la loro pena è sempre temporale: per questo si chiamano «veniali », ossia facilmente «perdonabili », dalla parola latina «venia» che significa «perdono» (LXXXVII, 1).

591. Se però i peccati veniali fossero commessi da un uomo in peccato mortale e questi morisse in tale stato, i suoi peccati veniali sarebbero puniti con una pena eterna?

Sì; per causa del suo stato, e perché non avendo la carità non avrebbe potuto riparare i suoi peccati, che dopo la morte rimangono eternamente irreparabili.

592. Donde viene che vi sono peccati mortali e veniali?

Ciò deriva dalla natura del disordine costituito da questi diversi peccati; oppure anche dalla maggiore o minore libertà da parte del soggetto che pecca (LXXXVIII, 2).

593. Che cosa intendete quando dite che ciò deriva dalla natura del disordine costituito da questi diversi peccati?

Intendo dire che vi sono dei peccati che di per se stessi si oppongono all’amore soprannaturale di Dio, principio della vita dell’anima, o sono incompatibili con questo amore; mentre altri non costituiscono che un leggero disordine accidentale, compatibile con l’amore soprannaturale di Dio esistente abitualmente nell’anima (Ibid.).

594. Quali sono i peccati che di per se stessi si oppongono direttamente all’amore soprannaturale di Dio, principio della vita dell’anima, o incompatibili con questo amore?

Sono i peccati che portano al rifiuto dell’amore soprannaturale di Dio, oppure implicano un male ed un disordine che turba essenzialmente l’ordine dell’uomo rispetto a Dio, o l’ordine degli uomini tra loro, o l’ordine dell’uomo in se stesso,

595. Potreste accennarmi qualcuno di questi peccati?

Sì; tali sono il disprezzo dell’amore soprannaturale divino; il peccato contro l’onore di Dio; i peccati di furto, di omicidio, di adulterio ed i peccati contro natura.

596. Per conoscere questi diversi peccati e la loro gravità, qual è il mezzo più sicuro e completo?

È quello di considerarli nel loro rapporto con ciascuna virtù, presa nei particolari della sua specie.

597. Avrete occasione di mostrare questo rapporto dei vizi e dei peccati con ciascuna virtù, considerata nei particolari della sua specie?

Sì; lo faremo quando avremo terminato di vedere in generale ciò che si richiede perché l’uomo possa vivere la vita delle virtù, e schivare la vita opposta dei peccati e dei vizi,

598. Che cosa resta ancora da considerare, prima di aver terminato di vedere in generale ciò che si richiede perché l’uomo possa vivere la vita delle virtù e schivare quella opposta dei vizi e dei peccati?

Restano da considerarsi gli aiuti esteriori necessari all’uomo per questo fine,

599. Quali sono gli aiuti esteriori necessari all’uomo per questo fine?

Sono la legge che lo diriga, e la grazia che lo assista nel suo cammino (XC-CXIV).

LO SCUDO DELLA FEDE (167)

A. D. SERTILLANGES, O. P.

CATECHISMO DEGLI INCREDULI (III)

[Versione autoriz. Dal francese del P. S. G. Nivoli, O. P. – III ristampa. S. E. I. – Torino 1944]

III. — La Religione;

D. Ammettendo Dio e la Provvidenza di Dio, si è certamente preparati all’idea religiosa; ma non sì è forzati ad aderirvi. Che cosa veramente intendi tu per religione?

R. Della religione si possono dare definizioni abbastanza varie; io ti propongo questa: la religione è il vincolo che lega la creatura umana alla realtà misteriosa dalla quale sente di dipendere essa e l’ambiente in cui vive, e dalla quale per conseguenza dipende il suo destino.

D. Ma a che pro questo « vincolo »?

R. Questione immensa, tu ben lo supponi.

D. Io chiedo una breve indicazione.

R. Il visibile non basta al nostro sforzo di vita, a quello slancio interiore che ci anima. La potenza di espansione che si spiega in noi cerca un altro oggetto. Sia per la conoscenza, sia per la durata, la potenza, la rettitudine e la gioia del nostro essere, noi proviamo un bisogno di allargamento, di tutela, di pienezza felice che questo mondo non ci fornisce punto. La nostra mente è arrestata dal mistero, la nostra libertà è incatenata da fatalità inesorabili; il nostro appetito di felicità cozza con la sofferenza, con le umiliazioni, con le incomprensioni, con le separazioni, con la morte. La vita non ci appartiene e non ci basta. Le nostre relazioni col visibile lasciano libero un istinto di sociabilità superiore che il Dio sconosciuto sollecita e dovrà soddisfare. « L’infinito mi tormenta, a mio dispetto »; non è una vana parola. Per rispondere a questo soprappiù di attività interiore che nessun oggetto reale esaurisce, è veramente l’infinito, che in un modo o in un altro deve entrare nella nostra vita. Non si tratta di una forza estranea; bisogna che essa sia intima, poiché la vita interiore sarà la sua prima cliente; bisogna ancora che sia trascendente. A questo doppio segno non si riconosce forse la realtà sovrana, quella realtà che è il retrofondo di tutto e del nostro essere stesso, cioè il divino?

D. Credi tu veramente di avere così un fatto universale?

R. Sì, è un fatto universale; l’etnografia e la storia lo attestano. Ed è un fatto universale perché è un fatto umano e autentico, non è una superfetazione; non è un sentimento parassita; non è, etimologicamente, una superstizione; ma è una necessità vitale, richiesta da uno sforzo di adattamento superiore, e, se si può dire, di totalizzazione della vita. Niente è totale, per noi, se si sopprime l’oggetto della religione e la religione stessa. Onde la religione è «un prodotto dell’uomo normale », come dice Renan. Max Muller la chiama «la roccia solida, il granito primordiale e indistruttibile dell’anima umana ». Per Bergson, essa fa parte di ciò che egli chiama dati immediati della coscienza. Per questo Quatrefages ha definito l’uomo «un animale religioso »; «un animale che ha una finestra su Dio », come traduce lepidamente uno dei nostri giovani poeti (GIUSEPPE DELTEIL).

D. Io non posso trattenermi dal pensare che, seguendo lo slancio religioso, come tu dici, lo spirito umano fugge per la tangente, e sì crea una preoccupazione estranea alla vita.

R. Estranea alla vita inferiore e parziale, sì; estranea alla vita umana integrale, no. Se mi fosse lecito servirmi di un paragone un po’ strano, direi: Vi sono animali striscianti animali ambulanti, animali volanti, e solo l’uomo si schiera in queste tre specie: egli striscia per la sua vita fisica; cammina per la sua ragione; vola per la religione.

D. Vi son di quelli che non provano punto il bisogno di volare.

E. Vi son anche di quelli che non sentono affatto il bisogno di camminare, cioè di esser ragionevoli; vi sono perfino di quelli che rifiutano di strisciare menando la vita fisica, poiché si uccidono. L’uomo nondimeno per natura, è un vivente e un essere ragionevole. È parimenti, per natura, un essere religioso, benché a volte, per lo meno durante lunghi periodi della sua vita, egli non lo senta. «I cuori angusti, scrive Rousseau, non sentono mai il vuoto, perché sono sempre pieni di niente ». Ciò non si verifica meno dei cuori larghi, quando consentono, per impulso di passione o per negligenza, al loro proprio restringimento.

D. È dunque possibile che si abbia bisogno di essere destati a questo sentimento che dici istintivo?

E. Vi sono infatti degli istinti che dormono, come vi sono degli istinti che si corrompono. È la gloria della religione il rispondere, nello stesso tempo che agli inviti degli uomini, ai loro presentimenti ignorati.

D. Mi sembra paradossale dare alla vita un orientamento non proporzionato ad essa.

R. «Quello che mi occupa, scrive Emilio Faguet, è ciò che è secondo la mia misura; quello che mi preoccupa, è ciò che mi oltrepassa, I metafisici — e gli uomini religiosi — sono trattati da folli da alcuni belli spiriti o da alcuni spiriti più o meno belli; ma il « demente » sarebbe colui che, svegliandosi in treno e non sapendo più donde è partito e non sapendo dove va, contemplasse il suo scompartimento, lo verificasse, lo analizzasse, prendesse delle note, e non si desse pensiero donde ha potuto partire e dove può arrivare ».

D. Vi furono sempre molti dementi di questa specie, e temo che tu esageri, almeno per la Francia, l’importanza del fatto religioso.

R. Apri solo il piccolo Larousse tascabile alla parola Saint. Lì si vede come il popolo di Francia è nato, e quali furono i padrini del suo battesimo.

D. Ad ogni modo, molti ci vedono oggi un anacronismo.

R. Coloro che chiamano la religione un anacronismo dimostrano col loro atteggiamento che essa è piuttosto ai loro occhi un rimprovero. Di fatto, la religione è la preoccupazione di tutti, e più ancora di coloro che la negano.

D. Se certuni fanno a meno della religione, è certamente perché non è loro necessaria.

R. Necessaria perché?

D. Per essere felici e buoni.

R. Ma se la religione è vera, è necessaria a tutti per essere nel vero, ed essere nel vero è necessario per essere buoni, necessario per essere felici, come essere sulla buona strada è necessario per essere un buon viaggiatore, e perché si arrivi.

D. Tu rischi di attribuire alla religione ciò che dovrebbe essere attribuito alla morale?

R. Una vita morale è indispensabile a tutti, e chi pretendesse di sottrarvisi sotto colore di religione, più ancora che l’uomo, offenderebbe la religione stessa. Ma la moralità senza la religione non potrebbe bastare; perché, oltre le impotenze alle quali sovviene la religione e le nostre cadute ch’essa rialza, è ancora un articolo di legge morale di rendere a Dio quello che gli è dovuto, e come Egli lo intende.

D. Resta che in certi limiti, la moralità, di fatto, sì mostra indipendente dalla religione.

R. Coloro che se lo immaginano ignorano dunque che le loro idee morali sono idee religiose a mala pena abbozzate; che la loro moralità è venuta alla luce e non sussiste se non in grazia di un ambiente spirituale impregnato di senso cristiano? Colui che parla dell’inutilità della religione per la sua vita morale rassomiglia all’arbusto che, nella foresta umida, credesse inutili la sorgente, le piogge, i fiumi, il lontano oceano.

D. La religione non avrebbe oggi dei succedanei più alti di lei stessa a compiere il suo ufficio, di modo che la parte che essa si attribuisce ancora non sarebbe che una parte usurpata?

R. Di quali succedanei parli tu?

D. Ho già menzionato la morale, ora penso alla scienza.

R. Abbiamo veduto la scienza impotente a sostituire Dio come spiegazione delle cose; eppure la spiegazione è la parte sua propria: tanto meno sarà essa in grado di fare altre parti divine, che non sono più del suo dominio.

D. Eppure la scienza importa alla vita.

E. Sì certamente! La scienza è una conoscenza direttrice di un potere; essa accerta l’ordine dei fenomeni e se ne vale per l’azione, per utilissime creazioni. Ma il suo valore esplicativo è debole; anzi molti lo mettono in dubbio; esso è nulla finora riguardo ai fatti più generali, quelli che condizionano e potrebbero giustificare tutti i fenomeni visibili. In quanto all’interpretazione e alla direzione della vita umana, la scienza è, per natura, radicalmente impotente, o meglio estranea. E che cosa offre essa di efficace contro il dolore, la miseria morale, l’insufficienza vitale, la morte?

D. Donde avviene allora che là dove la scienza avanza, la religione indietreggia?

R. Tu generalizzi indebitamente; questo fatto, là dove si produce, è dovuto a un’ostruzione momentanea, a un’infedeltà orgogliosa. Oppure intendi parlare delle false religioni. Infatti è ben certo che la scienza ha detronizzato il dio-sole, il dio-nube, il Giove che lancia la folgore, il dragone che produce le ecclissi, e tutto ciò che rassomiglia a questi trastulli religiosi. Essa ha eliminato i guaritori per incantesimo, le streghe, gli oracoli; ha contribuito a epurare il sentimento religioso in seno alle popolazioni cristiane stesse, e conviene essergliene grati. Ma nulla di tutto questo tocca il fondo delle cose, e il dominio del soprannaturale resta inviolato; la vita è lasciata alle sue insufficienze essenziali; di fronte alle conquiste della scienza, noi sentiamo forse più che mai quel che manca alla scienza e quel che fa d’uopo agli uomini al di là di tutto l’umano. A forza di misurare il visibile, si deve giudicare sempre più come un vuoto spaventoso l’assenza dell’invisibile.

D. Non si vedono tuttavia di quelli che si attaccano alla scienza disperatamente, come all’unica salvezza?

R. Costoro non sono generalmente dei sapienti, e sono spesso degli appassionati che cercano un alibi per il loro odio, «Io sospetto fortemente, come scrive Andrea Gide a proposito di Remy Gourmont, che non amino tanto la scienza se non per detestare meglio la religione »,

D. Ma se sono dei genii?

R. Allora sono « degli uomini prodigiosi a cui manca tutto » (RENATO SCHWOB).

D. Credi tu che la scienza e la religione si disputeranno così per lungo tempo la direzione delle anime?

R. È troppo anormale che si sia fatto della scienza un duello tra l’uomo e Dio; un tale stato di cose è transitorio! « Vaneggiare dei proprii lumi », come dice Barbey d’Aurevilly, è cosa che mai non ha se non un tempo. Ascolta una bella profezia ottimista. « Noi siamo in un’era del mondo in cui l’umanità sta per fare un passo. Dopo tre secoli, essa porta innanzi un piede da gigante accanto alla natura, e non sapendo dove posare l’altro, si snerva e si stanca. Il mondo è troppo piccolo per i suoi due piedi, gli occorre l’al di là, come per misurare il sole occorre all’astronomo un’altra base diversa dalla terra. Un giorno, la religione e la scienza che sembrano oggi allontanarsi l’una dall’altra, come i due piedi di un uomo che cammini con la lentezza dei secoli, si ricongiungeranno nella luce, E l’umanità avrà fatto il suo passo » (GIUSEPPE SERRE).

D. Tra i succedanei religiosi, volevo anche parlare dell’arte. Non hai detto tu stesso: l’arte è una religione?

R. Lo dicevo per metafora, a cagione dello stretto rapporto di questi due ordini di fatti. Ma come l’arte sostituirebbe la religione, poiché in fondo vive di essa? Per una parte le è identica, perché anch’essa si eleva, da ciò che si vede, a quello che non si vede, poi anch’essa discende alle radici delle cose. Ma bisogna che essa si completi. L’artista non religioso è un artista incompleto. L’artista che rigettasse veramente e radicalmente ogni religione, non avrebbe più nulla da dire.

D. Tuttavia a molti artisti bastò l’arte.

R. Certi l’hanno detto; forse l’hanno pensato; ma il loro cuore non lo credeva. Dagnan-Bouveret, pochi anni prima della sua morte ammirabilmente cristiana, scriveva: « La mia povera mente, che non si pasce che di dubbi, trova almeno nella contemplazione della luce e dell’ombra qualche cosa di bello e d’indiscutibile nella sua eternità, che l’attira e affascina. E si abbandona a questa certezza evidente per lei, problematica per il cieco, insufficiente per il credente, con tutto il trasporto d’un disperato ».

D. La filosofia, almeno, può bastare a se stessa, poiché è una sapienza.

R. Essa è un « amore della sapienza », come indica il suo nome, e appunto per questo, il suo compito è di condurre alla religione, di rischiarare la religione ne’ suoi rapporti coi pensieri terrestri, di costituire, in grazia della religione che la prolunga dall’alto, la sintesi eminente del sapere. Ma sostituire la religione non sarebbe possibile alla filosofia se non a patto che essa disponesse del suo proprio oggetto, in vece di conoscerlo soltanto — se essa lo conoscesse con una cognizione sicura, in vece di cedere a tutti i venti di dottrina — se lo conoscesse con una cognizione viva, in vece di costituirsi in un sistema di astrazioni, e se avesse il potere di diffondere questa cognizione in tutti gli uomini, invece di confinarsi nei limiti d’una scuola o anche di un cervello. La filosofia è un mandarinato; la filosofia vede lacerare le sue membra che le sette si dividono; la filosofia vive di nozioni astratte, quasi ignara dell’azione, estranea all’immaginazione e al cuore degli uomini, impotente a sostenere la vita senza disporre di nessuna promessa eterna, non fosse che per quella parte di eternità che il tempo importa. La religione vuole essere un vincolo effettivo tra l’uomo e Dio; la filosofia non offre in fatto di vincolo altro che il tenue filo della logica dimostrativa, vero filo della Vergine, che svolazza in aria e non porta niente. Che cosa è una scuola filosofica di fronte alla Chiesa universale? e che cosa è l’insegnamento d’una filosofia umana di fronte a questo: Dio è nostro Padre; Egli c’invita, in seno alla sua Trinità, a un’intimità domestica; Lui stesso ha visitato la nostra terra e misteriosamente l’abita ancora; Egli ci unisce in una società della quale è l’invisibile capo, della quale il suo Spirito è l’anima, e, dopo questo tempo di prova durante la quale ci consola, ci promette una vita perfetta, la reintegrazione del nostro corpo, una perpetua e comune felicità?

D. Non è questa una filosofia?

R. È una filosofia, e la più grandiosa. « Il Cristianesimo è la prima religione che sia stata, nello stesso tempo, una filosofia » (Pietro Lasserre). Ma tal è nello stesso tempo. Il Cristianesimo è ancora un’altra cosa, esso è una fede.

D. Vi sono delle grandi filosofie fuori della fede.

R. Le filosofie senza fede sono come case vecchie sopra un promontorio di sabbia; esse scintillano al sole, ma l’interno è mediocre, e di fuori il mare le corrode.

D. Non dicono dunque mai il vero, o il vero che dicono, non avrebbe pregio?

R. Dicono spesso il vero, ed esse stesse sarebbero vere, se tollerassero il loro proprio compimento nella verità plenaria. Ma oltre ai loro errori, credendo di bastare a se stesse, si annichilano; perché chi rigetta il tutto non può conservare la parte, e « chi ritira il Verbo, distrugge la parola » (PAOLO CLAUDEL). « Ogni filosofia, scrive Lachelier, è astratta e formale, semplice aspirazione o folle esigenza del pensiero, che non finisce in religione ».

D. Perché la filosofia non è fatta per tutti?

R. Per la stessa ragione che il calcolo integrale.

D. Perché non fa capo a qualche cosa di fisso e di sicuro?

R. Perché lo spirito umano è debole, orgoglioso, appassionato, e quello che è sicuro, in queste condizioni, è l’insicurezza; quello che è fisso, è la disputa. Le divisioni della mente e i suoi traviamenti hanno le medesime cause che le nostre liti domestiche o sociali, e sono i nostri vizi.

