LA CHIESA ECLISSATA ED I SACRAMENTI (1)

LA CHIESA ECLISSATA ED I SACRAMENTI (1)

La domanda più frequente che i presunti cattolici aderenti alle sette scismatiche ed eretiche del Novus ordo modernista o delle cappelline pseudotradizionaliste che usano falsi chierici con la mascherina della Messa antica, è proprio questa: come facciamo allora con i Sacramenti ed il Sacrificio della Messa che ci viene comandato come precetto delle domeniche e dei giorni festive? Questa domanda deriva ovviamente dalla ignoranza della dottrina cattolica e dall’indottrinamento dei falsi chierici che sotto la parvenza della scienza teologica, occultano i punti che potrebbero illuminare i loro fedeli e portarli a lasciare le sette che frequentano. La Chiesa ha previsto sia i tempi in cui potesse esprimersi liberamente a livello morale e liturgico, ed i tempi di “eclissi” in cui la Chiesa sarebbe stata relegata in spazi angusti, catacombe o sotterranei, come è successo tante volte nel passato quando è stata perseguitata dalla barbarie musulmana, degli eretici protestanti o degli sc0ismatici sedicenti ortodossi orientali. Gesù Cristo ha promesso la salvezza a tutti gli uomini, specie per i perseguitati a motivo della confessione del suo Nome e della sua dottrina. Cominciamo a mo’ d’esempio con l’Angelico dottore il quale ci faceva già partecipi di una verità consolante per i nostri tempi in cui la sinagoga di satana si è insediata dei sacri palazzi fingendo di essere la Chiesa di Cristo:

L’UNIONE CON IL SOMMO PONTEFICE (quello canonicamente eletto in un vero e valido Conclave con Cardinali nominati dalla “vera” ed unica Autorità Apostolica, cioè il vero Papa!), è “condicio sine qua non” per l’ETERNA SALVEZZA DELL’ANIMA.

“Chi aderisce ad un falso [o finto usurpante] Papa, diceva già S. Cipriano, è assolutamente fuori dalla Chiesa Cattolica – quindi sulla via della dannazione – come pure gli scismatici senza giurisdizione o missione con i loro settari, che sacrilegamente amministrano falsi sacramenti e false messe senza l’ “una cum Papa nostro …”, l’unico garante della fede, dei Sacramenti e delle azioni liturgiche, e senza il quale, tutto il resto risulta inutile, anzi sacrilegio degno di riprovazione e condanna eterna. Ma sentiamo come si esprime la Dottrina immutabile e perenne della Chiesa Cattolica, per bocca del suo massimo teologo, l’Angelo della scuola, San Tommaso d’Aquino:

(T. Pégues, O. P.: LA SOMMA TEOLOGICA di S. Tommaso D’Aquino In forma di Catechismo per tutti i fedeli; (trad. aut. A. Romani) – ROMA, Marietti, 1922 p. 452, Impr .,). Sull’importanza vitale dell’essere in unione con la Giurisdizione papale onde  ricevere la grazia soprannaturale:

D. Perché questo potere supremo nell’ordine della Giurisdizione appartiene al Sovrano Pontefice?
R. Perché la perfetta unità della Chiesa esige che questo potere supremo appartenga a lui solo. Per questo motivo Gesù Cristo ha incaricato Simon Pietro di nutrire il suo gregge; e il Romano Pontefice è l’unico e solo legittimo successore di San Pietro fino alla fine dei tempi (XL. 6).

D. È quindi dal Sovrano Pontefice che dipende l’unione di ogni uomo con Gesù Cristo attraverso i Sacramenti, e di conseguenza la sua vita soprannaturale e la sua salvezza eterna?
R. ; poiché sebbene sia vero che la grazia di Gesù Cristo non dipende in modo assoluto dalla ricezione dei Sacramenti stessi quando è impossibile riceverli, almeno nel caso degli adulti e che l’azione dello Spirito Santo possa integrare questo difetto purché la persona non sia in malafede; è, d’altra parte, assolutamente certo che nessuno che si separi consapevolmente dalla comunione con il Sovrano Pontefice, possa partecipare alla grazia di Gesù Cristo, e che di conseguenza …

se muore in quello stato si perde irrimediabilmente “.

Questa sentenza la Chiesa l’ha ribadita costantemente in forma magisteriale a cominciare dalla Bolla di SS. Bonifacio VIII “Unam sanctam” e più recentemente nell’ultimo Concilio Ecumenico vaticano (1870) nella Costituzione dogmatica Pastor Æternus. Quindi, la salvezza nei casi di impossibilità nella ricezione di Sacramenti validi e leciti, amministrati da Sacerdoti con Giurisdizione e missione canonica, una cum il Santo Padre Vicario di Cristo, passa per altre vie secondo l’azione dello Spirito Santo santificatore. Tutto ciò che viene fatto fuori da questa regola dottrinale elementare è sacrilego, blasfemo e non apporta minimamente neppure un briciolo di grazia.

Altra bella e consolante – per gli “eclissati” – sentenza della Chiesa è la seguente data dal S.Officio nel 1949, alla vigilia cioè dell’istituzione dell’antichiesa col colpo di Stato nel Conclave del del 26 ottobre del 1958:

Alla CHIESA CATTOLICA appartiene colui che, lasciata qualsiasi setta eretica e scismatica, sia battezzato ed abbia esplicito desiderio di appartenervi, pur non potendolo materialmente. Riportiamo il testo originale in latino così da controllare possibili errori bella traduzione fatta in italiano. (i numeri posti in capo alle sentenze sono quelli del Denzinger.- S., XXXVI Ed.)

Lettera del Santo-Officio all’Arcivescovo di Boston, 8 agosto 1949.

[Ed: AmER 127 (1952, Oct.) 308ss.]

De necessitate Ecclesiæ ad salutem

[La necessità della Chiesa per le salvezza.]

3866 …. Inter ea autem, quæ semper Ecclesia prædicavit et prædicare numquam desinet illud quoque infallibile effatum continetur, quo edocemur « extra Ecclesiam nullam esse salutem ». Est tamen hoc dogma intelligendum eo sensu, quo id intelligit Ecclesia ipsa. Non enim privatis iudiciis explicanda dedit Salvator noster ea, quæ in fidei deposito continentur, sed ecclesiastico magisterio.

3867 – Et primum quidem Ecclesia docet, hac in re agi de severissimo præcepto Iesu Christi. Ipse enim expressis verbis Apostolis suis imposuit, ut docerent omnes gentes, servare omnia quæ ipse mandaverat. Inter mandata autem Christi non minimum locum illud occupat, quo baptismo iubemur incorporari in Corpus mysticum Christi, quod est Ecclesia, et adhærere Christo eiusque vicario, per quem ipse in terra modo visibili gubernat Ecclesiam. Quare nemo salvabitur, qui sciens Ecclesiam a Christo divinitus fuisse institutam, tamen Ecclesiæ sese subiicere renuit vel Romano Pontifici, Christi in terris vicario denegat obœdientiam.

3868 Neque enim in præcepto tantummodo dedit Salvator, ut omnes  gentes intrarent Ecclesiam, sed statuit quoque Ecclesiam medium esse salutis, sine quo nemo intrare valeat regnum gloriæ caelestis.

3869Infinita sua misericordia Deus voluit, ut illorum auxiliorum salutis,  quæ divina sola institutione, non vero intrinseca necessitate, ad finem ultimum ordinantur, tunc quoque certis in adiunctis effectus ad salutem necessarii obtineri valeant, ubi voto solummodo vel desiderio adhibeantur. Quod in sacrosancto Tridentino Concilio claris verbis enuntiatum videmus tum de sacramento regenerationis tum de sacramento pænitentiæ [*1524 1543].

3870 Idem autem suo modo dici debet de Ecclesia, quatenus generale ipsa  auxilium salutis est. Quandoquidem ut quis æternam obtineat salutem, non semper exigitur, ut reapse Ecclesiæ tamquam membrum incorporetur, sed id saltem requiritur, ut eidem voto et desiderio adhæreat. Hoc tamen votum non semper explicitum sit oportet, prout accidit in catechumenis, sed ubi homo invincibili ignorantia laborat, Deus quoque implicitum votum acceptat, tali nomine nuncupatum, quia illud in eà bona animae dispositione continetur, qua homo voluntatem suam Dei voluntati conformem velit.

3871 Quæ dare docentur in [Pii XII Litt. encycl.] . . . De mystico Iesu Christi Corpore. In iisdem enim Summus Pontifex nitide distinguit inter eos, qui re Ecclesiæ tamquam membra incorporantur, atque eos, qui voto tantum modo Ecclesiæ adhærent …. « In Ecclesiæ autem membris reapse ii soli adnumerandi sunt, qui regenerationis lavacrum receperunt veramque fidem profitentur neque a Corporis compage semet ipsos misere separaverunt vel, ob gravissima admissa, a legitima auctoritate seiuncti sunt » [*3802]. Circa finem autem earundem Litterarum encyclicarum, amantissimo animo eos ad unitatem invitans, qui ad Ecclesiæ catholicæ compagem non pertinent, illos commemorat, « qui inscio quodam desiderio ac voto ad Mysticum Redemptoris Corpus ordinentur », quos minime a salute æterna excludit, ex altera tamen parte in tali statu versari asserit, « in quo de sempiterna cuiusque propria salute securi esse non possunt… quandoquidem tot tantisque cælestibus muneribus adiumentis carent, quibus in catholica solummodo Ecclesia fruì licet » [3821].

3872 – Quibus verbis providentibus tam eos reprobat, qui omnes solo voto  implicito Ecclesiæ adhærentes a salute æterna excludunt, quam eos, qui falso asserunt, homines in omni religione aequaliter salvari posse [cf. *2806 2865]. Neque etiam putandum est, quodcumque votum ecclesiæ ingrediendæ sufficere, ut homo salvetur. Requiritur enim, ut votum, quo quis ad Ecclesiam ordinetur, perfecta caritate informetur; nec votum implicitum effectum habere potest, nisi homo fidem habeat supernaturalem [Alìegatur Hebr XI, 6 et Conc. Trid., sess. VI c. 8: *I532].

——

3866 – …. Or tra le cose che la Chiesa ha sempre predicato e non cesserà mai di predicare, si trova ugualmente questa affermazione infallibile che ci insegna che « Fuor dalla Chiesa, non c’è salvezza ». Questo dogma deve tuttavia essere compreso nel senso in cui la Chiesa stesso lo comprende. In effetti non è al giudizio privato che il Signore ha affidato la spiegazione delle cose contenute nel deposito della fede, ma al Magistero della Chiesa.

3867 – In primo luogo, la Chiesa insegna che in tal questione non si tratta di un comandamento in senso stretto di Gesù Cristo. Egli ha, in effetti, imposto espressamente ai suoi Apostoli di insegnare a tutte le Nazioni ad osservare tutto quel che aveva ordinato. Tra i comandamenti del Cristo, ed esso non è il minore, c’è quello che ci ordina di essere incorporati con il Battesimo nel Corpo mistico del Cristo, che è la Chiesa, e di restar uniti al Cristo ed al suo Vicario attraverso il quale governa Egli stesso in modo visibile la sua Chiesa sulla terra. Ecco perché, nessuno sarà salvato se, sapendo che la Chiesa sia stata divinamente istituita dal Cristo, non accetti tuttavia di sottomettersi alla Chiesa, o rifiuti l’obbedienza al Pontefice Romano, vicario di Cristo sulla terra.

3868 – Ora il Salvatore non ha solamente ordinato che tutti i popoli entrino nella Chiesa, ma ha deciso anche che la Chiesa fosse il mezzo di salvezza, senza il quale nessuno possa entrare nel Regno della gloria celeste.

3869 – Nella sua infinita Misericordia, Dio ha voluto che gli effetti necessari per essere salvati, di questi mezzi di salvezza che sono ordinati al fine ultimo dell’uomo, non per necessità intrinseca ma unicamente per istituzione divina, possano essere ottenuti in certe circostanze, quando questi mezzi non siano messi in opera che per desiderio o voto. Noi vediamo questo chiaramente enunciato nel Sacrosanto Concilio di Trento rispetto sia al Sacramento della Rigenerazione, sia al Sacramento della Penitenza. (D. 1524, 1543)

3870 – Lo stesso va detto, a suo modo, della Chiesa come mezzo generale di salvezza. Infatti perché qualcuno ottenga la salvezza eterna, non sempre è necessario che uno sia effettivamente incorporato nella Chiesa come membro, ma è almeno necessario che sia unito a lei con il voto e il desiderio. Tuttavia, non è sempre necessario che questo voto sia esplicito, come avviene tra i catecumeni, ma quando l’uomo è vittima di un’invincibile ignoranza, Dio accetta anche un voto implicito, così chiamato perché è incluso nella buona disposizione d’animo con cui l’uomo vuole conformare la sua volontà alla volontà di Dio.

3871 – Questo è il chiaro insegnamento dell’enciclica di Pio XII (Mystici corporis) sul Corpo Mistico di Gesù Cristo. In essa il Sommo Pontefice distingue chiaramente tra coloro che sono veramente incorporati nella Chiesa come suoi membri e coloro che sono uniti alla Chiesa solo dal voto… « … Ma solo coloro che hanno ricevuto il battesimo della rigenerazione e professino la vera fede, e che, d’altra parte, non si siano miseramente auto-separati dall’insieme del Corpo, o non ne siano stati tagliati fuori per gravissime colpe dalla legittima autorità, (per eresia, scisma, apostasia) sono veramente membri della Chiesa » (D. S. 3802). Verso la fine della stessa Enciclica, però, invitando molto affettuosamente all’unità coloro che non appartengono al Corpo della Chiesa cattolica, egli menziona « coloro che, per un certo inconscio desiderio e voto, si trovano ordinati al Corpo mistico del Redentore », che non esclude in alcun modo dalla salvezza eterna, ma di cui, d’altra parte, dice di essere in uno stato « in cui nessuno può essere sicuro della sua salvezza eterna…. poiché sono privati di così tanti e di così grandi e celesti aiuti e favori, di cui si può godere solo nella Chiesa cattolica » (D. S. 3821).

3872 – Con queste sagge parole egli condanna sia coloro che escludono dalla salvezza eterna tutti gli uomini che sono uniti alla Chiesa dal solo voto implicito, sia coloro che affermano falsamente che gli uomini possono essere salvati anche in una qualsiasi religione (2865).

Né si deve pensare che qualsiasi tipo di desiderio di entrare nella Chiesa sia sufficiente per essere salvati. Perché è necessario che il voto che ordina qualcuno alla Chiesa sia animato da una perfetta carità. Il voto implicito può avere effetto solo se l’uomo ha una fede soprannaturale. (Ebrei XI: 6; Concilio di Trento, VI\VIII ss. Cap. 8).

Questo documento Ecclesiastico irreformabile ed infallibile (come tutto il Magistero Ordinario ed Universale della Chiesa, al quale siamo obbligati a dare il nostro assenso, pena scomunica, secondo la lettera Enciclica « Satis Cognitum » di S. S. Leone XIII), giunge a conferma della dottrina tomistica di San Tommaso d’Aquino sulla grazia fornita dallo Spirito Santo a coloro che, pur non avendo la possibilità di accedere a veri Sacramenti, o al Santo Sacrificio validamente celebrato da Sacerdoti canonicamente consacrati, siano battezzati osservanti la Dottrina Cattolica, in unità con il “vero” Sommo Pontefice seppure di desiderio, unica condizione – una volta lasciata la setta di appartenenza – per ottenere l’eterna salvezza.
Fuori dalla Chiesa Cattolica, cioè fuori dalla salvezza eterna, vi sono quindi:

1- Tutte le sette protestanti: luterane, anglicane, calviniste, ortodosse sec. Fozio, monotelite, monofisite, etc. …

2- La setta degli eretici e scismatici modernisti (il modernismo è la somma di tutte le eresie, secondo la sentenza di S. Pio X nella sua magistrale e magisteriale Enciclica “Pascendi” del Novus Ordo dell’attuale colle Vaticano – la “sinagoga di satana” inneggiante al signore dell’universo, il baphomet-lucifero delle logge massoniche – conformi alle eresie del conciliabolo c. d. Vaticano II (Concilio scomunicato con largo anticipo dalla bolla Execrabilis di Papa Pio II, Piccolomini);  sono qui compresi i secolari e tutti i religiosi degli ordini un tempo Cattolici, oggi “novusordisti”.

3 – I sedicenti tradizionalisti, supporter eretici del papa eretico – a loro dire -, la setta paramassonica-kadosh dei falsi chierici invalidi e sacrileghi, i c. d. lienart-lefebvriani di Ecône-Sion;

4- Tutte le sette pseudo-tradizionaliste degli eretici e scismatici sedevacantisti di Occidente e d’Oriente, parto distocico dell’ultima ora di satana che cominciava a capire che qualcosa non aveva funzionato nei suoi piani vacillanti e scricchiolanti, ed ha cercato di metterci una “pezza a colore”. .. ma si sa che il diavolo fa le pentole ma dimentica – per fortuna dei “veri” Cattolici – i coperchi … Questo documento sia dunque per loro, monito onde abbandonare senza indugi la setta infernale di appartenenza e confluire in massa, almeno con desiderio o voto esplicito, nella Chiesa Cattolica guidata dal suo Sommo Pontefice Romano, ovunque si trovi, prigioniero o nascosto! (Il Cristo ce lo ha promesso – solennemente – con noi fino all’ultimo giorno! … e pure la Pastor Aeternus).

       Fatta questa debita premessa, passiamo e valutare i Singoli Sacramenti istituiti da Cristo e come, almeno per una parte di essi, si possano ricevere senza un Sacerdote con giurisdizione e missione canonica, o come si possa in qualche modo supplire alla grazia sacramentale specifica da essi apportata.

BATTESIMO.

I. Cominciamo ovviamente con Santo Battesimo, il Sacramento che ci apre la via della salvezza, dandoci la grazia santificante, le virtù ed i santi Doni, donandoci la nuova vita soprannaturale con l’inabitazione del Spirito Santo in noi e la filiazione a Dio come figli adottivi.

