IL CATECHISMO DI F. SPIRAGO (VIII)

IL CATECHISMO DI F. SPIRAGO (VIII)

CATECHISMO POPOLARE O CATTOLICO

SCRITTO SECONDO LE REGOLE DELLA PEDAGOGIA PER LE ESIGENZE DELL’ETÀ MODERNA

DI

FRANCESCO SPIRAGO

Professore presso il Seminario Imperiale e Reale di Praga.

Trad. fatta sulla quinta edizione tedesca da Don. Pio FRANCH Sacerdote trentino.

Trento, Tip. Del Comitato diocesano.

N. H. Trento, 24 ott. 1909, B. Bazzoli, cens. Eccl.

Imprimatur: Trento 22 ott. 1909, Fr. Oberauzer Vic. G.le.

PRIMA PARTE DEL CATECHISMO:

FEDE (5).

6. LA DIVINA PROVVIDENZA.

La Divina Provvidenza è la conservazione ed il governo dell’universo.

Nessuna verità è più spesso ripetuta nelle Sacre Scritture. Scritture.

1. DIO PRESERVA IL MONDO, CIOÈ PERMETTE AGLI ESSERI L’ESISTENZA FINCHÉ EGLI VOGLIA.

Una palla tenuta da un filo cade non appena il filo viene lasciato andare, e il mondo intero cadrebbe nel nulla se Dio non lo preservasse con il suo potere. Per garantire la loro conservazione, Dio dà alle creature ciò che è necessario per la loro esistenza. La moltiplicazione dei pani è un miracolo che si ripete ogni anno nei campi (S. Aug.); un chicco ne produce altri cento e una piccola patata ne produce una dozzina più grandi. I miracoli sono eventi quotidiani, ma nella loro frequenza non fanno più impressione su di noi”. (S. Aug.) – Tuttavia gli esseri non sussistono più a lungo di quanto Dio voglia; ci lascia morire quando gli piace. (Ps. CIII, 29). La luna cessa di brillare quando il sole cessa di splendere su di essa, e l’uomo cessa di vivere, non appena Dio cessa di sostenere la sua vita (Alb. Stolz). Gesù Cristo ha detto: “Il cielo e la terra passeranno” (S. Luc. XXI, 23), non saranno annientati. Ciò sarebbe contrario alle perfezioni di Dio, che cambierà l’universo in un mondo migliore. Aspettiamo un cielo nuovo e una terra nuova” (II S. Pietro III, 13).

2. DIO GOVERNA IL MONDO, CIOÈ DIRIGE TUTTE LE COSE IN MODO CHE SERVANO ALLA SUA GLORIA ED A NOSTRO VANTAGGIO.

Il mondo è governato da Dio, come un treno ferroviario dal macchinista, come una nave è governata dal pilota. Dio dirige gli astri secondo leggi fisse (Is. XL, 26), in modo che il firmamento parli della sua gloria (Sal. XVIII, 2). Egli dirige i popoli (Dan. IV, 32) e dirige il popolo giudaico in particolare. L’intervento di Dio è visibile nelle vite di Giuseppe, Mosè, Gesù Cristo e altri, e non meno nei destini della Chiesa cattolica. Tuttavia, non sempre riusciamo a comprendere gli scopi di Dio. “Questi disegni sono enigmatici come la marcia regolare delle lancette di un orologio per l’osservatore che non ne ha idea.. (Drexelius), – Quando si vede il disordine dei fili di un tappeto, ci si chiede come il disegno così regolare del viso possa rispondervi.. Così certi eventi ci sembrano dannosi a prima vista; ma Dio sa come dirigerli in modo che servano alla sua gloria e alla nostra felicità. Spesso dopo aver visto la piega che hanno preso certi eventi, ci troviamo nella posizione di esclamare con Davide: Dio ha fatto questo, ed è una meraviglia davanti ai nostri occhi. (Sal. CXVII, 23).

Non c’è un solo uomo di cui Dio non si prenda cura qui sulla terra.

Una madre si dimenticherebbe del suo bambino, ma Dio non si dimenticherà mai di noi. (Is. XLIX, 15). Egli si prende cura degli animali e degli esseri inanimati. Dio, dice Gesù Cristo, si prende cura degli uccelli del cielo, degli animali e dell’erba dei campi (S. Matth. VI, 25-30). Tutti gli esseri, volenti o nolenti, sono soggetti alla provvidenza di Dio (S. Aug.).

Dio si prende cura in modo particolare di ciò che è umile e disprezzato dal mondo.

Dio ha fatto sia gli umili che i potenti e si prende cura di entrambi in egual misura. (Sap. VI, 8). Dio è grande negli esseri più piccoli; basta guardare al microscopio una goccia d’acqua, la struttura di una piccola pianta o di un piccolo insetto. Dio è più glorioso in ciò che è umile. (I Cor ï; 27); d’ordinario uomini comuni come Giuseppe, Mosè, Davide, Daniele, ecc. vengono da Lui innalzati dall’oscurità per essere innalzati alle più alte dignità; gli Angeli annunciano la nascita del Salvatore ai pastori a preferenza dei superbi farisei; un’umile vergine viene scelta come sua madre e semplici pescatori come suoi Apostoli. È ai poveri che fa annunciare il Vangelo (S. Matth. XI, 5), agli umili dà la sua grazia (S. Giac. IV, 6), ecc. Così Davide gridava: “Chi è come il Signore, nostro Dio, che abita nei luoghi più alti e guarda gli umili. Egli solleva il bisognoso dalla polvere e innalza il povero dal letamaio per metterlo con i principi del suo popolo”. (Sal. CXII, 5-8). – È quindi una follia credere che a Dio non interessi ciò che accade quaggiù.

Nulla accade nella nostra vita senza l’ordine o il permesso di Dio.

Non è per il vostro tradimento”, disse Giuseppe ai suoi fratelli, “che sono venuto qui, ma per volontà di Dio (Gen. XLV, 8). Cristo ci dice che i capelli del nostro capo sono numerati, cioè che la Provvidenza si estende agli eventi più minuti della nostra vita. (S. Math. X, 80). Di conseguenza, nulla avviene per puro caso. Senza dubbio, non conosciamo la causa di molti eventi, ma Dio, che li dirige, la conosce. È una bestemmia alla divinità”, dice S. Efrem, “parlare seriamente del caso”. Nulla è fortuito, tutto viene dalla mano di Dio. – È importante capire quando diciamo che tutto accade per volontà di Dio. Dio non vuole che siamo uccisi, saccheggiati, insultati, ecc.; certi mali, cioè non li impedisce, anche se può farlo. Questo permesso non è un’approvazione, ma deriva dal fatto che Dio lascia l’uomo libero e ha il potere di volgere al bene il male che non ha impedito.

Dio volge al bene il male che Egli permette.

Dio ci ama infinitamente (S. Giovanni IV, 16) ed ha una sola intenzione, quella di farci del bene; le disgrazie, le tentazioni, persino il peccato, diventano strumenti della nostra felicità. (Genesi L, 80). Giuseppe, ad esempio, è stato venduto, gettato in prigione e tutto ciò ha contribuito alla sua elevazione al trono, alla salvezza degli Egiziani minacciati dalla carestia, e alla felicità dei suoi fratelli. La cattività degli Ebrei ha dato la conoscenza del vero Dio e la promessa del Redentore. (Tob. XIII, 4). Le persecuzioni dei primi secoli servirono solo a diffondere il Cristianesimo, perché l’ammirazione dei pagani per la costanza dei martiri li spinse a studiare la loro religione. Le guardie poste davanti alla tomba di Cristo sottolineavano la grandezza del miracolo della sua risurrezione , e “l’incredulità di Tommaso ci è più utile della fede degli altri Apostoli” (S. Aug.). Il peccato di Pietro lo ha reso umile e capace di perdonare i suoi fratelli, mentre quello di Giuda ha portato alla redenzione del mondo. Il demonio stesso è costretto a servire la nostra salvezza attraverso la glorificazione di Cristo. “Quanto sono incomprensibili ed imperscrutabili le sue vie! (Rm XI, 33). – Ciò che Dio Dio ci manda è buono, anche se sembra il contrario. – Ciò che ci manda è buono anche se ha apparenze contrarie.

3. IL VERO CRISTIANO, QUINDI, SI RASSEGNA NELLE DISGRAZIE ALLA VOLONTÀ DI DIO.

Gesù Cristo ci ha insegnato a dire a Dio nella preghiera: “Sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra”. – Pietro ci esorta a “gettare tutte le nostre angosce nel seno di Dio, perché Egli ha cura di noi” (I. S. Pietro V, 7). Chiunque con la coscienza a posto può dire con Davide: “E se un esercito si alzasse contro di me, il mio cuore non teme”. (Sal. XXVI, 3). Prima di tutto, non dobbiamo agitarci per cose insignificanti, come ad esempio una temperatura che non ci piace. Soprattutto, dobbiamo rassegnarci alla volontà di Dio in eventi che non possiamo cambiare: malattie, rovesci di fortuna, la morte dei nostri genitori, le persecuzioni, le carestie, le guerre, ecc. dobbiamo rassegnarci alla morte. Ahimè, troppo spesso siamo come quelli che seguono Gesù nella moltiplicazione dei pani e, come i suoi discepoli, lo abbandoniamo nell’Orto degli Ulivi quando si tratta di bere con Lui il calice dell’agonia. (Thomas de Kempis). – Per conservare l’affetto dei nostri amici, ci sottomettiamo a tutti i loro capricci. Non ci preoccupiamo dell’amicizia di Dio.

Chi nella disgrazia si rassegna con gioia alla volontà di Dio, ottiene la vera pace, raggiunge una grande perfezione e riceve le benedizioni di Dio.

L’anima rassegnata è come una bussola che, una volta orientata verso il polo, mantiene la sua direzione, nonostante l’agitazione esterna (Rodriguez). È possedere il cielo sulla terra, sottomettersi alla saggezza di Dio (S. Aug.). Dio rimane calmo, nonostante la tribolazione; la tribolazione scompare come una scintilla che cade nell’immensità dell’oceano. (S. G. Cris.). L’uomo rassegnato non sente il dolore, perché lo ama come proveniente da Dio e dalla sua santa volontà (Marie Lataste); non porta la sua croce in senso stretto, la porta con sé in un’auto. Chi non si rassegna è costretto a trascinarla con difficoltà. (San Doroteo). – Colui che rinuncia maggiormente alla propria felicità per sottomettersi più perfettamente a quella di Dio arriva molto presto a una perfezione altissima (Santa Teresa ); non si può fare nulla di più gradito a Dio; Dio preferisce questa virtù al digiuno, al cilicio, ad ogni tipo di sacrificio. (Marie Lataste). L’anima rassegnata raggiungerà sicuramente la felicità eterna; è come chi si trova su una nave e ne segue tutti i movimenti, ed entra con essa nel porto della salvezza (S. Francesco di Sales). L’anima rassegnata ottiene già quaggiù la felicità e le benedizioni celesti. – Si dice che i campi di un aratore fossero sempre più fertili di quelli dei suoi vicini. Uno di loro gli chiese perché? Lui rispose: “Perché ho sempre il tempo che mi conviene”. L’altro rimase sbalordito. “Questo significa – continuò, che sono sempre contento del tempo che il buon Dio fa. Gli piace ed è per questo che Egli benedice il mio lavoro”. Basta ricordare le benedizioni di cui Dio ha ricolmato Giobbe.

L’esempio più bello di rassegnazione ci è stato dato da Cristo nell’Orto degli Ulivi.

“Padre – disse Gesù Cristo nell’orto – non la mia volontà, ma la tua sia fatta”. (S. Luc XXlI, 42). Cristo è stato obbediente a suo Padre, fino alla morte ed alla morte di croce. (Filipp. II, 8). La rassegnazione del patriarca Giobbe ne è stata la figura. – Miriadi di Angeli trovano la loro felicità nel compimento della volontà di Dio. “I più crudeli tormenti – diceva Santa Maddalena dei Pazzi – e le più pesanti tribolazioni, le sopporterei con gioia non appena sapessi che provengono dalla volontà divina”; questo è il linguaggio di tutti i Santi.

Sulla riconciliazione della Divina Provvidenza con le disgrazie dei giusti e la felicità dei malvagi.

Questo mistero non deve farci dubitare della Provvidenza, perché questa disgrazia e felicità sono solo apparenti. “La felicità di coloro che sono vestiti di porpora – diceva il filosofo Seneca – spesso non è più reale della felicità degli attori sul palcoscenico che portano lo scettro o il diadema imperiale. Il piacere del peccato è tale che si finisce per non goderne più (S. Bem.).

1. Nessun peccatore è veramente felice e nessun giusto è veramente infelice.

Non c’è felicità senza felicità interiore, che esiste solo nel giusto e non nell’empio.

Il mondo, cioè le ricchezze, i piaceri della tavola e della carne, gli onori, ecc. non ci danno la vera pace (S. Giovanni XI, 27); questa la si ottiene solo praticando i comandamenti di Cristo (S. Matth. XI, 29). La pace interiore e la felicità di quaggiù sono un frutto dello Spirito Santo che si produce solo con la virtù (L. de Gr.); e chi possiede la pace dell’anima è veramente ricco, perché possiede il tesoro più grande (S. Ambr.). – Gli empi non hanno pace; sono come il mare che non si riposa mai (Is. LVII, 20), Il giusto, anche se vestito di stracci e soffrendonla fame, gode di continue delizie, è mille volte più felice del peccatore sul trono, vestito di porpora e inebriato dai piaceri. L’allegria e la gioia non vengono né dal potere, né dalle ricchezze, né dalla forza corporea, né da una tavola imbandita, né da abiti preziosi, né da nulla di simile, ma ma dalla virtù e dalla buona coscienza. (S. Giov. Chr.).

2. Inoltre, la felicità dei senza Dio è solo temporanea.

Quanto è stata breve, ad esempio, la carriera di un Napoleone che ha sacrificato la vita di tanti uomini alla sua ambizione! L’uomo senza Dio assomiglia al cedro del Libano; un momento prima alza la sua testa orgogliosa, poi viene abbattuto e scompare (Sal. XXXVI, 36). L’edificio della sua felicità poggia sulla sabbia; viene la pioggia e tutto viene spazzato via (S. Matth. V, 27).

La felicità dell’empio è come il fungo che cresce in una notte e scompare immediatamente.

3. LA VERA PUNIZIONE ARRIVERÀ SOLO DOPO LA MORTE.

Molti dei primi, dice Nostro Signore, saranno gli ultimi e molti degli ultimi saranno i primi. (Matteo XIX, 30). La parabola dell’uomo ricco e di Lazzaro ci mostra che nell’altra vita, più di un grande e ricco invidieranno la sorte di colui che è venuto a mendicare alla loro porta. “Dio prepara per i suoi una vita futura migliore e più deliziosa di quella attuale. Se non fosse così Egli non potrebbe permettere la prosperità di tanti empi e le miserie di tanti Santi. La giustizia esigerebbe da Lui che il peccato e la virtù abbiano la loro sanzione quaggiù. (S. Giov. Chr.) In questa vita il piacere è la parte dei malvagi, la tristezza quella dei buoni; nella vita futura i ruoli saranno cambiati. (Tert.)

4. Il peccatore riceve quaggiù la ricompensa per il poco bene che ha fatto; il giusto è molto spesso punito qui sulla terra per le colpe che ha commesso.

“Guai a voi, uomini ricchi – dice Gesù Cristo – perché avete già la vostra consolazione”(S. Luc. VI, 24).

Sulla riconciliazione della Provvidenza con il peccato.

Né il peccato né le sue conseguenze devono scuotere la fede e la Provvidenza in noi.

1. Il peccato e le sue conseguenze non vengono da Dio (Conc. di Tr. VI, 6) ma dall’abuso della nostra libertà.

Dio ha creato l’uomo libero; per questo non pone ostacoli, nemmeno alle sue azioni malvagie. Ha gravi ragioni per farlo. Se non potesse accadere nulla di male, non ci sarebbe alcuna opportunità per l’uomo di fare il bene; se l’uomo non avesse la possibilità di scegliere tra il bene e il male, ma fosse forzato a fare il bene come una macchina, non avrebbe diritto ad una ricompensa. (Non dimenticate la parabola della zizzania e del grano (Matth. XIII, 24). Dio non permetterebbe mai il male che deriva dall’abuso della libertà, se non fosse potente abbastanza da trarne il bene (S. Aug.).

2. Dio, nella sua sapienza, volge anche il peccato al bene.

Giuseppe disse giustamente ai suoi fratelli: “Avevate disegni malvagi contro di me, ma Dio li ha trasformati in bene.” (1 Mosè, L, 20). Dio ha realizzato la redenzione del mondo attraverso il tradimento di Giuda; ha preferito far nascere il bene dal male (S. Aug.) L’ape raccoglie il miele dalle piante velenose, e il vasaio fa vasi meravigliosi da un fango sordido; questo è il modo in cui Dio agisce.

3. Inoltre, non si addice a noi, povere creature, scrutare i disegni segreti di Dio; dobbiamo solo adorarli e sottometterci umilmente ad essi.

Queste riflessioni sul peccato si applicano anche alle conseguenze del peccato, cioè alle sofferenze terrene.

VII. IL CRISTIANO PROVATO DALLA SOFFERENZA.

L’uomo può soffrire nel corpo e nell’anima o in entrambi.

Gli Apostoli picchiati con le verghe soffrivano nel corpo, i fratelli di Giuseppe, trattati così duramente da lui, soffrivano nell’anima. (I Mosè XLII, 21) soffrivano nella loro anima; le sofferenze di Giobbe nelle sue prove erano sia spirituali che corporali. – Il dolore può essere meritato o immeritato; il figliol prodigo soffriva per sua colpa, Giuseppe e Giobbe erano innocenti. – Ma il dolore immeritato è anche una conseguenza del peccato originale.

1. NESSUNO PUÒ ESSERE SALVVATO SRNZA SOFFRIRE PERCHÉ NESSUNO SARÀ INCORONATO SE PRIMA NON COMBATTE (II Tim. II, 5).

È impossibile conquistare un regno – e quindi anche il regno dei cieli – senza lotta e vittoria. Cristo, come disse ai ai due discepoli sulla via di Emmaus, non volle entrare nella sua gloria se non attraverso la sofferenza (S. Luc. XXIV, 26). Prima aveva detto: “Chi non prende la sua croce e non mi segue non è degno di me. (S. Matth. X, 38) Il ritorno al paradiso è possibile solo attraverso il paradiso del dolore e non attraverso il paradiso del piacere. (Mar. L at). La via del paradiso è dolorosa. Le pietre della Gerusalemme celeste sono sono tagliate qui sotto (S. P. de Sales). Il lino, dice S. Uupert, dà una bella stoffa bianca solo dopo essere stato pestato, ritrattato, steso e innaffiato; l’anima assomiglierà a questo tessuto splendente solo dopo aver subito le stesse prove. Le anime, come i covoni, restituiscono la loro ricchezza solo passando sotto il flagello. È con lo scalpello che Dio scolpisce gli angeli umani. Voler andare in cielo senza soffrire è come raggiungere un bene senza volerlo pagare (Tertulliano), è dimostrare di non essere sinceri (Gerson). – Perfezione (santità) e sofferenza sono indissolubilmente legati: non c’è opera buona senza ostacolo, non c’è virtù senza lotta.

Dio quindi non lascia nessun giusto senza un po’ di dolore.

Il medico agisce come Dio: se dispera della guarigione di un paziente, gli concede ogni tipo di cibo; se, al contrario, riesce a guarirlo, lo mette a dieta e prescrive pozioni che in genere non sono molto piacevoli. “Il latte è il cibo dei bambini, la tribolazione quella degli eletti”. (S. Vinc. Fer.). Quale santo è mai stato incoronato senza tribolazioni! Cercate e troverete che tutti hanno sofferto la croce e il dolore (Ger.).

Ai suoi santi Dio ha destinato una spada per il cuore quaggiù e una corona per la fronte lassù (Alb. Stolz). – Dio, tuttavia, non lascia il dolore dei giusti senza consolazione. Dio è come una madre che mescola la dolcezza del miele con l’amarezza della medicina, o che mostra immagini al figlio malato, in modo che senta meno il dolore. Dio tesse i giorni dei giusti con un’ammirevole varietà di gioie e di prove (S. G. Crys.). Guardate la Beata Vergine: quale dolore quando Giuseppe voleva ripudiarla! Quale gioia quando Dio salvò il suo onore mandando un Angelo a Giuseppe! Quanto è stato doloroso non trovare rifugio a Betlemme. Quale gioia quando videro i pastori che adoravano Gesù e raccontavano l’apparizione degli Angeli! Quale felicità quando i magi, raccontando le meraviglie della stella, portano i loro doni, e subito dopo quale angoscia per la Sacra Famiglia alla notizia dei piani sanguinari di Erode e l’ordine dall’Angelo di fuggire in Egitto! Che dolore avere smarrito Gesù per tre giorni! E poi che gioia alla vista dei dottori stupiti della sua grande sapienza! Che dolore la passione di Cristo! Che gioia la sua risurrezione!

2. OGNI SOFFERENZA VIENE DA DIO (Amos III, 6) eE SONO UN SEGNO DEL SUO FAVORE.

È vero che Dio non è la causa diretta delle sofferenze. Egli le permette, perciò non sono contrarie alla sua volontà. Le storie di Tobia e di Giobbe ci mostrano che più alcune persone sono giuste, più prove Dio invia loro, e queste prove sembrano essere la ricompensa della pietà. Dio, diceva San Luigi di Gonzaga, premia con le tribolazioni i servizi di coloro che lo amano. E Dio offre questa ricompensa, perché la sofferenza è un bene prezioso per l’eternità. Non è già una ricompensa molto grande poter soffrire per il proprio Dio? ” Chi ama Dio mi capisce”, diceva San Giovanni della Croce. Le sofferenze sono un dono del Padre celeste (S. Thér.), e molto più grandi del potere di risuscitare i morti (San Giovanni della Croce). – I genitori puniscono i figli per correggerli di certi difetti: lasciano questi difetti impuniti negli altri bambini, perché, essendo estranei, non hanno alcun affetto per loro. Così è per Dio, che castiga i suoi figli perché li ama (Alb. Stoltz). “Perché tu sei eri gradito a Dio”, disse Raffaele a Tobia, “dovevi essere messo alla prova dalla tentazione” (Tobia XII, 14). S. Paolo dice allo stesso modo: “Il Signore castiga quelli che ama; colpisce i figli che accoglie. (Eb. XII, 6). L’oro e l’argento sono messi alla prova nel fuoco, i prediletti di Dio sono messi alla prova nella fornace dell’umiliazione. (Eccl. II, 5). Tutti i Santi della Chiesa hanno dovuto soffrire, anche in proporzione alla loro santità. Maria, la Madre di Dio, ha sofferto più di tutti gli altri santi, perciò è la Regina dei martiri. Gli Apostoli non furono da meno: Pietro e Paolo trascorsero quasi tutta la loro vita in prigione. “Una vita pia, piena di sofferenze e tribolazioni, è il segno più certo della predestinazione” (S. Luigi di Gonz.).

– Compatiamo chi non ha nulla da soffrire; non c’è disgrazia più grande – secondo S. Agostino – della felicità dei peccatori; non c’è croce più pesante che non averne. La prosperità continua è una disgrazia, perché ciò che non soffriamo ora, lo soffriremo dopo.

Dio non ci manda nessuna sofferenza al di là delle nostre forze.

Dio, dice San Paolo, è fedele; non permetterà che siate messi alla prova oltre le vostre forze (I Cor. X, 13). Dio sarebbe meno saggio e meno buono dell’uomo meno istruito che conosce la forza di un animale e non lo carica più del necessario? Il vasaio non lascia i suoi vasi troppo a lungo nel fuoco, per non farli scoppiare. (S. Ephr.) Il musicista saggio non tende troppo le sue corde perché non si rompano, né le stringe troppo perché non si spezzino, né troppo poco perché diano un suono armonioso. – Allo stesso modo Dio non lascia gli uomini senza alcun dolore, né ne impone loro di troppo gravosi. (S. G. Chr.). Il medico prudente non ordina ai suoi pazienti di prendere rimedi tanto violenti tali da ucciderli, ed il medico celeste sa ancora meglio come misurare la dose di tribolazione che si addice ai giusti(Louis de Gr.). – Molte persone non soffrono molto e tuttavia si lamentano, perché trovano pesante ciò che è molto leggero. (B. Henri Suso.) Lamentarsi eccessivamente quando si soffre è segno di viltà.

3. DIO FA SOFFRIRE I PECCATORI PER CORREGGERLI E SALVARLI DALLA MORTE ETERNA.

Il figliol prodigo si converte nella miseria; Giona, nel ventre della balena; Manassès, nei sotterranei di Babilonia (2 Par. XXXIH); San Francesco Borgia, alla presenza del cadavere della sua protettrice, la regina Isabella. – Dio è come un padre che richiama all’obbedienza un figlio con la verga in mano (S. Bas.), come un medico che taglia e cauterizza per guarire e salvare dalla morte (S. Aug.). Si battono i vestiti per toglierne la polvere, ed è così che Dio colpisce gli uomini macchiati dal peccato (S. Thomas di Villanova). Il primo effetto della sofferenza è di disgustare il peccatore con le cose terrene; esse danno ai piaceri del mondo, l’amarezza del fiele. Ci staccano dalla terra”. Dio mise alla prova gli Israeliti in Egitto, affinché avessero un desiderio maggiore della Terra Promessa”. Allo stesso modo Dio ci visita con la sofferenza e la tribolazione, affinché possiamo da questa valle di lacrime per cercare con maggiore zelo la patria celeste. (Drexelius). Il peccatore sofferente si accorge anche della sua debolezza, del suo isolamento, e cerca aiuto nella preghiera. Il bisogno ci insegna a pregare. “Le

sofferenze che ci opprimono, ci costringono ad avvicinarci a Dio”. (S. Grég. M.). – I colpi che ci colpiscono dall’esterno ci costringono a rientrare in noi stessi e risvegliano in noi il rimorso (id.). La tribolazione è come l’inverno, dopo il quale gli alberi producono fiori e frutti (S. Bonav.). – La sofferenza, per quanto dolorosa, è quindi la via che conduce più sicuramente a Dio (S. Ter.). –

Dio mette alla prova i peccatori soprattutto attraverso il dolore corporeo, per guarire la loro anima (S. isid.).

Molti uomini hanno trovato la salute della loro anima nelle malattie del loro corpo: S. Francesco d’Assisi, Sant’Ignazio di Loyola. “Dio – dice San Gregorio Magno, – cura la malattia dell’anima con quella del corpo”. Una malattia grave rende l’anima saggia. (Ecclesiastico XXXI, 2).

Attraverso le malattie dolorose, Dio bussa alla porta del cuore per farsi aprire. (S. Grég. Msgno). La madre dà al figlio pozioni amare per curarlo, e Dio punisce il corpo del peccatore per salvare la sua anima. Purtroppo, gli uomini sono così sciocchi da considerare come effetti della sua collera ciò che è solo un effetto della sua misericordia. (Marie Lataste). “Mi rallegro sempre alla vista di un malato – diceva sant’Ignazio, “perché la malattia ci riporta a Dio”.

4. ATTRAVERSO LS SOFFERENZA DIO METTE ALLA PROVA I GIUSTI PER VEDERE SE AMINO LE CREATURE PIÙ DEL CREATORE.

Giobbe, che aveva sempre vissuto nel timore di Dio, perse tutte le sue ricchezze, i suoi figli e la sua salute, ed era ancora deriso dalla moglie e dagli amici. Tobia, che aveva corso grandi pericoli per seppellire i morti, e a forza di elemosine era diventato indigente, perse la vista e il suo sostentamento. Ecco come Dio mette alla prova i suoi! L’albero dimostra la sua solidità resistendo alla tempesta, e l’uomo retto, nella sofferenza, la misura della sua santità. – La sofferenza, come il vento, separa il grano dalla pula (S. Aug.); le erbe odorose, come la virtù, emanano il massimo della fragranza (S. Bonav.). – Dio molto spesso ci toglie ciò che ci è più caro. Abramo fu costretto a sacrificare il suo unico figlio Isacco e Giacobbe, Giuseppe, il suo figlio prediletto, gli è stato tolto; prende anche da noi ciò che è nocivo, così come un padre, nonostante le lacrime di un bambino, gli toglie il coltello che potrebbe ferirlo. (S. Aug.).

Allo stesso tempo, la sofferenza dà al giusto un grande vantaggio: lo aiutano ad espiare, già in questo mondo, le pene dovute per i peccati; lo purificano di molte imperfezioni, aumentano la sua virtù nel compimento delle opere buone, il suo amore per Dio, la sua diligenza nella preghiera, spesso la sua prosperità temporale e infine i suoi meriti per il cielo.

La sofferenza espia le pene del peccato; per questo Sant’Agostino esclamava: “Signore, brucia, cauterizza, pota quaggiù, ma risparmiami nell’eternità!”. Siate felici, diceva S. Francesco Saverio, di poter scambiare le terribili pene del purgatorio con quelle di questa vita. – La sofferenza ci purifica dalle imperfezioni. Il Padre celeste, il divino vignaiolo, pota tutti i tralci che portano frutto, perché portino ancora più frutto. (S. Giovanni XV, 2). “Dio fa passare i giusti attraverso il fuoco, li purifica come si purifica l’argento, li prova come si prova l’oro. (Zac. XIII, 9). Il giusto è purificato dai suoi peccati, come il grano vagliato; la sua anima, agitata dalle prove, respinge le impurità come il mare agitato dalla tempesta getta i depositi sulla riva. La sofferenza punge, ma lava come il sapone; morde come una lima, ma toglie la ruggine e dà lucentezza. È ruvida come una spazzola, ma pulisce (S. Fr. de S.l. – La sofferenza aumenta l’energia morale, come le tempeste rafforzano le radici dei giovani alberi. (S. G. Chr.) L’anima si rafforza nella prova, come il ferro sotto il martello, come i muscoli attraverso il lavoro. I vasi difettosi si rompono quando il vasaio li mette nel fuoco, ma quelli buoni si rafforzano: così la pietà dei buoni diventa più energica sotto il fuoco delle tribolazioni. (Louis de Gr.) “Quando sono debole, cioè quando soffro – diceva San Paolo -.è allora che sono forte. (II Cor. XII, 10). E la ragione di questo, secondo S. Bernardo, è che le soaffrenze indeboliscono il nostro nemico. – La sofferenza aumenta il nostro amore per Dio. Le acque del diluvio innalzarono l’arca al cielo; le acque della tribolazione non possono spegnere la carità, ma innalzano i nostri cuori più in alto. (S. Fr. de S.) Come la foglia d’oro si distende sotto il martello, così il canto e la santità dei buoni crescono sotto i colpi della sventura. Infatti, le prove ci allontanano dalle cose terrene e soffocano in noi l’amore per il mondo. Diceva S. Agostino: “Signore, ti prego, riempimi tutto di amarezza, perché io possa trovare la dolcezza solo in te”. Le prove aumentano così la nostra gratitudine a Dio, perché impariamo a conoscere bene i suoi doni, come la salute, solo perdendoli, ci rendono umili, perché è necessario che i malvagi facciano soffrire i buoni per preservarli dall’orgoglio (S. Isid.). – La sofferenza ci insegna a pregare, come vediamo con gli Apostoli nella barca durante la tempesta. Quando Davide era perseguitato, ha scritto i salmi più belli che fanno parte delle preghiere della Chiesa. La prosperità prolungata distrugge la vigilanza e l’energia. Le acque calme si corrompono e i pesci vi periscono. Un’anima senza tribolazioni diventa tiepida e perde gradualmente la sua virtù (S. Amb.), così come il pesce non salato si decompone, e un cavallo risparmiato dallo sprone rallenta la sua marcia. – La sofferenza a volte aumenta persino la prosperità temporale. Giuseppe non sarebbe mai stato il ministro del Faraone, se prima non fosse stato venduto e gettato in prigione. Giobbe fu restituito ai suoi beni grazie alla sua pazienza; Tobia recuperò la vista. Dio colpisce e guarisce immediatamente. (Tob. XII, 2). Dio cambia la sofferenza dei suoi amici in gioia (S. Giovanni XV, 20). – Le sofferenze aumentano la felicità eterna. Dio ha mandato al povero Lazzaro le sue miserie per poterlo glorificare dopo la sua morte. – Il momento, così breve e così leggero, delle afflizioni che soffriamo in questa vita, produce produce in noi il peso eterno di una gloria sovrana e incomparabile. L’anima, come le pietre preziose, si abbellisce con la lucidatura, e matura per la vita eterna, come la spiga di grano al calore del sole. Dio – dice S. Alfonso non ci manda le sofferenze per perderci, ma per santificarci ed elevarci ad un grado superiore di santità; le tribolazioni che ci invia, sono un segno dei grandi disegni che ha per noi e della sua chiamata alla santità. (S. Ign. L.) La nostra ricompensa in cielo sarà proporzionata alle nostre sofferenze quaggiù. Se siamo sfortunati, siamo anche scelti (S. Aug.). Tutto concorre al bene di chi ama Dio (Rm VIII, 28). Tutto ciò che dobbiamo fare è abbandonarci al bene di Dio, perché Egli non permetterà mai nulla che non ci sia utile, anche se non lo sappiamo. (S. Aug.)

5. LE SOFFERENZE, LUNGI DALL’ESSERE UN VERRO MALE, SOONOO IN REALTÀ BENEDIZIONI DI DIO, PERCHÉ CONTRIBUISCONO ALLA FELICITÀETERNA E TEMPORALE.

Un contadino non considererebbe una piaga una grandinata di diamanti che devasta i suoi raccolti! Anche noi dobbiamo convincerci che la sofferenza non ci causa alcuna perdita, ma ci assicura un guadagno. (Weninger). Ciò che noi consideriamo un male, è un rimedio. Dio, che ci ama infinitamente ha il sincero desideriodi renderci felici (S. F. Borg.). Non c’è altro male che il peccato. (San Gregorio Nazareno). La sofferenza è una sorta di sacramento, perché è il segno visibile della grazia invisibile (Santa Mechtilde). Questo è un caso di applicazione della massima: la salvezza è nella croce. – Le sofferenze, quindi, non possono renderci veramente infelici perché, nonostante esse, si può essere molto felici, come Giobbe e Tobia. S. Paolo, in mezzo alle sue tribolazioni, esclamava: “Sono pieno di gioia in tutte le mie sofferenze” (II Cor. VII 4).

6. DOBBIAMO QUINDI ESSERE PAZIENTI NELLA AFFLIZIONI E RASSWGNARCI ALLA VOLONTÀ DI DIO E PER QUESTO RRINGRAZIARLO.

Come Giobbe, dobbiamo dire: “Non è accaduto altro che ciò che è piaciuto al Signore. Il nome di Dio sia benedetto” (Giobbe I, 21), o come Cristo nell’Orto degli Ulivi:

“Sia fatta la tua volontà e non la mia”. (S. Luc. XXII, 42). Si deve essere come un paziente ragionevole che si sottopone di buon grado alle prescrizioni di un medico esperto o come un viaggiatore che segue con obbedienza la guida, nonostante le difficoltà della strada. “Dio, inoltre, ci ha alleggerito il peso della sofferenza, non solo con il suo esempio, ma anche con la promessa che ci ha fatto, della vita eterna” (Leone XIII). Dobbiamo fare di necessità virtù (S. Fil. Neri.) – Gli Apostoli si rallegrarono di essere stati flagellati (Atti V, 11); proprio come un artigiano è contento di avere molto lavoro (S. G. Chr.). L’aratore, durante le sue fatiche, si rallegra del futuro raccolto; il mercante sopporta la traversata per il guadagno che ne spera. Il cristiano deve rallegrarsi in mezzo alle sue tribolazioni in vista della futura ricompensa. (S. G. Chr.) Se un blocco di pietra avesse una ragione, gioirebbe di essere trasformato nella statua di un grande uomo. Noi dobbiamo gioire di essere nobilitati dalle disgrazie. (Corneille de la Pierre). Le disgrazie, dice S. Crisostomo, sono come una manciata di ortiche: più si esita ad afferrarle, più pungono: bisogna farlo con coraggio, ed esse non pungono. L’uomo, aggiunge, non deve essere come il vetro che si frantuma al minimo urto. In tutte le afflizioni recitiamo la preghiera: “Gloria al Padre, al Figlio, allo Spirito Santo”. –

Purtroppo, la maggior parte delle persone mormora e si spazientisce al minimo imprevisto. Quando restituiamo il denaro di un creditore, lo ringraziamo. Quando Dio esige da noi ciò che ci ha affidato, mormoriamo. (S. F. Borg.) Quanti Cristiani, ahimè, assomigliano a soldati che sono pronti a servire in tempo di pace, ma disertano quando arriva la guerra. Inoltre, la nostra impazienza non cambia i nostri mali. Al contrario, ci fa soffrire doppiamente e in più offende Dio. – L’impazienza è come un pesce che si dibatte sull’amo, e si fa più male da solo. Tuttavia, le lacrime e la tristezza non sono di per sé peccati. Cristo stesso pianse e fu triste nell’Orto degli Ulivi.

La pazienza nelle prove porta rapidamente all’alta perfezione e ci fa guadagnare grandi meriti.

Abbandonandoci nelle prove alla volontà di Dio, progrediamo nella perfezione con la stessa rapidità di una nave che ha il vento in poppa o che segue la corrente (Weninger); attraverso la rassegnazione andiamo davanti a Dio con passi alati. (Alvarez) “Beato – dice san Giacomo (I, 12) – chi sopporta la prova, riceverà la corona della vita.

L’amore per la sofferenza permette di concludere di un reale progresso dell’anima verso la perfezione.

L’incenso emette il suo profumo solo sui carboni ardenti, e la virtù solo nelle afflizioni.(S. Grég. M.). Il valore di un guerriero si rivela in guerra e non in pace. (S. G. Cry.) Il peccatore mormora nelle prove; il novizio cade, ma subito si pente della sua impazienza; colui che è avanzato è spaventato, ma l’uomo perfetto non solo attende la sofferenza, ma la anticipa.(S. F. di S.) Chi ha raggiunto la perfezione non chiede a Dio che gli siano risparmiate prove e tribolazioni, e le stimano come i mondani bramano le ricchezze, l’oro e i gioielli. (Santa Teresa). Per i giusti l’afflizione è una gioia e non una preoccupazione (Cardinale Hugo). Anche il motto di s. Teresa ed altri Santi era: “Signore, o soffrire o morire.”. – “Baciare la mano di Dio – diceva san Francesco di Sales – sia quando favorisce, sia quando castiga, significa aver raggiunto l’apice della perfezione cristiana e aver trovato la propria salvezza nel Signore.

8. GLI ANGELI.

1. GLI ANGELI SONO PURI SPIRITI CHE POSSONO ASSUMERE UNA FORMA VISIBILE.

Tutti gli Angeli sono spiriti (Eb. I, 14), cioè esseri incorporei (S. Greg. Naz.). Gli Angeli sono solo spirito, gli uomini sono un composto di spirito e corpo. (S. Greg. M.) – Ma gli Angeli possono prendere in prestito forme corporee (S. Greg. M.); Raffaele, ad esempio, guida del giovane Tobia, prese le sembianze di un ricco ebreo, Azarias. (Tob. V, 13). Gli Angeli apparvero come giovani uomini alla tomba di Cristo risorto (S. Marco XVI, 5): in forma di uomini all’Ascensione. (Atti 1, 10).

Gli angeli sono superiori agli uomini, perché hanno intelligenza superiore e poteri più grandi.

Gli Angeli sono superiori in perfezione a tutti gli esseri creati. (S. Aug.) Cristo ha detto che nemmeno gli angeli conoscono il giorno e l’ora del giudizio (S. Matth. XXIV, 36); quindi implica che gli Angeli sanno naturalmente più degli uomini. – L’angelo sterminatore uccise i primogeniti d’Egitto; un altro Angelo sterminò in una notte nel campo di Sennacherib 200.000 assiri, che avevano bestemmiato il vero Dio (Isaia XXXVII); fu anche un Angelo a proteggere i tre giovani nella fornace di Babilonia (Dan. III, 49): una prova del fatto che gli angeli possiedono una forza straordinaria. Per questo la Scrittura li chiama “Potenze e virtù” (1 S. Pietro III, 22).

Dio ha creato gli Angeli per la sua gloria e il suo servizio ed anche per la loro felicità.

Gli Angeli glorificano Dio; poiché tra tutte le creature sono quelli che più assomigliano a Dio, è in loro che le perfezioni divine risplendono maggiormente, come un bel quadro porta gloria all’artista. Inoltre, glorificano Dio in cielo con i loro incessanti canti di lode. – Anche gli Angeli sono stati creati per il servizio di Dio. “Gli Angeli sono spiriti che agiscono come servitori, inviati da Dio per servire gli uomini che devono essere eredi della salvezza (Eb. I, 14). Il loro stesso nome indica che sono i servitori di Dio, perché Angelo significa messaggero. Questo è indicato anche nella terza petizione del Padre nostro. – Gli stessi angeli del male servono a glorificare Dio, perché Dio trasforma i loro attacchi nella sua gloria e nella nostra salvezza. Goethe chiama giustamente satana “una forza che vuole sempre il male e fa sempre il bene”.

Il numero degli Angeli è immenso.

Un milione di Angeli”, dice Daniele nella sua descrizione del trono di Dio, “lo servivano, e mille milioni stavano davanti a Lui (VII, 10). Spesso si parla di eserciti celesti (S. Luca II, 13; III Re XXII, 19; II Par. XVIII, 18). Cristo nell’Orto degli Ulivi disse che suo Padre poteva mandare in suo aiuto 12 legioni di Angeli. (Il numero degli Angeli supera il numero di tutti gli esseri corporei – S. Thom. Aq), quindi anche il numero di tutti gli uomini passati e futuri. Gli Angeli, dice San Dionigi l’Areopagita, sono più numerosi delle stelle del firmamento, dei granelli di sabbia dell’oceano, delle foglie degli alberi.

Gli Angeli non sono tutti uguali: sono divisi in 9 cori o ordini.

Nemmeno le stelle sono tutte uguali. C’è anche una gerarchia tra i ministri della Chiesa ove esiste una gerarchia, che corrisponde alla diversità dei loro poteri. Il Papa o capo della Chiesa, è assistito da 70 Cardinali, i Vescovi da lui inviati governano le diocesi e i loro collaboratori, i Sacerdoti che amministrano le parrocchie. – La suddivisione degli Angeli è basata sulla varietà dei doni e delle funzioni conferiti da Dio; alcuni sono destinati principalmente a lodarlo, altri a servirlo (Dan. VII, 10). I più vicini al trono di Dio sono i Serafini, cioè gli ardenti, perché, sono tutti infuocati dall’amore divino; dopo di loro vengono i Cherubini che si distinguono per la grande conoscenza di Dio. La Scrittura ci parla anche di Arcangeli, in particolare Michele, l’avversario degli angeli decaduti, Gabriele, il messaggero della nascita di S. Giovanni Battista e di Cristo, e di Raffaele, la guida, di Tobia. – Va da sé che la stessa gerarchia sussiste tra gli angeli reprobi. (Efes. VI, 12).

2. TUTTI GLI ANGELI ERANO GRADITI A DIO AL MOMENTO DELLA LORO CREAZIONE, MA MOLTI DI LORO PECCARONO PER ORGOGLIO E PER QUESTO FURONO GETTATI NELL’INFERNO ETERNO. (II S. Pietro II, 4).

Tutti gli Angeli avevano originariamente lo Spirito Santo dentro di loro. Creando la loro natura, Dio aveva aggiunto la grazia. Si potrebbe dire di loro come dell’uomo: “La carità è stata riversata in loro dallo Spirito Santo che è stato loro dato. (S. Aug.). Ma Dio incorona solo coloro che hanno combattuto (11 Tim. II, 5). Egli fece per gli Angeli quello che ha fatto in seguito per gli uomini e li ha sottoposti ad una prova, affinché potessero avere il il paradiso come ricompensa. Molti angeli soccombettero e persero, insieme alla grazia santificante lo Spirito Santo; non rimasero, dice Gesù, nella verità. (S. Giovanni VII, 44). Volevano essere uguali a Dio, secondo l’allusione al loro crimine fatta dal profeta Isaia: “Come sei caduto dal cielo, Lucifero? Hai detto in cuor tuo: salirò fino ai cieli e innalzerò il mio trono sopra le stelle di Dio… Voglio essere uguale all’Altissimo, e tu sei caduto nell’abisso”. (Is. XIV, 12). Una grande battaglia fu combattuta in cielo tra Michele e i suoi Angeli e Lucifero e i suoi angeli; e il diavolo fu gettato giù dal cielo con i suoi angeli, ed essi non apparvero più in cielo. (Apoc. XII, 8). Combattendo contro gli angeli cattivi, i buoni gridarono: “Chi è come Dio?” Tuttavia non tutti i demoni sono continuamente nell’inferno: molti sono temporaneamente nell’aria (Ef. II, 2), dove tuttavia soffrono le pene dell’inferno. – Il demone”, dice S. Asterio, “è stato punito come il cane che lascia andare la preda per le ombre. Gli angeli caduti sono chiamati diavoli o spiriti maligni e il loro capo: satana o lucifero, cioè portatore di luce, perché era senza dubbio uno degli angeli più perfetti. Che i demoni abbiano un capo è chiaro dalle parole di Cristo, che, al Giudizio Universale, dirà ai reprobi: “Andate. . al fuoco eterno che è stato preparato per il diavolo e i suoi angeli” (S. Matth. XXV, 11). Il numero degli angeli caduti è inferiore a quello dei fedeli (S. Thom, Aq.); la loro caduta è stata così disastrosa, perché erano molto in alto nella luce, come la gravità della caduta di un uomo è proporzionale all’altezza del piano da cui cade. Nell’ultimo giorno gli angeli malvagi saranno giudicati, e la loro malizia e la loro punizione saranno rivelate a tutto l’universo (S. Giuda Vl; II S. Pietro II, 4). Contestare l’esistenza degli spiriti maligni è attaccare la fede cristiana e rifiutare di credere alle parole esplicite di Cristo.

3. GLI ANGELI DEL MALE SONO NOSTRI NEMICI. ESSI CI INVIDIANO, CERCANO DI INDURCI AL MALE E POSSONO, CON IL PERMESSO DI DIO, DANNEGGIARCI NRL NOSTRO CORPO O NEI NOSTRI BENI.

Gli spiriti maligni sono nostri nemici. Molti Santi sostengono che gli uomini prenderanno il posto in cielo perso dagli angeli; “Da qui la loro invidia”. – L’invidia di vedere una creatura fatta di limo prendere il suo posto, fa soffrire il diavolo più delle fiamme dell’inferno. (S. Thom. Aq.) Impotente contro Dio, egli rivolge tutta la sua rabbia contro gli uomini creati ad immagine di Dio (S. Bas.). Un solo sguardo sulla storia dei popoli mostra che il diavolo vuole spogliare gli uomini di tutto: dalla vera religione, dalla libertà, dalla civiltà, dalla loro prosperità, dalla pace, in una parola, di tutte le cose buone. – Il diavolo ha sedotto i nostri primi genitori e i Giuda; egli ha persino cercato di far cadere Cristo nel peccato; ha danneggiato Giobbe nei suoi possedimenti e a quelli posseduti dal Vangelo nei loro corpi. Le parole di Gesù Cristo (S. Matth. XVI, 18) mostrano che gli sforzi di satana sono diretti soprattutto contro la Chiesa, contro il suo capo” contro i suoi ministri; così il Salvatore dice ai suoi Apostoli: “Satana ha chiesto di passarvi al vaglio come il grano (S. Luc XXII, 31). Satana sapendo che i Sacerdoti stanno distruggendo il suo regno e che un giorno saranno associati agli Angeli per giudicarlo (I Cor. VI, 3), li perseguita per rovinarli (Tert.). Il diavolo è come un leone ruggente che gira intorno agli uomini per divorarli. (I S. Pietro V, 8). Dio dà a ogni uomo, alla nascita, un Angelo custode, e lucifero, giustamente chiamato “scimmia di Dio”, invia ad ogni uomo uno dei suoi angeli per caricarlo di tentazioni durante la sua vita. (Pietro Lombardo). Dobbiamo come gli Ebrei che lavoravano per ricostruire le mura di Gerusalemme, tenere la cazzuola in una mano per lavorare e con l’altra la spada per combattere i nostri nemici. (II Esdra IV, 17).

