LE BEATITUDINI EVANGELICHE (-4B-)

LE BEATITUDINI 4B

[A. Portaluppi: Commento alle beatitudini; S.A.L.E.S. –ROMA, 1942, imprim. A. Traglia, VIII, Sept. MCMXLII]

CAPO QUARTO (4B)

Beati qui esuriunt et sitiunt justitiam: quoniam ipsi saturabuntur.

Beati quelli che hanno fame e sete di giustizia

III

COME VENGONO SAZIATE QUESTA FAME E QUESTA SETE

OMBRA E LUCE

Non è a dire, che nella esistenza presente noi dobbiamo rimanere del tutto ansiosi e torturati dalla fame e dalla sete di bene. Ciò che può esaurirci nella privazione può essere soltanto la indolenza della volontà; ma se questa è sveglia, possiamo, con l’aiuto di Dio, ritenerci in grado di appagare quanta fame o quanta sete per avventura ci arda. Vi sono certo i disgraziati, che non avvertono tale nostro bisogno. Costoro, distratti da altre inferiori avidità, sono destinati, come i malati d’inappetenza fisica, alla morte per inanizione, per esaurimento delle loro forze naturali. Si consumano senz’avvedersene. Vanno verso un disfacimento fatale, e non ne hanno la sensazione. Spiriti sviati dalle vanità, dalle passioni della superbia, dell’avarizia, della lussuria in tutte le varie forme, credono, o si illudono, di saziarsi e il loro organismo ha bisogno urgente di ben altro nutrimento. Che cosa li scuoterà da codesta apatia, dalla insensibilità e dalla disfatta? Solo un intervento misericordioso del divino Amore. – Il quale sa trovare nelle stesse esperienze del disordine o nelle sventure o nelle angosce intime, la forza del risveglio provvido da cui altre numerose anime sono uscite in una rinascita insperata. – Scrisse il P. De Grandmaison ad un’anima, che avvertiva appena l’intima urgenza di Dio, questa pagina delicata e luminosa. « Uno dei punti più importanti è quello di rassicurare la vostra giovine amica sul valore reale dei sentimenti e degli istinti d’ordine religioso, che essa prova. È veramente assai delicato discernere con sicurezza, nel complesso d’uno stato d’animo, ciò che viene da noi, ciò che viene da Dio, ciò che potrebbe venire dal demonio. Ma è assai più agevole vedere, che questa tendenza, possente e sentita, che aspira al bene, al riposo dello spirito, all’ordine, alla pace, è l’espressione chiara della nostra esigenza fondamentale, della nostra naturale e necessaria destinazione. Essa prende sovente anche per noi la forma d’un sentimento (poiché noi la avvertiamo soprattutto nei momenti in cui la nostra sensibilità è commossa o affamata), una cosa certamente grande, assolutamente ragionevole e di sovrana importanza. È l’appello di un essere intelligente alla Saggezza capace di illuminarlo, l’appello d’un essere morale alla Regola d’ogni retta azione e alla Potenza buona, che sia in grado di renderci possibile questa azione, l’appello di un essere di desiderio al Bene supremo: è il « motus naturalis crearæ ad Creatorem, » di cui parla san Tommaso. Il sentimento propriamente detto non è qui che lo stimolo svegliatore del nostro spirito e la guida sulla strada che mena a Dio ». (Lebreton – Le Pére L. De Gr., p. 360).