I. In casi straordinari, il Battesimo può essere conferito da chiunque.

    Negli scritti magisteriali pubblicati incessantemente su questo blog, sono state evidenziate numerose sentenze ufficiali della santa Chiesa Cattolica che rendono espressamente ed incontestabilmente chiaro il danno prodotto alla Chiesa di Cristo – la Chiesa  Cattolica romana – dal conciliabolo cosiddetto Vaticano II e dagli antipapi succeduti  al Santo Padre Pio XII, ultimi Pontefice romano che abbia legittimamente e  liberamente occupato il seggio di San Pietro, vale a dire del Vicario di N. S. Gesù  Cristo, fedele custode della dottrina apostolica e Capo di tutta la gerarchia ecclesiastica e dei fedeli di Cristo. Abbiamo pure dimostrato come dal 26 ottobre del1958, tutti i documenti approvati da falsi pontefici usurpanti, non abbiano alcuna validità canonica, ma siano al contrario sacrileghi ed in molti casi blasfemi, tali da  configurare un vero “ribaltone” della dottrina, della liturgia e dell’intera economia  della grazia. In particolare, abbiamo dimostrato, con documenti ineccepibili ed irreformabili prodotti dai canoni ecclesiastici, come le ordinazioni dei “vescovi” siano totalmente invalide a partire dal 18 giugno del 1968, data dell’entrata in vigore del falso pontificale romano dell’antipapa G. B. Montini (alias il sedicente Paolo VI).  Recentemente poi abbiamo dimostrato come gli ordini sacerdotali siano totalmente invalidi per difetto di forma ed intenzione secondo i canoni del Concilio di Trento, del Codice canonico pio-benedettino del 1917, della Costituzione apostolica Sacramentum Ordinis di S.S. Pio XII [A.A.S., vol. XL (1948), n. 1-2, pp. 5-7], per cui in pratica tutti i sacramenti  amministrati dalla antichiesa m del c. d.  novus ordo (la setta vaticana insediata dal 1958),  sono invalidi o quanto meno illeciti  [se  amministrati da vegliardi Sacerdoti e Vescovi validamente ordinati prima del 1968,  ma aderenti alla setta acattolica ubiquitaria e dominante summenzionata]. Ai nostri scritti, ovviamente, nessuno ha potuto opporre la benché minima osservazione, al netto di offese, derisioni, disprezzo. In realtà non si tratta di offendere un misero scribacchino “farneticante” , ma la dottrina bimillenaria della Chiesa e l’intero Magistero pontificio, per cui, i giovani pseudo preti non hanno argomenti per ribattere, date la loro scadentissima preparazione dogmatica e per quanto riguarda il  diritto canonico, mentre i “volponi”, i grassi Sacerdoti stagionati, prudentemente si  sono rinchiusi in un mutismo secondo l’aforisma del profeta Isaia come … “cani muti”, anche per non perdere prebende e pensioni – A questo punto, finalmente, sembra che alcune persone si siano svegliate dal  sonno illusorio in cui si erano assopiti, scossi dal torpore della narcosi spirituale in cui erano stati sprofondati dagli “anestesisti” dell’anima, i modernisti diretti da antipapi provenienti dalle “logge” e da pseudoprelati “illuminati”, ed abbiano cominciato a chiedersi con dubbio legittimo, se i loro sacramenti, ricevuti da laici  mascherati, siano validi e leciti, e nel caso non lo siano come riceverli per sé e per i propri cari. Essendoci giunte alcune richieste in merito da nostri attenti lettori  allarmati dalle argomentazioni e dai documenti ufficiali riportati, vogliamo a questo punto  occuparci di questo importantissimo argomento che interessa la vita dell’anima e le  nostre possibilità di salvezza, secondo la retta dottrina cattolica insegnata da due millenni da Gesù Cristo, dagli Apostoli, dai Padri e dai dottori della Chiesa, dai teologici riconosciuti ed approvati e dal Magistero pontificio e conciliare.- Innanzitutto possiamo tranquillizzarci osservando come la Chiesa abbia previsto l’evenienza di una propria “eclissi” (chiaramente prevista a La Salette nel 1946 dalla Vergine Maria) o inattività in tempi o in determinate aree geografiche, dando la possibilità ai fedeli impediti di accedere ai mezzi della grazia santificante, mediante la preghiera indulgenziata o alcuni sacramenti, tra i quali  hanno assoluta preminenza i cosiddetti “ Sacramenti dei morti ”, di quei sacramenti  cioè che permettono ai  morti spirituali  di avere o recuperare la grazia abituale, in  modo da consentire un retto cammino sulla via della salvezza. Essendo l’argomento  di capitale interesse, vogliamo focalizzare l’attenzione su di un singolo Sacramento per volta, citando come al nostro solito i canoni ed i documenti  cclesiastici come  sono consultabili nei volumi od opere citate e che fanno parte della dottrina dogmatica, teologica o morale ufficiale, approvata dalle Autorità validamente riconosciute. Iniziamo ovviamente dal Battesimo, Sacramento istituito da Gesù Cristo in persona con un comando perentorio impartito ai suoi Apostoli nel momento in cui li mandava ad evangelizzare i popoli presso i quali stavano per recarsi ad annunciare la buona novella. Il Battesimo è Sacramento essenziale nella vita cristiana, il Sacramento che trasforma l’anima umana in un’anima capace di divinizzarsi e divinizzare alla Resurrezione i corpi a cui è legata, per l’azione della grazia e dello Spirito Santo che ne vengono a prendere possesso rendendo il battezzando “figlio adottivo di Dio” per partecipazione ed incorporandolo nel Corpo mistico di Cristo. Su questo Divino Sacramento ci sono volumi interi di teologia dogmatica, morale, ascetica che ne spiegano l’importanza esclusiva ed il privilegio infinito che investe chi ne beneficia, e rimandiamo ad essi per un approfondimento salutare e la esatta comprensione della natura e della trasformazione che opera nel rendere l’anima recettiva della grazia in terra e della gloria in cielo. Qui a noi interessa il dato essenziale pratico, che la Chiesa abbia reso questo Sacramente accessibile a tutti in tutti i tempi ed in tutti i luoghi. Se non c’è un Sacerdote o Prelato cattolico validamente consacrato, con missione canonica conferita da un Vescovo valido con Giurisdizione ed “ una cum ” il Pontefice regnante (ai nostri tempi Gregorio XVIII o successore della linea Siri), la Chiesa permette il rito straordinario , come  viene ad esempio descritto nel trattato di Teologia dogmatica di B. Bartmann, vol. III, IV ed., Ed. Paoline, con nihil obstat  ed imprimaturdel 19 luglio 1957. Nel III volume, come dicevamo, leggiamo a pag. 103 e segg.: § 170 Ministro e soggetto del Battesimo.  Ministro ordinario del Battesimo è il Sacerdote avente Missione dal Vescovo; ministro straordinario, in caso di necessità, può essere qualsiasi persona umana.

Spiegazione. Eugenio IV dichiara nel suo decreto per gli Armeni: « Ministro di  questo sacramento è il Sacerdote cui compete per ufficio di battezzare. In caso di necessità, però, non solo il Sacerdote o diacono, ma anche il laico, uomo o donna, anzi il pagano e l’eretico può battezzare, purché osservi la forma prescritta ed abbia intenzione di fare ciò che fa la Chiesa (Denz. 696). Il IV Concilio Lateranense dice in modo affatto generale che il Battesimo da chiunque amministrato, purché nei debiti modi, è  sempre valido (Denz. 430). Finalmente il Concilio di Trento ha ancora una volta definito l’antica dottrina della validità del Battesimo degli eretici (s. 7 de Bapt., can. 4, Denz. 860). Gli spazi ristretti non ci consentono di procedere oltre, ma penso che la questione sia fin troppo chiara: in casi straordinari, quando cioè non abbiamo la possibilità di ricorrere ad un “vero” e sicuro prete cattolico scartando i  Probabili (oggi sicuramente improbabili, anzi certamente falsi) del novus ordo o delle sette sedevacantiste o lefebvriane dei sedicenti tradizionalisti (secondo la sentenza del 4 marzo 1679 di S.S. Innocenzo  XI, in Denz. 1151: “Non è lecito nel conferire sacramenti seguire un parere probabile per quanto riguarda il valore del sacramento, abbandonando il parere più sicuro … pertanto non si dovrebbe fare uso di pareri probabili nel conferimento di Battesimo degli ordini sacerdotali ed episcopali”. Quindi, tranquilli, lettori carissimi, possiamo avere grazia santificante, figliolanza adottiva di Dio, Doni dello Spirito Santo, virtù teologali e cardinali, oltre all’inabitazione dello Spirito Santo in noi, anche con il Battesimo conferito da un laico, addirittura anche un eretico, purché si usi la forma –  la formula prescritta –, la materia, cioè l’acqua, e l’intenzione secondo la Chiesa Cattolica. Penso che l’argomento sia chiaro restando in attesa di eventuali chiarimenti, delucidazioni e ulteriori documenti, di cui la santa dottrina della santa  Madre Chiesa è stracolma. La formula è: «  Ego te baptizo in nomine Patris, et Filii,  et Spiritus Sancti, amen . » Nel contempo si versa l’acqua sul capo del battezzando, tracciando tre segni di croce e facendola scorrere in avanti verso la fronte. –

PENITENZA O CONFESSIONE

        II. Dopo il Battesimo, il Sacramento più importante per riacquistare la grazia perduta per aver commesso un peccato mortale, è la Penitenza o Confessione, Sacramento che, ben ricevuto con le dovute predisposizioni, ci ridona la figliolanza divina con il diritto alla sua eredità con le virtù ed i Doni, e la presenza nell’anima dello Spirito Santo, e con esso la Santissima Trinità. Essa nella pratica, si compone di tre momenti, la contrizione, la confessione, la penitenza. Ministro ordinario è il Vescovo o un  Sacerdote con potestà d’ordine e Giurisdizione (ad esempio il parroco – sottolineiamo che senza giurisdizione conferita dell’Ordinario del luogo, a sua volta in comunione col Sommo Pontefice romano [il vero] il Sacerdote, pur validamente ordinato, non è abilitato alla Confessione che resta perciò invalida e come non fatta). Condizione essenziale per ottenere il perdono delle proprie colpe è il dolore dei propri peccati, che teologicamente si distingue in Contrizione ed Attrizione.  Attrizione, o contrizione imperfetta, è semplicemente il dolore per aver commesso un grave peccato, o per aver  perso la possibilità di entrare in Paradiso ed aver meritato l’inferno con le pene eterne.  Contrizione perfetta, invece, è il dolore per aver offeso Dio nella sua Maestà,  Giustizia e Divinità, offesa infinita che richiede un dolore: interiore, soprannaturale,  sovrano, universale, cioè il dolore della più grave sventura della nostra vita, estesa ad  ogni nostro peccato mortale, e la detestazione del peccato commesso, col proposito di non peccare più in avvenire e fuggirne le occasioni prossime. Poiché nessuno potrà mai essere certo della sua perfetta contrizione, la Chiesa Cattolica richiede almeno l’attrizione unita alla Confessione sacramentale che supplirebbe così alla temuta imperfezione. I peccati mortali vanno confessati singolarmente riferendo ogni circostanza aggravante o che ne muti la specie, mentre i peccati veniali non devono necessariamente confessarsi, anche se sia lecito confessarli per accrescere il dolore delle proprie offese a Dio, Padre Creatore, Figlio Redentore, Spirito Santo santificatore. Tutte queste peculiarità sono state da sempre ritenute dalla Chiesa Cattolica, e sono state definite e fissate dogmaticamente dalla XIV Sessione del Sacrosanto Concilio di Trento. Quindi i fedeli della Chiesa  eclissata, cioè la vera unica Chiesa di Cristo oggi nelle catacombe, o portata nel deserto, come ben mostrato nel capitolo XII dell’Apocalisse, annunziata per i nostri tempi nell’apparizione della Vergine Santissima a La Salette nel 1846, e da diverse  visioni di veggenti Cattolici approvati, in diversi secoli, si chiedono come sia possibile riacquistare la grazia e tutte le prerogative perse con il commettere un peccato mortale, che ci taglia dal cammino verso la salvezza e l’eterna beatitudine,  spalancandoci le porte dello stagno di fuoco eterno. Ma il Signore, ovviamente, aveva  già “sistemato” la faccenda con largo anticipo, quando già nel 22 febbraio 1482 suggeriva al Sommo Pontefice Martino Quinto, la celebre bolla, contro l’eretico Wicleff: “ Inter cunctas ” tra le cui preposizioni, al numero 20, si sottolineava che un  Cristiano è tenuto, per essere necessariamente salvato, oltre alla contrizione del suo cuore [condizione assoluta  sine qua non], quando può trovare un sacerdote  qualificato (Sacerdotis idonei), a confessarsi solamente da un Sacerdote, e non da un  laico o laici, sebbene buoni o pii quanto mai (Denz.- Schon. 1260). Per la giustificazione, dopo il Battesimo, la prassi consolidata della Chiesa, è quindi la Contrizione perfetta, da chiedere come grazia a Dio con un atto di contrizione perfetto pubblicato con debito imprimatur, chiedendo la grazia delle lacrime per i propri peccati. Naturalmente la ricerca dei peccati viene fatta dopo un attento studio  della Dottrina cristiana e della propria coscienza … come può uno confessarsi se per trascuranza non conosce i peccati numerati dalla Chiesa, ad esempio i peccati contro i Comandamenti, in particolare gli ultimi due, che sono peccati solo di pensiero, i peccati contro i precetti della Chiesa, contro le Virtù teologali e cardinali, i peccati contro lo Spirito Santo, i peccati che gridano vendetta agli occhi di Dio, i peccati di omissione circa le opere di misericordia corporale e spirituale, i peccati capitali etc.. Utile sarebbe formare uno schema scritto, col quale esaminare la propria coscienza  alla luce della dottrina di sempre della Chiesa, che riporti pure le scomuniche più  solenni comminate dai Sommi Pontefici e dai Concilii ecumenici contro eresie e  difformità dottrinali o eterodossie. Fatto questo lavoro, si resterà sorpresi dalla enormità e dal numero delle proprie colpe se ben esaminate, accusate senza ritegno o attenuazioni, inquadrate nelle perverse dinamiche delle intenzioni. Subito dopo si passa alla detestazione dei peccati commessi e al dolore per avere offeso un Dio così buono che ci ha creato dal nulla dandoci la possibilità di essere suoi figli adottivi per mezzo  della redenzione di Gesù Cristo operata versando tutto il suo preziosissimo sangue. Non basta ancora, bisogna aggiungere il proposito serio e fermo di non più peccare, e soprattutto di evitare le occasioni prossime del peccato e possibilmente anche le remote, senza di che non è valida nessuna  Confessione, che al contrario sarebbe sacrilega ed aggiungerebbe anzi peccati gravissimi e difficilmente emendabili. Ultima condizione è il proposito esplicito di ricorrere alla Confessione sacramentale una volta reperito un Sacerdote cattolico con missione canonica e giurisdizione nominato da un vero Vescovo una cum il vero Sommo Pontefice Gregorio XVIII o successore della linea Siri. Se in buona fede operiamo tutto quanto la Chiesa ci comanda di fare quando non sia raggiungibile, siamo giustificati e rientriamo sulla “pista” della corsa verso la salvezza eterna. In articulo mortis (cioè in pericolo di morte imminente) si può ricorrere anche a Sacerdoti validamente consacrati fino al 18 giugno del 1968, anche se apostati e passati alla sinagoga infernale, l’antichiesa del Vaticano II, ma attenti! Occorre prudenza e grande preparazione dottrinale per non cadere nella trappola della finta “divina misericordia” che rende Nostro Signore ingiusto nel secondare ed approvare i capricci dei peccatori, facendo apparire inutile Redenzione, Sacramenti, Fede e Carità divina, e dulcis in fundo, come ultima beffa, li spedisce dritti all’inferno senza giustificazione. – Come più volte scritto e documentato con inoppugnabili documenti della Chiesa Cattolica “pre-modernista” (cioè l’unica vera Chiesa fondata da Gesù Cristo) il vero  Cattolico, una cum  la Sede Apostolica impedita ma realmente esistente, si trova oggi  nella impossibilità di praticare liberamente il retto culto dovuto a Dio essendo le strutture un tempo appartenenti alla Chiesa, invase dalla apostasia modernista, vero obbrobrio, d’altra parte concretamente visibile nel culto rasa+crociano definito nuova messa, o novus ordo missæ, che tutto è fuorché una Messa cattolica. In queste nuove “sinagoghe infernali”  si celebra un culto apparentemente cristiano (il demonio si sa è la scimmia di Dio e vuole ricevere il culto dovuto solo a Dio), ma assolutamente invalido e sacrilego,  da parte di pseudo-sacerdoti mai consacrati validamente, quindi, privi del sigillo sacerdotale impresso dallo Spirito Santo per mezzo dell’imposizione delle mani di un vero Vescovo, (cioè consacrato prima del 18 giugno 1968 come spiegato a suo tempo in una serie di articoli documentati e mai contestati e di cui parleremo ancora trattando del Sacramento dell’Ordine), e da qualche ultraottuagenario apostata che non ha mai compreso né le leggi della Chiesa, né il suo ruolo di agente in persona Christi. Questo significa, secondo le leggi canoniche della Chiesa (C. J. C. o codice pio-benedettino del 1917, l’unico valido perché facente parte di un documento ufficiale del Magistero, e perciò irreformabile ed eterno!) che tutto  quello che viene celebrato in queste pseudo-funzioni (o meglio FINZIONI), non ha alcuna validità né liceità, ergo: confessione invalida e sacrilega, comunione invalida e sacrilega con pane mai transustanziato per difetto di forma, intenzione, e perché operato da un laico “travestito” da prete. Ma la Chiesa, prevedendo possibile questa situazione che si è “evoluta” dal 1958 in poi, aveva già pensato a come ovviare alla mancanza di grazia sacramentale dei finti illeciti sacramenti.

COMUNIONE

III. Nel paragrafo precedente abbiamo parlato della Confessione, secondo i dettami del Sacrosanto Concilio Tridentino e del relativo Catechismo del Sacerdote (libro introvabile anche presso gli anziani Sacerdoti, ma che noi custodiamo gelosamente in cassaforte come perla dottrinale preziosissima), oggi parleremo della Comunione. Non è qui il caso di spiegare l’importanza centrale dell’Eucarestia nella vita del Cristiano e della Chiesa tutta, poiché mi illudo che i miei pochi lettori sappiano almeno a grandi linee di cosa si tratti. La Comunione sacramentale, Sacramento dei vivi, di coloro cioè che sono già in grazia, perché non contaminati dal peccato mortale, consiste nella transustanziazione del pane e del vino offerto durante la vera Messa cattolica definita da S.  Pio V, di cui non si poteva mutare nemmeno una parola, nel Corpo e nel Sangue di Cristo, che viene poi dato ai fedeli sotto una specie unica per aumentare la grazia e preservare dal peccato e da azioni indegne di un fedele di Cristo. La sua specificità è  indubbia, ma ecco che, nella impossibilità di ricevere l’Eucarestia validamente  consacrata direttamente in bocca dalla mano del Sacerdote che la porge, la Chiesa permette con gran frutto, la Comunione spirituale. Lasciamo la parola, noi che ne siamo indegni, ad uomini la cui santità è indiscussa e la dottrina purissima. Riportiamo per brevità le considerazioni di S. Leonardo di Porto Maurizio: « LA COMUNIONE SPIRITUALE,  Considerazioni di S. Leonardo da Porto Maurizio. » – “Coloro che non possono ricevere sacramentalmente il corpo del Signore, Lo possono  ricevere spiritualmente con gli atti di viva fede e fervente carità e con un grandissimo​ desiderio di unirsi a quel sommo Bene; in questa maniera ricevono il frutto di questo divin Sacramento.”  – La Comunione spirituale si può fare durante la Messa (la Messa di sempre, quella definita da S. Pio V, come riportato sopra – n.d.r.-) o in qualsiasi momento della vostra giornata. Quando il Sacerdote sta per comunicarsi nella santa Messa, voi, stando ben raccolti eccitate nel vostro cuore un atto di vera contrizione, e battendovi il petto umilmente, in segno che vi riconoscete indegno di una grazia così grande, fate tutti quegli atti di amore, di offerta, di umiltà, con tutti gli altri che fate abitualmente quando vi comunicate sacramentalmente, e poi desiderate ardentemente di ricevere il buon Gesù sacramentato per vostro bene. E per ravvivare la vostra devozione, immaginatevi che Maria santissima, o qualche altro vostro Santo avvocato vi porga la santa particola. Figuratevi di riceverla, ed abbracciando Gesù nel vostro cuore, replicate più e più volte:  venite, caro Gesù mio, venite dentro questo mio povero cuore, venite ed esaudite i miei desideri, venite e santificate l’anima mia;  venite Gesù dolcissimo, venite … E ciò detto fate silenzio, rimirate il vostro buon Gesù dentro di voi e, come se realmente vi foste comunicato, adorateLo e ringraziateLo e fate tutti quegli atti che fate abitualmente dopo la Comunione sacramentale”. Ora sappiate che questa benedetta e santa Comunione spirituale, così poco praticata dai Cristiani dei nostri tempi, è un tesoro che vi riempie l’anima di mille beni. E come dicono vari autori, è così utile che  può produrre quelle stesse grazie che produce la  Comunione sacramentale, anzi maggiori. Perché, sebbene la Comunione sacramentale – cioè quando realmente ricevete la sacra particola – di sua natura è di maggiore frutto, perché, essendo Sacramento, ha la virtù “ex opere operato” (cioè opera per virtù propria), tuttavia può un’anima con tanta umiltà, amore e devozione fare la sua Comunione spirituale, da meritare maggior grazia di quella che merita un’altra, la quale si comunichi sacramentalmente, ma non con tanta squisita preparazione. Quindi il nostro Salvatore gradisce tanto questo modo di comunicarsi spiritualmente, che tante volte con evidenti miracoli si è compiaciuto di esaudire benignamente i pii desideri dei suoi servi: come accadde alla beata Chiara da  Montefalco, a Santa Caterina da Siena, a santa Liduina, a san Bonaventura ed al beato Silvestro. Sappiate dunque che questa santa Comunione spirituale vi dà questo vantaggio rispetto alla Comunione sacramentale: che la Comunione sacramentale non può farsi che una sola volta al giorno, ma la Comunione spirituale potete farla tante volte, quante sono le Messe che ascoltate; ed anche fuori dalla Santa Messa, mattino e sera, giorno e notte, in Chiesa ed in casa: insomma, quante volte voi praticherete quanto si è detto, altrettante volte farete la Comunione spirituale e vi arricchirete di grazie e di meriti e di ogni bene.

