TEMPO DI PENTECOSTE

TEMPO PASQUALE – 3.

I. — Commento dogmatico: Pentecoste.

Pasqua e Pentecoste, coi cinquanta giorni intermedi sono considerate come formanti una sola festa. In essa si celebra prima il trionfo di Cristo, poi il suo ingresso nella gloria e finalmente, al cinquantesimo giorno, l’anniversario della nascita della Chiesa. La Risurrezione. l’Ascensione e la Pentecoste appartengono al mistero pasquale. « Pasqua è stata il principio della grazia, la Pentecoste ne è il compimento », dice S. Agostino, poiché le Spirito Santo vi completa l’opera di Cristo. E l’Ascensione, posta al centro di questo trittico del Tempo pasquale, unisce queste due  feste. Con la sua risurrezione Gesù Cristo ci ha reso i nostri diritti alla vita divina, e alla Pentecoste lì applica alle anime nostre comunicandoci il suo « Spirito Vivificatore ». Ma per fare ciò doveva prima prendere possesso del regno che aveva conquistato « Lo Spirito Santo non era ancora stato dato, perché Gesù non era ancora stato glorificato », dice S. Giovanni (VII, 39). L’Ascensione de’ Signore è infatti il riconoscimento ufficiale dei suoi titoli di vittoria; essa costituisce per la sua umanità la corona di tutta l’opera sua di redenzione e per la Chiesa il principio della sua esisterne e della sua santità. « L’Ascensione, scrive Dom Guéranger, è il mistero intermedio fra Pasqua e Pentecoste. Da una parte essa è il compimento della Pasqua, ponendo il Dio-Uomo vincitore della morte a capo della Chiesa e alla destra del Padre; dall’altra, determina l’invio dello Spirito Santo sulla terra ». « Il nostro bel mistero dell’Ascensione segna il limite fra i due regni divini quaggiù, il regno visibile del Figlio di Dio e il regno invisibile dello Spirito Santo. « Se io non me ne vado, il Paracleto non verrà a voi », dichiara Gesù ai suoi Apostoli: ma quando me ne sarò andato, ve lo manderò (Giov. XVI, 7). II Verbo Incarnato ha finito la sua missione esterna presso gli uomini, lo Spirito Santo sta per cominciare la sua, poiché DioPadre ha non solo mandato il Suo Figlio incarnato per ricondurci a Lui, ma anche Io Spirito Santo, che « procede dal Padre e dal Figlio »  e che si rivelò al mondo con segni visibili: lingue di fuoco, vento impetuoso, ecc. — «II Padre fa tutto per mezzo del Figlio, nello Spirito Santo », dice S. Atanasio. Cosi quando l’Onnipotenza di Dio Padre ci si manifesta nella creazione del mondo, leggiamo nella Genesi che « Io Spirito di Dio si muoveva sulle acque per renderle feconde (Benedizione del Fonte). Quando ci si manifesta la sapienza del Verbo, di nuovo lo dobbiamo allo Spirito Santo. Egli ha « parlato per mezzo dei profeti », è la sua virtù che ha coperto della sua ombra la Vergine Maria e l’ha resa Madre di Gesù. Lo stesso Spirito Santo sotto forma di colomba, scese su Gesù Cristo al momento del battesimo, lo condusse nel deserto e lo guidò in tutta la sua vita di apostolato. — Ma lo Spirito di santità inaugura l’impero sulle anime soprattutto colmando gli Apostoli di luce e di forza nel giorno della Pentecoste. – « Nello Spirito Santo la Chiesa è battezzata » nel Cenacolo « il soffio suo vivificante dà la vita al corpo mistico di Cristo, organizzato da Gesù dopo la sua Risurrezione ». Cosi il Redentore, soffiando sugli Apostoli aveva detto loro: «Ricevete lo Spirito Santo, saranno rimessi i peccati a quelli ai quali li rimetterete » e come è noto, lo Spirito Santo è chiamato «la remissione dei peccati (Postcomm. del martedì) e il battesimo che ha per iscopo di purificare le anime dai loro peccati è conferito « nell’acqua e nello Spirito Santo ». « Esci da quest’anima, spirito immondo », dice il sacerdote che battezza, cedi il posto allo Spirito Consolatore. Questo Spirito guarisce con la sua grazia le anime nostre e le eleva (la grazia è insieme sanans et elevans); sottrae quindi l’uomo dalla morte alla quale questi non era capace di sottrarsi da sé. In grazia sua, le anime sono soprannaturalizzate e l’influenza soprannaturale di questo Spirito può e deve vivificare tutti i loro pensieri e tutte le loro azioni, poiché, come la vita del corpo proviene dalla unione del corpo con l’anima, così pure la vita dell’anima proviene dall’unione dell’anima con lo Spirito di Dio per mezzo della grazia santificante, (S. Ireneo e S. Clemente di Alessandria). «L’uomo riceve la grazia mediante lo Spirito Santo », dice San Tommaso (S. Th. Ia IIæ, q. 112). La grazia è la soprannaturalizzazione di tutto il nostro essere, in quanto cheè «una certa partecipazione della Divinità nella creatura ragionevole » . Inoltre là dove è la grazia vi è pure Colui che ne è l’Artefice divino, e perciò la Chiesa chiama lo Spirito Santo « dolce ospite dell’anima nostra », Colui che feconda la nostra attività con « la sua intima azione ». Questo Spirito compie l’opera di formazione degli Apostoli. « Egli vi insegnerà ogni cosa e vi rammenterà tutto quello che Io vi ho detto » dice Gesù (Giov. XIV, 26) . E ciò lo fa non solo illuminando l’intelligenza, ma anche purificando e riscaldando i cuori. La Chiesa lo chiama «luce dei cuori» e spesso durante questa settimana fa allusione a questa purificazione e a questo ritempramento della volontà, che permettono all’intelligenza di contemplare verità con maggior luce. «Chiunque fa il male, dice il Vangelo del lunedi, odia la luce e non viene alla luce per tema che le opere siano biasimate. Ma colui che compie la verità viene alla luce, in modo che le opere sue siano manifeste, perché sono state fatte in Dio ». Dimodoché lo Spirito Santo viene a render testimonianza a Cristo, come il Maestro lo aveva annunziato. E questa testimonianza Egli la rende non solo internamente con l’azione della sua grazia nei cuori, ma anche esteriormente servendosi della gerarchia visibile. E così nel corso della settimana di Pentecoste la liturgia parla costantemente dell’infusione della grazia dello Spirito Santo e insieme della predicazione della fede in Gesù. La testimonianza dello Spirito Santo nell’anima fa eco a quella che Gesù Cristo rende a se stesso per mezzo della Chiesa; negare, quindi la divinità di Gesù Cristo e la sua Risurrezione, che la Chiesa insegna, è un peccato contro lo Spirito Santo, peccato che porta già in sé una sentenza di riprovazione: « iam iudicatus est», dice Nostro Signore. Da  questo Spirito verrà, attraverso ai secoli, quella meravigliosa forza dottrinale e mistica, personificata nel Cenacolo dall’apostolo Pietro. Lo Spirito Santo, che ispirò gli autori sacri (2 Piet. I, 21), assicura al Papa e ai Vescovi, riuniti intorno a quest’ultimo, l’infallibilità dottrinale, che permette alla Chiesa docente di continuare la missione di Gesù. Lo Spirito Santo dà ai Sacramenti istituiti da Gesù la loro efficacia; lo Spirito Santo suscita anche, al di fuori dela gerarchia, anime fedeli che si prestano docilmente alla sua azione santificante; questa santità, è giustamente attribuita alla terza Persona della SS. Trinità, che è l’amore personale del Padre e del Figlio. La volontà è infatti santa quando non vuole se non il bene, ond’è che lo Spirito che procede eternamente dalla volontà divina identificata col bene, vien chiamato Santo e quindi Egli legando la nostra volontà alla volontà di Dio, è Colui che rende santi. – Così il Credo, dopo che dello Spirito Santo, ci parla della santa Chiesa, della Comunione dei Santi, della Risurrezione della carne che è il frutto della Santità e la sua manifestazione nei nostri corpi, e finalmente, della vita eterna che è la pienezza della Santità nelle anime nostre. Questa vita soprannaturale pervade i nostri cuori soprattutto nella festa della Pentecoste che ci ricorda la presa di possesso della Chiesa da parte dello Spirito Santo e che conferma, ogni anno più stabilmente, il suo regno divino nelle anime nostre. La Pentecoste celebra dunque non solo l’avvento dello Spirito Santo, ma anche l’ingresso della Chiesa nel mondo divino , dice San Paolo, « per Cristo abbiamo accesso presso il Padre nello Spirito Santo » (Ef. II, 18) . Questo anniversario della promulgazione della legge mosaica sul Sinai diventa per tutti i Cristiani quello della istituzione della nuova legge, nella quale riceviamo « non più lo spirito di servitù, ma lo spirito di adozione di figli, il che ci dà diritto a chiamare Dio nostro Padre ». La legge di Mosè mostrava quello che bisognava fare, ma non dava la forza dicompierlo, lo Spirito Santo al contrario fa conoscere la legge Evangelica e dà le grazie necessarie per metterla in pratica, poiché l’amore è il segreto della obbedienza. La Pentecoste non è quindi solamente un anniversario, ma è una vita, è la discesa dello Spirito Santo in noi; e la devozione allo Spirito Santo è il pegno della nostra santità.

II. Commento storico: Pentecoste.

Prima della sua Ascensione al cielo Gesù aveva comandato aglii Apostoli « di non allontanarsi da Gerusalemme, ma di attendervi la promessa del Padre », cioè l’effusione dello Spirito Santo. Al ritorno dal Monte degli Ulivi, i discepoli, in numero di centoventi, ritornarono al Cenacolo « dove tutti perseverarono unanimi nella preghiera con le donne e Maria, madre di Gesù » (Act. I, 14) . Dopo questa novena, la più solenne di tutte, ebbe luogo l’avvenimento miracolosoche coincidette provvidenzialmente con la festa ebraica della Pentecoste. « Questo giorno grandissimo e santissimo (Lev. XXIII, 21) era per Israele l’anniversario della promulgazione della Legge sul Sinai.Così un gran numero di forestieri, accorsi da ogni parte a Gerusalemme, furono testimoni dell’avvento dello Spirito Santo. Circa le nove del mattino « venne all’improvviso dal cielo un rumorecome di vento gagliardo che riempì tutta la casa in cui erano gli Apostoli. E apparvero ad essi delle lingue distinte, come di fuoco, e si posarono sopra ciascuno di loro. E furono tutti pieni di Spirito Santo e cominciarono a parlare linguaggi vari, secondo che lo Spirito Santo dava ad essi di favellare» (Act. II, 2-4). Cosi, la Chiesa, « rivestita della forza celeste » (S. Luc. XXIV, 49), comincia a Gerusalemme l’opera di Apostolato che Gesù le ha affidata. Pietro, capo degli Apostoli, prende la parola davanti alla moltitudine e, diventato « pescatore di uomini» (S. Marc. I, 17), porta, con una sola retata circa tremila neofiti alla Chiesa nascente. I giorni seguenti, i Dodici si riuniscono sotto il portico di Salomone e, come il Maestro divino, predicano il Vangelo e guariscono i malati. Così «presto aumentò la moltitudine di uomini e donne che credevano nel Signore».  Poi, recatisi fuori dalla Giudea, gli Apostoli andarono ad annunziare Cristo e a dare lo Spirito Santo ai Samaritani, e quindi a tutti i Gentili »

III. — Commento liturgico: Pentecoste.

Il cinquantesimo giorno che seguì il passaggio dell’Angelo sterminatore e la traversata del Mar Rosso, il popolo ebreo si accampò ai piedi del Sinai e Dio gli diede solennemente la sua legge. Le feste della Pasqua ebrea e della Pentecoste che ricordavano questo doppio avvenimento, erano le più importanti dell’anno. Milletrecento anni più tardi, la festa di Pasqua è segnata dalla morte e dalla risurrezione di Gesù e quella di Pentecoste (cinquanta giorni dopo, come lo indica la parola Pentecosles) dalla discesa dello Spirito Santo sugli Apostoli. Queste due feste, divenute cristiane sono le più antiche del Ciclo liturgico che deve ad esse la sua origine. Esse portano rispettivamente i nomi di Pasqua «bianca «e di « Pasqua rossa ». Pentecoste è dunque la maggior festa dell’anno dopo quella di Pasqua, ed ha quindi la sua Vigilia e la sua Ottava privilegiata; vi si leggono gli Atti degli Apostoli, poiché è l’epoca della fondazione della Chiesa di cui questo libro sacro ci narra le origini, e con questo si imita quello che si osserva nella Settimana di Pasqua. Comincia una vita nuova e conviene da questo momento leggere le Nuove Scritture. Il Nuovo Testamento del resto mette l’Antico in piena luce, mostrando che in esso tutto era figura (vedi: Orazione della 2a Profezia) e nella Messa della Domenica di Pentecoste e in quella dell’Ottava, la Legge Antica e la Nuova, le Sacre Scritture e la Tradizione, i Profeti, i Padri della Chiesa e gli Apostoli fanno eco alla parola del Maestro. Tutte queste parti si combinano tra loro, come i vari pezzi di un mosaico, di modo che presentano davanti all’anima un quadro meraviglioso che sintetizza l’azione dello Spirito Santo nel mondo attraverso tutti i secoli. E per mettere ancor più in rilievo questo magnifico capolavoro, la liturgia lo incornicia, per cosi dire, di tutto l’apparato esterno delle sue sacre cerimonie dei suoi riti simbolici. Il sacerdote è rivestito di paramenti rossi, colore che ricorda le lingue di fuoco e simbolizza la testimonianza del sangue che gli uomini dovranno rendere al Vangelo per virtù dello Spirito Santo. Anticamente, in alcune chiese, si faceva piovere dall’alto della cupola, durante il canto del Veni sancte Spiritus, una pioggia di rose rosse, mentre una colomba svolazzava al disopra dei fedeli, donde il grazioso nome di Pasqua di rose dato alla Pentecoste nel XIII secolo. Qualche volta anche, per maggiormente marcare l’imitazione scenica, si suonava la tromba durante la Sequenza per ricordare la tromba del Sinai, o il fragore in mezzo a cui lo Spirito Santo discese sugli Apostoli. In questo modo il Cristiano era immerso nell’atmosfera speciale che caratterizza il tempo di Pentecoste e riceveva una novella effusione dello Spirito Santo. La liturgia celebra questo mistero ad esclusione di qualunque altra festa durante tutta l’Ottava, per impedirci di distrarne il pensiero. Il desiderio della Chiesa, dunque, è chiaramente espresso: vederci scegliere in questi otto giorni, per soggetto dì meditazione o di pie letture testi che si riferiscano alla Pentecoste. Quale migliore preparazione o ringraziamento per la comunione, per esempio, che il canto o la recita della Prosa o Sequenza di Pentecoste, uno degli esempi più belli di poesia cristiana? — Con l’ora del Nona del Sabato nell’Ottava della Pentecoste termina il Tempo Pasquale, cominciato alla Messa del Sabato Santo.

CALENDARIO LITURGICO DELLA CHIESA CATTOLICA: MAGGIO 2020

CALENDARIO LITURGICO: MAGGIO 2020

MAGGIO. È IL MESE CHE LA CHIESA DEDICA ALLA VERGINE MARIA

Se vi ha un nome che scenda fino al fondo del cuore e vi desti un fremito di gioia e di amore è certamente il nome di madre. Madre! Oh nome che dice quanto vi ha sulla terra di più venerabile, di più generoso, di più dolce. Madre! nome che ricorda quella debole sì, ma sublime creatura adorna dei più ammirabili privilegi, e sì intimamente associata a Dio da portare nel proprio seno e nutrire del proprio latte dei figliuoli destinati a possedere un giorno Dio stesso nella gloria della sua eternità. Madre!… che cosa è dunque una madre? È dessa la donna della bontà e della saviezza, la donna del consiglio e della persuasione, la donna della dolcezza e della grazia. Sì, ella è tutto questo, ma non questo solo; ella è per eccellenza la donna dell’amore. E chi si sentirà capace di penetrare nel cuor di una madre e misurare l’amore che essa porta a’ suoi figli ? Lo dico fidatamente: l’amore di una madre è talmente il supremo amore su questa terra, che al di là di esso comincia l’amore divino, di modo che quando Iddio vuol farci intendere l’infinito amor suo verso di noi non altrimenti si spiega che col dirci che Egli ci ama più che una madre. Una madre può ella dimenticarsi del proprio figlio e non sentirne pietà? No, senza dubbio. Ma pure, dice il Signore, quand’anche la vostra madre si dimenticasse di voi, io non vi dimenticherò giammai. Or bene Maria Santissima, lassù in cielo, non è solamente la nostra augusta Regina, ma è più ancora la nostra amorosissima Madre. Verità questa così consolante, che al solo ricordarla riempie della più viva gioia il cuore.

 (sac. Prof. A. Carmagnola: La porta del cielo – S. E. I. Torino, rist. 1944)

EXERCITIA

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Fidelibus, qui mense maio pio exercitio in honorem beatæ Mariæ Virginis publice peracto devote interfuerint, [Ai fedeli che nel mese di Maggio praticheranno in pubblico un pio esercizio in onore della Beata Vergine Maria, per ogni giorno del mese si concede …] conceditur:

Indulgentia septem annorum quolibet mensis die:

Indulgentia plenaria, si diebus saltem decem huiusmodi exercitio vacaverint et præterea sacramentalem confessionem instituerint, ad sacram Synaxim accesserint et ad mentem Summi Pontifìcis oraverint [… se lo avranno praticato almeno per 10 giorni, s. c.].

Iis vero, qui præfato mense preces vel alia pietatis obsequia beatæ Mariæ Virgini privatim præstiterint, [a coloro che lo praticheranno privatamente …] conceditur:

Indulgentia quinque annorum semel, quolibet mensis die;

Indulgentia plenaria suetis conditionibus, si quotidie per integrum mensem idem obsequium peregerint; at ubi pium exercitium publice habetur, huiusmodi indulgentia ab iis tantum acquiri potest, qui legitimo detineantur impedimento quominus exercitio publico intersint.

(Secret. Mem. 21 mart. 1815; S. C . Indulg., 18 iun. 1822; S. Pænit. Ap., 28 mart. 1933).

QUESTE SONO LE FESTE DEL MESE DI MAGGIO 2020

1 maggio S. Joseph Opificis    I. cla

                    Primo venerdì

2 maggio S. Athanasii Episcopi Confessoris et Ecclesiæ Doctoris    Duplex

                     Primo sabato

3 maggio  Dominica III Post Pascha    Semiduplex Dominica minor *I*

                         Inventione Sanctæ Crucis    Duplex II.

              29° anniversario della Elezione del Sommo Pont. Gregorio XVIII

4 maggio S. Monicæ Viduæ    Duplex

5 maggio S. Pii V Papæ et Confessoris    Duplex

6 maggio S. Joannis Apostoli ante Portam Latinam    Duplex majus *L1*

7 maggio S. Stanislai Episcopi et Martyris    Duplex

8 maggio In Apparitione S. Michaëlis Archangeli    Duplex majus *L1*

9 maggio S. Gregorii Nazianzeni Episcopi Confessoris et Ecclesiæ Doctoris    Duplex

10 maggio Dominica IV Post Pascha    Semiduplex

              S. Antonini Episcopi et Confessoris    Duplex

11 maggio Ss. Philippi et Jacobi Apostolorum    Duplex II. classis *L1*_

12 maggio Ss. Nerei, Achillei et Domitillæ Virg. atque Pancratii Martyrum    Semiduplex

13 maggio S. Roberti Bellarmino Episcopi Confessoris et Ecclesiæ Doctoris    Duplex

14 maggio S. Bonifatii Martyris    Feria

15 maggio S. Joannis Baptistæ de la Salle Confessoris    Duplex

16 maggio S. Ubaldi Episcopi et Confessoris    Semiduplex

17 maggio Dominica V Post Pascha    Semiduplex Dominica minor *I*

                   S. Paschalis Baylon Confessoris    Duplex

18 maggio S. Venantii Martyris    Duplex

19 maggio S. Petri Celestini Papæ et Confessoris    Duplex

20 maggio In Vigilia Ascensionis    Feria

                    S. Bernardini Senensis Confessoris    Feria

21 maggio In Ascensione Domini    Duplex I. classis *I*

24 maggio Dominica post Ascensionem    Semiduplex Dominica minor *I*

25 maggio S. Gregorii VII Papæ et Confessoris    Duplex

26 maggio S. Philippi Neri Confessoris    Duplex

27 maggio S. Bedæ Venerabilis Confessoris et Ecclesiæ Doctoris    Duplex

28 maggio S. Augustini Episcopi et Confessoris    Duplex

29 maggio S. Mariæ Magdalenæ de Pazzis Virginis    Semiduplex

30 maggio In Vigilia Pentecostes    Duplex *I*

                 S. Felicis I Papæ et Martyris    Simplex

31 maggio Dominica Pentecostes    Duplex I. classis

IL MISTERO DELLA REDENZIONE

IL MISTERO DELLA REDENZIONE

(Messale Romano di S. Bertola e G. Destefani, comm. di D. G. LEFEBVRE O. S. B; L. I. C. E. – R. Berruti & C. Torino 1950)

                      Ciclo di Pasqua:

4) Tempo della Settuagesima (Settuagesima-Ceneri).

5) Tempo di Quaresima (Ceneri-Dom. di Passione).

6) Tempo de la Passione (Dom. di Passione-Pasqua).

7) Tempo Pasquale (Pasqua-Trinità).

8) Tempo dopo la Pentecoste (Trinità-Avvento).

VII. – TEMPO PASQUALE.

Commento dogmatico: Pasqua.

La Chiesa, che ogni anno rinnova nella sua liturgia i ricordo degli avvenimenti della vita del Salvatore, ai quali ci invita a partecipare, celebra nella festa di Pasqua il trionfo di Gesù, vincitore della morte. Questo, come tutti sanno, è l’avvenimento centrale di tutta la storia, è il punto verso il quale tutto converge nella vita di Cristo, ed è anche il punto culminante della vita della Chiesa nel suo Ciclo liturgico. La Resurrezione del Salvatore è la prova più luminosa della sua divinità, perché bisogna essere Dio per poter, come diceva Gesù, « lasciare la propria vita e riprenderla di nuovo ». La fede nella Risurrezione di Gesù è dunque la base stessa della fede cristiana.  [Se Cristo non fosse risuscitato, vana e la vostra fede • I ai Corinti, XV, 14] Infatti la Pasqua di Cristo, ossia il suo passaggio dalla morte alla vita e dalla terra al cielo, è la consacrazione definitiva della vittoria che l’uomo, l’umanità intera hanno riportato in Gesù sul demonio, sulla carne e sul mondo. [Ai Col. , II, 15]Infattinoi siamo morti e risuscitati con Lui. Effettivamente la virtù diquesti misteri opera nei fedeli durante tutta la loro vita, e più specialmentedurante il Triduo Pasquale (Venerdì Santo, SabatoSanto, Domenica di Pasqua) allo scopo di farli passare dal peccatoalla grazia e più tardi dalla grazia alla gloria [« Dio ci ha dato la vittoria per nostro Signor G . C. » – I ai Cor., XV, 57). « Egli ci ha fatto risuscitare con Cristo e ci ha fatti sedere con lui nei cieli » – Agli Efes., II, 6). Il Martirologio romano dichiara che « la Resurrezione di nostro Signor Gesù Cristo secondo la carne è la Solennità delle Solennità e la nostra Pasqua ». Questa formola è il degno riscontro di quella che a Natale annunziava la nascita del Messia, poiché il Ciclo di Natale, cronologicamente il primo, logicamente dipende da quello di Pasqua. Dio si è fatto uomo (Natale) per far noi tutti partecipi della divinità (Pasqua). Nell’Incarnazione era l’anima di Gestì che nasceva alla vita divina, godendo della visione beatifica; nella Risurrezione era il suo corpo, che, a sua volta, entrava nella gloria di Dio. E come Gesù, nascendo in modo miracoloso dal seno di Maria, inizia la sua vita mortale, così risorgendo miracolosamente dal sepolcro, inizia la sua vita gloriosa [ « Tu, che nato una volta dalla Vergine, sorgi ora dal sepolcro » (Inno del Matutino). Egli nacque da Maria Vergine, come uscì dal sepolcro sigillato]. Perciò la settimana di Pasqua è la festa dei Battezzati e la Chiesa, concentrando tutte le sue cure di madre su questi, che S. Paolo chiama « I suoi neonati », li fortifica, dando loro, insieme all’Eucarestia [durante i giorni dell’Ottava di Pasqua, i neofiti assistevano alla Messa e si comunicavano; era un precetto generale] per 7 giorni esecutivi, alcune istruzioni riguardanti la Resurrezione, modello della nostra vita soprannaturale. « Se siete risuscitati con Cristo, dice S. Paolo, ricercate le cose celesti e non le cose di questa terra » [Ai Col. III,1] « Mortificate le vostre membra, spogliatevi dell’uomo vecchio e rivestitevi del nuovo». Dunque conclude S. Agostino: « Quando deponete la veste bianca del battesimo, custoditene sempre il candore nell’anima vostra » (Dom. in Albis). Il Tempo Pasquale rappresenta, dunque, un’epoca di rinnovellamento. In corrispondenza col periodo di quaranta giorni, nel quale dopo la sua Risurrezione, Gesù stabili la sua Chiesa, esso ci ricorda più specialmente la Chiesa nascente.