GUSTO DI DIO

Il Signore, per verità, arriva alle anime sovente per via di questo senso irresistibile di bisogno di Lui, velato dietro l’indecifrabile carenza di qualcosa, il brivido di una vicinanza misteriosa, il vuoto e il pericolo che esso rappresenta per lo spirito che necessita di un appoggio, di una protezione, di un punto fermo nell’agitazione di mille stimoli disorientanti nella visione della vita. – Il bisogno di Dio, il desiderio di Dio è una gran forza spirituale. È la provvida fame e sete, che guida, come l’istinto d’un cieco ai margini della strada, alla agognata e ineffabile pace. Non si tratta di sentimentalismo, ma di puro e casto sentimento, solido energetico da cui la vita dello spirito può sovente svegliarsi in forme concrete e saldissime. È la forza stessa di Dio, che agisce attraverso la nostra natura fragile, ma capace di secondare gli inviti d’un amore senza misura. Dalla ricerca spontanea di Dio, sotto la guida dello Spirito Santo, si arriva al gusto di Lui nel suo servizio. Qui occorre qualche dilucidazione. – Il citato Padre De Grandmaison, uno degli spiriti più fini e robusti, che la Compagnia di Gesù abbia donato all’attività della Chiesa in forme stupende di apostolato, dice ancora come debbasi intendere questo piacere di Dio. Questo gusto non è sempre inebriante e delizioso, ma è sempre puro e sostanziale. – Non bisogna considerare quello stato che si dice di « fede pura » come uno stato normale. Esso è piuttosto una prova eccezionale d’una vita spirituale fervente. Né si devono ambire soltanto le consolazioni sensibili, come fanno certe anime sempre ai primi passi, sempre bambine, instabili e un poco sensuali pur nell’ambito spirituale, né si deve considerare il soprannaturale come qualcosa di arido, di freddo per essenza. Il fatto è che anche questo contatto sovrannaturale presenta il suo piacere, il suo gusto purissimo di Dio e del suo servizio. E in ciò sta un poco la ricompensa accordata all’apostolo quaggiù (ivi, 322). « Così voi non siete più « vostri » come dice san Paolo, ed è la condizione necessaria, ma sufficiente, se la nostra intenzione è retta, per essere di Dio. Io vorrei, che voi gustiate questo, che voi ne sentiate la sicurezza, la solidità, la fecondità di ogni bene; questo è davvero praticare la lezione del vostro Signore, e imitare il suo esempio. Questo è collaborare alla sua opera e rendersi veramente graditi al suo cuore » (ivi, 323).

ALFIERI DELL’AMORE

L’apostolo, vale a dire il Cristiano integrale, sa trovare la via giusta per svegliare questo senso di Dio, dietro il mistero della vita, e coltivarlo secondo le norme suggerite dalle circostanze personali del soggetto; ma più conforme alle norme dell’amore di Dio e del prossimo. E quali soddisfazioni riserba il Signore ai suoi operai. – Un laico, di molto valore anche come Cristiano, Luigi Veuillot, il quale fu un prode delle» battaglie per Dio e per la verità religiosa, benché non senza accentuazioni e scontrosità, esamina il problema della conversione dei miscredenti. Egli riconosce, che noi siamo troppo facile vittima dello spirito di adattamento. « Noi dobbiamo aver cura di difenderci soprattutto contro questa tiepidezza, che ci fa, fuori di Chiesa, essere della gente onesta, ma non dei Cristiani. Volete voi predicare con frutto? Evitate tre cose: l’oscurità, l’enfasi e il rigorismo. In ogni tempo gli uomini furono presi dal cuore, più che dall’ingegno vivace ». – Il tono modesto e penetrante è già un argomento efficace, poiché dà la misura della intima tranquillità e della convinzione profonda. E le cose dette in quel tono sono necessariamente chiare e diffusive. Hanno con sé la presunzione della verità. Il cuore fa da lubrificante e con esso in azione, le idee camminano e conquistano le intelligenze. Il cuore fa i Santi più capiti dal pubblico e più seguiti. E le anime conquistate così sono poi riconoscenti per sempre. Il tesoro posseduto è tanto prezioso. Ma soprattutto siamo riconoscenti noi al Signore d’avere allargato il campo delle sue prede e assicurato al suo Regno qualche altro operaio di quelli consapevoli e decisi di mettersi essi pure all’utile fatica. – Quando l’apostolo si raccoglie in se medesimo per esaminare i risultati della sua offerta al Signore, sovente si sente mesto e umiliato. Tanto poco per un sacrificio così intero e generoso. Eppure egli ha prodotto e ha seminato. Le gocce del suo sudore sono cadute nel solco e hanno fecondato dei semi. « Semen ejus qui diligit Deum, non corrumpet » (Eccli, XLVII, 24). E il seme gettato nelle anime dei prossimi è pure una sorta di generazione, che Dio rispetta, non solo, ma moltiplica.

