DOMENICA DELL’OTTAVA DEL CORPUS DOMINI – II DOPO PENTECOSTE.

DOMENICA NELL’OTTAVA DEL CORPUS DOMINI II DOPO PENTECOSTE

(Messale Romano di S. Bertola e G. Destefani, comm. di D. G. LEFEBVRE O. S. B; L. I. C. E. – R. Berruti & C. Torino 1950)

Semidoppio. – Paramenti bianchi.

La Chiesa ha scelto, per celebrare la festa del Corpus Domiti, il giovedì che è fra la domenica, nella quale il Vangelo parla della misericordia di Dio verso gli uomini e del dovere che ne deriva per i Cristiani di un amore reciproco (l dopo Pentecoste) e quella (II dopo Pentecoste) nella quale si ripetono le stesse idee (Epist.) e si presenta il regno dei cieli sotto il simbolo della parabola del convito di nozze (Vang.)  [Questa Messa esisteva coi suoi elementi attuali molto prima che fosse istituita la festa del Corpus Domini. Niente infatti poteva essere più adatta all’Eucaristia, che è il banchetto ove tutte le anime sono unite nell’amore a Gesù, loro sposo, e a tutte le membra mistiche.) Niente poi di più dolce che il tratto nel quale si legge nell’Ufficio la storia di Samuele che fu consacrato a Dio fin dalla sua più tenera infanzia per abitare presso l’Arca del Signore e diventare il sacerdote dell’Altissimo nel suo santuario. La liturgia ci mostra come questo fanciullo offerto da sua madre a Dio, serviva con cuore purissimo il Signore nutrendosi della verità divina. In quel tempo, dice il Breviario, « la parola del Signore risuonava raramente e non avvenivano visioni manifeste », poiché Eli era orgoglioso e debole, e i suoi due figli Ofni e Finees infedeli a Dio e incuranti del loro dovere. Allora il Signore si manifestò al piccolo Samuele poiché « Egli si rivela ai piccoli, dice Gesù, e si nasconde ai superbi », e S. Gregorio osserva che « agli umili sono rivelati i misteri del pensiero divino ed è per questo che Samuele è chiamato un fanciullo ». E Dio rivelò a Samuele il castigo che avrebbe colpito Eli e la sua casa. Ben presto, infatti l’Arca fu presa dai Filistei, i due figli di Eli furono uccisi ed Eli stesso mori. Dio aveva così rifiutato le sue rivelazioni al Gran Sacerdote perché tanto questi come i suoi figli non apprezzavano abbastanza le gioie divine figurate nel « gran convito » di cui parla in questo giorno il Vangelo, e si attaccavano più alle delizie del corpo che a quelle dell’anima. Così applicando loro il testo di S. Gregorio nell’Omelia di questo giorno, possiamo dire che « essi erano arrivati a perdere ogni appetito per queste delizie interiori, perché se n’erano tenuti lontani e da parecchio tempo avevano perduta l’abitudine di gustarne. E perché non volevano gustare la dolcezza interiore che loro era offerta, amavano la fame che fuori li consumava». I figli d’Eli, Infatti prendevano le vivande che erano offerte a Dio e le mangiavano; ed Eli, loro padre, li lasciava fare. Samuele invece, che era vissuto sempre insieme con Eli aveva fatto sue delizie le consolazioni divine. Il cibo che mangiava era quello che Dio stesso gli elargiva, quando, nella contemplazione e nella preghiera gli manifestava i suoi segreti. « Il fanciullo dormiva» il che vuol dire, spiega S. Gregorio, «che la sua anima riposava senza preoccupazione delle cose terrestri ». « Le gioie corporali, che accendono in noi un ardente desiderio del loro possesso, spiega questo santo nel suo commento al Vangelo di questo giorno, conducono ben presto al disgusto colui che le assapora per la sazietà medesima; mentre le gioie spirituali provocano il disprezzo prima del loro possesso, ma eccitano il desiderio quando si posseggono; e colui che le possiede è tanto più affamato quanto più si nutre ». Ed è quello che spiega come le anime che mettono tutta la loro compiacenza nei piaceri di questo mondo, rifiutano di prender parte al banchetto della fede cristiana, ove la Chiesa le nutre della dottrina evangelica per mezzo dei suoi predicatori. « Gustate e vedete, continua S. Gregorio, come il Signore è dolce ». Con queste parole il Salmista ci dice formalmente: «Voi non conoscerete la sua dolcezza se voi non lo gusterete, ma toccate col palato del vostro cuore l’alimento di vita e sarete capaci di amarlo avendo fatto esperienza della sua dolcezza. L’uomo ha perduto queste delizie quando peccò nel paradiso: ma le ha riavute quando posò la sua bocca sull’alimento d’eterna dolcezza. Da ciò viene pure che essendo nati nelle pene di questo esilio noi arriviamo quaggiù ad un tale disgusto che non sappiamo più che cosa dobbiamo desiderare. » (Mattutino). « Ma per la grazia dello Spirito Santo siamo passati dalla morte alla vita » (Ep.) e allora è necessario come il piccolo e umile Samuele che noi, che siamo i deboli, i poveri, gli storpi del Vangelo, non ricerchiamo le nostre delizie se non presso il Tabernacolo del Signore e nelle sue intime unioni. Evitiamo l’orgoglio e l’amore delle cose terrestri affinché « stabiliti saldamente nell’amore del santo Nome di Dio » – (Or.), continuamente « diretti da lui ci eleviamo di giorno in giorno alla pratica di una vita tutta celeste » (Secr.) e « che grazie alla partecipazione al banchetto divino, i frutti di salute crescano continuamente in noi » (Postcom.).

Incipit

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Ps XVII: 19-20.

Factus est Dóminus protéctor meus, et edúxit me in latitúdinem: salvum me fecit, quóniam vóluit me.

[Il Signore si è fatto mio protettore e mi ha tratto fuori, al largo: mi ha liberato perché mi vuol bene] Ps XVII: 2-3

Díligam te. Dómine, virtus mea: Dóminus firmaméntum meum et refúgium meum et liberátor meus.

[Amerò Te, o Signore, mia forza: o Signore, mio sostegno, mio rifugio e mio liberatore.]

Factus est Dóminus protéctor meus, et edúxit me in latitúdinem: salvum me fecit, quóniam vóluit me.

[Il Signore si è fatto mio protettore e mi ha tratto fuori, al largo: mi ha liberato perché mi vuol bene.]

Oratio

Orémus. Sancti nóminis tui, Dómine, timórem páriter et amórem fac nos habére perpétuum: quia numquam tua gubernatióne destítuis, quos in soliditáte tuæ dilectiónis instítuis.

[Del tuo santo Nome, o Signore, fa che nutriamo un perpetuo timore e un pari amore: poiché non privi giammai del tuo aiuto quelli che stabilisci nella saldezza della tua dilezione.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Joánnis Apóstoli 1 Giov. III: 13-18

“Caríssimi: Nolíte mirári, si odit vos mundus. Nos scimus, quóniam transláti sumus de morte ad vitam, quóniam dilígimus fratres. Qui non díligit, manet in morte: omnis, qui odit fratrem suum, homícida est. Et scitis, quóniam omnis homícida non habet vitam ætérnam in semetípso manéntem. In hoc cognóvimus caritátem Dei, quóniam ille ánimam suam pro nobis pósuit: et nos debémus pro frátribus ánimas pónere. Qui habúerit substántiam hujus mundi, et víderit fratrem suum necessitátem habére, et cláuserit víscera sua ab eo: quómodo cáritas Dei manet in eo? Filíoli mei, non diligámus verbo neque lingua, sed ópere et veritáte.”