D. Ma tutto questo non agisce punto nel mondo religioso?

R. Questo agisce dovunque; anche i teologi non sono meno divisi, nel loro campo, che i filosofi nel proprio. Ma la religione ha modo di limitare questo male umano con mezzi divini; essa può mantenere l’essenziale e pervenire al cuore dell’unità umana. Gli errori teologici girano attorno al dogma, il quale rimane, mentre l’errore filosofico, periodicamente, altera o spazza via tutto. Perciò la filosofia disserta senza concludere, là dove la religione afferma; la filosofia ricomincia, mentre la religione conserva ed applica. Ma al di sopra di tutto, la religione è universalmente umana, popolare nel grande senso, nello stesso tempo che sublime. Il suo Dio non è un interlocutore dei genii, ma un Padre; ai genii si rivolge come agli altri, ma inoltre Egli « annunzia il Vangelo ai piccoli »; ecco il suo segno; Egli conta con quelli che non contano punto.

D. Tu patrocini per le religioni positive, o il vero che dicono non e specialmente per la tua; ma vi è una religione naturale, e che potrebbe bastare.

R. Quello che si chiama religione naturale non è che una filosofia, vagamente tinta di una religiosità presa dal Cristianesimo. In materia propriamente religiosa, essa fu chiamata « un corridoio aperto sopra il nulla » (ALBERTO DE MUN).

D. Quello che è naturale può forse essere un nulla?

E. La religione naturale è così poco nella natura che non è mai esistita. Fu scritto un libro o due con questo titolo; ma un libro non è un fatto. In nessun secolo, in nessun paese, si è prodotto un fatto collettivo che meriti l’appellazione che si usurpa.

D. E se si producesse?

R. Si produrrebbe necessariamente coi caratteri che io rilevo. La religione naturale è una pura filosofia, per conseguenza accessibile solo ai privilegiati, e la più umile umanità ha bisogno di vivere. È una dottrina astratta, tutta in idee, e vi sono i fatti; vi sono le particolarità del nostro essere, le difficoltà della nostra vita, gli accidenti della nostra via; vi è il male in noi e attorno a noi, e le incertezze delle nostre menti, e le debolezze del nostro volere, e gli eccitamenti dei nostri sensi, e i pericoli come le felici possibilità della vita collettiva. Che cosa ci propone la religione naturale per sovvenire a tutto questo? Con quale autorità? e per quali fini superiori che essa possa garantire? È un programma seducente in apparenza; è un manuale per un allievo maestro dei tempi andati; ma non un Credo o un formulario d’azione proprio di un’istituzione vivente; non è una religione.

D. Tu ricusi perfino di concepire uno sviluppo della vita naturale fuori del soprannaturale religioso?

R. Una natura fatta per l’infinito e che si chiude all’infinito non può che rattrappirsi e finalmente corrompersi. Essa è capace di qualche bene, ma non del bene.

D. Ecco per me la religione che tutti potrebbero ammettere: una religione puramente spirituale, cioè consistente in uno spirito, in un orientamento superiore del quale Cristo fosse il grande maestro, di cui il Vangelo fosse il libro scelto; che guidasse la nostra vita, ma senza rinchiuderci in un dogma stretto e rigido, sotto un’autorità dispotica, sottoposti a riti fastidiosi.

R. Questa supposta religione dello spirito è la religione del vago, la religione di coloro che non ne hanno punto e non ne vogliono avere, ma che una volta ne avevano una e ne hanno conservato il ricordo nostalgico. Essi credono al vero, al bello e al buono senza definire né l’uno né l’altro, senza garantire né facilitare il loro regno, senza unirci nel loro culto e nella loro pratica, senza mostrare la meta a cui ci faranno pervenire, insomma, senza effettuare niente di ciò che è l’oggetto d’una religione, né dare la minima risposta alle questioni che una religione propone. Sotto pretesto di « spirito », si abbandonano così gli uomini a un completo denudamento spirituale, e senza speranza.

D. Questa religione ha tuttavia degli adepti.

R. Ho detto il perché. Essa è predicata da vecchi cattolici romani diventati già protestanti ortodossi, diventati più recentemente protestanti liberali o razionalisti; essa è predicata anche da quei Cattolici snaturati che il modernismo ha prodotti. È il « profumo del vaso vuoto » di cui parlava Renan. Ma l’umanità non vive punto di profumo, né di vuoto; specialmente la più umile umanità, la massa, che questo bel dilettantismo non raggiunge.

D. I dilettanti di cui parli si orientano almeno verso l’avvenire, tu verso il passato.

R. Noi ci orientiamo verso l’eternità. L’idea che solo l’avvenire offre una speranza è un pregiudizio evoluzionista senz’alcun fondamento. L’evoluzione non tocca nel loro fondo altro che le realtà inferiori; quanto più si sale, tanto più si arriva a ciò che è immutabile e permanente, ed è naturalmente il caso della vita religiosa, rapporto essenziale dell’uomo, se così posso dire, con Colui che non muta,

D. Un ultimo succedaneo della religione non si potrebbe trovare nella politica, nel senso più largo della parola? Hai notato tu stesso l’aspetto sociale delle religioni: non sarebbero esse, a questo titolo, delle anticipazioni, e la laicità associata a un umanismo superiore, non sarebbe forse la verità definitiva?

R. Il giorno che mi sarà additata una società che funzioni fuori dell’influsso diretto o indiretto d’un principio religioso, io crederò al « laicismo » in quanto principio sociale. Ma fin qui gli onori della vita pubblica furono riservati alle religioni e alle loro filiali più o meno fedeli. Non vi fu mai società laica sotto il cielo.

D. La nostra, in Francia, dopo la separazione delle Chiese e dello Stato non sarebbe affatto laica?

R. Non ti fermare ai testi legislativi, ai discorsi, ai programmi; noi parliamo di vita sociale, e la vita sociale è tautt’altra cosa che questo.

D. Che cosa è dunque la nostra società detta « laica »?

R. È una società cristiana che della fede ha rigettato tutto ciò che desiderava di perdere, e che ne conserva, dopo avergli tolto la marca, tutto ciò che desidera di conservare.

D. E che sarebbe una società veramente laica?

R. Il nulla organizzato.

D. La religione dunque, secondo te, è necessaria alla civiltà?

R. Come una madre è necessaria a sua figlia, come un’anima è necessaria al suo corpo. La religione è l’anima delle civiltà; ne è l’origine. Si possono costruire delle ipotesi; ma i fatti sono più sicuri. Ora, nel fatto, le civiltà e le religioni si presentano nella storia come un unico fenomeno sociale. Le civiltà antiche procedono dagli dèi e dal loro culto; la civiltà moderna, che sola merita veramente questo titolo, lo merita a cagione del Cristianesimo, del quale è interamente formata. Quando la laicità avrà prodotto qualche cosa di indipendente che sia veramente e unicamente di essa, le cui origini religiose non siano evidenti per tutti, si potrà paragonare il suo valore di civiltà a quello del Cristianesimo. Per il momento, non ne parliamo.

D. Allora devi temere, per la civiltà, il movimento che ci porta via.

R. La notte che si estenderà sopra la nostra civiltà, se la Chiesa se ne ritira, sarà più nera che quella da cui la Chiesa l’aveva tratta un tempo. La civiltà e la morale sono un prestito consentito al mondo moderno dal Cristianesimo. Tu potresti sostituire ciò che non dipendesse che da te stesso; potresti quindi ignorarlo e dissiparlo senza rischio. Ma ciò che hai da altri e che altri ti mantiene per un influsso segreto, lo perdi per l’ingratitudine, nello stesso tempo che l’amicizia più preziosa che te lo assicurerebbe. « Non cercare il regno di Dio, e il resto ti sarà ritirato per soprappiù » (AGOSTINO COCHIN).

D. Ecco una terribile sentenza! Ma ne fai una profezia?

R. Io credo all’avvenire, perché credo a Dio e all’uomo, perché vedo all’opera immense forze del bene. Si ha un bel fare, ma la nostra civiltà è ancora adagiata a piè della croce come una leonessa impaziente o distratta. Se tuttavia il movimento « laico » avesse il sopravvento, e se gli uomini di domani non sapessero riprendersi e fermarsi a tempo sopra la china, la stessa violenza dei fatti materiali riaprirebbe per noi il mondo dello spirito.

D. Sarebbe ancora la salvezza.

R. La verità può vincere l’errore dandogli vinta la causa, come un fino politico si vale del partito avverso lasciandogli momentaneamente il potere.

D. Da chi dipende l’avvenire che tu vagheggi?

R. L’avvenire è nelle mani delle giovinezze nuove. L’avvenire è nelle mani di Dio.

LA SUMMA PER TUTTI (6)

LA SUMMA PER TUTTI (6)

R. P. TOMMASO PÈGUES

LA SOMMA TEOLOGICA DI S. TOMMASO DI AQUINO IN FORMA DI CATECHISMO PER TUTTI I FEDELI

PARTE SECONDA

L’UOMO VENUTO DA DIO E DESTINATO A RITORNARE A DIO

SEZIONE PRIMA

Idea generale del ritorno dell’uomo a Dio

CAP. I.

Rassomiglianza dell’uomo con Dio nella libera gestione di ciò che lo riguarda.

403. L’uomo ha qualche rassomiglianza speciale con Dio, nelle sue azioni?

Sì; l’uomo nelle sue azioni ha una rassomiglianza speciale con Dio.

404. In che cosa consiste questa rassomiglianza speciale che l’uomo ha nelle sue azioni con Dio?

Consiste in questo, che come Dio dispone di tutto l’universo che dipende da Lui a suo piacimento e con tutta libertà, così l’uomo dispone a suo piacimento e con tutta libertà di ciò che dipende da lui (Prologo).

Capo II.

Del fine ultimo dell’uomo in tutte le sue azioni: la felicità.

405. L’uomo ha sempre uno scopo in ciascuna delle sue azioni?

Sì; l’uomo in ciascuna delle sue azioni ha sempre uno scopo, quando agisce come uomo e non come una macchina, ossia per impulso e reazione puramente fisica o istintiva (I, 1).

406. Non vi è che l’uomo nel mondo materiale che abbia uno scopo nelle sue azioni?

Sì; nel mondo materiale non vi è che l’uomo, che abbia uno scopo nelle sue azioni (I, 2).

407. Ne segue che tutti gli altri esseri, nel mondo materiale, agiscano senza alcuno scopo?

No; non ne segue che tutti gli altri esseri nel mondo materiale agiscano senza alcuno scopo. Tutti anzi agiscono sempre per uno scopo ben determinato; ma non hanno affatto questo scopo come cosa che essi si propongono: è Dio che lo ha per loro e lo ha loro fissato (I, 2).

408. Tutti gli altri esseri agiscono dunque in vista di un fine, ossia per raggiungere uno scopo segnato loro da Dio?

Sì; tutti gli altri esseri agiscono in vista di un fine, ossia per raggiungere uno scopo segnato loro da Dio (I, 2).

409. Dio non ha segnato all’uomo lo scopo per il quale agisce?

Sì; Dio ha segnato anche all’uomo lo scopo per il quale agisce.

410. Che differenza passa dunque tra l’uomo quando agisce, e gli altri esseri del mondo materiale?

L’uomo può fissare a se stesso, sotto l’azione superiore di Dio e dipendentemente da questa azione, lo scopo per il quale agisce; mentre gli altri esseri del mondo materiale non fanno che eseguire ciecamente, per loro natura e per loro istinto, ciò che Dio ha segnato come fine della loro azione (I, 2).

411. Da che cosa deriva questa differenza tra l’uomo e gli altri esseri materiali nelle loro azioni?

Questa differenza deriva da ciò, che l’uomo ha la ragione e gli altri esseri no (I, 2).

412. Esiste per l’uomo uno scopo supremo, ossia un fine ultimo che egli stesso si propone nelle sue azioni?

Sì; esiste sempre per l’uomo uno scopo supremo, ossia un fine ultimo che egli si propone nelle sue azioni; perché senza questo ultimo fine e questo scopo supremo non potrebbe niente volere (I, 4, 3).

413. L’uomo nelle sue azioni ordina tutto a questo fine ultimo, ossia a questo scopo supremo che si propone?

Sì; l’uomo nelle sue azioni ordina tutto a questo ultimo fine, ossia a questo scopo supremo che nelle sue azioni si propone; se non sempre in maniera cosciente ed esplicita, almeno implicitamente e per una specie di istinto naturale nell’ordine della ragione (I, 6).

414. Qual è il fine ultimo, ossia lo scopo supremo che l’uomo si propone sempre, ed a cui ordina tutto nelle sue azioni?

Il fine ultimo, ossia lo scopo supremo che l’uomo si propone sempre ed a cui ordina tutto nelle sue azioni è la felicità (I, 7).

415. L’uomo vuole dunque necessariamente essere felice?

Sì: l’uomo vuole necessariamente essere felice.

416. È assolutamente impossibile trovare un uomo che voglia essere infelice?

È assolutamente impossibile trovare un uomo che voglia essere infelice (V; 8).

417. L’uomo può ingannarsi sull’oggetto della sua felicità?

Sì; l’uomo può ingannarsi sull’oggetto della sua felicità, perché potendo cercare il proprio bene in beni molteplici e diversi, può ingannarsi sul suo vero bene (I, 7).

418. Che cosa accade se l’uomo si inganna sull’oggetto della sua felicità?

Se l’uomo si inganna sull’oggetto della sua felicità, accade che invece di trovare la felicità al termine delle sue azioni, non troverà che la più orribile infelicità.

419. È dunque sommamente importante per l’uomo di non ingannarsi sull’oggetto della sua felicità?

Non vi è niente di più importante per l’uomo che di non ingannarsi sull’oggetto della sua felicità.

Capo III

Dell’oggetto di questa felicità.

420. Qual è l’oggetto della felicità dell’uomo?

L’oggetto della felicità dell’uomo è un bene superiore a lui, e nel quale soltanto può trovare la sua perfezione (II, 1-8).

421. Sono le ricchezze oggetto della felicità dell’uomo?

No; non sono affatto le ricchezze perché esse sono inferiori all’uomo, e non bastano ad assicurare il suo bene totale e la sua perfezione (II, 1).

422. Sono gli onori?

No; non sono gli onori perché gli onori non dànno la perfezione, ma solo la suppongono quando non sono falsi; e se sono falsi non sono niente (II, 2).

423. È la gloria o la fama?

No; perché esse non hanno valore se non si meritano; e di più sono cosa fragilissima e molto vana tra gli uomini (II, 3).

424. È la potenza?

No; perché la potenza è per il bene degli altri, ed è alla mercè dei loro capricci e dei loro rivolgimenti (II, 4).

425. È la sanità o la bellezza del corpo?

No; perché sono beni troppo fragili, d’altra parte, non sono che la perfezione esteriore dell’uomo, non la perfezione della sua anima e del suo interno (II, 5).

426. Sono i piaceri nei quali può aver parte il corpo?

No; non sono affatto i piaceri nei quali può aver parte il corpo, atteso che questi piaceri sono ben poca cosa paragonati ai piaceri superiori della mente, che sono propri dell’anima (II, 6).

427. La felicità dell’uomo consisterebbe dunque nel bene dell’anima?

Sì; la felicità dell’uomo consiste nel bene dell’anima (II, 7).

428. E qual è questo bene dell’anima, in cui consiste la felicità dell’uomo?

Il bene dell’anima in cui consiste la felicità dell’uomo è Dio, Bene Supremo, Sommo ed Infinito (II, 8).

Capo IV.

Del possesso di questa felicità.

429. Come può l’uomo arrivare a possedere Dio, suo Bene Supremo, e goderne?

L’uomo può arrivare a possedere Dio, suo Bene Supremo e goderne, con un atto della sua intelligenza mossa a questo fine dalla sua volontà (III, 4).

430. Che cosa ci vuole perché l’uomo trovi la sua perfetta felicità in questo atto della sua intelligenza?

Perché l’uomo trovi la sua perfetta felicità in questo atto della sua intelligenza, bisogna che Dio sia da lui raggiunto come è in Se stesso, e non solamente quale può essere raggiunto per mezzo delle creature, qualunque esse siano (II, 5-8).

431. Come si chiama questo atto per mezzo del quale Dio è raggiunto dalla intelligenza; come è in Se stesso?

Questo atto si chiama « la visione di Dio » (III, 8).

432. Dunque la perfetta felicità dell’uomo consiste nella visione di Dio?

Sì; la perfetta felicità dell’uomo consiste nella visione di Dio (III, 8).

438. Questa visione di Dio, quando l’uomo la possederà, porterà seco tutto ciò che può essere una perfezione per lui, nella sua anima, nel suo corpo ed in tutto quello che sarà intorno a lui?

Sì; questa visione di Dio, quando l’uomo la possederà in tutta la sua pienezza, porterà seco necessariamente tutto ciò che per l’uomo può essere una perfezione, nella sua anima, nel suo corpo ed in tutto quello che sarà intorno a lui; perché essendo essa il bene dell’uomo nella sua più alta origine, si riversa in tutto ciò che è dell’uomo per colmarlo e perfezionarlo (IV, 1-8).

434. Sarà dunque per l’uomo il possesso di ogni bene e la esclusione di ogni male?

Sì; sarà per l’uomo il possesso di ogni bene e la esclusione di ogni male (Ibid.).

Capo V.

Del mezzo d’assicurarsi questo possesso; ossia delle buone azioni che lo meritano e delle azioni cattive che lo fanno perdere.

435. L’uomo può conseguire su questa terra ed in questa vita la visione di Dio, che costituisce la sua perfetta felicità?

No; l’uomo non può conseguire su questa terra ed in questa vita la visione di Dio che costituisce la sua perfetta felicità, perché le condizioni e le miserie della vita presente sono incompatibili con una tale pienezza di felicità (V. 3).

436. Come potrà l’uomo conseguire la visione di Dio che deve costituire la sua perfetta felicità?

L’uomo non potrà conseguire la visione di Dio che deve costituire la sua perfetta felicità, se non ricevendola da Dio stesso (V, 5).

437. Dio gliela concederà senza che esso vi si prepari e la meriti?

No: Dio non gliela concederà senza che esso vi si prepari e la meriti (V, 7).

438. Dunque che cosa deve fare l’uomo su questa terra ed in questa vita?

L’uomo su questa terra ed in questa vita non deve che prepararsi per via di merito a ricevere un giorno da Dio la visione di Lui e tutto ciò che dovrà accompagnarla, quando Dio stesso gli darà la sua ricompensa.

Capo VI.

Che cosa comporti l’atto umano, all’effetto di essere un atto buono meritorio, o un atto cattivo demeritorio, parlando del merito e del demerito in generale.

439. Potreste dirmi con che cosa l’uomo, su questa terra ed in questa vita, può prepararsi per via di merito a ricevere un giorno da Dio la visione di Lui, che deve formare la sua eterna felicità a titolo di ricompensa? Sì; unicamente con i suoi «atti» (VI, Prologo).

440. Che cosa sono questi atti per i quali l’uomo, su questa terra ed in questa vita, può prepararsi per via di merito a ricevere un giorno da Dio la visione di Lui, che deve formare la sua eterna felicità a titolo di ricompensa?

Sono gli «atti di virtù».