Il diavolo tuttavia, non è in grado di fare veramente del male a chi osserva i Comandamenti e si rifiuta di peccare.

Un cane alla catena può abbaiare a tutti i passanti, ma può mordere solo chi si avvicina (S. Aug.); il diavolo è questo cane, perché Dio lo ha incatenato. (S. Giuda VI). Egli può influenzare la nostra memoria, la nostra immaginazione, ma non ha potere diretto sulla nostra ragione e sulla nostra volontà. “Il diavolo – dice S. Agostino – può fare del male con la persuasione, ma non con la violenza. Si devono quindi respingere immediatamente e con energia i pensieri malvagi”. “Resisti a satana – dice San Giacomo – ed egli fuggirà” (IV).; inoltre, sappiamo come Gesù Cristo scacciasse il diavolo con le parole: “Ritirati satana” (S. Matth. IV, 10). Spesso è bene scacciare queste ispirazioni malvagie semplicemente con il disprezzo; (S. Fr. di S.) questo disprezzo per le tentazioni e per il tentatore consiste nel rivolgere la mente ad altri pensieri, senza affanni o tristezze. (S. G.. Cris.). – Chi si sofferma su pensieri malvagi si avvicina al cane incatenato e ne riceve i morsi. “Solo il peccato dà al diavolo il potere sull’uomo.” (id.) Nessun uomo si salverebbe, dunque, se ottenesse pieno potere sull’uomo (S. Lor. Giust.), perché ha perso la sua beatitudine, ma non la superiorità della sua natura. (S. Greg. M.).

Dio permette a satana di esercitare un potere speciale su alcuni uomini.

i. Dio infatti ha spesso tollerato che per anni i demoni tormentino straordinariamente le anime che tendono alla perfezione e le anime particolarmente favorite, al fine di umiliarle profondamente e purificarle completamente dalle loro imperfezioni.

Il cane incatenato può fare del male quando il suo padrone allunga la catena. (Scaramelli. Gesuita italiano, autore di diverse opere ascetiche molto apprezzate; 1687-1752.) Questo è ciò che Dio fa per il diavolo quando vuole purificare i suoi eletti; Dio vuole che la sua potenza risplenda maggiormente nella debolezza (II Cor. XII, 9). Molti Santi sono stati così, per lunghi anni, continuamente ossessionati da legioni di demoni e tormentati da tentazioni straordinarie, come una città assediata dal nemico. Il più delle volte i demoni apparivano loro in forme spaventose e di notte come bestie selvagge; torturavano il loro udito con ruggiti o parole oscene, soprattutto durante la preghiera, per distrarli o allontanarli; li picchiavano o li gettavano a terra; (Dio, tuttavia, ha sempre protetto le loro vite ed ha risparmiato loro anche le ferite, senza risparmiare loro la sofferenza); impedivano loro di mangiare, persino di fare la comunione, serrando loro le mascelle; li hanno sommersi di malattie, di oppressione al petto, di spossatezza, etc., curabili non tanto con rimedi medici quanto con le benedizioni della Chiesa. Ma ciò che era più terribile erano gli assalti alle virtù teologiche e morali. Le negazioni non avevano potere diretto sulle facoltà dell’anima, ma potevano disturbarle con l’immaginazione, così che queste persone erano private della loro libertà e talvolta commettevano gli atti più folli. Quando rinvenivano, non si accorgevano di nulla, ma erano molto umiliati dall’opinione dei loro vicini. È chiaro, tuttavia, che questi atti non erano colpevoli. Questi attacchi demoniaci si chiamano ossessioni; Giobbe ne soffrì a lungo, così come Nostro Signore nel deserto (S. Matth. IV) e durante la sua passione, dove fu consegnato alle potenze delle tenebre (S. Luca XXII, 53), poi S. Antonio l’Eremita, S. Teresa, S. Maddalena di Pazzi, il santo Curato d’Ars (+1859). Queste anime pie sapevano che Dio non permette che l’uomo venga tentato al di là delle sue forze (I Cor. X, 13), e permette al diavolo di fare solo ciò che può servire alle anime (S. Aug). ; essi si rassegnarono alla volontà di Dio e scacciarono satana con il loro coraggio per un periodo abbastanza lungo. – Ai demoni che minacciavano la sua vita, Santa Caterina da Siena rispondeva: “Fate quello che volete; quello che Dio vuole, io lo trovo buono”. “Non vedete – diceva Santa Maddalena dei Pazzi – che mi state dando uno splendido trionfo?” “Siete dei vigliacchi – gridò sant’Antonio – a venire così numerosi”. “Opponetevi al diavolo con il coraggio di un leone e lui sarà una timida lepre; siate una timida lepre ed il demonio diventerà un leone” (Scaramelli). I demoni vengono messi in fuga anche invocando i nomi di Gesù e di Maria, il segno della croce, l’acqua santa, le reliquie, la preghiera, la partecipazione ai Sacramenti e gli esorcismi. Più grandi sono i tormenti delle anime pie, più straordinario è l’aiuto divino: in queste prove hanno rivelazioni, apparizioni di Angeli e Santi, ecc. In questi casi, che spesso hanno dato luogo a imposture, la Chiesa procede con grande prudenza, si potrebbe dire con diffidenza. Tuttavia, considerare come impossibili e deridere tutti gli eventi che ci vengono raccontati nelle vite dei Santi, nelle lezioni del breviario, è mostrare una grande sconsideratezza. I mondani, ahimè! non hanno motivo di temere questi assalti; il diavolo li disprezza, sicuro di averli prima o poi in suo potere.: è ghiotto solo di anime sante (Ab I,16) e tormenta coloro che vivono secondo lo spirito, non coloro che vivono secondo la carne. (S. Bern.).

2. Dio permette anche spesso al diavolo di punire ed ingannare gli uomini viziosi o increduli.

I corpi di uomini che, a causa dei loro vizi, avevano consegnato interamente la loro anima a satana, sono stati spesso occupati dai diavoli, come una città presa dal nemico. Questo stato è chiamato possessione. Al tempo di Nostro Signore c’erano molti posseduti; come risultato della loro possessione essi erano muti (S. Matth., IX, ’62), o ciechi (ibid. XII, 22), pazzi furiosi (ibid. VIII 28), ecc. Il Figlio di Dio aveva uno scopo speciale nel permettere a satana di dare prova del suo potere al momento della sua Incarnazione: l’esistenza del mondo degli spiriti e dimostrare la sua missione divina attraverso l’obbedienza mostratagli dagli spiriti malvagi. – Tra le persone ossessionate e possedute che devono subire il demonio contro la loro volontà, dobbiamo distinguere coloro che continuamente hanno il diavolo in loro, perché hanno fatto un patto con lui (Act. XVI, 16; I Re XXVIII); questo è un caso che non si verifica quasi più se non tra i pagani. – Dio permette a satana di ingannare i seguaci dello spiritismo, una pratica che consiste nell’evocare gli spiriti per apprendere dei segreti. Spesso le sedute spiritiche non sono altro che imposture e portano all’immoralità. “Dio, per un giusto ritorno della sua giustizia permette in queste circostanze cose così straordinarie, che la curiosità è ulteriormente stuzzicata e noi siamo più strettamente irretiti nelle trappole del diavolo” (S. Aug.). (Questi prodigi sono opera di spiriti maligni, non di Angeli buoni, che non si prestano mai alla rivelazione di segreti solo per soddisfare la curiosità degli uomini o il loro amor proprio (Bona). Molto spesso questi cosiddetti segreti rivelati sono falsi, perché il diavolo è il padre della menzogna (S. Giovanni XI, 44). Gli spiritisti rischiano di perdere la salute e la tranquillità; molti di loro hanno pagato con la vita questa passione malvagia, o sono stati portati nella loro illusione a compiere i più grandi crimini e alle più grandi follie.

3. Gli angeli che sono rimasti fedeli a Dio vedono Dio faccia a faccia e lo lodano per tutta l’eternità.

Gesù, parlando degli Angeli custodi dei bambini, ha detto: “I loro Angeli nel cielo guardano sempre il volto del Padre mio che è nei cieli” (S. Matth. XVIII, 19). I Serafini cantano di Dio tre volte santo (Is.-VI 3) e gli Angeli benedicono Dio nella campagna di Betlemme. “I gradi della loro conoscenza e del loro amore per Dio diversificano anche il loro modo di lodare Dio. (S.-Tom. Aq.) Gli Angeli buoni sono rappresentati in forma di bambini, perché sono immortali, quindi di eterna giovinezza, con le ali, perché nel servizio di Dio sono rapidi come il pensiero, con dei visi doppi per la loro profonda conoscenza; con arpe, perché lodano Dio; con i gigli per la loro innocenza; con la testa senza tronco perché sono spiriti; vicino agli altari, perché assistono invisibilmente il santo Sacrificio. – Gli Angeli santi sono di una bellezza abbagliante. La vista di un Angelo in tutta la sua bellezza, accecherebbe per il suo splendore (S. Brig.). Un Angelo che apparisse nel firmamento in mezzo a tanti soli quante sono le stelle, li farebbe sparire come scompaiono le stelle davanti al sole (S. Ans.). Anche gli Angeli buoni, nelle loro apparizioni agli uomini, non si sono mai mostrati in tutto il loro splendore. – Gli Angeli santi saranno i nostri compagni in cielo. Essi gioiscono del nostro arrivo. “Il banchetto di nozze è preparato, ma la casa non è ancora piena; si attendono nuovi ospiti”(S. Bern.) Ecco perché gli Angeli si interessano tanto alla nostra vita spirituale; il Salvatore ci dice che si rallegrano per la conversione dei peccatori. (S. Luca XV, 10). Essi intervengono anche nella nostra vita spirituale e corporale, se non li preveniamo con i nostri peccati.

4. Ci sono Angeli buoni che sono chiamati Angeli custodi perché ci proteggono (Eb. i. u).

La scala di Giacobbe era un simbolo dei servizi resi a noi dagli Angeli buoni. Questa scala, sopra la quale Dio era intronizzato, arrivava dal cielo alla terra, e gli Angeli la salivano e la scendevano: essi scendevano per proteggere l’umanità e risalivano per glorificare Dio (Genesi XXVIII, 12). Gli Angeli buoni sono compagni che il Padre celeste ci ha dato per guidarci nel nostro pericoloso pellegrinaggio terreno, (Segneri); essi ci custodiscono con la fedeltà di un pastore verso verso il suo gregge (S. Bas.); considerano il loro più nobile dovere aiutarci a raggiungere la nostra salvezza. (S. Dion. Areop.) Non sembrerà strano che gli Angeli siano al nostro servizio, se consideriamo che il loro re sia venuto in questo mondo non per essere servito, ma per servire e dare la sua vita per molti. (S. Bern.) I servizi che ci rendono, lungi dall’essere causa di fatica e preoccupazione, danno loro gioia e fanno parte della loro felicità, perché, amando Dio al di sopra di ogni cosa, non conoscono niente di più piacevole che lavorare per la salvezza delle anime e quindi per la gloria di Dio. – Questa è l’opinione dei Dottori della Chiesa, che ogni uomo ha il suo Angelo custode. “0 eminente dignità dell’anima umana che fin dalla nascita è custodita da un Angelo! (S. Ger.) “La dignità di un Angelo dipende dalla dignità della persona affidata alle sue cure. I semplici fedeli hanno un Angelo custode di grado inferiore, i Sacerdoti, i Vescovi ne hanno uno di grado superiore e il Papa, uno degli spiriti più potenti della corte celeste. Lo stesso vale per i re, principi e altre autorità della gerarchia civile. (Mar. Lat.) Inoltre, non è solo ogni individuo ad avere il suo Angelo custode; le città, le nazioni, le famiglie, le parrocchie, le comunità hanno ciascuno il proprio (ibid.).

GLI ANGELI CUSTODI CI AIUTANO NEI MODI SEGUENTI:

1. Ci ispirano pensieri buoni e stimolano la nostra volontà al bene.

Nella campagna di Betlemme, presso il sepolcro di Cristo, dopo la sua Ascensione, gli Angeli parlavano agli uomini, ma di norma agivano su di loro in modo invisibile, senza parlare loro in modo sensibile. Qualche anno fa (marzo 1890) alcuni scolari di Reichenberg, nella Boemia settentrionale, fecero un’escursione nella foresta, furono sorpresi da un violento temporale e si rifugiarono sotto un albero. All’improvviso uno di loro corse sotto un altro albero. Gli altri lo seguirono e subito un fulmine colpì il primo albero e lo fece a pezzi. Convinti che l’Angelo custode avesse ispirato questo movimento, i genitori eressero una croce in suo onore. – I pensieri che ci turbano e ci preoccupano non vengono da Dio, né quindi dai santi Angeli. Dio infatti, è un Dio di pace (S. Ter.).

2. Gli Angeli offrono a Dio le nostre preghiere e le nostre buone opere.

Lo stesso Raffaele ha dichiarato di aver presentato a Dio le preghiere di Tobia. (Tob. XII, 12). Nel canone della Messa (3a orazione dopo l’Elevazione), il Sacerdote prega ogni giorno Dio di far portare la vittima santa dal suo Angelo davanti al suo trono. Gli Angeli non presentano le nostre preghiere a Dio, perché Dio non le conoscerebbe altrimenti – Egli che conosce tutte le cose prima che siano – ma per rendere le nostre preghiere pi efficaci le nostre preghiere, uniscono le loro ad esse. (S. Bonav.) L’Angelo custode partecipa a tutti i benefici che riceviamo da Dio, perché è lui che ci ha aiutato a chiederli. (S. Thom. Aq.).

3. Ci proteggono in caso di pericolo.

Egli ha ordinato ai suoi Angeli di custodirci in tutte le tue vie. (Sal. XC, 11). Esempi di protezione indicati dagli Angeli sono: i tre giovani nella fornace (Dan. III), Daniele nella fossa dei leoni (ibid. XIV).1 – L’angelo custode ha soprattutto il potere di tenerci lontani dalle insidie del diavolo perché gli spiriti maligni sono sotto il dominio degli Angeli buoni, come ha dimostrato Raffaele nella storia di Tobia (Cap. VIII). L’apparizione dell’Angelo buono è sufficiente per mettere il demonio in fuga. (S. Francesca Rom.) Ciò deriva dalla partecipazione al governo del mondo che Dio concede alle sue creature secondo il grado di unione con Lui. Le creature perfette hanno un’influenza sugli esseri inferiori; essendo la massima perfezione la visione di Dio, ne consegue che un Angelo di ordine superiore ha sotto il suo dominio uno spirito malvagio di ordine inferiore. ^ Tuttavia, gli Angeli buoni non ci tengono lontani dalle insidie del diavolo, che devono servire alla nostra salvezza. (S. Thom. Aq.) – Un buon Cristiano invocherà quindi il suo Angelo custode prima di un viaggio. Tobia augurava questo aiuto a suo figlio, al momento della sua partenza: “che l’Angelo di Dio ti accompagni” (Tob. V, 21).

4. Spesso rivelano agli uomini la volontà di Dio.

Un Angelo intervenne al sacrificio di Abramo; Gabriele fu il messaggero di Dio per Zaccaria e la Vergine Maria di Nazareth. – Tutte le rivelazioni e le apparizioni all’inizio disturbano e spaventano, solo in seguito riempiono l’anima di gioia e consolazione. Quando gli Angeli sono apparsi, quanto si sono spaventati Tobia, Zaccaria, Maria e i pastori! Gli Angeli stessi furono costretti a rassicurarli. Il diavolo agisce in modo diverso: prima li tranquillizza, poi subentra la confusione e il terrore. – Gli Angeli buoni appaiono sempre in forma umana; il diavolo, in varie sembianze, in particolare sotto forma di bestie (tranne l’agnello e la colomba); assumono persino l’aspetto degli Angeli della luce, della Beata Vergine e di Cristo. (Benedetto XIV). Come regola generale, appaiono per sedurre coloro che, per orgoglio o curiosità, cercano cose straordinarie, ad esempio agli spiritisti.

Per ottenere la protezione degli Angeli buoni, dobbiamo cercare di di assomigliare a loro, vivendo una vita santa, onorandoli ed implorando molto spesso il loro aiuto.

L’esperienza dimostra che i bambini piccoli sono oggetto di una protezione speciale. È quindi l’innocenza a renderci loro amici. “L’amore di Dio ci rende graditi agli Angeli” (Mart. Lat.) e il peccato li allontana come il fumo le api (S. Bas.). L’Angelo custode quindi non proteggerà i bambini che si arrampicano sugli alberi per rubare gli uccelli, né gli operai che profanano la domenica; al contrario, queste colpe sono spesso accompagnate da gravi incidenti. – Naturalmente, gli Angeli buoni ci proteggeranno ancora di più se li importuniamo con le nostre preghiere. Dio stesso concede le sue grazie solo quando le chiediamo, ed anche gli Angeli osservano questo ordine della Provvidenza. Dobbiamo quindi invocare il nostro Angelo custode salutandolo quando entriamo in casa, congratulandoci per la sua fedeltà nei nostri confronti, ringraziandolo per i suoi benefici. Dobbiamo al nostro Angelo custode più gratitudine che alla madre; quest’ultima ci protegge solo durante l’infanzia, mentre egli ci protrgge per tutta la vita, non solo contro i pericoli del corpo, ma anche contro quelli dell’anima. (Hunolt). – (La leggenda narra che l’imperatore Massimiliano ottenne una protezione speciale sulla roccia di San Martino. (1496). – Si dice anche che i bambini cadano da grandi altezze senza farsi alcun male. I giornali riportano ad esempio (3 maggio 1898) che al n. 47 di rue de Clignancourt a Parigi, la piccola Henriette Ferry, di 3 anni, è caduta dal 5°piano sul marciapiede e si è rialzata sana e salva. – Il 9 luglio 1895, il figlio del principe Alexandre de Salm, un bambino di 8 anni, cadde vicino a Vienna da un coupé ferroviario scoperchiato da un uragano. Il treno passò sopra di lui ad alta velocità, e quando fu lanciato il segnale d’allarme, fu trovato, tra lo stupore di tutti, che correva dietro al treno.). La nostra gratitudine deve essere quella di Tobia, il quale disse: “Padre mio, quale salario gli daremo, o come potremo ricompensare degnamente le sue buone azioni?” (Tob. XII, 2). La Chiesa ha fissato la festa degli Angeli Custodi la prima domenica di settembre o il 2 ottobre. Il lunedì è dedicato al loro culto. Anche l’immagine dell’Angelo custode deve essere onorata. Egli è: 1° in preghiera accanto a un bambino cullato (protezione della vita); 2° conduce per mano un bambino che attraversa un ponte molto stretto (guida verso il cielo); 3° allontanando un serpente pronto a mordere un bambino che cammina in campagna (aiuto nella tentazione); 4°volare verso il cielo portando un bambino in braccio (assistenza sul letto di morte). – Il catechista reciterà la preghiera all’Angelo custode.

IL CATECHISMO DI F. SPIRAGO (IX)

SENZA GIURISDIZIONE SACERDOTALE, NON C’E’ VALIDA CONFESSIONE.

Il Sacramento della Confessione e la giurisdizione sacerdotale.

(G. Giuffré)

… da quella riserva di clero anziano, sia locale che di fuori città, sono nati 58 autentici Sacerdoti cattolici che hanno assistito la nostra congregazione per 50 anni. La validità di questi Sacerdoti cattolici veterani non è mai stata messa in dubbio. Tutti sono stati ordinati anni, o addirittura decenni, prima della distruzione dell’Ordine Sacro e dell’Ordine Episcopale nel 1968 (v. “18 giugno 1968” in ExsurgatDeus.org.). Ma, cosa altrettanto importante, tutti avevano ricevuto la delega specifica da parte di Vescovi validi e legittimi che è assolutamente necessaria per amministrare l’assoluzione ed assistere ai matrimoni. Questo perché ci sono due poteri associati al sacerdozio: 1) il potere dell’Ordine, che fa di un uomo un Sacerdote, e 2) il potere di Giurisdizione, che fa sì che il sacerdote sia un Sacerdote cattolico. Infatti, senza questo secondo potere, il sacerdote non è un confessore e non può amministrare l’assoluzione ai penitenti che si avvicinano a lui per confessare i loro peccati. Su questo requisito per l’amministrazione valida dell’assoluzione non ci possono essere dubbi. Come scrisse Padre P. Charles Augustine nella sua opera in otto volumi, “A Commentary on the New Code of the Diritto Canonico”, nel 1918, alle pagine 252-253;:”L’unico ministro di questo Sacramento [della Penitenza] è il Sacerdote, il quale, per assolvere validamente, ha bisogno non solo del potere d’ordine, ma anche del potere di giurisdizione, ordinaria o delegata, sul penitente. “Questa… è una verità dogmatica ….. La Chiesa esige il carattere sacerdotale come condizione o attitudine fondamentale, a causa dell’elemento ieratico che è intimamente connesso con il potere giurisdizionale. Ma poiché l’esercizio di questo potere è in realtà un atto giudiziario, che presuppone la giurisdizione, anche la giurisdizione è essenzialmente richiesta”. Inoltre, dai padri Spirago e Clarke, leggiamo il seguente commento tratto dalla loro opera classica, “Il catechismo spiegato” (in inglese – 1899), pagine 646-647:

“Il sacramento dell’Ordine conferisce solo il potere perpetuo, non il diritto di esercitare le funzioni di un Sacerdote. I neo-ordinati non possono quindi fare uso in nessun luogo dei loro poteri sacerdotali, fino a quando la giurisdizione ecclesiastica non sia conferita al Sacerdote dal suo Vescovo; i Vescovi la ricevono dal Papa… Un Sacerdote deve avere la facoltà di confessare dal Vescovo… Chiunque abbia l’ardire di esercitare le funzioni sacerdotali senza essere stato ammesso agli Ordini sacri o senza l’autorizzazione episcopale, sarebbe, nei Paesi cattolici, punito dal potere secolare; in ogni caso, su di lui ricadrebbero terribili castighi da parte di Dio…”. – L’eminente studioso della Chiesa, Ludovico Billot, ha scritto nel suo trattato De Ecclesiæ Sacramentis, Libro II, Tesi 23, §1, pagine 232-234, quanto segue: « Si noti che la giurisdizione, anche nel foro interno della Penitenza, non è in alcun modo data al Sacerdote in virtù dell’ordinazione … l’ordinando [sacerdote] è deputato [incaricato] ad esercitare un giudizio sacramentale sui suoi sudditi … Perciò si deve ritenere con certezza che il suddetto potere di giurisdizione non possa essere ottenuto da nessuno se non con il conferimento di un ufficio pastorale o con la delega di prelati [Vescovi] … un Sacerdote non ha giurisdizione se non per concessione del Pontefice e dei Vescovi che lo Spirito Santo ha stabilito per governare la Chiesa di Dio”. – Uno dei più prolifici canonisti e teologi del XX secolo, padre Felix Cappello, ha parlato molto chiaramente del requisito della giurisdizione sacerdotale sia concessa in modo specifico e che non possa essere semplicemente essere presunta come “automaticamente fornita dalla Chiesa”. Nella sua grande opera, De Sacramentis, II-1, pagina 398, padre Cappello scrive: “La giurisdizione per ascoltare validamente le confessioni deve essere concessa per iscritto o con parole… espressamente (can. 879, § 1).

“1º Si esclude così una concessione presunta, che in realtà non esiste, e che esisterebbe solo se venisse richiesta. …

“4º Alcuni considerano sufficiente, in caso di urgenza, una giurisdizione che si presume presente; come ad esempio “se si è moralmente certi che il Vescovo abbia ricevuto la richiesta scritta di giurisdizione e che sia stata data una risposta affermativa o al suo amministratore o per lettera, egli può, quando le circostanze sono urgenti, ascoltare le confessioni prima che le lettere siano ricevute o che ritorni colui che trasmette l’ordine”. Questa opinione, sebbene alcuni la neghino o la mettano in dubbio, sembra probabile, purché siano effettivamente presenti le due condizioni che 1) sia moralmente certo che il Vescovo abbia ricevuto la richiesta scritta e 2) sia moralmente certo che egli abbia dato una risposta affermativa.

“5º L’approvazione della giurisdizione, sia essa prudentemente presunta o addirittura certa, dopo che la confessione sia stata fatta o ascoltata, non è certamente sufficiente. …

7º Secondo tutti [gli autori], non si può presumere alcuna condizione da cui, in un caso particolare, dipenda la validità di un atto… di confessione”.

Infine, un’autorità in materia di necessità della giurisdizione come Papa San Pio X ha parlato di questa questione nel suo Catechismo del 1908, in risposta alle domande 8 e 9: “… Il ministro del sacramento della Penitenza è un Sacerdote autorizzato dal Vescovo ad ascoltare le confessioni. … Un Sacerdote deve essere autorizzato dal Vescovo ad ascoltare le confessioni perché per amministrare questo Sacramento validamente, non basta il potere dell’Ordine, ma è necessario anche il potere di giurisdizione, cioè il potere di giudicare, che deve essere dato dal Vescovo”. – Come si applica quanto sopra al clero che amministra i Sacramenti a Saint Jude’s da quasi mezzo secolo? Per rispondere a questa domanda bisogna innanzitutto capire che dal novembre 1969, al più tardi, non ci sono più state diocesi americane, con la possibile eccezione di una o due, in cui siano stati ordinati Sacerdoti validi per il rito romano o in cui siano stati consacrati Vescovi validi per il rito romano. Pertanto, gli unici Sacerdoti che i custodi di San Giuda (Stafford, Texas) hanno invitato a celebrare la Messa e ad ascoltare le confessioni presso il santuario sono stati quelli le cui ordinazioni sono avvenute prima del 1969. – Ad eccezione di tre sacerdoti in visita, inviati dall’arcivescovo Marcel Lefebvre, che abbiamo ospitato per un breve periodo 47 anni fa, tutti i Sacerdoti che hanno offerto la Messa e amministrato il Sacramento della Penitenza a Saint Jude dalla domenica di Pentecoste, il 6 giugno 1976 sono stati ordinati prima del 1969 e soddisfatto i criteri richiesti dalla Chiesa Cattolica per essere classificato come Sacerdote e confessore valido e legittimo. – Nei sei anni successivi, il Saint Jude’s sarebbe stato assistito da tre confessori anziani che avevano ricevuto la loro giurisdizione clericale dal Vescovo della diocesi di Galveston durante gli anni ’40 e ’50. Altri ecclesiastici si sono recati in Texas per servire la nostra congregazione, portando con sé la delegazione ricevuta dalle loro diocesi di origine e dagli ordini religiosi. Come funziona? Il canone 883 consente ad un Sacerdote di ascoltare le confessioni quando viaggia al di fuori della sua giurisdizione territoriale. Può ascoltare le confessioni per tre giorni durante la permanenza in una diocesi diversa dalla propria, prima di dover richiedere il rinnovo della giurisdizione al Vescovo locale. Ma il canone non pone alcun limite al tempo in cui il Sacerdote può ascoltare le confessioni in quella diocesi se il Vescovo locale non è “facilmente raggiungibile”. Ovviamente, questo descriverebbe l’attuale situazione apocalittica attuale negli Stati Uniti, dove non c’è un solo Vescovo cattolico di rito romano valido e funzionante. – Oppure si consideri anche il Canone 1098, che si rivolge alle coppie cattoliche che desiderano sposarsi davanti a un Sacerdote o a un Vescovo cattolico valido che fornisca loro un’assistenza adeguata, che offra loro la Messa nuziale tradizionale e la benedizione nuziale (quest’ultima assolutamente necessaria e richiesta dalla Chiesa), ma non sono in grado di trovare un ministro locale, autentico, che offici la cerimonia. In questi casi, i cattolici che desiderano matrimonio nella Chiesa sono tenuti a richiedere i servizi di un altro sacerdote, anche se “di un’altra diocesi”. – Infine, ci viene ricordato il Canone 2261, in base al quale un Sacerdote la cui giurisdizione è inattiva a causa di una sanzione segreta, può amministrare i Sacramenti validamente e legittimamente richiesti dai fedeli che si trovino in gravi necessità. Le richieste di Sacramenti che gli vengono rivolte da chi si trova in gravi necessità riattivano la sua giurisdizione in modo che egli possa soddisfare l’appello speciale che gli è stato rivolto. Il punto è, se la giurisdizione del Sacerdote censurato viene ripristinata affinché egli possa assistere i fedeli in difficoltà, allora quanto più la Chiesa faciliterebbe la ripresa della delega di un Sacerdote che è diventata non perché ha commesso un reato punibile, ma semplicemente perché si trova per il momento al di fuori della sua giurisdizione territoriale? – È sulla base di questi principi che i Sacerdoti cattolici anziani hanno operato come ministri validi e legittimi dei Sacramenti ai fedeli che sono stati abbandonati e traditi dalla “Chiesa ufficiale” per oltre mezzo secolo . C’è anche la ben nota circostanza descritta dal Canone 209, che viene definita “errore comune”, cioè quando un Sacerdote con la giusta giurisdizione non sa di essersi avventurato al di fuori della sua diocesi e poi viene avvicinato da qualcuno per ricevere i sacramenti. Quando sia il Sacerdote che il penitente sono ignari di trovarsi al di fuori del territorio a lui delegato, la Chiesa estende i limiti delle sue facoltà in modo che il confessore possa amministrare validamente l’assoluzione. Questo, naturalmente, non accade quando un confessore viene richiesto dai custodi del Santuario di San Giuda di assolvere i membri della loro congregazione che si mettono in fila per la confessione. Infatti, coloro che sono responsabili dell’invito del Sacerdote a Saint Jude avranno una conoscenza approfondita del suo passato. – Tuttavia, in tutti gli esempi citati sopra, la condizione chiave che debba essere soddisfatta affinché i Canoni si applichino è il requisito che al Sacerdote in questione sia già stata concessa la giurisdizione per esercitare la sua missione sacerdotale all’interno di un territorio o di un’obbedienza da parte di un vero Vescovo cattolico. Anche nelle condizioni catastrofiche in cui si trova oggi la Chiesa, non c’è alcun Canone che permetta a un Sacerdote “libero professionista”, senza alcuna missione da parte di un Vescovo della Chiesa, di operare come un autentico confessore cattolico in grado di amministrare legittimamente, e quindi validamente, l’assoluzione ai fedeli in generale. – L’unica eccezione a questa regola è prevista dal canone 882 nei casi di “pericolo di morte”, quando un penitente sia veramente in pericolo di vita e non ci sia nessun Sacerdote cattolico debitamente autorizzato ad amministrargli gli ultimi riti della Chiesa. In questi casi, qualsiasi Sacerdote valido, anche uno scismatico, come un ecclesiastico greco o russo, ortodosso, riceve direttamente dalla Chiesa cattolica le facoltà di emergenza per impartire l’assoluzione e l’Estrema Unzione ad una persona che si trovi in una situazione di emergenza ed in punto di morte non abbia altre possibilità di ricevere gli ultimi Sacramenti. Ma i canonisti di più alto rango nella Chiesa sono stati costantemente irremovibili sul fatto che in nessun’altra circostanza si può presumere una “giurisdizione fornita” in un caso diverso dal “pericolo di morte”.  Con questa unica e sola esenzione dalla necessità assoluta per il clero di ottenere la delega da una legittima autorità episcopale per poter validamente assolvere i fedeli dai loro peccati, è incomprensibile come l’arcivescovo “in pensione” Marcel Lefebvre, ex-superiore generale dei Padri dello Spirito Santo ed ex-ordinario per l’Africa. della diocesi missionaria africana del Senegal, abbia potuto in buona coscienza fondare un seminario a Econe, in Svizzera, tra l’inizio e la metà degli anni ’70, con il progetto di produrre “mezzi sacerdoti” che, nella migliore delle ipotesi, ricevevano il potere degli ordini, ma venivano mandati in giro per il mondo senza l’altra metà della loro vita. del sacerdozio, il potere di giurisdizione. A cosa pensava? Non lo sappiamo. Ma sin dall’inizio, il clero ibrido di Lefebvre è stato al centro di controversie ovunque siano apparsi, fino ai giorni nostri. Scandali su scandali continuano ad affliggere la società di Lefebvre a trentadue anni dalla morte dell’arcivescovo, mentre il tasso di ricambio e di defezione rivaleggiano con quelli della Chiesa conciliare. Che si tratti di un progetto o dell’inevitabile risultato di sacerdoti che non sono realmente cattolici, la Società di Marcel Lefebvre si è divisa in più occasioni, creando ogni volta dei cloni di se stessa, tra cui la Società dei Santi di San Pio V (SSPV) che si è anch’essa divisa in due o tre schieramenti opposti, a volte denominati “Società di San Pio X, talvolta indicati come SSP2½ e SSP1¼. Più recentemente, un’altra incarnazione della SSPX, che si sta frammentando in comitati sempre più piccoli e irrilevanti, è il cosiddetto “Riconoscere e Resistere” (R&R). – Parallelamente alla rapida suddivisione della SSPX, si sta sviluppando la cosiddetta “linea Thuc”, che si riferisce ad una progenie spirituale della SSPX cioè ad una progenie spirituale di presunti vescovi che rivendicano la loro discendenza dal defunto vescovo vietnamita Ngo Dinh Thuc. Il fratello del vescovo Thuc, Ngo Dinh Diem, fu assassinato dalla CIA nel 1963. Tre altri tre fratelli di Thuc sono stati assassinati in Vietnam. Il calvario lasciò il prelato a pezzi. Ma prima dell’uccisione di Diem, Thuc era già stato convocato a Roma per partecipare al Concilio Vaticano II, dove si era prefissato di promuovere il “dialogo” della Chiesa con i buddisti. Dopo il Concilio Vaticano II, il vescovo si stabilì ad Albano, in Italia. Albano, in Italia, ma poi si avventura a Palmar de Troya, in Spagna, dove l’11 gennaio 1976 viene ordinato, l’autoproclamato stigmatizzatore Clemente Domigues Gomez e quattro complici. Le consacrazioni facilitarono il lancio della “Chiesa palmariana”, di cui Clemente fu incoronato “papa”. Thuc fu “scomunicato” dall’antipapa Paolo VI per le consacrazioni indipendenti. Thuc “ritrattò”, si riconciliò con la Chiesa conciliare ed in seguito si stabilì a Tolone, in Francia. Nel 1981 ha ripreso a consacrare altri vescovi indipendenti, iniziando con il sacerdote domenicano Guérard des Lauriers, e poi un anno dopo consacrò due sacerdoti messicani, Moises Carmona di Acapulco e Adolfo Zamora, per volere di due medici veterinari tedeschi, Hiller e Heller. Thuc ha consacrato condizionatamente due prelati della Chiesa scismatica vetero-cattolica, Jean Laborie e Christian Datessen. Una volta che il “genio era uscito dalla bottiglia” delle consacrazioni episcopali libere e facili consacrazioni episcopali facili e gratuite, non c’era limite a chi sarebbe stato mitridatizzato in seguito. All’ultimo conteggio, la linea Thuc comprendeva un criminale condannato ed una donna stregone africana. Così, il vescovo Thuc è stato usato da opportunisti spudorati che lo importunarono per tentare diverse consacrazioni episcopali illecite e sconsiderate nei primi anni ’80, che avrebbero potuto renderlo automaticamente scomunicato, indipendentemente dalla beffarda sentenza pronunciata contro di lui da Montini, se all’epoca fosse stato sano di mente. – Ecco solo alcune delle decine, se non centinaia, di “vescovi” che oggi rivendicano la loro discendenza da Ngo Dinh Thuc, come compilato dal signor John Weiskittel, con i suoi commenti:

“Vescovo” Pierre Marie Mvondo: Un vescovo africano Thuc del Camarun, c’è un video che mostra la processione prima di una Messa di rito tridentino con molta inculturazione, favorita da Thuc nella sua autobiografia. Ecco un’omelia su Thuc che praticamente lo canonizza. https://tinyurl.com/sp7dxjz

Il “diacono” William Kamm (“Little Pebble”), leader di una setta apocalittica australiana e condannato per crimini sessuali, dice che Dio lo farà presto Papa. Fatto “diacono” dal “vescovo” della linea Thuc Malcolm Broussard. https://magnuslundberg.net/2016/05/15/modern-alternative-popes-14-william-kamm/

Nel seguente link del Daily Mail si noti che c’è un video di otto minuti su di lui che vale la pena di vedere: https://tinyurl.com/tyzpnmo

“Papa” Atanasio I (Bryan Richard Clayton) Ex seminarista del CMRI, consacrato condizionatamente dal Thuc.

Vescovo” Patrick Taylor (attraverso il ramo Datessen)

https://magnuslundberg.net/2016/05/15/modern-alternative-popes-21-athanasius-i/

Vescovo” Bernadette Meck Sì, una donna “vescovo” della linea Thuc — il suo appello V-2 per le donne nelle “sacre funzioni”. Come molti vetero-cattolici, ha molteplici linee di successione, una delle quali proviene dall’ “Arcivescovo” Peter Paul Brennan, che aveva anch’egli linee multiple, tra cui quella di Thuc (scorrere la pagina fino a “Altre linee apostoliche acquisite attraverso P.Paul Brennan”).

http://marymotherofjesusiocc.org/apostolic-lines-of-bishop-meck.html

Padre” Joseph Di Mambro Leader del culto occulto/neo-gnostico/millenarista/assassino-suicida, l'”Ordine del Tempio”, che insieme a Lucille ha avuto una linea di discendenza multipla.

Ordine del Tempio, che con Lu Jouret, un altro leader, e un terzo membro è stato ordinato dal “vescovo” Jean Laborie. Una foto in cima all’articolo linkato mostra Di Mambro che insegna alla figlia piccola (sarebbe morta con lui in una delle immolazioni della setta) come diventare una “sacerdotessa mistica”: https://www.bizarrepedia.com/order-of-the-solar-temple-cult/ Il capitolo del libro che ho linkato qui https://tinyurl.com/stbe7to fa riferimento solo all’ordinazione di Jouret del 1984, ma ho visto che Di Mambro è stato citato come un ordinato da Laborie.

Da parte sua, l’arcivescovo Marcel Lefebvre ha aggiunto alla confusione consacrando quattro vescovi senza un mandato apostolico, pur riconoscendo Karol Wojtyla come “Papa” Giovanni Paolo II. Né Thuc né Lefebvre, né alcuno dei loro discendenti episcopali è sembrato preoccuparsi della legislazione papale di Pio XII, ancora in vigore, emanata il 9 aprile 1951, con il titolo “Consacrazione di un vescovo”: “Consacrazione di vescovi non nominato o espressamente confermato dalla Santa Sede”, AAS 43-217: “Un Vescovo, di qualsiasi rito e dignità, che consacra all’episcopato qualcuno che non sia stato né nominato né espressamente confermato dalla Santa Sede, e la persona che riceve la consacrazione, anche se costretti da grave timore (Canone 2229, § 3, 3º), incorrono ipso facto in una scomunica riservata in modo particolare alla Santa Sede…”. – Ai gruppi sopra elencati con nomi abbreviati con iniziali, possiamo aggiungere anche i seguenti:

La Congregazione Maria Regina Immacolata (CMRI) è stata fondata dalla pedofila Frances Schuckardt, che poco dopo ha accettato l’ordinazione e la consacrazione da parte del vescovo canadese scismatico e vetero-cattolico Daniel Q. Brown. Anni dopo l’espulsione di Schuckardt dal gruppo per aver molestato diversi chierichetti, il CMRI si è infine incentrato su Mark Pivarunas come nuovo vescovo, che è stato consacrato da Moises Carmona, innestando così la CMRI sulla dubbia linea Thuc. Pivarunas ha appena annunciato l’apertura di un nuovo centro CMRI a Kingwood, in Texas, con l’esplicito scopo di subentrare a Padre Campbell nella cura spirituale della congregazione di Saint Jude, e ha iniziato a contattare attraverso il suo agente locale, padre Francis Miller, i membri del Saint Jude via e-mail, evidentemente fornitagli da un attuale o ex partecipante alle Messe del Saint Jude. – Nessuno di questi gruppi è minimamente interessato a ristabilire l’ordine gerarchico all’interno delle strutture occupate e visibili della vera Chiesa, a partire dalla restaurazione di un vero Papa sulla Cattedra di Pietro, ma operano senza alcuna legge per perpetuare i loro piccoli imperi. Nessuno di questi gruppi ha confessori delegati che possano assolvere i fedeli dai loro peccati, se non in pericolo di morte, e molte di queste organizzazioni non hanno nemmeno più sacerdoti indiscutibilmente validi, dal momento che praticamente tutto il clero della FSSP riceve gli ordini sacerdotali da vescovi novus ordo non validi, e la SSPX da qualche tempo ammette tra i suoi ranghi sacerdoti novus ordo senza il beneficio dell’ordinazione condizionale. Sempre più il clero “trad” e “semi-trad” comincia ad assomigliare alle sue controparti del novus ordo. In effetti, questo potrebbe essere stato predetto dalla santa suora e mistica tedesca, la venerabile Anna Catherine

Emmerick, che nel 1820 disse: “Ho visto costruire una strana chiesa contro ogni regola… Nessun angelo sorvegliava le operazioni di costruzione. In quella chiesa, nulla veniva dall’alto… C’era solo divisione e caos”. È probabilmente una chiesa di creazione umana, che segue l’ultima moda, così come la nuova chiesa eterodossa di Roma, che sembra essere dello stesso tipo”. (Yves Dupont, “Profezia cattolica; l’imminente Castigo”, 1970, Tan Books, pagina 61)

Nel frattempo, il Saint Jude rimarrà come è stato per quasi 50 anni, un avamposto della Chiesa cattolica residua, servito da veri sacerdoti cattolici. Chiesa cattolica, servita da veri sacerdoti cattolici, altri dei quali potrebbero presto unirsi a noi.

Cordiali saluti in Cristo Re,

Gary Giuffré

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA (51c.)

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA DAGLI APOSTOLI A S.S. PIO XII (51c.)

HENRICUS DENZINGER

ET QUID FUNDITUS RETRACTAVIT AUXIT ORNAVIT

ADOLFUS SCHÖNMATZER S. J.

ENCHIRIDION SYMBOLORUM DEFINITIONUM ET DECLARATIONUM

De rebus fidei et morum

HERDER – ROMÆ – MCMLXXVI

Imprim.: Barcelona, José M. Guix, obispo auxiliar

INDICE DEGLI ARGOMENTI -IX c-

8. Sacramento dell’Ordine.

J 8a a. – ESSENZA DEL SACERDOZIO CRISTIANO.

Nel Nuovo Testamento esiste il Sacerdozio visibile esterno 1764 1771.

Il Sacerdozio del N.T. o Ordine è un (proprio) sacramento 718 860 1310 1326 1601 1764 1766 1773 1864 2536 3857: l’arruolamento nel clero non viene fatto dal popolo o dal potere secolare per chiamata o consenso, ma con l’ordinazione sacra 3850 CdIC 109.

L’Ordine è propriamente uno dei sette sacramenti (a.ugualmente un Sacramento per la Chiesa universale) 1766 a3857.

Si rivendica come legittima la diversità degli Ordini con cui ascendere al sacerdozio 1765 1772; per diritto divino esiste la gerarchia costituita dai Vescovi, presbiteri e ministri (a.diacono) 1776 Cd1C .108, § 3; si recensiscono tuttavia in tre gli Ordini sacri nella Chiesa Romana (Vesc. presb., diac.) poi sette 836; cioè sacerdote, diacono, subdiac. e quelli che sono gli ordini maggiori), accolito, esorcista, lettore, ostiario (a che sono ord. minori) 1765 CdIC a949; per altre distinzioni vd.: G 4da.

I Vescovi sono presbiteri superiori per potere di ordine 1768 1777.

Materia dell’ordinazione al diaconato, presb., Vescovo (a.unica) almeno nei tempi posteriori, è l’imposizione delle mani 326-328 826 3325 a3858-3860; è sufficiente per la validità il contatto morale, si comanda il contatto fisico 3861.

La Tradizione degli strumenti come prescrizione della Chiesa fu prescritta per la validità solo nella Chiesa latina, mentre nella Chiesa grecale ordinazioni si fecero sempre validamente senza la tradizione degli strumenti 1326 3858.

La Forma sono le parole che riferiscono il potere determinante (grazia sacramentale) in ciò che competa ad ogni ordine (a. in questo mancano gli ordini anglicani) 1326 a3316s 3858-3860.

J 8b b. — ORIGINE DEL SACERDOZIO CRISTIANO.

8ba. Istituzione. Il vecchio etus sacerdozio è passato nel nuovo 1764.

Cristo ha istituito il Sacerdozio del N.T. 1740 1752 1764 1773 3857; agli Apostoli ed ai loro successori nel sacerdozio è affidato il potere di consacrare, offrire, amministrare il corpo ed il sangue di Cristo (1740 1752) 1764 1771.

Riprov. l’asserzione dei Modernisti circa l’istituzione del sacerdozio 3449s.

8bb. Ministro dell’ordinazione. Ministro a.ordinario del sacram. dell’Oordine è (solo) il Vescovo 128 a1326 1768 1777 CdIC 951; ministro straordinario è chi senza carattere episcopale, per diritto o dalla Sede Apostolica riceve indulto per conferire alcuni ordini CdIC 951; privilegio che si traduce nella facoltà del semplice sacerdote di conferire il subdiaconato, b.diaconato, c.presbiteriato, d.tutti gli ordini sacri abc1145s d1290 ab1435; si riprovano le asserzioni: [Qualsiasi sacerdote può conferire qualunque Sacramento (quindi anche gli ordini)] 1136; [l’Ordinazione del clero si riserva al Vescovo per lucro temporale ed onore] 1178.

Validità dell’ordinazione conferita dal ministro a.scismatico o b.eretico — si riconosce a356 b478 a705; — si nega (richiedendo la “riordinazione”)

Nel caso dei a.Paulianisti e b.Anglicani (qui per difetto di forma ed intenzione) a128 b3315-3319; ambigue decisioni in caso di ordinazione simoniaca 691-694 701s 705 707 710; chi ignora la sua ordinazione è da rigettare 592.

Riprov. le asserzioni circa la amministrazione del sacram. dell’ordine 1651-1657.

J8c. c. — FINE, EFFETTO, IMPORTANZA DEL SACRAMENTO DELL’ ORDINE.

8ca. Fine è la conduzione dei fedeli ed il ministero del culto divino CdIC 948; è il governo e l’accrescimento spirituale della Chiesa 1311.

8cb. Effetto. Il Sacram. dell’Ordine conferisce la grazia per l’idoneità del ministro 1326 3857.