[“Carissimi: Non vi meravigliate se il mondo vi odia. Noi sappiamo d’essere passati dalla morte alla vita, perché amiamo i fratelli. Chi non ama rimane nella morte. Chiunque odia il proprio fratello è omicida; e sapete che nessun omicida ha la vita eterna abitante in sé. Abbiam conosciuto l’amor di Dio da questo: che egli ha dato la sua vita per noi; e anche noi dobbiam dare la vita per i fratelli. Se uno possiede dei beni di questo mondo e, vedendo il proprio fratello nel bisogno, gli chiude le sue viscere, come mai l’amor di Dio dimora in lui? Figliuoli miei, non amiamo a parole e con la lingua, ma con fatti e con sincerità”].

VERA E FALSA CARITÀ.

Noi andiamo o fratelli, coll’Apostolo della carità e con il suo veramente divino apostolato, di meraviglia in meraviglia. Domenica scorsa l’Apostolo San Giovanni ha messo la carità in cielo. Dio è Carità — ha pronunziato una parola di sublimità incomparabile. Questa domenica, dal cielo più alto discende sul terreno più umile; scrive parole di una incomparabile praticità: «Miei figliuoli, non amiamo a chiacchiere… o più letteralmente ancora, non amiamo colla bocca, colle parole, amiamo coll’opera, se vogliamo amare per davvero ». Dove è chiaro che si tratta di quell’amore che merita nome di carità e della carità che corre le vie della terra, tra uomo e uomo. L’Apostolo ha l’orrore della carità falsa, apparente — che sembra carità e non è carità, come un banchiere (i banchieri sono i devoti, gli apostoli, i mistici della moneta, della vera, s’intende) detesta, abborre, abbomina la moneta falsa — che pare e non è, che par oro ed è orpello. E qual è questa carità falsa? È proprio la carità che non fa e parla. Il non fare ne costituisce il non essere, e il parlare le dà l’apparenza. La parola buona, caritatevole, vuota di opere; non è più abito, è maschera, è commedia. Come frequente allora e adesso la commedia della carità! Come facile e frequente (appunto perché tanto facile) l’impietosirsi gemebondo sulla miseria del prossimo. Poverino qua! Poverino là! E come frequente la esaltazione verbale della carità: facile e frequente il panegirico della filantropia! E quanti, sfogato così il loro istinto retorico e sentimentale, si credono, si sentono in pace con la loro coscienza! Credono di aver fatto tutto, perché hanno parlato molto! L’Apostolo della carità è terribilmente e semplicemente realista. Che cosa serve tutta questa logorrea? A che cosa serve per chi soffre la fame, il freddo, lo sconforto della vita? Nulla. Le parole lasciano il tempo che trovano. E che sincerità in queste parole infeconde, sistematicamente, regolarmente infeconde di opere! Che razza di cuore, di carità ha colui che vede il suo prossimo in bisogno, e non fa nulla per sollevarlo? Vede aver fame e non gli dà da mangiare? aver sete e non gli amministra da bere? – Fare bisogna, se si vuole che la carità sfugga all’accusa, al sospetto di simulazione, di ipocrisia. L’opera è la figlia dell’amore, ne è la prova sicura e perentoria. Fare, notate, dice l’Apostolo, anziché semplicemente dare, perché il dare è una forma particolare del fare. Fare quello che si può con le persone che si amano fraternamente davvero. – Fare per gli altri quello che, a parità di condizione, faremmo e vorremmo che gli altri facessero per noi. Fare e molto, e bene, e sempre. Fare non per farsi vedere, ma per renderci benefici. Fare del bene, non fare del rumore. C’è più carità in una goccia di operosità, che in un mare di chiacchiere. E allora il grande quesito che noi dobbiamo proporci se vogliamo esaminarci bene sul capitolo della carità, la virtù che ci assomiglia a Dio, il grande quesito è questo: che cosa, che cosa abbiamo fatto, che cosa facciamo? cosa, cosa, non parole!

[P. G. Semeria: Le epistole delle Domeniche, Op. naz. Per il mezzogiorno d’Italia, Milano, 1939. Nihil obstat sac. P. De Ambroggi – Imprim. P. Castiglioni vic. Gen. Curia Arch. : 1 -3-1938]

Graduale

Ps CXIX: 1-2 Ad Dóminum, cum tribulárer, clamávi, et exaudívit me.

[Al Signore mi rivolsi: poiché ero in tribolazione, ed Egli mi ha esaudito.]

Alleluja

Dómine, libera ánimam meam a lábiis iníquis, et a lingua dolósa. Allelúja, allelúja

[O Signore, libera l’ànima mia dalle labbra dell’iniquo, e dalla lingua menzognera. Allelúia, allelúia]

Ps VII:2 Dómine, Deus meus, in te sperávi: salvum me fac ex ómnibus persequéntibus me et líbera me. Allelúja.

[Signore, Dio mio, in Te ho sperato: salvami da tutti quelli che mi perseguitano, e liberami. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia ✠ sancti Evangélii secúndum Lucam.

Luc. XIV: 16-24

“In illo témpore: Dixit Jesus pharisæis parábolam hanc: Homo quidam fecit coenam magnam, et vocávit multos. Et misit servum suum hora coenæ dícere invitátis, ut venírent, quia jam paráta sunt ómnia. Et coepérunt simul omnes excusáre. Primus dixit ei: Villam emi, et necésse hábeo exíre et vidére illam: rogo te, habe me excusátum. Et alter dixit: Juga boum emi quinque et eo probáre illa: rogo te, habe me excusátum. Et álius dixit: Uxórem duxi, et ídeo non possum veníre. Et revérsus servus nuntiávit hæc dómino suo. Tunc irátus paterfamílias, dixit servo suo: Exi cito in pláteas et vicos civitátis: et páuperes ac débiles et coecos et claudos íntroduc huc. Et ait servus: Dómine, factum est, ut imperásti, et adhuc locus est. Et ait dóminus servo: Exi in vias et sepes: et compélle intrare, ut impleátur domus mea. Dico autem vobis, quod nemo virórum illórum, qui vocáti sunt, gustábit cœnam meam”.

(“In quel tempo disse Gesù ad uno di quelli che sederono con lui a mensa in casa di uno dei principali Farisei: Un uomo fece una gran cena, e invitò molta gente. E all’ora della cena mandò un suo servo a dire ai convitati, che andassero, perché tutto era pronto. E principiarono tutti d’accordo a scusarsi. Il primo dissegli: Ho comprato un podere, e bisogna che vada a vederlo; di grazia compatiscimi. E un altro disse: Ho comprato cinque gioghi di buoi, o vo a provarli; di grazia compatiscimi. E l’altro disse: Ho preso moglie, e perciò non posso venire. E tornato il servo, riferì queste cose al suo padrone. Allora sdegnato il padre di famiglia, disse al servo: Va tosto per le piazze, e per le contrade della città, e mena qua dentro i mendici, gli stroppiati, i ciechi, e gli zoppi. E disse il servo: Signore, si è fatto come hai comandato, ed evvi ancora luogo. E disse il padrone al servo: Va per le strade e lungo le siepi, e sforzali a venire, affinché si riempia la mia casa. Imperocché vi dico, che nessuno di coloro che erano stati invitati assaggerà la mia cena”).