441. Che cosa intendete per atti di virtù?

Sono gli atti che l’uomo compie con la propria volontà in conformità alla volontà divina, sotto l’impulso della grazia (VI-CXIV).

442. Che cosa si richiede perché gli atti dell’uomo siano compiuti con la sua volontà?

Si richiede che li compia spontaneamente e con cognizione di causa (VI, 1-8).

443. Che cosa intendete col dire che si richiede che li compia spontaneamente?

Intendo che si richiede che li compia da se stesso e senza esservi costretto comunque o

forzato (VI, 1, 4, 5, 6).

444. Come può essere l’uomo costretto a fare qualche cosa contro la propria volontà?

L’uomo può essere costretto a fare qualche cosa contro la propria volontà in due maniere: con la violenza e col timore (VI, 4, 5, 6).

445. Che cosa intendete per violenza?

Intendo una forza estranea all’uomo, che lega le sue membra e lo impedisce di agire come vorrebbe; oppure lo costringe a fare esteriormente ciò che la sua volontà rifiuta (VI, 4, 5).

446. E che cosa intendete per timore?

Intendo un moto interno che induce l’uomo a volere una cosa che in altre circostanze non vorrebbe, per evitare un male che lo minaccia (VI, 6).

447. Ciò che si fa sotto l’azione della violenza esterna è del tutto involontario?

Sì: ciò che si fa sotto l’azione della violenza esterna è del tutto involontario (VI, 5).

448. Perché dite sotto l’azione della violenza « esterna »?

Perché la parola «violenza» si prende qualche volta anche per il moto interno della collera.

449. In questo caso, come nei casi di altri moti interni che eccitano od inclinano la volontà, si può parlare di involontario?

No; in questi diversi casi non si può parlare affatto di involontario, purché tali moti interni non siano così veementi che giungano ad impedire l’uso della ragione (VI, 7).

450. E quando si agisce per timore, vi è allora l’atto involontario?

Quando si agisce per timore l’atto è volontario, ma con un misto di involontario; nel senso che si vuole, sì, quello che si fa; ma si vuole a malincuore e per causa di un male che si cerca di evitare (VI, 6).

451. Avete detto anche che si richiede, perché gli atti dell’uomo siano compiuti di sua volontà, che siano compiuti con cognizione di causa?

Sì; e ciò vuol dire che se si fa una cosa ingannandosi sulla materia della cosa stessa la cosa che si fa non è volontaria (VI, 8).

452. Quella cosa sarebbe allora involontaria?

Sì, se sapendola non si sarebbe fatta (VI, 8)

453. Ciò che si fa o non si fa per ignoranza o per errore, può essere qualche volta volontario?

Sì; e lo sarà sempre quando si è responsabili di tale ignoranza o di tale errore (VI, 8).

454. E quando si è responsabili di tale ignoranza o di tale errore?

Quando si sono voluti direttamente, sono effetto di colpevole negligenza (VI, 8).

455. L’atto che l’uomo compie di sua volontà, si presenta rivestito di certe circostanze di cui bisogna tener conto, e che possono contribuire al carattere di tale atto?

Sì; e niente è più importante della considerazione di queste circostanze, per apprezzare

come conviene l’atto che 1’uomo compie con la sua volontà (VII, 1, 2).

456. Potreste dirmi quali sono queste circostanze?

Sono le circostanze di persona, di oggetto o di effetto prodotto, di luogo, di causa, di mezzo, di tempo (VII, 3).

457. Che cosa si deve intendere per queste diverse circostanze?

Queste diverse circostanze riguardano il carattere o la condizione della persona che agisce, ciò che fa o risulta dal suo atto, il luogo dove agisce, lo scopo per il quale agisce, coloro che le servono di aiuto, il tempo in cui agisce (VII, 3).

458. Di queste circostanze quale è la più importante?

Quella del motivo per il quale si opera ossia dello scopo che ci si propone nell’azione.

459. È sempre la volontà che produce gli atti che l’uomo compie di sua volontà?

Sì; è sempre la volontà; ma qualche volta è la volontà sola, mentre altre volte sono altre facoltà ed anche i membri esterni del corpo, ma sotto l’impulso e per ordine della volontà (VIIT-XVII).

460. Dunque per l’uomo tutto si riferisce alla volontà, negli atti che costituiscono la sua vita ed il valore di questa vita, in vista della felicità del cielo da guadagnare o da perdere?

Sì; per l’uomo tutto si riferisce sempre alla volontà, negli atti che costituiscono la sua vita ed il valore di questa vita, in vista del cielo da guadagnare o da perdere. E ciò al dire che l’atto dell’uomo non ha valore se non in quanto emana dalla sua volontà; sia che essa stessa lo produca, sia che muova a produrlo le altre facoltà od i membri che lo producono (VIII-XXI).

461. Di tutti gli atti interni della volontà qual è il più importante, e che impegna definitivamente la responsabilità dell’uomo?

È l’atto di scegliere, ossia «la elezione» (XIII, 1-6).

462. Perché l’atto di scegliere, ossia la elezione, ha questa importanza?

Perché fa sì che la volontà si fermi con cognizione di causa e dopo deliberazione su di un bene determinato che essa accetta ed intende far suo, a preferenza di ciò che non è quello (XIII, 1).

463. La elezione è propriamente atto stesso del libero arbitrio?

Sì; la elezione è propriamente l’atto stesso del libero arbitrio (XIII, 6).

464. Dunque per mezzo della elezione l’uomo assume in ogni cosa il suo vero carattere morale ed il suo reale valore, in ordine alla eterna felicità da acquistare o da perdere?

Sì; per mezzo della elezione l’uomo assume in ogni cosa il suo vero carattere morale ed il suo reale valore, in ordine alla eterna felicità da acquistare o da perdere.

465. Come si divide la elezione dell’uomo relativamente al suo vero carattere ed al suo valore reale, in ordine alla vera felicità eterna da acquistare o da perdere?

Si divide in « elezione buona» ed «elezione cattiva » (XVITI-XXI).

466. Che cosa è la elezione buona?

È quella che porta ad una cosa buona, in vista di un fine buono, e di cui tutte le circostanze che accompagnano sono buone (XVII-XIX).

467. Da che si deduce la bontà della cosa, la bontà del fine e la bontà delle circostanze?

Tale bontà si deduce dal rapporto che tutte queste cose hanno con la retta ragione (XIX, 3-6).

468. Che cosa intendete per retta ragione?

Intendo la ragione illuminata da tutti i lumi venuti da Dio, o che almeno non è loro scientemente contraria.

469. Dunque quando l’uomo vuole e sceglie una cosa conforme alla retta ragione, con uno scopo e per un fine che la retta ragione approva ed in circostanze armonizzanti tutte e ciascuna con la retta ragione stessa, l’atto voluto e scelto dall’uomo è un atto buono?

Sì: allora, ed allora soltanto, l’atto dell’uomo è un atto buono. Se sopra qualcuno di questi punti l’atto dell’uomo non è conforme alla retta ragione, non è più un atto buono e diventa, benché in diversi gradi, un atto cattivo (XVIII-XXI). 5

470. Come si chiama l’atto cattivo?

L’atto cattivo si chiama «colpa» o «peccato » (XXI, 1).

Capo VII.

Dei moti affettivi dell’uomo, ossia delle passioni.

471. In materia di atti affettivi che possono contribuire al valore della sua vita, non vi sono nell’uomo che gli atti della sua volontà?

Nell’uomo vi sono ancora altri atti affettivi.

472. Quali sono nell’uomo questi altri atti affettivi?

Sono le «passioni» (XXII-XLVIII).

473. Che cosa intendete per passioni?

Per passioni intendo i moti affettivi della parte sensibile dell’uomo.

474. Non vi è che l’uomo che abbia questi moti affettivi della parte sensibile?

No; questi moti affettivi della parte sensibile si trovano in tutti gli animali (XX1I,1,2,8).

475. Tali moti affettivi della parte sensibile hanno negli altri animali un valore morale?

No; tali moti affettivi della parte sensibile non hanno negli altri animali un valore morale; solamente nell’uomo hanno un valore morale.

476; Perché solamente nell’uomo questi moti affettivi della parte sensibile hanno un valore morale?

Perché solamente nell’uomo sono in rapporto con gli atti superiori della libera volontà e sono soggetti al loro impero (XXV o XXIV, 1-4).

477. Quali sono nell’uomo questi moti affettivi della parte sensibile che si chiamano passioni?

Questi moti affettivi della parte sensibile dell’uomo che si chiamano passioni, sono i moti del cuore che si dirige verso il bene, o si allontana dal male che i sensi ci presentano (XXIII, XXIV o XXV).

478. Quante sono le specie dei moti del cuore?

Sono «undici» (XXII, 4).

479. Come si chiamano?

Si chiamano: amore, desiderio, piacere o gioia; odio, disgusto, tristezza; speranza, audacia, timore, disperazione, ira (XXII, 4).

480. Questi moti del cuore occupano un gran posto nella vita degli uomini?

Sì; questi moti del cuore occupano un gran posto nella vita degli uomini.

481. E perché questi moti del cuore occupano un sì gran posto nella vita degli uomini?

Perché gli uomini hanno in sé una doppia natura: ragionevole e sensibile; e la natura sensibile viene commossa per prima dall’azione del mondo sensibile in mezzo al quale viviamo, e donde ricaviamo tutti i dati stessi della nostra vita ragionevole.

482. Dunque i moti del cuore o passioni non sono sempre e di per sé cosa cattiva?

No; i moti del cuore o passioni non sono sempre e di per sé cosa cattiva.

483. Quando sono cosa cattiva questi moti del cuore o passioni?

Quando non sono nell’ordine voluto dalla retta ragione.

484. E quando non sono nell’ordine voluto dalla retta ragione?

Quando tendono verso un bene sensibile o si allontanano da un male sensibile, prevenendo il giudizio della ragione o contrariamente a tale giudizio (XXV, o XXIV, 3).

485. Non sono che nella parte sensibile i moti di amore, di desiderio, di gioia, di odio, di disgusto, di tristezza, di speranza, di audacia, di timore, di disperazione e di ira?

Questi stessi moti si trovano anche nella volontà (XXVI, 1).

486. Che differenza passa tra questi moti, secondoché sono nella parte sensibile o nella volontà?

Vi è questa differenza, che nella parte sensibile implicano sempre una certa partecipazione dell’organismo ossia del corpo; mentre nella volontà sono puramente spirituali (XXXI, 4).

487. Quando si parla di moti del cuore, di quali moti affettivi si tratta, di quelli della parte sensibile o di quelli della volontà?

In senso proprio si tratta dei moti della parte sensibile; ma in senso metaforico si tratta anche di quelli della volontà.

488. Quando, dunque, si parla del cuore dell’uomo, si può trattare di questa doppia specie di moti?

Sì; quando si parla del cuore dell’uomo si può trattare di questa doppia specie di moti.

489. E quando si dice di un uomo che ha cuore, che cosa si vuol dire con questo?

Quando si dice di un uomo che ha cuore, talvolta si vuol dire che egli è affettuoso e tenero, di qualsiasi ordine di affezioni si tratti, o puramente sensibili od anche di ordine superiore; ed altre volte si vuol dire che ha coraggio ed energia.

490. Perché si dice qualche volta che bisogna vegliare sul proprio cuore: e che cosa si vuol dire con questo?

Quando si dice che bisogna vegliare su proprio cuore si vuol dire che bisogna guardarsi dal seguire inconsideratamente i primi moti affettivi, soprattutto di ordine sensibile che ci portano a cercare ciò che ci piace e a fuggire ciò che ci dispiace.

491. Si parla anche alle volte di educazione del cuore: che cosa si vuol dire con questo!

Si vuol dire che bisogna impegnarsi a non avere in sé che dei buoni moti affettivi.

492. Questa educazione del cuore così intesa è cosa importante?

Questa educazione del cuore così intesa riassume tutto l’esercizio dell’uomo nell’acquisto della virtù e nella fuga del vizio.

LA SUMMA PER TUTTI (5)

LA SUMMA PER TUTTI (5)

R. P. TOMMASO PÈGUES

LA SOMMA TEOLOGICA Di S. TOMMASO DI AQUINO IN FORMA DI CATECHISMO PER TUTTI I FEDELI

PARTE PRIMA

Capo XIX.

Opera di conservazione e di governo.

272. Che cosa intendete col dire che Dio è Sovrano Signore di tutte le cose?

Intendo che tutte le cose del mondo creato da Dio sono soggette al governo unico, supremo ed assoluto di Dio stesso (CIII, 1,3).

273. E che cosa intendete col dire che tutte le cose del mondo creato da Dio sono soggette al governo unico, supremo ed assoluto di Dio stesso?

Intendo non esservi niente nel mondo degli spiriti, nel mondo dei corpi e nel mondo umano che possa sottrarsi all’azione di Dio che conserva tutti questi esseri e li conduce al fine per il quale li ha tutti creati (CIII, 4-8).

274. Qual è il fine a cui Dio col suo governo conduce tutti gli esseri che ha creati e conserva?

Il fine a cui Dio col suo governo conduce tutti gli esseri che ha creati e conserva è Egli stesso, ossia la sua propria gloria (CIII, art. 2).

275. Come dite che Dio e la sua gloria sono il fine di tutto l’universo conservato e governato da Lui?

Io dico. che Dio e la sua gloria sono il fine di tutto l’universo conservato e governato da Lui, perché Dio muove tutte le cose in questo universo creato e conservato da Lui, affinché si manifesti e si esplichi nell’ordine stesso dell’universo ciò che è nella intelligenza e nella volontà di Colui che lo ha fatto, lo conserva e lo governa (Ibid).

276. Dunque nell’ordine stesso dell’universo risplende e si manifesta la gloria esterna di Dio?

Sì; nell’ordine stesso dell’universo risplende e si manifesta la gloria esterna di Dio (Ibid.).

277. Può esservi qualche cosa di più grande e di più perfetto all’infuori di Dio, che questo ordine dell’universo creato, conservato e governato da Lui?

No; non vi può essere nell’ordine attuale delle cose niente di più grande né di più perfetto all’infuori di Dio, che questo ordine dell’universo creato, conservato e governato da Lui (XXV, 5,6).

278. Perché dite: nell’ordine «attuale» delle cose?

Perché essendo Dio infinito ed onnipotente, nessun ordine creato per quanto perfetto, saprebbe uguagliare la potenza infinita di Dio (Ibid.).

Capo XX.

Azione personale di Dio nel governo del mondo.

I miracoli.

279. Come governa Dio questo universo creato da Lui?

Conservandolo ed indirizzandolo al suo fine (CIII, 4).

280. Dio conserva da Se stesso tutti gli esseri da Lui creati?

Sì; Dio conserva da Se stesso tutti gli esseri creati da Lui, benché si serva anche di altri esseri determinati per conservarne altri ancora secondo l’ordine di dipendenza che ha stabilito tra loro creandoli (CIV, 1, 2).

281. Che cosa intendete col dire che Dio conserva da Se stesso tutti gli esseri da Lui creati?

Intendo che ciò che trovasi in fondo a tutti gli esseri dell’universo e fa sì che essi partecipino tutti nel fatto di essere, viene loro continuato direttamente dall’azione di Dio stesso (CIV, 1).

282. Questa conservazione nell’essere di tutti gli esseri che esistono, è essa pure propria di Dio come la loro creazione?

Sì; questa conservazione nell’essere di tutti gli esseri che esistono è essa pure propria di Dio come la loro creazione; perché ambedue vanno a terminare direttamente ed immediatamente all’essere, effetto proprio di Dio (CIV, 1 ad 4; VII, 1).

283. Potrebbe Dio far sì che tutti gli esseri esistenti cessassero di essere?

Sì; Dio potrebbe fare che tutti gli esseri esistenti cessassero di essere (CIV, 3).

284. Che cosa occorrerebbe a Dio per fare che tutti gli esseri esistenti cessassero di essere?

Basterebbe che Egli cessasse di voler loro continuare l’essere che hanno, e che continuano a ricevere da Lui ad ogni istante (/bid.).

285. Dunque l’essere di tutto ciò che è nel mondo si mantiene continuamente in una dipendenza assoluta da Dio?

Sì; l’essere di tutto ciò che è nel mondo si mantiene continuamente in un: assoluta dipendenza da Dio: quasi come la luce del giorno si trova in una assoluta dipendenza dalla presenza e dall’azione del sole. Soltanto mentre l’azione del sole è di necessità, l’azione di Dio è tutta di libertà e di bontà infinita (Ibid.).

286. Dio ha mai distrutto niente di ciò che ha fatto?

No; Dio non ha mai distrutto niente di ciò che ha fatto (CIV, 4).

287. Dio deve mai distruggere niente di ciò che ha fatto?

No; Dio non deve mai distruggere niente di ciò che ha fatto (Ibid.).

288. Perché dite che Dio non ha mai distrutto né deve mai distruggere niente di ciò che ha fatto?

Perché Dio non opera che per la sua gloria; e la sua gloria non richiede che Egli distrugga ciò che ha fatto, ma al contrario che lo conservi nell’essere (Ibid.).

289. Si possono produrre dei cambiamenti nelle cose fatte da Dio?

Sì; si possono produrre dei cambiamenti nelle cose fatte da Dio; cambiamenti più o meno profondi, secondo la diversità della natura e secondo la diversità degli stati rispetto ad una stessa natura.

290. Questi cambiamenti che possono prodursi e che di fatto si producono nelle cose fatte da Dio, rientrano nell’ordine del governo divino?

Sì; tutti i cambiamenti che possono prodursi e che di fatto si producono nelle cose fatte da Dio rientrano nell’ordine del governo divino; perché tutto ciò può e deve servire al fine di tale governo, che è la gloria di Dio ed il bene della sua opera.

291. Nelle cose fatte da Dio si danno dei cambiamenti dovuti all’azione propria di Dio?

Sì; nelle cose fatte da Dio si danno dei cambiamenti dovuti all’azione propria di Dio (CV, 1-8).

292. Quali sono i cambiamenti nelle cose fatte da Dio, dovuti all’azione propria di Dio?

Sono tutti i cambiamenti che riguardano in maniera immediata l’ultimo fondo degli esseri materiali, o la parte affettiva degli esseri spirituali; ed ancora ciò che vi è di primo in ogni azione della creatura (CV, 1, 4, 5).

293. Bisognerebbe attribuire all’azione propria di Dio i cambiamenti che avvenissero nelle cose materiali fatte da Lui, al di fuori delle cause seconde proporzionate a tali cambiamenti secondo il corso ordinario della natura?

Sì; ed è ciò che si chiama propriamente miracolo (CV, 6, 7).

294. Vi sono dunque dei miracoli operati da Dio?

Sì; certissimamente vi sono dei miracoli operati da Dio nel mondo materiale, e si possono dividere in tre grandi categorie secondoché si tratta di fatti che la natura è impotente a produrre in se stessi, o nel soggetto che li manifesta, o nel modo che si producono (CV, 8).