Preghiera per la Comunione spirituale.

(di S. Alfonso M. dei Liguori).

« Gesù mio, credo che voi state nel Santissimo Sacramento. V’amo sopra ogni cosa e Vi desidero nell’anima mia. Giacché ora non posso ricevervi sacramentalmente, venite almeno spiritualmente nel mio cuore. Come già venuto, io Vi abbraccio e tutto mi unisco a Voi: non permettete che io abbia mai a separarmi da Voi. »

Ai fedeli che compiono un atto di comunione spirituale, usando qualsiasi formula che vogliano scegliere, si concede:

Un’indulgenza di 3 anni; Indulgenza plenaria una volta al mese alle solite condizioni, se recitato per ogni giorno del mese (S. S. Pænit.  Ap., 7 marzo 1927 e 25 febbraio 1933).

Potremmo citare una serie lunghissima di autori e libri che discorrono dei benefici straordinari di questa pratica devozionale, ma ne ricordiamo, per brevità, solo il  dottissimo Gesuita G. B. Scaramelli, che nel suo rinomatissimo DIRETTORIO ASCETICO, Trattato Primo, al CAPO VII ne fa una meravigliosa descrizione. – Non poteva mancare la pratica devota nel “libro dei libri” teologici, la Summa Theologica di S. Tommaso d’Aquino … « questa, dice S. Tommaso, consiste in un vivo desiderio di prendere il Santissimo Sacramento.» (3 p., q. 21, art.1 ad 3). Allora accade, dice ancora l’Angelico nell’articolo successivo, che alcuno mangi spiritualmente Gesù Cristo ricoperto dalle specie sacramentali, quando crede in Cristo con desiderio di riceverlo in questo sacramento. E questo non solo è un ricevere spiritualmente Gesù Cristo, ma è un ricevere spiritualmente lo stesso Sacramento. Se queste brame siano molto fervide, e molto accese, la comunione fatta in spirito sarà talvolta più fruttuosa e più cara a Dio, che molte altre Comunioni reali fatte con tiepidezza, non per difetto del Sacramento, ma di chi freddamente lo riceve. – Testimonianze ne abbiamo, come già ricordato, da S. Caterina da Siena, S. Liduina, S. Lorenzo Giustiniani e tanti altri che non possiamo qui riportare. Non tema dunque il vero Cattolico di essere escluso dalla grazia sacramentale della santa Comunione, l’importante, sottolinea sempre puntualmente l’Angelico di Roccasecca, è fuggire dalle sette eretiche ed essere unito anche solo di desiderio se impedito al Santo Padre, il Vicario di Cristo S.S. Gregorio XVIII, successo di G, Siri. Questa è la via che giunge in Paradiso, ogni altra conduce allo stagno di fuoco eterno.

IL CATECHISMO DI F. SPIRAGO (XI)

IL CATECHISMO DI F. SPIRAGO (XI)

CATECHISMO POPOLARE O CATTOLICO SCRITTO SECONDO LE REGOLE DELLA PEDAGOGIA PER LE ESIGENZE DELL’ETÀ MODERNA

DI

FRANCESCO SPIRAGO

Professore presso il Seminario Imperiale e Reale di Praga.

Trad. fatta sulla quinta edizione tedesca da Don. Pio FRANCH Sacerdote trentino.

Trento, Tip. Del Comitato diocesano.

N. H. Trento, 24 ott. 1909, B. Bazzoli, cens. Eccl.

Imprimatur Trento 22 ott. 1909, Fr. Oberauzer Vic. G.le.

PRIMA PARTE DEL CATECHISMO:

FEDE (7).

2-7 Art. del Simbolo: Gesù Cristo.(2)

4. Quando e dove visse il Salvatore?

1. IL SALVATORE VISSE SU QUESTA TERRA CIRCA 2000 ANNI FA, PER 33 ANNI.

L’era cristiana è iniziata con la nascita di Gesù Cristo.

All’inizio del Cristianesimo, gli anni venivano contati in base al regno dei governanti o dei consoli romani. Dalla grande persecuzione di

di Diocleziano, i Cristiani presero come loro era il regno di questo imperatore (l’era dei martiri. L’abate Dionigi, di Roma, fu il primo che nel 525 cominciò a datare gli anni dall’Incarnazione di Cristo, cioè dall’Annunciazione. Carlo Magno introdusse questa epoca, ma iniziò a contare non dall’Incarnazione, ma dalla Natività di Cristo… -. Quest’epoca non è del tutto accurata, poiché Dionigi colloca la Natività quattro anni più avanti. Cristo sarebbe quindi nato 4 anni prima dell’anno 1 della nostra era.

Il tempo che precede Cristo è chiamato Antico Testamento o Antica Alleanza, il tempo successivo a Cristo, Nuovo Testamento o Nuova Alleanza. (Eb. IX , 15-17).

I tempi che precedono e seguono Gesù Cristo li chiamiamo Testamento, (cioè dichiarazione di volontà, concessione dell’eredità nel diritto, di volontà, concessione dell’eredità in caso di morte), perché nei tempi precedenti e successivi a Cristo, Dio ha espresso la sua santa volontà agli uomini ed ha assicurato loro un’eredità in caso di morte del Salvatore (un’eredità che diventa esecutiva con la morte del Salvatore). L’eredità assicurata agli ebrei era la Terra Promessa, l’eredità dei Cristiani è il cielo. – Il tempo prima di Cristo è chiamato l’Antica Alleanza, perché Dio fece un’alleanza con molti popoli, con Noè, Abramo, Giacobbe e con il popolo israelita al Sinai, attraverso la mediazione di Mosè. Lì il popolo israelita si impegnò a osservare le leggi appena promulgate. Dio, in cambio, promise di proteggerlo e di benedirlo. L’alleanza fu sigillata con il sangue di un sacrificio animale. – Il periodo dopo Cristo è chiamato Nuova Alleanza, perché Dio, attraverso la mediazione di suo Figlio, si è impegnato per la santificazione degli uomini qui sulla terra e per la loro glorificazione in cielo, se essi osservano i due comandamenti dell’amore. Questa alleanza è stata sigillata dal sangue di Cristo. – I libri sacri scritti in questo periodo sono noti anche come Antico Testamento, e il Nuovo Testamento, i libri sacri scritti dopo Cristo. Questi sono così chiamati perché contengono la volontà di Dio e la garanzia dell’eredità celeste.

2. IL SALVATORE FU MOLTO ATTIVO IN PALESTINA.

(Vedi la mappa di questo Paese).

Notiamo 1° per quanto riguarda il nome; che questo Paese fu chiamato prima Chanaan, poi Giudea, di solito Terra Promessa, cioè la terra promessa da Dio, infine Terra Santa, cioè la terra santificata dal soggiorno del Salvatore. – 2° per quanto riguarda la sua estensione e natura, la Palestina non è che un paese piccolo, appena 500 miglia quadrate, la metà della Svizzera, tanto che i pagani dicevano beffardamente che il Dio degli Ebrei doveva essere un Dio molto piccolo per aver dato al suo popolo un paese così piccolo. (È lunga solo 90 leghe e larga 30). Tuttavia, la sua posizione al centro del mondo antico fu molto favorevole alla diffusione della vera religione. Era un paese molto fertile, dove scorrevano latte e miele (Es. III, 8) e non c’era bisogno di importazioni dall’estero. La Palestina è tagliata fuori dai suoi vicini su tutti i lati, sia dal mare che dal deserto, così che le comunicazioni amichevoli tra i suoi abitanti e le nazioni vicine erano molto difficili. – 3° per quanto riguarda il numero di abitanti; che la Palestina al tempo di Gesù Cristo contava 5 milioni di abitanti, di cui 1 milione a Gerusalemme, la capitale. Oggi il Paese conta solo 500.000 abitanti e Gerusalemme 28.000.

LA PALESTINA È SITUATA LUNGO IL MEDITERRANEO SU ENTRAMBE LE SPONDE DEL FIUME GIORDANO.

La parte più grande, situata tra il mare e il Giordano, è chiamata il Paese del Giordano occidentale, la parte più piccola, al di là del fiume, è chiamata il Paese del Giordano Orientale. La Palestina è delimitata a nord dalla Fenicia e a est dal deserto siro-arabo, a sud dall’Arabia e a ovest dal Mediterraneo. – Il Giordano, che gli ebrei attraversarono sulla terraferma e dove Gesù fu battezzato, è largo da 80 a 150 passi; le sue acque torrenziali e giallastre attraversano il piccolo lago di Merom, poi il lago di Génèzareth (ove Gesù calmò la tempesta, predicò dalla barca, operò una pesca miracolosa, ha camminato sulla acque e diede il primato a Pietro) lungo 5 miglia, e sfociano nel Mar Morto, che è lungo 10 miglia.di lunghezza (nella depressione vi erano le città di Sodoma e Gomorra, le aque sono salare e non vi si trova alcuna creatura vivente). Prima di sfociare nel Mar Morto, il Giordano viene raggiunto dal torrente di Karith, vicino al quale viveva Elia. Il Mar Morto riceve anche le acque del Cêdron, che passa vicino a Gerusalemme e attraverso il quale fuggirono Davide e Cristo prima della sua agonia. – La Palestina era divisa in quattro parti: la Giudea a sud; la Samaria al centro; la Galilea a N., e a E. del fiume Giordano, la Perea (con Ituraea e Trachonitide).

Gli abitanti della Giudea erano i più fedeli alla vera religione; quelli della Samaria erano idolatri ed odiati dai Giudei, mentre quelli della Galilea erano in parte pagani, soprattutto al nord, e di conseguenza disprezzati dai Giudei. Essere chiamati Galilei era un insulto, soprattutto perché avevano un dialetto molto rozzo, ed erano facilmente riconoscibili, come accadde a Pietro nel tribunale del sommo sacerdote).

La città più importante della Giudea era Gerusalemme, dove era il Tempio. Gerusalemme (cioè il luogo della pace) è chiamata anche città dei colli, perché è situata su 4 alture: la più alta è il Monte Sion, sulla cui sommità si ergeva maestosa la cittadella di Davide e dove si trovava il cenacolo; a est di questo si trovava il monte Acra con la sorgente e la piscina di Siloe, dove avvenne la guarigione del cieco; a nord, il monte Moriah, dove era stato Isacco e dove si trovava il tempio; più a N. c’era il monte Bezetha con la città nuova; a ovest di Moriah, fuori dal recinto, c’era il Golgota, chiamato anche Calvario, sul quale Cristo fu crocifisso. L’insieme di queste alture è delimitata da due valli: quella a ovest, l’Hinnom (Gehenna, inferno, perché le donne israelite idolatre vi sacrificavano i loro figli a Moloch), a est la valle di di Giosafat (Giudizio di Dio; si riteneva che Dio avrebbe tenuto ivi l’ultimo giudizio). In questa valle scorre il torrente Cêdron. A est della valle di Josafat c’era il Monte degli Ulivi, con il giardino del Getsemani, dimora preferita del Salvatore. – Gerusalemme esisteva già al tempo di Melchisedec, che ne era il re.. Sotto Davide (1000 a.C.) divenne la capitale dei re ebrei, e fu distrutta completamente dal re di Babilonia (588 a.C.), Nabucodonosor, per poi essere ricostruita 50 anni dopo (536), e ridistrutta dal generale romano Tito, 70 anni dopo J.-C. – Il Tempio di Moria formava una lunga piazza e fu costruito in pietra biancastra. Da lontano appariva come una montagna coperta di neve e offriva uno spettacolo maestoso (S. Marco XIII, 1). Aveva un cortile per il popolo ed un altro interno per i sacerdoti, con l’altare degli olocausti; è in questo secondo cortile che si trovava il tempio vero e proprio, su un terrazzo lungo 30 metri, largo 10 e alto 15, con un tetto fatto di cedro. Questo tempio era composto dal vestibolo, dal Luogo Santo e dal Santo dei Santi. – Le pareti di questi due ultimi comparti erano ricoperte da spesse lastre di marmo e separate da un velo che fu strappato al momento della morte di Cristo. Nel Santo dei Santi era posta tra due grandi cherubini d’oro, l’Arca dell’Alleanza, che conteneva le tavole della legge, la manna, la verga di Aronne ed il libro della legge. (Pentateuco). Sopra l’arca, Dio dimorava in una nuvola. – Il tempio fu costruito da Salomone intorno all’anno 1000. Distrutto nel 588 da Nabucodonosor, fu ricostruito dopo 70 anni di cattività dal principe ebreo Zorobabele. Ma l’Arca dell’Alleanza era scomparsa. Re Erode lo restaurò al al tempo di Gesù Cristo. Questo restauro fu completato nel 64, e 6 anni dopo (70) il tempio fu distrutto dai Romani. Nel 361 l’imperatore Giuliano l’Apostata tentò di ricostruirlo, ma un terremoto fece crollare le fondamenta e le fiamme dal terreno dispersero gli operai. Questo tempio non sarà ricostruito fino alla fine dei tempi. (Dan. IX, 27).

Oltre a Gerusalemme, le città più notevoli sono Beihléhem e Nazareth.

Le città più importanti della Giudea sono: a sud di Gerusalemme, Betlemme, il luogo di nascita di Gesù; un po’ più a sud, Hebron, la casa di Abramo, Isacco e Giacobbe e i genitori di San Giovanni Battista; a est, Betania, la casa di Lazzaro e il deserto della Quarantena, dove Gesù digiunò per 40 giorni; a NW, Gerico, la città delle palme, dove visse Zaccheo, il pubblicano pentito; a N, Emmaus, famosa per un’apparizione del Salvatore risorto. Sulle rive del mare: Joppe, la città fenicia divenuta famosa durante le Crociate, dove vissero San Pietro e i suoi discepoli. Ivi Pietro risuscitò Tabitha dai morti e dove fu chiamato a visitare il centurione pagano Cornelio. Più a sud si trova l’antico paese dei Filistei, con le città di Gaza e Ascalon.

Ad ovest del Mar Morto si trova il deserto di Giuda o deserto di S. Giovanni, dove soggiornò il Precursore. – In Samaria, bisogna ricordare la capitale, Samaria, situata più o meno al centro del paese; a S. di questa città si trova la vicino a Sichem, il pozzo di Giacobbe, dove avvenne l’incontro tra Gesù e la Samaritana. Ad ovest si vede il Monte Gerizim, dove i Samaritani avevano un tempio idolatrico; a S., Silo, dove, dopo Giosuè, l’arca rimase per 350 anni. Lungo il Mediterraneo si estende la ricca pianura di Saron; sulle rive del mare si trova Cesarea, cioè la città imperiale, dove risiedevano i procuratori romani. A nord-est, non lontano dal mare e sul confine si erge, a 300 metri di altezza, il monte Carmelo con le sue 1000 grotte, casa degli anacoreti e di Elia, che vi offrì il suo sacrificio per confondere i sacerdoti di Baal. In Galilea sono da notare: Nazareth (la città del fiore), domicilio della Vergine Maria al momento dell’Annunciazione e dove Gesù Cristo visse fino all’età di 30 anni; a S, il monte Thabor, luogo della Trasfigurazione; nelle vicinanze, Naim, dove Ges risuscitò il figlio della vedova; a E., Cana, dove compì il suo primo miracolo. Sulle rive del lago di Genezareth si trovava Cafarnao, “la città di Gesù Cristo”, dove Egli amava fermarsi e dove compì molti miracoli, come la guarigione del servo del centurione. e la resurrezione della figlia di Giairo. Fu anche lì che fece la promessa dell’Eucaristia e chiamò a sé l’apostolo San Matteo; a S. Betsaida, da dove provenivano gli apostoli Andrea e Filippo; poi Magdala, la casa della Maddalena peccatrice. Sulle rive dello stesso lago, c’era anche Tibêriade. A nord della Galilea c’era Cesarea di Filippo, dove Pietro ricevette il potere delle chiavi. Le città marittime di Tiro e Sidone, dove Gesù si recava spesso (S. Matth, XV, 21; S. Marco VII, 27) si trovano in Fenicia piuttosto che in Galilea; ai confini di quest’ultima, ricoperta di neve perenne, si erge (fino a 3000 m.) la catena del Libano (Monte Libano (monte bianco) con i suoi magnifici cedri, ed a E. il grande Hermon (2900 m.); Più a est si trova Damasco, dove si convertì San Paolo. – In Perea molto vicino al Mar Morto, a est della foce del Giordano, si trova Bêthtibarah (anche Betania), il luogo dove Giovanni battezzò, dove rivelò il Salvatore e lo chiamò l’Agnello di Dio; e a E. il Monte Nebo, dove morì Mosè. A S. del lago di Génézareth si trovava Pella, dove i Cristiani di Gerusalemme si rifugiarono durante l’assedio di Tito (70).

5. GESÙ DI NAZARETH È IL SALVATORE O CRISTO.

Gli ebrei erano soliti chiamare l’atteso Salvatore Messia, Cristo o Unto.

Il termine unto del Signore era usato dagli ebrei per indicare Profeti, Pontefici e Re. Essi venivano unti con olio santo quando assumevano la carica, come segno della loro missione divina. (L’unzione simboleggiava l’illuminazione e la potenza dello Spirito Santo, oltre ad essere un’esortazione alla mitezza). Il futuro Salvatore sarà il Profeta, il Pontefice ed il Re per eccellenza, gli ebrei lo chiamano l’Unto del Signore. (Unto significa Messia in ebraico, Cristo in greco). Tuttavia Cristo non fu unto visibilmente con l’olio, ma interiormente dallo Spirito Santo. (Sal. XLIV, 8), la cui pienezza era in lui. (Act. Ap. X, 38).

1. GESÙ DI NAZARETH È IL SALVATORE, PERCHÉ IN LUI SI SONO ADEMPIUTE TYTTE LE PREDIZIONI DEI PROFETI.

Gesù si appellava spesso a questa testimonianza (S. Giovanni V, 39; S. Luca XVIII, 31), in particolare ai discepoli di Emmaus. (S. Luca, XXIV, 26). Matteo, da parte sua non cessa nel suo vangelo di mostrare l’adempimento delle profezie in Gesù Cristo.

2. IL CARATTERE DIVINO MESSIANICO DI GESÙ DI NAZARETH È DIMOSTRATO DALLA PERPETUITÀ DEL SUO REGNO SU QUESTA TERRA.

I falsi messia hanno avuto molti seguaci all’inizio, ma gradualmente li hanno persi del tutto. Gesù conserva i suoi seguaci attraverso tutti i secoli. Se il suo regno, la Chiesa, fosse un’opera umana, sarebbe già scomparso da tempo; ma dato che resiste nonostante tutte le persecuzioni, è necessariamente un’opera di Dio. Questo fu l’eccellente ragionamento di Gamaliele al Sinedrio (Act. Ap. V, 38).

