DIO IN NOI (7)

DIO IN NOI (7)

[Versione p. f. Zingale S. J. – L. I. C. E. – Berruti & C. – Torino, 1923; imprim. Torino, 7 aprile 1923 Can. Francesco Duvina]

LIBRO QUINTO

Pratica dell’intimità

con Dio in noi

Abbiamo visto quale sia il nostro tesoro. Esso diventerà veramente nostro, se ci sforzeremo di:

Desiderarlo,

Proteggerlo,

Acquistarlo.

CAPO I.

Desiderare il nostro tesoro.

L’Olier, narrano i suoi biografi, spesso sentiva una voce interna mormorargli con una soavità imperiosa: « Vita divina, vita divina! ». Dalla sua seconda conversione, che fu un’oblazione assoluta di se stesso, « … la sua esistenza rassomiglia a una solennità ». La bruttezza delle apparenze svanisce dietro la grandezza delle realtà. Tutta la sua vita è espressa in questa preghiera che rivolgeva a Dio: « La vostra luce sia la sola luce che mi guidi e mi faccia vedere tutte le cose, tali quali sono in se stesse » (E. HELLO: Le Siecle, p. 400. — Alla sua volta l’Olier faceva del P. de Condren questo elogio: « Si vedeva in lui una semplice apparenza ed una scorza di ciò che mostrava essere in realtà: al di dentro era invece tutto un altro, essendo come l’interiore di Gesù Cristo, e la sua sacra vita; di modo, che piuttosto era Gesù Cristo vivente nel P. de Condren che il P. de Condren vivente in se stesso. Era come un’ostia dei nostri altari: al di fuori si vedono gli accidenti e le apparenze, ma al di dentro vi è Gesù Cristo). Abbiamo noi pure bisogno d’una voce, simile a quella che si faceva sentire all’Olier, per adottare queste due parole: « Vita divina » come nostra regola abituale? No; basta ricordare gl’insegnamenti della fede. Bisogna inoltre, essere « dotali di perspicacia », per sapere « coltivare accuratamente il proprio Battesimo » (La vie spirituelle e l’oration, di Madre CÉCILE De Solesmes, c. V). – Quando il patriarca Giacobbe scorse in una visione la scala misteriosa che dalla terra giungeva al cielo, per la quale gli Angeli salivano e discendevano, si svegliò in preda a un terrore soprannaturale e disse: «Certamente il Signore è qui, e io non lo sapevo! Questo luogo è in verità la casa di Dio e la porta del cielo » (Gen. XXXIII, 16, 17). Accadrebbe lo stesso a noi, dice il cardinale Manning, se ci svegliassimo e avessimo il sentimento intimo che lo Spirito Santo ci sta vicino, ci circonda, vive in noi, « che è tutto orecchi per ascoltare ogni palpito del nostro cuore, che è attento a ogni pensiero, che penetra la nostra immaginazione, che tutto l’essere nostro gli è manifesto ». Ma per nostra sciagura, la maggior parte degli uomini vive come se non avesse un’anima… Anche la maggior parte di coloro che più o meno hanno il sentimento del prezzo dell’anima loro, che possono salvarsi o perdersi eternamente, vivono come se Dio non dimorasse in loro. « Non pensano punto alla presenza divina, non voglio dire in tutto l’universo… parlo per adesso della presenza di Dio nell’anima. Quegli stessi che sono Cristiani per la loro fede e per i lumi spirituali, che sanno e ripetono di avere un’anima da salvare, vivono senza avere il sentimento abituale o giornaliero di non essere mai soli (Il Manning non vuol dire conoscenza sentita, ma conoscenza « effettuata » vivente):  che cioè Dio abita nell’anima come l’anima nel corpo. Questa è la verità ». « Senza provarlo, noi siamo il Paradiso di Dio; bisogna pensare e agire in maniera che Dio sia, alla sua volta, il nostro Paradiso » (SERTILLANGES: « La Vie en présence de Dieu »  R. des Jeunes, 10 mai 1918).Questo programma che potrebbe sembrare ambizioso, dovrebbe essere quello di ogni battezzato.« Il vero Cristiano si definisce, diceva Newman, allorquando lo si chiama un uomo imbevuto dal sentimento della presenza di Dio dentro di sé …, che vive del pensiero che Dio è là, nel cuore del suo cuore…, un uomo la cui coscienza è illuminata da Dio in modo che viva nell’impressione abituale che tutte le sue pene, tutte le fibre della sua vita morale, tutti i suoi motivi e desideri, sono spiegati dinanzi all’Onnipotente» (H. BRÉMOND: « Sermons choisis de Newman » sotto Il titolo: La Vie chrétienne, p. 236). Ohimè! se bisogna attenersi a questo modello, quanto pochi sono i « veri Cristiani »! Nostro Signore se ne lamenta. Non rivelava difatti, ultimamente, a un’anima santa: «Io sono in molti cuori come un tesoro infruttuoso; mi possiedono perché hanno la grazia, ma non sanno valersi di me: supplisci a questo »? (Benigna Consolata Ferrero, visitandina di Como). Come pervenire alla conoscenza pratica dell’abitazione continua di Dio in noi, mediante la grazia? In primo luogo scegliendo questa dottrina come soggetto frequente di meditazione. (Alle anime che si sentono attratte dall’argomento dell’Abitazione divina, indichiamo la nostra piccola Imitazione: Vivere con Dio, raccolta di pensieri rapidi ed atti a farci riflettere sul grande tesoro nascosto dentro di noi). È manifesto che se, volontariamente e con uno sforzo coraggioso, ogni mattina o almeno in circostanze frequenti, ci studiamo di fissare il nostro pensiero al centro dell’anima nostra, dove è il grande tesoro, subito, con l’intervento della grazia e in virtù della buona abitudine, il ricordo involontario, spontaneo, senza sforzo, di Dio presente in noi ci diventerà familiare. « Gli uomini vivono alla superficie dell’anima, senza mai penetrarne il contenuto profondo. Oh se sapessimo raccoglierci, veder chiaro in noi stessi, e capire » (ELISABETTA LESEUR) (Nel suo « Journal », p. 298). « Dio abita in noi, quale accoglienza facciamo a quest’ospite? Io mi confondo al pensiero che non appena Egli entra in me, io mi volgo e l’abbandono per attendere a bagatelle » (PAOLINA REYNOLDS). – Citiamo espressamente due persone che vissero nel mondo, l’una durante tutta la sua vita, l’altra fino all’età di cinquanta anni (Poi entrata al Carmelo. Due volumi dal titolo: Paoline Reynolds, dell’abate PICOT, Beauchesne Paris, 1916). Si crede troppo che la dottrina dell’Abitazione di Dio in noi appartenga al dominio esclusivo dei chiostri. Ma in realtà, poche anime fra lo strepito generale delle cose che passano, consentono a imporsi il silenzio necessario per ascoltare lo strepito misterioso che fanno in noi le cose divine. Dio si tiene nascosto: Deus absconditus. Si rivela nella calma, non mai fra lo strepito; non in commotione Dominus. « Io lo sento: la prima disposizione che debbo portare, scrive ancora Paolina Reynolds, è il silenzio secondo la parola di Taulero; il Padre ha una sola parola, è il suo Verbo e suo Figliuolo. Egli la pronunzia in un silenzio eterno, e l’anima la riceve e l’ascolta nel silenzio». E continua: «Silenzio, adunque, o anima mia, per ascoltare Dio. Silenzio per ricevere il Verbo; silenzio per permettere che ti parli, che si faccia capire da le e viva in te. Silenzio e preghiera! ». Per disavventura, « quello di cui più difetta la nostra generazione, è il raccoglimento». Ognuno avrà potuto fare la stessa osservazione di Elisabetta Leseur. – Il P. Gratry pensava un giorno che cosa diventerebbe il mondo se consentisse a osservare quella mezzora in silenzio, di cui parla la Scrittura; se tutti gli uomini, durante mezz’ora, consentissero ad occuparsi insieme dei loro privilegi eterni. Che cosa diventerebbe il mondo? È facile indovinarlo. Ma dove trovare questa solitudine in cui Dio, nascosto nell’interno dell’anima, si manifesterà? Un soldato, Psichari, nipote di Renan, si convertì mediante il contatto prolungato col deserto. Lo strepito scompiglia e corrompe: « Il deserto è una terra benedetta. Nostro Signore vi risiede; centinaia di religiosi ne hanno compreso la santità. Sarei per dire che le Tebaidi esistono ancora, ma mancano le anime pronte per ascoltarvi la voce di Dio ». Le Tebaidi esistono tuttora. Il deserto non difetta alle anime che non si spaventano alla vista « degli spazi infiniti », e che sono stimolate dal desiderio di esplorarli, perché sospettano anticipatamente dinanzi a quali scoperte conduce la loro pia carovana. Dovunque siano, queste anime solerti e audaci, sanno trovare un angolo silenzioso a loro vantaggio. « La solitudine non difetterà mai a coloro che ne sono degni » (Non sarebbe conveniente, con la pratica della meditazione giornaliera, consigliare qui l’uso dei « Ritiri » e specialmente dei « Ritiri chiusi »?). Il desiderio di conoscere meglio « l’interno » dell’anima nostra, genera l’amore della preghiera e del raccoglimento. L’uso della preghiera e del raccoglimento, alla sua volta, produce un desiderio più intenso per penetrare ognora più, fino al cuore « del nostro interno ». Si ha, come effetto, che ogni giorno si scoprono nuove ricchezze e il grido degli Apostoli corre alle labbra: « Qui si sta bene. Rimaniamo qui. Spieghiamo qui una tenda». Quel grido, del resto, è l’eco del grido di Dio, la cui misericordia, avendo scorto l’abitazione meschina del cuore umano, ha voluto farne la sua dimora prediletta, un succedaneo del Paradiso. « Donum est nos hic esse, ha detto la Trinità divina. Qui si sta bene. Mansionem apud eum faciemus, noi vi resteremo ! ». Ciò spiega l’ambizione invincibile di alcune anime. L’una di esse fece questo proposito:« Voglio essere continuamente la piccola occupata del grande Dimenticato ». « Quante cose possono raccontarsi, quando si vive sempre insieme, osserva la medesima anima, quando siama infinitamente, e l’uno dei due è Dio! ». Aveva scritto nel suo programma: «Sfruttare particolarmente la solitudine, è per me come un sacramento. Egli è sempre là » (Questo programma è quello di tutti i santi. La vita di S. Gregorio Magno fu riassunta dal suo biografo in una sola parola: « Secum vivebat. Era un uomo ” interiore ,, ». — S. Girolamo scriveva a Eustochio: « Semper te cubiculi fui secreta custodiant, semper tecum Sponsus ludat intrinsecus, Oras, loqueris ad Sponsum; legis, Vie tibi loquilur, ecc. ». Chiudete dietro a voi la porta della vostra cella e vivete « interiormente » là dove lo Sposo abita familiarmente con voi ». —  È superfluo ricordare che « vita interiore» non significa esame scrupoloso, ricerca continua e morbosa dei più piccoli difetti, con incessanti e inutilissimi richiami sul passato. Ciò è molto lontano dalla vera devozione. Quanto più il raccoglimento è sorgente di vita, così come l’abbiamo descritto, e perviene a trovare Dio; altrettanto il ritorno febbrile su se stessi, e gli esami di coscienza indefiniti, sono sterili, se non pericolosi, per la pietà). – Dio è sempre là; ma noi non possiamo esservi sempre; altrimenti non saremmo più in terra, ma in cielo. Possiamo, nondimeno, sforzarci di essere là il più spesso che ci sia possibile. – Per molti, un’immensa lacuna separa il tempo della preghiera da quello delle occupazioni quotidiane. Quanti Cristiani, anche non alieni dalla pietà, quante anime devote e ferventi, la cui vita è spezzata da una strana interruzione! Alcuni momenti, più o meno lunghi, sono consacrati, al mattino, alla preghiera, alla meditazione e all’orazione, se si vuole; tutto il resto del giorno si trascorre poi senza punto ricordarsi della meditazione o preghiera fatta all’aurora. Un’esistenza spezzata in due parti. Pochi minuti per pensare a Dio, tutti gli altri trascorsi senza più pensarvi. « Non confinare Gesù nelle mie comunioni e orazioni. Dirgli: non vi lascerò partire » (T. II, p. 336). Proposito fatto da Paolina Reynolds, e che tutti dovremmo fare nostro. Ella aggiungeva (T. II, p. 22): « L’uso della preghiera nelle minime occasioni, ci aiuta a effettuare la prossimità del mondo invisibile ». Diciamo meglio. Senza l’abitudine della preghiera, nelle più piccole occasioni, è impossibile ottenere la prossimità del mondo invisibile — che pertanto è una condizione indispensabile della vita « interiore ». Allorquando Marta va a chiamare Maddalena per prevenirla che il Maestro è là e aspetta, non trattasi di un’ora determinata. Dentro di noi il divino Maestro è presente. Ci chiama, ci chiama perpetuamente, dice S. Paolo. Magister adest et vocat. Egli chiama. Risponderemo noi? Perché chiama proprio noi. Vocat te. –Al pozzo di Giacobbe, quando Gesù conversa con la Samaritana, l’Evangelo riferisce: «Era l’ora di sesta ». Nostro Signore è presente alla sesta, alla prima, all’undecima, a tutte le ore. Lungo tutto il giorno — durante la vita intera — il Maestro ci aspetta. Siamo sempre in tempo per andare a Lui. Noi invidiamo la sorte della Samaritana. La Samaritana siamo noi. È l’ora sesta. Gesù sta al pozzo di Giacobbe. Ci aspetta. L’orlo del pozzo su cui il Salvatore riposa, aspettando, è l’orlo del nostro cuore. Non può fare a meno di noi. Vuole che siamo là dove Egli abita. Egli non abita all’orlo del cuore, ma nel mezzo; ecco il santuario preferito da Lui, ma poiché non possiamo stare continuamente prostrati ai piedi dell’altare, Egli si degna fare dei nostri cuori altrettanti tabernacoli. Dal fondo di essi ci invita, e perché desidera moltissimo che noi desideriamo Lui, vuole sapere se viviamo nel bisogno di Lui, o se ne siamo soddisfatti. – Quanto poche sono le anime che cercano con avidità qualche cosa, allorquando hanno bisogno del soprappiù. Si direbbe che noi abbiamo tutto quello che ci occorre. Creature singolari che ci contentiamo del nulla, che il nulla basta a colmare. Bisogna aver prima visto passare il Maestro per rivolgere la domanda: « Dove abita il Messia? ». Bisogna amarlo molto, per dire come Maddalena al pseudo ortolano del mattino di Pasqua: «Oh! Ditemi, ditemi dov’è ». Del resto chi così cerca, come Maddalena al sepolcro, lo possiede già. S. Francesco Saverio non poteva capire che vi fossero tanti mercanti, in cerca di pepe e altre droghe dell’Oriente. Noi stessi non giudichiamo forse troppo l’ardore degli scavatori d’oro fra i ghiacci dell’Alaska? Perché non sarebbe maggiore il numero di quelli che amano unicamente la perla preziosa, e che, per quanto dipende da loro, studiano i mezzi per trarre vantaggio dal tesoro che possiedono costantemente? Psichari diceva: « Si trema a scrivere in presenza della Santa Trinità ». Premettiamo a ogni nostra azione, come egli faceva, un intervallo di tempo, affine di ricordarci della presenza di Colui che vive dentro di noi. Un soldato diceva: « Non ho chiesa. Rientro in me stesso, dove si trova Dio ». Si cita anche l’esempio di un ammiraglio, morto poco tempo fa, che per vivere «interiormente», si esercitava a non perdere il sentimento della presenza di Dio. « Egli è in me, e io non vi penso. Mi porta nel suo cuore, e io duro fatica a portarlo un momento nel mio spirito », confessava, più che per conto proprio, per utilità nostra, il Padre De Gonnelieu, in un trattato suggestivo sulla Presenza di Dio. « Ogni battezzato, secondo il consiglio che dà con espressione felice il P. Sertillanges, dovrebbe fare di tutto un’aspirazione, una preghiera, una cerimonia rituale, un’azione salvatrice, un amore; della casa un oratorio, della tavola, del letto, del banco, dello scrittoio, del fornello domestico o della officina, un altare; fare della vita, dal mattino alla sera e dalla sera al mattino, del sonno, del riposo, del giuoco, della conversazione, del lavoro a un tempo e della preghiera, un avvenimento religioso, un rito d’eternità in un tempo provvisorio. Ecco il pensiero cristiano, ed anche lo sforzo di coloro che lo capiscono a dovere; nessuno può dirsi Cristiano se non nella misura in cui vi si adatta ». « Formare di tutto un’aspirazione ». Noi ripetiamo qui l’ideale di cui dicevamo al principio di questo capitolo: «Condurre una vita che rassomigli a una solennità ». Altro, in realtà è possedere Dio, per la grazia, al fondo dell’anima; altro penetrare tutte le fibre del proprio essere della grazia di Dio. È diverso il caso di chi vive abitualmente in grazia e di chi vive in grazia in un modo sempre attuale. – Sempre attuale, che cosa vuol dire? Possiamo aspirare a trascorrere la vita col pensiero costante di Dio presente? No, e non bisogna ingannarsi, per evitare gli scrupoli o i malintesi. Senza una grazia molto rara e meramente gratuita, è psicologicamente impossibile pensare a Dio costantemente. « Sempre » significa dunque non assoluta interruzione, ma continuità morale, cioè desiderio di dimenticare, il meno che ci riesca possibile, il nostro ospite divino, applicandoci ad andare a Lui, non con eccessiva costrizione della mente, ma per inclinazione consueta del cuore. E questo modo non deve sembrare a nessuno troppo rudimentale: « La pena costante di non aver Dio sempre presente, è già una presenza continua di lui » (BAUDRAND: L’Ame intérieure, p. 199).

CAPO II.

Proteggere il nostro tesoro.

Depositum custodi! Custodite con cura il vostro deposito. Il semplice desiderio di vivere « interiormente » non basta per creare tra noi e il tesoro che portiamo l’intimità che ci vuole. Una perla così ricca ha molti invidiosi e bisognerà custodirla con molte precauzioni. Il soldato in trincea non si appaga della sola attenzione. Per evitare le sorprese moltiplica i mezzi accessori di difesa, come rovi artificiali, razzi e altro. L’anima nostra, scrigno di Dio, dovunque deve vegliare sulle sue ricchezze, e passare,come Tarcisio, in mezzo ai giocatori di dischi e di piastrelle, respingendo gl’indiscreti e i noiosi. – Un principe dell’impero romano, abitualmente portava appesa al collo una piccola palla d’oro con quest’incisione: « Ricordati che sei di Cesare ». Noi potremmo dire assai meglio: « Ricordati che Cesare è tuo! ». Ma questo porta con sé alcune esigenze. Dobbiamo vivere in mezzo agli uomini. L’autore dell’Imitazione di Cristo, che senza dubbio ne aveva fatto l’esperienza, giudica il suo soggiorno «all’esterno» assai severamente: « Ogni volta che sono andato in mezzo agli uomini, egli dice valendosi di una parola di Seneca, ne sono tornato meno uomo ». E noi possiamo aggiungere: « Ne sono tornato meno “Dio”, meno penetrato della presenza del divino Maestro in me. Dunque eviteremo i passatempi e le occupazioni inutili, le amicizie, le intimità e le riunioni inutili. Non diciamo indispensabili ovvero utili, né dannose; ma inutili. E ciò comprende tante, tante circostanze! « La vostra conversazione, dice San Paolo, dev’essere con Gesù Cristo in Dio: Societas vestra cum Cristo in Deo». Non parla di alcun’altra. Avremo così la « conversatio in cœlis», la sola che possa permettersi in una « cappella » e vicino al « tabernacolo ». Che se la carità, lo zelo, gli obblighi del nostro stato ci ingiungono o ci invitano ad abbandonare l’«interiore», è allora il caso di non parlare se non per dire qualcosa che valga più del silenzio. Siamo più pronti ad ascoltare, e più difficili a parlare. Questo è il consiglio di S. Giacomo. Chi parla molto, ha poche occasioni di ascoltare. – S. Alfonso Rodriguez osservava: «Bisogna parlare poco con gli uomini, e molto con Dio. Avere sempre Dio presente nel fondo del cuore e stabilirvi una specie di ritiro… Non fare, né dire cosa alcuna, senza avergli chiesto consiglio ». Consiglio di un santo, dirà qualcuno, buono per i santi, o d’un religioso per religiosi! — No, ma avviso che serve a tutti, e molto più utile per coloro che non sono protetti dalla regola del silenzio contro le invasioni che vengono dall’esterno. « Ci formiamo un’idea falsa della vita soprannaturale. Quanto a me, la vita cristiana è interamente legata alla fedeltà con cui si pratica questa massima: Vivere a ogni momento la propria vita con Gesù Cristo. Sapere che Lui, l’amico, il confidente, il Maestro, sta accanto a noi e in noi ». Chi parla così? Un avvocato, presidente della Gioventù cattolica. E il direttore di un nostro grande oratorio festivo dà questo avviso: « Non tutti saremmo capaci di vivere in un chiostro o la vita sacerdotale; e tuttavia ciascuno deve vivere della vita interiore, la vita della grazia, la vita divina ». – E a coloro, cui una vita troppo esteriore impedisce di raccogliersi, consiglia il libretto dell’Imitazione. « La dottrina dell’Imitazione è in realtà la vera dottrina cattolica della rinunzia di se stesso, della vita intima con Dio. Il Cattolico di oggi non è esonerato dal praticare simile vita, benché ad alcuni sembri fuori moda, ad altri impraticabile » (E. MONTIER, direttore dei Filippini di Rouen: La culture catholique, 1913, cap. IV, p. 61).Quanto più la vita esteriore è attiva, altrettanto il consiglio di « rientrare in se stessi ». s’impone. Le Catholique d’action (Del P. GABRIEL PAPAU, Tr. Lebessou-Jury (Casterman). nota molto bene:« Se vuoi gustare le dolcezze dello spirito,ritirati in disparte, in luogo dove tu possa conversare con me liberamente.« Sii persuaso di non aver fatto nulla per Dio, finché non avrai appreso quanto sia dolce abitare da solo con me.« Non dire: non posso raccogliermi; non ne ho il tempo; se questo fosse vero, sarebbe un motivo di più per isolarti e riposarti un poco» (Il P. DE RAVIGNAN diceva: « Nei giorni in cui sono sovraccarico di lavoro e non so donde cominciare, fo in primo luogo mezz’ora di meditazione come supplemento »). Questo ideale non è chimerico. Il Maze-Sencier, facendo l’elogio di un soldato, Pietro de Morel, vittima della guerra, lo dipingeva come un’anima profonda che sapeva « raccogliersi, cioè ricercarsi, scrutarsi, ritrovarsi ». – Abbiamo già parlato di Pietro Poyet, giovine studente della rue des Postes, della sua conoscenza della « vita interiore ». « Ascoltare in se stesso la voce interna di Dio, e conformarvisi senza indugio », era il suo programma. Faceva sue le parole di S. Paolo: « Gratia Dei urget nos, la grazia di Dio ci stimola », rendendosi conto che l’acqua delle sorgenti divine agisce nell’anima come una gora sopra una chiusa; e che dipende da noi, dai nostri sforzi, di lasciarci invadere dal torrente. Quante precauzioni quindi non usava, per non perdere occasione alcuna di lasciarsi penetrare dalla grazia! Nella sua regola di vita sta scritto che per mezzo di segni convenzionali spingeva se stesso a frequenti aspirazioni verso Dio. – Il Maestro interiore risiede effettivamente, a ogni istante, nell’anima nostra, in grazia; ma la sua presenza è rivelata solo a colui che Lo cerca e si mette nelle condizioni richieste per trovarlo; sempre presente, ma sempre invisibile. E il giovine studente si applicava a rappresentarsi al pensiero, per mezzo di richiami preveggenti e di una lunga « ginnastica di ricordi », Colui verso il quale il suo cuore e la sua fede gli suggerivano di andare (Notice, dell’abate Rouzic, pp. 23-29). Lo strepito delle conflagrazioni recenti fa apparire più chiara che mai l’opportunità, la necessità della vita « interiore » : « Per riprendere vita occorre in primo luogo che la Nazione si raccolga. Vi sono molti che io chiamo nel fondo del loro cuore e che non ascoltano il mio appello » (Journal spirituel de Lucie Christine, pubblicato dal P. POULAIN, p. 85). La salvezza del mondo non è affidata allo strepito delle armi, né al fragore delle macchine; meno ancora ai fiumi della parola: « la discesa di Dio nelle sue creature con la santificazione individuale, ecco ciò che procura la salvezza dei popoli, moltiplicando gli eletti » (M.gr Moneslès, nella sua lettera d’approvazione dei Souvenirs de Soeur Elisabeth). – Forse nessuno ha dimostrato meglio di Elisabetta Leseur come praticamente si possa conciliare l’attività della vita esteriore con l’attività di quella interiore. Essa non ignora il conflitto: «Tenere l’anima sempre semi-aperta alle anime che vorrebbero confidarsi a lei; ma non aprirla interamente; riservarne sempre la parte più intima a Dio solo» (pag. 174 e seg.). «Divenire affabile… Riservarmi intanto alcuni minuti di raccoglimento più lunghi che mi sia possibile, per dare all’anima mia l’alimento che la renda più forte, più pacifica, più ripiena di vita soprannaturale ». Il primo apostolato sarà quello del raccoglimento, l’apostolato dell’esempio: « Intorno a me vi sono molte anime che io amo profondamente e ho una grande missione da compiere attorno a loro… Bisogna che attraverso all’anima mia si possa intravedere il mio Ospite adorato… Tutto in me deve parlare di Lui … Non voglio essere una chiacchierona spirituale » — oh quanto è bella questa risoluzione! — « e salvo il caso in cui la carità me ne faccia un dovere, voglio conservare questo grande silenzio dell’anima, questo solo a solo con Dio, che è il custode della forza e della virilità interna. Non bisogna dissipare nulla, — l’anima soprattutto! — ma concentrarla interamente in Dio, affinché essa mandi i suoi raggi più lontano » (pp. 61 e 139). – Quindi nell’ordine dei valori, Dio da custodire al di dentro, in primo luogo; e solo in seguito, Dio da dare agli altri; ordine che spesso è purtroppo invertito! (Leggansi le pagine penetranti di D. CHAUTARD, in L’anima di ogni apostolato: le opere senza vita interiore). – Quanti potrebbero rivolgere a se stessi il rimprovero che si rivolgeva il Cardinale Du Perron nell’atto di morire, quello di aver cercato, durante la vita, di perfezionare l’intelligenza, per mezzo dello studio, piuttosto che la volontà con l’esercizio della vita interiore! – Che regola d’oro questa: « Dare di sé unicamente quello che può riceversi con profitto dagli altri; custodire il resto gelosamente, come l’avaro fa del suo tesoro, negli angoli più reconditi dell’anima, ma con l’intenzione di sacrificarlo allorché l’ora sarà arrivata » (p. 287). « Riassumendo, notava Elisabetta alla fine di un ritiro, riservare a Dio il fondo dell’anima mia e la mia vita interiore e cristiana. Dare agli altri incanto, serenità, bontà, parole ed opere utili » (p. 147). E nel dono di sé agli altri, lasciare Dio il meno possibile, ciò che riassume il miglior modo di dare Dio. « Fare del Cristo, sempre vivo e presente in mezzo a noi, il modello della nostra vita e l’amico di ogni ora, dolorosa o benedetta. Domandargli di farsi amare da altre anime per mezzo nostro, ed essere, secondo un paragone che mi piace, il vaso rustico che racchiude una luce brillante, attraverso il quale questa luce rischiara e riscalda tutto ciò che la circonda» (p. 291). I direttori della vita spirituale non parlano altrimenti. « Imitate l’esempio, dice il P. Nouet (La Grandeur du chrétien danx ses rapports avec la Trinitè, p. 236), del Padre Eterno che continuamente si contempla nel suo Verbo e che lo manda nel mondo, ma in tal maniera da ritenerlo nel suo seno. Il vostro Verbo è la considerazione di Dio in voi, e di voi in Dio, che non dovete mai abbandonare.Se qualche volta la trasportate ad altri oggetti, dovete subito richiamarla. Sì, a volte si allontana, ma non bisogna mai permettere che si separi da voi: il suo progresso non dev’essere mai un’uscita; ovvero se esce, non deve abbandonarvi».S. Francesco di Sales unisce al consiglio un doppio paragone: « Un uomo che abbia ricevuto, in un recipiente di bella porcellana, un liquore di molto valore, per portarlo a casa cammina a passi lenti: non guardando mai di lato, ma ora innanzi a sé per non urtare contro una pietra e non fare un passo falso, ora lo stesso vaso, per impedire che s’inclini da un lato qualunque. Al termine delle vostre pratiche di devozione, voi dovete fare lo stesso. Non dovete distrarvi ad ogni momento, ma guardare semplicemente davanti a voi; e se vi occorre d’incontrare qualcuno a cui siete tenuti di parlare o siete costretti di ascoltare, non potendo fare altrimenti, adattatevi, ma in maniera che possiate guardare anche il vostro cuore, affinché il liquido prezioso della preghiera sfugga il meno possibile ». Così nell’Introduzione alla vita devota, nel libro VI dell’Amore di Dio si legge (cap. X):« Come il fanciullo che sollevata la testa dal grembo di sua madre per vedere dove ha i piedi, la rimette subito, perché si sente vezzeggiato, così noi, accorgendoci di distrarci dalle pratiche devote a causa della curiosità, dobbiamo subito rimettere il nostro cuore nell’attenzione soave della presenza di Dio, dalla quale ci eravamo sottratti ».Dio concede favori speciali ai suoi privilegiati.C’insegnano gli storici di S. Teresa che lungo i suoi viaggi non perdeva mai, per dir così, un sol momento la vista dell’Ospite interiore. Possedeva nel più intimo dell’anima sua le tre Persone divine; sentiva in modo meraviglioso la loro presenza, e se ne vedeva accompagnata sempre. Quindi non si dava mai, per la Santa, un momento in cui le mancasse la solitudine. Avrebbe desiderato di non dover mai parlare con gli uomini. Confessiamo francamente che i Santi non ci rassomigliano affatto! (nella settima dimora del Castello Interiore, la Santa descrive così le operazioni dell’ammirabile Trinità nell’anima sua: « Avendo Dio introdotto l’anima nella sua dimora, le tre Persone della Trinità Santa si comunicano a lei, le parlano e le fanno capire il senso delle parole che nostro Signore dice nell’Evangelo: Se qualcuno mi ama osserverà i miei comandamenti, e mio Padre l’amerà, e verremo a lui e stabiliremo in lui la nostra dimora. Oh, mio Dio, quanto si è lontani dall’avere l’orecchio colpito da queste parole, di vederle anche, di capirne la verità nel modo in cui ho detto! Dal momento in cui quest’anima ha ricevuto un tal favore, prova uno stupore che aumenta ogni giorno, perché le pare che le tre Persone divine non l’abbiano mai abbandonata: vede chiaramente che sono nell’interno dell’anima e nel posto più recondito, e come in un abisso molto profondo; questa persona non saprebbe dire che cosa sia quest’abisso cosi profondo, dove sente in sé stessa questa divina compagnia »). – Nella vita di alcune anime molto interiori, si nota che Dio, per ricompensare senza dubbio la loro buona volontà e il desiderio che hanno di vivere unicamente «nel loro interno», si compiace di concedere loro, in circostanze in apparenza meno favorevoli al raccoglimento, una facilità singolare a raccogliersi. – Santa Margherita Maria prova, in modo speciale, il benefizio del raccoglimento al refettorio, non ostante le letture di regola. Ed Emilia d’Oultremont, che fondò l’Istituto di Maria Riparatrice, sul più bello della danza, sente un primo attraente appello di Nostro Signore, e fa questo proposito irrevocabile: «Maestro, voi solo nella mia vita! ». Teodolinda Dubouché (Fondatrice dell’Istituto dell’Adorazione Riparatrice) un giorno è costretta ad andare al teatro dell’Opera. Durante l’intera serata, continua a tenersi unita con Dio. Privilegi speciali questi che non possiamo pretendere. – La vita divina nell’anima in grazia non implica in sé nulla di simile. E se, come accade, cerchiamo le distrazioni, aspetteremo invano l’aiuto di Dio per raccoglierci. Ma anche in mezzo allo strepito non potrebbe ognuno di noi imitare la piccola venditrice ambulante che nella sua baracca, inginocchiata in un angolo, nei giorni di comunione, diceva: «Signore Gesù, io non dimentico che voi siete in me » (Alcune giaculatorie possono aiutarci molto: « Dominus tecum. — Noi due soli. — Per ipsum, cum ipso, et in ipso. Per Lui con Lui, in Lui ». — E quante altre simili!). Con un po’ di sforzo, si acquisterà l’uso di valersi delle occasioni, anche le meno atte in apparenza, per rientrare « dentro di noi ». Dobbiamo conversare col prossimo? Tre regole s’impongono. Parlare con discrezione: io sono un tabernacolo. Parlare con sincerità:parlo a un tabernacolo, o a qualcuno che Dio destina a divenire tale. Parlare con carità: colui del quale parlo è anch’egli un tabernacolo, ovvero può divenirlo (Spontaneamente le anime di fede hanno questo rispetto, questa deferenza cristiana, questa cortesia santa per gli altri. I Superiori domandarono a San Luigi Gonzaga che limitasse le manifestazioni di rispetto verso i suoi compagni. L’Olier, quando passava accanto alla cella del P. de Condren, suo secondo superiore dopo il Card, de Berulle, soleva fare una genuflessione e a chi gliene domandava la ragione, rispondeva: « Dentro non c’è il P.de Condren, ma Dio nel P. de Condren »).E se la voce che ci chiama fuori è quella dell’apostolato, del bene che dobbiamo fare alle anime, è regola impreteribile che occorre perdere Dio di vista il meno possibile. In ogni Messa il sacerdote si rivolge ai fedeli parecchie volte, per ricordare che Dio è con loro: Dominum vobiscum. Ciò non indica forse che parecchie volte al giorno il fedele dovrà rientrare in se stesso e ripetere: Dominus tecum? Se sapesse farlo anche a ogni Ave che recita! Da vera discepola della sua Santa Madre,Suor Elisabetta scrive che « per raggiungere la vita ideale dell’anima, bisogna vivere nel soprannaturale, avere coscienza che Dio è nel più intimo di noi e portarsi dovunque insieme con Lui; allora non si agisce in modo comune, pur facendo cose molto ordinarie, giacché non si vive in esse, ma si sorpassano. Un’anima soprannaturale non tratta con le cause seconde, ma semplicemente con Dio ».E aggiunge: « Nell’azione, allorché si compie in apparenza l’ufficio di Marta, l’anima può sempre dimorare, come Maddalena, assorta nella contemplazione, tenendosi a questa sorgente come un’assetata. Io non so concepire altrimenti l’apostolato » (In ogni pagina di Santa Teresa si trova un invito. Ecco un passo fra i molti: « Voi potreste credere che allorquando le occupazioni necessarie vi sottraggono a questo ritiro interno del cuore, facciate una larga breccia al raccoglimento; disingannatevi. Purché in seguito siate fedeli a rientrarvi, il divino Maestro disporrà tutto a benedell’anima vostra. Allorquando l’occupazione ha interrotto il raccoglimento, non vi è altro rimedio che ricominciare a raccogliersi ». – Castello Interiore, seconda dimora, cap. I— Forse degni di nota particolare sono i capitoli XXIX e XXX del Cammino della Perfezione).L’apostolato così compreso, facile per una carmelitana, non è meno indispensabile a tutti, perché apporti vantaggio. Al di fuori di questa regola, potrà essere clamoroso, ma non mai fecondo.Monsignor Gay raccoglieva il suo pensiero in una frase che nello stesso tempo è un riassunto e un richiamo: « Voi siete un tempio: mettetele cose nel vestibolo, gli uomini nella navata; ma riservate a Dio il santuario ».

C A P O III.

Conquistare il nostro tesoro.

La difensiva non è mai stata la grande regola dei popoli, né delle anime che vogliono regnare. Non basta proteggere il nostro interno dove Dio alberga. Affinché quest’ « interno » ci appartenga, diventi nostro veramente, bisogna conquistarlo e spesso a forza di lotte dure e perseveranti. I maestri della vita spirituale sono unanimi nel dire, e in mancanza loro, l’esperienza personale più elementare lo attesta che allora solo si trova Dio, quando si è decisi a perdere se stessi. Sarebbe un mero sogno credere che il viaggio dalle cose esteriori all’intimo di se stesso, possa farsi in « sleeping-car », o in vettura imbottita di seta! Se aprite il libretto dell’Imitazione, il Combattimento spirituale, gli Esercizi di S. Ignazio, S. Teresa, S. Francesco di Sales o qualsiasi autore ascetico di qualche importanza, troverete ripetute le stesse espressioni: vincersi, andare contro il proprio capriccio, distruggere, sacrificare, agere contra, ut homo vincat seipsum; tutto questo annunzia la lotta. Ogni libro di devozione che non è un manuale sul modo di combattere, non sarà mai un vero libro di pietà. Ma per non avere esaminato la ragione intima di questo combattimento contro se stesso, molti si scoraggiano, inciampano, esitano. Fin dal principio risalta la parola: « vincersi », parola che è scritta in rilievo sul frontone, e che fa spavento. «Vincersi»…. bisognerà dunque combattere? arrischiare qualcosa… E poi « vincere se stesso », vi sarà quindi in me una parte che resterà vinta; sarò diminuito, amputato proprio di quanto io stimo di più! Dal punto di vista di una buona accoglienza, è meglio entrare subito nel cuore dell’edificio; svelare là dentro tutte le ricchezze contenute, l’intimità possibile, certa… e uscendone, mostrare — allora solamente le parole terribili scritte sul frontone. È semplice questione di metodo, ma che ha il suo valore. Ho bisogno di un parafuoco tra il dolore e la paura: — l’amore — un riparo tra il legno dell’olocausto e la mia timidezza — il divin Salvatore — di un risultato garantito e importante, tra gli sforzi miei e la mia oppressione supposta, premeditata, voluta — l’intimità col mio Dio. — Allora io cammino. Se ho presenti gli scopi di guerra, mi batterò finché sarà necessario! Il posto — e con esso — lo scopo della battaglia so quale è: entrare in possesso di questo « interiore » che porto in me, e dove Dio stesso abita. Tre stadi fisseranno la storia della conquista. Il primo lavoro consisterà nel ritrovare me stesso. Pervenire fino a me. In me, rendermi conto che non sono solo, siamo due: l’Ospite divino e io. Ciò verificato, capire che dei due uno è superfluo. Sforzarmi di rimpicciolire il mio posto per lasciare a Dio tutto il regno. – Riassumendo:

Io solo;

Lui ed io;

Lui solo.

[7- Continua …]

https://www.exsurgatdeus.org/2020/01/02/dio-in-noi-8/

SALMI BIBLICI: “QUI REGIS ISRAEL, INTENDE” (LXXIX)

SALMO 79: “Qui regis Israel, intende”

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS.

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

[Canonico titolare della Chiesa di Soissons, Professore emerito di Scrittura santa e sacra Eloquenza]

TOME DEUXIÈME.

PARIS – LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR 13, RUE DELAMMIE, 1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

Salmo 79

In finem, pro iis qui commutabuntur. Testimonium Asaph, psalmus.

[1] Qui regis Israel, intende;

qui deducis velut ovem Joseph. Qui sedes super cherubim, manifestare

[2] coram Ephraim, Benjamin, et Manasse. Excita potentiam tuam, et veni, ut salvos facias nos.

[3] Deus converte nos, et ostende faciem tuam, et salvi erimus.

[4] Domine Deus virtutum, quousque irasceris super orationem servi tui?

[5] Cibabis nos pane lacrimarum, et potum dabis nobis in lacrimis in mensura?

[6] Posuisti nos in contradictionem vicinis nostris, et inimici nostri subsannaverunt nos.

[7] Deus virtutum, converte nos, et ostende faciem tuam, et salvi erimus.

[8] Vineam de Aegypto transtulisti, et ejecisti gentes, et plantasti eam.

[9] Dux itineris fuisti in conspectu ejus; plantasti radices ejus, et implevit terram.

[10] Operuit montes umbra ejus, et arbusta ejus cedros Dei.

[11] Extendit palmites suos usque ad mare, et usque ad flumen propagines ejus.

[12] Ut quid destruxisti maceriam ejus, et vindemiant eam omnes qui praetergrediuntur viam?

[13] Exterminavit eam aper de silva, et singularis ferus depastus est eam.

[14] Deus virtutum, convertere, respice de caelo, et vide, et visita vineam istam;

[15] et perfice eam quam plantavit dextera tua, et super filium hominis quem confirmasti tibi.

[16] Incensa igni et suffossa, ab increpatione vultus tui peribunt.

[17] Fiat manus tua super virum dexterae tuae, et super filium hominis quem confirmasti tibi.

[18] Et non discedimus a te; vivificabis nos, et nomen tuum invocabimus.

[19] Domine Deus virtutum, converte nos, et ostende faciem tuam, et salvi erimus.

[Vecchio Testamento Secondo la Volgata Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

SALMO LXXIX.

Testimonianza di Asaph: cioè testimonianza cantata da Asaph della cattività e liberazione del popolo ebreo. — Spiritualmente, delle anime sotto il giogo del demonio.

Per la fine: per quelli che saranno cangiati; testimonianza di Asaph, salmo.

1. Ascoltami tu, pastor d’Israele, tu che conduci Giuseppe, come una pecorella.

2. Tu, che sei assiso sopra i Cherubini, (1) fatti vedere dinanzi ad Ephraim, a Beniamin e a Manasse. (2) Sveglia la tua potenza, e vieni a salvarci.

3. O Dio, convertici: e mostra a noi la tua faccia, e sarem salvi.

4. Signore Dio degli eserciti, fino a quando ti adirerai, né darai ascolto all’orazione del tuo servo?

5. E ci nutrirai con pane di lagrime, e bevanda di lagrime darai a noi in larga misura? (3)

6. Ci hai renduti oggetto di contraddizione a’ nostri vicini, e i nemici nostri si fan beffe di noi.

7. Dio degli eserciti, convertici; e mostraci la tua faccia, e sarem salvi.

8. Tu dall’Egitto trasportasti una vigna; discacciasti le nazioni, e la piantasti.

9. Tu le andasti avanti come condottiere nel viaggio; tu facesti barbicare le sue radici, ed ella empiè la terra.

10. L’ombra di lei ricoperse i monti, e i rami di lei i cedri di Dio.

11. Fino al mare stese ella i suoi tralci, e le sue propaggini sino al fiume. (4)

12. Per qual motivo hai tu distrutta la sua siepe, e la vendemmiano tutti quei che passano per istrada?

13. Il cinghiale del bosco l’ha sterminata, e la fiera solitaria feroce ne ha fatto pasto. (5)

14. Dio degli eserciti, volgiti a noi, mira dal cielo, e vedi, e visita questa vigna.

15. E lei coltiva, che fu piantata dalla tua destra; e mira quel figliuolo dell’uomo, cui tu eleggesti.

16. Ella è stata arsa dal fuoco e diradicata, ma ai minacciosi tuoi sguardi periranno i nemici.

17. Sia la mano tua sopra l’uomo della tua destra e sopra il figliuolo dell’uomo, cui tu eleggesti. (6)

18. E noi non recediamo da te ; tu ci darai nuova vita, e noi invocheremo il tuo nome.

19. Signore Dio degli eserciti, convertici; e mostraci la tua faccia, e sarem salvi. (7)

(1) Per Israele è espresso tutto il popolo di Israele, tutto il popolo che usciva dall’Egitto, come suo tronco; anche Giuseppe, il prediletto di Giacobbe, è posto qui per tutti i suoi fratelli, per tutti gli Israeliti, perché questo patriarca aveva meritato l’onore di designare con il suo nome tutta la posterità di Giacobbe, nutrendola per intero in Egitto, e perché solo, tra i dodici figli di Giacobbe, era rappresentato da due tribù, Manasse ed Efraim.

(2) Le tre tribùqui designate erano accampate più vicino all’Arca, e la seguivano immediatamente nella sua marcia.

(3) In mensura. Questa misura è quella che occorre per istruirvi, non per sopraffare, o meglio secondo la misura dei nostri peccati.

(4) Questo mare è il mare Mediterraneo, ed il fiume l’Eufrate, limiti estremi dell’occidente e dell’oriente, della maggior potenza degli Ebrei, sotto Salomone. Talvolta queste stesse espressioni designano l’estremità della terra.