Omelia

(Discorsi di s. G. B. M. VIANNEY Curato d’Ars – vol. II, 4° ed. Torino, Roma; C. Ed. Marietti, 1933)

Sulla santa Messa.

In omni loco sacrificatur et offertur nomini meo oblatio munda.

(MALACH. I, 11).

È certo, Fratelli miei, che l’uomo, come creatura, deve a Dio l’omaggio di tutto il suo essere, e come peccatore gli deve una vittima di espiazione: per ciò nella Legge antica si offriva a Dio nel tempio una moltitudine di vittime. Ma quelle vittime non potevano soddisfare a Dio interamente, pei nostri peccati: ne occorreva una più santa e più pura che dovesse durare sino alla fine del mondo e fosse capace di pagare quanto dobbiamo a Dio. Questa vittima santa è Gesù Cristo istesso, Dio come il Padre suo, e Uomo come noi. Egli si offre tutti i giorni sui nostri altari, come già sul Calvario, e con questa oblazione pura e senza macchia rende a Dio tutti gli onori che gli sono dovuti, e si sdebita a nome dell’uomo, di tutto ciò che questo deve al suo Creatore: si immola ogni giorno, per riconoscere il sovrano dominio che ha Dio sulle sue creature, e vien pienamente riparato l’oltraggio fatto a Dio dal peccato. Gesù Cristo, quale. mediatore tra Dio e gli uomini, ci ottiene col suo sacrificio tutte le grazie che ci sono necessarie: essendosi contemporaneamente reso vittima di ringraziamento, rende a Dio gli uomini tutta la riconoscenza che gli devono.Ma per aver la fortuna, F. M., di ricevere tutti questi beni, bisogna che facciamo anche noi qualche cosa da parte nostra. Per meglio farvelo sentire, vi farò comprendere, almeno quanto mi sarà possibile:

1° la grandezza della fortuna che abbiamo di assistere alla santa Messa;

2° le disposizioni con le quali dobbiamo assistervi;

3° come vi assiste la maggior parte dei Cristiani.

Non voglio, F., M., entrare nella spiegazione di quanto significano i paramenti indossati dal sacerdote: penso che lo sappiate, almeno molti. Quando il sacerdote va in sagrestia per pararsi, rappresenta Gesù Cristo che discende dal cielo per incarnarsi nel seno della Vergine santissima, prendendo un corpo come il nostro per sacrificarlo al Padre suo pei nostri peccati. Quando il sacerdote prende l’amitto, che è quel lino bianco che si mette sulle spalle, lo fa per rappresentarci il momento in cui i Giudei bendarono gli occhi a Gesù Cristo, percuotendolo e dicendogli: « Indovina chi è che ti ha percosso? » Il camice rappresenta la veste bianca della quale lo fece rivestire Erode per ischerno quando lo rimandò a Pilato. Il cingolo raffigura le corde con le quali fu legato, quando fu preso nel giardino degli Olivi, i flagelli coi quali fu tormentato. Il manipolo, che il sacerdote si mette al braccio sinistro, ci rappresenta le funi con cui Gesù Cristo fu attaccato alla colonna per essere flagellato: esso si mette al braccio sinistro perché più vicino al cuore, il che ci mostra che l’eccesso dell’amor suo gli fece soffrire questa crudele flagellazione pei nostri peccati. La stola ci raffigura la corda gettatagli al collo quando portava la croce. La pianeta ci ricorda lo straccio di porpora, ed il suo vestito senza cuciture giuocato a sorte. – L’Introito ci rammenta il desiderio ardente che avevano i Patriarchi della venuta del Messia: perciò lo si ripete due volte. Quando il sacerdote dice il Confiteor, ci rappresenta Gesù Cristo che si carica dei nostri peccati, per soddisfare alla giustizia di Dio suo Padre. Il Kyrie eleison, che vuol dire: « Signore, abbi pietà di noi, » rappresenta lo stato sventurato in cui eravamo prima della venuta di Gesù Cristo. Non voglio proseguir oltre. L‘Epistola significa la dottrina dell’Antico Testamento; il Graduale significa la penitenza che fecero i Giudei dopo la predicazione di san Giovanni Battista: l‘Alleluja, ci rappresenta la gioia d’un’anima che ha ottenuto la grazia: il Vangelo ci ricorda la dottrina di Gesù Cristo.I differenti segni di croce che si fanno sull’ostia e sul calice ci richiamano tutti i patimenti che Gesù Cristo ha sofferto nel corso di sua Passione. Ritornerò un’altra volta su questo argomento.