IV

L’ESPIAZIONE PLACA

Chissà perché noi abbiamo una così irresistibile ripugnanza per il dolore, mentre l’esperienza ce ne mostra ogni dì la potenza di vita. Dovremmo, dopo tanti secoli, esserne talmente convinti, da non lagnarcene più, come d’una cosa almeno inevitabile. Ci lagniamo seriamente del freddo o del caldo? Procuriamo di difendercene; ecco tutto.

REALTA’ DELL’ESPIAZIONE

Nondimeno il dolore, che ci accompagna e che tanto ci pesa, ha una sua funzione capitale nella vita dello spirito. Nella sofferenza si tempra il metallo del. la nostra giovinezza; nel dolore maturano i successi della nostra virilità; attraverso il male, sopportato con animo robusto, si raggiungono i beni consolanti e sereni della età matura, quando fa piacere l’osservare la durezza della strada percorsa e il segno della vittoria ci sorride intorno. Chi ambisce un risultato o un fine da raggiungere e chi ha posto una ragione a capo della propria esistenza, e per essa intende vivere, costui deve affrontare il dolore e superarlo da bravo. La giustizia è appunto la volontà di Dio su noi. – Il pianto è un dono divino, « che lava e discende alle radici dolenti e malate della vita ».  Ecco una bella definizione. Ma bisogna integrarla con il sale del soprannaturale, per cui le radici dolenti e malate, servono ad espiare il male commesso e che ha fatto ammalare e dolere la nostra vita. Se no, che cosa varrebbe mai essa? Infatti, perché il dolore umano avesse un pregio vero, occorse che il Signore Gesù si vestisse della carne di peccato e, attraverso le sofferenza, espiasse e lavasse la colpa. – Quante anime nei secoli cristiani hanno capito questa sovrana dottrina! Ce ne furono che lo vollero e lo gustarono sino alla feccia, per assomigliare al divino Redentore dell’umanità. – È facile blaterare di gioia. Bisognerebbe sopprimere i dolori morali, quelli fisici di tutte le misure e di tutti i tipi e poi sopprimere la morte che ne è il risultato o, a dir meglio, la cagione. Ma le ideologie più ottimiste, che han tentato di portare l’uomo ad uno stato di natura, conforme ai sogni dell’età dell’oro, non han potuto sopprimere le lagrime dal ciglio delle madri, non disseccare i cuori dei genitori e neppure indurire la sensibilità verso i prossimi sofferenti. Gli uomini si sono ribellati, a questa costruzione barbarica ed hanno voluto soffrire. Si è che dal Cristianesimo ebbero il succo vitale dell’amore divino, per santificare e mettere in valore le loro lagrime. Appresero a soffrire con Cristo e per Cristo. Sicché seppero persino godere del dolore più acre e lacerante, non certo per averlo soffocato, ma per averlo elevato al livello del dolore dell’Uomo dei dolori.