Si imprime il carattere, a.per cui è impedita la reiterazione 825 1767 1774 CdIC a732, § 1;

Una volta ricevuta validamente l’Ordinazione non si può più deporre CdIC 211, § 1; pertanto il a.sacerdote (più precisamente: il b.constituito negli ordini maggori) non può più tornare laico a1767 (1771) a1774 CdIC b211, § 1.

8cc. Dignità. Il sacerdote è per ufficio pubblico il deprecante e adoratore di Dio. 3757; è ministro di Cristo, in “personam Chr.” similmente a Cristo è capo dei membri. 3755 3850.

J8d. d. — SOGGETTO DEL SACERDOTE CRISTIANO.

Non tutti i fedeli sono dotati di pari potere spirituale 1767; soggetto valido del sacram. dell’Ordine è solo l’uomo battezzato CdIC 968, § 1.

Sacerdozio generale dei fedeli: concetto e sequele 3849-3853.

9. Sacramento del matrimonio.

9a. a. — ESSENZA DEL MATRIMONIO.

9aa. Concetto e varie specie di matrimonio. Il Matrimonio è una società individuale contratta da un uomo e una donna 3142.

Il Matrimonio valido tra non-battezzati si dice vero non-rato 769; o si dice legittimo CdIC 1015, § 3; il matrim. valido tra battezzati si dice vero e rato 769; oppure rato e consumato CdIC 1015, § 1.

9ab. Indole sacramentale. Il Matrim. tra fedeli è un Sacramento 761 794 9ab 860 916 1310 1327 1601 1800 1801 1864 2536 2598 2965 2973 2990s 3142 3145s 3700 3710 3713s CdIC 1012; si riprovano le asserzioni ctr. la sacramentalità del matrim. 3451 3715.

La Forma (ossia la causa efficiente) del matrimonio è solo il consenso a.tra i presenti 643 a755s 766 a776 a1327 a1497 3701 CdIC (1012) 1081.

Il Consenso matrimoniale è un atto di volontà al quale entrambe le parti si soggettano e accettano in perpetuo il potere esclusivo del corpo in ordine all’atto di per sé idoneo alla generazione della prole CdIC 1081; il consenso regolarmente è manifestato dalle parole, a.in caso di impossibilità bastano i cenni a766 1327 CdIC 1086, § I a1088, § 2.

Il contratto matrimoniale non è dissociabile dal Sacramento 2966 (2974) 3145s (CdIC 1012); su riprova: [il Sacram. matrim. consiste nella sola benedizione] 2966.

Le condizioni ctr. la sostanza del matrimonio lo rende nullo, come le condizioni turpi ed impossibili che lo hanno come oggetto, 827 CdIC 1092; i diriitti matrimoniali per l’uomo e la moglie sono uguali (778) 3144.

La professione solenne di castità invalida il matrimonio 1809 (CdIC 1119).

Il Matrimonio contratto senza il consenso dei genitori per sé non sono validi 1813:

I matrimoni clandestini di per sé sono veri e rati 1813; ma sono proibiti dalla legge eccl.; vd. J 9bb.

I Matrimoni misti per sé sono validi, anche se non si è osservata a forma Tridentina 2518s 3387; ma sono riprovati se non sussista una giusta causa 2518 3386; i matrimoni tra apostati sono validi, se non sussiste il patto di dissolubilità 2340; circa la validità dei matrimoni tra gli eretici 2515 2517; i matrimoni degli acattolici (per sé) sono validi 3388; la loro validità non dipende dalla forma stabilita dalla Chiesa 3474.

J9b. b. — ORIGINE DEL SACRAMENTO DEL MATRIMONIO.

9ba. Origine remota. Il Sacramento del matrimonio è istituito da Cristo (1799) 1801 2965 2990 3142 3700 3713 CdIC 1012.

9bb. Il diritto della Chiesa nella questione matrimoniale dei fedeli si estende ad ogni causa 1812 2598 2967-2974 2990 3144-3146 CdIC 1016 1960; al potere civile compete il diritto circa l’effetto meramente civile CdIC 1016.

Da osservarsi è la legislazione della Chiesa circa la forma (in specie a.proibendo i matrim. clandestini, b.proibendo il matrim. civile, c.istituendo la pubblicazione dei prossimi sposalizi.

ac817 ac18131816 2515-2520 b2990-2993 a3385 b3386 3468-3473.

Si riprova l’asserzione circa gli sponsali 2658.

La Chiesa ha il diritto di stabilire gli impedimenti 817 860 1803s 1812 1814s 2659s 2968-2970 (2972 2974) CdIC 1038 1040; ha in essi il diritto di dispensare 1803; i matrimoni contratti nell’infedeltà non costituiscono impedimenti meramente ecclesiastici in caso della conversione dei coniugi 777.

Si richiede l’assistenza del parroco (a.eccetto il caso in cui non sia possibile averlo entro un mese) 1814-1816 a3471; modo di agire nel matrimonio misto 2590.

9c. c C. — FINE, EFFETTO, VALORE DEL SACRAMENTO DEL MATRIMONIO.

9ca. Ragione e causa primaria del matrimonio è la mutua interiore conformazione dei coniugi 3707.

9cb. Fine. a.propagazione e conservazione del genere umano per b.procreazione ed educazione della prole, aumento corporale della Chiesa, d.mutuo aiuto, e.mutuo amore, f.rimedio della concupiscenza c1311 ac3143 abc3705 def3718 b3838 CdIC bdf1013, § 1; si distinguono fine primario (sci. a.generaz. ed educ. della prole) e fini secondari (b.al primo subordinati) 3718 ab3838 CdIC a1013, § 1.

9cc. Beni del matrimonio (prole, fede, Sacramento 1327 3703-3714.

9cd. L’effetto è il diritto alla grazia attuale —: nel sostenere il compito coniugale 3911 CdIC 1110; —: per confermare il nesso del mutuo amore naturale 1799 3142 3713; —: per confermare l’indissolubile unità del connubio. 1327 1799 3142 3713; —: per la santificazione dei coniugi 1799 3142 3713; il Sacramento in vero non è instituito, se non perchè l’uso del coniuge sia strumento maggiormente atto alla carità degli sposi nei confronti di Dio 3911.

9ce. Proprietà essenziali. Gli effetti del Sacramento sono l’unità e l’indissolubilità CdIC 1013, § 2: il matrimonio è un vincolo perpetuo ed esclusivo tra i coniugi (3142) CdIC 1110.

L’unità concede il nesso tra i due 778 (1797) 1798 1802 2536 CdIC 1013, § 2; non è lecito ad un uomo avere più mogli simultaneamente (b.se non a chi sia connesso per rivelazione) né c.ad una donna avere più uomini abc778s ac860 (a1497) a1802; l’unità comprende l’amore coniugale, la mutua interna conformazione, il soggettarsi della moglie all’uomo 3706-3709.

L’indissolubilità o l’inviolabile fermezza è propria al matrimonio cristiano (117) 794 1797 1799 2536 2705s 2967 3142 3710s 3724 3953 3962 CdIC 1013, § 2; nel caso in cui si è ritenuto un secondo matrimonio (es. coniuge disperso), dopo il ritorno del marito è da restaurarsi il precedente matrimonio 311-314.

L’indissolubilità non conviene ai singoli coniugi in ugual misura 3711; il matrimonio rato e consumato nessun potere umano può dissolvere 754s 3712 CdIC 1118; circa la cooperazione di ufficiali cattolici nel divorzio civile 3190-3193; anche il matrim. rato di per sé non può essere sciolto 769 3712; può essere disciolto tuttavia per la pronunzia di un voto di religione di professione solenne (a.in forza di dispensazionedel Sommo Pontefice) 754s 786 1806 CdIC a1119.

Anche al Matrimonio naturale (pertanto) e legittimo conviene l’indissolubilità

(a. Così come al legislatore secolare per cui non può sciogliere il vincolo), b.esiston comunque eccezioni di diritto divino 779 b3712 a3724; in forza del privilegio Paolino può essere sciolto il matrimonio degli infedeli 768s 779 1497 1983 1988.2580-2585 2817-2820 CdIC 1120-1123; conversione di uno dei coniugi tuttavia da sè stess9 non dissolve il vincolo del matrimonio contratto nell’infedeltà, ma produce solo il diritto a nuove nozze (Ovvero: a.scioglie, se realmente le nozze sono validamente iniziate) (777) 2582 2585 CdIC a1126; il privil. Paol. non può applicarsi —: quando si è contratto il matrimonio con l’infedele previa dispensa per disparità di culto ottenuta dalla Sede Apostolica 2584 2817 2819; —: nel caso della defezione della fede nel matrimonio tra i fedeli 769; per defezione del coniuge infedele (richiesta per diritto) a.sotto qualunque condizione dispensato a1988 a2583 2818 CdIC 1121-1123.

Non può essere sciolto il matrimonio per a.eresia, b.molesta coabitazione, c.adulterio di uno dei coniugi c756 ab1805 c1807 c2536; è invero lecito per diverse cause procedere alla separazione del talamo e della coabitazione 1327 18082536 CdIC 1129.

Sono leciti anche matrimoni plurimi successivi (secondo, terzo, etc.), più a.onorabile invero è la casta vedovanza 794 837 860 1015 a1353 CdIC a1142.

9cf. La Dignità del matrimonio è rivendicata ctr. l’accusa di peccaminosità 206 321 461-463 718 761 794 802 (916) 1012.

Il Matrim. chr. significa il mistico connubio di Cristo e la Chiesa 1327 3712.

La superiorità della verginità a.non rinnega l’indole sacramentale del matrimonio 802 1353 1810 a3911s.

J9d. d. — SOGGETTO DEL SACRAMENTO DEL MATRIMONIO.

Soggetto sono l’uomo e la donna liberi da impedimenti CdIC 1035.

Si difende il diritto (in genere) dell’uomo al connubio, che non può essere eliminato dalla umana autorità 3702 3722 3771.

10. Sacramentali.

J10a. a. — SACRAMENTALI IN GENERE.

I Sacramentali sono cose o azioni che la Chiesa usa con una certa imitazione dei Sacramenti per ottenere effetti specialmente spirituali CdIC 1144; tra di essi si enumerano consacrazioni, benedizioni, esorcismi CdIC 1147-1153.

La loro efficacia è “ex opere” della Chiesa operante 3844 CdIC 1144.

È solo della Sede Ap. istituire, mutare, abolire i sacramentali CdIC 1145.

Ministro ne è il chierico istruito della debita potestà CdIC 1146.

Soggetto sono i fedeli, i catecumeni ed anche gli acattolici CdIC 1149 1152.

Si riprova la trascuratezza dei sacramentali sotto il pretesto della contemplazione 2191.

J10b. b. — INDULGENZE.

10ba. Essenza. Le indulgenze sono la remissione della pena temporale contratta con i peccati già rimessi in quanto alla colpa 1448 CdIC 911; sono concessi dal tesoro dei meriti di Cristo e dei Santi 1025-1027 1398 1406 1448 1467 CdIC 911

10bb. Origine. La Chiesa, il a.S. Pontefice, b.i Vescovi episcopi (suoi sudditi) possono elargire le indulgenze a819 (868) a1025-1027 a1059 (1192) a1266 b1268 a1398 a1416 a1447-1449 1835 1867 2537 CdIC b349, §2,2 911 a912.

10bc. Efficacia. Le indulgenze si applicano per i fedeli vivi e defunti che sono le membra vive di Cristo 1266s 1448 CdIC 925; ai vivi si applicano per modo di assoluzione 1448 CdIC 911; ai defunti per modo di suffragio 1398 1405-1407 1448 CdIC 911; circa l’efficacia dell’indulgenza dell’altare privilegiato 2750; riprovata l’asserzione circa l’efficacia delle indulg. 1192 1416 1468s 1960.

10bd. Utilità. Le indulgenze si raccomandano come utili, salutari 1835 1867 2537 CdIC 911; non per questo con tanta facilità ed indiscrezione si ottengono in concessione in soddisfazione penitenziale 819 1835; asserzioni riprovate circa l’uso e l’utilità 1470-1472 2057 2216 2640-2643.

10be. Soggetto capace di indulgenza è il battezzato non scomunicato, in stato di grazia (a.contrito e confessato) almeno alla fine delle opere prescritte a1266s CdIC 925, § 1; per l’acquisto dell’indulgenza si richiede l’intenzione ed il compimento delle opere ingiunte. CdIC 925, § 2.

IL SILLABARIO DELLA MORALE CRISTIANA (18)

IL SILLABARIO DELLA MORALE CRISTIANA (18)

FRANCESCO OLGIATI,

IL SILLABARIO DELLA MORALE CRISTIANA.

Soc. ed. Vita e Pensiero, XIV ed., Milano – 1956.

Imprim. In curia Arch. Med. Dic. 1956- + J. Schiavini Vic. Gen.

Capitolo settimo

LA MORALE CRISTIANA E LA MORTE.

Celebre tra i fautori del teatro d’eccezione è la tragedia di Leonida Andreieff: La vita dell’uomo. I suoi cinque quadri ci presentano i momenti più significanti della vita: non della vita di uno speciale uomo, che porti sul volto il tormento di passioni sue proprie, ma della vita dell’uomo in genere, che nasce, spera, raggiunge, perde ciò che ha conquistato, e muore..Noi udiamo il grido che manda la sua madre straziata, quando l’uomo nasce. E dall’oscurità emerge allora una figura grigia. Essa regge una torcia, che in quel punto si accende. Dalla notte del non essere è sgorgata una luce: arde la brief candle di Shakespeare. E per tutta la tragedia questa torcia lentamente si consuma. Sfavilla, dapprima, chiara, fra le danze della giovinezza; brilla ancora, in seguito, fulgida, tra le speranze, le disillusioni, i contrasti, la fortuna che giunge, la ricchezza che sfuma, la fama che avvizzisce, l’ingegno che isterilisce, la scomparsa dei parenti. La cera frattanto va consumandosi sempre più. Viene il giorno in cui la torcia dà un guizzo e si spegne: « Silenzio! — grida la figura grigia — l’uomo è morto ». È proprio questa la realtà? Sì e no. – Se il granellino di frumento non cade a terra e non muore, non darà frutto — ha detto Gesù nel Vangelo; — se invece morrà, porterà molto frutto. La morte cristiana non solo insegna a vivere, ma c’insegna anche a morire. E la morte ce la fa contemplare non solo alla luce d’una torcia che si consuma, alla fiammella tenue d’una candela benedetta che proietta il suo pallido raggio sul granello di frumento che marcisce, ma alla luce altresì del sole radioso dell’Amore, che lascia la spiga matura, destinata ad essere transustanziata in Cristo. – Dinanzi alla figura di Socrate, eroicamente bella e dignitosa, che muore in carcere, Platone sussurrava: « La filosofia è la meditazione della morte. Dinanzi alla croce di Cristo, divinamente grande, la morale nostra ripete ancora una volta che bisogna morire per vivere, bisogna saper cristianamente morire per passare ad una vita nuova, beata ed eterna.

I. – Il Cristianesimo e la morte.

Il Cristianesimo considera anche la morte in funzione del concetto di amore. A prima vista, questo pare impossibile ed assurdo. La morte è spaventosa, orribile, terribile, diceva già Aristotele. La distruzione del nostro organismo, la separazione dell’anima dal suo corpo; l’abbandono di quanto ci è caro, delle persone alle quali ci legano vincoli di sangue e d’affetto, della terra che ci ha visti nascere, delle cose tutte che ci circondano; l’incertezza buia dell’al di là; tutto ciò non può a meno di suscitare in noi un fremito di raccapriccio e di repulsione. Come mai si potrà quindi parlare di morte in rapporto all’Amore? Eppure basta riflettere un istante, perché la scena si cambi. Noi non avremmo dovuto morire. L’Amore infinito di Dio non ci aveva destinati agli orrori della morte. Fu la colpa del primo uomo, fu la ribellione all’Amore, che introdusse la morte nel mondo. E se la morte è brutta e orribile, lo è in quanto si ricollega alla negazione dell’Amore. – Ogni volta — anche nell’ordine naturale — che la morte non calpesta l’amore, ma lo afferma in qualsiasi dose, in qualsiasi grado, in qualsiasi modo, essa si trasfigura, assume un nuovo aspetto, diventa spesso « la bella morte ». Se una madre si sacrifica e muore per il figlio; se un soldato cade sul campo dell’onore per la patria; se uno scienziato trova un sepolcro nel laboratorio delle sue ricerche, noi ci accorgiamo che un raggio di amore, sia pure umanamente buono, muta la faccia della triste megèra in un fulgente e luminoso volto di gloria. – Ma è specialmente nell’ordine soprannaturale che ciò si verifica, e dovrebbe verificarsi per ogni credente. È qui che Francesco d’Assisi esprime la verità dell’etica cristiana con una frase sublime: « Sorella Morte », dando alla morte un appellativo di amore. La morale cristiana vissuta e praticata dai santi e dai suoi fedeli seguaci subito ci convince coi fatti della trasformazione che l’Amore infinito di Dio compie della morte. « Erano gli ultimi giorni di santa Teresa — narra il biografo, P. De Riberia. — Quando vide entrare il santo Sacramento nella sua cella, tutto in lei si trasformò. Sebbene già da tempo profondamente abbattuta ed una prostrazione mortale le impedisse di fare il più piccolo movimento, pure si alzò a sedere sul letto senza essere sorretta da alcuno. Parve che volesse slanciarsi incontro all’Ostia che veniva, e fu necessario tenerla. Il viso le divenne bellissimo ed acceso come il viso d’un Angelo; le erano scomparse perfino le rughe e tutti i segni della vecchiaia e della malattia. Uscì allora dal suo cuore quel grido di fede, di speranza, d’amore, uno dei più commossi che siano stati emessi sopra la terra: « Signore! era tempo di vederci ». Poi chiuse gli occhi; spirò e vide il Signore ». – Una figlia della grande mistica santa Teresa, sul letto delle sue agonie esclamava: « O dolce morte, chi ha osato dire che tu sei amara e triste? Non vi è gioia da paragonare a quella che tu porti. O mio Gesù! quale ingiusta calunnia trattare la morte come amara! Essa è la porta per la quale si entra e si viene a godere Voi! Come si capisce, mio caro Maestro, che Voi siete passato per essa e le avete tolto, tutta l’amarezza ». – Santa Gertrude cadde da un’altezza pericolosa ed esultante gridò: « O mio dolce Signore, quale ventura sarebbe stata per me, se questa caduta mi avesse abbreviata la strada per giungere a Voi ». San Giovanni della Croce, prima di morire, fece chiamare nella povera cella del convento ospitale alcuni suonatori, perchè festeggiassero con armonie di giubilo il suo volo a Dio. – Padre Ravignan, al medico che gli parlava di guarigione, rispose: « Oh, perchè non mi discorrete della morte? È così bello morire, per andare a vedere Dio! ». Lacordaire si spense mormorando: « Mio Dio, apritemi, apritemi! ». Camillo Féron-Vrau, prima di chiudere gli occhi alla vita, guardò il Confessore, gli sorrise e gli sussurrò: « Al Cielo! Al Cielo! ».

Il 7 ottobre 1928 moriva a Roma Giulio Salvadori, poeta della bellezza di Dio e professore dell’Università Cattolica del sacro Cuore. Alla vigilia della sua morte disse al fratello che l’assisteva: « Domani mi vestirai con gli abiti più belli, perché incomincia la mia festa». Mille e mille Santi ripetono col Suarez morente: « Non avrei mai pensato che fosse cosa così dolce il morire ». – San Carlo Borromeo passò un giorno davanti ad un quadro, che rappresentava la morte armata d’una falce. La fece cancellare ed ordinò al pittore di dipingerla con una chiave d’oro in mano. Al buon Cristiano la morte non apre forse il Paradiso? « Introibo ad altare Dei », disse salendo i gradini del patibolo una vittima del Terrore, il beato Natale Pinot. Ed in quel 21 febbraio 1794, rivestito degli indumenti sacerdotali, la ghigliottina era il suo altare ed il sacrificio cominciava con le stesse parole della Messa. Non a torto il Curato d’Ars si lamentava spesso: « Perché non si scrive un libro sulle consolazioni della morte? ». – Ecco un voto, che sorge spontaneo leggendo il tramonto placido e sereno dei Santi. Se qualcuno prendesse le loro biografie e ne stralciasse la descrizione della loro morte, comporrebbe un volume che sarebbe per molti una rivelazione. Limitiamoci a due quadri: la morte di San Francesco e quella di santa Teresa di Lisieux. – « All’alba del due ottobre, un venerdì — scrive Maria Sticco in una delle migliori vite moderne che abbiamo del Santo d’Assisi — san Francesco, dopo aver passato una notte di spasimi, sedette sul saccone, si fece portare del pane, lo benedisse, ordinò che lo spezzassero in tante parti quanti erano i presenti e poi ne distribuì con le sue mani un pezzetto a ciascuno, per ricordo dell’ultima cena di Cristo e per significare che anch’egli, come il Maestro, amava i suoi fino alla fine e sarebbe stato pronto a morire per loro e quasi voleva trasmettere qualche cosa di sé, sensibilmente, a loro. Ormai davvero tutto era compiuto. Il sabato peggiorò, e verso sera, sentendosi morire, intonò il salmo che comincia: « Voce mea ad Dominum clamavi… Alzo la mia voce al Signore… » e lo proseguì cantando, finché Sorella Morte non gli spense la voce ». – La piccola santa di Lisieux aveva compreso che la sua « vocazione » era « l’Amore ». Si era offerta vittima d’amore a Dio, invocando « il martirio del cuore e del corpo » ed era stata esaudita. « Non contenta di coprir di rose le piaghe del suo Crocifisso, — disse bene padre Mathéo — essa riuscì perfettamente a nascondere gli strazi della sua anima, le pene torturanti del suo spirito, i lunghi e vivi dolori della sua ultima malattia, sotto il velo grazioso dei suoi sorrisi, della sua dolcezza, della sua gaiezza. Ebbe, cioè, il divino pudore della bellezza del suo martirio di amore ». « Soffre molto?… » le chiedevano le buone Suore. « Sì, ma l’ho tanto desiderato!… Ogni sofferenza m’è dolce ». I mesi passavano e il martirio diveniva sempre più torturante. « La marea del dolore — racconta una Suora del suo Monastero — si sollevava ognor più; la debolezza divenne così eccessiva, che la santa malata si ridusse a non poter far da sè il minimo movimento. L’udire parlare anche a voce bassa le diveniva insopportabile sofferenza; la febbre e l’oppressione non le permettevano di proferire una sola parola senza estrema fatica. Ma anche in quello stato il sorriso non abbandonò le sue labbra. Se una nube le sfiorava la fronte, era il timore di crescere alle nostre sorelle il disagio. Fino all’antivigilia della sua morte, volle star sola di notte; ma l’infermiera che si levava più volte, nonostante le sue istanze di non farlo, in una delle visite la trovò con le mani giunte e con gli occhi sollevati al cielo. — Ma che fa ella mai così? — le domandò. — Dovrebbe provarsi piuttosto a dormire. — Non posso, sorella mia; soffro troppo. Ed allora prego. — E che cosa dice a Gesù? — Non gli dico nulla: io l’amo! Nel luglio 1897 sembrò che la morte fosse imminente. Un giovane sacerdote, recatosi a Lisieux nel Monastero, per celebrarvi piamente la sua prima Messa, ebbe la fortuna di portare il Viatico alla piccola grande Santa. Le buone suore coprirono il pavimento del chiostro, dove doveva passare Gesù, con fiori di campi e con rose sfogliate. Il cuore dell’ammalata ricevette il suo Diletto e volle che Suor Maria dell’Eucaristia — una Suora la cui voce melodiosa aveva delle vibrazioni celesti — cantasse: Deh! compi il sogno mio, dolce Signore: Morir d’amore! Qualche giorno dopo, la piccola vittima di Gesù Si sentì peggio e le venne amministrata l’Estrema Unzione. Ma la morte tardò due mesi ancora. Solo il 30 settembre 1897 doveva spuntare l’aurora del giorno eterno. La mattina, Suor Teresa guardò la statua di Maria, sussurrando: L’aria della terra mi manca; quando mi sarà dato di respirare quella del Cielo? ». Alle quattro e mezzo si manifestarono i sintomi dell’estrema agonia. Come si usa presso le Carmelitane, la comunità si raccolse intorno alla morente. Essa la vide entrare nella cella; e l’accolse e la ringraziò col suo angelico, amabile sorriso. Poi, tutt’assorta nell’Amore e tutta immersa nel suo dolore, intraprese il combattimento supremo, stringendo, come poteva, fra le mani, il Crocefisso. Tremava tutta. Il volto era asperso di sudore copioso. E l’occhio, quando la campana del Monastero sonò l’Ave Maria della sera, si posò sulla Vergine Immacolata. La morte non giungeva ancora. Alle sette e qualche minuto, con voce soave, mormorò: « Ah, no, non vorrei soffrir meno! ». Poi, fissando il tenero sguardo sul suo Crocifisso, esclamò: « Oh, io l’amo!… O mio Signore, io… vi… amo! ». « Furono queste le sue ultime parole. Aveva appena finito di pronunciarle, che, con nostra grande sorpresa, ella si abbandonò d’un tratto, con la testa piegata sulla dritta, nell’attitudine di quelle vergini martiri che si offrivano da se stesse al taglio della spada, o meglio come una vittima d’amore, che aspetta dall’Arciere divino il dardo infiammato di cui essa vuole morire. Improvvisamente si sollevò, come se una voce misteriosa l’avesse chiamata; aprì gli occhi, e il suo sguardo, irradiato di pace celeste e di indicibile felicità, si fissò un poco al di sopra dell’immagine di Maria. Questo sguardo si protrasse per lo spazio d’un Credo, poi la sua anima beata, fatta preda dell’Aquila divina, volò nei cieli..

2. – L’importanza dell’ora suprema.

Questi pallidi e rapidi cenni intorno alla morte dei santi potranno ispirare a qualcuno un dubbio. — Ma come? La morale cristiana non accende forse accanto al letto del morente la face del terrore, degli ultimi giudizi, dell’inferno e del fuoco eterno? Noi non sapevamo che i sudori di morte dovessero essere illuminati dalla luce dell’Amore! Questo dubbio è una stoltezza. Può forse concepire l’etica nostra un terrore che sia scopo a se stesso? Il « timor Domini », che è il principio d’una sapienza spesso trascurata nell’attività giornaliera e fra le dissipazioni della vita, e solo inizialmente appresa al termine di questa, non ha altra aspirazione ed altra finalità, se non l’Amore. Perché il rimorso sul letto delle ultime agonie? Perché il sacro e severo dovere dei parenti e degli amici di non tradire l’anima che sta per presentarsi a Dio, ma di avvertirla del grave pericolo? Perchè il pentimento delle colpe commesse al chiudersi della vita?… Tutto questo è voluto dall’Amore — dall’amore per Dio e dall’amore per il fratello che ci abbandona. La morte è « il momento dal quale dipende l’eternità ». Stolto è chi lo profana e lo sciupa! È l’ora suprema, quella in cui il peccatore più ostinato può riparare un passato di miserie e di fango. È l’ora delle misericordie divine. È l’ora dell’Amore. – Il Crocefisso, che l’agonizzante bacia, gli sussurra: « Figliolo, guarda le mie braccia! Sono aperte per accoglierti, per stringerti al mio Cuore… Guarda questo mio Cuore trafitto: rifugiati nella sua ferita: vieni al bacio del perdono dell’Amore! Abbi pietà di te stesso! Salva l’anima tua! Ama Dio, almeno in questi ultimi istanti che ti sono concessi ». E non è questo il dolce appello dell’Amore? Ma non soffermiamoci alla pecorella smarrita, che il buon Pastore cerca ansiosamente, prima della morte. Vediamo, piuttosto, come la morale cattolica vuole che abbia a morire il buon Cristiano.

3. – Come muore un Cristiano. La morte, innanzi tutto, è in genere preceduta dal dolore. Sarà la malattia, saranno i sacrifici d’una vita di battaglie, saranno indisposizioni di salute, continue e aggravantisi, che annunciano l’avvicinarsi della fine. Il Cristiano, incorporato a Gesù, santifica tutti questi dolori. Non solo si confessa, per essere sicuro della grazia divina del suo cuore; non solo si unisce ripetutamente al Corpo adorabile di Cristo nel suo Sacramento; ma, per dirla col Bossuet, si unisce « anche allo spirito ed al Cuore di Gesù, entrando con umile sottomissione ed adesione in tutti i disegni di Dio, dispone del suo essere e della sua vita come fece il gran Sacerdote (sul Calvario), diviene Sacerdote con Lui nella sua morte, e compie negli ultimi momenti il sacrificio al quale era stato consacrato nel battesimo e che doveva continuare in tutti gli istanti della vita ». Se anche nella stessa esistenza, fra le tenaglie del dolore, talvolta non ha divinizzato le sue lagrime, sul letto di morte compie intero il suo dovere. Egli soffre con Gesù e per Gesù; accetta la volontà del Padre, pur pregando col Maestro: « Padre, se è possibile, passi da me questo calice; tuttavia si faccia non come voglio io, ma come vuoi Tu »; offre la sua vita e le sofferenze in unione ai dolori della Passione e della Croce. – « Quale offerta più completa? — esclama ancora il Bossuet. — L’uomo intero vi prende parte; il corpo e l’anima vi sono immolati dalla fede con un’immolazione penetrante, dolorosa, assolutamente simile a quella di Gesù. Il letto del morente è davvero un altare; e la morte è una Messa, dove il Cristiano offre la sua vita insieme con la Vittima immacolata ». Questo è il modo di soffrire cristianamente, il che è ben più grande della sofferenza subìta come la può subire un bruto, o sopportata come uno stoico. In povere parole:- la sofferenza cristiana deve diventare un atto di amore; per come si vede, questo atto d’amore presuppone la fede nel soprannaturale e nella rivelazione; esige la speranza del Cielo; implica il pentimento delle colpe commesse. La morte, allora, guardata alla luce dell’Amore, perde in parte i suoi rigori; lo sguardo non si posa tanto sulla tomba non lontana che aspetta l’involucro perituro, ma in Cristo che attende lo spirito immortale: l’ultimo respiro è il passaggio non alla regione che Dante chiama inconsolata, ma nell’Amore di Dio; e il giorno della morte, secondo la esatta espressione liturgica, diviene il dies natalis. Inoltre — soggiunge il Bauthier nel suo prezioso libro su “Il sacrificio nel dogma cattolico” — se l’infermo conosce bene le cose di Dio, « allarga le sue intenzioni; e, come Gesù dalla Croce, come il Sacerdote dall’altare, abbraccia col pensiero le anime riscattate, offre la vita per ciascuna di esse, per l’accrescimento e per l’avvento del regno de’ cieli, per l’estensione dei confini della Chiesa, per la glorificazione di Dio e del suo Cristo ». – Così Sorella Morte ci appare rivestita anche con la bellezza dell’amore per i fratelli. Se ogni padre ed ogni madre cristiana offrissero sul letto dell’agonia le loro sofferenze ed il loro olocausto per la famiglia; se ogni cittadino morente pregasse per la patria sua; se chi ha contemplato gli orizzonti dell’apostolato dicesse in segreto al Signore: « Tutto quello che soffro sia per le anime e per il trionfo del tuo Regno »; se ogni Cristiano, insomma, avesse inteso veramente il precetto della carità, anche la morte sarebbe un atto di amore di Dio e di amore del prossimo. E l’incontro con Gesù rappresenterebbe non già una spaventosa incognita, ma un volo fidente verso il Re dell’Amore.

4. – Conclusione.

« Per colui che ha amato per tutta la sua vita, la morte è il bacio e la perfezione della carità ». Sono parole di Severina De Maistre e riassumono tutti gli insegnamenti della morale a proposito della morte. Oggi, purtroppo, non si muore così, perchè non si è Cristiani, e perchè si preferisce meditare la morte di Socrate e non la morte di Cristo. Quella certamente fu la morte di un forte, ma — lo osservò lo stesso Rousseau — d’un uomo; questa è la morte d’un Dio. Il Cristiano nulla disprezza della forza d’animo, che la ragione suggerisce ed impone; solo la eleva e la soprannaturalizza con la grazia, in unione a Cristo; ed oggi anche il più umile contadino, anche la vecchierella analfabeta sa rendere la fine della sua vita divinamente bella.

Se questo Sillabario sarà letto da un Cristiano praticante, io lo invito a preparare l’ora futura della sua dipartita dalla terra. Che se questo piccolo libro dovesse capitare fra le mani di chi da tempo è lontano da Dio, ed ancora non ha ceduto all’invito dell’Amore divino, vorrei che con me meditasse una pagina del prevosto Adalberto Catena, il venerando sacerdote che potè assistere agli ultimi momenti di Alessandro Manzoni. In uno dei suoi memorabili discorsi tenuti nella chiesa di San Fedele a Milano, il Prevosto Catena, con accento commosso, insisteva: « Ricordatelo: non l’avete la libertà di morire come meglio vi piace. Quest’ingannevole libertà ve la siete preclusa, per tacere del resto, tante volte quante avete riconosciuto la società da cui pure vi nominate. Vi hanno veduti genuflessi all’altare di Cristo e sulle vostre palme conserte posare i lembi della stola sacerdotale in un giorno ben lieto per voi; presenziare nei giorni del Signore il Sacrificio; portare alla fronte la mano del vostro bambino, segnarlo col segno della croce… Erano un ripetere da parte vostra: è questa la madre a cui deporrò in grembo un giorno l’afflitto mio capo. Ed ella, appunto, la madre, li vuole per sè quei momenti; ella, che sa il prezzo di un’anima, vede venire tutto il presente davanti all’eterno, non guarda a qualche levità dell’oggi, a qualche stolta negazione, ma interpreta il voto primo, il desiderio vero, della nostra vita.., sia pure come soffocato di poi. Lo sapete: quell’obbligo esisteva sempre, ma si accentua quando scendono le ombre da’ monti, quando cala la notte senza mattino. E la Chiesa v’indica allora con voce ancor più solenne il ravviamento della vita, vi vuole rivestiti della veste nuziale, perché viene lo Sposo… Vuol dire: resta ancora il crepuscolo della giornata; vuol dire: si chiude il tempo del merito; vuol dire: la volontà sta per stabilirsi immutabilmente o nel bene o nel male; vuol dire: non vi sarà luogo che ad una purificazione maggiore; ma la meta sarà raggiunta per sempre. Eccolo il titolo della specialissima obbligazione: un immenso bisogno morale e un infinito da conseguire. – E dunque eccovelo il Cristo ora almeno: e dunque sia almeno l’estremo l’istante di quel dovere che era il dovere di tante occasioni parlanti, di una vita che fioriva un giorno e ora s’incurva e declina. È per questo che la Chiesa divampa della carità di Cristo; non si rassegna facilmente alla perdita de’ suoi, e, arbitra tra i due mondi, riversa in quella ora i suoi tesori, lacera le sue viscere, rimette delle sue pene, abilita, avviva del suo potere anche un indegno, purchè levi benedicente la sua destra: cumulo d’ogni indulgenza quell’effigie che si presenta al bacio del morente…

« Alla cime del Gianicolo donde lo sguardo si protende sulle due Rome, l’antica e l’odierna, alla soglia di un umile chiostro erano accorsi i religiosi alla vista di due che lenti guadagnavan la vetta. Uno era il cantore della Gerusalemme. Sono asceso, diceva, non solo in cerca di quest’aure purissime, ma per cominciare da queste alture e nei colloqui di quei Padri la mia conversazione nel cielo ». Che ne soffre la dignità del Poeta e dell’uomo? Quando il medico dichiara la sua impotenza davanti al male che avanza, Torquato l’abbraccia, leva le palme al cielo, chiama l’altro medico, quello dello spirito. « La vedete questa calma davanti alla morte, questa equabilità? Vi par che questo sia infemminire? Il domani il Tasso scende alla Chiesa del convento, leva lo scarno viso incontro al Cristo Eucaristico ed ivi, presso l’Agnello, che si immola ogni giorno, chiede il suo riposo col nome scolpito su d’una pietra disadorna, e s’immerge in quei pensieri che sono divini. Quando l’ampio perdono gli giunge dal Pontefice Sommo, esclama: « Ecco il carro trionfale ove credevi di essere coronato; non l’alloro di poeta in Campidoglio, ma quello della gloria tra i fortunati del cielo! ». È soverchio questo affidarsi nel tesoro di Cristo? « Il cadente aprile di quell’anno trova Torquato, tra un frate e il Crocefisso, la lentansalmodia dei due orienti: spirava alle parole: In manus tuas. Domine, che non compiva. Meditabile esempio! »,

Riepilogo.

La morale cristiana considera anche la morte in funzione del concetto di amore. Fu la ribellione all’Amore, ossia il peccato dei progenitori, che introdusse la morte nel mondo; con la luce dell’amore Cristo illumina il passaggio nostro all’eternità. La morte segna l’ultimo appello dell’Amore di Dio all’amore nostro; e di conseguenza il peccatore deve sentire più che mai in quei supremi momenti, dai quali dipende l’eternità, il dovere di convertirsi; ed il buon Cristiano santifica i suoi dolori in unione con Cristo, con rassegnazione ai divini voleri, amando così Iddio ed offrendo le sue sofferenze per il bene del prossimo.

IL SILLABARIO DELLA MORALE CRISTIANA (19)

UN’ENCICLICA AL GIORNO TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO: SS. BENEDETTO XV – “FAUSTO APPETENTE DIE”

Questa è una delle lettere Encicliche che Benedetto XV dedicò alla figura di Santi in occasione di alcune loro ricorrenze. Qui viene tratteggiata quella di San Domenico, maestoso personaggio sagace difensore della fede cattolica, della predicazione evangelica, della Cattedra del Vicario di Cristo e della Madre di Dio. Considerando i meriti del Santo e del suo Ordine, viene da chiedersi come mai uomini così dotti nelle scienze sacre, abbiano potuto seguire ed appoggiare le novità teologiche, morali e liturgiche del concoliabolo del 1963 e le innovazioni sacrileghe del Montini e dei successori suoi antipapi… come è possibile che si predichi con San Tommaso e si sposi la causa della novelle theologie? Da una parte la dottrina di sempre e poi le contraddizioni del modernismo postconciliare? Misteri dell’animo umano o forse demagogia infernale. Incredibile, roba da far rivoltare san Domenico nella tomba….

LETTERA ENCICLICA

FAUSTO APPETENTE DIE

DEL SOMMO PONTEFICE
BENEDETTO XV
I PATRIARCHI, PRIMATI,
ARCIVESCOVI, VESCOVI
E AGLI ALTRI ORDINARI LOCALI
CHE HANNO PACE E COMUNIONE
CON LA SEDE APOSTOLICA
IN OCCASIONE DEL VII CENTENARIO DELLA MORTE
DI SAN DOMENICO DI GUZMÀN

Mentre si avvicina il lieto giorno nel quale, settecento anni fa, Domenico, grande astro di santità, passò dalle miserie terrene alle sedi dei beati, a Noi, che da tempo siamo fra i suoi più ferventi devoti, soprattutto da quando cominciammo a reggere la Chiesa di Bologna, che custodisce con religiosissima pietà le sue ceneri, a Noi — diciamo — giunge la grande gioia di poter esortare da questa Cattedra Apostolica il popolo cristiano a celebrare la memoria di un Santo così illustre. Così facendo, non solo intendiamo soddisfare la Nostra devozione, ma riteniamo anche di adempiere ad un grande dovere di gratitudine verso quel Santo legislatore e l’illustre Ordine da lui fondato. – Infatti, come egli fu del tutto uomo di Dio e veramente Dominicus [cioè: uomo del Signore], così fu tutto della santa Chiesa, la quale ha in lui un invincibile campione della Fede. L’Ordine dei Predicatori da lui istituito fu sempre valido baluardo in difesa della Chiesa Romana. Pertanto, non solo può dirsi che Domenico « fu ai suoi giorni ristoratore del tempio », ma che provvide alla difesa di esso anche per il futuro, avverandosi le parole profetiche che Onorio III scrisse nel confermare l’Ordine nascente: «… i frati del tuo Ordine saranno gli atleti della Fede e veri luminari del mondo ». – Certamente, come tutti sanno, per propagare il regno di Dio, Gesù Cristo non si è servito di nessun altro mezzo all’infuori della predicazione del Vangelo, cioè della viva voce dei suoi araldi che avevano il compito di diffondere ovunque la celeste dottrina. Egli disse: « Insegnate a tutte le genti ». « Predicate il Vangelo ad ogni creatura ». Perciò, mediante la predicazione degli Apostoli e soprattutto di San Paolo, alla quale seguì successivamente l’insegnamento dei Padri e dei Dottori, fu possibile illuminare le menti degli uomini con la luce della verità e infiammare gli animi all’amore di tutte le virtù. Utilizzando in pieno tale sistema per la santificazione delle anime, Domenico propose a se stesso e ai suoi discepoli « di partecipare agli altri il frutto delle proprie meditazioni »; perciò, oltre alla povertà, alla purezza dei costumi e all’obbedienza religiosa, impose agli appartenenti al suo Ordine il santo e solenne dovere di attendere allo studio indefesso della dottrina e alla predicazione della verità. – In realtà, tre sono i caratteri della predicazione domenicana: una grande solidità di dottrina, una fedeltà assoluta alla Sede Apostolica ed una singolare devozione verso la Vergine Madre. -Infatti, quantunque Domenico si sentisse chiamato alla predicazione fin dai suoi teneri anni, tuttavia egli non si accinse a questa missione se non dopo avere arricchito nell’Università di Palencia il suo intelletto nelle scienze filosofiche e teologiche, e, sotto la guida dei santi Padri, dopo avere largamente bevuto alle fonti della Sacra Scrittura e specialmente di Paolo. Ben presto si vide quanto fosse profonda la sua dottrina quando egli iniziò le sue dispute contro gli eretici: quantunque questi facessero ricorso a tutti i mezzi e alle più ardite sottigliezze dottrinali per combattere i dogmi della Fede, tuttavia era meraviglioso vedere come egli li confutasse e li respingesse. Ciò si verificò soprattutto a Tolosa, nella città considerata allora il centro e la capitale dell’eresia, dove erano convenuti i più dotti avversari. È concorde la testimonianza degli storici che egli, insieme con i suoi principali compagni, potenti in opere ed in parole, tenne fronte all’insolenza dell’eresia; e non solo impedì che essa si propagasse, ma con la sua eloquente carità addolcì così gli animi che ricondusse migliaia di eretici al seno della Madre Chiesa. Iddio stesso gli venne visibilmente in aiuto mentre combatteva per la Fede; come quando, avendo raccolto la sfida lanciatagli dagli eretici di gettare ciascuno nel fuoco il proprio libro, solo il suo non fu toccato dalle fiamme, restandone inceneriti tutti gli altri. Così, per opera di Domenico, l’Europa fu liberata dal pericolo dell’eresia Albigese. – Egli volle pure che i suoi figli fossero dotati ampiamente di solida dottrina. Infatti, appena ottenuta dalla Sede Apostolica l’approvazione del suo Ordine e la conferma del nobile titolo di Predicatori, egli fondò i suoi conventi il più vicino possibile alle più celebri Università, affinché più facilmente i suoi alunni potessero dedicarsi ad ogni genere di studi, e un maggior numero di studiosi si aggiungesse a questa nuova famiglia. In tal modo l’Istituto Domenicano ebbe fin da principio la caratteristica di Ordine dotto, e fu costantemente sua cura precipua di risanare i guasti profondi causati dai vari errori e di diffondere la luce della Fede cristiana, dato che nessuna cosa riesce di maggiore ostacolo alla eterna salvezza quanto l’ignoranza della verità e il pervertimento delle opinioni. Non deve pertanto stupire se tutti restarono colpiti e conquistati da questa nuova forma di apostolato, la quale, mentre si basava saldamente sul Vangelo e sulle dottrine dei Padri, tuttavia si faceva apprezzare per la vastità delle cognizioni in ogni disciplina. Sembrò addirittura che la stessa sapienza di Dio si manifestasse attraverso la parola dei frati domenicani, quando il nuovo Ordine ebbe predicatori ed assertori della Fede Giacinto di Polonia, Pietro Martire, Vincenzo Ferreri, e uomini prestigiosi per ingegno e dottrina come Alberto Magno, Raimondo da Pennafort e Tommaso d’Aquino, quel gran figlio di Domenico, per mezzo del quale specialmente si può dire che « Dio illuminò la sua Chiesa » -Perciò quest’Ordine fu sempre tenuto in grandissimo conto per il suo insegnamento della verità, e conseguì un altissimo onore quando la Chiesa fece sua la dottrina di Tommaso, salutando questo Dottore con i più insigni elogi dei Pontefici, e lo assegnò alle scuole cattoliche come maestro e patrono. Insieme a sì fervido zelo nel custodire e difendere la Fede, Domenico nutriva un profondo ossequio verso la Sede Apostolica. È noto infatti che essendosi egli inginocchiato dinanzi a Innocenzo III per consacrare tutte le sue energie alla difesa del Romano Pontificato, nella susseguente notte quel Nostro Antecessore vide in sogno Domenico sostenere vigorosamente coi suoi omeri la Basilica del Laterano vacillante. È altresì conformato dalla storia che mentre Domenico attendeva alla formazione dei suoi primi religiosi, pensò di raccogliere intorno a sé dei laici pii e devoti per creare una santa milizia che lavorasse alla difesa dei diritti della Chiesa e contemporaneamente resistesse validamente all’eresia. Da qui ebbe origine il Terz’Ordine Domenicano, il quale, diffondendo la pratica della perfezione cristiana in mezzo ai secolari, veniva a dare alla madre Chiesa un appoggio e un valido aiuto. – Tramandato dal Fondatore, l’attaccamento a questa Cattedra passò in eredità ai discepoli. Perciò, ogni volta in cui per il dilagare degli errori le menti umane erano smarrite o la Chiesa fu travagliata da rivolgimenti popolari o da prepotenze di prìncipi, questa Sede Apostolica trovò nei Domenicani dei validi patrocinatori della verità e della giustizia che l’aiutarono a conservare il prestigio della sua autorità. E chi non sa quanto sia stato ammirevole a questo riguardo la condotta di quella discepola di Domenico, Caterina da Siena, la quale, animata dalla carità di Gesù Cristo, superando incredibili difficoltà, ottenne quello che nessuno aveva potuto conseguire: persuadere cioè il Sommo Pontefice a far ritorno, dopo 70 anni, alla sua sede di Roma; e, lavorando successivamente, mentre la Chiesa d’Occidente era lacerata da un funesto scisma, a mantenere nella fede un gran numero di Cristiani, obbedienti al legittimo Pontefice? – Infine, pur tacendo di altri fatti gloriosi, non si può ignorare che dalla famiglia Domenicana sono usciti quattro Pontefici Romani di grande fama, l’ultimo dei quali, San Pio V, rese immortali servizi alla cristianità e alla società civile quando, dopo insistenti esortazioni, unì in alleanza le forze militari dei prìncipi cattolici alle proprie, e sconfisse per sempre, presso le isole Curzolari, le forze dei Turchi con l’auspicio e l’aiuto della Vergine Madre di Dio, che, a seguito di quell’avvenimento, ordinò fosse invocata quale « Aiuto dei Cristiani ». Questo episodio mette in splendida luce il terzo elemento che, come dicemmo, caratterizza la predicazione dei Domenicani: la particolarissima devozione verso la grande Madre di Dio. In proposito si narra che il Pontefice apprese per divina visione la vittoria di Lepanto nello stesso momento in cui avveniva, e mentre in tutto il mondo cattolico le pie confraternite invocavano Maria con la preghiera del santissimo Rosario, che il Fondatore dei Predicatori aveva istituita e che in seguito aveva diffuso in tutto il mondo attraverso i suoi discepoli. Infatti, amando la beatissima Vergine con affetto filiale e confidando al massimo grado nel suo patrocinio, Domenico si accinse a sostenere la causa della Fede. Pertanto, nella lotta contro gli eretici Albigesi, i quali, tra le altre verità della Fede, negavano la divina maternità e la verginità di Maria con tantissime ingiurie, egli, nel difendere strenuamente questi dogmi, invocava spessissimo il soccorso della stessa Vergine Madre con queste parole: « Considerami degno che io ti possa lodare, o santissima Vergine; dammi la forza contro i tuoi nemici ». Con quanta benevolenza la Regina dei cieli corrispondesse alla pietà del suo servo, lo si può facilmente comprendere dal fatto che Ella si servì di lui per insegnare alla Chiesa, sposa di suo Figlio, il suo santo Rosario; cioè quella preghiera che essendo contemporaneamente vocale e mentale — per l’intreccio della meditazione sui principali misteri della Religione accompagnata dalla recitazione di quindici Pater e di altrettante decine di Ave Maria — è adattissima ad eccitare e a mantenere nel popolo la carità ed ogni virtù. Quindi giustamente Domenico prescrisse ai suoi discepoli, quando predicavano la parola di Dio, di inculcare spesso e con impegno negli animi degli uditori questa forma di preghiera, della quale conosceva pienamente l’utilità. Sapeva infatti che Maria, per una parte, aveva tanto potere presso il suo Figlio divino che questi concede grazie all’umanità se non attraverso la mediazione e la decisione di Lei, e dall’altra che Ella è per natura così benigna e clemente che, essendo solita a soccorrere spontaneamente gl’infelici, non può assolutamente rifiutare il suo aiuto a coloro che lo chiedono. Pertanto, Colei che la Chiesa saluta abitualmente quale « madre di grazia e madre di misericordia », si è sempre rivelata tale, soprattutto quando si è pregato tramite il Rosario. Conseguentemente, i Pontefici Romani non tralasciarono alcuna occasione per esaltare con somme lodi il Rosario Mariano e per arricchirlo con i tesori dell’Indulgenza Apostolica. – Per la verità — come voi stessi comprendete, Venerabili Fratelli — l’Ordine Domenicano non è attualmente meno opportuno di quanto lo fosse ai tempi del suo Fondatore. Quanti sono, anche oggi, coloro che per mancanza del pane della vita, che è la celeste dottrina, periscono d’inedia; quanti, in mezzo a tanti errori, ingannati da una parvenza di vero, si allontanano dalla Fede! E come potrebbero i Sacerdoti, col ministero della divina parola, provvedere come si conviene a tutti questi bisogni, se non fossero pieni di zelo per la salute delle anime e ben preparati nelle scienze divine? Senza dire che non pochi sono gli ingrati e gli immemori fra i figli della Chiesa, i quali per ignoranza o per cattiva volontà, avversando il Vicario di Gesù Cristo, devono essere ricondotti all’amplesso del Padre comune! A sanare pertanto codesti ed altri mali di ogni genere di questo secolo, abbiamo bisogno della materna protezione di Maria! Perciò i Domenicani hanno dischiuso davanti a sé un campo d’azione quasi infinito, dove possono operare in modo assai utile per il bene comune. Conseguentemente Noi esortiamo quanti appartengono a tale Ordine a rinnovarsi in queste feste centenarie sul modello del loro santo Fondatore, e a diventare sempre più degni del loro grande Padre. Ovviamente, coloro che appartengono al primo Ordine daranno l’esempio, in proposito, agli altri, applicandosi con sempre maggior zelo alla predicazione della parola di Dio al fine di aumentare l’ossequio al successore di San Pietro, la devozione alla Vergine Madre e la conoscenza della verità. Ma anche dai Terziari Domenicani molto si aspetta la Chiesa se, conformandosi sempre più allo spirito del loro Patriarca, cercheranno d’istruire i figli del popolo nella dottrina cristiana. Noi desideriamo e Ci auguriamo che molti di loro si dedichino con assiduità a tale apostolato: si tratta infatti di cosa della massima importanza per la salvezza delle anime. Infine vogliamo che tutti i seguaci di Padre Domenico si prendano una cura speciale affinché il popolo cristiano renda abituale, ovunque, la pratica del Rosario Mariano, che Noi stessi, seguendo l’esempio dei Nostri Predecessori, e specialmente di Leone XIII di felice memoria, per l’occasione raccomandiamo vivamente in questi tempi calamitosi. Se ciò avverrà, riterremo assai fruttuosa la celebrazione di questa ricorrenza centenaria.- Frattanto, in auspicio delle grazie divine e quale testimonianza della Nostra benevolenza, impartiamo, Venerabili Fratelli, con tanto affetto nel Signore, l’Apostolica Benedizione a voi, al vostro clero e al popolo.