Al Ciclo dell’Incarnazione, nel quale noi adoriamo il Figlio di Dio fatto Uomo, corrisponde il Ciclo della Redenzione, in cui colla Sua immolazione, Egli ci merita la grazia. I Tempi della Settuagesima, della Quaresima, e della Passione, sono i tempi della lotta e della vittoria. Il Tempo Pasquale glorifica la vita divina che penetra e trasfigura l’umanità di Gesù Cristo nella sua Resurrezione e nella sua Ascensione. Il Tempo della Pentecoste ci mostra lo Spirito Santo che alimenta le nostre anime con questa vita divina e ci prepara alla resurrezione futura, allorché questa vita si manifesterà nei nostri corpi. Infatti tutti ricevevano una volta i Sacramenti del Battesimo, della Cresima e dell’Eucarestia nel giorno della Resurrezione del Redentore o nel giorno di Pentecoste, che ricordavano loro, ogni anno, il doppio anniversario del trionfo di Cristo e del suo corpo mistico. [Come la liturgia quaresimale era più specialmente destinata ai sacramenti dei morti, la liturgia pasquale faceva partecipare ai sacramenti dei vivi. Fino al XII secolo in tutte le cattedrali di Occidente, i bambini dopo il Battesimo, amministrato nella notte del sabato, ricevevano immediatamente la Cresima e l’Eucarestia, che è un pegno della vita futura (0 sacrum convivium), poiché Gesù ha detto: « Colui che mangia la mia carne lo risusciterò nell’ultimo giorno » (S . Giov., VI, 55). Il Ciclo di Pasqua rievoca ogni anno il ricordo del nostro Battesimo, della nostra prima Comunione e della nostra Cresima; esso deve farci penetrare sempre più nella divina nuova vita che avrà il suo pieno sviluppo all’ultima venuta di Gesù [« Come tutti muoiono in Adamo, così tutti nel Cristo saranno vivificati. Ciascheduno, però, nel suo ordine: da prima il Cristo, che è la primizia, poi, alla sua venuta, quelli che gli appartengono. Quindi sarà la fine: quando rimetterà il regno a Dio eal Padre, quando avrà abolito ogni principato, ogni potestà, ogni virtù, poiché è necessario che Egli regni, fino a quando abbia posto sotto aj suoi piedi tutti i suoi nemici » – I Cor., XV. 22-25].

Il Tempo Pasquale è una figura del cielo, un irradiamento della Pasqua eterna, fine ultimo della nostra esistenza. E la Chiesa, che piangeva al tempo della Passione su Gesù e sui peccatori, ha adesso un doppio motivo di gioia, poiché Gesù è risuscitato e gli sono nati numerosi figliuoli. Questa allegrezza ci fa pregustare quella della nostra risurrezione e del nostro ingresso nella patria celeste, dove il Maestro è andato a prepararci un posto, verso il quale lo Spinto Santo, che Egli manda, ci condurrà.

Commento storico; Pasqua.

Fino all’Ascensione, la liturgia del Tempo Pasquale ci fa seguire Gesù nelle sue diverse manifestazioni presso il Santo Sepolcro, a Emmaus, al Cenacolo e in Galilea. Ce lo mostra mentre pone le basi della sua Chiesa e prepara i suoi discepoli al Mistero della sua Ascensione L’indomani del Sabato, prima che spuntasse il giorno, Maria Maddalena e altre due pie donne andarono al sepolcro, arrivarono che il sole era appena sorto. Era il primo giorno della settimana ebraica o domenica di Pasqua Un angelo aveva rovesciato la grande pietra che chiudeva la bocca del sepolcro e le guardie atterrite erano fuggite. Maddalena, vedendo il sepolcro aperto, corre a Gerusalemme per avvertire Pietro e Giovanni, mentre l’Angelo annunzia alle altre due pie donne la risurrezione di Gesù [Vang. del Sab. Santo e della Dom. di Pasqua]I due Apostoli vanno allora correndo al sepolcro (vedi pianta seguente) e constatano che il Maestro è sparito [Sab. Pasqua]. Maddalena, tornata alla tomba, fu la prima a vedere il Cristo risorto [Giov. di Pasqua]. Verso sera, i due discepoli, che vanno a Emmaus, vedono essi pure Gesù e ritornando immediatamente ad annunziarlo agli Apostoli, viene loro detto che il Salvatore è apparso a Pietro [Lun. di Pasqua]. La sera di quello stesso giorno Gesù Cristo si mostrò ai suoi discepoli, riuniti nel Cenacolo [Mart. di Pasqua] .Otto giorni dopo apparve loro di nuovo e convinse l’incredulo Tommaso [Dom. di Quasimodo]. Dopo l’Ottava di Pasqua i discepoli se ne tornarono in Galilea. Un giorno, in cui alcuni di loro attendevano alla pesca, ecco che Gesù si manifestò loro di nuovo Merc. Di Pasqua] . Si mostrò anche a 500 discepoli su di un monte che aveva loro indicato e che forse era il Thabor, o, più verosimilmente, una collina in riva al lago, come il Monte delle Beatitudini.

Il Vangelo della 2a Domenica dopo la Pasqua parla della parabola del Buon Pastore che Gesù pronunziò nel terzo anno del suo ministero, durante le feste dei Tabernacoli a Gerusalemme. I Vangeli delle tre domeniche seguenti sono presi dal discorso che Gesù pronunciò nell’ultima Cena. Questo discorso, riferito da S. Giovanni (dal Cap. XIV al XVII) è ripartito come segue nel Messale:

Cap. XIV, 1-13: Vangelo del 1° Maggio.

23-31: Vangelo della Domenica di Pentecoste.

Cap. XV, 1-7 : Vangelo di un Martire (T. P.).

5-11: Vangelo di più Martiri (T. P.).

12-16: Vangelo Vigilia di un Apostolo.

26-27: Vangelo Domenica nell’Ottava Ascensione.

Cap. 16 1-4 : Vangelo Domenica nell’Ottava Ascensione.

5-14: Vangelo 4a Domenica dopo Pasqua.

16-22: Vangelo 3a Domenica dopo Pasqua.

23-30: Vangelo 5a Domenica dopo Pasqua.

Cap. XVII 1-11: Vangelo Vigilia Ascensione.

In tale discorso Gesù svolge queste idee: Sono uscito dal Padre e sono venuto nel mondo; lascio di nuovo il mondo e vado presso il Padre. Rallegratevi perché vado a prepararvi un posto, affinché là dove sono Io siate voi pure. Ancora un poco e non mi vedrete più e sarete allora nella tristezza; ma non vi lascerò orfani e ritornerò a voi per mezzo del mio Spirito Santo, poiché se alcuno mi ama in questo Spirito Santo, mio Padre pure amerà lui e noi verremo a lui e presso lui faremo la nostra dimora. Domanderò dunque al Padre mio di inviarvi lo Spirito Santo e voi sarete allora nella gioia per sempre. E allorché questo Spirito sarà venuto renderà testimonianza di me, e pregherete allora il Padre nel mio Nome (cioè, unendovi a me, come le membra al loro capo e appoggiandovi sui miei meriti di cui conoscerete allora tutta l’efficacia). E voi mi renderete testimonianza davanti agli uomini, poiché vi ho scelti perché andiate e portiate frutto. Io sono la vite, voi i tralci. Se qualcuno dimora in me, Io in lui; egli porta molti frutti e sarà mondato per portarne ancora di più. Come il mondo ha perseguitato me, così perseguiterà voi pure. Ma non temete, poiché lo Spirito Santo parlerà per voi, e per bocca vostra convincerà il mondo del suo peccato. Per mezzo vostro mostrerà che insieme a satana è già giudicato, per aver rinnegato colui che il Padre ha inviato ed ha glorificato (resurrezione e ascensione), risuscitandolo e facendolo salire al cielo come lo prova la venuta di questo Spirito.

Commento liturgico: Pasqua.

Il Tempo Pasquale, che comincia il Sabato Santo e termina il Sabato dopo Pentecoste, forma come un unico giorno di festa, nel quale si celebrano i Misteri della Risurrezione, dell’Ascensione del Signore e della discesa dello Spirito Santo sulla Chiesa. La data di Pasqua che impera su tutte le feste mobili, è stata l’oggetto di solenni decisioni conciliari. Gesù era morto e risuscitato nell’epoca della Pasqua ebraica; e, dato che la celebrazione di questi misteri doveva sostituire i riti mosaici che ne erano soltanto la figura, la Chiesa conservò per la festa di Pasqua lo stesso modo di contare degli Ebrei. Fra l’anno lunare, in uso fra loro, e quello solare vi è un divario di undici giorni, donde risulta per la festa di Pasqua una variazione di data che va dal 22 Marzo al 25 Aprile. Fu deciso nel Concilio di Nicea di celebrarla sempre nella domenica dopo il plenilunio che cade il 21 marzo o lo segue immediatamente.

Durante il Tempo Pasquale la Chiesa orna i suoi santuari con ogni possibile magnificenza e l’organo prorompe negli accordi più festanti. II canto dell’Asperges viene sostituito da quello dei Vidi Aquam, che allude alla visione di Ezechiele che figura il sangue e l’acqua che sgorgano dal costato destro di Gesù trapassato dalla lancia e che sono simbolo delle grazie dell’Eucarestia e del Battesimo. Alcune preghiere, come l’Antifona Regina cœli, si recitano in piedi, come si conviene a trionfatori, e durante questi 50 giorni la Chiesa sopprime il digiuno. [Ciò che si osserva anche in tutte le Domeniche dell’anno, appunto perché la Domenica ricorda, ogni settimana, il mistero pasquale]. Dimenticando per così dire la terra, essa intona il canto ufficiale dell’allegrezza che S. Giovanni dice di aver udito in Cielo [Udii nel cielo come una grande voce di una folla immensa che diceva: Alleluia» (Apocalisse, XIX, 1)]. – Introito, antifona, versetti, responsori, tutto è seguito da questo ritornello entusiasta, di cui la Messa del Sabato Santo diceva: « V i annuncio una grande gioia che è Alleluia, Alleluia, Alleluia ». Fino al giorno dell’Ascensione il Cero pasquale, simbolo della presenza visibile di Gesù sulla terra, illumina l’assemblea con la sua fiamma radiosa e si usano paramenti bianchi che sono segno di gioia e di purezza. « Mostrate nella vostra condotta l’innocenza che il candore delle vostre vesti simboleggia », diceva Sant’Agostino ai neofiti rivestiti di tuniche bianche per tutta l’Ottava di Pasqua. Anticamente la Chiesa non ammetteva durante il Tempo Pasquale alcuna festa secondaria di Santi, per non distrarre il pensiero dei fedeli dalla contemplazione di Gesù trionfante. Durante tutto il Tempo Pasquale, i Martiri hanno una Messa speciale, perché sono stati associati più particolarmente alle lotte ed alla vittoria di Cristo. I Martiri formano in questa parte del Ciclo, il corteo del divino Risuscitato.

SABATO SANTO E LE 12 PROFEZIE

IL SABATO SANTO

L’uffizio del Sabato santo si compone di sei parti o cerimonie principali:

1.° La benedizione del nuovo fuoco;

2.° La benedizione del cero pasquale;

3.° Le lezioni;

4 °La benedizione del fonte;

5.° La Messa;

6.° Il Vespro.

La più venerabile antichità spira da queste belle cerimonie; le più commoventi ricordanze delle catacombe di Costantinopoli, di Nicea, di Gerusalemme, di tutte quelle grandi Chiese vengono l’una dopo l’altra sotto i nostri occhi. Possano le impressioni salutari che sono capaci di produrre, scolpirsi profondamente nelle anime nostre!

1.° La benedizione del fuoco sacro. Era un antico costume, stabilito fino dal IV secolo, di benedire ogni giorno, verso la sera, il fuoco col quale si doveano accendere le lampade per L’uFfizio dei vespri. Si cavava il fuoco dalla pietra invece di prenderlo dal focolare delle case. Un tal uso si riferisce a questo gran pensiero della Chiesa, che poiché tutte le creature sono state corrotte, non conviene servirsene senza benedizione nelle cerimonie del culto divino. Così fino dai primi secoli essa non si serviva del fuoco profano o comune nei sacrifizi e nelle pubbliche preghiere ove eran necessari i lumi. Dalla benedizione del fuoco, cerimonia ristretta ora al sabato santo, incomincia l’uffizio d’oggi. Si fa con molta solennità e con preci, poiché questo nuovo fuoco è per il Cristiano l’immagine della nuova legge, legge di grazia e di amore, che è per nascere dalla tomba del Cristo, come il fuoco antico è l’immagino dell’antica legge, spenta nel sangue del Salvatore. Quando adunque il clero è arrivato al coro, comincia le litanie de’ Santi; la Chiesa vuole che i suoi figli di già coronati nel cielo prendano parte alla gioia, onde all’apparizione della nuova legge si riempie il mondo, e che pregando per i fratelli in terra, ottengano loro la grazia di seguire siccome essi i comandamenti di questa santa legge, e di pervenire alla medesima felicità. Mentre si cantano le litanie, il Sacerdote benedice il novello fuoco. Questa è la prima parte dell’uffizio del sabato santo.

2.° La benedizione del cero pasquale. Il cero pasquale che non era in antico che una colonna, sulla quale il patriarca d’Alessandria scriveva l’epoca della pasqua e delle feste mobili che si ordinano secondo questa grande solennità. Essendo Alessandria la città ov’erano i migliori astronomi, il Vescovo doveva consultarli ogni anno, e dopo la loro conclusione determinare al Papa, e per lui a tutta la Chiesa, la prima domenica dopo il quattordicesimo giorno della luna di marzo. Allora si scriveva sulla cera, e sopra una specie di colonna formata di questa materia il Patriarca d’Alessandria distendeva il catalogo delle principali feste dell’anno. Il Papa riceveva questo canone [Si sa che la parola canone vuol dire regola. Quella colonna era il canone o la regola, secondo la quale si celebrava la pasqua e le feste mobili che ne dipendono.]  con rispetto, lo benediceva e ne inviava altri simili alle altre Chiese, che gli ricevevano con la medesima onoranza. Presto di questo bastone di cera si fece una candela che serviva a far lume nella notte di pasqua, e si riguardava nello stesso tempo come l’emblema di Gesù resuscitato. Il Papa Zosimo approvò quest’uso, e lo stabilì generalmente, ordinando a tutte le chiese parrocchiali di benedire il sabato santo un cero pasquale. [Zosimus papa decrevit oereum sabbato sancto Paschœ per ecclesias benedici (Sigebertus) M. Thirat, Spir. delle Cerem.]. Col fuoco sacro si accende il cero pasquale. Non è permesso di accenderlo diversamente, come gli altri ceri destinati per gli uffizi e la Messa della vigilia di Pasqua, Ogn’altro fuoco è dichiarato estraneo e profano, simile a quello che irritò il Signore contro Nadab e Abiu, e fu la causa della loro morte. La benedizione del cero pasquale risale alla più remota antichità: si trova di già nelle belle operedi sant’Ennodio, vescovo di Pavia, che viveva al principio del VI secolo. Questo cero molto alto è posto sopra un candelabro nel mezzo del santuario, in faccia all’altare: sta acceso all’uffizio del, sabato santo, alla Messa e al vespro per tutta la settimana di pasqua; e quindi alla Messa ed ai vespri delle domeniche e feste fino all’Ascensione. In tal giorno dopo il Vangelo della Messa solenne il cero immediatamente si toglie: in questo momento il Salvatore, tolto alla terra, ascende al cielo. – Tutte queste particolarità indicano abbastanza i l misterioso significato del cero pasquale. È il primo simbolo della Resurrezione di Gesù Cristo, che la Chiesa propone ai Fedeli il sabato santo: rammenta al tempo istesso che il loro divino Redentore è la luce del mondo. Così non vi è nulla di più magnifico nella liturgia, nulla di più celebre della formola usata per benedirlo; che comincia con queste parole: Exultet jam angelica turba cœlorum etc.

Gli Angeli del cielo, la milizia dell’alto, si rallegrino e tripudino di giubbilo, e lo squillo delle trombe annunzi i nostri sacrifizi di gioia. La terra gioisca della sua felicità, e si rallegri nel glorioso lume che a lei è venuto. E tu, santa Chiesa, nostra madre, tu ancor ti rallegra: eccoti raggiante nel lume della face divina, della face che illumina l’universo.

Echeggi il luogo santo alla viva gioia dei popoli: salgano al cielo gli applausi della terra.

In tutto il resto domina lo stesso entusiasmo. Degno del genio di s. Agostino è questa benedizione, che si crede composta da lui.

Il diacono canta questo bell’annunzio della festa di Pasqua; poiché la benedizione del cero pasquale è sempre stata del ministero del diacono, in presenza dello stesso Vescovo o del Sacerdote uffiziante. Il diacono allora è come un araldo del cielo che annunzia alla Chiesa la gloriosa resurrezione di Gesù Cristo, il suo trionfo in questo mistero, le splendide testimonianze della misericordia di Lui, e la felicità dell’uomo riconciliato col suo Dio per il compimento della grand’opera della redenzione. – I cinque grani d’incenso che egli inserisce nel corpo del cero, in forma di croce, sono un emblema delle cinque piaghe del nostro Signore, e degli aromi che servirono ad imbalsamarlo. La preghiera che la Chiesa adopera per benedirli, non lascia su ciò verun dubbio. Questa preghiera ci dimostra ancora l’efficacia del cero benedetto, come di tutte le altre cose santificate per allontanare il demonio, i flagelli e le malattie. D’ora innanzi, quando vedremo accendere il cero pasquale, pensiamo seriamente a resuscitare con Gesù Cristo, e quando da Pasqua all’Ascensione ce lo vedremo brillare davanti agli occhi, come la colonna luminosa che conduceva Israele verso la terra promessa, chiediamo a noi stessi se camminiamo fedelmente dietro il Salvatore resuscitato, se ci avanziamo verso il cielo, vera terra premessa del Cristiano.

Exsúltet jam Angélica turba cœlórum:

exsúltent divína mystéria: et pro tanti Regis victória tuba ínsonet salutáris. Gáudeat et tellus tantis irradiáta fulgóribus: et ætérni Regis splendóre illustráta, totíus orbis se séntiat amisísse calíginem. Lætétur et mater Ecclésia, tanti lúminis adornáta fulgóribus: et magnis populórum vócibus hæc aula resúltet. Quaprópter astántes vos, fratres caríssimi, ad tam miram hujus sancti lúminis claritátem, una mecum, quæso, Dei omnipoténtis misericórdiam invocáte. Ut, qui me non meis méritis intra Levitárum númerum dignatus est aggregáre: lúminis sui claritátem infúndens, Cérei huius laudem implére perfíciat. Per Dominum nostrum Jesum Christum, Fílium suum: qui cum eo vivit et regnat in unitáte Spíritus Sancti Deus: Per omnia sǽcula sæculórum.

[Esulti ormai l’angelico coro degli Angeli: vibrino di gioia i divini misteri; risuoni la tromba sacra per la vittoria del Gran Re. S’allieti la terra irradiata dagli splendori di sì grande trionfo e, illustrata dai fulgori dell’Eterno Re, si senta libera dalla caligine del mondo intero. Si rallegri la Chiesa, nostra Madre, adornata dei raggi di tanta gran luce, ed echeggi questo tempio delle più sonore voci dei popoli. Perciò, o fratelli dilettissimi, qui presenti allo splendore mirabile di questa luce santa, vi supplico di unirvi a me per invocare la misericordia di Dio onnipotente; affinché dopo avermi accolto nel numero dei suoi Leviti, senza alcun mio merito, mi doni un raggio della sua luce e mi dia la grazia di cantare degnamente le lodi di questo Cero. Per nostro Signore Gesù Cristo Figlio suo, che con Lui vive per tutti i secoli dei secoli.]

3.° Le lezioni. La terza parte dell’uffizio del sabato santo contiene le lezioni. Quando il diacono ha terminato la benedizione del cero pasquale, depone la dalmatica, e vestito del camice e della stola, sale alla tribuna a cantare la prima lezione. Le altre lezioni son cantate de chierici di grado inferiore. Al gran mistero di nostra rigenerazione la Chiesa ha avuto l’intenzione di applicare il senso di queste dodici lezioni, chiamate profezie: esse sono senza titolo in segno di lutto.

Prophetiæ

I. Profezia (Gen. I, 1-31; II, 1-2)

(Come una nuova creazione il Battesimo renderà alle anime i diritti che avevano, prima della caduta di Adamo, nell’Eden)


In princípio creavit Deus cœlum et terram. Terra autem erat inánis et vácua, et ténebræ erant super fáciem abýssi: et Spíritus Dei ferebátur super aquas. Dixítque Deus: Fiat lux. Et facta est lux. Et vidit Deus lucem, quod esset bona: et divísit lucem a ténebris. Appellavítque lucem Diem, et ténebras Noctem: factúmque est véspere et mane, dies unus. Dixit quoque Deus: Fiat firmaméntum in médio aquárum: et dívidat aquas ab aquis. Et fecit Deus firmaméntum, divisítque aquas, quæ erant sub firmaménto,ab his, quæ erant super firmaméntum. Et factum est ita. Vocavítque Deus firmaméntum, Cœlum: et factum est véspere et mane, dies secúndus. Dixit vero Deus: Congregéntur aquæ, quæ sub cœlo sunt, in locum unum: et appáreat árida. Et factum est ita. Et vocávit Deus áridam, Terram: congregationésque aquárum appellávit Maria. Et vidit Deus, quod esset bonum. Et ait: Gérminet terra herbam viréntem et faciéntem semen, et lignum pomíferum fáciens fructum juxta genus suum, cujus semen in semetípso sit super terram. Et factum est ita. Et prótulit terra herbam viréntem et faciéntem semen juxta genus suum, lignúmque fáciens fructum, et habens unumquódque seméntem secúndum spéciem suam. Et vidit Deus, quod esset bonum. Et factum est véspere et mane, dies tértius. Dixit autem Deus: Fiant luminária in firmaménto cœli, et dívidant diem ac noctem, et sint in signa et témpora et dies et annos: ut lúceant in firmaménto cœli, et illúminent terram. Et factum est ita. Fecítque Deus duo luminária magna: lumináre majus, ut præésset diéi: et lumináre minus, ut præésset nocti: et stellas. Et pósuit eas in firmaménto cœli, ut lucérent super terram, et præéssent diéi ac nocti, et divíderent lucem ac ténebras. Et vidit Deus, quod esset bonum. Et factum est véspere et mane, dies quartus. Dixit etiam Deus: Prodúcant aquæ réptile ánimæ vivéntis, et volátile super terram sub firmaménto cæli. Creavítque Deus cete grándia, et omnem ánimam vivéntem atque motábilem, quam prodúxerant aquæ in spécies suas, et omne volátile secúndum genus suum. Et vidit Deus, quod esset bonum. Benedixítque eis, dicens: Créscite et multiplicámini, et repléte aquas maris: avésque multiplicéntur super terram. Et factum est véspere et mane, dies quintus. Dixit quoque Deus: Prodúcat terra ánimam vivéntem in génere suo: juménta et reptília, et béstias terræ secúndum spécies suas. Factúmque est ita. Et fecit Deus béstias terræ juxta spécies suas, et juménta, et omne réptile terræ in génere suo. Et vidit Deus, quod esset bonum, et ait: Faciámus hóminem ad imáginem et similitúdinem nostram: et præsit píscibus maris et volatílibus cœli, et béstiis universæque terræ, omníque réptili, quod movétur in terra. Et creávit Deus hóminem ad imáginem suam: ad imáginem Dei creávit illum, másculum et féminam creávit eos. Benedixítque illis Deus, et ait: Créscite et multiplicámini, et repléte terram, et subjícite eam, et dominámini píscibus maris et volatílibus cœli, et univérsis animántibus, quæ movéntur super terram. Dixítque Deus: Ecce, dedi vobis omnem herbam afferéntem semen super terram, et univérsa ligna, quæ habent in semetípsis seméntem géneris sui, ut sint vobis in escam: et cunctis animántibus terræ, omníque vólucri cœli, et univérsis, quæ movéntur in terra, et in quibus est ánima vivens, ut hábeant ad vescéndum. Et factum est ita. Vidítque Deus cuncta, quæ fécerat: et erant valde bona. Et factum est véspere et mane, dies sextus. Igitur perfécti sunt cœli et terra, et omnis ornátus eórum. Complevítque Deus die séptimo opus suum, quod fécerat: et requiévit die séptimo ab univérso ópere, quod patrárat.