I. — Prima di esporvi il modo di udire la santa Messa, occorre vi dica qualche cosa sul significato della parola: santo Sacrificio della Messa. [Il Beato ha tolto queste spiegazioni dal Rodriguez Tratt. VI, cap. XV. — La maggior parte di questo discorso, come anche i tratti storici riportati più avanti, vengono dalla medesima fonte. Noi lo ricordiamo una volta per tutte.]. Sapete che il santo sacrificio della Messa è lo stesso che quello della croce, offerto una volta sul Calvario, il Venerdì Santo. Tutta la differenza è, che quando Gesù Cristo si offrì sul Calvario, il sacrificio suo era visibile, cioè lo si vedeva cogli occhi del corpo; Gesù Cristo fu offerto a Dio suo Padre per mano dei suoi carnefici, e sparse il suo sangue: per questo si chiama sacrificio cruento; cioè il sangue usciva dalle vene, e lo si vide scorrere sino a terra. Ma nella santa Messa Gesù Cristo si offre al Padre suo in modo invisibile: cioè lo vediamo solo cogli occhi dell’anima, non con quelli del corpo. Ecco, M. F., in breve, che cos’è il santo sacrificio della Messa. Ma per darvi un’idea della grandezza del valore della santa Messa, mi basta dirvi con S. Giovanni Crisostomo, che la S. Messa rallegra tutta la corte celeste, solleva tutte le povere anime del purgatorio, attira sulla terra ogni sorta di benedizioni, e rende più gloria a Dio che non tutti i tormenti dei martiri, le penitenze dei solitari, tutte le lagrime che i santi sparsero fin dal principio del mondo; e tutto ciò che faranno sino alla fine dei secoli. Se me ne domandate la ragione, è chiarissima: tutte queste azioni sono fatte da peccatori più o meno colpevoli: mentre nel santo sacrificio della Messa è un Uomo-Dio eguale al Padre suo che gli offre i meriti della sua Passione e Morte. Vedete quindi, F. M., che la santa Messa è d’un valore infinito. Perciò, vediamo nel Vangelo, che alla morte di Gesù Cristo si operarono molte conversioni: il buon ladrone vi ricevé la promessa del paradiso, molti Giudei si convertirono, ed i Gentili si percuotevano il petto, dicendo che Egli era veramente Figlio di Dio. I morti risuscitarono, le rupi si spezzarono, e la terra tremò. F. M.. se avessimo la fortuna di assistervi con buone disposizioni, quand’anche disgraziatamente fossimo ostinati come i Giudei, più ciechi dei Gentili, più duri delle rocce che si spezzarono, otterremmo certissimamente la conversione. Infatti, S. Giovanni Crisostomo, ci dice che non v’è tempo più prezioso per trattare con Dio della nostra salvezza di quello della santa Messa, in cui Gesù Cristo si offre Egli stesso in sacrificio a Dio suo Padre, per ottenerci ogni sorta di benedizioni e di grazie. « Siamo afflitti? ci dice questo gran santo; vi troviamo ogni sorta di consolazioni. Siamo tentati? andiamo ad ascoltare la S. Messa, e vi troveremo il modo di vincere il demonio. » E, a questo proposito, voglio citarvi un bell’esempio. Si racconta da Papa Pio II che un gentiluomo della provincia d’Ostia, era continuamente combattuto da una tentazione di disperazione, che lo trascinava ad appiccarsi, e già parecchie volte si era ridotto al procinto. Andato a trovare un santo religioso per scoprirgli lo stato dell’anima sua e domandargli consiglio, il servo di Dio, dopo averlo consolato e fortificato il meglio che poté, lo consigliò di tenere in casa un sacerdote che gli dicesse ogni giorno la santa Messa. Il gentiluomo diss’egli che lo farebbe volentieri. Si ritirò in un suo castello: ed ogni giorno un pio sacerdote gli celebrava la santa Messa, alla quale assisteva il più devotamente che poteva. Mentre quel gentiluomo godeva, così regolandosi, grande tranquillità di spirito, avvenne che il sacerdote lo pregò di permettergli d’andare a celebrare la santa Messa in un paese vicino, in occasione d’una particolare festività: cosa che gli accordò facilmente, intendendo di andarvi egli pure ad ascoltarla. Ma un affare sopravvenuto lo trattenne in casa fin presso mezzogiorno. Allora, tutto sbigottito per aver perduto la santa Messa, e sentendosi assalito dall’antica tentazione, esce di casa. Incontra un contadino, che gli domanda dove andasse. « Vado, risponde il gentiluomo, ad ascoltare la santa Messa. » — « Ma, è troppo tardi, gli dice il contadino, son già tutte celebrate. » Fu una notizia sì dolorosa per lui, che si mise a gridare: « Ahimè! Non ho sentito Messa, e sono perduto! » Il contadino, che amava il denaro, vedendolo in tale stato, diss’egli: « Se volete, vi cedo la Messa che ho ascoltato, e tutto il frutto ricavatone. » L’altro, senza riflettere a nulla, ed addolorato d’aver perduto la Messa: « Grazie, caro; eccovi il mio mantello. „ Quell’uomo non poteva certamente cedere il frutto della Messa a cui aveva assistito senza farsi reo di grave peccato. Separatisi, il gentiluomo non tralasciò di continuare la sua strada per fare in chiesa le sue preghiere: e, tornando dopo averle recitate, trovò quel povero contadino avaro, appeso ad un albero nel medesimo luogo dove aveva ricevuto il mantello. Il buon Dio, in punizione della sua avarizia, aveva permesso che la tentazione del gentiluomo passasse in quell’avaro. Colpito da tale spettacolo, il gentiluomo ringraziò Dio d’averlo liberato da sì grande castigo, e non tralasciò mai d’assistere alla santa Messa per renderne grazie al Signore. E all’ora di morte, confessò che dacché aveva avuto la fortuna d’assistere tutti i giorni alla santa Messa, il demonio non l’aveva più tentato di disperazione. [Questo fatto storico è anche riportato dal P. Rossignoli, Le meraviglie divine nella Ss. Eucaristia, LXIII meraviglia]. Ebbene! F. M., non aveva ragione S. Giovanni Crisostomo, di dirci che se siamo tentati dobbiamo ascoltare devotamente la santa Messa, e possiamo stare sicuri che il buon Dio ci libererà? Sì, F. M., se avessimo abbastanza fede, la santa Messa sarebbe un rimedio per tutti i mali che potremmo subire nel corso della vita: infatti, Gesù Cristo non è nostro medico e dell’anima e del corpo?…

II. Ho detto che la santa Messa è il sacrificio del Corpo e del Sangue di Gesù Cristo, sacrificio che è offerto a Dio solo, non agli angeli ed ai santi. Sapete che il sacrificio della santa Messa fu istituito il Giovedì Santo, quando Gesù Cristo prese il pane, lo mutò nel suo Corpo, prese il vino e lo cangiò nel suo Sangue. Nello stesso momento, diede ai suoi Apostoli ed a tutti i loro successori quel potere che noi chiamiamo Sacramento dell’Ordine. La santa Messa consiste nelle parole della consacrazione: e voi sapete che i ministri della santa Messa sono i sacerdoti ed il popolo che ha la fortuna di assistervi, se si unisce ad essi: d’onde concludo, che il modo migliore di ascoltare la santa Messa è d’unirsi al sacerdote in tutto quanto egli dice; seguirlo in tutte le sue azioni, quanto è possibile. [1° Nel santo Sacrificio della Messa, Gesù Cristo è il sommo Sacerdote ed il ministro principale. Egli offre il sacrificio in suo nome e per propria potestà: senza dubbio, si serve di mani estranee per offrirlo, ma Egli solo comunica tutta l’efficacia al sacrificio).

2° Il Sacerdote che celebra è veramente sacerdote e ministro del sacrificio. E stato chiamato ed ordinato per questo fine; ha ricevuto questo potere da Gesù Cristo. È ministro di Gesù Cristo, e tiene il posto del Salvatore. Egli offre adunque, immediatamente il sacrificio per l’azione ed il ministero che gli sono personali. L’offre da solo, senza bisogno di concorso degli assistenti.

3° I fedeli, in fatto, non sono veramente, strettamente i ministri del sacrificio. Se alcune volte sono detti ministri coerenti il santo sacrificio, è in senso largo; non l’offrono da se stessi, ma pel ministero del sacerdote. Ed ecco come vi concorrono: 1° In modo generale, come membri della Chiesa che deputa il sacerdote ad offrire il sacrificio in suo nome; 2° in modo speciale, quando i fedeli assistendo alla Messa, si uniscono coll’intenzione, al sacerdote, per offrire a Dio questo sacrificio; 3° in modo specialissimo, quando concorrono in modo più prossimo al sacrificio, sia servendo il sacerdote all’altare, sia dando elemosine per la celebrazione delle Messe.]; e procurar di penetrarsi dei più vivi sentimenti d’amore e di riconoscenza: bisogna tenere questo metodo.Possiamo distinguere tre parti nel santo sacrificio della santa Messa: la prima parte, dal principio sino all’Offertorio; la seconda dall’Offertorio alla Consacrazione; la terza dalla Consacrazione alla fine. È necessario farvi notare che se noi fossimo volontariamente distratti durante una di queste parti commetteremmo un peccato mortale il che ci deve indurre a guardar bene di non lasciar divagare il nostro spirito a cose estranee, cioè che non hanno rapporto al santo sacrificio della Messa.