295. Perché Dio ha operato ed opera ancora queste specie di miracoli?

Dio ha operato ed opera ancora quando Gli piace queste specie di miracoli, per impressionare la mente degli uomini e condurli a riconoscere il suo intervento divino in ordine al loro bene ed alla sua gloria.

Capo XXI.

L’azione delle creature in questo governo.

L’ordine dell’universo.

296. Nei cambiamenti che si producono o possono prodursi nelle cose create da Dio, le creature possono agire ed agiscono le une sulle altre?

Sì; ed è anzi per questa azione delle creature le une sulle altre che è propriamente costituito l’ordine dell’universo (XLVII, 3).

297. Questa azione delle creature le une sulle altre è essa pure sottomessa all’azione del governo divino?

Sì; questa azione delie creature le une sulle altre è essa pure sottomessa nel più alto grado all’azione del governo divino (CIII, 6).

298. Che cosa volete dire quando dite che questa azione delle creature le une sulle altre è sottomessa nel più alto grado all’azione del governo divino?

Voglio dire che per questa stessa azione delle creature le une sulle altre Dio conduce tutte le creature al fine loro assegnato (Ibid).

299. Dio avrebbe potuto da Sé solo, con la sua azione propria, condurre al suo fine ciascuna delle sue creature?

Lo avrebbe potuto senza alcun dubbio; ma era cosa migliore che si servisse anche dell’azione delle creature le une sulle altre per condurle al loro fine; perché le creature ne riescono più perfette ed Egli stesso ne apparisce più grande.

300. Come dite che le creature ne riescono più perfette?

Perché esse partecipano all’azione sovrana di Dio che agisce sulle sue creature per condurle al loro fine (CIII, 6 ad 2).

301. Come dite che Dio ne apparisce più grande?

Perché è una nota di grandezza, di potenza e di maestà per un sovrano, avere al suo servizio una moltitudine di ministri che ne eseguiscono gli ordini assoluti (CIII, 6 ad 3).

302. Quando dunque tutte le creature agiscono le une sulle altre eseguiscono gli ordini assoluti di Dio?

Sì; tutte le creature, quando agiscono le une sulle altre, eseguiscono gli ordini assoluti di Dio; non potendo mai la loro azione sfuggire alla perfetta e sovrana ordinazione del governo divino (CIII, 7).

303. E affatto impossibile che vi sia qualche disordine nell’azione delle creature le une sulle altre, quando agiscono come strumenti di Dio nel governo del mondo?

Sì; perché la loro azione, qualunque essa sia, è sempre condotta a concorrere sotto l’azione suprema di Dio al bene dell’universo (CIII, 8 ad 1, ad 3).

304. Possono le creature, con la loro azione delle une sulle altre, essere causa di un male particolare?

Sì; le creature possono con la loro azione delle une sulle altre essere causa di un male particolare, sia nell’ordine fisico sia ancora nell’ordine morale; perché esse possono turbare questo o quell’ordine subalterno fra le creature, ed anche fra le diverse manifestazioni subordinate dei consigli e dei voleri divini (CIII, 8 ad 1).

305.  Questo male particolare avviene contrariamente all’ordine del governo divino?

No; questo male   particolare non avviene contrariamente all’ordine del governo divino preso nel suo insieme.

306.  Perché dite che questo male particolare non avviene contrariamente all’ordine del governo divino preso nel suo insieme?

Perché Dio è così sovranamente potente che subordina questo male particolare ad un ordine superiore, in virtù del quale serve anch’esso al bene del tutto (Ibid.: XIX, 6; XXIII, arti 5 ad 3).

307. Tutto è dunque meravigliosamente ordinato nell’azione delle creature le une sulle altre, sotto l’azione suprema e sovrana del governo divino?   

Sì; tutto è meravigliosamente ordinato, nell’azione delle creature le une sulle altre,                    

308. Possiamo noi su questa terra comprendere tale ordine meraviglioso del governo di Dio sul mondo?

Non lo possiamo assolutamente; perché per questo bisognerebbe conoscere tutto l’insieme delle creature e dei consigli divini.

309. Dove vedremo in tutto il suo splendore la bellezza e l’armonia del governo di Dio nel mondo?

Soltanto in cielo noi vedremo in tutto il suo splendore la bellezza e l’armonia del governo di Dio nel mondo,

CAPO XXII.

                            Fra gli angeli. – Le gerarchie e gli ordini.

310. L’azione delle creature le une sulle altre esiste nel mondo dei puri spiriti, ossia tra gli Angeli?

Sì; nel mondo dei puri spiriti ossia tra gli Angeli esiste l’azione di questi spiriti gli uni sugli altri.

311. Come si chiama l’azione dei puri spiriti gli uni sugli altri?

Si chiama illuminazione (CVI, 1).

312. Perché chiamate illuminazione l’azione dei puri spiriti gli uni sugli altri?

Perché i puri spiriti non agiscono gli uni sugli altri se non per comunicarsi la luce che ricevono da Dio, sulla scorta del suo governo (Ibid.).

313. Questa luce di Dio viene comunicata ai puri spiriti in una maniera graduale ed ordinata?

Sì; questa luce di Dio viene comunicata ai puri spiriti in una maniera graduata e meravigliosamente ordinata.

314. Che cosa intendete col dire che la luce di Dio è comunicata ai puri spiriti in maniera meravigliosamente ordinata?

Intendo che Dio la comunica anzitutto a quelli che sono più vicini a Lui, e questi agli altri Angeli per ordine dai più elevati fino agli ultimi, in modo che l’azione dei primi si comunica agli ultimi per l’azione degli intermedi (CVI, 3).

315. Vi sono dunque dei primi, dei secondi e degli ultimi in questa subordinazione dell’azione dei puri spiriti gli uni sugli altri, per comunicarsi la luce che discende da Dio sopra di essi?

Sì; vi sono dei primi, dei secondi e degli ultimi in questa subordinazione dell’azione dei puri spiriti gli uni sugli altri, per comunicarsi la luce che discende da Dio su di essi (CVIII, 2).

316. Potreste fare intendere con un paragone che cosa è questa subordinazione dell’azione dei puri spiriti gli uni sugli altri, per comunicarsi la luce che discende da Dio su di essi?

Si potrebbe paragonare ad un fiume di luce che discende limpido di roccia in roccia, alimentato continuamente dalle acque di un bel lago alla sommità della montagna.

317. Questa subordinazione degli Angeli tra loro comprende diversi gruppi?

Sì; questa subordinazione degli Angeli tra loro comprende diversi gruppi (CVIII).

318. Di quante specie sono questi gruppi?

Questi gruppi sono di due specie.

319. Come chiamate queste due specie di gruppi esistenti nella subordinazione degli Angeli tra loro?

Si chiamano gerarchie ed ordini o cori angelici (CVIII).

320. Che cosa intendete con la parola gerarchia?

La parola gerarchia è derivata dal greco e significa « principato sacro ».

321. Che cosa comprende la parola « principato »?

La parola « principato » comprende due cose: il principe ed il popolo amministrato sotto di lui (CVIII, 1).

322. E quando si dice « principato sacro » che cosa si vuol dire con questo?

Il « principato sacro » inteso nel suo senso pieno e perfetto designa la moltitudine delle creature ragionevoli chiamate a partecipare delle cose sante sotto il governo unico di Dio, Principe supremo e Re Sovrano di tutta questa moltitudine (Ibid.).

323. Non vi sarebbe dunque che un solo principato sacro ed una sola gerarchia nel mondo governato da Dio?

Sì; a considerare il principato sacro da parte di Dio, Principe supremo e Re Sovrano di tutte le creature ragionevoli governate da Lui, non vi è che un solo principato sacro, ossia una sola gerarchia che comprende gli Angeli e gli uomini (CVII, 1).

324. Come dunque ed in qual senso si parla di gerarchie al plurale, ed anche in modo speciale nel solo mondo dei puri spiriti, ossia degli Angeli?

Perché da parte della moltitudine ordinata sotto il Principe, il principato si diversifica secondoché la moltitudine deve ricevere in diverse maniere il governo del Principe stesso (CVIII, 1).

325. Potreste darmi un esempio di questa diversità nelle cose umane?

Sì; avviene nella stessa guisa che sotto un medesimo re si trovano città o province differenti, rette da diverse leggi e da ministri diversi (CVII, 1).

326. Vi è una gerarchia differente per gli uomini e per gli Angeli?

Sì; fintantoché gli uomini sono sulla terra vi è una gerarchia differente per gli uomini e per gli Angeli (CVIII, 1).

327. Perché dite fintantoché gli uomini sono sulla terra?

Perché in cielo gli uomini saranno ammessi nella gerarchia degli Angeli. (CVIII, 8)

328. Vi sono dunque più gerarchie tra gli Angeli?

Sì, tra gli Angeli vi sono più gerarchie (CVII, 1).

329. Quante gerarchie vi sono tra gli Angeli?

Tra gli Angeli vi sono tre gerarchie (CVII, 1).

330. Potreste dirmi come si distinguono queste tre gerarchie tra gli Angeli?

Queste tre gerarchie tra gli Angeli, si distinguono secondo una triplice maniera di riconoscere le ragioni delle delle cose concernenti il governo divino (CVIII, 1)

331. In qual maniera la prima gerarchia conosce le ragioni del governo divino?

Essa le conosce in quanto queste ragioni procedono dal Primo Principio universale che è Dio (CVIII, 1).

332 Che cosa consegue da ciò in ordine, in ordine agli Angeli di questa prima gerarchia?

Da ciò consegue, in ordine agli Angeli della prima gerarchia, che essi stanno vicino  a Dio in modo che tutti gli ordini dui questa gerarchia prenderanno i loro nomi da qualche ufficio avente per oggetto Dio stesso (CV. 1, 6)

333. In qual maniera la seconda gerarchia conosce le ragioni delle cose concernenti il governo divino?

Essa le conosce in quanto queste specie di ragioni dipendono dalle cause universali create (CVIII, 1).

334. Che cosa ne consegue per gli Angeli di questa seconda gerarchia?

Per gli Angeli di questa seconda gerarchia ne consegue che essi ricevono la loro illuminazione dalla prima gerarchia, e che i loro ordini traggono il nome da qualche ufficio avente relazione con la universalità delle creature governate da Dio (CVIII, 1, 6).

335. In qual maniera la terza gerarchia conosce le ragioni delle cose concernenti il governo divino?

Essa le conosce in quanto si applicano alle cose particolari ed in quanto dipendono dalle loro cause proprie (CVIII, 1).

336. Che cosa ne consegue per gli Angeli di questa terza gerarchia?

Per gli Angeli di questa terza gerarchia ne consegue che essi ricevono la luce divina secondo forme particolari che permettono loro di comunicarsi alle nostre intelligenze su questa terra, e che i loro ordini traggono il nome da atti limitati ad un uomo, come gli Angeli custodi; oppure ad una provincia come i Principati (CVIII, 1, 6).

337. Si troverebbe un esempio di questa triplice gerarchia nelle cose della terra?

Sì; si potrebbe trovare un esempio di questa triplice gerarchia nelle cose della terra. Avviene qui come tra gli ufficiali del re, tra i quali si trovano i ciambellani, i consiglieri, gli assessori che sono sempre presso la persona del Principe; poi gli ufficiali della curia reale dai quali dipendono gli affari di tutto il regime in generale; ed infine gli ufficiali che nel regime sono preposti ad una funzione determinata (CVIII, 6).

338. Sono distinti tra gli Angeli gli ordini dalle gerarchie?

Sì; tra gli Angeli gli ordini sono distinti dalle gerarchie (CVIII, 2).

339. In che consiste questa distinzione degli ordini dalle gerarchie tra gli Angeli?

Consiste in questo, che le gerarchie costituiscono diverse moltitudini di Angeli formanti diversi principati sotto il medesimo governo divino; mentre gli ordini costituiscono diverse classi in ciascuna delle moltitudini che formano una gerarchia (CVIII, 2).

340. Quanti ordini vi sono in ciascuna gerarchia?

In ciascuna gerarchia vi sono tre ordini (CVIII, 2).

341. Perché dite che in ciascuna gerarchia vi sono tre ordini?

Perché avviene come presso di noi, ove tutte le diverse classi che distinguono gli uomini in una stessa città si riducono a tre classi principali che sono la nobiltà, la borghesia ed il basso popolo (CVIII, 2).

342. Vi sono dunque in ciascuna gerarchia degli Angeli superiori, degli Angeli intermedi e degli Angeli inferiori?

Sì; e sono appunto i tre ordini di ciascuna gerarchia (CVIII, 2).

343. Bisogna dunque distinguere in tutto nove ordini angelici?

Sì; vi sono in tutto nove principali ordini angelici (CVIII, 5, 6).

344. Perché dite « principali »?

Perché in ciascun ordine vi sono ancora quasi all’infinito altre subordinazioni, avendo ciascun Angelo il suo posto distinto ed il suo ufficio particolare; ma non ci appartiene conoscerli su questa terra (CVIII, 8).

345. I nove ordini sono la stessa cosa che i nove cori degli Angeli?

Sì; i nove ordini sono la stessa cosa che i nove cori degli Angeli.

346. Perché è stato dato il nome di cori agli ordini angelici?

Perché i diversi ordini, compiendo i loro uffici in relazione al governo divino, costituiscono ciascuno degli aggruppamenti pieni di armonia, che fanno risplendere meravigliosamente la gloria di Dio nell’opera sua.

347. Potreste dirmi quali sono i nomi dei nove cori degli Angeli?

Sì; essi sono in ordine discendente: i Serafini, i Cherubini, i Troni; le Dominazioni, le Virtù, le Potestà; i Principati, gli Arcangeli e gli Angeli (CVIII, 5).

348. Fra i demoni sono rimasti gli ordini?

Sì gli ordini sono rimasti anche fra i demoni; perché essi sono proporzionati alla natura degli Angeli, e la natura è restata la stessa anche tra i demoni.

349. Dunque i demoni sono subordinati tra loro come erano prima della loro caduta?

Sì; i demoni rimangono subordinati tra loro come erano prima della loro caduta (CIX, art. 1,2).

350. Tale ordine tra loro si esercita mai in relazione a qualche bene?

No; tale ordine tra loro non si esercita mai in relazione a qualche bene (CIX, 3).

351. Non si dà dunque alcuna illuminazione fra i demoni?

Fra i demoni non vi sono che le tenebre del male; e per questo il loro impero è chiamato l’impero delle tenebre (Ibid.).

Capo XXIII.

Azione degli Angeli buoni sul mondo dei corpi.

352. Dio si serve degli Angeli per il governo del mondo corporeo?

Sì; Dio si serve degli Angeli per il governo del mondo corporeo; perché il mondo corporeo è inferiore agli Angeli, ed in ogni governo ordinato gli esseri inferiori sono retti da quelli a loro superiori (CX, 1).

353. A quale ordine appartengono gli Angeli che governano il mondo corporeo?

Appartengono all’ordine delle Virtù (CX, art. 1 ad 3).

394. Che cosa fanno gli Angeli che servono al governo del mondo corporeo?

Gli Angeli che servono al governo del mondo corporeo attendono al compimento perfetto del piano provvidenziale e dei divini voleri, in tutto ciò che accade tra i diversi esseri che costituiscono il mondo dei corpi (CX, 1,2,8).

355. Dio opera tutti i cambiamenti che avvengono nel mondo dei corpi, compresi i miracoli, per la interposizione di questi Angeli dell’ordine delle Virtù?

Sì; Dio opera tutti i cambiamenti che avvengono nel mondo dei corpi, compresi i miracoli, per la interposizione di questi Angeli dell’ordine delle Virtù (CX, 4).

356. Quando Dio si serve dei suoi Angeli per operare qualche miracolo, il miracolo si compie per la virtù propria dell’Angelo?

No; il miracolo non si compie che per la virtù propria di Dio; ma Vangelo può concorrervi a modo di intercessione, ossia a titolo di strumento (CX, 4 ad 1).

Capo XXIV

Azione degli Angeli buoni rispetto all’uomo.

Gli angeli custodi.

357. L’Angelo può agire sull’uomo?

Sì; l’Angelo può agire sull’uomo a motivo della sua natura spirituale di ordine superiore (CXI).

358. L’Angelo può illuminare l’intelligenza e lo spirito dell’uomo?

Sì: l’Angelo può illuminare l’intelligenza e lo spirito dell’uomo, fortificando la sua virtù e mettendo alla sua portata la pura verità che egli stesso contempla (CXI, 1).

359. L’Angelo può cambiare la volontà dell’uomo, agendo su di essa direttamente?

No; l’Angelo non può cambiare la volontà dell’uomo agendo su di essa direttamente. essendo il movimento della volontà una inclinazione che non può dipendere direttamente che dalla volontà stessa o da Dio che ne è l’autore (CXI, 2).

360. Non vi è dunque altri che Dio che possa cambiare la volontà dell’uomo, agendo su di essa direttamente?

Sì; non vi è altri che Dio che possa cambiare la volontà dell’uomo agendo su di essa direttamente (CXI, 2).

361. L’Angelo può agire sulla immaginazione dell’uomo e sulle altre sue facoltà sensibili?

Sì; l’Angelo può agire sulla immaginazione dell’uomo e sulle altre sue facoltà sensibili, essendo queste facoltà legate a degli organi, e per conseguenza dipendenti dal mondo corporeo soggetto all’azione degli Angeli (CXI, 3).

862. L’Angelo può agire sui sensi dell’uomo?

Sì; e per la stessa ragione l’Angelo può agire sui sensi esterni dell’uomo ed impressionarli a suo piacimento; purché trattandosi di angeli malvagi, la loro azione non sia ostacolata da quella degli Angeli buoni (CXI, 4).

363. Gli Angeli buoni possono impedire e ostacolare l’azione degli angeli malvagi?

Sì, gli Angeli buoni possono impedire e ostacolare l’azione degli angeli malvagi, avendo stabilito l’ordine della giustizia divina, che gli angeli malvagi, a causa del loro peccato, siano sottomessi alla dominazione degli Angeli buoni (CXI, 4).

364. Gli Angeli buoni possono essere mandati da Dio in missione presso gli uomini?

Sì; gli Angeli buoni possono essere mandati da Dio in missione presso gli uomini; perché Dio si serve della loro azione presso gli uomini per promuovere il bene di questi ultimi, o per la esecuzione dei suoi disegni a loro riguardo (CXII, 1).

365. Tutti gli Angeli buoni possono essere mandati da Dio in missione presso gli uomini?

No; non tutti gli Angeli buoni possono essere mandati da Dio in missione presso gli

uomini (CXII, 2).

366. Quali sono quelli che non vengono mai mandati in missione presso gli uomini?

Sono tutti quelli della prima gerarchia (CXII, 2, 3).

867. Perché nessuno di questi Angeli viene mandato in missione presso gli uomini?

Perché il privilegio della loro gerarchia è di stare continuamente davanti a Dio (CXII, 3).

368. Come si chiamano gli Angeli della prima gerarchia in ragione di questo privilegio?

Si chiamano Angeli assistenti (CXII, 3).