[In principio Dio creò il cielo e la terra. Or la terra era solitudine e caos, e le tenebre coprivano la faccia dell’abisso, ma lo Spirito di Dio si librava sopra le acque. Allora Dio disse: «Sia la luce». E luce fu. E Dio vide che la luce era buona, e separò la luce dalle tenebre. E diede il nome di Giorno alla luce e di Notte alle tenebre. Così si fece sera e poi mattina: primo giorno. Poi Dio disse: «Ci sia uno strato in mezzo alle acque, e separi le acque dalle acque». E Dio fece lo strato, e separò le acque che erano sotto da quelle che erano sopra lo strato. E così fu. E Dio chiamò Cielo lo strato. Intanto si fece sera e poi mattina: secondo giorno. Poi Dio disse: «Le acque che sono sotto il cielo si radunino in un solo luogo, e appaia l’asciutto». E così fu. E Dio chiamò Terra l’asciutto, e Mare l’ammasso delle acque. E Dio vide che ciò era ben fatto. Quindi disse: «Produca la terra erba verdeggiante che faccia seme, e piante fruttifere che diano frutto secondo la loro specie ed abbiano in se stesse la propria semenza sopra la terra». E così fu. E la terra produsse verdura, erba che fa seme della sua specie, e piante che danno frutto ed hanno ciascuna la semenza secondo la propria specie. E Dio vide che ciò era ben fatto. Intanto si fece sera e poi mattino: terzo giorno. Dio disse ancora: «Vi siano dei luminari nella volta del cielo per distinguere il giorno dalla notte e siano segni dei tempi, dei giorni e degli anni, e risplendano nel firmamento del cielo per far luce sulla terra». E così fu. E Dio fece i due grandi luminari: il luminare maggiore, affinché presiedesse al giorno: il luminare minore, affinché presiedesse alla notte; e fece pure le stelle. E le mise nella volta del cielo, perché dessero luce alla terra e regolassero il giorno e la notte, e separassero la luce dalle tenebre. E Dio vide che ciò era ben fatto. Intanto si fece sera e poi mattino: quarto giorno. Disse poi Dio: «Brulichino le acque di animali e gli uccelli volino sopra la terra, sotto la volta del cielo». E Dio creò i grandi mostri marini e tutti gli animali viventi striscianti, di cui si popolarono le acque, secondo le loro specie, ed ogni volatile secondo la sua specie. E Dio vide che ciò era ben fatto. E li benedisse, dicendo: «Crescete e moltiplicatevi, e popolate le acque del mare, e si moltiplichino gli uccelli sopra la terra». E intanto si fece sera e poi mattino: quinto giorno. Disse ancora Dio: «Produca la terra animali viventi secondo la loro specie, animali domestici, e rettili e bestie selvatiche della terra, secondo la loro specie». E così fu. E Dio fece le fiere terrestri, secondo la loro specie, e gli animali domestici, e tutti i rettili della terra, secondo la loro specie. E Dio vide che ciò era ben fatto. Poi Dio disse: «Facciamo l’Uomo a nostra immagine e somiglianza, che domini i pesci del mare, i volatili del cielo, le bestie, e tutta la terra, e tutti i rettili che strisciano sopra la terra». Dio creò l’uomo a sua immagine, lo creò a immagine di Dio; li creò maschio e femmina. E Dio li benedì dicendo: «Crescete e moltiplicatevi, e riempite la terra e rendetevela soggetta, e dominate sui pesci del mare, e sui volatili del cielo, e sopra tutti gli animali che si muovono sulla terra». E Dio disse: «Ecco io vi do tutte le erbe che fanno seme sulla terra e tutte le piante che hanno in se stesse semenza della loro specie, perché servano di cibo a voi; e a tutti gli animali della terra, e a tutti gli uccelli del cielo e a quanto si muove sulla terra ed ha in sé anima vivente, affinché abbiano da mangiare». E così fu. E Dio vide tutte le cose che aveva fatte; ed esse erano molto buone. Intanto si fece sera e poi mattino: sesto giorno. Così furono compiuti i cieli e la terra e tutto il loro assetto. E Dio nel settimo giorno finì l’opera che aveva fatta e nel settimo giorno si riposò da tutte le opere che aveva compiute].

II. Profezia (Gen. V, 32 – VIII, 8, 21)

(Dio, per mezzo del Battesimo fa entrare le anime nella Chiesa, che è l’arca di salvezza)

Noë vero cum quingentórum esset annórum, génuit Sem, Cham et Japheth. Cumque cœpíssent hómines multiplicári super terram et fílias procreássent, vidéntes fílii Dei fílias hóminum, quod essent pulchræ, accepérunt sibi uxóres ex ómnibus, quas elégerant. Dixítque Deus: Non permanébit spíritus meus in hómine in ætérnum,quia caro est: erúntque dies illíus centum vigínti annórum. Gigántes autem erant super terram in diébus illis. Postquam enim ingréssi sunt fílii Dei ad fílias hóminum illæque genuérunt, isti sunt poténtes a sǽculo viri famósi. Videns autem Deus, quod multa malítia hóminum esset in terra, et cuncta cogitátio cordis inténta esset ad malum omni témpore, pænítuit eum, quod hóminem fecísset in terra. Et tactus dolóre cordis intrínsecus: Delébo, inquit, hóminem, quem creávi, a fácie terræ, ab hómine usque ad animántia, a réptili usque ad vólucres cœli; pænitet enim me fecísse eos. Noë vero invénit grátiam coram Dómino. Hæ sunt generatiónes Noë: Noë vir justus atque perféctus fuit in generatiónibus suis, cum Deo ambulávit. Et génuit tres fílios, Sem, Cham et Japheth. Corrúpta est autem terra coram Deo et repléta est iniquitáte. Cumque vidísset Deus terram esse corrúptam , dixit ad Noë: Finis univérsæ carnis venit coram me: repléta est terra iniquitáte a fácie eórum, et ego dispérdam eos cum terra. Fac tibi arcam de lignis lævigátis: mansiúnculas in arca fácies, et bitúmine línies intrínsecus et extrínsecus. Et sic fácies eam: Trecentórum cubitórum erit longitúdo arcæ, quinquagínta cubitórum latitúdo, et trigínta cubilórum altitúdo illíus. Fenéstram in arca fácies, et in cúbito consummábis summitátem ejus: óstium autem arcæ pones ex látere: deórsum cenácula et trístega fácies in ea. Ecce, ego addúcam aquas dilúvii super terram, ut interfíciam omnem carnem, in qua spíritus vitæ est subter cœlum. Univérsa, quæ in terra sunt, consuméntur. Ponámque fœdus meum tecum: et ingrédiens arcam tu et fílii tui, uxor tua et uxóres filiórum tuórum tecum. Et ex cunctis animántibus univérsæ carnis bina indúces in arcam, ut vivant tecum: masculíni sexus et feminíni. De volúcribus juxta genus suum, et de juméntis in génere suo, et ex omni réptili terræ secúndum genus suum: bina de ómnibus ingrediántur tecum, ut possint vívere. Tolles ígitur tecum ex ómnibus escis, quæ mandi possunt, et comportábis apud te: et erunt tam tibi quam illis in cibum. Fecit ígitur Noë ómnia, quæ præcéperat illi Deus. Erátque sexcentórum annórum, quando dilúvii aquæ inundavérunt super terram. Rupti sunt omnes fontes abýssi magnæ, et cataráctæ cœli apértæ sunt: et facta est plúvia super terram quadragínta diébus et quadragínta nóctibus. In artículo diei illíus ingréssus est Noë, et Sem et Cham et Japheth, fílii ejus, uxor illíus et tres uxóres filiórum ejus cum eis in arcam: ipsi, et omne ánimal secúndum genus suum, univérsaque juménta in génere suo, et omne, quod movétur super terram in génere suo, cunctúmque volátile secúndum genus suum. Porro arca ferebátur super aquas. Et aquæ prævaluérunt nimis super terram: opertíque sunt omnes montes excélsi sub univérso cœlo. Quíndecim cúbitis áltior fuit aqua super montes, quos operúerat. Consúmptaque est omnis caro, quæ movebátur super terram, vólucrum, animántium, bestiárum, omniúmque reptílium, quæ reptant super terram. Remánsit autem solus Noë, et qui cum eo erant in arca. Obtinuerúntque aquæ terram centum quinquagínta diébus. Recordátus autem Deus Noë, cunctorúmque animántium et ómnium jumentórum, quæ erant cum eo in arca, addúxit spíritum super terram, et imminútæ sunt aquæ. Et clausi sunt fontes abýssi et cataráctæ cœli: et prohíbitæ sunt plúviæ de cœlo. Reversæque sunt aquæ de terra eúntes et redeúntes: et cœpérunt mínui post centum quinquagínta dies. Cumque transíssent quadragínta dies, apériens Nœ fenéstram arcæ, quam fécerat, dimísit corvum, qui egrediebátur, et non revertebátur, donec siccaréntur aquæ super terram. Emísit quoque colúmbam post eum, ut vidéret, si jam cessássent aquæ super fáciem terræ. Quæ cum non invenísset, ubi requiésceret pes ejus, revérsa est ad eum in arcam: aquæ enim erant super univérsam terram: extendítque manum et apprehénsam íntulit in arcam. Exspectátis autem ultra septem diébus áliis, rursum dimisit colúmbam ex arca. At illa venit ad eum ad vésperam, portans ramum olívæ viréntibus fóliis in ore suo. Intelléxit ergo Noë, quod cessássent aquæ super terram. Exspectavítque nihilminus septem álios dies: et emísit colúmbam, quæ non est revérsa ultra ad eum. Locútus est autem Deus ad Noë, dicens: Egrédere de arca, tu et uxor tua, fílii tui et uxóres filiórum tuórum tecum. Cuncta animántia, quæ sunt apud te, ex omni carne, tam in volatílibus quam in béstiis et univérsis reptílibus, quæ reptant super terram, educ tecum, et ingredímini super terram: créscite et multiplicámini super eam. Egréssus est ergo Noë et fílii ejus, uxor illíus et uxóres filiórum ejus cum eo. Sed et ómnia animántia, juménta et reptília, quæ reptant super terram, secúndum genus suum, egréssa sunt de arca. Ædificávit autem Noë altáre Dómino: et tollens de cunctis pecóribus et volúcribus mundis, óbtulit holocáusta super altáre. Odoratúsque est Dóminus odórem suavitátis.

[Noè, essendo in età di cinquecento anni, generò Sem, Cam e Jafet. E avendo principiato gli uomini a moltiplicarsi sopra la terra e avendo procreato delle figliuole, vedendo i figliuoli di Dio la bellezza delle figliuole degli uomini presero per loro mogli quelle che più di tutte loro piacevano. E disse il Signore : Non rimarrà il mio spirito per sempre nell’uomo, perché egli è carne e i suoi giorni saranno solamente di cento veti anni. In quel tempo vi erano sopra la terra dei giganti: poiché, dopo che si accostarono i figliuoli di Dio alle figliuole degli uomini, esse generarono, e ne vennero questi uomini, forti e robusti, famosi nei secoli. — Vedendo dunque Dio quanto grande era la malizia degli uomini sopra la terra, e tutti i pensieri del loro cuore erano continuamente intesi al mal fare, si pentì d’aver fatto l’uomo. E preso come da un intimo strazio a! cuore: Sterminerò, disse egli, l’uomo da me creato dalla faccia della terra, dall’uomo sino agli animali, dai rettili fino agli uccelli dell’aria; poiché mi pento di averli fatti. — Ma Noè trovò grazia dinanzi al Signore. Questa è la Ascendenza di Noè. Noè fu uomo giusto e perfetto nei suoi, tempi, e camminò con Dio. E generò tre figliuoli: Sem, Cam e Jafet. Ma era corrotta la terra davanti a Dio e ripiena d’iniquità. E avendo veduto Dio come la terra era corrotta, poiché ogni uomo era corrotto nella sua maniera di vivere sulla terra, disse a Noè: Nei miei decreti è imminente la fine di tutti gli uomini; la terra è ripiena d’iniquità per opera loro, e io li sterminerò insieme con la terra. Tu costruirai un’arca con legni lavorati; tu farai delle piccole stanze nell’arca e la invernicerai di bitume di dentro e di fuori. E in questo modo la farai: la lunghezza dell’arca sarà di trecento cubiti, di cinquanta cubiti la larghezza e di trenta l’altezza. Farai una finestra nell’arca e il tetto dell’arca lo farai che vada alzandosi fino ad un cubito. La porta poi dell’arca la farai da un lato; vi farai un piano in fondo, un secondo piano e un terzo piano. Ecco che io manderò le acque del diluvio sopra la terra ad uccidere tutti gli animali che hanno spirito di vita sotto il cielo: tutto quello che è sopra la terra andrà in perdizione. Ma io farò un patto con te ed entrerai nell’arca tu, e i tuoi figli, tua moglie e le mogli dei tuoi figli. E di tutti gli animali d’ogni specie, ne farai entrare nell’arca una coppia, un maschio e una femmina, affinché si salvino con te. Degli uccelli secondo la specie e delle bestie di ogni specie, e di tutti i rettili della terra secondo la loro specie, due entreranno nell’arca con te, affinché possano conservarsi. Prenderai dunque con te di tutte quelle cose che si possono mangiare, e le porterai in questa tua casa e serviranno a te e a loro di cibo. Fece dunque Noè tutto quello che gli aveva comandato il Signore. Ed. egli era in età di seicento anni allorché le acque del diluvio inondarono la terra. Si squarciarono allora tutte le sorgenti del grande abisso, e le cateratte del cielo si aprirono: e piovve sopra la terra per quaranta giorni e quaranta notti. In quello stesso giorno entrò Noè e Sem, Cam e Jafet suoi figliuoli, la moglie di lui e le tre mogli dei suoi figliuoli con essi nell’arca: essi e tutti gli animali secondo la loro specie, e tutto quello che si muove sopra la terra secondo la loro specie. Ora l’arca galleggiava sopra le acque. E le acque ingrossarono fuor di misura sopra la terra: e rimasero coperti tutti i monti più alti sotto il cielo, Quindici cubiti si alzò l’acqua sopra i monti che aveva ricoperti. E restò consunta ogni carne che ha moto sopra la terra, gli uccelli, gli animali; le bestie e tutti i rettili che strisciano sopra la terra: e rimase solo Noè e quelli che con lui erano nell’arca. Le acque occuparono la terra per centocinquanta giorni, ma ricordandosi il Signore di Noè e di tutti gli animali e di tutte le bestie che erano con essi nell’arca, mandò il vento sulla terra, e si abbassarono le acque. E furono chiuse le sorgenti del grande abisso e le cateratte del cielo, e si arrestarono le piogge dal cielo. E si ritirarono le acque dalla terra andando e venendo: e cominciarono a scemare dopo centocinquanta giorni. E passati quaranta giorni, Noè, aperta la finestra che egli aveva fatta nell’arca, mandò fuori il corvo, il quale uscì e non tornò fino a tanto che le acque non s’asciugarono sulla terra. Mandò ancora dopo di esso la colomba per vedere se fossero sparite le acque sopra la faccia della terra. Ma la colomba, non avendo trovato ove posare il suo piede tornò a lui nell’arca: poiché le acque erano per tutta la terra: egli stese la mano e presala, la mise dentro l’arca. E avendo aspettato altri sette giorni, di nuovo mandò la colomba fuori dell’arca; ed ella tornò a lui alla sera portando in bocca un ramo d’olivo con verdi foglie. Comprese allora Noè che erano cessate le acque sopra la terra e aspettò non di meno altri sette giorni e rimandò la colomba, la quale non tornò più a lui. E parlò Dio a Noè dicendo: Esci dall’arca tu e tua moglie, i figli tuoi e le mogli dei tuoi figli con te. Tutti gli animali che sono presso di te d’ogni specie, sia di volatili sia di bestie o di rettili striscianti sulla terra, conducili con te; rientrate sulla terra: crescete e moltiplicatevi. E Noè usci coi figliuoli e sua moglie e le mogli dei suoi figli con lui. E tutti, con gli animali e le bestie e i rettili che strisciano sulla terra secondo la loro specie, uscirono dall’arca. E Noè edificò un altare al Signore e, presi tutti gli animali e uccelli mondi, ne offrì in olocausto sopra l’altare. E il Signore gradì il soave odore.]

III. Profezia (Gen. XXII, 1-19)

(Col Battesimo e con la fede in Gesù Cristo i neofiti divengono i figli che Dio aveva promesso ad Abramo)

In diébus illis: Tentávit Deus Abraham, et dixit ad eum: Abraham, Abraham. At ille respóndit: Adsum. Ait illi: Tolle fílium tuum unigénitum, quem diligis, Isaac, et vade in terram visiónis: atque ibi ófferes eum in holocáustum super unum móntium, quem monstrávero tibi. Igitur Abraham de nocte consúrgens, stravit ásinum suum: ducens secum duos júvenes et Isaac, fílium suum. Cumque concidísset ligna in holocáustum, ábiit ad locum, quem præcéperat ei Deus. Die autem tértio,elevátis óculis, vidit locum procul: dixítque ad púeros suos: Exspectáte hic cum ásino: ego et puer illuc usque properántes, postquam adoravérimus, revertémur ad vos. Tulit quoque ligna holocáusti, et impósuit super Isaac, fílium suum: ipse vero portábat in mánibus ignem et gládium. Cumque duo pérgerent simul, dixit Isaac patri suo: Pater mi. At ille respóndit: Quid vis, fili? Ecce, inquit, ignis et ligna: ubi est víctima holocáusti? Dixit autem Abraham: Deus providébit sibi víctimam holocáusti, fili mi. Pergébant ergo páriter: et venérunt ad locum, quem osténderat ei Deus, in quo ædificávit altáre et désuper ligna compósuit: cumque alligásset Isaac, fílium suum, pósuit eum in altare super struem lignórum. Extendítque manum et arrípuit gládium, ut immoláret fílium suum. Et ecce, Angelus Dómini de cœlo clamávit, dicens: Abraham, Abraham. Qui respóndit: Adsum. Dixítque ei: Non exténdas manum tuam super púerum neque fácias illi quidquam: nunc cognóvi, quod times Deum, et non pepercísti unigénito fílio tuo propter me. Levávit Abraham óculos suos, vidítque post tergum aríetem inter vepres hæréntem córnibus, quem assúmens óbtulit holocáustum pro fílio. Appellavítque nomen loci illíus, Dóminus videt. Unde usque hódie dícitur: In monte Dóminus vidébit. Vocávit autem Angelus Dómini Abraham secúndo de cœlo, dicens: Per memetípsum jurávi, dicit Dóminus: quia fecísti hanc rem, et non pepercísti fílio tuo unigénito propter me: benedícam tibi, et multiplicábo semen tuum sicut stellas cœli et velut arénam, quæ est in lítore maris: possidébit semen tuum portas inimicórum suórum, et benedicéntur in sémine tuo omnes gentes terræ, quia obœdísti voci meæ. Revérsus est Abraham ad púeros suos, abierúntque Bersabée simul, et habitávit ibi.

[In quei giorni Dio provò Abramo e gli disse: Abramo, Abramo. Ed egli rispose: Eccomi. E Dio gli disse: Prendi il tuo figlio unigenito, il diletto Isacco, e va nella terra della visione e ivi lo offrirai in olocausto sopra uno dei monti che io ti indicherò. Abramo, dunque, mentre era ancora notte alzatosi, preparò il suo asino e prese con se due servi e Isacco suo figliuolo: e tagliate le legna per l’olocausto, s’incamminò verso il luogo assegnatogli da Dio. E il terzo giorno, alzati gli occhi, vide il luogo da lungi e disse ai suoi servi: aspettate qui con l’asino: io e il fanciullo andremo fin là con prestezza; e, come avremo fatto adorazione, torneremo da voi. Prese anche la legna per l’olocausto e la pose addosso a Isacco suo figliuolo: egli poi portava colle sue mani il fuoco e il coltello. E mentre tutti e due camminavano insieme, disse Isacco a suo padre: Padre mio. E quegli rispose: Che vuoi figliuolo? Ecco, disse quegli, il fuoco e la legna: dov’è la vittima dell’olocausto ? E Abramo soggiunse: Dio ci provvederà la vittima per l’olocausto, figliuolo mio. Andavano dunque innanzi assieme. E giunti al luogo mostrato a lui da Dio, edificò un altare e sopra vi accomodò la legna, e avendo legato Isacco, suo figlio, lo collocò sull’altare, sopra il mucchio della legna.. E stese la mano, e prese il coltello per immolare suo figlio. Ma ecco l’Angelo del Signore dal cielo gridò, dicendo: Abramo, Abramo. E questi rispose: Eccomi. E quegli a lui disse: Non stendere le tue mani sopra il .fanciullo e non fare a lui male alcuno; adesso ho conosciuto che tu temi Iddio e non hai risparmiato il figliuolo tuo unigenito per me. Alzò Abramo gli occhi e vide dietro a se un ariete che si dimenava tra i pruni e presolo per le corna, lo tolse e lo offerse in olocausto invece del figlio, e a quel luogo pose nome: il Signore vede! Donde fin a quest’oggi si dice: Sul monte il Signore provvederà. Per la seconda volta l’Angelo del Signore chiamò Abramo dal cielo dicendo: Per me medesimo ho giurato, dice il Signore: giacche hai fatto una tal cosa e non hai perdonato al tuo figlio unigenito per me, io ti benedirò e moltiplicherò la tua stirpe come le stelle del cielo e come l’arena che è sul lido del mare; s’impadronirà la tua stirpe delle porte dei suoi nemici; e nella tua discendenza benedette saranno tutte le nazioni della terra, perché hai ubbidito alla mia voce. Tornò Abramo dai suoi servi: e se ne andarono insieme a Bersabea, ove egli abitò]

IV Profezia (Es. XIV, 24-31; XV, 1)

(Col Battesimo Gesù strappa i catecumeni dal giogo di satana; come Mosè liberò gli Israeliti dalla schiavitù dell’Egitto)

In diébus illis: Factum est in vigília matutina, et ecce, respíciens Dóminus super castra Ægyptiórum per colúmnam ignis et nubis, interfécit exércitum eórum: et subvértit rotas cúrruum, ferebantúrque in profúndum. Dixérunt ergo Ægýptii: Fugiámus Israélem: Dóminus enim pugnat pro eis contra nos. Et ait Dóminus ad Móysen: Exténde manum tuam super mare, ut revertántur aquæ ad Ægýptios super currus et équites eórum. Cumque extendísset Moyses manum contra mare, revérsum est primo dilúculo ad priórem locum: fugientibúsque Ægýptiis occurrérunt aquæ, et invólvit eos Dóminus in médiis flúctibus. Reversæque sunt aquæ, et operuérunt currus, et équites cuncti exércitus Pharaónis, qui sequéntes ingréssi fúerant mare: nec unus quidem supérfuit ex eis. Fílii autem Israël perrexérunt per médium sicci maris, et aquæ eis erant quasi pro muro a dextris et a sinístris: liberavítque Dóminus in die illa Israël de manu Ægyptiórum. Et vidérunt Ægýptios mórtuos super litus maris, et manum magnam, quam exercúerat Dóminus contra eos: timuítque pópulus Dóminum, et credidérunt Dómino et Moysi, servo ejus. Tunc cécinit Moyses et fílii Israël carmen hoc Dómino, et dixérunt: Cantémus Dómino: glorióse enim honorificátus est: equum et ascensórem projécit in mare: adjútor et protéctor factus est mihi in salútem,

V. Hic Deus meus, et honorificábo eum: Deus patris mei, et exaltábo eum.
V. Dóminus cónterens bella: Dóminus nomen est illi.

[In quei giorni, era già la vigilia del mattino, e il Signore da una nuvola di fuoco guardò verso il campo degli Egiziani e lo scompigliò. Fece rovesciare le ruote dei cocchi, che erano trascinati nel profondo. Dissero allora gli Egiziani: «Fuggiamo Israele, perché il Signore combatte per loro contro di noi!». E il Signore disse a Mosè: «Stendi la tua mano sopra il mare, affinché le acque si rovescino sugli Egiziani, sopra i loro cocchi e i loro cavalieri». E avendo Mosè stesa la mano verso il mare, sul far della mattina, il mare tornò al suo posto di prima, e le acque piombarono addosso agli Egiziani che fuggivano: così il Signore li travolse in mezzo ai flutti. E le acque, ritornando, coprirono i cocchi e i cavalieri di tutto l’esercito del Faraone, che per inseguire erano entrati nel mare: né un solo di loro scampò. Ma i figli d’Israele camminarono sull’asciutto nel mezzo del mare, e le acque erano per loro come un muro a destra e a sinistra. Così in quel giorno il Signore liberò Israele dalle mani degli Egiziani. E gli Israeliti videro sul lido del mare gli Egiziani morti e la grande potenza che il Signore aveva dispiegato contro di essi. E il popolo temè il Signore e credettero al Signore e a Mosè, suo servo. E allora Mosè cantò coi figli d’Israele questo cantico al Signore, dicendo: Cantiamo al Signore perché si è maestosamente glorificato; ha precipitato in mare cavallo e cavaliere. Il Signore è la mia forza ed il mio cantico;


V. Egli è il mio Dio e lo glorificherò; il Dio di mio padre e Lo esalterò.
V. Il Signore debella le guerre: il suo nome è l’Onnipotente]

V Profezia (Is. LIV, 17- LV. 11)

(Con il Battesimo le anime fanno parte del nuovo popolo col quale Dio stringe un’alleanza infinitamente superiore a quella del Sinai)

Hæc est heréditas servórum Dómini: et justítia eórum apud me, dicit Dóminus. Omnes sitiéntes, veníte ad aquas: et qui non habétis argéntum, properáte, émite et comédite: veníte, émite absque argénto et absque ulla commutatióne vinum et lac. Quare appénditis argéntum non in pánibus, et labórem vestrum non in saturitáte? Audíte audiéntes me, et comédite bonum, et delectábitur in crassitúdine ánima vestra. Inclináte aurem vestram, et veníte ad me: audíte, et vivet ánima vestra, et fériam vobíscum pactum sempitérnum, misericórdias David fidéles. Ecce, testem pópulis dedi eum, ducem ac præceptórem géntibus. Ecce, gentem, quam nesciébas, vocábis: et gentes, quæ te non cognovérunt, ad te current propter Dóminum, Deum tuum, et sanctum Israël, quia glorificávit te. Quærite Dóminum, dum inveníri potest: invocáte eum, dum prope est. Derelínquat ímpius viam suam et vir iníquus cogitatiónes suas, et revertátur ad Dóminum, et miserébitur ejus, et ad Deum nostrum: quóniam multus est ad ignoscéndum. Non enim cogitatiónes meæ cogitatiónes vestræ: neque viæ vestræ viæ meæ, dicit Dóminus. Quia sicut exaltántur cœli a terra, sic exaltátæ sunt viæ meæ a viis vestris, et cogitatiónes meæ a cogitatiónibus vestris. Et quómodo descéndit imber et nix de cœlo, et illuc ultra non revértitur, sed inébriat terram, et infúndit eam, et germináre eam facit, et dat semen serénti et panem comedénti: sic erit verbum meum, quod egrediátur de ore meo: non revertátur ad me vácuum, sed fáciet, quæcúmque volui, et prosperábitur in his, ad quæ misi illud: dicit Dóminus omnípotens.