[“Se fossimo distratti volontariamente durante una di queste parti, commetteremmo peccato mortale. „ Questa asserzione del B. Curato d’Ars è severa. I fedeli non debbono esser trattati più rigorosamente dei sacerdoti. Ora, i sacerdoti sono aggravati di peccato mortale soltanto se si rendono colpevoli d’una distrazione volontaria durante la consacrazione]. Dal principio all’Offertorio, dobbiamo comportarci come penitenti che sono penetrati del più vivo dolore dei loro peccati. Dall’Offertorio alla Consacrazione dobbiam condurci come ministri che debbono offrire Gesù Cristo a Dio suo Padre, e fargli il sacrificio di quanto siamo: cioè offrirgli i nostri corpi, le anime, i beni, la vita, ed anche la nostra eternità.Dopo la consacrazione, dobbiam considerarci come persone che debbono partecipare al Corpo adorabile ed al Sangue prezioso di Gesù Cristo: ed occorre per conseguenza fare ogni nostro sforzo per renderci degni di tal felicità. A meglio farvelo comprendere, F. M., vi proporrò tre esempi tolti dalla S. Scrittura, che vi mostreranno il modo con cui dovete ascoltare la santa Messa: cioè, di che cosa dovete occuparvi durante questo momento, fortunato per chi ha la ventura di ben comprenderlo. Il primo, è quello del pubblicano, che vi insegnerà che cosa dovete fare al principio della Messa. Il secondo è quello dei buon ladrone, che vi apprenderà come dovete diportarvi durante la Consacrazione. Il terzo, è il centurione che vi guiderà durante la santa comunione. – Anzitutto il pubblicano ci insegnerà come dobbiamo comportarci al principio della santa Messa, che è un’azione così gradita a Dio e così efficace per ottenerci ogni sorta di grazie. Non dobbiam quindi aspettare d’essere in chiesa per prepararvici. No, F. M., no; un buon Cristiano comincia a prepararsi quando si sveglia, non lasciandosi occupare lo spirito da niente che non abbia relazione col santo Sacrificio. Dobbiamo rappresentarci Gesù Cristo nel giardino degli Ulivi, che prostrato la faccia a terra si prepara al sacrificio sanguinoso che offrirà sul Calvario; a considerare la grandezza della carità che gli fa subire il castigo che dovremmo subir noi per tutta l’eternità. Bisogna venirvi digiuni, per quanto è possibile: ciò è molto gradito al buon Dio. Nei primi tempi della Chiesa, tutti intervenivano digiuni [Perché essi si comunicavano nella Messa]. Occorre, al mattino, non lasciarsi mai occupare lo spirito da affari materiali, ricordando che dopo aver lavorato tutta la settimana pel vostro corpo, è ben giusto che occupiate questo giorno nei bisogni dell’anima vostra e nel domandare al buon Dio perdono dei vostri peccati. Quando venite in chiesa, non fate conversazione: pensate che seguite Gesù Cristo il quale porta la croce al Calvario e va a morire per salvarvi. Bisogna trovar sempre un momento, prima della santa Messa, per raccogliersi alquanto, gemere sui propri peccati e domandarne perdono al buon Dio, esaminare le grazie più necessarie da domandargli durante la Messa, e guardarsi dal non mancar mai né all’Aspersione dell’acqua benedetta, né alla lettura della Passione, né alla Processione. [In gran numero di parrocchie, dall’Invenzione della S. Croce (3 Maggio) sino all’Esaltazione (14 Settembre) il parroco legge ogni giorno ai piedi dell’altare, prima di celebrare la santa Messa, la Passione per i prodotti della terra – Il Beato parlò di già nel discorso sulle Rogazioni, delle processioni domenicali che si fanno in molte parrocchie, secondo un’antica consuetudine, ogni domenica, prima della Messa solenne, dall’Invenzione sino all’Esaltazione della S. Croce, o come si dice a Cruce ad Crucem], perché sono azioni sante che vi preparano a fare ascoltare la Messa. Quando entrate in chiesa compenetratevi della grandezza della vostra felicità, con un atto di fede vivissima ed un atto di contrizione dei vostri peccati, che vi rendono indegni d’avvicinarvi ad un Dio così santo e così grande. Pensate, in questo momento, alle disposizioni del pubblicano quando entrò nel tempio ad offrire a Dio il sacrificio della sua preghiera. Ascoltate S. Luca: « Il pubblicano, egli dice, stavasi in fondo al tempio, gli occhi inclinati a terra, non osando guardar l’altare, e battevasi il petto dicendo a Dio: Abbiate pietà di me, o Signore, perché sono un peccatore » (Luc. XVIII). Vedete quindi, F. M, che egli non faceva come quei Cristiani che entrano in chiesa con aria altera ed arrogante, « che sembrano volersi accostare a Dio – ci dice il profeta Isaia – come persone che nulla hanno sulla coscienza che possa umiliarli davanti al loro Creatore. » (Is. LXVIII). Infatti, se volete ben osservare, quando entrano in chiesa questi Cristiani che hanno forse sulla coscienza più peccati che non capelli in testa, voi li vedete, dico, entrare con aria di noncuranza, o meglio con una specie di sprezzo per la presenza di Dio. Toccano l’acqua santa press’a poco come se immergessero le mani in un catino d’acqua per lavarsi dopo il lavoro; la maggior parte fanno questo senza divozione e senza pensare che l’acqua benedetta presa con grande rispetto cancella i peccati veniali e ci dispone a ben ascoltare la santa Messa. Vedete il nostro pubblicano, che credendosi indegno d’entrare nel tempio va a mettersi nel posto meno apparente che può trovare: è talmente confuso alla vista dei propri peccati, che nemmeno osa alzar gli occhi al cielo. E dunque ben lontano da quei Cristiani di nome che non sono mai abbastanza comodi, che si inginocchiano soltanto sulla sedia, che abbassano appena la testa durante l’Elevazione, che si sdraiano sulla sedia, od incrociano le gambe. Non diciamo nulla di coloro che non dovrebbero venire in chiesa se non per piangervi i loro peccati, ed invece lo fanno solo, per insultare un Dio umiliato e disprezzato, col loro sfoggio di vanità, nell’intenzione d’attirarsi gli sguardi altrui: ed altri solo per alimentare il fuoco delle loro passioni colpevoli. O mio Dio! con tali disposizioni si può aver l’ardire di venire ad assistere alla santa Messa? « Ma il nostro pubblicano – ci dice S. Agostino – , si batte il petto per mostrare a Dio il rimorso d’averlo offeso. » Ahimè! F. M., se noi Cristiani avessimo la sorte felice d’assistere alla santa Messa con le medesime disposizioni del pubblicano, quante grazie, quanti benefizi otterremo! Usciremmo ricolmi di beni celesti come le api dopo aver trovato più fiori che non volevano! Oh! se il buon Dio ci facesse la grazia di essere in principio della santa Messa ben penetrati della grandezza di Gesù Cristo, davanti al quale ci presentiamo, e della gravità dei nostri peccati, ben presto avremmo ottenuto il perdono delle nostre colpe e la grazia della perseveranza! Dobbiamo soprattutto tenerci in grandi sentimenti di umiltà durante la santa Messa: questo deve ispirarci il sacerdote quando discende dall’altare per dire il Confiteor inchinandosi profondamente, egli, che, tenendo il posto di Gesù Cristo stesso, sembra caricarsi di tutti i peccati dei suoi parrocchiani. Davvero! se il buon Dio ci facesse una volta comprendere che cos’è la santa Messa, quante grazie, quanti beni avremmo, che or non abbiamo! Da quanti pericoli saremmo preservati se avessimo una gran divozione alla santa Messa! Per provarvelo, F. M., vi citerò un bell’esempio che vi mostrerà che il buon Dio protegge in modo visibile quelli che hanno la fortuna di assistervi con divozione. Leggiamo nella storia, che S. Elisabetta, regina di Portogallo e nipote di S. Elisabetta regina d’Ungheria, era tanto caritatevole verso i poveri che, sebbene avesse ordinato al suo elemosiniere di non rifiutar loro nulla, faceva altresì continue elemosine di sua propria mano o per mezzo dei domestici. Ordinariamente si serviva di un paggio, del quale aveva riconosciuta la grande pietà: il che vedendo un altro paggio, ne fu geloso. Andò costui un giorno dal re, e dissegli che quel paggio aveva relazione peccaminosa con la regina. Il re, senza nulla esaminare, stabilì subito di disfarsi del paggio il più segretamente possibile; e passando il dì stesso in un luogo dove si faceva cuocere la calce, chiamò quelli che avevano cura di mantenere acceso il fuoco, e disse loro che il domani mattina manderebbe un paggio, del quale era malcontento, che loro domanderebbe se avessero eseguito gli ordini del re: dovevano prenderlo e gettarlo subito nel fuoco. Tornato a casa, comandò al paggio della regina d’andare il mattino seguente di buon’ora a fare questa commissione. Ma vedrete che il buon Dio non abbandona mai chi l’ama. Il buon Dio permise che, per fare la propria commissione, dovesse passare vicino ad una chiesa; ed in quel momento appunto udisse suonare l’Elevazione. Entra per adorare Gesù Cristo ed ascolta il resto della Messa. Ne incomincia un’altra; l’ascolta; una terza dopo finita la seconda; l’ascolta ancora. Frattanto il re, impaziente di sapere se erano stati eseguiti i suoi ordini, manda il paggio suo a domandare se avessero fatto quanto aveva lor comandato. Credendo fosse questi il primo, lo prendono e lo gettano nel fuoco. L’altro, che intanto aveva terminato le sue divozioni, va a far la commissione, domandando se avessero eseguito il comando del re. Gli risposero che sì. Ritornò costui a portar la risposta al re, che fu assai sorpreso di vederlo ritornare. Furibondo che fosse avvenuto il contrario di quanto sperava, gli domandò dove fosse stato per sì lungo tempo… Il paggio dissegli che, passando vicino ad una chiesa per andare dove avevagli ordinato, aveva udito il campanello dell’Elevazione, che ciò lo aveva stimolato ad entrare e restarvi sino alla fine della Messa: e che un’altra Messa avendo subito incominciato, prima che fosse finita quella, e poi una terza, le aveva ascoltate tutte: perché il padre suo prima di morire, dopo avergli dato la sua benedizione, gli aveva assai raccomandato di non lasciare una Messa cominciata senza aspettare che fosse finita, perché questo atto di pietà attirava molte grazie, e preservava da molte sventure. Allora il re, rientrato in sé, comprese che questo era avvenuto per giusto indizio di Dio: che la regina era innocente, ed il paggio un santo: che l’altro aveva operato solo per invidia. – Vedete, F. M., che senza la sua divozione, quel povero giovane sarebbe stato arso, e che Dio gli ispirò di entrare in chiesa per salvarlo da morte: mentre l’altro, che non aveva divozione per Gesù Cristo nel sacramento adorabile dell’Eucaristia, fu gettato nel fuoco. S. Tommaso ci dice che un giorno durante la santa Messa vide Gesù Cristo colle mani piene di tesori, che cercava di distribuire; e aggiunge che se avessimo la ventura di assistere devotamente e spesso alla santa Messa, avremmo ben più grazie di quelle che abbiamo per salvar le anime nostre, ed anche per i bisogni temporali.