369. Tutti gli Angeli delle altre due gerarchie possono essere mandati in missione presso gli uomini?

Sì; tutti gli Angeli delle altre due gerarchie possono essere mandati in missione presso gli uomini; in questo modo però che le Dominazioni presiedono alla esecuzione dei disegni divini, mentre gli altri, le Virtù, le Potestà, i Principati, gli Arcangeli e gli Angeli, attendono direttamente a tale esecuzione (CXII, 4).

370. Vi sono degli Angeli mandati da Dio presso gli uomini per proteggerli?

Sì; vi sono degli Angeli mandati presso gli uomini per proteggerli; avendo la Provvidenza del governo divino voluto che l’uomo, dai pensieri e dai voleri sì mutevoli e fragili, fosse assistito nel suo cammino verso il cielo da uno spirito beato, per sempre confermarlo nel bene (CXIII, 1).

371. Dio deputa presso gli uomini per proteggerli uno stesso Angelo per più uomini, oppure distintamente un Angelo per ogni uomo?

Dio deputa in missione presso gli uomini per proteggerli un Angelo distintamente per ogni uomo, essendo ogni anima umana più cara a Dio delle diverse specie di creature materiali, alle quali tuttavia è preposto un Angelo distinto che veglia a promuovere il loro bene (CXIII, 2).

372. A quale ordine appartengono gli Angeli deputati da Dio distintamente presso ciascun uomo per proteggerlo?

Gli Angeli deputati da Dio distintamente presso ciascun uomo per proteggerlo, appartengono all’ultimo dei nove cori degli Angeli (CXIII, 3).

373. Tutti gli uomini senza eccezione sono affidati da Dio alla custodia di uno dei suoi Angeli?

Sì; tutti gli uomini senza eccezione sono affidati da Dio alla custodia di uno dei suoi Angeli fintantoché vivono sulla terra, per causa del viaggio pericoloso che tutti debbono percorrere prima di arrivare alla meta (CXIII, 4).

374. Nostro Signor Gesù Cristo, in quanto uomo, ha avuto anch’Egli un Angelo custode?

No; perché Egli era Dio in persona e non conveniva a N. S. Gesù Cristo di avere un Angelo a custodirlo; ma ha avuto degli Angeli preposti all’insigne onore di servirlo (CXII, 4 ad 1).

375. Quando avviene che l’Angelo personale a ciascun uomo, è deputato da Dio presso di lui per proteggerlo?

Nello stesso istante in cui ogni uomo viene al mondo, riceve presso di sé l’Angelo incaricato da Dio di proteggerlo (CXIII, 5).

376. L’Angelo custode abbandona mai l’uomo alla cui custodia è preposto?

No; l’Angelo custode non abbandona mai l’uomo alla custodia del quale è preposto, e continua a vegliare su di lui senza alcuna interruzione fino all’ultimo momento della sua vita terrestre (CXIII, 6).

377. Gli Angeli si affliggono dei mali di coloro che custodiscono?

No; perché dopo aver fatto ciò che dipendeva da loro per impedirli, se avvengono, adorano in questo come in tutto la profondità dei disegni divini (CXIII, 7).

378. E cosa buona e raccomandabile nella pratica, affidarsi in tutto e spesso alla protezione del proprio Angelo custode?

Sì; è cosa eccellente e da raccomandarsi sommamente nella pratica, affidarsi in tutto e spesso alla protezione del proprio Angelo custode.

379. Questa protezione, quando la si invoca, ci è sempre infallibilmente assicurata?

Sì; questa protezione quando si invoca ci è sempre infallibilmente assicurata; in esecuzione però degli eterni consigli di Dio, ed in quanto ciò che ci riguarda è ordinato alla sua gloria (CXII, 8)

Capo XXV.

Azione degli angeli malvagi, ossia dei demoni.

380. I demoni possono assalire e tentare gli uomini?

Sì; i demoni possono assalire e tentare gli uomini.

381. Perché i demoni possono assalire e tentare gli uomini?

I demoni possono assalire e tentare gli uomini per la loro malizia, e perché Dio fa volgere la tentazione stessa al bene dei suoi eletti (CXIV, 1)

382 Il fatto di tentare gli uomini è proprio dei demoni?

Sì, Il fatto o di tentare gli uomini è proprio dei demoni.

383. In che senso dite che il fatto di tentare gli uomini è proprio dei demoni?

Il fatto di tentare gli uomini è proprio dei demoni nel senso che essi soli li tentano continuamente allo scopo di nuocere loro e perderli (CXIV, 2)

384. I demoni, per tentare gli uomini e sedurli, possono operare miracoli?

No; i demoni non possono operare dei veri miracoli per tentare gli uomini e sedurli; ma soltanto delle apparenze di miracoli.

385. Che cosa intendete con le parole « apparenze di miracoli?».

Intendo certi prodigi che superano il modo di agire degli esseri che ci circondano quale noi lo conosciamo, ma che non superano il potere naturale dell’insieme delle creature (CXIV, 4).

386. Da qual segno specialmente si riconoscono i falsi miracoli compiuti dai demoni?-

Si riconoscono specialmente dal segno che implicando sempre qualche cosa di cattivo, non possono avere per autore Dio come i veri miracoli (CXIV, 4 ad 3).

PARTE PRIMA

Capo XXVI

Azione del mondo materiale, ossia dell’insieme del cosmo.

387. Non vi sono che gli spiriti buoni o cattivi che concorrono all’azione di Dio nel suo suo governo del mondo?

No; non vi sono i soli spiriti buoni o cattivi che concorrono all’azione di Dio nel suo governo del mondo.

388. Quali sono gli altri esseri che ancora vi concorrono?

Sono tutti gli agenti cosmici, le cui forze mosse da Dio concorrono al fine del suo governo (CXV, 1)

389. Tutto il movimento del mondo della natura è nelle mani di Dio nel suo governo?

Sì; tutto il movimento del mondo della natura, con tutto l’insieme delle sue leggi, è nelle mani di Dio nel suo governo (CXVI, 2).

390. Dunque è per la effettuazione dei divini consigli e per concorrervi che ogni giorno il sole compare, i giorni si alternano con le notti e le stagioni tra loro, e volgono in un ordine che niente può cambiare i giorni, i mesi, gli anni ed i secoli?

Sì; è per la effettuazione dei divini consigli e per concorrervi, che ogni giorno compare il sole, i giorni si alternano con le notti e le stagioni tra loro, e volgono in un ordine che niente può turbare i giorni, i mesi, gli anni ed i secoli.

391. Si può dire che per l’uomo e per promuovere il suo bene Dio ha ordinato e mantiene nel suo corso regolare il movimento del mondo della natura?

Sì; si può e si deve dire che Dio ha ordinato e mantiene nel suo corso regolare il movimento del mondo della natura, in ordine all’uomo e per promuovere il suo bene.

392. L’uomo è dunque la creatura alla quale Dio ha ordinato in qualche modo tutte le altre, per provvedere ai suoi bisogni?

Sì; l’uomo è la creatura alla quale Dio in qualche modo ha ordinato tutte le altre, per provvedere ai suoi bisogni.

393. Perché Dio ha agito così con l’uomo?

Dio ha agito così con l’uomo perché l’uomo è la più debole delle sue creature, ed ha bisogno di tutto per il bene dell’anima e del corpo.

Capo XXVII.

Azione dell’uomo medesimo.

394. L’uomo, debole com’è, può anch’egli concorrere all’azione di Dio nel governo del mondo?

Sì; l’uomo può, malgrado la sua debolezza, concorrere efficacemente all’azione di Dio nel governo del mondo.

395. Come può l’uomo concorrere all’azione di Dio nel governo del mondo?

L’uomo concorre all’azione di Dio nel governo del mondo cooperando esso pure al bene dell’uomo stesso.

396. In qual maniera l’uomo può cooperare al bene dell’uomo?

L’uomo coopera al bene dell’uomo, servendo di strumento a Dio in ordine all’anima ed al corpo dell’uomo stesso.

397. Come avviene che l’uomo serve di strumento a Dio per l’anima dell’uomo?

L’uomo serve di strumento a Dio per l’anima dell’uomo, perché Dio crea l’anima di ciascun fanciullo che viene al mondo nella occasione dell’atto o della operazione dell’uomo; e perchè quest’anima si sviluppa in seguito e cresce in perfezione sotto l’azione del maestro che la istruisce (CXVII, CXVIII).

398. E come serve l’uomo di strumento a Dio per il corpo dell’uomo?

Perché secondo le leggi di natura stabilite da Lui, Dio ha voluto che il corpo del fanciullo sia formato e venga al mondo per la dolce interposizione di un padre e di una madre (CXIX).

Capo XXVIII

Punto di convergenza dove si ritrova tutto l’andamento del governo divino.

399. Intorno dunque alla culla del fanciullo noi vediamo fra gli uomini risplendere come nel loro centro tutte le soavità del governo di Dio nel mondo? Sì; intorno alla culla del fanciullo vediamo risplendere fra gli uomini come nel loro centro, tutte le soavità del governo di Dio nel mondo; perché tutto nel mondo è ordinato al bene di questo fanciullo: il padre e la madre che lo circondano; tutta la natura che lo fa vivere; gli Angeli che lo assistono; e Dio che lo destina alla gloria del cielo.

400. Vi è stata fra gli uomini una culla o una nascita su cui si siano manifestati in maniera incomparabile tutti gli splendori del governo di Dio nel mondo?

Sì; sulla culla e sulla nascita del Fanciullo che ci apparirà tosto come la via il cammino del ritorno dell’uomo verso Dio (CXIX, 2 ad 4).

401. E che cosa si vide infatti alla nascita di questo Fanciullo?

Alla nascita di questo Fanciullo si vide una concezione dovuta all’azione tutta soprannaturale dello Spirito Santo; una Madre rimasta Vergine; dei re e magi condotti da una stella, ed una moltitudine di spiriti celesti lodanti Dio ed esclamanti: Gloria a Dio nelle altezze celesti e pace in terra agli uomini di buona volontà.

402. Come si chiama questo Fanciullo di benedizione?

Egli non è altri che l’Emmanuele, ossia Dio con noi, e si chiama « Gesù ».

LA SUMMA PER TUTTI (6)

LA SUMMA PER TUTTI (4)

LA SUMMA PER TUTTI (4)

R. P. TOMMASO PÈGUES

LA SOMMA TEOLOGICA Di S. TOMMASO DI AQUINO IN FORMA DI CATECHISMO PER TUTTI I FEDELI

PARTE PRIMA

Capo XII

I corpi.  Loro creazione..- Opera dei sei giorni.

166. Qual è la seconda categoria degli esseri creati da Dio: nel mondo, alla estremità opposta alla categoria degli spiriti?

La seconda categoria degli esseri creati da Dio nel mondo, alla estremità opposta alla categoria degli spiriti, è quella dei corpi.

167. Tutto l’insieme del mondo dei corpi è stato creato da Dio?

Sì; tutto l’insieme del mondo dei corpi è stato creato da Dio (LXV, 5).

168. Dunque Dio stesso ha creato la terra e tutto ciò che in essa vediamo; il mare e tutto. ciò che contiene; il cielo col sole, la luna e le stelle?

Sì; Dio stesso ha creato la terra e tutto  ciò che in essa vediamo; il mare e tutto ciò che

contiene; il cielo col sole, la luna e le stelle.

169. Quando ha creato Dio tutto questo mondo dei corpi?

Dio ha creato tutto questo mondo dei corpi al principio del mondo, nello stesso tempo

in cui creava il mondo degli spiriti (LXI, 3; LXVI, 4).

170. Dio ha creato istantaneamente il mondo dei corpi nello stesso tempo che creava il mondo degli spiriti?

Sì; Dio ha creato istantaneamente il mondo dei corpi nello stesso tempo del mondo degli spiriti (ibid.).

171. I mondo dei corpi fu da questo primo istante tale quale è oggi?

No; il mondo dei corpi non fu da questo primo istante tale quale è oggi (LXVI, 1).

172. In quale stato fu creato da Dio il mondo dei corpi?

Il mondo dei corpi fu creato da Dio allo stato di « caos ».

173. Che cosa intendete col dire che il mondo dei corpi fu creato da Dio allo stato di «caos»?

Intendo dire che Dio creò prima gli elementi donde doveva uscire il mondo dei corpi quale oggi lo vediamo (LXVI, 1,2).

174. Chi trasse dai primi elementi il mondo dei corpi quale lo vediamo oggi?

Dio trasse dai primi elementi il mondo dei corpi quale lo vediamo oggi.

175. Dio trasse dai primi elementi il mondo dei corpi quale oggi lo vediamo, in una sola volta?

No; non in una sola volta ma con varii interventi successivi Dio trasse dai primi elementi il mondo dei «corpi quale lo vediamo oggi.

176. Quanti sono stati gli interventi di Dio, onde portare il mondo dei corpi allo stato in cui lo vediamo oggi?

Sono stati sei gli interventi divini onde portare il mondo dei corpi allo stato in cui lo vediamo oggi.

177. Come si chiamano questi sei interventi, divini, onde portare il mondo dei corpi allo stato in cui lo vediamo oggi?

Si chiamano i sei giorni della creazione (LXXIV, 1, 2).

178. A che cosa si limitò il primo giorno della creazione?

Il primo giorno della creazione si limitò alla creazione della luce (LXVII, 4).

179. A che cosa si limitò il secondo giorno della creazione?

Il secondo giorno della creazione si limitò alla creazione del firmamento (LXVII, 1).

180. A che cosa si limitò il terzo giorno della creazione?

Il terzo giorno della creazione si limitò alla separazione, ossia alla distinzione dei mari e dei continenti, ed alla produzione delle piante

181. A che cosa si limitò il quarto giorno della creazione?

Il quarto giorno della creazione si limitò alla creazione del sole, della luna e delle stelle (LXX, 1).

182. A che cosa si limitò il quinto giorno della creazione?

Il quinto giorno della creazione si limitò alla creazione dei pesci e degli uccelli (LXXI).

183. A che cosa si limitò il sesto giorno della creazione?

Il sèsto giorno della creazione si limitò alla creazione degli animali terrestri ed a quella dell’uomo (LXXII).

184. Come sappiamo noi che Dio ha creato in siffatta maniera il mondo quale noi lo vediamo?

Noi sappiamo che Dio ha creato in siffatta maniera il mondo come lo vediamo, perché Egli stesso ce lo ha detto.

185. Dove ci ha detto Dio di aver creato il mondo come lo vediamo, in tale maniera?

Nel primo capitolo della Genesi, al principio della Sacra Scrittura, Dio ci ha detto di aver creato in tale maniera il mondo quale lo vediamo.

186. La scienza si accorda con questo primo capitolo della Genesi?

Non vi è dubbio che la vera scienza si accorderà sempre con questo primo capitolo

della Genesi.

187. Perchè dite che la «vera » scienza. Si accorderà sempre con questo primo. Capitolo della Genesi?

Perché la vera scienza vede le cose come sono, e nessuno sa come sono le cose meglio di Dio stesso che le ha create; ed in questo primo capitolo della Genesi ci ha detto appunto come le ha. create.

188. Non vi potrà dunque essere mai contraddizione tra la scienza e la Scrittura in ciò che

riguarda la creazione del mondo dei corpi?

No; non vi potrà mai essere contraddizione tra la vera scienza e la Scrittura in ciò

che riguarda la creazione del mondo dei corpi (LXVII-LXXIV).

Capo XIII.

L’uomo. – La sua natura.

La sua anima spirituale ed immortale.

189. Fra gli esseri che sono nel mondo dei corpi, se ne trova uno che forma come un mondo a parte, ossia una categoria affatto distinta nell’insieme del mondo creato da Dio?

Sì; vi è l’uomo.

190. Che cosa è l’uomo? –

L’uomo è un composto di spirito e di corpo, ed in cui si trovano in qualche modo riuniti il mondo degli spiriti ed il mondo dei corpi (LXXV).

191. Come si chiama lo spirito che è nell’uomo?

Si chiama anima (LXXV, 1-4).

192. Soltanto l’uomo ha un’anima nel mondo dei corpi?

No; non soltanto l’uomo ha un’anima nel mondo dei corpi.

193. Quali sono gli altri esseri che hanno pure un’anima nel mondo dei corpi?

Sono le piante e gli animali.

194. Che differenza passa tra l’anima delle piante e degli animali e quella dell’uomo? Vi è questa differenza, che l’anima delle piante non è che per la vita vegetativa; quella degli animali per la vita vegetativa e sensitiva; ed oltre a tutto questo l’anima dell’uomo è per la vita del pensiero.

195. Dunque l’uomo si distingue da tutti gli altri esseri viventi del mondo dei corpi per la vita del pensiero?

Sì; per la vita del pensiero l’uomo si distingue da tutti gli altri esseri viventi del mondo dei corpi.

196. In questa vita del pensiero l’anima umana è in sé indipendente dal corpo?

Sì; in questa vita del pensiero l’anima umana è in sé indipendente dal corpo (LXXV, 2).

197. Potreste darmi una ragione che stabilisca questa. verità?

Sì; la ragione è che l’oggetto del pensiero è cosa del tutto incorporea.

198. Come si deduce da questo che l’anima umana nella vita del pensiero è in sé indipendente dal corpo?.

Perché se non fosse essa stessa del tutto incorporea non potrebbe raggiungere l’oggetto del pensiero che è affatto incorporeo (Ibid.).

199. Che cosa si deduce da questa verità?

Si deduce che l’anima umana è immortale (LXXV, 6).

200. Potreste mostrarmi come si deduce da questa verità che l’anima umana è immortale?

Sì; ciò si deduce perché se essa ha un’operazione in cui il corpo non ha alcuna parte, bisogna che abbia anche un essere proprio indipendente dal corpo.

201. Che cosa si deduce dal fatto che l’anima umana ha un essere proprio, indipendente dal corpo?

Si deduce che se il corpo muore per la separazione dell’anima, l’anima non può morire (ibid.).

202. L’anima umana deve dunque sopravvivere sempre?

Sì; l’anima umana deve sopravvivere sempre.

203. Ma perché allora l’anima umana è stata unita ad un corpo?

L’anima umana è stata unita ad un corpo per formare con esso questo tutto armonioso

e sostanziale che si chiama uomo (LXXV, 4).

204. Dunque l’anima umana non è stata unita accidentalmente al suo corpo?

No; l’anima umana non è stata unita accidentalmente al suo corpo, ma perché è fatta

per esso (LXXVI, 1).

205. Che cosa opera l’anima umana nel corpo a cui è unita?

Essa dà a questo corpo tutto ciò che ha come perfezione; vale a dire gli dà l’essere, il vivere ed il sentire, riservando a sé sola l’atto di pensare (LXXVI, 3, 4).

Capo XIV,

Le sue facoltà Vegetative e sensitive.