[Questa è l’eredità dei servi del Signore, e la loro giustizia è affidata a me, dice il Signore. Voi tutti che avete sete venite alle acque; e voi che non avete argento fate presto, comprate e mangiate venite, comprate senza argento e senz’altra permuta, del vino e del latte; per qual motivo spendete voi il vostro argento in cose che non sono pane e la vostra fatica in ciò che non vi sazia? Con docilità ascoltatemi e cibatevi di buon cibo; l’anima vostra si delizierà nel sostanzioso, nutrimento. Porgete l’orecchio vostro e venite a me: Udite, e vivrà l’anima vostra, ed io stabilirò con voi un patto eterno, l’adempimento delle misericordie assicurate a David. Ecco che ho dato lui per testimoniare ai Popoli, condottiero e maestro delle nazioni. Ecco che quel popolo che tu non riconoscevi, tu lo chiamerai; le genti che non ti conoscevano, a te correranno per amor del Signore Dio tuo, e del santo d’Israele, perché ti ha glorificato. Cercate il Signore mentre lo si può trovare: invocatelo mentre egli è vicino. Abbandoni l’empio, la via sua, e l’iniquo i suoi maligni progetti, e ritorni al Signore, il quale avrà misericordia di lui; al nostro Dio, che è largo nel perdonare. Poiché i pensieri miei non sono i pensieri vostri, ne le vie vostre son le vie mie, dice il Signore. Poiché di quanto il cielo sovrasta alla terra, tanto sovrastano le mie vie alle vostre e i miei pensieri ai pensieri vostri. E come scende la pioggia e la neve dal cielo e lassù non ritorna, ma inebria la terra e la bagna e la fa germogliare affinché dia il seme da seminare e il pane da mangiare; così sarà della mia parola uscita dalla mia bocca: essa non tornerà a me senza frutto, ma opererà tutto quello che io voglio, e felicemente adempirà quelle cose per le quali io l’ho mandata: così dice il Signore onnipotente.]

VI. Profezia (Bar. III, 9-22)

(Le anime battezzate gioiranno in una pace eterna se osserveranno le lezioni di vita e di sapienza che a Chiesa dà loro in nome di Dio)

Audi, Israël, mandáta vitæ: áuribus pércipe, ut scias prudéntiam. Quid est, Israël, quod in terra inimicórum es? Inveterásti in terra aliéna, coinquinátus es cum mórtuis: deputátus es cum descendéntibus in inférnum. Dereliquísti fontem sapiéntiæ. Nam si in via Dei ambulásses, habitásses útique in pace sempitérna. Disce, ubi sit prudéntia, ubi sit virtus, ubi sit intelléctus: ut scias simul, ubi sit longitúrnitas vitæ et victus, ubi sit lumen oculórum et pax. Quis invénit locum ejus? et quis intrávit in thesáuros ejus? Ubi sunt príncipes géntium, et qui dominántur super béstias, quæ sunt super terram? qui in ávibus cœli ludunt, qui argéntum thesaurízant et aurum, in quo confídunt hómines, et non est finis acquisitiónis eórum? qui argéntum fábricant, et sollíciti sunt, nec est invéntio óperum illórum? Extermináti sunt, et ad ínferos descendérunt, et álii loco eórum surrexérunt. Júvenes vidérunt lumen, et habitavérunt super terram: viam autem disciplínæ ignoravérunt, neque intellexérunt sémitas ejus, neque fílii eórum suscepérunt eam, a fácie ipsórum longe facta est: non est audíta in terra Chánaan, neque visa est in Theman. Fílii quoque Agar, qui exquírunt prudéntiam, quæ de terra est, negotiatóres Merrhæ et Theman, et fabulatóres, et exquisitóres prudéntiæ et intellegéntias: viam autem sapiéntiæ nesciérunt, neque commemoráti sunt sémitas ejus. O Israël, quam magna est domus Dei et ingens locus possessiónis ejus! Magnus est et non habet finem: excélsus et imménsus. Ibi fuérunt gigántes nomináti illi, qui ab inítio fuérunt, statúra magna, sciéntes bellum. Non hos elegit Dóminus, neque viam disciplínæ invenérunt: proptérea periérunt. Et quóniam non habuérunt sapiéntiam, interiérunt propter suam insipiéntiam. Quis ascéndit in cœlum, et accépit eam et edúxit eam de núbibus? Quis transfretávit mare, et invénit illam? et áttulit illam super aurum eléctum? Non est, qui possit scire vias ejus neque qui exquírat sémitas ejus: sed qui scit univérsa, novit eam et adinvénit eam prudéntia sua: qui præparávit terram in ætérno témpore, et replévit eam pecúdibus et quadrupédibus: qui emíttit lumen, et vadit: et vocávit illud, et obædit illi in tremóre. Stellæ autem dedérunt lumen in custódiis suis, et lætátæ sunt: vocátæ sunt, et dixérunt: Adsumus: et luxérunt ei cum jucunditáte, qui fecit illas. Hic est Deus noster, et non æstimábitur álius advérsus eum. Hic adinvénit omnem viam disciplínæ, et trádidit illam Jacob púero suo et Israël dilécto suo. Post hæc in terris visus est, et cum homínibus conversátus est.

[Ascolta, o Israele, i comandamenti di vita; porgi le orecchie ad imparare la prudenza: quale è la ragione, o Israele, per la quale tu sei in terra nemica? Tu invecchi in paese straniero, sei contaminato tra i morti, sei stato contuso con quelli che scendono nella fossa. Infatti tu abbandonasti la fonte della sapienza. Poiché se tu avessi camminato per la via di Dio, saresti vissuto in una pace eterna. Impara dove sia la prudenza, dove sia la fortezza, dove sia l’intelligenza; affinché sappia a un tempo dove sia la lunghezza della vita e il nutrimento, dove sia il lume degli occhi e la pace. Chi trovò la sede di essa? E chi penetrò nei tesori di lei? Dove sono i principi delle nazioni e coloro che dominano sopra le bestie della terra? Coloro che coi volatili del cielo scherzano; coloro che tesoreggiano argento ed oro, in cui confidano gli uomini, né mai finiscono di procacciarsene? coloro che lavorano l’argento, e gran pensiero se ne danno e non hanno termine le opere loro? Furono sterminati e discesero negli abissi e a loro altri succedettero. Questi, giovani, videro la luce e abitarono sopra la terra, ma la via della disciplina non conobbero e non ne compresero la direzione, né i loro figli l’abbracciarono; essa andò lungi da essi, di lei non si udì più parola nella terra di Canaan, non fu veduta in Theman. I figli ancora di Agar, che cercano la prudenza che viene dalla terra, e i negozianti di Merrha e di Theman e i favoleggiatori e gli scopritori della prudenza e della intelligenza, non conobbero la via della sapienza; né fecero tesoro dei suoi ammaestramenti. O Israele, quanto grande è la casa di Dio, e quanto grande è il luogo del suo dominio! Grande egli è e non ha termine: eccelso e immenso. Ivi furono quei giganti famosi che da principio furono di statura grande, maestri di guerra. Non scelse questi il Signore, né questi trovarono la via della disciplina; per questo perirono. E perché non ebbero la sapienza, perirono per la loro stoltezza. Chi salì al cielo e ne fece acquisto, e chi la trasse dalle nubi? Chi varcò il mare e la trovò e la portò a preferenza dell’oro più fino? Non è chi possa conoscere le vie di lei, né chi comprenda i suoi sentieri. Colui che sa tutto la conosce e la discoprì con la sua prudenza; colui che fondò la terra per l’eternità e la riempì di animali e di quadrupedi, colui che manda la luce ed essa va, la chiama ed essa ubbidisce a lui con tremore. Le stelle diffusero dai loro posti il loro lume, e ne furono liete: chiamate, dissero : Eccoci, e risplenderono con gioia per lui che le creò. Questi è il Dio nostro e nessun altro può essere messo in paragone con lui, questi fu l’inventore della via della disciplina e la insegno a Giacobbe suo servo, e ad Israele suo diletto. Dopo tali cose egli fu visto sopra la terra, e con gli uomini ha conversato.]

VII. Profezia (Ezech., XXXVII, 1-14)

(Il Battesimo infonde una nuova via nelle anime che il peccato aveva fatto morire, ciò è raffigurato dalle ossa disseccate che al comando di Ezechiele si rizzano, si rivestono di carne e divengono un’armata potente)

In diébus illis: Facta est super me manus Dómini, et edúxit me in spíritu Dómini: et dimísit me in médio campi, qui erat plenus óssibus: et circumdúxit me per ea in gyro: erant autem multa valde super fáciem campi síccaque veheménter. Et dixit ad me: Fili hóminis, putásne vivent ossa ista? Et dixi: Dómine Deus, tu nosti. Et dixit ad me: Vaticináre de óssibus istis: et dices eis: Ossa árida, audíte verbum Dómini. Hæc dicit Dóminus Deus óssibus his: Ecce, ego intromíttam in vos spíritum, et vivétis. Et dabo super vos nervos, et succréscere fáciam super vos carnes, et superexténdam in vobis cutem: et dabo vobis spíritum, et vivétis, et sciétis, quia ego Dóminus. Et prophetávi, sicut præcéperat mihi: factus est autem sónitus prophetánte me, et ecce commótio: et accessérunt ossa ad ossa, unumquódque ad junctúram suam. Et vidi, et ecce, super ea nervi et carnes ascendérunt: et exténta est in eis cutis désuper, et spíritum non habébant. Et dixit ad me: Vaticináre ad spíritum, vaticináre, fili hóminis, et dices ad spíritum: Hæc dicit Dóminus Deus: A quátuor ventis veni, spíritus, et insúffla super interféctos istos, et revivíscant. Et prophetávi, sicut præcéperat mihi: et ingréssus est in ea spíritus, et vixérunt: steterúntque super pedes suos exércitus grandis nimis valde. Et dixit ad me: Fili hóminis, ossa hæc univérsa, domus Israël est: ipsi dicunt: Aruérunt ossa nostra, et périit spes nostra, et abscíssi sumus. Proptérea vaticináre, et dices ad eos: Hæc dicit Dóminus Deus: Ecce, ego apériam túmulos vestros, et edúcam vos de sepúlcris vestris, pópulus meus: et indúcam vos in terram Israël. Et sciétis, quia ego Dóminus, cum aperúero sepúlcra vestra et edúxero vos de túmulis vestris, pópule meus: et dédero spíritum meum in vobis, et vixéritis, et requiéscere vos fáciam super humum vestram: dicit Dóminus omnípotens.

[In quei giorni la mano del Signore fu sopra di me: e lo spirito del Signore mi trasse fuori e mi posò in mezzo ad un campo che era pieno di ossa e mi fece girare intorno ad esso: esse poi erano in gran quantità sulla faccia del campo e molto inaridite: e disse a me: Figlio dell’uomo, pensi tu che possano riavere vita queste ossa? Ed io dissi: Signore Dio, tu lo sai. Ed egli disse a me: Profetizza sopra queste ossa e dirai loro: Ossa aride, udite la parola del Signore: queste cose dice il Signore Dio a queste ossa. Ecco che io infonderò in voi lo spirito e avrete la vita. E farò risalire su di voi i nervi e ricrescere sopra di voi le carni, e sopra di voi stenderò la pelle e darò a voi lo spirito, e vivrete e conoscerete che io sono il Signore. E profetai come egli mi aveva ordinato e mentre io profetavo, si udì uno strepito, ed ecco un brulichio: e si accostarono ossa ad ossa, ciascuna alla propria giuntura. E mirai, ed ecco sopra di esse i nervi e le carni vennero e si distese sopra di loro la pelle; ma non avevano spirito. Allora mi disse: Profetizza allo spirito, profetizza. figlio dell’uomo e dirai allo spirito: queste cose dice il Signore Iddio: Dai quattro venti vieni, o spirito, e soffia sopra questi morti ed essi rivivranno. E profetai come egli mi aveva comandato ed entrò in quelli lo spirito e riebbero la vita e stettero sui piedi loro, un esercito grande fuor di misura. Ed egli disse a me: Figlio dell’uomo, tutte queste ossa sono figli di Israele: essi dicono: Aride sono le ossa nostre, ed è perita la nostra speranza, e noi siamo troncati: per questo tu profetizza e dirai loro: queste cose dice il Signore: Ecco che io aprirò le vostre tombe e vi trarrò fuori dai vostri sepolcri, popolo mio, e vi condurrò nella terra d’Israele. E conoscerete che io sono il Signore allorquando avrò aperto i vostri sepolcri e vi avrò tratti dai sepolcri vostri, popolo mio, ed avrò infuso il mio spirito in voi, e vivrete, e vi avrò dato riposo nella terra vostra, dice il Signore, onnipotente.]

VIII. Profezia (Is. IV, 1-6)

(Isaia, dopo un cenno alla vedovanza e al celibato forzato delle vanitose donne di Gerusalemme, prive di uomini per la guerra, parla delle promesse messianiche.)

Apprehéndent septem mulíeres virum unum in die illa, dicéntes: Panem nostrum comedémus et vestiméntis nostris operiémur: tantúmmodo invocétur nomen tuum super nos, aufer oppróbrium nostrum. In die illa erit germen Dómini in magnificéntia et glória, et fructus terræ súblimis, et exsultátio his, qui salváti fúerint de Israël. Et erit: Omnis, qui relíctus fúerit in Sion et resíduus in Jerúsalem, sanctus vocábitur, omnis, qui scriptus est in vita in Jerúsalem. Si ablúerit Dóminus sordes filiárum Sion, et sánguinem Jerúsalem láverit de médio ejus, in spíritu judícii et spíritu ardóris. Et creábit Dóminus super omnem locum montis Sion, et ubi invocátus est, nubem per diem, et fumum et splendórem ignis flammántis in nocte: super omnem enim glóriam protéctio. Et tabernáculum erit in umbráculum diéi ab æstu, et in securitátem et absconsiónem a túrbine et a plúvia.

[Sette donne si disputeranno un sol uomo in quel giorno dicendo: Noi mangeremo il nostro pane, del nostro ci vestiremo; solamente dacci il tuo nome, togli la nostra confusione. In quel giorno il «Germoglio del Signore sarà in magnificenza e gloria, e il «Frutto della terra» sarà il sublime vanto e la gioia dei salvati d’Israele. Tutti quelli restati in Sion, quelli rimasti in Gerusalemme, saranno chiamati santi, tutti quelli inscritti per la vita saranno in Gerusalemme . Quando il Signore avrà lavata dalle macchie la figlia di Sion, e Gerusalemme dal sangue che è in mezzo ad essa con lo spirito di giustizia e lo spirito di fuoco, il Signore allora creerà sopra tutto il monte di Sion, e dovunque sarà invocato, una nuvola di fumo durante il giorno, e lo splendore del fuoco fiammante nella notte, e sopra tutta la sua Gloria vi sarà protezione. Il Santuario farà ombra per il calore del giorno, e di difesa contro la bufera e la pioggia.]

IX. Profezia (Es. XII, 1-11)

(I Battezzati mangeranno la carne dell’Agnello di Dio di cui l’Agnello pasquale è la figura)

In diébus illis: Dixit Dóminus ad Móysen et Aaron in terra Ægýpti: Mensis iste vobis princípium ménsium: primus erit in ménsibus anni. Loquímini ad univérsum cœtum filiórum Israël, et dícite eis: Décima die mensis hujus tollat unusquísque agnum per famílias et domos suas. Sin autem minor est númerus, ut suffícere possit ad vescéndum agnum, assúmet vicínum suum, qui junctus est dómui suæ, juxta númerum animárum, quæ suffícere possunt ad esum agni. Erit autem agnus absque mácula, másculus, annículus: juxta quem ritum tollétis et hædum. Et servábitis eum usque ad quartam décimam diem mensis hujus: immolabítque eum univérsa multitúdo filiórum Israël ad vésperam. Et sument de sánguine ejus, ac ponent super utrúmque postem et in superlimináribus domórum, in quibus cómedent illum. Et edent carnes nocte illa assas igni, et ázymos panes cum lactúcis agréstibus. Non comedétis ex eo crudum quid nec coctum aqua, sed tantum assum igni: caput cum pédibus ejus et intestínis vorábitis. Nec remanébit quidquam ex eo usque mane. Si quid resíduum fúerit, igne comburétis. Sic autem comedétis illum: Renes vestros accingétis, et calceaménta habébitis in pédibus, tenéntes báculos in mánibus, et comedétis festinánter: est enim Phase Dómini.

[In quei giorni disse il Signore a Mosè ed Aronne nella terra di Egitto: questo mese sarà per voi il principio dei mesi, il primo dei mesi dell’anno. Parlate a tutta l’adunanza dei figliuoli d’Israele, e dite loro: Il decimo giorno di questo mese, prenda ciascuno un agnello per famiglia e per casa. Che se il numero delle, persone è insufficiente per mangiare tutto l’agnello, inviterà, il suo vicino di casa, in modo che si abbia il numero sufficiente per consumare l’agnello. Questo poi sarà senza macchia , maschio, di un anno; e con lo stesso rito prenderete anche un capretto. E serberete l’agnello fino al giorno quattordicesimo di questo mese; e tutta la moltitudine dei figliuoli d’Israele lo immolerà alla sera. E prenderanno del sangue suo e lo metteranno su ambedue gli stipiti della porta e sull’architrave della porta delle case nelle quali lo mangeranno. E quella notte mangeranno quelle carni, arrostite al fuoco, con pani azzimi e lattughe selvatiche. Di esso non mangerete niente di crudo, o cotto nell’acqua, ma soltanto arrostito col fuoco; mangerete anche il capo, i piedi e le interiora. Niente di esso deve avanzare per il mattino; se qualche cosa ne avanzasse lo brucerete nel fuoco. E lo mangerete in questo modo; avrete i fianchi cinti, le scarpe ai piedi, e i bastoni in mano, e mangerete alla svelta perché è la Phase del Signore.]

X Profezia. (Jon. III, 1-10)

(Le anime, con la penitenza (Quaresima) ed il Battesimo ottengono la misericordia di Dio, come già i Niniviti)

In diébus illis: Factum est verbum Dómini ad Jonam Prophétam secúndo, dicens: Surge, et vade in Níniven civitátem magnam: et prædica in ea prædicatiónem, quam ego loquor ad te. Et surréxit Jonas, et ábiit in Níniven juxta verbum Dómini. Et Nínive erat cívitas magna itínere trium diérum. Et cœpit Jonas introíre in civitátem itínere diéi uníus: et clamávit et dixit: Adhuc quadragínta dies, et Nínive subvertétur. Et credidérunt viri Ninivítæ in Deum: et prædicavérunt jejúnium, et vestíti sunt saccis a majóre usque ad minórem. Et pervénit verbum ad regem Nínive: et surréxit de sólio suo, et abjécit vestiméntum suum a se, et indútus est sacco, et sedit in cínere. Et clamávit et dixit in Nínive ex ore regis et príncipum ejus, dicens: Hómines et juménta et boves et pécora non gustent quidquam: nec pascántur, et aquam non bibant. Et operiántur saccis hómines et juménta, et clament ad Dóminum in fortitúdine, et convertatur vir a via sua mala, et ab iniquitáte, quæ est in mánibus eórum. Quis scit, si convertátur et ignóscat Deus: et revertátur a furóre iræ suæ, et non períbimus? Et vidit Deus ópera eórum, quia convérsi sunt de via sua mala: et misértus est pópulo suo, Dóminus, Deus noster.

[In quei giorni il Signore per la seconda volta parlò a Giona profeta e disse: Alzati e va a Ninive città grande, e predica ivi quello che io dico a te. E si mosse Giona e andò a Ninive secondo l’ordine del Signore. Or Ninive era una città grande che aveva tre giornate di cammino. E Giona incominciò a percorrere la città per il cammino di un giorno e gridava e diceva: Ancora quaranta giorni e Ninive sarà distrutta. E i Niniviti credettero a Dio; e intimarono il digiuno e si vestirono di sacco tanto i grandi quanto i piccoli. E fu portata la nuova al re di Ninive: ed egli si levò dal suo trono e gettò via le sue vesti e si vestì di sacco e si assise sopra la cenere. E pubblicò e intimò in Ninive quest’ordine del re e dei suoi principi: Uomini e bestie, bovi e pecore non mangino niente, non vadano al pascolo, e acqua non bevano. E si coprano di sacco gli uomini e gli animali, e gridino verso il Signore con tutta la loro forza e si converta ciascuno dalla sua cattiva vita e dalle sue opere inique. Chi sa che Dio non si rivolga a noi e ci perdoni: e calmi il furore dell’ira sua, e così non ci faccia perire. E Dio vide le opere loro e come si erano convertiti dalla loro mala vita, ed ebbe misericordia del suo popolo il Signore Dio nostro.]

XI Profezia (Deut. XXXI, 22-30)

(Le anime che Dio fa entrare nel suo regno con il Battesimo dovranno, come il popolo che Mosè condusse verso la terra promessa, conservare il ricordo della legge e delle munificenze di Dio)

In diébus illis: Scripsit Móyses canticum, et dócuit fílios Israël. Præcepítque Dóminus Josue, fílio Nun, et ait: Confortáre, et esto robústus: tu enim introdúces fílios Israël in terram, quam pollícitus sum, et ego ero tecum. Postquam ergo scripsit Móyses verba legis hujus in volúmine, atque complévit: præcépit Levítis, qui portábant arcam fœderis Dómini, dicens: Tóllite librum istum, et pónite eum in látere arcæ fœderis Dómini, Dei vestri: ut sit ibi contra te in testimónium. Ego enim scio contentiónem tuam et cérvicem tuam duríssimam. Adhuc vivénte me et ingrediénte vobíscum, semper contentióse egístis contra Dóminum: quanto magis, cum mórtuus fúero? Congregáte ad me omnes majóres natu per tribus vestras, atque doctóres, et loquar audiéntibus eis sermónes istos, et invocábo contra eos cœlum et terram. Novi enim, quod post mortem meam iníque agétis et declinábitis cito de via, quam præcépi vobis: et occúrrent vobis mala in extrémo témpore, quando fecéritis malum in conspéctu Dómini, ut irritétis eum per ópera mánuum vestrárum. Locútus est ergo Móyses, audiénte univérso cœtu Israël, verba cárminis hujus, et ad finem usque complévit.

[In quei giorni Mosè scrisse un cantico e lo insegnò ai figli di Israele. E il Signore diede i suoi ordini a Giosuè figlio di Nun e gli disse: «Fatti coraggio e sii forte: tu introdurrai i figli d’Israele nella terra che ho loro promessa, io poi sarò con te». Or quando Mosè ebbe finito di scrivere le parole di questa legge in un libro, diede ordine ai leviti, che portavano l’arca del patto del Signore: «Prendete questo libro e mettetelo in un lato dell’arca del patto del Signore Dio vostro, che vi rimanga come testimonio contro di te; perché ben conosco la tua ostinazione e la tua durezza di testa. Se, mentre sono ancor vivo e cammino con voi, siete stati sempre ribelli contro il Signore; quanto più dopo la mia morte! Radunate presso di me tutti gli anziani di ciascuna delle vostre tribù, e i vostri prefetti, che pronunzierò dinanzi a loro queste parole, chiamando a testimonio contro di loro il cielo e la terra. Poiché so bene che dopo la mia morte agirete iniquamente, uscendo ben presto dalla strada che vi ho prescritta; e vi cadranno addosso i mali negli ultimi tempi, allorché avrete fatto il male nel cospetto del Signore, provocandolo a sdegno colle opere vostre». Mosè quindi pronunciò e recitò sino alla fine le parole di questo cantico mentre tutto Israele stava ad ascoltarlo.

XII. Profezia (Dan. III, 1-24)

(Le anime che giurano fedeltà a Dio, per mezzo del Battesimo saranno protette nei pericoli, come i tre giovinetti nella fornace)


In diébus illis: Nabuchodónosor rex fecit státuam áuream, altitúdine cubitórum sexagínta, latitúdine cubitórum sex, et státuit eam in campo Dura provínciæ Babylónis. Itaque Nabuchodónosor rex misit ad congregándos sátrapas, magistrátus, et júdices, duces, et tyránnos, et præféctos, omnésque príncipes regiónum, ut convenírent ad dedicatiónem státuæ, quam eréxerat Nabuchodónosor rex. Tunc congregáti sunt sátrapæ, magistrátus, et júdices, duces, et tyránni, et optimátes, qui erant in potestátibus constitúti, et univérsi príncipes regiónum, ut convenírent ad dedicatiónem státuæ, quam eréxerat Nabuchodónosor rex. Stabant autem in conspéctu státuæ, quam posúerat Nabuchodónosor rex, et præco clamábat valénter: Vobis dícitur populis, tríbubus et linguis: In hora, qua audiéritis sónitum tubæ, et fístulæ, et cítharæ, sambúcæ, et psaltérii, et symphóniæ, et univérsi géneris musicórum, cadéntes adoráte státuam áuream, quam constítuit Nabuchodónosor rex. Si quis autem non prostrátus adoráverit, eádem hora mittétur in fornácem ignis ardéntis. Post hæc ígitur statim ut audiérunt omnes pópuli sónitum tubæ, fístulæ, et cítharæ, sambúcæ, et psaltérii, et symphóniæ, et omnis géneris musicórum, cadéntes omnes pópuli, tribus et linguæ adoravérunt státuam auream, quam constitúerat Nabuchodónosor rex. Statímque in ipso témpore accedéntes viri Chaldæi accusavérunt Judæos, dixerúntque Nabuchodónosor regi: Rex, in ætérnum vive: tu, rex, posuísti decrétum, ut omnis homo, qui audiérit sónitum tubæ, fístulæ, et cítharæ, sambúcæ, et psaltérii, et symphóniæ, et univérsi géneris musicórum, prostérnat se et adóret státuam áuream: si quis autem non prócidens adoráverit, mittátur in fornácem ignis ardéntis. Sunt ergo viri Judæi, quos constituísti super ópera regiónis Babylónis, Sidrach, Misach et Abdénago: viri isti contempsérunt, rex, decrétum tuum: deos tuos non colunt, et státuam áuream, quam erexísti, non adórant. Tunc Nabuchodónosor in furóre et in ira præcépit, ut adduceréntur Sidrach, Misach et Abdénago: qui conféstim addúcti sunt in conspéctu regis. Pronuntiánsque Nabuchodónosor rex, ait eis: Veréne, Sidrach, Misach et Abdénago, deos meos non cólitis, et státuam áuream, quam constítui, non adorátis? Nunc ergo si estis parati, quacúmque hora audieritis sonitum tubæ, fístulæ, cítharæ, sambúcæ, et psaltérii, et symphóniæ, omnísque géneris musicórum, prostérnite vos et adoráte státuam, quam feci: quod si non adoravéritis, eadem hora mittémini in fornácem ignis ardéntis; et quis est Deus, qui erípiet vos de manu mea? Respondéntes Sidrach, Misach et Abdénago, dixérunt regi Nabuchodónosor: Non opórtet nos de hac re respóndere tibi. Ecce enim, Deus noster, quem cólimus, potest erípere nos de camíno ignis ardéntis, et de mánibus tuis, o rex, liberáre. Quod si nolúerit, notum sit tibi; rex, quia deos tuos non cólimus et státuam áuream, quam erexísti, non adorámus. Tunc Nabuchodónosor replétus est furóre, et aspéctus faciéi illíus immutátus est super Sidrach, Misach et Abdénago, et præcépit, ut succenderétur fornax séptuplum, quam succéndi consuéverat. Et viris fortíssimis de exércitu suo jussit, ut, ligátis pédibus Sidrach, Misach et Abdénago, mítterent eos in fornácem ignis ardéntis. Et conféstim viri illi vincti, cum braccis suis et tiáris et calceaméntis et véstibus, missi sunt in médium fornácis ignis ardéntis: nam jússio regis urgébat: fornax autem succénsa erat nimis. Porro viros illos, qui míserant Sidrach, Misach et Abdénago, interfécit flamma ignis. Viri autem hi tres, id est, Sidrach, Misach et Abdénago, cecidérunt in médio camíno ignis ardéntis colligáti. Et ambulábant in médio flammæ laudántes Deum, et benedicéntes Dómino.