COME IL DOLORE SERVE

Santa Chantal perciò scrisse alle sue figliole espressioni di un altissimo tono morale, degne veramente della donna ch’essa fu. « Soffrire per Dio è il nutro nutrimento dell’amore in terra, come godere Iddio è l’alimento dell’amore in cielo ». « Soffrire è quasi il solo bene, che noi possiamo fare in questo mondo… un’oncia di pazienza val di più che una libbra d’azione ». « Infatti è più difficile soffrir bene, che operar bene; noi mescoliamo meno amor proprio, meno sollecitudine, meno umano nelle nostre sofferenze, che nei nostri lavori ». Questa ultima frase è di Augusto Saudreau, un autore spirituale, che ha ben studiato il pregio del sacrificio per la elevazione dell’anime. – E questo i nostri Santi sanno fare con l’anima in letizia. Ancora la Chantal scrisse, che « i figli d’Israele non poterono cantare a Babilonia, perché pensavano alla patria (lontana); ed io vorrei che noi cantassimo dappertutto ». – Noi abbiamo tanti doveri da sopportare e compiere. Dobbiamo espiare i nostri falli. Sono molti sempre e contano sulla bilancia della giustizia di Dio. Se vogliamo saziarci di giustizia, paghiamo per primo il debito personale con quella divina. – Soddisfatto il conto personale possiamo sentire il dovere di espiare per altri, che tengono un conto tale da soffocarli, per il suo peso. Antonietta de Geuser, la « consumata », sotto il torchio della sofferenza fisica e spirituale, scriveva: « Sono sempre più persuasa, essere volere di Dio, che io sia identificata a Gesù-Redentore e Crocifisso… Ma non mi arresto alla Croce… Il mio ringraziamento mi spinge fino al seno del Padre Celeste e in Lui riposo abitualmente… Non vedo che Lui… Lui solo è il mio Tutto… Egli è pienamente Dio perché in Lui trovo pure il Verbo e loSpirito Santo.

INCANTO DI OBLAZIONE

« È veramente la « vita nascosta in Dio con Cristo » di cui parla l’epistola del giorno in cui sono nata… « Nascosta in Dio »… Perché ogni cosa avviene nel seno del Padre e in piena unione con Lui… « Con Cristo »… perché se il Padre mi ha unita a sé così pienamente, l’ha fatto per poter poi continuare in me l’Opera della Redenzione e per trasformarmi in Cristo Crocifisso… Egli vuole che la mia vita sia come la Messa; una continuazione del Sacrificio della Croce… Per ciò Egli sospende per me, come ha fatto per Gesù, l’effetto di questa unione, che sarebbe di riempirmi l’anima di delizie; affinché io possa ancora patire in me per la gloria del « Padre Nostro ». Questa è una Croce ben pesante, ma è soprattutto la piena felicità, la piena pace, perché è l’unione piena e in conseguenza la pienezza di gloria per Lui… – Per me è il Cielo anticipato, Cielo doloroso, è vero, quanto più soffro, tanto più sono felice, perché mi sembra che ogni nuovo patimento gli procura un accrescimento di gloria e di contentezza ». Né è lecito porre in dubbio la sincerità di queste affermazioni di letizia. Non è questa una isolata nel cielo stellante della mistica cristiana. È una fra le più recenti manifestazioni di uno stato d’animo, che ci rivela per quale via le anime si vanno, anche quaggiù, saziando la fame e la sete di giustizia. Viene pertanto in noi, una acuta melanconia mentre dobbiamo essere testimoni di nuovi tentativi di misconoscere la potenza consolatrice, quindi profondamente umana, della Religione di Cristo. Una esperienza ben triste viene oggi imposta a parte dell’umanità. Ma la prova ridarà la vittoria a Colui, il quale, anziché una umiliazione, impose un altissimo colpo d’ala alla nostra coscienza, portandola così alto, che i più pesanti e terreni degli uomini, non sapendovi mantenere quota, vogliono tornare nelle paludi d’un tempo e, peggio, trascinarvi moltissimi con la violenza e contro la volontà. Però gli esperimenti umani passano e Cristo resta. – E intanto beati, se avete sempre più fame e sete di giustizia. Sarete saziati. Ve lo assicura il Signore. Le vostre anime ne saranno pasciute e rinvigorite. La pinguedine dello Spirito Santo vi arricchirà di attitudini al sacrificio per il Regno di Dio. Ne avrete tale abbondanza da esigere lo sbocco dell’apostolato verso quanti vi accostano nella vita di ogni giorno. Terrete, secondo un’espressione di santa Caterina da Siena, il vostro cuore in alto e splenderà come una lampada. Ed è certamente una bella promessa una vita spesa così.

V.