206. Dobbiamo ammettere nell’anima umana diverse facoltà che si riferiscono a questi diversi atti?

Sì; bisogna ammettere nell’anima diverse facoltà che si riferiscono a questi diversi atti, con la sola eccezione della prima perfezione che l’anima dona essa stessa, vale a dire l’essere del corpo (LXXVII).

207. Quali sono le facoltà dell’anima che danno al corpo la possibilità di vivere?

Le facoltà dell’anima che danno al corpo la possibilità di vivere sono le facoltà vegetative.

208. Potreste dirmi quali sono queste facoltà?

Sì; sono tre e cioè: la facoltà di nutrirsi, di crescere e di riprodursi (LXXVIII, 2).

209. Quali sono le facoltà dell’anima che danno al corpo la possibilità di sentire?

Le facoltà dell’anima che danno al corpo la possibilità di sentire sono le facoltà sensibili.

210. Potreste dirmi quali sono queste facoltà?

Sì; queste facoltà sono di due specie, cioè: le facoltà di conoscere e le facoltà di amare.

211. Quali sono le facoltà sensibili che danno al corpo li possibilità di conoscere?

Le facoltà sensibili che danno al corpo la possibilità di conoscere sono le facoltà dei cinque sensi esterni (LXXVIII, 3).

212. Come si chiamano le facoltà dei cinque sensi esterni?

Si chiamano facoltà di vedere, di udire, di sentire o di odorare, di gustare e di toccare (Ibid.).

213. Ed i cinque sensi esterni come si chiamano?

Si chiamano: la vista, l’udito, l’odorato, il gusto ed il tatto (ibid.).

214. Vi sono pure facoltà sensibili conoscitive, che rimangono interne senza che appariscano al di fuori?

Sì; e sono: il senso centrale, la immaginazione, l’istinto e la memoria (LXXVIII, 4).

Capo XV

La sua intelligenza ed il suo atto di conoscere.

215. Vi sono nell’uomo altre facoltà di conoscere?

Sì; vi è un’altra facoltà, di conoscere nell’uomo, ed è la sua facoltà principale.

216. Come si chiama questa facoltà principale di conoscere?

Si chiama ragione o intelligenza (LXXIX, 1).

217. Ragione od intelligenza sono una stessa facoltà di conoscere nell’uomo?

Sì; la ragione e la intelligenza sono nell’uomo una stessa facoltà di conoscere (LXXIX, art. 8).

218. Perché si chiama con questo doppio nome?

Si chiama con questo doppio nome perché nel suo atto di conoscere qualche volta percepisce subito senza bisogno di ragionare, mentre altre volte bisogna che ragioni (1bid.),

219. Il ragionamento è atto proprio dell’uomo?

Sì; il ragionamento è atto proprio dell’uomo; perché tra tutti gli esseri esistenti egli solo può ragionare, o può aver bisogno di ragionare,

220. È una perfezione per l’uomo il poter ragionare?

Sì; è una perfezione per l’uomo il poter ragionare; ma è una imperfezione l’averne bisogno.

221. Perché dite che per l’uomo è una perfezione il poter ragionare?

Perché così l’uomo può conoscere la verità; ciò che non possono gli esseri inferiori a lui quali sono gli animali senza ragione.

222. Perchè dite che è una imperfezione per l’uomo l’aver bisogno di ragionare?

Perché in tal modo non arriva a conoscere la verità che lentamente e con la possibilità di errare; mentre l’Angelo e Dio che non hanno bisogno di ragionare apprendono la verità in un solo istante e senza errore.

223. Potreste dirmi che cosa significa conoscere la verità?

Conoscere la verità significa sapere ciò che è.

224. E non sapere ciò che è che cosa vuol dire?

Vuol dire essere nella ignoranza o nell’errore.

225. Vi è differenza tra queste due cose: essere nella ignoranza ed essere nell’errore?

Sì; vi è una grandissima differenza tra l’essere nella ignoranza ed essere nell’errore; perché essere nella ignoranza è semplicemente non sapere ciò che è; mentre essere nell’errore è affermare che una cosa è quando non è, o che essa non è quando invece è.

226. È un male per l’uomo essere nell’errore?

Sì; è un male grandissimo per l’uomo essere nell’errore; perché il bene proprio dell’uomo consiste nella verità che è il bene della sua intelligenza;

227. L’uomo nascendo porta seco la verità?

No; l’uomo nascendo non porta seco la verità; perché se egli ha fin da allora la intelligenza, non l’ha che allo stato di facoltà vuota, che per acquistare la verità deve attendere lo sviluppo sufficiente delle facoltà sensibili destinate ad aiutarla (LXXXIV, 5).

228. Quando incomincia l’uomo a conoscere la verità?

L’uomo incomincia a conoscere la verità all’uso di ragione, vale a dire circa il suo settimo anno di età.

229. L’uomo può conoscere tutto con la ragione?

No; l’uomo non può conoscere tutto di conoscenza propria con la ragione, considerando la ragione stessa nei soli limiti delle sue forze naturali (XII, 4; LXXXVI, 2, 4).

230. Quali sono le cose che l’uomo può conoscere naturalmente con la ragione?

L’uomo può conoscere naturalmente con la ragione le cose sensibili e tutto ciò che esse rivelano.

231. Può l’uomo conoscere se stesso con la ragione naturale?

Sì; l’uomo può conoscere se stesso con la ragione naturale; perché egli stesso è un essere sensibile che con l’aiuto di ciò che cade sotto i suoi sensi può, per via di ragionamento, conoscere quello che si richiede per essere ciò che è (LXXXVII).

232. Può l’uomo conoscere gli Angeli, ossia i puri spiriti?

L’uomo non può conoscere che imperfettamente gli Angeli o puri spiriti.

233. Perché l’uomo non può conoscere che imperfettamente gli Angeli o puri spiriti?

Perché non può conoscerli in se stessi, a motivo della loro natura che non appartiene alle nature sensibili, oggetto proprio della ragione dell’uomo (LXXXVIII, 1,2).

234. Può l’uomo conoscere Dio in Se stesso?

No; l’uomo non può naturalmente conoscere Dio in Se stesso, essendo Egli infinitamente superiore alle nature sensibili, che sono il solo oggetto proporzionato alla ragione dell’uomo nell’ordine della sua conoscenza naturale (LXXXVII, 3).

235. Dunque solo imperfettamente l’uomo può conoscere. Dio con la sua sola ragione, abbandonata alle sole sue forze naturali?

Sì; soltanto in modo imperfetto l’uomo può conoscere Dio con la sua ragione, abbandonata alle sole sue forze naturali.

236: È tuttavia una perfezione per l’uomo di poter conoscere Dio con la sua ragione?

Sì; è una perfezione grandissima per l’uomo di poter conoscere sebbene imperfettamente Dio con la sua ragione; perché con questo si innalza infinitamente sopra gli altri esseri che non hanno la ragione, e perché con ciò stesso ha potuto essere elevato alla suprema dignità di figlio di Dio per mezzo della grazia, con la quale la sua ragione è chiamata a conoscere Dio come è in Se stesso; ora imperfettamente con la fede, e dopo nella piena chiarezza della luce di gloria (XII, 4 ad 3, 5, 8,10, 13).

237. Innalzato così alla dignità di figliuolo di Dio per mezzo della grazia, l’uomo è potuto divenire simile agli Angeli? »

Sì; innalzato alla dignità di figliuolo di Dio per mezzo della grazia, l’uomo diviene in qualche modo simile agli Angeli, potendo anche essere superiore ad essi nell’ordine della grazia, quantunque resti loro inferiore nell’ordine della natura (CVII, 8).

Capo X

Sue facoltà di amare. – Libero arbitrio.

238. Vi sono nell’uomo altre facoltà oltre le facoltà di conoscere?

Sì; nell’uomo vi sono anche le facoltà di amare.

239. Che cosa intendete per facoltà di amare nell’uomo?

Intendo il potere che è in lui di volgersi con moto affettivo verso tutto ciò che dalle sue facoltà conoscitive gli vien presentato come un bene, e di ritrarsi da tutto ciò che gli vien presentato come un male.

240. Vi sono più specie di facoltà di amare nell’uomo?

Sì; vi sono due specie di facoltà di amare nell’uomo, in ordine alle due specie di cognizione che sono in lui.

241. Come si chiama la prima specie di facoltà di amare nell’uomo?

Si chiama cuore, nel senso affettivo sensibile dato a questa parola (LXXXI).

242. E come si chiama la seconda specie di facoltà di amare nell’uomo?

La seconda specie di facoltà di amare nell’uomo si chiama volontà (LXXXII).

243. Si può dare il nome di cuore anche alla volontà nell’uomo?

Sì; si può dare il nome di cuore anche alla volontà nell’uomo, ma in senso più alto ed affatto immateriale.

244. Quale è la più perfetta delle due facoltà di amare nell’uomo?

È la volontà.

245. L’uomo è detto dotato di libero arbitrio per la volontà?

Sì; per la volontà l’uomo è detto dotato di libero arbitrio; perché la volontà non volgendosi da se stessa e necessariamente che al bene sotto la ragione generale di bene, resta padrona del suo atto ogniqualvolta si tratta di un bene particolare qualunque, potendo insieme volerlo e non volerlo (LXXXIII).

246. È la volontà sola che costituisce il libero arbitrio dell’uomo?

No; non è la volontà sola che costituisce il libero arbitrio dell’uomo; ma la volontà in unione con la intelligenza ossia con la ragione.

247. L’uomo, per la sua intelligenza e la sua volontà dotata di libero arbitrio, è il re della creazione nel mondo dei corpi?

Sì; l’uomo per la sua intelligenza e la sua volontà dotata di libero arbitrio è il re della creazione nel mondo dei corpi, essendo tutti gli altri esseri del mondo dei corpi al di sotto di lui per la loro natura, ed essendo tutti fatti per servirlo nel viaggio di ritorno verso Dio per mezzo degli atti del suo libero arbitrio.

Capo XVII.

L’origine dell’uomo, ossia la sua creazione e la sua formazione da parte di Dio.

248. Gli uomini che sono attualmente sulla terra e tutti quelli che li hanno preceduti, vengono da un solo padre e da una sola madre?

Sì; tutti gli uomini che attualmente sono sulla terra e quelli che li hanno preceduti vengono da un solo padre e da una sola madre.

249. Come si chiamano il primo uomo e la prima donna da cui sono nati tutti gli uomini?

Si chiamano Adamo ed Eva.

250. Chi è stato il creatore di Adamo e di Eva?

Dio è stato il creatore di Adamo e di Eva.

251. Come ha creato Dio Adamo ed Eva?

Dio ha creato Adamo ed Eva dando loro il corpo e l’anima.

252. Come ha dato Dio l’anima ad Adamo ed Eva?

Dio ha dato l’anima ad Adamo ed Eva creandola (XC, 1, 2).

253. Come ci ha detto Dio che aveva dato il corpo ad Adamo ed Eva?

Dio ci ha detto che aveva dato il corpo ad Adamo formandolo Egli stesso dal fango della terra, e che aveva dato il corpo ad Eva formandola da una costola di Adamo (XCI, XCII).

254. Dobbiamo dire che l’uomo è stato fatto ad immagine e somiglianza di Dio?

Sì; dobbiamo dire che l’uomo è stato fatto ad immagine e somiglianza di Dio (XCII).

255. Che cosa vogliamo dire quando diciamo che l’uomo è stato fatto ad immagine e somiglianza di Dio?

Vogliamo dire che Dio ha dato all’uomo una natura è tali operazioni, che in ciò che hanno di più nobile ci permettono di intravedere ciò che è Dio nella sua natura spirituale e nella vita intima delle sue tre auguste Persone, e di imitare la perfezione che è la caratteristica delle Persone divine (XCIII, 5-9).

256. Potreste mostrarmi in qual modo la natura e le operazioni dell’uomo in ciò che hanno di più nobile permettano di intravedere ciò che è Dio nella sua natura spirituale e nella vita intima delle sue tre auguste Persone?

Ciò avviene inquantochè l’anima nostra nella sua parte superiore è anch’essa una natura spirituale, le cui operazioni più alte sono l’atto di pensare e di amare, elevandosi sino alla prima verità ed al primo bene che è Dio stesso.

257. Come possiamo intravedere in questo atto di pensare e di amare la vita intima delle tre auguste Persone della Santissima Trinità?

Perché la nostra mente quando pensa a Dio concepisce un verbo interiore in cui ritrova il suo oggetto, e sotto la pressione di questo pensiero che concepisce il verbo, si produce l’atto di amore verso il medesimo oggetto che la mente ha concepito (XCIII, 6).

258. Come possiamo noi imitare la perfezione che è la caratteristica delle Persone divine?

Noi possiamo imitare la perfezione che è la caratteristica delle Persone divine facendo di Dio concepito ed amato nel nostro spirito, e nel nostro cuore, il primo ed ultimo oggetto di tutta la nostra vita pensante ed amante (XCIII, 7).

259. Non vi è che l’uomo nel mondo corporeo che sia stato fatto ad immagine e somiglianza di Dio?

Sì; non vi è che l’uomo che è stato fatto ad immagine e somiglianza di Dio nel mondo corporeo, in ragione della sua natura spirituale (XCIII, 2).

260. Le altre creature del mondo corporeo non conservano niente di Dio che le ha fatte?

Sì; le altre creature del mondo corporeo conservano in sé il vestigio ossia la traccia di Dio che le ha fatte, in ragione delle perfezioni di ordine inferiore che sono in esse (XCIII, 6).

Capo XVIII

Lo stato di felicità in cui fu creato.

261. L’uomo fu creato da Dio in uno stato di grande perfezione?

Sì; l’uomo fu creato da Dio in uno stato di grande perfezione.

262. Potreste dirmi che cosa comportava questo stato di perfezione in cui l’uomo fu creato da Dio?

Questo stato di perfezione in cui l’uomo fu creato da Dio comportava: una scienza completa senza ombra di errore nella sua intelligenza; la giustizia originale e tutte le virtù nella sua anima e nel suo cuore; l’impero assoluto dell’anima sul corpo e sopra ogni altra creatura inferiore all’uomo (XCIV, XCV, XCVI).

263. Questo stato di perfezione era soltanto proprio del primo uomo, oppure doveva essere comune a tutti nel corso delle generazioni?

Era proprio di Adamo per quanto riguarda la scienza; ma la giustizia originale ed i doni di integrità dovevano comunicarsi a tutti per ragione di origine, essendo – inseparabili

dalla natura fintantoché non ne fosse stata spogliata dal peccato (XCIV, CI, 1).

264. Sarebbe dovuto morire l’uomo nello stato in cui fu creato da Dio?

No; l’uomo non sarebbe dovuto morire nello stato in cui fu creato da Dio (XCVII, 1).

265. Avrebbe potuto soffrire l’uomo nello stato in cui fu creato da Dio?

No; l’uomo non avrebbe potuto soffrire nello stato in cui fu creato da Dio, perché la

sua anima per un privilegio speciale avrebbe tenuto il corpo come al riparo da ogni male, ed essa stessa non sarebbe potuta essere da niente contrariata, fintantochè fosse rimasta sottomessa a Dio per sua volontà (XCVII, 2).

266. L’uomo fu dunque creato da Dio in un vero stato di felicità?

Sì; l’uomo fu creato da Dio in un vero stato di felicità.

267. Questo stato di felicità in cui l’uomo fu creato da Dio, era lo stato della sua ultima e perfetta felicità?

No; questo stato di felicità in cui l’uomo fu creato da Dio non era lo stato della sua ultima e perfetta felicità, perché era temporaneo e doveva essere seguito da un altro stato definitivo (XCIV, 1 ad 1).

268. Come si potrebbe dunque chiamare questo, stato di felicità in cui l’uomo fu creato da Dio?

Si potrebbe chiamare uno stato di prima felicità che doveva preparare l’uomo a ricevere, per via di merito, lo stato di ultima felicità a titolo di ricompensa (XCIV, 1 ad 2; XCV, 4).

269. Dove avrebbe ricevuto l’uomo questo Stato di ultima e perfetta, felicità se fosse rimasto fedele?

Lo avrebbe ricevuto nel cielo della gloria con gli Angeli, dove Dio lo avrebbe trasferito dopo un certo tempo di prova (XCIV, 1 ad 1).

270. Dove stava l’uomo ad attendere di essere trasferito nel cielo della gloria?

Stava in un giardino di delizie preparato da Dio per accoglierlo (CII).

271. Come è stato chiamato questo giardino di delizie?

È stato chiamato Paradiso terrestre (Ibid.).

LA SUMMA PER TUTTI (5)

LO SCUDO DELLA FEDE (166)

A. D. SERTILLANGES, O. P.

CATECHISMO DEGLI INCREDULI (II)

[Versione autoriz. Dal francese del P. S. G. Nivoli, O. P. – III ristampa. S. E. I. – Torino 1944]

II. — La Provvidenza.

D. Tu spesso adoperi l’uno per l’altro questi due vocaboli: Dio, e la Provvidenza; è forse perché, secondo te, il compito provvidenziale è essenziale a Dio?

R. Esso è talmente essenziale che, senza la Provvidenza, si domanda se sarebbe ancora utile parlare di Dio.

D. Qual è la sua nozione precisa? Tu senza dubbio chiami provvidenza il governo divino.

R. In digrosso, sì; ma passa una differenza. Il governo divino rappresenta piuttosto l’esecutivo, la provvidenza il legislativo, nel regime eterno. Dio è provvido, in ciò che i destini universali e particolari hanno da Lui il loro orientamento e la loro forma, e per conseguenza, il concetto di quest’ordine, di questi destini, è incluso nell’oggetto dell’Intelligenza prima.

D. Ciò suppone che Dio conosca tutto.

R. difatti conosce tutto, ma come la conoscenza di qualsiasi cosa potrebbe sfuggire a Dio, che è la causa di tutto l’essere, e che ha causato tutto per via d’intelletto?

D. Certamente Dio conosce tutto, ma in generale?

R. La cognizione di Dio all’opposto è eminentemente particolare e precisa; conosce tutto nei minimi particolari, fino all’intimo degli esseri e dei cuori. E come giudicare altrimenti senza fare di Dio un uomo ingrandito, un cervello astratto, invece della Causa suprema? Le generalità non sono che nozioni; Colui che conosce solo queste non conosce veramente quello che esse comprendono, e per questo il Dio dei deisti, così contegnoso e così sicuro di sé, non è che un fantoccio intellettuale. La scienza creatrice si deve estendere e si estende appunto sopra l’essere, sopra la realtà dell’essere in tutte le sue manifestazioni,

D. In questo caso, Dio non conoscerà punto l’avvenire, che non esiste.

R. Anche l’avvenire è compreso nell’essere; esso fa parte della creazione totale, che include il tempo come include lo spazio, o una qualsiasi qualificazione del creato.