(5) Questa bestia selvaggia significa Teglatphalasar, Sahanasar. Sennacherib, o Nabuchodonosor, se si considera questo salmo nella presa di Gerusalemme dei Caldei.

(6) È visibile che una parte di questo salmo è perduto, e che i versetti 15 e 16 non sono che semi-versetti male assemblati. La seconda parte del versetto 16 non è che quella del versetto 17, ricavata dalla similitudine della fine della prima parte, dextera tua.

(7) Il versetto, ripetuto tre volte, è come il ritornello del salmo.

Sommario analitico

Il profeta, considerando i malori delle dieci tribù portate in cattività da Salmanazar, prega Dio di porvi un termine. Questo salmo sembra ricondursi alle dieci tribù. Infatti il salmista vi parla in generale di Israele e di Giacobbe, e quando specifica, parla di Giuseppe, Efraim e Manasse. Questo salmo è una preghiera che si può fare per la conservazione della Chiesa.

I- Il salmista richiede l’avvento del Messia:

1° per manifestare la cura particolare che prende di Israele, per far brillare la sua gloria e la sua potenza (1, 2);

2° Per dare la salvezza alle anime in attesa e che supplicano Dio di esaudire i loro voti (3, 5).

3° Per dare la consolazione agli afflitti che subiscono gli oltraggi dei popoli vicini (6, 7).

II. – Egli chiede il ristabilimento del popolo di Dio che compara ad una vigna:

1° Esso è stato provato da numerose vicissitudini: – a) all’inizio: 1) è stato trapiantato miracolosamente dall’Egitto, come una vigna; 2) è stato piantato al di la del Giordano, dopo che Iddio ne ebbe cacciati gli abitanti (8); 3) ha posto delle radici profonde; – b) nel suo progredire 1) ha riempito tutta la terra promessa (9); 2) ha coperto le montagne della sua ombra; 3) i rami hanno sopravanzato i cedri più alti (10); i suoi rami si sono estesi fino al mare  e le sue propaggini fino al fiume (11); – c) alla fine 1) è stato privato della protezione di Dio, che lo difendeva come un muro (12); 2) spogliato dei suoi frutti dai suoi nemici (12); sradicato da Salmanazar come un cinghiale, e divorato da Nabucodonosor come una bestia feroce (13);

2°Esso attende la salvezza da Dio solo che, – a) si dia interamente a lui, 1) gettando su di Lui uno sguardo di affezione; 2) visitando la sua vigna diletta; 3) facendo prosperare quella che la sua destra ha piantato (14); – b) invia il Messia, 1) che Egli conferma con l’unione ipostatica (15); 2) confida nel ristabilimento di questa vigna devastata (16); 3) che egli riveste della sua forza contro i suoi nemici (17); – c) istruisce il suo popolo: 1) gli da la vita della grazia; 2) l’anima alla professione della vera fede (18); 3) lo favorisce della sua presenza; 4) lo salva e lo conduce nei cieli (19).

Spiegazioni e Considerazioni

I. — 1-7

ff. 1, 2. – Dio conduce i suoi servitor come delle pecore, a causa della loro innocenza, della loro docilità e della loro obbedienza. « Le mie pecore ascoltano la mia voce, Io le conosco ed esse mi seguono » (Giov. X, 27). Il discepolo fedele deve dire a Dio incessantemente con l’autore dell’Imitazione: « ponetemi dove voi vorrete, e disponete assolutamente di me in ogni cosa ». Io sono nelle vostre mani, voltatemi e rivoltatemi a vostro gusto. Ecco che io sono pronto a servirvi in tutto, perché non desidero vivere per me, ma per Voi solo (Lib. III, cap. XV]. Lasciarsi condurre dalla mano di Dio solo, come una pecora, con la dolcezza, docilità e sottomissione di questo piccolo animale. « Voi che siete seduto sui Cherubini »: i Cherubini sono la sede della gloria di Dio, ed il loro nome vuol dire: “pienezza della scienza”. È su di loro che Dio è assiso nella pienezza della scienza. Ma anche se i Cherubini sono elevati al di sopra delle potenze e delle virtù dei cieli, tuttavia, se volete, sarete un cherubino; perché se i Cherubini sono la sede di Dio, ascoltate ciò che dice la Scrittura: « L’anima del giusto è la sede della sapienza » (Sap. VII, 27). Ma come divenire la pienezza della scienza? Chi può assumere questa condizione? Voi avete un mezzo per assumerla: « … L’amore è la pienezza della legge » (Rom. XIII, 10). Cercate di non vagare e correre di qua e di la. La vasta estensione dei rami vi spaventa? Restate alla radice e non pensate alla grandezza dell’albero. Che l’amore venga in voi e la pienezza della scienza ne seguirà inevitabilmente. Chi può ignorare in effetti colui che sa amare, poiché è stato detto: « Dio è amore » ? (Giov. IV, 8) (S. Agost.). – « Eccitate la vostra potenza e venite ». L’Incarnazione del Figlio di Dio è l’opera per eccellenza della potenza divina; perché nulla di più sublime può avvenire che un Dio-uomo, ed un uomo-Dio! È questa un’opera mirabile, un’opera al di sopra di tutte le sue altre opere (S. Bern. Serm. III, in Vig. Nativ.).

ff. 3, 4. – Gesù-Cristo è venuto per salvare gli uomini, Egli è l’oggetto principale della sua incarnazione. Nulla è sì sovente ripetuto nelle Scritture e l’Angelo Gabriele lo spiega chiaramente quando dice a Giuseppe: « … voi lo chiamerete Gesù, cioè Salvatore, perché Egli salverà il suo popolo dai suoi peccati » (Matth. I, 21). Egli è venuto per salvarci, convertendoci a Lui e al Padre suo: « Voi siete come pecore sbandate, ma ora siete tornate e convertite a Colui che è il Pastore ed il Vescovo delle vostre anime (I Piet., II, 2). – La salvezza dell’uomo è l’effetto non solo della bontà, ma anche della potenza di Dio. « O Dio, voltateci verso di Voi ». Noi non siamo voltati verso di ;se Voi non vi volgete a noi, noi non lo faremo mai da noi stessi ». Noi ci siamo allontanati da Voi, e se non vi girate verso di noi, noi da noi stessi non lo faremo, « Mostrateci il vostro volto e noi saremo salvati ». Dio ha forse un viso tenebroso? Dio non ha un volto tenebroso, ma ha nascosto il suo volto sotto il velo della carne e come sotto il velo della debolezza; Egli è stato misconosciuto quando era sospeso sulla croce, ma per essere poi riconosciuto quando sarà assiso nel cielo (S. Agost.). – « Mostrateci il vostro volto e noi saremo salvi ». Prima dell’Incarnazione noi vediamo, in ogni pagina delle sante Scritture, il terrore che colpiva naturalmente ogni uomo alla presenza di Dio, dopo che il peccato era entrato nel mondo; ma, con l’Incarnazione, ci è apparsa la grazia e la benignità di Dio nostro Salvatore (Tito III, 4), e noi possiamo dirgli con tutta fiducia: « Mostrateci il vostro volto e noi saremo salvi ». – Questa faccia del Padre, è il Cristo, perché lo splendore della sua gloria e l’immagine della sua sostanza (Hebr. I, 3), e come si conosce un uomo vedendo il suo volto, così si conosce il Padre vedendo il Cristo (S. Gerol.). – « Filippo – diceva Gesù-Cristo a questo Apostolo – colui che vede me, ha visto il Padre » (Giov. XIV, 19). « Ecco Io mando il mio Angelo, ed egli preparerà la via davanti alla mia faccia » (Malac. III, 1), cioè Giovanni-Battista davanti al Cristo.

ff. 5-7. – « Signore, Dio degli eserciti, fino a quando sarete irritato contro la preghiera del vostro servo? », di colui che ora è il vostro servitore. Voi che vi irritate contro la preghiera del vostro nemico, vi irritate pure contro la preghiera del vostro servo? Voi ci avete voltato verso di Voi, noi vi abbiamo riconosciuto, e vi irritate ancora contro la preghiera del vostro servo? Si, Voi vi irritate ancora, ma la vostra collera sarà quella di un padre che corregge e non quella di un giudice che condanna … Non crediate che la collera di Dio sia passata, dal momento che siete tornati a Lui; essa è passata ma solo per non condannarvi eternamente. Ma Egli vi castiga, non vi risparmia, perché Egli castiga tutti coloro che riconosce come figli (Hebr. XII, 6). « Fino a quando ci nutrirete con pane di lacrime, e ci farete bere lacrime in abbondanza? » Ascoltate l’Apostolo: « Dio è fedele, non permetterò che siate tentati al di la di ciò che potete sopportare » (I Cor. X, 13). Questa misura è quella delle vostre forze, questa misura è ciò che vi necessita per istruirvi, e non per sopraffarvi (S. Agost.). – Il bene ed il male, la gioia e la tristezza, tutto si dà quaggiù con misura. Le gioie del mondo, le sue tristezze non meritano di essere contate. – Tutte le lacrime non sono le lacrime cristiane: la cupidigia ha le sue lacrime così come la carità; non ci sono che le lacrime di penitenza che siano cristiane, e non c’è che Colui che ha estratto altre volte l’acqua dalla pietra, che possa estrarne dalla durezza del nostro cuore.

II. — 8-19.

ff. 8-10. – Niente di più comune c’è nelle Sacre Scritture, che la comparazione del popolo di Dio, della Chiesa, ad una vigna, e questa comparazione si giustifica per numerose ragioni: – 1° è nei terreni petrosi che la vigna cresce più facilmente; è su Gesù-Cristo, come sulla pietra, che la Chiesa si radica e fruttifica. – 2° La vigna ha bisogno di puntelli che la sostengano e di legacci per fermarla; altrimenti essa si trascina, strisciando sulla terra; essa non può elevarsi se non è sostenuta, altrimenti cade. Ma pur essendo sostenuta, da dove non si eleva? Gesù-Cristo è nel contempo il piolo che la sostiene ed il legaccio che la tiene sospesa a questo piolo, ed è della Sapienza incarnata che è detto: « In essa c’è una bellezza che dona la vita, e le sue catene sono legami che guariscono e che salvano » (Eccl. VI, 31). – 3° La vigna ha bisogno di una coltura assidua e di cure incessanti. Così è per la Chiesa di Cristo. Egli recluta dei lavoratori per inviarli nella sua vigna, non soltanto dall’aurora, ma anche all’ora terza, alla sesta, alla nona ed all’undecima, di modo che sia coltivata ad ogni ora. – 4° I tralci della vigna seccherebbero e perirebbero senza risorse, se non fossero attaccati ed uniti al loro gambo, e se fossero privati della linfa da cui continuamente la traggono. Lo stesso è dei Cristiani: se essi non dimorano in Gesù-Cristo se non ricevono continuamente la grazia che li fa vivere. –  5° Quando la vigna è potata, colpita nel vivo, quando si recide non solo il legno secco, ma anche il legno verde, è allora che essa porta i frutti più abbondanti. È così che la Chiesa cresce e fruttifica in mezzo alle prove e pone nelle persecuzioni il principio di una più grande fecondità. – 6° Il tralcio staccato dal ceppo, seccherà, sarà gettato nel fuoco e seccherà, sarà gettato nel fuoco e brucerà. « Che si farà del legno della vigna, se lo si compara a tutti gli altri alberi che sono nei boschi e nelle foreste? Si utilizzerà il legno della vigna per qualche opera, lo si potrà fissare al muro e sostenervi ciò che si vorrà? Lo si getta nel fuoco del quale diventa preda, la fiamma ne consuma le due parti, ed il mezzo è ridotto in cenere; dopo questo, potrà mai essere buono per qualcosa altro? » (Ezech. XV, 2-4). Più essa è eccellente quando porta « il suo frutto delizioso che rallegra Dio e gli uomini » (Sap. IX, 13), più essa è  inutile se non ne porta più. E non ha più nulla da attendere se non il fuoco di cui è degna. Il legno della vigna è quello in cui si caratterizza al meglio la vita del Cristiano: non gli resta che portare frutto, o di essere gettato nel fuoco. –  I caratteri dello stabilirsi della Chiesa non sono marcati in modo meno incisivo nei diversi tratti di questa parabola! 1° Dio l’ha trapiantata, questa vigna, dall’Egitto, nella terra che aveva promesso, vale a dire che fa passare la sua Chiesa dalle tenebre del peccato, alla luce della fede e della grazia. – 2° Dio ha sterminato gli antichi abitanti di questa terra per farle posto e piantarla. (8). È così che Dio ha piantato la sua Chiesa nella fede. – 3° Dio ha fatto sviluppare delle radici profonde a questa vigna. « Voi le avete fatto da guida camminando davanti ad essa, Voi avete rafforzato le sue radici. »  È ciò che Dio ha fatto per la Chiesa, nel senso delle parole di queste San Paolo: « Dio, secondo le ricchezze della sua gloria, vi fortifichi nell’uomo interiore con il suo Spirito; Gesù-Cristo abiti nei vostri cuori per mezzo della fede, e siate radicati e fondati nella carità. » – 4° Questa vigna si è estesa da collina in collina e si è elevata al di sopra delle alte montagne che essa ha coperto. Tutta la terra, fino al fiume e fino al mare, ne è stata ripiena, tanto il vitigno è stato fecondo ed abbondante. È così che Dio concede alla sua Chiesa di moltiplicarsi e di propagarsi, con le sue propaggini ed i suoi frutti. –  « L’ombra di questa vigna ha coperto le montagne, ed i suoi tralci i cedri più elevati. ». Così la Chiesa si è elevata al di sopra di tutti i reami del mondo, di tutte le superbe altezze del secolo. Le montagne ed i cedri erano come al coperto sotto questa vigna, come le potenze del secolo, sottomesse alla Chiesa, trovavano il loro riposo, la loro sicurezza e la loro salvezza sotto l’ombra della fede. – La vigna – dice S. Ambrogio – è l’immagine della Chiesa. Il popolo cristiano si eleva come una vigna verdeggiante al di sopra del suolo avvilito. Questa tenera propaggine, innestata sulla vecchia vigna, è cresciuta sul legno nodoso della croce; e lo Spirito Santo, inondandola con la sua grazia, ha purificato la vigna. È essa che il colono si compiace di vangare, irrorare e tagliare (Comm. In Evang. Luc XV). – È anche questa vigna della Chiesa, i cui fiori spandono lontano i profumi di Gesù-Cristo, i cui frutti maturi ed abbondanti ispirano allo stesso santo dottore questo cantico di lode: « Signore», vi lodino coloro che vedono la vostra Chiesa estesa lontano, i suoi rami carichi, e tutte le anime che la circondano come dei monili preziosi, facendo in essa brillare la maturità e la prudenza, lo splendore della fede, il bagliore della giustizia, la fecondità della misericordia » (Hex. III, cap. 10).

ff. 12-13. – In questi versetti, il Profeta compone un quadro spaventoso e troppo naturale delle persecuzioni, delle prove, delle devastazioni alle quali Dio ha permesso che la Sinagoga, e poi la Chiesa cristiana, fossero sottoposte. –  Il muro della Chiesa, è Dio stesso: « Io sarò attorno ad essa, dice Jeowah, come un muro di fuoco, e sarò in mezzo ad essa nella mia gloria » (Zacc. II, 5). I muri della Chiesa sono ancora gli Angeli, i Santi, i Vescovi ed i Dottori, i precetti di Dio, le virtù e la preghiera. Tutti questi muri, questi bastioni sono abbattuti e distrutti, quando Dio permette allo spirito di persecuzione e di errore di prevalere per un tempo contro la sua Chiesa. Abbattuto questo muro, la vigna è aperta ad ogni tipo di devastazioni. « Essa è vendemmiata da tutti coloro che passano per strada. » Non solo essi ne prendono le radici, ma le bestie feroci vengono a strapparla fino alle radici, « ed il cinghiale della foresta l’ha devastata ». – Noi abbiamo qui un’immagine non meno spaventosa dello stato di un’anima che il peccato abituale ha sprofondato nell’indurimento. Dio la lascia in qualche modo indifesa, senza bastioni: tutti gli oggetti sensibili vi portano devastazione; essa è come una vigna che non ha più muraglia, e che resta esposta al saccheggio dei passanti.

ff. 14-16. – Malgrado queste sventure, tornate verso di noi. Guadateci dall’alto del cielo, vedete questa vigna e visitatela, « … e rendete perfetta quella che la vostra destra ha piantato ». Non ne piantate un’altra, ma rendete perfetta quella; perché essa è la razza stessa di Abramo; essa è la razza nella quale tutte le nazioni sono benedette (Gen. XXII, 18); là è la radice sulla quale è inserita l’olivo selvaggio (S. Agost.). –  Il profeta chiede qui Dio tutto intero: – 1° il suo volto, « Dio degli eserciti, volgetevi a noi; – 2° i suoi sguardi favorevoli: « Guardate dall’alto del cielo e vedete »; è lo sguardo di Dio che il Profeta Geremia domandava come un raggio di sole vivificante: « Vedete, Signore, che io sono nella tribolazione » (Gerem-Lam. I, 17): « O mio Dio, inclinate il vostro orecchio ed ascoltate; aprite i vostri occhi, e guardate la nostra desolazione, e la città sulla quale è stato invocato il vostro Nome;» – 3° egli domanda che Dio stesso venga a visitare la sua vigna e constati lo stato di devastazione nel quale i suoi nemici l’hanno ridotta: « e visitate la vostra vigna; » – 4° egli domanda la mano di Dio per riparare le sue rovine e ristabilirle nel suo stato originario. È ciò che Dio ha fatto con il suo Cristo: « e rendetela perfetta per il Figlio dell’uomo che Voi avete rafforzato per Voi. » Magnifico fondamento! Costruite sopra tutto ciò che potete costruire perché « non si può porre altro fondamento diverso da quello che è stato già posto, che è il Cristo Gesù » (1 Cor. III, 2). – Le cose sradicate e date alle fiamme periranno con l’indignazione del vostro volto. » Quali sono queste cose sradicate e date alle fiamme, e che periranno con l’indignazione del volto di Dio? Contro chi il Cristo è indignato? Contro i peccati! I peccati periranno dunque per l’indignazione del suo volto. Perché i peccati saranno sradicati e dati alle fiamme? Due cose producono in noi tutti i peccati: il desiderio ed il timore. Riflettete, discutete, interrogate i vostri cuori, sondate le vostre coscienze, vedete se potete commettere qualche peccato se non per desiderio o per paura. Per portarvi al peccato vi viene presentato un’esca, cioè qualcosa che vi piace; voi agite in vista di ciò che desiderate. Al contrario, voi non sperate nulla che vi porti al peccato, ma delle minacce vi spaventano, vi agitano in vista di ciò che voi temete … che farà dunque il volto di Dio che distrugge i peccati? Quali sono i peccati sradicati e dati alle fiamme? Che aveva fatto il cattivo amore? Esso aveva come illuminato una fiamma. Che aveva fatto il cattivo timore? Aveva come scavato il suolo. In effetti l’amore infiamma, la paura umilia; ecco perché i peccati nati dal cattivo amore sono dati alle fiamme, ed i peccati nati dal cattivo timore sono come sradicati (S. Agost.). – Gesù-Cristo è veramente l’uomo della destra di Dio: 1° perché è seduto alla destra del Padre; 2° perché è per Lui  che Dio opera tutto quel che fa; perché tutte le sue opere sono fatte in saggezza, con la saggezza e per la saggezza, che è il suo Verbo eterno ed increato.  – Dio non getta gli occhi che sul Figlio dell’uomo e suo, che è Gesù-Cristo. Egli non vede che Lui, non conosce che Lui, non accorda grazie se non per Lui e in vista di Lui. Dio ha stabilito Gesù-Cristo principalmente per se stesso, a suo onore e gloria. « Voi siete di Gesù-Cristo, e Gesù-Cristo è di Dio Voi » (I Cor. III, 23).

 ff. 19-20. – Allontanarsi da Dio, è sorgente di tutti i mali; tornare a Lui, per non separarsene mai, è sorgente di tutti i beni. – « Noi non ci allontaneremo da Voi, Voi ci vivificherete, e noi invocheremo il vostro nome. » (Ibid.). Voi ci sarete caro, « perché Voi ci vivificherete. » Noi amiamo dapprima la terra, noi non ci amiamo; ma Voi avete mortificato le nostre membra che appartengono alla terra (Coloss. III, 5). In effetti l’antico Testamento, che contiene promesse terrene, sembra invitare l’uomo a non adorare Dio senza interesse, ma ad amarlo perché Egli doni qualcosa sulla terra. Che amerete dunque per non amare Dio? Ditelo … guardate intorno a voi tutta la creazione. Vedete se sarete attirato da qualche parte per il desiderio della voluttuosità ed impedito di amare il Creatore, se non per le creature stesse di Colui che voi negligete. E perché amate queste creature se non perché esse sono belle! Possono essere belle così come Colui che le ha fatte? Voi ammirate le creature, perché non vedete il Creatore; ma gli oggetti della vostra ammirazione vi facciano amare Colui che non vedete. Interrogate la creatura: se essa è per se stessa, non andate al di la di essa; ma se essa viene da Lui, sappiate che ella non è funesta a chi ne è innamorato se non perché la preferisce al Creatore. Perché avete detto queste cose? È in ragione dei versetti che spieghiamo. Questi erano dunque dei morti che adoravano Dio al fine di riceverne dei beni carnali; perché « … essere saggi secondo la carne, è come essere morto » (Rom. VIII, 6). Sono dunque questi, dei morti che non adorano Dio se non per interesse, vale a dire perché Egli è buono, e non perché dona loro dei beni che accorda anche ai malvagi. Voi chiedete dei soldi a Dio? Anche un ladro ne ha. Una sposa, una famiglia numerosa, la salute del corpo, gli onori del mondo? Vedete quanti malvagi possiedono questo tipo di benefici. È qui tutto ciò che vi fa servire Dio?  I vostri piedi cancelleranno, e crederete di adorarlo inutilmente, quando vedrete questi stessi beni in possesso di coloro che non Lo adorano (Ps. LXXII, 2). Egli dona dunque questi beni anche ai malvagi; si conserva Lui solo, per i buoni. « Voi ci vivificherete », perché noi eravamo morti, quando eravamo attaccati alle cose della terra; noi eravamo morti quando portavamo in noi l’immagine dell’uomo terrestre. « Voi ci vivificherete; » Voi ci rinnoverete, Voi ci darete la vita dell’uomo interiore; « ed invocheremo il vostro Nome », cioè noi vi ameremo. Voi sarete il dolce Salvatore che rimette i nostri peccati; Voi sarete tutta la ricompensa delle nostre anime giustificate.

UN’ENCICLA AL GIORNO TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI (… CON CAZZUOLA E GREMBIULINO) DI TORNO: S. S. LEONE XIII – DALL’ALTO DELL’APOSTOLICO SEGGIO”

Leggere questa lettera enciclica, scritta in italiano, mette i brividi, tanto è attuale, nella sua illuminata lucidità, nell’additare e denunciare le cause dei mali che, già allora evidenti, si trascinano ancor più oggi nella loro tragica realizzazione. Il Sommo Pontefice, benché a conoscenza degli artefatti ed inganni perpetrati dalla setta infernale, benché avvertito da una profetica visione sull’infiltrazione massonica della Chiesa, oggidì completata compiutamente con l’insediamento di esponenti di altissimo livello della sinagoga di satana, non sapeva di avere nella sua segreteria di Stato, nientemeno che un cardinale esponente di spicco dell’O.T.O. – una setta tra le più agguerrite nemiche del Cristianesimo e del Vicario di Cristo – nonché organizzatore di una rete di prelati corrotti e marrani che alla lunga è risultata vincente – in apparenza – prendendo pieno controllo di una falsa ma… vera anti-chiesa che si proclama attualmente Chiesa Cattolica. Uguale sorte toccò a Papa Pacelli, Pio XII, che nella sua segreteria aveva tra gli infiltrati, quello che poi sarebbe divenuto il Pontefice degli Illuminati, cioè il capo della massoneria mondiale. I figli delle tenebre sono più scaltri di quelli della luce … ci avvertiva già il divin Redentore! Ma a ben vedere, il “Mistero di iniquità” era stato già profetizzato da San Paolo che ne discorreva con i suoi fedeli di Tessalonica, ed è oggi apparentemente trionfante, per permissione di Dio. E perché mai Dio avrebbe permesso tutto questo, come è evidente dalla storia ecclesiastica dal 26 ottobre del 1958 in poi? … Ce lo dice già lo stesso Apostolo nella 2 Tess. al cap. II: … « Ideo mittet illis Deus operationem erroris ut credant mendacio, ut judicentur omnes qui non crediderunt veritati, sed consenserunt iniquitati ». E allora, al pusillus grex cattolico, cosa resta da fare? Ce lo suggerisce lo stesso Pontefice Leone XIII, in questa medesima lettera: « … Il loro dovere è di rimanere al posto, di mostrarsi a viso aperto veri Cattolici per credenze ed opere conformi alla loro Fede, e ciò tanto a onor di quella e a gloria del sommo Duce, di cui seguono le insegne …». Quindi nessun timore, perché è “… quando siamo deboli che siamo forti”, ricordando pure che … “se Dio è con noi, chi sarà contro di noi?” Ricordino invece gli apostati, i marrani, i finti prelati ed i conniventi con gli antipapi, gli indifferenti pseudofedeli e tutti coloro che sono fuori dal Corpo Mistico di Cristo: il Giudizio è vicino e … chi vi salverà dal fuoco che il padre vostro ha preparato per voi per l’eternità?

DALL’ALTO DELL’APOSTOLICO SEGGIO

LETTERA ENCICLICA
DI SUA SANTITÀ
LEONE PP. XIII

Ai Vescovi, al clero e al popolo d’Italia.

Il Papa Leone XIII.

Venerabili Fratelli, diletti figli, salute e Apostolica Benedizione.

Dall’alto dell’Apostolico seggio, dove la Provvidenza divina Ci ha collocato per vegliare alla salvezza di tutti i popoli, il Nostro sguardo sovente si posa sopra l’Italia, nel cui seno Iddio, per atto di singolare predilezione, ha posto la sede del suo Vicario, e dalla quale peraltro Ci vengono al presente molteplici e sensibilissime amarezze. – Non Ci constristano le personali offese, non le privazioni e i sacrifici impostici dall’attuale condizione di cose, non le ingiurie e i dileggi, che una stampa procace ha piena balìa di lanciare ogni giorno contro di Noi. Se si trattasse solo della Nostra persona, se non fosse la rovina alla quale vediamo andare incontro l’Italia minacciata nella sua fede, porteremmo in silenzio le offese, lieti di ripetere anche Noi ciò che diceva di sé uno dei più illustri Nostri Predecessori: “Se la schiavitù della mia terra non crescesse di giorno in giorno, rimarrei muto, lieto del mio disprezzo e dello scherno” [S. Gregorio M., Lettera all’Imperatore Maurizio, Regist. 5]. – Ma oltreché dell’indipendenza e dignità della Santa Sede, trattasi della stessa Religione e della salute di tutta una Nazione, e di tal Nazione, che fin dai primi tempi aprì il seno alla Fede cattolica e conservolla in ogni tempo gelosamente. Sembra incredibile, ma è pur vero: siam giunti a tanto da dover temere per questa nostra Italia la perdita della fede. Più volte abbiam dato l’allarme perché si avvisasse al pericolo: ma non per questo crediamo di aver fatto abbastanza. Di fronte ai continuati e ognor più fieri assalti, sentiamo più potente la voce del dovere che Ci sprona a parlare di nuovo a Voi, Venerabili Fratelli, al vostro clero e al popolo Italiano. Come non fa tregua il nemico, così non conviene rimanere silenziosi od inerti né a Noi né a Voi, che per divina mercé fummo costituiti custodi e vindici della Religione dei popoli alle nostre cure affidati, Pastori e scolte vigili del gregge di Cristo, pel quale dobbiamo esser pronti, se fia d’uopo, a tutto sacrificare, anche la vita. – Non diremo cose nuove, perché i fatti, quali accaddero, non si mutano; e di essi abbiamo dovuto parlare altre volte, secondo che Ce ne venne il destro. Ma qui intendiamo ricapitolarli in certa guisa ed aggrupparli come in un sol quadro, per ricavarne a comune ammaestramento le conseguenze che ne derivano. Sono fatti incontestabili, accaduti alla gran luce del giorno; non isolati, ma connessi fra loro per forma che nella loro serie rilevano con piena evidenza un sistema, di cui sono l’attuazione e lo sviluppo. Il sistema non è nuovo: ma è nuova l’audacia, l’accanimento, la rapidità con cui si va ora attuando. È il piano delle sette, che si svolge ora in Italia, specialmente nella parte che tocca la Chiesa e la Religione Cattolica; collo scopo finale e notorio di ridurla, se fosse possibile, al niente. Ora è superfluo fare il processo alle sette che diconsi massoniche: il giudizio è già fatto; i fini, i mezzi, le dottrine, l’azione, tutto è conosciuto con certezza indiscutibile. Invasate dallo spirito di satana, di cui sono strumento, ardono, come il loro ispiratore, di un odio mortale e implacabile contro Gesù Cristo e l’opera sua; e fanno ogni loro potere d’abbatterla od incepparla. Questa guerra al presente si combatte più che altrove in Italia, dove la Religione Cattolica ha gettato più profonde radici, e soprattutto in Roma, dove è il centro della Cattolica Unità e la Sede del Pastore e Maestro universale della Chiesa. – Giova riprendere fin dalle prime le diverse fasi di questa guerra. Si cominciò col rovesciare sotto colore politico il principato civile dei Papi: ma la caduta di esso nelle intenzioni segrete dei veri capi, apertamente poi dichiarate, doveva servire a distruggere o almeno tenere in servitù il supremo potere spirituale dei Romani Pontefici. E perché non rimanesse alcun dubbio sullo scopo vero a cui si mirava, venne subito la soppressione degli Ordini religiosi, che assottigliò di molto il numero degli operai evangelici per il sacro Ministero e per l’assistenza religiosa, come pure per la propagazione della fede tra gl’infedeli. – Più tardi si volle esteso anche ai chierici l’obbligo del servizio militare, colla necessaria conseguenza di ostacoli gravi e molteplici frapposti alla recluta e alla conveniente formazione anche del clero secolare. Si misero le mani sul patrimonio ecclesiastico, parte confiscandolo assolutamente, e parte caricandolo delle più enormi gravezze, a fine d’impoverire il clero e la Chiesa, e privar questa dei mezzi di cui abbisogna quaggiù per vivere e promuovere istituzioni ed opere in aiuto del suo divino apostolato. Lo hanno apertamente dichiarato gli stessi settari. “Per diminuire l’influenza del clero e delle associazioni clericali, un solo mezzo efficace è da impiegare: spogliarli di tutti i loro beni e ridurli ad una povertà completa”. D’altra parte l’azione dello Stato è tutta diretta per sé a cancellare dalla Nazione l’impronta religiosa e cristiana: dalle leggi e da tutto ciò che è vita officiale ogni ispirazione ed ogni idea religiosa è per sistema sbandita, quando non sia direttamente osteggiata: le pubbliche manifestazioni di fede e di pietà cattolica o sono proibite, o sotto vani pretesti in mille modi intralciate. Alla famiglia si è sottratta la sua base e la sua costituzione religiosa col proclamare quello che chiamano matrimonio civile, e coll’istruzione che si vuole al tutto laica, dai primi elementi fino all’insegnamento superiore delle Università; di guisa che le nuove generazioni, per quanto dipende dallo Stato, sono come obbligate a crescere senza alcuna idea di Religione, digiune affatto delle prime ed essenziali nozioni dei loro doveri verso Dio. È questo un mettere la scure alla radice, né saprebbe immaginarsi mezzo più universale e più efficace per sottrarre all’influenza della Chiesa e della fede la società, la famiglia, gl’individui. “Scalzare con tutti i mezzi il clericalismo (ossia il Cattolicesimo) nelle sue fondamenta e nelle stesse sue sorgenti di vita, cioè nella scuola e nella famiglia”, è la dichiarazione autentica di scrittori massonici. – Si dirà che ciò non avviene solo in Italia, ma che è un sistema di governo, al quale gli Stati generalmente si conformano. Rispondiamo che questo non distrugge, ma anzi conferma quanto Noi diciamo degl’intendimenti e dell’azione della massoneria in Italia. Sì, quel sistema è adottato e messo in uso dovunque la massoneria esercita la sua empia e nefasta azione; e poiché questa è largamente diffusa, così quel sistema anticristiano è pur largamente applicato. Ma l’applicazione ne addiviene più rapida e generale e si spinge più agli estremi in quei paesi, i cui governi sono più sotto l’azione della setta e meglio ne promuovono gli interessi. E per mala sorte nel numero di questi paesi è presentemente la nuova Italia. Non è da oggi che essa soggiace all’influsso empio e malefico delle sette: ma da qualche tempo queste, addivenute assolutamente dominanti e strapotenti, la tiranneggiano a loro talento. Qui l’indirizzo della pubblica cosa, per ciò che concerne la Religione, è tutto conforme alle aspirazioni delle sette; le quali, per attuarle, trovano nei depositari del pubblico potere fautori dichiarati e docili strumenti. Le leggi avverse alla Chiesa e le misure per essa offensive sono prima proposte, decretate, risolute in seno alle adunanze settarie; e basta che una cosa qualunque abbia una cotale, sebbene lontana, apparenza di far onta o danno alla Chiesa, per vederla incontanente favorita e promossa. Tra i fatti più recenti ricorderemo l’approvazione del nuovo codice penale; in cui quello che si è voluto con maggior pertinacia, nonostante tutte le ragioni in contrario, furono gli articoli contro il Clero, che costituiscono per esso come una legge di eccezione, e vanno fino a considerare come criminosi alcuni atti che sono per lui sacrosanti doveri di Ministero. La legge sulle Opere pie, per la quale tutto il patrimonio della carità, accumulato dalla pietà e dalla Religione degli avi all’ombra e sotto la tutela della Chiesa, venne sottratto ad ogni azione ed ingerenza di essa; quella legge era stata già da più anni promossa nelle adunanze della setta, appunto perché doveva infliggere una nuova offesa alla Chiesa, diminuirne l’influenza sociale, e sopprimere d’un tratto una grande quantità di lasciti a scopo di culto. Si aggiunse a questo l’opera eminentemente settaria, l’erezione cioè del monumento al famigerato apostata di Nola, promossa, voluta, attuata coll’aiuto e il favore dei governanti dalla Frammassoneria, che per la bocca degli stessi più autorevoli interpreti del pensiero settario non arrossì di confessarne lo scopo e di dichiararne il significato: lo scopo fu di far onta al Papato; il significato è che si vuole ora sostituire alla Fede Cattolica la libertà più assoluta di esame, di critica, di pensiero e di coscienza: e si sa bene ciò che significhi in bocca dei settari un tal linguaggio. Vennero a mettere il suggello le dichiarazioni più esplicite fatte pubblicamente da chi è a capo del governo, dichiarazioni che suonano appunto così: la lotta vera e reale, che il governo ha il merito di aver compreso, è la lotta tra la fede e la Chiesa da una parte, il libero esame e la ragione dall’altra. Che la Chiesa cerchi pure di reagire, di incatenar di nuovo la ragione e la libertà del pensiero e di vincere. Quanto al governo, in questa lotta, si dichiara apertamente in favore della ragione contro la Fede, e si attribuisce come compito proprio di far sì, che lo stato Italiano sia l’espressione evidente di questa ragione e libertà: triste compito, che udimmo testé in occasione analoga audacemente riaffermato. – Alla luce di tali fatti e di queste dichiarazioni torna più che mai evidente che l’idea maestra, la quale, per ciò che tocca la religione, presiede all’andamento della cosa pubblica in Italia, si è l’attuazione del programma massonico. Si vede quanta parte ne fu già attuata; si sa quanto ancora ne rimanga ad attuare; e si può preveder con certezza che, fino a tanto che i destini d’Italia saranno in mano di reggitori settari o ligi alle sette, se ne spingerà l’attuazione più o meno rapidamente, secondo le circostanze, fino al più completo sviluppo. La loro azione ora è diretta a raggiungere i seguenti scopi, secondo i voti e le risoluzioni prese nelle loro assemblee più autorevoli, voti e risoluzioni tutte ispirate da un odio a morte contro la Chiesa. Abolizione nelle scuole di qualsiasi istruzione religiosa, e fondazione d’istituti, in cui anche la gioventù femminile sia sottratta ad ogni influenza clericale, qualunque essa sia; giacché lo Stato, che deve essere assolutamente ateo, ha il diritto e il dovere inalienabile di formare il cuore e lo spirito dei cittadini, e nessuna scuola deve essere sottratta né alla sua ispirazione né alla sua vigilanza. Applicazione rigorosa di tutte le leggi in vigore dirette ad assicurare l’indipendenza assoluta della società civile dalle influenze clericali. Osservanza rigorosa delle leggi che sopprimono le corporazioni religiose ed uso di tutti i mezzi per renderle efficaci. Sistemazione di tutto il patrimonio ecclesiastico, partendo dal principio che la proprietà di esso appartiene allo Stato, e l’amministrazione ai poteri civili. Esclusione d’ogni elemento Cattolico o clericale da tutte le amministrazioni pubbliche, dalle opere pie, dagli spedali, dalle scuole, dai consigli nei quali si preparano i destini della patria, dalle accademie, dai circoli, dalle associazioni, dai comitati, dalle famiglie; esclusione da tutto, dovunque, per sempre. Invece l’influenza massonica deve farsi sentire in tutte le circostanze della vita sociale, e divenire padrona e arbitra di tutto. Con questo si spianerà la via all’abolizione del Papato; così l’Italia sarà libera dal suo implacabile e mortale nemico, e Roma che fu in passato il centro della Teocrazia universale, sarà nell’avvenire il centro della secolarizzazione universale, d’onde deve essere proclamata in faccia al mondo intero la Magna Charta della libertà umana. Sono altrettante dichiarazioni, aspirazioni e risoluzioni autentiche di frammassoni o delle loro assemblee. – Senza esagerar punto, è questo lo stato presente e l’avvenire che si prevede per la religione in Italia. Dissimularne la gravità sarebbe un errore funesto. Riconoscerlo qual è, ed affrontarlo con evangelica prudenza e fortezza, dedurne i doveri, che esso impone a tutti i cattolici, e a noi specialmente, che come Pastori dobbiamo vegliar su di essi e condurli a salvezza, egli è entrare nelle mire della Provvidenza, e fare opera di sapienza e di zelo pastorale. Per quello che riguarda Noi, l’Apostolico officio C’impone di protestare altamente di nuovo contro tutto ciò che a danno della religione si è fatto, si fa o si attenta in Italia: difensori e tutori quali siamo dei sacri diritti della Chiesa e del Pontificato, apertamente respingiamo ed a tutto il mondo cattolico denunziamo le offese che la Chiesa e il Pontificato ricevono del continuo, specialmente in Roma, e che rendono a Noi più malagevole il governo della cattolicità, più grave ed indegna la Nostra condizione. Del resto abbiamo fermo nell’animo di nulla omettere per parte Nostra, che possa valere a mantenere viva e vigorosa in mezzo al popolo italiano la fede, e a proteggerla contro gli assalti nemici. Facciamo perciò appello, Venerabili Fratelli, anche al vostro zelo e al vostro amore per le anime affinché, compresi della gravità del pericolo che esse corrono, avvisiate ai rimedi e tutto poniate in opera per iscongiurarlo. Nessun mezzo è da trascurare che sia in poter nostro: tutte le risorse della parola, tutte le industrie dell’azione, tutto l’immenso tesoro di aiuti e di grazie, che la Chiesa pone in nostra mano, sono da adoperare per la formazione di un Clero istruito e pieno dello spirito di Gesù Cristo; per la cristiana educazione della gioventù, per l’estirpazione delle ree dottrine, per la difesa delle verità cattoliche, per la conservazione del carattere e dello spirito cristiano nelle famiglie. – Quanto al popolo cattolico, è necessario innanzi tutto che sia istruito del vero stato delle cose in Italia in fatto di Religione, dell’indole essenzialmente religiosa che ha in Italia la lotta contro il Pontefice, e dello scopo vero a cui costantemente si mira, affinché vegga con l’evidenza dei fatti in quante guise è insidiato nella sua religione, e si persuada quanto rischio corredi essere derubato e spogliato del tesoro inestimabile della fede. Formatasi negli animi tale persuasione, e certi d’altra parte che senza la fede è impossibile piacere a Dio e salvarsi, comprenderanno che trattasi di assicurare il massimo, per non dir unico, interesse che ciascuno quaggiù ha il dovere di porre in salvo innanzi tutto, e a costo di qualunque sacrificio, sotto pena della sua eterna infelicità. Comprenderanno altresì facilmente che, essendo questo un tempo di lotta accanita e manifesta, sarebbe viltà disertare il campo e nascondersi. Il loro dovere è di rimanere al posto, di mostrarsi a viso aperto veri Cattolici per credenze ed opere conformi alla loro fede, e ciò tanto a onor di quella e a gloria del sommo Duce, di cui seguono le insegne; come per non aver la somma disgrazia di essere sconfessati nel dì finale e non riconosciuti per suoi dal Giudice supremo, il quale ha dichiarato che chi non è con lui è contro di lui. Senza ostentazione e senza timidezza, diano prova di quel vero coraggio che nasce dalla coscienza di compiere un sacrosanto dovere innanzi a Dio e agli uomini. Con questa franca professione di fede i Cattolici devono unire una perfetta docilità e un filiale amore verso la Chiesa, un sincero ossequio ai Vescovi, e una assoluta devozione ed obbedienza al Romano Pontefice. Insomma riconosceranno quanto sia necessario cessarsi da tutto ciò che è opera delle sette o che dalle sette ha favore ed impulso, perché certamente contaminato dallo spirito anticristiano che le anima: e darsi invece con attività, coraggio e costanza alle opere cattoliche, alle associazioni ed istituzioni benedette dalla Chiesa, incoraggiate e sostenute dai Vescovi e dal romano Pontefice. E poiché il principale strumento di cui si servono i nemici è la stampa, in gran parte ispirata e sostenuta da loro, conviene che i Cattolici oppongano la buona alla cattiva stampa per la difesa della verità, per la tutela della Religione, e a sostegno dei diritti della Chiesa. E come è compito della stampa cattolica mettere a nudo i perfidi intendimenti delle sette, aiutare e secondare l’azione dei sacri Pastori, difendere e promuovere le opere cattoliche, così è dovere dei fedeli di sostenerla efficacemente, sia negando o ritirando ogni favore alla stampa perversa; sia direttamente concorrendo, ciascuno nella misura che può, a farla vivere e prosperare: nella qual cosa crediamo che finora non siasi in Italia fatto abbastanza. Da ultimo i documenti da Noi dati a tutti i Cattolici, specialmente nell’enciclica Humanum genus e nell’altra Sapientiæ christianæ debbono essere particolarmente applicati ed inculcati ai cattolici d’Italia. Che se per restar fedeli a questi doveri avranno qualche cosa da patire o da sacrificare, si rincorino pensando che il regno dei cieli patisce violenza, e che sol con farsi violenza si conquista; e che chi ama sé e le cose sue più di Gesù Cristo, non è degno di lui. L’esempio di tanti invitti campioni, i quali per la fede tutto generosamente in ogni tempo sacrificarono, gli aiuti singolari della grazia che rendono soave il giogo di Gesù Cristo e leggiero il suo peso, debbono valere potentemente a ritemprare il loro coraggio e a sostenerli nel glorioso combattimento. – Non abbiamo considerato fin qui della presente condizione di cose in Italia che il lato religioso, come quello che per Noi è principalissimo ed eminentemente proprio, per ragione dell’officio Apostolico che sosteniamo. Ma è pregio dell’opera considerare eziandio il lato sociale e politico, affinché veggano gl’italiani, che non è solo l’amor della Religione, ma altresì il più sincero e il più nobile amor di patria che deve muoverli ad opporsi agli empi conati delle sette. Basta osservare, per convincersene, quale avvenire si prepari all’Italia, nell’ordine sociale e politico, da gente che ha per iscopo, e non lo dissimula, di guerreggiare senza tregua il Cattolicismo e il Papato. – Già la prova del passato è per se stessa molto eloquente. Ciò che in questo primo periodo della sua nuova vita sia addivenuta l’Italia per moralità pubblica e privata, per sicurezza, ordine e tranquillità interna, per prosperità e ricchezza nazionale, è più noto per fatti di quello che Noi potremmo dire a parole. Quelli stessi che pur avrebbero interesse di nasconderlo, costretti dalla verità, non lo tacciono. Noi diremo solo, che nelle condizioni presenti, per una triste ma vera necessità, le cose non potrebbero andare altrimenti: la setta massonica, per quanto ostenti uno spirito di beneficenza e di filantropia, non può esercitare che un’influenza funesta: ed appunto funesta perché combatte e tenta distruggere la religione di Cristo, vera benefattrice dell’umanità. – Tutti sanno quanto e per quanti capi influisca salutarmente la Religione nella società. È incontestabile, che la sana morale pubblica e privata fa l’onore e la forza degli Stati. Ma è incontestabile egualmente che senza Religione non vi è buona morale né pubblica né privata. Dalla famiglia solidamente costituita sulle naturali sue basi piglia vita, incremento e forza la società. Ora, senza Religione e senza moralità il consorzio domestico non ha stabilità, e i vincoli di famiglia si indeboliscono e si dissolvono. La prosperità dei popoli e delle nazioni viene da Dio e dalle sue benedizioni. Se un popolo non solo non la riconosce da Lui, ma contro di Lui si solleva, e nella superbia del suo spirito tacitamente gli dice di non aver bisogno di Lui, quella non è che una larva di prosperità destinata a svanire, non appena piaccia al Signore di confondere la superba audacia dei suoi nemici. La Religione è quella che, penetrando nel fondo della coscienza di ciascuno, gli fa sentire la forza del dovere e lo spinge a seguirlo. La Religione è quella che dà ai Principi sentimenti di giustizia e di amore pei loro sudditi, che rende i sudditi fedeli e sinceramente ad essi devoti, che fa retti e buoni i legislatori, giusti ed incorrotti i magistrati, valorosi fino all’eroismo i soldati, coscienziosi e diligenti gli amministratori. La Religione è quella che fa regnare la concordia e l’affezione tra i coniugi, l’amore e la riverenza tra i genitori ed i figli; che ispira ai poveri il rispetto pei beni altrui e ai ricchi il retto uso delle loro sostanze. Da questa fedeltà ai doveri e da questo rispetto ai diritti altrui nasce l’ordine, la tranquillità, la pace, che sono tanta parte della prosperità di un popolo e di uno Stato. Tolta la Religione, tutti questi beni immensamente preziosi in un con la Religione sparirebbero dalla società. – Per l’Italia la perdita sarebbe altresì più sensibile. Le sue maggiori glorie e grandezze, per cui tra le più colte nazioni ebbe per lungo tempo il primato, sono inseparabili dalla Religione; la quale o le produsse, o le ispirò, o certo le favorì, le aiutò e diede ad esse incremento. Per le pubbliche franchigie parlano i suoi Comuni; per le glorie militari parlano tante imprese memorande contro nemici dichiarati del nome cristiano; per le scienze parlano le Università che fondate, favorite, privilegiate dalla Chiesa, ne furono l’asilo e il teatro; per le arti parlano infiniti monumenti d’ogni genere, di cui è seminata a profusione tutta Italia; per le opere a vantaggio dei miseri, dei diseredati, degli operai parlano tante fondazioni della carità cristiana, tanti asili aperti ad ogni sorta d’indigenza e d’infortunio, e le associazioni, e corporazioni cresciute sotto l’egida della Religione. La virtù e la forza della Religione è immortale, perché viene da Dio: essa ha tesori di soccorso, ha rimedi efficacissimi per i bisogni di tutti i tempi, e di qualsivoglia epoca, ai quali sa mirabilmente adattarli. Quello che ha saputo e potuto fare in altri tempi, è capace di fare anche adesso con una virtù sempre nuova e rigogliosa. Togliere pertanto all’Italia la Religione è inaridire d’un colpo la sorgente più feconda di tesori e di soccorsi inestimabili. – Inoltre, uno dei più grandi e dei più formidabili pericoli che corre la società presente sono le agitazioni dei socialisti, che minacciano di scompaginarla dalle fondamenta. Da tanto pericolo l’Italia non va immune; e sebbene altre nazioni siano più dell’Italia infestate da questo spirito di sovversione e di disordine, non è men vero però che anche nelle sue contrade va largamente serpeggiando quello spirito e ogni giorno si afforza. E tale è la sua rea natura, tanta la potenza della sua organizzazione, tanta l’audacia dei suoi propositi, che fa mestieri riunire tutte le forze conservatrici per arrestarne i progressi, ed impedirne con felice successo il trionfo. Di queste forze prima e principalissima tra tutte è quella che può dare la Religione e la Chiesa: senza di essa, riusciranno vane od insufficienti le leggi più severe, i rigori dei tribunali, la stessa forza armata. Come già contro le orde barbariche non valse la forza materiale, ma la virtù della Religione cristiana, che penetrando nei loro animi, ne spense la ferocia, ne ingentilì i costumi, li rese docili alla voce delle verità e della Legge evangelica, così contro l’infuriare delle moltitudini sfrenate non vi sarà riparo efficace senza la virtù salutare della Religione; la quale facendo balenare nelle menti la luce della verità, e stillando nei cuori i santi precetti della morale di Gesù Cristo, faccia loro sentire la voce della coscienza e del dovere, e prima che alla mano ponga freno all’animo e smorzi l’impeto della passione. Osteggiare pertanto la Religione è privare l’Italia dell’ausiliare più potente per combattere un nemico che diviene ogni giorno più formidabile e minaccioso. – Ma non è tutto. Come nell’ordine sociale la guerra fatta alla Religione riesce funestissima e sommamente micidiale all’Italia, così nell’ordine politico l’inimicizia colla Santa Sede e col Romano Pontefice è per l’Italia sorgente di grandissimi danni. Anche qui la dimostrazione non è più da fare; basta, a compimento del Nostro pensiero, riassumerne in brevi parole le conclusioni. La guerra fatta al Papa vuol dire per l’Italia, al di dentro, divisione profonda tra l’Italia officiale e la gran parte d’italiani veramente Cattolici, e ogni divisione è debolezza; vuol dire privarla del favore e del concorso della parte più schiettamente conservatrice; vuol dire alimentare nel seno della nazione un conflitto religioso che non approdò mai a pubblico bene, ma porta anzi sempre in se stesso i germi funesti di mali e di castighi gravissimi. Al di fuori, il conflitto colla Santa Sede, oltre che privare l’Italia del prestigio e dello splendore, che le verrebbe infallibilmente dal vivere in pace col Pontificato, le inimica i Cattolici di tutto il mondo, le impone immensi sacrifici, e ad ogni occasione può fornire ai nemici un’arma da rivolgere contro di lei. – Ecco il benessere e la grandezza che apparecchia all’Italia chi, avendone in mano le sorti, fa quanto può per abbattere, secondo l’empia aspirazione delle sette, la religione cattolica e il Papato! – Si ponga invece che, rotta ogni solidarietà e connivenza colle sette, sia lasciata alla religione e alla Chiesa, come alla più gran forza sociale, vera libertà e il pieno esercizio dei suoi diritti. Qual felice cambiamento non avverrebbe nelle sorti d’Italia! I danni e i pericoli che lamentavamo qui sopra come frutto della guerra alla religione e alla Chiesa, cesserebbero al cessar della lotta: non solo, ma tornerebbero altresì a fiorire sull’eletto suolo dell’Italia cattolica le grandezze e le glorie, di cui la Religione e la Chiesa fu sempre attrice feconda. Dalla loro divina virtù germoglierebbe spontanea la riforma dei pubblici e dei privati costumi; si rafforzerebbero i vincoli della famiglia; e in ogni ordine di cittadini sotto l’influsso religioso si desterebbe più vivo il sentimento del dovere e della fedeltà nell’adempierlo. Le questioni sociali, che ora tengono tanto preoccupati gli animi, si avvierebbero verso la migliore e la più completa soluzione, mercé la pratica applicazione dei precetti di carità e di giustizia evangelica; le pubbliche libertà, impedite di degenerare in licenza, servirebbero unicamente al bene e addiverrebbero veramente degne dell’uomo; le scienze, per la verità di cui la Chiesa è maestra, e le arti, per l’ispirazione potente che la Religione deriva dall’alto e che ha il segreto di trasfondere negli animi, salirebbero presto a nuova eccellenza. Fatta la pace con la Chiesa, sarebbe vie più cementata la unità religiosa e la concordia civile; cesserebbe la divisione tra i Cattolici fedeli alla Chiesa e l’Italia, la quale acquisterebbe così un elemento potente di ordine e di conservazione. Fatta ragione alle giuste domande del Romano Pontefice, riconosciuti i sovrani suoi diritti, e ripostolo in condizione di vera ed effettiva indipendenza, i Cattolici delle altre parti del mondo non avrebbero più motivo di considerare l’Italia come nemica del loro Padre comune: essi che non per alieno impulso, né inconsapevoli di quel che vogliono, ma sì per sentimento di fede e dettame di dovere, alzano ora concordemente la voce a rivendicare la dignità e libertà del Pastore supremo delle anime loro. Che anzi crescerebbe all’Italia rispetto e considerazione presso gli altri popoli dal vivere in armonia con la Sede Apostolica; la quale, come fece sperimentare in particolar modo agl’italiani i benefici della sua presenza in mezzo a loro, così coi tesori della Fede che si diffusero sempre da questo centro di benedizione e di salute, fece che si diffondesse presso tutte le genti grande e rispettato il nome italiano. L’Italia, riconciliata col Pontefice e fedele alla sua Religione, sarebbe avviata ad emular degnamente le avite glorie, e da tutto ciò che è vero progresso dell’età nostra non potrebbe che ricevere novello incitamento ad avvantaggiarsi nel suo glorioso cammino. E Roma, città cattolica per eccellenza, preordinata da Dio a centro della Religione di Cristo e Sede del suo Vicario, il che fu cagione della sua stabilità e grandezza a traverso di tante età e di sì svariate vicende, riposta sotto il pacifico e paterno scettro del Romano Pontefice, tornerebbe ad essere ciò che la fecero la Provvidenza e i secoli, non rimpicciolita alla condizione di capitale di un regno particolare, né divisa tra due diversi e sovrani poteri, dualismo contrario alla sua storia; ma capitale degna del mondo cattolico, grande di tutta la maestà della Religione e del Sommo Sacerdozio, maestra ed esempio di moralità e di civiltà ai popoli. – Non sono queste, Venerabili Fratelli, vane illusioni, ma speranze poggiate sul più solido e verace fondamento. L’asserzione che si va da tempo divulgando, essere i cattolici ed il Pontefice i nemici d’Italia, e quasi altrettanti alleati dei partiti sovversivi, non è che gratuita ingiuria e spudorata calunnia, sparsa ad arte dalle sette per palliare i loro rei disegni e non incontrare intoppo nell’opera esecranda di scattolicizzare l’Italia. La verità che discende chiarissima da quanto abbiamo detto finora, è che i cattolici sono i migliori amici del proprio paese: e che danno prova di forte e verace amore non solamente verso la religione avita, ma anche verso la patria loro distaccandosi interamente dalle sette, avversandone lo spirito e le opere, facendo ogni sforzo acciocché l’Italia non perda, ma conservi vigorosa la fede; non combatta la Chiesa, ma le sia fedele qual figlia, non osteggi il Pontificato, ma si riconcili con lui. Adoperatevi a tutt’uomo, o Venerabili Fratelli, affinché la luce della verità si faccia strada in mezzo alle moltitudini, sicché queste abbiano finalmente a comprendere dove si trova il loro bene e il loro verace interesse, ed a persuadersi che solo dalla fedeltà alla religione, dalla pace con la Chiesa e col romano Pontefice si può sperar per l’Italia un avvenire degno del suo glorioso passato. Alla qual cosa vorremmo che ponessero mente, non diremo gli affigliati alle sette, i quali di proposito deliberato s’argomentano di assodare sulle rovine della religione cattolica il nuovo assetto della Penisola, ma gli altri che, senza accogliere sì biechi intendimenti, aiutano l’opera di quelli col sostenerne la politica: e particolarmente i giovani, sì facili a errare per effetto d’inesperienza e predominio di sentimento. Ognuno vorremmo si persuadesse come la via che si sta percorrendo, non possa essere che fatale all’Italia: e se Noi denunziamo ancora una volta il pericolo, non altro Ci muove che coscienza di dovere e carità di patria. – Ma ad illuminare le menti e rendere efficaci i nostri sforzi, è d’uopo d’invocare soprattutto gli aiuti del cielo. E però alla nostra comune azione, Venerabili Fratelli, vada unita la preghiera, e sia una preghiera generale, costante, fervorosa, che faccia dolce violenza al cuore di Dio, lo renda propizio a questa nostra Italia, sì che allontani da essa ogni sciagura, quella in specie che sarebbe la più terribile di tutte, la perdita della fede. Mettiamo per mediatrice appresso Dio la gloriosissima Vergine Maria, l’invitta Regina del Rosario, che tanta potenza ha sopra le forze d’inferno e tante volte ha fatto sentire all’Italia gli effetti della sua materna dilezione. Facciamo altresì fiducioso ricorso ai santi Apostoli Pietro e Paolo che questa terra benedetta conquistarono alla fede, santificarono colle loro fatiche, bagnarono del loro sangue. – Auspice intanto degli aiuti che domandiamo, e pegno del Nostro specialissimo affetto vi sia l’Apostolica Benedizione, che dall’intimo del cuore impartiamo a Voi, Venerabili Fratelli, al vostro clero e al popolo italiano.