[In quei giorni il re Nabuchodonosor fece una statua d’oro alta sessanta cubiti, larga sei cubiti e la fece alzare nella campagna di Dura, provincia di Babilonia. E così il Re Nabuchodonosor mandò a radunare i satrapi e i magistrati e i giudici e i capitani e i dinasti e i prefetti e tutti i governatori delle Provincie affinché tutti insieme andassero alla dedicazione della statua alzata dal re Nabuchodonosor. Allora si radunarono i satrapi e i magistrati e i giudici e i capitani, e i dinasti, e i grandi che erano costituiti in dignità, e tutti i governatori delle Provincie per andare tutti insieme alla dedicazione della statua, eretta da Nabuchodonosor. E stavano in faccia alla statua alzata dal re Nabuchodonosor: e l’araldo gridava ad alta voce: A voi si ordina, popoli tribù e lingue che nel punto stesso in cui udirete il suono della tromba e del flauto, della cetra, della zampogna, del saltero, del timpano è di ogni sorta di strumenti musicali, prostrati adoriate la statua d’oro eretta dal re Nabuchodonosor. Se alcuno non si prostra e adora, nello stesso momento sarà gettato in una fornace di fuoco ardente. Poco dopo, dunque, appena che i popoli tutti udirono il suono della tromba, del flauto, della cetra, della zampogna, del saltero, del timpano e di ogni genere di strumenti musicali, tutti senza distinzione di tribù e di lingua prostrati, adorarono la statua d’oro alzata dal re Nabuchodonosor. Subito, in quel punto stesso andarono alcuni uomini Caldei ad accusare i giudei e dissero al re Nabuchodonosor: Vivi, o re, in eterno; tu, o re, hai fatto un decreto che qualunque uomo che avesse udito il suono della tromba, del flauto, della cetra, della zampogna, del saltero, del timpano e di ogni sorta di strumenti musicali si prostrasse e adorasse la statua d’oro: che se alcuno non si prostrasse e adorasse, fosse gettato in una fornace di fuoco ardente. Vi son dunque tre uomini giudei i quali tu hai deputati sopra affari della provincia di Babilonia: Sidrach, Misach e gli Abdenago; questi uomini han dispregiato, o re, il tuo decreto: ai tuoi dei non rendono culto, non adorano la statua d’oro, alzata da te. Allora Nabuchodonosor pieno di furore e d’ira, ordinò che gli fossero condotti Sidrach, Misach e Abdenago; i quali furono condotti al cospetto del re. E parlò Nabuchodonosor re, e disse: È vero, o Sidrach. Misach e Abdenago, che voi non rendete culto ai miei dei e non adorate la statua d’oro che io ho eretta? Ora dunque se voi siete a ciò disposti, in quel momento in cui udirete il suono della tromba, del flauto, della cetra, della zampogna, del salterio, del timpano, e ogni genere di strumenti musicali, prostratevi e adorate la statua che io ho fatta che se non l’adorerete in quel punto stesso sarete gettati in una fornace di fuoco ardente: e quale è il Dio che vi sottrarrà al mio potere? Risposero Sidrach, Misach e Abdenago e dissero al re Nabuchodonosor: Non è necessario che noi ti diamo risposta. Perché certamente il Dio nostro che noi adoriamo, può liberarci dalla fornace di fuoco ardente e sottrarci al tuo patere, o re. Ma se anche non lo volesse fare, sappi, o re, che non rendiamo culto ai tuoi dei e non adoriamo la statua d’oro da te eretta. Allora Nabuchodonosor entrò in furore, e la sua faccia cambiò di colore verso Sidrach, Misach e Abdenago, e comandò che si accendesse il fuoco nella fornace sette volte più dell’usato. E ad uomini fortissimi del suo esercito diede ordine che legassero i piedi di Sidrach, Misach e Abdenago, e li gettassero nella fornace di fuoco ardente. E tosto, questi tre uomini legati nei piedi, avendo, i loro calzoni e tiare e i loro calzari e le loro vesti, furono gettati in mezzo alla fornace di fuoco ardente: poiché il comando del re non ammetteva indugi, e la fornace era accesa straordinariamente. Ma la fiamma di, improvviso incenerì coloro che vi avevano gettato Sidrach, Misach e Abdenago: mentre questi tre e cioè Sidrach, Misach e Abdenago caddero legati nel mezzo della fornace ardente. E camminavano in mezzo alle fiamme lodando Dio e benedicendo il Signore.]

4. ° La benedizione del fonte. La quarta parte dell’uffizio del sabato santo è la benedizione del fonte, cioè dell’acqua che deve servire al battesimo dei catecumeni. – L’uso di benedir l’acqua battesimale risale ai primordi della Chiesa. Se ne vede la prova negli scritti dei Padri del IV e anche del III secolo. Allorché i catecumeni avevano sostenuto il loro ultimo esame, fatta la triplice rinunzia e ricevuta l’unzione dal Vescovo, si conducevano alla fonte per benedirli. Tutta l’adunanza dei Fedeli, con in mano dei ceri accesi, andavano in processione cantando le litanie, che si dicevano a tre, a cinque o a sette cori, secondo il numero degli assistenti, o si ripetevano tmilo a due cori fino a tre, cinque e sette volte. Di qui è nato il nome di ternarie, quinarie, settenarie dato a queste litanie: ritornando dal fonte si cantavano le litanie ternarie, che si ripetevan tre volte; e si dicono così anch’oggi.

Finite di cantarsi le profezie, tutto il clero si muove verso il fonte, cantando le litanie. Arrivato al battistero, ilsacerdote benedice l’acqua: incomincia dal ricordare in un sublime prefazio le meraviglie che Dio ha operato per le acque; poi immergendo la mano nel bacino del fonte, divide le acque in forma di croce; domanda a Dio, che le riempia della virtù dello Spirito Santo e le fecondi con la sua grazia. Di poi ne sparge verso le quattro parti del mondo per significare che tutta la terra deve esserne innaffiata, cioè che secondo le promesse di Gesù Cristo, il Vangelo deve fare il giro del mondo, e tutti i popoli debbono esser chiamati al battesimo. Soffia tre volte sull’acqua, scongiurando Gesù Cristo di benedirla con la propria bocca e di sottrarla alla potenza del demonio. V’immerge tre volte il cero pasquale, per mostrarci che per i meriti di Gesù Cristo, morto e resuscitato, di cui questo cero è la figura, essa avrà la virtù di preservare i nostri corpi e le anime nostre dalle insidie del nemico e di rimettere i peccati veniali, facendo nascer nei cuori sentimenti di amor di Dio e di contrizione. Fa cadere qualche goccia di questa cera nell’acqua che ha benedetta, per notare che la virtù di Gesù Cristo vi rimane unita: quindi separa l’acqua che deve servire per il Battesimo. Quando è stata versata nel fonte, vi mescola il santo crisma, che essendo composto d’olio e di balsamo, ricorda la grazia che il battesimo produrrà in quelli i quali lo riceveranno. Quest’acqua – dice egli – per questa mischianza, sia santificata, fecondata, e riceva la virtù di rimettere i peccati e di rigenerare le anime per la vita eterna, in nome del Padre etc.

Una volta, dopo la benedizione il Sacerdote andava aspergendo di quest’acqua santificata tutti gli assistenti; si fa così anch’oggi. Di poi tutti i Fedeli potevano, e possono anch’oggi andare a prendere di quest’acqua per potarsela a casa. S’adopra a preservare dagli accidenti e dai pericoli spirituali e corporali.

Finita la benedizione, si ritorna al coro cantando le litanie. Nella primitiva Chiesa, si conducevano allora in processione all’altare i novelli battezzati, vestiti di bianco, con un cero acceso in mano, e accompagnati dai padrini e madrine. All’altare, ricevevano la santa eucaristia, latte e miele dell’innocenza.

5.° La Messa. La Messa comincia subito dopo ritornati al coro. È senza Introito, perché tutto il popolo era già entrato: nei primi secoli, il popolo era alla chiesa fino dalla vigilia: è molto corta per ragion della lunghezza dei precedenti uffizi. Il medesimo è dei vespri.

L ‘ ORAZIONE.

0 Dio, che avete reso questa santa notte illustre e solenne per la gloria della resurrezione di nostro Signore conservate nei nuovi figli della vostra Chiesa lo spirito d’adozione che avete dato loro , affinchè rinnovati di corpo e d’anima, vi servano con purezza di cuore; per lo stesso Gesù Cristo nostro Signore ec.

L’EPISTOLA .

Lezione tratta dalla Lettera dell’Apostolo s. Paolo ai Colossesi, Cap. III, v. 1. ì .

“Fratelli miei, se siete resuscitati con Cristo, cercate le cose di lassù, dove è Cristo sedente alla destra di Dio: abbiate pensiero delle cose di lassù, non di quelle della terra. Imperocché siete morti, e la vostra vita è ascosa con Cristo in Dio. Quando Cristo, vostra vita, comparirà; allora anche voi comparirete con lui nella gloria”.

Se per il battesimo siete morti e resuscitati in Gesù Cristo,dovete condurre una vita tutta nuova, e in certo modo tutta celeste; non dovete avere più nessuna affezione che per il cielo; non desiderj, nè passioni nemmeno che per le cose del cielo, riguardandovi d’ora innanzi come cittadini di questa celeste patria viandanti sullaterra, che deve esser per voi un luogo d’esilio. Voi siete morti al mondo e al peccato in virtù del battesimo, e non dovete vivere’ più che in Gesù Cristo, ed in Lui la vostra vita deve essere come nascosta, deve cioè la vita dei cristiani essere una vita pura, una vita mortificata, che la fede anima e la carità nutrisce; talché tutti i Cristiani, resuscitati col capo di cui son membra, debbono poter dire, come s. Paolo: Io vivo: non sono io che vivo, ma Gesù Cristo che vive in me.

Dopo questa lettera la quale è una lezione che la Chiesa fa a tutti quanti hanno ricevuta una novella vita per il battesimo, essa dà principio alla pasquale solennità, intonando l’Alleluja, non più cantato dalla vigilia della Settuagesima, quando entrò nell’afflizione e nel luttodi penitenza; e intonandolo tre volte, con alzare sempre più la voce, per aggiungere un nuovo grado alla gioia che deve risvegliare in noi la risurrezione di Gesù Cristo. È un canto di lode, di ringraziamento e di allegrezza, il più corto dei cantici, composto di due voci ebraiche esprimenti più vivamente che non potremmo fare nella nostra lingua il suo significato, che è: Lodiamo ringraziamolo, facciamo echeggiare la nostra allegrezza: Alleluja. Dall’Apocalisse è tolto questo grido di gioia. Fu sì familiare ai Fedeli nel tempo pasquale, che era il saluto ordinario che si davan tra loro secondo lo spirito della Chiesa, la quale lo ripete sì spesso ne’ suoi uffiziper tutto questo santo tempo.

IL VANGELO.

Segue il santo Vangelo secondo s. Matteo, Cap. XXVIII, v. 1-7

La sera del sabato, che si schiariva già il primo dì della settimana, andò Maria Maddalena, e l’altra Maria a visitare il sepolcro. Quand’ecco egli fu gran terremoto, poiché l’Angelo del Signore scese dal cielo, e appressatosi, voltò sossopra la pietra, e sedeva sopra di essa, l’aspetto di lui era come un folgore: e la sua veste come neve. E per la paura, che ebbero di lui, si sbigottirono le guardie, e rimaser come morte. Ma 1’Angelo del Signore, presa la parola, disse alle donne: Non temete voi, poiché io so che cercate Gesù Crocifisso. Egli non è qui perocché è resuscitato, conforme disse. Venite a vedere il luogo, dove giaceva il Signore. E tosto andate, e dite ai discepoli di lui, come Egli è resuscitato da morte : ed ecco vi va innanzi nella Galilea: ivi lo vedrete: ecco che io vi ho avvertite.

R. Sia lode a voi, o Cristo.

L’amore premuroso di queste sante donne le conduce avanti giorno alla tomba del lor caro Maestro, e il Signore vi spedisce un angelo ad annunziare ad esse la sua resurrezione. Il fervore e la sollecitudine verso Dio hanno presto la loro ricompensa; ma i devoti tiepidi, le anime inerti e pigre, sono escluse dalla sala delle nozze, perché sempre arrivano troppo tardi. La resurrezione di Gesù Cristo ispira una gioia spirituale e dolcissima a tutte le anime fedeli, mentre riempie di spavento i suoi nemici. Quando l’uomo è veramente di Dio, ed ha una vera pietà e una coscienza pura, prova nelle feste di pasqua, e negli altri misteri nel corso dell’anno, questa dolce gioia che è un saggio di quella del cielo, mentre la falsa pietà, mentre una divozione apparente non è mai più malinconica, e non sente mai meno unzione e fervore che in queste grandi solennità.

6.° Vespri. Si compongono di un solo salmo di due versetti, ma come questo salmo è bene scelto! O nazioni della terra – esclama la Chiesa – lodate il Signore!

Popoli, lodatelo tutti, perché la sua misericordia si è manifestata su noi, e la verità di sua promessa rimane in eterno. Per le nazioni, il profeta intende i Gentili; per i popoli, i figli d’Israele, società un tempo separate, ma unite in questo gran giorno in Gesù Cristo, per non formare più che una sola famiglia. Perciò il profeta vedendo nell’avvenire questo mistero d’ unità, il battesimo,ove i Giudei e i Gentili, ricevendo il medesimo spirito,diventano figli del medesimo Dio, esclama in un santofervore: La sua misericordia si è manifestata su noi;si, sopra noi tutti, sopra voi e sopra noi. Oh! come questo noiè affettuoso! possa egli accendere i nostri cuori; quella carità veramente cattolica ond’è l’espressione!Il sabato santo entriamo nella tomba con Gesù Cristo; lasciamo ivi l’uomo vecchio; riconduciamoci alle notti brillanti e solenni della primitiva Chiesa, ove si inseriva il battesimo; rinnoviamo le nostre promesse; rarifichiamo la nostra veste battesimale con le lagrime di una sincera penitenza, a fine di potere il giorno di Pasqua intervenire alle nozze dell’Agnello.

VENERDI’ SANTO E L’ESALTAZIONE DELLA CROCE

VENERDI SANTO E L’ESALTAZIONE DELLA CROCE

[Goffiné: Manuale per la santificazione delle domeniche e delle feste; trad. A. Castelli – Tip. Ferroni, – FIRENZE, 1869]

La Chiesa celebra oggi, nel duolo e nelle lacrime, il più grande degli avvenimenti: quello della morte di Dio Salvatore per la redenzione di tutti gli uomini. Questo ineffabil mistero, predetto tante volte e così chiaramente nei secoli che lo precedettero, è il completo trionfo della divina giustizia, e l’opera più gloriosa della infinita misericordia. Fu operato dalla immensa carità del Verbo incarnato, che secondo i divini decreti volle fin dall’eternità annichilarsi, soffrire e morir nella pienezza dei tempi, per riconciliare col sacrifizio di un Uomo Dio, che si offriva qual vittima, il cielo alla terra. – Figli della Chiesa nata sul Calvario, meditiamo con lei, ma più col cuore che con la mente, la passione del Dio Salvatore, assistendo ai santi ufizi, le cui commoventi cerimonie ritrarranno alla nostra fede lo spettacolo così consolante come terribile, che all’ultimo anelito di Gesù Cristo sulla croce, fece eclissare l’astro del giorno, tremar la terra, resuscitare i morti, e squarciare il velo dell’antico tempio, ove il Dio d’Israele non voleva più essere adorato. Uniamoci quindi ai voti che essa offre a Dio per la salute dei suoi figli in tutti gli stati, pregando con lei per i suoi “veri” Pontefici e i suoi “veri” Sacerdoti, per i capi e i popoli dei vari governi, per i peccatori d’ogni età, per la conversione degli eretici, degl’idolatri e dei Giudei deicidi.

Adoriamo in questo giorno l’immagine della croce: baciamo con un cuore contrito lei che ci ricorda le piaghe di Gesù Cristo, i cui piedi e le mani furono sovr’essa inchiodate, per liberarci dalla schiavitù del peccato, del quale non avremmo potuto giammai spezzar da per noi le eterne catene. Come abbiamo detto, non si celebra oggi la santa Messa; ma noi adoreremo Gesù Cristo realmente presente nell’ostia già consacrata, che la Chiesa deve offrire qual nostro omaggio, nel sacro culto che ella rende in questo giorno al suo divino Sposo, che l’ha lavata nel suo sangue, l’ha fatta depositaria dei suoi infiniti meriti, per assicurare a tutti i suoi veri figli la vita eterna.

L’ufizio d’oggi si divide in tre parti. La prima parte si compone di due lezioni della Scrittura intramezzate da responsi e da versetti analoghi all’uopo sulla passione. La Chiesa ha procurato di conservare nell’odierno ufizio tutta la nostra bella antichità, che vi spira da ogni parola, da ogni pagina, da ogni cerimonia. – Così l’ufizio comincia da due lezioni, perché una volta tutte le Messe cominciavano con le lezioni, ossia con la lettura dei libri santi. Le lezioni del venerdì santo non hanno titolo, perché Gesù Cristo, che è il nostro capo, la luce che ci rischiara, come il titolo rischiara il libro e la lezione, ci è stato tolto. Mosè nella prima descrive la cerimonia dell’agnello pasquale, immolato e mangiato con pane senza lievito e con lattughe amare dal popolo di Dio, pronto ad uscire dall’Egitto, succinta la veste, calzati i piedi ed il bastone in mano, e in tutta fretta, perché questa doveva essere la pasqua, cioè il transito del Signore. L’agnello pasquale era la figura di Gesù Cristo, e questa lezione, che ci rimanda a tremila cinquecento anni d’antichità, richiama alla nostra memoria che il Cristo era come oggi, la fede e la speranza del genere umano, e che la Chiesa Cattolica abbraccia tutti i tempi.

La seconda lezione è del Profeta Isaia: ci pone setto gli occhi il divino esemplare, la vittima cattolica di cui l’agnello pasquale non era che l’ombra. Egli, dice il Profeta, spunterà dinanzi a lui qual virgulto, e quasi tallo da sua radice in arida terra: non ha vaghezza, né splendore, e noi l’abbiamo veduto e non era bello a vedersi, e noi non avemmo inclinazione per lui; dispregiato e l’infimo degli uomini, uomo di dolori, e che conosce il patire. Ed era quasi ascoso il suo volto, ed egli era vilipeso, onde noi non ne facemmo alcun conto. Veramente i nostri languori egli ha presi sopra di sé, ed ha portali i nostri dolori; e noi lo abbiamo riputato come un lebbroso, e come flagellato da Dio ed umiliato. Ma egli è stato piagato a motivo delle nostre iniquità, è stato spezzato per le nostre scelleratezze. Il gastigo cagione di nostra pace cadde sopra di lui, e per le lividure di lui siamo noi risanati. Tutti noi siamo stati come pecore erranti, ciascheduno per la strada sua deviò: e il Signore pose addosso a lui le iniquità di tutti noi. E stato offerto, perché Egli ha voluto, e non ha aperta la sua bocca: come pecorella sarà condotto ad essere ucciso, ecome un agnello muto si sta dinanzi a colui che lo tosa, così Egli non aprirà la sua bocca. (Cap. XLVIII).

Non senza un perché la Chiesa ha scelte queste duelezioni da Mosè e da Isaia: essa ha voluto mostrarci che la legge e i profeti rendono testimonianza al suo divino sposo, e che egli è realmente l’oggetto degli oracoli e dei desiderj di tutto il mondo antico.

Dopo le profezie, si canta la passione del nostro Signore secondo s. Giovanni.

LA PASSIONE DEL NOSTRO SIGNORE GESÙ CRISTO

Secondo s. Giovanni, Cap. XVIII, e XIX.