D. Nondimeno l’avvenire non è presente, e come conoscere presentemente quello che non è presente?

R. Possiamo noi stessi ciò fare in un certo caso, ed è quando l’avvenire ci è presente nella sua causa. Io so che il sole sorgerà domani, perché la causa che lo ricondurrà sul nostro orizzonte è già in opera, perché la vedo operare, e prevedo facilmente a qual punto dell’opera sua sarà essa domani mattina. Ma non so ciò che deciderai domani, tu, essere libero, perché ciò non è determinato da una natura delle cose che io possa decifrare oggi, perché per giunta ciò non è determinato da te stesso. Domani farai quello che vorrai. Ma questa impossibilità in cui io mi trovo di conoscere l’avvenire non dipende che da una sola cosa, ed è che la mia cognizione è nel tempo, come gli oggetti ai quali essa si rivolge. La mia mente funziona oggi, tu opererai domani: non vi è coincidenza; l’incontro non ha luogo tra la mente e il fatto. Ma se la mia mente fosse fuori del tempo, se comprendesse il tempo, io vedrei che cosa faresti domani come vedo quello che fai oggi; non ci sarebbe alcuna differenza. Ora tal è il caso di Dio. Dio non è nel tempo; la sua cognizione non è successiva; al pari del suo essere, essa non si svolge punto, e perciò vede l’opera sua tutta quanta con un semplice sguardo, con uno sguardo eterno.

D. Tuttavia Iddio dura, e non si dice eterno se non perché dura sempre?

R. Niente affatto; se Dio è eterno, è perché non dura punto. Se dici che dura, aggiungi subito: Egli dura tutta la sua durata a un tempo. L’eternità non è una durata infinitamente lunga, è una durata senza lunghezza; non è una successione infinita d’istanti, ma un unico istante ricco di una vita senza termine, d’una vita senza vicissitudini, senza divenire.

D. Così il tempo non esiste per Dio, e se esiste per noi è indubbiamente in ragione di una illusione soggettiva?

R. Il tempo non è un’illusione, ma è una realtà creata, e che perciò non può imporre le sue condizioni al Creatore. Dio è affatto indipendente da esso. Dio vede l’opera sua davanti a sé con la sua durata, come la vede con gli altri suoi caratteri; la vede col suo passato, col suo presente e col suo avvenire, come si vede un oggetto con la sua lunghezza, con la sua larghezza e con la sua profondità. Presente, passato e futuro appariscono a Lui, se si può usare questa parola, a modo di presente, senza essere per questo qualificati presenti.

D. Parlando così, non si prende forse qualche cosa dalle teorie di Einstein, per il quale il tempo è come una quarta dimensione delle cose?

R. Propriamente parlando, no; ma è certo che un partigiano della relatività è ben preparato a comprendere quello che io spiego, poiché egli dice con Eddington: «Secondo il punto di vista della teoria della relatività, gli avvenimenti non si producono; ma sono al loro posto, e noi li ritroviamo seguendo la nostra linea di universo , oppure con Cunningham « La storia intera di un sistema di avvenimenti fisici si spiega sotto i nostri occhi come una entità priva di cambiamento ».

D. Ma il compito della Provvidenza non richiede solamente la cognizione, ma suppone anche che questa cognizione faccia legge, dunque c’è in Dio una volontà, e una volontà sovrana?

R. Infatti, Dio è volontà, e come la sua scienza comprende tutto, così la sua volontà si applica a tutto, ed è sempre ubbidita, poiché, come tu dici, è la legge delle cose. Se certe cose, come i nostri atti peccaminosi, sembra che si allontanino dalla volontà di Dio, è senza dubbio perché lo vogliamo noi; ma è anche perché Dio lo vuole in un certo modo, cioè lo permette. – La sua volontà che cede provvisoriamente, nel disegno temporale, riforma più avanti, per mezzo del pentimento efficace o del castigo, la sua trama infrangibile, e, nell’eternità, non ha cambiato nulla di ciò che, eternamente, Dio ha concepito.

D. Dio è dunque onnipotente. Ma questa onnipotenza rassomiglia assai all’arbitrario.

R. L’onnipotenza di Dio non è per nulla arbitraria; essa è fedele e giusta; è amante e misericordiosa. Dio dà a ciascuna creatura quello che le è dovuto, secondo la sua natura e il suo posto nell’insieme; Egli sovviene alle miserie degli esseri, dopo averli sollevati dal nulla, miseria suprema. E li ama; perché nessun altro motivo che l’amore lo può inclinare ad agire, a dare, a reggere, visto che Lui stesso non ha bisogno di niente e operando non acquista niente, a tal segno che S. Tommaso dice di Lui: « Egli solo è liberale; perché la stessa generosità, negli uomini, è destinata ad arricchire loro stessi della miglior ricchezza ». –  « È cosa più beata dare che ricevere, disse il Signore Gesù ». Ma Dio porta in se stesso la sua felicità.

D. Attrezzato in tal modo, se così posso dire, il tuo Dio ha di che essere provvido; ma l’esercizio del suo compito si presta a molte difficoltà. Perché, insomma, in questa concezione, tutti gli elementi si trovano fissati, preordinati nello stesso tempo che previsti, e non è più possibile che nessuno sfugga in quanto appunto ciascuno è sottomesso alla provvidenza, e Dio non può sfuggire a se stesso.

R. È veramente quello che noi pretendiamo.

D. Ma se tutto è fissato, anticipatamente (si può dire, poiché secondo te Dio non è nel tempo); se tutto è scritto; se il libro eterno porta i nostri destini e quelli della natura nei suoi fasti, e se, in questo libro, non è ammessa alcuna cancellatura, alcuna traccia di derogazione per minima che sia, che cosa diventano la libertà e il caso? a che servono le stesse necessità, come le chiamano, della natura, e come sì può spiegare il male?

R. Abbiamo qui infatti problemi difficili, e non saranno soverchie tutte le nostre riflessioni per recarvi un po’ di luce.

D. Parliamo anzitutto delle necessità naturali. Non sono esse un fatto? Non è forse necessario che vi sia alla tale data un’eclisse, alla tal altra un passaggio di cometa, alla tal altra un’eruzione vulcanica, una tempesta, un cataclisma o una riforma e, in conseguenza, miriadi di effetti? Ora, se queste cose son necessarie, non si ha bisogno di Dio per reggerle. La vera provvidenza a questo riguardo, sono le leggi del mondo.

R. Si direbbe un errore impossibile a sradicare il voler vedere un’opposizione tra l’idea di necessità e quella di provvidenza. Eppure, che illusione! Il necessario che non è Dio stesso non deve forse dar ragione della sua necessità? Le conclusioni geometriche sono tutte necessarie; tuttavia, si dimostrano; per dimostrarle si risale ad antecedenti, e da antecedenti in antecedenti, se si spingesse la cosa sino a fondo, si risalirebbe fino alla Verità eterna. Così le necessità naturali che noi avviciniamo risalgono ad altre, queste altre ad altre ancora, fino a una Necessità prima, quella cosciente e necessaria in se stessa, ma libera verso tutto il resto, ed è Iddio. Noi ritorniamo così alla prova di Dio. Riguardo a Dio e alla provvidenza di Dio, le necessità naturali non sono che esecutrici, Così dev’essere certamente, poiché esse sono cieche e fanno un’opera intelligente; poiché sono determinate, ciascuna, a qualche cosa di preciso e compiono un disegno. Alla loro azione nel reale, vi è obbligo di supporre un antecedente ideale, una preconcezione, una prima costituzione dei fatti e dell’ordine di evoluzione che essi vogliono. E inoltre, essendo l’azione di Dio universalmente creatrice, la sua provvidenza, a dispetto degli agenti di esecuzione che essa si dà, è in realtà sempre immediata; i risultati devono essere ad essa attribuiti anzitutto. Con ciò, le leggi conservano tutto il loro impero, il necessario rimane quello che è, necessario; ma esso è tale per via di Dio.

D. Sia pure. Ma vi è il caso, vi è la libertà, e vi è il male.

R. Procediamo con pazienza e con ordine. Prima il caso. Noi non abbiamo voglia di eliminare il caso. Vi sono dei Cristiani che vi si credono tenuti per allontanarsi dal paganesimo, e per onorare Dio; ma è un’illusione. Il caso è un fatto, come la necessità, sulla quale esso si basa. La pioggia cade necessariamente; l’erba germoglia necessariamente; il caso lì non ha impero; ma che una pioggia sovrabbondante faccia marcire l’erba, è un caso, perché nessuna forza naturale tendeva per se stessa a questo risultato. Come vedi, il caso e la necessità sono solidali, e nello stesso modo che la necessità non sostituisce Dio, così neppure il caso lo elimina. Tutti e due sono suoi figli: tutti e due sono suoi servi; con tutti e due Egli eseguisce la sua provvidenza.

D. Ciò pare contradittorio. Quello che è previsto e predeterminato non potrebbe essere fortuito?

R. E se è previsto come fortuito? Se è predeterminato ad essere fortuito?

D. Ciò; dico, è contradittorio.

E. T’inganni; ma riconosco che la tua illusione è affatto naturale. Noi ragioniamo da uomini, pur parlando di Dio. Conveniamo tuttavia che il suo caso non è punto simile al nostro, ed è unico, perché si tratta del Creatore. Essere creatore è porre tutto; tutto, dico, senza eccezione, per conseguenza con tutti i caratteri di questo tutto, necessità e contingenza comprese. Quasi nessuno scorge quest’ultima condizione; ma mettiti la testa fra le mani, e cerca di pensare al Primo Essere. Il Primo Essere è sopra all’essere universale, poiché Egli lo crea. Il Primo Essere non è un essere nel senso umano della parola, ma un Super-Essere. Esso, dunque, non è neppure una causa nel senso umano della parola, ma una Super-Causa, e ne segue che la sua azione non ricongiunge le azioni create, non si compone con esse, non le sostiene né le contradice nel loro ordine stesso; queste azioni create restano dunque quello che sono, contingenti, se sono contingenti, necessarie se sono necessarie. Eppure Dio le pone, senza di che esse non sarebbero né contingenti né necessarie, perché non sarebbero affatto.

D. Un esempio chiarirebbe la cosa.

R. Supponiamo che Dio crei tutto a un tratto, davanti a noi, una fabbrica di tessitura in cui vi fosse un tessitore seduto davanti al suo-telaio e facesse della tela. È Dio che ha creato quell’insieme: egli dunque risponde di tutto, fino ai minimi particolari. Ecco dunque i muri, ecco l’uomo, ecco il telaio, ecco la tela che si fa, la tela che è fatta: tutto è di Dio, tutto si deve finalmente riferire a Dio. Ma ciò impedisce forse che quest’uomo lavori con tutta tranquillità, subisca certe necessità del suo lavoro, e anche certi casi, ai quali dovrà mettere ordine, se può? Tutto ciò cammina come se non vi fosse Dio. Forse l’uomo non sa che egli viene da Dio (è il caso degli atei). Forse non ci pensa punto (è ben sovente il caso nostro). Ma se non vi fosse Dio non vi sarebbe niente. È Lui che pone tutto. Ma ponendo tutto, non intralcia niente, perché la sua azione non viene ad inserirsi nella trama dei fatti e a farvi una parte dello stesso ordine di quello della necessità o del caso. Il suo compito è diverso,

D. In che consiste esso?

R. Esso è Creatore, vale a dire costituisce tutte le differenze che noi osserviamo tra le cose che chiamiamo necessarie o fortuite. Egli le costituisce, dunque non le distrugge; e che Egli crei del caso nell’interno dell’opera sua, ciò parimenti non impedisce al caso di essere caso più di quello che creare del necessario gl’impedisca di esser necessario.

D. Applicheresti questa dottrina alla libertà?

R. Sì, assolutamente. La mia fabbrica di tuttora, che Dio ha creata con tutti i pezzi insieme col suo tessitore e col suo telaio, contiene una libertà all’opera. Il tessitore lavora liberamente, così liberamente come se non vi fosse Dio, dicevo. Tuttavia Dio lo crea in tutti i suoi istanti, in tutti gli stadi del suo pensiero, in tutte le tappe della sua volontà, in tutti i momenti de’ suoi atti e in tutti i loro effetti, poiché la creazione è una cosa fuori del tempo, e avvolge il tempo tutto quanto, lo pone tutto quanto, con tutto ciò che esso racchiude. Perché questo toglierebbe qualcosa alla libertà? Ciò, all’opposto, costituisce la libertà, fornendole, in grazia di Dio Creatore, la sua ragione totale.

D. Comprendo male questa totalità.

R. L’uomo esiste appunto perché Dio lo crea, è uomo appunto perché Dio lo fa uomo; l’uomo è libero appunto perché Dio lo fa libero; usa della sua libertà appunto perché Dio lo crea facente uso della sua libertà; usa della sua libertà in tal senso, appunto perché Dio lo crea, attualmente, facente uso della sua libertà in tal senso.

D. Ma allora egli non è libero!

R. È libero come egli è, poiché per lui, in questo momento, essere è essere libero.

D. E Dio è causa anche di questo?

R. Dio è causa di tutto ciò che è. Senza Dio e senza l’azione di Dio, senza la sua azione totale; poiché tutto l’essere gli appartiene, niente di tutto ciò che noi qui notiamo sarebbe scritto, né la libertà, né il resto. Per lui tutto questo è, e tutto questo è ciò che è, la libertà come il resto. La libertà è dunque libera, anche sotto l’azione di Dio, la quale, del resto, non è veramente un’azione nel senso umano della parola, ma una super-azione, nello stesso modo che Dio è una Super-Causa, essendo un Super-Essere.

D. Il fatto del caso sì trova tutto qui?

R. L’errore testé rilevato a proposito del caso prende qui questa forma speciale di confondere le condizioni del funzionamento psicologico con la condizione trascendente che l’azione creatrice importa. Psicologicamente, l’uomo è libero tanto quanto se Dio non esistesse o non agisse, bisogna dirlo incessantemente. L’azione di Dio non è un elemento dell’azione umana, o che si aggiunga a questa azione, o che si componga con essa. Dio non interviene, nel senso in cui intervenire significherebbe che l’influsso di Dio venga a inserirsi nel nostro, e perciò a modificarlo o ad abolirlo. Dio crea, e la creazione non pone nel creato altro che una relazione di dipendenza. Questa dipendenza è totale; ma lascia quello che dipende tal quale esso è, libero se è libero, e quindi non incatenato. Insomma, non si tratta che di questo: il creato è creato; non è l’increato; l’essere derivato non è l’Essere primo; il mondo o l’uomo non sono Dio.

D. Io ti aspetto davanti al male.

R. Ne parlerò umilmente. Qui il mistero ci avvolge più che mai, ed è anche più che mai angosciante, poiché è un mistero morale, un mistero che mette in causa i nostri destini, e, quello che è anche più grave, e grave anche per noi, la santità di Dio.

D. Il primo male che io oppongo alla provvidenza è l’invisibilità della sua azione. Qui non sì ha da dire, tutto avviene come se non vi fosse Dio.

R. Un Cristiano non può non reputare offensive tali parole. Egli ti dirà con Joad: « Avrai dunque sempre occhi per non vedere, popolo ingrato!… ». Tutta la serie dei fatti evangelici, dei fatti biblici, tanti altri fatti che non si possono mettere in dubbio provano sovrabbondantemente le gesta di Dio. Ma questi sono avvenimenti straordinari. Vi ritorneremo sopra. Io dico che nella stessa vita quotidiana, un Cristiano non ti ammetterebbe che la provvidenza sia invisibile. La provvidenza è una sapienza, e le vie della sapienza sono spesso oscure; «le opere del Signore sono stupende, dice la Bibbia, e la sua azione tra gli uomini è nascosta ». Dio si mostra in tutte le cose come uno che agisce veramente in tutte le cose, e non vuole essere veduto; si può sempre contestare: è la parte dell’infedele; ma spesso le cose sono tali che non lo si deve fare: è la parte del fedele credente.

D. In realtà, non giudichi così in forza di confidenza?

R. Sì, per motivi di confidenza, e questa confidenza è giustificata in tante maniere che noi non pensiamo a difendercene; ma anche per esperienza, quando l’esperienza è attenta e seguita. Quanti tesori di certezza s’incontrano in questa via, quando ci si avanza con occhio e cuore aperto! Ogni uomo ha trovato Dio sul suo cammino, per poco che egli abbia posto mente a certi incidenti e coincidenze di avvenimenti, a certe affinità prestabilite d’un fatto, d’un concorso di fatti col proprio destino individuale, in cui vengono a inserirsi come dei pezzi di un meccanismo, o come una replica impressionante nel corso d’un dialogo in apparenza indipendente. L’azione della provvidenza è generalmente di questa forma, e appunto per questo la certezza sperimentale che ne hanno i credenti è incomunicabile agli altri. Ma nemmeno a Dio preme di convincere coloro a cui non preme di essere convinti.

D. Lasciamo questo; è il piccolo lato delle cose. Io perdono volentieri a una provvidenza invisibile; ma non potrei perdonare a una provvidenza causa del male, onde preferisco dire con Sthendhal, in faccia all’universo e alla vita tali quali mi appariscono: « La sola scusa di Dio è che Egli non esiste ».

R. Tu bestemmi con soverchia prontezza, e per giunta ti esprimi scorrettamente. Dio non è affatto causa del male, per l’eccellente ragione che il male, propriamente parlando, non ha causa. Il male non è cosa positiva, è una mancanza, e a questo riguardo, si può approvare la divertente espressione di Nietzsche: « Il diavolo non è che l’oziosità di Dio ».

D. Intanto il male si vede.

R. Si vede come l’ombra delle figure sullo schermo del cinematografo. L’ombra disegna tanto, quanto la luce; tuttavia non è niente; è l’assenza della luce. Così il male qualifica gli esseri e specialmente le anime, ma non è niente in se stesso; è l’assenza del bene.

D. Tuttavia il dolore

R. È un funzionamento imperfetto che l’anima nostra percepisce.

D. Il peccato

R. È una attività felice sopra un punto, quello che tenta il peccatore, ma che la ragione abbandona. Un vizio non è che una virtù mal collocata.

D. Sottoscrivi tu realmente quest’ultima formula?

R. S. Tommaso d’Aquino, poco amico del paradosso, sottoscrive questo: «Il male è un certo bene, come il falso è un certo vero ». Tu intendi che si tratta del male in quanto all’essere. Il male non ha altro essere che l’essere stesso del bene; esso non è affatto in se stesso.

D. Ammettiamo che il male non è affatto; nondimeno vi è il male.

R. Vi è il male e io non nego il problema che il male presenta.

D. Vi è di che invalidare tutte le tue prove di Dio; perché il Sommo bene e il male sono incompatibili.

R. Negare Dio a cagione del male è un espediente molto strano; perché l’argomento del negatore si rivolge contro di lui. Che cosa si rimprovera alla vita e alla natura? Dei difetti. Ma i difetti che si rilevano così nell’opera della Provvidenza suppongono la Provvidenza. Non si rileverebbero dei difetti in ciò che non presentasse nessun ordine, e se vi è un ordine, bisogna necessariamente che vi sia un Ordinatore. Si rimprovera forse a un mucchio di sabbia il disordine de’ suoi elementi? Si rimprovera il disordine a un cronometro, a una macchina utensile, a un organismo vivente, quando si guastano. Ora nello stesso modo si rimproverano alla natura i suoi scarti e i suoi mostri, alla vita le sue sventure e le sue colpe. Ciò avviene dunque perché la natura e la vita seguono un ordine, hanno una finalità, ubbidiscono a un pensiero. È dunque perché  sono rette da una Provvidenza.