Dato a Roma, presso San Pietro, il 15 ottobre 1890, anno decimo terzo del Nostro Pontificato.

LEONE PP. XIII


[1] S. Gregorio M., Lettera all’Imperatore Maurizio, Regist. 5.

DOMENICA FRA L’OTTAVA DELLA NATIVITÀ (2019)

DOMENICA FRA L’OTTAVA DELLA NATIVITÀ DEL SIGNORE. (2019)

Semidoppio. – Paramenti bianchi.

(Messale Romano di S. Bertola e G. Destefani, comm. di D. G. LEFEBVRE O. S. B; L. I. C. E. – R. Berruti & C. Torino 1950)

La Messa ci dice che « il Verbo disceso dal Cielo durante la notte  di Natale (Intr.) è « il Figlio di Dio venuto per renderci partecipi della sua eredita come figli adottivi » (Ep.). Prima di Lui, l’uomo era infatti come « un erede, che, nella sua minorità, non differisce da un servo » (Ep.). Ora invece che la legge nuova l’ha emancipato dalla tutela dell’antica, « egli non è più servitore, ma figlio » (Ep.).Rivelandoci questa paternità soprannaturale di Cristo, che colpisce più specialmente le nostre anime in questo tempo di Natale, la liturgia fa risplendere ai nostri occhi la Divinità sotto l’aspetto di Paternità. Cosi il culto dei figli di Dio si riassume in questa parola, detta con Gesù, con labbra pure e retto cuore: « Padre!». (Ep.).Il Vangelo ci mostra anche quale sarà in avvenire la missione grandiosa di questo Bambino che comincia a manifestarsi oggi nel tempio. « È il Re » (Grad.) « il regno del quale » (All.) « penetrerà fino all’intimo dei cuori» (Vang.). Per tutti sarà una pietra di salvezza; pietra d’inciampo per quelli che lo perseguiteranno (Com.) pietra angolare «per molti in Israele» (Vang.). L’Introito parla della notte nella quale l’Angelo di Dio colpi i primogeniti degli Egiziani, preparando la liberazione d’Israele, immagine della notte santa nella quale la Beatissima Maria mise alla luce il Salvatore, venuto per liberare l’umanità.

Incipit 

In nómine Patris, ☩ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus 

Sap XVIII:14-15.
Dum médium siléntium tenérent ómnia, et nox in suo cursu médium iter háberet, omnípotens Sermo tuus, Dómine, de coelis a regálibus sédibus venit
[Mentre tutto era immerso in profondo silenzio, e la notte era a metà del suo corso, l’onnipotente tuo Verbo, o Signore, discese dal celeste trono regale.]

Ps XCII: 1
Dóminus regnávit, decórem indútus est: indútus est Dóminus fortitúdinem, et præcínxit se.
[Il Signore regna, rivestito di maestà: Egli si ammanta e si cinge di potenza.]
Dum médium siléntium tenérent ómnia, et nox in suo cursu médium iter háberet, omnípotens Sermo tuus, Dómine, de coelis a regálibus sédibus venit
[Mentre tutto era immerso in profondo silenzio, e la notte era a metà del suo corso, l’onnipotente tuo Verbo, o Signore, discese dal celeste trono regale.]

Oratio

 Orémus.
Omnípotens sempitérne Deus, dírige actus nostros in beneplácito tuo: ut in nómine dilécti Fílii tui mereámur bonis opéribus abundáre.
[Onnipotente e sempiterno Iddio, indirizza i nostri atti secondo il tuo beneplacito, affinché possiamo abbondare in opere buone, in nome del tuo diletto Figlio]

Lectio 

Lectio Epístolæ beati Pauli Apostoli ad Gálatas.
Gal IV: 1-7
Fratres: Quanto témpore heres párvulus est, nihil differt a servo, cum sit dóminus ómnium: sed sub tutóribus et actóribus est usque ad præfinítum tempus a patre: ita et nos, cum essémus párvuli, sub eleméntis mundi erámus serviéntes. At ubi venit plenitúdo témporis, misit Deus Fílium suum, factum ex mulíere, factum sub lege, ut eos, qui sub lege erant, redímeret, ut adoptiónem filiórum reciperémus. Quóniam autem estis fílii, misit Deus Spíritum Fílii sui in corda vestra, clamántem: Abba, Pater.
Itaque jam non est servus, sed fílius: quod si fílius, et heres per Deum.

“Fratelli, fintantoché l’erede è fanciullo, non differisce punto dal servo, benché sia padrone di tutto: ma sta sotto, tutori ed amministratori fino al tempo stabilito prima dal padre. Così noi pure: mentre eravamo fanciulli, eravamo tenuti in servitù sotto gli elementi del mondo. Ma quando venne il compimento dei tempi, Iddio mandò il Figliuol suo, fatto di Donna, soggetto alla legge, affine di riscattare quelli che erano sotto la legge, sicché fossimo adottati in figliuoli. E poiché siete figliuoli, Iddio ha mandato lo Spirito del Figliuol suo nei vostri cuori, che grida: Abba, Padre „

S. Paolo insegna così ai Galati che, essendo passati dal Giudaismo al Cristianesimo, sono affrancati dalla servitù dell’antica legge, e sotto la nuova debbonsi riguardar come figli di Dio, e chiamarlo Abba, cioè caro Padre, perché ha dato loro per fratello il suo Figlio Gesù Cristo. La nostra felicità nel diventar Cristiani è stata ancora più grande di quella dei Giudei, perché i nostri padri erano pagani. Ringraziamo ogni giorno il Signore di sì gran benefizio, ed attestiamogli la nostra riconoscenza, con la fede, la carità, la confidenza, la pazienza e con la più esatta vigilanza per evitare il peccato, l’unico male, che privandoci del titolo di figli di Dio, e di tutti i privilegi a questo uniti, ci sottoporrebbe di nuovo alla schiavitù del demonio. (L. Goffiné, Manuale per la santificazione delle Domeniche e delle Feste; trad. A. Ettori P. S. P.  e rev. confr. M. Ricci, P. S. P., Firenze, 1869).

Graduale

Ps XLIV: 3; 2
Speciósus forma præ filiis hóminum: diffúsa est gratia in lábiis tuis.
[Tu sei bello fra i figli degli uomini: la grazia è diffusa sulle tue labbra.]
V. Eructávit cor meum verbum bonum, dico ego ópera mea Regi: lingua mea cálamus scribæ, velóciter scribéntis.
[V. Mi erompe dal cuore una buona parola, al re canto i miei versi: la mia lingua è come la penna di un veloce scrivano.]

Alleluja

Allelúja, allelúja
Ps XCII: 1.
Dóminus regnávit, decórem índuit: índuit Dóminus fortitúdinem, et præcínxit se virtúte. Allelúja.
[Il Signore regna, si ammanta di maestà: il Signore si ammanta di fortezza e di potenza. Allelúja]

Evangelium 

Sequéntia ✠ sancti Evangélii secundum Lucam.
R. Gloria tibi, Domine!
Luc II:33-40
In illo témpore: Erat Joseph et Maria Mater Jesu, mirántes super his quæ dicebántur de illo. Et benedíxit illis Símeon, et dixit ad Maríam Matrem ejus: Ecce, pósitus est hic in ruínam et in resurrectiónem multórum in Israël: et in signum, cui contradicétur: et tuam ipsíus ánimam pertransíbit gládius, ut reveléntur ex multis córdibus cogitatiónes. Et erat Anna prophetíssa, fília Phánuel, de tribu Aser: hæc procésserat in diébus multis, et víxerat cum viro suo annis septem a virginitáte sua. Et hæc vídua usque ad annos octogínta quátuor: quæ non discedébat de templo, jejúniis et obsecratiónibus sérviens nocte ac die. Et hæc, ipsa hora supervéniens, confitebátur Dómino, et loquebátur de illo ómnibus, qui exspectábant redemptiónem Israël. Et ut perfecérunt ómnia secúndum legem Dómini, revérsi sunt in Galilaeam in civitátem suam Názareth. Puer autem crescébat, et confortabátur, plenus sapiéntia: et grátia Dei erat in illo.

OMELIA

 [A. Carmignola, Spiegazione dei Vangeli domenicali, S. E. I. Ed. Torino,  1921]

SPIEGAZIONE V.

“In quel tempo il padre e la madre di Gesù restavano meravigliati delle cose, che di lui si dicevano. Simeone li benedisse, e disse a Maria, sua madre: Ecco che questi è posto por ruina e per risurrezione di molti in Israele, e per bersaglio alla contraddizione; e anche l’anima tua stessa sarà trapassata dal coltello, affinché di molti cuori restino disvelati i pensieri. Eravi anche una profetessa, Anna figliuola di Fanuel, della tribù di Aser: ella era molto avanzata in età, ed era vissuta sette anni col suo marito, al quale erasi sposata fanciulla. Ed ella era rimasta vedova fino agli ottantaquattro anni, e non usciva dal tempio, servendo Dio notte e giorno con orazioni e digiuni. E questa, sopraggiungendo in quel tempo stesso, lodava anch’essa il Signore, e parlava di Luì a tutti coloro, che aspettavano la redenzione d’Israele. E soddisfatto che ebbero a tutto quello che ordinava la legge del Signore, se ne tornarono nella Galilea alla loro città di Nazaret. E il Bambino cresceva, esi fortificava pieno di sapienza: e la grazia di Dio era in lui” (S. Luc. II, 33-40).

Comandava l’antica legge, che trascorsi quaranta giorni, dacché era nato un figlio, la madre di lui, dopo averli passati in santo ritiro, si portasse al tempio per purificarsi, facendo l’offerta di un agnello, se era ricca, e di due colombini o due tortorelle, se si trattava di una madre povera. Inoltre la stessa legge ebraica ordinava ancora, che tutti i primogeniti fossero offerti a Dio in memoria ed in ringraziamento della liberazione degli Ebrei dalla schiavitù dell’Egitto, avvenuta per la morte di tutti i primogeniti Egiziani, uccisi in una sola notte dall’angelo del Signore. Ma poiché in seguito Iddio aveva scelto per l’uffizio sacerdotale Aronne e la sua famiglia, stipite della tribù di Levi, fu disposto che fuori di questa tribù, tutti i primogeniti d’Israele fossero riscattati mediante cinque sicli d’argento, corrispondenti a circa cinque lire. Or bene, quantunque queste leggi non colpissero né Maria, né Gesù, Maria SS. volle tuttavia esattissimamente osservarle, e quaranta giorni dopo la nascita di Gesù, insieme col suo sposo S. Giuseppe, si recò al tempio per purificarsi e per fare la presentazione ed il riscatto di Gesù. E fu in tale circostanza che avvennero i fatti, che ci narra il Vangelo di questa Domenica.

1. Viveva a Gerusalemme un santo e venerando vegliardo per nome Simeone. Egli era uomo giusto e timorato di Dio e pareva che nel suo cuore si fossero riunite tutte le brame, che i patriarchi avevano di vedere il Messia. Epperò, come ci dice S. Luca, lo Spirito Santo era in lui e lo aveva assicurato « che non avrebbe veduto la morte prima di vedere il Cristo del Signore, da lui aspettato ». – Nell’ora adunque che Maria venne al tempio, lo stesso Spirito Santo avvisò Simeone, e gli ispirò di recarvisi, e quando la Vergine e S. Giuseppe vi introducevano il Bambino, il vecchio si accostò loro, domandò e prese Gesù nelle braccia, poi benedisse il Signore, dicendo: « Adesso, o Signore, lascerai che se ne vada in pace il tuo servo secondo la tua parola, perché gli occhi miei hanno veduto il Salvatore del mondo ». Ma la commozione non gli strappò solamente dal cuore e dal labbro questo grido di riconoscenza. E qui cominciando il Vangelo di oggi, dopo d’averci detto che, il padre (si intende putativo) e la madre di Gesù restarono meravigliati delle cose, che di Lui si dicevano, prosegue dicendo che Simeone li benedisse, cioè si rallegrò con loro e quindi con l’accento dell’ispirazione divina voltosi a Maria, madre di Gesù, le disse: Ecco che questi è posto per rovina e per risurrezione di molti in Israele, e per bersaglio alla contraddizione, epperò una spada ti trapasserà l’anima: e tutto ciò affinché restino disvelati i pensieri di moltiE qui, o miei cari, facciamo di intendere bene queste parole del santo vecchio Simeone. Gesù è la vita in persona (Ioan. XIV, 6). Egli è venuto per darci la vita e darcela con sovrabbondanza (Ioan. X, 10). Ed Egli dà questa vita, che è la vita eterna, con i meriti della Incarnazione, Passione e Morte, in tal guisa che chiunque la vuole, facendo buon uso della grazia da Lui recata sulla terra, può averla. E questo vuol dire l’essere Gesù posto per la risurrezione di molti. Ma poiché vi sarebbero stati pur troppo anche molti, che gli avrebbero opposta resistenza, che lo avrebbero contradetto, che si sarebbero abusati della sua parola, e della sua grazia, così per questi Gesù, contro sua voglia, sarebbe stato come l’inevitabile occasione di rovina e di morte eterna; poiché Gesù Cristo è Colui, a proposito del quale, i cuori degli uomini sono costretti a rivelarsi coi propri pensieri ed affetti, dimostrando di amarlo o di odiarlo, di stimare e seguire la sua dottrina con l’esercizio della virtù, oppure di non curarla e disprezzarla col l’abbandonarsi in braccio al vizio. Ecco che cosa vogliono dire quelle parole così gravi e profetiche del vecchio Simeone. E quanto tali parole siansi avverate è ciò che chiaramente dimostra la storia di nostra Santa Chiesa. Essa ci fa conoscere, che se tanti furono coloro che credettero a Gesù Cristo e si diedero ad amarlo e ne ebbero da Lui la risurrezione e la vita eterna, vi furono pur molti, incominciando fin dai tempi della sua vita mortale e dagli stessi Ebrei, che lo contradissero, lo respinsero, l’odiarono e n’ebbero la rovina e morte eterna. Gli Ebrei, difatti, da più secoli lo aspettavano; sapevano preventivamente il tempo della sua venuta, il luogo della sua nascita, la tribù, a cui apparterebbe, la sua stessa famiglia. Eppure quando ad essi si presentò, quando diresse loro le sublimi sue parole, quando sotto i loro occhi compì gli stupendi suoi prodigi e li ricolmò de’ più ricchi suoi benefici, quali ciechi lo disconobbero, l’oltraggiarono, lo perseguitarono, lo flagellarono, lo incoronarono di spine, lo confissero ad una croce; e dai sanguinosi bracci di essa sembrò dir loro: Stendo le mie mani verso un popolo incredulo e che mi contraddice: Expandi manus ad populum non credenetem et contradicentem (Isai. 10). In seguito lo hanno contraddetto gl’infedeli; ne hanno combattuto il Vangelo, hanno tentato d’arrestare il corso del Cristianesimo, di cui Egli era il fondatore, tutto impiegarono contro i suoi discepoli, ferro, fuoco, supplizi, torture, morte. Dopo trecento anni di lotta, Gesù Cristo ha vinto. Ma si presentarono bentosto novelle contraddizioni. L’eresia levò il capo, seminò la divisione, cercò di lacerare l’inconsutile veste del Salvatore. Vi ha forse uno dei dogmi della santa Chiesa, che l’eresia non abbia preso a combattere? – Lo stesso vediamo ai dì nostri. In mezzo a molti credenti e adoratori di Gesù vi hanno tanti increduli che lo disconoscono, tanti empi che lo oltraggiano, tanti bestemmiatori che lo insultano, tanti indifferenti che lo trascurano. E così, pur troppo, sarà sino alla fine del mondo: da una parte quelli ai quali Gesù Cristo è di risurrezione, e dall’altra coloro ai quali è di rovina. – Or bene, o carissimi, da qual parte ci troviamo noi? Riflettiamo seriamente che ciò dipende da noi. Iddio è grande, Iddio è giusto, dice S. Agostino, in due parole spiegandoci tutta la dottrina della predestinazione e della riprovazione; Egli può liberarci senza meriti, perché è buono, non può dannarci senza demeriti, perché è giusto. Tocca a noi raccogliere con una santa premura la grazia del Signore, e farla valere con fedeltà; « perciocché a chi ha già, si dona ancora, e sarà nell’abbondanza » (Matth. XIII; 12); e col buon uso della grazia chiameremo su di noi sempre nuovi favori, mercé i quali noi potremo essere nel bel numero di coloro, pei quali Gesù Cristo è posto in risurrezione.

2 Prosegue il Vangelo dicendo: Eravi una profetessa, Anna, figliuola di Fanuel, della tribù di Aser: ella era molto avanzata in età ed era vissuta sette anni col suo marito, al quale erasi sposata fanciulla. Ed ella era rimasta vedova fino agli ottantaquattro anni: e non usciva dal tempio, servendo Dio notte e giorno con orazioni e digiuni. E questa sopraggiungendo in quel tempo stesso, lodava anch’essa il Signore e parlava a tutti coloro, che aspettavano la redenzione d’Israele. Per tal modo, dice S. Ambrogio, non solamente gli Angeli, i profeti, i pastori, ma anche i vecchi ed i giusti hanno annunziato la venuta del Bambino Dio; ed ogni età e ogni sesso doveva rendere testimonianza a quella sua nascita miracolosa. Simeone – aggiunge lo stesso Dottore – ha profetizzato, la santa Vergine ed Elisabetta avevano profetizzato, era d’uopo che profetizzasse anche una vedova, affinché nessuno stato vi fosse e nessun sesso, che non rendesse testimonianza al Figliuol di Dio: e questa vedova incontrasi sotto le volte dell’antico tempio nel momento della presentazione di Gesù. Ma quale vedova! una vedova commendevole pel dono di profezia, per ragione della sua nascita, essendo figliuola di Fanuel, uno dei primi della tribù di Aser, per la provetta sua età, avendo ella ottantaquattro anni, per la sua continenza, per la sua pietà e mortificazione, per la sua dedicazione al servizio del Signore, passando la sua vita nel tempio. Ed è questa donna, che lodava anch’essa il Signore e parlava del Messia a tutti quelli, che aspettavano la redenzione d’Israele. Certamente il Vangelo non poteva farci di questa donna un più splendido elogio. E se lo fa con tanta diligenza è per farci comprendere quanto fosse degna ancor essa di rendere testimonianza solenne a Gesù Cristo, di avere la grazia insigne di essere, per così dire, il suo primo predicatore, e quanto fosse pregevole sulla sua bocca la lode, che rendeva a Dio con le sue sante parole. – Ora, miei cari, se rallegra il pensiero, che vi hanno pur molti, che, seguendo l’esempio di questa santa donna, impiegano la loro lingua per lodare e benedire Iddio, non rattrista grandemente il riflesso, che vi hanno pur tanti, i quali sgraziatamente impiegano la loro lingua per bestemmiarlo? E come mai vi sono dei giovani, dei Cristiani, che si abbandonano a questo grave delitto? Il Santo re Davide dice che la bocca del bestemmiatore è piena di maledizione. S. Agostino assicura che il peccato di coloro, i quali bestemmiano Gesù Cristo regnante nei cieli è uguale in gravità al peccato di quelli, che lo crocifissero in terra. Del resto, chiara e convincentissima prova dell’enorme delitto, che commettono coloro, che bestemmiano, la porgono i castighi, con i quali Iddio mai sempre ha punito questo peccato. Nel Levitico leggiamo come il Signore aveva ordinato, che il bestemmiatore fosse condannato a morte e lapidato da tutto il popolo. Faraone bestemmiando diceva: Io non conosco chi sia il Signore, ed ebbe per tomba il mar Rosso. Senacheribbo bestemmiava ancor esso, e l’Angelo del Signore gli trucidò cento ottantacinque mila soldati, ed egli stesso fu ucciso per mano dei suoi figli. Antioco fu terribilmente tocco da una piaga incurabile; i vermi se lo divoravano vivo a brani e tramandava dal suo corpo tale un fetore, che divenne insoffribile a sé ed all’armata. A Nicànore fu tronca la testa ed esposta ai pubblici oltraggi. I Giudei bestemmiarono assai di spesso contro Gesù Cristo e furono pressoché tutti sterminati da Tito. Giuliano l’apostata in mezzo alle bestemmie cadde mortalmente trafitto da un giavellotto. Al bestemmiatore Ario scoppiarono le viscere e diede i tratti in mezzo ad atrocissime doglie. Nestorio, che osò bestemmiare la SS. Vergine, negando la sua divina maternità, ebbe la lingua rosa dai vermi. Sappiamo da S. Gregorio, vescovo di Tours, che un cotal Leone di Poitiers avendo bestemmiato, divenne per giusto castigo di Dio sordo e muto, e poi morì pazzo. S. Gregorio Magno racconta d’un ragazzo sui cinque anni, che, già avendo l’abito di bestemmiare, fu strappato dal diavolo dalle braccia di suo padre e non comparve mai più. Questi e moltissimi altri esempi, che si potrebbero addurre, mostrano chiaramente quanto sia grave il peccato della bestemmia e come dispiaccia a Dio. Guardatevi pertanto dal macchiare la vostra lingua con questo peccato. Guardatevi pure dal solo nominare invano il Nome santo di Dio. Purtroppo molti giovani e molti Cristiani prendono la brutta abitudine di intercalarlo ad ogni istante nei loro discorsi, ancorché non lo facciano con vera malizia. Conviene perciò guardarsi da questo difetto e per esprimere i vari sentimenti dell’animo con qualche esclamazione valersi di una qualche parola, che non abbia alcun cattivo significato e che non disdica alla buona grazia di ogni nostro discorso. Per non contrarre poi la cattiva abitudine di bestemmiare, bisogna assolutamente fuggire la compagnia di coloro, che bestemmiano. Che se per avventura nei passeggi, nelle ricreazioni, o nelle conversazioni vi accadesse di sentire taluno a pronunziare qualche bestemmia contro il nome adorabile di Gesù Cristo, contro il suo SS. Sacramento, o contro la SS. Vergine, seguite la santa usanza che hanno molti buoni Cristiani di dire tosto anche a voce alta: Sia lodato Gesù Cristo! Sia lodato e ringraziato il SS. Sacramento! Evviva Maria! E somiglianti giaculatorie, con le quali riparerete bellamente l’ingiuria, che venne fatta a Dio, e gli darete una bella prova del vostro amore, imitando così il bell’esempio datoci oggi dalla santa profetessa Anna.

3. Dice da ultimo il santo Vangelo, che come Maria e Giuseppe ebbero soddisfatto a tutto quello che ordinava la legge del Signore, se ne tornarono nella Galilea alla loro città di Nazaret. E il Bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza; e la grazia di Dio era in lui. Ora che cosa intende di apprenderci il Vangelo con queste ultime parole? Certamente intende di dire che Gesù, avendo in tutto voluto rassomigliarsi agli uomini, col crescere degli anni cresceva nella statura e nelle forme della persona, non meno, che nella bellezza e nella maestà. Ma intende forse di dire che Gesù realmente crescesse nella sapienza e nella grazia, nei doni dello spirito? No, certamente. Gesù Cristo come vero Uomo-Dio fin dal primo istante della sua mortale esistenza ebbe in sé la stessissima sapienza e grazia infinita, incapace di aumento o diminuzione di sorta. Tuttavia per parere in tutto simile agli uomini, iqualidiventano gradatamente più savi e piùvirtuosi, Gesù Cristo non volle lasciare trasparire la sua sapienza e la sua grazia se non gradatamente.Epperò quel dire che fa il Santo Vangelo, che Gesù Cristo cresceva e si fortificava nei doni dello Spirito, vale a dire nella pienezza della sapienza e della grazia, non si deve intendere altrimenti che così: che col crescere degli anni, Gesù cresceva eziandio nella manifestazione della sua sapienza e della sua grazia, onde andava ordinando e temperando le sue azioni interiori a grado a grado in modo che si confacessero all’età, onde sembrava realmente crescere agli occhi degli uomini, che miravano alle sole azioni esteriori di Lui. Ma sebbene questo sia il vero significato di quelle parole, è certo che il Vangelo ci vuol far qui intendere la gran legge del nostro perfezionamento morale, espressa poi così chiaramente dal Signore, nel libro dell’Apocalisse: Chi è giusto si faccia più giusto: chi è santo divenga santo ogni giorno più: Qui institi est, iustificetur adhuc, et sanctus sanctificetur adhuc (Apoc. XX, 11). Sì, o mici cari, Gesù Cristo ha voluto crescere nella manifestazione esteriore della virtù, per far intendere a noi come dobbiamo sempre crescere nella bontà della vita e tendere del continuo a renderci perfetti. E guai a noi, se non seguiamo questa sua gran legge. Tutti i maestri di spirito e l’esperienza di tutti i giorni insegnano, che chi non attende a rendersi più virtuoso, non resta nello stesso grado di virtù, ma indietreggia spaventosamente nella via del vizio. Lo diceva già Salomone: Iustorum semita quasi lux crescit usque ad perfectum diem; via impiorum tenebrosa, nesciunt ubi corruant. Il cammino dei buoni, si avanza sempre, come si avanza la luce dell’aurora sino al giorno perfetto; all’incontro, la via dei tristi sempre più diventa ingombrata da tenebre, sino a che i miseri si riducono a camminare senza sapere dove vanno a precipitarsi (Prov. IV, 18). – Anche S. Agostino disse chiaro, che il non andare avanti nel fare il bene è la stessa cosa che tornare indietro. E S. Gregorio spiegò questa verità assai bene col paragone di chi sta in mezzo al fiume: Chiunque, dice il Santo, stesse nel fiume dentro d’una barchetta, e non si curasse di spingerla contro la corrente, ma volesse fermarsi, senza andare né indietro, né innanzi, egli necessariamente andrebbe indietro, poiché la stessa corrente lo porterebbe seco. Così l’uomo dopo il peccato di Adamo, rimasto naturalmente fin dal suo nascere inclinato al male, se egli non si spinge avanti, e non si fa forza per rendersi migliore di quello che è, la stessa corrente dello sue concupiscenze lo porterà sempre indietro. Ed ecco perché si veggono alle volte certi giovani e certi Cristiani, che rallentandosi nella via del bene, a poco a poco, dopo d’essere stati forse anche il modello delle più belle virtù agli altri, diventano pessimi sino ad essere lo scandalo altrui. Miei cari, siamo adunque ben convinti del quanto importi seriamente attendere a renderci sempre migliori, ed attendiamovi. Studiamoci di crescere ogni giorno nella vera sapienza, nella pietà, nella dolcezza, nell’obbedienza, nell’umiltà e in tutte le altre cristiane virtù. Quanto si trovan contenti i Santi di quello, che han fatto e patito « per crescere ogni giorno nella santità. Se nel Paradiso potesse entrare alcuna afflizione, di questo solo si affliggerebbero i beati: di aver lasciato di fare per Iddio quel più, che potevano fare e che non sono più in tempo di fare. Animo, su adunque, e presto, perché non vi è tempo da perdere; quello, che si può far oggi, non si potrà più far domani. Diceva S. Bernardino da Siena che tanto vale un momento di tempo, quanto vale Dio: poiché in ogni momento possiamo acquistare Dio e la sua divina grazia o maggiori gradi di grazia.

  Credo …

https://www.exsurgatdeus.org/2019/10/12/il-credo/

 Offertorium 

Orémus
Ps XCII: 1-2
Deus firmávit orbem terræ, qui non commovébitur: paráta sedes tua, Deus, ex tunc, a sæculo tu es.
[Iddio ha consolidato la terra, che non vacillerà: il tuo trono, o Dio, è stabile fin da principio, tu sei da tutta l’eternità.]

Secreta

 Concéde, quǽsumus, omnípotens Deus: ut óculis tuæ majestátis munus oblátum, et grátiam nobis piæ devotiónis obtineat, et efféctum beátæ perennitátis acquírat. [Concedi, Te ne preghiamo, o Dio onnipotente, che questa offerta, presentata alla tua maestà, ci ottenga la grazia di una fervida pietà e ci assicuri il possesso della eternità beata.]

Comunione spirituale: https://www.exsurgatdeus.org/2019/10/20/comunione-spirituale/

Communio 

Matt II:20
Tolle Púerum et Matrem ejus, et vade in terram Israël: defúncti sunt enim, qui quærébant ánimam Púeri. [Prendi il bambino e sua madre, e va nella terra di Israele: quelli che volevano farlo morire sono morti.]

Postcommunio 

Orémus.
Per hujus, Dómine, operatiónem mystérii, et vitia nostra purgéntur, et justa desidéria compleántur. [Per l’efficacia di questo mistero, o Signore, siano distrutti i nostri vizii e compiuti i nostri giusti desiderii.]

Preghiere leonine: https://www.exsurgatdeus.org/2019/10/20/preghiere-leonine-dopo-la-messa/

Ordinario della Messa https://www.exsurgatdeus.org/2019/05/20/ordinario-della-messa/

LO SCUDO DELLA FEDE (92)

Paolo SEGNERI S. J.:

L’INCREDULO SENZA SCUSA –

Tipogr. e libr. Salesiana, TORINO, 1884.

CAPO III.

Dal consentimento di tutte le nazioni dimostrasi che v’è Dio (1).

(1) Questa guisa di dimostrazione dall’esistenza di Dio, fondata sull’autorità del genere umano, suole denominarsi dimostrazione morale, perché l’umanità, riguardata nella dignità della sua ragione universale, ha un valore morale, e quindi un diritto ad essere creduta.

1.

I. Il maggior numero di testimoni che dalla legge richieggasi, sono sette: e questi bastano ne’ testamenti ad autenticare le disposizioni di un uomo, quantunque morto, presso chi neppur mai lo vide. Come però non basteranno tutte le nazioni del mondo a render credibile l’esistenza di un Dio vivente? Exceptis paucis, in quibus natura nimium depravata est dice S. Agostino – (In Io. tr. 106) universum genus humanum, Deum mundi hujus fatetur auctorem. Se girerete il mondo, pellegrinando, almen sulle carte, troverete popoli fra loro tanto diversi d’inclinazioni, che appena due vi saranno che si conformino nel modo di governarsi. Eppure in tale contrarietà di statuti voi non vedrete, non dirò regno, ma città, ma casale, che tolga unitamente qualunque divinità. Anzi non ha parte alcuna, ove non incontrinsi e templi, e vittime, e voti, e ministri ordinati al culto divino: tanto che vi sarà più facile abbattervi in un paese ove manchi il sole, che ove manchi ogni rito di religione: Potius conspiciendam sine sole urbem, quam sine Deo, ac religione, dicea Plutarco. Che seppure negli ultimi confini del mondo ritruovinsi mai persone così bestiali, che vivano senza leggi, non però quivi si troverà chi fra sé non vergognisi del mal fare, o non se ne vergogni al cospetto altrui: e molto meno si troverà chi non sentasi ad ora ad ora agitare dagli stimoli interni della coscienza rampognatrice, sicché operando contra il dettame di essa non si accorga tosto di offendere con quell’atto un Signor sovrano, di cui riconosce, quale ambasciata, la voce della sinderesi. – Come può essere adunque, che questo consentimento sì universale di tutti i popoli non valga presso di voi per un testimonio maggiore di ogni eccezione? Quello che sembra verisimile a tutti, dice Aristotile (L. 10. Eth.), non può stare, che non sia vero: Quod universis videtur verum est. Mai non annottasi in tutto il mondo ad un’ora, ma solamente in alcuna parte di esso. E la menzogna non può offuscar tutto insieme il genere umano, sicché sia tutto o ingannatore, o ingannato: Nemo omnes, omnes neminein, singuli singulos fallunt(Sen.). E la ragione si è perché il giudizio di tutti è giudizio della natura, la quale non può mentire: e se fece l’uomo alla scienza, non può dunque ella farsegli guida all’errore. Se però tutti, e romani e greci e giudei e assiriani ed etiopi ed egiziani e caldei e germani e galli e sarmati e iberi e indi e persiani e tartari e turchi, e cinesi, e quanti mai sono, in tante lingue differenti vi dicono, che v’è Dio; qual temerità, voler voi solo far argine a tanta piena col parer vostro? Potrete forse allegare veruna età in cui si credesse altrimenti? Anzi, più che vi applicherete con lezione attenta a riandare le antiche storie, più troverete, che la cognizione della divinità fu libera da ogni fallo. Ond’è, che innanzi al diluvio non si legge mai che regnasse l’idolatria; la cui origine riferiscono altri a Nembrotte, altri a Nino, ed altri a Prometeo, nati al pari dopo il diluvio; mercecchè innanzi di esso la notizia del Creatore fra’ popoli era vivissima, e posto ciò, come poteva allor sorgere tanto inganno di adorare una creatura? (S. Th. 2. 2. q. 50. art. 4 ad 2). Può la cometa avere adito ancora in cielo, ma non può avervelo, se non che lontana dal sole (Tutta quest’argomentazione può venir compendiata nel seguente epicherema: È vero ciò, che viene concordemente ammesso da tutto il genere umano, perché  è voce infallibile di natura; ma sempre e dovunque l’uman genere fu ed è concorde nell’ammettere l’esistenza di Dio, come ne porge irrefragabile testimonianza la storia: dunque è vero, che Dio esiste).