3. GESÙ SI È DICHIARATO ESPRESSAMENTE COME IL SALVATORE IN PARTICOLARE NEL COLLOQUIO CON LA SAMARITANA E DAVANTI AL SOMMO SACERDOTE CAIFA.

“Io so”, disse la Samaritana, “che il Messia (cioè il Cristo) verrà”. Gesù le rispose: “Io che ti parlo sono lui”. (S. Giovanni IV). – Il sommo sacerdote Caifa disse a Gesù: “Ti ordino nel nome del Dio vivente di dirmi se sei il Cristo, il Figlio di Dio, e Gesù rispose: “Lo sono” (S. Matth. XXVI, 64). Inoltre, Gesù lodò S. Pietro quando gli disse: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente “. (S. Matth. XVI, 16).

4. ANCHE GLI ANGELI LO HANNO PROCLAMATO LORO SALVATORE, SIA QUELLO DELLA CAMPAGNA DI BETLEMME, SIA QUELLO CHE APPARVE A GIUSEPPE.

Un Angelo apparve ai pastori nei campi di Betlemme e disse loro: “Non temete. Perché ecco, vi porto una buona notizia di grande gioia per tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, vi è nato un Salvatore, il Cristo Signore. (S. Luca II,10). – Giuseppe, che voleva ripudiare Maria, vide in sogno un Angelo che gli annunciò la nascita di Gesù. e gli disse: “Lo chiamerai Gesù, perché egli salverà il suo popolo dai suoi peccati” (S. Matth. I, 21). Perché Gesù di Nazareth è il Cristo, cioè il Messia, è chiamato Gesù Cristo, nome che Egli stesso si è dato. (S. Giovanni XVII, 3).

6. LA VITA DI CRISTO.

L’infanzia e la giovinezza di Cristo.

La nascita di Gesù fu annunciata alla B. Vergine Maria a Nazareth dall’Arcangelo Gabriele. (S. Luc. I, 25).

Questo messaggio ci viene ricordato nella festa dell’Annunciazione (25 marzo), dall’Angelus del mattino, di mezzogiorno e della sera, e dalla prima parte dell’Ave Maria, che consiste nelle parole dell’Arcangelo. – Dopo l’Annunciazione della nascita Maria visitò sua cugina Elisabetta. Elisabetta la salutò con le parole contenute nella 2a parte dell’Ave Maria. Fu a casa di Elisabetta che Maria cantò il mirabile cantico del Magnificat. (S. Luc. 1). Questo mistero ci viene ricordato dalla festa della Visitazione (2 luglio – in certi Paesi questa festa è ancora di precetto, altrove è trasferita alla prima domenica di luglio; cadendo nella ottava della nascita di S. Giovanni Battista, alcuni interpreti pensano che la Vergine restasse nella casa di Zaccaria fino alla nascita del Precursore); anche S. Giuseppe, come abbiamo detto in precedenza, fu avvertito da un Angelo della nascita di Cristo.

CRISTO NACQUE DALLA VERGINE MARIA A BETLEMME, IN UNA STALLA.

L’imperatore Augusto aveva ordinato il censimento del popolo, così Maria e Giuseppe dovettero recarsi nella loro città natale, Betlemme (S. Luc. II, 1). Dando questo ordine, Augusto, come molti sovrani, servì come strumento inconsapevole del fatto che Ella non trovò posto a Betlemme (ibid.). Questa stalla sembra essere stata fuori Betlemme, nelle rovine di un palazzo di Davide, che in seguito servì come rifugio per i pastori e le loro greggi (Cath. Emmerich). La nascita di Cristo fu miracolosa quanto il suo concepimento, poiché Maria fu esentata dalla maledizione (Gen. III, 16) pronunciata contro Eva; fu esentata, dice S. Bernardo, dai dolori della maternità, perché era libera dalla concupiscenza. – A proposito di questa nascita, Sant’Agostino esclama: “Ecco, colui che sostiene i mondi giace in una mangiatoia! Colui che è il cibo degli angeli è è nutrito da una madre. La forza è diventata debolezza perché la debolezza diventi forte. “Un grande medico è disceso dal cielo, perché sulla terra c’è un infermo, gravemente malato; egli ci cura con un metodo nuovo, togliendoci le malattie. “Cristo – dice San Paolo – si è fatto povero, essendo ricco perché noi fossimo arricchiti dalla sua povertà” (2 Cor. VIII, 9). – Tutte le circostanze che circondano la nascita di Cristo sono piene di misteri (come lo sono tutti gli eventi della sua vita): 1. Gesù nacque a Betlemme (la casa del pane), perché Egli è il pane dal cielo (S. Ger.); a Betlemme e non a Nazareth, cioè in un luogo estraneo, perché aveva lasciato il cielo, la sua patria, per venire sulla terra, dove è uno straniero per la maggior parte degli uomini. 2 Nacque tra i pastori e le loro greggi, perché voleva essere il buon pastore (San Giovanni) di un grande gregge. 3 È nato in una stalla, perché la terra è più misera di questa grotta rispetto al cielo. Non è nato in un palazzo, per ispirare fiducia a tutti coloro che vogliono avvicinarsi a Lui. (S. P. Chr.) 4. Nasce oscuro, perché è il Dio nascosto. (Is. XLV, 15), invisibile a noi in questa vita, che ama le opere buone fatte in segreto (S. Matth. VI, 1-6). 5. Egli giace in una mangiatoia dove gli animali prendono il loro cibo. perché anche Lui vuole essere il cibo delle anime. Egli fin dalla nascita è adagiato sul legno, per indicare che è venuto sulla terra per morire sulla croce, (Similitudine tra la culla e il tabernacolo). 6. Egli è nato in una notte, perché quando arrivò il genere umano era immerso nelle tenebre dell’ignoranza di Dio. 7. Nasce in inverno, in una notte fredda (in Palestina le notti sono relativamente molto fredde), perché i cuori degli uomini erano freddi, totalmente privi dell’amore di Dio e 8. Scende dal cielo di notte, come la rugiada (Is. XLV, 8), perché esercita sugli uomini l’azione benefica della rugiada sulle piante. 9 Nasce quando a Roma il tempio di Giano è chiuso e la pace regna su tutta la terra, perché è il principe della pace (id. IX, 6), è un Dio di pace. 10.Egli viene sotto forma di bambino e non in età matura, per attirarci di più: noi ci spaventiamo di fronte a un grande signore, ma ci avviciniamo a un bambino piccolo non solo senza paura, ma con compassione, quando ascoltiamo i suoi gemiti. 11. Gesù viene nella povertà e nell’indigenza per mostrarci che il cielo non si raggiunge attraverso i piaceri e i godimenti sensuali ma attraverso la sofferenza e l’abnegazione. 11 vuole dimostrare che è un amico dei poveri, ai quali si rivolgerà per prima cosa per annunciare la buona novella. (S. Luc. IV, 18). 12. Gesù fa risplendere una luce intensa nella notte di Betlemme, per indicare che egli è la luce venuta nel mondo per dissipare le tenebre (S. Luc. IV, 18). (S. Giovanni 1). 13.Il canto degli Angeli annuncia immediatamente il motivo della sua venuta: Egli vuole glorificare Dio (S. Giovanni XIII. 32), portare agli uomini la pace: pace con Dio attraverso il suo sacrificio di riconciliazione sulla croce, pace con il loro prossimo attraverso la pratica della carità, dell’amore per i nemici, della mitezza; pace con se stessi attraverso la contentezza derivante dalla pratica delle virtù evangeliche. 14. Fece annunciare la sua venuta dagli Angeli, non ai superbi farisei e agli scribi, ma ai pastori, perché nasconde i suoi misteri ai saggi e ai prudenti di questo mondo e li rivela ai piccoli, (S. Matth. XL 25) e che dà la sua grazia agli umili, mentre resiste ai superbi (I Pietro V, 5). Inoltre ha indicato che, nel corso dei secoli, il Vangelo sarebbe rimasto per gli orgogliosi, anche per i più dotti, un libro chiuso, mentre sarebbe stato compreso dagli umili e dai piccoli. Egli chiama alla sua mangiatoia prima i Giudei, nella persona dei pastori, poi le nazioni, nella persona dei Magi, indicando che avrebbe mandato i suoi Apostoli prima ai Giudei (S. Matth. XV, 24) e poi ai Gentili per chiamarli alla Chiesa. 16. La stella meravigliosa che apparve ai Magi doveva indicare agli uomini che Cristo è l’Ammirabile annunciato da Isaia (IX, 6). 17. Il censimento fatto al momento della sua nascita, richiama quella del suo secondo Avvento; Gesù inizia così a insegnare nella sua nascita prima che iniziasse a balbettare. (Cat. rom.). Osservazioni liturgiche. Natale, il 25 dicembre è la festa della Natività di Cristo. – La notte di Natale si celebra una Messa solenne a mezzanotte e ogni sacerdote deve celebrare tre messe per ricordare il triplice avvento di Gesù (in forma umana a Betlemme, sotto le specie eucaristiche sull’altare e nella sua maestà nell’ultimo giorno), e la sua triplice nascita (la sua generazione eterna da parte del Padre, la nascita temporale da Maria e la sua nascita spirituale nei nostri cuori per grazia). L’usanza di erigere culle nelle chiese risale a San Francesco d’Assisi. L’albero di Natale ricorda l’albero fatale del paradiso e anche l’albero della croce. Per questo motivo vi si appendono frutta, luci e oggetti preziosi. I regali di Natale sono un simbolo dei doni ricevuti dall’umanità da Dio Padre. – All’indomani si celebra la festa di Santo Stefano e quella di San Giovanni Evangelista il giorno successivo, poi quella dei SS. Innocenti. La Chiesa sembra dirci: Se vuoi arrivare a Gesù Cristo, sii come Stefano, un martire, cioè un testimone, se non con il sangue, almeno con l’abnegazione e la pazienza; siate come Giovanni pieni di amore per Dio e per il prossimo, praticando le opere di misericordia; siate come un bambino davanti a Dio. Le quattro settimane che precedono il Natale si chiamano Avvento (arrivo) e rappresentano i 4.000 anni che hanno preceduto la venuta del Salvatore. L’Avvento, che ci ricorda il peccato originale e la miseria della razza umana, è sempre stato considerato un tempo di penitenza. La Chiesa primitiva (480) prescriveva 3 giorni di digiuno alla settimana e faceva leggere ogni Domenica il Vangelo gli appelli di Giovanni Battista alla penitenza.

L’Avvento si conclude il 24 dicembre con la commemorazione di Adamo ed Eva, per mostrarci il contrasto tra il primo Adamo e il secondo, per mostrarci l’immensa misericordia di Dio rivelata nell’Incarnazione. L’Avvento coincide con una stagione fredda e buia, proprio come prima di Gesù l’umanità era sprofondata nel buio della comprensione e della freddezza del cuore (il mondo pagano era idolatra, praticava la schiavitù e i sacrifici umani).

Il neonato Gesù fu adorato prima dai pastori, poi dai tre Magi.

I pastori stavano accudendo le loro greggi nella campagna di Betlemme ed appresero da un Angelo che Cristo era nato (S. Luc. II, 9); i tre Magi provenienti dall’Oriente (da un paese situato ad est della Palestina), grazie ad una stella miracolosa, che li condusse alla mangiatoia. (S. Matth. II, 9). Questa stella non era dunque una stella ordinaria, perché si muoveva in varie direzioni: S. Giovanni Cris. crede anche che si trattasse di un Angelo in forma di stella. I Magi indicavano con i loro doni le qualità di Colui che adoravano (S. Irén.): la sua regalità, attraverso l’oro, simbolo di fedeltà; la sua divinità, per mezzo dell’incenso, simbolo di preghiera; il suo sacerdozio redentore dalla mirra, simbolo della mortificazione e della sua passione. I Magi tornarono al loro paese per una via diversa, per indicare che possiamo tornare in paradiso, la nostra patria, solo abbandonando la via del peccato, e percorrendo quella della penitenza, dell’obbedienza e del dominio di sé. (S. Grég. M.) – I pastori erano i rappresentanti dei Giudei (e dei poveri); i tre Re, quelli dei Gentili (e dei ricchi). Le reliquie dei Re Magi vennero portate da Federico Barbarossa a Colonia (1162), dove riposano nella Cattedrale. – La festa dei Re Magi si celebra il 6 gennaio. Il giorno prima, nella primitiva chiesa orientale, venivano battezzati i Pagani. – È chiamata anche festa dell’Epifania (apparizione) perché in questo giorno in alcune chiese si celebrava la Natività, cioè l’apparizione di Cristo sulla terra.

(Nella Chiesa greca, l’Avvento dura fino a questa festa). Questo giorno commemora anche il battesimo di Gesù Cristo e il suo primo miracolo a Cana.

Quando il Salvatore aveva otto giorni, fu circonciso e gli fu dato il nome di Gesù. (S. Luc. II, 21).

La circoncisione era una cerimonia simbolica di purificazione dai vizi. (S. Ambr.) Gesù (in ebraico, Joshua) significa Salvatore, liberatore. Questo nome, dice S. Paolo, è al di sopra di tutti i nomi (Fil. II, 9); esso è stato scelto da Dio stesso e annunciato alla Beata Vergine (S. Matth. Vergine (S. Matth. I, 21). Questo nome ha un potere divino; la sua invocazione ci procura soccorso nella tentazione e in ogni disgrazia; i demoni sono scacciati da esso. (S. Marc. XVI, 17). I Profeti chiamavano spesso il Messia, Emmanuele, cioè Dio con noi (Is. VII, 14). – La festa della Circoncisione, il 1° gennai è anche il nuovo anno. La Chiesa ci esorta ad iniziare tutto l’anno nel Nome di Gesù e a purificare i nostri cuori da ogni peccato e vizio (Col. II, 11), se vogliamo avere un anno nuovo buono e felice. Fu Papa Innocenzo XII che, nel 1691, fissò l’inizio dell’anno al primo di gennaio. In precedenza, si iniziava generalmente a Natale. La vigilia di Capodanno, S. Silvestro, era in altri tempi un giorno festivo; da qui, in alcune regioni, le funzioni solenni per chiudere l’anno. Inoltre, è opportuno che ogni Cristiano non passi questo giorno in piaceri insensati, ma di rendere grazie per le benedizioni di Dio nell’anno trascorso, perché in questo modo xe ne attiviamo di nuove per il futuro.

Quando Gesù aveva 40 giorni, fu presentato nel tempio di Gerusalemme. (S. Luc. n, 39).

Maria osservò la legge di Mosè (Lev. XII), anche se la sua purezza la esentava da essa, offrì Gesù, perché Dio, al tempo della morte del primogenito d’Egitto, riservò a sé il primogenito degli israeliti (Num. VIII, 17). – Questa festa della Purificazione è chiamata anche Candelora. Infatti la Chiesa ha istituito in questo giorno una

processione prima della Messa con le candele accese, perché nel tempio il vecchio Simeone aveva proclamato Gesù, la luce che illumina le nazioni (S. Luc. Il, 32), da cui l’espressione, Candelora. Prima della processione ha luogo la benedizione delle candele; il Sacerdote chiede luce e protezione per tutti coloro che le portano. Non è superstizione accendere queste candele durante i temporali, metterle tra le mani dei moribondi e chiedere l’aiuto di Dio per questa preghiera del Sacerdote. Sarebbe solo superstizione se a queste candele si attribuisse una virtù infallibile contro il fulmine: quest’ultimo può cadere nonostante la candela, ma Dio può proteggere il Cristiano devoto. – Il giorno dopo la Candelora si celebra la festa di S. Biagio: in questo giorno i Sacerdoti benedicono il collo dei fedeli con delle candele della vigilia, perché in questo modo S. Biagio salvò un bambino dalla morte. Le candele accese in questi due giorni simboleggiano Gesù come luce del mondo, secondo le parole di Simeone citate sopra. Seguendo l’esempio di Maria, le madri cristiane portano i loro bambini appena nati in chiesa per offrirli a Dio (la cerimonia dell’elevazione).

Gesù trascorse i primi anni della sua vita in Egitto. Poi visse a Nazareth fino al suo trentesimo anno (Matth. II).

Un Angelo ordinò a Giuseppe di fuggire con il bambino, perché Erode stava attentando alla sua vita. Egli allora fece uccidere tutti i bambini maschi di età inferiore ai due anni (ibid. 16). Questa piaga colpì le madri di Betlemme a causa della loro durezza nei confronti del Salvatore, rifiutando un asilo a sua madre e a Giuseppe. Gli Innocenti non persero nulla con questo martirio, anzi il battesimo di sangue procura la beatitudine eterna. In un sobborgo del Cairo (ex Heliopolis) si venera la casa dove visse la Sacra Famiglia. L’Egitto è stato benedetto dalla presenza di Gesù bambino, e divenne la dimora di migliaia di monaci che condussero una vita “angelica”(Sant’Antonio l’Eremita, San Paolo di Tebe). Fu su un’isola nel Nilo che S. Pacomio fondò il primo monastero (340). Dopo il suo ritorno dall’Egitto, Gesù visse a Nazareth; scelse questo luogo perché era disprezzato dai Giudei: voleva darci una lezione di umiltà. Fino all’età di 30 anni ha condotto una vita assolutamente nascosta, per raccomandarci la lontananzadalmondo.

All’età di 12 anni, Gesù si recò al tempio di Gerusalemme.

Lì stupì i maestri con la sua saggezza.

Quando Cristo raggiunse l’età dell’uomo, Giovanni il Battista nel deserto annunciò il ministero pubblico di Gesù.

Questa è la storia di Giovanni Battista: l’Arcangelo Gabriele annunciò la sua nascita a suo padre Zaccaria nel tempio nell’ora del sacrificio. Zaccaria non volle credere e divenne muto; (S. Luc. 1) alla nascita del bambino recuperò la parola e cantò il magnifico cantico del Benedictus (ibid. 57-80). Fin dall’adolescenza, Giovanni visse nel deserto e si preparò con austere penitenze ai suoi doveri di precursore del Salvatore. Quando Gesù aveva circa 28 anni (S. Luc. III, 1), Giovanni, ispirato da Dio, uscì dalla sua solitudine, predicò sulle rive del Giordano una severa penitenza alle masse che accorrevano a lui, annunciò la venuta del Messia e battezzò (S. Matth. III). Un giorno vide arrivare Cristo e gridò: Questo è l’Agnello di Dio, che toglierà i peccati del mondo. “(S. Giovanni I, 29). Quando Giovanni rimproverò Erode per la sua vita dissoluta, Erode lo fece gettare in prigione e poi decapitare durante un banchetto. (S. Matth. XIV). S. Giovanni è il modello degli anacoreti.

II. La vita pubblica di Cristo.

All’età di 30 anni, Gesù fu battezzato da Giovanni nel Giordano e poi digiunò per 40 giorni nel deserto, dove fu tentato dal diavolo (S. Matth. III, IV). Tutti i messaggeri di Dio si ritirarono in solitudine prima della loro vita pubblica; Mosè, Giovanni Battista e gli Apostoli prima della Pentecoste. Attraverso il suo digiuno e la sua lotta vittoriosa con il demonio, Gesù, il nuovo Adamo, ha voluto rimediare per il peccato di aver mangiato il frutto proibito nel paradiso e per la caduta nella tentazione. – Il numero 40 ricorre spesso nella Scrittura e i Padri ne hanno fatto il simbolo della penitenza.