D. Una Provvidenza in fallo?

R. Se la Provvidenza è in fallo, essa esiste, e se esiste, non è in fallo, siano noi che non sappiamo vedere abbastanza lontano.

D. Non senti la potenza di convincimento di questa sentenza: Vi è il male, dunque Dio non è?

R. Io le oppongo quest’altra: Vi è il bene, dunque Dio è.

D. Allora questo si equilibra, e non si sa di più.

R. Scusami, Il peso della seconda proposizione supera infinitamente quello della prima; perché anzitutto il bene domina, senza di che il mondo perirebbe, come un organismo affetto da malattia mortale. In secondo luogo, è certo che il bene, qualunque sia la sua dose, non si spiega senza Dio, e non è certo che il male non si spieghi con Dio. Agostino sfugge dicendo: «Dio non permetterebbe il male, se Egli non fosse così potente e così buono da farne uscire il bene ».

D. È una scappatoia, lo dici tu stesso.

R. È un atto di fede, e l’atto di fede è qui un obbligo logico, tanto quanto il fatto di un cuore consenziente. L’ordine generale del mondo ci sfugge: dunque ci manca ogni base logica per decidere direttamente se si tratti di un mostro piuttosto che di un sublime tenebroso. Ma la necessità di Dio non ci sfugge punto. Se Dio è, Egli è perfetto. Se è perfetto, l’opera sua, nel totale, è buona, ed ecco espulso il mostro. In altre parole, il male non c’invita a negare Dio se non quando noi lo giudichiamo senza Dio. Se vi è un Dio onnipotente e buono, il male cambia faccia; può bensì includere ancora un mistero, ma non più uno scandalo; questo disaccordo è sicurissimo di ritrovare il suo ordine, questa dissonanza la sua soluzione. Ora vi è bene ed ordine sufficiente per provare Dio, per poco che il male abbia soluzione possibile, e chi oserebbe dire che esso non ne abbia affatto?

D. Io, forse.

E. Che presunzione! Un giudizio sulla Provvidenza non appartiene che all’eternità. È proprio l’eternità che decide della contesa delle cose. Si possono fare due pitture del mondo: l’una magnifica e l’altra spaventosa. La sapienza non sta forse nel dire: Quello che io vedo di bene m’insegna a fidarmi del Creatore per il male che non comprendo? Sia per me il mio segreto! dice il Signore in Isaia; sia per me il mio segreto! e chi, per punirlo di questo segreto, vorrà accusarlo di falso contro quella espressione della sua gioia creatrice: « Dio vide tutte le cose che aveva fatto, ed erano grandemente buone »? In fondo, il mistero morale che aleggia sopra il mondo può condurci a Dio così come il mistero fisico. È « la presenza di un Dio che si nasconde », ci direbbe Pascal, e questa evidenza del male nel cuore di un’armonia meravigliosa, non è forse l’indizio d’un calcolo profondo, d’un volere superiore ai nostri motivi riguardanti ciò che è parziale e immediato, di una potenza così alta che ha il potere di trasformare il male e di fare di tutti i nostri lamenti un cantico?

D. Tu ragioni in generale; ma veniamo ai fatti. Vedi la natura: quante deviazioni, quanti indietreggiamenti, quante stragi, quante vite sacrificate, quanti germi che non maturano!

R. Che cosa obietteresti a chi ti rispondesse: Lo scopo di Dio qui è la germinazione stessa, questa prodigalità di vita, segno della sua infinita ricchezza e della sua onnipotenza?

D. Tu vedi un segno di Dio in questo universo sconvolto?

R. Il segno di Dio non sono gli sconvolgimenti, ma quella potente aspirazione verso l’essere, quell’eroismo costruttivo che non si arresta mai. La natura sale all’essere; ricomincia senza posa il suo sforzo; rinnova senza posa il suo slancio; quando la dicono crudele, è perché non si sa vedere a qual punto è innocente. Essa è la stessa innocenza. Si slancia verso la vita, ecco tutto. Gli esseri che essa anima non hanno parzialità; lavorano per la vita contro se stessi così come contro gli altri; basta solo vedere le api, le formiche, le termiti, i castori…, e sovente, gli uomini. Ciò che vuole essere prende la sua materia dove la trova, e a questo effetto distrugge (per costruire); fa soffrire (per crescere ed espandersi); fa morire (per vivere). Ma, in tutto questo, di voluto non vi è che la vita, l’essere, e l’immensa aspirazione a essere. Ecco l’immagine di Dio. « Il male, dice Paolo Claudel, è nel mondo come uno schiavo che fa salire l’acqua ». Il male, che in se stesso è una caduta, è non di meno, per la vita dell’universo, un mirabile stimolante; esso la fa rimbalzare sotto lo sforzo del bene. « Ogni cosa, serive Enrico Bergson, nel movimento che la sua forma registra, manifesta la generosità infinita d’un principio che si dà ». Questo giudizio è più serio che la sortita di Stendhal.

D. Tu dimentichi la sofferenza di tante creature innocenti, che le riuscite della natura non consoleranno punto.

R. Intendi di parlare degli animali?

D. Di essi prima.

R. Io confesso di non avere qui soluzione che mi soddisfaccia. Ma tu confessa che ciò non ci riguarda affatto. La psicologia animale ci sfugge; il destino animale non ci è rivelato. Sarebbe un grave errore credere che la bestia soffra come noi, specialmente che essa reagisca come noi alla sofferenza; si può pensare che ad onta di passeggeri dolori, le bestie sono felici. Tuttavia soffrono. Con quale occhio Dio le vede? Quale sistema di compensazioni ha Egli concepito per il passero che cade dal tetto in ragione delle leggi che Egli pone? Tali compensazioni sono richieste dalla sorte reale dei viventi inferiori e si trovano nella loro stessa costituzione, nelle reazioni di cui essi sono il soggetto? Ecco quello che non sappiamo.

D. Ma che sarà, se, dalla creazione inferiore, noi passiamo all’umanità!

R. Tutto all’opposto! La Provvidenza qui è facile a difendere, e dolce a vendicare.

D. Faresti tu un quadro idillico della vita?

R. Niente affatto; io constato all’opposto che il dolore e il peccato vi tengono un posto centrale; ma un centro si sposta fra estremi, qui tra un cominciamento e una fine. Il cominciamento è felice, ed è la nascita; se anche la fine è felice, tutto sarà bene, e noi potremo pronunziare l’Amen dell’Apocalisse, a lode del Padre supremo.

D. Chi ti dice che la fine sarà felice?

R. Ciò dipende da noi; mi riservo di fartelo vedere.

D. Ad ogni modo vi è il cammino.

R. Bisogna confessare che la Provvidenza è una terribile benefattrice; essa non è sentimentale; non è romantica; nondimeno è una benefattrice. Ameremmo noi che essa fosse vinta, e noi con lei, da troppa sensibilità? Essa pensa all’opera sua; pensa a noi stessi, e procede con tutta l’energia che ci vuole, simile in ciò a tanti uomini che non raccolgono che le nostre lodi. Quante verghe nelle mani dei genitori! quanti pensi inflitti dal maestro di scuola! quanti veleni nelle vetrine del farmacista! Quante pinze e coltelli nella sala del chirurgo! Quanti strumenti di tortura nel laboratorio dell’ortopedico?

D. Che cosa significano questi esempi?

R. Per comprendere il chirurgo, il farmacista o l’ortopedico, bisogna sapere il pregio della salute; per accettare il penso e le verghe, bisogna pensare all’educazione; per dire di sì alla Provvidenza, ai suoi rigori e al suo mistero, bisogna ricordare la vita eterna, e in essa, sotto forme che ci sfuggono, ricordare il rovescio di tutti i nostri valori di vita.

D. E se non si crede alla vita eterna?

R. Allora, oso dire che si ha il diritto di non credere neppure nella Provvidenza; queste due verità sono legate insieme; ma la seconda, essendo certissima, deve servire a confermarci la prima, avanti che il dubbio sulla prima venga a indebolire o a invalidare la seconda. « Le prove che concludono sono qualche cosa di positivo, dice Pascal; e le difficoltà sono semplici negazioni, che provengono dal non vedere tutto ».

D. Come non dubitare davanti alla sventura?

R. Noi dimentichiamo che un male non è mai se non la cessazione di un bene. Per il male, noi accusiamo Dio; per il bene, noi ci contentiamo del silenzio, o di nuove esigenze, o dell’abuso. Crederemmo facilmente alla Provvidenza, se gli avvenimenti favorissero sempre i nostri desideri.

D. Si può ritorcere l’argomento, e dire: Se tu credi così facilmente alla Provvidenza, è certamente perché gli avvenimenti non contradicono troppo è tuoi desideri.

R. Chi sa! Ma supponiamo questo. Allora dirò che questa situazione pacifica è forse la miglior condizione per giudicare il caso. Si ricusa un giudice troppo interessato; si teme che si appassioni e non sia più equo. Parliamo chiaro: per essere contenti della Provvidenza o solo per crederci, vorremmo che essa fosse per noi come un distributore automatico, in cui non ci fosse da mettere moneta.

D. Io chiederei solo quello che tu chiami una situazione pacifica.

R. Non è forse questo, a dispetto dei nostri lamenti, il caso nostro più frequente? Il caso stesso si estenderebbe molto lontano, se sapessimo contribuirvi con un po’ di pazienza. Gusta il nobile linguaggio del grande Arnauld, che dice a Dio: « I mali di questo mondo spaventano quando si guardano da lontano, ci si adatta quando ci si trova, e la tua grazia rende tutto sopportabile ».

D. « Sopportabile », è dunque abbastanza per Dio?

R. È abbastanza per questo tempo. Se questo mondo fosse sufficiente, non vi sarebbe ragione perché ve ne fosse un altro. Se la nostra destinazione ha delle tappe, non bisogna domandare alla prima di rappresentare tutto il nostro bene perfetto. Del resto cessiamo di accusare Dio; la sua incarnazione dolorosa ci proverà che le sue ragioni di permettere il male sono senza dubbio potenti, e che l’indifferenza non c’entra per nulla, poiché, non credendo di potere eliminare il patire, Egli lo condivide; non credendo di dovere scacciare il male morale, ne fa la sorgente dei più alti valori, ne’ suoi figli coraggiosi. Dio non paventa la sua pena più che la nostra, se così posso dire, né la nostra più che la sua; Egli mira allo scopo; i mezzi più atti fissano la sua scelta; le condizioni del compito lo trovano fermo, e quando, ciecamente, la sua materia vivente gli resiste, Egli taglia senza paura, in mezzo alle grida.

D. Tu supponi sempre che il dolore giovi.

R. Esso non è fatto se non per questo, e dipende da noi, con Dio, che esso faccia la parte sua, come in un apparecchio fumivoro il fumo si cambia in fuoco. Dio vuole che il dolore provochi in noi un’aspirazione, non una depressione; un progresso, e non una caduta. Egli ci ha messi in questo mondo per provarci, formarci, e ci si prova e ci si forma certamente mediante la gioia, che però esige una felice padronanza di se stesso; ma la prova nel senso triste della parola è inoltre spesso necessaria. Prova, misura delle forze, controllo del buon volere, esperienza di ciò che noi vagliamo con la mira di farci valere di più: non è forse questo lo stato normale di un essere che fa il suo tirocinio, come sempre stiamo facendo quaggiù? Quanto più studio le persone felici, scrive il Lacordaire, tanto più sono spaventato della loro incapacità divina. Noi siamo fatti per il divino, per la salita dalla materia verso lo Spirito, e lo spirito è una fiamma che il sacrifizio della sua cera esalta, e le resistenze della sua cera possono spegnere. Se Dio è spirito e ci ha fatti per lo spirito, che meraviglia se anche la bontà di Dio sia dell’ordine dello spirito, e che Dio bruci tutto il resto, quando è necessario per il bene dello spirito?

D. Ci si tratta come dei colpevoli.

È. Non abbiamo noi niente da espiare? « Con quale facilità perdoniamo a noi le nostre colpe, dice Bossuet, quando la fortuna ce le perdona! ». Se la fortuna, questa ancella di Dio, ci usa qualche rigore, non sarà un benefizio? Bisogna espiare per sé; bisogna espiare anche per gli altri; Cristo ha espiato per tutti, e tutte le croci del mondo, Calvario infinito, si stringono attorno alla sua; infatti, come ci dichiara S. Paolo, alla Passione di Cristo manca qualcosa, finché per solidarietà fraterna, in Lui, gli uni per gli altri, noi non compiamo il laborioso e sublime riscatto.

D. Bisogna espiare, dici tu; ma ciò è affatto negativo, e la vita è accrescimento. Non bisogna forse essere in possesso di tutte le proprie forze, per meritare?

R. Si merita con ogni azione retta; ma il dolore accettato per amore è la più alta occasione di merito e di lavoro che questa vita ci possa presentare. È il lavoro del Calvario. Il pagano, quando soffre, crede volentieri che il suo Dio l’abbandoni; il Cristiano invece, ricordandosi del Calvario, pensa che il suo Dio è più vicino a lui, che il suo Dio lo trascina: per la mano, per la nuca, per i capelli, che importa? Egli riconosce il suo divin Maestro dalla sua spietata dolcezza. Egli consente perché crede; non prova più violenza, perché ama. Sopra la croce, come Gesù, con Gesù stesso, egli si sente sulla via del cielo.

D. Questi sentimenti sono frequenti tra voi?

R. Sono troppo rari; ma quel che è ben certo si è che sono il pacificamento e la semplificazione di tutta la vita.

D. Il tutto è di vedere.

R. In questo dominio quello che si vede abbaglia; quello che illumina è appunto quello che non si vede.

D. Tremo nondimeno per la responsabilità del tuo Dio.

R. Quando avremo soppresso da questo mondo la dose di male di cui siamo noi stessi responsabili, saremo in una migliore condizione per domandare dei conti a Dio. Ma non ci penseremo più.

D. Io ritorno alla filosofia generale del caso, e vorrei, riguardo al male, tutto l’insieme delle tue vedute.

R. Ecco, liberamente interpretata, la tesi di S. Tommaso. Il male non è qualche cosa che Dio abbia fatto, e che avrebbe dunque potuto dispensarsi dal fare. Il male è una deficienza; è un’imperfezione di ciò che è. Un uomo dovrebbe camminare diritto; ma la sua gamba è corta: egli zoppica. Dovrebbe operare bene; ma una passione lo trascina: egli devia. Che cosa ci vorrebbe per evitare questo doppio male, per evitarlo immancabilmente? Bisognerebbe che l’uomo fosse perfetto, fisicamente e moralmente. E bisognerebbe per giunta che non potesse essere sloggiato da questa perfezione né per assalti esterni, né per se stesso. Si domanda così, senza saperlo, un universo molto strano, assai diverso da quello che noi vediamo. A costituirlo nella nostra mente, urteremmo costantemente in impossibilità, e alla fine dei fini, se spingessimo sino a fondo la prova, ci troveremmo di fronte a un’impossibilità suprema, che è questa: Un universo perfetto è impossibile.

D. Perché ciò?

R. L’universo si stabilisce discendendo, a partire da Dio, la scala che noi risaliamo per andare incontro al primo Principio. L’universo si stabilisce per derivazione, per digradazione a partire dal Sommo Bene, in virtù di partecipazioni graduali, ciascuna delle quali esprime Dio a suo modo, ciascuna delle quali è dunque buona, ma necessariamente deficiente; il perfetto non si realizza due volte. Che se ciascuna cosa è imperfetta, l’universo è necessariamente imperfetto. Dunque esso è, in una misura qualunque, il soggetto del male. Potremmo soltanto domandarci che cosa è che ha determinato la misura, e se questa misura era tale che il Creatore la volesse alla bella prima. Noi vedremo questo. Ad ogni modo, ne segue che il mondo sia cattivo? No. Dalla diversità delle nature e dalla loro imperfezione nascono degli urti che si possono chiamare mali in se stessi, ma che sono nondimeno il prezzo di un bene. Questo bene è l’ordine; è la varietà dei beni singolari, sono le gradazioni, gli scambi; è la vita della natura, ed è la vita umana co’ suoi mali senza numero, con le sue onte, co’ suoi difetti, ma anché co’ suoi splendori. Sarebbe meglio che tutto questo non fosse punto? Affinché la pecora non fosse mangiata dal leone, sarebbe meglio che non vi fossero né pecore né leoni, o unicamerite delle pecore, o unicamente dei leoni? Ma il bene che rappresenta il leone e il bene che rappresenta la pecora, sono due beni preziosi, e che non sono commutabili. Ciascuno è unico, insostituibile dall’altro e da nessun altro. Di modo che sopprimere il male, qui, sarebbe impoverire l’essere, impoverire l’universo. E così avviene di tutto il resto. Vi sono dei ladri; vi sono dei dissoluti; vi sono dei manigoldi. Ma se non vi fossero dei manigoldi, non vi sarebbero parimenti dei generosi martiri. Se non vi fossero dei dissoluti e dei ladri, non vi sarebbe, nell’insieme né libertà del male, né difficoltà del bene, e allora non vi sarebbe parimenti occasione di vittoria, né possibilità di conquista nell’ordine morale. L’indolenza può stimare che ciò sarebbe meglio; ma gli eserciti non si organizzano per i codardi né le scuole per i gamberi, né i salotti per gli sciocchi. La natura è una lotta, anche la vita; ma alla fine Dio premia il trionfo, e, tra le creature ragionevoli, vi sarà associato colui che l’avrà seriamente voluto.

D. Strana alternativa! Sî crederebbe di vedere Dio e satana

che lottano a parità di forza.

R. Il bene ha più forza in bene che il male in male. Il primo ha più valore di quel che conta il secondo. Non vi è forse maggiore utilità, dice S. Tommaso, a far sì che la casa sia salda e salga in alto, di quel che si abbia noia a scavare nella terra le sue fondamenta? Molte cose sono sepolte nell’opera di Dio; ma quest’opera sale. Il male è male; ma che possa esservi del male è un bene. Tutto dipende dal risultato, e chi può dire che esso sia cattivo, che sia insufficiente? Chi oserebbe dire: Signore, non valeva la pena! Il vostro universo ha cagionato troppe rovine; la vostra umanità ha conosciuto troppi orrori; noi non vogliamo sottoscrivere per voi un’opera simile; come l’empio del Salmo, noi preferiamo dire nel nostro cuore: Non vi è Dio!… È meglio, non è vero? confessare, come Giobbe dopo la riprensione dell’Eterno: Ho parlato senza intelligenza delle meraviglie che sono a me superiori e che ignoro; perciò condanno me stesso e’ mi pento, nella polvere e nella cenere.