Dato a Roma, presso San Pietro, il 29 giugno 1921, festa dei Prìncipi degli Apostoli, nell’anno settimo del Nostro Pontificato.

BENEDICTUS PP. XV 

DOMENICA XIV DOPO PENTECOSTE (2023)

XIV DOMENICA DOPO PENTECOSTE (2023)

(Messale Romano di S. Bertola e G. Destefani,

comm. di D. G. LEFEBVRE O. S. B; L. I. C. E. – R. Berruti & C. Torino 1950)

Le Lezioni dell’Officio di questa Domenica sono spesso prese dal Libro dell’Ecclesiastico (Agosto) o da quello di Giobbe (Settembre). Commentando il primo, S. Gregorio dice: «Vi sono uomini così appassionati per i beni caduchi, da ignorare i beni eterni, o esserne insensibili. Senza rimpiangere i beni celesti perduti, i disgraziati si credono felici di possedere i beni terreni: per la luce della verità, non innalzano mai i loro sguardi e mai provano uno slancio, un desiderio verso l’eterna patria. Abbandonandosi ai godimenti nei quali si sono gettati si attaccano e si affezionano, come se fosse la loro patria, a un triste luogo d’esilio; e in mezzo alle tenebre sono felici come se una luce sfolgorante li illuminasse. Gli eletti, invece, per cui i beni passeggeri non hanno valore, vanno in cerca di quei beni per i quali la loro anima è stata creata. Trattenuti in questo mondo dai legami della carne, si trasportano con lo spirito al di là di questo mondo e prendono la salutare decisione di disprezzare quello che passa col tempo e di desiderare le cose eterne ». — Quanto a Giobbe viene rappresentato nelle Sacre Scritture come l’uomo staccato dai beni di questa terra: « Giobbe soffriva con pazienza e diceva: Se abbiamo ricevuti i beni da Dio, perché non ne riceveremo anche i mali? Dio mi ha donato i beni, Dio me li ha tolti, che il nome del Signore sia benedetto ». — La Messa di questo giorno si ispira a questo concetto. Lo Spirito Santo che la Chiesa ha ricevuto nel giorno di Pentecoste, ha formato in noi un uomo nuovo, che si oppone alle manifestazioni del vecchio uomo, cioè alla cupidigia della carne e alla ricerca delle ricchezze, mediante le quali può soddisfare la prima. Lo Spirito di Dio è uno spirito di libertà che rendendoci figli di Dio, nostro Padre, e fratelli di Gesù, nostro Signore, ci affranca dalla servitù del peccato e dalla tirannia dell’avarizia. « Quelli che vivono in Cristo, scrive S. Paolo, hanno crocifisso la loro carne con le sue passioni e bramosie. Camminate, dunque, secondo lo Spirito e voi non compirete mai i desideri della carne, poiché la carne ha brame contro lo Spirito e lo Spirito contro la carne: essi sono opposti l’uno all’altra » (Ep.).  Nessuno può servire a due padroni, dice pure Gesù, perchè o odierà l’uno e amerà l’altro, ovvero aderirà all’uno e disprezzerà l’altro. Voi non potete servire a Dio e alle ricchezze ». « Chiunque è schiavo delle ricchezze – spiega S. Agostino – e si sa che sono spesso fonte di orgoglio, avarizia, ingiustizia e lussuria –  è sottomesso ad un padrone duro e cattivo. (« Forse che questi festini giornalieri, questi banchetti, questi piaceri, questi teatri, queste ricchezze, si domanda S. Giovanni Crisostomo, non attestano l’insaziabile esigenza delle tue cattive passioni? » – 2° Nott.. La V Domenica di Agosto che coincide qualche volta con questa Domenica). Dio non condanna la ricchezza ma l’attaccamento ai beni di questa terra e il loro cattivo impiego). Tutto dedito alle sue bramosie, subisce però la tirannia del demonio: certamente non l’ama perché chi può amare il demonio? ma lo sopporta. D’altra parte non odia Dio, poiché nessuna coscienza può odiare Dio, ma lo disprezza, cioè non lo teme, come se fosse sicuro della sua bontà. Lo Spirito Santo mette in guardia contro questa negligenza e questa sicurezza dannosa, quando dice, mediante il Profeta: Figlio mio, la misericordia di Dio è grande » (Eccl., V, 5 ),— (Queste parole sono prese dal 1° Notturno della V Domenica di Agosto, che coincide qualche volta con questa Domenica): « Non dire: la misericordia di Dio è grande, egli avrà pietà della moltitudine dei miei peccati. Poiché la misericordia e la collera che vengono da Lui si avvicinano rapidamente, e la sua collera guarda attentamente i peccatori. Non tardare a convertirti al Signore e non differirlo di giorno in giorno: poiché la sua collera verrà improvvisamente e ti perderà interamente. Non essere inquieto per l’acquisto delle ricchezze, poiché non ti sopravviveranno nel giorno della vendetta ») – … ma sappi che « la pazienza di Dio t’invita alla penitenza » (Rom., II, 4). Perché chi è più misericordioso di Colui che perdona tutti i peccati a quelli che si convertono e dona la fertilità dell’ulivo al pollone selvatico? E chi è più severo di colui che non ha risparmiati i rami naturali, ma li ha tagliati per la loro infedeltà? Chi dunque vuole amare Dio e non offenderlo, pensi che non può servire due padroni; abbia egli un’intenzione retta senza alcuna doppiezza. Ed e così che tu devi pensare alla bontà del Signore e cercarlo nella semplicità del cuore. Per questo, continua egli, io vi dico di non avere sollecitudini superflue di ciò che mangerete e del come vi vestirete; per paura che forse, senza cercare il superfluo, il cuore non si preoccupi, e che cercando il necessario, la vostra intenzione non si volga alla ricerca dei vostri interessi piuttosto che al bene degli altri » (3° Nott.). Cerchiamo dunque, prima di tutto il regno di Dio, la sua giustizia, la sua gloria (Vang., Com.); mettiamo nel Signore ogni nostra speranza (Grad.), poiché è il nostro protettore (Intr.); è Lui che manda il suo Angelo per liberare quelli che lo servono (Off.) e che preserva la nostra debole natura umana, poiché senza questo aiuto divino essa non potrebbe che soccombere (Oraz.). L’Eucarestia ci rende Dio amico (Secr.) e, fortificandoci, ci dà la salvezza (Postcom.). Cerchiamo, dunque, prima di tutto di pregare nel luogo del Signore (Vers. dell’Intr.) e di cantarvi le lodi di Dio, nostro Salvatore (All.); poi occupiamoci dei nostri interessi temporali, ma senza preoccupazione.

Incipit

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Confíteor

Deo omnipoténti, beátæ Maríæ semper Vírgini, beáto Michaéli Archángelo, beáto Joánni Baptístæ, sanctis Apóstolis Petro et Paulo, ómnibus Sanctis, et tibi, pater: quia peccávi nimis cogitatióne, verbo et ópere: mea culpa, mea culpa, mea máxima culpa. Ideo precor beátam Maríam semper Vírginem, beátum Michaélem Archángelum, beátum Joánnem Baptístam, sanctos Apóstolos Petrum et Paulum, omnes Sanctos, et vos fratres, oráre pro me ad Dóminum, Deum nostrum.
S. Misereátur nostri omnípotens Deus, et, dimíssis peccátis nostris, perdúcat nos ad vitam ætérnam.
R. Amen.
S. Indulgéntiam,
absolutiónem et remissiónem peccatórum nostrórum tríbuat nobis omnípotens et miséricors Dóminus.
R. Amen.

V. Deus, tu convérsus vivificábis nos.
R. Et plebs tua lætábitur in te.
V. Osténde nobis, Dómine, misericórdiam tuam.
R. Et salutáre tuum da nobis.
V. Dómine, exáudi oratiónem meam.
R. Et clamor meus ad te véniat.
V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.

Introitus

Ps LXXXIII: 10-11.

Protéctor noster, áspice, Deus, et réspice in fáciem Christi tui: quia mélior est dies una in átriis tuis super mília.

[Sei il nostro scudo, o Dio, guarda e rimira il tuo Consacrato: poiché un giorno passato nel tuo luogo santo vale più di mille altri].

Ps LXXXIII: 2-3

V. Quam dilécta tabernácula tua, Dómine virtútum! concupíscit, et déficit ánima mea in átria Dómini.

[O Dio degli eserciti, quanto amabili sono le tue dimore! L’ànima mia anela e spàsima verso gli atrii del Signore].

Gloria…

Protéctor noster, áspice, Deus, et réspice in fáciem Christi tui: quia mélior est dies una in átriis tuis super mília.

[Sei il nostro scudo, o Dio, guarda e rimira il tuo Consacrato: poiché un giorno passato nel tuo luogo santo vale più di mille altri].

Kyrie
S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Christe, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.

Gloria

Glória in excélsis Deo. Et in terra pax homínibus bonæ voluntátis. Laudámus te. Benedícimus te. Adorámus te. Glorificámus te. Grátias ágimus tibi propter magnam glóriam tuam. Dómine Deus, Rex cæléstis, Deus Pater omnípotens. Dómine Fili unigénite, Jesu Christe. Dómine Deus, Agnus Dei, Fílius Patris. Qui tollis peccáta mundi, miserére nobis. Qui tollis peccáta mundi, súscipe deprecatiónem nostram. Qui sedes ad déxteram Patris, miserére nobis. Quóniam tu solus Sanctus. Tu solus Dóminus. Tu solus Altíssimus, Jesu Christe. Cum Sancto Spíritu in glória Dei Patris. Amen.

Oratio

Orémus.
Custódi, Dómine, quǽsumus, Ecclésiam tuam propitiatióne perpétua: et quia sine te lábitur humána mortálitas; tuis semper auxíliis et abstrahátur a nóxiis et ad salutária dirigátur.

[O Signore, Te ne preghiamo, custodisci propizio costantemente la tua Chiesa, e poiché senza di Te viene meno l’umana debolezza, dal tuo continuo aiuto sia liberata da quanto le nuoce, e guidata verso quanto le giova a salvezza.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Gálatas.

Gal V: 16-24

“Fratres: Spíritu ambuláte, et desidéria carnis non perficiétis. Caro enim concupíscit advérsus spíritum, spíritus autem advérsus carnem: hæc enim sibi ínvicem adversántur, ut non quæcúmque vultis, illa faciátis. Quod si spíritu ducímini, non estis sub lege. Manifésta sunt autem ópera carnis, quæ sunt fornicátio, immundítia, impudicítia, luxúria, idolórum sérvitus, venefícia, inimicítiæ, contentiónes, æmulatiónes, iræ, rixæ, dissensiónes, sectæ, invídiæ, homicídia, ebrietátes, comessatiónes, et his simília: quæ prædíco vobis, sicut prædíxi: quóniam, qui talia agunt, regnum Dei non consequántur. Fructus autem Spíritus est: cáritas, gáudium, pax, patiéntia, benígnitas, bónitas, longanímitas, mansuetúdo, fides, modéstia, continéntia, cástitas. Advérsus hujúsmodi non est lex. Qui autem sunt Christi, carnem suam crucifixérunt cum vítiis et concupiscéntiis.”

[“Fratelli: Camminate secondo lo spirito e non soddisferete ai desideri della carne. Perché la carne ha desideri contrari allo spirito, e lo spirito contrari alla carne: essi, infatti, contrastano tra loro, così che non potete fare ciò che vorreste. Che se voi vi lasciate guidare dallo spirito non siete sotto la legge. Sono poi manifeste le opere della carne: esse sono: la fornicazione, l’impurità, la dissolutezza, la lussuria, l’idolatria, i malefici, le inimicizie, le gelosie, le ire, le risse, le discordie, le sette, le invidie, gli omicidi ecc. le ubriachezze, le gozzoviglie e altre cose simili; di cui vi prevengo, come v’ho già detto, che coloro che le fanno, non conseguiranno il seguiranno il regno di Dio. Frutto invece dello Spirito è: la carità, il gaudio, la pace, la pazienza, la benignità, la bontà, la mansuetudine, la fedeltà, la modestia, la continenza, la castità. Contro tali cose non c’è logge. Or quei che son di Cristo han crocifisso la loro carne con le sue passioni e le sue brame”].

C’è una lotta, una guerra formidabile, una battaglia che si combatte fieramente e dappertutto e sempre: si combatte in ciascuno di noi. Per un misterioso congegno, noi, siamo due in uno e uno in due. Siamo, lo sanno tutti, anima e corpo, ma corpo e anima pur insieme uniti come sono a formare un sol uomo, rappresentano ciascuno tendenze diverse, addirittura contrastanti. La materia ci trascina nel torbido mondo dei piaceri più bassi: mollezza, ozio, dissipazione, egoismo e poi crudeltà se occorre. La materia ci trascina verso il mondo animale, anzi un mondo animale degenere e corrotto. È un fatto che noi possiamo sperimentare, che sperimentiamo anzi, senza volerlo, in noi stessi. Lo sperimentiamo con un altro fatto, del pari innegabile. Ed è che dentro di noi, contro di noi, contro questi travolgimenti passionali, queste degenerazioni brutali, qualche cosa, qualcheduno protesta; come se si trovasse, perché si trova, a disagio, nel trionfare di queste basse voglie. Questo qualcuno è lo spirito che, dice San Paolo: « concupiscit adversus carnem ». Veramente, questa concupiscenza dello spirito, è una frase ardita. La realtà si è che lo spirito ha delle sue voglie, delle sue tendenze, che non sono quelle della carne. E noi sentiamo in noi, nelle ore migliori della vita, una sete di purezza, di sobrietà, di laboriosità, di sacrificio, di dominio della bestia: sogni angelici ci traversano l’anima e ce la attirano verso il cielo. Istinti angelici da quanto sono brutali quegli altri. Istinti che si rafforzano dentro di noi, colla educazione, coll’altrui buon esempio, colla saturità cristiana dell’ambiente in cui siamo chiamati a vivere. Ma istinti ai quali contrasta e maledice il corpo, proprio come contro quelli del corpo eleva l’anima l’istintivo suo veto. In questa lotta è la tragedia della nostra vita morale. È il segreto della nostra debolezza. È per questo che facciamo spesso quello che non vorremmo, che quasi non vogliamo e non facciamo quello che vorremmo. Quanti uomini vorrebbero essere fedeli alle loro mogli, vorrebbero dare esempi luminosi di buon costume ai loro figli… vorrebbero; e intanto, pur riconoscendo che fanno male, che amareggiano il cuore di una povera donna, che dànno cattivo esempio ai figlioli, profanano il santuario domestico e cercano fuori di esso illecite gioie. Quanti giovani si vergognano, si pentono della vita materiale, animalesca che conducono, e intanto non hanno forza di troncarla: « vident meliora, probantque, deteriora sequuntur ». Ma se in questo congegno di lotta interna è il segreto della nostra debolezza, v’è anche quello della nostra gloria. Abbiamo una bella battaglia da vincere. Essere un po’ sulla terra, ancora sulla terra « sicut angeli Dei in cœlo.» Andare verso l’alto, verso il cielo malgrado questa palla di piombo, che, ahimè, portiamo al piede. Gli Angeli nascono Angeli, lo sono: noi dobbiamo diventarlo. – Il Cristianesimo è stato e rimane il grande alleato dello spirito nella lotta contro la carne, Gesù è venuto apposta tra noi per dare man forte allo spirito. E da Lui in poi, e grazie a Lui, la vittoria nonché possibile, è diventata frequente tra i suoi discepoli. L’umanità vede oggi a frotte i cavalieri autentici dello spirito, gli uomini che collo spirito hanno mortificato, compresso i fasti della carne, e si rivelano in questa trionfale spiritualità di vita, si rivelano guidati dallo Spirito di Dio. Aggreghiamoci alla falange dei vincitori, non accodiamoci, codardi, alle orde dei vinti.

[P. G. Semeria: Le epistole delle Domeniche, Op. naz. Per il mezzogiorno d’Italia, Milano, 1939.

(Nihil obstat sac. P. De Ambroggi – Imprim. P. Castiglioni vic. Gen. Curia Arch, Mediolani, 1-3-1938)]

 Graduale

Ps CXVII:8-9
Bonum est confidére in Dómino, quam confidére in hómine.
[È meglio confidare nel Signore che confidare nell’uomo].

V. Bonum est speráre in Dómino, quam speráre in princípibus. Allelúja, allelúja
 

[È meglio sperare nel Signore che sperare nei príncipi. Allelúia, allelúia].

Alleluja

XCIV: 1.
Veníte, exsultémus Dómino, jubilémus Deo, salutári nostro. Allelúja.

[Venite, esultiamo nel Signore, rallegriamoci in Dio nostra salvezza. Allelúia.]

 Evangelium

Sequéntia sancti Evangélii secúndum S. Matthæum.
Matt VI: 24-33

“In illo témpore: Dixit Jesus discípulis suis: Nemo potest duóbus dóminis servíre: aut enim unum ódio habébit, et álterum díliget: aut unum sustinébit, et álterum contémnet. Non potéstis Deo servíre et mammónæ. Ideo dico vobis, ne sollíciti sitis ánimæ vestræ, quid manducétis, neque córpori vestro, quid induámini. Nonne ánima plus est quam esca: et corpus plus quam vestiméntum? Respícite volatília coeli, quóniam non serunt neque metunt neque cóngregant in hórrea: et Pater vester coeléstis pascit illa. Nonne vos magis pluris estis illis? Quis autem vestrum cógitans potest adjícere ad statúram suam cúbitum unum? Et de vestiménto quid sollíciti estis? Consideráte lília agri, quómodo crescunt: non labórant neque nent. Dico autem vobis, quóniam nec Sálomon in omni glória sua coopértus est sicut unum ex istis. Si autem fænum agri, quod hódie est et cras in clíbanum míttitur, Deus sic vestit: quanto magis vos módicæ fídei? Nolíte ergo sollíciti esse, dicéntes: Quid manducábimus aut quid bibémus aut quo operiémur? Hæc enim ómnia gentes inquírunt. Scit enim Pater vester, quia his ómnibus indigétis. Quaerite ergo primum regnum Dei et justítiam ejus: et hæc ómnia adjiciéntur vobis”.

[“In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli: Nessuno può servire due padroni: imperocché od odierà l’uno, e amerà l’altro; o sarà affezionato al primo, e disprezzerà il secondo. Non potete servire a Dio e alle ricchezze. Per questo vi dico: non vi prendete affanno né di quello onde alimentare la vostra vita, né di quello onde vestire il vostro corpo. La vita non vale ella più dell’alimento, e il corpo più del vestito! Gettate lo sguardo sopra gli uccelli dell’aria, i quali non seminano, né mietono, né empiono granai; e il vostro Padre celeste li pasce. Non siete voi assai da più di essi? Ma chi è di voi che con tutto il suo pensare possa aggiuntare alla sua statura un cubito? E perché vi prendete cura pel vestito? Pensate come crescono i gigli del campo; essi non lavorano e non filano. Or io vi dico, che nemmeno Salomone con tutta la sua splendidezza fu mai vestito come uno di questi. Se adunque in tal modo riveste Dio un’erba del campo, che oggi è e domani vien gittata nel forno; quanto più voi gente di poca fede? Non vogliate adunque angustiarvi, dicendo: Cosa mangeremo, o cosa berremo, o di che ci vestiremo? Imperocché tali sono le cure dei Gentili. Ora il vostro Padre sa che di tutte queste cose avete bisogno. Cercate adunque in primo luogo il regno di Dio e la sua giustizia; e avrete di soprappiù tutte queste cose”].

Omelia

(G. Colombo: Pensieri sui Vangeli e sulle feste del Signore e dei Santi; VI  ediz. Soc. Ed. Vita e pensiero – Milano)

I SERVI DEI DUE REGNI

Erano in un ampio prato erboso, che pareva adattato apposta per un’accolta quieta di uomini. Era iniziato il gran Regno ed ora il re dava la sua legge, seduto su un piccolo masso sporgente, che si stendeva su tutto il creato. I Cittadini del regno erano figli, figli della grazia, figli adottivi del Padre: nel regno la prima cosa che debbon fare i figli è obbedire: obbedire seriamente e solo a Dio, non assieme alle proprie passioni, alle ricchezze, agli onori: no, bisogna scegliere. « Nessuno può servire a due padroni, perché odierà l’uno e amerà l’altro: o sarà affezionato al primo e disprezzerà il secondo ». Perché sia dolce obbedire nel regno di Dio, Gesù ha le più tenere espressioni dell’immensa bontà del Padre. « Le ricchezze e le passioni sono padroni troppo esigenti e vi fanno schiavi: non servite loro, servite il Padre che ve le darà Lui le ricchezze, Lui che al rigore dell’inverno fa succedere la primavera, Lui che fa rifiorire la messe, e i ceppi, i gigli, e i tralci delle viti; Lui che nutre gli uccelli dell’aria e i pesci dell’acqua. « Non vogliate dunque angustiarvi, dicendo: cosa mangeremo e cosa berremo o di che ci vestiremo. Poiché tali sono le cure dei gentili. Ora il vostro Padre sa che di tutte queste cose avete bisogno ». « Cercate dunque in primo luogo il Regno di Dio e la sua giustizia; e di sopra più avrete tutte le altre cose ». Noi sappiamo che il regno di Dio è la sua Chiesa, ove vi è la vita vera, la vita soprannaturale, dove vivono le anime; noi sappiamo che la giustizia del regno sono le virtù e i doveri dei sudditi del buon Dio; noi sappiamo che fuori c’è l’altro regno, quello che Gesù chiamò mondo, col suo re, con le sue leggi. Nella storia degli uomini ci furono quelli che scelsero di servire il mondo; altri rimasero perplessi tra Dio e il mondo, non contentando l’uno e disgustando l’altro; altri, infine, decisamente si posero al servizio di Dio Padre, secondo il dolce invito di Gesù. Fra questi vogliamo collocare anche noi e per assicurarcelo vediamo chi sono gli altri servi infedeli. – 1. I SERVI DEL MONDO. Deve esser bello vedere uno di questi servitori, quando arrivano al tribunale di Dio! Uno di essi, il re dei diamanti, meglio detto il servo delle ricchezze, morì anni or sono e comparì dinanzi a Dio. « Chi siete voi? » domandò l’Angelo del giudizio. Mi conoscono tutti, rispose, sono l’uomo più ricco d’Inghilterra, sono un finanziere famoso: ho una scuderia di cavalli puro sangue che fa invidia a tutta la terra e sono proprietario delle miniere del Sud-Africa… con le mie ricchezze, potrei comprarmi l’Italia intera, i suoi laghi, i suoi monti ». Ma non potrete comprarvi — rispose l’Angelo, — neppure lo spazio per mettere un sol piede nel paradiso. Questo non è il vostro regno: voi avete servito ottimamente nell’altro, là siete ben conosciuto, addio ». Un brivido di terrore entrò nelle ossa del signore: aveva sbagliato padrone. Costui fu uno dei tanti illusi che hanno sentito il proclama del principe del mondo: Venite et fruamur bonis… coronemur rosis… nullum pratum sit quo non pertranseat luxuria nostra. [Su, godiamoci i beni presenti, non vi sia prato che non conosca la nostra lussuria] (Sap. II, 6). Voi non l’avete mai visto questo mondo perché non è una determinata persona, ma voi vivete in mezzo, ne respirate l’aria, lo toccate, tante volte siete caduti nei suoi lacci. Esso è un gran regno.Ha i suoi templi; i suoi teatri sporchi, le sale da giuoco, le case notturne, i covi della corruzione; e sono rigurgiti di gente che vive in questo fango e serve in gran livrea. Ha i suoi apostoli; nella città e nella borgata, con la parola e con la penna, della levatura di un ciabattino e della boria di un dottore: scrittori immorali, maestri elementari atei, giornalisti venduti ad un pezzo di carta sporca: per quattro soldi. Ha i suoi idoli: le ricchezze acquistate con ogni mezzo, la gloria conquistata con la sofferenza d’altri, il piacere ottenuto col vizio, bevuto a goccia a goccia, con voluttà tremenda… Guai al mondo! Un dì uscì questa invettiva amara dalla bocca dolce del divino Gesù: era la voce accorata del padre per i figli venduti al mondo e illusi; per il mondo non pregava, per loro sì pregava, perché si togliessero dal mondo, entrassero nel regno suo, regno di giustizia, di pace.« Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia ». – 2. SERVI PERPLESSI TRA DIO E IL MONDO. Dio aveva mandato il profeta, perché ripetesse al popolo il suo aspro lamento. Quando Elia vide il mare delle teste ondeggiante nel piano, fece cenno di silenzio e solennemente parlò a nome di Dio così: « E fino a quando zoppicherete voi or di qua or di là? Se credete a Dio, ubbiditegli; se credete a Baal, seguitelo ». Ammutolì il popolo, e pensò che il profeta avesse ragione. Gesù riprese il medesimo lamento e disse: « Non si può servire a due padroni. » Lo disse ai farisei, lo dice a molti Cristiani di oggi, i quali, direbbe il Santo Curato d’Ars, assomigliano a quei cani che vanno dietro al primo che li chiami. a) Sono quei Cristiani che ancora non hanno perduto interamente la fede, che stanno in qualche modo attaccati a qualche pratica di pietà, che non vogliono abbandonare del tutto Dio: ma non hanno sufficiente coraggio di lasciare un’occasione di peccato, di troncare una relazione, di abbandonare una buona volta una pessima abitudine; costoro non vorrebbero dannarsi, ma neppure scomodarsi; sperano di arrivare al paradiso senza faticare e senza far violenza a se stessi; si cullano nella lusinga di darsi poi, col tempo, al buon Dio. b) Vi sono poi dei servi ancora più spigliati a cambiare padrone. Li vedete in chiesa a pregare Dio e poi a mezzodì in piazza li sentite bestemmiare: alla Messa della Domenica cantano le lodi di Dio e all’osteria tengono laidi discorsi. Le mani che hanno toccato l’acqua santa le fanno servire alle più ignominiose passioni, gli occhi che hanno visto l’Ostia consacrata li volgono volontariamente attorno su oggetti disonesti. Ieri quel mercante ha fatto l’elemosina ad un povero, oggi ha concluso un affare con imbrogli e con inganni; ieri quella mamma augurava ogni benedizione ai figli, oggi li colma di imprecazioni, ieri li mandava a confessarsi, oggi a ballare, ieri diceva alla figliola di esser seria e riservata, oggi la lascia in compagnia di giovani per tante ore, senza nulla dire… c) Vi sono anche di quelli che vorrebbero aggiustare le cose a loro modo, fare i propri comodi e poi trovare un confessore di loro gusto; e guai se il confessore si trova costretto a negare l’assoluzione, son fulmini e pettegolezzi senza fine: e guai se il predicatore dal pulpito grida contro il vizio, contro il danaro, mammona di iniquità! il meno che possano fare costoro è di borbottare che il prete ha del buon tempo, fa il suo mestiere, dovrebbe badare ai fatti suoi, non interessarsi di politica. No, no, ha ragione il Signore: a meno di voler essere banderuole, di voler usare due misure, di tener il piede in due scarpe, non si può dividere il cuore, non si può servire due padroni. Bisogna scegliere. Chi? – 3. I SERVI DI DIO. Proprio nell’ora in cui arrivava il re dei diamanti al tribunale di Dio, arrivò da Hyderabad l’anima di un umile missionario. « Chi sei tu? » chiese l’Angelo del giudizio. « Io, rispose l’anima, non ho nulla. Avevo casa, genitori, patria, ed ho lasciato tutto: da due anni mi trovavo in India, solo con un crocifisso di legno e ventinove anni di vita. Ieri sera mi hanno chiamato al villaggio di Avanigadda per un coleroso, e gli ho salvato l’anima. Ma il colera mi ha ghermito e in poche ore mi ha portato quassù. Ora non ho proprio più nulla, neppure il mio crocifisso di legno, neppure la mia giovinezza di ventinove anni. Sono solo un missionario, un umile servo del regno di Dio ». « Ora tu hai proprio tutto, esclamò l’Angelo gaudioso, tu hai proprio tutto. Il Regno senza confine di Dio è tutto per te ». Così ai buoni servi verrà detto in quel dì: orsù dunque, servo buono e fedele, entra nel gaudio del tuo Signore. Il Re di questo regno è Cristo Gesù. « Non è salute che in Lui ». « Tutto da Lui procede, tutto mette capo a Lui ». « Chi non crede in Lui, è già giudicato ». Il Re di questo regno ha dato questa legge: « Colui che mi vuol seguire, rinneghi se stesso »: mortifichi la carne che si ribella allo spirito, soffochi gli istinti cattivi e le passioni che tentano di sopprimere i germi della virtù. « Prenda la sua croce »; la Croce che Lui ha portato, pesante, diurna, e notturna: a cui sono appese tutte le angustie, le tribolazioni, i gemiti, le lacrime, .il sangue dell’umanità, la croce di questa vita, di questo pellegrinaggio che conta tanti giorni cattivi e dolorosi: questa croce tutti devono portare. « E mi segua »: portala la croce, come ha fatto Lui e Lui ha fatto la volontà del Padre, l’ha portata con rassegnazione, con amore. Così ha parlato il Re. Ma non tutti risposero così. Molti dissero e dicono continuamente, domani, domani, quando le passioni avranno spento il loro fuoco, quando gli anni si saranno accumulati, quando sentiremo l’appressarsi dell’eternità! Ma il Re ha parlato e disse: oggi, oggi, non domani perché allora « Voi mi cercherete e non mi troverete ». Quando? Nel dì del giudizio apparirà nello splendore della gloria, a riconoscere i suoi servi: ai fedeli dirà: « Vi conosco; entrate nel Regno preparato per voi »; agli infedeli dirà: « Non vi conosco; andate nel fuoco eterno » – « Miei fratelli, scrive l’Apostolo Pietro, andate crescendo nella grazia e nella cognizione del Signor nostro e Salvatore Gesù »: questo vuol dire servire nel regno di Dio, sforzarsi di diventar migliori, crescendo in grazia, in cognizione, in amore di Gesù. Fuori di Lui non dobbiamo cercare nulla. Sentite S. Bernardo: « Siete voi ammalati? Egli è il vostro medico. Avete smarrito la via? Egli è la vostra guida. Siete voi assaliti? Egli è il vostro difensore. Avete sete? Egli è la vostra bevanda. Avete freddo? Egli è il vostro vestimento. Siete voi circondati dalle tenebre? Egli è la vostra luce. Siete orfani? Egli è vostro padre. » Tutto ciò che volete troverete in Lui, nell’immensa bontà del Padre: il cibo, le vesti, la sanità anche troverete. Allora non angustiatevi a cercar queste cose al mondo, coi mezzi del mondo; no; cercate prima il regno di Dio, Gesù e la sua grazia; il resto non vi mancherà. — LA PROVVIDENZA. La parola di Gesù, nel S. Vangelo, è sempre improntata di una sapienza divina ma nel discorso del monte assume una bellezza che è senza confronti. Ancora all’inizio della vita pubblica, il Maestro vuol tracciare il programma della religione nuova. Per questo sale sui monti, sale in alto, quasi a dirci che se vogliamo capirlo ci dobbiamo staccare dalle bassure del mondo. Oggi la Chiesa ci fa leggere un tratto di quelle parole sublimi. Dopo averci parlato del Padre che è ne’ cieli, a cui va rivolta la nostra preghiera, soggiunge che Lui solo dev’essere il nostro Padrone, perché nessuno può servine a due padroni: o amare il primo e odiare il secondo; o seguire il secondo e abbandonare il primo. È impossibile servire a Dio e al mondo assieme. Ma il Signore sa che la roba di quaggiù esercita un fascino spesse volte potente, sa che il pensiero delle cose terrene può far dimenticare le cose celesti; ed allora « Non crucciatevi — soggiunge — per il pane che dovete mangiare! Tenete a mente che l’anima vale più del cibo. Del resto, guardate gli uccelli del cielo: non seminano, non mietono e non hanno granai: eppure il Padre vostro li tiene in vita. E voi non siete forse qualche cosa di più degli uccelli? Non vi angustiate per l’abito che dovete indossare. I gigli del campo come crescono belli! Eppure non filano e non si affaticano. Vi dico che neanche Salomone, nello splendore della sua gloria, si è vestito come uno di essi. Se dunque Iddio veste con sì vivi colori le erbe del campo che domani saranno tagliate, quanta cura non avrà di voi, uomini di poca fede! ». Con simili accenti, Gesù ci solleva in un’altra atmosfera; non ci accorgiamo di far parte di una famiglia dove le preoccupazioni non hanno ragione di essere: nei cieli vi è un Padre che pensa a tutti. Mi sembra che in questa luce anche la vita diventi più bella! Davvero che il Cristiano è l’uomo felice, è l’uomo della vera allegria perché crede che c’è la Provvidenza verso la quale egli ha dei doveri. – 1. C’È LA PROVVIDENZA. La vita di ogni Santo è un argomento per l’esistenza della Divina Provvidenza. Ricordiamo, ad esempio, la storia di S. Vincenzo de’ Paoli fatto schiavo dei musulmani. Sacerdote di fresco ordinato, s’’accingeva a tornare da Marsiglia dove si era recato per un’opera d’apostolato. Un ricco e buon signore gli propose di prendere la via di mare invece che la via di terra per la quale s’era già deciso. Le condizioni erano lusinghiere: risparmio di tempo, di fatica, di denaro; ottima compagnia. Accettò la proposta, credendo d’accondiscendere al suggerimento d’un uomo mentre era la Provvidenza che lo attirava nel suo piano. Infatti, la nave fu assalita dai pirati turchi, e dopo una lotta disperata, tutti i passeggeri furono imprigionati e portati barbaramente a Tunisi. Qui S. Vincenzo fu venduto, come una bestia, sul mercato. Lo comprò un pescatore, ma trovatolo, incapace e inesperto per la caccia, lo vendette a un vecchio medico il quale lo occupava a mantenere il fuoco nei fornelli su cui preparava certe strane medicine. Dov’era in quei momenti la Provvidenza? Che aiuto gli dava, se tutto il giorno era angariato senza un momento di sosta, senza che fosse mai consentita a lui sacerdote novello la consolazione di celebrare Messa e di recitare il Breviario? Un altro al suo posto si sarebbe perso di fede e scoraggiato. Lui invece pregava incessantemente e confidava. Dov’era dunque in quei momenti la Provvidenza? Era là, vicina a lui, che vigilava e disponeva tutto secondo un amoroso e misterioso disegno che gli occhi degli uomini spesso non possono neppure intravvedere. Effettivamente le cose parevano volgere in peggio. Il vecchio medico musulmano l’aveva rivenduto a un Cristiano rinnegato che s’era accasato con una donna turca, e questi lo maltrattava e gli faceva lavorare tutto il giorno la terra. La padrona però, qualche volta, mentre egli zappava nel campo, scambiava con lui qualche parola sulla fede cristiana, e ascoltava volentieri il canto delle lodi di Dio. Passarono alcuni mesi e la grazia, a poco a poco segretamente penetrando, trionfò: non solo la padrona si convertì, ma seppe indurre il marito a riabbracciare la fede ripudiata. E dopo che entrambi furono illuminati dalla verità e accesi dalla carità di Cristo, di comune accordo diedero la libertà allo schiavo loro Vincenzo. Anzi consapevoli che proprio da quello schiavo paziente e umile avevano ricevuto una libertà più grande e più preziosa di quella che gli donavano, la libertà dalla schiavitù dell’errore e di satana, come segno di riconoscenza lo vollero accompagnare nella via del ritorno. Due anni, due lunghi anni erano passati dal giorno in cui era caduto in mano dei pirati, durante i quali non aveva avuto nessuna notizia dei suoi cari, e del suo sacerdozio non aveva potuto vivere che il carattere scolpito indelebilmente nell’anima. Parrebbero anni perduti, anni di rovina. Eppure, senza di essi non avremmo avuto un Santo dal cui cuore sgorgò un fuoco di carità immenso. C’è dunque la Provvidenza di Dio; c’è il Signore « che ha disposto quanto esiste, in peso, numero e misura » (Sap., XI, 21). « Che governa con forza le cose dal principio alla fine e tutto dispone con soavità » (Sap., VIII, 1). « Il piccolo ed il grande è Lui che li ha fatti, ed ha cura egualmente dell’uno e dell’altro » (Sap., VI, 8). « Come l’aquila stimola i suoi piccoli al volo e stendendo le sue ali li protegge, li aiuta e nel pericolo li soccorre » (Deut., XXXII, 11) così il Signore, dopo che ci ha messi nel gran mare della vita, non cessa di vegliare sulla nostra coscienza. Se non che i pensieri e le vie della Provvidenza non sono come i nostri pensieri e i nostri disegni, ma più belli e più grandi. Bisogna credere e fidarsi. – 2. DOVERI VERSO LA PROVVIDENZA. A Torino, se passate per via Cottolengo, vi trovate davanti ad una porta stretta, con sopra un umile cartello che dice: « Piccola Casa della Divina Provvidenza ». Sia pure per curiosità, entrate dentro perché tutti dicono che è la casa dei miracoli. Non lasciatevi però ingannare dal nome perché non è una semplice casa ma una città, la cittadella del dolore. « Quelli che hanno trovato chiuse le porte di tutti gli ospedali, i veri rifiuti dell’umanità soltanto lì possono trovare un po’ di riposo. L’ha fondata un sacerdote, San Giuseppe Benedetto Cottolengo, che non teneva mai un centesimo in tasca: anzi, una volta che gli era avanzato un po’ di denaro, lo buttò dalla finestra. E la Provvidenza non gli è mai mancata perché la sua fiducia non aveva un limite. Se all’ora del pranzo non si trovava neppure un po’ di farina: il Santo non se ne angustiava: stavolta toccava al Signore! Chiamava tutti in chiesa, cominciava il Rosario, cantava il Magnificat od il Te Deum finché non si fosse sentito bussare alla porta: c’erano uomini con carri di farina, di frumento, di pasta. Chi mai aveva mandato quegli uomini con tanta grazia di Dio? Qualcuno certamente, ma i nomi non si seppero mai. Quanti, oggi, i ricoverati? Dicono che siano ottomila, ma il numero preciso non lo si vuol sapere: a contarli e a mantenerli tocca alla Provvidenza a cui dai dormitori, dalle corsie, dai corridoi, nel lavoro, nel riposo, nel dolore, sale la voce del ringraziamento e della fiducia. In tutte le ore, di giorno e di notte, davanti al Tabernacolo ci sono sempre suore raccolte in preghiera. Cristiani, se vogliamo che Dio pensi a noi, noi dobbiamo pensare a Lui. Confidenza e fiducia! Se il Signore ha cura dei suoi nemici, vorrà abbandonare i suoi amici? Siam forse meno degli uccelli dell’aria e dei gigli del campo? « Se gli occhi del Signore sono sopra i giusti e le sue orecchie nella loro preghiera » (Salmo, XXXIII, 16). « Speri in Lui chi lo ha conosciuto » (Salmo, XI, 11). Quando sembra che il cielo sia chiuso e nessuno più si ricordi di noi, è proprio il momento di raddoppiar la preghiera. Ringraziamento. Se non casca foglia che Dio non voglia, quel che Dio vuole non è mai troppo. Sia che ci mandi la gioia, sia che permetta il dolore, sempre diciamogli grazie. « Se abbiamo goduto — esclama Giobbe — quando ricevemmo del bene, perché mai non accettiamo anche il dolore? Il Signore ha dato ed il Signore ha tolto: sia benedetto il suo nome nei secoli ». – In un suo viaggio verso Roma S. Ambrogio fu ospite nella magnifica villa di un gran signore. Ma quando seppe che in quella casa la sofferenza non era mai entrata: « Raccogli subito — disse al servo — raccogli subito le nostre cose e andiamo via. Non voglio stare in questa casa! Se non c’è nessun dolore è segno evidente che non c’è Iddio ». Così la pensavano i Santi! Ricordiamo queste parole quando le avversità ci vorrebbero far sospettare che Iddio ci abbia dimenticati. E proprio allora che ci è vicino.

IL CREDO

Offertorium

Orémus
Ps XXXIII:8-9

Immíttet Angelus Dómini in circúitu timéntium eum, et erípiet eos: gustáte et vidéte, quóniam suávis est Dóminus.

[L’Angelo del Signore scenderà su quelli che Lo temono e li libererà: gustate e vedete quanto soave è il Signore].

Secreta

Concéde nobis, Dómine, quǽsumus, ut hæc hóstia salutáris et nostrórum fiat purgátio delictórum, et tuæ propitiátio potestátis.

[Concédici, o Signore, Te ne preghiamo, che quest’ostia salutare ci purifichi dai nostri peccati e ci renda propizia la tua maestà].

Præfatio

V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.
V. Sursum corda.
R. Habémus ad Dóminum.
V. Grátias agámus Dómino, Deo nostro.
R. Dignum et justum est.

… de sanctissima Trinitate
Vere dignum et justum est, æquum et salutáre, nos tibi semper et ubíque grátias ágere: Dómine sancte, Pater omnípotens, ætérne Deus: Qui cum unigénito Fílio tuo et Spíritu Sancto unus es Deus, unus es Dóminus: non in uníus singularitáte persónæ, sed in uníus Trinitáte substántiæ. Quod enim de tua glória, revelánte te, crédimus, hoc de Fílio tuo, hoc de Spíritu Sancto sine differéntia discretiónis sentímus. Ut in confessióne veræ sempiternǽque Deitátis, et in persónis propríetas, et in esséntia únitas, et in majestáte adorétur æquálitas. Quam laudant Angeli atque Archángeli, Chérubim quoque ac Séraphim: qui non cessant clamáre quotídie, una voce dicéntes:

[È veramente degno e giusto, conveniente e salutare, che noi, sempre e in ogni luogo, Ti rendiamo grazie, o Signore Santo, Padre Onnipotente, Eterno Iddio: che col Figlio tuo unigenito e con lo Spirito Santo, sei un Dio solo ed un solo Signore, non nella singolarità di una sola Persona, ma nella Trinità di una sola sostanza. Così che quanto per tua rivelazione crediamo della tua gloria, il medesimo sentiamo, senza distinzione, e di tuo Figlio e dello Spirito Santo. Affinché nella professione della vera e sempiterna Divinità, si adori: e la proprietà nelle Persone e l’unità nell’essenza e l’uguaglianza nella maestà. La quale lodano gli Angeli e gli Arcangeli, i Cherubini e i Serafini, che non cessano ogni giorno di acclamare, dicendo ad una voce:]

Sanctus, Sanctus, Sanctus Dóminus, Deus Sábaoth. Pleni sunt cæli et terra glória tua. Hosánna in excélsis. Benedíctus, qui venit in nómine Dómini. Hosánna in excélsis.