II.

II. Che se non vi ha memoria di verun secolo, in cui nel mondo non si credesse, esser Dio, chi non vede, quanto fuor di ragione sia l’asserire con gli ateisti, che però gli uomini sono inclinati a ciò faro, perché con tal credenza furono allevati dai loro progenitori fin dalle fasce?

III. Primieramente, come si sarebbono sempre tra sé indettati i nostri antenati, e sempre s’indetterebbono in una tal forma stessa di educazione, se questa fosse, non da ispirazion di natura, comune a tutti, ma da elezion di arbitrio? (L’educazione non crea nulla, bensì è tutta nello svolgere i germi insiti da natura nell’animo umano. Essa pertanto non varrebbe mai a destare nella mente dell’uomo l’idea di un Dio, se questa non si avesse un natural fondamento. Tant’è, che sebbene l’essenza di Dio trascenda per infinito eccesso ogni creata apprensiva, nondimeno il sentimento ed il concetto della Divinità penetrano con facilità meravigliosa nella mente del fanciullo egualmente che nell’anima di qualunque idiota ed analfabeta.). Chi ha mai veduta nelle risoluzioni arbitrarie sì grande uniformità, in tempi cosi diversi ed in terre così divise? Sicuramente, se in vece di discorrere noi ci vorremo anzi mettere a delirare, potremo affermare, con la medesima fronte, che gli uomini anticamente tutti filavano, come Sardanapalo, e che le donne andavano alla testa degli eserciti come Semiramide; ma che poi venuto al mondo un personaggio di sonno straordinario, ordinò le cose, e per bene delle famiglie obbligò le donne al fuso, e gli uomini all’aste. Eppure una fola tale sarebbe meno incredibile di quest’altra, con la quale Crizia argomentavasi di persuadere al mondo, che non v’è Dio, ma che un tal uomo, avveduto più de’ preteriti, avea per pro dei mortali introdotta il primo fra loro questa opinione giovevole, che vi fosse. E qual uomo fu questo sì fortunato, che pose in sesto tutto il genere umano con l’oppio poderoso di un tale inganno? Ove ebbe il suo nascimento? ove la stanza? ove la scuola? ove il seguito più solenne? qual fu il primiero fra’ popoli ad ascoltare la sua voce beata? su quali ali egli volò dentro tempo brevissimo in tanti lati a disseminare una menzogna sì bella, che vincea di pregio ogni vero? e ciò che è più da notarsi, ove son le statue erette poscia da’ posteri ad un eroe il qual era sì benemerito delle genti ? ove gli archi? ove gli altari? Ove i templi a lui consacrati, giacché altro bene era questo, che l’inventare, come diceasi di Bacco, la coltivazion delle viti, o come di Cerere, la seminazione del frumento; ed altro ciò, che smorbar dal mondo quei mostri i quali più vero albergo non vi ebber mai, che la fantasia de’ poeti devoti ad Ercole?

IV. Di poi domando: come avrebbe quell’uomo potuto mai propagare tanto felicemente per l’universo opinion sì nuova? Con ragione appagante, o senza ragione? Se senza ragione, dunque ritorna la difficoltà, che un inganno possa essere universale. Se con ragione, dunque non fu inganno ciò che tutti lasciaronsi persuadere uniformemente, fu verità.

III.

V. Che se puro taluno vuole talora opporsi a tal verità colla pervicacia del suo libero arbitrio, non vedete voi, che né anche può conseguirlo in qualunque stato? Basta che, come si usa co’ testimoni falsi, egli ritruovisi, quando men se lo aspetta, posto al tormento di qualche dolore insolito, o di fianchi, o di podagra, o di pietra, o di taglio acerbo; vedrete subito, come il contumace si volgerà per aiuto ad invocare il braccio di qualche nume abile a liberarlo; o almeno arrabbiato si volgerà a bestemmiarlo insolentemente, mostrando al pari con la sua lingua, o supplicatrice, o sacrilega, che egli errò, quando dubitò so v’è Dio. Certo almen è, che ne’ casi più repentini così interviene. Onde, ad un risico di naufragio imminente veggiam che tutti nella nave si uniscono ad alzare d’accordo le mani al cielo, chiedendo scampo. E pure i casi repentini sono quegli in cui secondo il filosofo, opera in noi la natura più che il consiglio. Ma se la natura ci spinge con sì grande impeto nei pericoli a confessare quel Dio cui facciam ricorso, non accade, che voi fuori de’ pericoli a forza d’arte vi affatichiate a negarlo. Questo vi rende tanto più inescusabile, mentre volete fare, che muoia in voi di morte violenta quella persuasione in voi nata con esso voi, che non vi può mai morire di naturale. Così avveniva in Caligola, il quale, all’udire dei tuoni, tremava tutto, riconoscendo uno più possente di lui, che lo poteva dall’alto mandare in cenere: e pure, acquetate le nuvole, s’ingegnava di porre sé nella stima di nume sommo.

IV.

VI. Io pertanto nel numero di coloro i quali rendono chiara testimonianza della divinità includo fin quei medesimi che la negano. Perché si scorge, che quantunque, collocando talora questi la gloria nell’empietà, si arroghino di saper tanto più degli altri, quanto ne credono meno: non è però, che mai davvero pervengano all’empietà da loro vantata, cioè al non credere nulla: e dove pur vi pervengano, è per breve ora; succedendo loro come ad un notatore, il quale può ben cacciarsi a forza sott’acqua, ma non può starvi. Se egli vuol vivere, conviene che suo malgrado dopo alcun tempo di respiro soppresso ritorni a galla.

VII. Se non che, quando ancora volessimo noi concedere, che alcuni pochi arrivino a scancellarsi affatto dall’animo ogni credenza di Dio, che rivelerebbe? (Lo scancellare presuppone la preesistenza dell’oggetto che si imprende a distruggere. Epperò i miserabili tentativi dell’ ateo e dell’empio sono nuova conferma e rincalzo dell’esistenza divina). Non possono alcuni pochi dare eccezione al sentimento di tutto il genere umano. Sono essi mostri. E però, siccome il nascere un uomo con due capi non può far prova, che non sia proprio degli uomini il nascere con un solo; così il ritrovarsi talora un cuore di concetti sì storti, che neghi qualunque divinità, non può far prova. che non sia proprio di tutto l’uman genere l’asserirla. Tanto più, che siccome i mostri. per provvidenza della natura amorevole, sono sterili, né han virtù di generare altri mostri, così costoro, rimanendosi soli nella loro opinione, non fanno popolo, né possono mai vantare di avere indotta una intera comunità a professare, come eglino, l’ateismo.

V.

VIII. Scorgo ben io ciò che voi mi potreste opporre, e non lo dissimulo: tanto son pronto anche a mettervi l’armi in mano. Se il consentimento di tutte le genti è una testimonianza della natura, alienissima da ogni frode, come dunque, direte voi, non si accordano tutte a riconoscere una stessa divinità, ed a venerarla con un medesimo culto di religione? Certo è, che in un caso la natura fallisce, mentre ella non ci determina verun culto particolare; dunque così può fallire ancora nell’altro ad inclinarci all’ universale. Ma no: l’illazione è falsa; ed eccone la riprova. Vediamo, che non tutti si accordano a cercar la felicità dove ella è riposta, ma chi la cerca nelle ricchezze, chi ne’ cibi, chi nelle carnalità, chi nella gloria, chi nella dominazione, chi nella dottrina, chi nello operazioni di gran virtù. Dunque non è la natura quella che ha inserito nel cuore di ciascun uomo all’istesso modo il cercar la felicità? Non tiene la conseguenza. E la ragione è, perché la natura ha inclinati gli uomini tutti generalmente a cercare il bene, ma non ha loro dato intuitivamente a vedere dove egli sia. Vuole, che da sé lo rintraccino col discorso, di cui dotolli a tal fine. Gli uomini però, seguendo la libertà del loro talento, si applicano variamente a pregiare più questo bene che quello, scambiando per goffaggine non di rado la copia con l’originale, il corpo con l’ombra, il reale con l’apparente. Tanto dite nel caso nostro. La natura ha inclinati gli uomini tutti a riconoscere una divinità dominante. Ma né l’ha data loro a mirare in sé, né poteva darla, mentre a ciò non sono abili gl’intelletti immersi nei sensi (Come nell’ordine religioso ogni animo umano è da natura portato alla credenza ed al sentimento di una Divinità in generale, astrazione fatta dai suoi attributi particolari e determinati, cosi nell’ordine del sapere ogni mente umana è da natura portata alla verità in generale, astrazione fatta dalle molteplici verità particolari). Vuole, che la discoprano dagli effetti. Gli uomini però, valendosi variamente di tale istinto, hanno riconosciuta questa divinità dov’ella non era, ed han fatto come i bambini, che, per la imperfezione del loro discernimento, chiamano madre la balia da cui sono allattati, e volgono le spalle alla madre dalla qual nacquero. Hanno gli sciocchi chiamato Dio il sole, Dio le stelle, Dio gli elementi che loro davano il sostentamento immediato; ed hanno rivoltato le spalle a quel sommo Bene che li cavò fin dal nulla. Pertanto la medesima idolatria che sì lungamente ha regnato per l’universo può confermare le prove della divinità, non può invalidarle: errando gl’idolatri, non nella tesi, ma nella ipotesi: cioè a dire, errando nel persuadersi in particolare, che quell’oggetto, cui supplicano, sia divino, non errando nel giudicare, che qualche nume vi sia presidente a tutto: che è ciò che sì bene intese Cicerone medesimo, dove disse: De hominibus, nulla gens est tam immansueta, quæ non, etiamsi ignoret, qualem Deum habere doceat, tamen habendum sciat (De legib.).

IX. Se però voi, girando a piacer vostro l’Europa, l’Africa, l’Asia, e fin l’America stessa, che è la più barbara parte, non troverete popolo il quale, o in un modo o in un altro, non asseriscavi, che Dio v’è; qual contrasto è mai questo che dovete voi fare al vostro intelletto, perché stia duro a non crederlo, con opporsi lui solo a tanti? Gliene dovreste forse voi fare altrettanto perché lo creda? L’autorità in ogni genere ha sì gran peso, che alfin ci opprime, quando non abbiamo qualche evidenza in contrario che ci sostenga. Ma qual evidenza potete voi mai vantare a favore dell’ateismo? L’evidenza non è dalla banda vostra, è dalla banda contro di cui militate. – Perché quantunque ad un puro apprender di termini non sia noto a ciascuno, che Dio vi sia; è nondimeno notissimo a chi gl’intendo.

X. Ma perché ciò altro non è, che un chiamarvi dal tribunale dell’autorità a quello della ragione, voi seguitemi, ed io vi precederò.

SALMI BIBLICI: “DEUS, VENERUNT GENTES” (LXXVIII)

SALMO 78: “DEUS, VENERUNT GENTES”

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS.

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

[Canonico titolare della Chiesa di Soissons, Professore emerito di Scrittura santa e sacra Eloquenza]

TOME DEUXIÈME.

PARIS – LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR 13, RUE DELAMMIE, 1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

Salmo 78

[1] Psalmus Asaph.

      Deus, venerunt gentes

in hæreditatem tuam; polluerunt templum sanctum tuum; posuerunt Jerusalem in pomorum custodiam.

[2] Posuerunt morticina servorum tuorum escas volatilibus caeli, carnes sanctorum tuorum bestiis terrae.

[3] Effuderunt sanguinem eorum tamquam aquam in circuitu Jerusalem, et non erat qui sepeliret.

[4] Facti sumus opprobrium vicinis nostris, subsannatio et illusio his qui in circuitu nostro sunt.

[5] Usquequo, Domine, irasceris in finem? accendetur velut ignis zelus tuus?

[6] Effunde iram tuam in gentes quae te non noverunt, et in regna quae nomen tuum non invocaverunt;

[7] quia comederunt Jacob, et locum ejus desolaverunt.

[8] Ne memineris iniquitatum nostrarum antiquarum; cito anticipent nos misericordiae tuae, quia pauperes facti sumus nimis.

[9] Adjuva nos, Deus, salutaris noster; et propter gloriam nominis tui, Domine, libera nos, et propitius esto peccatis nostris, propter nomen tuum.

[10] Ne forte dicant in gentibus: Ubi est Deus eorum? et innotescat in nationibus coram oculis nostris ultio sanguinis servorum tuorum qui effusus est.

[11] Introeat in conspectu tuo gemitus compeditorum; secundum magnitudinem brachii tui posside filios mortificatorum;

[12] et redde vicinis nostris septuplum in sinu eorum; improperium ipsorum quod exprobraverunt tibi, Domine.

[13] Nos autem populus tuus, et oves pascuæ tuæ, confitebimur tibi in sæculum; in generationem et generationem annuntiabimus laudem tuam.

[Vecchio Testamento Secondo la Volgata Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

SALMO LXXVIII

Si deplorano le calamità incontrate al tempo dei Maccabei per opera di Antioco e di altri persecutori. Essere questo Salmo una profezia, è detto  negli stessi libri de’ Maccabei, 1. 1, c. 7. Può applicarsi alla Chiesa, come fa S. Agostino.

Salmo di Asaph.

1. O Dio, son venute le nazioni nella tua eredità, han profanato il tempio tuo santo, han cangiata Gerusalemme in un tugurio di guardiani delle frutta.

2. Han gettato i cadaveri de’ tuoi servi pasto agli uccelli dell’aria, le carni dei santi tuoi alle fiere della terra.

3. Hanno sparso come acqua il loro sangue intorno a Gerusalemme, e non v’era chi desse lor sepoltura.

4. Siam divenuti oggetto di ignominia pei nostri vicini, d’insulto e di scherno per quei che ci stanno all’intorno.

5. E fino a quando, o Signore, sarai sdegnato implacabilmente, e arderà come fuoco il tuo zelo?

6. Scarica il tuo sdegno sopra le genti, che non ti conoscono, e sopra i regni che non hanno invocato il tuo nome;

7. Perché hanno divorato Giacobbe, e han devastata la casa di lui.

8. Non ti ricordare delle pristine nostre iniquità: ci prevengano prontamente le tue misericordie, perché noi siam divenuti oltremodo miserabili.

9. Aiutaci, o Dio, nostro Salvatore, e a gloria del nome tuo liberaci, e sii propizio a’ peccati nostri pel nome tuo;

10. Affinché non siavi forse tra le nazioni chi dica: Il Dio loro dov’è? (1). Nota sia tra le nazioni, veggenti noi,

11. la vendetta del sangue de’ servi tuoi, che è stato sparso; siano ammessi al tuo cospetto i gemiti di quei che sono in catene. Conserva col tuo gran braccio i figliuoli di que’ che furono uccisi.

12. E rendi, o Signore, ai nostri vicini nel loro seno sette volte tanto pe’ loro improperii vomitati contro di te.

13. Ma noi tuo popolo e pecorelle della tua greggia ti confesseremo eternamente; Annunzierem le lodi tue d’una in altra generazione.

(1) «Dov’è il loro Dio? » È  un rimprovero molto frequente nella bocca dei pagani (Ps. XLI, 4); è ciò che diceva in particolare Sennacherib, nella sua lettera ad Ezechia.

 Sommario analitico

Il Profeta predice e descrive la persecuzioni che il popolo di Dio ebbe a soffrire, o da Nabucodonosor, durante la presa di Gerusalemme e della distruzione di questa città e del tempio, o da parte del re Antioco, e nel nome dei Maccabei, nei quali si personificano la Chiesa Cristiana perseguitata:

I. Egli descrive i dettagli di questa atroce persecuzione.

1° La loro patria occupata dai nemici;

2° Il tempio di Dio profanato;

3° La santa città ridotta alla desolazione (1);

4° I cadaveri esposti agli uccelli predatori ed alle bastie feroci (2);

5° Il loro sangue sparso come l’acqua e la privazione della sepoltura (3);

6° Gli obbrobri e  beffe di cui essi sono oggetti da parte dei loro vicini (4).

II. Domanda a Dio di essere liberato da tutte queste calamità, dando come motivo:

1° I crimini dei gentili, che meritano più di loro questi castighi (6), a causa della loro infedeltà e della loro idolatria, – a causa della loro crudeltà e dei loro sacrilegi (7);

2° La loro qualità di popolo di Dio, che chiede a Dio di cancellare i suoi peccati passati e di liberarlo delle sue miserie presenti (8);

3° La gloria di Dio stesso, che i giusti riconoscono e di cui invocano la potenza, e di cui gli empi di burlano come se fosse colpito da impotenza (10);

4° Le tribolazioni e le afflizioni dei santi che domandano – a) che la loro morte sia vendicata; – b) che dal seno delle loro prigioni i loro gemiti salgano fino a Dio; – c) che Dio prenda sotto la sua protezione dei poveri orfani (11);

5° L’empietà dei popoli vicini, che devono essere puniti – a) per la loro crudeltà contro i figli di Dio; – b) a causa delle loro blasfemie contro Dio (12);

6° Le virtù dei giusti liberati, che manifestano le lodi di Dio con umiltà e perseveranza (13). 

Spiegazioni e Considerazioni

.I. — 1-4.

ff. 1-4. – Le calamità descritte nei primi versetti di questo salmo sono una predizione delle sventure di Gerusalemme, o sotto Nabucodonosor, che devastò la Giudea tutta intera, o più verosimilmente, sotto Antioco, persecutore accanito dei Giudei e profanatore del loro tempio. Questa profezia non può aver rapporto con l’ultima devastazione di Gerusalemme dell’imperatore romano Tito, perché come potrebbe chiamarsi eredità di Dio questo popolo che non aveva più il Cristo con sé, che al contrario veniva riprovato e messo a morte; popolo che rifiutava di credere in Lui, anche dopo la sua Resurrezione e che, per di più, faceva morire i suoi martiri? (S. Agost.). – Pertanto, questa profezia sotto forma di preghiera, come lo Spirito Santo avrebbe ispirato un Profeta per ottenere la liberazione di una città che il Signore avrebbe condannato ad una totale rovina senza ritorno? – Queste persecuzioni dirette contro il popolo di Dio, contro la città di Gerusalemme ed il tempio, figurano le persecuzioni dirette contro la Chiesa Cristiana che si sono compiute alla lettera spesso a suo riguardo nel corso dei secoli. – Bisogna comprendere le prime parole profetiche di questo salmo: « O Dio, le nazioni sono venute nella vostra eredità »; (Ps. LXXVIII, 1) in questo senso che i Gentili sono entrati nella Chiesa non credendo, ma perseguitando, cioè essi l’hanno invasa con l’intenzione di distruggerla e perderla interamente, come di fatto lo dimostrano tante persecuzioni, e capire che ciò che segue: « Esse hanno macchiato il vostro tempio santo », si applichi non a del legno o delle pietre, ma a degli uomini che, simili a pietre viventi, servono – dice l’Apostolo San Pietro – a costruire la casa di Dio (I Piet. II, 5). È in questo senso che l’Apostolo San Paolo dice chiaramente: « Il tempio di Dio è santo e voi siete questo tempio. » (I Cor. III, 17). I persecutori hanno dunque macchiato questo tempio in coloro che essi hanno forzato nel rinnegare il Cristo con minacce o con supplizi, e che sono costretti con violente pressioni, ad invocare gli idoli. » (S. Agost.) –  « Essi hanno fatto di Gerusalemme un tugurio per guardiani da frutta. » Con questa figura il Profeta esprime l’abbandono che ha prodotto l’estendersi della persecuzione; perché si abbandona la capanna dove ci si era messi per guardare i frutti, quando il tempo  dei frutti è passata; ma quando la Chiesa, sotto la persecuzione dei Gentili, è sembrata diventare deserta, la anime dei martiri sono passate alla tavola celeste, come frutti numerosi e deliziosi raccolti nel giardino del Signore (Idem). – Le passioni ed i vizi, maestri di un’anima di cui Dio aveva preso possesso con la sua grazia; – il traffico delle cose sante, lo spirito mercenario nelle sacre funzioni, etc., sono, in un senso topologico, le nazioni che sono entrate nell’eredità di Dio, che è la sua Chiesa, e che l’hanno profanata, disonorata, ridotta ad essere come la guardiana dei frutti della cupidità e dell’avarizia. Ogni anima che si sente devastata dai suoi peccati, come tante barbare nazioni, può dire con Mattatia, padre dei Maccabei: « Chi di quelli che non ha ereditato dal suo reame, e non ha ottenuto le sue spoglie? Tutta la sua magnificenza gli è stata tolta: essa era libera, essa è diventata schiava; e tutto ciò che noi abbiamo di santo, di bello e di splendido è stato desolato e profanato dalle nazioni. Perché dunque ancora viviamo? » (I Maccab. II, 10). –  « Non sapete che i vostri corpi sono membra di Gesù-Cristo? Toglierò dunque a Gesù-Cristo le proprie membra per farne membra di prostituta? A Dio non piace … (I Cor. VI, 15). Non sapete che voi siete il tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi? Ora, se qualcuno profana il tempio di Dio, Dio lo perderà; perché il tempio di Dio è santo, e voi siete questo tempio. » (I Cor. III, 16, 17). Vedete cosa dovete fare del tempio di Dio? Se avete scelto la Chiesa per commettervi un adulterio, cosa ci sarebbe di più detestabile, di più abominevole? Ora, ricordatevi che siete voi stessi il tempio di Dio. Voi siete il suo tempio quando entrate nella vostra dimora, voi siete tempio quando ne uscite, voi siete il suo tempio quando restate nella vostra dimora … Vegliate dunque su tutti i vostri atti, guardatevi dall’offendere Colui che abita questo tempio, per timore che non vi abbandoni, che non vi condanni ad una rovina intera e senza ritorno (S. Agost. Serm XVI sur les parol, du S.). –  « Essi hanno dato i cadaveri dei vostri servi in pasto agli uccelli del cielo, e la carne dei santi alle bestie della terra. Quando le anime dei martiri erano presentate come dei frutti ai loro coltivatori, le nazioni davano i cadaveri e le carni di questi martiri in pasto agli uccelli del cielo ed alle bestie della terra; come se qualche cosa di essi dovesse mancare alla resurrezione, nel momento in cui Colui per il Quale sono contati tutti i capelli della nostra testa, risusciterà il loro corpo riprendendoli dai punti più nascosti della terra (S. Agost.). – La vista di una città riempita di cadaveri a cui nessuno vuol dare sepoltura, e che restano esposti per essere preda delle bestie, è una spettacolo spaventoso, che produce in noi una impressione di terrore da cui non possiamo difenderci. E tuttavia noi vediamo, senza esserne spaventati, tante anime a cui il peccato dà ogni giorno la morte, e che lascia esposti in preda alle loro passioni, mille volte più crudeli delle bestie feroci. Questi morti non si vedono con gli occhi del corpo, è la fede che li scopre, è la fede che li piange. Siccome queste lacrime vengono dal cielo, esse sono potenti nei loro effetti che provengono dalla loro origine; perché le lacrime che si versano sulle rovine delle città, non saprebbero mai ristabilirle; ma spesso le lacrime dei Santi e delle anime pie hanno resuscitato delle anime morte da lungi tempo alla vita della grazia (Duguet). Era dalla gloria di Dio che la sola nazione che fosse al mondo devota al vero culto, non divenisse l’oggetto del disprezzo e dello scherno dei vicini: ma la gloria di Dio non era interessata a questa o quella nazione di cui godesse di una grande considerazione tra i suoi concittadini: l’umiliazione è stata, in tutti i tempi, per gli amici di Dio, la salvaguardia della santità e la strada della salvezza (Berthier). 

II — 5-13.

ff. 5-7. – Questa preghiera che fa qui intendere il Profeta, prova che la sua recita delle afflizioni di Gerusalemme non ha come scopo il farle conoscere, bensì il compiangerle. Egli supplica Dio di non irritarsi fino agli estremi eccessi, cioè di non condurre all’estremo i mali che sopravvengono, le loro tribolazioni e la devastazione del loro paese, secondo la parola di un altro salmo: « Voi ci farete mangiare un pane impastato con le nostre lacrime e ci farete bere lacrime in abbondanza » (Ps. LXXIX). – Ma la collera e l’indignazione di Dio non sono dovute a passioni che lo turbino, come certi uomini ritengono dalle Scritture che non comprendono. Sotto il nome di collera, si intende solo la punizione dell’iniquità, e quello di zelo non indica che il rigore con il quale Dio esige quella purezza che fa sì che l’anima rispetti la legge del suo Signore, e non si perda lontano da Lui come per una sorta di adulterio. Questi sentimenti, per gli effetti che producono nell’uomo afflitto, sono causa di turbamento; ma nella disposizione provvidenziale di Dio, essi sono pieni di pace, perché è detto di Dio. « Voi, Signore delle anime, giudicate con mitezza » (Sap. XII, 18). Queste parole fanno ben vedere che le afflizioni sono mandate agli uomini, anche fedeli, a causa dei loro peccati, benché nello stesso tempo facciano brillare la gloria dei martiri per il merito della loro pazienza e della loro pia energia nell’osservare la legge del Signore anche sotto i colpi dei suoi castighi (S. Agost.). – La collera di Dio contro i giusti, è ben differente dalla collera di Dio contro i peccatori: la prima è una collera d’amore che vuole semplicemente reprimere. Esse sono entrambe divampate come un fuoco, ma riguardo ai peccatori è un fuoco che consuma; nei confronti dei giusti, è un fuoco che purifica. – « Spargete la vostra collera sulle nazioni che non vi conoscono, e sui regni che non hanno invocato il vostro nome. » Come dunque interpretare ciò che dice il Signore nel Vangelo: « Il servitore che non conosce le volontà del suo maestro e che commette degli atti degni di castigo, sarà rigorosamente castigato?» (Luc. XII, 48). Se la collera di Dio è più violenta contro le nazioni che non Lo hanno conosciuto … non sarebbe perché c’è una grande differenza tra i servitori che, ignorando la volontà del loro maestro, invocano tuttavia il suo nome, e coloro che sono estranei alla famiglia di un tale padre, e che hanno una ignoranza tale da non invocare neanche il nome di Dio? Anche il Profeta non rappresenta coloro che definisce come ignoranti la volontà del loro padrone, benché non lascino di temerla, ma li rappresenta come ignoranti al punto da non invocarlo e farsi nemici del suo Nome. C’è dunque una grande differenza tra i servitori che non conoscono la volontà del loro padrone, ma che pertanto vivono nella sua famiglia e nella sua casa, ed i nemici che non solo non vogliono conoscere il suo nome, ma che non contenti di non invocare il suo Nome, fanno pure la guerra ai suoi servitori (S. Agost.). – Sotto questi termini così semplici è stata per lungo tempo velata una verità capitale che San Paolo ha chiaramente rivelato alla Chiesa cristiana, e che Bourdaloue ha perfettamente sviluppata nel suo sermone della I settimana di avvento: « … Colui che non avrà ricevuto la legge, sarà giudicato senza la legge; colui che non avrà avuto la fede rischiarata, sarà giudicato senza la legge. » Oltre alla legge esteriore, che non è stata promulgata per questo o quel popolo, oltre alla fede che non ha per Lui questo popolo, è stata data un’altra luce, una luce naturale che illumina ogni uomo che viene in questo mondo, la luce della ragione che emana dalla ragione eterna e sovrana: il Verbo divino.  Questa luce naturale, questa ragione umana ha dovuto servire da guida ad ogni uomo. Essa era sufficiente, se ascoltata con attenzione, se consultata con sincerità, se obbedita con zelo; essa era sufficiente a condurre l’uomo a Dio Creatore, al Dio principio e fine di tutte le cose, al Dio vendicatore del crimine e rimuneratore della virtù. Coloro che avranno, con il soccorso di questa luce, conosciuto Dio ed invocato il suo Nome, saranno colpevoli di questo difetto di conoscenza, di questo difetto di invocazione, e responsabili di tutte le loro conseguenze. A maggior ragione i Giudei che hanno ricevuto la legge da Mosè, i Cristiani, che hanno ricevuto la legge da Gesù-Cristo stesso, saranno sottomessi al terribile Giudizio, se non hanno conosciuto Dio, se non Lo hanno invocato (Rendu).

ff. 8, 9. – « Non rammentate le nostre antiche iniquità. » Egli non dice le nostre iniquità passate, che potrebbero anche ssere recenti, ma delle nostre iniquità antiche, vale a dire di quelle che vengono dai nostri padri; perché sì gravi iniquità meritano non la correzione, ma la condanna. « Affrettatevi a prevenirci con la vostre misericordie. » Che ci precedano esse davanti ai vostri giudizi; perché la misericordia si eleva sopra al giudizio … ma aggiungendo: « … perché noi siamo caduti in una estrema povertà, » il Profeta vuol far sentire che le misericordie divine  ci prevengono affinché la nostra povertà, cioè la nostra debolezza, sia aiutata dalla sua misericordia nell’osservare i comandamenti per timore di non arrivare al giudizio per essere condannati. « Aiutateci o Dio che siete il nostro Salvatore. » Con queste parole: « Nostro Salvatore, » egli spiega molto chiaramente di quale genere di povertà abbia voluto parlare dicendo: « … perché noi siamo caduti in una estrema povertà; » infatti questa povertà non è altra cosa che la debolezza per la quale è necessaria un Salvatore. Ma quando vuole che siamo aiutati, non manca né di riconoscenza verso la grazia, né di giustizia verso il nostro libero arbitrio, perché colui che riceve soccorso agisce nello stesso tempo per mezzo di Lui stesso. Egli dice ancora: « Liberatemi, Signore per la gloria del vostro Nome », vale a dire … non a causa nostra. Cosa meritano in effetti i nostri peccati, che sia dovuto loro, se non dei castighi proporzionati? Ma « Siate propizio ai nostri peccati, a causa del vostro Nome, » … « e che la vendetta del sangue dei vostri servitori brilli ai nostri occhi in mezzo alle nazioni. » Ci sono due modi per intendere queste parola: o che l’iniquità dei nostri nemici sia distrutta dalla loro fede in Dio, o che, perseverando nella loro malvagità. essi siano puniti dei supplizi del giudizio finale (S. Agost.). –  Non c’è parola in questa preghiera che non sia espressiva. L’oggetto della preghiera è la gloria del santo Nome di Dio; Colui al quale si indirizza la preghiera è Dio, Autore di ogni grazia e salvezza; la disposizione della preghiera, è il cuore penetrato dal ricordo dei propri peccati; il desiderio principale enunciato dalla preghiera, è di essere ristabilito nel favore di Dio (Berthier) – Dio ci previene con le sue misericordie aiutandoci – 1° ad espiare con la penitenza, i peccati passati; – 2° ad evitare i peccati; – 3° a fare opere di giustizia. Quando domandiamo il soccorso di Dio ed il perdono dei nostri peccati, non lo attendiamo per i nostri meriti. – È un dolore dei più sensibili per i giusti che soffrono, vedere che le loro sofferenze siano una occasione di oltraggiare Dio e vomitare delle bestemmie contro Lui. Si lasci a Dio la cura di arrestare queste bestemmie, e salvare l’onore della pietà. –  Occorre fare anche questa preghiera, non solo per i nostri peccati particolari, ma per la nostra Patria: o Dio, Voi che siete la nostra unica salvezza, aiutateci; ed a causa vostra, a causa della gloria del vostro Nome, perché agli occhi di tutti i popoli la Francia è sempre stata il più ricco pinnacolo della vostra corona terrena, venite in nostro aiuto e procurateci la nostra liberazione. Infine se è purtroppo vero che ancora siamo peccatori, che siamo sempre colpevoli, siate propizio, siate indulgente verso i nostri peccati a causa vostra e del vostro Nome, e perché la Francia non possa essere abbassata, forse umiliata ché il vostro Nome ne soffra, che la vostra causa ne sia profondamente colpita. (Mgr PIE, Disc, etc., t. VII, p. 307).

ff. 11-12. – Se non bisogna rendere a nessuno male per il male, non solo non bisogna opporre una azione malvagia, ma non bisogna rendere un desiderio malvagio che, se non si vendica da se stesso, attende non di meno e desidera che Dio punisca il suo nemico. Se dunque il giusto ed il malvagio desiderano che Dio li vendichi dei loro nemici, in cosa distinguerli se non in ciò che il giusto desidera vedere il suo nemico corretto piuttosto che punito, e se lo vede punito da Dio, non si compiace nel suo castigo, perché non lo odia, ma nella giustizia di Dio, perché ama Dio? Infine se il giusto è vendicato dal suo nemico in questo mondo, gioisce o perché al suo soggetto, il castigo lo corregge, o per gli altri, affinché temano di rendersi colpevole come lui. Egli stesso diventa migliore attraverso questo castigo, non nutrendo il suo odio del supplizio del suo nemico, ma correggendo i propri errori. È dunque per benevolenza e non per malvagità che il giusto gioisce vedendosi vendicato, e lava le sue mani, cioè purifica le sue opere nel sangue, cioè nella punizione del peccatore, dalla quale trae non una gioia per la disgrazia altrui, ma un esempio di avvertimenti da Dio (S. Agost.). –  « Versate nel seno dei nostri vicini sette volte tanto il male che essi ci hanno fatto ». Il Profeta non desidera il loro male ma, come in precedenza, annunzia la giusta punizione delle loro colpe, e profetizza l’avvenire. Con il numero sette, cioè con il male reso sette volte, egli vuol far comprendere che la punizione sarà piena, perché spesso il numero sette è impiegato per esprimere la totalità. Il profeta dice: «I nostri vicini », perché la Chiesa abiterà in mezzo ai suoi nemici fino al giorno della separazione, perché al presente, non si opera nessuna separazione visibile. Egli dice: « versate nel seno », vale a dire nel segreto, affinché la vendetta che si fa oggi segretamente « brilli ai nostri occhi in mezzo alle nazioni ». Ed in effetti, quando un uomo è dedito al suo senso depravato, egli riceve interiormente, nel suo seno, la minaccia dei supplizi avvenire che ha meritato. « E l’obbrobrio che essi hanno gettato su di Voi, Signore; » versato nel loro seno sette volte con tanto di vergogna; cioè come punizione dell’obbrobrio che essi hanno voluto gettare su di Voi, respingeteli interamente nel segreto dei loro cuori. È la, in effetti, che essi hanno gettato l’obbrobrio su di Voi, conservando la speranza di cancellare il vostro nome dalla terra, per la distruzione dei vostri servitori (S. Agost.).

ff. 13. – « Ma noi, vostro popolo », queste parole si applicano in generale ad ogni sorta di uomini pii e di veri Cristiani. Noi dunque, che essi credevano di poter perdere, « noi, vostro popolo e pecore del vostro gregge », se qualcuno si glorifica, lo faccia nel Signore (I Cor. I, 21), « … noi confessiamo il vostro Nome per il secolo », vale a dire fino alla fine dei secoli (S. Agost.), « … e renderemo pubbliche le vostre lodi nelle future generazioni ». Quale più dolce occupazione c’è per coloro che sono veramente il popolo di Dio, che sono del numero delle pecore, che lo seguono come loro Pastore, e che sono nutriti nei suoi pascoli, che rendergli eterne azioni di grazie e rendere pubbliche le sue lodi già fin da questa vita ed in seguito nella sequela dei secoli. (Dug.).

DIO IN NOI (6)

DIO IN NOI (6)

[Versione p. f. Zingale S. J. – L. I. C. E. – Berruti & C. – Torino, 1923; imprim. Torino, 7 aprile 1923 Can. Francesco Duvina]

CAPO III.

Con lo Spirito Santo.

S. Paolo domandava agli Efesini: « Avete ricevuto lo Spirito? ». A una simile domanda, noi sappiamo quale risposta dobbiamo dare. Ricordiamoci del Battesimo: « Vattene, spirito immondo, e lascia il posto allo Spirito Santo». Lo Spirito Santo abita in noi, se non abbiamo commesso peccati mortali, o se, avendone commessi per nostra sciagura, l’assoluzione del sacerdote ci ha ridonato la grazia.

Nulla è più validamente ammesso di questo: « Non sapete dunque che lo Spirito Santo abita in voi? » — « Le vostre membra sono tempio dello Spirito Santo ». — « Noi siamo contrassegnati e portiamo in noi il pegno della salvezza, lo Spirito ». — « Noi siamo partecipi dello Spirito ». Così parla l’Apostolo e lo ripete a non più finire. S. Giovanni a sua volta: « In hoc cognovimus quoniam in eo manemus, et ipse in nobis, quoniam de Spiritu suo dedit nobis. Riconosciamo di dimorare in Lui, ed Egli in noi a questo segno: che ci ha dato lo Spirito Santo » (I Giov., IV, 13).I Padri della Chiesa trattano spesso questa dottrina. Tutti i grandi teologi vi insistono. San Bonaventura dichiara fuori della fede cattolica,chi non l’ammette. « L’uomo non sarà accetto a Dio che nella misura in cui riceve lo Spirito Santo, dono increato. Chiunque ha un’idea esatta della grazia santificante, riconosce che lo Spirito Santo, dono increato, abita realmente nelle anime giuste. E se qualcuno pensa il contrario, deve considerarsi eretico ».S. Tommaso l’afferma con uguale certezza (S. Theol, P. I, q. XLIII, a, 3).Del resto questo punto fu messo fuori discussione dal Concilio di Trento. È fuori dubbio che nella grazia v’è un elemento creato, cioè le facoltà soprannaturali che ci permetteranno di fare atti soprannaturali; ma nulla è affermato con tanta energia dalla Chiesa come quest’altra verità, cioè che lo Spirito Santo, ipsissima persona Spiritus Sancti, come dice Cornelio a Lapide, accompagna questo dono creato. Il divino Spirito non si dà nella stessa misura a tutte le anime in grazia, ma tutte lo ricevono con la medesima realtà. È inutile far notare, dice il P. Ramière (Divinisation, p. 246), che la presenza dello Spirito Santo nelle anime è al tutto diversa dall’altra, che risulta dall’immensità di Dio, in virtù della quale le Persone della Santa Trinità sono dappertutto, non escluso l’inferno. « Lo stesso Figlio di Dio è immenso e presente dovunque: ciò non impedisce che noi l’adoriamo nell’Eucaristia, giacché sappiamo che Egli è là presente in modo speciale per darsi a noi. Così, mediante la grazia lo Spirito Santo è in noi, per unirsi a noi e santificarci.

