19 Agosto: SAN GIOVANNI EUDES

19 AGOSTO: San GIOVANNI EUDES

[Mons. Carlo SALOTTI: I SANTI E BEATI del 1925 – S. E. I. Torino, 1927]

Giovanni Eudes fu canonizzato, insieme al Curato d’Ars, nel giorno della Pentecoste, il 31 maggio 1925. Ed io, che avevo già avuto l’onore di perorare, quale avvocato concistoriale, la sua causa di canonizzazione nel Concistoro pubblico del 2 aprile del medesimo anno, fui invitato a celebrarne le lodi nella Chiesa del Gesù il 4 giugno, giorno di chiusura delle solenni feste triduane.

Labora sicut bonus miles Christi Jesu.

( II Tim., II, 3)

Se vi fu, specialmente per la Francia, un secolo travagliato, agitato e abbastanza discusso nella storia, fu il secolo XVII. Secolo di luce e di ombre, di glorie e d’ignominie, di eroismi e di debolezze, di civiltà e di decadenza. Molti personaggi di quel tempo riflettono questo stato di cose nel loro temperamento personale e nelle loro pubbliche azioni. Il re Enrico IV, ripudiato per la seconda volta il Calvinismo e pubblicato l’editto di Nantes, si propone di rimediare ai mali della guerra civile, ch’egli stesso aveva provocato; e mentre riordinava le sorti della Francia e ne restaurava le finanze, promovendo nel tempo stesso il commercio e l’agricoltura, veniva trucidato per le mani di un fanatico, Francesco Ravaillac. Maria de’ Medici, che assumeva il potere, dopo aver contaminato il trono con intrighi e con amori colpevoli, finiva col morire in esilio. Luigi XIII, salendo sul trono, vede minacciata la Francia su tutte le frontiere; e, mentre combatteva con ardimento per ricacciare i nemici, il suo nome era oscurato dalle discordie intestine e dai favoritismi di corte. La sua sposa, Anna d’Austria, donna di grande bontà e di pietà sincera, sopraffatta dalle vicende di quel periodo turbinoso, è costretta a fuggire da Parigi. In mezzo a questi avvenimenti politici appare la porpora di due Cardinali, che ebbero tanta parte nel governo della pubblica cosa: Armando Richelieu e Giulio Mazarino. Il Richelieu. mente vasta e profondamente comprensiva, volontà ferrea e indomita, che non si piegava nemmeno dinanzi alle trame ed ai pericoli, genio assai pratico che passava dall’idea all’azione con sorprendente abilità. All’audacia che gli veniva dal genio accoppiava una inflessibilità assoluta, per la quale molti lo giudicarono un despota. Secondo il giudizio del Montesquieu, egli diede al Monarca il secondo posto nella monarchia, ed il primo nell’Europa; avvilì il re, ma illustrò il regno. I servigi che rese alla Francia furono immensi; poiché ne accrebbe la potenza politica e ne favorì il progresso sotto tutte le forme, dal commercio alle arti, dall’industria alla letteratura. Egli, ministro di Luigi XIII, poté giustamente vantarsi di governare non la sola Francia, ma l’intera Europa. È doveroso tuttavia riconoscere, che la grandezza dell’eminente uomo di Stato non andò scevra di colpe e di difetti, che difficilmente si potevano conciliare con la dignità del Cardinale. – Continuatore della sua opera fu il Cardinale Mazarino che, nominato primo ministro della regina Anna d’Austria, accrebbe ancora l’influenza della Francia in Europa, rese più compatta l’unità della nazione ed aprì la via al dispotismo di Luigi XIV. Luci ed ombre avvolgono la figura di quest’uomo di Stato, che ottenne ed esercitò una potenza straordinaria. Dietro di lui è Luigi XIV, che afferra il governo del suo Paese con tale energia, da divenire uno dei più potenti sovrani. Egli porta l’assolutismo della monarchia al più alto grado di espressione, il suo potere è senza limiti. Il re incarna in sé lo Stato, il quale alla sua volta proclama la sua supremazia sulla Chiesa. Potenza e soprusi, guerre ed amori, vittorie e dolori, grandezze e difetti accompagnano la vita di questo monarca, il quale, morendo, lascia un grande vuoto nello Stato, giacché tutto aveva concentrato nelle proprie mani. – Attorno a questi personaggi è tutto un affermarsi audace di errori e di sistemi perniciosi ai diritti della Chiesa e alle pure dottrine del Cattolicismo, e nel tempo stesso nocivi alla concordia degli animi e al benessere sociale. Il Gallicanismo alza la testa, e, assumendo proporzioni allarmanti, detta i famosi quattro articoli, coi quali veniva limitata l’autorità pontificia in Francia; e l’illustre vescovo di Meaux, Benigno Bossuet, ponendo il suo alto ingegno a servigio dei principi gallicani, contribuiva a separare lo spirito della sua nazione dalla Chiesa romana. Il Giansenismo, per il suo doppio carattere, ereticale e scismatico, attenta all’unità delle credenze, e, raffreddando la pietà e allontanando i fedeli dai Sacramenti, attraversa le vie della Chiesa, ne diminuisce il prestigio e le sottrae grande parte di quelle attività, che avrebbero potuto spiegarsi più efficacemente per la salute delle anime. Il Calvinismo, penetrato in Francia, diventa una forza poderosa, dinanzi alla quale lo Stato deve spesso patteggiare e cedere. Violento ed armato détta leggi, s’impone agli uomini del governo, divide i cittadini, provoca guerre, fa versare del sangue e disperde le energie della Chiesa francese. Le conseguenze di questa triplice lotta, che si combatteva contro lo spirito genuino del Cattolicismo, furono funeste ed esiziali. Il clero di Francia era impotente ad arrestare l’onda sovvertitrice degli errori. Pur troppo esso erasi allontanato dalle sorgenti. Le correnti politiche lo avevano distolto dall’azione religiosa. Il suo atteggiamento non corrispondeva alla dignità dell’ufficio e del carattere sacerdotale. Si saliva sulle cattedre episcopali per protezionismo. Così i pastori di anime non erano più in grado di promuovere efficacemente la salute del gregge e gl’interessi della religione. Mancando sacerdoti idonei e zelanti, le popolazioni erano abbandonate a se stesse, e non posero più freno alle passioni che furono lasciate libere ad ogni sfogo. La voce di Roma non destava più un’eco in Francia. O era arrestata ai confini, o veniva soffocata sotto la tempesta suscitata dal genio del male. Di qui lotte civili, contrasti religiosi, confusione d’idee, corruzione di costumi, abusi senza limiti e sfrenate licenze. S. Vincenzo de’ Paoli con le sue opere benefiche, col suo apostolato evangelico, con i suoi consigli alla Corona, con gl’insegnamenti preclari delle sue virtù, cercò di opporsi alla iniquità dilagante. Ma l’organismo sociale era troppo inquinato di un veleno che minava la vita religiosa e sociale. – In queste condizioni aspre e difficili, si svolse l’apostolato di Giovanni Eudes, al quale noi oggi prestiamo il culto dei Santi. Nato all’alba di quel secolo XVII nella piccola borgata del comune di Ri, in terra normanna, egli fu l’operaio evangelico, il santo provvidenziale, che durante quella lunga epoca storica compì una grande missione, la quale, a mio modesto avviso, assunse un’importanza anche maggiore di quella che gli è stata universalmente riconosciuta. In lui è mestieri ravvisare il soldato valoroso, che in settantanove anni di vita consacrò tutto se stesso per riparare i mali prodotti dall’errore e dal malcostume, per conservare viva e operosa la fede nella sua patria. Egli fu fedele al monito di S. Paolo: labora sicut bonus miles Christi Jesu; e fu soldato forte, intrepido, coraggioso, che non si risparmiò giammai nel combattere incessantemente le più nobili battaglie. – Studiamo oggi l’opera multiforme e svariata di questo soldato di Cristo, che col suo travaglio, col suo valore, co’ suoi eroismi e con i suoi sacrifizi tenne alto in Francia il vessillo della fede, nobilitandolo con i sudori del suo apostolato, le cui benemerenze sono scritte a caratteri indelebili nei fasti della Chiesa e della civiltà.

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Vi ha una doppia specie di soldato: il soldato del re e della patria, il soldato di Cristo e della Chiesa. Il soldato del re offre la sua spada e il suo sangue per un ideale nobile, ma umano, quale è il trono, la patria, la libertà: ideali terreni, nei quali la passione può portare delle ombre e suscitare diversità di apprezzamenti. Ma il soldato di Cristo si consacra ad un ideale più alto, cioè al servizio del Re dei re, alla difesa della Religione, alla causa della Chiesa, alla elevazione spirituale dei popoli, al vero progresso civile e morale dell’umanità. Qui le finalità sono più pure, e s’innalzano al di sopra di tutte le passioni e delle contingenze della politica umana. Giovanni Eudes è il forte e magnanimo soldato di Cristo. La bandiera, sotto la quale si è schierato, è la stessa bandiera di Dio. Le finalità, per le quali lotta fino al sacrifizio, non sono gl’interessi umani e caduchi del tempo, bensì i supremi interessi delle anime, cioè a dire le alte ragioni di Dio. Sono varie e molteplici le armi, con le quali sogliono combattere i soldati di Cristo e gli apostoli del bene. Si combatte con l’azione multiforme e con l’organizzazione sapiente di opere salde e durature, come fecero S. Vincenzo de’ Paoli e il Venerabile Giov. Bosco. Si combatte con l’arma tagliente e vibrante della parola, che scuote, illumina e converte, come fecero S. Bernardino da Siena e S. Leonardo da Porto Maurizio. Si combatte con la penna, mercé la quale si difendono le grandi verità, e si stritolano gli errori perniciosi, come usarono San Tommaso d’Aquino e S. Francesco di Sales. Si combatte con la preghiera, che in certi periodi critici e dolorosi fu un mezzo potente per salvare la Chiesa e la società, come attesta la vita di S. Caterina da Siena e della Beata Anna Maria Taigi. Si combatte con l’esempio magnifico delle virtù, che ha tale eloquenza da sospingere i popoli verso la fede e la morale evangelica, come fecero tutti i santi del Cattolicismo. Si combatte infine col coraggio, che affronta tutte le difficoltà, che non si arresta dinanzi agli ostacoli, e che non teme lo sdegno dei forti e dei potenti, come praticarono S. Ambrogio di Milano e S. Francesco da Paola. Il nostro santo, Giovanni Eudes, non trascurò nessuna di queste armi nell’esercitare il suo ufficio di soldato di Cristo. – Egli è soldato fin dalla sua fanciullezza. Predestinato a cose grandi, si raccoglie nella preghiera e si esercita in atti fervorosi di pietà. A nove anni, schiaffeggiato da un compagno, non si vendica, ma offre eroicamente ad una nuova offesa l’altra guancia. A dodici anni, riceve per la prima volta con l’ardore dei santi il pane eucaristico. A quattordici anni si consacra definitivamente a Dio col voto di perpetua castità. Inviato a Caen nel collegio reale diretto dai padri Gesuiti, si segnala presto nello studio e nella pietà, facendo meravigliosi progressi. Destinato dai parenti ad essere sposo di una onesta fanciulla, ricca di fortuna, di bellezza e di virtù, respinge l’offerta e si mantiene fedele alle promesse fatte al suo Dio. Nella lotta coi genitori è saldo e fermo. I diritti dello spirito sono da lui difesi con incrollabile energia. La sua vocazione è il sacerdozio, ed egli lo raggiungerà. Sarà Giovanni Eudes sacerdote secolare o religioso? Con volontà più che mai risoluta delibera di entrare nella Società dell’Oratorio, fondata a Parigi dal P. De Bérulle, per realizzare i suoi disegni. Il suo padre lo tratta da inumano e da ingrato, che calpesta i doveri di figlio per correre dietro ad una chimera, che una fantasia troppo accesa gli aveva creato nell’anima. La tempesta è grave. Impetuoso è l’assalto. I soldati deboli tentennano e cedono al primo irrompere delle forze nemiche. Giovanni non cede. La voce di Dio nel suo cuore è più forte di quella del sangue. Egli vince la resistenza paterna, parte per Parigi, entra nella casa dell’Oratorio, e si prepara nella solitudine, nello studio, nella preghiera ed in una più intima unione con Gesù Cristo al grande atto. Il 20 dicembre 1625 egli è religioso e sacerdote. Qui comincia la sua azione apostolica. L’attività, l’organizzazione e la predicazione sono tre forme di apostolato, che in lui si accoppiano insieme e procedono di pari passo. Sono tre armi che vengono adoperate dal giovane soldato simultaneamente e con immenso successo. – Nell’anno 1627 il terribile flagello della peste cominciò a portare lo sterminio in molte regioni francesi. Le campagne nei dintorni di Argentan erano desolate dalla morte, che seminava dovunque innumerevoli vittime. Giovanni rimase commosso dinanzi all’abbandono in cui erano lasciate le sue terre native, e sente di non potere rimanere più oltre inoperoso sotto la tenda, mentre i suoi compatrioti morivano senza assistenza e senza conforti. Egli lotta contro la resistenza dei superiori, che temevano di lui per la temerità dell’impresa; e, riuscito vincitore, prende il suo breviario, un po’ di biancheria, un altare portatile, una scatoletta per riporvi le specie Eucaristiche, e solo prende la strada della Normandia. Il coraggio, col quale a ventisei anni, sprovvisto di mezzi e di cautele, affrontava l’ardua impresa, rivela l’anima del soldato già temprata all’asprezza delle battaglie e al pericolo dei cimenti. Il santo non trova né un gentiluomo né un prete che gli offra ospitalità. Affidato al suo Dio, percorre impavido i paesi straziati dal morbo, visita gl’immondi abituri come le case dei ricchi, confessa gli appestati, somministra il viatico agli agonizzanti; è l’angelo consolatore che porta sollievo alle anime e rinfranca i corpi abbattuti. Pari zelo dispiega nella città di Argentan, ove conforta i morenti, rianima i superstiti, e, consacrata con pubblico voto solenne la città alla Vergine, ottiene la cessazione del flagello. – Rientrato in una casa dell’Oratorio, a Caen, per prepararsi alle missioni, manifesta un’altra volta il suo spirito di sacrifizio, quando, quattro anni dopo, la peste venne a desolare questa città. Egli, offerta a Dio la sua vita, corre sollecito al letto degli appestati, e mentre tutti fuggono e si riversano nelle campagne, il santo è l’anima consolatrice degli infermi e dei desolati; sale e scende le scale delle case, ove si soffre, si agonizza e si muore; assiste anche i suoi confratelli colpiti dal morbo, converte un calvinista che chiuso in casa con sua moglie era agli estremi, e, poste le immagini della Madonna come salvaguardia a tutte le porte della città, vede la peste rallentare e poi cessare del tutto. Il soldato eroico aveva compiuto il suo dovere. – Dal capezzale degli appestati eccolo quindi salire sui pergami a combattere col vigore della sua parola l’ignoranza, i vizi e la corruzione sfrenata del tempo. La Società dell’Oratorio si era proposta di evangelizzare i popoli. E ve ne era veramente bisogno, massime nella Normandia, che ancora risentiva le conseguenze funeste dell’eresia calvinista. Gesù Cristo non era più conosciuto. La fede o era interamente perduta, o si era illanguidita al punto da non informare più la vita dei cittadini. Delitti orrendi, vizi vergognosi, cupidigie sfrenate, violenze inaudite, superstizioni ridicole, costituivano il fondo di quel quadro storico, che richiamò a sé le cure di pochi ma ferventi apostoli, i quali, commossi da sì triste spettacolo, si dedicarono ad evangelizzare la Francia. Giovanni Eudes è uno di questi eroi. Primo tra i primi si slancia nell’agone della battaglia. Egli predica, catechizza, confessa, illumina, converte. Acceso di ardore divino e penetrato da una virtù celeste, corre dovunque è chiamato. Alla parola gagliarda dell’apostolo non si resiste; si ridesta la fede, si migliorano i costumi, si riaccende il coraggio cristiano, e perfino i protestanti ritornano sulle vie della verità. L’efficacia della sua predicazione, come la forza del suo esempio riescono spesso a trionfare di tutti gli ostacoli. E là, dove i soldati del re non valgono a restaurare l’ordine fra i cittadini, che erano in preda al terrore, questo soldato di Cristo calma gli spiriti e ristabilisce la pace. – Nel fervore delle sue battaglie, egli si era convinto che non poteva migliorarsi il popolo, se prima non si riformasse il clero; giacché principale ostacolo al successo delle missioni era la corruzione dei pastori di anime. Come convertire il gregge, e come farlo poi perseverare in propositi di bene, se il clero, ignorando l’eccellenza del sacerdozio e la importanza de’ suoi obblighi, era con la sua condotta motivo continuato di scandalo ai fedeli? Di qui nasce nel santo e si matura lentamente, ma inesorabilmente, il primo disegno di fondare una nuova società che intendesse a trasformare radicalmente il clero, attraverso l’opera dei seminari, nei quali avrebbe dovuto essere preparato adeguatamente per corrispondere alle finalità della sua missione. Egli prega, si consiglia, discute. Il suo disegno non arride a molti de’ suoi confratelli, i quali prevedono che, per attuarlo, Giovanni Eudes sarebbe uscito dalla Società dell’Oratorio. Essi ben conoscevano la tempra dell’Uomo, che, quando si vedeva chiamato da Dio ad un’ardua impresa, non vi rinunziava facilmente. – L’opposizione frattanto si accentuava. Il santo, che ama il suo Istituto e che non riesce a fargli abbracciare l’idea ch’egli perseguiva con tanto entusiasmo, soffre immensamente. La sua anima è lacerata da una terribile lotta. È una dolorante tragedia che si svolge nel suo cuore. Ma, scoccata l’ora di Dio, non tentenna, e non si ritrae indietro. Pur sentendosi desolato e trafitto dal pensiero di dover abbandonare luoghi così cari e persone così venerate, si distacca coraggiosamente dall’Oratorio. Tale distacco gli procura il titolo di orgoglioso, di ambizioso e di ribelle. Non importa. Si può combattere lo stesso nemico anche in altre trincee, purché si militi sotto la stessa bandiera, si serva la medesima causa e si dilati il regno del condottiere supremo, Cristo, nostro Signore. L’oratore e il missionario diventa così organizzatore. Come un soldato, assurgendo alla condizione di capitano, organizza una milizia e prepara il suo piano di battaglia per sconfiggere i nemici della patria, così il valoroso soldato di Cristo, desiderando di abbattere l’iniquità che imperversava sulla sua nazione, organizza la Congregazione di Gesù e Maria e si accinge alle più aspre battaglie per la difesa della fede e della morale. Nacque così dal suo cuore, in un impeto di amore gagliardo a Cristo, il nuovo sodalizio, che si proponeva due scopi precipui: formare, con gli esercizi del seminario e dei ritiri, dei buoni ecclesiastici, e suscitare lo spirito cristiano nel popolo mediante le missioni, le predicazioni e l’amministrazione dei Sacramenti. Il rinnovamento del clero e del popolo fu il suo nobile obbiettivo. Con un clero ricco di coltura e di pietà, pieno di spirito di sacrificio, e posto a disposizione del Papa e dei Vescovi, si sarebbero restaurate le sorti della Religione, e, con queste, quelle della società civile. A tredici chilometri da Caen, verso il mare, in un santuario dedicato a Maria, si raccoglie il primo manipolo di eroi, che sotto la guida del santo giurano dinanzi all’altare di consacrarsi a quest’epoca di restaurazione. Per conseguire il primo de’ suoi scopi, la rinnovazione del clero, occorreva santificare i membri della sua Congregazione, rendendoli strumenti adatti a formare nuovi ecclesiastici, degni di esercitare poi santamente il loro ministero. Qui convergono i primi sforzi del fondatore. Né gli fu difficile creare una milizia di santi fra i suoi seguaci. L’esempio del maestro era un fascino per i discepoli. Alla scuola del suo esempio e della sua dottrina integra ed illuminata cresce e giganteggia il manipolo dei valorosi. Preghiera e studio, azioni di pietà ed edificanti letture, alternate coll’esercizio del ministero, sono il loro cibo quotidiano. Il progresso spirituale li accompagna di giorno in giorno. Lo spirito di povertà, di semplicità, di candore viene ad informare le loro anime; lo zelo più ardente le eccita a promuovere seriamente la causa di Dio; la fiamma della carità le pervade e le accende, stimolandole a suscitare in tutti faville d’amore e sante aspirazioni. Quei prodi, corroborati settimanalmente in questa scuola di virtù sode e robuste, nei giorni festivi si recavano nelle diverse parrocchie per diffondere nei cuori altrui quelle spirituali ricchezze ond’essi erano ricolmi. Ad ecclesiastici di tal fatta si poteva affidare sicuramente la riforma del clero. – Con l’aiuto di questi uomini, Giovanni Eudes forma dei preti secondo lo spirito di Cristo, si studia poi di rivederli nelle riunioni da lui organizzate, per rassodarli nella vocazione e nei propositi di bene. Quando si recava ad evangelizzare una città od una campagna, affrettavasi a riunire gli ecclesiastici della contrada, e li intratteneva con molta cordialità su quanto potesse contribuire alla loro perfezione individuale, ad un più efficace esercizio del loro ministero e ad un adempimento più scrupoloso dei loro doveri sacerdotali. Erano veri cenacoli di pietà e di studio, nei quali talvolta si contavano fino a trecento gli ecclesiastici che vi prendevano parte. Da questi ritiri spirituali, ravvivati dalla rugiada di celesti consolazioni, l’anima del clero usciva commossa e rinnovata. All’opera di questi ritiri si aggiunse la fondazione dei seminari di Caen, di Coutances, di Lisieux, di Rouen, di Evreux e di Rennes, scuole autentiche di santi, nelle quali i compagni di Giovanni Eudes lavoravano a formare, istruire ed esercitare coloro che aspiravano al sacerdozio o che l’avevano raggiunto. Da quei seminari, che la pietà e lo zelo del santo avevano aperto e consolidato, uscirono legioni di sacerdoti, che perpetuarono la missione del fondatore e fecero risuonare un’altra volta sotto i cieli di Francia il nome benedetto di Cristo. Il primo scopo prefìssosi dal santo era raggiunto. La restaurazione del clero era in gran parte compiuta. Da per tutto si scorgevano preti operosi e zelanti, tutti intenti alla salvezza delle anime. La buona reputazione degli ecclesiastici, cresciuti alla scuola dell’Eudes, venne universalmente riconosciuta. In quasi tutte le diocesi si notava una trasformazione confortante. I Vescovi ne godevano. La società ne intese influssi benefici e duraturi. – Mercé la sua Congregazione, ove il nostro eroe formò missionari pieni di zelo, che correvano per tutte le regioni di Francia, predicando la fede e la morale cristiana, riuscì a rinnovare interamente paesi, città e provincie. Egli fu l’anima di quest’apostolato. Oratore nel più alto grado della parola, possedeva tutte le qualità fisiche e morali, che lo rendevano eloquente e gli assicuravano il successo. Voce, gesto, vivacità di sguardo, espressione di viso, dominio assoluto del pubblico, andavano congiunti ad una dottrina soda, ad una facilità di comunicativa, ad uno slancio, ad una prontezza che gli permettevano di conquistare fin dall’inizio il cuore delle masse. La fiamma poi della grazia lo investiva talmente, che in lui tutti riconoscevano il santo e il messaggero di Dio. Ad un santo i popoli non resistono mai, e gli si danno in una dedizione completa. Giovanni Eudes fu un vero conquistatore di anime. Predicava, catechizzava, confessava per settimane intere, per mesi interi. Quando terminava la sua missione in una località, trasportava altrove le sue tende e ricominciava lo stesso lavoro. Furono ben poche le terre di Francia, che non ebbero la fortuna di giovarsi del suo apostolato. Folle imponenti si gettavano ai suoi piedi; i peccatori più ostinati gli si arrendevano; i vizi più disonoranti erano estirpati; riparate le ingiustizie; abolite le cattive pratiche; ricomposte le paci; bruciati i libri nefandi; maledetta la bestemmia; impugnati gli errori; combattuto il giansenismo; trionfante la fede; Gesù Cristo amato e adorato. Che più? I figli, camminando sulle orme del padre, sono come le squadre volanti che rapidamente si recano da una diocesi ad un’altra per predicare la buona novella e per sradicare la immonda zizzania. È una milizia agguerrita, pronta a respingere tutti gli assalti ed a difendere con vigore le posizioni e le dottrine del Cattolicismo. Mentre il santo dava tutta la sua esuberante attività a quest’opera di apostolato, creava insieme l’Istituto di Nostra Signora della Carità, generosa milizia femminile, destinata da Dio ad uno sviluppo veramente straordinario, giacché i suoi due rami, quello del Rifugio e quello del Buon Pastore, contano oggi circa 15.000 Suore, che in diverse parti del mondo si adoperano generosamente per la redenzione e riabilitazione delle infelici vittime del vizio. Molte famose peccatrici, dopo aver ascoltato il nostro missionario, toccate dalla grazia avevano formato il proposito di abbandonare la loro vita colpevole. Di qui sorse in lui l’idea di costituire un Ordine religioso, con la missione esclusiva di ricondurre le Maddalene a Gesù e di farle perseverare nel bene. Donne magnanime si ascrissero a quell’Ordine, legandosi, oltreché coi tre voti ordinari di religione, con un quarto voto, quello cioè di consacrarsi alla santificazione delle pentite. In questo voto audace e sublime, che rispecchia la misericordia di Gesù, s’innalza come sopra una roccia la nuova religiosa famiglia, che per virtù del suo fondatore e per lo spirito di sacrificio che egli seppe comunicarle, fiorisce ancora rigogliosa, testimone perenne di quell’azione provvidenziale, spiegata dall’eroico soldato di Cristo. – Oltreché con la parola, con l’orazione e con la organizzazione di due poderosi Istituti, egli combatté altresì valorosamente con la penna. Se questa nelle mani di un eretico o di un miscredente è causa di naufragio e di morte per tante anime, nelle mani di Giovanni Eudes fu strumento di vita e di propaganda cristiana. I molti libri vergati dalla penna dell’infaticabile missionario, erano un vero arsenale di sapienza e di dottrina non comune, ed un focolare ardente di pietà. È veramente da deplorarsi che gran parte di quei tesori sia andata perduta. Quei che sono rimasti, rivelano il suo immenso amore a Cristo ed alla Vergine, i due radiosi ideali, che gli palpitavano nell’anima e gl’infondevano l’ardore nelle lotte dell’apostolato. Il suo libro « Vita e regno di Gesù nelle anime cristiane », è un’eco fedele dei sentimenti di chi si era proposto di far vivere e regnare Gesù Cristo in tutte le intelligenze, in tutte le volontà, in tutti i cuori, e sottomettere al suo impero tutte le potenze e facoltà dell’anima e del corpo. In quel libro è come una visione profetica del regno sociale di Cristo, di cui egli fu un ardito precursore ed un assertore illuminato. Quello che poi scrisse di Maria intorno alla sua ammirabile fanciullezza ed al suo Cuore di Madre, è quanto di più squisito poteva sgorgare da un’anima, amante appassionata di questa celeste regina. Fin dalla età di diciotto anni aveva scelto Maria come sua sposa; e più tardi firmava col suo sangue gli sponsali mariani, che sono il canto d’amore da lui sciolto alla sua diletta, il dolce e magnifico epitalamio, scritto con accenti di tenerezza commossa, che solo il grande amore poteva ispirare. Altra arma potente di battaglia fu per lui la preghiera. Tutta la sua vita può dirsi un atto continuato di orazione. Dinanzi all’altare, prima e dopo la Messa, egli bruciava di ardore divino ed era assorto nei sublimi misteri. Le sue missioni erano precedute e accompagnate dall’aroma della preghiera, alla quale sola affidava i successi del suo ministero. Conquistava le anime dei popoli più con la preghiera che con l’azione; questa senza di quella sarebbe stata sterile e incapace di produrre tante trasformazioni e conversioni; ravvalorata invece dalla preghiera, fu una forza incoercibile che dominava gli spiriti e li rinnovava. La sua attività, privata e pubblica, era plasmata di quello spirito di orazione, che la rendeva feconda ed efficace. Parlare, predicare, confessare, organizzare, scrivere era per lui pregare. Il presidio più valido, che lo sostenne durante le vicende dolorose e angoscianti della sua vita, fu la preghiera. Se non fosse appoggiato a questa forza soprannaturale, avrebbe dovuto soccombere. Uomo di orazione e di contemplazione, fu un gigante che combatté e vinse, conquistando la palma degli eroi. – Il buon soldato di Cristo si segnala altresì con l’esercizio indefesso delle virtù cristiane, la cui potenza d’attrazione sulle masse è immensa. Il popolo non bada tanto alla scienza quanto alla santità. La scienza potrà interessare i dotti, ma la santità conquista tutti; e questa si manifesta nello splendore delle virtù, esercitate eroicamente giorno per giorno con la costanza propria dei santi. In Giovanni Eudes rifulse in maniera speciale l’amore di Dio, forte, sincero, puro, che gli traboccava dall’anima, e fu la sorgente di tutte le opere che intraprese a vantaggio del prossimo. Egli non visse un giorno solo per sé; non conobbe affatto l’egoismo di una gran parte degli uomini, che si racchiudono nella cerchia della propria individualità, e non si curano che di se stessi; arse invece di fervido zelo che lo spinse a consumare le sue forze e la sua vita in un lavoro nobilissimo per la salvezza delle anime. Per strappare i peccatori al vizio, all’errore e all’inferno, non badò a fatiche, a sacrifici, ad ostacoli, a minacce. Un mare di lacrime e di sangue – egli diceva – non basterebbe a piangere il danno delle anime che si perdono per mancanza di operai apostolici. Fermo e saldo nell’avversa fortuna, paziente ed inalterabile fra i disprezzi e le persecuzioni, tranquillo e perseverante nella sua propaganda, sottomesso in tutti gli eventi alla volontà divina, retto nei suoi intendimenti, puro nei pensieri e nelle opere, fu modello di bontà, di giustizia e di santità alla sua patria. Sul letto di morte coronava la sua vita di santo con un atto sublime di fede, di umiltà, di amore e di sacrifizio, allorché, accasciato e morente, volle lasciare il suo giaciglio e inginocchiarsi sul nudo pavimento per ricevere l’Ostia santa. Dinanzi a questa dichiarò di fare ammenda dei suoi peccati, chiese perdono ai suoi confratelli, e si strinse a Dio in un palpito supremo, che era il compimento dell’immolazione e l’ultimo grido di amore al Padre, che andava a raggiungere nei cieli. – Verrei meno al mio dovere di panegirista e di storico, se passassi sotto silenzio quel coraggio eroico, del quale il santo dette continue prove durante il suo lungo apostolato. Il soldato deve essere per sua natura coraggioso; deve affrontare con petto impavido tutti i pericoli; né deve sgomentarsi per le durezze dei cimenti o ripiegare la bandiera dinanzi all’irrompere delle forze nemiche. Giovanni Eudes, forte e valoroso soldato di Cristo, nell’adempimento della sua missione, non conobbe nessuna di quelle debolezze, che potrebbero oscurare la luce dell’eroe; e in tutte le circostanze più aspre e difficili combatté con coraggio di Cristiano e di apostolo. Al cospetto dei nobili e dei magistrati predicò ugualmente la verità, senza attenuarla in qualsiasi maniera. Di fronte ai potenti del secolo non usò blandizie di sorta, né ricorse ad alcuna di quelle accortezze, che potrebbe suggerire la prudenza o la pusillanimità. Nelle sue frequenti relazioni con i sovrani, aborrì dalle servilità del cortigiano, come dalle facili e mendaci approvazioni dell’adulatore. Ai potenti ed ai despoti si curvano sempre le schiene in un servilismo ributtante. È la storia di tutti i paesi e di tutti i tempi. Il nostro santo, che aveva a schifo cotesti sistemi, in tutti i suoi atti s’ispirava alla semplicità del Vangelo, ai diritti della verità, alle esigenze della giustizia. I suoi memoriali alla reggente Anna d’Austria, con i quali la richiamava ai suoi doveri di regina, erano capolavori di dignità e di ardimento. Nell’additarle le piaghe del tempo, e nel chiedere provvedimenti contro gli abusi e le iniquità che desolavano la Francia, e contro i danni che l’audacia del Giansenismo produceva nelle anime, non ricorreva a circonlocuzioni, né si valeva di eufemismi poco sinceri, ma scriveva con precisione e con energia, come gli dettava la sua coscienza di sacerdote. Nel 1660, chiudendo un corso di missioni a Parigi, non si peritò d’indirizzarsi pubblicamente alla regina madre, supplicandola con vivo ardore di fede, perché estirpasse le vecchie e nuove eresie, e rimuovesse le cause di tante miserie. Nell’anno appresso, mentre predicava in una festa solenne, non appena scórse la predetta regina, che era venuta ad ascoltarlo, cambiò il soggetto del suo discorso; e, prendendo motivo dal fuoco, che due giorni prima aveva incendiato al Louvre la galleria del re, ne trasse argomento per ammonire che se il fuoco temporale non aveva risparmiate le case del re, il fuoco eterno non perdonerebbe né ai principi e sovrani, né a principesse e regine, se non vivessero cristianamente e non impiegassero la ‘loro autorità a distruggere la tirannia del peccato e del demonio, ed a stabilire nelle anime dei sudditi il regno di Dio. Non per questo si offese Anna d’Austria, che era solita dire: « Ecco come bisogna predicare; coloro che ci adulano, c’ingannano, e dovrebbero invece dirci con tutta franchezza la verità ». Invitato nel 1671 dal re a predicare il Giubileo di Clemente X al castello di Versailles, accettò l’incarico, e dinanzi al potente sovrano Luigi XIV ed alla sua sposa Teresa d’Austria, parlò con franchezza cristiana in quella corte, ove si trascorreva il tempo di festa in festa, e non mancavano cortigiani che facevano a gara nel lusingare le passioni del re. Due anni dopo predicava a Saint-Germain en Laye alla presenza del re, della regina, delle dame e dei gentiluomini di corte, e col suo coraggioso linguaggio commosse tutto l’uditorio e suscitò nel cuore dei monarchi sentimenti più vivi di cristiana pietà. In grazia dei suoi ardimenti, il santo vinse ben dure battaglie per la fede e per Cristo. Con pari animo tenne fronte alle persecuzioni che gli vennero mosse, alle tempeste che gli si scatenarono contro, all’uragano che tentò di rovesciare con lui i suoi disegni e le sue opere. Rare volte nella storia si legge di persecuzioni ostinate, ingiuste e violente, quali furono quelle che ebbe a subire il nostro santo. Offese ed ingiurie, provenienti non solo da uomini sregolati e corrotti, ma anche da preti e religiosi, da curati e vicari, che dal pulpito e nel confessionale lo attaccavano con inaudita animosità; accuse di spergiuro, di sacrilegio e di ribellione, che gli furono formulate; miserabili libelli pubblicati per distruggere la sua reputazione e per prevenire in suo danno le autorità ecclesiastiche e civili; calunnie infamanti, per le quali lo si qualificava uomo senza fede, senza pudore, senza religione; odio implacabile che giunse al punto da fare interdire la cappella del suo seminario di Caen; maneggi ignobili per suscitare contro di lui le diffidenze o le inimicizie di personaggi eminenti, di Vescovi e degli stessi monarchi; tutte le armi più disoneste e sleali furono adoperate a fine di annientare l’opera sua, paralizzare la sua azione, e creare il vuoto e la solitudine attorno all’uomo che combatteva con purezza d’intendimenti per salvare le anime, per restaurare la Francia, per difendere la causa della Religione. Altri al suo posto avrebbe finito col cedere le armi. Egli non si perdette mai di coraggio; fissando gli occhi sulla croce, rinfrancava le sue speranze; e impavido atleta giurava di morire combattendo per il Signore. Làbora sicut bonus miles Christi Iesu. Il forte soldato di Cristo non si arrestò mai nel suo lavoro; proseguì animosamente la sua battaglia; e, sopportando con animo invitto tutte le persecuzioni, insegnò col suo esempio che non ai deboli ed ai pusillanimi, ma solo ai generosi ed eroici lottatori è riserbata, nella storia e nella luce dell’immortalità, la corona e la gloria.