In quel tempo Gesù uscì co’ suoi discepoli di là dal torrente Cedron, dove era un orto, in cui entrò egli, e i suoi discepoli. Or questo luogo era cognito anche a Giuda, il quale lo tradiva: perché frequentemente si era colà portato Gesù coi suoi discepoli. Giuda pertanto avuta una coorte, e dei ministri dai principi dei Sacerdoti e dai Farisei, andò colà con lanterne, e fiaccole ed armi. Ma Gesù che sapeva tutto quello che doveva cadere sopra di lui, si fece avanti e disse loro: Di chi cercate voi? Gli risposero: di Gesù Nazareno. Disse loro Gesù: Son io. Ed era con essi anche Giuda, il quale lo tradiva. Appena però ebbe detto loro: Son io; dettero indietro, e stramazzarono per terra. Di nuovo adunque domandò loro: di chi cercate? E quelli dissero: di Gesù Nazareno. Rispose Gesù: Vi ho detto che son io: se adunque cercate di me, lasciate che questi se ne vadano. Affinché si adempisse la parola detta da lui: Di quelli che hai dati a me, nessuno ne ho perduto. Ma Simon Pietro che aveva la spada, la sfoderò: e ferì un servitore del sommo Pontefice, e gli tagliò 1’orecchia destra. Questo servitore chiamavasi Malco. Gesù però disse a Pietro: Rimetti la tua spada nel fodero: non berrò io il calice datomi dal Padre? La coorte pertanto, e il tribuno, e i ministri dei Giudei afferrarono Gesù, e lo legarono: e lo menarono in là primieramente ad Anna: perché era suocero di Caifa,  il quale era Pontefice in quell’anno. Caifa poi era quello che aveva dato per consiglio ai Giudei, essere spediente che un sol uomo morisse per il popolo. Teneva dietro a Gesù Simon Pietro, e un altro discepolo. E quest’altro discepolo era conosciuto dal Pontefice, ed entrò con Gesù nel cortile del Pontefice. Pietro poi restò di fuori alla porta. Ma uscì quell’altro discepolo, che era conosciuto dal Pontefice, e parlò alla portinaia, e fece entrar Pietro. Disse però a Pietro la serva portinaia: sei forse anche tu dei discepoli di quest’uomo? Ei rispose: Non sono. Stavano i servi e i ministri al fuoco, perché faceva freddo, e si scaldavano: e Pietro se ne stava con essi e si scaldava. Or il Pontefice interrogò Gesù circa i suoi discepoli, e circa la sua dottrina. Gesù gli rispose: Io ho parlato alla gente in pubblico: io ho sempre insegnato nella Sinagoga, e nel Tempio, dove si radunano tutti i Giudei, e non ho fatto parola in segreto. Perché interroghi me? Domanda a coloro, che hanno udito quello che io abbia loro detto: questi sanno quali cose io abbia detto. Appena ebbe egli così parlato, uno dei ministri quivi presenti diede uno schiaffo a Gesù, dicendo: Così rispondi al Pontefice ? Rispose Gesù: Se ho parlato male dammi accusa di questo male: se bene, perché mi percuoti? Lo aveva adunque mandato Anna, legato al sommo Pontefice Caifa. Ed eravi Simon Pietro, che si stava scaldando. A lui dunque dissero: Sei forse anche tu de’ suoi discepoli? Egli negò, dicendo: Non sono. Dissegli uno de’ servi del sommo Pontefice, parente di quello cui Pietro avea tagliata l’orecchia: Non ti ho io veduto nell’orto con lui? Ma Pietro negò di nuovo: e subito cantò il gallo. Condussero adunque Gesù dalla casa di Caifa al pretorio. Ed era di mattino; ed essi non entrarono nel pretorio per non contaminarsi, affine di mangiar la pasqua. Uscì adunque fuora Pilato da essi, e disse: Che accusa presentate voi contro quest’uomo? Gli risposero, e dissero: se non fosse costui un malfattore, non l’avremmo rimesso nelle tue mani. Disse adunque loro Pilato: prendetelo voi, e giudicatelo secondo la vostra legge. Ma i Giudei gli dissero: non è lecito a noi di dar morte ad alcuno. Affinché si adempisse la parola detta da Gesù, per significare di qual morte doveva morire. Entrò adunque di nuovo Pilato nel Pretorio, e chiamò Gesù, e gli disse: se’ tu il re de’ Giudei? Gli rispose Gesù: Dici tu questo da te stesso, ovvero altri te lo hanno detto di me? Rispose Pilato: son io forse Giudeo? la tua nazione, e i Pontefici ti hanno messo nelle mie mani: che hai tu fatto? Rispose Gesù: il regno mio non è di questo mondo: se fosse di questo mondo il mio regno, i miei ministri certamente si adoprerebbero, perché non fossi dato in potere de’ Giudei: ora poi il regno mio non è di qua. Gli disse però Pilato: Tu dunque sei re? Rispose Gesù: Tu dici, che io sono re. Io a questo fine son nato, e a questo fine son venuto nel mondo, di render testimonianza alla verità: chiunque sta per la verità, ascolta la mia voce. Dissegli Pilato: Che cosa è la verità? E detto questo uscì di nuovo a trovare i Giudei, e disse loro: Io non trovo in lui nessun delitto. Or voi avete per uso, che io vi rilasci libero un uomo nella pasqua: volete adunque, che vi metta in libertà il Re de’ Giudei? Ma gridarono replicatamente tutti dicendo: Non costui, ma Barabba. Or Barabba era un assassino. Allora adunque Pilato prese Gesù e lo flagellò. E i soldati, intrecciata una corona di spine, gliela posero sulla testa: e lo coprirono con una veste di porpora. E si accostavano a lui, e dicevano: Dio ti salvi, Re de’ Giudei; e davangli degli schiaffi. Uscì adunque di nuovo fuori Pilato, e disse loro: Ecco che io ve lo meno fuori, affinché intendiate che non trovo in lui reato alcuno. E uscì fuora Gesù portando la corona di spine, e la veste di porpora. E disse loro Pilato : Ecco l’uomo. Ma visto che l’ebbero i Pontefici e i ministri, alzarono le mani, dicendo: Crocifiggilo, crocifiggilo. Disse loro Pilato: prendetelo voi, e crocifiggetelo: imperocché io non trovo in lui reato. Gli risposero i Giudei: noi abbiamo la legge, e secondo la legge deve morire, perché si è fatto Figliuolo di Dio. Quando udì Pilato queste parole s’intimidì maggiormente. Ed entrò nuovamente nel pretorio e disse a Gesù: Donde sei tu? Ma Gesù non gli diede risposta. Dissegli perciò Pilato: Non parli con me? non sai, che sta nelle mie mani il crocifiggerti, e sta nelle mie mani il liberarti? Gli rispose Gesù: non avresti potere alcuno sopra di me, se non ti fosse stato dato di sopra. Per questo colui, che mi ti ha dato nelle mani, è reo di più gran peccato. Da indi in poi cercava Pilato di liberarlo, ma i Giudei alzavano le strida dicendo: se liberi costui, non sei amico di Cesare, poiché chiunque si fa re, fa contro a Cesare. Pilato adunque, sentito questo discorso, menò fuori Gesù: e si pose a sedere sul tribunale nel luogo detto Lithostrotos, e in ebreo Gabbatha. (Ed era la Parasceve della pasqua, e circa la sesta ora). E disse ai Giudei: Ecco il vostro Re. Ma essi gridavano: Togli, togli, crocifiggilo. Disse allora Pilato: Crocifiggerò io il vostro re? Gli risposero i Pontefici: non abbiamo altro re fuori di Cesare. Allora adunque lo diede nelle loro mani, perché fosse crocifisso. Presero pertanto Gesù, e lo menarono via. Ed Egli portando la sua croce, s’incamminò verso il luogo detto del cranio, in ebraico Golgota. Dove crocifissero lui, e con lui due altri, uno di qua, e uno di là, e Gesù nel mezzo. E scrisse di più Pilato un cartello, e lo pose sopra la croce. Ed eravi scritto: Gesù Nazareno re de’ Giudei. Or questo cartello lo lessero molti Giudei, perché era vicino alla città il luogo, dove Gesù fu crocifisso. Ed era scritto in ebraico, in greco e in latino. Dicevan però a Pilato i Pontefici de’ Giudei: Non scrivere re de’ Giudei: ma che costui ha detto: Sono re de’ Giudei. Rispose Pilato: Quel ho scritto, ho scritto. I soldati, crocifisso che ebbero Gesù presero le sue vesti (e ne fecero quattro parti, una per ciascun soldato), e la tonaca. Or la tonaca era senza cucitura, tessuta tutta dalla parte superiore in giù. Dissero perciò tra loro: non la dividiamo, ma tiriamola a sorte a chi abbia a toccare. Affinché si adempisse la Scrittura che dice: si divisero tra loro le mie vestimenta, e tirarono in sorte la mia veste. Tali cose adunque fecero i soldati. Ma vicino alla croce di Gesù stavano la sua Madre, e la sorella di sua Madre Maria di Cleofa, e Maria Maddalena. Gesù adunque avendo veduto la Madre, e il discepolo di lui amato, che era dappresso, disse alla Madre sua: Donna, ecco il tuo Figliuolo. Di poi disse al discepolo: Ecco la Madre tua. E da quel punto il discepolo la prese seco. Dopo di ciò conoscendo Gesù, che tutto era adempito, affinché si adempisse la Scrittura, disse: Ho sete. Era stato quivi posto un vaso pieno d’aceto. Onde quelli inzuppata una spugna nell’aceto, e avvoltala attorno all’issopo, la presentarono alla sua bocca. Gesù adunque preso che ebbe l’aceto, disse: È compito. E chinato il capo rese lo spirito. (Qui cessa il canto, si fa un gran silenzio in chiesa, e non si sente altro che il muoversi dei Fedeli che si prostrano a baciar la terra, che il Salvatore ha inzuppata del suo sangue). Ma i Giudei, affinché non restassero sulla croce i corpi nel sabato, giacché era la Parasceve (poiché era grande quel giorno di sabato), pregarono Pilato che fossero ad essi rotte le gambe, e fossero tolti via. Andarono pertanto i soldati: e ruppero le gambe al primo, e all’altro che era stato crocifisso con lui. Ma quando furono a Gesù, allorché videro che era già morto, non gli ruppero le gambe. Ma uno dei soldati aprì il fianco di lui con una lancia, e subito ne uscì sangue ed acqua. E chi lo vide lo ha attestato: ed è vera la sua testimonianza. Ed egli sa, che dice il vero, affinché voi pure crediate. Imperocché tali se sono avvenute affinché si adempisse la Scrittura: non romperete nessuna delle sue ossa. E parimente un’altra scrittura dice: Volgeran gli sguardi a colui, che hanno trafitto. Dopo di ciò Giuseppe da Arimatea (discepolo di Gesù, ma occulto per timore de’ Giudei), pregò Pilato per prendersi il corpo di Gesù. E Pilato glielo permise. Andò adunque, e prese il corpo di Gesù. Venne anche Nicodemo (quegli che la prima volta andò da Gesù di notte), portando di una mistura di mirra e di aloe, quasi cento libbre. Preser dunque il corpo di Gesù, e lo avvolsero in lenzuoli di lino, ponendovi gli aromi, come dagli Ebrei si costuma nelle sepolture. Era nel luogo ove egli fu crocifisso, un orto: e nell’orto un monumento nuovo, nel quale non era mai stato posto nessuno. Quivi adunque a motivo della Parasceve de’ Giudei, perché il monumento era vicino, deposero Gesù.

  La seconda parte dell’ufizio si compone delle orazioni solenni o sacerdotali, che non si recitano pubblicamente se non il venerdì santo, e son dieci.

La terza parte dell’ufizio, è

l’adorazione della croce.

(I cattolici non adorano la croce, ma Dio morto su quella).

Quando sono finite le orazioni sacerdotali, i leviti e i diaconi a due a due, i sacerdoti in cappa nera, vanno a prender la croce in fondo alla chiesa; tutti a pie’ nudi. Due diaconi portano il sacro legno sulle braccia, e si avanzano a lenti passi verso l’altare. Questa cerimonia rappresenta in vivissima scena il Salvatore, che va per la strada dolorosa, e s’avanza verso il Calvario. Perché nulla manchi a questa doppia rassomiglianza, due diaconi o due sacerdoti cantano, nell’andare verso il santuario, le parole che sono l’espressione dell’ineffabile amore ond’era animato Gesù, mentre saliva al luogo del suo supplizio. Queste parole chiamansi improperi, e voglion dire qui teneri rimproveri, che il cuore di Gesù dirigeva ai Giudei, i quali lo conducevano a morte. E son questi: 0 popolo mio! che ti ho io fatto? in che ti ho io contristato? 0 popolo mio! rispondi a me. Confusa da tanta malizia da una parte, e da tanta bontà dall’altra, la Chiesa intenerita, oppressa dal suo dolore si lascia sfuggire, come un profondo sospiro, questo atto di adorazione e di amore: 0 Dio santo! Santo, potente! Santo, immortale! abbiate pietà di noi. Queste parole si cantano in greco e in latino. La Chiesa ci mostra la sua cattolicità: essa vuole che tutti i popoli e tutte le lingue adorino, amino con lei; e le par poco una lingua sola per esprimere il suo dolore e per esclamar verso Dio. Giunti all’entrata del coro, i due diaconi ripigliano: Perché ti ho io guidato nel deserto per quarant’anni e ti ho nutrito di manna, e ti ho introdotto in una fertilissima terra, tu hai preparato una croce al tuo Salvatore!

E il coro risponde : 0 Dio santo! Santo, potente! Santo, immortale! abbiate pietà di noi!

In mezzo al coro, i diaconi si pongono in ginocchio di nuovo, e continuano:

Che poteva io fare di più per te, e non l’ho fatto? Non sei forse tu stata la vigna che io piantai e che io ho custodita sotto la mia protezione; e tu non mi hai dato che frutti amari; e quando ho avuto sete mi hai dato a bere dell’aceto, e con la lancia hai trafitto il fianco al tuo Salvatore!

E il coro risponde come sopra: 0 Dio santo! Santo, potente! Santo, immortale, abbiate pietà di noi.

I sacerdoti e i diaconi, che per tre volte cadono in ginocchio nel portare la croce, ci rammentano il Salvatore che cadde anch’esso tre volte sotto il grave strumento del suo supplizio. In questa parte dell’ufizio, tutto è pittura, tutto parla ai sensi; si esce quasi fuori di sé, e in quelle angosce, quelle parole così semplici che ritornano ad ogni momento: Popolo mio, che ti ho io dunque mai fatto? commuoverebbero un cuore di bronzo.

La croce è all’altare, la gran vittima è alla sommità del Calvario. Non rimane che mostrarla al popolo, ed ecco il sacerdote, scoprendo un braccio dell’albero della salvezza, esclama: ECCE LIGNUM CRUCIS; ecco il legno della croce.

Il coro risponde: In quo salus mundi pependit etc. Onde pendè appeso il Salvatore del mondo ; venite, adoriamo.

Poi avanzandosi dalla parte destra dell’altare, e scoprendo l’altro braccio della croce, il sacerdote dice ancora: ECCE LIGNUM CRUCIS; ecco il legno della croce.

Edi nuovo il coro ripete: Onde pendè appeso il Salvalore del mondo; venite, adoriamo.

Finalmente una terza volta il sacerdote dice dal mezzo dell’altare alzando di più la voce: ECCE LIGNUM CRUCIS: ecco il legno della croce.

E la croce allora è tutta intera scoperta e mostrata al popolo cristiano, che da molti giorni non ha veduto il crocifisso se non velato, e che in questo momento lo contempla con la fronte coronata di spine, con le mani ed i piedi forati dai chiodi, col costato aperto dal ferro della lancia: e i re, i pontefici, i cardinali, gli arcivescovi, i vescovi, i vecchi del santuario, i cantori, i fedeli, i ricchi, i poveri, a piedi scalzi vengono ad adorare il legno redentore. Si direbbe allora che i figli lacrimosi per la morte di un padre, sono ammessi nella stanza mortuaria, ove il capo di famiglia è esposto sopra un letto funebre, e vengono con reverenza e dolore a baciare la sua veneranda salma.

Andando ad adorare la croce, come non desteremo in noi l’idea, che camminiamo per la via dolorosa tinta del suo sangue dal Salvatore? Apriamo le orecchie del nostro cuore a quei teneri rimproveri che si dirigono ai Cristiani, molto più che ai Giudei, e ognuno di noi se gli appropri: Popolo mio, che ti ho io dunque fatto 0 in che ti ho io contristato? Rispondi a me. Anima cristiana, figlia mia, mia carissima, io ti ho liberata dalla schiavitù, ti ho nutrita con la manna, e tu hai preparato una croce al tuo Salvatore !!! Io ti ho custodita sotto la mia protezione, come la pupilla dei miei occhi; che doveva io fare di più per te? E tu hai preparato una croce al tuo Salvatore!!!

E noi avremo dispiacere ed affetto nel cuore, lacrime agli occhi, e se possiamo parlare, tenere parole sulle labbra. E noi ritorneremo dal Calvario, come il centurione, percotendoci il petto, detestando la nostra ingratitudine e risoluti di morire anzi che più contristare un sì buon padre.

Terminata l’adorazione, si va a riprendere, e si riporta in lugubre silenzio, l’ostia consacrata: il sacerdote si comunica; quindi si cantano i Vespri con un tono grave e luttuoso, e così l’ufizio della mattina è compito.

Sulle tre dopo mezzogiorno, non bisogna lasciare di recarci ad adorare il Salvatore. In alcuni paesi il popolo si porta in folla alla Chiesa verso quest’ora solenne: ognuno prega, ognuno domanda perdono per sé, e per i suoi fratelli, e quando l’orologio batte le tre, tutta la moltitudine silenziosa e commossa si prostra e bacia il pavimento del tempio. Allora un utile esercizio è quello di meditare le sette parole di Gesù Cristo sulla croce. Eccole:

1°. Padre, perdona loro, poiché ignorano ciò che fanno;

2.° Al buon ladrone: Oggi sarai meco in Paradiso;

3.° A Maria:  Donna, ecco il tuo Figlio, ed a s. Giovanni: Ecco la tua Madre;

4.° Ho sete;

5.° Dio mio, Dio mio, perché m’hai abbandonato?

6.° Tutto è consumato;

7.° Padre, nelle tue mani raccomando lo spirito mio.

All’ufizio della sera, chiamato Tenebre, continua il lutto. La lugubre voce di Geremia, il gemito delle sante donne, risuonano sotto la volta del tempio; allora la Chiesa è una vedova che piange sulla tomba del suo sposo.

Aspirazione. Oh! quanto sei bella, o croce del mio Salvatore, nobilitata dal suo sangue e dalla sua morte! Tu sei più brillante delle stelle del cielo, più preziosa dell’oro purissimo. O amabil croce! Tu sola hai meritata di portare la salute del mondo, la sorgente della grazia e il prezzo della gloria; così tu sei il mio conforto e l’oggetto della mia fiducia: da te viene la mia salvezza; tu sei il principio della mia fede, e sarai quind’innanzi la mia speranza. Tócco di riconoscenza, io fisso gli occhi su te, e in te contemplo il mio Redentore morente per me; io vengo a raccogliere i suoi sospiri, e a lavarmi nel sangue che egli ha versato per me.

Preghiera. O mio Dio! che siete tutto amore, vi ringrazio di aver rilasciato alla morte il vostro unico Figliuolo per riscattarmi; non permettete che io renda inutile a me il frutto della sua passione. Io risolvo di amare Dio sopra ogni cosa, e il prossimo mio come me stesso per amor di Dio; e in attestato di quest’amore, reciterò tutti i venerdì cinque Pater ed Ave, in onore delle cinque piaghe di nostro Signore Gesù Cristo.

Sentimenti di penitenza a pie della Croce.

Anima peccatrice, anima penitente, tu sei oppressa dal peso delle tue colpe, tu piangi alla vista delle tue sregolatezze e de’ tuoi eccessi; la giustizia divina sembra per tutto minacciarti e perseguitarti, per sacrificarti e dare a te il castigo; non vi è nel mondo per te che un asilo. Vieni e gettati ai piedi della croce; vieni ad espandere il tuo afflitto cuore; vieni a mostrar le tue piaghe, e a domandarne la guarigione al caritativo medico che ne vede tutta la profondità. Ivi prostesa e penetrata da giusto dolore, digli con un santo penitente, vero modello di penitenza:

Peccavi: ho peccato; sì, mio Dio, ho peccato, e gravemente peccato; ho peccato per molti e molti anni; io lo riconosco, ne piango: vorrei morirne di dispiacere. Finalmente rischiarata dal vostro divin lume, tocco dalle attrattive delle vostre grazie, ritorno a Voi, vengo al implorare la vostra infinita misericordia: Miserere mei. Deus, secundum magnam misericordiam tuam. Abbiate pietà di me, o Dio, secondo la grande vostra misericordia.

Colui al quale ho dato la morte è il solo che deve resuscitarmi. Et secundum multitudinem miserationem tuarum, abbiate pietà di me secondo la molta vostra misericordia. Io non saprei conoscere tutta la gravezza e l’enormità delle mie colpe, ma ne conosco tanto da comprendere che ho meritato mille volte l’inferno: iniquitatem, meam ego cognosco. Il mio peccato è sempre presente ai miei sguardi per istraziare il mio cuore: Peccatum meum contra me est semper. Ho peccato, e per il mio peccato ho offeso Voi, Voi che solo dovevo servire ed amare in questo mondo! Tibi soli peccavi. Davanti a voi, alla vostra presenza, e nel tempo medesimo che mi ricolmavate delle vostre grazie, io vi ho oltraggiato: Et malum coram te feci.

O Dio sofferente e agonizzante, voi per me, per i miei peccati soffrite e morite; il vostro cuore trafitto da una lancia, trafigga il mio del più amaro dolore; non rigettate un cuore contrito ed umiliato. Se non è tale, fatelo Voi in me, rendete il mio cuore degno di Voi: Cor contritum ét humiliatum, Deus, non despicies. Dio Santo, Dio Salvatore, voi troverete in me l’enormezza di tutti i peccati riuniti insieme; riunite insieme in prò mio i tesori di tutte le grazie; glorificate la vostra potenza, fate trionfare la vostra misericordia, e mostrate in un uomo infinitamente peccatore, che cosa è un Dio infinitamente buono. Se il sacrifizio della mia vita potesse soddisfare la vostra giustizia, con quanta gioia non vi offrirei il sacrifizio di questa vita, che sì colposamente ho passata! Si voluisses sacrificium, dedissem utique.

Anima penitente, consacra i tuoi sentimenti ai piedi della croce: trattienti col tuo Dio, che muore per darti una nuova vita. Digli: Signore, io sono afflitta alla vista dei vostri patimenti e delle mie offese; ma ciò che più mi dà pena, si è che il mio cuore è troppo debole per odiarle e piangerle: vorrei avere il cuore di tutti gli uomini e le lagrime di tutti i santi penitenti per consacrarle a Voi. Signore, Dio mio, create in me un cuor nuovo per sodisfarvi ed amarvi. Oh! chi mi darà una fontana di lagrime che non mai venga meno? Quanto sarei felice se vedessi scaturire da’ miei occhi un torrente di lagrime, per unirle al torrente di sangue che voi versate! Qual vita è stata la mia! e se le vostre misericordie non fossero infinite, che mi resterebbe altro se non la disperazione? Ma ormai, o mio Dio, le piaghe son fatte; io non posso altro che mostrarvele, e scongiurarvi a guarirle; so che tutto ciò che può esser pianto, può esser perdonato. Finché io viva, piangerò, gemerò; né vivrò più che per piangere e gemere a pie’ della croce. Me felice se potessi ivi morir di dolore! Fate, o mio Dio! che la vita non sia più per me che un continuo gemito, la terra una valle di lagrime: se l’ho contaminata co’ miei delitti, oh perché non posso io innaffiarla col sangue mio! Ma no, è il sangue vostro che deve purificar tutto: lavatemi, purificatemi, santificatemi, questo è il più gran prodigio della vostra misericordia. Io lo narrerò a tutti i peccatori; il mio esempio gli commuoverà, e dirà loro ciò che essi possono e debbono sperare dalla vostra ineffabile bontà; tutti unanimi loderemo, benediremo per sempre la grandezza delle vostre misericordie, sempre superiore alla grandezza delle nostre colpe. Diremo dunque col profeta penitente: Domine, propitiaberis peccato meo, multum est enim; Signore, voi avrete pietà di me, perché i miei peccati sono grandi; sì, la gravezza stessa dei miei peccati sarà il motivo che vi obbligherà a concedermene il perdono: motivo ben degno di Voi, perché più i miei peccati sono grandi, e più faranno risplendere la vostra misericordia, più che mai ammirare la vostra onnipotenza, e più trionfare la vostra grazia.

O croce del mio Dio, del mio adorabile Salvatore! a’ tuoi piedi io voglio vivere; nelle tue braccia spero di morire: sii, tutto il tempo di mia vita, il mio modello e il mio sostegno; ma specialmente all’ora della morte, sii tu il mio rifugio e la speranza mia.

O crux, ave, spes unica:

Hoc passionis tempore,

Piis adauge gratiam

Reisque dele crimina. Amen.

Ti salutiamo, o croce, unica nostra speranza! Gesù, che a lei foste sospeso, fate che in questo santo tempo, in cui solennizziamo la vostra passione, i giusti crescano nella pietà, e i peccatori ottengano il perdono delle loro colpe. Così sia.

Consideriamo ciò che un Dio soffre, come e per chi lo soffre. Portiamo per tutto la ricordanza della croce, delle sue grazie e de’ nostri peccati: domandiamo a Dio la grazia di pensarvi e di piangerli tutto il tempo di nostra vita. Forse fra breve dovremo comparire al tribunale della divina giustizia; siamo stati peccatori, disponiamoci a comparirvi da penitenti. Pensiamoci; non ci contentiamo solo di pensarci; profittiamo della grazia che ci è offerta per produrre in noi dei frutti di salute.

La Santissima Vergine a pie della Croce.

Stabat Mater dolorosa Juxta crucem lacrymosa, Dum pendebat Filius.

[Dritta a pie della croce, a cui era sospeso il suo Figliuolo, la Madre dal dolore piangeva].

Cujus animam gementem, Contristatam et dolentem, Pertransivit gladius.

[La sua anima abbattuta, gemente e desolata, fu trafitta dalla spada del dolore.]

0 quam tristis et afflictaFuit illa benedicta Mater Unigeniti!

[Oh! come fu triste ed afflitta questa benedetta Madre del Figliuolo unico di Dio!]

Quæ mœrebat et dolebat, Pia Mater, dum videbat Nati pœnas inclyti.

[Gemeva la pia Madre, e sospirava alla vista delle angosce del suo divin Figliuolo].

Quis est homo qui non fleret, Matrem Christi si videret In tanto supplicio?

[Chi mai potrebbe trattener le lagrime, nel vedere la Madre di Gesù Cristo in un sì vivo dolore?]

Quis non posset contristari,Christi Matrem contemplariDolentem cum Filio?

[Chi potrebbe contemplare senza profondamente attristarsi questa tenera Madre soffrir col suo Figlio?]

Pro peccatis suæ gentis Vidit Jesum in tormentis, Et flagellis subditum.

[Ella vide Gesù nei tormenti e squarciato dai colpi per i peccati di sua nazione.]

Vidit suum dulcem natum Moriendo desolatum, Dum emisit spiritum.

[Vide l’amato Figlio morente nell’abbandono fino all’ultimo anelito.]

Eja, Mater, fons amoris, Me sentire vim doloris Fac, ut tecum lugeam.

[0 Madre piena d’amore, fate che io provi la forza del vostro dolore, che io pianga con voi.]

Fac ut ardeat cor meum In amando Christum Deum, Ut sibi complaceam.

[Fate che il mio cuore arda d’amore per Gesù Cristo, e non pensi che a piacere a lui.]

Sancta Mater istud agas, Crucifixi fige plagas Cordi meo valide.

0 Santa Madre, imprimete profondamente nel mio cuore le piaghe di Gesù crocifisso.

Tui nati vulnerati, Tam dignati prò me pati, Pœnas mecum divide.

[Dividete con me i tormenti, che il Figliuolo vostro per me si è degnato di patire.]

Fac me tecum pie flere Crucifixo condolere, Donec ego vixero. ‘

[Fate che io piango pietosamente con voi, e compatisca tutti i giorni di mia vita, i patimenti del vostro Figlio crocifìsso].

Juxta crucem tecum stare, Et me tibi sodare In planctu desidero.

[D’or innanzi io voglio stare con voi a pie’della croce, ed associarmi ai vostri dolori].

Virgo virginum præclara, Mihi jam non sis amara; Fac me tecum plangere.

[O Vergine, la più pura delle vergini, non rigettate la mia preghiera; fate che io pianga con voi].

Fac ut portem Christi mortem, passionis fac consortem et plagas recolere

[Fate che io porti scolpita in me la morte di Gesù Cristo, il peso e la memoria delle sue piaghe.]

Fac me plagis vulnerari, fac me cruce inebriari, et cruore Filii.

[Fate che ferito dalle sue ferite, io m’innamori di questa croce e del sangue del vostro Figliuolo].

Flammis ne urar succensus, per te Virgo sim defensus, in die judicii.

[Vergine potente, difendetemi nel dì del giudizio, affinché non sia preda dell’eterne fiamme.]

Christe, cum sit hinc exire Da per Matrem me venire Ad palmam victoriæ.

[O Cristo Gesù, quando passerò da questo mondo, fate per intercessione della Madre vostra, che io ottenga la palma della vittoria.]

Quando corpus morietur Fac ut animae donetur Paradisi gloria. Amen.

[Quando il mio corpo morrà, ottenete all’anima mia la gloria del Paradiso.

Così sia.]

https://www.exsurgatdeus.org/2019/04/19/le-omelie-del-curato-dars-venerdi-santo/

L’UFFIZIO DELLE TENEBRE

L’UFFIZIO DELLE TENEBRE.

(L. Goffiné, Manuale per la santificazione delle Domeniche e delle Feste; trad. A. Ettori P. S. P.  e rev. confr. M. Ricci, P. S. P., Tip. Ferroni – Firenze, 1869).