2° In secondo luogo ho detto che il buon ladrone ci istruirà sul modo di diportarci nel tempo della Consacrazione e dell’Elevazione della santa Messa, quando dobbiamo offrirci a Dio con Gesù Cristo, siccome chiamati a partecipare a questo augusto mistero. Vedete, F. M., come questo penitente fortunato si diporta nel momento medesimo del suo supplizio? vedete come apre gli occhi dell’anima per riconoscere il suo liberatore? Ed insieme, qual progresso fa mai nelle tre ore che si trova in compagnia del suo Salvatore morente? E attaccato alla croce, non ha più liberi che il suo cuore e la lingua; vedete con qual premura offre a Gesù Cristo l’uno e l’altra: gli dà tutto quanto può donargli, gli consacra il cuore con la fede e la speranza, e gli domanda umilmente un posto in paradiso, cioè nel suo regno eterno. Gli consacra la lingua pubblicando la sua innocenza e santità. Dice al suo compagno di supplizio: « È giusto che noi soffriamo: ma Egli è innocente . „ Mentre gli altri sono intenti solo ad oltraggiare Gesù Cristo colle bestemmie più orribili, egli ne diventa il panegirista: mentre i suoi discepoli stessi l’abbandonano, prende le sue difese: e la sua carità è sì grande che fa ogni sforzo per indurre l’altro a convertirsi. No, F. M., non meravigliamoci per nulla se scopriamo tante virtù in questo Buon Ladrone, perché niente è tanto capace di commuovere quanto la vista di Gesù Cristo morente: non v’è altro momento in cui la grazia venga data con tanta abbondanza. Ahimè! F. M., se nel fortunato momento della Consacrazione avessimo la ventura d’essere animati da una viva fede, una Messa basterebbe per strapparci da qualsiasi vizio in cui fossimo, e per farci divenire veri penitenti, cioè perfetti Cristiani. Perché dunque, mi direte voi, assistiamo a tante. Messe e siamo sempre gli stessi? F. M., perché vi siamo presenti col corpo, ma lo spirito non vi è punto; e vi veniamo piuttosto a ricevere la nostra riprovazione colle cattive disposizioni con cui vi assistiamo. Ahimè! quante Messe ascoltate male, che invece d’assicurare la nostra salvezza ci peggiorano vieppiù! Apparso Gesù Cristo a S. Metilde, le disse: « Sappi, figlia mia, che i Santi assisteranno alla morte di tutti coloro che avranno ascoltato devotamente la santa Messa, per aiutarli a ben morire, per difenderli dalle tentazioni del demonio e presentare le loro anime al Padre mio. » Qual fortuna per noi, F. M., esser assistiti in questo momento terribile da tanti Santi quante Messe avremo ascoltate!… No, F. M., non temiamo mai che la santa Messa ci causi ritardo negli affari temporali: anzi al contrario: stiamo sicuri che tutto andrà bene, e che anche i nostri affari ci riusciranno assai meglio che se avessimo la mala sorte di non assistervi. Eccone un esempio mirabile. Raccontasi di due artigiani, del medesimo mestiere e dimoranti nello stesso borgo, che uno di essi, carico di numerosa prole, non tralasciava mai ogni giorno di ascoltare la santa Messa, e viveva comodamente del suo mestiere: l’altro, invece, che non aveva figli…, lavorava parte della notte e tutto il giorno, e spesso il giorno dì domenica, eppure stentava assai per vivere. Questi che vedeva prosperare tanto gli affari dell’altro, incontratolo un giorno gli domandò donde poteva ricavar tanto da mantenere sì bene una famiglia numerosa come la sua: mentre egli, solo con la moglie, lavorando senza tregua, era spesso sprovvisto di tutto. Risposegli l’altro che, se volesse, gli mostrerebbe il dì appresso donde veniva tutto il suo guadagno. Contentissimo di sì buona notizia, aspettò con impazienza il domani, che gli avrebbe insegnato a far anch’egli fortuna. Infatti l’altro non mancò d’andare a prenderlo. Eccolo che parte di buona voglia e lo segue con fedeltà. L’altro lo condusse alla chiesa, dove ascoltarono la santa Messa. Dopo che furono ritornati: “Amico mio, disse quegli che si trovava in prospere condizioni, ritornate al vostro lavoro. „ Altrettanto fece il giorno appresso: ma andato a prenderlo una terza volta pel medesimo scopo: “Come? dissegli l’altro: se voglio andare a Messa, ne so la strada, senza che vi disturbiate a venirmi a prendere: non voleva sapere questo, io; ma dove trovate tutto quel benessere che vi fa vivere comodamente; volevo vedere se facendo come voi, vi avrei trovato il mio interesse. „ — “Amico mio, rispose quegli, non conosco altro luogo che quello della chiesa, ed altro mezzo che l’ascoltare ogni giorno la santa Messa: e da parte mia vi assicuro di non aver mai usato altri mezzi per aver tutto il bene che vi stupisce. Ma, noi! avete visto che Gesù Cristo nel Vangelo ci dice “di cercare anzitutto il regno dei cieli, e tutto il resto ci verrà dato? „ A queste parole l’altro intese a che mirasse il primo conducendolo alla santa Messa: e gli soggiunse: “Avete ragione; chi non calcola che sul proprio lavoro è un cieco, ed io vedo che la santa Messa giammai impoverirà alcuno. Voi ne siete una prova ben grande. Voglio far come voi, e spero che il buon Dio mi benedirà. „ Infatti cominciò il giorno dopo e continuò per tutta la sua vita: ed in poco tempo divenne agiato. Quando gli si domandava donde proveniva che ora non lavorava più in domenica né di notte come prima, e diveniva più ricco, egli rispondeva: “Ho seguito il consiglio del mio vicino: andate a trovarlo, e vi insegnerà a star bene senza lavorar troppo; ascoltando cioè la Messa ogni giorno. „ Ciò forse vi fa meraviglia, F. M.? A me no. È quanto vediamo ogni giorno nelle case dove si coltiva la pietà: coloro che vengono spesso alla santa Messa, fanno assai meglio i loro affari di coloro ai quali la loro poca fede fa credere di non avere mai tempo per questo. Ahimè! se avessimo posto ogni nostra confidenza in Dio, e non contassimo sul nostro lavoro, quanto saremmo più felici! — Ma, mi direte, se non abbiamo nulla, nessuno ci dà niente. — Che cosa volete che il buon Dio vi aiuti quando non contate che sul vostro lavoro, e niente su di Lui? Voi non trovate neppure il tempo di recitare le vostre orazioni mattina e sera, e vi accontentate di venire alla Messa una volta alla settimana. Ahimè! non conoscete le risorse della Provvidenza di Dio per chi si confida in Lui. Ne volete una prova evidente? essa è davanti ai vostri occhi: Osservate il vostro pastore, ed esaminate la cosa davanti a Dio. — Oh! mi direte, c’è chi ve ne dà. — Ma chi me ne dà, se non la Provvidenza di Dio? ecco dove sono i miei tesori, e non altrove. Davvero! che l’uomo è cieco di tormentarsi tanto per andar dannato, ed essere anche infelice in questo mondo! Se aveste la fortuna di pensare bene alla vostra salvezza e d’assistere alla santa Messa, più spesso che potete, vedreste bentosto la prova di quanto vi dico. No, F. M., nessun momento è più prezioso, per domandar a Dio la nostra conversione, di quello della santa Messa: vedetelo. Un santo eremita, chiamato Paolo, vide un giovine assai ben vestito, che entrava in una chiesa accompagnato da gran quantità di demoni: ma dopo la santa Messa, vide uscire il giovine accompagnato d’una schiera di angeli che camminavano ai suoi fianchi. “O mio Dio, esclamò il santo, bisogna che la santa Messa Vi sia ben gradita!„ Il santo Concilio di Trento ci dice che la santa Messa placa la collera di Dio, converte il peccatore, rallegra il cielo, solleva le anime del purgatorio, rende gloria a Dio, ed attira ogni sorta di benedizioni sulla terra!. « Sess. XIII e XXII. Oh! F. M., se potessimo ben comprendere che cosa è il Sacrifizio della santa Messa, con qual rispetto vi assisteremmo?… Il santo abate Nilo ci racconta che il suo maestro S. Giovanni Crisostomo gli aveva detto un giorno, in confidenza, che durante la santa Messa vedeva una schiera d’Angeli che discendevano dal cielo per adorare Gesù Cristo sull’altare, e che molti s’aggiravano in chiesa per ispirare ai fedeli il rispetto e l’amore che debbono avere per Gesù Cristo presente sull’altare. Momento prezioso, momento felice per noi, F. M., questo nel quale Gesù Cristo è presente sui nostri altari! Davvero! se i padri e le madri lo comprendessero e sapessero approfittarne, i loro figli non sarebbero così sventurati, così lontani dalla via del cielo. Mio Dio, quanti poveri vicino a sì grande tesoro!