*

* *

Chi mai sostenne e confortò Giovanni Eudes fra le vicende di quelle terribili persecuzioni? Quando un povero mortale è per cadere sotto il peso della sventura, se ha un cuore amico che gli batte vicino, se la parola tenera di una madre gl’infonde balsamo e vita, egli non cade e non dispera. Il dolore non lo abbatte. Una grande speranza lo sorregge e lo guida. Quando un soldato, circondato da tanti nemici, è per soccombere sul campo di battaglia, se al suo fianco vede agitarsi la bandiera, nelle cui pieghe palpita il cuore della patria, egli riprende tosto vigore e combatte da eroe, compiendo generosamente tutto il suo dovere. Allorché sui campi lombardi i soldati, che si erano uniti per la vita e per la morte, si videro circondati dalle compatte falangi tedesche, in quell’ora fatale fissando il Carroccio, in cui l’ideale della patria e della fede parlava al loro cuore, quei giovani figli d’Italia, in un impeto gagliardo che travolse l’esercito del Barbarossa, salvarono l’onore della patria e la libertà dei Comuni. – Anche al santo, nei suoi aspri e lunghi cimenti, sorrisero due bandiere, nelle quali erano scolpiti due cuori: il Cuore santissimo di Gesù e quello di Maria. Queste furono le sue più belle e dolci devozioni. Con una fede che ha del sublime, e con una costanza che ha del meraviglioso, erasi fatto propagatore delle due devozioni. Per più di mezzo secolo fece sventolare queste due fiammanti bandiere sotto il cielo di Francia, difendendole contro il giansenismo imperante e contro le varie opposizioni congiurate a disperdere il culto liturgico dei Sacri Cuori, che trionfò pienamente. Egli moriva sulla breccia, salutando quelle due bandiere gloriose, che lasciava come retaggio di salvezza alla Francia e come pegno di riscossa alla Chiesa. La devozione ai Cuori di Gesù e di Maria, divulgata per l’apostolato di Giovanni Eudes, salvò veramente la Francia nel periodo più funesto e più tragico della sua storia. Ricordiamo una pagina che ci riporta ai tempi del Terrore. Luigi XVI, balzato dal trono, è rinchiuso nella prigione del Tempio. La sposa Maria Antonietta, la sorella Elisabetta e la principessa di Lamballe, anch’esse sono gettate nel fondo del carcere. Quest’ultima, di sangue e di stirpe italiana, aveva voluto dividere la sorte degl’infelici monarchi. Condannata a morte, è trucidata ferocemente da alcuni miserabili che le mozzarono il capo e, conficcatolo in cima ad una picca, lo mostrarono alle finestre del carcere, ove era chiusa la famiglia regale. In quell’ora di crudele martirio Elisabetta, serena e forte, è l’angelo che consola quelle anime martoriate. Il monarca è tratto al patibolo, e vi lascia la testa perdonando e pregando. La stessa sorte è riserbata più tardi a Maria Antonietta, che affronta il supplizio con un coraggio ed una dignità che toccano la cima dell’eroismo. Rimane Elisabetta, la sorella del re. Anche per essa è aperta la via del patibolo. Quando i commissari della rivoluzione frugano nelle sue tasche, non vi trovano che due cose: un libretto di devozione, entro il quale era una immagine dei due Cuori di Gesù e di Maria, ed un foglio di quattro pagine intitolato: Consacrazione della Francia al Sacro Cuore di Gesù. Quella immagine dei due Cuori santissimi ci richiama l’apostolato di Giovanni Eudes, e il pegno di salvezza che egli aveva lasciato alla sua patria. Senza l’apostolato del santo, quante più gravi iatture sarebbero state riserbate alla Francia! Senza la sua opera restauratrice, continuata con ardore dai suoi figli e coadiuvata da quella di altri campioni della fede, il clero ed il popolo cristiano sarebbero stati travolti interamente dalla rivoluzione. La resistenza non sarebbe stata possibile in alcuna maniera. Ecco la luce più fulgida che abbellisce la fronte dell’apostolo. Il clero ed il popolo francese, per quanto gli editti di proscrizione e di morte lo permettessero, resistettero impavidi contro la bufera. Ogni paese ed ogni città di quella nazione ebbe i suoi martiri e le sue catacombe. Gli eroismi di quei confessori, che vennero trucidati nel Carmine ed a S. Firmino, tra i quali si contano non pochi figli del Santo, non sarebbero stati così cospicui, se il germe che produsse gesta tanto gloriose, non fosse stato seminato nel secolo antecedente da questo apostolo. Giovanni Eudes aveva lasciato alla Francia due grandi patrimoni: una fede ed una fiamma; la fede restaurata nel clero e nel popolo; la fiamma di due cuori divini, che creò la forza di quella Chiesa militante. La Francia cristiana sotto i colpi formidabili di quella rivoluzione satanica che uccideva preti, bruciava altari, chiudeva chiese ed aboliva il culto cattolico, cadde, è vero, intrisa di sangue e gemette per tante ferite. Ma dopo la tempesta risorse più gagliarda e più giovane, in virtù di quella fede e di quella fiamma. – Io saluto il soldato invitto, l’eroe magnanimo, l’alfiere impavido e l’intrepido condottiero, che amando e soffrendo, evangelizzando e combattendo, salvò la sua patria. Onore all’eroe! – I martiri della rivoluzione levino la testa dai loro avelli, benché deturpata dal ferro dei manigoldi, e con tutti gli spiriti immortali della Francia cantino l’epopea gloriosa di questo eroe, il cui solo nome basta ad illustrare la fede e la grandezza di un popolo. – O santo, Roma ha rivendicato giustamente il tuo merito ed i tuoi sacrifici; giacché non solo approvava le tue opere e benediceva i tuoi Istituti, ma afferrava dalle tue mani la bandiera dei Sacri Cuori e, inalberandola su tutti gli altari, realizzava il tuo nobile ideale. Ma Roma, la città di Dio, la patria delle anime, la città pontificale che gusta tutta la bellezza e il dono della sua cattolicità, ti ha posto anche sulla fronte l’aureola dei santi, ed oggi in questo tempio farnesiano ti offre le primizie del culto, che ti sarà reso in ogni terra. Roma eterna, che vive d’immortalità, ed è la sola città del mondo che può dispensare agli uomini l’immortalità, ha consacrato il tuo nome non sulla fragile pietra o sul marmo muto, ma nei cuori riconoscenti dei fedeli, nella poesia sublime della fede, nel canto suggestivo del culto, nel plauso e nell’ammirazione della storia.

SALMI BIBLICI: “DOMINUS REGIT ME, ET NIHIL MIHI DEERIT” (XXII)

Salmo 22: “Dominus regit me …

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS.

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

TOME PREMIER.

PARIS

LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR RUE DELAMMIE, 13

1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

PSALMUS XXII

Psalmus David.

[1] Dominus regit me, et nihil mihi deerit:

in loco pascuæ ibi me collocavit.

[2] Super aquam refectionis educavit me, animam meam convertit.

[3] Deduxit me super semitas justitiæ, propter nomen suum.

[4] Nam, etsi ambulavero in medio umbræ mortis, non timebo mala, quoniam tu mecum es.

[5] Virga tua, et baculus tuus, ipsa me consolata sunt.

[6] Parasti in conspectu meo mensam, adversus eos qui tribulant me;

[7] impinguasti in oleo caput meum; et calix meus inebrians quam praeclarus est!

[8] Et misericordia tua subsequetur me omnibus diebus vitae meæ;

[9] et ut inhabitem in domo Domini, in longitudinem dierum.

[Vecchio Testamento secondo la Volgata

Tradotto in lingua italiana

da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

SALMO XXII

Esimia benevolenza di Dio verso i suoi eletti, figurata dalle cure dell’ottimo pastore verso le sue pecorelle.

Salmo di David.

1. Il Signore mi governa, e niuna cosa a me mancherà;

2. Egli mi ha posto in luogo di pascolo abbondante; Mi ha condotto a un’acqua che riconforta.

3. Richiamò a sé l’anima mia. Mi ha condotto pei sentieri della giustizia, per amor del suo nome.

4. Imperocché, quand’anche io camminassi in mezzo all’ombra di morte, non temerò disastri, perché meco sei tu.

5. La tua verga stessa e il tuo bastone mi han consolato.

6. Hai imbandita dinanzi a me una mensa, in faccia di quelli che mi perseguitano.

7. Hai asperso il mio capo di unguento; ma quanto è mai buono il mio calice esilarante!

8. E la tua misericordia mi seguirà per tutti i giorni della mia vita,

9. Affinché io abiti nella casa del Signore per lunghi giorni.

Sommario analitico

Questo salmo, sorgente inesauribile di soavità e sicurezza per l’anima che ama Dio e medita sulla sua provvidenza paterna, è stato composto da Davide, poco tempo dopo che Samuele gli ha conferito l’unzione reale, e torna verso il suo gregge nelle pianure così fertili di Bethleem. Davide, qui, nel senso allegorico e tropologico, rappresenta la Chiesa ed ogni uomo giusto che nella Chiesa riconosce Gesù Cristo come suo pastore e gli rende grazie per i molteplici doni che gli ha fatto, e soprattutto per i Sacramenti del Battesimo e dell’Eucarestia. Il Profeta qui fa tre cose:

I – Descrive la via purgativa dell’uomo, sotto la figura di un pastore.

II – La via illuminativa, sotto la figura di un ospite e di un amico, al quale si è dato nutrimento durante la pace, e l’olio degli atleti per il giorno del combattimento.

III – La via unitiva, sotto il simbolo di una coppa inebriante.

Iˆ Sezione.

Gesù Cristo ci viene qui presentato come un pastore che riunisce in sé tutte le condizioni di un pastore buono ed eccellente:

1) È il Signore stesso e non un mercenario che pasce le sue pecore.

2) È un pastore liberale: “nulla potrà mancarmi”.

3) È un pastore ricco: “mi ha stabilito in pascoli erbosi” (1). –

4) È un pastore buono e soave: “mi ha condotto presso acque tranquille”. –

5) È un pastore vigilante e attento a riportare la pecora errante: “egli fa ritornare la mia anima”. (2) –

6) È un pastore prudente che conduce le sue pecore lungo sentieri sicuri ed agevoli (3). –

7) È un pastore potente e forte per difendere le sue pecore da ogni pericolo (4). –

8) È un pastore severo che al bisogno sa fare un uso moderato del vincastro e del bastone pastorale (5).

II e III Sezione

In questa seconda parte, il Profeta ci propone le via illuminativa, sotto il simbolo di un amico ammesso al banchetto di un amico, e la via unitiva, sotto la figura di un calice inebriante:

1) Gesù Cristo riceve come amici ed ospiti coloro che si presentano alla sua tavola e dà loro la forza necessaria per combattere i nemici e sopportare tutti i travagli (6). –

2) Gesù Cristo nell’Eucarestia, è per l’anima uno dei profumi più soavi (7). –

3) Gesù Cristo, nell’Eucarestia, inebria l’anima ispirando il disprezzo delle cose terrene, e l’unisce a Gesù cristo. –

4) La misericordia di Dio segue ed accompagna tutta la vita coloro che ricevono con pietà l’Eucaristia (8). –

5) Gesù Cristo, nell’Eucaristia, conduce misericordiosamente i suoi servitori fino al cielo (9).

Spiegazioni e Considerazioni

I. Sezione – 1-5.

ff. 1. –  Quale consolazione per un Cristiano avere Dio per guida e per pastore! Cosa gli può mancare? Che calma, che sicurezza! « Io non sono turbato, Signore, se voi mi guidate come pastore » (Ger. XVI, 17). – Dite con Giacobbe: « Se Dio sarà con me e mi proteggerà in questo viaggio che sto facendo e mi darà pane da mangiare e vesti per coprirmi, se ritornerò sano e salvo alla casa di mio padre, il Signore sarà il mio Dio » (Gen. XXVIII, 20, 21). – Differenza immensa c’è tra Dio, considerato come pastore, e gli altri pastori. Dio, nostro Maestro sovrano e nostro Creatore, non ci mette in altre mani; Egli non disdegna di essere Egli stesso nostro pastore, di condurci al passo come un pastore conduce le sue pecore « Ascoltatemi, voi che governate Israele, voi che conducete Giuseppe come una pecora » (Sal. LXXIX, 1). – In quanti modi la Provvidenza paterna di Dio ci governa e ci conduce. La Provvidenza che Dio stende sulla nostra vita e su ciascuno di noi, in particolare è una rivelazione personale del suo amore. Nessuno di noi saprebbe studiare la propria storia senza trovarvi l’influenza soprannaturale e l’azione diretta di Dio, così sensibile ed anche palpabile come se leggessimo una pagina dell’Antico Testamento. Dio veglia su noi con tanta sollecitudine che noi potremmo ingannarci e crederlo il nostro Angelo custode, invece che il nostro Dio (Faber, Il Creatore e la creatura). – Essendo Gesù Cristo il Pastore della Chiesa, nulla può mancare alle sue pecore, né per l’anima, né per il corpo. 1) Egli da loro per nutrimento la propria carne: « … la mia carne è un vero nutrimento ed il mio sangue vera bevanda ». – 2) Egli le nutre con la sua grazia: « Felici coloro che hanno fame e sete di giustizia, perché essi saranno saziati ». – 3) Egli li nutre di scienza e di dottrina: « Egli lo nutrirà con pane di vita e di intelligenza, e lo disseterà con la saggezza e la salvezza » (Eccles. XV, 3). – 4) Egli li nutre di gloria celeste: « Quale ineffabile onore è il far parte delle truppe di Gesù Cristo! Se noi vogliamo seriamente riflettervi, noi troveremmo in questo stesso pensiero, in mezzo a queste lacrime, a queste tribolazioni, il motivo di una grande gioia » (Sant’Agost. Lib. De Ovib.). – Davide faceva qui allusione a Bethleem, città situata in una contrada fertile, irrorata da numerosi corsi d’acqua … la Chiesa, vera Bethleem, è la casa del pane. Tre pascoli vi sono nella Chiesa: Gesù Cristo, i Sacramenti e le Sante Scritture. E cosa sono questi tre pascoli, se non Gesù Cristo? È Lui che ci nutre e ci ripara le forze che abbiamo perso. È nei divini Sacramenti che raccogliamo questo fiore nuovo che ha sparso il buon odore della resurrezione; voi raccogliete questo giglio brillante degli splendori dell’eternità; raccogliete la rosa, cioè il sangue del corpo del Signore. – Sono ancora i libri delle Scritture celesti ad essere il nostro nutrimento quotidiano, con cui ripariamo le forze della nostra anima quando ne gustiamo i divini oracoli, o quando ruminiamo frequentemente e approfondiamo le verità che abbiamo solo sfiorato con la semplice lettura (S. Ambr. Serm. XIV sur le Ps. CXVIII.). – il Re-Profeta, dice « in loco Pascuæ », e non « in locis », perché la Chiesa è una. Le eresie, gli scismi, le false filosofie, il libero pensiero sono dei deserti aridi pieni di erbe velenose. Sovrana importanza è il ben considerare dove si debba cercare questo pascolo e dire come la sposa dei cantici: « Dimmi, o amore dell’anima mia, dove vai a pascolare il gregge, dove lo fai riposare al meriggio, perché io non sia come vagabonda dietro i greggi dei tuoi compagni » (Cant. I, 7). – Per troppo tempo sono stato simile alla pecora che erra e perisce, ma non voglio più seguire i pastori mercenari che proponevano davanti ad essi la volontà dei loro capricci; i loro pascoli lussureggianti e fioriti, non erano che veleni mortali, e mai la minima ombra mi metteva al riparo dagli ardori di un sole bruciante! Voi solo, Signore, sapete dare alla pecora che in voi confida l’alimento che la fa vivere e l’ombra sotto la quale riposare. È Gesù Cristo stesso che ci pone nei suoi pascoli. Egli è nel contempo il Pastore e la via; Egli lo fa con sollecitudine, con carità, con soavità. Se diventate pastore voi stessi, con quale bontà, con quale dolcezza, con quale amore dovreste pascere le pecore di Gesù Cristo. « Pietro, mi ami tu? Pasci le mie pecore ». Gesù Cristo, dice san Crisostomo, avrebbe potuto dire a Pietro: se mi ami, dedicati ai giovani, dormi sulla terra nuda, veglia continuamente, sii il protettore degli oppressi, mostrati padre degli orfani, difensore delle vedove. Ma no, Egli gli domanda solo una cosa: « pasci le mie pecore ».

ff. 2. –  Questa acqua fortificante, è l’acqua del Battesimo, ove noi veniamo rigenerati; è l’acqua della grazia che ci purifica e ci infonde nuove forze; è l’acqua della saggezza che disseta e rinfranca la nostra anima. « Colui che ne berrà non avrà mai sete » (Giov. IV). – Questa è l’acqua viva e pura e che sola spegne la sete. L’acqua stagnante e fangosa dei beni e dei piaceri della terra non fa che alterare. Noi attingiamo, alla sorgente della misericordia, le acque del perdono per cancellare i nostri peccati; noi attingiamo alla sorgente della grazia le acque della devozione per produrre e spandere la pioggia delle buone opere. Noi attingiamo alla fonte della saggezza le acque del discernimento spirituale per spegnere la nostra sete (S. Bern. I, Serm. sur la Nat.). – Dovere di un pastore è: condurre le sue pecore presso le acque pure della sana dottrina; « Non vi basta pascolare in buone pasture, volete calpestare con i piedi i resti della vostra pastura; non vi basta bere acqua chiara, volete intorbidire con i piedi quella che ne resta. Le mie pecore devono brucare ciò che i vostri piedi hanno calpestato e bere ciò che i vostri piedi hanno intorbidito » (Ezech. XXXIV, 18, 19). – « Egli ha convertito la mia anima ». A Dio solo appartiene il cercare, il ricondurre la pecora errante, a Dio solo appartiene la conversione della nostra anima. Questa conversione esige un atto di potenza superiore a quella che richiede la creazione. Il pastore deve lavorare con tutto il suo potere per convertire la anime che gli sono affidate, se … non vuole esporsi a questo terribile rimprovero:  «Vanno errando tutte le mie pecore in tutto il paese e nessuno va in cerca di loro e se ne cura » (Ezech. XXXIV, 6).

ff. 3. –  I sentieri sono letteralmente (sentiero = semi-iter) una via più stretta delle strade ordinarie, e bisogna intendere, con questi sentieri della giustizia, la pratica dei consigli così come quella dei comandamenti. « Il cammino della virtù – dice Bossuet – non è quello delle strade larghe nelle quali ci si può estendere con libertà; al contrario noi apprendiamo, dalle Sante Lettere, che questo non è che un piccolo sentiero, ed una via stretta e angusta e nello stesso tempo estremamente diritta; noi dobbiamo comprendere che in essa bisogna camminarvi in semplicità, e con grande rettitudine. Se ci si distoglie, o anche se si vacilla solo in questa via, si cade negli scogli dai quali è circondata da una parte e dell’altra » (Paneg. De S. Jos. I. P.). – Il pastore deve condurre le sue pecore, non lungo cammini larghi e spaziosi che conducono alla morte, ma attraverso i sentieri stretti della giustizia, che solo conducono alla vita. – Sull’esempio di Gesù Cristo, il buon pastore non deve cercare la propria gloria, ma unicamente quella di Dio nell’opera divina della conversione delle anime. Grande differenza c’è tra lo spirito mercenario, che guarda le pecore in rapporto a se stesso, come un bene proprio, e la carità pastorale che non le considera come proprie, perché esse sono di Gesù Cristo ed i loro interessi sono suoi (Dug.).

ff. 4. – L’ombra della morte, è il pericolo della morte; è la vita presente, che è piuttosto una morte che una vita, che non è che un’ombra in cui non vi è nulla di solido e di reale, e che svanisce rapidamente come l’ombra. L’ombra della morte sono ancora le tribolazioni, le prove, le grandi tentazioni, che riempiono la nostra anima di inquietudini mortali, nelle quali sembra che tutta la natura si sia scatenata contro di noi, e in cui corriamo il rischio di perdere la vita dell’anima e del corpo. – Se un branco di pecore è in piena sicurezza quando è condotto o sorvegliato da un uomo, quale non deve essere per noi la sicurezza, per noi che abbiamo Dio stesso come pastore? (S. Agost. lib. de Ou.). – Il pastore che ama le sue pecore, e che non vuole che nessuna di esse perisca (Matt. XVIII, 14) è un Pastore vigilante: « … non dormirà e non si assopirà, Colui che custodisce Israele » (Sal. CXX, 4); egli non teme in mezzo ai mali dai quali ti senti oppresso, perché: « Io sono il tuo Dio che ti fortifica, non mi svio mai dalla via nella quale ti introduco, perché Io sono con te, e non cesserò mai di soccorrerti; ed il Giusto che Io invio al mondo, questo Salvatore misericordioso, questo Pontefice compassionevole, ti tiene per mano » (Isaia, XLI, 9, 10.); è un Pastore potente e forte: « Io do alle mie pecore la vita eterna, esse non periranno mai, e nessuno le rapirà dalla mia mano. » – Dovere per il Pastore delle anime è l’esporre la propria vita, se necessario, per le proprie pecore, l’essere sempre con esse e non abbandonarle come fa un mercenario.

ff. 5. –  La verga è per gli agnelli, ed il bastone per i figli diventati più grandi e già avanzati, in virtù della propria crescita, dalla vita animale a quella spirituale (S. Agost.). – Secondo San Gregorio, la verga è per la correzione, il bastone per sostegno. – « Il pastore porta la verga ed il bastone, l’una per le pecore, l’altro contro i lupi, ma l’uno e l’altro nell’interesse degli eletti » (S. Bern.). – La verga pastorale è necessaria per difendere le pecore contro gli attacchi dei lupi, per allontanarle da tutto quello che potrebbe corromperle: cattive dottrine, letture pericolose, commerci sospetti. – Il bastone pastorale non solo serve a condurre le pecore, ma pure per battere salutarmente quelle che si allontanano. – È il dovere della correzione con la quale un buon pastore evita egualmente due eccessi contrari: un lassismo complice che perdona tutto, ed una severità inesorabile che non vuole perdonare nulla (Dug.).

II e III sezione. – 6-9

ff. 6. –  Questa mensa è l’abbondanza delle grazie e delle consolazioni divine (Orig.), essa è la santa Scrittura. Allo stesso modo di quando, sedendosi ad una tavola si ritrova il rilassamento, la consolazione e la refezione, così i Cristiani, sedendosi al banchetto delle sante Scritture, vi trovano consolazione e forza, cioè la fede, la speranza e la carità, contro i persecutori della Chiesa (S. Girol.). – È nella divina Eucaristia che il Cristiano attinge forza per resistere ai nemici della sua anima. – Frequentiamo quindi questo sacro pasto dell’Eucaristia, e viviamo in unione con i nostri fratelli; frequentiamola e ci nutriremo della gioia celeste, mangiamo questo pane che sostiene l’uomo; beviamo questo vino che gli deve rallegrare il cuore, e diciamo con un santo trasporto: « … che il mio calice inebriante è squisito! » Gesù Cristo si è servito del pane e del vino per darci il suo corpo ed il suo sangue, al fine di dare all’Eucaristia il carattere della forza e del sostegno, nonché il carattere della gioia e del trasporto; e col fine anche di farci comprendere, dalla figura di queste cose che costituiscono il nostro alimento ordinario, che tutti i giorni noi dobbiamo non soltanto sostenere, ma anche riscaldare il nostro cuore; non solo fortificarci ma anche inebriarci con Lui e bere a tratti lunghi già da questa vita, l’amore che ci renderà felici per l’eternità (Bossuet, Medit. LII° j.). – Quando il vostro nemico vi incontra dopo aver partecipato alla santa Tavola, dopo esservi seduti al celeste banchetto, scappa rapidamente come se vedesse un leone vomitare fuoco e fiamme, e non osa avvicinarsi. Quando questo nemico crudele percepisce che tutta la vostra lingua è coperta da sangue, credetemi, egli non oserà affrontare la vostra presenza, e quando vedrà la vostra bocca brillante di un chiarore divino, prenderà la via della fuga con sentimenti di vergogna e di spavento (S. Chrys. Omel. ai neofiti). – l’anima viene usata più del corpo, in mezzo alle battaglia della vita; essa si impegna lottando contro la malvagità, contro le tentazioni, contro le amare disillusioni del mondo, contro le scosse dell’odio e della calunnia; e quando non c’è più da lottare all’esterno, gli restano ancora i nemici interni, le angosce invisibili, le torture dello spirito immortale che vorrebbe delle ali per volare verso l’oggetto dei suoi desideri. Povera anima, quanto è da compiangere! Ma Dio nella sua misericordia, le ha dato, come ad un atleta, un nutrimento solido e sostanzioso: egli si siede al banchetto divino; poi terminato il pasto celeste, si alza, e come il pellegrino sempre gioioso, continua la sua strada cantando con il Profeta: « Il Signore mi conduce, nulla mi può mancare; … Egli ha servito davanti a me una tavola reale per fortificarmi nelle mie debolezze » (Mgr Landriot. Euchar, 3° Conf.) . – Dovere sacro del pastore è quello di preparare alle sue pecore la magnifica mensa del Corpo e del Sangue di Gesù Cristo; e di renderle capaci e degne di questo divino nutrimento con la parola, l’istruzione e l’esempio (Dug.).

ff. 7. –  L’Eucaristia è per l’anima uno dei profumi più soavi. Essa non è soltanto la forza, ma la soddisfazione, la gioia data a tutte le facoltà. È la proprietà dell’olio che galleggia su tutti gli altri liquidi, che è soave, si dilata e si spande, guarisce le ferite, assorbe la luce, nutre e rende l’atleta inaccessibile alla presa dell’avversario. – Ciò che c’è di essenziale in noi è la nostra anima; ecco perché il Re-Profeta gli dà il nome di capo (S. Greg. Mor. XIX). – Questo calice che inebria, è soprattutto l’Eucaristia, ove con il Sangue di Gesù Cristo, noi beviamo torrenti di latte, fiumi di miele e un balsamo celeste (S. Bern.). – Effetti di questa ebbrezza celeste prodotta dall’Eucaristia sono: 1) la sobrietà dell’anima, dice San Cipriano, perché l’ebrezza prodotta dal calice che contiene il Sangue del Salvatore è ben diversa da quella che produce il vino; – 2) la saggezza. « Essa l’abbevera con l’acqua della saggezza e della salvezza »; – 3) l’amore di Gesù Cristo; – 4) Una santa gioia. « Venite a bene a questa divina coppa, dice S. Ambrogio, gusterete la gioia della remissione dei vostri peccati, l’oblio delle pene e degli affanni di questa vita, sarete affrancati dalla paura e dalla sollecitudine della morte »; – 5) L’aumento delle forze dell’anima: – 6) Una unione intima con Gesù Cristo (S. Cipr. Serm. de cæna). – nostro Signore Gesù Cristo si tiene alla porta della vostra anima, ascoltatelo mentre vi dice: « Io batto alla porta e busso, se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, Io entrerò in lui, cenerò con lui e lui con Me » (Apoc. III, 29); e la Chiesa stessa vi dice . « … la voce del mio diletto si fa sentire alla porta » (Cant. V, 22). – Egli rimane allora alla porta ma non da solo, gli Angeli lo precedono e vi dicono: « Aprite le vostre porte, o principi ». Quali porte? Quelle di cui il Signore dice: « apritemi le porte della giustizia » (Salm. CXVII). – Aprite dunque le porte a Gesù Cristo, affinché Egli entri in voi; aprite le porte della giustizia, aprite le porte della purezza, aprite le porte della forza e della saggezza … Che la vostra porta si apra al Cristo, e non si apra solamente, ma si elevi, se essa è eterna e non fragile o deperibile. Ora le porte della vostra anima si eleveranno se voi credete che il Figlio di Dio è il Dio eterno, onnipotente, inenarrabile, incomprensibile, il Dio che conosce tutte le cose passate e future; se voi limitate anche di poco la sua potenza e la sua saggezza, non solleverete mai le porte eterne (S. Ambr. De Fide).

ff. 8, 9. –  L’abbondanza e la continuità della grazia sono meravigliose come la sua natura. Noi viviamo in un oceano di grazia come il pesce nella acque del mare. Esse sono sopra, sotto, attorno a noi, dappertutto ed in numero prodigioso; è una marea che può avere i suoi improvvisi aumenti, ma che sale sempre e non conosce deflusso o riposo. La nostra anima è tutta avvolta dalla misericordia divina, essa vive nella sua luce, si appoggia su di essa, così come il nostro corpo respira l’atmosfera, vede mediante la luce del giorno, e sente sotto i suoi piedi l’appoggio solido del nostro pianeta (Faber, le Createur et la creature, p. 224.). – « Affinché abiti eternamente, etc. », è l’ultimo frutto ed il più prezioso dell’Eucaristia: Essa ci conduce a questa Gerusalemme celeste, a questa eternità felice ove non ci sono che gioie, « ove non ci sarà più notte, né dolore, né pianto, né lacrime, né pericolo, né combattimenti ».