In questa sera comincia l’uffizio delle tenebre. La Chiesa celebra, per così dire, in questi tre ultimi giorni, le esequie del Salvatore. L’uffizio delle tenebre si compone del mattutino e delle laudi di domani, che per anticipazione si cantano la vigilia. Si è dato a questa parte d’uffizio il nome di Tenebre, perché verso la fine di esso rimangono spenti tutti i lumi, così per esprimere il duolo profondo della Chiesa, come per rappresentare le tenebre, onde tutte la terra fu avvolta alla morte di Gesù Cristo. L’estinzione dei lumi richiama ancora alla memoria un fatto storico della nostra bella antichità cristiana. L’uffizio che facciamo la sera si faceva di notte, e durava fino alla mattina; via via che il giorno si avvicinava, si spengevano successivamente le faci che non erano più necessarie. Queste faci sono candele poste sopra un candelabro triangolare, a sinistra dell’altare; ordinariamente in numero di quindici, sette per parte e una in mezzo. Si spengono candele di ciascun lato, successivamente, alla fine d’ogni salmo, cominciando dalla più bassa, dalla parte del Vangelo, e quindi dall’altra, e cosi alternativamente, sinché resti sola quella di mezzo che si lascia accesa. Le dette candele sono di cera gialla, come prescrive un antico rituale romano, perché la Chiesa non ne impiega d’altra qualità nei funerali e nel gran lutto. Quella che è posta nel mezzo del candelabro triangolare, è ordinariamente di cera bianca, perché raffigura Gesù Cristo. All’ultimo versetto del Benedictus, si toglie e si nasconde dietro l’altare, per tutta la recita del salmo Miserere e le preci: quindi si riporta. Questa cerimonia ci raffigura la morte e la resurrezione del Salvatore. Le altre quattordici candele rappresentano gli undici Apostoli e le tre Marie: si spengono per rammentarci la fuga degli uni e il silenzio delle altre nel tempo della passione. Un tal numero di candele e il modo di disporle e di spengerle gradatamente, ha origine da oltre al VII secolo. Quale dev’essere la nostra venerazione per una cerimonia che è stata contemplata da tanti pii cristiani? Possa ella eccitare in noi i medesimi sentimenti di pietà che essa eccitò nei nostri padri! In generale i riti usati dalla Chiesa, specialmente per le principali feste, sono di una antichità molta lontana. Tutto l’uffizio delle Tenebre è impresso del più profondo dolore: l’invitatorio, gli inni, il Gloria Patri, la benedizione, tutto è soppresso. Non vi si odono che quattro voci: quella di David, che piange sulla lira gli oltraggi fatti a Gesù Cristo e la morte del suo Signore e Figlio di Dio: quella di Geremia, che agguagliando i lamenti ai dolori, canta le ruine di Gerusalemme e i tormenti dell’augusta vittima; quella della Chiesa, i cui teneri accenti chiamano i suoi figli alla penitenza: Gerusalemme, Gerusalemme, convertiti al Signore Dio tuo e finalmente quella delle sante donne, che avevano seguito Gesù dalla Galilea, e che piangevano dietro a lui mentre saliva il Calvario. Il loro viaggio, le loro lacrime, e le loro grida ci vengono rappresentate dai due chierici che cantano e in ginocchioni, e andando, quei kyrie, eleison. intramezzati dai responsi e da lamentevoli sospiri. Non vi è né capo, né pastore per presedere all’uffizio di questi tre giorni; poiché sta scritto: Percuoterò il pastore e le pecorelle della mandra saranno disperse. L’uffizio è seguito da un rumore confuso, che ci richiama alla mente la venuta e lo scompiglio tumultuoso della coorte, che armata di bastoni, e condotta da Giuda s’inoltra di nottetempo ad arrestare il divin Salvatore nell’Oliveto.

SPIEGAZIONE DEL PASSIO

SPIEGAZIONE DEL PASSIO

(Messale Romano di S. Bertola e G. Destefani, comm. di D. G. LEFEBVRE O. S. B; L. I. C. E. – R. Berruti & C. Torino 1950).

Vang. sec. S Matteo (Domenica delle Palme). — sec. S. Marco (Martedì Santo). — sec. S. Luca (Mercoledì Santo). — sec. S. Giovanni (Venerdì Santo).

Avvenimenti precedenti la Passione.

Il martedì, dopo aver lasciato il Tempio, Gesù salì verso sera il monte degli Olivi: « Fra due giorni, egli dice, avrà luogo la Pasqua e il Figlio dell’uomo sarà consegnato per essere crocefisso ». Presso i Giudei, di fatti, i giorni cominciano la vigilia a sera, si era dunque al principio del mercoledì, e il venerdì seguente Gesù fu messo a morte. La festa di Pasqua coincideva col plenilunio dell’equinozio di primavera, perché proprio in questo momento gli Ebrei erano usciti dall’Egitto (*). Nella loro fuga precipitosa, non avevano potuto far lievitare il pane, ed in ricordo di questo fatto i Giudei si astenevano, durante questa festa, dal pane fermentato festa degli azzini.(*) Questa luna segnava per gli Ebrei il primo mese dell’anno che essi chiamavano Nisan. « Al 14° giorno del 1° mese (che è il giorno del plenilunio) sarà la Pasqua del Signore e al 15° la festa solenne » (Numeri, XXVIII, 16). Il giorno che, alla maniera dei Giudei, va dal giovedì sera al venerdì sera, e durante il quale ebbero luogo, la Cena e la Crocifissione, era dunque il 14 Nisan o « Vigilia di Pasqua » (S . Giovanni, XIII, 1). Dio, infatti, per mostrare che G. Cristo è il vero agnello della vera Pasqua, volle che fosse mangiato dagli Apostoli e immolato dai Giudei lo stesso giorno nel quale Israele mangiava gli agnelli immolati che ne erano la figura. Di modo che la Pasqua o il passaggio di G. Cristo da questo mondo al Padre e la nostra liberazione dal peccato si compirono al momento nel quale si celebrava l’anniversario del passaggio dell’Angelo e della liberazione d’Israele di cui erano figure. Cosi la Chiesa per affermare che « la nuova Pasqua della nuova legge pone fine all’antica Pasqua, come il giorno pone fine alla notte» (Lauda Sion), decretò che la festa di Pasqua avrebbe luogo sempre, come per la Pasqua giudea, nell’epoca della luna pasquale. Ma volendo celebrare la festa della Risurrezione in Domenica, perché avvenne in questo giorno, essa decise nel Concilio di Nicea, che questa sarebbe ogni anno la domenica seguente al plenilunio dell’equinozio di primavera, che si suppone cadere sempre al 21 di marzo, come s’era presentata nel 325, l’anno di questo Concilio. Se il plenilunio cade prima del 21, la data della Pasqua dipenderà dalla luna seguente, perciò varia fra il 22 Marzo e il 25 Aprile].A

Ultima Cena al Cenacolo.

Quando gli Evangelisti parlano del «1° giorno degli Azimi » intendono il giovedì sera, cioè il principio del venerdì, secondo l’uso ebreo. Il giovedì Pietro e Giovanni sono mandati dal Maestro a preparare la sala al Cenacolo, nel piano superiore di una casa (Act. I, 13). Al calare della notte (Marc. XIV, 17), cioè durante la prima vigilia della sera che dura fino alle 9, Gesù vi si porta con i suoi discepoli, si distendono, secondo l’uso orientale, su letti un po’ elevati, col braccio sinistro appoggiato su cuscini, intorno ad una tavola. Giovanni, che si trovava a destra di Gesù, potè dunque facilmente riposare il capo sul petto del Signore. Durante questo pasto, Gesù dopo aver preso uno dei grossi pani azimi, largo circa 20 centimetri e assai sottile, lo cambiò nel suo Corpo, pronunziando una preghiera eucaristica o di rendimento di grazie, come faceva il padre di famiglia che, prima di mangiare l’agnello pasquale, ringraziava Dio di aver liberato Israele dalla sua schiavitù. Poi, dopo aver cenato, allorché restava ancora, secondo il rito mosaico, da bersi un calice, Gesù lo cambiò, allo stesso modo, nel suo Sangue. Nel far ciò, Egli usò le parole con le quali Mosè suggellò l’antica alleanza nel sangue delle creature: « Questo è il Sangue del Testamento che Dio ha fatto per voi » (Es. XXIV, 8). Gesù vi aggiunse due parole:- « Questo è il mio sangue… del Testamento nuovo ». Parlando della Pasqua, centro di tutta la vita religiosa del popolo ebreo, il legislatore di Israele aveva detto: « Voi serberete il ricordo di questo giorno e lo celebrerete di generazione in generazione, con una istituzione perpetua » IIbid. XII, 14), e il Salvatore ordinò allo stesso modo agli Apostoli, « e per loro a tutti i loro successori nel sacerdozio », aggiunge il Concilio di Trento, di consacrare allo stesso modo questo pane e questo calice di vino in memoria di Lui » (S. Luc. XXII, 19) . L’agnello immolato dai figli d’Israele è, dopo circa 1500 anni, sostituito dall’Agnello di Dio che verrà immolato fino alla fine dei secoli, e la Messa, che si identifica con la Cena e il Calvario, diviene il centro religioso di tutto il popolo cristiano.

Ultimo discorso di Gesù. — Getsemani.

Dopo la Cena, Gesù pronunziò il sublime discorso che è il suo testamento di amore, la seconda parte del quale (Giov. XV, 1) fu detta mentre dal Cenacolo si recava fuori della città. Passò per la porta che si trova non lontano dalla piscina di Siloe e risali la vallata del Cedron, lungo il sobborgo di Ofel, per andare nel giardino di Getsemani, ai piedi del Monte degli Olivi. I tre Apostoli, testimoni della sua Trasfigurazione, furono anche testimoni di una parte della sua agonia avvenuta nel Getsemani. Giuda, che aveva venduto il suo Maestro per la somma di trenta danari, venne con il capo di una coorte romana e i suoi soldati, e con guardie incaricate della vigilanza del Tempio inviate dal Sinedrio. Costoro entrarono nella notte con Gesù a Gerusalemme, e risalendo il pendio nord-est della città, andarono nel palazzo del Gran Sacerdote.

Processo religioso davanti ad Anna e Caifa

Si stava preparando il processo religioso, perché spettava alla autorità religiosa ebrea interrogare Gesù su ciò che essa chiamava la falsa qualità di Figlio di Dio. Il Sinedrio si componeva di 70 membri, a capò dei quali erano i grandi sacerdoti e il loro capo supremo, il Sommo Sacerdote, Anna era riuscito ad ottenere successivamente questo incarico per i suoi cinque figli, e l’anno della morte del Signore per il suo genero Caifa. Infedeli alla loro missione, i rappresentanti officiali delia religione ebrea, non aspettavano altro per Messia che un re guerriero, il quale li avesse liberati con la forza dal giogo romano. Gesù fu condotto dinanzi ad Anna, suocero del Sommo Sacerdote. Non essendo più pontefice, era incompetente a giudicare G. Cristo. Il divin Redentore fu, perciò, condotto al tribunale dello stesso Sommo Sacerdote, Caifa. Egli attendeva Gesù in un’altra ala del Palazzo. Intorno à lui, seduti in semicerchio su cuscini, si trovavano gli altri sacerdoti. La procedura era illegale, perché doveva farsi di giorno e occorrevano testimoni. Erano circa le due del mattino e i testimoni furono presi in flagrante delitto di impostura. Caifa, pieno di collera, lo scongiura solennemente (cosa del tutto contraria alla legge mosaica che in questo caso annulla la confessione dell’accusato) di dirgli se Egli fosse il Figlio di Dio. E Gesù, che attendeva questo momento per parlare, afferma ufficialmente la sua divinità davanti all’autorità religiosa ebrea riunita in gran consiglio. Lo si giudica allora degno di morte; Egli accetta la sentenza perché è proprio la qualità di Figlio di Dio che dà un valore infinito al sacrifizio che sta per offrire a Dio suo Padre per gli uomini suoi fratelli.

Servi dei Sacerdoti. —. S. Pietro. — Giuda,

Lo si lascia allora per il resto della notte ai motteggi dei servi dei’ Sacerdoti che lo bestemmiano e lo coprono di sputi. Durante questa notte, Pietro, che aveva seguito da lontano Gesù, fu introdotto da Giovanni nella corte del Palazzo del Gran Sacerdote e li, per tre volte rinnegò il suo Maestro. Dopo il secondo canto del gallo, usci dal palazzo e « pianse a voce alta, con singhiozzi.», dice il testo greco. Verso il mattino il Sinedrio si riunì di nuovo per dare alla sua sentenza, che doveva essere data di giorno, una apparenza di legalità. Gesù comparve e, allorché si dichiarò Figlio di Dio, fu di nuovo condannato. Giuda allora comprende tutta la grandezza del suo delitto. Tormentato dal rimorso, si presenta al Consiglio dei Sacerdoti, ancora riuniti e confessa che « aveva peccato consegnando il Sangue del Giusto». Preso dalla disperazione, il traditore getta nel Tempio le monete d’argento che ha ricevute, discendendo verso la piscina di Siloe, si caccia nella gola profonda ove scorre il torrente Innom. E in questo luogo chiamato la Geenna (Ge-hinnom), si impicca » (XXVII, 5); essendosi rotta la corda, il suo corpo precipitò con la faccia verso terra, e ne uscirono i visceri che si sparsero per terra » (Act. I, 18).

Processo civile davanti a Pilato.

Ma Roma sola, da cui dipendeva in questo momento la Palestina, aveva il diritto di vita o di morte. Bisognava deferirlo al procuratore romano e Gesù fu condotto al pretorio di Ponzio Pilato, nella cittadella Antonia, dove i Giudei non entreranno, perché la casa di un pagano avrebbe fatto contrarre loro una macchia legale in queste feste di Pasqua. Il processo civile di G. Cristo stava, a sua volta, per essere iniziato. Ma davanti a questo nuovo tribunale, bisognava essere accusati di un delitto politico. Il Messia, per i Giudei, doveva essere un monarca terreno. Si accusò allora Gesù, che si diceva il Messia, di essere un re competitore di Cesare (La Giudea conquistata da Pompeo, era diventata tributaria dell’imperatore Augusto, al quale si associò più tardi Tiberio-Cesare, Pilato era loro rappresentante nella Giudea ed Erode nella Galilea). Su questo nuovo terreno si riprodusse punto per punto la stessa procedura della notte precedente: il medesimo silenzio di G. Cristo davanti ai falsi testimoni, la stessa affermazione ufficiale della sua regalità spirituale davanti al mondo pagano, rappresentato questa volta da coloro che tenevano l’impero del mondo, e i medesimi cattivi trattamenti da parte dei soldati romani. Ma Gesù, che di fatto dirigeva l’andamento delle cose, non voleva esser condannato che come Figlio di Dio e Re delle anime. Egli riportò la questione i sul terreno religioso. « II mio regno, disse, non è di questo mondo ». Questo non era più di competenza di Pilato, che fino alla fine lo dichiarò perfettamente innocente. I Giudei allora tentano di intimidire Pilato il quale, troppo vile per usare l’autorità davanti una folla che si sarebbe vendicata accusandolo in alto, cerca a forza di espedienti di salvaguardare i suoi interessi, senza disprezzare i morsi di un resto di coscienza pagana superstiziosa che teme vagamente un castigo degli dèi.

Erode. — Pilato. — Barabba. — La flagellazione.

Primo espediente:

Pilato venuto a conoscere che Gesù era Galileo, lo mandò ad Erode. Questo tetrarca della Galilea era figlio di Erode il Grande, che ordinò il massacro degli Innocenti, quando i Magi gli annunziarono che «il Re dei Giudei» era nato da poco. Umiliato dal silenzio di Gesù, egli, a sua volta, umiliò i Giudei rivestendo G. Cristo della veste bianca propria dei candidati alla regalità e che essi gli negavano.

Secondo espediente: Barabba. Il confronto fra un omicida e Gesù non riuscì meglio.

Terzo espediente: La Flagellazione. Questo era un supplizio infame riservato agli schiavi. Il paziente, spogliato delle sue vesti, aveva le mani legate ad un anello di una colonna bassa. L’esecutore, armato di una frusta di corregge pieghevoli, terminanti con ossicini, percoteva con una lentezza calcolata il dorso curvo e teso della vittima. Le corregge flessibili flagellavano ora le spalle ora il petto e vi scavavano solchi profondi, dai quali sprizzava il sangue e dai quali si staccavano brani di carne. Gesù è presentato in questo stato alla folla, rivestito di un mantello scarlatto, con la corona di spine e un bastone per scettro.  I Giudei comprendono tutta l’ironia di questa scena. Oseranno essi vedere ancora in questo re un competitore di Cesare?

Condanna di Gesù.

Essi allora sì riportano con dispetto al suo titolo di Figlio di Dio che deve essere la sola causa della sua morte. Pilato, scosso dall’argomento decisivo: « Noi ti denunzieremo a Cesare », cerca di trovare un ultimo espediente per sua tranquillità. Con l’atto simbolico di lavarsi le mani, Pilato mostra ai Giudei che davanti al suo tribunale, Gesù è innocente e che egli non lo consegna ad essi se non Perché essi pretendono che la loro legge lo condanni. Questo egli affermerà fino all’ultimo momento, facendo affiggere nella sua croce una iscrizione, in tre lingue, indicanti, secondo l’uso, il motivo della sua condanna. L’iscrizione portava queste parole: « Gesù Nazareno Re dei Giudei ». Pilato, nella sua viltà, è colpevole di questo omicidio, ma i Giudei, nel loro odio insultano il Figlio di Dio e commettono un deicidio.

La via Crucis. — La crocifissione. — L’agonia.

Verso le ore 11, Gesù lasciò il pretorio. La dolorosa via crucis cominciò con la via che scende nella valle del Tiropeon, quindi risalecon un rapido pendio fino alle porte della città. Lì, fuori delle mura,si trova il Golgota, ove si facevano le esecuzioni. Nella tenebraprofonda che si fece fra mezzogiorno e le tre, come fu constatato intutto l’impero romano, Gesù subì il suo ultimo supplizio. La croceera il più crudele e il più atroce dei tormenti perché la vittima,necessariamente immobilizzata, doveva sopportare, durante varieore, tutto il peso del proprio corpo, con le braccia tese. L’orribiletensione imposta, congestiona il sangue alla faccia e al petto eprovoca un dolore insopportabile che viene caratterizzato spesialmente da una sete bruciante. Morir crocifisso era morir unicamente di dolore nella più crudele delle agonie. Verso sera, si affrettaronoa spezzare le gambe del suppliziato, i cui piedi si trovavano a circaun metro da terra.

Morte di Gesù. — Sua Sepoltura.

Viene ora il momento decisivo che segna per il genere umano l’ora della sua redenzione. Gesù imprimerà col sigillo del suo sangue tutti gli atti della sua vita affinché siano atti di redenzione. Per mostrare che non è per atto forzato, ma per amore verso il Padre suo e verso gli uomini che Egli accetta che la morte compia su di lui l’opera sua, emette un gran grido e spira. Il nostro divin Salvatore è dunque morto. Con Maria sua Madre e con S. Giovanni, rimaniamo ai piedi della sua Croce e come i pochi Giudei che si convertirono in questo momento, battiamoci il petto, perché Gesù ha offerto la sua vita a Dio per espiare i nostri peccati. Erano circa le tre dopo mezzogiorno. Verso le Cinque, fu tolto dalla croce e sepolto in fretta, perché alle sei della sera cominciava il solennissimo Sabato. Coincideva infatti con il 15 di Nisan, giorno più importante delle feste pasquali. Giova ricordar che i Giudei non avevano cimiteri. Essi si preparavano un monumento funerario nella loro proprietà, spesso ai due lati delle grandi strade di comunicazione. Giuseppe, che era di Arimatea, città della Giudea, pose Gesù nel sepolcro, che aveva fatto fare per se stesso e che si trovava in un orto presso il luogo ove il Salvatore mori. Nicodemo aveva portato per imbalsamarlo provvisoriamente una grande quantità di profumi, circa 32 kilogrammi. Di poi chiusero il sepolcro con una grande pietra, assai difficile a rimuoversi. Le sante donne se ne ritornarono in città, vi acquistarono aromi, con l’intenzione di seppellire Gesù con più cura, dopo il riposo del Sabato. Il giorno seguente, ossia il sabato i Giudei sigillarono il sepolcro e vi posero delle guardie. — Amiamo ripetere in questo giorno insieme a Gesù la preghiera del Communio: « Padre, se questo calice non può passare senza che io lo beva, sia fatta la tua volontà ».

CALENDARIO LITURGICO DELLA CHIESA CATTOLICA DEL MESE DI APRILE 2020

CALENDARIO LITURGICO DEL MESE DI APRILE 2020

APRILE è il mese che la Chiesa dedica

alla Santa Pasqua ed alle LITANIE maggiori.

La Chiesa, che ogni anno rinnova nella sua liturgia il ricordo degli avvenimenti della vita del Salvatore, ai quali ci invita Chiesa, che ogni anno rinnova nella sua liturgia il ricordo degli avvenimenti della vita del Salvatore, ai quali ci invita a partecipare, celebra nella festa di Pasqua il trionfo di Gesù, vincitore della morte. Questo, come tutti sanno, è l’avvenimento centrale di tutta la storia, è il punto verso il quale tutto converge nella vita di Cristo, ed è anche il punto culminante della vita della Chiesa nel suo Ciclo liturgico. La Resurrezione del Salvatore è la prova più luminosa della sua divinità, perché bisogna essere Dio per poter, come diceva Gesù, «lasciare la propria vita e riprenderla di nuovo ». La fede nella Risurrezione di Gesù è dunque la base stessa della fede cristiana. Infatti la Pasqua di Cristo, ossia il suo passaggiodalla morte alla vita e dalla terra al cielo, è la consacrazione definitiva della vittoria che l’uomo, l’umanità intera hanno riportato in Gesù sul demonio, sulla carne e sul mondo1 . Infatti noi siamo morti e risuscitati con Lui. Effettivamente la virtù di questi misteri opera nei fedeli durante tutta la loro vita, e più specialmente durante il Triduo Pasquale (Venerdì Santo, Sabato Santo, Domenica di Pasqua) allo scopo di farli passare dal peccato alla grazia e più tardi dalla grazia alla gloria. (….)Perciò la settimana di Pasqua è la festa dei Battezzati e la Chiesa, concentrando tutte le sue cure di madre su questi, che S. Paolo chiama « i suoi neonati », li fortifica, dando loro, insieme all’Eucarestia, per 7 giorni consecutivi, alcune istruzioni riguardanti la Resurrezione, modello iella nostra vita soprannaturale. « Se siete risuscitati con Cristo, dice S. Paolo, ricercate le cose celesti e non le cose di questa terra ». « Mortificate le vostre membra, spogliatevi dell’uomo vecchio e rivestitevi dei nuovo ». Dunque conclude S. Agostino: « Quando deponete la veste bianca dei battesimo, custoditene sempre il candore nell’anima vostra » (Dom. in Albis). Il Tempo Pasquale rappresenta, dunque, un’epoca di rinnovellamento. In corrispondenza col periodo di quaranta giorni, nel quale dopo la sua Risurrezione, Gesù stabilì la sua Chiesa, esso ci ricorda più specialmente la Chiesa nascente.