Preparatio Communionis

Orémus: Præcéptis salutáribus móniti, et divína institutióne formáti audémus dícere:

Pater noster, qui es in cælis. Sanctificétur nomen tuum. Advéniat regnum tuum. Fiat volúntas tua, sicut in cælo et in terra. Panem nostrum quotidiánum da nobis hódie. Et dimítte nobis débita nostra, sicut et nos dimíttimus debitóribus nostris. Et ne nos indúcas in tentatiónem:
R. Sed líbera nos a malo.
S. Amen.

Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: dona nobis pacem.

Panem cæléstem accípiam, et nomen Dómini invocábo.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Matt VI:33
Primum quærite regnum Dei, et ómnia adjiciéntur vobis, dicit Dóminus.

[Cercate prima il regno di Dio, e ogni cosa vi sarà data in più, dice il Signore.]

 Postcommunio

Orémus.
Puríficent semper et múniant tua sacraménta nos, Deus: et ad perpétuæ ducant salvatiónis efféctum.

[Ci purífichino sempre e ci difendano i tuoi sacramenti, o Dio, e ci conducano al porto dell’eterna salvezza].

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (2)

ORDINARIO DELLA MESSA.

LO SCUDO DELLA FEDE (267)

LO SCUDO DELLA FEDE (267)

P. Secondo FRANCO, D.C.D.G.,

Risposte popolari alle OBIEZIONI PIU’ COMUNI contro la RELIGIONE (10)

4° Ediz., ROMA coi tipi della CIVILTA’ CATTOLICA, 1864

CAPO X.

RELIGIONE

I. La religione è buona pel popolo; II. per le donne che abbisognano di emozioni religiose.

Sulla religione in genere non sono finiti ancora gli assiomi che vanno attorno; perocché l’odio che le si porta, ne ha messo in credito un numero sterminato. Vedendo di non poter al tutto atterrare la religione, i libertini si sforzano di liberarne almeno sé stessi, confinandola ai tuguri ed alle gonne. La religione, dicono essi, è buona pel popolo, che ha bisogno d’ essere trattenuto perché non prorompa ad eccessi, e conservi una certa moralità; È buona eziandio, se volete, per, le donne, le quali abbisognano di emozioni religiose; ma per li uomini nel secolo decimonono….è un disconoscere tutte le conquiste del tempo e della civiltà. È egli vero tutto ciò? Vediamolo.

I. La religione è buona pel popolo, vogliamo dire con questa proposizione che è buona solo pel popolo; e che però per quelli che all’ingegno, alla coltura, alla condizione, alla filosofia son tutt’altro che popolo, non è punto fatta. Or, di grazia, la religione è cosa vera, oppure una finzione? Qui non vi è mezzo: o esiste il debito di riconoscere la divinità, di ossequiarla, riverirla, onorarla con atti di culto e di sommissione; oppure non esiste questo debito, sia perché non vi è un Dio, oppure perché, essendovi, non si cura dei nostri ossequi e delle nostre dimostrazioni. L’una delle due è innegabile. Ma se è vero il primo, perché non avrà, anche chi non è popolo, il debito di prestare a Dio il culto di religione? Molto più anzi il dovrà, perché avendo da Dio ricevuta maggior capacità di riconoscerlo, miglior educazione, una condizione più avvantaggiata, e tutti quei doni che dal popolo lo distinguono, sarà reo di maggiore ingratitudine se non riconosce la fonte da cui provengono quei beni; di maggiore empietà, se conoscendo più intimamente la malizia dell’atto che commette, pur vi si abbandona, mentre non potrà in iscusa allegare l’ignoranza, come farebbero le persone più rozze del popolo. Che se stimano la religione una finzione, che Dio non curi, o non accetti, perché allora sarà buona pel popolo? Dunque, il popolo non avrà più, diritto alla verità? Si potrà dargli a credere finzioni, chimere, falsità, perché torna utile? E questo è poi l’amore che portano costoro al povero popolo, che il vogliono aggirare come un bufalo, perché così torna loro a conto? Gli è un pezzo che si conosce la stima che fanno del popolo e l’amore che gli portano certuni, che pur si fingono così teneri e appassionati di lui e così solleciti a spezzargli le catene, onde i tiranni, i despoti, i barbari l’hanno aggravato, i quali poi non hanno una difficoltà al mondo ad incatenarlo colla superstizione, colla idolatria, coll’errore quando fa loro comodo. Ah ipocriti! E fino a quando il vero popolo non aprirà gli occhi sul conto vostro? –  Del resto, il debito universale di religione non è cosa che possa venire in controversia con costoro. Prima del nostro secolo ne passarono un presso a sessanta. Il mondo ha avuto in tutti quegli anni anche degli uomini, i quali avevano un capo sul collo ed un cuore dentro il petto. Sia pure il secolo nostro beatissimo fra tutti i secoli, la perla, la gemma più fulgida, anzi il sole che tutti li vince ed oscura; tuttavia dai monumenti, che rimangono d’ogni genere nel mondo, si comprende che non si possono rilegare al novero delle oche tutte le generazioni passate. Ora in tutti i tempi, e perfino fra le nazioni più barbare, fu sempre in pregio il culto della divinità; poniamo pure che errassero talora quanto alle proprietà che in essa riconoscevano, o quanto agli atti con cui pensavano doverla onorare. Le prove poi che in suo favore adduce il Cristianesimo son tante e tali e solenni e sì confermate che, come osservano i dotti, bisogna prima rinunziare alla ragione, per poter poi dopo rinunziare al Cristianesimo. Ciò presupposto, che significato ha quella espressione: la religione è buona solo pel popolo? Ella potrebbe tradursi in altre parole così: Che solamente il popolo ha debito di non mostrarsi empio con Dio, e che gli altri; che non son popolo, possono insultare quanto vogliono la divinità. Che creature possono rinnegare il Creatore, che figliuoli possono disonorare il Padre, che redenti possono disconoscere il Redentore, poiché non son popolo. – Che solamente il popolo ha debito di non avvilirsi sotto la condizione delle bestie, le quali per alta loro sventura, non conoscendo Dio, non possono onorarlo; mentre quelli che non son popolo, possono per elezione farsi quello che le bestie son per natura, ed inchiodando per sempre gli occhi alla terra come animali nel truogolo, mai non levarli al cielo da cui lor provengono tutti i beni. – Che solamente il popolo ha bisogno di giungere al suo ultimo fine, che è la suprema beatitudine; laddove chi non è popolo, può operare da insensato, senza darsi pensiero né dell’oggetto, per cui fu collocato sulla terra, né del fine, a cui gli fu proposto di tendere. – Che solamente il popolo ha bisogno di evitare i mali eterni, che la stessa ragione e prove infinite di ogni genere dimostrano inevitabili a chi non onora la divinità; mentre chi non è popolo può gettarsi alla ventura in un mar di pene per tutta un’eternità, come non farebbe un forsennato. – Che solamente il popolo ha bisogno di dimostrare riconoscenza al Signore, d’impetrar grazie, di rimuover pericoli, di essere aiutato dalla divinità; laddove chi non è popolo può mostrarsi indifferente a qualunque favore Iddio gli faccia, e può burlarsi degli aiuti e della protezione dell’onnipotente divina Maestà. – Che solamente il popolo ha la sventura di commettere peccati, e quindi il debito di umiliarsi davanti a Dio e chiedergli perdono ed impetrarne mercè; ma che chi non è popolo, facendo una vita perpetuamente immacolata, non sa neppure quel che sia il bisogno d’inchinarsi davanti al trono divino, e supplicare ed impetrare misericordia. – Queste e molte altre cose simili a queste vuol significare la bella espressione che la religione è buona solo pel popolo. Epperò chi ha cuore di ripeterla, faccia almeno di comprenderne prima il senso, e poi, se gli basta l’ animo, ne accetti tutta la significazione. Che se per ventura anche a lui sembrasse un po’ troppo ardita, allora ascolti pienamente la verità. –  È vero che è buona pel popolo la religione, ed oh quanto buona, quanto, quanto è buona pel popolo, poiché il popolo è composto di uomini che sono creature di Dio, destinate da Lui alla patria del cielo e bisognevoli di essa, perché essa è l’unico mezzo per arrivarvi. È buona pel popolo, poiché il popolo ha passioni da vincere, le quali non cedono se non in faccia ai motivi passenti della religione. È buona pel popolo, poiché esso ha da tollerare le pene inseparabili dal suo stato, perché spesso gli manca il pane, spesso l’abito, spesso il tetto, spesso è stanco e travagliato, ed ha bisogno colla speranza del futuro, consolare il presente, colla vista del cielo dimenticare la terra. – È buona pel popolo, poiché esso ha da sopportare pazientemente gli strapazzi, i soprusi, le concussioni dei suoi amici e protettori, che ne mettono tutta la sofferenza alla prova. È buona per tutto ciò, ed oh quanto buona! Così non facessero ogni sforzo per rapirgliela certi scellerati, i quali, mentre si fingono suoi amici, ne sono verissimi traditori! Così comprendessero che è anche loro interesse, se già non li muove la giustizia e la verità; ma poi dopo tutto ciò è bene a sapere che non è meno necessaria per quelli che non sono popolo, anzi per questi è necessaria anche più. Perocché, lasciando stare che questi hanno lo stesso fine e da conseguirsi per gli stessi mezzi che il popolo, hanno poi cento altre ragioni di speciali necessità. Hanno da moderare la vanità che va quasi sempre congiunta colla scienza, hanno da infrenare la superbia che facilmente s’insinua nei palazzi che nei tuguri, hanno da reprimere l’avarizia che più spazia dove trova maggior materia, hanno soprattutto da frenare la concupiscenza, che molto maggiore eccitamento ritrova dove è maggiore l’ozio, più squisita la mensa, più copiosi i liquori, più gaie le compagnie, più sfoggiati i balli, i teatri, le allegrie, le mondanità. Tutti costoro hanno maggior bisogno di religione, perché d’ordinario hanno tentazioni più gagliarde, cadute più frequenti, colpe più gravi che non ha il popolo. Il perché se credono che al popolo sia necessaria la religione, sia in buon’ ora; ma si persuadano poi che anche a loro non istà male un po’ di religione, e non disdegnino di fare col popolo almeno almeno a metà. . .

II. La religione è buona per le donne. Qui quadra il ragionamento fatto di sopra: se la religione è vera, essa è fatta per tutti; se è doverosa, niun se ne può esimere; e se non è vera e non è doverosa, non è punto più buona per le donne che per gli uomini: poiché la finzione e l’inganno non è buono per nessuno. – Ma io farò qui una domanda a quei che confinano alle donne la religione. E perché mai è buona solo per le donne la religione? Esse abbisognano di emozioni religiose, rispondono, poiché avendo il cuore più tenero, non possono fare senza sfogarlo in qualche modo. E dunque voi perché siete uomo, avete il bel dono di essere senza cuore verso il Signore? Non saprei veramente farvene congratulazioni molto sentite. – Del resto eccovi la verità su questo proposito. Se le donne hanno bisogno di religione, è non solo per la ragione comune, che quanti hanno essere, vita, intelligenza, tutti debbono rivolgersi al Signore, ma anche per ragioni speciali al loro stato. La debolezza e fiacchezza naturale fa sentire alla donna più al vivo la necessità del divino sostegno, e più a Dio la stringe. L’abbondare in essa l’affetto a preferenza del discorso, fa che la religione le sia richiesta anche sensibilmente dal cuore, il quale, se non è in lei al tutto guasto e corrotto, non può farne a meno; ma soprattutto ne abbisogna specialmente per un consiglio amorosissimo della divina provvidenza. Iddio ha destinato per man di natura a due nobilissimi uffici la donna: all’arduo e lungo ministero di allevare la prole in quei primi anni, in cui le sollecitudini possono immaginarsi ma non descriversi, e poi ad essere la naturale maestra della medesima per gittare i primi semi della virtù e della religione in quei cuori innocenti. Ad agevolarle quest’alto incarico, la divina provvidenza la rifornì di un cuore più tenero, più affettuoso, perché più facilmente vi si piegasse e vi durasse costantemente. Di che trasportando la donna quel medesimo cuore agli esercizi di pietà verso Dio, ne avviene che senta più affettuosamente di Lui, e più sensibilmente lo ami, e quindi con più foga sia trasportata verso tutto quello che onora la divinità. Laonde è verissimo che essa ha un bisogno tutto speciale della religione. – Che anzi di qua si trae quella specie d’orrore che cagiona il vedere una donna mettersi in greggia coi libertini e burlare le cose di Dio e della pietà. Deve essa, per giungere a questa infamia, non solo perdere ogni timore della divinità, ogni riverenza, ogni amore, il che pure le ha da costare un’estrema violenza; ma anche gittare ogni verecondia che pure è l’onore del sesso, e trasformare, dirò così, la sua indole, il suo cuore, e dopo di aver disprezzati tutti i rimorsi della coscienza, calpestare anche gli affetti più puri che le suggerisca la stessa natura. Che un serpente fischi ed avveleni fa orrore ma non maraviglia, poiché è nella natura del serpente; ma chi vedesse fare altrettanto una colomba, all’orrore aggiungerebbe una meraviglia non più intesa, poiché vedrebbe una violazione in lei della natura della colomba. E ciò è sì vero che il bestemmiatore più solenne che a memoria dei secoli si sia veduto, il Proudhon stesso, avendo scorto certe donne cadute fino in quell’abisso di vantarsi d’irreligione, in un suo empio giornale pubblicamente le avvertì a trattenersene, poiché anche gli uomini più perduti se ne sdegnavano e ne sentivano stomaco. Gli è dunque verissima che la religione è buona, anzi ottima per le donne. – Che però? Avranno gli uomini ragione di esentarsene? Tutto l’opposto. Come nella donna prevale l’affetto, così nell’uomo dovrebbe  prevalere il discorso. Epperò se la donna è portata alla religione più soavemente dall’affetto, l’uomo dovrebbe esservi portato più fortemente dalla convinzione; se già non si tratti d’uomini i quali mentre cedono alla donna nel cuore, le cedano anche nel capo. –  Inoltre 1’uomo ne ha anche maggior necessità. La religione ritrae il nome da ciò che essa lega l’uomo salutarmente: ora chi ha maggior bisogno di vincolo che chi naturalmente è più sfrenato? Se è vero che l’uomo sia meno rattenuto della donna da motivi umani, quali sono la debolezza naturale, la verecondia, il pudore, il timore, qual dubbio vi ha che abbia maggior bisogno dei motivi religiosi? Inoltre, l’uomo ha il primato d’autorità nella famiglia, ha il maneggio degli affari sociali, ha il governo, dirò così, del mondo, epperò abbisogna di maggiori aiuti dal Signore, di maggior lume, e poi di chiedere più spesso al Signore perdono delle sue prevaricazioni. –  Tutto ciò dovrebbe aver luogo almeno presso quegli uomini, che non credono le cose procedere a caso, e che non si reputano senza destino ulteriore al terreno. Che se tutto è finzione quel che s’insegna di Dio, dell’anima, della vita avvenire, dell’eternità, allora hanno ragione gli uomini di non curare la religione. Resta solo alla donna che non invidi all’uomo di essere giunto al vanto di reputarsi in dignità pari agli armenti del campo ed alle fiere della foresta.

IL SACRO CUORE (68)

IL SACRO CUORE (68)

P. SECONDO FRANCO

SACRO CUORE DI GESÙ (5)

TORINO – Tipografia di Giulio Speirani e fligli – 1875

V° per delegazione di Mons. Arciv. Torino, 1 maggio 1875, Can. Ferdinando Zanotti.

Cuore di Gesù, delizia di Maria.

Maria è detta da S. Chiesa, per molte ragioni, Madre del bello amore. Infatti chi meglio di Lei seppe dove collocare il suo Cuore, chi amò Gesù con maggior fervore? Chi sa ispirarlo anche agli altri sia coll’esempio, sia coll’intercessione più di Maria? Che però i Santi che aspirano all’amore di Gesù si volgono di preferenza a Lei per impetrarlo. Sarebbe però buono il sapere come Ella si accendesse di tanta fiamma, come la disfogasse. Lasciando stare le varie fonti da cui lo trasse, non temo di affermare che nel Cuore di Gesù Cristo principalmente le avvivasse, poiché di quel dolcissimo Cuore: 1° niuno meglio ne conobbe i segreti; 2° niuno sopra di lei ne sperimentò la dolcezza; niuno più di Lei gli si rese conforme.

I. Niuno meglio di Maria ne conobbe i segreti. Il cuore umano è sempre difficile a conoscere, poiché si avvolge per ordinario in tanti seni e nascondigli che sfuggono ad ogni investigazione. Ma quello di Gesù non per questa ragione è investigabile, si per la profondità dei tesori che accoglie e per la dignità a cui è innalzato. Chi però lo conobbe meglio e più da vicino della Vergine madre? Essa trattò con Gesù lunghi anni alla dimestica ed ebbe campo a penetrarne sempre più gli ineffabili segreti. L’Apostolo S. Giovanni s’innalzò come aquila sopra gli altri Evangelisti nella cognizione di Gesù, siccome è noto. Ora i Padri di S. Chiesa recano quella stupenda cognizione al posare che egli fece il capo sul Cuore SS. di Gesù nell’ultima cena, ed ai misteri dei quali fu allora messo a parte. Ma deh! che cosa è quel favore del quale fu egli degnato, rispetto a quello che per tanti anni godè la SS. Vergine? Ella strinse migliaia di volte il Cuore SS. di Gesù sopra del suo Cuore, allora che lo abbracciava, allora che lo vestiva, allora che lo addormentava sul suo petto immacolato. Ebbe dunque un vasto campo a ritrarne cognizioni sempre più intime e più sublimi. Molto più che ben più vasta era la disposizione che aveva la Vergine per favori così soprumani. S. Giovanni era l’Apostolo prediletto, Maria era la Madre di predilezione: e di tanto Gesù prediligeva questa, quanto era stata a più alta dignità sollevata. La cognizione di Dio si attinge, dice la Sapienza, in proporzione della parità del cuore. A questo dire come niuna pura creatura ebbe mai purezza maggiore di Maria, così niuna fu mai meglio disposta alle celesti comunicazioni. – Non è dunque immaginazione il dire che la Vergine dal contatto continuo con Gesù penetrasse le ragioni profonde della divina Incarnazione, i misteri che in Lei si erano compiuti, quelli di Gesù che dovevano ancora compiersi, che la sua mente fosse già fin d’allora quel che la Chiesa ebbe poi a cantare di Lei, sede della sapienza. Accostiamoci a somiglianza di Maria al buon Cuore di Gesù e non ci fallirà luce sì preziosa. Accedite ad eum et illuminamini. (Ps. 33, 6).

II. Niuno più di Maria ne sperimentò la dolcezza. Senonché più che la sapienza ancora è pregevole l’amore, mentre quella ci dà a conoscere Iddio, questo a Lui ci congiunge. E questa è un’altra ampia fonte delle delizie che ebbe Maria nel Cuore Sacratissimo di Gesù Cristo. Imperocché questo fu per Lei una sorgente inesausta di santo amore. Dal momento in cui Maria ebbe concepito nel seno il Figliuolo di Dio sino all’ultimo istante in cui l’ebbe già morto sopra le braccia, quale dovette essere la sua vita? Gesù saettava il Cuore dolcissimo di Maria: Maria ricambiava quelle saette con altrettanti strati di amore. Gesù ancora nel seno verginale di Maria santificava il Battista; come sarà stata santificata Essa medesima da Gesù? I cari anni dell’infanzia, della puerizia di Gesù, non poterono essere altro per Maria che una sequela non interrotta di atti di amore. La natura, la grazia concorrevano ugualmente a stimolare il suo Cuore. Essa sel vedeva bambino, fanciullo, giovinetto dintorno, sel vedeva pieno di grazie e di verità: dalla contemplazione dell’esterno passando all’interiore, sotto quella forma riconosceva il suo Dio e le sue divine bellezze. Quali atti intensi di amore nel Cuore della Vergine? L’amore che unisce coll’amore che trasforma, l’amore di preferenza coll’amore di tenerezza, l’amor di compassione coll’amor che rallegra dovevano tutti confondersi nel suo Cuore e tutti versarsi in quello di Gesù Cristo. E di rincontro Gesù che da un cuore così puro, così ardente, si vedeva amato tanto focosamente, come doveva di ognuno di quegli atti dargliene il compenso, che solo essa bramava, in sempre nuovi accrescimenti di carità! Dagli occhi, dalle parole, dai gesti, dai sospiri, da tutto sé Gesù le palesava quel Cuore dolce, benigno, riconoscente, amoroso che è tutto suo proprio, e Maria in quello si riposava, si deliziava, saggiando anticipatamente le delizie del cielo. Oh anima devota, ecco come si giunge a godere di Gesù Cristo. Collo stargli intorno incessantemente, col rendergli tutti i servigi immaginabili ad imitazione di Maria, col ferirlo senza posa con istrali di amore.

III. Niuno più, di Maria gli si rese conforme. Ma non si contentò Maria di godere le delizie di Gesù Cristo. Il Figliuolo suo era venuto Maestro del mondo, e prima che dirozzasse le genti colle parole già le ammaestrava cogli esempi. Egli voleva cambiare lo stato dell’universo, ma per cambiarlo utilmente voleva cambiare i cuori. Perocché come tutti i vizi han radice nel cuore, come tutte le virtù hanno nel cuore il loro principio, cosi risanato questo, è risanato il mondo. Che cosa fece adunque? Mostrò il suo, lo diede a conoscere: perché a quello come sopra esemplare divino si conformassero. La Vergine benedetta per alta sua ventura non ebbe piaghe da risanare, ma potè accrescere sempre più le perfezioni del Cuore suo e fu alla scuola di Gesù che rese il suo così conforme al Cuore divino che ne rimase alla Chiesa per sempre lo specchio più fedele. Né è difficile il concepire come ciò avvenisse. Tutto in Gesù palesava i sentimenti suoi interiori. Col solo entrare nel mondo dava a conoscere quel che Egli stimasse i beni della terra, gli onori, le grandezze dietro a cui vanne perduti i miseri mortali; colla grotta scelta alla sua nascita diè a conoscere qual bene fosse l’umiltà, la povertà, l’annientamento. In tutta la sua infanzia e gioventù mostrò di qual pregio fosse la fatica, la soggezione, il compimento dei voleri divini. Tutti questi gran fatti svelavano la tendenza, la virtù, l’amore del Cuor divino. Or Maria non poté non contemplare a lungo tutti questi esempli, e nel suo cuore così ben disposto non sentirne tutto il valore e non ricopiarli con ogni fedeltà, discepola e Madre nello stesso tempo. Più tardi Gesù messosi ad annunziare la verità per cui era venuto al mondo.. ebbe discepoli ed ascoltatori: ma niuno più fedele di Maria. Gesù disvelò allora tutte le ricchezze del suo Cuore sacrosanto. Mostrò qual fosse verso del Padre, quanto riverente, quanto acceso, quanto infiammato di zelo, e mostrò qual fosse la carità del suo Cuore verso degli uomini, ammaestrandoli senza posa e dando poi per loro la vita. Mostrò qual fosse il disprezzo di se medesimo nella scelta che fece di tormenti così aspri, di agonie sì lunghe, di morte sì amara. E Maria da quella dottrina riconfortata conformò il suo Cuore a quello di Gesù così fattamente che congiuntasi a Lui pienamente di affetto, volle essergli compagna nella umiliazione del Calvario, negli insulti della crocifissione e se non poté nel corpo essere confitta insieme con Lui sulla Croce, volle per la gloria divina e per la nostra salute con piena conformità di volere e di affetto tutte nel suo Cuore risentire le pene del suo caro Gesù. Maggior conformità di questa, niuno mai ebbe con Gesù: e forse anche per questa la pietà cristiana trovò che a Maria compete pressoché un diritto sul Cuor divino, che espresse col chiamarla la Madonna del S. Cuore, quasi volendo significare che avendolo si intimamente conosciuto, tanto accarezzato, tanto imitato, si è come acquistato un diritto ad introdurvi le anime che ne la supplicano. Oh Vergine benedetta, come dispensiera che siete di tutte le grazie, non ci negate questa d’introdurci nel Cuore divino, ché ci varrebbe per tutte le altre.

G1ac. Maria, Mater Iesu, ora pro nobis.


Cuore di Gesù, Cuore di un Dio.


Dopo di aver considerato quel che sia in se medesimo il Cuore SS. di Gesù, passiamo a considerare gli uffici che per mezzo del suo Cuore Gesù esercita verso di noi i quali tanti sono quante sono le necessità de’ fedeli a cui provvedere: e queste sono le misericordie onde ci solleva e ci arricchisce. Quindi per non andare in infinito quelli accenneremo che nella divina Scrittura sono più solenni ed a cui possono agevolmente richiamarsi gli altri. Il primo però che tutti gli accoglie, è che il Cuore di Gesù, essendo il Cuore del divin Verbo incarnato, è il Cuore di Dio e quindi a sua gloria ed a nostro vantaggio può disporre della potenza di Dio, della sapienza di Dio, della divina bontà. Fate di comprenderle alquanto che penetrerete così la ricchezza inesausta del Cuor divino.
I. Potenza. Il cuore di Gesù dispone di tutta la potenza di cui è ricco il Verbo divino a cui è unito sostanzialmente.-Fin dove si stenderà adunque la sua efficacia? Non ne cercate i limiti perchè non li troverete. Consolatevi solo in questo: che esso si stende a tutti gl’immaginabili effetti a cui si stende il suo ineffabile amore. Come in passato si distese all’opera immensa della Redenzione dell’uomo pagando alla giustizia divina con ogni rigore tutti i debiti da noi contratti, come ci meritò la grazia e la gloria la quale di sua natura è un bene infinito, così può stendersi a qualsivoglia sorta di applicazione che Egli ce ne voglia fare, per quanto essa possa parere smisurata. Può salvare gli uomini anche più perduti e non solo salvarli, ma condurli ad un’eroica santità, come fece di Paolo cambiandolo di persecutore in Apostolo. Può ritrarci di mezzo alle più gravi tribolazioni e metterci d’improvviso in seno alla pace ed alla gioia più serena, come ha fatto tante volte colle Terese colle Margarite ed altre anime innumerevoli. – Può renderci insensibili, anzi farci giubilare in mezzo alle carneficine più spietate come tante volte ha fatto coi santi suoi martiri. Può sostenere anime deboli, fiacche, incostanti, leggere nei più ardui e lunghi sacrifici: perocché è il Cuore del Dio della potenza, della forza, della virtù. Né vi ha ostacolo che dinanzi a Lui non ceda. Non vale a strappare da Gesù le anime il demonio colle sue suggestioni più fiere ed ostinate, non vale la carne colle sue più lubriche seduzioni, non vale il mondo colle sue minacce più spaventose, coi terrori de’ suoi tormenti, nè colle lusinghe delle sue promesse e de’ suoi favori. – Gesù ha forza per vincere tutto con facilità, con coraggio, con perseveranza sino alla fine. Qual giubilo per un’anima che si rifugga in quel Cuore: essere assicurato che niuna forza lo può espugnare, niuna insidia lo può sorprendere perché sta nel Cuore d’un Dio onnipotente!
Il. Sapienza. Nè quella potenza infinita si trova punto all’oscuro di quello che ha da fare: perocchè è rischiarata da una infinita sapienza; Il Cuore di Gesù, non sarà mai abbastanza meditato, è il Cuore del Verbo: è quel Cuore in Cui sono riposti, secondo l’Apostolo, omnes thesauri scientiae et sapientiae, e ne dispone i tesori. Quali sieno poi le ricchezze che Egli possiede per ragione della divinità, non è possibile lo spiegarlo. Coi Teologi balbettando noi diciamo che ci conosce non solo tutte le cose che ha creato in tutte le loro essenze ed immaginabili relazioni, tutti i pensieri, tutti i moti liberi delle creature umane ed angeliche, ma tutti i possibili che sono per ogni parte incomprensibili a menti create e tutte queste cose con un guardo semplice e tranquillo tutte le ha sempre presenti: ma oltre Ciò la divinità ha comunicato alla natura umana di Gesù Cristo fino dal primo momento dell’Incarnazione la visione beatifica, per cui nel Verbo ci conosceva intimamente tutto quello che alla grande opera per cui era venuto si apparteneva. Le ha comunicata la scienza infusa ed in quell’altissimo grado che conveniva ad un’anima degnata della congiunzione ipostatica col Verbo: la scienza acquisita che corrispondeva alla grandezza della perfezione in cui la sua anima fu creata. – Di che quel Cuore sacrosanto è vissuto sempre in una luce si sfolgorata, che la luce delle più eccelse Gerarchie degli Angeli sono tenebre al paragone. Per ciò egli conosce a nostro riguardo tutte le vie per cui è possibile la nostra salute, tutte le condizioni che a quella son necessarie, vede tutti i mezzi per promuoverla con ogni efficacia, conosce tutte le vie per rassicurarci contro ogni pericolo, ha manifeste le strade per ritrarci da qualsivoglia estremo di mali in cui per circostanze estrinseche, per insidie diaboliche, per debolezza naturale, per malizia umana ed infernale, possiamo cadere. Epperò solo che il voglia, ci può assicurare la mia salute, né vi è ora, o momento in cui Egli non valga a provvedere a’ miei mali. Oh sapienza di Gesù che può compensare tutta la mia ignoranza, che può confortare tutti i miei dubbi, rischiarare tutti i miei errori, riparare tutte le mie cadute, oh sapienza infinita voi mi date piena fiducia perché io al tutto mi riposi in voi.

III. Bontà. Resta solo a sapere se Gesù vorrà impiegare la sua potenza, la sua sapienza a mio vantaggio: ma il suo Cuore divino oltre l’una e l’altra, dispone
eziandio di un’infinita bontà. Ora che cosa è la bontà? Bontà si dice quella cui tutti appetiscono: e che di sua natura tende a diffondersi e comunicarsi. Iddio essendo bontà infinita è da tutti gli esseri ricercato, benché molti esseri razionali noi cerchino debitamente, e tende a diffondersi senza limiti. Parlando solo della diffusione libera che fa Iddio fuori di sè, essa si è comunicata in tre grandi ordini, nell’ordine della natura, in quello della grazia e finalmente in quello della gloria, comunicazioni e diffusioni che hanno svariatissimi gradi, siccome è noto. Ora di tutte queste comunicazioni il segreto è riposto nel divin Cuore. Non solo perché esso è il Cuore del Verbo, il Cuore di Dio, ché questa ragione basterebbe per tutto: ma eziandio per ragioni più particolari a Gesù. I beni della natura essendo anch’essi mezzo per la salute eterna degli uomini non possono non dipendere anch’essi da Gesù che è il capo di tutti i predestinati. Quindi anche la povertà e la ricchezza, la grandezza e l’abbiezione dello stato, gli onori e le umiliazioni, le infermità e la sanità, la vita e la morte sono nelle sue mani. Molto più poi dipendono da lui tutti i beni della grazia, imperócché essi sono meriti del suo sangue, frutti della Redenzione. da sè fatta, ed Egli fu costituito capo degli uomini, come loro Redentore e loro Salvatore, acciocché distribuisca secondo la sua sapienza tutti i doni di grazia ed alla grazia appartenenti. Di che Egli ha in mano tutti gli aiuti che preparano la grazia abituale, tutti quelli che ne promuovono l’accrescimento e la conservazione, tutti quelli che servono alla perseveranza finale. Finalmente Egli ha in sua mano l’introdurre gli uomini nel regno della beatitudine, distribuire loro i seggi in quella patria dei sempre viventi, ed inghirlandarli dell’immarcescibile corona di gloria che dovrà durare perpetuamente. Quale sorgente inesauribile di bontà è racchiusa in quel Cuore! Ma anche quale speranza per chiunque aspiri a riportarne quelle grazie! Imperocchè essendo esse a disposizione di un Cuore che tanto ci ama, che ci ha dato tante prove di amore, chi sarà che non si faccia ardito a sperarle? In breve noi siamo certi di queste verità che il buon Cuore di Gesù tutti conosce i nostri bisogni ed i nostri mali, che ha potere che si stende ad ogni sorta di soccorso e rimedio, che ha bontà per volere tutto quello che noi gli chiederemo. Ecco le fonti della nostra fiducia nel Cuore SS. di Gesù. Sarà possibile non ammirare una volta la grandezza smisurata del divin Cuore e non gettarsi in Lui con pietna fiducia?

GIAC. Cor Iesu Filii Dei miserere nobis.

OSSEQUIO. Riponete con un atto di viva speranza la vostra salvezza nel Cuore di Gesù.

CALENDARIO LITURGICO DELLA CHIESA CATTOLICA DEL MESE DI SETTEMBRE 2023

CALENDARIO LITURGICO DELLA CHIESA CATTOLICE DEL MESE DI: SETTEMBRE 2023

Settembre è il mese che la Chiesa Cattolica dedica alla Santa Croce ed alla Vergine Addolorata. Mese mariano pèer eccellenza si festeggiano altre due ricorrenze mariane – la nascita della Vergine, il Nome della Vergine, la Madonna della Mercede – la festa di S., Michele Arcangelo, dell’Apostolo s. Matteo. Dopo la festa della Croce abbiamo la Quatempora di autunno.

… i veri fedeli formano un solo corpo con Gesù Cristo; e questa unione è cominciata sul Calvario. Come Gesù Cristo è Figlio di Maria, cosi i fedeli a Lui uniti sono divenuti sul Calvario in Lui e con Lui anche di Maria figliuoli. I Giudei e gli eretici non intendono questo mistero, e quanto sono perciò infelici. Vantaggio di noi Cattolici, che, essendo nella vera Chiesa, soli abbiamo Maria per nostra vera Madre.

… al medesimo modo, sebbene Maria per la sua cooperazione alla redenzione, alla nascita spirituale di tutti, come vedremo, sia divenuta di tutti la Madre, come Gesù Cristo è il redentore di tutti: pure in fatto essa non è realmente Madre se non di coloro di cui Iddio è il vero Padre, e Gesù Cristo il vero Maestro e fratello; cioè a dire dei veri Cattolici, di quelli che con Gesù Cristo compongono il Corpo di cui Egli è il capo, cioè la Chiesa. – Questa verità appunto, tanto preziosa quanto consolante per noi che abbiamo la sorte di appartenere a questa Chiesa, Gesù Cristo ha voluto rammentarci coll’avere detto a Maria, additando Giovanni: Ecco IL VOSTRO FIGLIO, Ecce filius tuus, perché, come abbiamo di sopra osservato, è stato come se avesse dichiarato che in fatto solo coloro, sarebbero i veri figli di Maria ai quali converrebbero i caratteri distintivi di S. Giovanni, che sono quelli dì essere il discepolo fedele di Gesù e l’oggetto del suo tenero amore: Discipulus quem, diligebat Jesus.

… ecco il vostro figlio; e non già: Eccovi in Giovanni un altro figlio, fu lo stesso che dire: Questi è Gesù, di cui Voi siete la Madre: imperciocché chiunque è perfetto non vive altrimenti esso più in sé stesso, ma è Gesù Cristo che vive in lui … Queste parole sono profonde: ma esse sono di una ammirabile esattezza teologica: giacché sono appoggiate ad una verità che è il fondamento della vera fede, e che S. Paolo non ha cessato di spiegare, d’inculcare, di ripetere nelle sublimi sue lettere, cioè a dire che tutti i veri fedeli, tutte le membra della vera Chiesa, non formano con Gesù Cristo che una medesima cosa, un medesimo tutto, un medesimo corpo, un solo e medesimo figliuolo.

Perciò come Gesù Cristo è Figlio di Dio, oggetto della sua tenerezza, ed erede della sua gloria: noi ancora, subito che siamo a Gesù Cristo incorporati e formiamo una cosa istessa con Lui, diventiamo per questo, solo, in Gesù Cristo e con Gesù Cristo, figli di Dio, oggetti delle tenerezze di Dio, eredi della gloria di Dio. Sicché come separati da Gesù Cristo non abbiamo nulla, non meritiamo nulla, non siamo nulla: così, uniti a Lui, in Lui e con Lui abbiamo tutto, meritiamo tutto e siamo tutto quello che è Egli stesso: In quo omnia. – Or siccome Gesù Cristo è ancora vero Figlio di Maria; così, nell’incorporarci a Lui per mezzo dei sacramenti, nel divenire una stessa cosa con Lui, come appunto l’innesto, secondo S. Paolo, diviene una cosa medesima coll’albero in cui è messo: diveniamo altresì figli di Maria a quel medesimo modo e per quella ragione medesima onde dopo questa unione diveniamo figli di Dio, perché Gesù Cristo di Dio è Figliuolo: Ma questa nostra figliolanza da Dio e da Maria siccome è l’effetto della nostra unione con Gesù Cristo, e non l’otteniamo che in Lui e con Lui: così non formiamo con Lui ed in Lui che un figlio solo di Dio, un figlio solo di Maria, perché in Lui e con Lui formiamo un solo tutto, un solo composto mistico, un solo corpo.

(GIOACCHINO VENTURA: LA MADRE DI DIO, ovvero SPIEGAZIONE DEL MISTERO DELLA SS. VERGINE A PIE’ DELLA CROCE; GENOVA, Presso D. G. ROSSI 1852)

-381-

Fidelibus, qui mense septembri preces vel alia pietatis obsequia B. M. V. Perdolenti devote præstiterint, conceditur:

[A chi durante il mese di settembre, devotamente pregherà o compirà un esercizio di ossequio e pietà alla B. M. V. si concede]:

Indulgentia quinque annorum semel, quolibet mensis die;

Indulgentia plenaria suetis conditionibus, dummodo eidem pio exercitio quotidie per integrum mensem vacaverint

(Breve Ap., 3 apr. 1857; S. C . Indulg., 26 nov. 1876 et 27 ian. 1888; S. Pæn. Ap., 12 nov. 1936).

-382-

Fidelibus, qualibet ex septem feriis sextis utrumque festum B. M. V. Perdolentis immediate antecedentibus, si ad honorem eiusdem Virginis Perdolentis septies Pater, Ave et Gloria recitaverint, conceditur:

[Ai fedeli che per sette venerdì antecedenti la festa della BMV Addolorata, in onore della Vergine Addolorata reciteranno sette Pater, Maria, Gloria, si concede:]:

Indulgentia septem annorum;

Indulgentia plenaria suetis conditionibus (Breve Ap., 22 mart. 1918; S. Pæn. Ap., 18 mart. 1932).

Stabat Mater dolorosa

Juxta crucem lacrimosa,

Dum pendebat Filius;

Cujus animam gementem,

Contristatam et dolentem

Pertransivit gladius.

O quam tristis et afflicta

Fuit illa benedicta

Mater Unigeniti

Quæ mœrebat et dolebat

Pia Mater dum videbat

Nati pœnas inclyti.

Quis est homo qui non fleret

Matrem Christi si videret

In tanto supplicio?

Quis non posset contristari

Christi Matrem contemplari

Dolentem cum Filio?

Pro peccatis sum gentis

Vidit Jesum in tormentis

Et flagellis subditum,

Vidit suum dulcem Natum

Moriendo desolatum,

Dum emisit spiritum.

Eia Mater, fons amoris,

Me sentire vim doloris,

Fac ut tecum lugeam.

Fac ut ardeat cor meum

In amando Christum Deum,

Ut sibi complaceam.

Sancta Mater, istud agas,

Crucìfixi fige plagas

Cordi meo valide.

Tui Nati vulnerati

Tam dignati prò me pati,

Pœnas mecum divide.

Fac me tecum pie flere:

Crucifixo condolere,

Donec ego vixero.

Juxta crucem tecum stare,

Et me Tibi sociare

In planctu desidero.

Virgo virginum præclara

Mihi jam non sis amara;

Fac me tecum plangere.

Fac ut portem Christi mortem;

Passionis fac consortem,

Et plagas recolere

Fac me plagis vulnerari,

Fac me Cruce inebriari

Et cruore Filii

Flammis ne urar succensus,

Per te, Virgo, sim defensus

In die Judicii.

Christi, cum sit hinc exire

Da per Matrem me venire

Ad palmam victoriæ.

Quando corpus morietur,

Fac ut anima donetur

Paradisi gloria. Amen.

Indulgentia septem annorum.

~Indulgentia plenaria suetis conditionibus, sequentia quotidie per integrum mensem devote reperita

(S. C. Indulg., 18 iun. 1876; S. Pæn. Ap., 1 aug. 1934).

Festa della Natività della Beata Vergine Maria: 8 settembre 2016

Novena a Maria Bambina

Santa Maria Bambina della casa reale di David, Regina degli Angeli, Madre di grazia e di amore, vi saluto con tutto il mio cuore. Ottenete per me la grazia di amare il Signore fedelmente durante tutti i giorni della mia vita. Ottenete per me una grandissima devozione a Voi, che siete la prima creatura dell’amore di Dio.

Ave Maria,…

O celeste Maria Bambina, che come una colomba pura, nasce immacolata e bella, vero prodigio della saggezza di Dio, la mia anima gioisce in Voi. Oh! Aiutatemi a preservare nell’Angelica virtù di purezza a costo di qualsiasi sacrificio.

Ave Maria,…

Beata, incantevole e Santa Bambina, giardino spirituale di delizia, dove il giorno dell’incarnazione è stato piantato l’albero della vita, aiutatemi ad evitare il frutto velenoso della vanità ed i piaceri del mondo. Aiutatemi a far attecchire nella mia anima i pensieri, i sentimenti e le virtù del vostro Figlio divino.

Ave Maria,…

Vi saluto, Maria Bambina ammirevole, rosa mistica, giardino chiuso, aperto solo allo Sposo celeste. O Giglio di paradiso, fatemi amare la vita umile e nascosta; lasciate che lo Sposo celeste trovi la porta del mio cuore sempre aperta alle chiamate amorevoli delle sue grazie ed ispirazioni.

Ave Maria,…

Santa Maria bambina, mistica Aurora, porta del cielo, Voi siete la mia fiducia e speranza. O potente avvocata, dalla vostra culla stendete la mano per sostenermi nel cammino della vita. Fate che io serva Dio con ardore e costanza fino alla morte e così possa giungere all’eternità con Voi.

Ave Maria,…

Preghiera:

Beata Maria bambina, destinata ad essere la Madre di Dio e la nostra tenera Madre, provvedetemi di grazie celesti, ascoltate misericordiosamente le mie suppliche. Nei bisogni che mi opprimono e soprattutto nelle mie presenti tribolazioni, ho riposto tutta la mia fiducia in Voi.

O Santa bambina, i privilegi che a Voi sola sono stati concessi dall’Altissimo, i meriti che avete acquistato, mostrano che la fonte dei favori spirituali ed i benefici continui che dispensate sono inesauribili, poiché il vostro potere presso il cuore di Dio è illimitato. – Degnatevi attraverso l’immensa profusione di grazie con cui l’Altissimo Vi ha arricchito fin dal primo momento della vostra Immacolata Concezione, di esaudire, o celeste Bambina, le nostre richieste e staremo eternamente a lodare la bontà del vostro Cuore Immacolato.

[IMPRIMATUR: In Curia Archiep. Mediolani – 31 agosto 1931

QUESTE sono le feste della liturgia cattolica del Settembre 2023

1 Settembre S. Ægidii Abbatis  Simplex

                   Commemoratio: Ss. Duodecim Fratrum Mártyrum

2 Settembre S. Stephani Hungariæ Regis Confessoris  Semiduplex m.t.v.

3 Settembre Dominica XIV Post Pentecoste I. Septemb. S.duplex Domin. minor I

                    S. Pii X Papæ Confessoris    Duplex

4 Settembre S. Laurentii Justiniani Episcopi et Confessoris  Semiduplex m.t.v.

8 Settembre In Nativitate Beatæ Mariæ Virginis  Duplex II. classis *L1*

                      Commemoratio: S. Hadriani, Martyris

10 Settembre Dominica XV Post Pentecosten II. Septem.  S.duplex Dom. minor

                  S. Nicolai de Tolentino Confessoris    Duplex

11 Settembre Ss. Proti et Hyacinthi Martyrum  Simplex

12 Settembre S. Nominis Beatæ Mariæ Virginis  Duplex majus

14 Settembre In Exaltatione Sanctæ Crucis  Duplex majus *L1*

15 Settembre Septem Dolorum Beatæ Mariæ Virginis  Duplex II. classis *L1*

                    Commemoratio: S. Nicomedis Martyris

16 Settembre Ss. Cornelii Papæ et Cypriani Episcopi, Martyrum  Semiduplex

                      Commemoratio: Ss. Euphemiæ, Luciæ et Geminiani Martyrum

17 Settembre Dominica XVI Post Pentecosten III. Septembris  Semiduplex Dominica minor *I*

                     Impressionis Stigmatum S. Francisci    Duplex

18 Settembre S. Josephi de Cupertino Confessoris  Duplex *L1*

19 Settembre S. Januarii Episcopi et Sociorum Martyrum  Duplex

20 Settembre Ss. Eustachii et Sociorum Martyrum  Duplex

                      Feria Quarta Quattuor Temporum Septembris    Feria major

21 Settembre S. Matthæi Apostoli et Evangelistæ  Duplex II. classis

22 Settembre S. Thomæ de Villanova Episcopi et Confessoris  Duplex m.t.v.

                  Feria Sexta Quattuor Temporum Septembris    Feria major

23 Settembre S. Lini Papæ et Martyris  Semiduplex

                     Sabbato Quattuor Temporum Septembris    Feria major

24 Settembre Dominica XVII Post Pentecosten IV. Septembris  Semiduplex Dominica minor *I*

                       Beatæ Mariæ Virginis de Mercede    Duplex majus

26 Settembre Ss. Cypriani et Justinæ Martyrum  Simplex

27 Settembre Ss. Cosmæ et Damiani Martyrum  Semiduplex

28 Settembre S. Wenceslai Ducis et Martyris  Semiduplex

29 Settembre In Dedicatione S. Michaëlis Archangelis  Duplex I. classis *L1*

30 Settembre S. Hieronymi Presbyteris Confessoris et Ecclesiæ Doctoris  Duplex *L1*

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA (39b)

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA DAGLI APOSTOLI A S.S. PIO XII (39b.)

HENRICUS DENZINGER

ET QUID FUNDITUS RETRACTAVIT AUXIT ORNAVIT

ADOLFUS SCHÖNMATZER S. J.

ENCHIRIDION SYMBOLORUM DEFINITIONUM ET DECLARATIONUM

De rebus fidei et morum

HERDER – ROMÆ – MCMLXXVI

Imprim.: Barcelona, José M. Guix, obispo auxiliar

(SAN PIO X – 1907 – 1914)

Decreto del Sant’Uffizio “Lamentabili”, 3 luglio 1907.

Errori dei modernisti

L’emancipazione dell’esegesi dal magistero della Chiesa

3401 1. La legge ecclesiastica che prescrive di sottoporre a censura preventiva i libri che trattano delle Sacre Scritture non si estende agli studiosi che fanno una critica scientifica o un’esegesi dei libri dell’Antico e del Nuovo Testamento.

3402 (2) L’interpretazione dei libri sacri da parte della Chiesa non è certo da disprezzare, ma è soggetta al giudizio e alla correzione più esatta degli esegeti.

3403 (3) Le sentenze e le censure ecclesiastiche contro l’esegesi libera e scientifica dimostrano che la fede proposta dalla Chiesa è in contraddizione con la storia e che i dogmi cattolici non sono realmente conciliabili con le origini più vere della religione cristiana.