UN’ENCICLICA AL GIORNO, TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO: S. S. PIO XII – ORIENTALIS ECCLESIÆ

La lettera Enciclica che oggi leggiamo, costituisce l’occasione, nel commemorare l’opera di S. Cirillo di Alessandria, per richiamare i Cristiani d’Oriente all’unità dell’unica vera Chiesa di Cristo, la Chiesa Cattolica Romana, guidata dal “vero” Sommo Pontefice successore di S. Pietro. Dopo aver ricordato gli avvenimenti storici del Concilio di Calcedonia che condannò inesorabilmente l’empia eresia nestoriana, proprio per merito principale di S. Cirillo, il Santo Padre invoca l’unita dei Cristiani, e l’unità che egli auspica è naturalmente l’unica possibile, cioè il triplice legame che unisce tutti i seguaci del Divin Maestro  « … nell’unica Fede Cattolica, nell’unica Carità verso Dio e verso tutti, e infine nell’unica Obbedienza e soggezione alla legittima Gerarchia costituita dal divin Redentore medesimo ». Poche ma ben ponderate espressioni che ancora una volta sottolineano come l’adesione alla Verità unica, si possa compiere mediante una unica possibilità. Affermare la Verità cattolica, con tutti i suoi dogmi senza eccezioni, senza mediazioni o aggiustamenti o dissimulazioni, è l’unica via all’ecumenismo, via che non tradisca il Divin Redentore che, nel fondare la sua unica Chiesa, ha sparso il suo sangue sulla Croce. Qualunque altra ventilata ipotesi è tradimento vergognoso alla Passione del Redentore, è apostasia mortale ed inescusabile dalla Chiesa scaturita dal fianco trafitto del Figlio di Dio … e il Magistero in numerose occasioni ha ribadito, infallibilmente e irrevocabilmente, che fuori dalla Chiesa Cattolica, come Arca unica di salvezza, non c’è salvezza dell’anima ma dannazione eterna. Nella situazione attuale, eresie e scisma (… quante false chiese, pseudo monasteri ed istituti virtuali e fasulli nel mondo!) sono così numerosi e diffusi che praticamente la vera Fede Cattolica è pressoché sconosciuta o praticata senza alcuna cognizione di causa e senza rispetto per le regole canoniche, ed in realtà coloro che si professano Cattolici, con coscienza quantomeno dubbia, oltre ai gruppi sedevacantisti, fallibilisti, protestanti di Oriente e d’Occidente, aderiscono alla setta che il Santo Padre Leone XIII descrisse perfettamente nella sua preghiera a san Michele « … hostes faverrimi Ecclesiam, Agni immaculati sponsam, repleverunt amaritudinis, inebriarunt absinthio et …

ubi sedes beatissimi Petri et Cathedra veritatis ad lucem gentium constituta est, ibi thronum posuerunt abominationis et empietatis suæ … »

sì, la setta del “Novus ordo”! In questo frangente anche il gran San Cirillo di Alessandria, poco potrebbe fare, per cui il fedele “pusillus grex” possiede solo la preghiera da rivolgere con fiducia alla SS. Trinità …

Veni Domine Jesu! Ne moreris

PIO XII

LETTERA ENCICLICA

ORIENTALIS ECCLESIAEÆ

S. CIRILLO DI ALESSANDRIA 
NEL XV CENTENARIO DELLA MORTE

Sempre con somme lodi la chiesa esaltò s. Cirillo patriarca di Alessandria quale autentica gloria della chiesa orientale e preclarissimo vindice della vergine Madre di Dio. Queste lodi Ci piace ora in succinto riandare scrivendo di lui, mentre si compie il XV secolo da quando felicemente egli mutò con la patria celeste questo terreno esilio. Fino dai suoi tempi infatti il Nostro predecessore s. Celestino I lo chiama «buon difensore della fede cattolica», «sacerdote degno della massima approvazione», e «uomo apostolico». Il Concilio ecumenico Calcedonese poi non solo invoca in aiuto la sua dottrina per ravvisare e ribattere i nuovi errori, ma non esita a paragonarla altresì con la sapienza di san Leone Magno, il quale a sua volta elogia gli scritti di un così grande dottore e ne raccomanda la lettura, precisamente perché appieno combaciano con la fede dei santi padri. Né minore venerazione il quinto concilio ecumenico radunato a Costantinopoli tributò all’autorità di s. Cirillo; e più tardi, a distanza cioè di parecchi anni, quando si dibatteva la controversia delle due volontà in Cristo, di nuovo la dottrina di lui sia nel primo concilio Lateranense, sia nel sesto concilio ecumenico, fu meritatamente e vittoriosamente rivendicata dagli errori dei monoteliti, dei quali a torto alcuni l’accusavano d’essere infetta. E invero, a testimonianza dell’altro santissimo predecessore Nostro Agatone, egli «fu difensore di verità» e risultò «costantissimo predicatore di fede ortodossa». – Riteniamo pertanto cosa molto opportuna, scrivendone brevemente, di porre la vita integerrima, la fede, la virtù sua sotto gli occhi di tutti, e prima che ad ogni altro sotto gli occhi di coloro i quali, per appartenere alla chiesa orientale, ben a ragione si gloriano di questo luminare di cristiana sapienza e di questo atleta di apostolica fortezza. Ebbe onorati natali, e promosso nell’anno 412, come si ha per tradizione, alla sede di Alessandria, dapprima combatté contro i novaziani e gli altri detrattori e corruttori della genuina fede, tanto con la parola, quanto con gli scritti e la pubblicazione di appositi decreti, mostrandosi d’una vigilanza e d’un coraggio a tutta prova. Poi, al serpeggiare dell’empia eresia di Nestorio per le varie regioni dell’oriente, da quel sollecito pastore che era, subito scoprì i novelli errori che imperversavano, usò ogni mezzo per allontanarli dal gregge a lui affidato, e durante quel periodo di tempo, ma specialmente nello svolgersi del concilio di Efeso, si dimostrò invitto assertore e sapientissimo dottore della divina maternità di Maria vergine, dell’unità d’ipostasi in Cristo e del primato del romano pontefice. Avendo però l’immediato Nostro predecessore di fel. mem. Pio XI nell’enciclica Lux veritatis,  magistralmente descritta e illustrata la parte precipua che ebbe s. Cirillo nelle vicende di questa gravissima vertenza, allorché nel 1931 ricorse il XV centenario di quel concilio, reputiamo superfluo il ritornarvi sopra punto per punto. – Non si tenne pago Cirillo di combattere strenuamente contro le dilaganti eresie, di tutelare con alacre diligenza l’interezza della dottrina cattolica e di farla risaltare nella meridiana sua luce, ma quanto più poté si adoperò per richiamare sul retto sentiero della verità i fratelli erranti. I vescovi infatti della regione antiochena non avevano fino allora riconosciuta l’autorità del concilio di Efeso. Ebbene, Cirillo col suo zelo fece sì che dopo lunghi tentennamenti arrivassero finalmente a piena concordia. E dopo che con l’aiuto di Dio poté raggiungere e conciliare siffatta felicissima pace, e difenderla con diligente cura contro quanti la oscuravano e la turbavano, ormai maturo per la ricompensa e la gloria eterna, nell’anno 444, tra le lacrime di tutti i buoni, se ne volò al cielo. – I fedeli di rito orientale non solo lo collocano nel numero dei «padri ecumenici», ma nelle loro preci liturgiche l’onorano dei più ampi elogi. Così per esempio i greci, nei «Menèi» da celebrarsi il giorno 9 di giugno, cantano di lui: «Illustrato la mente dalle fiamme dello Spirito Santo, quasi sole che dardeggi i suoi raggi, esprimesti gli oracoli tuoi; lanciasti i tuoi dogmi su tutte le parti del mondo fedele, illuminando ogni condizione di persone, o beatissimo, o divino; e mettesti in fuga le tenebre delle eresie, con la potenza e le forze di Colui, che nato dalla Vergine sfolgorò i suoi splendori». Certamente hanno ben ragione i figli della chiesa orientale di rallegrarsi di questo santissimo Padre, come d’insigne loro gloria domestica. Perché su di esso risplendono in modo particolare quelle tre doti dell’animo che parimente tanto illustrarono gli altri padri dell’oriente: cioè una esimia santità di vita, in cui nominatamente brilla una calda devozione verso l’eccelsa Madre di Dio; una dottrina veramente ammirevole, per la quale la Sacra Congregazione dei Riti con decreto del 28 luglio 1882 lo dichiarò dottore della Chiesa Universale; e una premurosa e indefessa sollecitudine, in virtù della quale infranse con invitto coraggio gli assalti degli eretici, asserì la fede cattolica, la difese, e instancabilmente, fin dove poté, la propagò. – Mentre tuttavia di gran cuore Ci congratuliamo che tutti i popoli cristiani dell’oriente onorino con intensa venerazione s. Cirillo, non meno Ci addolora che non tutti convengano in quella desideratissima unità, la quale egli così ardentemente amò e promosse. Tanto più anzi Ci duole che ciò accada a questi nostri tempi in cui si rende necessario che tutti i Cristiani, a gara unendo intenzioni ed energie, si stringano nell’unica Chiesa di Gesù Cristo, affinché quasi uniti in una sola falange, compatta, concorde, stabile, resistano contro gli sforzi dell’empietà ogni giorno più minacciosi. – Per conseguire tale effetto, è assolutamente necessario che tutti, seguendo le orme di S. Cirillo, raggiungano quella concordia di animi, che dev’essere munita di quel triplice legame con cui Cristo Gesù, fondatore della Chiesa, volle che essa fosse stretta e tenuta insieme, quasi in superno infrangibile vincolo, da Lui stabilito; vale a dire nell’unica Fede Cattolica, nell’unica Carità verso Dio e verso tutti, e infine nell’unica Obbedienza e soggezione alla legittima Gerarchia costituita dal divin Redentore medesimo. Questi tre vincoli, come ben sapete, venerabili fratelli, sono tanto necessari, che se l’uno o l’altro di essi viene a mancare, non si può più neppure comprendere nella Chiesa di Cristo vera unità e concordia.

I

Allo scopo di conseguire volenterosamente e di conservare con vigoria questa sincera concordia, desideriamo che, come fu già per i tempestosi suoi tempi, così anche per i giorni nostri il santo patriarca di Alessandria sia a tutti maestro e modello preclarissimo. Volendo incominciare dall’unità della fede cristiana, nessuno ignora l’inconcussa alacrità sua nel sostenerla con somma energia. «Noi – così egli dichiara – che abbiamo per amica la verità e i dogmi della verità, non seguiremo affatto gli eretici, ma calcando le vestigia della fede lasciataci dai santi padri, custodiremo contro tutti gli errori il deposito della divina rivelazione». Pur di combattere sino alla morte questa buona battaglia, era pronto a sopportare qualsiasi più acerba calamità. «Il mio più ardente desiderio – egli scrive – è di patire e morire per la fede di Cristo». «Nessuna ingiuria pertanto, nessuna contumelia, nessun insulto mi muove… sol che la fede ne esca sana e salva». – E anelando con forte e nobile cuore alla palma del martirio, vergò queste magnanime parole: «Ho deciso per la fede di Cristo di andare incontro a qualsiasi travaglio, di sopportare altresì qualsiasi tormento, anche quelli che fra i supplizi sono giudicati i più gravi, finché non abbia alla fine sostenuta la morte che gioiosamente accetterò per questa causa».(15) «Perché, se avessimo paura di predicare per la gloria di Dio la verità, per non incorrere in qualche molestia, con qual faccia, di grazia, potremmo presso il popolo esaltare le lotte e i trionfi dei santi martiri?». – E poiché nei cenobi dell’Egitto si agitavano a più riprese acerrime dispute sulla nuova eresia nestoriana, egli, da vigilantissimo Pastore, avverte i monaci delle pericolose fallacie di tale dottrina, non per aggiungere esca a contrastanti competizioni di parole, «ma perché se mai alcuni, – così loro scrive – v’investissero, possiate non solo scansare voi stessi quei perniciosi errori, ma opponendo alla loro frivolezza la verità, possiate altresì indurre gli altri, da buoni fratelli e con opportune ragioni, a conservare costantemente, qual preziosa perla, la Fede, già un tempo trasmessa alle chiese per mezzo dei santi Apostoli». Come facilmente riscontreranno tutti coloro, i quali abbiano studiate le lettere ch’egli ebbe a inviare riguardo alla controversia degli antiocheni, mette luminosamente in rilievo che questa fede cristiana, la quale devesi da noi salvare e difendere a tutti i costi, è dottrina trasmessaci per il tramite della sacra Scrittura e dei santi Padri, e al tempo stesso ci viene chiaramente e legittimamente proposta dal vivo e infallibile Magistero della Chiesa. I Vescovi della provincia di Antiochia per il ristabilimento e la conservazione della pace pensavano che fosse sufficiente l’affermarsi soltanto sulla professione nicena. Invece s. Cirillo, pur fermamente aderendo al Simbolo di Nicea, richiese ancora dai suoi confratelli nell’episcopato, per il rafforzamento dell’unità, la riprovazione e la condanna dell’eresia nestoriana. Sapeva infatti benissimo che non basta accettare con docilità gli antichi documenti del Magistero ecclesiastico, ma che occorre in più abbracciare con fedele sottomissione di cuore tutte quelle definizioni che dalla Chiesa in forza della sua suprema Autorità di tempo in tempo ci siano proposte a credere. Anzi, non è lecito, neppure sotto il pretesto di rendere più agevole la concordia, dissimulare neanche un dogma solo; giacché, come ammonisce il Patriarca alessandrino: «Desiderare la pace è certamente il più grande e il primo dei beni, ma però non si deve per siffatto motivo permettere che ne vada di mezzo la virtù della pietà in Cristo». Perciò non conduce al desideratissimo ritorno dei figli erranti alla sincera e giusta unità in Cristo, quella teoria, che ponga a fondamento del concorde consenso dei fedeli solo quei capi di dottrina, sui quali o tutte o almeno la maggior parte delle comunità, che si gloriano del nome cristiano, si trovino d’accordo, ma bensì l’altra che, senza eccettuarne né sminuirne alcuna, integralmente accoglie qualsiasi verità da Dio rivelata. – Per questa strenua fortezza nel conservare e proteggere l’unità della fede, s. Cirillo Alessandrino sia a tutti d’esempio. Appena scoprì l’errore di Nestorio, per mezzo di lettere e di altri scritti lo confutò, ricorse al Romano Pontefice, e nel Concilio di Efeso, come suo rappresentante, con ammirevole apparato di dottrina e intrepido cuore represse e condannò l’eresia che si era insinuata, in modo che tutti i padri conciliari, letta nell’adunanza la lettera di Cirillo che suol chiamarsi dogmatica, con solenne deliberazione la dichiararono pienamente consona alla rettitudine della fede. Oltre a ciò, per questa sua apostolica fortezza, fu iniquamente cacciato dall’ufficio episcopale, e sostenne con invitta serenità le ingiurie dei confratelli, il biasimo di un illegittimo conciliabolo, prigionie e angosce non poche. Né questo bastandogli, non esitò, per il coscienzioso adempimento del proprio santissimo ufficio, di opporsi apertamente, non solo ai Vescovi che si erano allontanati dalla retta via della verità e della concordia, ma alla stessa augusta persona dell’imperatore. E inoltre, come tutti sanno, ad alimento e sostegno della fede cristiana, compose quasi innumerabili libri, dai quali splendidamente si riverberano la sua luce di sapienza, l’imperterrita sua costanza e la solerzia della sua pastorale sollecitudine.

II

Alla fede è necessario che si unisca in bell’intreccio la Carità. Per essa veniamo tutti congiunti gli uni agli altri e con Cristo. Essa, ispirata e mossa dallo Spirito Santo, stringe tra loro con infrangibile vincolo le membra del Corpo mistico del Redentore. Pertanto questa carità non deve rifiutare di aprire le braccia in fraterno amplesso anche agli erranti che hanno sbagliato la retta strada: cosa della quale è dato scorgere insigne esempio nel modo di procedere, tenuto da s. Cirillo. Egli infatti, per quanto avesse con tutta la forza combattuta l’eresia di Nestorio, tuttavia, animato com’era di accesa carità, afferma di non permettere a nessuno di professarsi più amante di Nestorio, di lui stesso. – Né ciò è senza un perché. I traviati e, gli erranti sono da ritenersi come fratelli malati, e debbono essere trattati con dolcezza e delicata premura. Sul qual proposito giova rievocare questi prudentissimi consigli del santo patriarca di Alessandria. «La cosa – egli avverte – ha bisogno di grande moderazione». – «Perché la durezza del disputare spinge spesso non pochi a imprudenza, ed è meglio con dolcezza sopportare le altrui resistenze, piuttosto che a punta di diritto creare loro molestia. Come, qualora si sia ammalata qualche parte del loro corpo, bisogna esaminarla con la mano, alla stessa maniera è necessario soccorrere l’anima caduta inferma, servendosi della debita prudenza a guisa di medicina. Così, essi pure giungeranno passo per passo a un regolare comportamento di spirito». – Altrove poi soggiunge: «Abbiamo imitato l’arte dei bravi medici: non subito col fuoco e col ferro spietatamente curano i morbi e le piaghe appena apparse sui corpi umani; ma spalmata dapprima la piaga con leggero fomento, rimettono l’ustione e il taglio al momento opportuno». – Era insomma, riguardo agli erranti, animato da compassionevole benignità, tanto da dichiarare esplicitamente «di essere desiderosissimo di pace, e insieme totalmente alieno da rissosi litigi; tale in una parola da accogliere in cuore questa duplice brama: amare tutti ed essere a sua volta da tutti riamato». – Questa incline disposizione alla concordia rifulge nel santo dottore principalmente quando, dopo la mitigazione dell’anteriore severità, attese con volenterosa diligenza a indurre alla pace i Vescovi della provincia antiochena. Parlando del loro legato, scrive tra le altre cose: «Forse sospettava di dover andare incontro a lotte non piccole per convincerci della necessità di congiungere le chiese in una pace concorde, per eliminare il dileggio degli eterodossi e reprimere la coalizione della diabolica protervia. Ma ebbe a trovarci talmente disposti a tale parere, da non doverne affatto risentire travaglio alcuno. Ricordiamo benissimo il detto del nostro Salvatore: “Vi do la mia pace, vi lascio la mia pace”. Siccome nondimeno alla stipulazione di questa pace erano d’ostacolo i dodici capitoli, da san Cirillo composti nel sinodo di Alessandria – i quali capitoli, perché parlavano di «unione fisica» in Cristo, venivano respinti dagli antiocheni come eterodossi – il benignissimo Patriarca, pur non riprovando né sconfessando questi scritti, perché in realtà proponevano la dottrina ortodossa, tuttavia in parecchie lettere spiegò meglio la sua intenzione, in modo da rimuovere qualsiasi anche minima parvenza d’errore, e da appianare più facilmente la via alla concordia. Ciò pertanto egli rese noto ai Vescovi, «non già come a oppositori, ma come a fratelli». Giacché a suo giudizio, «per la pace delle chiese e affinché queste a causa delle opinioni dissenzienti non restino separate le une dalle altre, sono tutt’altro che inutili le accondiscendenze». E così felicemente avvenne che la carità di s. Cirillo raccogliesse in abbondanza i desideratissimi frutti della pace. E quando finalmente ne poté scorgere i primi albori e pregustò la gioia del fraterno abbraccio ai Vescovi della provincia d’Antiochia risolutisi a condannare l’eresia nestoriana, nella ridondanza della celeste soddisfazione, esclamò: «”Si allietino i cieli ed esulti la terra!” È distrutta la parete interna di separazione; ciò che arrecava mestizia si è quietato; ogni occasione di dissidio è tolta di mezzo, dal momento che Cristo, Salvatore di noi tutti, ha concesso alle sue chiese la pace». – Purtroppo, come in quel lontanissimo tempo, così anche al presente, venerabili fratelli, per promuovere quell’auspicabile conciliazione dei figli dissidenti nell’unica Chiesa di Cristo, conciliazione alla quale tutti i buoni anelano, senza dubbio una sincera ed efficace benevolenza d’animo apporterà, col favore della divina grazia, il più valido contributo. Questo benevolo affetto infatti riscalda la mutua conoscenza. Per promuoverla e completarla i Nostri predecessori con svariati mezzi vi si adoperarono, nominatamente con la fondazione in quest’alma città del Pontificio Istituto di alti studi orientali. Così pure bisogna tenere nel debito conto tutto ciò che costituisce per gli orientali quasi un geloso patrimonio lasciato dai loro maggiori, e insieme ciò che si riferisce alla sacra liturgia e agli ordini gerarchici, nonché agli altri capisaldi della vita cristiana, a patto ben inteso, che tutto concordi pienamente con la genuina fede religiosa e con le rette norme dei costumi. È necessario infatti che tutti e singoli i popoli di rito orientale in tutto quello che dipende dalla storia, dal genio e dall’indole di ciascuno in particolare, abbiano una legittima libertà che pur tuttavia non contrasti con la vera e integra dottrina di Gesù Cristo. E questo lo sappiano e vi riflettano a fondo, sia coloro che sono nati nel grembo della Chiesa Cattolica, sia gli altri che con le ali del desiderio veleggiano alla sua volta. Anzi si persuadano tutti e tengano per certo che non saranno mai costretti a mutare i loro legittimi riti e le loro antiche istituzioni con le istituzioni e i riti latini. Gli uni e gli altri debbono essere tenuti in uguale stima e uguale lustro, perché incoronano di regale varietà la Chiesa madre comune. Né solo questo; ma siffatta diversità di riti e di istituzioni, mentre conserva intatto e inviolabile ciò che per ciascuna confessione è antico e prezioso, non si oppone affatto alla vera e sostanziale unità. Più che mai ai nostri giorni, dopoché la discordia e le competizioni della guerra quasi dappertutto hanno alienato gli uni dagli altri gli animi umani, occorre che tutti, mossi dalla cristiana carità, siano sempre più spinti a ripristinare con ogni mezzo l’unione in Cristo e per Cristo.

III

L’effetto peraltro della fede e della carità si rivelerebbe addirittura manchevole e inefficace allo scopo di rassodare l’unità nel Signore nostro Gesù Cristo, se non si appoggiasse a quella inconcussa pietra sopra la quale è stata da Dio fondata la Chiesa: vale a dire nella suprema Autorità di Pietro e dei suoi successori. La regola di condotta tenuta in questa gravissima controversia dal Patriarca alessandrino luminosamente lo prova. Tanto nella sconfitta dell’eresia nestoriana quanto nell’accordo coi Vescovi della provincia antiochena, egli si attenne alla più stretta e costante unione con questa Apostolica Sede. Quando infatti il vigilante presule si accorse che gli errori di Nestorio, con rischio della retta fede di giorno in giorno più pericolosi, s’insinuavano e progredivano per ogni parte, si rivolse al predecessore Nostro s. Celestino I, con una lettera, nella quale tra l’altro si legge: «Poiché Dio, in siffatte questioni, esige da noi vigilanza, e una vetusta consuetudine delle chiese ci persuade a comunicare simili questioni con la santità tua, ti scrivo, indottovi dalla stringente necessità». Alle quali parole risponde il Romano Pontefice che intende abbracciarlo «come se fosse presente nella sua lettera … molto più che gli sembra di riscontrare in lui i suoi identici sentimenti nel Signore». Perciò il Sommo Pontefice a questo così ortodosso dottore delegò l’autorità dell’Apostolica Sede, in forza della quale Autorità doveva curare l’esecuzione dei decreti già emessi nel sinodo romano contro Nestorio. A tutti poi è noto, venerabili fratelli, che il santo patriarca d’Alessandria nella celebrazione del concilio di Efeso tenne legalmente le veci del Romano Pontefice, il quale inoltre vi inviò i suoi propri legati, e loro raccomandò soprattutto che avvalorassero l’opera e l’autorità di s. Cirillo. Egli pertanto in nome del Vescovo di Roma presiede a quel sacro Concilio e primo fra tutti ne firmò gli atti. Tanto palesemente splendeva agli occhi d’ognuno la concordia fra la Sede Apostolica e la sede alessandrina, che nella seconda sessione del Concilio, quando pubblicamente fu letta la lettera di s. Celestino, i padri uscirono nelle seguenti acclamazioni: «Giusto giudizio questo. Al novello Paolo Celestino, al novello Paolo Cirillo, a Celestino custode della fede, a Celestino concorde col Concilio, a Celestino l’intero Concilio rende grazie. Uno Celestino, uno Cirillo, una la fede dell’orbe terracqueo». Nessuna meraviglia quindi se poco dopo lo stesso Cirillo poté scrivere: «Alla rettitudine della sua fede rese testimonianza sia la chiesa di Roma, sia il santo Concilio, adunato, per così dire, dall’universalità dell’orbe che si stende sotto il cielo». – Oltre a ciò, questa medesima unione costantissima di s. Cirillo con la Sede Apostolica risulta evidente, se poniamo mente al suo modo di procedere nelle trattative per l’inizio e il rafforzamento della pace coi Vescovi della provincia antiochena. Il Nostro predecessore s. Celestino sebbene approvasse e confermasse tutto quello che il presule alessandrino aveva fatto nel concilio di Efeso, giudicò nondimeno di doverne eccettuare la sentenza di scomunica, che il presidente del Concilio insieme con gli altri Padri aveva pronunziata contro gli antiocheni. «Riguardo a quelli – così il Romano Pontefice – che sembrano consentire nella stessa empietà di Nestorio… per quanto si legga contro di essi la sentenza vostra, purtuttavia noi pure stabiliamo quel che ci sembra opportuno. In siffatte cause molte circostanze bisogna considerare, ché la Sede Apostolica sempre suole tenere presenti…. Se dà speranza di correzione, vogliamo che la vostra fraternità s’intenda per lettera con l’Antiocheno… Giova aspettarsi dalla divina misericordia che tutti tornino sulla via del vero». E s. Cirillo, obbedendo a questa norma, suggeritagli dalla Sede Romana, cominciò a trattare coi Vescovi della provincia antiochena del ristabilimento della pace e del modo di venire a un accordo. Frattanto s. Celestino passò piamente da questa vita. Allora avvenne che del suo successore Sisto III alcuni prendessero a riferire non essergli piaciuto che Nestorio fosse stato deposto. A queste voci il patriarca d’Alessandria tagliò corto con la seguente dichiarazione: «Ha scritto (Sisto) in piena armonia col santo Concilio, ha confermato tutte le sue decisioni e sta dalla parte nostra». – Da tutto quello che abbiamo qui riportato risulta a evidenza che s. Cirillo appieno consentì con questa Apostolica Sede, e risulta del pari che i Nostri antecessori ritennero per propri gli atti di lui e li onorarono di meritate lodi. Prova ne sia che s. Celestino, non contento di avergli attestato innumerevoli volte la fiducia e la gratitudine sua, gli scriveva tra l’altro così: «Ci congratuliamo della vigilanza che nella santità tua è tanta, da sorpassare ormai gli esempi dei tuoi predecessori, i quali essi pure difesero sempre strenuamente i dogmi dell’ortodossia… Hai scoperto tutte le fallacie della più scaltra predicazione… Ridonda a non piccolo trionfo della nostra fede non solo l’esserti affermato con tanta fortezza sui nostri capisaldi, ma l’avere controbattuto gli avversari così come hai fatto con l’appoggio della sacra Scrittura». Allorché poi s. Sisto III, successore di Celestino nel supremo Pontificato, ebbe ricevuto dal patriarca d’Alessandria l’annunzio della pace e dell’unità raggiunta, gli espresse la sua letizia nei termini seguenti: «Ecco che mentre stavamo in ansia, perché vogliamo che nessuno perisca, la santità tua con la sua lettera ci significa redintegrato il Corpo della Chiesa. Ritornate le sue compagini nelle proprie membra, nessuno più vediamo andare errando al di fuori, perché un’unica fede attesta che tutti stanno al loro posto di dentro. … Al beato Apostolo Pietro ha fatto capo la fratellanza universale: ecco qui un ascoltatorio che si confà agli ascoltatori, che conviene alle cose da ascoltare. … A noi sono tornati i fratelli, a noi, dico, che perseguendo per comune desiderio il morbo, abbiamo curato la guarigione delle anime. … Esulta, fratello carissimo, e quale vincitore rallegrati perché i fratelli si sono a noi ricongiunti. La Chiesa ha accolto finalmente coloro che ricercava. Poiché se nessuno vogliamo che perisca dei piccoli, quanto più dobbiamo godere della guarigione dei reggitori». Dalle quali parole dell’antecessore consolato, il presule Alessandrino, vindice invitto della fede ortodossa e artefice premurosissimo della cristiana concordia, riposò nella pace di Cristo. – Noi pertanto, venerabili fratelli, nel celebrare la memoria quindici volte centenaria di questo avvenimento, niente desideriamo e auguriamo più vivamente, se non che quanti si fregiano del nome cristiano, col patrocinio e l’esempio di s. Cirillo promuovano ogni giorno più il ritorno dei fratelli orientali dissidenti, a Noi e all’unica Chiesa di Gesù Cristo. Unica sia per tutti l’intemeratezza della Fede, unica la Carità che tutti insieme ci saldi nel mistico Corpo di Gesù Cristo, unica infine e premurosamente attiva la fedeltà alla Sede del beato Pietro. A quest’opera degna e meritevolissima non solo impieghino tutte le loro forze coloro che vivono in Oriente, i quali con la mutua stima, col benevolo tratto, con l’esempio dei costumi integerrimi, più facilmente potranno attrarre all’unità della Chiesa i fratelli separati, e più degli altri i sacri ministri; ma tutti altresì i fedeli, implorando da Dio con le preghiere l’unità del regno del divin Redentore in ogni parte del mondo, e l’unità dell’universale ovile. A tutti costoro raccomandiamo anzitutto quel validissimo concorso e aiuto, che in qualsiasi iniziativa da intraprendere a salute delle anime, deve essere primo di tempo e precipuo d’efficacia: la preghiera, vogliamo dire, rivolta a Dio con cuore umile e fiducioso. Desideriamo poi che s’interponga il potentissimo patrocinio della Vergine Genitrice di Dio, affinché per la mediazione di questa benignissima e amantissima Madre di tutti, il divino Spirito illumini con la sua superna luce l’animo degli orientali, sì che tutti siamo una cosa sola nell’unica Chiesa, da Gesù Cristo fondata, e dallo stesso Spirito paraclito nutrita con incessante pioggia di grazie e sospinta verso la santità. A quelli poi che vivono nei seminari o in altri collegi, in modo speciale intendiamo raccomandare la «Giornata pro Oriente». In quel giorno s’innalzino più ardenti preghiere al divino Pastore della Chiesa universale, e con crescente premura si stimolino i giovani al desiderio di vedere raggiunta questa santissima unità. Tutti infine coloro che, o insigniti degli ordini sacri, o ascritti all’Azione cattolica e alle altre associazioni, aiutano l’opera gerarchica del Clero sia con la preghiera, sia con gli scritti, sia con la parola, promuovano quanto meglio possono la desideratissima unione degli orientali tutti quanti col Pastore comune. – Faccia Iddio che questo Nostro paterno invito sia ascoltato con buone disposizioni anche da quei Vescovi dissidenti e dai loro greggi, i quali, per quanto separati da Noi, encomiano e venerano tuttavia come domestica loro gloria il Patriarca d’Alessandria. Sia per essi questo preclarissimo dottore maestro ed esempio a restaurare di nuovo la concordia con quel triplice vincolo, che egli, come cosa assolutamente necessaria, raccomandò tanto, e col quale il divino Fondatore della chiesa volle che i suoi figli si sentissero avvinti. Si ricordino inoltre che Noi oggi, per disposizione della divina Provvidenza, occupiamo quell’Apostolica Sede, alla quale il presule alessandrino, spintovi dalla responsabilità del proprio ufficio, si rivolse, sia per difendere contro gli errori di Nestorio con armi sicure la Fede ortodossa, sia altresì perché l’ottenuto pacifico consenso dei confratelli prima dissidenti fosse poi ratificato quasi da sigillo divino. Sappiano anche che Noi siamo mossi dalla stessa carità dei Nostri predecessori e che a questo soprattutto con preghiere assidue tendiamo che, cioè, tolti felicemente di mezzo gli ostacoli inveterati, spunti alfine il sospirato giorno in cui l’intero gregge si trovi raccolto nell’unico ovile sotto la concorde e volenterosa dipendenza da Gesù Cristo nostro Signore e dal suo vicario in terra. – In particolare maniera poi Ci rivolgiamo a quei figli dissidenti tra gli orientali che, mentre venerano moltissimo s. Cirillo, tuttavia non ammettono l’autorità del Concilio Calcedonese, perché in esso fu solennemente definita la duplice natura nella Persona di Gesù Cristo. Riflettano costoro che il Patriarca d’Alessandria non si oppone con la sua sentenza alle deliberazioni, le quali di poi al sorgere di nuovi errori furono dallo stesso concilio di Calcedonia stabilite. Infatti apertamente egli scrive: «Non tutto quello che gli eretici dicono, si deve subito scartare e ripudiare: molte cose professano di quelle che noi pure ammettiamo… Ciò vale anche riguardo a Nestorio; sebbene egli affermi le due nature a significare la differenza dell’umanità e della divinità nel Verbo: e invero altra è la natura del Verbo, altra quella dell’uomo: tuttavia non professa l’unione con noi». – Similmente giova sperare che anche gli odierni seguaci di Nestorio se, senza lasciarsi prendere la mano da pregiudicate opinioni, sottopongono ad attento esame gli scritti di s. Cirillo, siano per vedersi aperta la strada alla verità, e per sentirsi richiamare con l’aiuto della grazia divina al grembo della chiesa cattolica. – Niente altro ormai Ci resta, venerabili fratelli, se non implorare con le supplici Nostre preghiere, durante questo XV centenario di s. Cirillo, sulla Chiesa tutta, ma specialmente su quelli che in Oriente si gloriano del nome Cristiano, il propizio patrocinio di questo santo Dottore, domandando soprattutto che nei fratelli e nei figli dissidenti felicemente si compia ciò che egli un giorno congratulandosi scrisse: «Ecco che le membra avulse del coro della chiesa di nuovo si sono tra loro riunite, e nulla ormai più rimane che per discordia divida i ministri dell’evangelo di Cristo». – Sostenuti da questa soavissima speranza, sia voi tutti e singolarmente, venerabili fratelli, sia al gregge a ciascuno di voi affidato, in auspicio dei celesti favori, e in attestato della paterna Nostra benevolenza, impartiamo con ogni affetto nel Signore l’apostolica benedizione.

Roma, presso S. Pietro, il 9 aprile, domenica di risurrezione di nostro Signore Gesù Cristo, dell’anno 1944, VI del Nostro pontificato.

PREGHIERE PER I MORIBONDI (con il Proficiscere)

PREGHIERE PER I MORIBONDI

[Ex Breviarium Romanum]

ORDO COMMENDATIONIS ANIMÆ

Tit. VI, cap. VII

Primum dicuntur Litaniæ breves in hunc modum:

KYRIE, eleison.

Christe, eleison.

Kyrie, eleison.

Sancta Maria, … ora prò eo (ea).

Omnes sancti Angeli et Archàngeli, … orate prò eo (ea).

Sancte Abel, … ora…

Omnis chorus Iustórum, ora…

Sancte Abraham, ora…

Sancte Ioànnes Baptista, ora…

Sancte Ioseph, ora…

Omnes sancti Patriàrchæ et Prophétæ, orate…

Sancte Petre, ora…

Sancte Paule, ora…

Sancte Andrea, ora…

Sancte Ioànnes, ora…

Omnes sancti Apóstoli et Evangelistæ, orate…

Omnes sancti Discipuli Dòmini, orate prò eo (ea)…

Omnes sancti Innocéntes, orate prò eo (ea)…

Sancte Stéphane, ora…

Sancte Laurénti, ora…

Omnes sancti Màrtyres, orate…

Sancte Silvéster, ora…

Sancte Gregóri, ora…

Sancte Augustine, ora…

Omnes sancti Pontifices et Confessóres, orate…

Sancte Benedicte, ora…

Sancte Francisce, ora…

Sancte Camille, ora…

Sancte Ioànnes de Deo, ora…

Omnes sancti Monachi et Eremitæ, orate…

Sancta Maria Magdaléna, ora…

Sancta Lucia, ora…

Omnes sanctæ Virgines et Viduæ, orate…

Omnes Sancti et Sanctae Dei, intercédite prò eo (ea).