(De Stefani Messale Romano – L.I.C.E. Torino, 1950)

Le feste del mese di APRILE sono:

2 Aprile S. Francisci de Paula Confessoris    Duplex

3 Aprile I Venerdì

4 Aprile S. Isidori Episcopi Confessoris et Ecclesiæ Doctoris    Duplex

              I Sabato

5 Aprile Dominica in Palmis    Semiduplex I. classis

               S. Vincentii Ferrerii Confessoris    Duplex

9 Aprile Feria Quinta in Cena Domini    Duplex I. classis *I*

10 Aprile Feria Sexta in Parasceve    Duplex I. classis

11 Aprile Sabbato Sancto    Duplex I. classis

12 Aprile Dominica Resurrectionis    Duplex I. classis

13 Aprile Die II infra octavam Paschæ    Duplex I. classis

14 Aprile Die III infra octavam Paschæ    Duplex I. classis

15 Aprile Die IV infra octavam Paschæ    Semiduplex

16 Aprile Die V infra octavam Paschæ    Semiduplex

17 Aprile S. Aniceti Papæ et Martyris    Semiduplex

19 Aprile Dominica in Albis in Octava Paschæ    Duplex I. classis

21 Aprile S. Anselmi Episcopi Confessoris et Ecclesiæ Doctoris    Duplex

22 Aprile SS. Soteris et Caji Summorum Pontificum et Martyrum    Semiduplex

23 Aprile S. Georgii Martyris    Semiduplex

24 Aprile S. Fidelis de Sigmaringa Martyris    Duplex

25 Aprile  S. Marci Evangelistæ    Duplex II. classis.

LITANIE MAGGIORI

26 Aprile Dominica II Post Pascha    Semiduplex Dominica minor

                SS. Cleti et Marcellini Paparum et Martyrum    Semiduplex

27 Aprile S. Petri Canisii Confessoris et Ecclesiæ Doctoris    Duplex m.t.v.

28 Aprile S. Pauli a Cruce Confessoris    Duplex m.t.v.

29  S. Petri Martyris    Duplex

30 Aprile S. Catharinæ Senensis Virginis    Duplex

TEMPO DI PASSIONE (2020)

TEMPO DI PASSIONE

I. — Commento dogmatico.

La Chiesa, che, dal principio del ciclo di Pasqua ha seguito Gesù nel suo ministero apostolico, durante il Tempo della Passione, contempla, in lutto, i dolorosi avvenimenti che segnarono l’ultimo anno (Settimana di Passione) e l’ultima settimana (Settimana Santa) della vita mortale del Redentore. L’odio dei nemici del Messia si accresce di giorno in giorno, fino a culminare, nel giorno del Venerdì Santo col più orribile dei delitti, col dramma cruento del Golgota, annunciato dai profeti e da. Gesù stesso. Cosi la liturgia, mettendo a confronto il Vecchio ed il Nuovo Testamento, stabilisce un parallelo impressionante tra le parole di S. Paolo e degli Evangelisti a proposito della Passione, e le profezie così chiare di Geremia, di Isaia, di Davide, di Giona e di Daniele. Via via che il fatale scioglimento si avvicina, gli accenti di dolore della Chiesa, si fanno più commossi e ben presto noi sentiremo i suoi lamenti per lo Sposo che non è più. « Il Cielo della Santa Chiesa si oscura sempre più », scrive Don Guéranger. Come in un giorno di temporale, si vedono accumularsi all’orizzonte nubi sinistre, cariche di tempesta. La folgore della Giustizia divina sta per cadere ed essa colpirà il Salvatore che per amore verso il suo Padre e verso di noi si è fatto uomo. In virtù della solidarietà misteriosa che esiste fra tutti i membri della grande famiglia umana, questo Dio fatto uomo si sostituisce ai suoi fratelli colpevoli. « Egli si riveste dei nostri peccati », dice il Profeta, « come di un mantello, e si fa peccatore per noi (II Cor. V, 21) per poterlo portare nella sua carne sulla Croce (I Piet. II, 24) e di struggerlo con la sua morte ». Nell’orto del Getsemani, i peccati di tutti i secoli e di tutte le anime, affluiscono orribili, ripugnanti, in onde fangose, nell’anima rarissima di Gesù che viene così « il ricettacolo di tutto il fango umano e il rifiuto della creazione ». Così il Padre, facendo violenza all’amore per il Figlio, deve trattarlo come un essere maledetto, poiché è scritto: « Sia maledetto chiunque è appeso al legno » (Gal. II, 13). Per la nostra salvezza, bisognava veramente » che Gesù « fosse appeso al legno della Croce affinché la vita ci fosse resa da chi si aveva dato la morte e che colui che aveva trionfato della Croce, fosse a sua volta vinto dalla Croce » [Prefazio della croce – Così è segnato il principio di opposizione che fa dire allo Spirito Santo: «Considera tutte le opere dell’Altissimo: esse a due a due, l’una di fronte all’altra». Di fronte al male sta il bene, di fronte alla morte sta la vita: così di fronte al peccatore sta il giusto (Eccles., XXXIII, 15). Poiché — dice San Paolo — da un uomo è venuta la morte, da un uomo pure deve venire la risurrezione da morte. E , come in Adamo, tutti muoiono, così pure in Cristo tutti saranno vivificati ( I Cor., XV, 21). E la liturgia nota che siccome i nostri progenitori sono stati ingannati da satana, bisognava che «uno stratagemma divino sventasse l’artificio del serpente» (Inno mattutino della Domenica di Passione). San Bernardo lo spiega dicendo che, « poiché Gesù non aveva che l’apparenza del peccato, fu appunto quest’apparenza a mascherare la trappola in cui satana cadde ». E S. Agostino: « Per un giusto permesso di Dio, Lucifero perdette il diritto di morte che aveva sui peccatori, il giorno in cui egli fu abbastanza temerario da usarlo contro il Giusto]. Si tratta di una lotta senza l’uguale tra il principe della vita e quello della morte (Seq. di Pasqua) ma « immolandosi, Cristo trionfa » (Pange lingua). La Domenica delle Palme infatti, Egli si avanza come un conquistatore, sicuro di sé, acclamato e cinto di palme e di alloro « segni della vittoria che doveva riportare » (Oraz. della benediz. delle palme). « Gioisci, figlia di Sion, poiché il tuo Re viene a te », dice Zaccaria, e la folla stende le sue vesti sotto i piedi di Gesù, come si faceva per i Re, e grida: « Benedetto colui che viene nel nome del Signore, il Re d’Israele» (Giov. XXII, 13). Gesù entra nella capitale Gerusalemme, sale sul trono prezioso che il suo sangue « orna della porpora regale » (Vexilla Regis) e in alto del quale Giudei e Romani scrivono nelle tre lingue allora in uso: il suo titolo glorioso « Gesù di Nazareth, Re dei Giudei ». L’oracolo di Davide si è compiuto « Dio ha regnato dalla Croce » che, da oggetto d’ignominia, diventa «il vessillo del re »  e « la nostra sola speranza in questo tempo di Passione ».

« Noi ci prostriamo davanti alla Croce poiché è per Essa che è venuta la gioia in tutto il mondo » (Ador. della croce il ven. santo). E per ben dimostrare che è da questo punto di vista che la Chiesa considera Gesù in Croce, gli artisti cristiani un tempo cambiavano la corona di spine in una corona araldica e reale. I Concilii ordinavano che si amministrassero i sacramenti del Battesimo, della Cresima e dell’Eucaristia ai catecumeni e che si desse l’assoluzione sacramentale ai penitenti pubblici, alla fine della Quaresima, quando cioè, la Chiesa celebra il ricordo della morte e del trionfo di Gesù. I catecumeni venivano cosi « sepolti con Gesù per il Battesimo, per resuscitare poi con Lui a vita nuova» (Rom. VI, 4). A questo modo, i Tempi di Passione, rappresentando per tutti i Cristiani l’anniversario di questi benefici ricordavano loro che la morte e la risurrezione di Cristo, che erano state la causa efficiente e l’esempio della loro morte al peccato e della loro risurrezione spirituale, dovevano continuare ad esserlo soprattutto in questa parte dell’anno.

Queste feste non sono dunque un semplice ricordo storico riferentesi alla sola persona di Gesù; esse devono essere, per l’unione della fede e dell’amore che suscitano nelle anime, una realtà per tutto il corpo mistico di Gesù. Per esse il dramma del Golgota si estende dunque atutto il mondo e con Cristo suo Capo, la Chiesa riporta ogni anno,all’epoca delle solennità di Pasqua, una nuova vittoria su Satana. Il Tempo della Passione, per la sua connessione intima col Tempo di Pasqua, ha dunque lo scopo di rinnovare in noi lo spirito delBattesimo nel quale la nostra anima è stata lavata nel sangue diGesù, e quello della nostra prima Comunione colla quale l’animanostra si è dissetata di questo stesso sangue. Colla Confessione ela Comunione Pasquale, residui della disciplina penitenziale ebattesimale di un tempo, questo Tempo liturgico ci fa morire e risuscitare sempre più con Cristo.

II. Commento storico.

Il Tempo di Passione, che ricorda le sofferenze di Gesù, sì riporta specialmente all’ultimo anno del suo ministero, poiché fu allora soprattutto che l’odio, ogni giorno crescente, dei suoi nemici si manifestò in modo più tangibile e culminò nel dramma che la Chiesa celebra durante la cosi detta Settimana Maggiore O Settimana Santa durante la quale Essa segue il Maestro giorno per giorno.

Secondo anno. – Dopo aver guarito il figlio della vedova di Naim, Gesù assolve quella eccatrice, la quale non ebbe timore di venire a gettarsiai suoi èiedi, mentre Egli era a tavola a casa di Simone il fariseo. L’avarizia di Giuda fa prevedere il suo delitto (Giov. di passione).

Terzo anno. — Dopo la Trasfigurazione, Gesù andò a Cafarnao, poi a Gerusalemme per la festa dei Tabernacoli (Mart. di passione). Egli disse di essere la fontana di acqua viva che disseta le anime, ed annunciò la Sua prossima fine. Il giorno dopo queste feste, Egli dette ai Giudei le prove della Sua divinità, ma essi tentarono di lapidario. (Dom. Pass.). Tornato in Galilea, andò nuovamente a Gerusalemme per celebrarvi, durante l’inverno, la festa dell’Anniversario della Dedicazione del Tempio. I Giudei volevano ancora lapidarlo: non era egli forse un bestemmiatore Colui che pretendeva di essere una sola natura col Padre Celeste? (Merc. Pass.) Poi, essendo andato in Perea, Gesù fu chiamato a Betània, dove risuscitò Lazzaro. Questo prodigio gli procurò tanta rinomanza che i Giudei, non potendo contenere più a lungo la loro gelosia, stabilirono di farlo morire. Gesù si rifugiò ad Ephrem (Ven. Pass.). Sei giorni avanti la Pasqua, Egli ritornò a Betania, dove Maria sparse il profumo sui suoi piedi (Lun. santo).

Settimana Santa. — Il giorno dopo, Gesù fece l’ingresso trionfale a Gerusalemme (Vang. della benediz. delle Palme). Lasciò la città quella sera stessa per tornarvi il giorno seguente, il Lunedi Santo, giorno nel quale Egli s’intrattenne con i Giudei nel Tempio (Sabato di Passione). Il Martedì Santo andò di sera, verso il Monte degli Ulivi e predisse agli Apostoli la sua Passione prossima. Non ritornò a Gerusalemme che il Giovedì sera per l’ultima Cena (Giov. santo) e fu crocefisso il giorno dopo alle porte della città, sul Monte Calvario. Nello stesso giorno fu deposto nel sepolcro e ne usci glorioso, il mattino della Domenica seguente.

III. — Commento Liturgico.

Il Tempo di Settuagesima è una preparazione remota alla festa di Pasqua, il Tempo di Quaresima è una preparazione prossima e le due ultime settimane di Quaresima, che portano il nome di « Tempo di Passione », sono una preparazione immediata. Le feste e le cerimonie dell’ultima settimana, detta Settimana Santa o Settimana Maggiore, hanno origine dalla Chiesa di Gerusalemme. Col Vangelo alla mano, i Cristiani seguivano passo passo il Salvatore, venerando sul posto i preziosi ricordi degli avvenimenti solenni coi quali si era compiuta la Sua vita mortale. Roma adottò questa Liturgia dapprima locale e sistemò le sue Chiese in modo da poter celebrare gli Uffizi della Settimana Santa, come si facevano a Gerusalemme. Per una quindicina di giorni la Chiesa sopprime il Salmo il «Judica me » e il « Gloria Patri » che non si trovano nella liturgia antica. Essa copre pure di veli violetti le sante immagini. Senza dubbio, la devozione ai Santi si oscura davanti al grande avvenimento della Redenzione, ma, se si pensa che il Crocifisso stesso è velato, si vedrà in quest’uso un vestigio della tenda che, un tempo, veniva tesa durante tutta la Quaresima, tra la navata e l’altar maggiore. Nei tempi antichi, i penitenti pubblici che erano stati espulsi dalla Chiesa, non potevano rientrarvi che il Giovedì Santo. Dopo la soppressione di questa cerimonia, tutti i Cristiani furono più o meno assimilati ai penitenti pubblici e pur non pronunciando contro di essi la pena di espulsione, si nascose loro l’altar maggiore e tutto quello che vi si trovava, per mostrar loro che essi non meritavano di prender parte al culto eucaristico con la Comunione Pasquale che dopo aver fatta la debita penitenza.

Alcuni autori credono che questo velo avesse per scopo di nascondere la Croce, che nei tempi, antichi non aveva su di essa il Cristo, masplendeva di pietre preziose. Era quindi necessario togliere aglisguardi questo segno di Trionfo fino al Venerdì Santo, quando Gesù riportò la sua vittoria sulla croce, che si espone allora alla adorazione dei fedeli. Spogliando gli altari e facendo tacere le campane il Giovedì, il Venerdì e il Sabato della Settimana Santa la Chiesa mostra la tristezza che prova al ricordo delia morte del suo Sposo divino.

FESTA DELL’ANNUNZIAZIONE – Messa (2020)

Santa Messa del 25 MARZO.

Annunciazione della Beata Vergine Maria.

Doppio di I classe. • Paramenti bianchi.

Oggi commemoriamo il più grande avvenimento della storia: l’incarnazione di nostro Signore (Vang.) nel seno di una Vergine. (Ep.) In questo giorno il Verbo si è fatto carne. Il mistero dell’incarnazione fa sì che a Maria competa il titolo più bello: quello di « Madre di Dio » (Or.) in greco « Theotocos »; nome, che la Chiesa d’Oriente scriveva sempre in lettere d’oro, come un diadema, sulle immagini e sulle statue. « Avendo toccato i confini della Divinità »  (Card. Cajetano, 2a 2æ p. 103, art. 4) col fornire al Verbo di Dio la carne, alla quale si unì ipostaticamente, la Vergine fu sempre onorata di un culto di sepravenerazione o di iperdulia: « II Figlio del Padre e il Figlio della Vergine sono un solo ed unico Figlio », dice San Anselmo. Maria è da quel momento la Regina del genere umano e tutti la devono venerare (Intr.). Al 25 marzo, corrisponderà, nove mesi più tardi, il 25 dicembre, giorno nel quale si manifesterà al mondo il miracolo che non è conosciuto oggi che dal cielo e dall’umile Vergine. La data del 25 marzo, secondo gli antichi martirologi, sarebbe anche quella della morte del Salvatore. Essa ci ricorda, dunque, in questa Santa Quarantena, come canta il Credo che « per noi uomini e per la nostra salute, il figlio di Dio discese dal cielo, si incarnò per opera dello Spirito Santo nel seno della Vergine Maria, si fece uomo, fu anche crocefisso per noi, patì sotto Ponzio Pilato, e fu seppellito e resuscitò il terzo giorno ». Poiché il titolo di Madre di Dio rende Maria onnipotente presso suo Figlio, ricorriamo alla sua intercessione presso di Lui (Or.), affinché possiamo arrivare per i meriti della Passione e della Croce alla gloria della Risurrezione (Postc).

Incipit

In nómine Patris, ✠ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Ps XLIV: 13, 15 et 16.
Vultum  tuum deprecabúntur omnes dívites plebis: adducántur Regi Vírgines post eam: próximæ ejus adducántur tibi in lætítia et exsultatióne.

[Ti rendono omaggio tutti i ricchi del popolo: dietro di lei, le vergini sono condotte a te, o Re: sono condotte le sue compagne in letizia ed esultanza.

Ps 44:2.
Eructávit cor meum verbum bonum: dico ego ópera mea Regi.
[Dal mio cuore erompe una fausta parola: canto le mie opere al Re.

Vultum tuum deprecabúntur omnes dívites plebis: adducántur Regi Vírgines post eam: próximæ ejus adducántur tibi in lætítia et exsultatióne.

[Ti rendono omaggio tutti i ricchi del popolo: dietro di lei, le vergini sono condotte a te, o Re: sono condotte le sue compagne in letizia ed esultanza.

Oratio

Orémus.

Deus, qui de beátæ Maríæ Vírginis útero Verbum tuum, Angelo nuntiánte, carnem suscípere voluísti: præsta supplícibus tuis; ut, qui vere eam Genetrícem Dei crédimus, ejus apud te intercessiónibus adjuvémur.

[O Dio, che hai voluto che, all’annuncio dell’Angelo, il tuo Verbo prendesse carne nel seno della beata Vergine Maria: concedi a noi tuoi sùpplici che, come crediamo lei vera Madre di Dio, così siamo aiutati presso di Te dalla sua intercessione.]

Lectio

Léctio Isaíæ Prophétæ.
Is VII: 10-15.
In diébus illis: Locútus est Dóminus ad Achaz, dicens: Pete tibi signum a Dómino, Deo tuo, in profúndum inférni, sive in excélsum supra. Et dixit Achaz: Non petam ei non tentábo Dóminum. Et dixit: Audíte ergo, domus David: Numquid parum vobis est, moléstos esse homínibus, quia molésti estis et Deo meo? Propter hoc dabit Dóminus ipse vobis signum. Ecce, Virgo concípiet et páriet fílium, et vocábitur nomen ejus Emmánuel. Butýrum ei mel cómedet, ut sciat reprobáre malum et elígere bonum.

[In quei giorni: Così parlò il Signore ad Achaz: Domanda per te un segno al Signore Dio tuo, o negli abissi degli inferi, o nelle altezze del cielo. E Achaz rispose: Non lo chiederò e non tenterò il Signore, E disse: Udite dunque, o discendenti di Davide. È forse poco per voi far torto agli uomini, che fate torto anche al mio Dio ? Per questo il Signore vi darà Egli stesso un segno. Ecco che la vergine concepirà e partorirà un figlio, il cui nome sarà Emmanuel. Egli mangerà burro e miele, affinché sappia rigettare il male ed eleggere il bene.]

Graduale

Ps XLIV: 3 et 5.
Diffúsa est grátia in lábiis tuis: proptérea benedíxit te Deus in ætérnum.
V. Propter veritátem et mansuetúdinem et justítiam: et dedúcet te mirabíliter déxtera
tua.
Ps XLIV: 11 et 12.
Audi, fília, et vide, et inclína aurem tuam: quia concupívit Rex speciem tuam.
Ps XLIV: 13 et 10.
Vultum tuum deprecabúntur omnes dívites plebis: fíliæ regum in honóre tuo.
Ps XLIV: 15-16.
Adducéntur Regi Vírgines post eam: próximæ ejus afferéntur tibi.
V. Adducéntur in lætítia et exsultatióne: adducántur in templum Regis.

[La grazia è riversata sopra le tue labbra, perciò il Signore ti ha benedetta per sempre,
V. per la tua fedeltà e mitezza e giustizia: e la tua destra compirà prodigi.
Ps 44: 11 et 12.
Ascolta e guarda, tendi l’orecchio, o figlia: il Re si è invaghito della tua bellezza.
Ps 44: 13 et 10.
Tutti i ricchi del popolo imploreranno il tuo volto, stanno al tuo seguito figlie di re.
Ps 44: 15-16.
Le vergini dietro a Lei sono condotte al Re, le sue compagne sono condotte a Te.
V. Sono condotte con gioia ed esultanza, sono introdotte nel palazzo del Re.]

Evangelium

Luc 1: 26-38.
In illo témpore: Missus est Angelus Gábriel a Deo in civitátem Galilææ, cui nomen Názareth, ad Vírginem desponsátam viro, cui nomen erat Joseph, de domo David, et nomen Vírginis María. Et ingréssus Angelus ad eam, dixit: Ave, grátia plena; Dóminus tecum: benedícta tu in muliéribus. Quæ cum audísset, turbáta est in sermóne ejus: et cogitábat, qualis esset ista salutátio. Et ait Angelus ei: Ne tímeas, María, invenísti enim grátiam apud Deum: ecce, concípies in útero et páries fílium, et vocábis nomen ejus Jesum. Hic erit magnus, et Fílius Altíssimi vocábitur, et dabit illi Dóminus Deus sedem David, patris ejus: et regnábit in domo Jacob in ætérnum, et regni ejus non erit finis. Dixit autem María ad Angelum: Quómodo fiet istud, quóniam virum non cognósco? Et respóndens Angelus, dixit ei: Spíritus Sanctus supervéniet in te, et virtus Altíssimi obumbrábit tibi. Ideóque et quod nascétur ex te Sanctum, vocábitur Fílius Dei. Et ecce, Elísabeth, cognáta tua, et ipsa concépit fílium in senectúte sua: et hic mensis sextus est illi, quæ vocátur stérilis: quia non erit impossíbile apud Deum omne verbum. Dixit autem María: Ecce ancílla Dómini, fiat mihi secúndum verbum tuum.

[In quel tempo: L’Angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nazaret, ad una Vergine sposata con un uomo della stirpe di Davide che si chiamava Giuseppe, e il nome della Vergine era Maria. Ed entrato da lei, l’Angelo disse: Ave, piena di grazia: il Signore è con te: benedetta tu tra le donne. Udendo ciò ella si turbò e pensava che specie di saluto fosse quello. E l’Angelo soggiunse: Non temere, Maria, perché hai trovato grazia davanti a Dio, ecco che concepirai e partorirai un figlio, cui porrai nome Gesù. Esso sarà grande e chiamato figlio dell’Altissimo; e il Signore Iddio gli darà il trono di Davide, suo padre, e regnerà in eterno sulla casa di Giacobbe, e il suo regno non avrà fine. Disse allora Maria all’Angelo: Come avverrà questo, che non conosco uomo ? E l’Angelo le rispose. Lo Spirito Santo scenderà in te e ti adombrerà la potenza dell’Altissimo. Perciò quel santo che nascerà da te sarà chiamato Figlio di Dio. Ed ecco che Elisabetta, tua parente, ha concepito anch’essa un figlio, in vecchiaia: ed è già al sesto mese, lei che era chiamata sterile: poiché niente è impossibile a Dio. E Maria disse: si faccia di me secondo la tua parola.]

Il Figliuolo di Dio, seconda Persona della santissima Trinità, il quale si fa uomo e prende nel seno della Vergine Maria un’anima e un corpo formati per opera dello Spirito Santo, è il mistero che adoriamo in questo giorno. Noi non comprendiamo questo mistero, ma lo crediamo. Si tratta ancora d’imitarlo in quello che possiamo, di lodarne Dio, e di approfittarne. – Vi sono principalmente due cose da imitarsi in questo mistero. Bisogna che noi cerchiamo di entrare, con una sincera e profonda umiltà, nel sentimento di Colui che essendo eguale al Padre suo, ed un medesimo Dio con lui, si annichilò prendendo la forma di servo col farsi uomo. Egli ha cominciato oggi l’umiliazione di quella obbedienza che spingerà fino alla morte di croce. Bisogna che ci sottoponiamo ed interamente ci consacriamo di buon’ora a Dio, per obbedire alla sua legge, e seguire in tutto la sua volontà, sull’esempio di Colui sull’esempio di Colui che entrando in questo mondo disse: Ecco che io vengo, voi mi avete formato un corpo; sta scritto in capo al libro che io farò la vostra volontà, o mio Dio! Io porterò la vostra legge in mezzo al cuore. – All’esempio di un Dio che si è fatto uomo per poter essere da noi imitato, torna bene qui l’unire in questo giorno l’esempio di quella che egli si scelse per Madre, e che trae da lui tutta la sua virtù e la sua gloria. – Proponiamoci, e meditiamo nel Vangelo di questo giorno la semplicità, la modestia, la fede, l’umiltà, la sottomissione agli ordini di Dio, e il perfetto abbandono alla santa provvidenza di lui, virtù che risplendono in Maria nella sua Annunziazione.

PREGHIERA

O Dio, che annientandovi nella vostra Incarnazione avete innalzata Maria alla dignità di vostra Madre, fatemi onorare degnamente la sua divina maternità, e meritare per l’imitazione delle sue virtù quella suprema felicità, che voi avete promessa a quelli, i quali come Ella porteranno in opera la vostra parola, quando diceste: Chiunque fa la volontà del Padre mio, che è nei cieli, è mio fratello e mia sorella e mia madre. Datemi parte, Signore, di quella singolare purità che chiamò i vostri sguardi sopra questa Vergine senza macchia, di quella profonda umiltà con la quale Ella vi concepì, di quella perfetta sommissione :he le fece sopportare i tormenti della vostra passione, di quell’amore sì forte e sì ardente che consumando la sua vita, la mise in possesso del premio eterno da Lei meritato. – Madre del Salvatore del mondo, che godete da lungo tempo il premio delle vostre virtù, rammentatevi che siete la Madre delle membra siccome del Capo, e che dopo di Lui, i figli dell’infelice Eva, divenuti vostri, aspettano dalla vostra potente intercessione gli aiuti dei quali abbisognano nel loro esilio; degnatevi adunque di domandare per me al vostro divin Figlio le grazie che mi sono necessarie, per imitarvi quanto può una creatura così imperfetta come io sono, affinché dopo aver partecipato in qualche modo ai vostri meriti, io possa sperar di partecipare anche alla vostra gloria ed alla vostra felicità.

OMELIA: https://www.exsurgatdeus.org/2020/03/25/festa-dellannunciazione-2020/

https://www.exsurgatdeus.org/2019/03/25/festa-dellannunciazione-2019/

https://www.exsurgatdeus.org/2018/04/09/festa-dellannunciazione-2018/

https://www.exsurgatdeus.org/2017/03/25/25-marzo-annunciazione-della-vergine-santissima/

Credo…

https://www.exsurgatdeus.org/2019/10/12/il-credo/

Offertorium

Orémus

Luc 1:28 et 42.
Ave, Maria, grátia plena; Dóminus tecum: benedícta tu in muliéribus, et benedíctus fructus ventris tui.

Secreta

In méntibus nostris, quǽsumus, Dómine, veræ fídei sacraménta confírma: ut, qui concéptum de Vírgine Deum verum et hóminem confitémur; per ejus salutíferæ resurrectiónis poténtiam, ad ætérnam mereámur perveníre lætítiam.

[Conferma nelle nostre menti, o Signore, Te ne preghiamo, i misteri della vera fede: affinché noi, che professiamo vero Dio e uomo quegli che fu concepito dalla Vergine, mediante la sua salvifica resurrezione, possiamo pervenire all’eterna felicità.]

Comunione spirituale

https://www.exsurgatdeus.org/2019/10/20/comunione-spirituale/

Communio

Is VII: 14.
Ecce, Virgo concípiet et páriet fílium: et vocábitur nomen ejus Emmánuel.

[Ecco, una vergine concepirà e partorirà un figlio: al quale si darà il nome di Emmanuel.]

Postcommunio

Orémus.
Grátiam tuam, quǽsumus, Dómine, méntibus nostris infúnde: ut, qui. Angelo nuntiánte, Christi Fílii tui incarnatiónem cognóvimus; per passiónem ejus et crucem, ad resurrectiónis glóriam perducámur.

[La tua grazia, Te ne preghiamo, o Signore, infondi nelle nostre anime: affinché, conoscendo per l’annuncio dell’Angelo, l’incarnazione del Cristo Tuo Figlio, per mezzo della sua passione e Croce giungiamo alla gloria della resurrezione.]

Ultimo Evangelio e preghiere leonine:

https://www.exsurgatdeus.org/2019/10/20/preghiere-leonine-dopo-la-messa/

Ringraziamento dopo la Comunione:

https://www.exsurgatdeus.org/2018/09/14/ringraziamento-dopo-la-comunione-2/

Ordinario: https://www.exsurgatdeus.org/2019/05/20/ordinario-della-messa/