« È questa una presenza particolare in qualche modo indipendente dalla prima. Il Suarez spiega il fatto, dicendo che se per impossibile l’immensità divina non rendesse il divino Spirito presente in noi, vi sarebbe, nondimeno condotto dalla grazia. Possiamo supporre l’uomo più povero accanto a un immenso tesoro, senza che questa prossimità lo renda più ricco. Non è la vicinanza che fa la ricchezza, ma il dominio. La stessa differenza si nota tra l’anima di un giusto e quella di un peccatore. – Il peccatore, lo stesso dannato, hanno accanto ad essi ed in essi un bene infinito e intanto vivono nell’indigenza, perché quel bene non appartiene loro; mentre il Cristiano in grazia possiede in se stesso lo Spirito Santo, e con Lui la pienezza delle grazie celesti, come un tesoro del quale è proprietario e in cui può attingere senza misura. – Di qui l’espressione della Chiesa nel giorno di Pentecoste: « dulcis hospes animæ, dolce ospite dell’anima», perché lo Spirito Santo si reputa fortunato d’abitare nei nostri cuori. Ma noi Cristiani, ci reputiamo fortunati di questa abitazione dello Spirito Santo nell’anima nostra? Povero « dolce ospite » ! La liturgia Vi applica forse ironicamente questo nome? Voi abitate nell’anima nostra, ma chi di noi vi fa attenzione e se ne preoccupa? – La vostra presenza in noi costituirebbe dunque un dono ordinario, senza virtù e senza valore? No, certo, poiché Voi siete lo Spirito Santo, lo Spirito che vive nel Padre e nel Figlio, o meglio lo Spirito del Padre e del Figliuolo. Non vi sarebbe posto per alloggiare il grande condottiero nel vasto accampamento, per così dire, dell’anima, accampamento dove entrano, e donde, a ogni istante, escono in folla soldati con carriaggi, fardelli e strepito incessante? No. Supponiamo che l’anima sia in grazia; dunque lo Spirito Santo vi risiede come nella sua dimora. Ma perché non vi è una guardia d’onore, o almeno un semplice piantone? Lo Spirito vorrebbe forse abitare da incognito? È proprio il contrario; Egli desidera moltissimo di essere riconosciuto, salutato dai passanti, circondato di simpatia, festeggiato; desiderio che pochissimi Cristiani, anche fra i migliori, cercano di soddisfare. Scriveva il Manning che « se vi è cosa che torni a nostro disdoro, che dovrebbe farci piegare le ginocchia a terra e abbassare la fronte nella polvere, si è che viviamo l’intera giornata come se lo Spirito Santo non esistesse. Siamo come gli Efesini che risposero a S. Paolo, quando loro chiese se avessero ricevuto lo Spirito Santo: « Non abbiamo mai inteso dire che vi sia uno Spirito Santo » (MANNING: La Mission du Saint Esprit dans les àme p. 18). Dirà qualcuno che non vale la pena di pensarci, ovvero che altri oggetti più importanti, a ogni minuto, debbono assorbire la nostra attenzione? Lo Spirito Santo non è dunque l’amore increato, il termine della Santa Trinità « il limite di ciò che non ha limiti, il confine di quello che non ha confini » ? Secondo il linguaggio della liturgia, non è Egli l’autore della prima creazione? Spiritus creator, e, l’autore della seconda, giacché gli dobbiamo la vita soprannaturale, resa all’umanità in genere per il fatto della sua «sopravvenuta» in Maria, e la vita soprannaturale, resa a ciascuna di noi con la sua venuta nel Battesimo? Non vi si pensa! Bella scusa, invero, è la seguente: Io non penso mai all’essenziale! Quando un personaggio d’importanza, un re, va in una città, anche per una visita passeggera, la città vi pensa. Trattasi di un re della terra. Ma noi, Cristiani, non facciamo nulla per il re del Cielo! Ospite del suo cielo immenso, sceglie come cielo l’anima nostra. E noi non vi badiamo! S. Paolo, di cui possiamo fidarci, non stimava come avventizia o facoltativa la devozione allo Spirito Santo; egli ci ha tracciato, nei riguardi dei nostri doveri verso il dulcis hospes, un programma che dovremmo meditare. Prima di tutto dobbiamo evitare il peccato mortale. « Spiritum nolite extinguere, non spegnete lo Spirito! » (1 Tess., V, 10). Non spegnete la luce divina; non la spegnete né i n voi, né in altri con lo scandalo. Cacciare lo Spirito, metterlo alla porta, mandarlo via da sé e dagli altri, ecco l’ingiuria più grande (Spiritui gratiæ contumeliam facitis, Heb., X, 21) che si possa commettere contro di Lui. Esiste il modo di fare ingiuria allo Spirito:esiste anche quello di contristarlo: « Ipsi vero afflixerunt Spiritum Sanctum eius(Is. LXIII). Afflissero lo Spirito Santo », diceva già Isaia, e San Paolo, ai primi Cristiani, dava un esempio della maniera con cui lo si può amareggiare. « Omnis sermo malus ex ore vestro non procedat, et nolite contristare Spiritum Sanctum. Evitate ogni parola offensiva, cattiva, non affliggere lo Spirito» (Ephes. IV, 10). Ogni nostra colpa veniale rattrista certamente lo Spirito che è presente a tutti i nostri passi, testimonio di ogni nostra parola, delle nostre azioni, dei nostri pensieri e desideri. Ma solleviamoci ancora più in alto: vi è una consegna da mantenere. Come allo Spirito si può arrecare ingiuria — col peccato mortale,— e si può affliggerlo mediante il peccato veniale, così si può resistere alle sue ispirazioni.« Vos semper Spiritui Sancto resistitisi (Act. VII, 51), dicono gli Atti degli Apostoli. Quante volte l’« ospite delle anime nostre» ci incita dolcemente a fare il bene, e i suoi sforzi restano vani,perché omettiamo o rifiutiamo di corrispondere!Internamente lo Spirito non cessa di farci sentire la sua voce, di stimolarci. Dove siamo quando Egli ci parla? E se non siamo usciti di noi stessi e Lo sentiamo, in qual modo rispondiamo ai suoi inviti?Questo programma, puramente negativo, è lontano dal racchiudere tutti i nostri dove riverso lo Spirito, come sono intesi da San Paolo, come la conoscenza dello stato di grazia li prescrive e la devozione ben compresa li esige. Qui, come in tutto, il punto di vista ricco è quello positivo. La presenza dello Spirito Santo in noi, non solo ci invita a « non fare »; ma ci spinge a «fare»… A fare che cosa? A dare un posto sempre più largo all’Ospite divino, a ricercare, con tutti i mezzi, il profitto che questa presenza meravigliosa apporta, a penetrare, ogni giorno più profondamente, nella sua amicizia e intimità. Lo Spirito è in noi, vivo e operoso; ma vi è qualcuno che può limitare la sua azione, e siamo noi. Da parte sua vuole darsi, unirsi a noi quanto più è possibile. Ma noi limitiamo lo spazio allo Spirito di Amore. Egli è l’« ospite», noi siamo i « padroni », dipende quindi da noi che Egli possa poco o molto. A « Se voi conosceste il dono di Dio, diceva Monsignor Gay, il valore e la importanza della minima luce interiore, del minimo tocco del divino Spirito, della più piccola occasione favorevole! Se voi sapeste come Dio è là, come si offre, si dona, e quindi quello che ciò importa per voi e per gli altri, e quali conseguenze conduce con sé nel tempo e nella eternità! Oh! chi ci farà finalmente capire le cose soprannaturali, stimare, al loro giusto valore quei beni, il minimo dei quali, a giudizio di S. Tommaso, è superiore a tutti i beni naturali riuniti! ». Senza la bontà preveniente di Dio che ci ha condotti al fonte battesimale, prima ancora chela nostra ragione fosse sviluppata, e al sacro fonte ci ha dato « la carità, sparsa in noi dallo Spirito Santo», come dice l’Apostolo ai Romani (Rom., V, 5); — senza la sua bontà che continuamente ci aiuta, e dispone in noi quelle ascensioni perpetue che ogni anima, avvezza all’esame di coscienza, richiama alla mente con tanta gioia: ispirazioni nella preghiera, forza nelle tentazioni, incoraggiamento in certe circostanze;— senza la sua bontà meravigliosamente paziente, che ci ha rialzato ogni qualvolta siamo caduti, che ci ha tratti dall’abisso, allorquando abbiamo ceduto al peccato; e ogni qualvolta abbiamo ripetuto le nostre indelicatezze, ha aggiunto, a tutte le altre, una nuova delicatezza, che cosa sarebbe di noi? Si può supporre un fatto più strano di questo: l’applicazione singolare dello Spirito Santo a divinizzarci, e da parte nostra l’applicazione ardente a rifiutare il suo concorso, ovvero a passare accanto a Lui senza neppure sospettare la sua presenza o capire il suo valore? Ah! se avessimo lo stesso ideale che Dio ha verso di noi! Ma il punto importante non consiste tanto nel fatto che lo Spirito Santo ci comunica la forza, ci manda buone ispirazioni, ci concéde il suo amore; quanto nel fatto che Egli dà se stesso, e vedremo subito con quale intimità. Non si capisce perché un timore segreto impedisca di considerare l’unione dello Spirito Santo con l’anima nostra, per quello che essa è— o almeno come potrebbe e dovrebbe essere— unione tanto intima, dice Cornelio a Lapide, nel Commentario degli Atti, che non se ne dà un’altra più grande: Est enim summa unio inter Deum et animam sanctam qua nullius creaturæ puræ potest esse major. S. Paolo dichiarava: « Colui che vive in grazia, forma un solo spirito con Dio. Qui adhæret Deo, unus Spiritus est» (I Cor. VI).Cornelio a Lapide dice ancora: « In quella maniera con cui l’anima, quando assume il corpo per vivificarlo, gli comunica con la vita un soffio che non aveva; così lo Spirito Santo quando prende un’anima per unirsi a lei, le comunica una nuova vita, anzi la sua stessa vita; in una parola, la deifica. Sicut anima, dum assumit et quasi osculatur corpus, ipsum exanime animat et vivificat; sic Spiritus Sanctus gratia osculatur animam, eam vivificat, imo deificat» (In Cant., I). È fuori dubbio che l’unione dello Spirito Santo con l’anima nostra, mediante la grazia,non va fino a formare di Lui e di noi una sola persona. Fatta questa riserva, si può dire che sotto un certo aspetto sia più intima di quella dell’anima nel nostro corpo, « giacché, nota il P. Ramière (Divinisation), questo Spirito divino penetrale facoltà dell’anima nostra meglio di quello che l’anima nostra non penetri le membra del nostro corpo. « E questa unione è soprattutto assai più indissolubile. L’unione dell’anima col corpo è così fragile che si dissolve continuamente. Ad ogni momento perdiamo una qualche parte della nostra sostanza, finché l’intero corpo non ci sia strappato dall’urto irresistibile della morte. Quando lo Spirito Santo si è unito ad un’anima, non vi è sulla terra, né nell’inferno, una forza capace di strappargliela; l’anima solamente ha il potere di distruggere in sé la vita divina col più tremendo dei suicidi ». I Santi Padri, più audaci di noi, o a dir meglio, più veri, affermano che l’unione dello Spirito Santo con l’anima in grazia è così intima, da costituire un vero matrimonio. Non « ospite » solamente, ma « sposo ». E alcuni di essi vanno fino al punto, da chiamare l’anima in grazia: Spirita Sancta, dal femminile di Spirito Santo (1) Vedi lo sviluppo che il P. MESCHLER fa di questa parola: Le Don de la Pentecòte, t. II, p. 139), per dimostrare meglio che l’unione del divino Paraclito e dell’anima senza peccato, è un’unione simile, ma ancora più bella, all’unione dell’uomo e della donna nel Sacramento che dei loro due corpi ne fa uno solo, e delle due anime un’anima sola; un’unione simile, benché non ipostatica, a quella del Verbo con l’Umanità Santa; simile a quella di Gesù Cristo con la Chiesa, unione che il matrimonio cristiano simbolizza. – Si legge nella vita di S. Angela da Foligno che la santa andò un giorno in pellegrinaggio alla tomba di San Francesco d’Assisi. Ed ecco che una voce le risuona all’orecchio: «Tu hai fatto ricorso al mio servo Francesco, ma ti farò ora conoscere un altro appoggio. Io sono lo Spirito Santo che sono venuto a te e voglio darti una gioia che ancora non hai gustata. E io ti accompagnerò, sarò presente in te… ti parlerò sempre… e se tu mi ami, non ti abbandonerò mai. O sposa mia, io ti amo; ho stabilito in te la mia dimora; mi riposo in te; alla tua volta, stabilisciti in me e cerca in me il tuo riposo ». – S. Angela, paragonando i suoi peccati con questi favori straordinari, esitava, credendosi trastullo di un’illusione: « Se foste veramente lo Spirito Santo, ella dice, non potreste dirmi simili cose: esse non sono fatte per me. Ma se foste proprio Voi, la gioia che ne avrei sarebbe così grande che non potrei provarla senza morirne ». E le fu risposto: « Non sono forse padrone dei miei doni? Io ti dò la gioia che voglio, né più né meno ». E la santa termina dicendo: « Io non posso esprimere la gioia che provai, specialmente quando mi disse: io sono lo Spirito Santo che vive interiormente in te ». – Ciò che lo Spirito Santo per un favore speciale rivelava a S. Angela, la Chiesa, col suo dogma, l’insegna a tutti i Cristiani. Lo Spirito Santo vive in noi e ha un solo desiderio, quello di trovare nell’anima nostra la corrispondenza di sentimenti che Egli vuole avere per noi. Da parte sua, l’unione con noi quanto non è intima! – Ma da parte nostra, questa unione con Lui di qual natura è? Siamo dunque senza intelligenza o senza cuore? Quanto si è prodigiosamente incoscienti, o miserabilmente chiusi nell’amore dell’Amore Infinito: come uscire da questo dilemma? Alcune anime, pertanto, più raccolte o più avide d’intimità, intravedono ciò che bisogna ricercare in questa familiarità. Ma ben presto perché conoscono meglio di altre la loro debolezza, esitano, non osano, indietreggiano. Quando lo Spirito Santo si offre per un’unione incomparabile, per un vero matrimonio, esse hanno vergogna di stendere la mano e di dare il loro cuore. Questo non sembra che sia per loro; pare cosa troppo bella. Il loro corpo, polvere di peccato; l’anima loro, ulcus et apostema, secondo la forte espressione di S. Ignazio nella meditazione sul peccato, « un cancro e una ulcera », a ogni modo, una tomba dei benefizi di Dio; e benché animate da un desiderio ardente di unirsi all’Ospite divino, provano un tale sentimento di repulsione, nel riguardo di se stesse, che praticamente rifiutano di credere alla realtà delle offerte divine. – Il noli me tangere di Gesù a Maddalena, risuona al loro orecchio e ricordano il grido di Pietro, vedendo Gesù avanzarsi per lavargli i piedi, o di Elisabetta scorgendo Maria che viene a Lei: « Tu mihi?Voi da me!… Unde hoc… ut veniat? Donde questa maraviglia? ». Non trattasi di sapere se sia cosa troppo bella, ma piuttosto se sia vera o no. Lo Spirito Santo abita realmente, con tutta verità, nell’anima? Desidera unirsi con essa? Sì; questo è oggettivamente vero. Non potrei opporre nulla contro questo fatto. Sono libero di credere che questo fatto è straordinario, incomprensibile, e inaudito; ma ancora una volta, se è vero, bisogna ch’io mi inchini. Ora il fatto è vero e s’impone. Lo straordinario, l’incomprensibile, l’inaudito sarebbe che io non provassi di compenetrarmi di questa presenza di persuadermene e di viverne. « Per quanto grandi siano le grazie che portiamo in noi, scrive l’Olier (Vie de M. Olier, 1818, Lebel, Versailles p. 498-499), restiamo sempre gli stessi vasi di argilla, il misero nulla e nient’altro: habemus thesaurum istum in vasi fictilibus. Le specie del pane e del vino, nel SS. Sacramento, non hanno ragione di gloriarsi delle grazie che racchiudono, e dei beni che la S.Eucaristia opera nelle anime, giacché esse non ne sono la causa, ma solamente leggere e fragili scorze, benché siano così vicine alla divinità. Lo stesso avviene alle anime più sante e più ripiene di Spirito Santo: sono come bucce che in pochissimo tempo si guastano e si corrompono. E come il corpo e il sangue di Nostro Signore finisce di essere presente, sotto le specie, quando queste sono corrotte; così alla prima corruzione e impurità, lo Spirito Santo si allontana, lasciando questi poveri vasi nella loro corruzione. – Da ciò può dedursi se un’anima abbia ragione d’inorgoglirsi e di credersi più di quello che era prima, per il solo fatto di ricevere grazie così preziose, come i Sacramenti, di portare in se stessa Nostro Signore, come le specie del pane e del vino, ovvero lo Spirito Santo, come l’olio consacrato e il balsamo nella Cresima. – Non deve invece temere che Nostro Signore, non trovandola abbastanza pura per dimorare in essa, si ritiri? ». – E giacché abbiamo accennato alla Comunione, la presenza del divino Spirito — e di tutta la Trinità — nelle nostre anime, è forse più incomprensibile, più straordinaria e inaudita della presenza eucaristica? Che matrimonio meraviglioso — gli autori usano spesso questa parola, per parlare dell’unione dell’anima con Gesù Cristo, nella divina Comunione, — non è quello del Cristiano alla Sacra Mensa, con Gesù che scende nel cuore! – E se la presenza eucaristica non urta, non ci fa indietreggiare, perché dovremmo fermarci alla presenza che risulta dall’essere in grazia? In un dato senso, questa non è meno prodigiosa dell’altra, o meglio, presenta questa superiorità, di non essere ostacolata, dopo gli altri misteri, dal mistero di un Dio che si è fatto uomo e pane. – Procedendo oltre, San Bernardo all’obiezione netta: « Io non oserò mai entrare in una simile familiarità… Dio in me… Non è possibile!…» — risponde: « Quello che vi trattiene è il rispetto, reverentia; e nella parola rispetto (vereor), è compresa l’idea di timore. Voi dimenticate che amare, significa amare e non venerare. Temere, meravigliarsi, ammirare, ecco in che consiste venerare; ma ciò non ha nulla da fare con l’amare. Dove c’è l’amore, ogni altro sentimento sparisce. Colui che ama, ama. Ama e nient’altro. Sposo con sposa. Or qui, lo Spirito Santo non è lo sposo dell’anima, qualcuno che ama, senz’altro; molto meglio, lo stesso Amore? « Dio, come Dio, esige il timore; come Padre vuole essere onorato; come Sposo vuole essere amato… Quando Dio ama, non vuole altro che essere amato… È fuori dubbio che nell’amore vi sono diversi gradi: Sposa è il grado più elevato. Non vi è nulla al disopra.« Ora, l’unione dello Spirito Santo con l’anima è un’unione di quest’ordine, spinta al più alto grado: unione non di due carni in una,ma di due spiriti in uno solo, secondo l’espressione energica di S.Paolo: Qui adhæret Deo unus spiritus est » (S. BERNARDO: In cantic, S. LXXXIII.).E siccome l’anima si nasconde nella sua umiltà e si rifiuta dicendo: « Io non potrò mai amare abbastanza. Come lottare col gigante? Come amare nella misura in cui sono amata?Dovrò rinunziare all’impresa? » — « No, risponde; senza dubbio la creatura ama meno. Purché ami senza riserve. Manca forse qualcosa là dove si dà tutto? » (Ib. Ibid.).S.Giovanni della Croce compie la spiegazione, dandone la ragione ultima e la più profonda: l’anima può giungere ad amare molto, perché in essa è l’amore che ama (Si è già vista sopra la spiegazione del testo di S. Paolo: « In noi il solo che può gridare: Padre, è lo Spirito del Padre ». Qui vale lo stesso ragionamento.). Ecco quindi la proporzione, l’equivalenza voluta e supposta impossibile. Se l’anima non fosse fortificata, raddoppiata, centuplicata nella sua facoltà di amare, l’equazione necessaria non si stabilirebbe; ma tutto si spiega se l’amore col quale noi amiamo è lo stesso amore di Dio. Ora accade proprio così, e S. Fulgenzio lo dice assai bene: « Per amare Dio, il cuore dell’uomo non basta; bisogna avere il cuore di un Dio. Che cosa significa questo? Possiamo dunque amare Dio col cuore di Dio? Sì, perché la carità di Dio è sparsa nei nostri cuori dallo Spirito Santo che « ci fu donato » e noi possiamo amare Dio solamente per mezzo dello Spirito Santo; non ho ragione di dirvi quindi: Amiamo Dio col cuore di Dio? » (S. GIOVANNI DELLA CROCE: La notte oscura dell’Anima, L. II, C. XIII).

CAPO IV.

Con tutta la Santa Trinità.

La devozione al Padre, la devozione al Figlio, la devozione allo Spirito Santo, presenti in noi per la grazia, possono considerarsi sotto aspetti molteplici, secondo le ispirazioni soprannaturali e le inclinazioni diverse delle anime. Da ciò deriva l’originalità molto varia, nei giusti, che taceva esclamare Davide: « Mirabilis Deus in sanctis suis, Dio è mirabile in coloro, in mezzo ai quali abita». (Ps. LXVII, 36). Invece di fermarsi alla considerazione della presenza in noi dell’una o dell’altra delle divine Persone, ovvero dell’aspetto particolare dell’una delle tre presenze, alcuni preferiscono considerare la Santa Trinità nel suo complesso.« Il Cristo, vero Dio e vero uomo, vero uomo quanto è vero Dio, generato dal Padre negli splendori dell’Eternità, ci ha generato, in qualche modo, sul Calvario. Divenuto in virtù del suo sacrificio capo di tutta l’umanità, ci rende partecipi della vita divina che Egli ha ricevuto dal Padre. « Egli innesta sopra la nostra vita naturale la sua stessa vita e ci comunica il suo essere divino.Mentre abita realmente in noi, è necessariamente inseparabile dal Padre e dallo Spirito Santo.« Il Padre, in noi, genera il Figliuolo, e lo Spirito divino procede dal Padre e dal Figliuolo. L’intero mistero, tutte le operazioni, lutto l’amore e la beatitudine della Santissima Trinità si compiono e dimorano in noi.

« Sono queste le realtà sublimi dello stato di grazia… » (Paolina Reynolds, t. II, cap. III, § 4). – Il P. Lessio, autore del bellissimo libro: I nomi divini, è fra coloro che più studiarono la Trinità adorabile, e sappiamo che la sua devozione personale amava di considerare Dio vivente e presente nell’anima sua: « Signore, ve ne prego, diceva, attirate il mio cuore a voi nell’interno dell’anima mia. Qui, lontano dagli strepiti del mondo e dalle preoccupazioni che accasciano, dimorerò vicino a voi, per godere di voi, per amarvi, venerarvi e intendere la vostra voce. Qui vi racconterò le tristezze della mia vita d’esilio; qui, vicino a voi, troverò le consolazioni necessarie! Fate che io non dimentichi mai la vostra presenza in me, Voi che siete luce e dolcezza dell’anima mia! Che io non vi dimentichi mai, ma che sempre e dappertutto lo sguardo dell’anima mia vi incontri ». – Le Memorie della Carmelitana di Digione, suor Elisabetta della Trinità, sono un’esposizione continua di quello che può — o che dovrebbe essere — in noi la devozione ai « Tre ». Le abbiamo già citate abbastanza, perché ognuno possa convincersene, qui ci contenteremo di dare due tratti della sua preghiera favorita. Nulla di più dogmatico e più lirico, e ad un tempo, di più esalto e più elevato: « O mio Dio, Trinità che io adoro, aiutatemi a dimenticare interamente me stessa, per stabilirmi in Voi, immobile e pacifica, come se già l’anima mia fosse nell’eternità! Nulla turbi la mia pace, né mi faccia uscire di Voi, o mio Immutabile, ma ogni minuto mi trasporti più lontano, nell’abisso del vostro Mistero. « Rappacificate l’anima mia, fatene il vostro cielo, la vostra dimora amata e il luogo del vostro riposo; che io non vi lasci mai solo, ma sia là tutta quanta, svegliatissima nella mia fede, in profonda adorazione, interamente abbandonata alla vostra azione creatrice ». – Questo è il principio, ma ecco la fine: « O mie Tre Persone, mio Tutto, mia Beatitudine, Solitudine infinita, Immensità in cui mi perdo, io mi abbandono a Voi come una preda; seppellitevi in me, affinché io mi seppellisca in Voi, aspettando il giorno di contemplare, nella vostra luce, l’abisso delle vostre grandezze » (21 novembre 1904). Sarebbe un errore credere che occorra essere una religiosa, insignita di favori straordinari, o un dotto provvisto d’una scienza teologica prodigiosa per pregare a questo modo. Chiunque abbia compreso la vera natura dello stato di grazia, può avere la devozione ai «Tre», viventi in noi. Non è punto una devozione fuori posto, riservata a pochi. Il dogma e l’uso del dogma è per tutti. –  Pietro Poyet lavora alla rue des Postes. È uno studente come tanti altri, ma molto legato alla sua fede. Prende occasione della preghiera ordinaria che si recita al mattino per rientrare in se stesso, e trovarvi gli Ospiti divini dell’anima: « Mettiamoci alla presenza di Dio e adoriamolo ». Dove mai Dio è più presente che nel suo cuore, nel cuore del giovine che vive in grazia? Tutta la spiritualità dei suoi vent’anni riluce intorno a questa grande idea: l’Abitazione della Trinità nelle anime nostre. A un compagno di scuola scrive un giorno: « Dio è in te al posto che deve occupare? ». Nel suo programma di vita intima, inserisce questo proponimento: «Avere l’anima tormentata dalla magia dell’assenza divina. Temere il peccato più di ogni cosa, perché caccia Dio dal nostro cuore. Ricercare soprattutto lo stato di grazia perché mette e mantiene Dio in noi ad ogni minuto » (Cfr. Notice, dell’abate Rouzic). – Chi non può imitare — o almeno studiarsi d’imitare — questo studente, e vivere d’un simile desiderio e d’una simile fede? – È certo che, inclinati come siamo alla materia, occorrerà più d’uno sforzo — e lo diremo fra non molto —. « Il poco essere che abbiamo — secondo una frase profonda di Pascal — ci nasconde la vista dell’infinito ». Ma dal momento in cui abbiamo visto e compreso chiaramente tutto quello che portiamo «dentro di noi», non dovrebbe nascere nell’anima l’ambizione di acquistare a qualsiasi prezzo l’evidenza di quelle cose che non si vedono, di non passare accanto alla più grande meraviglia senza scorgerla, o di non possederla senza viverne? – In questa nostra opera abbiamo omesso, a bello studio, le questioni controverse o troppo sottili, utili a discutersi nelle scuole, ma che servono poco a chi se ne sta a pregare e a chi cerca la vita interiore. Vogliamo solamente accennare a due punti per prevenire una difficoltà e rispondere a un quesito. Nel mistero della nostra santificazione, lo Spirito Santo esercita forse un ufficio particolare che non esercitano con Lui, allo stesso grado, il Padre ed il Figliuolo? Secondo alcuni autori che si fondano sopra una tradizione molto rispettabile, dovuta specialmente ai Padri Greci, fra i quali primeggia S. Cirillo Alessandrino, il Padre ed il Verbo sarebbero in noi mediante lo Spirito Santo. Vi sarebbero due stadi, non nell’ordine cronologico, ma solo nell’ordine logico, e come suol dirsi, della causalità formale. Il divino Spirito, col Battesimo, prenderebbe possesso dell’anima nostra; primo stadio. In virtù del privilegio della circuminsessione, per la quale il Padre ed il Verbo sono là dove è lo Spirito, subito dopo la venuta dello Spirito Santo, il Padre ed il Verbo diventerebbero ugualmente presenti. – Questo è il primo quesito, d’ordine piuttosto storico; ma ecco il secondo di ordine piuttosto filosofico: In qual modo esattamente si effettua l’unione di Dio con noi, e la nostra con Dio? Noi diciamo: Dio è presente, abita, vive in noi. Il fatto è assolutamente certo; è un dogma. Ma il modo? Quale spiegazione si dà del « modo »?Colui che ha spinto più lontano lo studio del « modo. », a nostra conoscenza, è il P. Jovene, nel suo trattato De vita deiformi. Lo si legge nella speranza di trovare un punto che soddisfi, si percorrono le pagine con avidità; ma giunti al termine si rimane delusi. Abitazione, presenza, possesso, vita intima, familiarità tutto questo ridotto ad alcune spiegazioni troppo smilze, ad alcune formole che sembrano troppo brevi. Ma si avrebbe torto a meravigliarsene. Il « come » della mia « deiformazione », della mia « deificazione », mi sfugge. Non capisco nulla, ovvero non capisco tutto… Se si riflette bene, che cosa vi è in ciò di strano? Non è invece naturale? Se io arrivassi a capire, sarebbe questo un fatto meraviglioso? Non siamo forse avvezzi a ignorare molti « come » dell’opera di Dio? Quello che conosco, non è già sufficiente per riempirmi d’ammirazione e, se lo voglio, per santificarmi più di quello, a cui i miei buoni desideri non giungono? E poi, forse che le difficoltà non sono identiche, in simili materie? Consideriamo l’Eucaristia. Si ha forse una luce maggiore sul modo in cui si opera la transubstanziazione? E sarò più avanti — sotto l’aspetto della mia devozione, s’intende — dopo lo studio dei differenti sistemi: adduzione, riproduzione, semplice conversione, ecc.? E tuttavia, nulla è più certo del fatto. – Dirà qualcuno che nell’idea della nostra « deificazione » si può eccedere, oltrepassare la misura, cadere nell’errore. No, perché abbiamo dei capisaldi. Io so che debbo escludere qualsiasi concetto panteistico: Dio rimane Dio, e io rimango io. So che la mia unione con Dio non è ipostatica, cioè della stessa natura dell’unione del Verbo con l’Umanità del Salvatore. Pure ammessi questi limiti, il dogma della vita di Dio in noi, mediante la grazia, resta sempre bello e consolante.

https://www.exsurgatdeus.org/2019/12/31/dio-in-noi-7/

SALMI BIBLICI: “ATTENDITE, POPULE MEUS, LEGEM MEAM”(LXXVII)

SALMO 77: “ATTENDITE, POPOLE MEUS, LEGEM MEAM”

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS.

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

[Canonico titolare della Chiesa di Soissons, Professore emerito di Scrittura santa e sacra Eloquenza]

TOME DEUXIÈME.

PARIS – LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR 13, RUE DELAMMIE, 1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

Salmo 77

[1] Intellectus Asaph.

    Attendite, popule meus, legem meam;

inclinate aurem vestram in verba oris mei.

[2] Aperiam in parabolis os meum; loquar propositiones ab initio;

[3] quanta audivimus et cognovimus ea, et patres nostri narraverunt nobis.

[4] Non sunt occultata a filiis eorum in generatione altera, narrantes laudes Domini et virtutes ejus, et mirabilia ejus quæ fecit.

[5] Et suscitavit testimonium in Jacob, et legem posuit in Israel, quanta mandavit patribus nostris nota facere ea filiis suis:

[6] ut cognoscat generatio altera; filii qui nascentur et exsurgent, et narrabunt filiis suis,

[7] ut ponant in Deo spem suam, et non obliviscantur operum Dei, et mandata ejus exquirant;

[8] ne fiant, sicut patres eorum, generatio prava et exasperans; generatio quae non direxit cor suum, et non est creditus cum Deo spiritus ejus.

[9] Filii Ephrem, intendentes et mittentes arcum, conversi sunt in die belli.

[10] Non custodierunt testamentum Dei, et in lege ejus noluerunt ambulare.

[11] Et obliti sunt benefactorum ejus, et mirabilium ejus quæ ostendit eis.

[12] Coram patribus eorum fecit mirabilia in terra Ægypti, in campo Taneos.

[13] Interrupit mare, et perduxit eos; et statuit aquas quasi in utre,

[14] et deduxit eos in nube diei, et tota nocte in illuminatione ignis.

[15] Interrupit petram in eremo, et adaquavit eos velut in abysso multa.

[16] Et eduxit aquam de petra, et deduxit tamquam flumina aquas.

[17] Et apposuerunt adhuc peccare ei; in iram excitaverunt Excelsum in inaquoso.

[18] Et tentaverunt Deum in cordibus suis, ut peterent escas animabus suis.

[19] Et male locuti sunt de Deo; dixerunt: Numquid poterit Deus parare mensam in deserto?

[20] quoniam percussit petram, et fluxerunt aquae, et torrentes inundaverunt. Numquid et panem poterit dare, aut parare mensam populo suo?

[21] Ideo audivit Dominus et distulit; et ignis accensus est in Jacob, et ira ascendit in Israel;

[22] quia non crediderunt in Deo, nec speraverunt in salutari ejus.

[23] Et mandavit nubibus desuper, et januas cæli aperuit.

[24] Et pluit illis manna ad manducandum, et panem cæli dedit eis.

[25] Panem angelorum manducavit homo; cibaria misit eis in abundantia.

[26] Transtulit austrum de cælo, et induxit in virtute sua africum.

[27] Et pluit super eos sicut pulverem carnes, et sicut arenam maris volatilia pennata.

[28] Et ceciderunt in medio castrorum eorum, circa tabernacula eorum.

[29] Et manducaverunt, et saturati sunt nimis; et desiderium eorum attulit eis;

[30] non sunt fraudati a desiderio suo. Adhuc escæ eorum erant in ore ipsorum;

[31] et ira Dei ascendit super eos; et occidit pingues eorum, et electos Israel impedivit.

[32] In omnibus his peccaverunt adhuc, et non crediderunt in mirabilibus ejus.

[33] Et defecerunt in vanitate dies eorum, et anni eorum cum festinatione.

[34] Cum occideret eos, quærebant eum et revertebantur, et diluculo veniebant ad eum.

[35] Et rememorati sunt quia Deus adjutor est eorum, et Deus excelsus redemptor eorum est.

[36] Et dilexerunt eum in ore suo, et lingua sua mentiti sunt ei;

[37] cor autem eorum non erat rectum cum eo, nec fideles habiti sunt in testamento ejus.

[38] Ipse autem est misericors, et propitius fiet peccatis eorum et non disperdet eos. Et abundavit ut averteret iram suam, et non accendit omnem iram suam.

[39] Et recordatus est quia caro sunt, spiritus vadens et non rediens.

[40] Quoties exacerbaverunt eum in deserto, in iram concitaverunt eum in inaquoso?

[41] Et conversi sunt, et tentaverunt Deum, et sanctum Israel exacerbaverunt.

[42] Non sunt recordati manus ejus, die qua redemit eos de manu tribulantis;

[43] sicut posuit in Ægypto signa sua, et prodigia sua in campo Taneos;

[44] et convertit in sanguinem flumina eorum, et imbres eorum, ne biberent.

[45] Misit in eos cænomyiam, et comedit eos, et ranam, et disperdidit eos;

[46] et dedit ærugini fructus eorum, et labores eorum locustæ;

[47] et occidit in grandine vineas eorum, et moros eorum in pruina;

[48] et tradidit grandini jumenta eorum, et possessionem eorum igni;

[49] misit in eos iram indignationis suae, indignationem, et iram, et tribulationem, immissiones per angelos malos;

[50] viam fecit semitæ iræ suæ, non pepercit a morte animabus eorum, et jumenta eorum in morte conclusit;

[51] et percussit omne primogenitum in terra Ægypti, primitias omnis laboris eorum in tabernaculis Cham;

[52] et abstulit sicut oves populum suum, et perduxit eos tamquam gregem in deserto;

[53] et deduxit eos in spe, et non timuerunt, et inimicos eorum operuit mare.

[54] Et induxit eos in montem sanctificationis suae, montem quem acquisivit dextera ejus; et ejecit a facie eorum gentes, et sorte divisit eis terram in funiculo distributionis;

[55] et habitare fecit in tabernaculis eorum tribus Israel.

[56] Et tentaverunt, et exacerbaverunt Deum excelsum, et testimonia ejus non custodierunt.

[57] Et averterunt se, et non servaverunt pactum, quemadmodum patres eorum, conversi sunt in arcum pravum.

[58] In iram concitaverunt eum in collibus suis, et in sculptilibus suis ad aemulationem eum provocaverunt.

[59] Audivit Deus, et sprevit, et ad nihilum redegit valde Israel.

[60] Et repulit tabernaculum Silo, tabernaculum suum, ubi habitavit in hominibus.

[61] Et tradidit in captivitatem virtutem eorum, et pulchritudinem eorum in manus inimici.

[62] Et conclusit in gladio populum suum, et hæreditatem suam sprevit.

[63] Juvenes eorum comedit ignis, et virgines eorum non sunt lamentatæ.

[64] Sacerdotes eorum in gladio ceciderunt, et viduæ eorum non plorabantur.

[65] Et excitatus est tamquam dormiens Dominus, tamquam potens crapulatus a vino.

[66] Et percussit inimicos suos in posteriora, opprobrium sempiternum dedit illis.

[67] Et repulit tabernaculum Joseph, et tribum Ephraim non elegit.

[68] Sed elegit tribum Juda, montem Sion, quem dilexit.

[69] Et aedificavit sicut unicornium sanctificium suum, in terra quam fundavit in saecula.

[70] Et elegit David, servum suum, et sustulit eum de gregibus ovium; de post foetantes accepit eum:

[71] pascere Jacob, servum suum, et Israel, hæreditatem suam.

[72] Et pavit eos in innocentia cordis sui, et in intellectibus manuum suarum deduxit eos.

[Vecchio Testamento Secondo la Volgata Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

SALMO LXXVII

Il titolo significa la difficoltà del Salmo. L’argomento e storico. Davide ricorda  i benefìcii di Dio e l’ingratitudine degli antichi Israeliti, perciò castigati, e quindi da non imitarsi. Adombra anche il regno di Cristo, che fini l’antico Testamento e stabilì il nuovo, tanto migliore. Il titolo adunque ammaestra Asaph d’intendere esso e far intendere agli altri, adoperando parabole (v. 2), i misteri di questo regno.

Istruzione, ovvero intelligenza di Asaph.

1. Ascolta, popolo mio, la mia legge; porgi le tue orecchie alle parole della mia bocca.

2. Aprirò in parabole la mia bocca; dirò cose recondite de’ primi tempi,

3. Le quali furono da noi udite e intese, e a noi le narrarono i padri nostri.

4. E questi non le tenner ascose a’ loro figliuoli e alla seguente generazione, narrando le lodi del Signore, e le opere potenti e le meraviglie fatte da lui.

5. Nel popolo di Giacobbe egli stabili i suoi comandamenti, e ad Israele diede la legge;

6. Le quali cose comandò egli a’ padri che facessero sapere a’ loro figliuoli, affinché la seguente generazione le sappia. E i figliuoli, che nasceranno e verranno alla luce, le racconteranno a’ propri figliuoli,

7. Affinché questi in Dio pongano la loro speranza, e non si scordino delle opere di Dio, e custodiscano i suoi comandamenti.

8. Affinché non siano quali i padri loro, generazione prava e ribelle; Generazione, che non ebbe cuore retto, e della quale lo spirito non fu fisso in Dio.

9. i figliuoli di Ephrem, periti nel tendere e scoccar l’arco, nel giorno della battaglia voltaron le spalle.

10. Non custodirono l’alleanza di Dio, e non vollero camminare nella sua legge.

11. E si scordarono dei suoi benefizi e delle cose mirabili, che egli avea lor fatte vedere.

12. Dinanzi a’ padri loro fece egli cose mirabili nella terra d’Egitto, nella campagna di Tanis.

13. Divise il mare, e portogli a riva; e chiuse le acque quasi in un otre.

14. E li guidò il giorno per mezzo di una nuvola, e tutta la notte col chiarore del fuoco.

L5. Spaccò nel deserto la rupe, e diede loro delle acque, quasi fossero presso una profonda fiumana.

16. Imperocché egli le acque fe’ uscir dalla pietra, e le acque fe’ scorrer a guisa di fiumi.

17. Ma eglino non rifinirono di peccare contro di lui: ad ira mossero l’Altissimo in quel secco deserto.

18. E ne’ cuori loro tentarono Dio, chiedendo cibo a sostenere le loro vite.

19. E parlaron male di Dio, e dissero: Potrà egli forse Dio imbandirci una mensa in un deserto?

20. Perché egli ha battuta la pietra, e ne sono sgorgate acque, e ne sono sboccati tonanti, potrà egli forse dare anche del pane, o imbandire una mensa al suo popolo?

21. Udì adunque il Signore, e differì il soccorso; e un fuoco si accese contro Giacobbe, e montò l’ira contro Israele.

22. Perché eglino non credettero a Dio, e non sperarono la salute da lui.

23. Or egli fu che diede ordine alle altenuvole, e aperse le porte del cielo,

24. E piovve ad essi per cibo la manna, e diede loro pane del cielo.

25. Mangiò l’uomo il pane degli Angeli; ei mandò loro in abbondanza onde cibarsi.

26. Rimosse dal cielo l’Austro, e con la sua potenza vi menò l’Africo.

27. E fece piovere sopra di essi le carni, come la polvere; e come le arene del mare, uccelli alati.

28. E caddero in mezzo ai loro alloggi:, intorno a’ lor padiglioni.

29. E ne mangiarono, e si satollarono oltre il bisogno; ed egli soddisfece a’ lor desiderii, ed ebbero tutto quel che bramavano.

30. Avevan tuttora in bocca le loro vivande, quando l’ira di Dio piombò sopra di essi.

31. E i più grassi ne uccise, e prostrò il fiore d’Israele.

32. Con tutto questo peccarono tuttavia, e non prestaron fede alle sue meraviglie.

33. E i giorni loro qual fumo sparirono, e i loro anni con fretta.

34. Lo cercavano quando ei gli uccideva, e a lui si volgevano, e con sollecitudine andavano a lui.

35. E si ricordavano che Dio è loro aiuto, e l’altissimo Dio è il loro Redentore.

36. E lo amarono a parole, e con la lor lingua dissero a lui cose false;

37. Ma il cuor loro verso di lui non era retto, nò furon fedeli alla sua alleanza.

38. Egli però e misericordioso, e perdonava loro i peccati, e non gli sterminava.

E l’ira sua molte e molte volte rattenne, e non die fuoco a lutto il suo sdegno;

39. E ricurdossi ch’e’sono carne: un soffio, che passa e non ritorna

40. Quante volte lo esacerbarono nel deserto? lo provocarono ad ira in quegli aridi luoghi?

41. Ed e’ tornavano a tentare Dio, ed esacerbarono il Santo d’Israele.

42. Non tenner memoria di quel ch’ ei fece in quel di, in cui li riscattò dalle mani dell’oppressore;

43. E come egli fe’ vedere i suoi segni nell’Egitto, e i suoi prodigi nella campagna di Tanis.

44. E mutò in sangue i loro fiumi e le loro acque affinché non avesser da bere.

45. Mandò loro delle mosche, che li mangiavano, e delle ranocchie che li disertavano.

46. E i loro frutti die in preda alla ruggine, e le loro fatiche alle locuste.

47. E uccise colla grandine le loro viti, e i loro mori colla brinata.

48. E alla grandine diede in preda i lor giumenti, e al fuoco le lor possessioni.

49. Mandò sopra di loro l’ira e l’indignazione sua, l’indignazione e l’ira e la tribolazione mandate per mezzo de’ cattivi angeli.

50. Larga strada aprì all’ira sua, non risparmiò loro la morte, e nella stessa morte involse i loro giumenti.

51. E percosse tutti i primogeniti nel territorio dell’Egitto, le primizie delle loro fatiche nei padiglioni di Cham.

52. E ne trasse il suo popolo come pecore, e come una greggia li guidò nel deserto.

53. E fuor li condusse speranzosi, e non ebber di che temere; e il mare seppellì i loro nemici.

54. E li condusse al monte di santificazione, monte cui egli col braccio suo acquistò. E dalla faccia loro discacciò le nazioni, e distribuì loro a sorte la terra misurata con le corde.

55. E i tabernacoli di quelle nazioni diede in abitazione alle tribù d’Israele.

56. Ma eglino tentarono ed esacerbarono l’altissimo Iddio, e non custodirono i suoi comandamenti.

57. E volsero a lui le spalle, e non osservarono il patto; si mutarono in arco fallace, come già i padri loro.

58. Lui mossero ad ira su’ loro colli, e con gli idoli scolpiti da loro provocarono lo zelo di lui.

59. Udigli Iddio, e disprezzò e umiliò altamente Israele.

60. E rigettò il tabernacolo di Silo, il suo tabernacolo dove fe’sua dimora tra gli uomini.

61. E la loro fortezza diede alla schiavitù, e la loro gloria nelle mani dei nemici.

62. E chiuse il popol suo tra le spade, e disprezzò la sua propria eredità.

63. La loro gioventù fu divorata dal fuoco, e le loro vergini non furon piante.

64. I loro sacerdoti periron di spada, e non si piangevano le loro vedove.

65. Ma il Signore si risvegliò come un che dormiva, come un uom valoroso dopo aver bevuto assai bene del vino.

66. E percosse i suoi nemici alle spalle, e di sempiterna ignominia li ricoperse.

67. E rigettò il tabernacolo di Giuseppe, e non elesse la tribù di Ephraim.

68. Ma elesse la tribù di Giuda, il monte di Sion, cui egli amò.

69. Ed edificò come il corno del monoceronte il santuario sopra la terra fondata da lui pei secoli.

70. Ed elesse David suo servo, e dalla greggia delle pecorelle lo prese; dalla cura delle gravide pecorelle lo tolse.

71. Per pascere Giacobbe suo servo, ed Israele suo retaggio.

72. Ed ei gli ha pasciuti, secondo l’innocenza del suo cuore; e secondo la perizia delle sue mani gli ha condotti.

Sommario analitico

Questo salmo didattico è una storia dei benefici di Dio nei riguardi del popolo giudeo, delle infedeltà di questo popolo e dei castighi che ne furono la conseguenza. Questa storia è proposta come istruzione per i popoli cristiani. I versetti 9, 41, 60, 67, 69, proverebbero che questo salmo sia posteriore allo scisma ed anche alla cattività delle dieci tribù.

I. – Il Profeta, prima di intraprendere la recita di questa storia,

1° Eccita l’attenzione dei suoi uditori in ragione del linguaggio che sta per utilizzare (1, 2);

2° propone delle cose che sta per trattare, le riporta dai suoi padri ed esse devono essere comunicate ai loro discendenti (3, 4);

3° aggiunge delle raccomandazioni – a) sulla conoscenza della volontà e della legge divina che deve essere trasmessa alla posterità più remota (5, 6); – b) sulla speranza che essi devono riporre in Dio, col ricordo dei suoi benefici e l’obbedienza dovuta ai suoi comandamenti (7, 8); – c) sulla indocilità e la ribellione dei loro ancestri, che essi non devono imitare (9);

4° conferma queste raccomandazioni ricordando sommariamente il castigo degli Israeliti, come punizione per la trasgressione della legge di Dio e dell’oblio dei suoi benefici (10, 11):

II. – Narrazione storica degli avvenimenti accaduti agli Ebrei nel loro viaggio verso la terra promessa. Il profeta oppone costantemente alle verità di Dio i peccati dei Giudei:

1° Le opere della potenza divina essendo: – a) i miracoli operati in Egitto, ed in particolare nella piana di Tanès (12); – b) il mare che divide le proprie acque aprendo loro un cammino (13), – c) la colonna di volta in volta di nube e di fuoco che guidava la loro marcia (14); – d) l’acqua zampillante con abbondanza dalla roccia (15, 16). – A queste opere, gli Israeliti opposero: – a) una malvagità reiterata che irritò la collera dell’Altissimo (17); – b) la tentazione di Dio, al Quale chiedevano un nutrimento più squisito (18); – c) un dubbio blasfemo sulla potenza di Dio (19, 20); – d) l’assenza di fede e di speranza che rinnegava la bontà di Dio eccitando la sua collera (21, 22).

2° Le opere della liberalità divina erano – a) la manna, nutrimento celeste preparato dagli angeli (23-25); – b) le carni e gli uccelli che Dio fece piovere in mezzo a loro come la polvere (26-28). – A queste opere i Giudei opponevano – a) una voracità smoderata; – b) una insaziabile lussuria (29, 30).

3° Le opere della giustizia divina erano – a) la morte istantanea che venne a colpire gli Israeliti sensuali; – b) l’indebolimento delle loro forze (30, 31). – A queste opere i Giudei opponevano – a) i peccati di ipocrisia, un’apparenza di conversione estorta per il timore; – b) la promessa di cambiare vita, non seguita da alcun effetto (32-37)  

4° Le opere della divina misericordia essendo – a) la propensione al loro perdono e la moderazione della sua giusta indignazione (38); – b) la commiserazione per la fragilità e l’incostanza naturale all’uomo (39). A queste opere i Giudei opponevano – a) una ingratitudine nera, delle frequenti ricadute che irritavano Dio (39); – b) l’oblio di tutti prodigi che Egli aveva operato per liberarli (40-42).