Propitius esto, parce ei, Dòmine.

Propitius esto, libera eum (eam), Dòmine.

Propitius esto, libera…

Ab ira tua, libera…

A periculo mortis, libera…

A mala morte, libera…

A pœnis infèrni, libera…

Ab omni malo, libera…

A potestàte diàboli, libera…

Per nativitàtem tuam, libera…

Per crucem et passiónem tuam, libera eum (eam), Dòmine.

Per mortem et sepulturam tuam, libera…

Per gloriósam resurrectiónem tuam, libera…

Per admiràbilem ascensiónem tuam, libera…

Per gràtiam Spiritus Sancti Paràcliti, libera…

In die iudicii, libera…

Peccatóres, te rogàmus, audi nos.

Ut ei parcas, te rogàmus, audi nos.

Kyrie, eleison.

Christe, eleison.

Kyrie, eleison.

[Deinde, cum in agone sui exitus anima anxiatur, dicuntur sequentes orationes:]

Oratio

PROFICISCERE

PROFICISCERE, ànima Christiana, de hoc mundo, in nòmine Dei Patris omnipoténtis, qui te creàvit: in nòmine Iesu Christi Filii Dei vivi, qui prò te passus est: in nòmine Spiritus Sancti, qui in te effùsus est: in nòmine gloriósæ et sanctæ Dei Genetricis Virginis Mariae: in nòmine beati Ioseph, incliti eiùsdem Virginis Sponsi: in nòmine Angelórum et Archangelórum: in nòmine Thronórum et Dominatiónum: in nòmine Principàtuum et Potestàtum: in nòmine Virtùtum, Cherubim et Séraphim: in nòmine Patriarchàrum et Prophetàrum: in nòmine sanctórum Apostolórum et Evangelistàrum: in nòmine sanctorum Màrtyrum et Confessórum: in nòmine sanctórum Monachórum et Eremitàrum: in nòmine sanctàrum Virginum Sanctórum et Sanctàrum Dei. Hódie sit in pace locus tuus, et habitàtio tua in sancta Sion. Per eùndem Christum Dòminum nostrum.

R . Amen,

Oratio

DEUS miséricors,

Deus clemens, Deus, qui secùndum multitùdinem miserationum tuarum peccata pœniténtium deles, et præferitórum criminum culpas vènia remissiónis evacuas: réspice propitius super hunc fàmulum tuum (N) (fàmulam tuam N), et remissiónem omnium peccatórum suorum, tota cordis confessióne poscéntem, deprecàtus exàudi. Rénova in eo (ea), piissime Pater, quidquid terréna fragilitàte corruptum, vel quidquid diabolica fraude violàtum est: et unitàti córporis Ecclèsiæ membrum redemptiónis annécte. Miserére, Dòmine, gemituum, miserére lacrimàrum eius ; et, non habéntem fidùciam nisi in tua misericòrdia, ad tuæ sacraméntum reconciliatiónis admitte. Per Christum Dóminum nostrum.

R. Amen.

Oratio

COMMENDO  

te omnipotenti Deo, carissime frater (carissima soror), et ei, cuius es creatura, committo: ut, cum humanitatis debitum morte intervenente persolveris, ad auctorem tuum, qui te de limo terræ formaverat, revertaris. Egrediénti itaque ànimæ tuæ de córpore spléndidus Angelórum cœtus occùrrat : iudex Apostolórum tibi senàtus advéniat: candidatórum tibi Màrtyrum triumphàtor exércitus óbviet: liliàta rutilàntium te Confessórum turma circùmdet: iubilàntium te Virginum chorus excipiat: et beatæ quiétis in sinu Patriarchàrum te compléxus astringat: sanctus Ioseph, moriéntium Patrónus dulcissimus, in magnam spem te érigat: sancta Dei Génetrix Virgo Maria suos benigna óculos ad te convértat: mitis, atque festivus Christi Iesu tibi aspéctus appàreat, qui te inter assisténtes sibi iùgiter interèsse decérnat. Ignóres omne, quod horret in ténebris, quod stridet in flammis, quod crùciat in torméntis. Cedat tibi tetérrimus sàtanas cum satellitibus suis: in advéntu tuo, te comitàntibus Angelis contremiscat, atque in ætérna? noctis chaos immane diffugiat. Exsùrgat Deus, et dissipéntur inimici eius, et fùgiant qui odérunt eum, a fàcie eius. Sicut deficit fumus, deficiant: sicut fluit cera a fàcie ignis, sic péreant peccatóres a fàcie Dei. Et iusti epuléntur, et exsùltent in conspéctu Dei. Confundàntur igitur et erubéscant omnes tartàrea? legiónes, et ministri sàtanæ iter tuum impedire non àudeant. Liberet te a cruciàtu Christus, qui prò te crucifixus est. Liberet te ab ætérna morte Christus, qui prò te mori dignàtus est. Constituat te Christus Filius Dei vivi intra paradisi sui semper amœna viréntia, et inter oves suas te verus ille Pastor agnóscat. Ille ab òmnibus peccàtis tuis te absólvat, atque ad déxteram suam in electórum suórum te sorte constìtuat. Redemptórem tuum fàcie ad fàciem videas, et præsens semper assistens, manifestissimam beàtis óculis aspicias veritàtem. Constitùtus (-a) igitur inter àgmina Beatórum contemplatiónis divinæ dulcédinepotiàris in sæcula sæculórum.

R. Amen.

Oratio

SUSCIPE,

Dòmine, servum tuum (ancillam tuam) in locum sperànda? sibi salvatiónis a misericòrdia tua.

R . Amen.

Libera, Dòmine, ànimam servi tui (anelilæ tuæ) ex òmnibus periculis infèrni, et de làqueis pœnàrum, et ex òmnibus tribulatiónibus.

R . Amen.

Libera, Dòmine, ànimam servi tui (ancillæ tuæ),sicut liberasti Henoch et Eliam de commùni morte mundi,

R. Amen.

Libera, Dòmine, ànimam servi tui (ancillæ tuæ), sicut liberasti Noè de dilùvio.

R. Amen.

Libera, Dòmine, ànimam servi tui (ancillæ tuæ), sicut liberasti Abraham de Ur Chaldæórum.

R . Amen.

Libera, Dòmine, ànimam servi tui (ancillæ tuæ), sicut liberasti Iob de passiónibus suis.!

R. Amen.

Libera, Dòmine, ànimam servi tui (ancilla? tua?), sicut liberasti Isaac de hóstia, et de manu patris sui Abrahæ.

R. Amen.

Libera, Dòmine, ànimam servi tui (ancillæ tuæ), sicut liberasti Lot de Sódomis, et de fiamma ignis.

R. Amen.

Libera, Dòmine, ànimam servi tui (ancillæ tuæ) ut liberasti Móysen de manu Pharaónis regis Ægyptiórum.

R. Amen.

Libera, Dòmine, ànimam servi tui (ancillæ tuæ), sicut liberasti Daniélem de lacu leónum.

R. Amen.

Libera, Dòmine, ànimam servi tui ancillæ tuæ), sicut liberasti tres pùeros de camino ignis ardéntis, et de manu regis iniqui.

R. Amen.

Libera, Dòmine, ànimam servi tui (ancillæ tuæ) ut liberasti Susànnam de falso crimine.

R. Amen.

Libera, Dòmine, ànimam servi tui (ancillæ tuæ), sicut liberasti David de manu regis Saul et de manu Golia?

R. Amen.

Libera, Dòmine, ànimam servi tui lancillæ tuæ) ut liberasti Petrum et Paulum de carcéribus.

R. Amen.

Et sicut beatissimam Theclam Virginem et Màrtyrem tuam de tribus atrocissimis torméntis liberasti, sic liberare dignéris ànimam huius servi tui (ancillæ tuæ), et tecum fàcias in bonis congaudére cæléstibus.

R. Amen.

Oratio

COMMENDAMUS

tibi, Dòmine, ànimam fàmuli tui (fàmulæ tuæ) N, precamùrque te, Dòmine Iesu Christe, Salvator mundi, ut, propter quam ad terram misericórditer descendisti, Patriarchàrum tuórum sinibus insinuare non rénuas. Agnósce, Dòmine, creaturam tuam, non a diis aliénis creàtam, sed a te, solo Deo vivo et vero: quia non est àlius Deus præter te, et non est secundum òpera tua. Lætifica, Dòmine, ànimam eius in conspéctu tuo; et ne memineris iniquitàtum eius antiquàrum, et ebrietàtum, quas suscitàvit furor, sive fervor mali desidérii. Licet enim peccàverit, tamen Patrem, et Filium, et Spiritum Sanctum non negàvit, sed crédidit, et zelum Dei in se hàbuit, et Deum, qui fecit omnia, fidéliter adoràvit.

Oratio

DELICTA

iuventùtis, et ignoràntias eius, quæsumus, ne memineris, Dòmine: sed secùndum magnam misericórdiam tuam memor esto illius in glòria claritàtis tuæ. Aperiàntur ei cœli, collæténtur illi Angeli. In regnum tuum, Dòmine, servum tuum (ancillam tuam) sùscipe. Suscipiat eum (eam) sanctus Michaël Archàngelus Dei, qui militiæ cæléstis méruit principàtum. Véniant illi óbviam sancti Angeli Dei, et perdùcant eum (eam) in civitàtem cæléstem, Ierùsalem. Suscipiat eum (eam) beàtus Petrus Apóstolus, cui a Deo claves regni cæléstis tràditæ sunt. Adiuvet eum (eam) sanctus Paulus Apóstolus, qui dignus fuit esse vas electiónis. Intercédat prò eo (ea) sanctus Ioànnes, eléctus Dei Apóstolus, cui revelàta sunt secreta cæléstia. Orent prò eo (ea) omnes sancti Apóstoli, quibus a Dòmino data est potéstas ligàndi atque solvéndi. Intercédant prò eo (ea) omnes Sancti et Elécti Dei, qui prò Christi nòmine torménta in hoc sæculo sustinuérunt: ut, vinculis carnis exùtus (-a), pervenire mereàtur ad glóriam regni cæléstis, præstànte Dòmino nostro Iesu Christo: Qui cum Patre et Spiritu Sancto vivit et regnat in sæcula sæculórum.

R. Amen.

Oratio

CLEMENTISSIMA

Virgo Dei Génetrix, Maria, mæréntium piissima consolàtrix, fàmuli (-æ) N. spiritum Filio suo comméndet: ut, hoc matèrno intervenni, terróres mortis non timeat; sed desideratali! cæléstis pàtria? mansiónem, ea cómite, lætus (laeta) àdeat.

R. Amen.

Oratio

AD te

confùgio, sancte Ioseph, Patròne moriéntium, tibique, in cuius beato trànsitu vigiles adstitérunt Iesus et Maria, per hoc utrumque carissimum pignus, ànimam huius fàmuli N. (fàmulæ N.) in extrémo agóne laboràntem, enixe commendo, ut ab insidiis diàboli, et a morte perpètua, te protegénte, liberétur, et ad gàudia ætérna pervenire mereàtur. Per eùndem Christum Dóminum nostrum.

R. Amen.

(Si anxiatur adhuc anima, dicuntur hi psalmi, videlicet psalmus CXVII Confitémini Dòmino, et totus psalmus CXVIII Beati immaculàti per Horas dominicæ distributus).

IN EXSPIRATIONE

Tit. VI, cap. VIII

Moriens, si potest, dicat; vel, si non potest, assistens, sive Sacerdos prò eo Clara voce pronuntiet:

[Se può, il moribondo, (se non può un assistente, o il sacerdote), dica con voce chiara: Gesù, Gesù, Gesù]

Iesu, Iesu, Iesu.

Quod et ea quæ sequuntur, ad illius aures, si videbitur, etiam sæpius repetat:

[Si ripeta spesso, vicino alle sue orecchie:]

IN manus tuas, Dòmine, commendo spiritum meum.

Dòmine Iesu Christe, sùscipe spiritum meum.

[Signore Gesù Cristo, accogliete lo spirito mio]

Sancta Maria, ora prò me.

Maria, mater gràtiæ, mater misericórdiæ, tu me ab hoste prótege, et hora mortis

sùscipe. [Maria, madre di grazia, madre di misericordia, proteggimi dal maligno ed accoglimi nell’ora della morte]

Sancte Ioseph, ora prò me.

Sancte Ioseph, cum beata Virgine Sponsa tua, àperi mihi divinæ misericórdiæ sinum. [San Giuseppe, con la tua Vergine Sposa, aprimi il seno della divina misericordia]

Iesu, Maria, Ioseph, vobis cor et ànimam meam dono.

[Gesù, Giuseppe e Maria, vi dono il cuore e l’anima mia]

Iesu, Maria, Ioseph, adstàte mihi in extrémo agóne.

[Gesù, Giuseppe e Maria, assistetemi nell’estremo agone]

Iesu, Maria, Ioseph, in pace vobiscum dórmiam et requiéscam.

[Gesù, Giuseppe e Maria, riposi in pace con voi l’anima mia]

Egressa autem anima, dicitur hoc:

[Uscita l’anima, di dice:]

Subvenite, Sancti Dei, occùrrite, Angeli Dòmini,

* Suscipiéntes ànimam eius, * Offeréntes eam in conspéctu Altissimi,

v. Suscipiatte Christus, qui vocàvit te, et in sinum Abrahas Angeli dedùcant te

***

[Proficiscere. – Parti, anima cristiana, da questo mondo, in Nome di Dio Padre onnipotente che ti creò, in Nome di Gesù Cristo, Figlio di Dio vivo, che patì per te; in Nome dello Spirito Santo, che fu diffuso in te; in Nome della gloriosa e santa Madre di Dio la Vergine Maria; – in nome dei Troni e Dominazioni; – in nome dei Principati e Potestà; – in nome dei Cherubini e Serafini; – in nome dei Patriarchi e Profeti; – in nome dei santi Martiri e Confessori; – in nome dei santi Monaci ed Eremiti; – in nome delle sante Vergini e di tutti i Santi e Sante di Dio: oggi sia nella pace il tuo soggiorno e la tua dimora nella celeste Gerusalemme. Per lo stesso Cristo Signor nostro. Così sia.

Ti raccomando, carissimo fratello (sorella) a Dio onnipotente; a Lui, di cui sei creatura, ti affido, affinché, pagato che avrai, mediante la morte, il debito dell’umanità, ritorni al tuo Autore che ti formò dal fango della terra. – Perciò all’anima tua, uscente dal corpo, si faccia innanzi splendido corteo d’Angeli, venga a te il Senato giudice degli Apostoli, si muova ad incontrati l’esercito trionfante dei Martiri, ti circondi la casta turba dei candidi Confessori; t’accolga il coro delle Vergini festanti, ti stringano al seno i Patriarchi e ti stabiliscano nel possesso della beata requie: la santa Madre di Dio, la Vergine Maria, rivolga a te i suoi occhi: mite e gioioso Gesù Cristo ti mostri il suo volto e t’ammetta tra coloro che continuamente lo assistono. Possa tu ignorare gli orrori delle tenebre, gli stridori delle fiamme, lo strazio dei tormenti. – Si ritiri te il crudelissimo satana coi suoi satelliti, e nella tua dipartita, essendo tu in compagnia degli Angeli, tremi e fugga nell’immane caos della notte eterna.

Sorga Dio, e sian dispersi i suoi nemici, e fuggano quei che l’odiano dinanzi a Lui. Come svanisce il fumo, svaniscano essi: qual si strugge la cera innanzi al fuoco, così periscano gli empi dinanzi a Dio: e i giusti banchettino ed esultino dinanzi a Lui. Sian perciò confuse e svergognate tutte le legioni infernali, e i ministri di satana non osino ostacolare il tuo viaggio. Ti liberi dalle pene Cristo, che fu crocifisso per te.  Ti liberi dalla morte eterna Cristo, che si degnò morire per te. Cristo, Figlio di Dio vivo, ti stabilisca tra le sempre amene verzure del suo paradiso ed Egli, vero Pastore, ti annoveri tra le sue pecore. Egli t’assolva da tutti i tuoi peccati, e ti collochi alla sua destra insieme coi suoi eletti. Che tu veda il Redentore faccia a faccia e, ministro sempre assiduo, ne contempli coi beati occhi la manifestissima verità. Posto (a) dunque tra le schiere dei Beati, possa tu gustare la dolcezza dellacontemplazione divina, nei secoli dei secoli.

R. Così sia.

Ricevi, Signore, il tuo servo (tua serva) nel luogo della salvezza che gli fa sperare la tua misericordia. Così sia (ogni volta).

Libera, Signore, l’anima del tuo servo, da tutti i pericoli dell’inferno, dai lacci di pena e da tutte le tribolazioni.

Libera, Signore, l’anima del tuo servo siccome liberasti Enoc ed Elia dalla comune morte del mondo.

Libera, Signore, l’anima dei tuo servo come liberasti Noè dal diluvio.

Libera, Signore, l’anima del tuo servo come liberasti Abramo da Ur dei Caldei.

Libera, Signore, l’anima del tuo servo, come liberasti Giobbe dalle sue sofferenze,

Libera, Signore, l’anima del tuo servo, come liberasti Isacco dall’essere immolato dalla mano di suo padre Abramo.

Libera, Signore, l’anima del tuo servo, come liberasti Lot dai Sodomiti, e dalla fiamma del fuoco.

Libera, Signore, l’anima del tuo servo, come liberasti Mosè dalle mani di Faraone, re d’Egitto.

Libera, Signore, l’anima del tuo servo, come liberasti Daniele dalla fossa dei leoni.

Libera, Signore, l’anima del tuo servo, come liberasti i tre fanciulli dalla fornace del fuoco ardente e dalle mani dell’iniquo re.

Libera, Signore, l’anima del tuo servo, come liberasti Susanna dalla falsa accusa.

Libera Signore, l’anima del tuo servo, come liberasti David dalle mani del re Saul e dalle mani di Golia.

Libera, Signore, l’anima del tuo servo, come liberasti Pietro e Paolo dalle carceri.

E come liberasti la beatissima Tecla, Vergine e Martire tua, da tre atrocissimi tormenti, così degnati liberare l’anima di questo(a) servo(a) e farlo gioire con te dei beni celesti.

Non rammentare, Signore, le colpe ed ignoranze di sua gioventù, ma secondo la tua grande misericordia ricordati di lui (di lei) nello splendore di tua gloria, gli (le) si aprano i cieli, si allietino con lui (lei) gli Angeli. Accogli, Signore il tuo servo (la tua serva) nel tuo regno. Lo (la) riceva l’Arcangelo san Michele i l quale meritò il principato della milizia celeste. Gli (le) vengano incontro i santi Angeli di Dio, e lo (la) conducano nella città della celeste Gerusalemme. Lo (la) riceva il beato Apostolo Pietro, che ricevé da Dio le chiavi del regno celeste. Lo (la) soccorra l’Apostolo san Paolo, che meritò d’essere vaso d’elezione. Interceda per lui (lei) san Giovanni, il prediletto Apostolo di Dio, cui furono rivelati i segreti celesti. Preghino per lui tutti i santi Apostoli ch’ebbero dal Signore il potere di legare e sciogliere, intercedano per l lui (lei) tutti i santi ed eletti di Dio che sostennero tormenti in questo mondo pel nome di Cristo; affinché, sciolto (sciolta) dai vincoli della carne, meriti giungere alla gloria del regno celeste, con l’aiuto del nostro Signore Gesù Cristo: il quale col Padre e con lo Spirito Santo vive e regna nei secoli dei secoli. Cosi sia.

La clementissima Vergine Madre di Dio, Maria, piissima consolatrice degli afflitti, raccomandi al suo Figlio lo spirito del suo servo (a) N. N.; affinché egli (ella), per questa materna intercessione, non paventi i terrori della morte: ma lieto, in compagnia di Lei, arrivi al sospirato possesso della patria celeste.

R. Cosi sia.

A te ricorro, o S. Giuseppe, Patrono dei moribondi, e a te, al cui beato transito si trovarono presenti Gesù e Maria, per questo doppio carissimo pegno, raccomando caldamente l’anima di questo (a) servo (a) N. N. agonizzante, affinché col tuo aiuto sia liberato (a) dalle insidie del demonio e dalla morte eterna, e meriti di giungere ai celesti gaudi. Così sia.

ORAZIONE

O Dio, che condannandoci alla morte, ce ne avete nascosto il momento e l’ora, fate che io, passando nella giustizia e nella santità tutti i giorni della vita, possa meritare d’uscire da questo mondo nel vostro santo amore, per i meriti  di nostro Signore Gesù Cristo, che vive e regna con Voi nell’unità dello Spirito Santo. Così sia.]

DOMENICA X DOPO PENTECOSTE (2019)

DOMENICA X DOPO PENTECOSTE (2019)

Incipit

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Ps LIV: 17; 18; 20; 23
Dum clamárem ad Dóminum, exaudívit vocem meam, ab his, qui appropínquant mihi: et humiliávit eos, qui est ante saecula et manet in ætérnum: jacta cogitátum tuum in Dómino, et ipse te enútriet. [Quando invocai il Signore, esaudí la mia preghiera, salvandomi da quelli che stavano contro di me: e li umiliò, Egli che è prima di tutti i secoli e sarà in eterno: abbandona al Signore ogni tua cura ed Egli ti nutrirà.]
Ps LIV:2
Exáudi, Deus, oratiónem meam, et ne despéxeris deprecatiónem meam: inténde mihi et exáudi me.
[O Signore, esaudisci la mia preghiera e non disprezzare la mia supplica: ascoltami ed esaudiscimi.]
Dum clamárem ad Dóminum, exaudívit vocem meam, ab his, qui appropínquant mihi: et humiliávit eos, qui est ante sæcula et manet in ætérnum: jacta cogitátum tuum in Dómino, et ipse te enútriet.
[Quando invocai il Signore, esaudí la mia preghiera, salvandomi da quelli che stavano contro di me: e li umiliò, Egli che è prima di tutti i secoli e sarà in eterno: abbandona al Signore ogni tua cura ed Egli ti nutrirà.]

Oratio

Orémus.
Deus, qui omnipoténtiam tuam parcéndo máxime et miserándo maniféstas: multíplica super nos misericórdiam tuam; ut, ad tua promíssa curréntes, cœléstium bonórum fácias esse consórtes.
[O Dio, che manifesti la tua onnipotenza soprattutto perdonando e compatendo, moltiplica su di noi la tua misericordia, affinché quanti anelano alle tue promesse, Tu li renda partecipi dei beni celesti.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Corínthios.
1 Cor XII: 2-11
Fratres: Scitis, quóniam, cum gentes essétis, ad simulácra muta prout ducebámini eúntes. Ideo notum vobisfacio, quod nemo in Spíritu Dei loquens, dicit anáthema Jesu. Et nemo potest dícere, Dóminus Jesus, nisi in Spíritu Sancto. Divisiónes vero gratiárum sunt, idem autem Spíritus. Et divisiónes ministratiónum sunt, idem autem Dóminus. Et divisiónes operatiónum sunt, idem vero Deus, qui operátur ómnia in ómnibus. Unicuíque autem datur manifestátio Spíritus ad utilitátem. Alii quidem per Spíritum datur sermo sapiéntiæ álii autem sermo sciéntiæ secúndum eúndem Spíritum: álteri fides in eódem Spíritu: álii grátia sanitátum in uno Spíritu: álii operátio virtútum, álii prophétia, álii discrétio spirítuum, álii génera linguárum, álii interpretátio sermónum. Hæc autem ómnia operátur unus atque idem Spíritus, dívidens síngulis, prout vult.

Omelia I

[A. Castellazzi: La scuola degli Apostoli – Sc. Tip. Vescov. Artigianelli, Pavia, 1920]

LE DIVERSE CONDIZIONI SOCIALI

“Fratelli: Voi sapete che quando eravate gentili correvate ai simulacri muti, secondo che vi si conduceva. Perciò vi dichiaro che nessuno, il quale parli nello Spirito di Dio dice: «Anatema a Gesù»; e nessuno può dire: «Gesù Signore», se non nello Spirito Santo. C’è, sì, diversità di doni; ma lo Spirito è il medesimo. Ci sono ministeri diversi, ma il medesimo Signore; ci sono operazioni differenti, ma è il medesimo Dio che opera tutto in tutti. A ciascuno poi è data la manifestazione dello Spirito, perché sia d’utilità. Mediante lo Spirito a uno è data la parola di sapienza, a un altro è data la parola di scienza, secondo il medesimo Spirito. A un altro è data nel medesimo Spirito la fede; nel medesimo Spirito a un altro è dato il dono delle guarigioni: a un altro il potere di far miracoli; a un altro la profezia; a un altro il discernimento degli spiriti; a un altro la varietà delle lingue, a un altro il dono d’interpretarle. Ma tutte queste cose le opera l’unico e medesimo Spirito, il quale distribuisce a ciascuno come gli piace”.

Nei primi tempi della Chiesa, quando essa aveva maggior bisogno di prove esterne per affermarsi e dilatarsi, ai fedeli venivano concessi, visibilmente e in abbondanza, doni spirituali. Erano doni che dovevano servire non al vantaggio personale di chi li possedeva, ma per il bene generale della comunità cristiana. Nell’Epistola riportata, S. Paolo ne enumera nove. I Corinti, abbondantemente forniti di questi doni se ne insuperbivano. L’Apostolo per togliere tale abuso, stabilita la regola che, per conoscere se tali doni vengono da Dio o dal demonio, è da attendere se promuovono la fede in Gesù Cristo e il suo amore, insegna che, sebbene questi doni siano vari, distribuiti parte agli uni, parte agli altri; è lo stesso Spirito Santo che li distribuisce. Se sono molteplici e diversi i ministeri che si esercitano nella Chiesa; quelli che li esercitano sono tutti servi dello stesso Signore, Gesù Cristo. Se sono molteplici gli effetti prodotti da questi doni e da questi ministeri, è lo stesso Dio che opera in tutti. Il dono, poi, a chiunque sia stato concesso, è stato concesso per utilità degli altri. – La conseguenza da tirare è facile. I Corinti non avevano nessun motivo di orgoglio o di vanità per ì doni ricevuti. Quelli poi che avevano i doni più umili non dovevano invidiare quelli che avevano doni più eccellenti. Conseguenza pratica per noi: date le disuguaglianze che ci sono nella società:

1 I meno favoriti non devono rammaricarsi,

2 I più favoriti non hanno motivo di insuperbire,

3 Tutti devono cooperare a vivere in armonia.

1.

Quella distinzione di grazie, di attività, di misteri, che fa notare S. Paolo nel mistico corpo della Chiesa, può applicarsi alla società in generale. Anche questa, così varia nelle condizioni degli individui, vive una vita unica, a cui partecipano, come parte di un sol corpo, tutti i suoi membri. Ci sono ministeri diversi, ma il medesimo Signore. Altro è il ministero dell’Apostolo, altro quello del Vescovo, altro quello del sacerdote; ma è uno solo che dispensa questi ministeri: Dio. Nella società altra è la funzione di ehi governa e di chi è governato; altra quella del ricco e altra quella del povero; altra quella del pensatore e altra quella del bracciante: ina tutti hanno un compito che va a risolversi nell’armonia sociale voluta da Dio. – Si usa considerare la società come divisa in due campi: quello dei ricchi, dei gaudenti, dei parassiti, e quello dei diseredati, degli infelici, dei lavoratori. Naturalmente quelli d’una classe non hanno sempre sentimenti lodevoli verso quelli dell’altra. Ma non dovrebbe essere così. Cominciamo dalla classe dei meno favoriti. Vediamo i lavoratori. Generalmente il lavoro manuale viene considerato come un lavoro di poca considerazione, che avvilisce i lavoratori, mettendoli al disotto di coloro che non attendono a simili lavori. Se il lavoro manuale avvilisse, se mettesse i lavoratori in condizione di inferiorità di fronte agli altri, non si capirebbe come Gesù Cristo abbia lasciato gli splendori del cielo, la compagnia degli Angeli per sudare in una bottega. Quando in un lavoro si ha per compagno Gesù Cristo, chi può affermare che è un lavoro che disonora? Chi lavora, sia pure manuale il suo lavoro, può portar la testa alta come il grande pensatore. Ciò che disonora non è il genere di lavoro, è l’ozio. Vediamo coloro che nella società sono trascurati, non compresi, dimenticati, accanto a coloro che godono onori, posseggono titoli, gradi ecc. Anche questi non dovrebbero rammaricarsi, darsi alla tristezza. Le cose non continueranno sempre così. È questione di un po’ di pazienza. Sulla scena del teatro, chi rappresenta la parte di re, chi di suddito, chi di mecenate, chi di protetto, chi di padrone, chi di servo. Gli uni indossano abiti preziosi, gli altri portano abiti dimessi. Nessuno però, ha invidia della parte rappresentata da un altro, o degli abiti che indossa. Tanto è una scena di breve durata. Quando cala il sipario, tutte le grandezze scompaiono. Quando cala il sipario che chiude la nostra vita, tutti siamo eguali; nessuno porta di là blasoni, titoli, onorificenze. Ci sono i poveri di fronte ai ricchi. Qui il motivo di rammaricarsi è minore ancora. Sorge dalla falsa persuasione che ricchezza e felicità siano una cosa sola. S. Giuseppe Oriol, era chiamato dai suoi Catalani il «Santo allegro ». Un giorno fu visto in coro in preda a una certa inquietudine. Chiestogli da chi gli stava vicino che cosa gli fosse accaduto, rispose di aver in tasca un certo diavoletto che gli cagionava molto fastidio. E, uscito subito dal suo posto, diede a un povero, che trovò nella chiesa, la moneta che lo tormentava. Così riacquistò la sua tranquillità abituale (M. Carlo Salotti, Vita di S. Giuseppe Oriol; Roma, 1909). Si tratta di un Santo, direte; è vero. Ma persuadiamoci pure che le ricchezze turbano l’animo anche di chi non è santo. Per chi si lascia da esse dominare, le ricchezze sono «splendidi tormenti», come le chiama S. Cipriano» (Ad Donatum, 12). E, naturalmente, sono tormenti tanto più gravi, quanto più sono abbondanti. Ne abbiamo la prova ogni giorno. Chi sono quelli che si tolgono la vita, incapaci di resistere alle prove che l’accompagnano? Sono quasi sempre dei ricchi; e tra questi è preponderante il numero dei ricchissimi.

2.

A ciascuno poi è data la manifestazione dello Spirito, perché sia di utilità. Qui è dichiarato lo scopo di questi doni soprannaturali. Essi sono dati non in vista dell’individuo che è ne è fornito, ma in vista dell’utilità della Chiesa.  Questi doni hanno un’unica origine, il Signore, hanno un unico fine, l’utilità della Chiesa. Sbagliano, quindi, quei Corinti che si lamentano per averne ricevuti meno che gli altri; e sbagliano quei Corinti che diventano orgogliosi per averne ricevuti di più. Anche rispetto alla società civile possiamo dire che sbagliano tanto quelli che si rattristano, perché si trovano inferiori agli altri, quanto quelli che vanno gonfi, perché si trovano superiori. Se tu hai beni, gradi, titoli che ti fanno superiore agli altri, non devi credere che dipenda tutto da te. Se il Signore non avesse benedetto le tue fatiche, i tuoi tentativi, se non ti avesse posto in particolari condizioni e in particolari circostanze, saresti povero, dimenticato, sconosciuto come gli altri. Quanti hanno sudato, pensato, osato più di te, e si trovano in condizione ben inferiore alla tua. Dove Dio aiuta ogni cosa riesce. Senza la benedizione di Dio, al contrario, tutte le fatiche e tutti i pensamenti degli uomini non riescono a nulla. «Se il Signore non edifica la casa, inutilmente vi si affannano i costruttori» (Ps. CXXVI, 1).Se ti trovi in condizioni sociali migliori di quelle degli atri, pensa che è anche maggiore la tua responsabilità. « A chi molto fu dato, molto sarà richiesto» (Luc. XII, 48) è scritto nel Vangelo. In certo modo, invece di disprezzare chi ti è inferiore, dovresti onorarlo, perché egli ha meno responsabilità della tua, e a lui sarà chiesto conto con meno rigore che a te. L’uomo si giudica dalle sue opere. Se tu con tutti i tuoi privilegi e i tuoi beni, non fai niente di buono; e un altro, povero, disprezzato compie delle buone opere; chi è più degno di stima di rispetto, di considerazione? Se poi entriamo nel campo spirituale, quello che tu stimi a te inferiore, può essere cento volte superiore a te. Chi più grande: S. Isidoro, agricoltore ; S. Giuseppe Benedetto Labre, pellegrino medicante ; S. Zita, domestica, o tanti fortunati del mondo, che passarono all’altra vita senza biasimo e senza lode?Per quanto possono essere notevoli le disuguaglianze su questa terra, non dovrebbero essere motivo di tristezza o di orgoglio. «Tutte queste disuguaglianze possono essere uguagliate dalla grazia divina, perché quei che restano fedeli fra le tempeste di questa vita non possono essere infelici» (S. Leone M. Epist. 15, 10).

3.