3404 4 Il magistero della Chiesa non può decidere il significato autentico della Sacra Scrittura, nemmeno con definizioni dogmatiche.

3405 5 Poiché nel deposito della fede sono contenute solo verità rivelate, non spetta in alcun modo alla Chiesa giudicare le affermazioni delle discipline umane.

3406 (6) Nel definire le verità, la Chiesa insegnata e la Chiesa docente collaborano in modo tale che alla Chiesa docente non resta che sancire le concezioni comuni della Chiesa insegnata.

3407 (7) Quando la Chiesa proibisce gli errori, non può pretendere dai fedeli un assenso che li induca ad adottare la sentenza da essa emessa.

3408 (8) Coloro che ritengono prive di significato le condanne pronunciate dalla Sacra Congregazione dell’Indice o da altre Sacre Congregazioni Romane sono da considerarsi esenti da ogni colpa.

L’ispirazione o inerranza della Sacra Scrittura

3409 9. Coloro che credono che Dio sia veramente l’autore della Sacra Scrittura danno prova di eccessiva semplicità e ignoranza.

3410 10. L’ispirazione dei libri dell’Antico Testamento consiste nel fatto che gli scrittori di Israele hanno trasmesso le dottrine da un punto di vista che era poco o per nulla conosciuto dai pagani.

3411 11. L’ispirazione divina non si estende a tutta la Sacra Scrittura in modo tale da proteggere dall’errore ogni singola parte.

3412 12. Se l’esegeta vuole dedicarsi utilmente agli studi biblici, deve innanzitutto mettere da parte ogni opinione preconcetta sull’origine soprannaturale della Scrittura, e non interpretarla in modo diverso da altri documenti puramente umani.

3413 13. Le parabole evangeliche sono state organizzate ad arte dagli stessi evangelisti e dai cristiani di seconda e terza generazione, che hanno così potuto spiegare gli scarsi frutti della predicazione di Cristo agli ebrei.

3414 14. In molti casi, gli evangelisti non hanno riferito tanto ciò che è vero, quanto ciò che, pur essendo vero, non lo è.

false, che consideravano più redditizie per i loro lettori.

3415 15. I Vangeli furono arricchiti da continue aggiunte e correzioni fino alla costituzione definitiva del canone; da allora in poi rimase solo una traccia lieve e incerta della dottrina di Cristo.

3416 16. Le narrazioni di Giovanni non sono propriamente storia, ma contemplazione mistica del Vangelo; i discorsi contenuti in questo Vangelo sono meditazioni teologiche sul mistero della salvezza, prive di verità storica.

3417 17. Il Quarto Vangelo esagera i miracoli, non solo perché appaiano più straordinari, ma anche perché siano più capaci di significare l’opera e la gloria del Verbo incarnato.

3418 18. Giovanni afferma di essere stato il testimone di Cristo; in realtà, però, è solo un mirabile testimone della vita cristiana o della vita di Cristo nella Chiesa, alla fine del I secolo.

3419 19. Gli esegeti eterodossi hanno espresso il vero significato delle Scritture più fedelmente degli esegeti cattolici.

La concezione della Rivelazione e del dogma

3420 20. La Rivelazione non può essere altro che la presa di coscienza da parte dell’uomo della sua relazione con Dio.

3421 21. La Rivelazione, oggetto della fede cattolica, non è stata completata dagli apostoli.

3422 22. I dogmi che la Chiesa presenta come rivelati non sono verità cadute dal cielo, ma un’interpretazione di fatti religiosi a cui la mente umana è giunta con un laborioso sforzo.

3423 23. Ci può essere, e di fatto c’è stata, un’opposizione tra i fatti narrati nella Sacra Scrittura e i dogmi della Chiesa che si basano su di essi; così che i critici possono respingere come falsi fatti che la Chiesa ritiene molto certi.

3424 24. Non si può rimproverare all’esegeta di porre delle premesse da cui derivi che i dogmi sono storicamente falsi o dubbi, purché non neghi direttamente i dogmi stessi.

3425 25. L’assenso di fede si basa in ultima analisi su un insieme di probabilità.

3426 26. I dogmi di fede devono essere conservati solo in base al loro significato pratico, cioè come norma precettiva dell’azione, ma non come norma di fede.

3427 27. La divinità di Gesù Cristo non è dimostrata dai Vangeli, ma è un dogma che la coscienza cristiana ha dedotto dalla nozione di Messia.

3428 28. Gesù, quando esercitò il suo ministero, non parlò con l’intenzione di insegnare che era il Messia, e i suoi miracoli non avevano lo scopo di dimostrare che lo era.

3429 29. Il Cristo mostrato nella storia può essere considerato molto inferiore al Cristo oggetto della fede.

3430 30. In tutti i testi evangelici il termine “Figlio di Dio” è equivalente solo al termine “Messia”, ma non significa affatto che Cristo sia veramente e per natura il Figlio di Dio.

3431 31. La dottrina su Cristo data da Paolo, Giovanni e dai Concili di Nicea, Efeso e Calcedonia non è quella insegnata da Gesù, ma quella che la coscienza cristiana ha di Gesù.

3432 32. Il significato naturale dei testi evangelici non è conciliabile con ciò che i nostri teologi insegnano sulla coscienza e sulla conoscenza infallibile di Gesù Cristo.

3433 33. È evidente a chiunque non sia guidato da opinioni preconcette, sia che Gesù professò un errore sulla venuta del Messia, sia che la maggior parte della sua dottrina, contenuta nei Vangeli sinottici, è priva di autenticità.

3434 34. I critici non possono attribuire a Cristo una conoscenza assolutamente illimitata, a meno che non facciano una distinzione tra le due cose.

l’ipotesi, difficile da concepire storicamente e contraria al senso morale, che Cristo come uomo possedesse la conoscenza di Dio e che, tuttavia, non volesse comunicare la conoscenza di tante cose ai suoi discepoli e ai suoi posteri.

3435 35. Cristo non fu sempre consapevole della sua dignità messianica.

3436 36. La risurrezione del Salvatore non è propriamente un fatto di ordine storico, ma un fatto di ordine puramente soprannaturale, non dimostrato né dimostrabile, che la coscienza cristiana ha gradualmente derivato da altri dati.

3437 37. All’inizio, la fede nella risurrezione di Cristo non aveva tanto a che fare con il fatto della risurrezione stessa, quanto con la vita immortale di Cristo presso Dio.

3438 38. La dottrina della morte espiatoria di Cristo non è evangelica ma solo paolina.

I sacramenti.

3439 39. Le concezioni sull’origine dei sacramenti di cui erano impregnati i padri del Concilio di Trento, e che indubbiamente hanno influito sui loro canoni dogmatici, sono molto lontane da quelle che oggi sono giustamente sostenute da coloro che si dedicano alla ricerca storica sul cristianesimo.

3440 40. I sacramenti hanno avuto origine dal fatto che gli apostoli e i loro successori hanno interpretato un’idea e un’intenzione di Cristo sotto lo stimolo e l’impulso delle circostanze e degli eventi.

3441 41. I sacramenti hanno il solo scopo di ricordare alla mente degli uomini la presenza sempre benefica del Creatore.

3442 42. La comunità cristiana ha introdotto la necessità del Battesimo, adottandolo come rito necessario e associandovi gli obblighi della professione cristiana.

3443 43. La pratica di conferire il battesimo ai bambini è uno sviluppo disciplinare ed è una delle ragioni per cui il sacramento è stato diviso in due: battesimo e penitenza.

3444 44. Non c’è alcuna prova che il rito del sacramento della confermazione fosse usato dagli apostoli: la distinzione formale tra i due sacramenti, battesimo e confermazione, non appartiene affatto alla storia del cristianesimo primitivo.

3445 45. Non tutto ciò che Paolo racconta dell’istituzione dell’Eucaristia in 1 Cor 11, 23-25 deve essere inteso storicamente.

3446 46. Il concetto di peccatore riconciliato dall’autorità della Chiesa non esisteva nella Chiesa primitiva, ma la Chiesa si è abituata a questo concetto solo molto lentamente. Inoltre, anche dopo che la penitenza fu riconosciuta come istituzione della Chiesa, non fu chiamata sacramento, perché avrebbe dovuto essere considerata un sacramento infame.

3447 47. Le parole del Signore: “Ricevete lo Spirito Santo e se rimetterete i peccati, vi saranno rimessi; se invece li riterrete, vi saranno rimessi” (Gv 20, 22-23) non si riferiscono in alcun modo al sacramento della penitenza, nonostante quanto si siano compiaciuti di affermare i Padri di Trento.

3448 48. Giacomo, nell’epistola Giacomo 5,14-15 , non intende promulgare un sacramento di Cristo, ma raccomandare una pia consuetudine, e se per caso vede in questa consuetudine un mezzo di grazia, non lo intende con il rigore dei teologi che hanno fissato la nozione e il numero dei sacramenti.

3449 49. Quando la Cena del Signore cristiana assunse gradualmente il carattere di azione liturgica, coloro che erano abituati a presiederla acquisirono un carattere sacerdotale.

3450 50. Gli anziani, che avevano il compito di vegliare sulle assemblee dei cristiani, furono istituiti sacerdoti e vescovi dagli apostoli per garantire l’ordine reso necessario dalla crescita delle comunità, ma non per perpetuare in senso stretto la missione e il potere degli apostoli.

3451 51. Il matrimonio poteva diventare un sacramento della nuova legge solo tardivamente; perché il matrimonio fosse considerato un sacramento, doveva essere preceduto dal pieno sviluppo della dottrina della grazia e dei sacramenti.

La Costituzione della Chiesa

3452 52. Cristo era ben lontano dal pensare di costituire la Chiesa come una società destinata a durare per una lunga serie di secoli; al contrario, nella mente di Cristo il Regno dei cieli doveva arrivare presto, contemporaneamente alla fine del mondo.

3453 53. La costituzione organica della Chiesa non è immutabile, ma la società cristiana è soggetta a una perpetua evoluzione, proprio come la società umana.

3454 54. I dogmi, i sacramenti e la gerarchia, sia nella loro concezione che nella loro realtà, non sono che interpretazioni e sviluppi del pensiero cristiano che hanno sviluppato e perfezionato un piccolo germe nascosto nel Vangelo.

3455 55. Simon Pietro non sospettò mai che il primato nella Chiesa fosse stato affidato a lui.

3456 56. La Chiesa romana è diventata il capo di tutte le Chiese non per disposizione della Divina Provvidenza, ma per circostanze puramente politiche.

3457 57. La Chiesa è ostile al progresso delle scienze naturali e teologiche.

Il carattere immutabile delle verità religiose.

3458 58. La verità non è più immutabile dell’uomo stesso, poiché si sviluppa con lui, in lui e attraverso di lui.

3459 59. Cristo non ha insegnato un corpo definito di dottrina applicabile a tutti i tempi e a tutti gli uomini, ma ha dato inizio a un movimento religioso adatto o da adattare a diversi tempi e luoghi.

3460 60. La dottrina cristiana ai suoi inizi era ebraica, ma per successive evoluzioni divenne prima paolina, poi giovannea e infine ellenica e universale.

3461 61. Si può dire senza paradosso che nessun capitolo della Scrittura, dal primo capitolo della Genesi all’ultimo dell’Apocalisse, contiene una dottrina veramente identica a quella presentata dalla Chiesa sullo stesso argomento, e che per questo nessun capitolo della Scrittura ha lo stesso significato per il critico e per il teologo.

cristiani lo stesso significato che hanno per i cristiani di oggi.

3463 63. La Chiesa si dimostra incapace di difendere efficacemente la morale evangelica, perché è ostinatamente attaccata a dottrine immutabili che non possono essere conciliate con il progresso contemporaneo.

3464 64. Il progresso delle scienze richiede una riforma dei concetti della dottrina cristiana su Dio, la Creazione, la Rivelazione, la persona del Verbo incarnato e la Redenzione.

3465 65. Il cattolicesimo di oggi non può fare i conti con la vera scienza se non si trasforma in un cristianesimo non dogmatico, cioè in un protestantesimo ampio e liberale.

3466 66. Censura del Sommo Pontefice: “Sua Santità ha approvato e confermato il decreto degli eminenti padri, e ha ordinato che ognuna delle proposizioni sopra riportate sia ritenuta da tutti riprovevole e proscritta”.

Decreto della Sacra Congregazione del Concilio “Ne temere“, 2 agosto

1907.

Promessa di matrimonio e matrimonio

3468. Fidanzamento. I. È considerato valido e ha effetti canonici solo il fidanzamento contratto con atto scritto e firmato dalle parti e dal parroco o dall’Ordinario del luogo, oppure da almeno due testimoni. …

3469. Matrimonio. III. Sono validi solo i matrimoni contratti davanti al parroco o all’Ordinario del luogo, o a un sacerdote da essi delegato, e davanti ad almeno due testimoni. …

3470 VII. Quando c’è pericolo di morte e non è possibile che il parroco o l’Ordinario del luogo, o un sacerdote delegato da uno di loro, pacifichi la coscienza o, se necessario, legittimi i figli, il matrimonio può essere validamente e lecitamente contratto davanti a qualsiasi sacerdote del luogo o a un sacerdote da essi delegato

3471 VIII. Se in una regione non è possibile avere il parroco o l’Ordinario del luogo o un sacerdote da loro delegato davanti al quale celebrare il matrimonio, e questo stato di cose dura già da un mese, il matrimonio può essere validamente e lecitamente contratto se il consenso è formalmente dato dagli sposi davanti a due testimoni.

3472. XI – Par. 1. Le leggi precedenti vincolano tutti i battezzati nella Chiesa cattolica e i convertiti ad essa dall’eresia o dallo scisma (anche se successivamente l’hanno abbandonata) ogni volta che contraggono tra loro il fidanzamento o il matrimonio.

3473. Par. 2: Si applicano anche agli stessi cattolici di cui sopra se contraggono un fidanzamento o un matrimonio con non cattolici, battezzati o meno, anche dopo aver ottenuto la dispensa dall’impedimento della mescolanza di religione o della disparità di culto; a meno che per un determinato luogo o regione la Santa Sede non abbia stabilito diversamente.

3474. Par. 3 Se gli acattolici, battezzati o meno, stipulano un contratto tra di loro, non sono tenuti in nessun luogo a osservare la forma cattolica del fidanzamento e del matrimonio.

Lettera Enciclica “Pascendi dominici gregis”, 8 settembre 1907.

Dz 2071 Poiché è un artificio molto abile da parte dei modernisti (poiché essi sono giustamente chiamati così in generale) quello di non esporre le loro dottrine ordinate e raccolte insieme, ma come se fossero sparse e separate l’una dall’altra, in modo da sembrare molto vaghe e, per così dire, sconclusionate, Sebbene al contrario siano forti e costanti, è bene, venerabili fratelli, presentare prima queste stesse dottrine in un’unica visione e mostrare il nesso con cui si fondono l’una con l’altra, in modo da poter poi esaminare le cause degli errori e prescrivere i rimedi per rimuovere la calamità. . . . Ma, affinché si possa procedere con ordine in un argomento piuttosto astruso, occorre notare innanzitutto che ogni modernista svolge diversi ruoli e, per così dire, mescola in sé: (1) il filosofo, (11) il credente, (111) il teologo, (IV) lo storico, (V) il critico, (Vl) l’apologeta, (VII) il riformatore. Tutti questi ruoli deve distinguerli uno per uno, chi vuole capire bene il loro sistema e discernere gli antecedenti e le conseguenze delle loro dottrine.

3475. Dz 2072 [I] Ora, per cominciare dal filosofo, i modernisti pongono il fondamento della loro filosofia religiosa in quella dottrina che viene comunemente chiamata agnosticismo. Per forza di cose, dunque, la ragione umana è interamente limitata ai fenomeni, cioè alle cose che appaiono e all’apparenza con cui appaiono; non ha né il diritto né il potere di oltrepassare i limiti della stessa. Pertanto, non può elevarsi a Dio né riconoscere la sua esistenza, nemmeno attraverso le cose che si vedono. Da ciò si deduce che Dio non può in alcun modo essere direttamente oggetto di scienza e che, per quanto riguarda la storia, non deve essere considerato un soggetto storico. Questi, naturalmente, i modernisti li rifiutano completamente e li relegano all’intellettualismo, un sistema assurdo, a loro dire, e morto da tempo. Né li frena il fatto che la Chiesa abbia condannato molto apertamente questi errori portentosi, perché il Sinodo Vaticano ha così decretato: “Se qualcuno, eccetera” [cfr. n. 1806 s., 1812].

3476. Dz 2073 Ma in che modo i modernisti passano dall’agnosticismo, che consiste solo nella nescienza, all’ateismo scientifico e storico, che invece è interamente postulato nella negazione; così, per quale legge di ragionamento si passa dallo stato di ignoranza se Dio sia intervenuto o meno nella storia del genere umano, alla spiegazione della stessa storia, tralasciando del tutto Dio, come se non fosse realmente intervenuto, chi può ben saperlo. Tuttavia, questo è fisso e stabilito nelle loro menti, che la scienza così come la storia dovrebbero essere atee, nei cui limiti ci può essere posto solo per i fenomeni, Dio e tutto ciò che è divino sono completamente messi da parte.–Come risultato di questo insegnamento più assurdo vedremo presto chiaramente cosa si deve pensare riguardo alla persona più sacra di Cristo, ai misteri della sua vita e morte, e anche riguardo alla sua resurrezione e ascensione al cielo.

3477. Dz 2074 Ma questo agnosticismo va considerato solo come la parte negativa del sistema dei modernisti; la parte positiva consiste, come dicono, nell’immanenza vitale. La religione, sia essa naturale o soprannaturale, deve ammettere, come ogni fatto, una spiegazione. Ma la spiegazione, con la teologia naturale distrutta e l’approccio alla rivelazione sbarrato dal rifiuto degli argomenti di credibilità, con la totale rimozione di qualsiasi rivelazione esterna, è cercata invano al di fuori dell’uomo. Va quindi cercata all’interno dell’uomo stesso e, poiché la religione è una forma di vita, va trovata interamente all’interno della vita dell’uomo. Da qui si afferma il principio dell’Immanenza religiosa. Inoltre, di ogni fenomeno vitale, a cui si è appena detto che la religione appartiene, la prima attuazione, per così dire, va ricercata in una certa necessità o pulsione; ma, se parliamo più specificamente della vita, gli inizi sono da ricercare in una sorta di moto del cuore, che si chiama senso. Pertanto, poiché Dio è l’oggetto della religione, si deve assolutamente concludere che la fede, che è l’inizio e il fondamento di ogni religione, deve essere collocata in un qualche senso interiore, che ha il suo inizio in un bisogno del divino. Inoltre, questo bisogno del divino, poiché viene avvertito solo in certi ambienti particolari, non può di per sé appartenere al regno della coscienza, ma rimane nascosto all’inizio sotto la coscienza, o, come si dice con una parola presa in prestito dalla filosofia moderna, nella subcoscienza, dove, anch’essa, la sua radice rimane nascosta e inosservata.- Qualcuno forse chiederà in che modo questo bisogno del divino, che l’uomo stesso percepisce dentro di sé, si evolve infine in religione? A questo i modernisti rispondono: “La scienza e la storia sono comprese in un duplice confine: uno esterno, che è il mondo visibile; l’altro interno, che è la coscienza. Quando hanno raggiunto l’uno o l’altro, non possono procedere oltre, perché oltre questi confini c’è l’inconoscibile. In presenza di questo inconoscibile, sia che esso sia al di fuori dell’uomo e al di là del mondo percepibile della natura, sia che si celi nella subcoscienza, il bisogno del divino in un’anima incline alla religione, secondo i principi del fideismo, senza che il giudizio della mente lo anticipi, eccita un certo senso peculiare; ma questo senso ha la realtà divina stessa, non solo come oggetto, ma anche come causa intrinseca implicata in sé, e in qualche modo unisce l’uomo a Dio”. Questo senso, inoltre, è ciò che i modernisti chiamano con il nome di fede, ed è per loro l’inizio della religione.

3478. Dz 2075 Ma questa non è la fine del loro filosofare, o più correttamente del loro delirare. Perché in questo senso i modernisti non solo trovano la fede, ma insieme alla fede e nella fede stessa, come la intendono loro, affermano che c’è posto per la rivelazione. Perché qualcuno si chiederà se c’è bisogno di qualcosa di più per la rivelazione? Non dovremmo forse chiamare “rivelazione” quel senso religioso che appare nella coscienza, o almeno l’inizio della rivelazione; perché non Dio stesso, anche se in modo piuttosto confuso, si manifesta alle anime nello stesso senso religioso? Ma aggiungono: Poiché Dio è allo stesso tempo oggetto e causa della fede, quella rivelazione è ugualmente di Dio e da Dio, cioè ha Dio come Rivelatore e come Rivelato. Da qui, inoltre, Venerabili Fratelli, deriva quell’assurda affermazione dei modernisti, secondo cui ogni religione, secondo i suoi vari aspetti, deve essere chiamata naturale e anche soprannaturale. Da ciò deriva che coscienza e rivelazione hanno significati intercambiabili. Da qui la legge secondo cui la coscienza religiosa è tramandata come regola universale, da equiparare completamente alla rivelazione, alla quale tutti devono sottomettersi, anche il potere supremo nella Chiesa, sia che questa insegni o legiferi in materia sacra o disciplinare.

3479. Dz 2076 Tuttavia, in tutto questo processo da cui, secondo i modernisti, scaturiscono la fede e la rivelazione, c’è una cosa da notare in modo particolare, anzi di non poco conto per le sequenze storico-critiche che ne traggono. Infatti, l’inconoscibile di cui parlano non si presenta alla fede come qualcosa di semplice o di isolato, ma al contrario aderisce strettamente a qualche fenomeno che, pur appartenendo ai campi della scienza e della storia, in qualche modo va al di là di ogni logica, sia che si tratti di un fatto della natura che contiene in sé qualche segreto, sia che si tratti di un uomo il cui carattere, le cui azioni e le cui parole non sembrano conciliabili con le leggi ordinarie della storia. Allora la fede, attratta dall’inconoscibile che è unito al fenomeno, abbraccia l’intero fenomeno stesso e in qualche modo lo permea della propria vita. Da ciò derivano due cose: in primo luogo, una sorta di trasfigurazione del fenomeno per elevazione, cioè al di sopra delle sue condizioni reali, per cui la sua materia diventa più adatta a rivestirsi della forma del divino che la fede deve introdurre; in secondo luogo, una sorta di sfigurazione (possiamo chiamarla così) dello stesso fenomeno, derivante dal fatto che la fede gli attribuisce, quando è spogliato di tutte le aggiunte di luogo e di tempo, ciò che in realtà non possiede; e ciò avviene soprattutto quando si tratta di fenomeni del passato, e tanto più pienamente quanto più sono antichi. Da questa duplice fonte i modernisti ricavano nuovamente due canoni che, aggiunti a un altro già mutuato dall’agnosticismo, costituiscono i fondamenti della critica storica.

3480. L’argomento sarà illustrato con un esempio, e prendiamo questo esempio dalla persona di Cristo. Nella persona di Cristo, si dice, la scienza e la storia non incontrano altro che l’umano. Pertanto, in virtù del primo canone dedotto dall’agnosticismo, tutto ciò che ha un sapore divino deve essere cancellato dalla sua storia. Inoltre, in virtù del secondo canone, la persona storica di Cristo è stata trasfigurata dalla fede; pertanto, tutto ciò che la eleva al di sopra delle condizioni storiche deve essere eliminato da essa. Infine, in virtù del terzo canone, la stessa persona di Cristo è sfigurata dalla fede; pertanto, devono essere eliminate da essa le parole e le azioni, tutto ciò che, in una parola, non corrisponde minimamente al suo carattere, al suo stato, alla sua educazione, al luogo e al tempo in cui è vissuto. Un metodo di ragionamento davvero meraviglioso! Ma questa è la critica dei modernisti.

3481. Dz 2077 Pertanto, il senso religioso, che attraverso l’immanenza vitale emerge dai nascondigli della subcoscienza, è il germe di ogni religione e la spiegazione di tutto ciò che è stato o sarà in ogni religione. Tale senso, rozzo all’inizio e quasi informe, gradualmente e sotto l’influenza di quel misterioso principio da cui ha avuto origine, è maturato con il progresso della vita umana, di cui, come abbiamo detto, è una sorta di forma. Così, abbiamo l’origine di ogni religione, anche se soprannaturale; esse sono, ovviamente, semplici sviluppi del senso religioso. E nessuno pensi che la religione cattolica ne sia esclusa; anzi, è del tutto simile alle altre; perché è nata nella coscienza di Cristo, un uomo di natura sceltissima, di cui nessuno è mai stato o sarà simile, attraverso il processo di immanenza vitale. . . . [addotto dal can. 3 del Concilio Vaticano II sulla rivelazione; cfr. n. 1808].

3482. Dz 2078 Tuttavia, fino a questo punto, Venerabili Fratelli, non abbiamo scoperto alcun posto riservato all’intelletto. Ma anch’esso, secondo la dottrina dei modernisti, ha la sua parte nell’atto di fede. È bene notare poi in che modo. In quel senso, dicono, che abbiamo citato più volte, poiché si tratta di senso e non di conoscenza, Dio si presenta all’uomo, ma in modo così confuso e disordinato che viene distinto con difficoltà, o non viene distinto affatto, dal soggetto credente. È necessario, quindi, che questo senso sia illuminato da qualche luce, affinché Dio si distingua completamente e sia separato da esso. Ciò riguarda l’intelletto, la cui funzione è la riflessione e l’analisi, con cui l’uomo porta alla luce i fenomeni vitali che nascono dentro di lui e poi li rende noti con le parole. Da qui l’espressione comune dei modernisti, secondo cui l’uomo religioso deve pensare la sua fede. La mente poi, incontrando questo senso, riflette su di esso e lo lavora, come un pittore che schiarisce i contorni sbiaditi di un quadro per farlo emergere più chiaramente, perché essenzialmente così spiega uno dei maestri dei modernisti. Inoltre, in tale opera la mente opera in modo duplice: dapprima, con un atto naturale e spontaneo, presenta la questione in un giudizio semplice e popolare; ma poi, dopo la riflessione e l’approfondimento, o, come si dice, l’elaborazione del pensiero, esprime i suoi pensieri in giudizi secondari, derivati, certo, dal primo semplice, ma più precisi e distinti. Questi giudizi secondari, se vengono infine sanciti dal supremo magistero della Chiesa, costituiranno il dogma.

3483. Dz 2079 Così, dunque, nella dottrina dei modernisti siamo giunti a un capitolo importante, ossia l’origine del dogma e la natura interna del dogma. Essi, infatti, collocano l’origine del dogma in quelle formule primitive e semplici che, sotto un certo aspetto, sono necessarie per la fede; perché la rivelazione, per essere tale, richiede una chiara conoscenza di Dio nella coscienza. Ma il dogma stesso, sembrano affermare, è propriamente contenuto nelle formule secondarie… Inoltre, per accertare la sua natura dobbiamo indagare soprattutto quale rivelazione interviene tra le formule religiose e il senso religioso dell’anima. Ma questo lo capirà facilmente chi ritiene che tali formule non abbiano altro scopo che quello di fornire i mezzi con cui egli (il credente) può rendere conto della sua fede. Perciò sono a metà strada tra il credente e la sua fede; ma per quanto riguarda la fede, sono segni inadeguati del suo oggetto, di solito chiamati symbolæ; nel loro rapporto con il credente, sono semplici strumenti. –Quindi non si può assolutamente sostenere che contengano la verità in modo assoluto; infatti, in quanto simboli, sono immagini della verità, e quindi vanno adattati al senso religioso, in quanto questo si riferisce all’uomo; e in quanto strumenti sono veicoli della verità, e quindi vanno a loro volta adattati all’uomo, in quanto c’è un riferimento al senso religioso. Ma l’oggetto del senso religioso, in quanto contenuto nell’assoluto, ha infiniti aspetti di cui può apparire ora uno, ora un altro. Allo stesso modo, l’uomo che crede può servirsi di condizioni diverse. Di conseguenza, anche le formule che chiamiamo dogmi dovrebbero essere soggette alle stesse vicissitudini, e quindi modificabili. Così, dunque, si apre la strada all’evoluzione intrinseca del dogma… Sicuramente un accumulo infinito di sofismi, che rovinano e distruggono tutta la religione.

Dz 2080 Tuttavia, che il dogma non solo possa, ma debba essere evoluto e cambiato, lo affermano in modo frammentario anche i modernisti stessi, e ciò deriva chiaramente dai loro principi. Infatti, tra i punti principali della dottrina essi sostengono questo, che deducono dal principio dell’immanenza vitale, che le formule religiose, per essere veramente religiose e non solo speculazioni intellettuali, devono essere vive, e devono vivere la vita del senso religioso. Non si deve intendere così, come se queste formule, soprattutto se puramente immaginative, fossero inventate per il senso religioso; perché la loro origine non interessa, né il loro numero o la loro qualità, ma come segue: che il senso religioso, applicando qualche modifica, se necessario, le unisca a sé vitalmente. Naturalmente, in altre parole, è necessario che la formula primitiva sia accettata dal cuore e da esso sanzionata; allo stesso modo, è necessario che il lavoro con il quale le formule secondarie vengono prodotte sia sotto la guida del cuore. Perciò accade che queste formule, per essere vitali, debbano essere e rimanere adattate sia alla fede che al credente. Inoltre, poiché questo potere e la fortuna delle formule dogmatiche sono così instabili, non c’è da stupirsi che siano oggetto di scherno e disprezzo da parte dei modernisti, che non dicono nulla al contrario e non esaltano altro che il senso religioso e la vita religiosa. E così attaccano con grande coraggio la Chiesa come se si muovesse su un sentiero di errore, perché non distingue minimamente la forza religiosa e morale dal significato superficiale delle formule, e aggrappandosi con vana fatica e con grande tenacia a formule prive di significato, lascia che la religione stessa crolli.– Certo, “ciechi e capi dei ciechi” (Mt 15,14) sono coloro che, gonfiati dal nome orgoglioso di scienza, arrivano a un punto tale del loro delirio da pervertire il concetto eterno di verità e il vero senso della religione introducendo un nuovo sistema, “in cui per un esagerato e sfrenato desiderio di novità”, la verità non viene cercata dove certamente esiste, e trascurando le tradizioni sante e apostoliche, si adottano altre dottrine vuote, futili, incerte e non approvate dalla Chiesa, sulle quali gli uomini, nella loro estrema vanità, pensano che si fondi e si mantenga la verità stessa. ”* Questo è quanto, Venerabili Fratelli, per il modernista come filosofo.

3484. Dz 2081 [11] Ora, se avanzando verso il credente si vuole sapere come si distingue dal filosofo tra i modernisti, si deve osservare che, sebbene il filosofo ammetta la realtà del divino come oggetto di fede, tuttavia questa realtà non la trova da nessuna parte se non nel cuore del credente, poiché è oggetto di senso e di affermazione, e quindi non supera i confini dei fenomeni; Inoltre, se questa realtà esista di per sé al di fuori del senso e dell’affermazione, il filosofo passa oltre e trascura. Per il credente modernista, invece, è assodato e certo che la realtà del divino esiste sicuramente in sé, e non dipende certo dal credente. Ma se chiedete su cosa poggia l’affermazione del credente, vi risponderà: “Sull’esperienza personale di ogni uomo”: In questa affermazione, pur rompendo con i razionalisti, si allineano all’opinione dei protestanti e degli pseudomistici [cfr. n. 1273]. Infatti, essi spiegano l’argomento nel modo seguente: che in senso religioso si deve riconoscere una sorta di intuizione del cuore, con la quale l’uomo raggiunge direttamente la realtà di Dio, e ne trae una tale convinzione dell’esistenza di Dio e dell’azione di Dio sia all’interno che all’esterno dell’uomo, che supera di gran lunga ogni convinzione che si possa ricercare nella scienza. Essi stabiliscono, quindi, una vera esperienza, superiore a qualsiasi esperienza razionale. Se qualcuno, come i razionalisti, lo nega, si dice che ciò deriva dal fatto che non è disposto a stabilirsi nello stato morale richiesto per produrre l’esperienza. Inoltre, questa esperienza, quando qualcuno l’ha raggiunta, rende propriamente e realmente un credente. — Quanto siamo lontani dagli insegnamenti cattolici.

Dz 2082 Abbiamo già visto [cfr. n. 2072] tali falsificazioni condannate dal Concilio Vaticano II. Una volta ammessi questi errori, insieme ad altri già citati, esprimeremo di seguito quanto sia aperta la strada all’ateismo. Sarà bene notare subito che, a partire da questa dottrina dell’esperienza unita a un’altra del simbolismo, qualsiasi religione, nemmeno il paganesimo, deve essere ritenuta vera. Perché mai esperienze di questo tipo non dovrebbero verificarsi in qualsiasi religione? In effetti, più di una afferma che si sono verificate. Con quale diritto i modernisti negheranno la verità di un’esperienza affermata da un islamico e rivendicheranno la verità delle esperienze solo per i cattolici? In realtà, i modernisti non negano questo; anzi, alcuni in modo piuttosto oscuro, altri in modo molto aperto sostengono che tutte le religioni sono vere. Ma è evidente che non possono pensare diversamente. Su quale base, infatti, si sarebbe dovuta attribuire la falsità a qualsiasi religione secondo i loro precetti? Sicuramente o per la falsità del senso religioso o perché l’intelletto ha proposto una formula falsa. Ora, il senso religioso è sempre uno e identico, anche se a volte è più imperfetto; ma affinché la formula intellettuale sia vera, è sufficiente che risponda al senso religioso e al credente umano, qualunque sia il carattere della perspicacia di quest’ultimo. Nel conflitto tra religioni diverse, i modernisti potrebbero sostenere al massimo una cosa: che la religione cattolica, in quanto più viva, ha più verità; e anche che è più degna del nome di cristiana, in quanto corrisponde più pienamente alle origini del cristianesimo.

Dz 2083 C’è anche qualcos’altro in questa parte della loro dottrina, che è assolutamente in contrasto con la verità cattolica. Infatti, il precetto relativo all’esperienza viene applicato anche alla tradizione, che la Chiesa ha finora affermato, e la distrugge completamente. Infatti, i modernisti intendono la tradizione in questo modo: come una sorta di comunicazione ad altri di un’esperienza originale, attraverso la predicazione per mezzo della formula intellettuale. A questa formula, quindi, oltre alla forza rappresentativa, come dicono loro, attribuiscono una sorta di potere suggestivo, non solo per eccitare in chi crede il senso religioso, che forse sta diventando fiacco, e per ripristinare l’esperienza una volta acquisita, ma anche per far nascere in chi non crede ancora un senso religioso per la prima volta, e per produrre l’esperienza. In questo modo, inoltre, l’esperienza religiosa si diffonde ampiamente tra i popoli; e non solo tra quelli attuali, ma anche tra i posteri, sia attraverso i libri che attraverso la trasmissione orale da uno all’altro.-Ma questa comunicazione dell’esperienza a volte mette radici e fiorisce; a volte invecchia improvvisamente e muore. Inoltre, il fiorire è per i modernisti un argomento di verità, perché ritengono che la verità e la vita siano la stessa cosa. Quindi, possiamo dedurre ancora una volta che tutte le religioni, quante ne esistono, sono vere; altrimenti non sarebbero vive.

3485. Dz 2084 Ora che la nostra discussione è stata portata a questo punto, Venerabili Fratelli, abbiamo abbastanza e di più per considerare con precisione il rapporto che i modernisti stabiliscono tra la fede e la scienza; inoltre, anche la storia è da loro classificata sotto questo nome di scienza.–Anche in primo luogo, in effetti, si deve ritenere che l’oggetto-materia dell’una sia del tutto estraneo all’oggetto-materia dell’altra e separato da essa. La fede, infatti, guarda solo a ciò che la scienza ritiene inconoscibile a se stessa. Quindi a ciascuno spetta un compito diverso: la scienza si occupa di fenomeni in cui non c’è posto per la fede; la fede, invece, si occupa del divino, di cui la scienza è totalmente ignorante. Così, infine, si stabilisce che non ci può mai essere dissenso tra fede e scienza; perché se ognuna tiene il proprio posto, non potranno mai incontrarsi e quindi contraddirsi. Se per caso qualcuno obietta a ciò, adducendo che nella natura visibile si verificano alcune cose che riguardano anche la fede, come, ad esempio, la vita umana di Cristo, i modernisti lo negheranno. Infatti, sebbene queste cose siano classificate come fenomeni, tuttavia, nella misura in cui sono impregnate della vita della fede, e nel modo già menzionato sono state trasfigurate e sfigurate dalla fede [cfr. n. 2076], sono state strappate al mondo sensibile e trasferite nella materia del divino. Perciò, a chi chiederà se Cristo abbia compiuto veri miracoli e abbia realmente predetto il futuro; se sia veramente risorto dai morti e asceso al cielo, la scienza agnostica darà una negazione, la fede un’affermazione; eppure, in conseguenza di ciò, non ci sarà conflitto tra le due. Perché l’una, rivolgendosi ai filosofi da filosofo, cioè contemplando Cristo solo secondo la realtà storica, negherà; l’altra, parlando da credente con i credenti, vedendo la vita di Cristo come è rivissuta dalla fede e nella fede, affermerà.

3486. Dz 2085 Un grande errore, tuttavia, lo commette chi pensa di poter credere che fede e scienza non siano affatto soggette l’una all’altra. Infatti, per quanto riguarda la scienza, egli pensa in modo giusto e corretto; ma non è così per la fede, che si deve dire soggetta alla scienza non solo per uno, ma per tre motivi. Infatti, in primo luogo, dobbiamo osservare che in qualsiasi fatto religioso, tolta la realtà divina e qualunque sia l’esperienza che ne fa colui che crede, tutte le altre cose, soprattutto le formule religiose, non superano i confini dei fenomeni e quindi rientrano nella scienza. In ogni caso, si permetta al credente, se vuole, di uscire dal mondo, ma finché vi rimane, che gli piaccia o no, non sfuggirà mai alle leggi, alle osservazioni, ai giudizi della scienza e della storia.-Inoltre, anche se si dice che Dio è l’oggetto della sola fede, ciò va concesso per quanto riguarda la realtà divina, ma non per quanto riguarda l’idea di Dio. Perché questa è oggetto della scienza, che, mentre filosofeggia nell’ordine logico, come si dice, raggiunge anche ciò che è assoluto e ideale. Pertanto, la filosofia o la scienza hanno il diritto di conoscere l’idea di Dio e di indirizzarla nella sua evoluzione e, se qualcosa di estraneo vi entra, di correggerla. Da qui l’assioma dei modernisti: L’evoluzione religiosa deve essere conciliata con quella morale e intellettuale, cioè, come insegna chi segue come maestro, deve essere soggetta a loro… Alla fine accade che Dio non soffre la dualità al suo interno, e così il credente è spinto da una forza interiore ad armonizzare la fede con la scienza in modo tale da non essere mai in disaccordo con l’idea generale che la scienza espone sull’intero universo. In questo modo, dunque, la scienza è completamente svincolata dalla fede, mentre la fede, per quanto si proclami estranea alla scienza, è soggetta ad essa. Tutto ciò, Venerabili Fratelli, è contrario a quanto Pio IX, Nostro predecessore, ha insegnato: “È dovere della filosofia, nelle cose che riguardano la religione, non dominare ma servire, non prescrivere ciò che si deve credere, ma abbracciare ciò che si deve credere con ragionevole obbedienza, e non esaminare le profondità dei misteri di Dio, ma riverirli piamente e umilmente”. * I modernisti capovolgono completamente la questione; a questi si può applicare ciò che il Nostro predecessore, Gregorio IX, scrisse a proposito di alcuni teologi della sua epoca: “Alcuni tra voi, gonfiati come vesciche dallo spirito di vanità, si sforzano con la novità di oltrepassare i confini fissati dai Padri, stravolgendo il significato del testo sacro … all’insegnamento filosofico dei razionalisti, per fare sfoggio di scienza, senza alcun beneficio per i loro uditori. . . . Questi uomini, sviati da varie strane dottrine, riducono il capo alla coda e costringono la regina a servire l’ancella”.

Dz 2086 Questo sarà sicuramente chiaro a chi osserva come i modernisti agiscano in modo del tutto conforme a ciò che insegnano. Infatti, sembra che abbiano scritto e parlato molto in modo contrario, tanto che si potrebbe facilmente pensare che siano dubbiosi e incerti. Ma ciò avviene in modo deliberato e consigliato, cioè in accordo con l’opinione che essi hanno sulla reciproca esclusione di fede e scienza. Così nei loro libri troviamo alcune cose che un cattolico approva completamente, eppure, girando la pagina, alcune cose che si potrebbero pensare dettate da un razionalista. Così, quando scrivono la storia non menzionano la divinità di Cristo, ma quando predicano nelle chiese la professano con forza. Allo stesso modo, quando discutono di storia non fanno posto ai Concili e ai Padri, ma quando insegnano il catechismo si riferiscono ai primi e ai secondi con rispetto. Così pure separano l’esegesi teologica e pastorale da quella scientifica e storica. Allo stesso modo, sulla base del principio che la scienza non dipende in alcun modo dalla fede, quando trattano di filosofia, storia e critica, senza alcun particolare timore di seguire le orme di Lutero [cfr. n. 769], mostrano in ogni modo un disprezzo per i precetti cattolici, i Santi Padri, i Sinodi ecumenici e il magistero ecclesiastico; e se vengono criticati per questo, si lamentano di essere privati della loro libertà. Infine, professando che la fede deve essere sottomessa alla scienza, rimproverano la Chiesa in generale e apertamente, perché rifiuta risolutamente di assoggettare e accomodare i suoi insegnamenti alle opinioni della filosofia; ma essi, ripudiando la vecchia teologia a questo scopo, si sforzano di introdurre la nuova, che segue i deliri dei filosofi.

3487. Dz 2087 [III] Ecco ora, Venerabili Fratelli, che ci avviciniamo allo studio dei modernisti in campo teologico, un compito arduo, ma da svolgere brevemente. Si tratta, infatti, di conciliare la fede con la scienza, e questo solo sottoponendo l’una all’altra. In questo campo il teologo modernista si avvale degli stessi principi che abbiamo visto utilizzati dal filosofo, e li adatta al credente; intendiamo i principi dell’immanenza e del simbolismo. In questo modo, inoltre, realizza il compito più facilmente. Il filosofo ritiene certo che il principio della fede sia immanente; il credente aggiunge che questo principio è Dio; ed egli stesso (il teologo) conclude: Dio, dunque, è immanente nell’uomo. Da ciò deriva l’immanenza teologica. Ancora, per il filosofo è certo che le rappresentazioni dell’oggetto della fede sono solo simboliche; per il credente, allo stesso modo, è certo che l’oggetto della fede è Dio in sé; così il teologo deduce che le rappresentazioni della realtà divina sono simboliche. Da qui nasce il simbolismo teologico, sicuramente l’errore più grande, e quanto pernicioso sia ciascuno di essi sarà chiaro dall’esame delle conseguenze. Per parlare subito di simbolismo, poiché tali simboli sono simboli per quanto riguarda il loro oggetto, ma per quanto riguarda il credente sono strumenti, il credente deve innanzitutto stare in guardia, dicono, per evitare di aggrapparsi troppo alla formula, in quanto formula, ma deve farne uso solo per potersi aggrappare alla verità assoluta, che la formula allo stesso tempo scopre e copre, e si sforza di esprimere senza mai raggiungerla. Inoltre, aggiungono, tali formule devono essere applicate dal credente nella misura in cui lo aiutano; perché sono date come un aiuto, non come un ostacolo, con la piena stima che per rispetto sociale è dovuta alle formule che il magistero pubblico ha giudicato adatte a esprimere la coscienza comune, purché, naturalmente, lo stesso magistero non dichiari il contrario. Ma per quanto riguarda l’immanenza, cosa intendano veramente i modernisti è difficile da dimostrare, perché non tutti hanno la stessa opinione. Ci sono alcuni che sostengono a questo proposito che Dio che opera nell’uomo è più intimamente presente in lui di quanto l’uomo non lo sia in se stesso; il che, se ben inteso, non ha nulla da rimproverarsi. Altri, invece, affermano che l’azione di Dio è un tutt’uno con l’azione della natura, come l’azione della causa prima è un tutt’uno con quella della causa seconda, il che distrugge davvero l’ordine soprannaturale. Altri, infine, lo spiegano in modo tale da far sospettare un significato panteistico; eppure ciò coincide opportunamente con il resto delle loro dottrine.

Dz 2088 Ora a questo assioma dell’immanenza se ne aggiunge un altro che possiamo chiamare permanenza divina; questi due differiscono l’uno dall’altro più o meno come l’esperienza privata dall’esperienza trasmessa dalla tradizione. Un esempio illustrerà il punto, e prendiamolo dalla Chiesa e dai sacramenti. La Chiesa, dicono, e i sacramenti non sono assolutamente da credere come istituiti da Cristo stesso. Lo prevede l’agnosticismo, che non riconosce altro che l’umano in Cristo, la cui coscienza religiosa, come quella del resto degli uomini, si è formata gradualmente; lo prevede la legge dell’immanenza, che rifiuta le applicazioni esterne, per usare i loro termini; lo prevede anche la legge dell’evoluzione, che esige il tempo e una certa serie di circostanze unite ad esso, affinché i germi si evolvano; lo prevede, infine, la storia, che dimostra che tale è stato il corso delle cose. Tuttavia, si deve ritenere che la Chiesa e i sacramenti siano stati istituiti mediatamente da Cristo. Ma come? Tutte le coscienze cristiane, affermano, sono state in un certo senso virtualmente incluse nella coscienza di Cristo, come la pianta nel seme. Inoltre, poiché i germi vivono la vita del seme, si può dire che tutti i cristiani vivono la vita di Cristo. Ma la vita di Cristo secondo la fede è divina; così è anche la vita dei cristiani. Se, dunque, questa vita nel corso dei secoli ha dato origine alla Chiesa e ai sacramenti, giustamente si dirà che tale origine proviene da Cristo ed è divina. In questo modo, essi affermano completamente che anche le Sacre Scritture sono divine e che i dogmi sono divini. Una disposizione sicuramente breve, ma molto abbondante per chi professa che la scienza deve sempre essere obbedita, qualunque cosa essa ordini. Ognuno vedrà facilmente da sé l’applicazione di questi principi alle altre questioni che menzioneremo.

3488. Dz 2089 Fin qui abbiamo parlato dell’origine della fede e della sua natura. Ma dato che la fede ha molte appendici, soprattutto la Chiesa, il dogma, il culto e le devozioni, i Libri che chiamiamo “sacri”, dovremmo chiedere cosa insegnano i modernisti anche su questi. Prendendo come inizio il dogma, è già stato mostrato sopra quale sia la sua origine e la sua natura [n. 2079 s.]. Esso nasce da una sorta di impulso o di necessità, in virtù della quale colui che crede elabora il proprio pensiero affinché la propria coscienza e quella degli altri siano maggiormente chiarite. Questo lavoro consiste interamente nell’indagare e nel perfezionare la formula primitiva della mente, non in sé, secondo la spiegazione logica, ma secondo le circostanze, o vitalmente, come si dice, in un modo meno facilmente comprensibile. Perciò accade che intorno a quella formula nascano gradualmente alcune formule secondarie, come abbiamo già indicato [cfr. n. 2078]; queste poi riunite in un unico corpo, o in un unico edificio di fede, come rispondenti alla coscienza comune, sono chiamate dogmi. Da questo vanno ben distinte le dissertazioni dei teologi che, pur non vivendo la vita del dogma, non sono affatto inutili, non solo per armonizzare la religione con la scienza e per eliminare le divergenze tra di esse, ma anche per illuminare e proteggere la religione dall’esterno, forse anche come mezzo per preparare materiale per qualche nuovo dogma futuro.