III. – Il Profeta espone in seguito:

1° Le piaghe con cui Dio colpì gli Egiziani (43-51);

2° i benefici dei quali ricolmò gli Israeliti: – a) la loro uscita dall’Egitto e la marcia miracolosa attraverso il deserto, senza che essi abbiano avuto alcun timore degli Egiziani che li inseguivano (52, 54); – b) la loro introduzione nella terra promessa, che divise loro in tribù, dopo averne cacciato i precedenti abitanti (54, 55).

IV. – Egli continua la recita degli avvenimenti che seguirono l’entrata degli Israeliti nella terra promessa:

1° La malizia dei Giudei: – a) essi tentano nuovamente Dio, lo irritano, violano la sua legge (56); – b) la loro malizia si accrebbe fino a rompere l’alleanza con Dio, fino a ritirarsi da Lui (57); – c) essa giunge alla aperta idolatria (58)

2° La vendetta eclatante di Dio contro il suo popolo ingrato: – a) Dio concepisce un profondo disprezzo per questo popolo (59); – b) si decide a lasciare l’arca dell’alleanza e a metterli nelle mani dei Filistei (60, 61); – c) libera tutto l’intero popolo dalla spada del nemico; i loro giovani, le loro vergini, i loro preti, cadono senza che si versi una lacrima sulla loro sorte (62-64);

3° Il ritorno di Dio a sentimenti di misericordia: – a) la sua vendetta si volge contro i Filistei, colpiti da una piaga vergognosa (65, 66); – b) trasferisce da Silo e dalla tribù di Efraim l’arca sulla montagna di Sion e nella tribù di Giuda, dove ha fatto costruire un tempio degno di Lui (67, 69); – c) scelse Davide che allontanò dalla guardia delle greggi, per porlo sul trono e farne un re secondo il suo cuore (70, 72). 

Spiegazioni e Considerazioni

I. — 1-11.

ff. 1, 2. – « O popolo mio, poni attenzione alla mia legge ». Con una locuzione che frequentemente si incontra nelle scritture, il Profeta dice: « Prestate attenzione », e non « presta attenzione », perché un popolo è composto da un gran numero di uomini, ed è a questo gran numero che il Profeta parla ancora al plurale con la frase seguente: « Inclinate l’orecchio alle parole della mia bocca ». Presta una pia attenzione alla legge di Dio ed alle parole della sua bocca, colui al quale l’umiltà fa inclinare l’orecchio, lungi dall’orgoglio che fa drizzare il capo. In effetti ciò che è versato è ricevuto nel cavo dell’umiltà, e respinto dal tumore dell’orgoglio (S. Agost.). – « Io aprirò la mia bocca per parlarvi in parabole ». Chi non sarebbe distolto dal suo sonno da queste parole? Chi oserebbe scorrere, con rapida lettura, con chiarezza manifesta, delle parabole e dei problemi il cui nome solo indica che occorre uno studio profondo, poiché in effetti le parabole non presentano, sotto forma di comparazione, che l’esterno del suo soggetto? (S. Agost.). – La parabola non presenta, sotto forma di comparazione, se non l’esterno del suo soggetto? (S. Agost.). – La gloria di Dio è nel velare la sua parola, affinché essa sia nascosta ai profani ed ai superbi e non sia rivelata che agli umili. Egli la vela ancora infine per coloro che la riveriscono con più rispetto apprendendo ad esercitare la loro fede, con ‘oscurità stessa che vi riscontrano, nutrendosi, dice Sant’Agostino di ciò che è loro conosciuto, ed adorando ciò che non possono comprendere (Duguet).

ff. 3, 4. – « Quante cose abbiamo ascoltato e conosciuto e che i nostri padri ci hanno raccontato! » Innanzitutto era il Signore che parlava; perché dunque un uomo prende qui tutto ad un tratto la parola? È ciò che Dio vuole da questo istante, parlare per il ministero di un uomo. Dio ha innanzitutto voluto parlare a suo nome, per timore che mettesse le sue parole nella bocca di un uomo, e non fosse disprezzato, perché uomo; Egli si serve ora dell’uomo per manifestare le sue volontà, sia in effetti come l’Angelo può servirsi dell’aria, dei venti, del mare, del fuoco e di ogni altro agente naturale o di una apparenza corporea; se l’uomo, per indicare i segreti del pensiero, impiega il suo viso, la sua lingua, la sua mano, una penna, delle lettere ed ogni altro segno esteriore; se infine, qualunque uomo sia, ha il potere di inviare altri uomini come messaggeri e dire ad uno di essi: va, ed egli va; e ad un altro: vieni ed egli viene, ed al suo servitore: fai così, ed egli lo fa (Luc. VII, 8), con quanta più potenza ed efficacia Dio, al quale tutte le cose sono sottomesse come al loro Signore, può servirsi dell’Angelo e dell’uomo per annunciare ciò che gli piace. Così, benché sia un uomo che dica: « quali cose abbiamo ascoltato » tuttavia ascoltiamo delle parole come fossero divine (S. Agost.). – Il prezioso deposito delle sante Tradizioni, affidato dapprima alla sinagoga, e poi e per sempre affidato alla Chiesa Cristiana, è qui ammirevolmente descritto. Ci appare con tutta la maestà dei ricordi antichi, con tutta la venerazione di cui l’ambiente dei primi testimoni e i loro figli ed i figli dei figli, con ogni fedeltà e pari omaggi garantiscono, mantengono e perpetuano. È vero che mai più grandi cose siano state mostrate agli uomini, e coloro ai quali Dio ha confidato la cura di ricordare di età in età, fino alla fine dei secoli, queste meraviglie di potenza e di bontà, devono stimarsi ben felici di essere stati onorati di un sì sublime ministero, e contribuire così tutto in una volta, alla gloria di Dio ed alla salvezza degli uomini (Rendu).  « La prima e la più antica via con la quale i fatti della Religione ci sono pervenuti, dice bene il P. Berthier, è la Tradizione. I primi uomini, che vissero molto a lungo, trasmisero facilmente fino a Mosè la storia della creazione, del diluvio, della vocazione di Abramo, e delle promesse che gli furono fatte … La Chiesa Romana ha sempre avuto il vantaggio di comporre, malgrado la sua estensione, un solo corpo presidiato da un solo Capo, che è stato il centro dell’unità … Non sono i santi Libri che mantengono l’unità dell’insegnamento. Ogni setta ha preteso di spiegarli a suo modo; è la continuità dello stesso insegnamento che ha conservato la vera fede e che ha determinato il vero senso delle Scritture ».

ff. 5-8. – « Egli ha suscitato una testimonianza in Giacobbe, ed ha posto una legge in Israele ». La legge e la testimonianza non sono che una sola e medesima cosa: come attestazione, è una testimonianza; come prescrizione è una legge. È così che il Cristo è la pietra, pietra angolare per quelli che credono, pietra di inciampo e di scandalo per coloro che non credono. Allo stesso modo la testimonianza della legge, per coloro che non fanno un uso legittimo della legge, è una testimonianza di correzione contro i peccatori che subiranno il castigo, e per coloro che fanno un uso legittimo della legge, una testimonianza di attestazione indicante a cosa debbano ricorrere i peccatori che vogliono evitare il castigo.  (S. Agost.). – Successione ereditaria che i padri devono lasciare ai loro figli, ed i loro figli a coloro che nasceranno da essi, che è un’osservazione esatta della legge di Dio. Tutto è là: la felicità degli individui, la felicità delle famiglie, la felicità dell’intera società. Se dall’infanzia una educazione veramente cristiana metterà in tutti gli spiriti il pensiero dei benefici di Dio, in tutti i cuori la riconoscenza e l’amore verso questo divino Benefattore, tutto marcerà nel mondo con ordine, senza scosse e senza tempeste. La pace, la felicità regneranno là dove, con un’educazione che si vorrebbe rendere sempre più estranea ad ogni nozione di Dio, regnano l’agitazione, la guerra, i dissensi e tutti i mali che ne conseguono. – La Tradizione della vera dottrina, sia in materia di fede che in materia di morale, è molto vicina ad operare i frutti che qui espone il Salmista. Questa Tradizione mi insegna che solo Dio sia il mio sostegno, il mio asilo, il mio protettore durante questa vita e la mia ricompensa dopo la morte. Questa Tradizione mi richiama incessantemente le meraviglie del Signore ed il ricordo delle grandi cose che Gesù-Cristo ha fatto per me. Questa Tradizione mi raccomanda incessantemente l’osservazione dei Comandamenti di Dio … questa tradizione mostra, sia tra gli ebrei, sia tra i cristiani, dei ribelli, degli ostinati, degli increduli. Si sono avuti, sotto la sinagoga, degli idolatri; e nella Chiesa di Gesù-Cristo, si sono levati degli empi, degli eretici, degli uomini scandalosi. La vera dottrina ha sussistito malgrado queste tempeste e l’insegnamento pubblico ha sempre condannato gli errori ed i crimini. Questa tradizione mi fa comprendere le cause dei disordini che regnano sulla terra: è che la maggior parte degli uomini non ha il cuore retto, e che non sono animati da una fede sincera. Ecco ciò che Gesù-Cristo mi fa conoscere sulle Tradizioni, io sono inescusabile se rifiuto questa istruzione tutta divina (Berthier); – « Egli ha comandato ai nostri padri di far conoscere ai loro figli queste meraviglie, affinché essi mettano in Dio la loro speranza, che non dimentichino mai le opere di Dio, e ricerchino sempre più i suoi Comandamenti ». – Lo scopo principale, essenziale dell’educazione è insegnare all’uomo a mettere tutta la propria speranza in Dio, in mezzo e a dispetto delle mille prove di cui la vita è attraversata. Il Profeta indica chiaramente i due grandi motivi di questa speranza: da una parte è sufficiente considerare le meravigliose invenzioni con le quali la saggezza e la bontà divine si sono manifestate dall’inizio del mondo, in favore della razza umana; d’altra parte, la fedeltà nell’osservare i Comandamenti di questo Dio sì saggio e sì buono è un pegno certo della sua protezione. Egli dona questa fedeltà, e questo dono, accettato con riconoscenza, diviene per l’uomo un merito che l’Autore stesso del dono si compiace di ricompensare (Rendu). –  Ricercare con cura, non solo la lettera, ma lo spirito dei comandamenti di Dio e ciò che essi racchiudono. – « E che essi cerchino i Comandamenti ». se già essi li hanno appresi, come ancora li cercheranno? Se essi non ripongono che solo in Dio la loro speranza, cercheranno veramente i suoi Comandamenti, perché cercheranno il suo aiuto per realizzarli. « E non diventino, come i loro padri, una razza corrotta che irrita Dio, una razza che non ha conservato il suo cuore retto, ed il cui spirito non è restato unito a Dio con la fede ». In effetti, quando lo spirito dell’uomo coopera all’operazione dello Spirito di Dio, ciò che Dio ha comandato, si compie; ciò che non ha luogo per la fede in colui che giustifica l’empio (Rom. IV, 15).  Questa fede è mancata alla razza corrotta il cui spirito non è stato unito a Dio con la fede. Queste parole hanno più forza per significare la grazia di Dio, che non solo opera la remissione dei peccati, ma ancora ammette lo spirito dell’uomo a cooperare con essa alle buone opere, che se il Profeta avesse detto semplicemente: il suo spirito non ha avuto fede in Dio; perché avere il proprio spirito unito a Dio con la fede, è credere che questo spirito non possa fare opera di giustizia senza Dio, ma soltanto con Dio. È ancora là credere in Dio, ciò che è più che credere a Dio. Si può in effetti credere ad un uomo qualunque, senza per questo credere in lui. È dunque il credere in Dio, l’unirsi a Lui con la fede, per cooperare al bene che Egli opera. « Perché senza di me, dice il Signore, voi non potete far nulla » (Giov. XV, 5). E l’Apostolo – dice San Paolo – può dire ancor di più su questo soggetto con queste parole: « Colui che si unisce al Signore è un solo spirito con Lui? » (I Cor. VI, 17), (S. Agost.). 

ff. 9-11. – « I figli di Efraim, tendendo e lanciando i loro archi, hanno girato il dorso nel giorno del combattimento ». ricercando la legge di giustizia, essi non sono pervenuti alla legge di giustizia (Rom. IX, 31). Perché? Perché essi non l’hanno ricercata mediante la fede. In effetti, è questa la razza il cui spirito non è affatto unito a Dio con la fede; essa l’ha cercata solamente, in qualche modo con le sue opere; perché se essa ha teso e lanciato i suoi archi (manovre esteriori che possono significare le opere della legge), essa non ha badato allo stesso modo alla rettitudine del suo cuore, ove il giusto vive della fede, la quale agisce con l’amore (Gal. V, 6).  Ora è con l’amore che l’anima si unisce a Dio, che opera nell’uomo il volere ed il fare secondo quanto gli piace (Fil. II, 13). Cos’è in effetti, tendere il proprio arco e lanciarlo, poi cedere terreno, girare il dorso nel giorno del combattimento, se  non è tenersi attenti e fare promesse nel giorno della predicazione, e disertare nel giorno della tentazione? … se questo non è ancora brandire dapprima la spada e non servirsene poi nell’ora della battaglia? (S. Agost.). – Incoraggiando la predicazione, concepiscono in se stessi dei grandi disegni, sembrano aguzzare le loro anime contro i vizi, nel giorno della tentazione , essi li hanno resi vergognosamente. Essi promettevano molto nell’esercizio, hanno ripiegato nel combattimento; sembravano animati quando si suonava la tromba, ma hanno girato il dorso tutto ad un tratto quando hanno dovuto venire alle mani (Bossuet). – L’uomo non dimentica nulla così facilmente quanto i benefici di Dio, perché ha poca fede e molto orgoglio. La sua poca fede impedisce di comprenderli, il suo orgoglio glieli fa dimenticare. 

II. — 15-16.

ff. 15-16. – Il profeta si mette a ricordare nell’ordine, i benefici e le meraviglie che questa razza corrotta ha posto nell’oblio. Se queste recite sono delle parabole e pongono dei problemi, sicuramente bisogna rapportarle ad altri fatti, con delle comparazioni. Noi non dobbiamo dunque distogliere la nostra attenzione dallo scopo di questo salmo, e dal frutto che dobbiamo trarre da tutto ciò che esso racchiude. Questo frutto è che noi mettiamo in Dio la nostra speranza, che noi non dimentichiamo le opere di Dio, e ricerchiamo i suoi Comandamenti. È a questo pensiero che bisogna riportarsi, e tutto ciò che troveremo, come tante figure, nella recita dei fatti, può riprodursi spiritualmente nell’uomo, sia per la grazia di Dio, se si tratta del bene, sia per il giudizio di Dio, se si tratta del male. Bisogna dunque vedere nella terra d’Egitto la figura di questo mondo. Colui che ha diviso il mare per farvi passare gli Israeliti e che ha tenuto le acque come in degli otri, Costui può per sua grazia comprimere i flutti impetuosi dei desideri carnali, quando si rinuncia a questo secolo, di tal modo che essendo distrutti tutti i peccati, come tanti nemici, il popolo dei fedeli passi attraverso le acque del Sacramento del Battesimo. Colui che li ha condotti di giorno all’ombra della nube, e tutta la notte al chiarore della colonna di fuoco, può anche dirigere spiritualmente la nostra strada con la sua grazia, che è come una nube dalla quale siamo difesi contro gli ardori mortali della concupiscenza; ed anche come una colonna ardente la cui luce rischiara le nostre tenebre, la cui fiamma ci riscalda nella nostra tiepidezza, ed il cui fermarsi ci rende immobili in mezzo ai turbinii ed alle agitazioni di questa vita. Noi traversiamo questa vita come un deserto, non troviamo in noi che aridità, impotenza e durezza della pietra. Non c’è acqua sulla terra che possa spegnere la nostra sete: « O Dio, la mia anima è davanti a Voi come una terra arida e senza acqua ». Ma Colui che ha scisso la pietra nel deserto e li ha dissetati come con profonde riserve di acqua, Costui può anche, a chi ha sete della fede che dà lo Spirito Santo, versare, secondo il significato spirituale di questi fatti, l’acqua della pietra spirituale che dissetava i Giudei, e che è il Cristo (1 Cor. X, 4); Colui che ha fatto scaturire acqua dalla pietra ed ha fatto colare le acque come fiumi, può forse, quando gli piace, trarre da un cuore duro come la pietra, lacrime di compunzione e farle scorrere come fiumi (S. Agost.).

ff. 17-22. – « Essi non lasceranno di peccare ancora contro di Lui, ed irriteranno l’Altissimo in luogo arido ». si tratta dell’aridità del deserto, o piuttosto della loro propria aridità? Perché, benché abbiano bevuto l’acqua dalla pietra, essi provano ancora l’aridità, non dello fauci, ma dello spirito, ove non produce alcun frutto di giustizia. In questa aridità, essi avrebbero dovuto supplicare Dio con una fede ancora più viva, affinché Colui che aveva dato la sazietà alle loro bocche, donasse egualmente la giustizia ai loro cuori. Lungi da ciò: « … ed essi hanno tentato Dio nei loro cuori, chiedendogli il nutrimento per la loro vita ». Altra cosa è domandare credendo, altre cosa tentando. In effetti, è detto poi in seguito. « Essi hanno parlato male contro Dio ed hanno detto: potrà forse Dio prepararci una tavola nel deserto? » Essi non avevano fede nel domandare così il nutrimento per la loro vita. Non è così che l’Apostolo San Giacomo ordina che si domandi il nutrimento dell’anima: egli vuole che si domandi il nutrimento dell’anima: egli vuole che sia domandato da uomini che credono e non da uomini che tentano Dio e parlano male di Lui (Giac. I, 5, 6). Questa fede mancava alla generazione che non aveva osservato la rettitudine del cuore, ed il cui spirito non era unito a Dio con la fede (S. Agost.). – La sensualità, l’avidità, l’intemperanza, è causa per i Cristiani, come lo è stato per gli Israeliti, di una moltitudine di peccati come ci indica questo salmo. In effetti questo è un peccato che si supera difficilmente, e che è causa frequente di caduta in altri crimini. « Io ne ho visti molti che, soggetti a vizi di altro genere, hanno finito per trionfarne, ma coloro che sono schiavi di questo vizio dell’avidità, della sensualità, che fanno loro dio il ventre, che pongono tutte le loro delizie nei grossolani piaceri della tavola, non ne ho mai visto nessuno che abbia potuto scuotere questo giogo degradante. » (S. Basil. Trait, de abdic. rer.). 1° Questo è un vizio che provoca la collera di Dio: « Essi eccitarono la collera di Dio in un luogo arido. » 2° L’intemperanza è la madre dei blasfemi: « essi hanno parlato male contro Dio. » 3° Gli intemperanti mostrano nel grande giorno la loro follia quando, dubitando della potenza di Dio, dicono: « Potrà forse Dio prepararci una tavola nel deserto? » 4° L’avidità, l’intemperanza sono un focolaio di lussuria, di impurità: « Un fuoco si illumina in Giacobbe, » fuoco che fu seguito dalla collera di Dio « … e la collera di Dio si levò contro Israele. » 5° L’intemperanza è il naufragio della fede: « Poiché essi non hanno creduto a Dio. » 6° Essa è la madre dei disperati: « Essi non hanno sperato nella sua salvezza. » – « Dio potrà forse preparare una tavola nel deserto? » – « Il Signore intese e differì. » Dio differì il castigo, per soddisfare prima la loro avidità, malgrado la loro infedeltà, per non sembrare irritato da ciò che essi chiedevano, tentandolo e bestemmiando il suo nome, delle cose che non avrebbe potuto fare. « … Egli dunque ha inteso e differito » nel punirli, e quando ebbe fatto ciò che essi pensavano che non avrebbe potuto fare, allora « la sua collera si levò contro Israele. » (S. Agost.). 

ff. 23-29. – Se essi avessero messo in Dio la loro speranza, non solo nei desideri della loro carne, ma anche in quelli del loro spirito, sarebbero stati soddisfatti. In effetti, Colui che ha dato i suoi ordini alle nubi sospese nell’aria, che ha aperto le porte del cielo, che ha fatto piovere su di essi la manna, e che ha dato loro il pane del cielo in modo tale che l’uomo mangiasse il pane degli Angeli; Colui che ha inviato loro nutrimento in abbondanza per saziarli, benché fossero increduli, Questi era pur tanto potente da dare a coloro che credono il vero pane del cielo che rappresenta la manna, Lui che è il vero pane degli Angeli, che la virtù nutre incorruttibilmente, perché essi sono incorruttibili, che si è fatto carne e ha dimorato tra noi, affinché l’uomo mangiasse lo stesso pane (Giov. I, 14). È questo il pane che fanno piovere in tutto l’universo queste nubi angeliche, i cuori dei predicatori che, come le porte del cielo, si aprono ed annunziano questo pane, non alla sinagoga che mormora e tenta Dio, ma alla Chiesa, che mette in Dio la sua fede e tutta la sua speranza (S. Agost.). – Dio è Dio in tutte le sue opere; ma in quelle che sono le più grandi Egli fa meglio vedere la sua divinità, e poiché il Sacramento dell’Eucarestia è un’opera grande di Dio, qual più sicuro marchio può portare del suo operato, per essere ricevuto con convinzione, per essere mirabile ed incomprensibile? Dio non voglia che io faccia come questi ribelli che diffidavano della divina Maestà, dicendo: « … potrà Egli stabilire una tavola nel deserto? » – Ciò che non potrei masticare di questo agnello pasquale, io lo getterei nel fuoco del potere infinito di questo Padre onnipotente al quale io credo. Le piccole nubi di difficoltà che il nostro occhio materiale vede in questo Sacramento, come dureranno al vento della forza di Dio? Quale durezza c’è tanto insolubile che questo fuoco non divori? ( S . Franc. de Sales. Les 12 petits trait… T. X.). – 1° Nell’Eucaristia, bene superiore alla manna, miracoli ben più grandi si compiono: la manna era preparata dagli Angeli, ma è Dio stesso che ci dà l’Eucaristia; – la manna fu data ai soli Ebrei per 40 anni, l’Eucaristia è data a tutti i popoli della terra fino alla consumazione dei secoli; – la manna era un nutrimento corporale che non impediva di morire, l’Eucaristia è un nutrimento spirituale che preserva dalla vera morte coloro che se ne nutrono. – 2° Gesù-Cristo nell’Eucaristia è veramente un pane che appaga la fame, nutre l’anima, conserva ed aumenta la vita che gli è propria. – 3° L’Eucaristia è un pane celeste e divino: « Egli ha dato loro un pane del cielo », e Gesù-Cristo stesso ci dice « Io sono il pane vivente, disceso dal cielo » (Giov. VI, 52), pane del cielo, perché Egli discende dal cielo, ed è Egli che ci conduce al cielo, e fa un vero cielo dell’anima in cui entra. – 4° Gesù-Cristo, nell’Eucaristia, è il pane degli Angeli, perché la partecipazione del Cristo, che ci è data quaggiù sotto simboli, è accordata agli Angeli sotto una forma superiore ai simboli eucaristici; – perché questo celeste nutrimento fa la gioia e la delizia degli Angeli; – perché esso fa Angeli gli uomini che lo ricevono con le disposizioni convenienti. – 5° L’Eucaristia è un pane sufficiente a nutrire tutto l’universo. « Egli inviò loro in abbondanza di che nutrirsi ». Che si consideri questa abbondanza in rapporto ai luoghi, in tutte le parti del mondo abitato, l’Eucaristia vi è consacrata e distribuita; in rapporto al tempo, non c’è parte del tempo in cui Gesù-Cristo non si dia nell’Eucaristia, e questo fino alla fine del mondo; sia sotto il rapporto delle persone, nessuno ne è dispensato: è un banchetto al quale tutti sono invitati; sia sotto il rapporto dei doni che delle grazie che la santa Eucaristia diffonde nelle anime. – Essere nutriti dal pane del cielo, dal pane degli Angeli, e dopo questo desiderare con ardore delle carni e della carne, è ciò che gli Israeliti hanno fatto una volta, e che i Cristiani fanno ogni giorno, con una preferenza tanto più ingiuriosa quanto il pane dell’Eucaristia è infinitamente al di sopra della manna del deserto. Ecco dei ribelli ai quali il Signore accorda ciò che desiderano: è nella sua collera che Egli invia loro un alimento che soddisfi la loro cupidigia. Guai dunque a coloro che gioiscono in questa vita di tutto ciò che lusinga la sensualità, questi beni si volgono per essi in veleno, e mettono il sigillo alla loro riprovazione (Berthier). 

ff. 30, 31. – « Le carni erano ancora nelle loro bocche, quando la collera di Dio si levò contro di essi, e fece perire i più vigorosi tra loro, e fece cadere coloro che erano il fiore di Israele. » Ecco quel che il Profeta ci dice di coloro che hanno peccato dopo aver ricevuto e mangiato la manna. Ed ora, se un Cristiano nella Chiesa si nutre della carne e del sangue di Gesù-Cristo, e torna alle sue abitudini criminali, sappia che lo attende un severo giudizio: « … colui che mangia il corpo e beve il sangue del Signore indegnamente, mangia e beve la propria condanna » (I Cor. XI, 29), (S. Gerol.)

ff. 32-37. – « I loro giorni sono svaniti nelle vanità », mentre avrebbero potuto, se avessero creduto, passare nella verità dei giorni senza fine presso Colui di cui è detto « i vostri giorni non finiranno mai » (Ps. CI, 28). « I loro giorni mortali sono dunque svaniti nella vanità, ed i loro anni trascorrono rapidamente; perché ogni vita mortale si volge verso il suo termine, e quella che sembrava la più lunga non è che un vapore che si dissipa un po’ meno rapidamente. » (S. Agost.) – Noi consumiamo i nostri giorni nella vanità, e li trascorriamo nella inutilità o nelle occupazioni che non servono a nulla per la salvezza. Gli anni trascorrono così rapidamente che noi ne vediamo la fine quando crediamo che sia solo l’inizio; essi si succedono gli uni agli altri, senza che noi abbiamo il tempo di accorgercene, e ci troviamo al termine del nostro percorso senza aver pensato seriamente a questi anni eterni che non trascorrono mai. – « Tuttavia, quando li faceva perire, essi Lo cercavano », non perché desiderassero la vita eterna, ma perché temevano che questo vano vapore sparisse troppo presto. Essi Lo cercavano dunque, non evidentemente coloro che Egli aveva fatto perire, ma coloro che temevano di perire sul loro esempio … « Essi tornavano a Lui ed essi si ricordavano che Dio era il loro aiuto e che l’Altissimo era il loro redentore. » Ma tutto questo, essi lo facevano per ottenere dei beni terreni, e per evitare dei mali temporali. Ora che cercavano Dio a causa dei suoi benefici temporali, essi non cercavano Dio, ma questi stessi benefici. Onorare Dio in tal modo, è farlo col timore della schiavitù, e non con l’amore di figlio. Onorare così Dio, non è punto onorarlo, perché si onora ciò che si ama. Ecco perché, essendo Dio più grande e migliore di tutte le cose, per onorarlo, bisogna amarlo al di sopra di tutto (S. Agost.). –  « Essi lo amavano soltanto con la bocca, e la loro bocca Gli ha mentito. » Colui davanti al quale tutti i segreti degli uomini sono messi a nudo, trovava una parola sulle loro labbra ed un pensiero nel loro cuore, e scopriva senza velo alcuno, ciò che essi amavano di più;  « perché il loro cuore non era retto davanti a Lui. » Un cuore è retto davanti a Dio quando cerca Dio per Se stesso. In effetti il cuore retto non ha desiderio di ottenere dal Signore e non Gli domanderà che una cosa sola: di abitare sempre nella casa del Signore e di gioire delle delizie della sua vista. (Ps. XXVI, 4). Il cuore fedele dice a Dio: « io non mi sazierò con la caldaia piena di carne degli Egiziani, né con angurie e meloni, né con porri o cipolle che questa razza corrotta preferiva anche al pane del cielo, né con una manna visibile, né con uccelli portati dal vento; io non mi sazierò se non quando sarà manifesta la vostra gloria » (Ps. XVI, 15). Tale è l’eredità del nuovo Testamento, di cui questi uomini non fanno parte come fedeli, ma della quale gli eletti avevano fede, anche quando la loro fede era velata, mentre questa eredità è ora conosciuta, ma da un piccolo numero, tra coloro che sono stati chiamati. Ecco dunque quel che era questa razza corrotta, anche quando essa sembrava cercare Dio; essa Lo amava con la bocca e Gli mentiva con la lingua, ma non era retta con Dio nel suo cuore, laddove essa amava le cose per le quali chiedeva il soccorso di Dio, più di quanto amasse Dio stesso. (S. Agost.). – L’equità simulata non è un’equità, ma una doppia iniquità, perché è in un tempo iniquità ed ipocrisia (S. Agost., Ps LXIII).

ff. 38-41. – Molti secondo queste parole, riterranno che la misericordia divina lascerà la loro iniquità impunita, anche quando persisteranno nella loro somiglianza con questa razza perversa il cui spirito non è unito a Dio con la fede … Essi si ingannano. Chi non vede, in effetti, quanto la pazienza e la misericordia divina, risparmi i malvagi? Ma Dio li risparmia prima del Giudizio. È dunque così che ha risparmiato questo popolo, e che non ha acceso tutta la sua collera per sradicarlo e perderlo interamente … Vediamo in effetti, fino a qual punto li abbia risparmiati e li risparmi ancora; perché Egli li ha introdotti nella terra promessa ed ha conservato la loro nazione fino al giorno in cui, con l’uccisione del Cristo, si sono caricati del più grande di tutti i crimini. Se, dopo questo crimine, li ha privati del loro regno e dispersi in mezzo ai popoli e tutte le Nazioni, tuttavia non li ha interamente distrutti; perché questo stesso popolo sussiste perpetuando la sua razza, e come Caino, ha ricevuto un segno affinché nessuno lo mettesse a morte, cioè non lo perdesse completamente … È così che Dio, di cui occorre esaltare la misericordia e la giustizia, in questo secolo agisce con la misericordia, facendo sorgere il sole sui buoni e sui cattivi (Matth. V, 45);  mentre alla fine dei secoli agirà con la sua giustizia, punendo i malvagi, che le tenebre senza termine separeranno dalla sua luce eterna (S. Agost.). –  Comunque Dio ama perdonare il peccato, e non distruggere il peccatore. La sua misericordia, la sua grazia, sovrabbonderanno là dove il peccato aveva abbondato (Rom. V, 20). Dio conosce la nostra miseria, la fragilità della nostra origine; Egli si è ricordato che noi siamo polvere (Ps. CII, 14). Egli è eterno e noi non siamo che un soffio che passa e si dissipa. Noi siamo impotenti nel rientrare da noi stessi nella vita, ma tutto è possibile a Dio. –  Lo Spirito Santo avverte, nel libro dei Proverbi, che coloro che camminano nell’iniquità, non ne torneranno più. Questi sono gli uomini dei quali la Scrittura dipinge qui l’impotenza; ma in ciò essa esalta pure la forza della grazia, che sola può farli tornare (S. Agost.). – Che cos’è l’uomo se lo compariamo con la natura di Dio? C’è bisogno qui di ricordare i diversi apprezzamenti che i Santi fanno delle bassezze dell’uomo nella Scrittura santa? Secondo Abramo, l’uomo è terra e polvere; secondo Isaia è l’erba di un giorno dei campi; secondo Davide, non è come l’erba dei campi, ma come l’erba; secondo l’Ecclesiaste non è che vanità; secondo San Paolo, una vera miseria (S. Gregorio di Nissa, De Beatit.). – La vita dell’uomo è simile ad un soffio che passa e non torna più. Quanti disegni noi costruiamo su questo vapore! Quante speranze fondate sul soffio di un momento! – Tutti coloro che mancano di fiducia in Dio, fanno come gli Israeliti: essi osano fissare dei limiti alla sua Provvidenza, e prescrive dei limiti alla sua bontà … Ma la colpa più grande che commettiamo, è il mormorare, quando ci invia delle sofferenze, invece di benedire le adorabili visioni della sua Provvidenza, e di profittare dei beni inestimabili che derivano dalla croce. Insensati, noi irritiamo il Santo di Israele, ed amareggiamo noi stessi (Berthier). 

III. — 43-55.

ff. 43-51. – « Non si sono ricordati della sua mano potente né del giorno in cui li ha riscattati dalle mani dei loro persecutori. Il Salmista enumera qui i flagelli con i quali Dio ha colpito gli Egiziani. – Gli Israeliti avevano in questi flagelli due tipi di istruzione: una tutta di misericordia, perché questi flagelli avevano per oggetto la liberazione da una dura e vergognosa cattività; l’altra tutta di rigore, poiché Dio attuava tutte le sue vendette con un re ostinato nella sua durezza. Questo popolo doveva dunque da una parte, benedire le attenzioni benefiche del suo liberatore, e dall’altra, temere nell’imitare il faraone nelle sue ribellioni contro l’Onnipotente. Ma queste istruzioni erano in pura perdita per Israele: esso dimenticava sia i benefici che le vendette del suo Dio, esempio che è purtroppo molto seguito dai Cristiani (Berthier).  – Tutta la sequenza della Scrittura ci insegna che il disprezzo della divinità, l’orgoglioso compiacimento di noi stessi, la nostra insaziabile cupidigia, è il principio delle calamità che sopportiamo. Ecco l’odio che devasta le nostre uve, ecco la gelata che distrugge le nostre vigne, le nebbie che uccidono le prime gemme di certi alberi i cui frutti alterano il succo dell’olivo, ecco l’insetto che divora le nostre semenze, ecco il veleno che consuma nella terra gli alimenti più indispensabili alla sussistenza del povero, e che il ricco si procura solo a peso d’oro. Non vi dedicate più di tanto alla ricerca e all’osservazione delle cause seconde, è Dio che invia tutti questi castighi. (Mons. Pie, I° Inst. Sur l’aum.).

ff. 52-55. – Il salmista, dopo aver ricordato le piaghe degli Egiziani, continua: « Ed Egli ha tratto il suo popolo come delle pecore, le ha condotte nel deserto, come un gregge. Egli le ha condotte piene di speranza e libere da ogni timore, ed ha inghiottito i suo nemici nel mare. » Questa liberazione si opera in un’altra maniera, molto più eccellente se essa passa per le profondità dell’anima, ove noi siamo attaccati alla potenza delle tenebre, e trasportati in spirito nel reame di Dio. Là si trovano in abbondanza dei pascoli spirituali; noi diventiamo le pecore di Dio, che camminano in mezzo a questo mondo come in un deserto perché la nostra fede non appare agli occhi delle persone; ciò che fa dire all’Apostolo: « La vostra vita è nascosta con il Cristo in Dio » (Colos. III, 3). Noi siamo condotti nella speranza, perché « … siamo salvati nella speranza » (Rom. VIII, 24). E noi non dobbiamo temere nulla, perché « … se Dio è per noi, chi sarà contro di noi? » E il mare ha inghiottito i nostri nemici; vale a dire che essi sono distrutti nel Battesimo, con la remissione dei peccati (S. Agost.). – « E li condurrà sulla montagna che si era consacrata. » Questa montagna, che era quella di Sion, era la figura di una montagna molto più augusta, della Chiesa Cristiana, di cui il profeta Michea profetava: « Ed ecco che, negli ultimi tempi, la montagna della casa del Signore sarà preparata sull’alto dei monti, elevata al di sopra delle colline; i popoli vi accorreranno in folla, e le nazioni si precipiteranno dicendo: « Venite, andiamo alla montagna del Signore e alla casa del Dio di Giacobbe: Egli ci insegnerà le sue vie, e noi marceremo nei suoi sentieri, perché la legge uscirà da Sion, e la parola del Signore da Gerusalemme » (Michea, IV, 1-2.). – 1° La Chiesa è la montagna veramente consacrata al Signore, la montagna della sua santificazione, perché essa è santificata da Dio stesso, ed essa santifica gli altri con la grazia di Dio. – 2° La grande dignità della Chiesa è di essere la montagna acquisita dal diritto del Cristo steso sulla croce. – 3° Gesù-Cristo, dall’alto di questa montagna, trionfa dei suoi nemici e li mette in fuga: « Ed Egli cacciò le nazioni che erano prima di loro ». – 4° Gesù-Cristo dilata ed estende la sua Chiesa su tutta la terra: « E diede loro in sorte la terra dopo averla segnata con la corda di divisione ». – 5° La Chiesa abita con sicurezza all’ombra della protezione del Cristo: « E fece abitare le tribù di Israele nelle dimore di queste nazioni. » È ciò che aveva predetto Isaia: « Il mio popolo troverà la sua gioia nelle dolcezze della pace, ed abiterà nei tabernacoli della fiducia ed in un opulento riposo. » (Isai. XXXII, 18). Dio è il padrone del mondo e di tutte le nazioni, e ne dispone come gli piace. Egli fa conoscere di tempo in tempo ai potentati che è per la sua mano tutto ciò che essi hanno ricevuto, per cui Egli ha il diritto di scacciarli e spogliarli dei loro stati, quando li trova buoni, senza che possa essere accusato di ingiustizia. (Dug.). 

IV. — 56 – 72.

ff. 56-58. – Gli Israeliti, giunti al termine, non sono stati migliori dei loro padri. « Essi si sono rivoltati e sono divenuti come un arco inverto con cui si tira di traverso » [che falla]. Ciò che segue spiega chiaramente queste parole: « Essi hanno eccitato la sua collera sulle loro colline »; vale a dire che si sono dati all’idolatria. L’arco invertito è dunque quello che non tende verso la gloria del Nome di Dio, ma contro il Nome di D io, che aveva detto a questo popolo: « voi non avrete altro Dio al di fuori di me. » (Esod. . 3). Ora l’arco rappresenta qui l’intenzione dello spirito; ed il Profeta si esprime con maggiore precisione dicendo: « E con le loro immagini scolpite, essi hanno provocato la sua gelosia. » (S. Agost.).

ff. 59-64. – « Dio li ha intesi e li ha disprezzati, ha ridotto Israele ad un niente assoluto. » Quel che è restato in effetti, sotto il disprezzo di Dio, di coloro che con l’aiuto di Dio erano stati quel che sappiamo che furono? (S. Agost.). – Non c’è castigo più terribile per gli uomini che l’essere disprezzati da Dio. La Scrittura si serve spesso di questo termine per sottolineare l’estrema indignazione dell’Altissimo contro i peccatori ostinati. San Paolo dice agli Ateniesi che Dio aveva disprezzato i tempi dell’ignoranza in cui erano vissuti gli idolatri, cioè li aveva abbandonati ai loro sensi riprovati. Egli mostrò il suo disprezzo per la maggior parte di Israele, consegnando agli Assiri le dieci tribù che non entrarono mai nel corpo della nazione nella terra promessa e si perdettero nella maggior parte dietro gli idolatri. Il suo disprezzo per la tribù di Giuda non fu così assoluto: Egli si contentò di colpirla di tanto in tanto, di punirla con una cattività che non fu senza ritorno. Ma quando ella ebbe disconosciuto il Messia, Egli la riprovò riducendola allo stato di esilio, di dispersione che noi ancora vediamo  (Berthier). –  E fino al Cristianesimo, quanti popoli nel corso dei secoli sono stati ridotti a nulla, dopo aver contato tra i primi popoli, ed esercitato sulle nazioni vicine una potenza dominatrice, e questo perché si sono allontanati da Dio, non hanno osservato la sua alleanza, lo hanno insultato con una empietà che aveva assunto le proporzioni di un crimine nazionale. Si, quando un popolo spinge l’irreligione fino al disprezzo formale di Dio, è disprezzato da Dio a sua volta, condannato e ridotto all’umiliazione profonda di provare sconfitte ignominiose, vergognose capitolazioni, di vedere i suoi numerosi figli cadere sotto la spada o condotti in cattività, il proprio territorio invaso, le sue provincie passare sotto il dominio del vincitore, e la sua influenza, fino ad allora incontestata, ridotta ad un nulla nel concerto delle grandi potenze dell’Europa. – Ed in una sfera più limitata, quante anime infedeli Dio ha già in parte disprezzato a causa dell’accecamento in cui persistono con ostinazione, che abusano così di qualche raggio di luce, di qualche mezzo di salvezza che resta ancora loro, e con questo abuso di grazia, ingrandiscono ancora il tesoro di collera per il giorno della manifestazione del giusto Giudizio di Dio. – Niente di così santo c’è che l’empietà non sia capace di profanare. I luoghi santi non hanno la virtù di mettere gli empi al riparo dalla collera di Dio, ma gli empi hanno malauguratamente il potere di obbligare Dio a distruggere questi luoghi santi, a lasciare i propri preti cadere sotto la spada, ed a rigettare il suo tabernacolo in cui abita con gli uomini. Dio non protegge il suo tabernacolo ed il suo tempio che in rapporto a coloro che l’onorano; se essi lo profanano con la loro empietà, Dio li rigetta e li distrugge tutti. 

ff. 65, 66. – « Ed il Signore si è svegliato come se fino ad allora avesse dormito. » In effetti Egli sembra dormire, quando dà il suo popolo nelle mani di coloro che Egli odia; di modo che si possa dire a questo popolo: « … dov’è il vostro Dio? » (Ps. XLI, 11). « Egli dunque si è svegliato, come se avesse dormito; Egli si è svegliato come un uomo potente che avesse bevuto del vino. » Nessuno, se non lo Spirito di Dio, oserebbe parlare di Dio in simili termini. Egli ha detto in effetti che Dio dorme da tanto tempo come un uomo ubriaco (cosa che pensano gli empi che Lo insultano), quando non viene in soccorso degli uomini così presto come si vorrebbe (S. Agost.). –  Ma infine si risveglia; Egli si serve dei nemici del suo Nome per punire i suoi figli infedeli o indocili, ma questi strumenti della sua giustizia restano sempre suoi nemici, ed essi saranno presto o tardi l’oggetto delle sue vendette, e non hanno che da attendere l’obbrobrio eterno, riservato ai nemici di Dio e della sua Chiesa.

ff. 67-69. – « Egli ha scelto la tribù di Giuda, la montagna di Sion che ha amato. » La tribù di Giuda scelta da Dio, preferendola alla tribù di Giuseppe e di Efraim, è la Chiesa che Dio ha scelto preferendola alla sinagoga. 1° Questa tribù, per il gran numero di coloro che la composero, soprattutto dopo la cattività, per tutta l’estensione della terra di Chanaan, che essa occupò ed alla quale darà il suo nome, è figura della universalità della Chiesa. – 2° La montagna di Sion è il simbolo della sublimità della Chiesa, che si leva sopra tutte le cose create, non adora Dio a causa dei beni carnali del tempo presente, ma contempla da lontano, con gli occhi della fede, le ricompense future dell’eternità (S. Agost.). – 3° La Chiesa Cattolica è l’oggetto dell’amore particolare di Dio e di Gesù-Cristo: « … la montagna di Dio che Egli ha amato ». È alla sua Chiesa che il suo Profeta ha detto: « Io ti prenderò come mia sposa per sempre, e tu sarai mia Sposa nella giustizia e nell’equità, nella grazia e nella misericordia. » (Osea, II, 21). – 4° L’unità della Chiesa è figurata dall’unico corno che porta il liocorno. Noi chiamiamo il suo santuario, la Chiesa, che leva un corno terribile contro i suoi nemici, come il liocorno che si difende dagli altri animali (S. Cirillo d’Alessandria). 5° La Chiesa di Gesù-Cristo è santa: « Egli ha consolidato il suo santuario. » – 6° La Chiesa di Gesù-Cristo è ferma ed indistruttibile: « Egli ha consolidato il suo santuario per tutti i secoli. »

ff. 70-72. – « Egli ha scelto Davide, suo servo. » La tribù di Giuda è stata dunque scelta in vista di Davide, e Davide in vista di Cristo; la tribù di Giuda è stata dunque scelta in vista del Cristo … Ed il Salvatore stesso, uscito secondo la carne dalla razza di Davide, è figurato in questo passaggio, sotto il nome di Davide, dal Signore Dio, che ha aperto la bocca per parlare in parabole. E non vi stupite che dopo aver detto « Ed Egli ha scelto Davide, » sotto il cui nome parla del Cristo, Egli aggiunga: « suo servo » e non suo Figlio? Questa parola deve solo farvi capire che non è la sua sostanza di Figlio unico, coeterno al Padre, ma la forma di schiavo che il Cristo ha preso dalla razza di Davide (S. Agost.) – Gesù-Cristo è dunque il nostro vero Davide, ed è stato scelto da Dio per essere il pastore dei Giudei e dei Gentili. È la qualità che assume da se stesso proclamandosi il buon Pastore che conosce le sue pecore, e che è da esse conosciuto. « Ed Egli le ha nutrito, dice il Profeta, secondo l’innocenza del suo cuore. » Cosa vi era di più innocente di Colui che non aveva alcun peccato, che non soltanto da esso non fu vinto, ma che ebbe a vincere? « Egli li ha diretti secondo l’intelligenza delle sue mani. Sembrerebbe più giusto dire: nell’innocenza delle sue mani e nell’intelligenza del suo cuore; ma Colui che sapeva meglio degli altri ciò che doveva dire, ha preferito attribuire l’innocenza al cuore e l’intelligenza alle mani. È – a mio avviso – perché molti si credono innocenti perché non fanno cattive azioni, per paura dei castighi che li attenderebbero se li commettessero, ma che farebbero se potessero farli impunemente. Costoro possono avere l’innocenza delle mani, ma non quella del cuore. Ma cos’è questa innocenza e di quale natura è, se non è l’innocenza del cuore, per cui l’uomo è stato fatto ad immagine di Dio? (S. Agost.) – La Chiesa che ha la luce sulla fronte e la carità nel cuore, ha inoltre l’intelligenza nelle mani: precisamente perché ha l’occhio molto rischiarato, ha una sicurezza di movimenti, una precisione di manovra che le permette di dirigere l’umanità attraverso tutte le insidie, tenendo conto nello stesso tempo dei princîpi che non variano e delle congiunture che ne fanno variare le applicazioni e danno soddisfazione allo spirito dei tempi, senza offendere le esigenze divine (Mons, Pie, Disc., et inst., tome V, p. 192.) – Il Vicario di Cristo che risiede a Roma è veramente il Pastore del mondo. Pascere, vuol dire reggere e sostenere il gregge, condurlo con intelligenza, nutrirlo con amore. Osservate le generazioni che si succedono da quando Pietro è stato incaricato di dirigerle e nutrirle. Non è il caso di dire come il Salmista reale: « Egli li ha nutriti come loro pastore, nell’innocenza del suo cuore e le ha condotti con mano saggia e prudente? » Quando si considera il governo della Sede Apostolica, non si sa cosa ammirare prima, se la semplicità, o la rettitudine del cuore, o l’indirizzo, l’industria intelligente delle mani (Mgr. Pie, Disc. etc., t. V. p. 174.).- Noi vediamo qui riunite le qualità di un buon pastore: 1° L’elezione divina: « Egli ha scelto Davide, suo servitore, » – 2° l’oggetto e la fine della sua elezione, vale a dire la cura scrupolosa che deve prendersi delle sue greggi, « affinché serva da pastore al suo servo Giacobbe, e ad Israele, sua eredità; » – 3° l’innocenza della vita e la purezza dei costumi: e li ha nutriti come un pastore, nell’innocenza del suo cuore; » – 4° la saggezza e la saggezza pratica con la quale egli deve condurre il suo gregge. « Ed Egli li ha condotti con mano saggia e prudente. »

SANTO NATALE: MESSA DEL GIORNO (2019)

MESSA DI NATALE (2019)

TERZA MESSA DURANTE IL GIORNO.