La piaga del diluvio, il digiuno di Mosè ed Elia durò 40 giorni, i Niniviti ebbero 40 giorni per convertirsi, Gesù rimase 40 giorni sulla terra dopo la sua risurrezione; gli israeliti trascorsero 40 anni nel deserto. – Liturgia: In memoria del digiuno di Gesù, la Chiesa ha prescritto i 40 giorni di digiuno quaresimale, che iniziano il mercoledì delle ceneri. Per esortarci seriamente a fare penitenza, la Chiesa ci ricorda con forza il pensiero della morte. Il Sacerdote sparge la fronte con la cenere, simbolo della nostra mortalità, e ci dice: “Ricordati, o uomo, che sei polvere e in polvere ritornerai“. “Questa cenere è fatta con rami benedetti dell’anno precedente, per ricordarci la fugace vanità dei piaceri e della gloria terrena. La Quaresima dura dal Mercoledì delle Ceneri alla Domenica di Pasqua; durante questo periodo gli adulti, secondo la legge della Chiesa, consumano un solo pasto al giorno, e tutti i Cristiani devono evitare i piaceri rumorosi e meditare sulla passione del Salvatore. (Da qui i sermoni quaresimali e i veli sulle immagini dell’altare). La domenica, il sacerdote indossa paramenti di colore viola (il colore della penitenza), e invece di dire Ite missa est, che indica la fine dell’ufficio, dice Benedicamus Domino, come per invitare il popolo a rimanere in chiesa per pregare e benedire Dio. In molte chiese ci sono saluti serali in cui si canta il Miserere. – I 3 giorni che precedono la Quaresima sono chiamati carnevale (caro = carne, vale=addio). Per allontanarci dai piaceri rumorosi di questo periodo la Chiesa fece celebrare in alcune chiese l’esposizione delle 40 ore. La follia, in particolare le mascherate e i balli in maschera che precedono il Mercoledì delle Ceneri, sono di origine pagana; i pagani celebrano a febbraio, quando le giornate si allungano notevolmente, il presunto ritorno di Apollo sul suo carro splendente. La quinta domenica di Quaresima, le croci vengono velate per simboleggiare la fuga del Salvatore, che fu costretto a nascondersi per non essere ucciso prima del tempo (S. Giovanni XI, 54); questa domenica è detta della Passione, perché da quel momento in poi la Chiesa è assorta nel meditare la passione del Salvatore.

A partire dal suo 30° anno di vita, Cristo viaggiò per la Giudea e insegnò per quasi 3 anni, raccogliendo intorno a sé 72 discepoli tra i quali scelse 12 Apostoli.

Gesù iniziò il suo ministero dottrinale alla festa di nozze di Cana, dove compì il suo primo miracolo per mostrare che il regno a cui invita le persone è come un matrimonio. (S. Matth. XXII, 1). Cristo parlava spesso a grandi folle,

da 4000 a 5000 persone, senza contare donne e bambini. (Moltiplicazione dei pani); Zaccheo, il pubblicano, fu costretto a salire su un albero per vedere Cristo in mezzo alla folla. Gesù Cristo era solitamente accompagnato dai suoi Apostoli e discepoli; essi erano testimoni di tutte le sue parole ed azioni, al fine di proclamarle a tutti i popoli del mondo. Gli Apostoli erano figura dei Vescovi; i discepoli, quella dei Sacerdoti, i collaboratori degli Apostoli. Apostolo significa inviato. – La dottrina di Cristo è giustamente chiamata Vangelo, cioè buona notizia, perché il Vangelo annuncia la remissione delle pene del peccato e l’eredità del cielo. (S. Giovanni Cris.) – Cristo è il Maestro dei maestri; ha insegnato come se avesse autorità, in modo tale da stupire il popolo con la sua dottrina (S. Marco I, 22 – S. Matth. VII, 29).

Cristo parlava chiaramente, con semplicità ed illustrava il suo linguaggio con azioni simboliche, parabole, allusioni allo spettacolo della natura.

La dottrina di Cristo è come un tesoro nascosto nel campo del linguaggio semplice. (Matteo III, 44). Tutti gli uomini apostolici parlano in modo semplice; non cercano di piacere, ma di farsi capire e di fare del bene. Parlano con il cuore e il loro linguaggio è sempre semplice. – Gesù Cristo ha anche usato azioni simboliche. Ha alitato sugli Apostoli, comunicando loro lo Spirito Santo, che è come un soffio che emana dalla divinità; elevò le mani (S. Luc. XXIV, 50) dando loro il potere di insegnare e battezzare prima della sua ascensione. Quando guarì il cieco nato (S. Giovanni IX), “sputò a terra, fece un po’ di fango, lo strofinò negli occhi del cieco e lo portò alla piscina, come se volesse dire: “l’acqua viva della mia dottrina, che esce dalla mia bocca e si mescola alla polvere, ha guarito l’uomo dalla sua cecità spirituale se inoltre si fa battezzare. – Cristo parlava spesso in parabole: il figliol prodigo, la samaritana, il ricco epulone ed il povero Lazzaro, il fariseo nel tempio, la vergine saggia e quella stolta, il servo buono e quello cattivo, i 10 talenti, la pecora perduta, la dracma perduta, il fico, gli operai nella vigna, le nozze reali, il grande banchetto, le 7 parabole sul regno del cielo: il seminatore, il grano e la zizzania, il seme di senape, il lievito, la rete, il tesoro nel campo, la perla. – Cristo ha fatto continue allusioni allo spettacolo della natura davanti ai suoi occhi: il giglio e l’erba del campo, i passeri sul tetto, il seme, la zizzania, il fico, la vite, le pecore, i pastori. La natura e la religione cristiana hanno molte analogie, entrambe vengono da Dio.

Cristo ha predicato per primo il Vangelo ai poveri.

Lo disse lui stesso nella sua risposta ai discepoli di Giovanni: “Il Vangelo è stato predicato ai poveri”. (S. Matth. XI, 6); nella sinagoga di Nazareth applicò a se stesso come al Messia, queste parole del profeta: “Il Signore mi ha mandato a evangelizzare i poveri”. (S. Luc. IV, 18). I poveri sono già in parte distaccati dai beni di questo mondo, e quindi più pronti a ricevere il Vangelo.

Il pensiero fondamentale di tutti gli insegnamenti di Gesù Cristo è questo: “Cercate il regno di Dio”.

“Cercate prima il regno di Dio!” dice nel Discorso della Montagna (S. Matth. VI, 33), cioè cercate la felicità eterna. Gli evangelisti riassumono anche la dottrina di Gesù Cristo in queste parole: “Fate penitenza e credete al Vangelo, perché il regno dei cieli è vicino”. (S. Matth. IV, 17 – S. Marco 1, 15).

Cristo ha insegnato nuovi dogmi, ha dato una nuova legge una nuova legge, istituì nuovi mezzi di santificazione.

Insegna, ad esempio, il mistero della Santissima Trinità, la sua stessa divinità, il Giudizio Universale. Promulgò la duplice legge della carità e perfezionò il Decalogo, ha persino proibito l’ira, le parole ingiuriose, eccetera; – ha istituito il s. Sacrificio della Messa, i 7 sacramenti e ci insegnò il Padre Nostro.

Cristo ha giustificato la sua missione divina e la verità della sua dottrina con numerosi miracoli, con prove della sua onniscienza e dalla santità della sua vita.

Cristo stesso si è appellato ai suoi miracoli quando ha detto: “Se non credete a me (cioè alle mie parole), credete alle mie opere”. (S. Giovanni X, 38). Nicodemo conclude anche dai miracoli di Cristo la sua missione divina: “Nessuno può fare i miracoli che fai tu, se Dio non è con lui”. (S. Giovanni III, 2). Cristo ha compiuto tutti i suoi miracoli con il proprio potere, mentre altri li hanno compiuti solo in Nome di Dio o di Cristo. Ne parleremo più avanti in relazione alla divinità di Gesù Cristo. – Egli era onnisciente; conosceva i peccati più segreti: quelli della Samaritana, quelli dei Farisei che gli avevano portato l’adultera nel tempio; prevedeva i piani di Giuda per tradirlo, le debolezze di Pietro e molte altre circostanze della sua passione, e le sue predizioni si sono avverate.

– Cristo è ancora notevole per la sua straordinaria santità; la sua pazienza, dolcezza, umiltà, carità, ecc. non sono mai state eguagliate. Come potrebbe un uomo così santo mentire?

I farisei e gli scribi lo odiavano e lo perseguitavano, perché non era all’altezza delle loro aspettative di un Messia e attaccava i loro vizi; dopo la resurrezione di Lazzaro, progettarono addirittura di ucciderlo.

Volevano lapidarlo nel tempio (S. Giovanni VIII, 59; X, 31), gettarlo giù da una roccia a Nazareth (S. Luc. IV, 29); lo hanno vituperato; lo hanno chiamato servo del diavolo (S. Matth. XII, 24), un sobillatore, un profanatore del sabato. Gli tendevano trappole, ad esempio chiedendogli se fosse lecito pagare un tributo a Cesare”. Tutto l’insegnamento di Cristo era quindi già una sorta di sacrificio. – Gli ebrei pensavano che il Messia sarebbe stato un re temporale molto potente che li avrebbe liberati dal giogo romano e speravano che li avrebbe riempiti dei beni di questo mondo. Ma Gesù è nato nell’oscurità e nella povertà; ha prescritto la mortificazione, le opere di misericordia, ecc.. Inoltre, rimproverava ai farisei la loro ipocrisia e il loro atteggiamento puramente esteriore, e li chiamava sepolcri imbiancati (S. Matth. XXIII, 27), figli di Satana (S. Giovanni VIII, 44). Per questo lo perseguitarono e attaccarono la sua dottrina; poi quando i capi dei sacerdoti e i farisei vennero a sapere della risurrezione di Lazzaro, dissero: “Quest’uomo fa molti miracoli; se lo lasciamo fare, tutti crederanno in Lui” e decisero di ucciderlo. (S. Giovanni XI, 47-53).

UN’ENCICLICA AL GIORNO TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO: SS. PIO XI – “RITE EXPIATIS”.

Questa volta, è una celebrazione di un Santo speciale ad indurre la composizione di questa Enciclica: San Francesco di Assisi. Il Sommo Pontefice ne fa una sapiente descrizione dando preminenza al fatto che questo insigne umilissimo personaggio abbia iniziato la ricostruzione di una Chiesa indebolita e di una società lontana da una pratica evangelica fervida e vivificante. Tra i tanti aspetti, il Santo Padre ne sottolinea uno che di solito viene taciuto di questo Santo poderoso nella sua opera di rivitalizzazione del culto, della morale e della povertà evangelica illanguidita in una civiltà la cui carità veniva sempre più raffreddandosi, e nella quale si infiltrava sempre più il desiderio delle attrattive del mondo e del peccato. Questo elemento è appunto l’attaccamento alla Sede apostolica del Romano Pontefice del Santo serafico e degli Ordini religiosi da lui costituiti. Questo è il vero segreto della santità a Dio gradito come atto di sottomissione – e quindi di amore – alla sua volontà, onde poi praticare le virtù ed i consigli evangelici. Ecco perché il demonio ha attaccato il Trono di Pietro con i suoi occupanti, fino a porvi un suo rappresentante nel tentativo, se mai fosse possibile, di distruggere la Chiesa e la società cristiana da essa modellata. Il paganesimo pratico che così ne è scaturito, imperniato sull’ideologia massonica dell’ecumenismo indifferentista, del culto rosa+croce del signore dell’universo, della messa maya e dell’idolo pachamana, sta minando alla base l’impianto della cristiana fede e della morale bimillenaria della Chiesa, scuotendo e confondendo le anime dei deboli, dei tiepidi, dei falsi e dei colpevoli ignoranti la dottrina. Ma ancora una volta i demoni non praevalebunt sulla vera Chiesa di Cristo, ma semmai solo sugli ipocriti finti cristiani di convenienza e di apparenza. Preghiamo il Santo serafico di Assisi perchè torni a restaurare il suoo Ordine così infangato dalla melma del modernismo, e la Chiesa tutta perchè si rinnovi nella sua bellezza, integrità morale, e luminosità per i popoli tutti dell’umanità.

LETTERA ENCICLICA
RITE EXPIATIS

 DEL SOMMO PONTEFICE
PIO XI
AI VENERABILI FRATELLI PATRIARCHI,
PRIMATI, ARCIVESCOVI, VESCOVI
E AGLI ALTRI ORDINARI LOCALI
CHE HANNO PACE E COMUNIONE
CON LA SEDE APOSTOLICA, NEL SETTIMO CENTENARIO DELLA MORTE
DI SAN FRANCESCO D’ASSISI

Venerabili Fratelli, salute e Apostolica Benedizione.