3489. –Non sarebbe stato necessario parlare a lungo del culto, se non fossero rientrati in questo termine anche i sacramenti, sui quali gli errori dei modernisti sono più gravi. Essi affermano che il culto nasce da un duplice impulso o necessità; infatti, come abbiamo visto, nel loro sistema si dice che tutte le cose nascono da impulsi o necessità interiori. La prima necessità è quella di attribuire qualcosa di sensibile alla religione; la seconda è quella di esprimerla, cosa che sicuramente non può essere fatta senza una forma sensibile, o senza atti consacranti che chiamiamo sacramenti. Ma per i modernisti i sacramenti sono semplici simboli o segni, anche se non privi di efficacia. Per evidenziare questa efficacia, ricorrono all’esempio di alcune parole che si dice abbiano preso piede, poiché hanno concepito il potere di propagare certe idee che sono vigorose e scuotono soprattutto la mente. Come queste parole sono ordinate in relazione alle idee, così i sacramenti lo sono al senso religioso, niente di più. Certamente parlerebbero più chiaramente se affermassero che i sacramenti sono stati istituiti unicamente per alimentare la fede. Ma questo il Sinodo di Trento lo ha condannato: “Se qualcuno dice che questi sacramenti sono stati istituiti solo per alimentare la fede, sia anatema” [n. 848].

3490. Dz 2090 Abbiamo già accennato un po’ alla natura e all’origine dei Libri Sacri. Secondo i principi dei modernisti, si potrebbe benissimo descriverli come una raccolta di esperienze, non come quelle che si verificano in generale per tutti, ma straordinarie e distinte, che sono state vissute in ogni religione.- Esattamente così insegnano i modernisti sui nostri libri dell’Antico e del Nuovo Testamento. Tuttavia, in accordo con le loro stesse opinioni, notano con grande sagacia che, sebbene l’esperienza appartenga al presente, la si può assumere anche del passato e del futuro, in quanto naturalmente chi crede all’uno o all’altro vive il passato con il ricordo alla maniera del presente, o il futuro con l’anticipazione. Inoltre, questo spiega come i libri storici e apocalittici possano essere classificati tra i Libri Sacri. In questi Libri, dunque, Dio parla certamente attraverso il credente, ma, come dice la teologia dei modernisti, solo per immanenza e permanenza vitale.

3491. – Chiederemo: e l’ispirazione? Questa, rispondono, non si distingue affatto da quell’impulso, se non forse nella veemenza, con cui il credente è stimolato a rivelare la sua fede con la parola o lo scritto. Ciò che abbiamo nell’ispirazione poetica è simile; per questo un certo disse: “Dio è in noi, quando si agita ci infiamma”. * Inoltre, a proposito di questa ispirazione, i modernisti aggiungono che non c’è nulla nei Libri Sacri che sia privo di tale ispirazione. Quando affermano questo si sarebbe portati a ritenerli più ortodossi di alcuni che, in tempi più recenti, limitano in qualche modo l’ispirazione, come ad esempio quando introducono le cosiddette citazioni tacite. Ma queste sono solo parole e pretese da parte loro. Infatti, se giudichiamo la Bibbia secondo i precetti dell’agnosticismo, cioè come un’opera umana scritta da uomini per uomini, sebbene al teologo sia concesso il diritto di chiamarla divina per immanenza, come si può forzare l’ispirazione in essa? Ora, il modernista afferma sicuramente un’ispirazione generale dei Libri Sacri, ma non ammette alcuna ispirazione in senso cattolico.

3492. Dz 2091 Ciò che la scuola dei modernisti immagina sulla Chiesa offre un campo più ricco per la discussione: essi stabiliscono all’inizio che la Chiesa è nata da una duplice necessità: una in ogni credente, specialmente in colui che ha trovato un’esperienza originale e speciale, di comunicare la sua fede agli altri; l’altra, dopo che la fede si è comunicata tra molti, nella collettività di riunirsi in una società e di vegliare, aumentare e propagare il bene comune. Che cos’è dunque la Chiesa? È il frutto della coscienza collettiva, o dell’associazione di coscienze individuali che, in virtù della permanenza vitale, dipende da un primo credente, cioè, per i cattolici, da Cristo. Inoltre, ogni società ha bisogno di un’autorità direttrice, il cui compito è quello di orientare tutti gli associati verso il fine comune, di promuovere con prudenza gli elementi di coesione, che in una società religiosa sono soddisfatti dalla dottrina e dal culto. Da qui, la triplice autorità nella Chiesa cattolica: disciplinare, dogmatica, liturgica… Ora, la natura dell’autorità va desunta dalla sua origine; dalla sua natura, infatti, vanno ricercati i suoi diritti e i suoi doveri. Nelle epoche passate un errore comune era quello di ritenere che l’autorità venisse alla Chiesa dall’esterno, cioè immediatamente da Dio; quindi era giustamente ritenuta autocratica. Ma questa concezione è ormai obsoleta. Come si dice che la Chiesa sia nata dalla collettività delle coscienze, così l’autorità emana vitalmente dalla Chiesa stessa. L’autorità, quindi, proprio come la Chiesa, ha origine dalla coscienza religiosa, e quindi è soggetta alla stessa; e se rifiuta questa subordinazione, vira verso la tirannia. Inoltre, stiamo vivendo in un’epoca in cui il senso della libertà ha raggiunto il suo punto più alto. Nello Stato civile la coscienza pubblica ha introdotto il governo popolare. Ma la coscienza nell’uomo, così come la vita, è una sola. A meno che, quindi, l’autorità ecclesiastica non voglia eccitare e fomentare una guerra intestina nella coscienza degli uomini, ha l’obbligo di usare forme (di procedura) democratiche, tanto più per questo motivo, perché se non lo fa, minaccia la distruzione. Infatti, è sicuramente pazzo chi pensa che con il senso di libertà così come fiorisce ora possa mai verificarsi una recessione. Se fosse limitato e controllato con la forza, scoppierebbe più forte, con la distruzione della Chiesa e della religione. Questo pensano i modernisti, che di conseguenza sono molto occupati a escogitare modi per conciliare l’autorità della Chiesa con la libertà dei credenti.

Dz 2092 Ma la Chiesa non ha solo tra le mura della propria casa coloro con i quali dovrebbe intrattenere rapporti amichevoli, ma li ha anche fuori. La Chiesa, infatti, non occupa il mondo da sola; lo occupa anche altre società, con le quali necessariamente avvengono comunicazioni e contatti. Questi diritti, dunque, che sono i doveri della Chiesa nei confronti delle società civili, devono essere determinati, e non possono essere determinati altrimenti che in base alla natura della Chiesa stessa, come i modernisti ci hanno effettivamente descritto. Lì la discussione era incentrata sugli oggetti, qui sui fini. Così, come a causa dell’oggetto vediamo la fede e la scienza estranee l’una all’altra, così lo Stato e la Chiesa sono estranei l’uno all’altra a causa dei fini che perseguono; il primo persegue un fine temporale, la seconda un fine spirituale. Certo, un tempo era permesso subordinare il temporale allo spirituale; era permesso intavolare discussioni su questioni miste, in cui la Chiesa era tenuta come padrona e regina, poiché la Chiesa, ovviamente, era dichiarata istituita da Dio senza intermediari, in quanto è l’autore dell’ordine soprannaturale. Ma tutto questo è ripudiato dai filosofi e dagli storici. Lo Stato, dunque, deve essere dissociato dalla Chiesa, così come il cattolico dal cittadino. Pertanto, ogni cattolico, essendo anche cittadino, ha il diritto e il dovere, ignorando l’autorità della Chiesa, mettendo da parte i suoi desideri, i suoi consigli e i suoi precetti, sì, disprezzando i suoi rimproveri, di perseguire ciò che pensa sia favorevole al bene dello Stato. Prescrivere un modo di agire per un cittadino, con qualsiasi pretesto, è un abuso del potere ecclesiastico, da respingere con ogni mezzo… Naturalmente, Venerabili Fratelli, la fonte da cui scaturisce tutto questo è proprio quella che Pio Vl, Nostro predecessore, ha solennemente condannato [cfr. n. 1502 s.] nella Costituzione Apostolica Auctorem fidei.

Dz 2093 Ma alla scuola dei modernisti non basta che lo Stato sia separato dalla Chiesa. Infatti, come la fede, per quanto riguarda gli elementi fenomenici, come essi dicono, dovrebbe essere subordinata alla scienza, così negli affari temporali la Chiesa dovrebbe essere soggetta allo Stato. Questo, in verità, non lo dicono apertamente, ma a causa del loro pensiero sono costretti ad ammetterlo. Infatti, posto il principio che solo lo Stato ha potere nelle questioni temporali, se accade che il credente, non contento degli atti interni della religione, proceda ad atti esterni, come ad esempio l’amministrazione o la ricezione dei sacramenti, questi cadranno necessariamente sotto il dominio dello Stato. Che dire, allora, dell’autorità della Chiesa? Poiché questa non si esplica se non attraverso atti esterni, essa sarà interamente responsabile nei confronti dello Stato. Ovviamente costretti da questa conclusione, molti dei protestanti liberali rifiutano completamente ogni culto sacro esterno, anzi, persino ogni associazione religiosa esterna, e si sforzano di introdurre la religione individuale, come dicono loro. Ma se i modernisti non procedono ancora apertamente su questo punto, chiedono intanto che la Chiesa tenda di sua iniziativa nella direzione in cui essi stessi la spingono, e che si adatti alle forme dello Stato. Queste sono le loro idee sull’autorità disciplinare. D’altra parte, molto più cattive e perniciose sono le loro opinioni sul potere dottrinale e dogmatico. Sul magistero della Chiesa essi commentano, ad esempio, come segue: Una società religiosa non potrà mai essere veramente unitaria se la coscienza dei suoi membri non sarà una sola e la formula che essi usano una sola. Ma questa duplice unità richiede una sorta di mente comune il cui compito è quello di trovare e determinare la formula che meglio corrisponde alla coscienza comune; e questa mente deve avere un’autorità sufficiente per imporre alla comunità la formula che ha determinato Inoltre, in questa unione e fusione, per così dire, sia della mente che elabora la formula, sia del potere che la prescrive, i modernisti collocano la nozione di magistero della Chiesa. Poiché, dunque, il magistero nasce in qualche momento dalle coscienze individuali e ha come mandato il dovere pubblico a beneficio delle stesse coscienze, ne consegue necessariamente che il magistero dipende da queste, e quindi deve piegarsi alle forme popolari. Pertanto, vietare alle coscienze dei singoli di esprimere pubblicamente e apertamente gli impulsi che sentono; ostacolare la via della critica che spinge il dogma sulla strada delle necessarie evoluzioni, non è l’uso ma l’abuso del potere consentito per il bene pubblico. Allo stesso modo, nell’uso stesso del potere, si devono applicare misura e moderazione. Censurare e proscrivere qualsiasi libro senza che l’autore ne sia a conoscenza, senza permettere alcuna spiegazione, senza discutere, è sicuramente molto vicino alla tirannia.- Anche in questo caso, quindi, si deve trovare una via di mezzo per preservare i diritti allo stesso tempo dell’autorità e della libertà. Nel frattempo, il cattolico deve comportarsi in modo da proclamare pubblicamente il suo rigoroso rispetto per l’autorità, senza tuttavia mancare di obbedire alla propria mente.–In generale, essi prescrivono quanto segue per la Chiesa: poiché il fine del potere ecclesiastico riguarda solo lo spirituale, devono essere aboliti tutti gli ornamenti esterni, con i quali essa si adorna più magnificamente per gli occhi degli astanti. In questo modo si trascura completamente il fatto che la religione, pur riguardando le anime, non è confinata esclusivamente alle anime e che l’onore reso all’autorità spetta a Cristo come suo fondatore.

3493. Dz 2094 Inoltre, per completare l’intero argomento della fede e dei suoi vari rami, ci rimane, Venerabili Fratelli, di considerare infine i precetti dei modernisti sullo sviluppo di entrambi. – Ecco un principio generale: in una religione che vive nulla è senza cambiamento, e quindi ci deve essere cambiamento. Da qui si passa a quello che è essenzialmente il punto principale delle loro dottrine, cioè l’evoluzione. Il dogma, quindi, la Chiesa, il culto, i Libri che veneriamo come sacri, persino la fede stessa, a meno che non vogliamo che tutti questi siano impotenti, devono essere vincolati dalle leggi dell’evoluzione. Ciò non può apparire sorprendente, se si tiene presente ciò che i modernisti hanno insegnato su ciascuno di questi argomenti. Quindi, concessa la legge dell’evoluzione, abbiamo il modo di evolvere descritto dagli stessi modernisti. In primo luogo, per quanto riguarda la fede. La forma primitiva di fede, dicono, era rozza e comune a tutti gli uomini, poiché aveva origine nella natura umana e nella vita umana. L’evoluzione vitale ha contribuito al progresso; certo, non per la novità di forme aggiunte dall’esterno, ma per la crescente pervasione quotidiana del senso religioso nella coscienza. Inoltre, questo progresso si è realizzato in due modi: in primo luogo, in senso negativo, eliminando tutto ciò che è estraneo, come ad esempio ciò che può provenire dalla famiglia o dalla nazione; in secondo luogo, in senso positivo, grazie al perfezionamento intellettuale e morale dell’uomo, per cui la nozione del divino diventa più piena e più chiara, e il senso religioso più preciso. Le cause del progresso della fede sono le stesse che sono state utilizzate per spiegare le sue origini. Ma a queste vanno aggiunti alcuni uomini straordinari (che chiamiamo profeti, e di cui Cristo è il più importante), non solo perché portarono davanti a sé, nella loro vita e nelle loro opere, qualcosa di misterioso che la fede attribuiva alla divinità, ma anche perché incontrarono nuove esperienze mai avute prima, corrispondenti alle esigenze religiose del tempo di ciascuno.–Ma il progresso del dogma nasce soprattutto da questo, che gli impedimenti alla fede devono essere superati, i nemici devono essere vinti, le obiezioni devono essere confutate. A questo si aggiunge una lotta perpetua per penetrare più profondamente le cose che sono contenute nei misteri della fede. Così, per passare ad altri esempi, è accaduto nel caso di Cristo: in Lui quel qualcosa di divino che la fede ammetteva, si è lentamente e gradualmente ampliato, tanto che alla fine è stato ritenuto Dio. La necessità di adattarsi ai costumi e alle tradizioni del popolo ha contribuito in modo particolare all’evoluzione del culto; così come la necessità di utilizzare il potere di certi atti, acquisito con l’uso. Questo pensano riguardo a ciascuno di essi. Ma prima di procedere vorremmo che questa dottrina delle necessità o dei bisogni fosse ben annotata; perché, al di là di tutto quello che abbiamo visto, essa è, per così dire, la base e il fondamento di quel famoso metodo che essi chiamano storico.

Dz 2095 Per soffermarci ancora sulla dottrina dell’evoluzione, va notato soprattutto che, sebbene i bisogni o le necessità spingano all’evoluzione, tuttavia se guidata solo da questa, oltrepassando facilmente i confini della tradizione e separandosi così dal principio vitale primitivo, porterebbe alla rovina piuttosto che al progresso. Quindi, seguendo più completamente il pensiero dei modernisti, diremo che l’evoluzione nasce dal conflitto di due forze, una delle quali porta al progresso, l’altra trattiene alla conservazione. La forza conservatrice fiorisce nella Chiesa ed è contenuta nella tradizione. Anzi, l’autorità religiosa se ne serve; e lo fa sia di diritto, perché è nella natura dell’autorità custodire la tradizione, sia di fatto, perché l’autorità lontana dai cambiamenti della vita non è affatto o molto poco sollecitata dagli stimoli che spingono al progresso. Al contrario, la forza che attrae al progresso e risponde alle esigenze interiori, si nasconde e opera nelle coscienze degli individui, soprattutto di coloro che si avvicinano alla vita, come si suol dire, più da vicino e intimamente. Ecco qui, Venerabili Fratelli, che si fa strada la dottrina più perniciosa, che introduce nella Chiesa i membri del laicato come elementi di progresso… – Da una sorta di alleanza e di patto tra queste due forze, la conservatrice e la promotrice del progresso, cioè tra l’autorità e le coscienze degli individui, avvengono progressi e cambiamenti. Infatti, la coscienza degli individui, o di alcuni di essi, agisce sulla coscienza collettiva; ma quest’ultima agisce su coloro che hanno l’autorità, costringendoli a stipulare accordi e a rispettare il patto.–A seguito di ciò, inoltre, è facile capire perché i modernisti si meravigliano così tanto, quando si rendono conto di essere catturati o puniti. Ciò che per loro è una colpa, loro stessi lo considerano un dovere religioso da compiere. Nessuno meglio di loro conosce i bisogni delle coscienze, perché sono più a contatto con loro di quanto non lo sia l’autorità ecclesiastica. Pertanto, essi raccolgono tutti questi bisogni, per così dire, dentro di sé; e così sono tenuti al dovere di parlare e scrivere pubblicamente. Che l’autorità li rimproveri, se vuole; essi stessi sono sostenuti dalla coscienza del dovere e sanno per intima esperienza che non meritano critiche ma elogi. Di certo non sfugge loro che il progresso non si fa senza lotte, né le lotte senza vittime; perciò siano essi stessi vittime, come i profeti e Cristo. Poiché godono di cattiva fama, non guardano con sospetto l’autorità per questo motivo; ammettono persino che essa compie il suo dovere. Si lamentano solo di non essere ascoltati, perché così si ostacola il cammino delle anime; ma il momento di porre fine ai ritardi arriverà sicuramente, perché le leggi dell’evoluzione possono essere fermate, ma non possono assolutamente essere infrante. Perciò continuano sulla loro strada; continuano, anche se confutati e condannati, nascondendo la loro incredibile audacia con un velo di finta umiltà. In effetti, chinano la testa per finta, ma con le mani e con la mente portano avanti con coraggio ciò che hanno intrapreso. Inoltre, agiscono in modo del tutto volontario e consapevole, sia perché ritengono che l’autorità debba essere stimolata e non rovesciata, sia perché è una necessità per loro rimanere all’interno dell’ovile della Chiesa, per poter cambiare gradualmente la coscienza collettiva. Tuttavia, quando dicono questo, non fanno notare che confessano che la coscienza collettiva è a prescindere da loro, e quindi senza diritto si propongono come suoi interpreti. . . . [Ma dopo aver osservato il filosofo, il credente e il teologo tra i seguaci del modernismo, non ci resta che osservare allo stesso modo lo storico, il critico, l’apologeta e il riformatore.

3494. Dz 2096 [IV] Alcuni dei modernisti che si sono dedicati alla composizione della storia sembrano particolarmente preoccupati di non essere creduti filosofi; anzi, si professano del tutto privi di esperienza filosofica. Questo lo fanno con consumata astuzia, per evitare, ad esempio, che qualcuno pensi che siano imbevuti delle opinioni pregiudiziali della filosofia e che, per questo motivo, come dicono, non siano affatto obiettivi. la verità è che la loro storia o la loro critica è pura filosofia; e qualsiasi conclusione a cui sono arrivati, è derivata da un ragionamento corretto dai loro principi filosofici. I primi tre canoni di questi storici e critici, come abbiamo detto, sono gli stessi principi che abbiamo citato sopra a proposito dei filosofi: l’agnosticismo, il teorema della trasfigurazione delle cose per fede e un altro che, a quanto pare, potrebbe essere chiamato “sfigurazione”. Vediamo ora le conseguenze che ne derivano singolarmente.

3495. –Secondo l’agnosticismo, la storia, così come la scienza, si occupa solo di fenomeni. Pertanto, come Dio, così ogni intervento divino nelle vicende umane deve essere relegato alla fede, in quanto appartenente solo ad essa. Così, se si verifica qualcosa che consiste in un doppio elemento, divino e umano, come sono Cristo, la Chiesa, i sacramenti e molti altri di questo tipo, ci dovrà essere una divisione e una separazione, in modo che ciò che era umano possa essere assegnato alla storia e ciò che era divino alla fede. Così, la distinzione comune tra i modernisti tra il Cristo della storia e il Cristo della fede, la Chiesa della storia e la Chiesa della fede, i sacramenti della storia e i sacramenti della fede, e altre distinzioni simili in generale.

3496. –Allora si deve parlare di questo stesso elemento umano, che vediamo lo storico assumere per sé, come appare nei documenti, innalzato al di sopra delle condizioni storiche dalla fede attraverso la trasfigurazione. così, le aggiunte fatte dalla fede devono a loro volta essere dissociate, e relegate alla fede stessa, e alla storia della fede; così, quando si parla di Cristo, si deve dissociare tutto ciò che supera la condizione naturale dell’uomo, come mostra la psicologia, o che è stato innalzato fuori dal luogo e dal tempo in cui è vissuto.

3497. -Inoltre, in accordo con il terzo principio della filosofia, anche le cose che non escono dal campo della storia, le vedono per così dire al setaccio, eliminando tutto e relegando alla fede anche quelle che, a loro giudizio, non sono nella logica dei fatti o non sono adatte ai personaggi. Così non vogliono che Cristo abbia detto quelle cose che sembrano superare le capacità della moltitudine in ascolto. Perciò dalla sua storia reale cancellano e trasferiscono alla fede tutte le allegorie che si trovano nei suoi discorsi. Forse dovremmo chiederci in base a quale legge questi argomenti vengono dissociati? Dal carattere dell’uomo, dalla condizione di cui godeva nello Stato, dalla sua educazione, dal complesso degli incidenti di ogni fatto, in una parola, se capiamo bene, da una norma che infine a un certo punto si ritira nel meramente soggettivo. Essi mirano, naturalmente, ad assumere essi stessi il carattere di Cristo e, per così dire, a farlo proprio; tutto ciò che, in circostanze simili, avrebbero fatto loro, lo trasferiscono a Cristo.-Per concludere, a priori e secondo certi principi di filosofia che essi in verità detengono ma che professano di ignorare, affermano che Cristo, in quella che chiamano storia reale, non è Dio e non ha mai fatto nulla di divino; anzi, che ha fatto e detto come uomo ciò che essi stessi gli attribuiscono il diritto di fare e di dire, riportandosi ai suoi tempi.

3498. Dz 2097 [Inoltre, come la storia riceve le sue conclusioni dalla filosofia, così la critica prende le sue conclusioni dalla storia. Infatti il critico, seguendo le indicazioni fornite dallo storico, divide i documenti in due modi. Ciò che rimane dopo la triplice eliminazione appena menzionata lo assegna alla storia reale; il resto lo delega alla storia della fede o storia interna. Infatti, essi distinguono nettamente tra queste due storie; la storia della fede (e questo vogliamo che sia ben notato) la oppongono alla storia reale, in quanto reale. Così, come abbiamo già detto, i due Cristi: uno reale, l’altro, che non è mai stato di fatto, ma appartiene alla fede; uno che è vissuto in un certo luogo e in una certa epoca; un altro, che si trova solo nei pii commenti della fede; tale, per esempio, è il Cristo che il Vangelo di Giovanni presenta, che, secondo loro, non è altro che una meditazione.

Dz 2098 Ma il dominio della filosofia sulla storia non è finito con questo. Dopo che i documenti sono stati distribuiti in modo duplice, il filosofo si ripresenta con il suo dogma dell’immanenza vitale e dichiara che tutte le cose nella storia della Chiesa devono essere spiegate con l’emanazione vitale. Ma la causa o la condizione dell’emanazione vitale deve essere collocata in qualche necessità o bisogno; quindi, anche il fatto deve essere concepito dopo la necessità, e l’uno è storicamente posteriore all’altro. –Perché allora lo storico? Dopo aver esaminato nuovamente i documenti, sia quelli contenuti nei Libri Sacri che quelli introdotti altrove, ne ricava un indice delle esigenze particolari che riguardano non solo il dogma, ma anche la liturgia e altre questioni che hanno avuto un posto uno dopo l’altro nella Chiesa. Consegna l’indice così realizzato al critico. Ora egli (il critico) prende in mano i documenti che sono dedicati alla storia della fede, e li dispone età per età in modo che corrispondano uno per uno all’indice presentato, sempre tenendo presente il precetto che il fatto è preceduto dal bisogno, e il bisogno dal fatto. Certo, a volte può accadere che alcune parti della Bibbia, come ad esempio le epistole, siano il fatto stesso creato dal bisogno. Tuttavia, qualunque cosa sia, la legge è che l’età di un documento non può essere determinata altrimenti che dall’età di un bisogno che è sorto nella Chiesa.- Inoltre, bisogna distinguere tra l’origine di un fatto e lo sviluppo dello stesso, perché ciò che può nascere in un giorno, cresce solo con il passare del tempo. Per questo motivo il critico deve, come abbiamo detto, dividere nuovamente i documenti già distribuiti nei secoli, separando quelli che hanno a che fare con l’origine della cosa e quelli che riguardano il suo sviluppo, e deve a sua volta disporli per periodi.

Dz 2099 Poi c’è di nuovo posto per il filosofo, il quale impone allo storico di esercitare il suo zelo come prescrivono i precetti e le leggi dell’evoluzione. Quindi lo storico esamina di nuovo i documenti; esamina attentamente le circostanze e le condizioni che la Chiesa ha vissuto periodo dopo periodo: la sua forza conservatrice, le necessità interne ed esterne che l’hanno stimolata a progredire, gli ostacoli che le sono stati frapposti, in una parola, tutto ciò che aiuta a determinare come le leggi dell’evoluzione sono state mantenute. Infine, descrive la storia dello sviluppo, per così dire, a grandi linee. Il critico entra in scena e adatta il resto dei documenti. Si mette a scrivere. La storia è finita… Ora ci chiediamo: a chi si deve attribuire questa storia? Allo storico o al critico? Sicuramente a nessuno dei due, ma al filosofo. L’intera faccenda è portata avanti per apriorismo, anzi per un apriorismo che puzza di eresia. Sicuramente sono da compatire questi uomini, dei quali l’Apostolo avrebbe detto: “Diventano vani nei loro pensieri. … professandosi sapienti sono diventati stolti” (Rm 1,21-22); eppure ci fanno arrabbiare, quando accusano la Chiesa di confondere e cambiare i documenti in modo tale che possano testimoniare a suo vantaggio. Sicuramente accusano la Chiesa di ciò per cui si sentono apertamente condannati dalla loro stessa coscienza.

Dz 2100 Inoltre, come risultato di questa divisione e disposizione dei documenti per epoche, ne consegue naturalmente che i Libri Sacri non possono essere attribuiti a quegli autori a cui in realtà sono attribuiti. Per questo motivo i modernisti in genere non esitano ad affermare che quegli stessi libri, specialmente il Pentateuco e i primi tre Vangeli, dal breve resoconto originale sono cresciuti gradualmente con aggiunte, con interpolazioni, anzi, alla maniera di interpretazioni teologiche o allegoriche; o anche con l’interposizione di parti solo per unire brani diversi. Per dirla brevemente e più chiaramente, si deve certamente ammettere l’evoluzione vitale dei Libri Sacri, nata dall’evoluzione della fede e corrispondente alla stessa.–Infatti, aggiungono che le tracce di questa evoluzione sono così evidenti che la sua storia può quasi essere descritta. Anzi, la descrivono senza esitazione, tanto che si potrebbe credere di aver visto con i propri occhi gli stessi scrittori che, in ogni epoca, si sono dedicati all’ampliamento dei Libri Sacri. Inoltre, per sostenere queste azioni chiamano in aiuto una critica che chiamano testuale; e si sforzano di convincerci che questo o quel fatto o espressione non è al suo posto, e adducono altri argomenti del genere… Si direbbe infatti che abbiano prescritto per se stessi certi tipi, per così dire, di narrazioni e di discorsi, in seguito ai quali decidono con certezza ciò che sta al suo posto o in un posto sconosciuto… Chi vuole giudichi quanto possano essere abili a prendere decisioni in questo modo. Inoltre, chi li ascolta mentre parlano dei loro studi sui Libri Sacri, in seguito ai quali è stato loro concesso di scoprire tante cose impropriamente enunciate, quasi crederebbe che nessun uomo prima di loro abbia sfogliato le pagine di questi stessi libri; e che un numero quasi infinito di dottori non li abbia esaminati da ogni punto di vista, un gruppo chiaramente molto superiore a loro per mente, erudizione e santità di vita. Questi sapientissimi dottori, infatti, lungi dal trovare difetti nelle Sacre Scritture in ogni loro parte, anzi, più le esaminavano a fondo, più ringraziavano l’autorità divina per essersi degnata di parlare così con gli uomini. Ma, ahimè, i nostri dottori, per quanto riguarda i Libri Sacri, non si affidavano a quegli ausili su cui si basano i modernisti; quindi non avevano la filosofia come maestro e guida, né sceglievano se stessi come propria autorità nel prendere decisioni. Ora, dunque, ci sembra chiaro quale sia il metodo dei modernisti nel campo della storia. Il filosofo va avanti; lo storico gli succede; subito dopo, nell’ordine, opera la critica, sia interna che testuale. E poiché è caratteristica della causa prima comunicare il suo potere alle sue conseguenze, diventa evidente che tale critica non è affatto critica; che è giustamente chiamata agnostica, immanentista ed evoluzionista; e che quindi, chi la professa e la usa, professa gli errori impliciti nella stessa e si oppone alla dottrina cattolica.–Per questo motivo può sembrare molto strano che una critica di questo tipo abbia oggi un tale peso tra i cattolici. Ciò ha ovviamente una duplice causa: innanzitutto il patto con cui gli storici e i critici di questo tipo sono così strettamente uniti, mettendo in secondo piano le differenze di nazionalità e il dissenso delle religioni; poi l’infinita sfrontatezza con cui tutti, a una sola voce, esaltano ciò che ciascuno di loro blatera, attribuendolo al progresso della scienza; con cui, a stretto giro, attaccano colui che vuole esaminare la nuova meraviglia o la propria; con cui accusano di ignoranza colui che la nega, adornando di lodi colui che la abbraccia e la difende. Da questo potente dominio da parte di chi è nell’errore e da questa incurante adesione da parte delle anime volubili, deriva una corruzione dell’atmosfera circostante che penetra ovunque e diffonde la sua pestilenza.

3499. Dz 2101 [VI] Ma passiamo all’apologeta. Anche lui, tra i modernisti, dipende in modo duplice dal filosofo. Prima indirettamente, prendendo come materia la storia, scritta su dettatura del filosofo, come abbiamo visto; poi direttamente, avendo ottenuto da lui le sue dottrine e i suoi giudizi. Da qui quel precetto diffuso nella scuola dei modernisti secondo cui la nuova apologetica dovrebbe risolvere le controversie sulla religione con indagini storiche e psicologiche. Pertanto, l’apologeta modernista affronta il suo compito consigliando ai razionalisti di difendere la religione non con i Libri Sacri, né con la storia ampiamente utilizzata nella Chiesa, che è scritta alla vecchia maniera, ma con la vera storia composta da principi moderni e dal metodo moderno. E questo lo affermano non come se usassero un argumentum ad hominem, ma perché di fatto pensano che solo tale storia tramandi la verità. In effetti, non si preoccupano di affermare la loro sincerità in ciò che scrivono; sono già conosciuti tra i nazionalisti; sono già lodati per aver prestato servizio sotto la stessa bandiera; e su questa lode, che un vero cattolico rifiuterebbe, si congratulano con se stessi, e la sostengono contro i rimproveri della Chiesa.-Ma ora vediamo come procede uno di loro nelle sue scuse.

3500. Il fine che si prefigge di raggiungere è questo: conquistare alla fede una persona finora inesperta, affinché raggiunga questa esperienza della religione cattolica, che secondo i modernisti è l’unica base della fede. A questo scopo si aprono due vie: una oggettiva, l’altra soggettiva. La prima procede dall’agnosticismo e si sforza di mostrare che nella religione, soprattutto nella religione cattolica, c’è quella virtù vitale che persuade ogni psicologo e anche ogni storico di buona volontà che nella sua storia deve nascondersi qualcosa di ignoto. A tal fine è necessario dimostrare che la religione cattolica, così come esiste oggi, è esattamente quella che Cristo ha fondato, o che non è altro che lo sviluppo progressivo di quel germe che Cristo ha introdotto. Per prima cosa, quindi, bisogna stabilire di che natura sia questo germe. Questo, inoltre, vogliono dimostrare con la seguente formula: Il Cristo ha annunciato l’avvento del regno di Dio, che sarebbe stato instaurato a breve, e che Egli stesso ne sarebbe stato il Messia, cioè il fondatore e ordinatore divinamente dato. Poi bisogna mostrare in che modo questo germe, sempre immanente e permanente nella religione cattolica, si è evoluto gradualmente e secondo la storia, e si è adattato alle circostanze successive, prendendo da queste vitalmente qualsiasi forma dottrinale, culturale ed ecclesiastica fosse utile per lui, ma nel frattempo superando gli ostacoli che incontrava, disperdendo i suoi nemici e sopravvivendo a tutti gli attacchi e i combattimenti. Tuttavia, dopo che è stato dimostrato che tutti questi ostacoli, nemici, attacchi, combattimenti, e anche la vitalità e la fecondità della Chiesa sono stati di natura tale che, sebbene le leggi dell’evoluzione appaiano inalterate nella storia della Chiesa, tuttavia non saranno sviluppate appieno dalla stessa storia; l’ignoto si troverà di fronte ad essa e si presenterà da sé. In tutto questo ragionamento, però, non notano che la determinazione del germe primitivo è dovuta unicamente all’apriorismo del filosofo agnostico ed evoluzionista, e che il germe stesso è definito da loro in modo così gratuito da adattarsi al loro caso.

Dz 2102 Tuttavia, mentre con la recita di argomenti i nuovi apologeti lottano per proclamare e portare convinzione alla religione cattolica, di loro iniziativa ammettono e concedono che in essa ci sono molte cose che offendono. Con una sorta di malcelato piacere dichiarano persino ripetutamente e apertamente di trovare errori e contraddizioni anche nel campo del dogma; eppure aggiungono che questi non solo ammettono una scusa, ma, cosa che dovrebbe essere oggetto di meraviglia, che sono stati prodotti in modo giusto e legittimo. Così, anche secondo loro, molto dei Libri Sacri nel campo della scienza e della storia è affetto da errore. Ma essi affermano che qui non si tratta di scienza o storia, ma solo di religione e morale. Lì la scienza e la storia sono una sorta di copertura con cui si legano le esperienze religiose e morali, in modo che possano diffondersi più facilmente tra le masse; poiché, in effetti, le masse non lo capirebbero altrimenti, un tipo di scienza e di storia più perfetto non sarebbe stato un aiuto ma un danno per loro. Ma, aggiungono, i Libri Sacri, in quanto religiosi per natura, possiedono necessariamente la vita; ora, la vita ha anche una sua verità e una sua logica, ben diversa dalla verità razionale e dalla logica razionale, anzi di tutt’altro ordine, cioè la verità del confronto e della proporzione non solo in riferimento al mezzo (così essi stessi lo chiamano) in cui si vive, ma anche in riferimento al fine per cui si vive. Infine, procedono a tal punto che, abbandonando ogni freno, affermano che qualsiasi cosa si evolva attraverso la vita, è del tutto vera e legittima.-Ora noi, Venerabili Fratelli, per i quali esiste una sola, unica verità, e che consideriamo i Libri Sacri così, “che scritti sotto l’ispirazione dello Spirito Santo hanno Dio come autore” [cfr. n. 1787], dichiariamo che questo è lo stesso che dare la menzogna dell’utilità, o la menzogna offensiva a Dio stesso, e affermiamo con le parole di Sant’Agostino: “Una volta ammessa una qualche menzogna illecita contro un’autorità così elevata, non resterà in quei libri una clausola che, per quanto possa apparire a chiunque difficile da praticare o incredibile da credere, non sia riferita, secondo questa stessa regola perniciosa, al piano e allo scopo di un autore bugiardo”. * Perciò accadrà, come aggiunge lo stesso Santo Dottore: “In queste, cioè nelle Scritture, ognuno crederà ciò che vorrà; ciò che non vorrà, non crederà. “* Ma gli apologeti modernisti vanno avanti rapidamente. Ammettono anche che nei Libri Sacri si scoprono spesso ragionamenti che tentano di dimostrare una certa dottrina senza fondamento razionale, come quelli che si basano sulle profezie. E li difendono come una sorta di artificio per la predicazione, reso legittimo dalla vita. Che cosa c’è di più? Ammettono, anzi, affermano che Cristo stesso ha palesemente sbagliato nell’indicare il tempo della venuta del regno di Dio; e questo non dovrebbe sembrare strano, dicono, perché anche Lui era legato alle leggi della vita! E che dire dei dogmi della Chiesa? Anche questi abbondano di aperte contraddizioni; ma oltre al fatto che sono ammessi dalla logica vitale, non si oppongono alla verità simbolica; perché in questi si tratta di una questione di infinito, a cui appartengono infinite considerazioni. Infine, dimostrano e difendono tutto questo a tal punto da non esitare a professare che non c’è onore più nobile per l’Infinito che l’affermazione di contraddizioni su di Lui.-Ma quando una contraddizione è approvata, cosa non sarà approvato?

Dz 2103 Chi non crede ancora può essere disposto alla fede non solo con argomenti oggettivi ma anche soggettivi. A questo scopo gli apologeti modernisti tornano alla dottrina dell’immanenza. Si sforzano infatti di persuadere l’uomo che in lui, e nei recessi più reconditi della sua natura e della sua vita, si celano il desiderio e il bisogno di una qualche religione; non di una religione qualsiasi, ma di una religione come quella cattolica; perché questa, dicono, è assolutamente postulata dal perfetto sviluppo della vita. Qui, inoltre, dobbiamo ancora una volta lamentare con forza che tra i cattolici non mancano coloro che, pur rifiutando la dottrina dell’immanenza come dottrina, la utilizzano come metodo di apologia; e lo fanno in modo così incurante che sembrano ammettere nella natura umana non solo una capacità e un’idoneità all’ordine soprannaturale, come alcuni apologeti cattolici hanno sempre dimostrato entro i giusti limiti, ma un vero e proprio bisogno nel vero senso della parola.– Per essere più precisi, questa necessità della religione cattolica è introdotta dai modernisti che vogliono essere conosciuti come i più moderati. Infatti, coloro che possono essere chiamati integralisti desiderano che il germe sia dimostrato all’uomo che non crede ancora, come se fosse nascosto in lui, lo stesso germe che era nella coscienza di Cristo e che è stato trasmesso agli uomini da Lui. Così dunque, Venerabili Fratelli, riconosciamo il metodo apologetico dei modernisti, sommariamente descritto, come del tutto conforme alla loro dottrina; un metodo invero, come anche le dottrine, pieno di errori, non adatto a edificare, ma a distruggere, non a rendere cattolici, ma a trascinare i cattolici nell’eresia, sì, persino a sovvertire completamente ogni religione.

Dz 2104 [VII] Infine, occorre spendere qualche parola sul modernista come riformatore. Quanto abbiamo detto finora mostra abbondantemente quanto grande e acuto sia lo zelo per l’innovazione di questi uomini. Inoltre, questo zelo si estende a tutto ciò che esiste tra i cattolici. Vogliono riformare la filosofia, soprattutto nei seminari ecclesiastici, affinché, dopo aver relegato la filosofia scolastica nella storia della filosofia insieme agli altri sistemi obsoleti, si insegni ai giovani la filosofia moderna, che è l’unica vera e conforme alla nostra epoca.-Per riformare la teologia, desiderano che ciò che chiamiamo razionale abbia come base la filosofia moderna, ma pretendono che la teologia positiva sia basata soprattutto sulla storia del dogma.-Chiedono anche che la storia sia scritta e insegnata secondo il loro metodo e le loro prescrizioni moderne. I dogmi e la loro evoluzione, dichiarano, devono essere messi in armonia con la scienza e la storia. Per quanto riguarda la catechesi, chiedono che nel catechismo siano annotati solo i dogmi che sono stati riformati e che sono alla portata delle masse. Per quanto riguarda il culto, dicono che le devozioni esterne devono essere ridotte di numero e che si devono prendere provvedimenti per impedirne l’aumento, anche se alcuni che sono più favorevoli al simbolismo si mostrano più indulgenti su questo punto.-Gridano che il governo della Chiesa deve essere riformato sotto ogni aspetto, ma soprattutto dal punto di vista disciplinare e dogmatico. Così, sia all’interno che all’esterno, deve essere armonizzato con la coscienza moderna, come dicono, che tende interamente alla democrazia; così al clero inferiore e ai laici stessi devono essere assegnate parti appropriate nel governo, e quando l’autorità è stata unificata troppo e troppo centralizzata, deve essere dispersa.-Le congregazioni romane desiderano anche essere modificate nell’adempimento dei loro doveri sacri, ma soprattutto quello che è conosciuto come il Sant’Uffizio ed è anche chiamato l’Indice. Allo stesso modo, sostengono che l’azione dell’autorità ecclesiastica deve essere cambiata in campo politico e sociale, in modo che possa allo stesso tempo vivere in disparte dagli affari civili, ma adattarsi ad essi per impregnarli del suo spirito.–In campo morale adottano il principio degli americanisti, secondo cui le virtù attive devono essere anteposte a quelle passive, e devono essere messe in pratica. Desiderano che il clero sia preparato a praticare l’antica umiltà e povertà; inoltre, che nel pensiero e nell’azione si conformi ai precetti del modernismo.– Infine, ci sono alcuni che, dando retta alle parole dei loro maestri protestanti, desiderano l’eliminazione del santo celibato stesso dal sacerdozio… Che cosa, dunque, lasciano intatto nella Chiesa, che non debba essere riformato da loro o secondo i loro pronunciamenti?

Dz 2105 Nello spiegare tutta questa dottrina dei modernisti, Venerabili Fratelli, sembreremo ad alcuni, per caso, di aver indugiato troppo. Eppure era necessario farlo, sia perché, come di consueto, non fossimo accusati da loro di ignoranza dei loro principi, sia perché fosse chiaro che, quando si parla di modernismo, non si tratta di insegnamenti sparsi e non collegati tra loro, ma di un corpo unico e compatto, per così dire, in cui, se si ammette una cosa, il resto segue necessariamente. Così abbiamo fatto uso di ciò che equivale a un ragionamento didattico, e talvolta non abbiamo rifiutato le parole atroci che i modernisti hanno usato. – Ora, se guardiamo all’intero sistema con un solo sguardo, per così dire, nessuno si stupirà se lo definiamo come la sintesi di tutte le eresie. Di certo, se qualcuno si fosse proposto di riunire in un’unica soluzione la linfa e il sangue di tutti gli errori che sono esistiti sulla fede, nessuno avrebbe svolto il compito in modo più completo di quanto abbiano fatto i modernisti. Anzi, sono andati talmente oltre da distruggere non solo la religione cattolica, ma tutta la religione, come abbiamo già detto. Da qui il plauso dei razionalisti; per questo motivo quelli tra i razionalisti che parlano più liberamente e apertamente si congratulano per non aver trovato alleati più efficaci dei modernisti.

Dz 2106 Torniamo ora per un momento, Venerabili Fratelli, alla dottrina perniciosissima dell’agnosticismo. Con essa evidentemente, per quanto riguarda l’intelletto, si sbarra all’uomo ogni strada verso Dio, mentre si suppone che un approccio più adeguato sia aperto attraverso un certo senso dell’anima e dell’azione. Chi non vede quanto questo sia sbagliato? Perché il senso dell’anima è la risposta all’azione della cosa che l’intelletto e i sensi esterni hanno proposto. Se si toglie l’intelletto, l’uomo sarà portato a seguire i sensi esterni, nella cui direzione sta già procedendo. Anche questo è un male; perché eventuali fantasie del senso religioso non distruggeranno il senso comune; inoltre, il senso comune ci insegna che ogni turbamento o occupazione dell’anima non è un aiuto, ma piuttosto un ostacolo alla ricerca della verità, della verità, diciamo, così com’è in sé; perché quell’altra verità soggettiva, frutto del senso interno e dell’azione, se davvero è adatta al gioco, non contribuisce affatto all’uomo, la cui principale preoccupazione è sapere se al di fuori di sé c’è un Dio nelle cui mani un giorno cadrà.– Ma i modernisti introducono l’esperienza come aiuto per questo grande compito. Ma cosa aggiungerà questo al senso dell’anima? Niente di niente, se non renderlo più veemente e, come risultato di questa veemenza, rendere la sua convinzione della verità dell’oggetto proporzionalmente più forte. Ora, queste due cose non fanno sì che il senso dell’anima cessi di essere senso, né cambiano la sua natura, che è sempre suscettibile di inganno, a meno che non sia diretto dall’intelletto; ma piuttosto lo confermano e lo aiutano, perché quanto più intenso è il senso, a maggior ragione è senso.

Dz 2107 Ora, poiché stiamo trattando del senso religioso e dell’esperienza in esso contenuta, sapete bene, Venerabili Fratelli, quanto ci sia bisogno di prudenza in questa materia; così come quanta dottrina debba guidare la prudenza stessa. Lo sapete per la vostra esperienza con le anime, soprattutto con quelle in cui il senso è preminente; lo sapete per l’abitudine di leggere i libri che trattano di ascesi, le quali opere, pur essendo di scarso valore per i modernisti, presentano una dottrina molto più solida e più profonda per l’osservazione della saggezza di quella che essi si arrogano. In effetti, ci sembra una follia, o almeno una consumata imprudenza, ritenere vere senza indagini le esperienze intime che i modernisti raccomandano. Ma perché, per parlare sommariamente, se c’è tanta forza e valore in queste esperienze, non si dovrebbe attribuire lo stesso valore a quell’esperienza che molte migliaia di cattolici affermano di avere riguardo al sentiero errato su cui camminano i modernisti? Non è forse tutto falso e fallace? Ma la grande maggioranza degli uomini è fermamente convinta di questo, e lo sarà: che attraverso il solo senso e l’esperienza, senza la guida e la luce della mente, l’uomo non potrà mai raggiungere Dio. E così abbiamo di nuovo l’ateismo e nessuna religione.

Dz 2108 I modernisti non si ripromettono nulla di meglio proclamando la dottrina del simbolismo. Infatti, se tutti gli elementi intellettuali, come dicono, sono solo simboli di Dio, il nome stesso di Dio o della personalità divina non sarà forse un simbolo? E se così fosse, allora ci sarebbe la possibilità di dubitare della personalità divina e si aprirebbe la strada al panteismo. Inoltre, allo stesso modo, l’altra dottrina dell’immanenza divina porta al panteismo puro e semplice. Infatti, chiediamo questo: Questa immanenza distingue o no Dio dall’uomo? Se distingue, in che cosa differisce dalla dottrina cattolica o perché rifiuta la dottrina della rivelazione esterna? Se non distingue, abbiamo il panteismo. Ma questa immanenza dei modernisti sostiene e concede che ogni fenomeno di coscienza procede dall’uomo in quanto uomo. Quindi il buon ragionamento ne deduce che Dio e l’uomo sono una cosa sola; e così abbiamo il panteismo.