Staz. a S. Maria Maggiore.

(Messale Romano di S. Bertola e G. Destefani, comm. di D. G. LEFEBVRE O. S. B; L. I. C. E. – R. Berruti & C. Torino 1950)

« In principio era il Verbo, e il Verbo era con Dio. Tutte le cose sono state fatte da Lui » (Vang.). «Tu, o Signore, in principio hai creato la terra: i cieli sono opera delle tue mani » (Ep.). « Tuoi sono i cieli e la terra, sei tu che hai creato l’Universo e tutto ciò che contiene » (Off.). L’uomo, che è stato creato da Dio, da Lui sarà ristabilito nella primitiva dignità. Cosi « il Verbo si fece carne ed abitò in noi” (Vang.). «Iddio, in questi ultimi tempi (cioè nei giorni messianici) ci ha parlato nella persona del Figlio, che è lo splendore della sua gloria » (Ep.). Così la Chiesa canta oggi che una gran luce è discesa sulla terra (Allel.). Questa luce ha brillato nelle tenebre, ma le tenebre non l’hanno accolta, perché il Verbo è venuto nel mondo, ma i suoi non l’hanno ricevuto. A quelli invece che l’hanno accolto ha dato il potere di divenire figli di Dio (Vang.). « È infatti per liberarci dalla schiavitù del peccato, per purificarci dalle nostre colpe (Secr.) e per farci nascere alla vita divina (Poste.) che l’Unigenito di Dio è nato secondo la carne » (Ep.). Più di settecento anni prima di questa nascita, Isaia esaltava già la potenza dell’Uomo-Dio. «Un bambino ci è nato, egli porterà i segni della sua regalità e i prodigi ch’Egli operò sono raffigurati in quelli che Dio fece quando liberò gli Ebrei dalla schiavitù d’Egitto (Vers. Dell’Intr.). Cosi, oggi come allora, «tutti i confini della terra sono testimoni della salvezza che Dio operò per il suo popolo » (Grad. Comm.). – La salvezza che Cristo ha realizzato nel suo primo avvento, la compirà alla fine dei tempi. « Dopo che Gesù ebbe operato la purificazione dai peccati, spiega l’Apostolo Paolo, sali in Cielo, dove è assiso alla destra della Maestà divina » (Ep.). La sua umanità glorificata partecipa dunque del trono dell’Eterno: « Il tuo trono, o Dio, è nei secoli dei secoli: lo scettro del tuo regno è uno scettro di giustizia » (Ep.). « La giustizia e l’equità sono le basi del tuo trono » (Offerì.). « E un giorno, dice S. Luca, il Figlio dell’Uomo verrà nella, sua gloria e in quella del Padre e degli Angeli suoi, per rendere a ciascuno secondo le proprie opere ». Quando Dio manderà di nuovo (cioè alla fine del mondo) il suo Primogenito sulla terra dirà: « tutti gli Angeli lo adorino » (Ep.). E ci sarà allora una trasformazione di tutte le creature, perché il Figlio di Dio, che non muta, rinnoverà le creature come si fa di un vestito vecchio (Ep.). E l’Apostolo in una settima citazione delle Sacre Scritture, che segue quelle che troviamo oggi nell’Epistola, aggiunge che « Iddio farà allora dei nemici di Cristo uno sgabello ai suoi piedi ». Sarà il trionfo finale del Verbo incarnato che punirà, nella sua seconda venuta, quelli che non l’avranno accolto nella prima; mentre farà partecipi della sua immortalità quelli che saranno nati da Dio, avendo questi accolto con fede e con amore il Verbo incarnato, come lo hanno accolto i Re Magi, venuti da lontano per adorarlo (Vangelo dell’Epifania, letto come ultimo Vang.). Ed essendo Gesù presente anche nell’Eucarestia, così come lo era a Betlemme, adoriamolo sull’Altare, vera mangiatoia, dove si trovò il Bambino Gesù, perché in questo tempo di Natale la liturgia grazie al Messale, ci rappresenta l’Ostia nel quadro di Betlemme. È nella gran Chiesa della Vergine, che a Roma rappresenta Betlemme, che si celebra la Messa del giorno di Natale, come vi si è celebrata quella di mezzanotte.

Incipit

In nómine Patris, ☩︎ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Isa IX: 6
Puer natus est nobis, et fílius datus est nobis: cujus impérium super húmerum ejus: et vocábitur nomen ejus magni consílii Angelus. [Ci è nato un Bambino e ci è stato dato un Figlio, il cui impero poggia sugli òmeri suoi: il suo nome sarà Àngelo del buon consiglio.]

Ps XCVII: 1
Cantáte Dómino cánticum novum, quia mirabília fecit.
[Cantate al Signore un càntico nuovo: poiché ha fatto cose mirabili.]

Puer natus est nobis, et fílius datus est nobis: cujus impérium super húmerum ejus: et vocábitur nomen ejus magni consílii Angelus. [Ci è nato un Bambino e ci è stato dato un Figlio, il cui impero poggia sugli òmeri suoi: il suo nome sarà Angelo del buon consiglio.]

Oratio

Orémus.
Concéde, quǽsumus, omnípotens Deus: ut nos Unigéniti tui nova per carnem Natívitas líberet; quos sub peccáti jugo vetústa sérvitus tenet.
[Concedici, Te ne preghiamo, o Dio onnipotente, che la nuova nascita secondo la carne del tuo Unigenito, liberi noi, che l’antica schiavitù tiene sotto il gioco del peccato.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Hebraeos.
Hebr I: 1-12
Multifáriam, multísque modis olim Deus loquens pátribus in Prophétis: novíssime diébus istis locútus est nobis in Fílio, quem constítuit herédem universórum, per quem fecit et saecula: qui cum sit splendor glóriæ, et figúra substántia? ejus, portánsque ómnia verbo virtútis suæ, purgatiónem peccatórum fáciens, sedet ad déxteram majestátis in excélsis: tanto mélior Angelis efféctus, quanto differéntius præ illis nomen hereditávit. Cui enim dixit aliquándo Angelórum: Fílius meus es tu, ego hódie génui te? Et rursum: Ego ero illi in patrem, et ipse erit mihi in fílium? Et cum íterum introdúcit Primogénitum in orbem terræ, dicit: Et adórent eum omnes Angeli Dei. Et ad Angelos quidem dicit: Qui facit Angelos suos spíritus, et minístros suos flammam ignis. Ad Fílium autem: Thronus tuus, Deus, in saeculum saeculi: virga æquitátis, virga regni tui. Dilexísti justítiam et odísti iniquitátem: proptérea unxit te Deus, Deus tuus, óleo exsultatiónis præ particípibus tuis. Et: Tu in princípio, Dómine, terram fundásti: et ópera mánuum tuárum sunt coeli. Ipsi períbunt, tu autem permanébis; et omnes ut vestiméntum veteráscent: et velut amíctum mutábis eos, et mutabúntur: tu autem idem ipse es, et anni tui non defícient.

OMELIA I

[A. Castellazzi: La scuola degli Apostoli. Tip. Artigianelli, Pavia, 1929 – imprim.]

“A più riprese e in molte maniere, parlò Dio un tempo ai padri per mezzo dei profeti: ultimamente, in questi giorni; ha parlato a noi per mezzo del suo Figliuolo, che egli ha costituito erede di tutte le cose, e per mezzo del quale ha anche creato il mondo. Questo Figlio che è lo splendore della gloria del Padre e la forma della sua sostanza, e che sostiene tutte le cose con la sua potente parola, compiuta che ebbe l’espiazione dei peccati; s’è posto a sedere alla destra della maestà nel più alto dei cieli, fatto di tanto superiore agli Angeli, di quanto più eccellente del loro è il nome da lui ereditato. Infatti, a quale degli Angeli disse mai: Tu sei mio Figlio, io oggi ti ho generata? E ancora: Io gli sarò Padre, ed Egli mi sarà Figlio? E quando introduce di nuovo il primogenito nel mondo dice: E l’adorino tutti gli Angeli di Dio. Agli Angeli, poi, dice: Colui che fa dei suoi Angeli i venti, e dei suoi ministri guizzi di fuoco. Al Figlio, invece dice: Il tuo trono, o Dio, sta in eterno: lo scettro del tuo regno è scettro di rettitudine. Hai amato la giustizia, e hai odiato l’iniquità; perciò, o Dio, il tuo Dio ti ha unto con olio di allegrezza a preferenza dei tuoi compagni. E tu in principio, o Signore, hai creato la terra, e i cieli sono opera delle tue mani. Essi passeranno, ma tu rimarrai, e tutti invecchieranno come un vestito, e tu li cambierai come un mantello, ed essi saranno cambiati. Ma tu sarai sempre quello, e i tuoi anni non finiranno mai.” (Ebr. 1, 1-12).

S. Paolo era venuto a conoscenza delle persecuzioni che subivano i Cristiani palestinesi, convertiti dal giudaismo, e non gli sfuggiva i l pericolo che correvano di abbandonare la Religione cristiana per far ritorno a quella ebraica. A confortarli nella loro tribolazione, e a confermarli nella religione abbracciata manda loro dall’Italia una lunga lettera. In essa è dimostrata la grande superiorità del Nuovo Testamento su l’antico, e se ne deducono pratiche esortazioni. Il principio di questa lettera forma l’Epistola di quest’oggi. — Premesso che Dio ci ha parlato, un tempo, per mezzo dei profeti, in molti e vari modi, e, ora, per mezzo del proprio Figlio, prova, con diversi argomenti che il Figlio di Dio è molto superiore agli Angeli. Guidati dagli insegnamenti dell’Apostolo, portiamoci davanti alla culla di Gesù a venerare Colui che è:

1. La luce fra le tenebre,

2. Il Salvatore del mondo,

3. Il dispensatore delle grazie.

1.

Quando nasce il figlio di un re si fa festa in tutto il regno. Il giorno della sua nascita è considerato un giorno di letizia. La nascita di Gesù Cristo si festeggia in tutto il mondo: il giorno di questa nascita è il giorno del gaudio universale. Tutti vi prendono parte: adulti e piccini, fortunati e infelici. E perché tanto gaudio, da 19secoli, si rinnova di anno in anno davanti alla culla di Gesù? Chi è quel bambino che vagisce nella mangiatoia, che non balbetta una parola? Egli è l’interprete della volontà di Dio, egli è colui che rivela pienamente le verità che riguardano l’Altissimo. Nell’Antico Testamento erano state fatte al popolo ebreo divine rivelazioni: e questo tesoro delle divine rivelazioni rendeva quel popolo grandemente superiore a tutti gli altri popoli. Con l a nascita di Gesù Cristo comincia una nuova rivelazione. Udiamo S. Paolo:

A più riprese e in molte maniere parlò Dio un tempo ai padri per mezzo dei profeti: ultimamente, in questi giorni, parlò a noi per mezzo del suo Figliuolo. Fin dal tempo dei primi patriarchi Dio manifesta i suoi oracoli a uomini, che si è scelti come strumenti per manifestare la sua volontà. Non tutto è rivelato ai profeti, né a tutti è rivelata la stessa cosa. Una cosa è rivelata ai nostri progenitori, altra a Noè, altra ad Abramo. A Isaia è rivelato il parto della Vergine e la passione di Cristo. A Daniele il tempo della nascita del Messia; a Michea il luogo. La rivelazione è fatta come a frammenti, a più riprese, in modo che s’accresce col succedersi dei tempi.Orbene, il fanciullo che noi contempliamo nella culla di Betlemme, è strumento di rivelazione divina molto più completa di quella fatta per mezzo dei profeti, attraverso tanto volgere di secoli. Quel Bambino ci istruirà non solamente intorno a qualche verità, ma intorno a tutte le verità. Non ci istruirà in modo confuso, ma chiaro. Quel Bambino è il riflesso della gloria di Dio e l’impronta della sua sostanza; è il Verbo fatto carne. La dottrina che Egli insegna l’ha attinta nel seno del Padre. «Tutto quello che intesi dal Padre — dirà un giorno agli Apostoli — l’ho fatto sapere a voi» (Giov. XV, 15). E la sua rivelazione non è riservata ai soli Ebrei: è fatta per tutti i popoli della terra. Questo profeta di tutti i tempi e di tutte le verità è anche il profeta di tutte le genti». « È la luce che splende fra le tenebre» (Giov. I, 5) dovunque esse si stendano. La luce che questo Bambino è venuto a portare porterà un nuovo ordine, che andrà estendendosi a tutto il mondo.

2.

Il Fanciullo che contempliamo nella culla è colui che si porrà, compiuta  l’espiazione dei peccati, a sedere alla destra della maestà nel più alto dei cieli.

Sofonia aveva predetto:« In quel giorno si dirà in Gerusalemme: … Il Signore, il Dio tuo forte sta in mezzo a te » (Sof. III, 16-17). Quel giorno è venuto. Il Fanciullo che vagisce è il Dio forte venuto a salvarci, espiando per noi i peccati. Attorno a lui l’occhio umano non scorge nulla che indichi chi strapperà i popoli al potere dei nemici. Dalle pareti tra cui vagisce non pendono i ritratti di antenati guerrieri. Alla soglia non vegliano soldati armati. Le sue mani non stringono la spada. Egli è avvolto nelle fasce, debole come tutti i fanciulli appena nati. Crescerà non in una scuola di guerra, ma in una bottega di falegname. Un giorno si assocerà dei discepoli, che non avranno mai combinato piani di battaglia, ma unicamente tese le reti nel lago di Genesaret, E se un giorno, uno di loro, in un momento di zelo, sfodererà la spada per difendere il Maestro; questi lo richiamerà prontamente: «Rimetti la spada al posto, perché tutti coloro che si serviranno della spada, periranno di spada» (Matth. XXVI, 52). – Gesù, come predisse l’Angelo a S. Giuseppe, «salverà il popolo dai suoi peccati» (Matth. I, 21). ma non per mezzo di eserciti. Egli combatterà non sterminando i nemici col ferro e col fuoco, ma consegnando se stesso alla morte come mite agnello. «E l’Agnello li vincerà, perché Egli è il Signore dei Signori e il R e dei Re» (Apoc. XVII, 14). Questo Bambino nella natura umana che ha assunto ha deposto la maestà divina, ma non il potere» (S. Zenone, L. 2 Tract. 9, 1). – I tiranni sorgono e scompaiono. I regni da loro fondati si dilatano, poi vanno restringendosi, e poi non sono che ricordi. Ma il tiranno, contro cui prende a lottare Gesù Cristo, regna da secoli. Ha posto il suo giogo sul primo uomo, e continua a porlo sopra i suoi discendenti. Il suo regno, che è il regno del peccato, si estende a tutto il mondo. Non c’è nazione, non c’è individuo che se ne possa sottrarre. « In vero tutti hanno peccato, e sono privi della gloria di Dio » (Rom. III, 23). Gesù Cristo sarà il liberatore di tutti. Quel Bambino, è l’innocente, è il segregato dai peccatori. Egli è sfuggito al dominio di satana, e sulla croce lo infrangerà completamente. Da Adamo fino a Gesù Cristo ha dominato il peccato. Con la venuta di Gesù Cristo si inizia il dominio della grazia. L’impero di satana andrà perdendo terreno ogni giorno. I tempi dedicati agli idoli cadranno a mano a mano, e al loro posto sorgeranno chiese, in cui si innalzeranno preghiere al vero Dio, e a Lui si faranno sacrifici accetti, l’uomo è ora destinato alla morte eterna, e Gesù gli aprirà le porte della vita beata. Egli salirà al cielo a ricevere il premio della sua vittoria, e dietro di Lui saranno continuamente i suoi seguaci. Come aveva ragione l’Angelo di dire ai pastori: «Vi reco una buona novella di grande allegrezza per tutto il popolo. Oggi nella città di Davide vi è nato un Salvatore che è il Cristo Signore» (Luc. II, 10-11).

3.

In principio hai creato la terra e i cieli sono opera delle tue mani.

È la preghiera che il popolo d’Israele, schiavo in Babilonia, rivolge a Dio, perché lo liberi, e faccia risorgere Gerusalemme. Egli può farlo: è onnipotente (Salm. CI, 26). Lo stesso possiam dire Con S. Paolo del fanciullo di Betlemme. Egli è padrone del cielo e della terra: l’universo e quanto vi si contiene è suo. Egli può ricolmarci di tutti i beni. Non sconfortiamoci se non lo vediamo in una culla dorata, se non è difeso da cortine di seta, se il suolo della sua abitazione non è coperto di ricchi tappeti. « La povertà di Cristo è più ricca che tutta la roba, che tutti i tesori del mondo » (S. Bernardo. In Vig. Nat. Serm. 4, 6). Questo povero Fanciullo un giorno darà abbondanza di pane alle turbe affamate. Darà il camminare agli storpi, l’udito ai sordi, la vista ai ciechi, la loquela ai muti, la liberazione agli indemoniati. – Padrone della vita e della morte, ascolterà la preghiera delle sorelle di Lazzaro, e richiamerà dalla tomba, ove è già in preda alla corruzione, il loro fratello; scuoterà dal sonno della morte la figlia di Giairo, fermerà la bara che porta alla sepoltura il figlio unico della vedova di Naim; e, ridonata la vita al giovinetto, lo consegnerà alla madre. – Chi giace privo di tutto nella mangiatoia è il dispensatore dei regni. Un giorno dirà agli eletti : « Venite, o benedetti dal Padre mio; prendete il regno che vi è stato preparato dalla fondazione del mondo » (Matth. XXV, 34). Egli richiamerà i peccatori dalla morte alla vita spirituale. La peccatrice, il paralitico, ascolteranno dalla sua bocca la consolante parola: « Va, ti sono rimessi i tuoi peccati » (Luc. V, 20; VII, 48). S. Giovanni racchiude tutto in una frase: E della pienezza di Lui tutti abbiamo ricevuto, grazia su grazia » (Giov. I, 16). E intanto gli uomini cominciano a godere il dono della pace. Poco lontano dalla sua culla uno stuolo dell’esercito celeste canta: « Gloria a Dio nel più alto dei cieli, e pace in terra agli uomini di buona volontà» (Luc. II, 14). La pace tra Dio e l’uomo è stata inaugurata con la nascita del Redentore. Il Bambino di Betlemme è la vittima destinata a placare la divina giustizia offesa. La culla in cui piange è come un altare su cui comincia per noi il sacrificio che deve riconciliarci al Padre. Su questo altare versa lagrime; sulla croce verserà sangue, e sarà compiuto l’ultimo atto del sacrificio. L’opera è cominciata con l’offerta di pace; non respingiamola. È un dono che non troveremo altrove, perché, nessuno può dare quel che non ha. Togliamo prontamente tutto ciò ch’è d’ostacolo a questa pace, e godremo pienamente di questo giorno. Oggi dev’essere giorno di letizia. « Non è lecito dar luogo alla tristezza quando è il giorno natalizio della vita» (S. Leone M. Serm. 21, 1). Non potremo sottrarci alla tristezza se avremo il peccato su l’anima: via, dunque, il peccato. E se vogliamo gustare appieno la letizia, procuriamo di stringere al nostro cuore, sotto le specie eucaristiche, quel Bambino che contempliamo nella culla di Betlemme. – È commovente la storia del piccolo Giorgio, nipote del celebre ebreo convertito, Ermanno Cohen. Per obbligarlo ad abiurare la religione cattolica, che il fanciullo aveva abbracciato con la madre, il padre, ebreo, lo separa da questa, e lo conduce in un paese protestante, lontano quattrocentocinquanta leghe da lei. Si era fatto Cristiano per poter ricevere Gesù nella S. Comunione, e ora ne è severamente impedito. Era questo il suo maggior tormento. All’avvicinarsi di Natale può far pervenire allo zio i suoi lamenti: « Siamo alla vigilia di Natale, ed all’approssimarsi di questa solennità la sorveglianza si raddoppia per impedirmi di ricevere il mio Dio. Ahimè! Dovrò dunque passare queste belle feste nel digiuno e privo del pane di vita? Prego il Santo Bambino Gesù che il mio digiuno presto finisca ». Il non rimaner digiuno del pane di vita sarà appunto il modo migliore di assaporare tutta intera la gioia che ci reca la nascita di Gesù.

Graduale

Ps XCVII:3; 2
Vidérunt omnes fines terræ salutare Dei nostri: jubiláte Deo, omnis terra. [Tutti i confini della terra vídero la salvezza del nostro Dio: tutta la terra acclàmi a Dio.]

V. Notum fecit Dominus salutare suum: ante conspéctum géntium revelávit justitiam suam. Allelúja, allelúja.

[Il Signore ci fece conoscere la sua salvezza: agli occhi delle genti rivelò la sua giustizia. Allelúia, allelúia.]

V. Dies sanctificátus illúxit nobis: veníte, gentes, et adoráte Dóminum: quia hódie descéndit lux magna super terram. Allelúja. [Un giorno sacro ci ha illuminati: venite, genti, e adorate il Signore: perché oggi discende gran luce sopra la terra. Allelúia.]

Evangelium

Joann 1: 1-14
In princípio erat Verbum, et Verbum erat apud Deum, et Deus erat Verbum. Hoc erat in princípio apud Deum. Omnia per ipsum facta sunt: et sine ipso factum est nihil, quod factum est: in ipso vita erat, et vita erat lux hóminum: et lux in ténebris lucet, et ténebræ eam non comprehendérunt. Fuit homo missus a Deo, cui nomen erat Joánnes. Hic venit in testimónium, ut testimónium perhibéret de lúmine, ut omnes créderent per illum. Non erat ille lux, sed ut testimónium perhibéret de lúmine. Erat lux vera, quæ illúminat omnem hóminem veniéntem in hunc mundum. In mundo erat, et mundus per ipsum factus est, et mundus eum non cognóvit. In própria venit, et sui eum non recepérunt. Quotquot autem recepérunt eum, dedit eis potestátem fílios Dei fíeri, his, qui credunt in nómine ejus: qui non ex sanguínibus, neque ex voluntáte carnis, neque ex voluntáte viri, sed ex Deo nati sunt. Hic genuflectitur Et Verbum caro factum est, et habitávit in nobis: et vídimus glóriam ejus, glóriam quasi Unigéniti a Patre, plenum grátiæ et veritátis.

[In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio. Egli era in principio presso Dio. Tutto è stato fatto per mezzo di Lui, e senza di Lui nulla è stato fatto di ciò che è fatto. In Lui era la vita e la vita era la luce degli uomini. E la luce splende tra le tenebre e le tenebre non l’hanno accolta. Ci fu un uomo mandato da Dio, il cui nome era Giovanni. Questi venne come testimonio, per rendere testimonianza alla luce, affinché tutti credessero per mezzo di lui. Egli non era la luce, ma era per rendere testimonianza alla luce. Era la luce vera che illumina ogni uomo che viene in questo mondo. Era nel mondo, e il mondo fu fatto per mezzo di Lui, e il mondo non lo conobbe. Venne nella sua casa, e i suoi non lo accolsero. Ma a quanti lo accolsero diede il potere di diventare figli di Dio: a loro che credono nel suo nome: i quali non da sangue, né da volere di carne, né da volere di uomo, ma da Dio sono nati. (Genuflettiamo) E il Verbo si fece carne (Ci alziamo), e abitò tra noi: e noi abbiamo visto la sua gloria, gloria come di Unigénito dal Padre, pieno di grazia e di verità.]

OMELIA II

S. Giovanni B. M. Vianney

SERMONE PER IL GIORNO DI NATALE

(Secondo Sermone)

Sul Mistero

“Evangelizo vobis gaudium magnum; natus est vobis hodie Salvator”.

Vengo  a portarvi una lieta novella: oggi vi è nato un Salvatore (S. Luc. II, 11)

[I Sermoni del Curato d’Ars, vol. I, Torino Libreria del Sacro Cuore, 1908]

Far sapere ad un moribondo che un abile medico lo trarrà dalle porte della morte e gli restituirà una salute perfetta, quale felice notizia, fratelli miei! Ma infinitamente più felice è quella che l’Angelo porta a tutti gli uomini nella persona dei pastori. Il demone aveva ferito mortalmente la nostra anima attraverso il peccato. Vi aveva messo tre passioni fatali, da cui scaturiscono tutte le altre: vale a dire l’orgoglio, l’avarizia e la sensualità. Sì, fratelli miei, eravamo tutti sotto queste vergognose passioni, come dei malati senza speranza che aspettano solo la morte eterna, se Gesù Cristo non fosse venuto in nostro aiuto. Ma questo tenero Salvatore viene al mondo nell’umiliazione, nella povertà, nella sofferenza, per distruggere questo lavoro del diavolo e per applicare rimedi efficaci alle ferite crudeli che questo antico serpente ci aveva fatto. Sì, fratelli miei, è questo tenero Salvatore pieno di carità che viene a guarirci e a meritarci la grazia, con una vita umile, povera e mortificata; e per eccitarci in modo più efficace alla pratica di queste virtù, Egli stesso vuole darcene l’esempio. Questo è ciò che vediamo mirabilmente nella sua nascita. Egli ci prepara, con le sue umiliazioni e la sua obbedienza, un rimedio per il nostro orgoglio; con la sua estrema povertà, un rimedio al nostro amore per i beni di questo mondo; col suo stato di sofferenza e di mortificazione, un rimedio al nostro amore per i piaceri dei sensi, e quindi ci rende spirituali e ci apre la porta del cielo. Preziosa è questa grazia, fratelli miei, ma poco conosciuta dalla maggior parte dei Cristiani. Questo Messia, fratelli miei, questo tenero Salvatore, viene nel mondo per salvarlo. Tuttavia, il Vangelo ci dice che nessuno vuole riceverlo; ed Egli è obbligato a nascere in una stalla su di una manciata di paglia. No, fratelli miei, non possiamo fare a meno di incolpare la condotta degli Ebrei nei confronti di questo divino Gesù. Ma, ahimè, la condotta che abbiamo noi verso di Lui è ancora più crudele, poiché gli Ebrei non lo conoscevano come Messia, mentre noi lo conosciamo come nostro vero Dio. Pertanto, fratelli miei, vi mostrerò il grande bene che questa nascita ci offre e che è il nostro modello in tutto ciò che dobbiamo fare.

I. Per capire, fratelli miei, la grandezza dei beni che la nascita di Gesù Cristo ci ha procurato, è necessario essere in grado di comprendere lo stato infelice in cui il peccato di Adamo ci aveva fatto precipitare, cosa che non potremo mai compiutamente fare. Vi dico, quindi, che la prima ferita del nostro cuore è l’orgoglio. Questa passione, fratelli miei, così pericolosa, consiste in un fondo di amore proprio e di stima di noi stessi, per cui: 1 ° non ci piace dipendere da nessuno, 2 ° non temiamo nulla quanto essere umiliati agli occhi degli uomini e 3° cerchiamo tutto ciò che possa elevarci nelle loro menti. Ecco, fratelli miei, le fatali passioni che Gesù Cristo viene a combattere con la sua nascita nella più profonda umiltà. Non solo, Egli vuole dipendere da suo Padre e obbedirgli in tutto; vuole ancora obbedire agli uomini e dipendere in qualche modo dalla loro volontà. In effetti, l’imperatore Augusto, per vanità, interesse o capriccio, ordinò che tutti i suoi sudditi fossero censiti e che ogni famiglia in particolare dovesse essere registrata nel luogo da cui essa proveniva, donde era stata presa, e derivava la sua origine. Ma l’obbedienza di Gesù era così grande, che appena fu pubblicato l’editto, la Beata Vergine e San Giuseppe si misero in cammino. Quale lezione, fratelli miei, Dio obbedisce alle sue creature e vuole dipendere da esse! Ahimè! Quanto ne siamo lontani! Con quanti inutili pretesti non cerchiamo di dispensarci dall’obbedire ai Comandamenti di Dio o agli ordini di coloro che prendono il suo posto nei nostri confronti! Che vergogna per noi, o meglio, fratelli miei, qual orgoglio il non voler mai obbedire, ma ordinare sempre, credere che abbiamo sempre ragione e mai torto! – Ma andiamo oltre, fratelli miei, vedremo qualcosa di più. Dopo un viaggio di oltre quaranta leghe, Maria e Giuseppe arrivarono a Betlemme. Ditemi, quando questa città ha ricevuto il suo Dio, il suo Salvatore, avrebbe dovuto mettere limiti gli onori che gli si dovevano? Non dovremmo forse dire in questo momento, come nella sua entrata a Gerusalemme: « Beato colui che viene nel nome del Signore, Gloria gli sia resa nel più alto dei cieli? Ma no, questo tenero Salvatore viene solo per soffrire! E vuole iniziare fin dalla nascita. Tutti lo respingono; nessuno vuole ospitarli. Ecco a cosa è ridotto il padrone dell’universo, il Re del cielo e della terra, disprezzato e respinto dagli uomini, costretto a prendere in prestito dagli animali una dimora. Mio Dio! Che umiliazione! Che annientamento! No, fratelli miei, niente ci è così penoso, come gli insulti, il disprezzo e i rifiuti! Ma se noi consideriamo quelli che il Salvatore ha ricevuto alla nascita, avremo il coraggio di lamentarci, vedendo il Figlio di Dio ridotto a tale umiliazione? Impariamo, fratelli miei, a soffrire tutto ciò che può accaderci, con pazienza e con spirito di penitenza. Quale felicità per un Cristiano poter imitare in qualcosa il suo Dio e il suo Salvatore! – Andiamo oltre e vedremo che Gesù Cristo, ben lungi dal voler cercare ciò che potesse rivelarlo agli occhi degli uomini, vuole al contrario nascere nell’oscurità, nell’oblio; vuole che solo i poveri pastori siano informati della sua nascita da un Angelo che viene ad annunciare questa lieta notizia. Ditemi, fratelli miei, dopo un simile esempio, chi di noi potrebbe ancora conservare un cuore gonfio, animoso pieno di vanità e desideri stima, lode e considerazione del mondo? Vedete, fratelli miei, e contemplate questo tenero Bimbo; vedetelo già versare lacrime d’amore, che piange i nostri peccati, per i nostri mali. Ah! fratelli miei, che esempio di povertà, di umiltà, di distacco dai beni della vita! Lavoriamo, fratelli miei, onde diventare umili e spregevoli ai nostri occhi – dice Sant’Agostino -, se un Dio ha così disprezzato tutte le cose create, come potremmo noi amarle? Se fosse stato permesso di amarle, Colui che divenne uomo per noi ce lo avrebbe certo comandato. Questo, fratelli miei, è il rimedio che il divino Salvatore applica alla nostra prima piaga, che è l’orgoglio. – Ma ne abbiamo una seconda che non è meno pericolosa, e questa seconda ferita che il peccato ha fatto nel cuore dell’uomo, è l’avarizia; intendo parlare dell’amore disordinato delle ricchezze e dei beni di questa vita. Ahimè! questa passione sta causando il caos nel mondo! San Paolo, che la conosceva ancor meglio di noi, afferma che essa è la fonte di tutti i tipi di vizi. Non è forse a causa di questo maledetto interesse che avvengono le ingiustizie, i desideri, gli odi, i pregiudizi, le cause legali, i litigi, le animosità e la durezza verso i poveri? Da questo, fratelli miei, possiamo forse stupirci che Gesù Cristo, che è venuto sulla terra per guarire le passioni degli uomini, sia nato nella più grande povertà, nelle privazioni di tutte le comodità che sembrano così necessarie all’uomo? Innanzitutto vediamo che Egli sceglie una povera madre. Vuole essere il figlio di un povero artigiano. Dato che i profeti avevano annunciato che Egli sarebbe nato dalla famiglia reale di David, al fine di conciliare questa nobile origine con il suo amore per la povertà, ha permesso che al momento della sua nascita, questa illustre famiglia, cadesse in povertà. Ma non si ferma qui: Maria e Giuseppe, sebbene molto poveri, avevano una misera casa a Nazareth; ma anche questa è troppo per Lui, perché non vuole nascere in un posto che apparteneva a loro; per questo costringe la sua santa Madre a recarsi a Betlemme nel momento in cui deve metterlo al mondo. Tuttavia, a Betlemme, che era la patria di suo padre David, forse avrebbe potuto trovare delle risorse, specialmente tra i suoi parenti. Ma no, nessuno vuole riconoscerlo, nessuno vuole offrirgli un alloggio. Per Lui non c’è niente. Ditemi dove andrà questo divino Salvatore per proteggersi dalle intemperie del tempo, dal momento che tutti i posti sono già occupati? Giuseppe e Maria si presentano in diverse locande; ma no! sono poveri e per loro non c’è posto! Oh, amabile Salvatore, in quale stato di disprezzo e di abbandono vi vedo ridotto? – Giuseppe e Maria sono ansiosi di cercare da ogni parte. Alla fine vedono un fienile dove gli animali si ritirano in caso di maltempo; si era in inverno, si era all’aperto, quasi quanto in mezzo alle strade. – E cosa mai? Fratelli miei! una stalla esser l’abitazione di un Dio!? Sì, fratelli miei, sì, è lì che Dio vuole nascere. Non toccava che a Lui nascere nei più magnifici palazzi; ma no! Il  suo amore per la povertà non sarebbe stato soddisfatto … una stalla sarà il suo palazzo, una greppia la sua culla, un po’ di paglia comporrà tutto il suo letto, delle miserabili fasce saranno tutti i suoi ornamenti e dei poveri pastori formeranno la sua corte. Ditemi, fratelli miei, poteva Egli darci una lezione migliore sul disprezzo che dobbiamo noi avere dei beni e delle ricchezze di questo mondo? Poteva farci comprendere meglio l’amore che dobbiamo avere per la povertà e per il disprezzo? Venite, fratelli miei, voi che siete così attaccati alle cose della terra, ascoltate la lezione che vi dà questo divino Salvatore, e se non lo sentite ancora parlare – dice San Bernardo – ascoltate questa stalla, ascoltate la sua culla e le bende che lo fasciano! Cosa ci dice tutto questo? Ciò che Gesù Cristo stesso ci dirà un giorno:  « Guai a voi, ricchi del secolo. » Ah, quanto è difficile a coloro che attaccano i loro cuori ai beni di questo mondo, il salvarsi. Ma, mi direte, perché è così difficile per quelli che sono ricchi di cuore salvarsi? È perché, fratelli miei, i ricchi, se non hanno un cuore distaccato dai loro beni, sono pur pieni di orgoglio, disprezzano i poveri, si aggrappano alla vita presente, sono privi dell’amore di Dio: diciamo meglio, le ricchezze sono lo strumento di tutte le passioni. Ah! guai ai ricchi perché è così difficile per loro salvarsi! Preghiamo dunque, fratelli miei, questo bimbo sdraiato su una manciata di paglia, privo di tutto ciò che è necessario alla vita dell’uomo. Guardiamoci bene, fratelli miei, dal non attaccare i nostri cuori a cose così vili e spregevoli, poiché se avremo la sfortuna di non saperli usare bene, produrranno la perdita della nostra povera anima. Possano i nostri cuori essere poveri in modo da poter partecipare alla nascita di questo Salvatore. Voi vedete bene che Egli non chiama che i poveri, mentre i ricchi non arrivano che molto tempo dopo, per insegnarci che la ricchezza ci porta via da Dio, quasi senza che ce ne accorgiamo. – Possiamo concordare sul fatto che questo stato del Salvatore debba essere molto confortante per i poveri, poiché hanno un Dio come loro padre, loro modello e loro amico. Ma i poveri devono, se vogliono ricevere la ricompensa promessa ai poveri – che è il regno dei cieli – imitare il loro Salvatore, sopportare, sopportare la loro povertà nello spirito di penitenza, senza mormorare, senza invidiare i ricchi, ma, al contrario, compatirli perché sono molto in pericolo per quanto riguarda la loro salvezza; non devono lanciar maledizioni contro di loro, ma seguire l’esempio di Gesù Cristo, che si è ridotto all’estrema miseria, sebbene volontariamente. Egli non si lamenta, ma al contrario, versa lacrime sulle disgrazie dei ricchi; con questo, fratelli miei, ha guarito entrambe le ferite che il peccato ci ha fatto. Ma ancora va oltre, gli resta da guarire la terza ferita che il peccato ci ha fatto, che è la sensualità. Ma la sensualità consiste nell’amore disordinato dei piaceri che gustiamo con i sensi. È da questa fatale passione che nasce l’ècesso nel bere e nel mangiare, l’amore per il proprio benessere, le comodità della vita dolce e l’impurità; in una parola, tutto ciò che la legge di Dio ci ha proibito. Cosa fa il nostro Salvatore per guarirci da questa pericolosa malattia e da questo vizio? Egli è nato, fratelli miei, nella sofferenza, nelle lacrime e nelle mortificazioni: nasce durante la notte, nella stagione più rigorosa dell’anno. Appena nato, giace su un pugno di paglia e in una povera stalla completamente aperta. Ah! uomo sensuale, avido, impudico, entra in questo abisso di miseria e vedrai cosa fa un Dio per guarirti. Credetemi, fratelli miei, è là il vostro Dio, il vostro Salvatore, il vostro tenero Redentore? Sì, direte. Ma, se lo credete, dovete pure imitarlo. Ahimè! Quanto la nostra vita è lontana dalla sua! Ahimè! Vedete, fratelli miei, Egli soffre e voi non volete soffrire nulla! Egli si sacrifica per la vostra salvezza e voi non volete fare nulla per guadagnarla. Ahimè! Come vi comportate nel suo servizio (religioso)? Tutto vi scoraggia, tutto vi dà fastidio; appena si vedono fare le vostre Pasque; le vostre preghiere sono o manchevoli, o mal fatte; appena vi si vede assistere ai santi Uffici, ancora, fratelli miei, come vi comportate? Ah! le lacrime, le sofferenze di questo divin Bambinello, sono per voi terribili minacce. Guai a voi! Ah! Guai a voi che ora ridete, perché verrà un giorno in cui verserete lacrime; e queste lacrime saranno tanto più intense in quanto non si prosciugheranno mai. Il regno dei cieli – ci dice – subisce violenza; esso non è che per coloro che la fanno continuamente a se stessi. Felici – dice questo tenero Salvatore – felici quelli che piangono in questo mondo, perché un giorno saranno consolati. Chiunque prende Gesù Cristo come modello, dalla sua culla alla croce, è beato! Infatti ha di che incoraggiarsi! Ha qualcosa da imitare! Che armi potenti per respingere il demonio! Diciamo meglio: la vita dell’imitazione di Gesù Cristo è una vita da santo. – La storia ce ne fornisce un buon esempio; qui vediamo che una vedova che possedeva pochi beni, ma virtù e zelo per la salvezza dei suoi figli, aveva una figlia di dieci anni di nome Dorothea. Questa bambina era vivace, e incline alla dissipazione; la madre temeva che questa bambina potesse perdersi con i suoi piccoli compagni; la mise in una pensione con una maestra virtuosa per addestrarla alla virtù. Ella fece mirabili progressi nella sua pietà e tenne nel cuore tutti i buoni consigli che le aveva dato la sua maestra; ma soprattutto si proponeva Gesù Cristo come modello in tutte le sue perfezioni. Quando è stata restituita a sua madre, ella è stata l’esempio e la consolazione di tutta la sua famiglia. Non si lamentava mai di nulla, era paziente, gentile, ubbidiente, sempre serena, con uguale umore nel suo lavoro e nelle croci che le venivano incontro, casta, ostile ad ogni vanità, rispettosa di tutti, ben disposta verso tutti, sia nel linguaggio che nell’amor di servizio, sempre unita a Dio. Tale condotta la rese presto oggetto di stima per l’intera parrocchia; ma, come al solito, i falsi saggi che sono ciechi e orgogliosi, ne erano arrabbiati perché, senza saperlo, essi non sono virtuosi e saggi se non perché tutti li stimano tali; essi non possono soffrirne degli altri, per timore che non si faccia più attenzione a loro e che tutta la stima gli sia tolta. Questo è quello che è successo a questa ragazza. Alcuni compagni invidiosi si studiarono di offuscare la sua reputazione, chiamandola ipocrita e falsa devota. Ma Dorothea accettò tutto questo senza lamentarsi; lo subì per amore di Gesù Cristo e non mancò mai di amare coloro che la calunniarono. Ma la sua innocenza era nota e tutti ne avevano ancora più stima. Il curato della parrocchia, ammirando in lei i felici effetti della grazia ed il frutto che questa ragazza portava tra coloro che la frequentavano, le disse un giorno: « Dorothea, ti prego di dirmi in confidenza, come vivi, come ti comporti con i tuoi compagni? » – « Signore – rispose lei – mi sembra che io non faccia che molto poco rispetto a quello che dovrei fare. Mi sono sempre ricordata di un avviso che la mia maestra mi ha dato quando avevo solo dodici anni. Mi ha ripetuto molte volte di propormi Gesù Cristo come modello in tutte le mie azioni e in tutte le mie traversie. Questo è quello che ho cercato di fare. Ecco come lo faccio: quando mi sveglio e mi alzo, rappresento il Bambino Gesù che, al risveglio, si è offerto a Dio suo Padre in Sacrificio; per imitarlo, mi offro in sacrificio a Dio, dedicando la mia giornata a Lui, con tutte le mie fatiche e tutti i miei pensieri. Quando prego, immagino che Gesù preghi suo Padre nel giardino degli Ulivi a faccia in giù, e nel mio cuore, mi unisco a questa disposizione divina. Quando lavoro, penso che Gesù Cristo, così stanco, lavora per la mia salvezza e, lungi dal lamentarmi, unisco con amore e rassegnazione le mie opere alle sue. Quando mi viene comandato qualcosa, mi immagino Gesù Cristo sottomesso, obbediente alla Beata Vergine e a San Giuseppe, e in quel momento unisco la mia obbedienza alla sua. Se mi viene ordinato qualcosa di duro e doloroso, penso immediatamente che Gesù Cristo si sottomise alla morte della croce per salvarci; quindi accetto con tutto il cuore tutto ciò che mi viene comandato, per quanto difficile possa essere. Se uno parla di me, se mi dice durezze e insulti, non rispondo a nulla, soffro pazientemente, ricordando che Gesù Cristo ha sofferto in silenzio e senza lamentarsi delle umiliazioni, delle calunnie, i tormenti e gli obbrobri più crudeli; io penso allora che Gesù fosse innocente e non meritasse ciò che gli si faceva soffrire al posto mio, che sono una peccatrice, e merito più di quanto possa io mai soffrire. Quando prendo i miei pasti, immagino Gesù che prende i suoi con modestia e frugalità per lavorare alla gloria di suo Padre; se mangio qualcosa di disgustoso, penso immediatamente al fiele che Gesù Cristo ha assaggiato sulla croce, e gli faccio il sacrificio della mia sensualità. Quando ho fame o non ho abbastanza da mangiare, non smetto di essere felice, ricordando che Gesù Cristo ha trascorso quaranta giorni e quaranta notti, ed ha sofferto una fame crudele per amore mio e per espiare le intemperanze degli uomini. Quando prendo qualche momento di svago, quando parlo con qualcuno, immagino quanto fosse dolce e gentile Gesù Cristo con tutti. Se ascolto cattivi discorsi o vedo commettere qualche peccato, chiedo immediatamente a Dio perdono, rappresentandomi quanto Gesù Cristo avesse il cuore trafitto dal dolore nel vedere suo Padre offeso. Quando penso agli innumerevoli peccati commessi nel mondo, quanto Dio sia oltraggiato sulla terra, gemo, sospirando; io mi unisco alle disposizioni di Gesù Cristo, che diceva a suo Padre, parlando dell’uomo: « Ah! Padre, il mondo non ti conosce. » Quando vado a confessarmi, immagino che Gesù pianga i miei peccati nel Giardino degli Ulivi e sulla croce. Se frequento la Santa Messa, unisco immediatamente la mia mente e il mio cuore alle sante intenzioni di Gesù, che si sacrifica sull’altare per la gloria di suo Padre, per l’espiazione dei peccati degli uomini e per la salvezza di tutti. Quando sento cantare qualche cantico o ascolto le lodi di Dio, mi rallegro in Dio, mi rappresento questo glorioso cantico e la felice serata che Gesù Cristo trascorse con i suoi Apostoli dopo l’istituzione dell’adorabile Sacramento. Quando vado a riposarmi, immagino Gesù Cristo che vada a riposarsi unicamente per prendere nuova forza per la gloria di suo Padre, o immagino pure che il mio letto sia molto diverso dalla croce sulla quale Gesù Cristo si coricò come un agnello, offrendo a Dio il suo spirito e la sua vita; poi mi addormento dicendo queste parole di Gesù Cristo sulla croce: « Padre, metto il mio spirito nelle vostre mani. » Il curato, non potendo trattenersi dall’ammirare tanta luce in una giovane ragazza del villaggio, le disse: « Oh, Dorothea, quanto siete beata, e quante consolazioni avete nel vostro stato! » – « È vero che ho delle consolazioni al servizio di Dio; ma devo confessare che ho molte battaglie da sostenere: devo fare grandi violenze, sopportare le beffe di coloro che mi deridono e superare le mie passioni, che sono molto vivaci. Se il buon Dio mi fa delle grazie, permette anche che abbia molte tentazioni. A volte sono nel dolore; a volte, il disgusto per la preghiera mi travolge. « Che cosa fai – le dice il curato – per superare la tua ripugnanza e le tue tentazioni? « Quando sono – gli dice ella – nelle torture dello spirito, mi rappresento il Salvatore nel Giardino degli Ulivi, abbattuto, torturato e afflitto fino alla morte; oppure me lo rappresento abbandonato e senza consolazione sulla croce, e, unendomi a Lui, dico subito queste parole che Egli stesso pronunciò nel giardino degli ulivi: « Mio Dio, sia fatta la vostra volontà ». Per quanto riguarda le mie tentazioni, quando provo una certa attrazione per entrare in certe compagnie, nelle veglie, nelle danze e nei divertimenti pericolosi, o quando ho delle tentazioni violente per acconsentire a qualche peccato, immagino a me stesso Gesù-Cristo che mi dice queste parole: Eh! come, figlia mia, mi vuoi lasciare, per darti al mondo e ai suoi piaceri? Vuoi riprendere il tuo cuore per donarlo alla vanità e al diavolo? Non ci sono già abbastanza persone che mi offendono? Vuoi metterti dalla loro parte e abbandonare il mio servizio? Immediatamente, gli rispondo dal profondo del mio cuore: « No, mio ​​Dio, non ti abbandonerò mai, ti sarò fedele fino alla morte! Dove andrò, Signore lasciandoti? Tu solo hai parole di vita eterna! » Queste parole mi riempiono sul momento di forza e di coraggio. « Nelle conversazioni che hai con i tuoi compagni – le dice il curato – di cosa parlate? » – « Io parlo loro delle stesse cose di cui mi sono presa la libertà di parlarvi, dico loro di proporre Gesù Cristo come modello di tutte le loro azioni, da ricordare nelle loro preghiere, nei loro pasti, nel loro lavoro, nelle conversazioni, nei dolori della vita, di agire nel modo in cui Gesù Cristo si sarebbe comportato in queste occasioni, e sempre unendosi alle sue intenzioni divine; dico loro che sto usando questa santa pratica e che la trovo buona, che non c’è niente di più grande e nobile del voler seguire e imitare Gesù Cristo, e che non c’è niente di più grande e di più nobile che servire un Maestro così buono. » – Oh! beata l’anima, fratelli miei, che ha preso Gesù Cristo come sua guida, suo modello prediletto. Quante grazie, quante consolazioni che non si provano mai a servizio del mondo! Ecco, fratelli miei, le consolazioni che avreste se voleste darvi la pena di educare bene i vostri figli ed ispirar loro, non la vanità e l’amore dei piaceri del mondo, ma di prendere Gesù Cristo come modello in tutto ciò che fanno. Oh! che lumi felici! Oh! I genitori amati da Dio!