Lo Spirito Santo distribuisce a ciascuno come gli piace. Nessuno, quindi, può domandargli conto o lamentarsi, se agli uni distribuisce doni più abbondanti che agli altri. Se lo Spirito Santo distribuisce a suo piacimento, non fa, però, una distribuzione capricciosa. Tutti i doni distribuiti debbono cooperare al bene comune della Chiesa; perciò, tra essi bisogna che ci sia quella comunicazione che c’è tra le varie membra di un sol corpo. Lo stesso possiam dire delle varie mansioni nella società. La natura della società, stabilita da Dio, è tale che le varie classi, sono collegate tra di loro in maniera che una non possa far senza dell’altra. Esse sono destinate ad armonizzare fra loro, in guisa da produrre un completo equilibrio.Ci deve essere armonia tra padroni e dipendenti. I padroni, i superiori in genere, devono essere animati dal pensiero di procurare la felicità dei loro dipendenti. Proteggerli se deboli; difenderli, se vessati; procurare il loro benessere se bisognosi. Non devono dimenticarsi che i loro dipendenti hanno un’anima da salvare. Perciò devono facilitar loro il vivere secondo le leggi dell’onestà e secondo i comandamenti di Dio. Sull’animo dell’uomo, sia pure un dipendente, nessuno può aver un dominio maggiore di quello che ha Dio. Nessuno, quindi, può comandare ciò che è contrario ai comandi di Dio. Alla loro volta i dipendenti devono considerare i padroni e i superiori come quelli che sono stati da Dio destinati a curare il loro bene, a esser sostegno nelle difficoltà della vita, a esser guida nelle incertezze. E neppure ci deve essere contrasto tra il lavoro della mente e il lavoro della mano. È necessaria l’uno ed è necessario l’altro. Una macchina che proceda senza chi la guidi non potrà andare avanti bene. La sua forza, invece di produrre benefici, produce danni. Lavora tanto chi studia e dà l’indirizzo, quanto chi eseguisce il lavoro. L’importante è che lavorino tutti, poiché «chi non vuol lavorare non deve neppure mangiare» (2 Tess. III, 10). – Armonia ci dev’essere anche tra ricchi e poveri. La sollecitudine moderata di migliorare la propria condizione e di provvedere all’avvenire non è proibita, ma con tutte le sollecitudini e con tutte le provvidenze, non si chiuderà mai la porta alle miserie: queste si affacceranno sempre. E qui il ricco può colmarsi di meriti e di benedizioni: «Se hai dei beni terreni — scrive S. Agostino — usane in modo da far con essi molti beni e male nessuno» (Epist. 220, 11 ad Bonif.). Ti acquisterai vera gloria, poiché « gloria del buono è l’aver chi possa ricolmare dei suoi benefici » (S. Giovanni Grisostomo. In II Epist. ad Thess. Hom. 3, 12). Ti acquisterai la ricompensa delle preghiere dei beneficati, e farai un sacrificio molto accetto a Dio, come ti assicura l’Apostolo: «Non vogliate dimenticarvi di esercitare la beneficenza e la libertà, perché con tali sacrifici si rende propizio Dio» (Ebr. XIII, 16).

Graduale

Ps XVI: 8; LXVIII: 2
Custódi me, Dómine, ut pupíllam óculi: sub umbra alárum tuárum prótege me.
[Custodiscimi, o Signore, come la pupilla dell’occhio: proteggimi sotto l’ombra delle tue ali.]
V. De vultu tuo judícium meum pródeat: óculi tui vídeant æquitátem.
[Venga da Te proclamato il mio diritto: poiché i tuoi occhi vedono l’equità.]

Alleluja

Allelúja, allelúja

 Ps LXIV: 2
Te decet hymnus, Deus, in Sion: et tibi redde tu votum in Jerúsalem.
Allelúja. [A Te, o Dio, si addice l’inno in Sion: a Te si sciolga il voto in Gerusalemme. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia ✠ sancti Evangélii secúndum S. Lucam.
Luc XVIII: 9-14.
In illo témpore: Dixit Jesus ad quosdam, qui in se confidébant tamquam justi et aspernabántur céteros, parábolam istam: Duo hómines ascendérunt in templum, ut orárent: unus pharisæus, et alter publicánus. Pharisaeus stans, hæc apud se orábat: Deus, grátias ago tibi, quia non sum sicut céteri hóminum: raptóres, injústi, adúlteri: velut étiam hic publicánus. Jejúno bis in sábbato: décimas do ómnium, quæ possídeo. Et publicánus a longe stans nolébat nec óculos ad cœlum leváre: sed percutiébat pectus suum, dicens: Deus, propítius esto mihi peccatóri.Dico vobis: descéndit hic justificátus in domum suam ab illo: quia omnis qui se exáltat, humiliábitur: et qui se humíliat, exaltábitur.” 

Omelia II

[A. Carmignola, Spiegazione dei Vangeli domenicali, S. E. I. Ed. Torino,  1921]

SPIEGAZIONE XXXVIII.

 “In quel tempo disse Gesù questa parabola per taluni, i quali confidavano in se stessi come giusti, e deprezzavano gli altri: Due uomini salirono al tempio: uno Fariseo, e l’altro Pubblicano. Il Fariseo si stava, e dentro di sé orava così: Ti ringrazio, o Dio, che io non sono come gli altri uomini, rapaci, ingiusti, adulteri; ed anche come questo Pubblicano. Digiuno due volte la settimana; pago la decima di tutto quello che io posseggo Ma il Pubblicano, stando da lungi, non voleva nemmeno alzar gli occhi al cielo; ma si batteva il petto, dicendo: Dio, abbi pietà di me peccatore. Vi dico, che questo se ne tornò giustificato a casa sua a differenza dell’altro: imperocché chiunque si esalta, sarà umiliato; e chi si umilia, sarà esaltato” (Luc. XVIII, 9-14).

Vi è sopra di questa terra un mostro, che si avventa contro tutti gli uomini senza distinzione di età, di sesso, di condizione, che cerca di guastare tutte le loro opere e di ridurle al nulla, che corrompe in radice tutte le loro più belle azioni e le più grandi virtù, e che tuttavia, oh insensatezza umana! anzi che essere dagli uomini temuto, cercato a morte, combattuto, è dalla maggior parte di loro ricevuto allegramente in loro compagnia, tenuto volentieri al loro fianco, pasciuto dei migliori bocconi, accarezzato ben anche, trattato sempre come un idolo carissimo. – E qual è adunque mai questo mostro in sé così spaventoso e che pure arreca sì poco spavento? qual è? forse l’avrete già indovinato: esso è il mostro della superbia. Ed in vero non è forse la superbia il primo e il più fecondo dei peccati capitali? Non prendo esso il più gran posto nella vita umana? Vi ha forse vizio che più di questo estenda il suo impero? Se pertanto vi ha vizio che debba essere da noi combattuto è certamente questo. E poiché ad inspirare orrore per qualsiasi vizio giova assai il vedere la bruttezza e i danni, che esso arreca, questo appunto procureremo di fare in questa mattina, giacché ce ne porge occasione il Vangelo di questa domenica.

1. Dice adunque il Vangelo di oggi che nostro Signor Gesù Cristo raccontava un giorno questa parabola: Due uomini salirono al tempio a fare orazione: uno Fariseo e l’altro Pubblicano. Et reliqua. Or bene, quale fu lo scopo, che si prefisse Gesù Cristo nel raccontare questa parabola? Già lo si rileva dalla conclusione della parabola stessa, ma lo si conosce anche meglio dalla dichiarazione, con la quale il Vangelo ci fa sapere che Gesù disse questa parabola per taluni, i quali pieni di superbia confidavano in se stessi come giusti e disprezzavano gli altri. Adunque confidare in se stessi ecco il primo carattere della superbia. Il superbo con somma compiacenza fa l’inventario delle sue belle qualità. Egli trova di avere una grande intelligenza, una viva immaginazione, una felice memoria, di sapere assai; egli riconosce d’avere un cuore ben fatto e dotato delle più belle qualità. Sopra tutto egli sente di avere tutta la prudenza necessaria anche per governare un regno, epperò di sapersi regolare convenientemente in tutte le più difficili circostanze senza ricorrere al consiglio di alcuno. Così anzitutto fa il superbo, e così facendo non si abbandona egli ad un grave eccesso? Perché, se pure in lui vi ha qualche cosa di buono, non lo ha ricevuto da Dio? E perché se ne vanta come fosse suo? e ne rapisce a Lui la gloria? e disconosce così la padronanza che ha Iddio sopra di lui? Ecco adunque che il superbo per rispetto a Dio è un ladro, un cieco, un bugiardo, un ribelle; un ladro che ruba al Signore la gloria, che egli protesta di voler soltanto per sé; un cieco che volontariamente chiude gli occhi a non vedere i doni del Signore; un bugiardo che dice suo quel che è di Dio; un ribelle, che in sostanza dice al Signore: non voglio riconoscerti per mio sovrano. Or dunque, considerato anche nel suo primo carattere il peccato di superbia non è forse della massima malizia? Il secondo carattere della superbia è disprezzare e trattar male gli altri. Il superbo stabilisce un confronto fra sé e il suo prossimo e sempre dà il vantaggio a se stesso collocando gli altri al di sotto di sé fino al disprezzo. Difatti che diceva il superbo Fariseo? Mio Dio, vi ringrazio ch’io non sono come il rimanente degli uomini, che sono ladri, ingiusti, ed adulteri, e neppure come codesto Pubblicano. Egli adunque disprezza tutti gli altri uomini, li punge con le più sanguinose ingiurie, li pone tutti nello stesso grado, li giudica senza ragione e li condanna senza giustizia. Fa di tutta l’intera umanità un immenso cumulo di ingiusti, di ladri, di malvagi, e in mezzo a quella folla innumerevole di uomini viziosi, egli solo si proclama giusto ed innocente. E questo generale confronto non gli basta: ha bisogno di una vittima speciale, determinata; ed è contro il povero Pubblicano che egli si scaglia con un’altera parola, con un gesto sprezzante. Ecco adunque nella superbia il disprezzo degli altri spinto al più grave eccesso e per conseguenza la mormorazione, la calunnia, l’ingiustizia, ed aggiungiamo pure l’invidia, la collera, la vendetta, la disonestà, l’apostasia dalla fede, perché a tutto questo porta il disprezzare gli altri. Ed in vero è per superbia che Lucifero si ribellò a Dio volendo essere simile a Lui. È per superbia che Adamo ed Eva disobbedirono al precetto del Signore, desiderando di arrivare a conoscere come Dio il bene ed il male. È persuperbia che Caino ucciso Abele, vedendolo a sé superiore nell’estimazione di Dio. È per superbia che Faraone oppresse gli Ebrei, per superbia che questi mormoravano contro Mosè, per superbia che Saulle attentò più volte la vita di Davide, per superbia che Davide cadde nella disonestà, per superbia che Nabucodònosor, Antioco, Erode si diedero a perseguitare gl’innocenti, per superbia che S. Pietro negò il Divin Redentore, per superbia che gli imperatori romani fecero tante vittime, per superbia che gli eresiarchi recano tanto danno alla Chiesa, insomma fu ed è tuttora per la superbia, che si commettono la maggior parte dei peccati, o più esattamente non vi è peccato alcuno, nel quale non vi entri la superbia. Lo Spirito Santo dice chiaro che la superbia è il principio d’ogni peccato: Initium omnis peccati superbia (Eccli. X. 15); e Cornelio Alapide la chiama centro, da cui partono i raggi di ogni malvagità. – Ma questo vizio ha un terzo carattere che non dobbiam passare sotto silenzio, e che è designato dal Vangelo che meditiamo. L’orgoglioso ostenta il poco di buone opere che compie, e ne trae argomento di vanagloria. Ascoltate di bel nuovo il Fariseo: Io digiuno due volte la settimana e pago la decima di tutti i beni che possiedo. Qui è ben vero, o miei cari, che trattasi di opere eccellenti, e la cui pratica è lodevole assai. Tuttavia queste opere di espiazione e di carità devono esser fatte con la mira di piacere a Dio e non con l’intenzione d’essere stimati dagli uomini. Or ecco come la superbia non è solamente il principio d’ogni peccato, ma ancora la rovina di ogni virtù: poiché, come osserva S. Agostino, tende insidie a tutte le opere buone, affinché periscano. E di fatti dove va il merito delle preghiere, delle elemosine, dei sacramenti, delle pratiche di pietà, quando siano fatte per superbia o dalla superbia siano contaminate? Colui che opera il bene per questo fine di comparire dinanzi agli altri, al termine della vita si sentirà a dire da Dio medesimo: Hai già ricevuto la tua mercede. Oh quanto è brutto adunque, e quanto grave danno arreca il peccato della superbia!

2. Ma la gravezza di questo peccato possiamo ancora rilevarla dai castighi con cui Iddio lo punisce. E come dunque si compie anche quaggiù la giustizia di Dio contro la superbia? Dio primieramente la fa servire a coprire il superbo di onta e di confusione: Gloriam eorum in ignominia commutabo (Ose. IV, 7). Guardate là in quelle basse pianure di Seunaar. Che cosa fanno quei molti là insieme radunati? Ecco quali sono i loro propositi: “Edifichiamo una città, rizziamo una torre, la quale colla cima aggiunga insino al cielo e così facciamo che grande ed eterna sia la ricordanza del nostro nome”. Eccoli adunque a murare con mattoni e con bitume per fabbricare una nuova città ed una gran torre. Ma Iddio si sdegna di quella superbia e viene ad abbatterla. Ora, Egli dice, questo è un sol popolo, ed hanno tutti la stessa lingua, ma io discenderò e confonderò il loro linguaggio, sicché l’uno non capisca più il parlare dell’altro. Come Dio volle, così avvenne. Chiamavano gli architetti e venivano i giornalieri, chiedevano pane per i lavoranti e si portavano pietre per il lavoro, volevano archipendoli e si porgevano picconi; si credettero derisi, cominciarono ad adirarsi gli uni cogli altri, senza che intendessero la cagione delle loro risse, e così smarriti, confusi, smemorati lasciarono in abbandono il superbo attentato, e perduto l’aiuto della comune favella, e quindi rotto il fortissimo legame della società, cominciarono a disgregarsi, andando chi da una parte, chi dall’altra e spargendosi in diversi paesi. Così Iddio in poco tempo ebbe volta in perpetua vergogna la grande superbia di coloro. – In secondo luogo Iddio resiste al superbo. Come coi piccoli ciottoli della spiaggia arresta gli spumanti marosi del mare furibondo, così alle volte con l’onnipotenza, di cui Egli dispone, manda in fumo tutti quanti i disegni del superbo, e fiacca la sua alterigia. Mosè a nome di Dio si presenta a Faraone e gli dice: Il Signore Iddio d’Israele mi manda a dirti che lasci partire il suo popolo, acciocché vada ad offrirgli sacrifici nel deserto. Ma Faraone, pieno di orgoglio, risponde: Chi è questo Signore, alla cui parola io debba obbedire, e pel quale io debba lasciar partire Israele? Non conosco questo Signore e Israele non partirà. Lo stolto si ostina nel suo rifiuto, e Iddio successivamente percuote il suo regno con terribili castighi. Moltitudine incredibile di rane, numero infinito di insetti, nembo di molestissime mosche e tafani, orribile peste, enfiature ed ulceri dolorosissime, uragani con tuono, fuoco e grandine sterminatrice, immensità di locuste, orrore di tenebre, morte di tutti i primogeniti, ecco le dieci piaghe, che colpirono l’Egitto a cagione della superbia del re. Eppure ciò non bastò a piegare quell’ostinato, tanto il mostro della superbia acceca coloro, che cadono tra i suoi artigli. Lascia è vero, partire gli Ebrei, ma appena partiti, si pente d’averli lasciati in libertà, allestisce prestamente un esercito ed egli medesimo alla testa di esso li insegue. Già li ha raggiunti e visto aperto il mar Rosso, pel quale a piede asciutto erano ormai passati gli Ebrei, vi entra e si avanza egli pure. Ma là lo aspetta la collera di Dio. Al tocco della verga di Mosè le acque sospese ritornano con spaventevole fracasso al luogo primiero, coprono e sommergono il superbo Faraone, i cavalieri, i cavalli e i carri, seppellendo ogni cosa negli abissi. Finalmente Iddio punisce l’orgoglioso sottraendogli la sua grazia, abbandonandolo alle sue impure passioni, permettendo talora che faccia delle vergognose cadute, che lo disonorino interamente, e lo compromettano innanzi a tutti coloro, cui studiavasi di piacere, e la cui stima e protezione era da lui ricercata con una febbre ardente: Tradititi illos Deus in passiones ignominiæ (Rom. I, 20). Non avete mai riscontrato delle prove di quanto asserisco? Non avete talvolta udito di qualche famosa caduta, da cui un uomo mai non si rialza? Fu la punizione inflitta a colui che ha voluto innalzarsi a detrimento della divina gloria, per cui, bentosto ha veduto verificarsi la minaccia del divino Maestro: Chiunque si esalta, sarà umiliato. Ecco i castighi con cui anche quaggiù vien punita la superbia, senza nulla dire della terribile morte che minaccia il superbo, della vergogna a cui andrà soggetto nel dì dell’universale giudizio, e delle umiliazioni eterne che proverà nell’inferno.

3. Pertanto, o miei cari, comprendiamo l’importanza di fuggire questo vizio e di esercitare la virtù che ad esso si oppone. L’umiltà con la quale si vince la superbia è di tale importanza che Gesù Cristo istesso ce ne ha dato il  più ammirabile esempio. L’Apostolo S. Paolo parlandoci dei grandi misteri della incarnazione, passione e morte di Gesù Cristo li presenta alla nostra considerazione come misteri di impicciolimento e di umiliazione. Iddio, egli dice, si è esinanito, prendendo la forma di servo: exinanivit semetipsum formam servi accipiens. Gesù Cristo, soggiunse, si è umiliato facendosi obbediente fino alla morte e morte di croce: Humiliavit semetipsum factus ooediens usque ad mortem, mortem autem crucis. Di fatti  che misteri del più profondo abbassamento? Epperò Gesù Cristo medesimo insegnando un ammaestramento da prendere per eccellenza da Lui disse: Imparate da me che sono umile di cuore: discite a me quia humilis sum corde. Notate bene – spiega qui S. Agostino – nostro Signore non ci dice: Imparate da me a fabbricare il mondo, ad operare miracoli e a risuscitare i morti, ma bensì ad essere umili di cuore. E come si presentò Egli stesso a nostro modello per eccellenza di umiltà, così si può dire che volle ancora quasi compendiare nell’umiltà tutta quanta la sua morale. Il mondo dice: Bisogna farsi onore, bisogna salire in alto, non bisogna permettere che alcuno vi umilii. Il mondo stima chi occupa i primi posti, le dignità, le cariche, chi comanda, ma non chi umilmente ubbidisce. Il mondo disprezza chi fugge gli onori o lo guarda almeno con aria di compassione quasi per dirgli: Eh folle! non sai quel che importa. Ma Gesù Cristo insegna tutto il contrario. Ecco che cosa Egli dice: « Se alcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Guardatevi bene dal fare le vostre buone opere per essere veduti e lodati dagli uomini, altrimenti non potrete pretendere verun premio dal Padre vostro, che è nei cieli. Se alcuno vuol essere il primo, si faccia l’ultimo, il servo di tutti. Quando avrete fatto tutto bene con esito felice, riconoscete da Dio ogni prospero evento e dite: Siamo servi inutili ed abbiam fatto il nostro dovere. Non vogliate i primi posti; chi si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato. In verità, in verità vi dico, se non diventerete come fanciulli non entrerete nel regno dei cieli ». Ecco la morale del divin Maestro. E questa è la morale che noi dobbiamo praticare imitando la condotta del povero pubblicano. Egli se ne stava lontano, perché l’umiltà induce a nascondersi sempre, anche allora che si fa un po’ di bene, eseguendo incessantemente la massima dell’Imitazione di Cristo: Ama nesciri et prò nihilo reputavi. Dunque teniamoci volentieri in disparte anche noi, e non portiamo mai invidia a coloro che sono più abili di noi alle cariche, agli onori, alle dignità. Il pubblicano non osava levare gli occhi al cielo, perché chi è umile non pretende privilegi o favori speciali da Dio, ma si accontenta delle grazie ordinarie e si studia di ben corrispondere alle medesime. Così facciamo ancor noi. Finalmente il pubblicano percotendosi il petto si confessava con sincerità povero peccatore. Ed ecco: darsi al sentimento della compunzione e della penitenza; alzare a Dio gli accenti della contrizione e del pentimento; ecco ancora la vera umiltà. Il superbo non vuol saperne di manifestare i suoi falli, il dogma della confessione lo rivolta e lo spaventa; non vuol chieder grazia per le colpe, giacché egli stoltamente si vanta d’esser innocente. Così pensa, così parla l’orgoglioso. Ma l’umile invece si china, si prostra, geme, implora, confessa di meritare tutti i rigori, chiede grazia, sollecita la misericordia; egli riconosce di non aver alcun diritto al perdono e fa un appello alla pietà divina. Tale, o miei cari, è l’umiltà verace, sincera, quella che trovò il Salvatore nel pubblicano del Vangelo, ch’Egli lodò in presenza della turba, ed alla quale disse esser toccata la ricompensa della giustificazione, quella grazia che racchiude tutte le altre e senza della quale tutte le altre sarebbero un nulla: Descendit hic iustificatus in domum suam. Coraggio adunque: qui bisogna decidersi: o essere umili con Gesù Cristo, o essere superbi col mondo. Quale sarà pertanto la nostra scelta? Ricordiamoci che il regno dei cieli patisce violenza e che lo conquisteranno solamente coloro che attendono a combattere le proprie passioni e che, se con Gesù Cristo e per Gesù Cristo, saremo umili sopra di questa terra, alla fine saremo con Lui esaltati in cielo, perché se è verissimo che chi si esalta sarà umiliato, è pure certissimo che chi si umilia sarà esaltato.

Credo…

Offertorium

Orémus
Ps XXIV: 1-3
Ad te, Dómine, levávi ánimam meam: Deus meus, in te confído, non erubéscam: neque irrídeant me inimíci mei: étenim univérsi, qui te exspéctant, non confundéntur.
[A Te, o Signore, ho innalzata l’anima mia: o Dio mio, in Te confido, che io non abbia ad arrossire: che non mi irridano i miei nemici: poiché quanti a Te si affidano non saranno confusi.]

Secreta

Tibi, Dómine, sacrifícia dicáta reddántur: quæ sic ad honórem nóminis tui deferénda tribuísti, ut eadem remédia fíeri nostra præstáres. [A Te, o Signore, siano consacrate queste oblazioni, che in questo modo volesti offerte ad onore del tuo nome, da giovare pure a nostro rimedio.]

Communio

Ps L: 21.
Acceptábis sacrificium justítiæ, oblatiónes et holocáusta, super altáre tuum, Dómine. [Gradirai, o Signore, il sacrificio di giustizia, le oblazioni e gli olocausti sopra il tuo altare.]

Postcommunio

Orémus.
Quǽsumus, Dómine, Deus noster: ut, quos divínis reparáre non désinis sacraméntis, tuis non destítuas benígnus auxíliis.
[Ti preghiamo, o Signore Dio nostro: affinché benigno non privi dei tuoi aiuti coloro che non tralasci di rinnovare con divini sacramenti.]

Per l’ordinario vedi:

Ordinario della Messa – ExsurgatDeus.org.

LO SCUDO DELLA FEDE (73)

LO SCUDO DELLA FEDE (73)

[S. Franco: ERRORI DEL PROTESTANTISMO, Tip. Delle Murate, FIRENZE, 1858]

PARTE SECONDA.

FRODI PER CUI S’INTRODUCE IL PROTESTANTISMO

CAPITOLO VIII

OTTAVA FRODE. METTERE IN MALA VISTA IL SACERDOZIO

I nemici della S. Fede, dopo di avere malignato sopra le cose, passano a malignare sopra le persone: ed ecco un altro laccio, che tendono alla vostra semplicità per ingannarvi. Vi mettono davanti agli occhi i Sacerdoti vostri e vanno scovando tutti i loro difetti, tutti i loro vizi e peccati, e poi dopoché hanno fatto un gran quadro di scandali e disordini d’ogni maniera, come può essere buona, dicono, una Religione che ha Sacerdoti tanto viziosi? Miei cari, sentite bene la verità e vedrete quanto siano sciocchi quelli che così parlano. Io vi concedo prima che anche tra i Sacerdoti ve ne abbia dei cattivi e degli scandalosi. Sì, anche i Sacerdoti sono uomini, sonocomposti di carne, e possono mancare. Dunque la bontà della Religione dipende dalla bontà dei Sacerdoti? Oh quanto sarebbe sciocco chi ragionasse così! La Religione è buona, è santa perché è stabilita da Gesù Cristo. Se alcuni Sacerdoti non la osservano, tanto peggio per loro, perché ne saranno castigati a mille doppi di più che non i secolari; ma non per questo essa perde nulla della sua intrinseca bellezza e bontà. Se la Religione autorizzasse la malizia, la perversità dei suoi Ministri, allora avreste ragione di attribuirne la colpa alla Religione: ma mentre essa non solo non autorizza le colpe loro, ma le condanna con ogni maggior rigore, che colpa ne ha? Ebbene voi lo sapete; la Religione intima chiaro, che se voi secolari morite in peccato, sarete condannati al fuoco eterno, ma che se muoiono in peccato i Sacerdoti patiranno una dannazione molto più grave della vostra: saranno per loro i tormenti più acuti, gli strazi più crudeli, le carneficine più spietate dentro l’inferno: vedete dunque che la Religione non ha colpa dei loro traviamenti. Fingete per un momento che voi abbiate un figliuolo discolo e malvagio: voi per ridurlo sul buon sentiero, l’avvisate, lo riprendete; lo minacciate, mettete mano al castigo, fate tutto quello che potete. Ora se questo rimanesse sempre caparbio ed ostinato al solito, potrebbe qualcuno rigettarne la colpa sopra di voi, che avete fatto tutto il possibile per ridurlo? Ebbene, questo che voi trovate ingiusto, se sia praticato a vostro riguardo, voi lo fate poi con la Religione. Anche essa ha sgridato, ha minacciato ed a suo tempo castiga il Sacerdote scandaloso: perché dunque recarglielo a colpa? Io vi ho concesso che anche tra i Sacerdoti ve ne sono dei cattivi e degli scandalosi, ma vi debbo poi osservare che per grazia di Dio sono poi moltissimi i buoni. Quanti poveri Parrochi che non si risparmiano né dì né notte per accorrere in tutti i vostri bisogni! Quanti Sacerdoti che sono indefessi ad assistere le lunghe ore nei Confessionali! Quanti assistono i poveri ammalati le notti intere! Quanti che secondo le loro forze non lasciano di aiutare anche con limosine i poverelli! Chi sono quelli che lasciando la loro patria volano a paesi barbari in mezzo ad infiniti pericoli, attraverso i mari ed i deserti, per insegnare la S. fede ai Gentili ed ai selvaggi? Sono i Sacerdoti. Chi sono quelli che si affaticano anche nei nostri paesi nelle S. Missioni? Sono i Sacerdoti, sia secolari, sia regolari. Chi sono quelli che si struggono il cervello negli studi sacri per comporre libri di pietà e di edificazione per i popoli? Sono i Sacerdoti. Chi sono quelli che sostentano con le loro fatiche, contro tutti i nemici della vostra anima, il vero vostro vantaggio temporale ed eterno? I Sacerdoti. Sapete perché in confronto dei cattivi i buoni non paiono tanti? Perché i cattivi fanno come la ruota peggiore del carro, stridono di più. si fanno vedere su tutti i mercati, in tutte le adunanze, perfino nelle taverne, nei giuochi e sono un pruno negli occhi di tutti; laddove i buoni stanno più ritirati, più raccolti, occupati o coi libri, o nelle Chiese a fare del bene, e così fanno meno rumore e perciò paiono pochi anche che sieno molti. Vedete dunque quale ingiustizia sia il calunniare tutti i Sacerdoti, come fanno cotesti maestri d’iniquità, dicendo che sono tutti d’una stampa. No, non sono tutti così: ve ne sono dei buoni, se ve ne sono anche dei cattivi. Trovereste giusto che si condannassero tutti gli uomini di una professione, perché alcuni in quella professione sono rei? Tra i contadini senza dubbio alcuni rubano la roba del padrone: sareste contenti che fossero tutti i contadini chiamati ladri? Tra gli artieri ed operai ve ne sono alcuni che non fanno bene l’arte loro: sarebbe giusto che si chiamassero tutti guastamestieri? Tra le fanciulle e le maritate ve ne sono alcune civette ed infedeli al loro Sacramento? Si potrà dunque fare l’onore a tutte le donne anche alle vostre mogli ed alle vostre figliuole di chiamarle mondane? Come dunque chiamate cattivi tutti i Sacerdoti, perché ve ne sono tra essi alcuni cattivi? Dovreste piuttosto (e sia detto qui di passaggio) rispettarli tutti, giacché la loro augustissima dignità non vien meno per qualunque colpa essi commettano. Se essi fanno del male, il fanno per sé, a noi non recano danno. La parola che annunziano è parola di Dio, e questa parola non s’imbratta anche passando per una bocca indegna. L’assoluzione che essi ci danno nel Tribunale di Penitenza è buona lo stesso. La S. Messa ha per noi che l’ascoltiamo lo stesso valore, è buona altresì la S. Comunione che ci amministrano e così dite dell’Estrema Unzione e di tutto quello che ci prestano nel loro Ministero. La loro autorità non scema in vista della loro indegnità. Se però Iddio stesso mantiene loro quell’autorità che ha loro donata, malgrado la loro malvagità, perché non la rispetteremo noi? Ah guai a quei Cam maledetti che invece di ricoprire pietosamente i falli dei Sacerdoti loro padri, li rivelano e li aggravano! Che Iddio prenderà a suo tempo le loro vendette! Il grande Imperatore Costantino era solito dire: Io per me se vedessi con gli occhi miei un Sacerdote a commettere una colpa, lo andrei a ricoprir con la mia porpora imperiale, perché nessuno la risapesse: tanto comprendeva egli il rispetto che si deve all’immensa loro dignità! Che se volete sapere quale sia poi il castigo più tremendo che Dio manda sopra quelli che insultano e sparlano dei ministri di Dio, io ve lo dirò: a quelli che hanno tanto insultato i Sacerdoti in vita, Dio permette che manchino talvolta i Sacerdoti in morte. In quest’ultima ora se venissero intorno al vostro letto tutti i Principi, tutti gl’Imperatori, tutti i Sapienti dell’Universo, qual bene potrebbero fare alla vostr’anima? Potrebbero pregare per voi, ma niuno potrebbe sciogliervi dal minimo dei vostri peccati. Il Sacerdote solo è quello che ha l’autorità di assolvervi, o buono o cattivo che egli sia, e quello che egli scioglie in terra sarà sciolto in cielo, quello che egli lega qui sarà legato anche lassù. E se per giusto giudizio di Dio egli vi mancasse in quell’ora, e voi vi trovaste aggravato di peccati mortali, che sarebbe di voi? Nel secolo passato un famoso empio si burlò tutta la sua vita dei ministri di Dio; all’ultima ora, quando si vedono le cose diversamente da quello che si veggono in vita, mandò a chiamare il Sacerdote. Ma che? I suoi stessi amici non glielo lasciarono entrare mai nella stanza ed egli urlando e bestemmiando morì disperato. Questi esempi si sono ripetuti altre volte, e guai se si ripetessero anche in noi! Ma ritornando ora al punto principale, stampatevi bene in mente che la Religione è sempre buona lo stesso, ancorché alcuni Sacerdoti siano cattivi, e che non è altro che un errore gravissimo quello di rifondere sopra la Religione quella colpa che la Religione proibisce con tutto il rigore. Un’altra tristizia adoperano ancora costoro contro i Sacerdoti del Signore, per metterveli in disistima e disamore, e sapete qual è? Ve li dipingono come interessati. E non vedete, dicono ossi, che vogliono denaro per la Messa, per la Predica e per ogni ministero spirituale? Sentite dunque una parola di risposta, ma imprimetevela bene in mente. Che siano proprio i Protestanti a farvi questa difficoltà, questo è prendersi gabbo di voi e della vostra semplicità. Per amor del Signore aprite gli occhi. I loro ministri o Sacerdoti che li vogliate chiamare sono essi disinteressati? Hanno delle prebende tanto pingui che, secondo il calcolo fatto, la setta Anglicana sola ha per i suoi ministri più denaro di quello che abbia tutto il clero Cattolico sparso in tutta la terra. Non lo impiegano poi pei poverelli, giacché hanno da mantenere il lusso alla propria moglie, hanno da far la dote alle figliuole, hanno da provvedere ai loro figliuoli. E che cosa fanno poi pel popolo, mentre godono entrate sì pingui? Non confessano, non assistono gli ammalati, non celebrano messa, tutto il loro grande affare si riduce ad un poco di predica la festa, che per ignoranza o per pigrizia non sanno neppure a mente, ma vanno a leggere in pubblico. Ora che costoro abbiano poi coraggio di chiamare interessato il Clero Cattolico è un vero orrore. Del resto che cosa fa poi il Clero Cattolico? Si fa pagare forse le Messe, le Prediche e simili come scioccamente, per non dir peggio, parlano alcuni? nulla meno: non si fa pagare né la Messa né la Predica, perché se si dovesse pagare quel gran Sacrifizio o la divina parola, non solo voi, ma neppure tutti i Principi della terra avrebbero tanto nel loro erario da poterla pagare. I loro ministeri li esercitano gratuitamente, perché non si vendono né le Messe, né le prediche, né i Sacramenti. Solo si riceve una limosina, perché è necessario che anche i Sacerdoti vivano. E ciò conformemente alla Santa Scrittura, la quale ci fa sapere dei Sacerdoti antichi che per divina disposizione, oltre alle decime che ricevevano da tutte le tribù, avevano ancora molte offerte e regali in varie occasioni: anzi anche conformemente al nuovo Testamento, nel quale S. Paolo ci fa sapere che i Sacerdoti meritano anzi per la dignità del loro ufficio un doppio onorario (I Tim V. 17), e che non è gran cosa che quelli che vi somministrano il cibo dell’anima, ricevano poi da voi il cibo del corpo (1 Cor. IX, 11): perché finalmente chi serve all’altare deve vivere dell’altare (Ibid. 13). – Quello poi che dicono alcuni, che gli antichi sacerdoti campavano del lavoro delle proprie mani, è parte vero, parte falso. È vero che in alcune occasioni per togliere ai Gentili l’occasione di mormorare dei sacerdoti, quasi predicassero il Vangelo per interesse, si alimentavano col lavoro delle proprie mani, e questo lo fanno anche al presente molte volte i nostri missionari tra i Gentili per lo stesso motivo; è falso che il facessero sempre, perché dove erano stabilite le Cristianità essi si occupavano dei ministeri spirituali e ricevevano dai Fedeli il loro sostentamento: come si vede chiaro da quel che fece S. Pietro e gli altri Apostoli, che non si vollero neppure occupare troppo della distribuzione delle limosine per non rubare il tempo agli esercizi spirituali, e che per questo ufficio elessero dei diaconi, come si racconta negli atti degli Apostoli (Act. VI, 2). Del resto cominciando dal nostro Gesù sommo Sacerdote, il quale era mantenuto nelle sue predicazioni divine dalle limosine di Giovanna, di Maddalena, di Susanna e di altre ricche persone, come ricorda il s. Vangelo (Luc. VIII, 2,3), i Sacerdoti hanno sempre campato con le limosine dei Fedeli; e questo è sommamente giusto, perché i Sacerdoti non possono attendere alle anime dei Fedeli, ed esercitare tutto insieme una professione per vivere: e guai a quei figliuoli disamorati ed irreverenti che hanno il coraggio di malignare sopra i Padri delle loro anime e di contare quasi i loro bocconi; perché Iddio dissimulerà per qualche tempo le offese loro fatte, ma poi farà conoscere che è stato contro di Lui commesso l’affronto che si fa ai suoi ministri.