VOLGERE LO SGUARDO DEI GIOVANI VERSO LA GIUSTIZIA

SENSO SPONTANEO

Nei giovani è vivo il senso della giustizia. L’assorbono prima dal sentimento di Dio, dalla sua presenza, dalla conoscenza della sua legge, dal senso del premio e del castigo implicito in ogni parola, che si riferisca a Lui; poi dalla ragione, allorché agisce su gli avvenimenti della vita iniziale. Istintivamente anche il bimbo si lagna di una supposta ingiustizia della mamma. « A me no, a quello sì ». E bisogna secondare questo sentimento così conforme alla volontà di Dio in ogni cosa. Guai se dimostri minor desiderio di tenere in considerazione un simile senso! Sarebbe come spogliare di ogni giustificazione la legge del bene; vuotare di contenuto la stessa volontà del dovere, che guida l’educazione. Se il fanciullo s’avvede di certe astuzie, intese ad eludere il giusto, a sottrarre l’altrui, ad approfittare della roba non nostra, a mancare di onesto riconoscimento dell’altrui merito, ad acquistare benevolenza per vie traverse, è finita per l’educatore. Tutte le sue industrie saranno squalificate da certe risposte od osservazioni della coscienza immatura, ma sufficientemente perspicua, e quegli non avrà modo di sostenersi. – Pensi la mamma educatrice, che accendere bene questa fiamma ideale per le cose fatte a dovere, secondo il precetto e la legge, è garantirsi una continuità di condotta delicata nella disciplina e robusta nella solida convinzione delle alte finalità della vita d’ogni uomo. È la dignità umana che ne trae sostegno, autorità e vigore. Un appoggio insuperabile per la stessa parola della madre; un riferimento efficacissimo per le necessarie inibizioni o per i comandi, che in ogni età si impongono sovente. Un senso ben fermo della giustizia, rispettato e fecondato dall’esempio d’ogni momento, costituisce la roccia infrangibile d’appoggio per tutti i giorni della vita. A incoraggiamento del bene e a costrizione e arresto del male.

LA ISPIRATRICE  DELLE STUPENDE COSTRUZIONI

Che cosa ha alimentato le grandi anime dei filantropi Cristiani, degli amici dell’uomo colpito dalle miserie e dal bisogno? Quale fu l’intimo e segreto stimolo alle loro inaudite fatiche, ai loro fecondi lavori, alle intraprese audaci per cui divennero oggetto di meraviglia e furono celebrati e lo sono ogni giorno ancora? Uno spiccato senso della giustizia dovuta a Dio e agli uomini. La carità dello spirito ai deboli e agli ignari, la preparazione alla esistenza secondo le leggi divine. Leggo una pagina della vita della Ven. Madre Cabrini. « Francesca era donna di idee chiare e ferme, che poi metteva in atto con la tenacia paziente dei costruttori; tutto il suo immenso lavoro si può riportare, per l’ispirazione ai semplici pensieri della bambina provinciale e della maestrina di campagna. Anche per lei si avverò quella bella espressione di uno scrittore psicologo, secondo cui una grande vita non è che un pensiero della giovinezza messo in atto dalla maturità. La semplicità essenziale delle idee si univa, nella sua pratica indole, a una volontà diritta e virile, che non si smorzava per alcuna difficoltà. Ritraeva in questo del solido carattere della gente lombarda, popolo di dissodatori di terre e di fondatori d’industrie ». (Nello Viari). – Vedi, che il primo ideale di bene accesosi nella puerizia, attraverso la conoscenza di Dio buono e giusto con devoti e peccatori, si venne maturando in opere da stupire il mondo. Un governo con i suoi infiniti mezzi non sa organizzare tante iniziative di bene su quasi tutti i continenti e così saldamente compaginati, come seppe fare questa valida donna. Ma un grandissimo ideale di giustizia le scaldò il cuore, mentre gli uomini comuni ben altro hanno per il capo. – Quando Ignazio di Loyola ebbe fra le mani la Leggenda Aurea di Giacomo da Varazze, sentì il suo spirito svegliarsi, come allorché attaccava il nemico in battaglia. Esso « Non era orientato alla teologia; ma era aperto alla grandezza e sprezzante del mediocre » scrive Igino Giordani, l’ultimo suo biografo. Aveva dentro urgente il gusto delle cose giuste verso gli uomini, nasceva allora quello verso Dio. E sulla strada non si arrestava per difficoltà sopravvenute. Da questo gusto elevato e stimolato dalla grazia venne il fondatore della Compagnia, che da Gesù si chiamò per distinguersi dalle altre delle quali Ignazio aveva fatto sino allora parte valorosamente. Bisogna pensare al vantaggio d’un’anima giovanile, avvivata da un grande ideale. La vita non le si presenta innanzitutto come una occasione di godimento, ma come il tempo prezioso di attuazioni nobili, di sogni di virtù, di visioni di bene per i propri fratelli.