II. – Sì, fratelli miei, non è solo per riscattarci che Gesù Cristo è venuto, ma anche per servirci da esempio, ci dice: « Sono venuto per cercare e salvare ciò che era perduto; » E in un altro posto dice: « Io vi ho dato l’esempio, in modo che facciate quello che vedete che Io  faccio. » Quando San Giovanni battezzò Gesù Cristo nel Giordano, sentì l’eterno Padre dire: « Ecco, questi è il Figlio mio diletto, ascoltatelo. » Egli vuole che ascoltiamo le sue parole e che imitiamo le sue virtù. Egli non le ha praticati se non per mostrarci cosa dovessimo fare noi. Poiché i Cristiani sono figli di Dio, devono seguire le orme del loro Maestro, che è Gesù Cristo stesso. Sant’Agostino ci dice che un Cristiano che non vuole imitare Gesù Cristo non merita di essere chiamato Cristiano. Ci dice in un altro luogo: « … l’uomo è creato per imitare Gesù Cristo, che si è fatto uomo per rendersi visibile e perché potessimo imitarlo. Nel giorno del Giudizio, noi saremo esaminati nel vedere se la nostra vita sia stata conforme a quella di Gesù Cristo dalla nascita alla morte. Tutti i Santi che entrarono in Paradiso vi entrarono solo perché hanno imitato Gesù Cristo. Un buon Cristiano deve imitare la sua carità, che è una virtù che ci porta ad amare Dio con tutto il nostro cuore ed il prossimo come noi stessi. Gesù Cristo amò suo Padre dal momento del concepimento fino alla morte, dicendo: Io faccio sempre ciò che piace al Padre mio. Egli non si è accontentato di dirlo, ma ha dato la propria vita per riparare gli oltraggi che il peccato gli aveva fatto. Ama il suo prossimo, non solo come se stesso, ma più di se stesso, poiché ha dato il suo sangue e la sua vita per trarci fuori dall’inferno. Dobbiamo, come Gesù Cristo, amare il buon Dio con tutto il nostro cuore; preferirlo a tutto, non amare nulla se non in relazione a Lui. Dobbiamo amare il nostro prossimo come noi stessi, vale a dire, con il fargli tutto ciò che noi vorremmo fosse fatto a noi stessi, facendo tutto ciò che dipende da noi per aiutarlo a salvare la sua povera anima. – In secondo luogo, dobbiamo imitare la sua povertà e il suo distacco dalle cose della vita. Vedete, fratelli miei, come Egli è nato povero, ha vissuto povero ed è morto povero, poiché prima di morire ha permesso che gli fossero strappare tutti i suoi vestiti. Durante la sua vita non ha mai avuto nulla di suo in particolare. Ah! un bell’esempio di disprezzo per le cose della terra! – In terzo luogo, noi dobbiamo imitare la sua dolcezza. Egli ci dice: « Imparate da me, che sono mite ed umile di cuore. San Bernardo ci dice che Egli possiede la dolcezza nel suo nome che è quello di Gesù. Quando gli Apostoli volevano mandare il fuoco dal cielo in una città della Samaria, che non aveva voluto ricevere il Salvatore: « volete – gli dissero i suoi discepoli – che diciamo al fuoco del cielo di scendere su questa città? » Nostro Signore rispose loro: « Voi non sapete cosa state chiedendo; il Figlio dell’uomo non è venuto sulla terra per perdere anime, ma per salvarle. » Imitiamo la sua dolcezza verso Dio, ricevendo dolcemente tutto ciò che viene da Lui, i pene, dolori ed altri mali. Cerchiamo di essere buoni verso il nostro prossimo, non lasciamoci andare alla collera contro di lui; ma trattiamolo con gentilezza, con carità. Cerchiamo di essere così gentili anche con noi stessi; non agiamo mai per capriccio o per rabbia; se cadiamo in qualche errore, non dobbiamo prendercela con noi stessi; ma umiliarci profondamente davanti a Dio e, senza molto tormentarci, continuare le nostre pratiche religiose. Beati – dice Gesù Cristo – sono coloro che hanno un cuore dolce perché possederanno la terra, cioè il cuore degli uomini. – In quarto luogo, dobbiamo imitare la sua umiltà. Egli ci dice: « Imparate da me che sono umile di cuore. » La sua umiltà è stata così grande che, sebbene fosse il Re di tutti, volle essere l’ultimo di tutti gli uomini! Guardate quanto pratichi l’umiltà, nascendo in una stalla, abbandonato da tutti. Egli ha voluto essere circonciso, cioè, farsi considerare un peccatore, Lui che era la santità stessa, incapace di giammai peccare; Egli ha sofferto quando lo si chiamava stregone, indemoniato, seduttore; ha sempre nascosto ciò che poteva farlo stimare agli occhi degli uomini. Ha voluto lavare i piedi ai suoi Apostoli e persino al traditore Giuda, sebbene sapesse bene che doveva tradirlo; infine, Egli ha voluto essere venduto come un vile schiavo, trascinato con la corda al collo per le strade di Gerusalemme, come se fosse stato il più criminale del mondo. Cercate, fratelli miei, di imitare la sua grande umiltà nascondendo il bene che fate, soffrendo pazientemente gli insulti, il disprezzo e tutte le persecuzioni che possono essere portate contro di voi, sull’esempio di Gesù Cristo. – Noi dobbiamo ancora imitare la sua pazienza. Egli è stato paziente rimanendo rinchiuso nove mesi nel seno di sua madre, Egli che il cielo e la terra non possono contenere. Qual pazienza nel conversare con gli uomini, molti dei quali erano induriti e carichi di crimini. Quale pazienza durante tutta la sua passione! Lo si prende, lo si lega, lo ricoprono di piaghe, lo flagellano, lo attaccano alla croce, lo si fa morire, senza che abbia detto una sola parola per lamentarsi. Imitiamo, fratelli miei, questa pazienza quando siamo disprezzati e perseguitati ingiustamente. Imitiamo ancora la sua preghiera. Egli ha pregato versando lacrime di sangue. Ah! Fratelli miei, che felicità per noi la nascita di questo divin Salvatore! Noi dobbiamo solo seguire le sue orme; dobbiamo solo fare quello che ha fatto Egli stesso. Che gloria per dei Cristiani avere in Gesù Cristo un modello di tutte le virtù che dobbiamo praticare, per compiacerlo e salvare le nostre anime! Padri e madri addestrate i vostri figli su questo bellissimo modello, proponete loro spesso le virtù di Gesù Cristo come esempio. Felice notizia, che dal cielo ci porta l’Angelo nella persona dei pastori, poiché con essa abbiamo tutto: il cielo, la salvezza della nostra anima e il nostro Dio. È ciò  che io vi auguro  …

Credo

https://www.exsurgatdeus.org/2019/10/12/il-credo

Offertorium

Orémus
Ps LXXXVIII: 12; 15
Tui sunt cœli et tua est terra: orbem terrárum et plenitúdinem ejus tu fundásti: justítia et judícium præparátio sedis tuæ.
[Tuoi sono i cieli, e tua è la terra: tu hai fondato il mondo e quanto vi si contiene: giustizia ed equità sono le basi del tuo trono.]

Secreta

Obláta, Dómine, múnera, nova Unigéniti tui Nativitáte sanctífica: nosque a peccatórum nostrórum máculis emúnda. [Santifica, o Signore, con la nuova nascita del tuo Unigénito, i doni offerti, e puríficaci dalle macchie dei nostri peccati]

Comunione spirituale https://www.exsurgatdeus.org/2019/10/20/comunione-spirituale/

Communio

Ps XCVII:3
Vidérunt omnes fines terræ salutáre Dei nostri. [Tutti i confini della terra hanno visto la salvezza del nostro Dio.]

Postcommunio

Orémus.
Præsta, quǽsumus, omnípotens Deus: ut natus hódie Salvátor mundi, sicut divínæ nobis generatiónis est auctor; ita et immortalitátis sit ipse largítor:
[Fa, Te ne preghiamo, o Dio onnipotente, che il Salvatore del mondo, oggi nato, come è l’autore della nostra divina rigenerazione, così ci sia anche datore dell’immortalità.]

Preghiere leonine https://www.exsurgatdeus.org/2019/10/20/preghiere-leonine-dopo-la-messa/

Ordinario della Messa https://www.exsurgatdeus.org/2019/05/20/ordinario-della-messa/

SANTO NATALE: SECONDA MESSA DELL’AURORA

SANTO NATALE

SECONDA MESSA ALL’AURORA

(Messale Romano di S. Bertola e G. Destefani, comm. di D. G. LEFEBVRE O. S. B; L. I. C. E. – R. Berruti & C. Torino 1950)

Stazione a S. Anastasia.

La Messa Dell’Aurora si celebrava a Roma nell’antichissima chiesa di S. Anastasia. La sua posizione ai piedi del Palatino, dov’era la residenza dei Cesari, ne faceva la Chiesa degli alti funzionari della Corte. Il nome di S. Anastasia è inserito al Canone della Messa. Santa Anastasia, di cui oggi si fa memoria, è la celebre martire di Sirmio. – La liturgia della Messa ci fa salutare « con gioia il santo Re che viene » (Com.) « il Signore che è nato per noi » (Intr.), « il Bambino adagiato nella mangiatoia » (Vang.). Ci dice che « colui che è nato uomo in questo giorno, si è rivelato anche ai nostri occhi come Dio » (Secr.). Perchè Egli è « il Verbo fatto carne (Or.) si chiama Dio (Intr.) ed « esiste sino dall’eternità » (Off.). E, se Egli viene, è per salvarci (Ep. Com.) e « per farci eredi della vita eterna » (Ep.) della quale noi godremo nel cielo, quando questo Principe della pace, tornerà alla fine del mondo rivestito di forza» (V. dell’Intr., Alleluia) e in tutto lo splendore della sua Maestà. Allora « il Re dei cieli, che s’è degnato nascere per noi da una Vergine per richiamare al Regno celeste l’uomo che ne era decaduto» (1° resp.)» regnerà per sempre «(Intr.)sugli uomini di buona volontà (Gloria) che lo avranno accolto con fede e amore al tempo della sua prima venuta. Le feste di Natale hanno dunque lo scopo di prepararci al 2° Avvento « giustificandoci per la grazia di Gesù Cristo » (Ep.) « distruggendo in noi il vecchio uomo » (Postcom.) « conferendoci ciò che è divino » (Secr.) e aiutandoci « a fare risplendere nelle nostre opere ciò che per la fede brilla nelle nostre anime » (Or.). – Con i pastori, ai quali il Signore manifesta l’Incarnazione del Suo Figlio, « affrettiamoci di andare» (Vang.) ad adorare all’Altare, che è il vero presepe, il Verbo, nato nell’eternità dal Suo Padre celeste, nato da Maria sopra la terra, e che deve nascere sempre più colla grazia nelle nostre anime, in attesa che ci faccia nascere alla vita gloriosa nel cielo.

Incipit

In nómine Patris, ✠ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Is IX: 2 et 6.
Lux fulgébit hódie super nos: quia natus est nobis Dóminus: et vocábitur Admirábilis, Deus, Princeps pacis, Pater futúri sǽculi: cujus regni non erit finis. [La luce splenderà oggi su di noi: poiché ci è nato il Signore: e si chiamerà Ammirabile, Dio, Principe della pace, Padre per sempre: e il suo regno non avrà fine.

Ps XCII: 1
Dominus regnávit, decorem indutus est: indutus est Dominus fortitudinem, et præcínxit se.
[Il Signore regna, si ammanta di maestà: Il Signore si ammanta di fortezza, e si cinge di potenza.]

Lux fulgébit hódie super nos: quia natus est nobis Dóminus: et vocábitur Admirábilis, Deus, Princeps pacis, Pater futúri sǽculi: cujus regni non erit finis. [La luce splenderà oggi su di noi: poiché ci è nato il Signore: e si chiamerà Ammirabile, Dio, Principe della pace, Padre per sempre: e il suo regno non avrà fine.

Oratio

Orémus.
Da nobis, quǽsumus, omnípotens Deus: ut, qui nova incarnáti Verbi tui luce perfúndimur; hoc in nostro respléndeat ópere, quod per fidem fulget in mente.
[Concedici, Te ne preghiamo, o Dio onnipotente: che, essendo inondati dalla nuova luce del Tuo Verbo incarnato, risplenda nelle nostre opere ciò che per virtù della fede brilla nella nostra mente.]

Orémus.
Pro S. Anastasiæ Mart:

Da, quǽsumus, omnípotens Deus: ut, qui beátæ Anastásiæ Mártyris tuæ sollémnia cólimus; ejus apud te patrocínia sentiámus.[ Concedici, Te ne preghiamo, o Dio onnipotente: che, celebrando la solennità della Tua Martire Anastasia, possiamo godere presso di Te il beneficio del suo patrocinio.]

Lectio

Lectio Epístolæ beati Pauli Apostoli ad Titum.
Tit III: 4-7
Caríssime: Appáruit benígnitas et humánitas Salvatóris nostri Dei: non ex opéribus justítiæ, quæ fécimus nos, sed secúndum suam misericórdiam salvos nos fecit per lavácrum regeneratiónis et renovatiónis Spíritus Sancti, quem effúdit in nos abúnde per Jesum Christum, Salvatorem nostrum: ut, justificáti grátia ipsíus, herédes simus secúndum spem vitæ ætérnæ: in Christo Jesu, Dómino nostro.
[Carissimo: Apparsa la bontà e l’umanità del Salvatore, nostro Dio: Egli ci salvò non già in ragione delle opere di giustizia fatte da noi, ma per la Sua misericordia: col lavacro di rigenerazione e il rinnovamento dello Spirito Santo, diffuso largamente su di noi per i meriti di Gesù Cristo, nostro Salvatore: affinché, giustificati per la Sua grazia, divenissimo eredi, in speranza, della vita eterna: in Cristo Gesù, Signore nostro.]

Graduale

Ps CXVII: 26; 27; 23
Benedíctus, qui venit in nómine Dómini: Deus Dóminus, et illúxit nobis.

[Benedetto Colui che viene nel nome del Signore: Il Signore è Dio e ci ha illuminati.]

V. A Dómino factum est istud: et est mirábile in óculis nostris. Allelúja, allelúja

V. Questa è opera del signore: ed è mirabile ai nostri occhi. Allelúia, allelúia

Ps XCII: 1
V. Dóminus regnávit, decórem índuit: índuit Dóminus fortitúdinem, et præcínxit se virtúte. Allelúja.

[V. Il Signore regna, si ammanta di maestà: Il Signore si ammanta di fortezza, e si cinge di potenza. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia +︎ sancti Evangélii secúndum S. Lucam.
S. Luc. II: 15-20
In illo témpore: Pastóres loquebántur ad ínvicem: Transeámus usque Béthlehem, et videámus hoc verbum, quod factum est, quod Dóminus osténdit nobis. Et venérunt festinántes: et invenérunt Maríam et Joseph. et Infántem pósitum in præsépio. Vidéntes autem cognovérunt de verbo, quod dictum erat illis de Púero hoc. Et omnes, qui audiérunt, miráti sunt: et de his, quæ dicta erant a pastóribus ad ipsos. María autem conservábat ómnia verba hæc, cónferens in corde suo. Et revérsi sunt pastóres, glorificántes et laudántes Deum in ómnibus, quæ audíerant et víderant, sicut dictum est ad illos.

[In quel tempo: I pastori presero a dire tra loro: Andiamo sino a Betlemme a vedere quello che è accaduto, come il Signore ci ha reso noto. E andati con prontezza, trovarono Maria, e Giuseppe, e il bambino giacente nella mangiatoia. Dopo aver visto, raccontarono quanto era stato detto loro di quel bambino. Coloro che li udirono rimasero meravigliati di ciò che i pastori avevano detto. Intanto Maria riteneva tutte queste cose, meditandole in cuor suo. E i pastori se ne ritornarono glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e veduto, come era stato loro detto.]

OMELIA

[DA: MEDITAZIONI DI NATALE (A. Carmignola –Sacerd. Sales. -: MEDITAZIONI; VOL. I, S. E. I. Torino, 1942)

Mediteremo sopra i sentimenti di Maria e di Giuseppe nella nascita di Gesù Bambino. C’immagineremo di entrare nella capanna di Betlemme e di vedervi Maria e Giuseppe inginocchiati presso il santo presepio, in atto di profonda adorazione. Ci prostreremo in ispirito anche noi, unendo le adorazioni nostre alle loro e pregando il Santo Bambino di volerci rendere partecipi dei sentimenti, che vi ebbero la sua santissima Madre e il suo padre nutrizio.

Sentimenti di pena di Maria e di Giuseppe.

Quali sentimenti di pena ebbero nel loro cuore Maria e Giuseppe allora che, respinti da Betlemme, furono costretti a entrare nella povera capanna! S. Giuseppe, dalla Divina Provvidenza destinato a essere l’angelo tutelare visibile di Maria, ebbe asoffrire il più grande affanno, non per sé certamente, ma per lei. Per Maria quel luogo gli si mostrava troppo orrido, troppo aspro e inospitale, e pensando poi chi Ella fosse, doveva sentirsi nel petto scoppiare il cuore dall’ambascia. Maria Vergine dal canto suo quanto pure doveva soffrire al pensiero che il suo divin Figlio, Creatore e Signore del cielo e della terra, doveva nascere in quel meschino tugurio! Con tutto ciò i santi sposi chinarono la fronte ai disegni di Dio, e riconoscendo che così piaceva al Signore, conformarono pienamente la loro volontà alla sua. Ecco la virtù, che noi pure dovremmo esercitare continuamente. Purtroppo noi vorremmo sempre le cose a modo nostro; Dio invece le vuole a modo suo. Noi vorremmo sempre sanità, e invece Iddio talora ci vuole infermi; noi vorremmo sempre essere ben voluti, onorati e rispettati, e Iddio permette che siamo non curati, scherniti e perseguitati; noi vorremmo che non ci mancasse mai nulla, e invece Iddio dispone che ora ci troviamo senza una cosa, ora senza un’altra. Ma tutto ciò che Dio vuole è senza dubbio per la sua gloria e per il bene nostro. Come dunque non conformarci sempre alla sua santa volontà?

Sentimenti di gioia di Maria e di Giuseppe.

Ai sentimenti di pena sottentrarono ben preso in Maria e Giuseppe i sentimenti della più ineffabile gioia, appena nacque il sacrosanto Bambino. Maria per la prima vide a sé dinanzi il vezzosissimo suo Figlio, che la guardava, le sorrideva e le tendeva le candide manine. Per impeto d’ineffabile amore lo adorò dicendo: O Gesù Bambino, nato da Dio prima del tempo, nato da me or ora, tu sei il mio Figlio e il mio Dio, ed io sono la tua Madre, la Madre di Dio. O Gesù, Salvatore del mondo, Re del cielo e della terra, tu sei il mio tesoro, il mio amore, la gioia del mio cuore! San Giuseppe da parte sua, sebbene come semplice custode di Gesù non potesse esprimergli i medesimi sentimenti, tuttavia anch’egli invaso dalla gioia più viva e più santa non lasciava di sfogare il suo cuore nei più teneri accenti. E noi quali sentimenti proviamo ricevendo Gesù nel nostro cuore per la S. Comunione, o venendo a visitarlo nel SS. Sacramento? Non dobbiamo confessare che purtroppo le nostre comunioni e le nostre visite sono fredde, senza gusto spirituale e senza gioia alcuna del cuore?

Sentimenti di fede di Maria e di Giuseppe.

I sentimenti di gioia, che riempirono Maria e Giuseppe per la nascita di Gesù, erano la conseguenza dei sentimenti vivissimi della loro fede. Gesù Bambino, pur essendo vero Dio, sotto il velo della carne nascondeva al tutto la sua divinità, e nella carne istessa non appariva nulla più di quello che sono gli altri bambini appena nati. Di modo che era debole, sofferente, bisognoso di venir ricoperto, allattato, sostentato; come gli altri bambini piangeva, dormiva, non mostrava intelligenza di sorta; insomma sebbene a differenza di tutti gli altri bambini non avesse in sé il peccato e le impure sue conseguenze, era tuttavia – come dice S. Paolo – nella somiglianza della carne di peccato, umiliato e passibile: in similitudinem carnis peccati(Rom.. VIII, 3). Ora a riconoscere che questo Bambino era vero Dio. si richiedeva una vivissima fede. E tale fu propriamente la fede di Maria e di Giuseppe. Entrambi riconobbero in Lui il vero Figlio di Dio, incarnatosi e fattosi uomo per la salute del mondo, e come tale Maria lo adorò: Ipsum quem genuit, adoravit. E alle adorazioni di Maria si unirono ben tosto quelle di S. Giuseppe. Oh se anche noi avessimo nel cuore una fede somigliante a quella di Maria e di Giuseppe! La fede sarà tanto più viva in noi, quanto più sull’esempio di Maria e di Giuseppe saremo puri ed umili di cuore. – Mediteremo poi sopra gli atti interiori del Bambino Gesù appena nato. C’immagineremo di vedere questo Santo Bambino, che nel presepio si considera come sull’altare, di dove, sacerdote e vittima ad un tempo, si offre al suo Eterno Padre in espiazione dei nostri peccati. E prostrati in spirito dinanzi alla sua culla lo adoreremo e ringrazieremo di quanto comincia a operare in nostro vantaggio e gli prometteremo di non mandare a vuoto ciò che Egli ha tosto fatto per noi appena nato.

Gesù Bambino si offre al suo Divin Padre.

Secondo la testimonianza di S. Paolo, Gesù Cristo, entrando nel mondo, disse a Dio suo Padre: Tu non hai gradito i sacrifici di quelle vittime, che furono precedentemente offerte; e perciò a me hai formato un corpo, con cui io fossi atto a venir immolato in luogo di tutte le vittime precedenti per la tua gloria e per la salute del mondo, e questo corpo io te l’offro in espiazione dei peccati degli uomini fin da questo momento, compiendo perfettamente la tua santa volontà (Hebr., X , 5-7). Così adunque Gesù appena nato si offre vittima al suo Divin Padre per ripararlo delle nostre ingratitudini, colpe, tiepidezze, debolezze e miserie, e per espiarle comincia tosto a offrirgli quei patimenti che soffre nel suo tenero corpicciuolo. O vittima adorabile, come non esaltare e ringraziare la vostra bontà infinita? – Con quanta prontezza, con quanto zelo voi v’immolate per la mia salute! Ma se Gesù si offre tosto, appena nato, in sacrifizio al suo Divin Padre, c’insegna altresì che noi, dovendo imitarlo come nostro modello, dobbiamo menare volentieri una vita di sacrifizio per espiare i tanti peccati da noi commessi e cooperare in tal guisa alla nostra salvezza. Miseri noi se non siamo fermamente risoluti di immolare a Dio la nostra volontà, il nostro carattere, il nostro io, l’amore dei nostri comodi e delle nostre soddisfazioni! Molto facilmente lasceremo la via del bene per metterci su quella del disordine e della rovina.

Gesù Bambino prega il suo Divin Padre.

Gesù Bambino appena nato, oltre all’offrirsi al suo Divin Padre come vittima di espiazione per i nostri peccati, gli rivolse pure le più efficaci preghiere a nostro vantaggio, per implorarci la sua misericordia e impetrarci tutte le grazie, di cui abbiamo bisogno. Sì, Gesù ha cominciato le sue preghiere fin dal presepio, preghiere non espresse con parole, ma con lagrime, come furono poi altresì quelle offerte al suo Padre celeste dall’alto della croce. Nei giorni della sua carne, dice S. Paolo, offerse preghiere e suppliche con forti grida e con lagrime: in diebus carnis suæ preces supplicationesque… cum clamore valido et lacrimis offerens(Hebr., V, 7). E quanto furono ferventi talipreghiere! Costituito nostro Pontefice, resosi simile in tutto anoi, fuorché nel peccato, conoscendo in se stesso le infermitàe miserie nostre, ne sente la più tenera compassione, e volendo tosto alleviarle implora col massimo fervore su di noi la misericordiae la grazia di Dio. Oh bontà grande del mio Gesù!Voi appena nato rivolgete subito il pensiero a me, alla miameschinità e impotenza, e per me indirizzate al vostro DivinPadre i sentimenti del vostro cuore e le lagrime de’ vostri occhi, supplicandolo che si muova a pietà di me, che mi perdoni i miei peccati e mi conceda i suoi celesti favori! Voi senzaavere alcun bisogno di pregare, tuttavia appena nato, non curando i vostri patimenti, pregate per l’anima mia, e io contanto bisogno che ne ho, anche in mezzo ai patimenti, penso così poco a pregare! Concedetemi, o caro Gesù, che compren dal’importanza e la dolcezza della preghiera, e preghi anch’io e preghi con fervore.

Gesù Bambino glorifica il suo Divin Padre.

Gesù Bambino appena nato rinnovò l’atto di glorificazione, che al suo Divin Padre aveva fatto sin dal primo istante della sua Incarnazione. Giacché, siccome nessun’altra opera, neanche la creazione del cielo e della terra, fu di tanta gloria a Dio, quanto l’Incarnazione del Verbo eterno, così ora che l’Incarnazione di Lui si era manifestata al mondo con la sua nascita, Gesù dice con slancio: la mia gloria è un niente: gloria mea nihil est(S. Jo., VIII, 54), non mi preoccupo che della gloria di mio Padre: honorifico Patrem meum(S. Jo., VIII, 49). Così Egli rese tosto a Lui onore e gloria infinita per tutto ciò che aveva stabilito si avesse a fare per la salvezza degli uomini. Che zelo Ammirabile! Che purità di amore! Avviciniamoci a questo fuoco sacro, che arde in petto al Bambino Gesù per purificare le nostre azioni, guaste così spesso da mire ambiziose, che ci tolgono il merito delle nostre opere, e per accenderci anche noi di zelo per i grandi interessi della gloria di Dio. Non siamo noi tanto saldi per gli interessi della gloria nostra! Per acquistare, o per non perdere questa gloria, che cosa non diciamo, che cosa non facciamo, che cosa non soffriamo? E per la gloria di Dio invece siamo tanto freddi, tanto trascurati? Impariamo, sì, impariamo da Gesù Bambino a non dire, a non fare, a non desiderare nulla per l’amor proprio, per la lode e riputazione nostra, ma tutto per l’onore e la gloria di Dio. – Mediteremo ancora sopra gli omaggi resi dagli Angeli al Bambino Gesù. C’immagineremo di vederli raccolti intorno al presepio per adorare il Divin Salvatore, lodarlo e benedirlo. Ci uniremo a loro, pregando questi beati spiriti che vogliano congiungere le loro e le nostre adorazioni e benedizioni in una sola oblazione, che riesca così meno indegna del Divino Infante.

Gli angeli adorano il Bambino Gesù.

Essendo il Divin Salvatore nato pressoché incognito agli uomini, ancorché fosse stato predetto da tanti profeti e aspettato da tutto il mondo, tuttavia ben lo conobbero gli Angeli. Obbidienti all’ordine del Padre celeste di adorarlo, secondo che si apprende S. Paolo: cum introducit Primogenitum in orbem terræ dicit: Et adorent eum omnes angeli Dei(Hebr., I , 6), discesero tosto dal paradiso per prosternarsi in adorazione intorno al loro sovrano sotto la forma di tenero bambino. E chi può dire la loro ammirazione, il loro slancio d’amore e di ossequio davanti alle umiliazioni dell’eterno Figlio di Dio? Quanto più lo veggono impicciolito, tanto più riconoscono la sua infinita grandezza e tanto più si fanno con riverenza ad adorarlo. Confrontando le loro perfezioni con quelle di Lui, si riconoscono un nulla al suo cospetto e sentono ad ogni modo che quanto vi ha di bello e grande in loro, da Lui l’hanno ricevuto. E col sentimento della più viva gratitudine lo ringraziano e lo esaltano, e confessano che a Lui solo si devono onore e gloria, lode e benedizione per tutti i secoli dei secoli. Oh il bell’esempio, che ci danno in tal modo, del come dobbiamo diportarci con Gesù, che si trova pure realmente presente tra di noi nei santi tabernacoli! Quando entriamo nelle dimore del Dio Sacramentato, portiamovi gli stessi sentimenti e affetti, che ebbero gli Angeli nella grotta di Betlemme.

Gli angeli annunziano la nascita di Gesù.

Gli Angeli, non paghi di adorare essi il Santo Bambino, ardono della brama di guadagnargli altri adoratori. Uno, che piamente si crede essere stato l’Arcangelo Gabriele, a nome di tutti gli altri, prendendo vaghissima forma umana, apparve, in una fulgidissima luce, ad alcuni pastori che stavano vigilando alla custodia del gregge nei dintorni di Betlemme. E poiché per quella luce i pastori furono presi da gran timore, l’Angelo li rassicurò tosto dicendo: Non temete, perché io vengo ad annunziarvi una grande allegrezza, non solo per voi, ma anche per tutto il popolo: oggi è nato in Betlemme, città di David, il Salvatore, che è Cristo, il Messia aspettato da tutti i secoli; ed ecco il segnale a cui lo riconoscerete: troverete un bambino involto in pannicelli, messo dentro un presepio. Quando si ama Iddio, si ha zelo di farlo conoscere e amare anche dagli altri, e quanto più vivo è l’amore a Dio, tanto più ardente è lo zelo per acquistargli altri cuori amanti. Le persone religiose, che si sono consacrate a Dio per tendere meglio alla loro perfezione, si sono pure consacrate a Lui per zelare la sua gloria e la salute delle anime in quelle opere apostoliche, le quali mirano a farlo meglio conoscere, amare e servire. Questo ufficio compiamo noi davvero nel debito modo e con rettitudine di l’intenzione?

Gli angeli cantano gloria a Dio e pace agli nomini.

All’Angelo che era apparso ai pastori, si unì la moltitudine degli altri spiriti celesti lodando Dio e dicendo: Gloria a Dio negli altissimi cieli, e pace in terra agli uomini di buona volontà. Gloria a Dio negli altissimi cieli, perché la nascita del Bambino ci ha operato questo primo effetto di procurare a Dio, che abita nel più alto de’ cieli, una gloria infinita, essendoché l’abbassamento a cui si è assoggettato Gesù nella sua Incarnazione e nascita, è per Iddio un omaggio di valore infinito. Pace allora agli uomini di buona volontà, perché la nascita di Gesù ha operato questo secondo effetto di apportare la vera pace a tutti quegli uomini, che, essendo animati da buona volontà, amano praticamente la legge divina, operando il bene e fuggendo il peccato. Anche noi siamo venuti al mondo e vi dobbiamo vivere per dar gloria a Dio. Se persino il sole, la luna, le stelle, le piante, gli animali e tutte le altre creature irragionevoli esistono per dar gloria a Dio, quanto più noi dotati di ragione e d’intelligenza! Il che dobbiamo fare in due modi: praticando opere buone ogni volta che ce ne viene l’opportunità; facendo tutte le nostre azioni, anche indifferenti, per l’onore di Dio. Solo così acquisteremo tesori di meriti per l’eternità; solo così gusteremo intanto su questa terra un preludio di quella felicità, che si gode in cielo nel possesso della pace del Signore, pace che Dio dà realmente a godere a quelli che lo amano e lo servono, anche in mezzo alle tribolazioni del mondo. – Mediteremo infine sopra la santa condotta tenuta dai pastori chiamati dall’Angelo alla grotta di Betlemme. C’immagineremo di vederli davanti alla culla del Bambino Gesù, in atto di vagheggiarlo con gioia ineffabile e di adorarlo col più profondo rispetto. Prostrandoci in ispirito accanto a loro, adoreremo anche noi il Divin Salvatore e lo ringrazieremo d’averci concessa una fortuna anche maggiore di quella concessa ai pastori, potendolo noi ricevere dentro i nostri cuori per mezzo della Santa Comunione.

I pastori si recano prontamente alla capanna.

Con quale prontezza i buoni pastori si recarono alla grotta di Betlemme! Il Vangelo ci dice che appena gli Angeli si furono ritirati da loro verso il cielo, i pastori presero a dirsi l’uno all’altro: Andiamo sino a Betlemme a vedere quello che è ivi accaduto, come il Signore ci ha manifestato. E andarono con prestezza: et venerunt festinantes(S. Luc. , II, 15). Lasciarono dunque i loro armenti e partirono senza indugio, ancorché fosse nel cuor della notte. Le buone ispirazioni sono messaggi celesti che c’invitano a lasciare il male e a operare il bene. Quante volte non ne facciamo caso o lasciamo che si spengano nel nostro cuore, perché differiamo a metterle in pratica! Se in questi santi giorni si faranno sentire più forti le ispirazioni della grazia, che ci chiamino a far sacrifizio di noi stessi, del nostro amor proprio, delle nostre comodità, per dedicarci interamente all’amore del Bambino Gesù, arrendiamoci ad esse con tutta prestezza. I pastori assecondano senza più l’invito dell’Angelo, perché sono uomini umili e semplici e credono tosto a quanto è stato loro detto. Così anche noi ci arrenderemo facilmente alle divine inspirazioni, se avremo umiltà e semplicità, scacciando dall’animo nostro quei sentimenti di orgoglio, che soli sono la causa, per cui non seguiamo l’invito dei celesti messaggi..

I pastori adorano Gesù nella capanna.

I pastori arrivati alla grotta vi trovarono Maria e Giuseppe e il Bambino giacente nella mangiatoia. Con che divozione e fede l’adorarono! Oh come, piegati i ginocchi e giunte le mani, saranno stati estatici a rimirarlo! Ed ecco a quali persone il Signore manifestò se medesimo prima che ad altre. Oh come il Signore intende le cose a rovescio del mondo, il quale si mostra sempre incantato dallo splendore delle ricchezze, della gloria e dell’umana sapienza, dando le sue preferenze a coloro che di tutto ciò sono ammantati! E la condotta che Gesù tiene dalla nascita è quella che seguirà mai sempre; perciocché – dice San Paolo – il Signore elegge le cose stolte del mondo per confondere le sapienti, le cose deboli per confondere le forti, le cose ignobili, le spregevoli e quelle che sono reputate un nulla per distruggere quelle che sono stimate assai, affinché non vi sia alcun uomo che abbia ardire di darsi vanto dinanzi a Lui (I Cor., I, 27-29). Di qui dobbiamo imparare che non la nostra abilità, sapienza, valentia induce il Signore a farci favori speciali e a chiamarci all’onore di compiere le sue grandi imprese, ma l’umiltà, la semplicità, la rettitudine. Non lasciamo, no, di mettere il nostro impegno ad acquistare scienza, idoneità e pratica per compiere bene certi uffici, essendo pur questo il nostro dovere; ma più di tutto adoperiamoci ad avere in noi quelle virtù, per le quali solanto possiamo piacere a Dio, ed essere da Lui prescelti e aiutati a far del bene.

I pastori ritornano giubilanti dalla capanna.

I pastori, poiché ebbero resi i loro omaggi al Bambino Gesù, se ne ritornarono alle loro abitazioni pieni di santo giubilo, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e veduto, conforme era stato ad essi predetto, di guisa che tutti quelli, che li sentivano a parlare, restarono meravigliati delle cose da essi riferite (S. Luc., II, 18, 20). Ecco quello che dovremmo fare anche noi quando il Signore per grazia sua ci fa sentire le dolcezze della vita cristiana e delle pratiche devote. Con il nostro contegno, più ancora che con le parole, dovremmo glorificare e lodare Iddio al cospetto degli uomini, dimostrando loro coi fatti che la vita veramente cristiana, anziché riuscire di peso, arreca consolazioni e gioie ineffabili; che sono veramente beati coloro che abitano per la grazia, per l’orazione, e per la frequenza dei Sacramenti, nella casa del Signore; che vale infinitamente più un’ora passata davanti al tabernacolo, che non mille giorni trascorsi nelle case dei peccatori: così il nostro prossimo sarebbe indotto dal nostro esempio a fare anch’esso la prova.

I sermoni del Curato d’Ars: https://www.exsurgatdeus.org/2019/12/24/i-sermoni-del-curato-dars-per-il-giorno-di-natale/

CREDO

https://www.exsurgatdeus.org/2019/10/12/il-credo/

Offertorium

Orémus
Ps XCII: 1-2
Deus firmávit orbem terræ, qui non commovébitur: paráta sedes tua, Deus, ex tunc, a sǽculo tu es.
[Iddio ha consolidato la terra, che non vacillerà: il Tuo trono, o Dio, è stabile, fin dal principio, fin dall’eternità Tu sei.]

Secreta

Múnera nostra, quǽsumus, Dómine, Nativitátis hodiérnæ mystériis apta provéniant, et pacem nobis semper infúndant: ut, sicut homo génitus idem refúlsit et Deus, sic nobis hæc terréna substántia cónferat, quod divínum est.

Pro S. Anastasia.

Acipe, quǽsumus, Dómine, múnera dignánter obláta: et, beátæ Anastásiæ Mártyris tuæ suffragántibus méritis, ad nostræ salútis auxílium proveníre concéde.

[Le nostre offerte, o Signore, riescano atte ai misteri dell’odierna Natività e ci infondano pace duratura: affinché, come il Tuo Figlio nascendo uomo rifulse quale Dio, così queste offerte terrene conferiscano a noi ciò che è divino.]
Pro S. Anastasia.
[O Signore, Te ne preghiamo, accogli favorevolmente i doni offerti: e concedi che, per i meriti della beata Anastasia, Martire Tua, giovino a soccorso della nostra salvezza.]

COMUNIONE SPIRITUALE https://www.exsurgatdeus.org/2019/10/20/comunione-spirituale/

Communio

Zach IX:9
Exsúlta, fília Sion, lauda, fília Jerúsalem: ecce, Rex tuus venit sanctus et Salvátor mundi

[Esulta, o figlia di Sion, giubila, o figlia di Gerusalemme: ecco che viene il tuo Re santo, il Salvatore del mondo.]

Postcommunio

Orémus.
Hujus nos, Dómine, sacraménti semper nóvitas natális instáuret: cujus Natívitas singuláris humánam réppulit vetustátem.

Orémus.
Pro S. Anastasia.
Satiásti, Dómine, famíliam tuam munéribus sacris: ejus, quǽsumus, semper interventióne nos réfove, cujus sollémnia celebrámus.

(Hai saziato, o Signore, la tua famiglia con i sacri doni: confortaci sempre, Te ne preghiamo, mediante l’intercessione della Santa di cui celebriamo la festa. )

PREGHIERE LEONINE https://www.exsurgatdeus.org/2019/10/20/preghiere-leonine-dopo-la-messa/

ORDINARIO DELLA MESSA