Il grande Giubileo celebratosi in Roma, e che è stato esteso al mondo intero per tutto il corso di quest’anno, è servito di purificazione delle anime e di richiamo per tanti ad un più perfetto tenore di vita. Ad esso sta ora per aggiungersi, quale compimento dei frutti o già ricavati o sperati dall’Anno Santo, la solenne commemorazione con cui da ogni parte i Cattolici si accingono a celebrare il settimo centenario del felice passaggio di San Francesco di Assisi dall’esilio terreno alla patria celeste. Orbene, avendo l’immediato Nostro predecessore assegnato all’Azione Cattolica quale Patrono questo Santo, donato dalla divina Provvidenza per la riforma non solo della turbolenta età in cui egli visse ma della società cristiana di ogni tempo, è ben giusto che quei Nostri figli, i quali lavorano in tal campo secondo i Nostri ordinamenti, di concerto con la numerosa famiglia francescana procurino di ricordare ed esaltare le opere, le virtù e lo spirito del Serafico Patriarca. In tale opera, rifuggendo da quell’immaginaria figura che del Santo volentieri si formano i fautori degli errori moderni o i seguaci del lusso e delle delicatezze mondane, cercheranno di proporre alla fedele imitazione dei Cristiani quell’ideale di santità che egli in sé ritrasse derivandolo dalla purezza e dalla semplicità della dottrina evangelica. Nostro desiderio dunque è che le feste religiose e civili, le conferenze e i discorsi sacri che si terranno in questo centenario mirino a che si celebri con manifestazioni di vera pietà il Serafico Patriarca, senza farne un uomo né totalmente diverso né soltanto dissimile da come lo formarono i doni di natura e di grazia, dei quali si servì mirabilmente per raggiungere egli stesso e per rendere agevole ai prossimi la più alta perfezione. Che se altri temerariamente paragona tra di loro i celesti eroi della santità, destinati dallo Spirito Santo chi a questa, chi a quella missione presso gli uomini — e tali paragoni, frutto per lo più di passioni partigiane, non riescono di nessun vantaggio e sono ingiuriosi verso Dio, autore della santità — tuttavia sembra potersi affermare non esservi mai stato alcuno in cui brillassero più vive e più somiglianti l’immagine di Gesù Cristo e la forma evangelica di vita che in Francesco. Pertanto, egli che si era chiamato l’« Araldo del Gran Re », giustamente fu salutato quale « un altro Gesù Cristo », per essersi presentato ai contemporanei e ai secoli futuri quasi Cristo redivivo; dal che derivò che come tale egli vive tuttora agli occhi degli uomini e continuerà a vivere per tutte le generazioni avvenire. Né è meraviglia, dato che i primi biografi contemporanei al Santo, narrandone la vita e le opere, lo giudicarono di una nobiltà quasi superiore all’umana natura; mentre quei Nostri predecessori che trattarono familiarmente con Francesco, non dubitarono di riconoscere in lui un aiuto provvidenziale inviato da Dio per la salvezza del popolo cristiano e della Chiesa. E perché, nonostante il lungo tempo trascorso dalla morte del Serafico, si accende di nuovo ardore l’ammirazione, non solo dei Cattolici, ma degli stessi acattolici, se non perché la sua grandezza rifulge alle menti di non minore splendore oggi che nel passato, e perché s’implora con ardente brama la forza della sua virtù, tuttora così efficace a rimediare ai mali della società? Infatti, l’opera sua riformatrice tanto profondamente penetrò nel popolo cristiano che, oltre a ristabilire la purità della fede e dei costumi, fece sì che i dettami della giustizia e della carità evangelica informassero più intimamente e regolassero la stessa vita sociale. – L’imminenza dunque di così grande e felice avvenimento Ci consiglia, servendoci di voi, Venerabili Fratelli, che della Nostra parola siete nunzi ed interpreti, di ridestare nel popolo cristiano quello spirito francescano, che non differisce punto dal modo di sentire e dalla pratica evangelica, richiamando alla memoria, in così opportuna congiuntura di tempo, gl’insegnamenti e gli esempi della vita del Patriarca d’Assisi. Ci piace così entrare come in gara di devozione coi Nostri predecessori, i quali non si lasciarono mai sfuggire nessuna commemorazione centenaria dei principali fasti della sua vita, senza proporne la celebrazione ai fedeli illustrandola con l’autorità del magistero apostolico. A questo proposito ben volentieri ricordiamo — e con Noi ricorderanno certo quanti sono ormai innanzi cogli anni — l’ardore acceso nei fedeli di tutto il mondo verso San Francesco e l’opera sua dall’Enciclica « Auspicato » scritta da Leone XIII quarantaquattr’anni fa, nella ricorrenza del settimo centenario della nascita del Santo; e come allora l’ardore concepito si manifestò in molteplici dimostrazioni di pietà e in una felice rinnovazione di vita spirituale, così non vediamo perché ugual esito non debba coronare la prossima celebrazione ugualmente importante. Anzi, le presenti condizioni del popolo cristiano lasciano sperare assai di più. Per una parte, infatti, nessuno ignora che oggi i valori spirituali sono dalla massa meglio apprezzati e che i popoli, ammaestrati dall’esperienza del passato a non dover attendersi pace e sicurezza se non tornando a Dio, guardano ormai alla Chiesa cattolica come ad unica sorgente di salvezza. D’altra parte, l’estensione a tutto il mondo dell’Indulgenza Giubilare coincide felicemente con questa commemorazione centenaria, che non può andare disgiunta dallo spirito di penitenza e di carità. – Sono ben note, Venerabili Fratelli, le aspre difficoltà dei tempi in cui ebbe a vivere Francesco. È verissimo che allora la fede era più profondamente radicata nel popolo, come testimonia il sacro entusiasmo con cui non solo i soldati di professione, ma gli stessi cittadini di ogni classe portarono le armi in Palestina per liberare il Santo Sepolcro. Tuttavia nel campo del Signore si erano man mano infiltrate e serpeggiavano eresie, propagate o da eretici manifesti o da occulti ingannatori, i quali, ostentando austerità di vita e una fallace apparenza di virtù e disciplina, facilmente trascinavano le anime deboli e semplici; pertanto si andavano spargendo tra le moltitudini perniciose faville di ribellione. E se alcuni si credettero, nella loro superbia, chiamati da Dio a riformare la Chiesa, alla quale imputavano le colpe dei privati, a non lungo andare, ribellandosi all’insegnamento e all’autorità della Santa Sede, manifestarono apertamente da quali intenti fossero animati; ed è notorio che la maggior parte di costoro ben presto finirono nella libidine e nella lussuria e persino nel turbamento dello Stato, scuotendo i fondamenti della religione, della proprietà, della famiglia e della società. In una parola, avvenne allora ciò che spesso si vide qua e là nel corso dei secoli; cioè, la ribellione mossa contro la Chiesa andava di pari passo con la ribellione contro lo Stato, aiutandosi a vicenda. Ma quantunque la fede cattolica vivesse nei cuori o intatta o non del tutto oscurata, venendo però meno lo spirito evangelico la carità di Cristo si era tanto intiepidita nella società umana da parere quasi estinta. Infatti, per tacere delle lotte impegnate, da una parte dai fautori dell’Impero, dall’altra dai fautori della Chiesa, le città italiane erano lacerate da guerre intestine, o perché le une volessero reggersi liberamente da sé sottraendosi alla signoria d’un solo, o perché le più forti volessero sottomettere a sé le più deboli, o per le lotte di supremazia tra i partiti di una stessa città; di tali contese erano frutto amaro stragi orrende, incendi, devastazioni e saccheggi, esilii, confische di beni e di patrimoni. Iniqua era poi la sorte di moltissimi, mentre tra signori e vassalli, tra maggiori e minori, come si diceva, tra padroni e coloni, correvano relazioni troppo aliene da ogni senso di umanità, e il popolo imbelle veniva impunemente vessato e oppresso dai potenti. Coloro poi che non appartenevano alla più misera categoria dei plebei, lasciandosi trasportare dall’egoismo e dall’avidità di possedere, erano stimolati da un’insaziabile ingordigia di ricchezze; senza badare alle leggi qua e là promulgate contro il lusso, facevano ostentatamente pompa di un pazzo splendore di abiti, di banchetti e di festini di ogni genere; povertà e poveri disprezzati; i lebbrosi, allora così frequenti, aborriti e trascurati nella loro segregazione; e ciò ch’è peggio, da tanta avidità di beni e di piaceri non andavano nemmeno esenti — benché molti del clero fossero commendevoli per austerità di vita — coloro che più scrupolosamente avrebbero dovuto guardarsene. Era perciò invalso l’uso di accaparrarsi e di ammucchiare ciascuno grandi e lauti guadagni da qualunque parte si potesse; non solo dunque con l’estorsione violenta del danaro o con l’esosità dell’usura, ma molti aumentavano ed impinguavano il patrimonio col mercimonio delle cariche pubbliche, degli onori, dell’amministrazione della giustizia e persino dell’impunità procurata ai colpevoli. La Chiesa non tacque, né risparmiò le punizioni; ma con qual giovamento, se perfino gli Imperatori, con pubblico cattivo esempio, si attiravano gli anatemi della Santa Sede e contumaci li disprezzavano? Anche l’istituzione monastica, che pure aveva condotto a maturità tanto lieti frutti, offuscata ora di polvere mondana, non era più così in grado di resistenza e di difesa; e se il sorgere di nuovi Ordini religiosi arrecò un po’ di aiuto e di forza alla disciplina ecclesiastica, occorreva però molto più fervida fiamma di luce e di carità per riformare la travagliata società umana. – Orbene, ad illuminare siffatta società e a ricondurla al puro ideale della sapienza evangelica, ecco apparire per divino consiglio San Francesco di Assisi, il quale, come cantò l’Alighieri, rifulse qual Sole, o come aveva già scritto, servendosi di simile figura, Tommaso da Celano, « brillò come fulgida stella nella notte caliginosa e quasi mattino che si distende sulle tenebre ». – Giovane d’indole esuberante e fervida, amante del lusso nel vestire, usava invitare a splendidi banchetti gli amici che si era scelto tra i giovani eleganti ed allegri e girava per le strade lietamente cantando, pur allora però facendosi notare per integrità di costumi, castigatezza nel conversare e disprezzo delle ricchezze. Dopo la prigionia di Perugia e le noie di una malattia, sentendosi non senza meraviglia intimamente trasformato, tuttavia, come se volesse sfuggire dalle mani di Dio, andò nella Puglia per compiervi imprese di valore. Ma durante il cammino, da un chiaro comando divino si sentì ordinare di ritornarsene ad Assisi per apprendere che cosa dovesse poi fare. Indi, dopo molti ondeggiamenti di dubbio, per divina ispirazione e per aver inteso alla messa solenne quel passo evangelico che riguarda la missione e il genere di vita apostolico, comprese di dover vivere e servire a Cristo « secondo la forma del Santo Vangelo ». Fin d’allora pertanto cominciò a congiungersi strettamente a Cristo e a renderglisi simile in tutto; e « tutto il suo impegno, sia pubblico sia privato, si rivolse alla croce del Signore; e fin dai primi tempi in cui cominciò a militare per Cristo, rifulsero intorno a lui i diversi misteri della croce ». E veramente egli fu buon soldato e cavaliere di Cristo per nobiltà e generosità di cuore; tanto che per non discordare in nulla, né egli né i suoi discepoli, dal suo Signore, oltre che ricorrere come ad oracolo al libro dei Vangeli quando doveva prendere una deliberazione, diligentemente conformò la legislazione degli Ordini da lui fondati con lo stesso Vangelo e la vita religiosa dei suoi con la vita apostolica. Perciò in fronte alla Regola giustamente scrisse: «Questa è la vita e la regola dei frati Minori, di osservare cioè il santo Vangelo di nostro Signor Gesù Cristo». Ma per stringere più dappresso l’argomento, vediamo con quale preclaro esercizio di virtù perfette si apparecchiasse Francesco a servire ai consigli della misericordia divina e a rendersi strumento idoneo della riforma della società. – Anzitutto, se non è difficile immaginare con la mente, crediamo impresa assai ardua descrivere a parole di quale amore avvampasse per la povertà evangelica. Nessuno ignora com’egli fosse per indole portato a soccorrere i poveri, e come, al dire di San Bonaventura, fosse pieno di tanta benignità, che « non sordo uditore del Vangelo » aveva stabilito di non mai negare soccorso ai poveri, massime se questi nel chiedere « allegassero l’amor di Dio»; ma la grazia spinse al culmine della perfezione la natura. Pertanto, avendo una volta respinto un povero, subito pentitosene, per intimo impulso divino si diede tosto a ricercarlo e ad alleviarne la miseria con ogni bontà ed abbondanza; un’altra volta, andandosene con una comitiva di giovani dopo un allegro convito cantando per la città, all’improvviso si fermò come attratto fuori di sé da una soavissima dolcezza spirituale, e tornato in se stesso ai compagni che l’interrogavano se allora avesse pensato a prender moglie, subito rispose con calore che avevano indovinato, perché egli veramente si proponeva di condurre una sposa, di cui non si troverebbe altra o più nobile o più ricca o più bella; intendendo con tali parole o la povertà o una religione che poggiasse specialmente sulla professione della povertà. Egli infatti da Cristo Signore, che si fece povero per noi, pur essendo ricco, affinché noi divenissimo ricchi della sua povertà, apprese quella divina sapienza, che non potrà mai essere cancellata dai sofismi della sapienza umana, e che sola può santamente rinnovare e restaurare tutto. Certo Gesù aveva detto: « Beati i poveri in spirito ». « Se vuoi essere perfetto, va, vendi quanto hai e donalo ai poveri, e avrai un tesoro nel cielo; poi vieni e seguimi ». Siffatta povertà che consiste nella rinuncia volontaria di ogni cosa, fatta per amore e per ispirazione divina e che è del tutto contraria alla povertà forzata, arcigna e affettata di alcuni filosofi antichi, fu da Francesco abbracciata con tanto affetto, che la chiamava con riverente amore signora, madre e sposa. In proposito scrive San Bonaventura: «Nessuno fu mai così avido dell’oro com’egli della povertà, né più geloso nella custodia di un tesoro quanto egli di questa perla evangelica ». E lo stesso Francesco, raccomandando e prescrivendo ai suoi nella Regola dell’Ordine il particolare esercizio di questa virtù, manifesta la stima ch’egli ne aveva e quanto la amasse con queste chiarissime parole: «Questa è la sublimità dell’altissima povertà che costituisce voi carissimi fratelli miei, eredi e re del regno dei cieli; vi fece poveri di cose, vi sublimò di virtù. Questa sia la vostra porzione, a cui aderendo totalmente, null’altro vogliate avere in eterno sotto il cielo per il nome del Signor nostro Gesù Cristo ». La ragione per cui Francesco amò particolarmente la povertà, fu perché la considerava come familiare della Madre di Dio, e perché Gesù Cristo sul legno della croce, più che familiare, se la scelse a sposa, benché poi dagli uomini fosse dimenticata e riuscisse al mondo troppo amara ed importuna. Al che spesso ripensando, soleva prorompere in gemiti e lacrime. Orbene, chi non si commuoverà a questo insigne spettacolo di un uomo, che tanto s’innamorò della povertà da parere agli antichi compagni di divertimento e a molti altri uscito di senno? Che dire poi dei posteri, i quali, anche se lontanissimi dall’intelligenza e dalla pratica della perfezione evangelica, furono compresi per sì ardente amante della povertà di un’ammirazione, che ognora aumentando riesce ancora a colpire gli uomini dell’età nostra? Questo senso di ammirazione dei posteri precorse l’Alighieri con quel canto dello sposalizio tra Francesco e la Povertà, dove non sapresti se più ammirare la grandiosa sublimità delle idee o la dolcezza e l’eleganza del verso. – Ma l’alto concetto e il generoso amore che della povertà nutrivano la mente e il cuore di Francesco, non potevano restringersi soltanto alla rinunzia dei beni esterni. Chi infatti riuscirebbe ad acquistare, sull’empio del Signor nostro Gesù, la vera povertà, se non si facesse povero in ispirito e piccolo per mezzo della virtù dell’umiltà? Ciò ben comprendendo Francesco, non disgiungendo mai l’una dall’altra virtù, ambedue così insieme calorosamente saluta: « Santa Signora povertà, il Signore ti salvi con la sorella santa umiltà… La santa povertà confonde ogni cupidigia e avarizia e ansietà di questo secolo. La santa umiltà confonde la superbia e tutti gli uomini di questo mondo e le cose tutte che sono nel mondo ». – Così per dipingere Francesco in una parola, l’autore dell’aureo libro «Dell’Imitazione di Cristo », lo chiama « l’umile ». «Quale è ciascuno innanzi ai tuoi occhi (o Signore), tanto vale e non più, dice l’umile San Francesco ». Egli ebbe infatti soprattutto a cuore di comportarsi con umiltà, come il minimo e ultimo di tutti. Perciò, fin dal principio della sua conversione, desiderava con ardore di essere schernito e deriso da tutti; e poi, sebbene fondatore, legislatore e Padre dei Frati Minori, si prendeva qualcuno dei suoi per superiore e padrone, da cui dipendere; indi, appena fu possibile, senza lasciarsi piegare da preghiere e da pianti dei suoi, volle deporre il governo supremo dell’Ordine « per osservare la virtù della santa umiltà » e restare « quindi innanzi suddito fino alla morte, vivendo più umilmente che qualsiasi altro »; offertagli spesso da Cardinali e da magnati ospitalità generosa e splendidissima, la ricusava recisamente; mentre agli altri mostrava maggiore stima e rendeva ogni onore, metteva se stesso in dispregio fra i peccatori, facendosi come uno di loro. Si credeva infatti il più grande peccatore, usando dire che se la misericordia usatagli da Dio fosse stata fatta a qualche altro scellerato, questi sarebbe riuscito migliore dieci volte tanto, e a Dio solo doversi quindi attribuire, perché da Dio unicamente derivato, quanto si trovava in lui di bello e di buono. Per questa ragione occultava con ogni studio i privilegi e carismi che potevano procacciargli la stima e la lode degli uomini, e anzitutto le stimmate del Signore impresse nel suo corpo; e se talora in privato o in pubblico veniva lodato, non solo si reputava e protestava degno di disprezzo e vituperio, ma se ne contristava, tra sospiri e lamenti, con incredibile rammarico. – Che dire poi dell’essersi stimato tanto indegno da non volere ordinarsi sacerdote? Su questo medesimo fondamento dell’umiltà egli volle che si appoggiasse e consolidasse l’Ordine dei Minori. E se con esortazioni di una sapienza meravigliosa ammaestrava ripetutamente i suoi come non potessero gloriarsi di nulla, e molto meno delle virtù e grazie celesti, ammoniva soprattutto, e secondo l’opportunità rimproverava quei frati che per i loro officii andavano esposti al pericolo di vanagloria e di superbia, come i predicatori, i letterati, i filosofi, i superiori dei conventi e delle province. Sarebbe lungo scendere ai particolari, ma basti questo solo: San Francesco dagli esempi e dalle parole di Cristo derivò l’umiltà nei suoi, quale distintivo proprio dell’Ordine; volle infatti che i suoi fossero chiamati « minori », e « ministri » fossero detti tutti i prelati del suo Ordine, e « ciò per usare il linguaggio del vangelo ch’egli aveva promesso di osservare, sia perché suoi discepoli dallo stesso nome capissero di essere venuti alla scuola dell’umile Cristo per imparare l’umiltà ». – Abbiamo veduto come il Serafico per l’ideale stesso che aveva in mente della povertà più perfetta, si faceva tanto piccolo ed umile da ubbidire con semplicità di bambino ad un altro o meglio, possiamo aggiungere, a quasi tutti, perché chi non rinnega se stesso e non rinunzia alla propria volontà, certo non può dirsi o che si sia spogliato di tutte le cose, o che possa divenire umile di cuore. San Francesco, pertanto, col voto di obbedienza consacrò di buon animo e sottomise interamente al Vicario di Gesù Cristo la libertà della volontà, questo dono sopra tutti eminente da Dio conferito alla natura umana. Oh, quando male fanno e quanto vanno lungi dalla cognizione dell’Assisiate coloro che, per servire alle loro fantasie ed errori, s’immaginano, (cosa incredibile!) un Francesco intollerante della disciplina della Chiesa, noncurante degli stessi dogmi della Fede, precursore anzi e banditore di quella molteplice e falsa libertà, che si cominciò ad esaltare sul principio dell’età moderna, e tanto disturbo recò alla Chiesa ed alla società civile. Ora, con quanta intimità aderisse alla gerarchia della Chiesa, a questa Sede Apostolica e agli insegnamenti di Cristo, il banditore del gran Re può bene insegnare nei suoi mirabili esempi ai Cattolici ed agli acattolici tutti. Consta infatti dai documenti storici di quell’età, i più degni di fede, che egli « venerava i sacerdoti e con estremo affetto abbracciava tutto l’Ordine ecclesiastico »; da « uomo cattolico e tutto apostolico » insisteva principalmente, nella sua predicazione, « che si mantenesse inviolabile la fedeltà alla Chiesa, e per la dignità del Sacramento del Signore, che si compie per ministero dei sacerdoti, si tenesse in riverenza somma l’ordine sacerdotale. E parimenti insegnava doversi in gran maniera riverire i maestri della legge divina e tutti gli ordini del Clero ». E ciò che insegnava dal pulpito al popolo, inculcava molto più caldamente ai suoi frati, cui soleva anche avvisare di tempo in tempo — come nel suo famoso testamento e in punto di morte li ammonì con gran forza — che nell’esercizio del sacro ministero obbedissero umilmente ai prelati ed al clero, e si portassero con essi quali figliuoli della pace. – Ma il punto più capitale in questo argomento è che appena il Serafico Patriarca ebbe formata e scritta la Regola propria del suo Ordine, non indugiò un istante a presentarla personalmente, con i primi undici discepoli, ad Innocenzo III perché l’approvasse. E quel Pontefice d’immortale memoria, mirabilmente commosso dalle parole e dalla presenza dell’umilissimo Poverello divinamente ispirato, abbracciò con grande amore Francesco, sancì con l’autorità apostolica la Regola da lui presentata ed ai nuovi operai diede inoltre la facoltà di predicare la penitenza. A questa Regola poi di poco ritoccata, come ci attesta la storia, Onorio III aggiunse nuova conferma su preghiera di Francesco. Il Serafico Padre volle che la Regola e la vita dei Frati Minori fosse questa: osservare « il santo Vangelo del Signor Nostro Gesù Cristo vivendo in obbedienza, senza cosa propria e in castità », né già a capriccio proprio o secondo una propria interpretazione, ma al cenno dei Romani Pontefici, canonicamente eletti. Quanti poi anelano a « ricevere questa vita… siano esaminati diligentemente dai Ministri intorno alla fede cattolica ed ai sacramenti della Chiesa, e se credono tutte queste cose e intendono confessarle e osservarle fermamente sino alla fine; coloro poi che siano incorporati nell’Ordine, non se ne allontanino per nessun conto « secondo il mandato del Signor Papa ». Ai chierici si prescrive che celebrino i divini offici, « secondo l’Ordine della Chiesa Romana »; ai frati in generale, che non predichino nel territorio di un Vescovo senza suo comando, e non entrino, anche per causa di ministero, nei conventi delle religiose senza facoltà speciale dell’Apostolica Sede. Né minore riverenza e docilità verso la Sede Apostolica ci mostrano le parole che usa Francesco nel prescrivere che si domandi un Cardinale protettore: « Per obbedienza ingiungo ai Ministri che domandino al Signor Papa qualcuno dei Cardinali della Santa Chiesa Romana che sia guida, protettore e correttore di questa Fratellanza; affinché, sempre subordinati e soggetti ai piedi della stessa Santa Chiesa Romana, stabili nella fede cattolica, osserviamo il santo Vangelo del Signor nostro Gesù Cristo ». – Ma non si può tacere di quella « bellezza e mondezza di onestà » che il Serafico « singolarmente amava », cioè di quella castità di anima e di corpo che egli custodiva e difendeva con l’asperrima macerazione di se stesso. E l’abbiamo pure veduto giovane, festoso ed elegante, aborrire da qualsiasi bruttura anche di parole. Ma quando poi rigettò i vani piaceri del secolo, cominciò tosto a reprimere con ogni rigore i sensi, e se mai gli accadeva di sentirsi agitato da moti sensuali, egli non esitava o a ravvolgersi fra gli spinosi roveti, o ad immergersi nelle gelide acque del più crudo inverno. – È, infatti, noto che il nostro Santo, studiandosi di richiamare gli uomini a conformare la loro vita agli insegnamenti del Vangelo, soleva esortare tutti « ad amare e temere Dio ed a far penitenza dei proprii peccati », ed a tutti si faceva predicatore di penitenza col suo stesso esempio. Infatti cingeva alle carni un cilicio, vestiva una povera e ruvida tonaca, andava a piedi nudi, prendeva riposo appoggiando il capo a una pietra o ad un tronco, si nutriva quel tanto solo che bastasse a non morire d’inedia, e al suo cibo mescolava acqua e cenere per togliergli ogni gusto; anzi, passava quasi interamente digiuno la maggior parte dell’anno. Inoltre, sia che fosse sano o infermo, trattava con dura asprezza il suo corpo, ch’egli soleva paragonare ad un asinello; e non s’indusse a concedere al suo corpo qualche sollievo o riposo, neanche quando, negli ultimi anni della sua vita, fatto a Cristo similissimo per le Stimmate, quasi inchiodato alla Croce, era tormentato da molte infermità. Né trascurò di avvezzare i suoi all’austerità ed alla penitenza, benché — ed in ciò soltanto « la lingua fu diversa dall’opera del santissimo patriarca » — li ammonisse di moderare l’eccessiva astinenza e afflizione del corpo. – Chi non vede quanto manifestamente tutto ciò procedesse dal medesimo fonte della carità divina? Infatti, come scrive Tommaso da Celano, « ardendo sempre di amore divino, bramava di dar mano ad opere forti, e camminando di gran cuore nella via dei comandamenti divini, anelava a raggiungere la somma perfezione ». Secondo la testimonianza di San Bonaventura, « tutto quanto… quasi brace ardente, sembrava consumarsi nella fiamma dell’amore divino »; onde vi erano taluni che si scioglievano in lacrime « vedendolo sì rapidamente levato a tanta ebbrezza di divino amore ». E siffatto amore di Dio si effondeva talmente verso il prossimo, che egli, vincendo se stesso, abbracciava con particolare tenerezza i poveri, e tra essi i più miseri, i lebbrosi, dai quali aveva tanto aborrito nella sua giovinezza; e dedicò ed obbligò tutto se stesso e i suoi alle loro cure e al loro servizio. Né minor carità fraterna volle regnasse tra i suoi discepoli: onde la francescana famiglia sorse come « un nobile edificio di carità, nel quale pietre vive, radunate da ogni parte del mondo, vengono edificate in abitacolo dello Spirito Santo ». – Ci è piaciuto, Venerabili Fratelli, trattenervi alquanto più a lungo nella contemplazione di queste altissime virtù, appunto perché, nei nostri tempi, molti, infetti dalla peste del laicismo, hanno l’abitudine di spogliare i nostri eroi della genuina luce e gloria della santità, per abbassarli ad una specie di naturale eccellenza e professione di vuota religiosità, lodandoli e magnificandoli soltanto come assai benemeriti del progresso nelle scienze e nelle arti, delle opere di beneficenza, della patria e del genere umano. Non cessiamo perciò dal meravigliarci come una tale ammirazione per San Francesco, così dimezzato e anzi contraffatto, possa giovare ai suoi moderni amatori, i quali agognano alle ricchezze e alle delizie, o azzimati e profumati frequentano le piazze, le danze e gli spettacoli o si avvolgono nel fango delle voluttà, o ignorano o rigettano le leggi di Cristo e della Chiesa. Molto a proposito cade qui quell’ammonimento: « A chi piace il merito del Santo, deve altresì piacere l’ossequio e il culto a Dio. Perciò, imiti quel che loda, o non lodi quella che non vuole imitare. Chi ammira i meriti dei Santi, deve egli stesso segnalarsi nella santità della vita ». Pertanto Francesco, agguerrito dalle forti virtù che abbiamo ricordate, è provvidenzialmente chiamato all’opera di riforma e di salvezza dei suoi contemporanei e di aiuto per la Chiesa universale. – Nella chiesa di San Damiano, dove era solito pregare con gemiti e sospiri, per tre volte aveva udito scendere dal cielo una voce: «Va’, Francesco, restaura la mia casa che cade. Egli, per quella profonda umiltà che lo faceva credere a se stesso incapace di compiere qualsiasi opera grandiosa, non ne comprese l’arcano significato; ma bene lo scoprì Innocenzo III chiaramente argomentando quale fosse il disegno del misericordiosissimo Iddio da una visione miracolosa in cui gli si presentò Francesco in atto di sostenere con le sue spalle il tempio cadente del Laterano. Il Serafico Santo, dunque, fondati due Ordini, uno per uomini, l’altro per donne, aspiranti alla perfezione evangelica, prese a percorrere rapidamente le città italiane, annunziando, o da se stesso o per mezzo dei primi discepoli che si era associati, e predicando al popolo la penitenza, in un modo di dire breve e infocato, raccogliendo da tal ministero, e con la parola e con l’esempio, frutti incredibili. In tutti i luoghi ove egli si recava a compiervi Ministeri apostolici, si facevano incontro a Francesco il clero e il popolo, processionalmente, tra suoni di campane e canti popolari, agitando in aria rami di olivo. Persone di ogni età, sesso e condizione gli si affollavano attorno, e assiepavano di giorno e di notte la casa ove abitava, per vederlo uscire, toccarlo, parlargli, ascoltarlo. Nessuno, per quanto invecchiato in una continua consuetudine di vizi e di peccato, poteva resistere alla sua predicazione. Quindi moltissime persone, anche di età matura, abbandonavano a gara tutti i beni terreni per amore della vita evangelica, e interi popoli d’Italia, rinnovati nei costumi, si ponevano sotto la direzione di Francesco. Anzi, era cresciuto a dismisura il numero dei suoi figliuoli, e tale era l’entusiasmo di seguire le sue orme suscitato ovunque, che lo stesso Serafico Patriarca spesso era costretto a dissuadere e a stornare dal proposito di lasciare il secolo uomini e donne già disposti anche a rinunziare all’unione coniugale e alla convivenza domestica. Intanto il desiderio che principalmente animava quei nuovi predicatori di penitenza era di ricondurre la pace fra individui, famiglie, città e terre, sconvolte e insanguinate da discordie interminabili. E si deve attribuire alla virtù sovrumana dell’eloquenza di quegli uomini rozzi, se ad Assisi, ad Arezzo, a Bologna e in tante altre città e terre si poté efficacemente provvedere ad una generale pacificazione, confermata talvolta con solenni convenzioni. A tale opera di generale pacificazione e riforma molto giovò il Terz’Ordine: istituzione che, con esempio nuovo fino allora, mentre ha lo spirito di Ordine religioso, non ha obbligo di voti, e si propone di somministrare a tutti, uomini e donne anche viventi nel secolo, i mezzi non solo di osservare la legge di Dio, ma di raggiungere la perfezione cristiana. Le Regole del nuovo sodalizio si riducono ai seguenti capi: Non accettare se non persone di schietta fede cattolica, e pienamente ossequenti alla Chiesa; modo di accettare nell’Ordine i candidati dell’uno e dell’altro sesso; ammissione alla professione, compiuto l’anno di noviziato, previo il consenso della moglie per il marito e del marito per la moglie; rispetto dell’onestà e della povertà nell’uso degli abiti, e modestia degli abbigliamenti muliebri; che i Terziari si astengano dai conviti, dagli spettacoli immodesti e dai balli; astinenza e digiuno; confessione da farsi tre volte l’anno, e altrettante la comunione, avendo cura di porsi in pace con tutti e di restituire la roba altrui; non indossare le armi se non in difesa della Chiesa Romana, della fede cristiana, e della propria patria, oppure con il consenso dei propri ministri; recita delle ore canoniche ed altre preci; dovere di dettare il legittimo testamento prima che scada un trimestre dall’entrata nell’Ordine; ricondurre quanto più presto si può la pace dei confratelli fra loro o con esterni, ove fosse turbata; che fare nel caso che i diritti o i privilegi del sodalizio fossero impugnati o violati; non prestar giuramento se non per urgente necessità riconosciuta dalla Sede Apostolica. Alle norme riferite se ne aggiungono altre di non minore importanza sul dovere di ascoltare la messa, sulle adunanze da convocare in tempi determinati, sulle sovvenzioni da prestarsi da ciascuno secondo le proprie forze in aiuto dei poveri e specialmente degli infermi e per tributare gli estremi offici ai soci defunti, sul modo di farsi scambievoli visite in caso di malattia, od anche di riprendere e ricondurre sulla buona via coloro che cadono e sono ostinati nel peccato, sul dovere di non ricusare gli uffici e i ministeri che vengono assegnati, e non adempierli trascuratamente; sulla risoluzione delle liti. – Ci siamo trattenuti su queste cose partitamente, affinché si veda come Francesco, sia col vittorioso apostolato suo e dei suoi, sia con l’istituzione del Terz’Ordine, gettò le fondamenta di un rinnovamento sociale operato radicalmente in conformità dello spirito evangelico. Omettendo pure ciò che riguarda, in tali Regole, il culto e la formazione spirituale che pure sono di primaria importanza, ognuno vede come dalle altre prescrizioni dovesse risultare tale ordinamento di vita privata e pubblica da formare del civile consorzio non soltanto una specie di convivenza fraterna, consolidata dalla pratica della perfezione cristiana, ma anche uno scudo al diritto dei miseri e dei deboli contro gli abusi dei ricchi e dei potenti, senza pregiudizio dell’ordine e della giustizia. Dalla consociazione infatti dei Terziari col clero, necessariamente risultava la felice conseguenza che i nuovi soci venivano a partecipare delle medesime esenzioni e immunità delle quali questo godeva. Così fin d’allora i Terziari non prestarono più il così detto solenne giuramento di vassallaggio, né venivano chiamati ai servizi militari o di guerra, né indossavano armi, perché essi alla legge feudale opponevano la regola del Terz’Ordine, alla condizione servile l’acquisita libertà. Ed essendo perciò molto vessati da chi aveva tutto l’interesse a far sì che le cose tornassero alle condizioni di prima, essi ebbero a loro difensori e patroni i Pontefici Onorio III e Gregorio IX, i quali sventarono quegli ostili attentati, anche comminando severe pene. Da qui quell’impulso di una salutare riforma dell’umana società; da qui la vasta espansione e l’incremento preso fra le nazioni cristiane dalla novella istituzione che aveva Francesco quale Padre e istitutore, ed insieme con lo spirito di penitenza il rifiorire dell’innocenza della vita; da qui quell’ardente fervore, onde fu dato vedere, non solo Pontefici, Cardinali e Vescovi, ricevere le insegne del Terz’Ordine, ma anche re e prìncipi, fra cui alcuni anche saliti in gloria di santità, i quali con lo spirito francescano s’imbevevano della evangelica sapienza; da qui le più elette virtù ritornate in pregio ed onore presso la società civile; da qui in una parola il mutarsi « la faccia della terra ». – Senonché Francesco « uomo cattolico e tutto apostolico », come attendeva in modo mirabile alla riforma dei fedeli, così si adoperava personalmente ed ordinava ai suoi discepoli di impiegarsi con alacrità alla conversione degli infedeli alla fede e alla legge di Cristo. Non occorre con molte parole rammentare una cosa a tutti ben nota, come cioè il Nostro, mosso dall’ardente brama di propagare il Vangelo e sostenere il martirio, non esitasse a recarsi in Egitto ed ivi comparire, animoso e ardito, alla presenza del Sultano. E nei fasti della Chiesa non sono registrati con parole di sommo onore quei numerosi banditori del Vangelo i quali sin dai primordi, e per così dire nella primavera dell’Ordine minoritico, trovarono il martirio in Siria e nel Marocco? Tale apostolato nel corso dei tempi fu poi dalla molteplice famiglia francescana proseguito con tanto zelo, e non senza largo spargimento di sangue, che sono moltissime le regioni d’infedeli le quali, per disposizione dei Romani Pontefici, si trovano affidate alle loro cure. – Nessuno vorrà quindi meravigliarsi che, per tutto il passato periodo di ben settecento anni, la memoria dei tanti benefizi da lui derivati né in alcun tempo né in alcun luogo si sia mai potuta cancellare. Anzi, vediamo come la vita e l’opera di lui, la quale non da lingua umana, ma, come scrive l’Alighieri, « meglio in gloria del ciel si canterebbe », di secolo in secolo si è imposta e tramandata al culto ed all’ammirazione in modo che egli non solo grandeggia alla luce del mondo cattolico per l’insigne gloria della santità, ma splende anche con un certo culto e gloria civile onde il nome di Assisi è divenuto familiare ai popoli di tutto il mondo. Era passato infatti poco tempo dalla sua morte, che presero a sorgere in ogni parte, per voto di popolo, chiese dedicate in onore del Serafico Padre, mirabili per magistero di architettura e di arte; e fra i più insigni artefici fu come una gara a chi fra loro riuscisse a ritrarre con maggior perfezione e bellezza l’immagine e le gesta di Francesco in pittura, in scultura, in intaglio, in mosaico. Così a Santa Maria degli Angeli, in quella pianura, dalla quale Francesco « povero ed umile entrò ricco nel cielo », come al luogo del sepolcro glorioso, sul colle di Assisi, concorrono, e d’ogni parte affluiscono pellegrini, quando alla spicciolata, quando a schiere, per ravvivare insieme, a vantaggio dell’anima, la memoria di un così gran Santo, ed insieme ammirare quegli immortali monumenti di arte. Inoltre, a cantare l’Assisiate sorse, come abbiamo veduto, un lodatore che non ha pari, Dante Alighieri, e dopo di lui non mancarono altri che illustrarono le lettere in Italia e altrove, esaltando la grandezza del Santo. Ma specialmente ai nostri giorni, studiati più a fondo dagli eruditi gli argomenti francescani e moltiplicate in gran numero le opere a stampa in varie lingue, e ridestati gl’ingegni dei competenti a compiere lavori ed opere artistiche di gran pregio, l’ammirazione verso San Francesco divenne fra i contemporanei smisurata, quantunque non sempre bene intesa. Così altri presero ad ammirare in lui l’indole naturalmente portata a manifestare poeticamente i sentimenti dell’animo, e il «Cantico » famoso divenne la delizia della erudita posterità, la quale vi ravvisa un vetustissimo saggio del volgare nascente. Altri rimasero incantati dal suo gusto della natura, ond’egli sembra preso dal fascino non solo della natura inanimata, del fulgore degli astri, dell’amenità dei monti e delle valli umbre, ma, al pari di Adamo nell’Eden prima della caduta, discorre con gli animali stessi, quasi legato ad essi da una certa fratellanza, e li rende obbedientissimi ai suoi cenni. Altri ne esaltano l’amor di patria, perché a lui deve l’Italia nostra, che vanta il fortunato onore d’avergli dati i natali, una fonte di benefizi più copiosa che qualsiasi altro paese. Altri infine lo celebrano per quella sua veramente singolare comunanza di amore, che tutti gli uomini unisce. Tutto ciò è vero, ma è il meno, e da doversi intendere in retto senso: poiché chi si fermasse a ciò come alla cosa più importante, o volesse torcerne il senso a giustificare la propria morbidezza, a scusare le proprie false opinioni, a sostenere qualche suo pregiudizio, è certo che guasterebbe la genuina immagine di Francesco. Infatti, da quella universalità di virtù eroiche delle quali abbiamo fatto breve cenno, da quell’austerità di vita e prediazione di penitenza, da quella molteplice e faticosa azione per il risanamento della società, risalta in tutta la sua interezza la figura di Francesco, proposto non tanto all’ammirazione, quanto all’imitazione del popolo cristiano. Essendo Araldo del Gran Re, egli volse le sue mire a far sì, che gli uomini si conformassero alla santità evangelica e all’amore della Croce, non già che dei fiori e degli uccelli, degli agnelli, dei pesci e delle lepri si rendessero soltanto sdilinquiti amatori. – Che se egli verso le creature sembra trasportato da una certa tenerezza di affetto, e « per quanto piccole » le chiama « coi nomi di fratello o di sorella » — amore, peraltro, che quando non esca dall’ordine non è proibito da nessuna legge — non da altra causa che dalla sua stessa carità verso Dio egli si muove ad amare le dette creature, le quali « sapeva avere con lui uno stesso principio e nelle quali guardava la bontà di Dio; giacché « da per tutto egli va seguendo il Diletto sulle orme impresse nelle cose, di tutte le cose si fa scala per giungere al trono di Lui. Quanto al resto, che cosa proibisce agli italiani di gloriarsi dell’Italiano, il quale nella stessa liturgia è chiamato « luce della Patria »?. Che cosa impedisce ai fautori del popolo di predicare quella che fu la carità di Francesco verso tutti gli uomini, specialmente poveri? Ma gli uni si guardino per lo smoderato amore verso la propria nazione, di vantarlo quasi segno e vessillo di questo acceso amore nazionale, rimpicciolendo il « campione cattolico »; gli altri si guardino dal gabellarlo per un precursore e patrono di errori, dal che egli era lontano, quant’altri mai. D’altra parte tutti quelli che non senza qualche affetto di pietà prendono gusto a queste lodi minori dell’Assisiate e si affaticano con fervore a promuoverne le feste centenarie, piacesse al cielo che come sono degni del nostro encomio, così dalla stessa fausta ricorrenza traessero forte stimolo a esaminare più sottilmente l’immagine genuina di questo grandissimo imitatore di Cristo, e ad aspirare ai migliori carismi. – Intanto, Venerabili Fratelli, Noi abbiamo un bel motivo d’allegrezza, nel vedere come per la concorde mira di tutti i buoni a celebrare la memoria del Santo Patriarca, lungo l’anno sette volte secolare dalla sua morte, si vanno allestendo in tutto il mondo solennità religiose e civili, ma specialmente in quelle contrade, che egli vivente nobilitò con la presenza e con la luce della santità e con la gloria dei miracoli. Nel che vediamo con molto piacere andare voi innanzi, con l’esempio, ciascuno al proprio clero e gregge. E già fin d’ora si presentano all’animo Nostro, anzi quasi agli occhi Nostri, le foltissime schiere di pellegrini che andranno a visitare Assisi e gli altri vicini Santuari della verde Umbria, o gli scoscesi gioghi della Verna o i colli sacri che guardano sulla valle di Rieti; luoghi nei quali Francesco sembra ancora vivere e darci esempio delle sue virtù, e dei quali i pii visitatori non potranno non tornare a casa più imbevuti di spirito francescano. Infatti — per usare le parole di Leone XIII — « bisogna ben persuadersi che gli onori che si preparano a San Francesco torneranno particolarmente accetti a lui, cui sono indirizzati, se riusciranno fruttuosi a chi li rende. Ora, il più sostanziale e non passeggero profitto consiste in questo: che gli uomini prendano qualche tratto di somiglianza dalla sovrana virtù di colui che ammirano, e procurino di rendersi migliori imitandolo ». – Taluno forse dirà che a restaurare la società cristiana ci vorrebbe oggi fra noi un altro Francesco. Nondimeno, fate che gli uomini con rinnovato zelo prendano l’antico Francesco a maestro di pietà e di santità; fate che essi imitino e ritraggano in sé gli esempi che egli lasciò, come colui che era « specchio di virtù, via di rettitudine, regola di costumi »; non avrà questo tanta virtù ed efficacia che basti a sanare ed a troncare la corruzione dei nostri tempi?