Dz 2109 In effetti, la distinzione che essi proclamano tra scienza e fede non ammette altra conclusione. Infatti, essi pongono l’oggetto della scienza nella realtà del conoscibile; l’oggetto della fede, al contrario, nella realtà dell’inconoscibile. Ora, l’inconoscibile è pienamente stabilito da questo, che tra l’oggetto materiale e l’intelletto non c’è proporzione, e questo difetto di proporzione non potrà mai essere rimosso, nemmeno nella dottrina dei modernisti. Pertanto, l’inconoscibile rimarrà sempre inconoscibile, sia per il credente che per il filosofo. Perciò, se avremo una religione, sarà quella di una realtà inconoscibile. Perché questa non possa essere anche l’anima dell’universo, come ammettono alcuni razionalisti, non lo vediamo di certo. Ma lasciamo che queste parole siano sufficienti per mostrare pienamente come la dottrina dei modernisti conduca per molteplici vie all’ateismo e alla distruzione di ogni religione. In effetti, l’errore dei Protestanti è stato il primo a percorrere questa strada; l’errore dei modernisti lo segue; l’ateismo sarà il passo successivo. [Dopo aver fissato le cause di questi errori – curiosità, orgoglio, ignoranza della vera filosofia – si stabiliscono alcune regole per il sostegno e l’organizzazione degli studi filosofici, teologici e profani, e per la scelta prudente degli insegnanti, ecc.].

Motu Proprio “Præstantia Scripturæ“, 18 novembre 1907.

L’autorità delle decisioni della Commissione biblica.

3503. (Ci sono alcuni che) non hanno ricevuto o non ricevono queste decisioni con l’obbedienza dovuta, anche se sono approvate dal Sommo Pontefice. Per questo motivo riteniamo necessario dichiarare e ordinare, come espressamente dichiariamo e ordiniamo, che tutti, senza eccezione, sono tenuti in coscienza a obbedire alle decisioni della Pontificia Commissione Biblica, sia a quelle emanate che a quelle che saranno emanate, allo stesso modo dei decreti delle Sacre Congregazioni che hanno a che fare con la dottrina e che sono stati approvati dal Sommo Pontefice; che tutti coloro che, con parole o scritti, attaccheranno queste decisioni non potranno evitare la nota della disobbedienza o della temerarietà, e graveranno la loro coscienza di una grave colpa, senza contare lo scandalo che potranno causare e le altre responsabilità in cui potranno incorrere davanti a Dio per le loro affermazioni diverse, avventate ed erronee, come spesso accade in queste materie.

Risposta della Commissione Biblica. 29 giugno 1908

Personaggio e autore del libro di Isaia.

3505. Domanda 1: Si può insegnare che le profezie che si leggono nel libro di Isaia – e in vari passi delle Sacre Scritture – non sono profezie propriamente dette, ma narrazioni composte dopo l’evento, o che, se si deve ammettere che certi fatti erano stati predetti prima dell’evento, il profeta non ha predetto questi eventi per una rivelazione soprannaturale di Dio, che conosce il futuro, ma per una congettura dedotta dagli eventi passati, in virtù di una felice sagacia e della naturale perspicacia della sua mente? Risposta: No.

3506. Domanda n. 2: L’opinione che Isaia e gli altri profeti abbiano predetto solo eventi imminenti o prossimi può essere conciliata con le profezie – specialmente quelle messianiche ed escatologiche – che questi stessi profeti hanno certamente formulato con molto anticipo, e con il comune sentire dei Santi Padri, i quali affermano che i profeti hanno predetto anche eventi che si sarebbero realizzati solo molti secoli dopo? Risposta: No

3507. Domanda 3: Possiamo ammettere che i profeti, non solo quando censuravano la depravazione umana e annunciavano la Parola divina in vista di coloro che li ascoltavano, ma anche quando annunciavano eventi futuri, dovevano sempre rivolgersi non ad ascoltatori futuri, ma ad ascoltatori attuali e in una situazione simile alla loro, per poter essere pienamente compresi da loro, e che, di conseguenza, la seconda parte del libro di Isaia (Is 40-66), in cui il profeta rivolge parole di consolazione, come se vivesse in mezzo a loro, non a ebrei nella stessa situazione di Isaia, ma a ebrei che gemono nell’esilio babilonese, non può avere come autore Isaia stesso, morto da tempo, ma deve essere attribuita a un profeta sconosciuto che condivideva l’esistenza degli esuli? Risposta: No.

3508 Domanda 4: L’argomento filologico, basato sulla lingua e sullo stile, in virtù del quale si contesta l’identità dell’autore del libro di Isaia, deve essere giudicato così forte da obbligare un uomo serio, ben preparato nella conoscenza del metodo critico e della lingua ebraica, ad ammettere una pluralità di autori per questo stesso libro? Risposta No.

3509 Domanda 5: Esistono argomenti solidi, anche presi collettivamente, per dimostrare che il libro di Isaia non deve essere attribuito al solo Isaia, ma a due o addirittura più autori? Risposta: No.

Risposta della Commissione Biblica, 30 giugno 1909.

Il carattere storico dei primi capitoli della Genesi

3512 Domanda 1: I vari sistemi esegetici che sono stati escogitati per escludere il significato storico letterale dei primi tre capitoli del libro della Genesi, e che sono stati difesi con il pretesto della scienza, si basano su solide fondamenta? Risposta: No.

3513 Domanda 2 : È possibile, nonostante il carattere e la forma storica del libro della Genesi, il particolare legame che esiste tra i primi tre capitoli e tra questi e i capitoli successivi, le molteplici testimonianze delle Scritture sia dell’Antico che del Nuovo Testamento, l’opinione quasi unanime dei Santi Padri e l’opinione tradizionale, trasmessa anche dal popolo israelita, che la Chiesa ha sempre sostenuto, ad insegnare che i tre capitoli suddetti della Genesi non contengono racconti di cose realmente accadute, cioè corrispondenti alla realtà oggettiva e alla verità storica, ma sono o favole prese in prestito dai miti e dalle cosmogonie dei popoli antichi e adattate dall’autore sacro alla dottrina monoteista dopo aver espurgato ogni errore politeista, o allegorie o simboli privi del fondamento della realtà oggettiva e che sono stati proposti sotto la veste della storia per inculcare verità religiose e filosofiche, o infine leggende, in parte storiche e in parte inventate, che sono state liberamente composte per l’istruzione e l’edificazione delle anime? Risposta: No per entrambe le parti.

3514 Domanda n. 3 : È possibile, in particolare, dubitare del senso storico letterale quando si tratta di fatti narrati in questi stessi capitoli che toccano il fondamento della religione cristiana, come, tra gli altri, la creazione di tutte le cose fatte da Dio all’inizio dei tempi; la creazione particolare dell’uomo; la formazione della prima donna dal primo uomo; l’unità del genere umano; la felicità originaria dei primi genitori nello stato di rettitudine, integrità e immortalità; il comandamento dato da Dio all’uomo per testare la sua obbedienza; la trasgressione del precetto divino, su istigazione del diavolo sotto forma di serpente; la caduta dei primi genitori da questo primitivo stato di innocenza; e la promessa del Redentore a venire? Risposta: No.

3515 Domanda 4: Nell’interpretare i passi di questi capitoli, che i Padri e i Dottori hanno inteso in modi diversi, senza trasmettere qualcosa.

hanno inteso in modi diversi senza trasmettere nulla di certo e definito, è lecito, essendo sicuro il giudizio della Chiesa e salvaguardata l’analogia della fede, seguire e difendere l’opinione che ciascuno, con prudenza, ha ritenuto giusta? Risposta: Sì.

3516 Domanda 5: Tutte le cose e ciascuna di esse, cioè le parole e le frasi, che compaiono nei capitoli sopra citati sono sempre e necessariamente da intendersi nel senso proprio, così che non è mai permesso discostarsene, anche quando risulta che i modi di dire sono stati usati in modo improprio, metaforico o analogico, e che la ragione vieta di attenersi al senso proprio o la necessità impone di abbandonarlo? Risposta: No.

3517. Domanda 6: Dato che il senso letterale e storico è presupposto, è possibile applicare, in modo saggio e utile, un’interpretazione allegorica e profetica di alcuni passi di questi stessi capitoli, secondo l’esempio luminoso dei santi Padri e della Chiesa stessa? Risposta: Sì.

3518. Domanda 7: Sebbene, nel comporre il primo capitolo della Genesi, l’intenzione dell’autore sacro non fosse quella di insegnare in modo scientifico la costituzione interna delle realtà visibili e l’ordine completo della creazione, ma piuttosto di trasmettere al suo popolo una conoscenza popolare quale il linguaggio comune dell’epoca consentiva, e che era adatta ai sensi e alle capacità degli uomini, dobbiamo, nell’interpretare queste cose, cercare esattamente e costantemente il carattere proprio del discorso scientifico? Risposta: No.

3519. Domanda 8: In questa designazione e distinzione dei sei giorni di cui si parla nel primo capitolo della Genesi, la parola yôm (giorno) può essere intesa sia in senso proprio, come giorno naturale, sia in senso improprio, come un certo lasso di tempo, ed è lecito discutere questa questione tra esegeti? Risposta: Sì.

Risposta della Commissione Biblica, 1 maggio 1910.

Autore e data di redazione dei Salmi.

3521. Domanda n. 1: Le denominazioni “Salmi di Davide”, “Inni di Davide”, “Libro dei Salmi di David”, “Salterio davidico”, che sono stati usati nelle antiche raccolte e nei primi concili per designare il libro dei centocinquanta Salmi dell’Antico Testamento, così come l’opinione di diversi Padri e Dottori che hanno sostenuto che tutti i Salmi del Salterio devono essere attribuiti al solo David, sono di tale importanza che David deve essere considerato come l’unico autore dell’intero Salterio? Risposta: No.

3522 Domanda 2: La concordanza tra il testo ebraico e il testo greco di Alessandria e di altre versioni antiche ci permette di affermare a ragion veduta che i titoli dei Salmi che precedono il testo ebraico sono più antichi della traduzione nota come LXX, e che di conseguenza provengono, se non direttamente dagli autori dei Salmi stessi, almeno da un’antica tradizione ebraica? Risposta: Sì.

3523 Domanda n. 3: Si può ragionevolmente dubitare dei titoli dei suddetti Salmi, testimoni della tradizione ebraica, quando non vi sono ragioni importanti contro la loro autenticità? Risposta: No.

3524 Domanda 4 : Se consideriamo le testimonianze della Sacra Scrittura, che non sono rare, sul talento naturale, illuminato dal dono benevolo dello Spirito Santo, che Davide aveva per la composizione di canti religiosi, sulle disposizioni da lui stabilite per il canto liturgico dei Salmi, sul fatto che i Salmi sono attribuiti a lui sia nell’Antico Testamento che nel Nuovo, e sui titoli che per lungo tempo sono stati posti davanti ai Salmi, Oltre all’accordo degli ebrei, dei Padri e dei Dottori della Chiesa, è ragionevolmente possibile negare che Davide sia l’autore principale dei canti del Salterio o, al contrario, affermare che solo un piccolo numero di canti debba essere attribuito a questo stesso cantore reale? Risposta: No per entrambe le parti.

3525. Domanda 5: È possibile, in particolare, negare l’origine davidica di quei Salmi che nell’Antico e nel Nuovo Testamento sono espressamente citati con il nome di Davide, e tra i quali dobbiamo menzionare in particolare il Salmo 2: “Perché questo turbamento delle nazioni?”. Salmo 2; Salmo 15: “Custodiscimi Signore” Salmo 15; Salmo 16: “Voglio amare te, Signore, mia forza” Salmo 17; Salmo 29: “Beati quelli a cui sono perdonate le iniquità” Salmo 30; Salmo 68: “Dio, salvami” Salmo 68; Salmo 109: “Il Signore dice al mio Signore”? Risposta: No.

3526. Domanda 6: È possibile ammettere l’opinione di coloro che affermano che tra i Salmi del Salterio ve ne sono alcuni il cui autore è Davide o altri e che, per motivi liturgici o musicali, per la fatica degli scribi o per altre ragioni, sono stati divisi in più o uniti in uno solo; e allo stesso modo che vi sono altri Salmi, come “Pietà di me Signore” Sal 50, che per adattarsi meglio alle circostanze storiche o alle festività del popolo ebraico, sono stati leggermente rimaneggiati o modificati, con la cancellazione o l’aggiunta di uno o più versetti, salvaguardando tuttavia l’ispirazione del testo sacro nel suo insieme? Risposta: Sì per entrambe le parti.

3527. È possibile sostenere come probabile l’opinione di quegli autori recenti che, basandosi solo su indizi interni o su un’interpretazione meno corretta del testo sacro, hanno cercato di dimostrare che un numero abbastanza elevato di Salmi è stato composto dopo i tempi di Esdra e Neemia, o addirittura al tempo dei Maccabei? Risposta: No.

3528. Domanda 8: Date le molteplici testimonianze dei libri sacri del Nuovo Testamento e l’accordo unanime dei Padri, o anche ciò che viene detto da autori del popolo ebraico, è necessario riconoscere diversi Salmi profetici e messianici che predicevano la venuta, il Regno, il sacerdozio, la Passione, la morte e la Risurrezione del Liberatore a venire; e per questo motivo dobbiamo respingere assolutamente l’opinione di coloro che mettono in dubbio il carattere profetico e messianico dei Salmi, e che limitano questi oracoli relativi a Cristo alla mera predizione del futuro destino del popolo eletto? Risposta: Sì per entrambe le parti.

Decreto della Sacra Congregazione per i Sacramenti “Quam singulari”, 8 agosto 1910.

Comunione e unzione degli infermi nei bambini

3530 I. L’età della discrezione per la confessione e per la Comunione è quella in cui il bambino comincia a ragionare, cioè verso i sette anni, o anche meno. Da questo momento inizia l’obbligo di osservare il duplice precetto della confessione e della comunione 812.

3531 II. La conoscenza piena e perfetta della dottrina cristiana non è necessaria per la prima confessione e la prima comunione. Il bambino, tuttavia, deve continuare ad apprendere l’intero catechismo gradualmente, secondo le capacità della sua intelligenza.

3532 III. La conoscenza della religione richiesta al bambino per prepararlo adeguatamente alla prima comunione è che egli comprenda, secondo le sue capacità, i misteri necessari della fede, che sono tanti mezzi, e che sappia distinguere il pane eucaristico dal pane ordinario e corporale, per accostarsi alla Santissima Eucaristia con la devozione che la sua età richiede.

3533 IV. L’obbligo del precetto della confessione e della comunione, che riguarda il bambino, ricade soprattutto su coloro che ne sono responsabili, cioè i genitori, il confessore, gli insegnanti e il parroco. Ma secondo il Catechismo Romano, spetta al padre o a chi lo sostituisce e al confessore ammettere il bambino alla Prima Comunione.

3534 VI. Coloro che hanno la responsabilità dei bambini abbiano cura di portarli frequentemente alla santa mensa dopo la Prima Comunione e, se possibile, anche ogni giorno, come desiderano Cristo Gesù e la nostra Madre Chiesa 3375-3383 e che lo facciano con la devozione adeguata alla loro età.

3535 VII. L’usanza di non ammettere alla confessione o di non assolvere mai i bambini che hanno raggiunto l’età della ragione è da riprovare assolutamente.

3536 VIII. È un abuso detestabile non dare il viatico e l’estrema unzione ai bambini che hanno raggiunto l’età della ragione e seppellirli secondo il rito dei neonati.

Motu proprio “Sacrorum antistitum”, 1° settembre 19l0

Giuramento antimodernista

3537. Io, N…, abbraccio e accolgo fermamente tutte le verità che sono state definite, affermate e dichiarate dal Magistero infallibile della Chiesa, specialmente quei capitoli di dottrina che si oppongono direttamente agli errori di questo tempo.

3538 In primo luogo, professo che Dio, principio e fine di tutte le cose, può essere certamente conosciuto, e quindi anche dimostrato alla luce naturale della ragione, “da ciò che è stato fatto” (Rm 1,20), cioè dalle opere visibili della creazione, come la causa dagli effetti.

3539. In secondo luogo, ammetto e riconosco le prove esterne della Rivelazione, cioè i fatti divini, in particolare i miracoli e le profezie, come segni molto certi dell’origine divina della religione cristiana, e ritengo che siano pienamente adatti alla comprensione di tutti gli uomini, anche di quelli di oggi.

3540. In terzo luogo, credo anche fermamente che la Chiesa, custode e maestra della Parola rivelata, sia stata istituita immediatamente e direttamente da Cristo in persona, vera e storica, quando viveva tra noi, e che sia stata edificata su Pietro, capo della gerarchia apostolica, e sui suoi successori per sempre.

3541. In quarto luogo, accetto sinceramente la dottrina della fede trasmessa dagli apostoli a noi sempre nello stesso senso e con la stessa interpretazione da parte dei padri ortodossi; per questo motivo, respingo assolutamente l’invenzione eretica dell’evoluzione dei dogmi, che passerebbe da un senso a un altro, diverso da quello professato per primo dalla Chiesa. Condanno anche qualsiasi errore che sostituisca al deposito divino rivelato, affidato alla Sposa di Cristo per custodirlo fedelmente, un’invenzione filosofica o una creazione della coscienza umana, formata a poco a poco dallo sforzo umano e che un progresso indefinito perfezionerebbe in futuro.

3542. In quinto luogo, ritengo e professo sinceramente che la fede non è un cieco sentimento religioso che emerge dalle tenebre del subconscio sotto la pressione del cuore e l’inclinazione della volontà moralmente informata, ma che è un vero assenso dell’intelligenza alla verità ricevuta dall’esterno, dall’udito, con la quale crediamo vero, per l’autorità di Dio che è sovranamente veritiero, ciò che è stato detto, attestato e rivelato dal Dio personale, nostro Creatore e nostro Signore.

3543. Mi sottometto anche, con la dovuta riverenza, e aderisco con tutto il cuore a tutte le condanne, le dichiarazioni e le prescrizioni che si trovano nell’enciclica Pascendi (3475-3500) e nel decreto Lamentabili 3401-3466, specialmente su quella che viene chiamata la storia dei dogmi.

3544. Allo stesso modo, respingo l’errore di coloro che affermano che la fede proposta dalla Chiesa può essere in contraddizione con la storia e che i dogmi cattolici, nel senso in cui sono intesi oggi, non possono essere conciliati con una conoscenza più esatta delle origini della religione cristiana.

3545. Condanno e respingo anche l’opinione di coloro che affermano che il cristiano erudito assume una doppia personalità, quella del credente e quella dello storico, come se fosse lecito per lo storico sostenere ciò che contraddice la fede del credente, o porre premesse da cui deriverebbe che i dogmi sono falsi o dubbi, purché questi dogmi non siano direttamente negati.

3546. Disapprovo anche il modo di giudicare e interpretare la Sacra Scrittura che, disdegnando la tradizionedella Chiesa, l’analogia della fede e le regole della Sede Apostolica, si aggrappa alle invenzioni dei razionalisti e adotta la critica testuale come unica e suprema regola, con tanto di squilibrio quanto di temerarietà.

3547. Respingo anche l’opinione di chi sostiene che l’insegnante di discipline storico-teologiche o l’autore che scrive su queste questioni debba innanzitutto mettere da parte qualsiasi opinione preconcetta, sia sull’origine soprannaturale della tradizione cattolica, sia sull’aiuto promesso da Dio per la conservazione eterna di ciascuna delle verità rivelate; in secondo luogo, che gli scritti di ciascuno dei Padri devono essere interpretati unicamente in base a principi scientifici, indipendentemente da qualsiasi autorità sacra, con la libertà critica consueta nello studio di qualsiasi documento secolare.

3548. Infine, in generale, dichiaro di non avere assolutamente nulla in comune con l’errore dei modernisti che ritengono che non ci sia nulla di divino nella tradizione sacra o, peggio ancora, che ammettono il divino in senso panteistico, per cui tutto ciò che rimane è un fatto puro e semplice, da porre sullo stesso piano dei fatti della storia: gli uomini con i loro sforzi, la loro abilità, il loro genio continuano, attraverso i secoli, l’insegnamento inaugurato da Cristo e dai suoi apostoli.

3549. Infine, tengo molto fermamente e terrò fino all’ultimo respiro la fede dei Padri nel carisma certo della verità che è, è stato e sarà sempre “nella successione dell’episcopato a partire dagli apostoli”, non perché si possa tenere ciò che sembra più adatto alla cultura di ogni epoca, ma perché “nessuno creda mai ad altro, né comprenda in altro modo la verità assoluta e immutabile predicata fin dall’inizio dagli apostoli”.

3550. Tutte queste cose prometto di osservarle fedelmente, completamente e sinceramente, e di mantenerle inviolabilmente, non allontanandomi mai da esse né nell’insegnamento né in alcun modo nella mia parola o nei miei scritti. Lo giuro, lo giuro. Che Dio mi aiuti e questi santi Vangeli.

Lettera “Ex quo, nono” ai delegati apostolici di Bisanzio, Grecia, Egitto, Mesopotamia, ecc., 26 dicembre 1910

Errori degli orientali

3553. In modo non meno avventato che falso, si apre la porta all’opinione che il dogma della processione dello Spirito Santo dal Figlio non provenga dalle parole stesse del Vangelo e che non sia confermato dagli antichi Padri.

3554. Allo stesso modo, si mette imprudentemente in dubbio che i sacri dogmi del Purgatorio e dell’Immacolata Concezione della Beata Vergine Maria siano stati riconosciuti dai santi uomini dei secoli precedenti;

3555. … a proposito della costituzione della Chiesa … innanzitutto si rinnova l’errore condannato da tempo dal nostro predecessore Innocenzo X 1999, che insinua che san Paolo sia da considerarsi un fratello uguale in tutto a san Pietro; – poi con non minore falsità si manifesta la convinzione che la Chiesa cattolica non fosse, nei primi secoli, il governo di una sola, cioè una monarchia; o che il primato della Chiesa romana non sia basato su validi argomenti.

3556. Ma anche la dottrina cattolica sul tema del santissimo sacramento dell’Eucaristia non viene lasciata intatta, quando si insegna senza mezzi termini che si potrebbe ammettere la concezione secondo cui presso i Greci le parole di consacrazione non hanno effetto se non viene pronunciata questa preghiera, che essi chiamano epiclesi, Eppure sappiamo che la Chiesa non ha il diritto di innovare in alcun modo sulla sostanza stessa dei sacramenti, e non è meno spiacevole che ritenga valida la cresima conferita da qualsiasi sacerdote 2522. (Censura: respinta come) errore grave.

Risposta della Commissione Biblica, 19 giugno 1911

Autore, data di composizione e verità storica del

Vangelo secondo Matteo.

3561. Domanda 1: In considerazione dell’accordo universale e costante di tutta la Chiesa fin dai primi secoli, che è chiaramente dimostrato dalle testimonianze esplicite dei Padri, dai titoli dei manoscritti dei Vangeli, dalle versioni più antiche delle Sacre Scritture, dai cataloghi trasmessi dai santi Padri, scrittori ecclesiastici, pontefici e concili, e infine dagli usi liturgici della Chiesa d’Oriente e d’Occidente, possiamo e dobbiamo affermare con certezza che Matteo, l’apostolo di Cristo, è davvero l’autore del Vangelo pubblicato con il suo nome? Risposta: Sì.

3562. Domanda 2: L’opinione che Matteo abbia preceduto gli altri evangelisti nella scrittura e che abbia composto il primo Vangelo pubblicato con il suo nome deve essere considerata sufficientemente fondata dalla Tradizione?

primo vangelo nella lingua madre allora usata dagli ebrei di Palestina ai quali quest’opera era destinata? Risposta: Sì, per entrambe le parti.

3563. Domanda 3: È possibile spostare la stesura di questo testo originale oltre il tempo della distruzione di Gerusalemme, in modo che le predizioni che vi si leggono riguardo a questa distruzione siano state scritte dopo l’evento; oppure la testimonianza di Ireneo, che di solito viene addotta, e la cui interpretazione è incerta e controversa, deve essere considerata di peso tale da obbligarci a respingere l’opinione di coloro che ritengono più conforme alla Tradizione che questa stesura sia avvenuta ancora prima dell’arrivo di Paolo in città? Risposta: No per entrambe le parti.

3564. Domanda 4: Possiamo almeno sostenere come probabile l’opinione di alcuni moderni secondo i quali il Vangelo di Matteo non sarebbe stato composto, nel senso proprio e ristretto del termine, il Vangelo così come ci è stato trasmesso, ma solo una raccolta di detti e parole di Cristo che un altro autore, anonimo, che essi fanno diventare il redattore stesso del Vangelo, avrebbe usato come fonti? Risposta: No.

3565. Domanda 5: Dato che tutti i Padri e gli scrittori ecclesiastici, e la Chiesa stessa fin dalle sue origini, hanno usato come canonico solo il testo greco del Vangelo conosciuto come Matteo – senza escludere coloro che hanno espressamente trasmesso che Matteo scriveva nella sua lingua naturale – si può dimostrare con certezza che nella sostanza il Vangelo greco è identico a quello scritto dallo stesso apostolo nella sua lingua madre? Risposta: Sì.

3566. Domanda 6: Dato che l’autore del primo Vangelo persegue uno scopo prevalentemente teologico e apologetico, cioè dimostrare agli ebrei che Gesù è il Messia annunciato dai profeti e nato dalla stirpe di Davide, e che, inoltre, nel modo in cui dispone i fatti e i detti che racconta e riporta, non segue sempre l’ordine cronologico, è lecito dedurre da ciò che essi non debbano essere riconosciuti come veri? Oppure possiamo anche affermare che i racconti delle azioni e delle parole di Gesù che leggiamo nel Vangelo hanno subito un cambiamento o un adattamento sotto l’influenza delle profezie dell’Antico Testamento e dello stato più evoluto della Chiesa, e che quindi non sono conformi alla verità storica? Risposta: No da entrambe le parti.

3567 Domanda 7: Le opinioni di coloro che mettono in dubbio l’autenticità storica dei primi due capitoli, in cui sono narrate la genealogia e l’infanzia di Cristo, e di alcune affermazioni di grande importanza dogmatica, come quelle sul primato di Pietro (Mt 16,17-19), sulla forma di battesimo trasmessa agli Apostoli con la missione universale di predicazione (Mt 28,19 ss.), devono essere considerate prive di un solido fondamento?

la forma di battesimo trasmessa agli, la professione di fede degli apostoli nella divinità di Cristo Mt 14,33, e altre affermazioni simili che sembrano essere affermate in modo particolare in Matteo? Risposta: Sì.

Risposta della Commissione Biblica, 26 giugno 1912.

I. Autore, data di composizione e verità storica dei Vangeli secondo Marco e Luca.

3568. Domanda 1: La chiara voce della Tradizione, che fin dalle origini della Chiesa è stata mirabilmente unanime e che è stata confermata da molteplici prove, cioè le testimonianze esplicite dei santi Padri e degli scrittori ecclesiastici, le citazioni e le allusioni che si trovano nei loro scritti, l’uso degli antichi eretici, le traduzioni dei libri del Nuovo Testamento, È possibile affermare con certezza che Marco, il discepolo e interprete di Pietro, e Luca, il medico, assistente e compagno di Paolo, sono realmente gli autori dei Vangeli loro rispettivamente attribuiti? Risposta: Sì.

3569. Domanda 2: Gli argomenti utilizzati da alcuni critici per dimostrare che gli ultimi dodici versetti del Vangelo di Marco Mc 16,9-20

non sono stati scritti da Marco, ma aggiunti da un’altra mano, sono tali da dare il diritto di affermare che non devono essere riconosciuti come ispirati e canonici; o almeno che dimostrano che Marco non è l’autore di questi versetti? Risposta: No, da entrambe le parti.

3570. Domanda 3: È ugualmente lecito dubitare dell’ispirazione e della canonicità dei racconti di Luca sull’infanzia di Cristo Lc 16,9-20 o sull’apparizione dell’angelo che consola Gesù e sul sudore di sangue Lc 22,43s; o si può almeno dimostrare con solidi argomenti – che piacevano agli antichi eretici e che piacciono anche ai critici più recenti – che questi racconti non fanno parte del Vangelo originale di Luca? Risposta: No per entrambe le parti.

3571. Domanda 4: I rarissimi e del tutto isolati documenti in cui il cantico del Magnificat (Lc 1,46-55) è attribuito non alla Beata Vergine Maria ma a Elisabetta, possono e devono prevalere in qualche modo contro la testimonianza concorde di quasi tutti i manoscritti, sia del testo originale greco che delle traduzioni, e contro l’interpretazione che il contesto richiede non meno del sentimento della Vergine stessa e della costante Tradizione della Chiesa? Risposta: No.

3572 Domanda 5: Per quanto riguarda l’ordine cronologico dei Vangeli, è lecito discostarsi dall’opinione corroborata dall’antichissima e costante testimonianza della Tradizione, che attesta che dopo Matteo, che fu il primo di tutti a comporre il suo Vangelo nella sua lingua madre, Marco scrisse il secondo e Luca il terzo; oppure l’opinione che il secondo e il terzo Vangelo siano stati composti prima della traduzione greca del primo Vangelo deve essere considerata contraria a questa opinione? Risposta: No per entrambe le parti.

3573. Domanda n. 6: La data di composizione dei Vangeli di Marco e Luca può essere posticipata fino alla distruzione di Gerusalemme; oppure, poiché in Luca la profezia del Signore sulla distruzione di questa città appare più precisa, si può sostenere che almeno il suo Vangelo sia stato composto dopo che l’assedio era già iniziato? Risposta: No per entrambe le parti.

3574. Domanda n. 7: Si deve affermare che il Vangelo di Luca precede il libro degli Atti degli Apostoli e che, poiché questo libro, composto dallo stesso Luca (At 1,1), fu terminato alla fine della cattività romana dell’Apostolo (At 28,30), il suo Vangelo non fu composto dopo questa data? Risposta: Sì.

3575. Domanda 8: Considerando sia le testimonianze della Tradizione sia le argomentazioni interne relative alle fonti utilizzate da ciascun evangelista nella composizione del Vangelo, è ragionevole mettere in dubbio l’opinione che Marco abbia scritto secondo la predicazione di Pietro e Luca secondo la predicazione di Paolo, affermando allo stesso tempo che questi evangelisti avevano anche altre fonti attendibili, orali o già scritte? Risposta: No.

3576. Domanda 9: Le parole e le azioni che sono raccontate esattamente e, per così dire, alla lettera da Marco secondo la predicazione di Pietro, e che sono presentate nel modo più sincero da Luca, che fin dall’inizio si è informato accuratamente su tutto da testimoni molto degni di fede, poiché essi stessi videro fin dall’inizio e furono servi del Verbo (Lc 1,2 s.), rivendicano giustamente per sé questa fede storica che la Chiesa ha sempre accordato loro; o, al contrario, queste stesse azioni e queste stesse parole devono essere considerate “così prive, almeno in parte, di verità storica, sia perché gli autori non furono testimoni oculari, sia perché non è raro trovare nei due evangelisti una mancanza di ordine e una differenza nel modo in cui sono stati scritti?

o perché, essendo venuti a scrivere più tardi, dovevano necessariamente riportare concezioni estranee al pensiero di Cristo e degli apostoli, o fatti già più o meno distorti dall’immaginazione del popolo, o infine perché, ciascuno secondo il proprio disegno, si sono lasciati guidare da idee dogmatiche preconcette? Risposta: Sì per la prima parte; no per la seconda.

II. La questione sinottica, ovvero le relazioni reciproche tra le prime tre parti.

3577. Domanda 1: Mantenendo eccetto ciò che, in conformità con quanto stabilito in precedenza, deve essere mantenuto eccetto – in particolare per quanto riguarda l’autenticità e l’integrità dei tre Vangeli di Matteo, Marco e Luca, l’identità sostanziale del Vangelo greco di Matteo con il suo originale primitivo, nonché l’ordine cronologico in cui sono stati scritti -, Date le numerose concezioni diverse e opposte degli autori, è lecito per gli esegeti discutere liberamente le somiglianze e le differenze tra i Vangeli, e ricorrere alle ipotesi della Tradizione scritta o orale, o della dipendenza di uno da quello o quelli precedenti? Risposta: Sì.

3578. Domanda n. 2: Coloro che, non basandosi su alcuna testimonianza della Tradizione o su alcuna prova storica, approvano senza esitazione l’ipotesi delle cosiddette “due fonti”, che tenta di spiegare la composizione del Vangelo greco di Matteo e del Vangelo di Luca basandosi soprattutto sulla loro dipendenza dal Vangelo di Marco e da una raccolta nota come Detti del Signore, devono essere considerati come sostenitori di ciò che è stato stabilito sopra, e possono quindi difenderla liberamente? Risposta: No per entrambe le parti.

Risposta della Commissione Biblica, 12 giugno 1913.

I. Autore, data di composizione e verità storica degli Atti degli Apostoli.

3581. Domanda n. 1: Considerando soprattutto la Tradizione della Chiesa universale che risale ai primi scrittori ecclesiastici, e tenendo conto delle caratteristiche interne del libro degli Atti

considerato sia in sé che in relazione al terzo Vangelo, soprattutto per quanto riguarda l’affinità e la reciproca connessione dei due prologhi Lc 1,1-4 Ac 1,1-5

È certo che il libro intitolato Atti degli Apostoli, o “Praxeis Apostolon”, sia stato scritto dall’evangelista Luca? Risposta: Sì.

3582. Domanda n. 2: Possono gli argomenti critici, suggeriti dal linguaggio e dallo stile e dalla forma della narrazione, nonché dall’unità di scopo e di dottrina, dimostrare che il libro degli Atti deve essere attribuito a un unico autore e che, di conseguenza, l’opinione dei critici recenti secondo cui Luca non è l’unico autore di questo libro, ma che devono essere riconosciuti diversi autori distinti in questo scritto, è priva di fondamento? Risposta: Sì su entrambi i punti.

3583. Domanda 3: In particolare, le principali pericopi degli Atti, in cui il discorso in terza persona viene abbandonato a favore della prima persona plurale (Wir-Stücke), invalidano l’unità di composizione e l’autenticità degli Atti? O dovremmo piuttosto dire che, considerati storicamente e filologicamente, la confermano? Risposta: No sul primo punto; sì sul secondo.

3584. Domanda 4: Dal fatto che il libro stesso, dopo un rapido accenno ai due anni della prima prigionia di Paolo a Roma, si chiuda bruscamente, abbiamo il diritto di concludere che l’autore scrisse un altro volume, ora perduto, o che intendesse scriverlo, e possiamo quindi posticipare la data di composizione del libro degli Atti a molto tempo dopo questa prigionia; o piuttosto dobbiamo legittimamente e giustamente dedurre che l’Apostolo Luca terminasse il suo lavoro negli ultimi giorni della prima prigionia di Paolo a Roma? Risposta: No sul primo punto; sì sul secondo.

3585. Questione 5: Se consideriamo allo stesso tempo i frequenti e facili rapporti che Luca ebbe certamente con i primi e principali fondatori della Chiesa di Palestina, e anche con Paolo, l’apostolo delle genti, con il quale fu collaboratore nella predicazione del Vangelo e compagno di viaggio; la sua abituale sagacia e la cura con cui cerca testimoni e vede le cose con i propri occhi; e infine la frequentissima, evidente e mirabile concordanza del libro degli Atti con le epistole di Paolo e con i più veritieri monumenti della storia, dobbiamo dare per scontato che Luca abbia avuto tra le mani fonti assolutamente attendibili, che le abbia utilizzate con cura, probità e fedeltà, e che quindi possa a buon diritto rivendicare la piena autorità storica? Risposta: Sì.

3586. Domanda 6: Per quanto riguarda le difficoltà che di solito vengono sollevate qua e là, a causa dei miracoli raccontati da Luca, o di certi discorsi che, riportati sotto forma di riassunti, passano per appropriati alle circostanze, o di certi passaggi che sono almeno apparentemente in contrasto con la storia secolare o biblica; o infine di certi racconti che sembrano contraddire l’autore stesso degli Atti o altri scrittori biblici, sono di natura tale da mettere in dubbio l’autorità storica degli Atti o almeno da sminuirla in qualche modo? Risposta: No.

II L’autore, l’integrità e la data di composizione delle Epistole pastorali dell’Apostolo Paolo

3587. Domanda 1: Se consideriamo la Tradizione ecclesiastica, che fin dall’inizio si afferma ovunque e con fermezza, come testimoniano in molti modi gli antichi monumenti ecclesiastici, dobbiamo ritenere certo che le cosiddette epistole pastorali, cioè le due a Timoteo e l’epistola a Tito, nonostante l’audacia di alcuni eretici che, ritenendole contrarie al loro insegnamento, le hanno cancellate, senza darne alcuna motivazione, dal numero delle epistole paoline, siano state scritte dallo stesso apostolo Paolo e siano sempre state annoverate tra le epistole autentiche e canoniche? Risposta: Sì.

3588. Domanda 2: La cosiddetta ipotesi dei frammenti, introdotta e proposta in varie forme da alcuni critici contemporanei che, peraltro, senza alcuna ragione plausibile, e anche contraddicendosi tra loro, sostengono che le Epistole pastorali siano state formate in un secondo momento, da autori ignoti, da frammenti di epistole o da epistole paoline perdute e notevolmente ampliate, può in qualche modo invalidare la precisa e saldissima testimonianza della Tradizione? Risposta: No.

3589. Domanda n. 3: Le difficoltà che di solito vengono sollevate, sia per lo stile e il linguaggio dell’autore, sia per gli errori, soprattutto degli gnostici, descritti all’epoca come serpenti che si insinuano, sia per lo stato della gerarchia ecclesiastica che si supponeva già sviluppata, e altre obiezioni dello stesso tipo, invalidano in qualche modo la tesi che ritiene accertata e certa l’autenticità delle Lettere pastorali? Risposta: No.

3590. Domanda 4: Dato che gli argomenti storici e la Tradizione ecclesiastica, in conformità con le testimonianze dei Padri d’Oriente e d’Occidente, nonché le prove facilmente ricavabili sia dalla brusca conclusione del libro degli Atti, sia dalle epistole paoline composte a Roma, principalmente la seconda a Timoteo, ci obbligano a ritenere certa la doppia prigionia dell’apostolo Paolo a Roma, possiamo affermare con certezza che le Epistole pastorali sono state scritte tra la fine dell’Impero romano e la fine dell’Impero romano?

prigionia e la morte dell’apostolo? Risposta: Sì.

Risposta della Commissione Biblica, 24 giugno 1914.

Autore e data di composizione dell’epistola agli Ebrei.

3591. Domanda 1: È necessario attribuire una tale forza ai dubbi che fin dai primi secoli, dovuti soprattutto all’abuso degli eretici, abitavano le menti di alcuni in Occidente circa l’ispirazione divina e l’origine paolina dell’epistola agli Ebrei che, tenendo conto della continua, unanime e costante affermazione dei Padri orientali a cui si unì, dopo il IV secolo, il pieno assenso di tutta la Chiesa d’Occidente; e considerando anche gli atti dei sovrani pontefici e dei santi concili, in particolare quello di Trento, nonché l’uso perpetuo delle Chiese, è lecito esitare non solo ad annoverarla tra le epistole canoniche – che è stata definita per fede – ma anche ad annoverarla con certezza tra le epistole autentiche dell’apostolo Paolo? Risposta: No.

3592. Domanda 2: Gli argomenti che di solito si traggono dall’insolita assenza del nome di Paolo e dall’omissione del consueto esordium e saluto nell’epistola agli Ebrei, o dalla purezza della lingua greca, dall’eleganza e perfezione dell’espressione e dello stile, o dal modo in cui viene citato e argomentato l’Antico Testamento, o da certe differenze che si dice esistano tra la dottrina di questa epistola e quella delle altre epistole di Paolo, sono in qualche modo in grado di confutare la sua origine paolina? o al contrario, la perfetta concordanza di dottrina e di pensiero, la somiglianza delle monizioni e delle esortazioni, così come l’armonia del modo di parlare e delle parole stesse, spesso lodata anche da alcuni non cattolici, che si osserva tra questa epistola e gli altri scritti dell’Apostolo delle Genti, manifesta e conferma proprio questa origine paolina? Risposta: No per la prima parte; sì per la seconda.

3593. Domanda 3: L’apostolo Paolo deve essere considerato l’autore di questa epistola nel senso che dobbiamo necessariamente affermare che egli non solo l’ha concepita ed elaborata interamente sotto l’ispirazione dello Spirito Santo, ma che le ha anche dato la forma in cui è presentata? Risposta: No, con riserva di un successivo giudizio da parte della Chiesa.

Decreto della Sacra Congregazione degli Studi, 27 luglio 1914.

Tesi approvate in filosofia tomistica

3601. 1. La potenza e l’atto dividono l’essere in modo tale che tutto ciò che è o è puro atto, o è necessariamente composto da potenza e atto come principi primi e intrinseci.

3602. 2. L’atto, in quanto perfezione, è limitato solo dalla potenza, che è l’attitudine alla perfezione. Di conseguenza, quando l’atto è puro, esiste solo come illimitato e unico; ma quando è finito e multiplo, entra in vera composizione con la potenza.

3603.3 Perciò, per la ragione assoluta del suo stesso essere, Dio è uno, il più semplice; tutti gli altri esseri che partecipano all’essere stesso hanno una natura per cui l’essere è limitato, e sono composti di essenza ed esistenza come di due principi realmente distinti.

3604.4 L’essere, che è denominato dall’esistenza, non è attribuito a Dio e alle creature in modo univoco, né in modo totalmente equivoco, ma in modo analogo, secondo l’analogia a volte di attribuzione, a volte di proporzionalità.

3605.5 Inoltre, in ogni creatura c’è una composizione reale del soggetto sussistente e di forme aggiunte in un secondo modo, cioè di accidenti: questi non sarebbero intelligibili se l’essere non fosse realmente ricevuto in un’essenza distinta.

3606 (6). Oltre agli accidenti assoluti, esiste anche un accidente relativo, cioè relativo a qualcosa. Sebbene relativo a qualcosa non significhi che una cosa sia inerente a un’altra secondo la propria ragione, spesso tuttavia ha la sua causa nelle cose, e per questo ha un’entità reale distinta dal soggetto.

3607 (7) La creatura spirituale è nella sua essenza del tutto semplice. Ma rimane in essa una doppia composizione di essenza ed esistenza, di sostanza e di accidenti.

3608 (8). La creatura corporea è, rispetto all’essenza stessa, composta di atto e potenza; questa potenza e questo atto, nell’ordine dell’essenza, sono designati dai termini materia e forma.

3609 9. Nessuna di queste due parti possiede l’esistenza da sola, né può prodursi o distruggersi da sola, né essere presa come predicato se non come principio sostanziale.

3610 10. Anche se l’estensione risulta dalla natura corporea nelle sue parti integranti, non è la stessa cosa per un corpo essere una sostanza ed essere esteso. La sostanza in quanto tale è indivisibile non nel modo di un punto, ma nel suo proprio modo, che non è dell’ordine della dimensione. La quantità, che dà estensione alla sostanza, è realmente distinta dalla sostanza ed è un accidente a sé stante.

3611 11. La materia considerata sotto l’aspetto della quantità è il principio dell’individuazione, cioè della distinzione numerica di un individuo da un altro appartenente alla stessa specie, cosa che non può avvenire per le creature puramente spirituali.

3612 12. Dallo stesso attributo di quantità consegue che un corpo sia circoscritto in un luogo e che si trovi in un luogo solo in questo modo, per qualsiasi potenza.

3613 13. Esistono due tipi di corpi, i corpi viventi ed i corpi inerti. Nei corpi viventi, poiché sia la parte motrice che quella mobile si trovano nello stesso soggetto, la forma sostanziale chiamata anima richiede una disposizione organica, cioè parti distinte.

3614 14. In nessun modo le anime dell’ordine vegetativo e dell’ordine sensibile sussistono da sole o si producono da sole, ma esistono solo in base al principio per cui il vivente esiste e vive, e poiché dipendono interamente dalla materia, quando il composto muore, esse periscono per caso.

3615 15. Al contrario, l’anima umana sussiste da sola; è stata creata da Dio per essere unita a un soggetto sufficientemente preparato, e per natura è imperitura e immortale.

3616 16. Quest’anima razionale è unita al corpo in modo da costituire la sua unica forma sostanziale, e attraverso di essa l’uomo esiste come uomo, come animale, come essere vivente, come sostanza e come essere. L’anima dà all’uomo tutta la sua perfezione essenziale; inoltre, comunica al corpo l’atto di esistere con il quale esso stesso esiste.

3617 17. Due ordini di facoltà derivano dall’anima umana in virtù della sua natura; i primi, che riguardano i sensi, hanno come soggetto il composto, i secondi la sola anima. L’intelletto è una facoltà intrinsecamente indipendente da un organo.

3618 18. L’intelligenza segue necessariamente l’immaterialità, così che il grado di intellettualità

corrisponde al grado di distanza dalla materia. L’oggetto proprio dell’intelligenza è comunemente l’essere stesso; il proprio dell’intelletto umano nell’attuale stato di unione si limita ad astrarre le quiddità dalle loro condizioni materiali.

3619 19. Noi traiamo la conoscenza dalle cose sensibili. Ma poiché il sensibile non è intelligibile in atto, dobbiamo ammettere, oltre all’intelletto che raggiunge le cose formali (gli intelligibili), l’esistenza nell’anima di una facoltà attiva che astrae le forme intelligibili dalle immagini.

3620 20. Con queste forme intelligibili conosciamo direttamente le forme universali; gli esseri individuali li raggiungiamo con i sensi e con l’intelletto che ritorna alle immagini; per analogia, conosciamo le realtà spirituali.

3621 21. La volontà segue l’intelletto, non lo precede; la volontà desidera necessariamente ciò che le viene presentato come il bene che soddisfa in ogni caso il suo appetito, ma tra diversi beni che le vengono presentati come desiderabili, sceglie liberamente con un atto di giudizio revocabile. Così la scelta segue l’ultimo giudizio pratico; infine la volontà esegue.

3622 22. Non si arriva a intuire direttamente l’esistenza di Dio, né la si può dimostrare a priori, ma piuttosto a posteriori, “dalle cose create Rm 1,20 , ragionando dagli effetti alla causa; cioè dalle cose che si muovono e non possono avere in sé il principio adeguato del loro movimento al primo movente immobile; dallo svolgersi delle cose nel mondo subordinate tra loro alla prima causa senza causa ; dalle cose corruttibili, che potrebbero benissimo non essere o essere, all’essere assolutamente necessario; dalle cose che, tra le perfezioni limitate dell’essere, della vita, dell’intelligenza, hanno più o meno essere, vita e intelligenza, a quella che è in sommo grado intelligenza, vita ed essere; infine dall’ordine dell’universo a un’intelligenza separata che ordina, dispone e dirige tutte le cose verso il loro fine.

3623 23. L’essenza divina, poiché il suo stesso essere si identifica con l’atto in atto, cioè poiché è l’Essere stesso sussistente, si presenta a noi anche come la ragione metafisica del bene e, per questo, ci rivela la ragione della sua infinita perfezione.

3624 24. Per la purezza del suo essere Dio è separato dalle cose limitate. Da ciò consegue, in primo luogo, che il mondo non può procedere da Dio se non attraverso la creazione; in secondo luogo, che l’energia creatrice con la quale l’essere in quanto tale si è formato per la prima volta in se stesso non può essere comunicata neppure per miracolo a qualche natura finita; in terzo luogo, che nessun agente creato può agire su alcun essere se non attraverso un moto ricevuto dalla Causa prima.

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA DAGLI APOSTOLI A S.S. PIO XII (40): “Da BENEDETTO XV a PIO XII, 1914-1944”