3° Ho detto che il Centurione ci serve d’esempio quando abbiam la bella sorte di comunicarci, o spiritualmente o corporalmente. L’esempio di questo Centurione è così ammirabile, che la Chiesa sembra compiacersi di rimettercelo davanti agli occhi ogni giorno nella S. Messa. ” Signore, dissegli quest’umile servo, non son degno che veniate nella casa mia, ma dite una sola parola, ed il mio servo sarà guarito„ Ah! se il buon Dio vedesse in noi la medesima umiltà, la medesima cognizione del nostro nulla, con qual piacere ed abbondanza di grazie non verrebbe nel nostro cuore? Quanta forza e coraggio avremmo per vincere il nemico della nostra salvezza! Vogliamo, F . M., ottenere di mutar vita, cioè abbandonare il peccato e tornare a Dio? Ascoltiamo alcune Messe con questa intenzione, e stiamo sicuri, se le ascoltiamo devotamente, che Dio ci aiuterà ad uscire dal peccato: eccone un esempio. – Narrasi nella storia che una giovanetta per più anni aveva condotto una vita miserabile con un giovane. Un giorno si sentì presa da paura, e riflettendo allo stato cui poteva ridursi la povera anima sua, se continuava quella vita. Subito, dopo la santa Messa, andò da un sacerdote a pregarlo d’aiutarla a uscire dal peccato. Il sacerdote, che ne conosceva la condotta, le domandò che cosa l’avesse decisa a questo cambiamento. “Padre mio, gli disse, durante la santa Messa, che la madre mia prima di morire mi fece promettere d’ascoltare ogni sabato, ho concepito un sì grande orrore del mio stato, che non posso più reggervi. „ — “O mio Dio! esclamò il santo sacerdote, ecco un’anima salvata dal valore della santa Messa!„ Ah! F. M., quante anime uscirebbero dal peccato, se avessero la fortuna di ascoltare la santa Messa con buone disposizioni! Non meravigliamoci dunque se il demonio ci mette tanti pensieri estranei. Ah! egli prevede, assai meglio di voi, la perdita che fate assistendovi con sì poco rispetto e divozione. F. M., da quanti pericoli e morti improvvise ci preserva la santa Messa! Quante persone, per una santa Messa ascoltata, salverà Iddio dalla sventura! S. Antonino ce ne racconta un bell’esempio. Ci dice che un giorno di festa due giovani andarono per una partita di caccia: l’uno aveva ascoltato la santa Messa, l’altro no. Mentre erano per via, il cielo si rannuvolò: udivansi tuoni spaventosi, e vedevansi lampi sì frequenti che il cielo sembrava in fiamme. Ma ciò che li atterriva ancor di più, era l’udire tra le folgori, di tratto in tratto, una voce che gridava: “Colpite quei disgraziati, colpiteli!„ Quietatasi un po’ la burrasca, incominciarono a rassicurarsi. Proseguendo il loro cammino, ad un tratto scoppiò un fulmine che incenerì quegli che non aveva ascoltato la. santa Messa. L’altro fu preso da sì gran spavento che non sapeva se dovesse proseguir oltre. In questa paura, udì ancora la voce gridare: “Colpite, colpite l’infelice!„ il che raddoppiava il suo spavento, avendo visto ai suoi piedi il compagno fulminato. Mentre credevasi perduto, udì un’altra voce che disse: ” No, non colpitelo; egli ha ascoltato stamattina la Messa.„ La santa Messa ascoltata la mattina prima di partire lo preservò da una morte sì spaventosa. Vedete, F. M., come Dio ci concede grazie e ci preserva dalle sventure, quando abbiam la fortuna d’ascoltare la Messa come si deve? Ahimè! quali castighi debbono aspettarsi coloro che non hanno difficoltà di perderla in domenica. Anzitutto, il castigo visibile, è che essi periscono quasi tutti malamente: i loro beni vanno in deperimento, la fede abbandona i loro cuori, e sono doppiamente disgraziati. Mio Dio! quanto l’uomo è cieco sotto tutti i rapporti, per l’anima e pel corpo!