TUO FIGLIO SARA’ « QUALCUNO »

Le seduzioni mondane gli si attenuano davanti appena apparse; le illusioni del piacere gli si offuscano a contatto dello splendore del suo pensiero prediletto. Diventare buono, rinvigorire la volontà, attuare il bene dentro di sé per farsi tutto di un pezzo a servizio della giustizia, della virtù, del dolore umano. Fiamma di fuoco divino, vampa di amore del prossimo. La vita si presenta all’adolescente come cosa degna di essere virilmente vissuta. – È chiaro, che un giovane così formato saprà anche soffrire per una causa sì alta. Saprà tollerare i disagi, che importa la sua intima battaglia per la giustizia, la quale coincide con la bontà e il dovere morale; ma saprà altresì sopportare le difficoltà e le opposizioni, che egli stesso provocasse con la sua volontà decisa e attiva nell’attuazione del bene. Sarà « qualcuno » una forza, una volontà retta e proiettata verso le mete più alte della vita. Sarà un esempio, una bandiera, un simbolo. Nella misura della sua fedeltà all’ideale, da cui fu illuminata la sua giovinezza, risplenderà egli stesso e verrà ammirato da quanti alla giustizia tendono sinceramente. – È da ricordare in fine, che la vera giustizia deve essere animata dalla carità. Non mai usare d’una bilancia troppo rigida, trattandosi del prossimo non segnare ogni oscillazione. Chi agisse così non si rammenterebbe d’essere fallibile e fragile e bisognoso di molto compatimento sempre. Falli ne possiamo tutti commettere senza numero. Importa saper usare indulgenza. E ogni qualvolta interviene il pentimento e la volontà di riparazione del male commesso, usarne molta. – Una giustizia letterale e misurata senza una viva vena di pietà non è quella ispirata da Cristo. « Mendaces fìlii hominus in stateris — i figli degli uomini sono bugiardi con le loro bilance » Sal., XLI, 10). Si noti, che con la lampada ardente dell’ideale di giustizia, che vogliamo accendere e far divampare nelle anime giovanili, non si intende farne dei sognatori. V’è differenza tra il sognatore e lo spirito caldo di questi sogni corrispondenti al comandamento divino. Noi vogliamo, che la base naturale di questo sia amplificata e bruci di tale fiamma, da divenire energia di virtù. L’elemento istintivo della buona natura, quella che contaminata dal primo peccato, venga sviluppato nel suo senso migliore; poiché questo coincide con la divina volontà. È non tanto una forza lanciata verso l’irreale, ma una facoltà dello spirito aperto verso le cose sane e nobili. Questa apertura ci interessa affinché sia stimolo e alimento di virtù. L’età giovanile ne ha bisogno, ne è avida, e perciò è facilmente deviata da falsi miraggi. Per questo cerchiamo di nutrirla di saggezza evangelica e di avviarla verso le realtà che Dio fa brillare alla nostra mente e di cui ci fa avvampare tutto il cuore. Giovinezza cresciuta nel solco segnato da Colui il cui Cuore sognò il migliore sogno della storia: fare gli uomini capaci di perfezione.

Autore: Associazione Cristo-Re Rex regum

Siamo un'Associazione culturale in difesa della "vera" Chiesa Cattolica.