SALMI BIBLICI: “DEUS DEUS MEUS, RESPICE IN ME” (XXI)

SALMO 21: ” Deus. Deus meus, respice …”

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS …

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

TOME PREMIER.

PARIS

LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR RUE DELAMMIE, 13

1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

Salmo XXI

In finem, pro susceptione matutina. Psalmus David.

[1] Deus, Deus meus, respice in me:

quare me dereliquisti? Longe a salute mea verba delictorum meorum.

[2] Deus meus, clamabo per diem, et non exaudies; et nocte, et non ad insipientiam mihi.

[3] Tu autem in sancto habitas, laus Israel.

[4] In te speraverunt patres nostri; speraverunt, et liberasti eos.

[5] Ad te clamaverunt, et salvi facti sunt; in te speraverunt, et non sunt confusi.

[6] Ego autem sum vermis, et non homo; opprobrium hominum, et abjectio plebis.

[7] Omnes videntes me deriserunt me; locuti sunt labiis, et moverunt caput.

[8] Speravit in Domino, eripiat eum: salvum faciat eum, quoniam vult eum.

[9] Quoniam tu es qui extraxisti me de ventre, spes mea ab uberibus matris meae.

[10] In te projectus sum ex utero; de ventre matris meae Deus meus es tu;

[11] ne discesseris a me, quoniam tribulatio proxima est, quoniam non est qui adjuvet.

[12] Circumdederunt me vituli multi; tauri pingues obsederunt me.

[13] Aperuerunt super me os suum, sicut leo rapiens et rugiens.

[14] Sicut aqua effusus sum; et dispersa sunt omnia ossa mea.

[15] Factum est cor meum tamquam cera liquescens in medio ventris mei.

[16] Aruit tamquam testa virtus mea, et lingua mea adhaesit faucibus meis, et in pulverem mortis deduxisti me.

[17] Quoniam circumdederunt me canes multi; concilium malignantium obsedit me.

[18]Foderunt manus meas et pedes meos, dinumeraverunt omnia ossa mea.

[19] Ipsi vero consideraverunt et inspexerunt me. Diviserunt sibi vestimenta mea, et super vestem meam miserunt sortem.

[20] Tu autem, Domine, ne elongaveris auxilium tuum a me; ad defensionem meam conspice.

[21] Erue a framea, Deus, animam meam, et de manu canis unicam meam.

[22] Salva me ex ore leonis, et a cornibus unicornium humilitatem meam.

[23] Narrabo nomen tuum fratribus meis; in medio ecclesiae laudabo te.

[24] Qui timetis Dominum, laudate eum; universum semen Jacob, glorificate eum.

[25] Timeat eum omne semen Israel, quoniam non sprevit, neque despexit deprecationem pauperis;

[26] nec avertit faciem suam a me: et cum clamarem ad eum exaudivit me.

[27] Apud te laus mea in ecclesia magna; vota mea reddam in conspectu timentium eum.

[28] Edent pauperes, et saturabuntur; et laudabunt Dominum qui requirunt eum; vivent corda eorum in sæculum sæculi.

[29] Reminiscentur et convertentur ad Dominum universi fines terrae;

[30] et adorabunt in conspectu ejus universæ familiæ gentium;

[31] quoniam Domini est regnum, et ipse dominabitur gentium.

[32] Manducaverunt et adoraverunt omnes pingues terræ; in conspectu ejus cadent omnes qui descendunt in terram.

[33] Et anima mea illi vivet; et semen meum serviet ipsi.

[34] Annuntiabitur Domino generatio ventura; et annuntiabunt cæli justitiam ejus, populo qui nascetur, quem fecit Dominus.

[Vecchio Testamento secondo la Volgata

Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

SALMO XX

Preghiera di Cristo in croce intorno la sua passione e risurrezione. Il titolo riguarda la risurrezione che avvenne il mattino, e per mano di Dio che quasi ricevè e trasse Cristo dal sepolcro per darlo all’aura di vita.

Per la fine; per l’aiuto del mattino, salmo di Davidde.

1. Dio. Dio mio, volgiti a me; perché mi hai tu abbandonato? la voce de’ miei delitti allontana la mia salute da me.

2. Dio mio, io griderò il giorno, e tu non mi esaudirai: griderò la notte, e non per mia colpa.

3. E tu pure nel luogo santo risiedi, o gloria di Israele.

4. In te sperarono i padri nostri; sperarono, e tu gli liberasti.

5. A te alzarono le loro grida, e furon salvati; in te sperarono, e non ebber da vergognarsi.

6. E io sono un verme e non un uomo, l’obbrobrio degli uomini e il rifiuto della plebe.

7. Tutti coloro che mi vedevano, mi schernivano; borbottavano colle labbra, e scuotevano la testa.

8. Pose sua speranza nel Signore, egli lo liberi; lo salvi, dacché lo ama.

9. E sei pur tu, che fuor mi traesti dall’utero, speranza mia fin da quando io suggeva il latte materno.

10. Dall’utero io fui rimesso nelle tue braccia; dal seno della madre tu sei il mio Dio.

11. Non allontanarti da me; Perocché la tribolazione è vicina: perocché chi soccorra non è.

12. Mi han circondato un gran numero di giovenchi, da grossi tauri sono assediato.

13. Spalancaron le loro fauci contro di me, come leone che agogna alla preda e ruggisce.

14. Mi son disciolto come acqua, e le ossa mie sono slogate.Si è liquefatto come cera il mio cuore in mezzo alle mie viscere.

15. Il mio vigore è inaridito come un vaso di terra cotta, e la mia lingua è attaccata al  mio palato, e mi hai condotto sino alla polvere del sepolcro.

16. Una frotta di cani mi si è messa d’intorno; una turba di maligni mi ha assediato. Hanno forate le mie mani e i miei piedi.

17. Hanno contate tutte le ossa mie. Ed eglino stavano a considerarmi e mirarmi.

18. Si divisero le mie vestimenta, e la veste mia tirarono a sorte.

19. Signore, non allontanar da me il tuo soccorso; accorri in mia difesa.

20. Libera dalla spada, o Signore, l’anima mia, e dalla violenza del cane l’unica mia.

21. Salvami dalla gola del leone: e dalle corna degli unicorni la mia miseria.

22. Annunzierò il nome tuo ai miei fratelli; canterò laude a te in mezzo alla Chiesa.

24. O voi che temete il Signore, lodatelo: seme di Giacobbe, quanto tu sei, rendi a lui gloria.

25. Lo temano tutti i posteri d’Israele, perché non disprezzò né ebbe a vile l’orazione del povero:

26. Né da me rivolse i suoi sguardi; e quando alzai a lui le mie grida, mi esaudì.

27. Da te le laudi, ch’io ti darò nella Chiesa, grande in presenza di color che lo temono, scioglierò i miei voti.

28. I poveri mangeranno, e saranno satollati; e al Signore daranno lodi quei che lo cercano; vivranno i loro cuori in eterno.

29. Si ravvederanno, e si convertiranno al Signore tutte l’estreme parti della terra.

30. E davanti a lui porteranno le adorazioni tutte quante le famiglie delle genti.

31. Imperocché del Signore è il regno, ed Egli sarà il dominatore delle nazioni.

32. Hanno mangiato, e hanno adorato lui tutti i potenti della terra; dinanzi a lui si prostreranno tutti quelli che scendono nella terra.

33. E l’anima mia per lui viverà, e la mia stirpe a Lui servirà.

34. Sarà chiamata col nome del Signore la generazione che verrà, e i cieli annunzieranno la giustizia di Lui al popolo che nascerà, cui fece il Signore.

Sommario analitico

Questo salmo che, si è detto, è piuttosto una cronaca che una profezia della Passione del Salvatore e della sua Resurrezione, indicata dal titolo: « per il soccorso del mattino ».

SEZIONE I.

I. – Nostro Signore Gesù Cristo, circondato da una folla di nemici crudeli e furiosi, e piombato in un abisso di sofferenze, chiede a suo Padre perché Lo abbia così abbandonato, e ne indica la causa nei crimini del genere umano che Egli ha fatto suoi e che sollecitano la vendetta divina (1).

II. – Contro questa moltitudine di nemici, contro questo diluvio di male, non c’è che una sola risorsa, e non oppone che un’arma sola: la preghiera perseverante notte e giorno, e presenta a Dio cinque ragioni pressanti per essere esaudito (2).

1) La santità, o, se si vuole, la misericordia di Dio, o ancora la sua potenza che dall’alto dei cieli, ove Egli risiede, può distruggere o annientare i suoi nemici (3);

2) La bontà paterna con la quale ha esaudito le preghiere dei suoi padri secondo la carne (4, 5);

3) L’eccesso dei suoi dolori e delle sue ignominie: 1. Egli è come un verme di terra; 2. Egli è l’obbrobrio degli uomini ed il rifiuto del popolo (6); 3. è un oggetto di scherno ed oltraggi per i suoi carnefici e i criminali crocifissi con lui (7); 4. questi oltraggi ricadono su Dio stesso (8);

4) I benefici dei quali Dio lo ha colmato in precedenza:

1. è Dio stesso che lo ha estratto dal seno di sua madre, in modo ammirevole (9);

2. dalla sua prima infanzia ha riposto in Dio tutta la sua fiducia (10);

3. egli Lo ha servito ed onorato fedelmente come suo Dio durante tutta la sua vita (10);

4) la grandezza e l’eccesso delle sue sofferenze, delle quali fa l’numerazione: 1. la tribolazione è la più stringente; 2. nessuno può soccorrerlo, tutti lo hanno abbandonato (11); 3. è attaccato da ogni sorta di nemici: a) dal popolo, figurato dalla folla di giovani buoi; b) dai sacerdoti e dai dottori, figurati dai tori (13), c) dai grandi ed i principi, figurati dai leoni (14); –

Non c’è una sofferenza di cui il suo corpo non sia l’oggetto: a) il suo sangue sparso come acqua; tutte le sue ossa dislocate; c) il suo cuore fuso come la cera; d) la sua forza essiccata come l’argilla (15); la sua lingua incollata al palato; f) tutta la sua forza vitale dissipata (16); g) le sue orecchie afflitte dalle bestemmie dei suoi nemici (17); h) i suoi piedi e le mani perforati; i) tutte le membra lacerate (18), j) egli è diventato uno spettacolo, un oggetto di derisione e di ludibrio per i suoi carnefici; k) vede i suoi vestiti contesi, la sua veste sorteggiata (19).

SEZIONE II.

I. Dopo aver esposto a Dio i motivi più urgenti perché Egli esaudisca la sua preghiera, il Salvatore lo supplica di inviargli i suoi potenti soccorsi per resuscitarlo dai morti, e difenderlo dopo la sua morte contro i demoni pronti a gettarsi su di Lui come preda sicura:

1) Egli domanda a Dio di non lasciarlo uscire solo dalla vita, privato di ogni soccorso divino (20);

2) descrive gli sforzi dei demoni pronti a piombare su di Lui come un branco di animali furiosi (21, 22).

II. – Il Salvatore percorre ed enumera i frutti della sua resurrezione:

1) la sua liberazione ed il suo trionfo si volgeranno interamente a gloria di Dio, a) per se stesso, Egli farà conoscere il suo nome a tutti i suoi fratelli, agli Apostoli (23); b) per gli Apostoli, che Egli invierà in tutte le nazioni, e per la bocca dei quali loderà Dio in mezzo all’assemblea dei popoli (24);

2) Egli esorta tutti quelli che temono Dio a lodarlo con i loro canti, le loro opere, e con timore tutto filiale, e offre loro una ragione per cui Dio non disprezza la preghiera del povero, al quale Egli ha prestato orecchio per le sue suppliche, che non ha allontanato da lui la sua faccia, che ha esaudito la sua preghiera (24-26).

3) Il Salvatore, come riconoscenza di così grandi benefici, promette di lodare Dio in una assemblea numerosa, la sua Chiesa (27), e di compiere voti in presenza di coloro che temono il Signore: il primo voto è quello dell’istituzione dell’Eucarestia, che deve durare fino alla fine del mondo, e dei quali espone i multipli effetti: a) l’anima saziata senza disgusto; b) la lode di Dio, seguita della gioia spirituale prodotta da questo Sacramento; c) la vita senza paura della morte (28); d) la riconoscenza per il beneficio della Passione (29); e) l’adorazione del vero Dio (30); f) la sottomissione libera e spontanea delle Nazioni, come ricambio di questa grazia sì segnalata (31); g) la devozione di tutti i fedeli; h) la consolazione per coloro che, prima di morire, si nutrono del celeste viatico (32).

– Il secondo voto è quello per il quale Gesù Cristo promette, non solo di dare il suo corpo nell’Eucaristia, ma di consacrare la sua anima al servizio di suo Padre (33). – Il terzo voto è quello con il quale Egli consacra a Dio, per tutta la durata dei secoli, tutti i fedeli che sono suoi figli, concepiti, formati ed animati dal suo sangue e, affinché nessuno dimentichi, Egli promette di inviare degli uomini apostolici che ricorderanno gli obblighi di questo voto (34).

Spiegazioni e Considerazioni

SEZIONE I.

I. — 1, 2.

ff. 1. –  Questo salmo è stato definito a giusto titolo il Vangelo della Passione. Ma che dire? Il Vangelo non è più completo né più esaustivo, non avendo visto gli Apostoli più dei dolori divini di Davide che li ha contemplati alla luce della profezia? Spesso anche il salmista non ha fatto penetrare oltre le angosce dell’uomo del dolore e completa con vari tratti la recita troppo sobria del Vangelo, ed è nella passione di Gesù Cristo, ancor più della sua incarnazione e della sua vita mortale, che san Tommaso ha potuto dire che i salmi, descrivendola, sembrano piuttosto un Vangelo che una profezia. – È soprattutto in questo salmo XXI, che tutte le principali scene della Passione, l’abbandono di Dio, l’abbandono delle creature, l’odio, l’insulto, l’oltraggio, l’orribile insieme di tutti i dolori, sono intrecciati tra i colori più vivi e le sfumature più circostanziate. – Caricato dei peccati del mondo, Gesù Cristo, che voleva farci sentire che questo divino salmo era tutto per Lui dalla prima all’ultima parola, lo cominciò sulla croce con un gran grido, per farci apprendere a continuarlo nello stesso senso, e per così dire, sullo stesso tono, spingendo fino al cielo nel suo nome che Gli sembrava implacabile, questo pianto: mio Dio, mio Dio, etc. (Bossuet). – Queste parole contengono anche in compendio, tutto l’essenziale del suo supplizio nel personaggio di un peccatore che allora impersonava, perché la punizione propria di un peccatore, è quella di essere abbandonato da Dio, che egli ha per prima abbandonato per essere consegnato poi ai suoi nemici e a se stesso. – Ma come Gesù Cristo, la santità stessa, è potuto diventare peccatore? Egli non lo è diventato per una santa finzione, ma secondo la verità di questa parola: « Dio ha messo su di Lui l’iniquità di tutti noi » (Isaia, LIII, 6); ed ancora: « Egli portò i nostri peccati nel suo corpo sul legno della croce, perché, non vivendo più per il peccato, vivessimo per la giustizia » (I Piet. II, 24); o ancora: « Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo trattò da peccato in nostro favore, perché noi potessimo diventare per mezzo di lui giustizia di Dio. » (II Cor. V, 21). – Chiunque si rende garante, si rende veramente debitore: Gesù Cristo è obbligato ad acquistarci mediante la giustizia di Dio, di modo che non sarà rimesso alcun peccato del quale non sarà scontata la pena; né alcun peccatore riconciliato, se non per coloro per i quali egli avrà, non solo corrisposto, ma anche pagato il debito secondo il rigore della giustizia. Così Egli ha espresso tutto il fondo del suo supplizio quando ha gridato con tanta forza: « … perché mi hai abbandonato? », e queste parole significano che viene consegnato ai suoi nemici ed a se stesso. Egli è debitore: è caricato di tutti i peccati del mondo; Egli è peccatore in questo senso veramente; tutti i peccati degli uomini sono suoi; Egli è vittima per il peccato, tutto penetrato di peccato, peccato Egli stesso, per così dire. Non meravigliamoci quindi se noi vediamo Gesù Cristo abbandonato dall’esterno e nel di dentro; dall’esterno alla crudeltà dei suoi nemici; al di dentro, alle sue passioni, di cui aveva la vivacità ed il sentimento, benché non ne avesse il disordine, vale a dire una tristezza mortale, ai suoi terrori, al suo spavento terribile, ad una lunga ed sfibrante agonia, ad una desolazione totale che noi possiamo ben chiamare scoraggiamento in rapporto a questo coraggio sensibile che sostiene l’anima tra le sofferenze: tali sono le piaghe interiori di Gesù Cristo, ben più rudi e per così dire più insopportabili di quelle delle sue mani e dei suoi piedi. (Bossuet). – Gesù Cristo ci insegna a temere la morte, perché essa è la pena del peccato, di cui non si può avere che troppo orrore. Egli ci mostra che non bisogna mai abbandonare Dio, anche quando sembra che Lui ci abbandoni, perché Colui che dice « mio Dio, mio Dio, perché mi avete abbandonato »?, non lascia, malgrado questo abbandono, di ricordare che questo Dio che lo abbandona, è suo Padre, poiché torna a Lui dicendo: « Mio Padre, nelle vostre mani rimetto il mio spirito. » (Bossuet, Expl. du Ps. XXI).

ff. 2. –  Lo stato di abbandono è deplorevole: nell’approssimarsi della morte, passa il giorno e la notte a reclamare il soccorso di un Dio irritato; Egli non ottiene nulla con le sue grida, e sulla croce si sente talmente abbandonato da Dio, che non osa più chiamarlo suo Padre, come prima, e non Lo chiama se non come suo Dio: « Dio mio, Dio mio »! Questi non è più Colui che diceva: « Padre mio, Io so che Voi mi ascoltate sempre » (Giov. XI, 42); è un Dio offeso che rifiuta di ascoltare, privando di qualsiasi assistenza (Bossuet). L’esempio di Gesù Cristo che prega senza essere esaudito, è di grande istruzione per i Cristiani affranti che cercano presso Dio il rimedio ai loro mali, ma si meravigliano e si tormentano quando le loro preghiere non siano esaudite subito come essi desiderano. Occorre gettare gli occhi sulla croce, imparare da Gesù Cristo che tutto ciò che ha passato Lui, dobbiamo passarlo anche noi. – Dio agisce così perché noi possiamo avere la saggezza di chiedere ciò che Egli vuole. San Paolo ha gridato per ottenere che il pungiglione gli fosse tolto dalla carne, ma si è sentito rispondere: « … ti basta la mia grazia, perché la potenza di Dio si manifesta in proporzione alla debolezza umana ». L’Apostolo dunque non è stato esaudito, non a suo detrimento, ma affinché acquisisse una saggezza più grande (S. Agost.).

II. — 3-18.

ff. 3-5. –  Gesù rigettato da suo Padre, abbandonato da Lui senza soccorso né difesa ai furori dei suoi nemici, rende giustizia a se stesso; Egli è colpevole, è sacrificato a tutte le espiazioni e merita tutti i supplizi: « Voi, o mio Dio, abitate la santità », Voi siete Santo, siete la santità stessa, e io? « Io non sono che un verme di terra, non sono più un uomo ». – Santità di Dio, così dolce per i giusti, e terribile per i peccatori. Essa è infinitamente lontana dal peccato, e da tutto ciò che ne porta le apparenze, essa lo persegue ovunque lo incontri, fosse anche nella Persona del Figlio (Dug.). – Dio, il Santo dei Santi, è il soggetto perpetuo delle lodi del suo popolo che non cessa di celebrare le sue misericordie; tutte le preghiere confluiscono a Lui dalle estremità della terra e dai mari più lontani; tutti i Patriarchi vi hanno ricorso e non certo inutilmente; Gesù è il solo che Egli non vuole ascoltare. – Rappresentiamoci nelle nostre preghiere la condotta che Dio ha tenuto riguardo ai suoi amici, i benefici dei quali li ha colmati, il soccorso che ha dato loro nel tempo della loro afflizione.

ff. 6-8. –  Gesù Cristo è simile ad un verme nella sua passione, a causa della umiltà sovrana; Egli è stato come un verme ed un oggetto di orrore per tutti coloro che lo vedevano. « Noi l’abbiamo visto, era irriconoscibile e lo abbiamo desiderato, disprezzato dagli uomini, l’ultimo degli uomini, uomo dei dolori, che conosce l’infermità » (Isaia LIII, 2). – Come un verme schiacciato dai piedi non getta alcun grido, così Gesù Cristo non ha fatto sentire alcun pianto. « Quando Lo si malediceva, non rispondeva con ingiurie; quando Lo si maltrattava, non minacciava, ma si abbandonava al potere di colui che Lo giudicava ingiustamente » (I Pietro, II,22). – Egli non risponde quando Lo si accusa; non mormora quando Lo si batte; e finanche questo grido confuso che forma il gemito ed il pianto, triste ed unica risorsa della debolezza oppressa, per cui fa intenerire i cuori ed arrestare con la pietà ciò che non ha potuto impedire con la forza, Gesù non vuole permetterselo. Tra tutte queste violenze, non si ode un mormorio, e non si sente la sua voce; in più Egli non si concede che di girare soltanto la sua testa dai colpi. Eh! Un verme di terra schiacciato dai piedi, fa ancora qualche sforzo per svincolarsi, mentre Gesù rimane immobile, e non cerca di sottrarsi ai colpi neppure con il minimo movimento (Bossuet, I, Serm. P. le vend. Saint, 2° P.). – Annientamento prodigioso! Questo Dio si allinea, assume una forma, dice delle parole, concepisce pensieri che saranno oggetto di stupore per la terra ed il cielo. Il primo uomo pretende l’onore sacrilego di ritenersi un dio, il Dio espiatore non vuole più chiamarsi un uomo. « Io sono un verme di terra, e non più un uomo ». – Avvicinare con questi eccessi di umiliazione la dignità suprema del Figlio di Dio, del Creatore di tutte le cose, del Giudice sovrano dei viventi e dei morti: ecco fino a qual punto il Figlio di Dio si è annientato per salvare gli uomini. – Come coloro che sono in realtà dei vermi di terra, potrebbero pretendere di aver parte alla salvezza, cercando di elevarsi, di divenire i primi fra tutti? – Un verme che arranca ai miei piedi, mi fa orrore. Ma io stesso arranco e sono orribile davanti a Dio, ancora più di quanto un verme che si arrampichi sia orrendo davanti a me. Come lui, io ho attaccato alla radice piante ben utili; ma egli cerca la sua vita, mentre io non cercavo la mia vita; ma egli non ha distrutto nessuna specie di pianta, mentre cosa ne so io se non ho fatto morire più di un’anima? (L. Veuill. Rome e Lorette). – « Tutti quelli che mi vedevano mi hanno insultato ». Chi non ha rivolto il suo insulto a Gesù Cristo nella sua Passione? Chi non Lo ha coperto dei propri improperi, dei suoi detti ingiuriosi, dei suoi propositi di derisione e di oltraggio? – Dio ha permesso che Davide non vedesse in spirito tutta la sostanza delle bestemmie che queste bocche empie vomitavano contro Gesù Cristo; ma lo Spirito Santo, ha voluto che Davide ne componesse un riassunto, e le ascoltassero vari secoli prima di Gesù Cristo, nel libro della Sapienza (II, 16-18). Dio ha voluto che i giusti antichi che hanno preceduto Gesù Cristo, ascoltassero queste crudeli bestemmie come l’espiazione per i loro crimini, e per essere loro di consolazione nelle proprie sofferenze (Bossuet). – Essere appeso ad un legno infame, avere i piedi e le mani perforati, sostenersi sulle proprie piaghe, contrarre le mani dilaniate dal peso del suo corpo cedente e abbattuto; avere tutti gli arti fratturati e slogati da una sospensione violenta; sentire nel contempo la lingua e le viscere disseccate, sia per la perdita di sangue, sia per il lavorio terribile dello spirito e del corpo, e non ricevere per dissetarsi che un miscuglio di fiele ed aceto; tra questi indicibili dolori, vedere un popolo infido che si beffa, che scuote la testa, che ne fa oggetto di risa così estremamente deplorevole; avere due ladri ai propri fianchi, dei quali uno furioso e disperato muore vomitando mille blasfemie. Questo spettacolo in verità è spaventoso, questo cumulo di mali fa orrore; ma né la crudeltà del supplizio, né tutti gli altri tormenti non sono che un sogno, e un dipinto, in confronto ai dolori, all’oppressione, all’angoscia che soffre l’anima divina di Gesù, sotto la mano di Dio che Lo percuote (Bossuet, Serm. p. le vent. Saint.).

ff. 9, 10. –  Chi mai aveva ricevuto tante prove nella sua infanzia della protezione divina che Gesù Cristo, e chi fu così mai più abbandonato alla fine della sua vita? – Felice colui che nell’uscire dal seno di sua madre è gettato tra le braccia della provvidenza paterna di Dio e posto nel seno della Chiesa Cattolica per non esserne mai più ritratto! – Felice chi, fin da questi primi inizi, mette tutte le sue speranze in Dio, senza mai riporle nelle creature. Felice chi, con il latte materno, succhia il miele della pietra, cioè la Sapienza increata di cui nutrirsi durante tutta la sua vita! (Duguet).

ff. 11. –  È motivo della necessità di ricorrere a Dio quando è vicina la tribolazione, e che non ci si può attendere il soccorso da altri; è motivo di bontà in Dio il sovvenirsi di questi incontri, ed avvertire che è solo Lui che può salvare (Dug.). – A chi ricorriamo nelle grandi prove? Non esauriamo tutte le risorse della nostra immaginazione nel tentare il soccorso umano? Se noi ricorriamo a Dio, non è forse con una mezza speranza che si avvicina molto al dubbio ed alla mancanza di fede?

ff. 12-17. –  Il dramma diventa terrificante. Tutto ha abbandonato la vittima spirante, il Calvario risuona dei clamori della folla, delle grida forsennate dei carnefici, delle atroci risate dei farisei e degli scribi. « Nessuno che lo soccorra ». Quale immagine renderà l’accanimento di questa moltitudine? Come dipingere la forza, l’agilità, la petulanza, l’odio, l’avidità di queste bestie selvagge che si scagliano sulla tenera ed inoffensiva vittima? Colpito infine da tanti colpi, prosciugato di sangue e privo di forze, l’agnello espiatore non ne può più di soffrire, la croce è testimone dei suoi supremi mancamenti e degli ultimi dolori (Doublet, Psaumes, etc.). I nemici di Gesù erano tutti gli ipocriti e tutti i malvagi, cosicché mai odio più forte fu così aspro, né più acceso del loro, ed è per questo che egli li rappresenta con queste figure raccapriccianti (Bossuet). Persecuzioni nascoste che squarciano in segreto la reputazione, figurate da cani che mordono lacerando; persecutori potenti in autorità, che opprimono apertamente, figurati da giovani buoi e da tori grassi. Il nemico capitale ed irreconciliabile dell’uomo, cioè il demonio, rappresentato da un leone fascinoso e ruggente che gira per ogni dove cercando chi divorare (Dug.). Sono queste le circostanze dolorose della passione di Gesù Cristo. Egli si è disciolto come l’acqua nel sudore che versò nel giardino; sulla croce il suo sangue si mescolò con l’acqua e le sue ossa furono slogate nella crocifissione. Il suo cuore era come cera fusa quando piombò in una tristezza mortale, e tutte le sue forze erano come ritirate nell’intimo dell’anima, mentre il resto fu lasciato allo spavento, alla debolezza, allo scoraggiamento, alla desolazione. – Davide non dimentica questo prodigioso disseccarsi che si produce in coloro che sono condannati al supplizio della croce, in un corpo svuotato dal sangue e con gli arti slogati dalla tortura e da una violenta sospensione; da qui viene la sete bruciante che Davide esprime con queste parole: « la mia lingua è attaccata al mio palato »; è forse il più grande tormento dei crocefissi e la più certa disposizione alla morte. Gesù Cristo ha voluto sentirla quando gridò: « ho sete », e rese l’anima un attimo dopo (Bossuet). L’uomo di per se stesso è simile all’acqua che cola, a meno che non sia contenuta in un vaso, e che da se stessa non abbia alcuna consistenza. Egli non ha più forza di colui le cui ossa sono slogate, o della la cera che fonde avvicinandosi al fuoco. È lo stato di un’anima dalla quale Dio si allontana e volta per un certo tempo da una condotta piena d’amore, benché severa; o di un’anima che ha interamente abbandonato a causa dei suoi peccati. Essa non è più irrorata dalle acque della grazia, è sterile di buone opere. La sua lingua attaccata al suo palato, non si scioglie che per proferire parole inutili o cattive, e spesso è condotta fino alla polvere della tomba, perseverando fino alla morte in questo stato funesto (Dug.). – Rappresentare un giusto in mezzo ad una truppa di malfattori che non cercano se non di perderlo, che tentano di sorprenderlo nelle sue parole, che spiano tutte le sue azioni per dar loro le interpretazioni peggiori che possano ricevere. La giustizia ha tradito Gesù Cristo, più della folla, più dei grandi e dei principi, più di coloro che Egli aveva ricolmato di beni. Ogni genere di iniquità mai fu commesso nello stesso tempo dai tribunali di Gerusalemme; mai in alcuna causa e per nessuna vittima, fu violato al tal punto il pudore stesso delle giustizia.

ff. 18, 19. – Nulla è più espressivo di questo smembramento di ossa in un corpo disincarnato e che non era più che uno scheletro, per significare questa violenta estensione delle membra sospese che poggiavano sulle stesse loro piaghe, e non potevano, per così dire, che dislocarsi da se stesse per il proprio peso. È così che l’abbandono fu spinto all’estremo; Egli è infine sulla croce, e vede, tra gli orrori dell’ultimo supplizio, le sue vesti sorteggiate e divise; e dopo una sì sanguinosa esecuzione, sembra che non resti alcuna risorsa all’umanità desolata; ma non è così, e ad contrario è li che iniziano le meraviglie di Dio nella seconda parte di questo divino salmo (Bossuet). – Che l’Apostolo dica ora: « Io sono sulla croce con Gesù Cristo » (Gal. II, 19), non meraviglia affatto, ogni vero Cristiano dovrebbe pensare lo stesso; che Dio dica per mezzo del suo profeta che Egli spanderà lo spirito di grazia e di preghiera su tutti quelli che Lo hanno perforato con i chiodi (Zac. XII, 10), è una sequela di questo amore ineffabile che ha stabilito il grande sacrificio sulla croce come la fonte di tutte le grazie. Tutto ciò che è accaduto al Cristo, deve pure avverarsi nei suoi fedeli servitori; bisogna  – che siano divisi i loro vestiti sia prima che dopo la morte, – che i loro beni siano sottratti dall’ingiustizia, – che siano loro tolti parenti, amici, protettori, – siano privati di forza e di salute, – e alla morte la spartizione assoluta e senza ritorno (Berthier). – Felice colui che alla morte, non ha da dividere altri beni che i suoi vestiti; egli può morire in un sentimento più profondo di pace e di applicazione a Dio. – Gesù Cristo, spogliato di tutto, sulla croce, ci insegna soprattutto a fare la divisione tra l’uomo vecchio con l’uomo nuovo.