III. — La maggior parte delle persone del mondo ascoltano la santa Messa alla maniera dei farisei, del cattivo ladrone e di Giuda. Ho detto che la santa Messa è il ricordo della morte di Gesù Cristo sul Calvario: perciò Gesù Cristo vuole che, ogni volta che celebriamo il santo sacrificio della Messa, lo facciamo in sua memoria. Tuttavia dobbiamo dire gemendo che, mentre rinnoviamo il ricordo dei patimenti di Gesù Cristo, molti che v’assistono rinnovano il delitto dei Giudei e dei carnefici che l’attaccarono alla croce. Ma per meglio farvi conoscere se avete la sventura d’esser nel numero di coloro che così insultano i nostri santi misteri, vi farò notare, F. M., che fra coloro che furon testimoni della morte di Gesù Cristo sulla croce, ve ne erano di tre sorta: gli uni non facevano che passare davanti alla croce, senza fermarsi e senza sentire un vero dolore, più insensibili delle creature inanimate. Gli altri si avvicinavano al luogo del supplizio, consideravano tutte le circostanze della morte di Gesù Cristo; ma non era che per beffarsene, farne oggetto di risa ed oltraggiarlo con le bestemmie più orribili. Infine, un piccolo numero versava lagrime amare vedendo spiegare tante crudeltà sul corpo del loro Dio e loro Salvatore. Vedete ora a qual numero appartenete. Non parlerò di coloro che corrono ad udire una Messa in furia in una parrocchia dove hanno qualche affare, né di coloro che vi vengono a metà; che, in tal tempo, vanno a trovare un amico per bere un bicchierino in compagnia: lasciamoli da parte, perché costoro vivono come se fossero sicuri di non avere un’anima da salvare: essi hanno perduto la fede, e con ciò tutto è perduto. Ma parliamo solo di quelli che vi vengono ordinariamente. Ebbene, molti non vi vengono che per vedere ed essere veduti, con un contegno dissipato, come andrebbero ad un mercato, o in piazza, e, permettete la frase, ad un ballo. Vi stanno senza modestia: a mala pena mettono le ginocchia a terra durante l’Elevazione o la Comunione. Pregate voi, F. M., in tempo di Messa?…. No?! Ma, allora vi manca la fede! Ditemi, quando vi recate dai vostri superiori per domandare una grazia, non è vero che ne siete preoccupati durante tutta la strada; entrate con modestia, fate ad essi un profondo saluto, state scoperti davanti a loro, non pensate neppure a sedervi; tenete gli occhi bassi, e riflettete soltanto al modo di esprimervi bene e colle parole più adatte? Se sbagliate in qualche cosa, vi scusate subito della vostra poca educazione. Se essi vi ricevono con bontà, sentite la gioia nascere nel vostro cuore. Ebbene! ditemi, F. M., non deve ciò confondervi, vedendo che usate tante precauzioni per un bene temporale? mentre venite alla chiesa con noncuranza, quasi con disprezzo, davanti ad un Dio morto per salvarci, e che ogni giorno versa il suo sangue per ottenervi grazia presso il Padre suo. Quale affronto, F. M., non è per Gesù Cristo vedersi insultato da vili creature? Ahimè! quanti durante la santa Messa commettono più peccati che non in tutta la settimana. Alcuni non pensano neppure al buon Dio, altri parlano, mentre il loro cuore ed il loro spirito si perdono, o nell’orgoglio, o nel desiderio di piacere, o nell’impurità. Quanti altri lasciano entrare ed uscire tutti i pensieri e desideri che il demonio loro manda. Quanti non hanno difficoltà di guardare, di volger la testa, di ridere e chiacchierare, di dormire come se fossero in letto, e forse ancor meglio. Ahimè! quanti Cristiani escono di chiesa forse con trenta o cinquanta peccati mortali di più che quando vi entrarono! Ma, mi direte, è meglio allora non assistervi. — Sapete che dovete fare ?… Assistervi, ed assistervi come si conviene, facendo tre sacrifici a Dio, cioè: quello del vostro corpo, del vostro spirito e del vostro cuore. Dico : del vostro corpo; che deve onorare Gesù Cristo con religiosa modestia; quello del vostro spirito,che ascoltando la santa Messa, deve penetrarsi del vostro nulla e della vostra indegnità, evitando ogni sorta di dissipazioni, allontanando da sé le distrazioni; quello del vostro cuore, che è l’offerta a Lui più accetta, poiché è il vostro cuore che vi domanda con tanta insistenza: “Figlio mio, vi dice, dammi il tuo cuore. Concludo, F. M., dicendo quanto siamo sfortunati quando ascoltiamo male la santa Messa, poiché troviamo la nostra riprovazione là dove gli altri trovano la loro salvezza. Voglia il cielo che assistiamo alla S. Messa ogni qualvolta potremo, poiché le grazie vi si attingono cosi abbondanti; e che vi portiamo sempre le migliori disposizioni. Così attireremo sopra di noi ogni sorta di benedizioni per questo mondo e per l’altro!… Ecco quanto vi auguro.

IL CREDO

Offertorium

Orémus Ps VI: 5 Dómine, convértere, et éripe ánimam meam: salvum me fac propter misericórdiam tuam.

[O Signore, volgiti verso di me e salva la mia vita: salvami per la tua misericordia.]

Secreta

Oblátio nos, Dómine, tuo nómini dicánda puríficet: et de die in diem ad coeléstis vitæ tránsferat actiónem.

[Ci purifichi, O Signore, l’offerta da consacrarsi al Tuo nome: e di giorno in giorno ci conduca alla pratica di una vita perfetta.]

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Ps XII: 6 Cantábo Dómino, qui bona tríbuit mihi: et psallam nómini Dómini altíssimi.

[Inneggerò al Signore, per il bene fatto a me: e salmeggerò al nome di Dio Altissimo.]

Postcommunio

Orémus. Sumptis munéribus sacris, qæesumus, Dómine: ut cum frequentatióne mystérii, crescat nostræ salútis efféctus.

[Ricevuti, o Signore, i sacri doni, Ti preghiamo: affinché, frequentando questi divini misteri, cresca l’effetto della nostra salvezza].

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (1)

ORDINARIO DELLA MESSA

Autore: Associazione Cristo-Re Rex regum

Siamo un'Associazione culturale in difesa della "vera" Chiesa Cattolica.