In primo luogo, dunque, debbono ricopiare in sé l’immagine insigne del Padre e Legislatore i tanti suoi figli dei tre Ordini; i quali essendo « stabiliti in tutto il mondo » — come Gregorio IX scriveva alla beata Agnese, figlia del re di Boemia — « ogni giorno in essi l’Onnipotente è reso in molti modi glorioso » [33]. E con i religiosi del Primo ordine, quale che sia il loro nome francescano, da una parte Ci congratuliamo vivamente che dalle indegnissime vessazioni e spogliazioni, come oro passato nel crogiuolo, riprendano ogni giorno più l’antico splendore; e dall’altra sinceramente desideriamo che con l’esempio della propria penitenza ed umiltà levino quasi alte proteste contro la concupiscenza della carne e la superbia della vita così ampiamente diffusa. Sia ufficio loro richiamare il prossimo ai precetti evangelici del vivere: il che meno difficilmente conseguiranno, quando osservino scrupolosamente la Regola, che il Fondatore chiamava « libro della vita, speranza della salute, midolla del Vangelo, via della perfezione, chiave del paradiso, patto dell’eterna alleanza » [34]. Il Serafico Patriarca poi non cessi di assistere ed aiutare dal cielo la mistica vigna, che egli con le sue mani piantò, e la molteplice propaggine talmente nutrisca e corrobori dell’umore e del succo della fraterna carità, che tutti, divenuti « un cuore e un’anima sola », s’adoperino con ogni zelo al rinnovamento della famiglia cristiana.

Le sacre vergini, poi, del Secondo Ordine, partecipi « della vita angelica, che per Chiara divenne chiara », continuino a diffondere, quali gigli piantati nelle aiuole dell’Orto del Signore, il più soave olezzo e a piacere a Dio col niveo candore dell’anima. Per le loro preghiere, sì, avvenga che i peccatori, in molto maggior numero, ricorrano alla clemenza di Cristo Signore, e la Madre Chiesa senta crescere mirabilmente il proprio gaudio per i figli restituiti nella divina grazia e nella speranza dell’eterna salute. Infine Ci rivolgiamo ai Terziari, sia uniti in comunità regolari, sia viventi nel secolo, perché si adoperino anch’essi col proprio apostolato a promuovere il profitto spirituale del popolo cristiano. Il quale apostolato, se al principio li fece degni di essere chiamati da Gregorio IX soldati di Cristo e novelli Maccabei, può anche oggi riuscire di non minore efficacia per la comune salute, purché essi, quanto sono cresciuti di numero su tutta la terra, altrettanto, fatti simili al loro Padre San Francesco, diano prova d’innocenza e d’integrità di costumi. E quel che scrissero i Nostri antecessori Leone XIII nella Lettera « Auspicato », e Benedetto XV nell’Enciclica « Sacra propediem », significando a tutti i vescovi dell’orbe cattolico ciò che sarebbe loro piaciuto grandemente, questo stesso, Venerabili Fratelli, Noi Ci ripromettiamo dallo zelo pastorale di tutti voi: che cioè favorirete in tutti i modi il Terz’Ordine francescano, ammaestrando il gregge — o da voi stessi o per l’opera di sacerdoti colti e idonei al ministero della parola — sugli scopi di quest’Ordine di uomini e di donne secolari, e quanto sia da stimarsi, e come riesca spedito l’ingresso nel Sodalizio e facile l’osservanza delle Sante Regole, e quale l’abbondanza delle indulgenze e dei privilegi di cui i Terziari fruiscono; infine, che grande utilità ridondi dal Terz’Ordine sui singoli e sulla comunità. Coloro che non ancora abbiano dato il nome a questa gloriosa milizia, lo diano quest’anno su vostro incitamento; e coloro che ancora non lo possono dare per ragione dell’età, si iscrivano candidati cordiglieri, sì che da fanciulli s’avvezzino a questa santa disciplina. – E poiché dai salutari avvenimenti offertisi così spesso a celebrare, sembra Iddio benignamente volere che il nostro Pontificato non trascorra senza i più lieti frutti nel popolo cattolico, vediamo con gran piacere apparecchiarsi questa solenne celebrazione centenaria di San Francesco, il quale « mentre visse rifondò la casa, e ai suoi tempi fu ristoratore del tempio » [35]; tanto più che sin dal fiore degli anni lo venerammo Patrono con grande devozione e fummo già annoverati tra i suoi figli, prendendo le insegne del Terz’Ordine. In quest’anno dunque, che è il settecentesimo dalla morte del Padre Serafico, il mondo cattolico e la nostra nazione in particolare ricevano per intercessione di San Francesco, tanta dovizia di benefìci, che sia un anno da rimanere nella storia della Chiesa perpetuamente memorabile.