II — 23-34.

ff. 23. – Prima di spirare, Gesù Cristo annunzia al mondo la potenza della sua morte e la Gloria del suo sepolcro. Durante il calvario e fino alla croce, Gesù Cristo annunzia solennemente l’imperituro trionfo della sua Resurrezione e della sua vita gloriosa: « … o voi che temete il Signore, etc. ». Tale fu la preghiera suprema di Gesù sulla croce; lo notte oscura che avvolgeva il calvario si rischiarò, l’avvenire appariva con le sue glorie; Gesù, dopo essersi visto schiacciato dai colpi della giustizia, estendeva le sue promesse di gloria e le assicurazioni di immortalità (Doublet, Psaumes, de.). – Gesù Cristo resuscitato dice alle sante donne: « Andate, annunciate la mia Resurrezione ai miei fratelli, e quando andranno in Galilea, essi mi vedranno ». Egli dice alla Maddalena: andate verso i miei fratelli e dite loro: « Io salgo verso mio Padre e vostro Padre, verso il mio Dio e vostro Dio ». E l’Apostolo San Paolo, dal suo canto dice: « Colui che santifica e colui che è santificato hanno tutti uno stesso principio; è per questa ragione che Egli non disdegna di dare loro il nome di fratelli quando dice: Io farò conoscere il vostro nome ai miei fratelli » (Ebr. II, 12). Gesù Cristo sembra prendere una cura tutta particolare nel confermarci questo dolce nome di fratelli, qualche tempo prima della sua Ascensione, come se Egli ci dicesse: mio Padre è vostro Padre così come Lo è il mio, e voi siete miei fratelli, siete dunque suoi figli, i suoi figli diletti, come lo sono anch’Io! Ma se noi siamo i figli di Dio – conclude San Paolo – siamo dunque anche i suoi eredi, eredi di Dio e coeredi di Gesù Cristo, ma a condizione di soffrire con Lui, per essere glorificati con Lui (Rom. VIII, 17). – Gesù Cristo ha dei fratelli da far conoscere al Padre, e per formare con essi un’assemblea, che è la Chiesa, che ne canta eternamente le lodi.

ff. 24-26. – Tre sono i doveri indispensabili per tutti i membri della Chiesa della terra, significati qui dalla razza di Giacobbe e dalla posterità di Israele: lodare, glorificare, temere il Signore. – Tre sono le ragioni di questo obbligo: 1) « Egli non ha disprezzato né rigettato l’umile preghiera del povero »; 2) « Non ha allontanato il suo volto da sopra il povero », lo ha guardato con occhio favorevole, lo ha fatto uscire dalla tomba. 3) « Egli ha esaudito il povero ». Quale fondo inesauribile di istruzione e di consolazione per tutti quelli che soffrono, che sono afflitti, poveri come Gesù Cristo! – Il Re-Profeta ci fa assistere alla nascita ed alla fondazione della Chiesa; egli ne ha contemplato le prime assise, e ci descrive i suoi fondamenti. I diseredati di questo mondo vi sono chiamati per primi. « I poveri mangeranno e saranno saziati ».

ff. 27. –  Questa grande assemblea, questa grande chiesa, è l’unione di tutti i fedeli disseminati in tutto l’universo, sotto il medesimo Capo invisibile che è Gesù Cristo, e sotto uno stesso Capo-visibile, che è il Sovrano Pontefice, Vicario di Gesù Cristo. Questa grande Assemblea è sparsa su tutta la terra, ma unita dai legami di una stessa fede, dalla partecipazione agli stessi Sacramenti, e governata da Pastori che formano un corpo visibile ed indivisibile. Ora, la Chiesa Cattolica è la sola nella quale questi caratteri si conservano e si perpetuano. – La Chiesa si proclama essere una società universale ove debbano riunirsi tutte le generazioni umane. Essa sa che, come società pubblica, deve a Dio un culto pubblico, solenne, ove tutte le voci e tutti i cuori si fondano in un unico sentimento di rispetto, di adorazione e di amore. Le sue riunioni, le sue assemblee popolari, sono l’adempimento di questa suddetta sacralità, di questo dovere dell’universo cristiano. È la legge degli esseri collettivi, legge non meno imperiosamente necessaria di quella dell’individuo. Così il Profeta, che lasciava tanto frequentemente evadere il suo cuore nel silenzio del ritiro, e sfogava la sua anima come l’acqua solitaria, aggiunge: « Io racconterò la gloria di Dio ai miei fratelli, e loderò il Signore in una grande assemblea ». – «Io renderò le mie voci, etc. ». è soprattutto il Crocifisso ed il Resuscitato che parla, è Lui che rende le sue voci. Rendere le sue voci secondo la Scrittura, era offrire a Dio un sacrificio di azione di grazia o di Eucaristia, quando si è ottenuto ciò che si domandava. È quello che fa Gesù Cristo dopo la Resurrezione, ed è proprio di questo Sacrificio l’essere un banchetto sacro, e il Profeta lo designa anche nel suo carattere (Bossuet).

ff. 28. – Una parte essenziale del culto pubblico che deve essere reso nella Chiesa, con Gesù Cristo e per Gesù Cristo, ed il primo che Gesù Cristo annunzia, è il culto della divina Eucaristia. Nel culto di questa Chiesa, di questa assemblea nella quale Gesù Cristo deve glorificare suo Padre, e compiere i suoi voti, è nessun’altra tavola se non quella dell’Eucaristia; e sono i poveri o gli uomini miti, umili di cuore, modesti, che devono usare questa carne per essere saziati. Partecipandovi « … essi lodano il Signore », e nel modo in cui « essi Lo ricercheranno », cioè se si porteranno davanti a Lui con sincerità e con ardore « il loro cuore vivrà eternamente », ciò che è, secondo lo stesso Vangelo, il frutto immediato dell’Eucaristia (Berthier). – I poveri, gli umili di cuore mangeranno; cosa mangeranno se queste non sono, secondo il costume, le carni immolate nel Sacrificio dell’Eucaristia, che sono in effetti quelle di Gesù Cristo? Perché per noi non ci sono altre vittime che Questa. « Ed essi saranno saziati »: da cosa se non dagli obbrobri, dalle sofferenze di Gesù Cristo e dalle sue umiliazioni? Ma essi non devono per questo mormorare, scoraggiarsi per questo Sacrificio, perché è a causa degli obbrobri di Gesù Cristo che noi dobbiamo aver parte alla sua vita ed alla sua gloria, ed in effetti il salmo dice loro nel nome di Gesù Cristo: « I vostri cuori vivranno nei secoli dei secoli, e voi avrete parte al nutrimento del quale Io ho già detto: « chi mi mangia vivrà per me, e non morirà. » (Bossuet).

ff. 29-32. –  La prima e più antica conoscenza del genere umano è quella della divinità: l’idolatria, sparsa in tanti secoli per tutta la terra, non era altra cosa che un lungo e profondo oblio di Dio: rientrare in questa conoscenza, e tornare in se stessi dopo un assopimento mortifero, per riconoscere Dio che ci ha creati, è ciò che Davide chiama il ricordarsi, e spiega in questi tre versetti che questa doveva essere la felice e prossima sequela della crocifissione di Gesù Cristo (Bossuet). – Era questo uno spaventoso oblio di Dio, nel quale vivevano tutte le nazioni della terra prima della venuta di Gesù-Cristo, come se Dio non fosse stato il loro creatore. – Ma l’oblio di Dio è non meno terribile, per un gran numero di Cristiani, che vivono come se in realtà non ne avessero mai inteso parlare (Dug.). – L’Eucaristia, è considerata come il viatico dei morenti, di coloro i cui sensi si spengono, nei quali la vita svanisce, e che stanno per discendere nella terra dove il corpo di Gesù Cristo sarà per il proprio corpo un pegno sicuro di resurrezione.

ff. 33. 34. – Il frutto principale dell’Eucaristia è vivere la vita di Gesù Cristo. « Gesù Cristo è morto per tutti, affinché coloro che vivono non vivono più per se stessi, ma per Colui che è morto e resuscitato per essi » (II Cor. V, 15). – « Io vivo, e non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me. Questa vita nella carne, io la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato se stesso per me » (Galat. II, 19, 20). – Questa posterità che deve venire, erano i Cristiani che il Profeta distingue qui dai giudei. Ma oggi, in cui è così grande il numero dei Cristiani che non lo sono che di nome, e che vivono una separazione completa da Dio e da ogni pratica religiosa, c’è da desiderare che una nuova generazione si formi, cresca e si ingrandisca alla scuola di queste verità eterne ed imprescrittibili, di cui la Chiesa Cattolica custodisce il deposito, e provi che la Francia non abbia cessato di essere a Dio con la sua fede, il suo cuore, i suoi pensieri, i suoi sentimenti, le sue tradizioni, le sue speranze; che non abbia cessato di essere la Francia del Cristo, e la figlia primogenita della sua Chiesa.

15 AGOSTO: ASSUNZIONE DELLA B. V. MARIA (2019)

15 AGOSTO.

Assunzione della B. V. M.

[D. G. LEFEBVRE O. S. B.: Messale romano – L.I.C.E. –R. BERRUTI, TORINO 1936]

Doppio di I classe con Ottava Comune – Paramenti bianchi.

In questa festa, la più antica e la più solenne del Ciclo Mariano (VI secolo), la Chiesa invita tutti i suoi figli sparsi nel mondo a unire la loro gioia (Intr.), la loro riconoscenza (Pref.) a quella degli Angeli che lodano il Figlio di Dio, perché sua Madre è entrata in questo giorno, con il corpo e con l’anima, nel cielo (All.). Nella Basilica di Santa Maria Maggiore si celebra a Natale il Mistero, che è il punto di partenza di tutte le glorie della Vergine ed ancora si celebra oggi l’Assunzione, che ne è l’ultimo. Maria, porta in sé l’umanità di Gesù al momento dell’incarnazione del Verbo; oggi è Gesù, che riceve a sua volta il corpo di Maria in cielo. Ammessa a godere le delizie della contemplazione eterna, la Madre ha scelto ai piedi del suo divin Figlio la miglior parte, che non le sarà giammai tolta (Vang., Com.).

In altri tempi si leggeva il Vangelo della Vigilia, dopo quello del giorno, a fine di dimostrare che la Madre di Gesù è la più fortunata tra tutte, perché meglio d’ogni altra, « Ella ascoltò la parola di Dio ». Questa Parola, questo Verbo, questa Sapienza divina che stabilisce, sotto l’Antica Legge, la sua dimora nel popolo d’Israele (Ep.), è discesa sotto la Nuova Legge in Maria. Il Verbo si è incarnato nel seno della Vergine e ora negli splendori della celeste Sion egli l’ha colmata delle delizie della visione beatifica. Come Marta, la Chiesa sulla terra si dedica alle sollecitudini delle quali necessita la vita presente ed ancora come Marta, la Chiesa reclama l’aiuto di Maria (Or., Secr., Postc). Una processione fu sempre fatta nel giorno della festa dell’Assunzione. A Gerusalemme era formata dai numerosi pellegrini che andavano a pregare sulla tomba della Vergine e contribuirono così all’istituzione di questa solennità. Il clero di Costantinopoli faceva anch’esso nel giorno della festa dell’Assunzione di Maria una processione. A Roma, dal VII al XVI secolo, il corteo papale, al quale prendevano parte le rappresentanze del Senato e del popolo, andava in quel giorno dalla chiesa di San Giovanni in Laterano a quella di Santa Maria Maggiore. Questo si chiamava fare la Litania.

Assunzione della Beata Maria Vergine.

[Appendice al Messale ut supra]

Doppio di classe con Ottava Comune. – Paramenti bianchi.

La credenza nell’Assunzione corporea di Maria SS. era già radicata da secoli nel cuore dei fedeli, profondamente persuasi che la Vergine, sin dal momento del suo transito da questa terra al Cielo, era stata glorificata da Dio anche nel corpo, senza che dovesse attendere che questo risorgesse, insieme con quello di tutti gli altri, alla fine del mondo. Cosi La festa dell’Assunzione, celebrata già verso il 500 in Oriente, costituì la più antica e la maggiore solennità dell’anno in onore di Maria SS. Tuttavia la realtà dell’Assunzione corporea di Maria in Cielo non fu oggetto di una solenne definizione da parte del Papa se non il 1° novembre 1950. In tale giorno, il Sommo Pontefice Pio XII proclamò dogma di fede che « Maria, terminata la carriera della vita terrena, fu assunta alla gloria celeste quanto all’anima e quanto al corpo. – Questa definizione, maturata lentamente, ma incessantemente nei diciannove secoli che seguirono al beato transito di Maria da questa terra, ha ed avrà un’eco incalcolabile nella dottrina come nella vita cristiana. – Una delle sue conseguenze pratiche sarà quella di attirare vieppiù l’attenzione dei fedeli sulla futura glorificazione nostra non solo quanto all’anima, ma anche quanto al corpo. Come Adamo ci rovinò nell’una e nell’altro, così Gesù ci redense non solo quanto all’anima, ma anche quanto al corpo, cosicché l’anima del giusto è destinata ad una beatitudine immensa mediante la visione beatifica di Dio, ed il corpo alla sua volta verrà risuscitato, trasformato e configurato a quello glorioso del Cristo. Per Maria SS. la glorificazione corporea avvenne alla fine della sua carriera mortale; per gli altri giusti non avverrà che alla fine del mondo; ma se devono attenderla, non possono però dubitarne; la loro redenzione è certissima e sarà completa e perfetta (Rom. VIII, 23; Ef. IV, 30). Avendo già realizzato pienamente in se stessa il disegno divino della nostra redenzione, Maria SS. è per noi, colla sua Assunzione corporea, un altro modello, oltre quello di Gesù, della divinizzazione dell’anima mediante la visione beatifica e della glorificazione del corpo cui tutti siamo chiamati e che tutti dobbiamo meritare con le buone opere e con le sofferenze di questa vita cristianamente sopportate. Come del Cristo, così saremo coeredi di Maria SS., se soffriremo con Lei e come Lei (Rom. VIII, 17). – D’altra parte l’Assunta non soltanto ci ricorda quale sia la nostra meta soprannaturale e la via per raggiungerla, ma ci presta anche il suo validissimo aiuto. A quel modo che una buona mamma mira sempre a rendere partecipi della sua felicità tutti i suoi figli, così la Madre nostra celeste regna in Paradiso sempre sollecita della salvezza di tutti gli uomini. S. Paolo ci rappresenta Gesù che vive alla destra del Padre, sempre pregando per noi (Rom. VIII, 34; Ebr. VII, 25); la Chiesa, alla sua volta, ci dice che la Vergine è stata assunta in cielo, affinché fiduciosamente s’interponga presso Dio per noi peccatori (Segreta della Vigilia).

Affine di perpetuare anche nella Liturgia il ricordo della definizione del dogma dell’Assunzione di Maria SS., la Santa Sede ha pubblicato una nuova Messa in onore dell’Assunta, ordinando di inserirla nel Messale il giorno 15 d’agosto, in luogo di quella antica (A. A. S. 1950, pag. 703-5).

Introitus

Ap XII: 1
Signum magnum appáruit in cœlo: múlier amicta sole, et luna sub pédibus ejus, et in cápite ejus coróna stellárum duódecim [Un gran segno apparve nel cielo: una Donna rivestita di sole, con la luna sotto i piedi, ed in capo una corona di dodici stelle].
Ps XCVII:1
Cantáte Dómino cánticum novum: quóniam mirabília fecit. Cantate al Signore un càntico nuovo: perché ha fatto meraviglie.
Signum magnum appáruit in coelo: múlier amicta sole, et luna sub pédibus ejus, et in cápite ejus coróna stellárum duódecim [Un gran segno apparve nel cielo: una donna rivestita di sole, con la luna sotto i piedi, ed in capo una corona di dodici stelle].

Oratio

Orémus.
Omnípotens sempitérne Deus, qui Immaculátam Vírginem Maríam, Fílii tui genitrícem, córpore et ánima ad coeléstem glóriam assumpsísti: concéde, quǽsumus; ut, ad superna semper inténti, ipsíus glóriæ mereámur esse consórtes.
Onnipotente sempiterno Iddio, che hai assunto in corpo ed ànima alla gloria celeste l’Immacolata Vergine Maria, Madre del tuo Figlio: concédici, Te ne preghiamo, che sempre intenti alle cose soprannaturali, possiamo divenire partecipi della sua gloria.

Lectio

Léctio libri Judith.
Judith XIII, 22-25; XV:10
Benedíxit te Dóminus in virtúte sua, quia per te ad níhilum redégit inimícos nostros. Benedícta es tu, fília, a Dómino Deo excelso, præ ómnibus muliéribus super terram. Benedíctus Dóminus, qui creávit coelum et terram, qui te direxit in vúlnera cápitis príncipis inimicórum nostrórum; quia hódie nomen tuum ita magnificávit, ut non recédat laus tua de ore hóminum, qui mémores fúerint virtútis Dómini in ætérnum, pro quibus non pepercísti ánimæ tuæ propter angústias et tribulatiónem géneris tui, sed subvenísti ruínæ ante conspéctum Dei nostri. Tu glória Jerúsalem, tu lætítia Israël, tu honorificéntia pópuli nostri.
[Il Signore ti ha benedetta nella sua potenza, perché per mezzo tuo annientò i nostri nemici. Tu, o figlia, sei benedetta dall’Altissimo piú che tutte le donne della terra. Sia benedetto Iddio, creatore del cielo e della terra, che ha guidato la tua mano per troncare il capo al nostro maggior nemico. Oggi ha reso cosí glorioso il tuo nome, che la tua lode non si partirà mai dalla bocca degli uomini che in ogni tempo ricordino la potenza del Signore; a pro di loro, infatti, tu non ti sei risparmiata, vedendo le angustie e le tribolazioni del tuo popolo, che hai salvato dalla rovina procedendo rettamente alla presenza del nostro Dio. Tu sei la gloria di Gerusalemme, tu la gloria di Israele, tu l’onore del nostro popolo!]

Graduale

Ps XLIV: 11-12; XLIV: 14
Audi, fília, et vide, et inclína aurem tuam, et concupíscit rex decórem tuum. [Ascolta, o figlia; guarda e inclina il tuo orecchio, e s’appassionerà il re della tua bellezza.]

V. Omnis glória ejus fíliæ Regis ab intus, in fímbriis áureis circumamícta varietátibus. Allelúja, allelúja. V. Tutta bella entra la figlia del Re; tessute d’oro sono le sue vesti. Allelúia, allelúia.
V. Assumpta est María in cælum: gaudet exércitus Angelórum. Allelúja.  [Maria è assunta in cielo: ne giúbila l’esercito degli Angeli. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia sancti Evangélii secúndum Lucam.
Luc 1:41-50
“In illo témpore: Repléta est Spíritu Sancto Elisabeth et exclamávit voce magna, et dixit: Benedícta tu inter mulíeres, et benedíctus fructus ventris tui. Et unde hoc mihi ut véniat mater Dómini mei ad me? Ecce enim ut facta est vox salutatiónis tuæ in áuribus meis, exsultávit in gáudio infans in útero meo. Et beáta, quæ credidísti, quóniam perficiéntur ea, quæ dicta sunt tibi a Dómino. Et ait María: Magníficat ánima mea Dóminum; et exsultávit spíritus meus in Deo salutári meo; quia respéxit humilitátem ancíllæ suæ, ecce enim ex hoc beátam me dicent omnes generatiónes. Quia fecit mihi magna qui potens est, et sanctum nomen ejus, et misericórdia ejus a progénie in progénies timéntibus eum.”

[In quel tempo: Elisabetta fu ripiena di Spirito Santo, e ad alta voce esclamò: Benedetta tu fra le donne, e benedetto il frutto del tuo seno! Donde a me questo onore che la madre del mio Signore venga a me? Ecco, infatti, che appena il tuo saluto è giunto alle mie orecchie, il bimbo ha trasalito nel mio seno. Beata te, che hai creduto che si compirebbero le cose che ti furono dette dal Signore! E Maria rispose: L’ànima mia magnifica il Signore, e il mio spirito esulta in Dio mio salvatore, perché ha guardato all’umiltà della sua serva; ed ecco che da ora tutte le generazioni mi diranno beata. Perché grandi cose mi ha fatto colui che è potente, e santo è il suo nome, e la sua misericordia si estende di generazione in generazione su chi lo teme.]

OMELIA

[Segue il Sermone Del Curato d’Ars]

CREDO ...

Offertorium

Orémus
Gen III:15
Inimicítias ponam inter te et mulíerem, et semen tuum et semen illíus.[Porrò inimicizia tra te e la Donna: fra il tuo seme e il Seme suo.]

Secreta

Ascéndat ad te, Dómine, nostræ devotiónis oblátio, et, beatíssima Vírgine María in coelum assumpta intercedénte, corda nostra, caritátis igne succénsa, ad te júgiter ádspirent.
[Salga fino a Te, o Signore, l’omaggio della nostra devozione, e, per intercessione della beatissima Vergine Maria assunta in cielo, i nostri cuori, accesi di carità, aspirino sempre verso di Te.]

Communio

Luc 1: 48-49
Beátam me dicent omnes generatiónes, quia fecit mihi magna qui potens est. [Tutte le generazioni mi diranno beata, perché grandi cose mi ha fatto colui che è potente.]

Postcommunio

Orémus.
Sumptis, Dómine, salutáribus sacraméntis: da, quǽsumus; ut, méritis et intercessióne beátæ Vírginis Maríæ in coelum assúmptæ, ad resurrectiónis glóriam perducámur.
[Ricevuto, o Signore, il salutare sacramento, fa, Te ne preghiamo, che, per i meriti e l’intercessione della beata Vergine Maria Assunta in cielo, siamo elevati alla gloriosa resurrezione.]

I SERMONI DEL CURATO D’ARS: 15 AGOSTO – FESTA DELL’ASSUNZIONE DELLA SS. VERGINE

I SERMONI DEL CURATO D’ARS

15 Agosto

FESTA DEL L’ASSUNZIONE DELLA SS. VERGINE.

SULLE GRANDEZZE DI MARIA.

Quia respexit humilitatem ancillæ suæ.

[Perché il Signore ha riguardato la bassezza della sua ancella].

(S. LUCA I, 48).

[I Sermoni del B. GIOVANNI B. M. VANNEY, trad. It. di Giuseppe D’Isengrad P. d. M. – vol. IV, Torino, Libreria del Sacro Cuore – 1908- imprim. Can. Ezio Gastaldi-Santi, Provic. Gen., Torino, 8  apr. 1908]

Se noi vediamo, fratelli miei, la SS. Vergine abbassarsi nella sua umiltà al di sotto d’ogni creatura, vediamo pure quest’umiltà innalzarla al di sopra di tutto ciò che non è Dio. No, non i grandi della terra l’han sollevata al sommo grado di dignità nella quale abbiamo oggi la lieta ventura di contemplarla. Le tre Persone della SS. Trinità l’han posta su quel trono di gloria; l’han proclamata Regina del cielo e della terra, facendola depositaria di tutti i tesori celesti. No, miei fratelli, non riusciremo mai ad intender sufficientemente le grandezze di Maria, e il potere conferitole dal suo divino Figliuolo; non potremo mai conoscer bene quanto desidera di farci felici. Ci ama come figli: e si rallegra del potere datole da Dio, perché può così giovarci di più. Sì, Maria è nostra mediatrice; essa presenta tutte le nostre preghiere, le nostre lacrime, i nostri gemiti al suo divin Figlio; Ella attira su noi le grazie necessarie alla nostra salute. Lo Spirito santo ci dice che Maria è, tra tutte le creature, un prodigio di grandezza, un prodigio di santità e un prodigio d’amore. Quale felicità per noi, miei fratelli, e quale speranza per la nostra salute! Ravviviamo dunque la nostra fiducia in questa buona e tenera Madre, considerando: 1° la sua grandezza; 2° il suo zelo per la nostra salute; 3° ciò che dobbiam fare per piacerle e meritarne la protezione.

I. — Parlar delle grandezze di Maria, miei fratelli, è voler impicciolire l’idea grande che ve ne fate; poiché dice S. Ambrogio che Maria è innalzata a sì alto grado di gloria, d’onore e di potenza, cui neppur gli Angeli son capaci di comprendere: ciò è riservato a Dio solo. Quindi concludo che quanto potrete udire, sarà nulla o quasi nulla a confronto di ciò che è Maria agli occhi dì Dio. Il più bell’elogio, che possa farcene la Chiesa, è dirci che Maria è Figlia dell’eterno Padre, Madre del Figliuol di Dio salvatore del mondo, e Sposa dello Spirito santo. Se l’eterno Padre ha scelto Maria qual sua Figlia privilegiata, qual torrente di grazie non dovette Egli versar nell’anima sua? Ella sola ne ricevette più che tutti insieme gli Angeli e i Santi. Innanzi tutto la preservò dal peccato originale, grazia concessa soltanto a Lei. L’ha confermata in questa grazia, con piena certezza che mai la perderebbe. Sì, miei fratelli, l’eterno Padre l’arricchì de’ doni celesti a proporzione dell’alta dignità, a cui doveva innalzarla. Ne formò un tempio vivo delle tre Persone della SS. Trinità. – Diciamo meglio ancora: fece per essa quanto poteva farsi per una creatura. Se l’eterno Padre ebbe sì gran cura di Maria, sappiamo che lo Spirito Santo scese pure ad abbellirla in tal grado, che, fin dall’istante del suo concepimento, divenne oggetto delle compiacenze delle tre divine Persone. Maria soltanto ha la bella sorte d’esser Figlia privilegiata dell’eterno Padre, ed ha pur quella d’esser Madre del Figliuolo e Sposa dello Spirito Santo. Per tale dignità incomparabile si vede congiunta alle tre divine Persone per formare il corpo adorabile di Gesù Cristo. Di Lei Dio doveva servirsi per abbattere e rovinare l’impero del demonio. Di Lei si valsero le tre Persone divine per salvare il mondo dandogli un Redentore. Avreste pensato mai che Maria fosse un tale abisso di grandezza, di potenza e d’amore? Dopo il Corpo adorabile di Gesù Cristo Essa è il più bello ornamento della corte celeste. Possiam dire che il trionfo della SS. Vergine in cielo è il compimento di tutti i meriti di quest’augusta Regina del cielo e della terra. In quell’istante ricevette l’ultimo ornamento della sua incomparabile dignità di Madre di Dio. Dopo aver per qualche tempo tollerato le molteplici miserie della vita e incontrato poi le umiliazioni della morte, andò infine a godere della vita più gloriosa e più felice di cui possa godere una creatura. Talora ci meravigliamo che Gesù, il quale amava tanto sua Madre, l’abbia lasciata dopo la sua resurrezione così a lungo sulla terra. La ragione fu che voleva con questo ritardo procurarle maggior gloria; d’altra parte gli Apostoli avevano ancor bisogno di Lei per essere consolati e guidati. Maria infatti rivelò agli Apostoli segreti più grandi della vita nascosta di Gesù Cristo. Maria pure spiegò il vessillo della verginità, ne fece conoscere tutto lo splendore, tutta la bellezza, e ci mostra l’inestimabile premio riserbato a uno stato sì santo. Ma rimettiamoci in via, fratelli miei, e continuiamo a seguire Maria fino al momento, in cui abbandona questo mondo. Gesù Cristo volle, che, prima d’essere assunta al cielo, potesse anche una volta rivedere gli Apostoli. Tutti, eccetto S. Tommaso, furono miracolosamente trasportati intorno al suo povero letto. Per un atto profondissimo di quell’umiltà, che aveva spinto sempre al più alto grado, Maria volle baciare a tutti i piedi, e chiese loro la benedizione. Quest’atto era apparecchio all’altissima gloria, a cui il suo Figliuolo doveva innalzarla. Quindi Maria diede a tutti la sua benedizione. È impossibile far intendere quante lacrime abbiano allora versato gli Apostoli per la perdita che stavano per fare. Dopo il Salvatore la SS. Vergine non era loro unica felicità, loro sola consolazione? Per mitigare un po’ la loro pena, Ella promise che non li dimenticherebbe dinanzi al suo divino Figliuolo. Si crede che l’Angelo medesimo, da cui le era stato annunziato il mistero dell’Incarnazione, venisse a indicarle, a nome del suo Figliuolo, l’ora della sua morte. La SS. Vergine rispose all’Angelo: « Ah! qual felicità! E come desideravo questo momento! » Dopo sì lieta notizia volle fare il suo testamento che fu presto fatto. Aveva due vesti e le diede a due vergini, che da lungo tempo la servivano. Si sentì allora infiammata di tanto amore, che l’anima sua, simile ad accesa fornace, non poté più rimanere nel corpo. Beato momento! È possibile, fratelli miei, considerar le meraviglie, che accompagnarono tal morte, e non sentir ardente desiderio di viver santamente per santamente morire? Certo non dobbiamo aspettarci di morir d’amore, ma almeno abbiamo speranza di morir nell’amor di Dio. Maria non teme punto la morte, poich’essa la metterà a possesso della perpetua felicità. Sa che l’aspetta il paradiso, e ch’Ella ne sarà uno de’ più belli ornamenti. – Il suo Figliuolo e tutta la corte celeste si fanno anzi per celebrare così splendida festa; i santi e le sante del cielo aspettano solo gli ordini di Gesù, per venir in cerca di questa Regina e condurla trionfalmente nel suo regno. In cielo tutto è apparecchiato per riceverla; essa riceverà onori superiori a quanto può immaginarsi. Per uscir da questa vita Maria non ebbe a soffrir malattia, perché esente da peccato. Non ostante la sua età, il suo corpo non fu mai deperito, come quello degli altri mortali, anzi sembrava prendere nuovo splendore a misura che si avvicinava alla fine. S. Giovanni Damasceno ci dice che Gesù Cristo in persona venne in cerca della Madre sua. Così spariva questo bell’astro, che per settantadue anni aveva rischiarato il mondo. Sì, miei fratelli, Maria rivide il suo Figliuolo, ma in aspetto ben diverso da quello in cui l’aveva visto, quando, tutto coperto di sangue, era confitto alla croce. O Amor divino, ecco la più bella delle tue vittorie e delle tue conquiste! Non potevi far di più, ma neppure avresti potuto far di meno! Sì, miei fratelli, se la Madre d’un Dio doveva morire, non poteva morire che in un impeto d’amore. O bella morte! o morte beata! o morte desiderabile! Ah! Ella è pur compensata di quel torrente d’umiliazioni e di dolori, di cui la sua sant’anima fu inondata nel corso della sua vita mortale! Sì, essa rivede il suo Figliuolo, ma ben diverso da ciò che era il giorno in cui l’aveva visto nel tempo della sua dolorosa passione, tra le mani de’ suoi carnefici, sotto il peso della croce senza poterlo sollevare. Oh! no: non lo vede più in sì triste apparato, capace di annichilare una creatura un po’ sensibile; ma lo vede, dico, splendente di tanta gloria, ch’è la gioia e la felicità del cielo: vede gli Angeli e i Santi che lo circondano, lo lodano, lo benedicono e l’adorano fino ad annientarsi dinanzi a Lui. Sì, rivede quel tenero Gesù, esente da tutto ciò che può farlo patire. Ah! chi di noi non vorrà lavorare per andare a raggiungere Madre e Figlio in quel luogo di delizie? Pochi momenti di combattimento e di patimenti sono larghissimamente ricompensati. – Ah! miei fratelli, che morte beata! Maria non teme nulla, perché ha sempre amato il suo Dio: non rimpiange nulla, perché non possedette mai altro che il suo Dio. Vogliamo morire senza timore? Viviamo nell’innocenza come Maria; fuggiamo il peccato, ch’è nostra sola sventura nel tempo e nell’eternità. Se avemmo la grande sventura di commetterlo, piangiamo, conforme all’esempio di S. Pietro, fino alla morte, e il nostro dolore termini solo colla vita. Imitando l’esempio del santo re David, scendiamo nella tomba versando lacrime: e nell’amarezza del nostro pianto laviamo le anime nostre (Ps. VI, 7). Vogliamo, come Maria, morire senza rammarico? Viviamo com’Ella senza attaccarci alle cose create; facciamo com’eElla, amiamo Dio solo, Lui soltanto desideriamo, e cerchiamo unicamente di piacergli in tutto ciò che facciamo. Beato il Cristiano, che non lascia nulla e ritrova tutto!… Accostiamoci ancora un momento a quel povero letticciuolo, che ha la bella sorte di reggere questa perla preziosa, questa rosa sempre fresca e senza spine, questo globo di luce e di gloria, che deve dare nuovo splendore a tutta la corte celeste. Gli Angeli, si dice, intonarono un cantico d’allegrezza nell’umile casetta ov’era il sacro corpo, ed essa era imbalsamata d’odore sì gradito, che pareva vi fossero scese tutte le dolcezze del paradiso. Andiamo, fratelli miei, accompagniamo questo sacro corteo; teniam dietro a questo tabernacolo in cui l’eterno Padre aveva rinchiuso tutti i suoi tesori, e che, per qualche tempo starà nascosto, come fu nascosto il corpo del suo divino Figliuolo. Il dolore e i gemiti resero senza parola gli Apostoli e i fedeli venuti in grandissimo numero a vedere anche una volta la Madre del loro Redentore. Ma, riavutisi, cominciarono a cantare inni e cantici per onorare il Figlio e la Madre. Degli Angeli una parte sali al cielo per condurre in trionfo quest’anima senza pari; l’altra restò sulla terra per celebrar le esequie del suo corpo. Or vi chiedo, fratelli miei, chi potrà esser capace di dipingerci sì bello spettacolo? Da una parte s’udivano gli spiriti celesti usar tutto la loro arte di paradiso per manifestare la gioia ond’erano pieni per la gloria della loro Regina; dall’altra si vedevano gli Apostoli e gran numero di fedeli levare anch’essi le loro voci per accompagnare le armonie di quei divini cantori. S. Giovanni Damasceno ci dice che, prima di mettere nel sepolcro il santo corpo, tutti ebbero la sorte felice di baciare quelle mani sacrosante, che avevan tante volte portato il Salvatore del mondo. In quell’istante non vi fu infermo che non fosse guarito; non vi fu alcuno in Gerusalemme, che non chiedesse a Dio qualche grazia per intercessione di Maria e non l’ottenesse. Dio volle così per farci intendere che tutti coloro, i quali poi avrebbero ricorso a Lei, erano certi di tutto ottenere. Poiché ciascuno, dice il medesimo santo, ebbe soddisfatto alla sua pietà, e ottenuto ciò che chiedeva, si pensò alla sepoltura della Madre di Dio. Gli Apostoli, secondo l’usanza de’ Giudei, ordinarono che si lavasse e s’imbalsamasse il sacro corpo. Incaricarono di quest’ufficio due vergini, ch’erano ai servizi di Maria. Queste, per miracolo, non poterono veder, né toccare il santo corpo. Si credette riconoscere in questo il volere di Dio, e il corpo fu sepolto con tutte le sue vesti. Se Maria fu sulla terra umile in guisa che non ebbe pari, anche la sua morte e la sua sepoltura non ebbero eguale per la grandezza delle meraviglie che vi accaddero. Gli Apostoli in persona portarono quel prezioso deposito, e il sacrosanto corteo traversò la città di Gerusalemme fino al luogo della sepoltura, ch’era nel borgo di Gethsemani nella valle di Giosafat. Tutti i fedeli l’accompagnarono con fiaccole in mano, molti si univano per via a quella pia folla, che portava l’arca della nuova alleanza e la conduceva al luogo del suo riposo. Dice S. Bernardo che gli Angeli facevano anch’essi la loro processione, precedendo e seguendo il corpo della loro Sovrana con cantici d’allegrezza: tutti gli astanti udivano il canto degli Angeli, e, dovunque passava, quel sacro corpo spandeva una fragranza deliziosa, come se tutte le dolcezze e i profumi celesti fossero discesi sulla terra. Vi fu, aggiunge il santo, un disgraziato Giudeo, che, consumato dalla rabbia nel vedere che si rendevano sì grandi onori alla Madre di Dio, si scagliò sul santo corpo per farlo cadere nel fango; ma appena l’ebbe toccato, ambe le mani gli caddero inaridite. Pentito pregò S. Pietro a farlo accostare al corpo della SS. Vergine; e nell’atto in cui lo toccava, le sue due mani si rimisero a posto da sé in modo che pareva non fossero state mai separate dal braccio. Il corpo della Madre di Dio essendo stato rispettosamente deposto nel sepolcro, i fedeli tornarono a Gerusalemme; ma gli Angeli continuarono a cantar per tre giorni le lodi di Maria, gli Apostoli venivano, gli uni dopo gli altri, ad unirsi agli Angeli che se ne stavano sopra la tomba. In capo a tre giorni S. Tommaso, il quale non aveva assistito alla morte della Madre di Dio, chiese a S. Pietro la consolazione di vedere anche una volta quel corpo verginale. Andarono dunque al sepolcro; ma non vi trovarono più che le vesti. Gli Angeli l’avevano trasportata in cielo, poiché non si sentivano più i loro canti. Per farvi una fedele descrizione della sua entrata gloriosa e trionfante in cielo, bisognerebbe, fratelli miei, ch’io fossi Dio medesimo, che in quel momento volle prodigare alla Madre sua tutte le ricchezze del suo amore e della sua riconoscenza. Possiam dire che allora raccolse quant’era capace di abbellirne il celeste trionfo. « Apritevi, porte del cielo, ecco la vostra Regina che abbandona la terra per adornare i cieli colla grandezza della sua gloria, coll’immensità de’ suoi meriti e della sua dignità ». Quale stupendo spettacolo! Il cielo non aveva visto mai entrare nel suo recinto creatura sì bella, sì compita, sì perfetta, sì ricca di virtù. « Chi è costei, dice lo Spirito Santo, che s’innalza dal deserto di questa vita ricolma di delizie e d’amore, appoggiata al braccio del suo Diletto?… » (Cant. C. VIII, 5). Avvicinatevi: le porte del cielo si schiudono, e tutta la corte celeste si prostra dinanzi a Lei come a sua Sovrana. Gesù Cristo in persona la conduce in mezzo alla gloria del suo trionfo, e le fa sedere sul più bel trono del suo regno. Le tre Persone della SS. Trinità le mettono in capo una splendente corona e la rendono depositaria di tutti i tesori del cielo. Oh! miei fratelli, qual gloria per Maria! Ma insieme quale argomento di speranza per noi saperla elevata a sì alta dignità, e conoscer quanto ardentemente desideri di salvare le anime nostre!

II. — Quale amore non ha Maria per noi? Ci ama come figli; se fosse stato necessario, sarebbe stata pronta a morire per noi. Rivolgiamoci a Lei con grande fiducia, e saremo sicuri che, per quanto siamo meschini, ci otterrà la grazia della conversione. Ha tanta cura della salute delle anime nostre, e desidera tanto la nostra felicità!… Nella vita di S. Stanislao, devotissimo della Regina del cielo (Ribadeneira: 15 Agosto), leggiamo che, mentre un giorno pregava, chiese alla SS. Vergine che volesse una volta lasciarsegli vedere insieme al bambino Gesù. Tale preghiera riuscì così gradita a Dio, che nell’istante medesimo Stanislao vide apparirgli dinanzi la SS. Vergine, la quale teneva tra le braccia il santo Bambino. Un’altra volta, essendo infermo e in casa di luterani che non volevano permettergli di ricevere la Comunione, si rivolse alla SS. Vergine e la pregò di procacciargli tanta felicità. Finita appena la sua preghiera vide venire un Angelo, che gli recava l’Ostia santa, accompagnato dalla SS. Vergine. L’istesso gli accadde in circostanza quasi simile: un Angelo gli recò Gesù Cristo e gli diede la santa Comunione. Vedete, fratelli miei, quanta cura ha Maria della salvezza di chi confida in Lei? Siam pur felici d’aver una Madie che ci ha preceduto nella pratica delle virtù, di cui dobbiamo essere adorni, se vogliamo piacere a Dio e giungere al cielo! Ma badiamo bene di non far poco conto di Lei e del culto che le si rende! S. Francesco Borgia ci narra che un gran peccatore sul letto di morte non voleva udir parlare né di Dio, né d’anima, né di confessione. S. Francesco, ch’era allora nel paese di quel disgraziato, si mise a piegare Iddio per lui; e, mentre pregava piangendo, udì una voce che gli disse: « Va, Francesco, va a portar la mia croce a quest’infelice, esortalo alla penitenza ». S. Francesco corse presso il malato ch’era già in braccio alla morte. Ohimè! aveva già chiuso il cuore alla grazia. S. Francesco lo scongiuro’ d’aver pietà dell’anima sua, di chiedere perdono a Dio; ma no: per lui tutto era perduto; il santo udì ancor due volte la stessa voce che gli disse: « Va, Francesco, a portar la croce a questo sciagurato ». Il santo gli mostrò ancora il suo crocifisso, che si trovò tutto coperto di sangue, il quale grondava da ogni parte; disse al peccatore che quel sangue adorabile gli otterrebbe il perdono, purché volesse chieder misericordia. Ma no: per lui tutto fu vano; e morì bestemmiando il nome di Dio. – La sua sventura veniva di qui che aveva schernita e spregiata la SS. Vergine negli onori che le si rendono. Ah! fratelli miei! badiamo bene di non dispregiar nulla di ciò che si riferisce al culto di Maria, di questa Madre sì buona, così inclinata ad aiutarci alla minima confidenza che si riponga in Lei. Ecco alcuni esempi, dai quali apparirà manifesto che, se saremo fedeli anche alla più piccola pratica di devozione verso la SS. Vergine, Ella non permetterà mai che moriamo in peccato. – È riferito nella storia che un giovane libertino si abbandonava senza rimorso a tutti i vizi del suo cuore. Una malattia venne ad interrompere i suoi disordini. Per quanto libertino non aveva lasciato mai di dire ogni giorno un’Ave Maria: era la sua sola preghiera, ed anche mal fatta: era ormai una mera abitudine. Quando si seppe che la sua malattia era disperata, si andò in cerca del Curato che venne a visitarlo e l’esortò a confessarsi. Ma il malato gli rispose, che, se aveva da morire, voleva morir com’era vissuto; e che, se riusciva a scamparla, voleva continuare a vivere com’era vissuto fino allora. Egual risposta diede a tutti coloro che vollero parlargli di confessione. Tutti erano grandemente costernati: niuno osava più parlargliene per timore d’essergli occasione di vomitar le stesse bestemmie e le stesse empietà. Frattanto uno de’ suoi compagni, ma più assennato di lui, e che l’aveva spesso ripreso de’ suoi disordini, venne a trovarlo. Dopo avergli parlato di varie altre cose, gli disse senza giri di parole: « Compagno mio, dovresti pur pensare a convertirti ». — « Amico, rispose l’infermo, sono troppo gran peccatore: sai bene qual vita ho menato ». — « Ebbene, prega la SS. Vergine, ch’è rifugio de’ peccatori ». — « Ah! ho ben detto ogni giorno un’Ave Maria; ma son qui tutte le preghiere che ho fatto. Credi forse che questo debba giovarmi a qualche cosa? » — « Eccome, replicò l’altro: ti gioverà per tutto. Non le hai chiesto che preghi per te all’ora della morte? Adesso dunque pregherà per te ». — « Poiché credi che la SS. Vergine preghi per me, va a cercare il signor Curato perch’io faccia una buona confessione ». Così dicendo cominciò a versare torrenti di lacrime. « Perché piangi? » gli chiese l’amico. « Ah! potrò pianger mai abbastanza, rispose, dopo aver menato una vita così peccaminosa, dopo aver offeso un Dio così buono, che vuole ancora perdonarmi? Vorrei poter piangere a lacrime di sangue per mostrare a Dio quanto mi duole d’averlo offeso: ma troppo impuro è il mio sangue e non è degno d’essere offerto a Gesù Cristo in espiazione dei miei peccati. Mi consola il pensare che Gesù Cristo ha offerto il suo al Padre per me: in Lui è posta la mia speranza ». L’amico, udendo queste parole e vedendo le sue lacrime grondare copiose, cominciò a pianger di gioia con lui. Tale cangiamento era sì straordinario che l’attribuì alla protezione della SS. Vergine. In quell’istante tornò il Curato, e, meravigliato assai di vederli piangere ambedue, chiese che cosa fosse accaduto. — « Ah! Signore, rispose il malato, piango i miei peccati! Ohimè! Ho cominciato a piangerli troppo tardi! Ma so che sono infiniti i meriti di Gesù Cristo e che senza confini è la sua misericordia; perciò spero che Dio avrà ancora pietà di me ». – Il prete, stupito, gli chiese chi avesse operato in lui sì gran cangiamento. « La SS. Vergine, rispose l’infermo, ha pregato per me; e ciò m’ha fatto aprire gli occhi sul misero mio stato ». — « Volete ben confessarvi? » — « Oh! sì, Signore, voglio confessarmi, e pubblicamente; poiché ho dato scandalo con la mia vita cattiva, voglio che tutti siano testimoni del mio pentimento ». Il Sacerdote gli disse che ciò non era necessario; ma bastava, per riparazione dello scandalo, che si sapesse com’egli aveva ricevuto i Sacramenti. Si confessò con tanto dolore e tante lacrime, che il sacerdote dovette più volte fermarsi per lasciarlo piangere. Ricevette i Sacramenti con segni sì grandi di pentimento, che si sarebbe creduto ne dovesse morire. – Non aveva ragione S. Bernardo di dire che, chi è sotto la protezione della SS. Vergine è sicuro; e che non s’è vista mai la SS. Vergine abbandonare chi ha fatto in suo onore qualche atto di pietà? No, miei fratelli, ciò non s’è visto e non si vedrà mai. Vedete in che modo la SS. Vergine ha ricompensato un’Ave Maria che quel giovine aveva detto ogni giorno? E come la diceva! Tuttavia avete visto che fece un miracolo, anziché lasciarlo morire senza confessione! Qual felice sorte è per noi invocare Maria, poich’Ella ci salva così e ci fa perseverare nella grazia! Qual motivo di speranza è il pensare che, non ostante i nostri peccati, si offre continuamente a Dio per implorarci il perdono! Sì, miei fratelli, Maria ravviva la nostra speranza in Dio. Ella presenta a Lui le nostre lacrime, e ci trattiene dal cadere nella disperazione alla vista delle nostre colpe. – S. Alfonso de’ Liguori racconta che un suo compagno prete vide un giorno entrare in una chiesa un giovane, il cui aspetto rivelava un’anima straziata da’ rimorsi. Il prete s’accostò al giovane e gli disse: « Volete confessarvi, amico mio? » Egli rispose di sì, ma ad un tempo chiese che la sua confessione fosse ascoltata in luogo recondito, perché va esser lunga. Quando furono soli, il nuovo penitente parlò così: « Padre mio, son forestiero e gentiluomo; ma credo di non potere esser mai oggetto delle misericordie d’un Dio, che ho tanto offeso con una vita così colpevole. Per tacere gli omicidi e le infamie, di cui sono reo, vi dirò, che, disperando della mia salvezza, mi sono lasciato andare ad ogni maniera di colpe, meno per contentare le mie passioni, che per oltraggiare Iddio e far pago l’odio mio contro di Lui. Portavo indosso un crocifisso, e l’ho gettato via per disprezzo. Questa mattina istessa mi sono accostato alla sacra Mensa per commettere un sacrilegio, ed era mia intenzione calpestar l’Ostia santa, se non me ne avesse trattenuto la presenza degli astanti »; e così dicendo, consegnò al sacerdote l’Ostia consacrata che aveva conservata in una carta. « Passando dinanzi a questa chiesa, continuò, mi son sentito muovere ad entrarvi a segno che non ho potuto resistere: ho provato rimorsi così violenti, e straziavano talmente la mia coscienza, che, di mano in mano ch’io m’accostava al vostro confessionale, cadeva in grandissima disperazione. Se non foste uscito per accostarvi a me, me ne sarei andato via di chiesa: non so davvero come sia andata ch’io mi trovi adesso a’ vostri piedi per confessarmi ». Ma il prete gli disse: « Avete forse fatto qualche opera buona che vi abbia meritato tal grazia? Avete forse offerto qualche sacrifizio alla santissima Vergine, o implorata l’assistenza di Lei, poiché tali conversioni sono, d’ordinario, effetto della potenza di questa buona Madre? » — « Padre mio, siete in errore: avevo un crocifisso, e l’ho gettato via per disprezzo ». — « Eppure… riflettete bene, questo miracolo non s’è compiuto senza qualche ragione ». — « Padre, disse il giovane accostando la mano al suo scapolare, quest’è quanto ho conservato ». — « Ah! mio buon amico, gli disse il prete abbracciandolo, non vedete che la SS. Vergine appunto v’ha ottenuto la grazia, v’ha tratto in questa chiesa a Lei consacrata? ». A quelle parole il giovane ruppe in amaro pianto; narrò tutti i particolari della sua vita di peccato, e, crescendo sempre il suo dolore, cadde come morto ai piedi del confessore: riavutosi, terminò la sua confessione. Prima d’uscir di chiesa promise che avrebbe narrato dappertutto la misericordia che Maria aveva ottenuto dal suo Figliuolo per lui.

III. — Siam pure avventurati, fratelli miei, d’avere una Madre sì buona, e così intenta a procurare la salute delle anime nostre! Tuttavia non bisogna contentarsi di pregarla, bisogna altresì praticare tutte le altre virtù, che sappiamo essere gradite a Dio. Un gran servo di Maria, S. Francesco di Paola, fu un giorno chiamato da Luigi XI, che sperava di ottener da lui la guarigione. Il santo riconobbe nel re ogni maniera di pregi: attendeva a molte buone opere e preghiere ad onor di Maria. Diceva ogni giorno il Rosario, faceva molte limosine per onorare la santissima Vergine, portava indosso parecchie reliquie. Ma sapendo che non era abbastanza modesto e riserbato nel parlare, e che tollerava presso di se gente di mala vita, S. Francesco di Paola gli disse piangendo: « credete forse, o principe che tutte codeste vostre devozioni siano gradite alla SS. Vergine? No, no, principe: imitate innanzi tutto Maria, e sarete sicuro che vi porgerà la mano ». Invero avendo fatto una buona confessione generale, ricevette tante grazie ed ebbe tanti mezzi di salute, che morì d’una morte edificantissima, dicendo che Maria con la sua protezione gli era valsa il cielo. Il mondo è pieno di monumenti che attestano le grazie ottenuteci dalla SS. Vergine; vedete tanti santuari, tanti quadri, tante cappelle in onor di Maria. Ah! miei fratelli, se avessimo una tenera devozione verso Maria, quante grazie otterremmo tutti per la nostra salute? Oh! padri e madri, se ogni mattina metteste tutti i vostri figli sotto la protezione della SS. Vergine, Maria pregherebbe per loro, li salverebbe e salverebbe voi con essi. Oh! il demonio come teme la devozione alla SS. Vergine!… Un giorno si lamentava altamente con S. Francesco che due classi di persone lo facevano soffrire assai: prima quelli che concorrono a diffondere la divozione alla SS. Vergine, e poi quelli che portano il santo Scapolare. Ah! miei fratelli, non basta questo per ispirarci grande fiducia nella Vergine Maria e desiderio vivo di consacrarci interamente a Lei, mettendo tra le sue mani la nostra vita, la nostra morte e la nostra eternità? Quale consolazione per noi ne’ nostri affanni, nelle nostre pene, sapere che Maria vuole e può soccorrerci! Sì, possiam dire che chi ha la lieta ventura d’aver gran fiducia in Maria ha assicurato la sua salute; e mai non si udì né si udirà dire che sia andato dannato colui che aveva posto la sua salvezza nelle mani di Maria. All’ora della morte riconosceremo guanti peccati ci abbia fatto sfuggire la Vergine SS., e quanto bene ci abbia fatto fare, che senza la sua protezione non avremmo fatto. Prendiamola per nostro modello, e saremo sicuri di camminar veramente per la via del cielo. Ammiriamo in Lei l’umiltà, la purezza, la carità, il disprezzo della vita, lo zelo per la gloria del suo Figliuolo e per la salute delle anime. Sì, miei fratelli, diamoci tutti e consacriamoci a Maria per l’intera nostra vita. Beato chi vive e muore sotto la protezione di Lei! Il paradiso è per lui assicurato: il che vi desidero.

SALMI BIBLICI: “DOMINE IN VIRTUTE TUA LÆTABITUR REX” (XX)

Salmo 20: “Domine in virtute tua lætabitur rex

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS, PAR …

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

TOME PREMIER.

PARIS

LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR RUE DELAMMIE, 13

1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

SALMO XX

In finem. Psalmus David.

[1] Domine, in virtute tua lætabitur rex,

et super salutare tuum exsultabit vehementer.

[2] Desiderium cordis ejus tribuisti ei, et voluntate labiorum ejus non fraudasti eum.

[3] Quoniam prævenisti eum in benedictionibus dulcedinis; posuisti in capite ejus coronam de lapide pretioso.

[4] Vitam petiit a te, et tribuisti ei longitudinem dierum in sæculum, et in sæculum sæculi.

[5] Magna est gloria ejus in salutari tuo; gloriam et magnum decorem impones super eum.

[6] Quoniam dabis eum in benedictionem in sæculum sæculi; lætificabis eum in gaudio cum vultu tuo.

[7] Quoniam rex sperat in Domino; et in misericordia Altissimi non commovebitur.

[8] Inveniatur manus tua omnibus inimicis tuis; dextera tua inveniat omnes qui te oderunt.

[9] Pones eos ut clibanum ignis in tempore vultus tui: Dominus in ira sua conturbabit eos et devorabit eos ignis.

[10] Fructum eorum de terra perdes, et semen eorum a filiis hominum,

[11] quoniam declinaverunt in te mala; cogitaverunt consilia quæ non potuerunt stabilire.

[12] Quoniam pones eos dorsum; in reliquiis tuis præparabis vultum eorum.

[13] Exaltare, Domine, in virtute tua; cantabimus et psallemus virtutes tuas.

[Vecchio Testamento secondo la Volgata

Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI. Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

SALMO XX

Rendimento di grazie a Dio della vittoria riportata;

e nel senso letterale, ringraziamento della Chiesa a Dio della vittoria

riportata da Cristo sulle potestà infernali.

Per la fine, salmo di David.

1. Signore, nella tua possanza riporrà il re la sua consolazione; e nella salute, che vien da te, esulterà grandemente

2. Tu hai adempiuti i desideri! del suo cuore, non hai renduti vani i voti delle sue labbra.

3. Imperocché tu lo hai prevenuto colle benedizioni di tua bontà; hai posta a lui sulla testa una corona di pietre preziose.

4. Egli domandò a te la vita, e tu gli hai dato lunghezza di giorni pei secoli in sempiterno.

5. Gloria grande egli ha nella salute avuta da te; di gloria o di splendore grande lo ammanterai.

6. Perocché tu lo farai benedizione per tutti i secoli; lo letificherai col tuo gaudio nel tuo cospetto.

7. Imperocché il re ha la sua fidanza nel Signore; e sopra la misericordia dell’Altissimo poserà sempre immobile.

8. Incappino nella tua mano tutti i tuoi nemici; incappino nella tua destra tutti coloro cheti odiano.

9. Li ridurrai come ardente fornace, allorchè ti farai conoscere; il Signore nell’ira sua li conquiderà, e li divoreranno le fiamme.

10. I loro frutti sperderai dalla terra, e la loro posterità (torrai) dal numero dei figliuoli degli uomini.

11. Perocché ei li caricarono di mali; formarono dei disegni, ai quali non poterono dar sussistenza.

12. Tu farai loro volgere il dorso; degli avanzi che tu lascerai, preparerai alle percosse la faccia.

13. Innalzati, o Signore, secondo la tua possanza; noi celebreremo con cantici ed inni le tue meraviglie.

Sommario analitico

Questo salmo è legato al precedente. Ciò che il popolo chiedeva per il suo re, ciò che prevedeva, lo ha ottenuto, e ne testimonia a Dio la sua gioia e riconoscenza. Nel senso letterale lo si può intendere di Davide, rappresentante la figura di Gesù Cristo, al Quale solo convengono i tratti più salienti di questo salmo. In senso tropologico, si può applicare al giusto, sia vivendo ancora sulla terra, e unito a Dio con legami di amore, sia slegato dai legami della sua mortalità ed ammesso nel riposo del Signore.

Il popolo cristiano, per bocca di Davide, rende grazie a Dio:

I – Per le vittoria riportata da Gesù Cristo, suo re,

a) liberato dai suoi nemici dalla potenza divina (2);

b) in possesso della vittoria che aveva desiderato (3);

c) ricolmo di tutte le benedizioni divine;

d) la fronte cinta da una corona preziosissima (4);

e) circondato da una gloria luminosa (6);

f) ricolmo di felicità tutta celestiale e pieno di vita eterna nella visione di Dio (7);

g) ottenente tutti questi favori per la speranza (8) che ha messo in Dio.

II- Per il castigo con il quale Dio ha percosso i suoi nemici:

1) nel giorno del giudizio, a) essi saranno afferrati dalla destra di Dio, b) e condotti davanti al suo tribunale e pieni di turbamenti e di spavento in sua presenza (9); c) precipitati nelle fiamme dell’inferno;

2) nell’inferno essi saranno tormentati: 1) dal ricordo del passato; 2) in considerazione dei mali presenti (13): a) la loro ricchezza perduta, b) i loro figli morti (10), c) l’inutilità dei loro sforzi contro Dio ed i suoi servitori;

3) per la prospettiva dei mali futuri: a) i loro tormenti eterni, b) la giustizia di Dio (12), c) la gioia dei giusti (14).

Spiegazioni e Considerazioni

I. — 1-8.

ff. 1. –  Gesù Cristo è veramente questo re che dice di se stesso, in un altro salmo: « Per me, sono stato stabilito re da lui, su Sion, la sua santa montagna, affinché io annunzi i suoi precetti » (Sal. II, 6). – « Benedetto sia il re d’Israele che viene dal Signore », gridava la folla alla sua entrata a Gerusalemme (Giovanni, XII, 13). Che cos’era per questo re dei secoli il divenire il re degli uomini? Gesù Cristo non fu re d’Israele per imporre tributi, per formare ed armare truppe, per combattere i suoi nemici visibili, ma è Re d’Israele per governare le anime, difendere i loro interessi eterni e condurre nel Regno dei cieli coloro che hanno riposto in Lui la fede, la loro speranza, il loro amore. – Questa non è un’elevazione per Lui, ma un atto di bontà per noi, una testimonianza di misericordia piuttosto che un accrescimento di potenza (S. Agost.). – Il re che trova la sua gioia nel libero dispiegarsi della forza divina, nel libero esercizio dei diritti superiori di Gesù Cristo, il re che trassale con ardore quando l’opera di salvezza degli uomini si compie nei suoi Stati, il tipo della vera realtà, e della realtà battezzata e consacrata in Gesù Cristo. Anche se disatteso, reietto, rigettato, questo programma nondimeno resta il programma di ogni potere regolare in seno alle nazioni cristiane (Mgr. Pie, 3^ Instruct. Synod. V, 183). – Gioire si deve quindi, non nella propria forza, che non è che una vera debolezza, ma nella forza di Dio, che sola può procurare la salvezza a coloro che fanno ricorso ad essa (Dug.).

ff. 2. –  I desideri del giusto sono sempre accolti, perché non desidera mai nulla che Dio non voglia. – La preghiera delle labbra non viene mai rigettata quando viene da un’anima che merita che Dio esaudisca i desideri del suo cuore (Dug.).

ff. 3. –  Le benedizioni delle quali Dio Padre ha prevenuto il Cristo sono: 1) l’unione ipostatica delle due nature in una sola Persona divina, è la fonte dalla quale sono usciti come la sorgente del Paradiso terrestre, i quattro fiumi che bagnano la terra; 2) l’impeccabilità; 3) l’abbondanza e la pienezza delle grazie; 4) l’abbondanza della gloria  e la visione beatifica; 5) la molteplicità delle grazie e dei doni che da Gesù Cristo discendono su tutta la Chiesa di cui è il Capo. – Noi abbiamo bisogno di tre specie di benedizioni: una benedizione che ci previene, una benedizione che ci aiuta, una benedizione che ci conferma e continua l’opera della nostra salvezza; la prima è una benedizione di misericordia; la seconda di una benedizione di grazia; la terza, una benedizione di gloria (S. Bern.). – La grazia di Dio ci previene e ci chiede ciò che essa vuole ottenere da noi; ed in questo consiste una delle differenze tra la grazia e la legge: la legge comanda, la grazia invita; la legge minaccia, la grazia attira; la legge costringe, e la grazia impegna (S. Prosper.). – Le benedizioni di Dio, sono sorgente feconda di ogni bene, soprattutto della vera dolcezza che gustano i giusti. – La corona dei Santi, che è Gesù Cristo stesso, è infinitamente più ricca e più brillante di tutte le pietre preziose, e preferibile a tutte le corone della terra (Dug.).

ff. 4. –  Gesù Cristo ha domandato ed ottenuto la vita, quando vicino alla sua Passione offriva preghiere a Colui che poteva salvarlo dalla morte (Ebr. V) e Dio Gli accordò dei giorni prolungati nei secoli dei secoli, cioè la vita eterna; perché il Cristo, risuscitando dai morti non muore più, e la morte non ha più potere su di Lui (Rom. VI). – Questa vera vita ci è stata meritata e data da Gesù Cristo, che ci ha detto: « Io sono la resurrezione e la vita; colui che crede in me vivrà, anche se sarà morto;  chiunque vive e crede in me non morrà per sempre. » (Giov. XI, 25, 26). Noi domandiamo spesso a Dio, nelle nostre prove, nelle nostre malattie o nelle malattie di coloro che ci sono cari, di prolungare di qualche anno, di qualche giorno questa vita deperibile e mortale, che è piuttosto una morte continua che una vita vera. Noi non cessiamo di tormentarci, noi facciamo tante cose per morire più tardi. Cerchiamo piuttosto di intraprendere qualche cosa di considerevole per non morire mai (S. Agost.).

ff. 5-7. –  La gloria, l’onore, la maestà, sono state per Gesù Cristo la sequela, il coronamento di questa felice eternità. « Dio Lo ha glorificato e Gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni nome, perché nel nome di Gesù Cristo si pieghi ogni ginocchio nel cielo, sulla terra e negli inferi, e che ogni lingua confessi che il Signore Gesù Cristo è nella gloria del Padre » (Filip. II, 10, 11). – Salvezza eterna, è accompagnata da una splendida gloria, con la quale ogni gloria del mondo non può essere comparata. – Sono le benedizioni eterne, le sole degne dei nostri desideri e della nostra speranza. Le benedizioni dei giusti, nel cielo, vengono figurate dalle benedizioni date a Giacobbe da suo padre Isacco (Gen. XXVII, 28). – Protezione eterna contro il fuoco delle tentazioni, è la costanza inamovibile nella virtù, nessuna mancanza nel bene, l’oblio di tutte le miserie, l’impero su tutte le creature, l’onore e la gloria, il trionfo su tutti i nemici, una gioia ineffabile alla vista stessa di Dio. – Colui che spera unicamente nel Signore, è più forte di tutte le forze della terra; la misericordia di Dio lo rende granitico, bisognerà vincere Dio per vincerlo. – « Il vostro compito sarà il trovare tutti quelli che vi odiano ». La giustizia divina riveste una duplice perfezione, di cui la giustizia umana non può che parzialmente gioire. Le sue ricerche sono sempre vittoriose, i suoi colpi sono sempre inevitabili e sempre sicuri; il suo sguardo non può essere evitato, il suo braccio non può mai tradirlo ».

ff. 8. –  I peccatori, come i bambini, immaginano che quando hanno gli occhi chiusi e non vedono nessuno, nessuno li veda; ma ovunque si nascondano, la mano di Dio li troverà e saprà loro far ben sentire il peso di questa destra onnipotente (Dug.). – « La mia mano potente ha rovesciato dai loro troni i re più elevati; la forza delle nazioni è stata per me come un nido di deboli uccelli; Io come si raccolgono le uova abbandonate, così ho raccolto tutta la terra; non vi fu battito d’ala, nessuno apriva il becco o pigolava » (Isaia X, 14). – « Cosa orribile, dice San Paolo, è cadere nelle mani del Dio vivente »; tra queste mani ove tutto è azione, ove tutto è vita, non c’è nulla che non si indebolisca, non si rilasci, e non rallenti! (Bossuet).

ff. 9, 10. –  Quale differenza tra le benedizioni della dolcezza di Dio, di cui viene a parlare il Re-Profeta, e queste orride maledizioni dalle quali sono minacciati i suoi nemici: … un giorno ardente, la collera del viso di Dio, lo sconcerto di cui questa vista li assalirà, il fuoco che li divorerà senza mai spegnersi, le loro ricchezze perse, i loro beni, le loro dignità tra le mani dei fanciulli, gli eredi ingrati od invidiosi; la loro famiglia, la loro posterità sparita tra gli uomini! Con la morte, i nemici di Dio perdono tutto, i loro beni, i loro parenti, i loro amici, le loro speranze, e cosa trovano in questa regione eterna? L’assenza di tutti i beni, l’accumulo di tutti i mali, il non vedere mai Dio, l’essere eternamente con i propri nemici, senza poterlo amare in eterno, ed essendo eternamente odiato da Lui.

ff. 11, 12. –  I mali che i peccatori fanno ricadere sui giusti, raggiungono Dio stesso, ed Egli se ne vendica come di un’ingiuria fatta alla Persona sua stessa. – I nemici di Dio, sono puniti anche per i progetti che non hanno mai potuto eseguire: Dio vede il fondo del loro cuore e condanna non solo le azioni cattive, ma le intenzioni perverse. – « Essi hanno formato dei progetti che non potevano realizzare ». È l’eterna aberrazione dei poteri, il formare progetti contro Cristo e contro la sua Chiesa … Essi tramano nell’ombra i complotti, sono astuti, abili, riuniscono dei congressi e per fini politici vi parlano e vi persuadono che la salvezza dell’Europa è legata alla sconfitta del Papato. Nel salmo secondo invece di queste parole « essi hanno formato dei progetti », il Profeta ne impiega queste non meno espressive: « essi hanno meditato fandonie ». Parola ammirevole! Queste assemblee deliberanti, questi congressi sì pomposamente riuniti e le cui profonde risoluzioni dovrebbero cambiare il mondo, questi consigli dei re, questi spettacoli dei popoli … « hanno meditato ». Chi non si aspetterebbe grandi cose? Chi non profetizzerebbe ampi risultati? Ora, ciò che essi meditano così sapientemente sono stupidaggini: meditano l’impossibile, vogliono l’irrealizzabile, chiedono cose che nessuna forza al mondo darà loro mai: l’abdicazione di Dio, il suo allontanamento dalle cose umane, la decadenza di Gesù Cristo, la distruzione della Chiesa. « Stupidaggini! » Essi dunque hanno formato progetti che non potevano mai realizzarsi (Doublet, Psaumes, 11, 307). – Impotenza degli empi e dei malvagi: essi si rivoltano contro la potenza, l’autorità, la grandezza, la forza, la Maestà e sono schiacciati sotto i piedi di queste divine ed eterne perfezioni. – Insolenti, arditi contro Dio soli, essi osano ora attaccarlo perché Egli taccia, ma verrà un giorno in cui Egli farà loro voltare il dorso, affinché siano esposti agli ultimi colpi della sua giustizia.

ff. 13. –  Dio è ugualmente adorabile nella punizione dei malvagi e nelle ricompensa dei buoni, quando fa risplendere la sua potenza, o quando mantiene il silenzio tra i disordini del genere umano e vuole sembrare debole, soffrendo con pazienza gli oltraggi dei peccatori. È bene celebrare anche la sua bontà, la sua longanimità nell’attendere il peccatore, e la potenza della sua giustizia nel punire (Duguet).