Intanto, Venerabili Fratelli, in auspicio dei celesti doni e a testimonianza della Nostra benevolenza, a voi, al clero e al popolo vostro di tutto cuore impartiamo nel Signore l’Apostolica Benedizione.

 Dato a Roma, presso San Pietro, il 30 aprile dell’anno 1926, quinto del Nostro Pontificato.

PIUS PP. XI

I SERMONI DI P. CAMPBELL 24/9/2023 – Domenica XVII dopo PENTECOSTE)

I SERMONI DI P. CAMPBELL (24/9/2023).

Padre Louis Campbell
Diciassettesima Domenica dopo Pentecoste

Porre la giusta domanda.

Sermone per il 24 settembre 2023, Santuario di San Giuda, Stafford, Texas

Il vero culto è sempre stato offerto a Dio, dal sacrificio accettabile di Abele al Santo Sacrificio della Messa. Il profeta Malachia aveva predetto il Santo Sacrificio: “Poiché dal sorgere del sole fino al suo tramonto, il mio nome è grande tra le genti. e in ogni luogo c’è sacrificio e si offre al mio Nome un’oblazione pura” (Mal.1). Dopo la caduta di Adamo ed Eva dalla grazia, Dio iniziò a rivelarsi all’uomo attraverso i Patriarchi e i Profeti, legando gli uomini a sé in una serie di alleanze. Dio disse a Noè dopo il diluvio: “Stabilirò la mia alleanza con te e con i tuoi discendenti dopo di te… Porrò il mio arco sulle nuvole e sarà un’alleanza di pace tra me e la terra” (Gen.IX,13). Dio ha stretto un’alleanza anche con il patriarca Abramo, promettendogli una numerosa discendenza. E Dio parlò a Mosè sul Monte Sinai, dandogli le tavole dei Dieci Comandamenti e stabilendo un’alleanza con il suo popolo eletto. L’alleanza fu ratificata dall’aspersione del sangue degli animali sacrificati sull’altare e sul popolo. Dio strinse anche un’alleanza con il re Davide, promettendo che il suo erede si sarebbe seduto sul suo trono in un regno che sarebbe durato per sempre, come sentiamo dalle parole dell’Angelo Gabriele alla Beata Vergine Maria: “Sarà grande e sarà chiamato Figlio dell’Altissimo e il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e sarà re sulla casa di Giacobbe per sempre e il suo regno non avrà fine.” (Lc 1,30-33). A causa del peccato originale, tutti i regni terreni hanno un difetto fatale che ne determina il declino e la caduta. Ma il regno davidico durerà perché il Figlio di Davide, Gesù Cristo, il Dio-Uomo, siede ora sul trono reale, come Gesù lascia intendere nella sua conversazione con i farisei, riportata nel Vangelo di oggi: “Che cosa pensate del Cristo? Di chi è figlio? Gli risposero: “Di Davide”. Egli disse loro: “Come mai Davide, nello Spirito, lo chiama Signore, dicendo: “Il Signore ha detto al mio Signore: Siedi alla mia destra, finché io faccia dei tuoi nemici lo sgabello dei tuoi piedi”? Se Davide lo chiama Signore, come fa a essere suo figlio?”. E nessuno poté rispondergli una parola…” (Mt XXII, 42-46). – San Paolo ci dice che le cose precedenti devono passare per lasciare spazio a quelle più perfette: “Questo primo tabernacolo è una figura del tempo presente, in quanto vengono offerti doni e sacrifici che non possono perfezionare l’adoratore nella coscienza, poiché si riferiscono solo al cibo e alle bevande e alle varie abluzioni e norme corporali imposte fino ad un tempo di riforma. Ma quando Cristo è apparso come sommo sacerdote delle cose buone che verranno, è entrato una volta per tutte nel tabernacolo più grande e più perfetto, non fatto da mani (cioè, non di questa creazione), né in virtù di sangue di capri e vitelli, ma in virtù del suo stesso sangue, avendo ottenuto una redenzione eterna” (Eb IX,9-12). Quindi, l’Antica Alleanza è ancora valida per i Giudei o devono credere in Gesù Cristo? Il cardinale Ratzinger (poi antipapa Benedetto XVI, ora deceduto), ha fatto un vano tentativo di essere “chiaro” in un’intervista in cui ha usato la parola “chiaro”, o chiaramente, cinque volte: “Forse non è nostra la possibilità di conciliare, di lasciar fare a Dio. Perché due cose sono molto chiare nella Sacra Scrittura. Nella Lettera di San Paolo ai Romani, egli dice chiaramente, La fedeltà di Dio è assolutamente chiara. Egli è fedele alle sue promesse”. E così, il popolo di Abramo è sempre il popolo di Dio, da un lato. E dice anche chiaramente: “Tutto Israele sarà salvato”. Ma è anche chiaro che Gesù è il Salvatore, non solo degli altri popoli, Lui è un ebreo ed è il Salvatore soprattutto del suo popolo”. (Il mondo sopra: Il cardinale Ratzinger, Raymond Arroyo, EWTN, 5 settembre 2003). È vero che San Paolo dice: “Tutto Israele sarà salvato” (Rm XI, 26). Ma pochi versetti prima dice: “E anche loro (i Giudei), se non continueranno nell’incredulità, saranno innestati…”. (Rm XI, 23). Con “tutto Israele”, San Paolo intende il residuo di Giudei che si convertirà poco prima della seconda venuta di Gesù Cristo. Inoltre, è vero che “il popolo di Abramo è sempre il popolo di Dio”, ma chi è “il popolo di Abramo”? San Paolo ci dice: “Sappiate dunque che gli uomini di fede sono i veri figli di Abramo. E la Scrittura, prevedendo che Dio avrebbe giustificato i Gentili per fede, annunciò in anticipo ad Abramo, “… In te saranno benedette tutte le nazioni”. Perciò gli uomini di fede saranno benedetti insieme ad Abramo fedele” Gal. III, 7-9). – L’Agenzia di stampa cattolica riporta che in un telegramma inviato in occasione delle feste ebraiche di Yom Kippur e Sukkot, Benedetto XVI ha annunciato di aver pregato affinché Dio elargisca “copiose benedizioni su tutti gli ebrei ed un costante incoraggiamento nella lotta per promuovere la giustizia, l’armonia e la pace”. Secondo quanto riportato da L’Osservatore Romano, Benedetto ha detto che intendeva anche visitare la sinagoga di Roma dopo la fine delle festività ebraiche, per il desiderio di “esprimere a… [la sua] … la vicinanza personale e quella di tutta la Chiesa cattolica” (Roma, 18 settembre 2009, 2009, CNA, catholicnewsagency.com). Sebbene auguriamo loro le benedizioni di Dio, in particolare che Egli conceda loro la grazia di credere nel Suo Divin Figlio, Gesù Cristo, come vero Messia e Signore, come può la Chiesa Cattolica essere vicina agli ebrei quando questi si rifiutano di credere, come Annah e Caifa e la maggior parte dei giudei del tempo di Gesù si rifiutarono di credere? Quale fondamento può avere questa “vicinanza” se non la vicinanza di coloro che appartengono all’Alleanza che Gesù Cristo ha stabilito al prezzo del suo sangue? Le amicizie e gli incontri umani di questa terra passano, ma l’unica vera Alleanza è “la nuova ed eterna alleanza” annunciata da Cristo nell’Ultima Cena prima di soffrire e morire per noi. Che tutti gli esseri umani, ebrei e gentili, di ogni razza e nazione, possano credere che Gesù Cristo è il Figlio divino di Dio, Messia e Salvatore, “… e il suo regno non avrà fine” (Lc 1,33).

DOMENICA XVII DOPO PENTECOSTE (2023)

DOMENICA XVII DOPO PENTECOSTE (2023)

(Messale Romano di S. Bertola e G. Destefani,

comm. di D. G. LEFEBVRE O. S. B; L. I. C. E. – R. Berruti & C. Torino 1950)

Semidoppio. – Paramenti verdi.

La storia di Tobia che si legge nell’Officio divino a questa epoca, coincide spesso con questa Domenica. Sarà dunque cosa utile, continuare a studiare la Messa in relazione col biblico racconto. Tobia sarebbe vissuto, sembra, sotto il regno di Salmanasar, verso la fine del secolo VIII prima di Cristo, al tempo della deportazione degli Israeliti in Assiria. Come Giobbe, questo santo personaggio, diede prova di costanza e di fedeltà a Dio in mezzo a tutte le sue afflizioni. « Non abbandonò mai la via della verità, distribuendo ogni giorno quanto poteva avere ai fratelli e a quelli della sua nazione, che con lui erano in prigionia e, quantunque egli fosse il più giovane nella tribù di Nephtali, nulla di puerile riscontravasi nei suoi atti ». I l Salmo dell’Introito può essergli applicato, poiché parla di un adolescente che fin dai suoi più teneri anni ha camminato nella legge del Signore. Fino dagli anni della sua fanciullezza, dice la Sacra Scrittura, « Tobia osservava ogni cosa conformemente alla legge di Dio. Sposata una donna della sua tribù, per nome Anna, ne ebbe un figlio cui diede il proprio nome e al quale insegnò fin dall’infanzia a temere Iddio e ad astenersi da ogni peccato. Condotto prigioniero a Ninive, Tobia di tutto cuore si ricordò di Dio, visitando gli altri prigionieri e dando loro buoni consigli, consolandoli e distribuendo a tutti del proprio avere, secondo quello che poteva. Nutriva chi aveva fame, vestiva quelli che erano nudi, e seppelliva con cura quelli che erano morti o che erano stati uccisi ». Dio permise che venisse cieco, affinché la sua pazienza servisse di esempio alla posterità come quella del sant’uomo Giobbe. « Avendo sempre temuto il Signore fin dalla sua infanzia ed avendo osservato i suoi comandamenti, non si rattristò contro Dio per essere stato colpito da questa cecità, ma rimase fermo nel timore di Dio, rendendogli grazie tutti i giorni della sua vita ». « Noi siamo figli dei santi, soleva dire, e attendiamo quella vita che Dio deve dare a coloro che non hanno mai cambiato la loro fede verso di Lui ». E poiché sua moglie insultava alla sua disgrazia, Tobia proruppe in gemiti e cominciò a pregare con lagrime (Allel.), dicendo parole che sono identiche a quelle dell’Introito: «Tu sei giusto, Signore, tutti i giudizi tuoi sono equi e tutti i tuoi disegni sono misericordiosi. Ed ora, o Signore, trattami secondo la tua volontà ». E, parlando a suo figlio Tobia, disse: « Figlio mio, abbi sempre in mente Dio tutti i giorni della tua vita, e guardati bene dall’acconsentire ad alcun peccato. Fa’ elemosina dei tuoi beni e non distogliere il tuo volto dal povero. Sii caritatevole in quel grado che puoi e quello che ti dispiacerebbe fosse fatto a te, guardati bene dal farlo ad altri ». Questo precetto dell’amore di Dio e del prossimo e la sua attuazione sono inculcati dall’Epistola e dal Vangelo: « Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, tutta l’anima tua e tutto il tuo spirito, e il prossimo tuo come te stesso » (Vang.). « Camminate in umiltà, dolcezza e pazienza, sopportandovi a vicenda con carità, sforzandovi di mantenere l’unità di spirito nei vincoli della pace » (Ep.). Tobia mandò suo figlio presso Gabelo a Rages, sotto la guida dell’Arcangelo Raffaele. Per via, l’Angelo disse a Tobiolo di prendere un pesce che lo aveva voluto divorare e di serbarne il fegato per scacciare ogni specie di demoni e gli indicò inoltre il mezzo per prendere in moglie Sara, senza che il demonio, che aveva già uccisi i suoi primi sette mariti, potesse fargli del male. « Il demonio, spiegò l’Arcangelo, ha potere su coloro che nel contrar matrimonio bandiscono Dio dal loro cuore e ad altro non pensano se non a soddisfare la loro passione ». L’Orazione prega Iddio di dare al suo popolo la grazia di evitare i contatti diabolici, « affinché possa con puro cuore essere unito a te solo che sei il suo Dio ». « Come figli di Dio, noi non possiamo, dissero Tobia e Sara, sposarci come pagani, che non conoscono Dio », e « pregarono insieme istantemente il Signore che ha fatto il cielo e la terra, il mare, le sorgenti ed i fiumi con tutte le creature che contengono ». E Dio « benedisse il loro matrimonio, come aveva benedetto quello dei patriarchi, affinché essi avessero dei figli della stirpe di Abramo » (Graduale). Tobia ritornò con Sara e guarì suo padre dalla cecità e questi allora intonò un cantico di ringraziamento, una specie di Benedictus o di Magnificat, nel quale scoprì le grandiose aspettative messianiche: « Gerusalemme tu castigata per le sue opere malvagie, ma essa brillerà di fulgida luce e si rallegrerà nei secoli dei secoli. Dai lontani paesi verranno verso lei le nazioni, portandole delle offerte e adoreranno in essa il Signore. Maledetti saranno coloro che la disprezzeranno e quelli che la bestemmieranno saranno condannati. Beati, continua egli, coloro che ti amano! lo sarò felice se qualcuno della mia stirpe sopravvivrà per vedere lo splendore di Gerusalemme. Le sue porte saranno di zaffiri e di smeraldi e tutta la cinta delle sue mura sarà di pietre preziose. Tutte le pubbliche piazze saranno lastricate di pietre bianche e pure e nelle stradi si canterà: Alleluia. La rovina di Ninive è vicina, poiché la parola di Dio non resta senza effetto ». È questo il « cantico nuovo che troviamo nel Salmo del Graduale « Dio è fedele alla sua parola; Egli dissipa i progetti delle nazioni e rovescia i consigli dei principi. Beato il popolo che Egli ha scelto per suo retaggio. Palesa, o Signore, la tua misericordia su di noi, secondo la speranza che abbiamo posta in te ». E il Salmo del Communio aggiunge: « Dio ha infranto tutte le forze nemiche, i re superbi sono stati abbattuti e i loro eserciti distrutti. Offrite dunque sacrifizi di ringraziamento a questo Dio terribile », poiché, continua l’Offertorio, « Egli ha gettato uno sguardo favorevole sul popolo in favore del quale il suo Nome è stato invocato ». – Gerusalemme, ove il popolo di Dio regna e ove affluiscono tutte le nazioni per lodare il Signore, è il regno di Dio, è la Gerusalemme celeste. Tutti vi sono chiamati con una comune vocazione a formarvi « un solo corpo », la Santa Chiesa, che è una nuova creazione, dice S. Gregorio Magno, e che è animata da « un solo Spirito, una sola speranza, un solo battesimo e una sola fede in un solo Signore » (Epistola). È Gesù Cristo, Figlio di Dio e Figlio di David, che il « Dio unico e Padre di tutti gli uomini, ha fatto sedere alla sua destra fino al giorno in cui tutti i suoi nemici, vinti, saranno sgabello ai suoi piedi ». Questo Dio « sia benedetto nei secoli dei secoli » (Epistola). – L’unità della nostra fede, del nostro battesimo e delle nostre speranze, come pure dello Spirito Santo, di Cristo e di Dio Padre, dice S. Paolo, fa a tutti noi un dovere di essere uniti dai vincoli della carità, sopportandoci a vicenda.

Il comandamento di Dio di amare il prossimo è simile a quello che ci fa amare Dio, poiché è per amor suo che amiamo il prossimo. « Doppio è il comandamento, dichiara S. Agostino, ma una è la carità ». E per consolidare il suo insegnamento agli occhi dei farisei, Gesù Cristo dà loro, in un testo di David, una prova della sua divinità. Dobbiamo dunque, nella fede e nell’amore, essere uniti a Cristo Gesù. « Interrogato circa il primo comandamento, Gesù rivela il secondo, che non è inferiore al primo, facendo loro comprendere che lo interrogavano soltanto per odio, poichéla carità non è invidiosa » (I Cor. XIII, 4). Egli dimostra inoltre il suo rispetto per la legge ed i profeti. Dopo aver risposto, Cristo interrogò a sua volta, e dimostra che pur essendo figlio di David, ne è il Signore, essendo Egli il Figlio unico del Padre, e li spaventa dicendo che un giorno avrebbe trionfato su tutti coloro che si oppongono al suo regno, poiché Iddio farà dei suoi nemici sgabello ai suoi piedi. Con ciò dimostra la concordia e l’unione che esiste fra Lui e il Padre » (S. Giov. Crisostomo – Mattutino).

Incipit

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Adjutórium nostrum in nómine Dómini.
R. Qui fecit cælum et terram.
Confíteor Deo omnipoténti, beátæ Maríæ semper Vírgini, beáto Michaéli Archángelo, beáto Joánni Baptístæ, sanctis Apóstolis Petro et Paulo, ómnibus Sanctis, et vobis, fratres: quia peccávi nimis cogitatióne, verbo et ópere: mea culpa, mea culpa, mea máxima culpa. Ideo precor beátam Maríam semper Vírginem, beátum Michaélem Archángelum, beátum Joánnem Baptístam, sanctos Apóstolos Petrum et Paulum, omnes Sanctos, et vos, fratres, oráre pro me ad Dóminum, Deum nostrum.
S. Misereátur nostri omnípotens Deus, et, dimíssis peccátis nostris, perdúcat nos ad vitam ætérnam.
R. Amen.
S. Indulgéntiam, absolutiónem et remissiónem peccatórum nostrórum tríbuat nobis omnípotens et miséricors Dóminus.
R. Amen.

V. Deus, tu convérsus vivificábis nos.
R. Et plebs tua lætábitur in te.
V. Osténde nobis, Dómine, misericórdiam tuam.
R. Et salutáre tuum da nobis.
V. Dómine, exáudi oratiónem meam.
R. Et clamor meus ad te véniat.
V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.

Introitus

Ps CXVIII: 137;124
Justus es, Dómine, et rectum judicium tuum: fac cum servo tuo secúndum misericórdiam tuam.

[Tu sei giusto, o Signore, e retto è il tuo giudizio; agisci col tuo servo secondo la tua misericordia.]

Ps CXVIII: 1
Beáti immaculáti in via: qui ámbulant in lege Dómini.

[Beati gli uomini retti: che procedono secondo la legge del Signore.]

Justus es, Dómine, et rectum judicium tuum: fac cum servo tuo secundum misericórdiam tuam.

[Tu sei giusto, o Signore, e retto è il tuo giudizio; agisci col tuo servo secondo la tua misericordia.]

Kyrie

S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Christe, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.

Gloria

Glória in excélsis Deo. Et in terra pax homínibus bonæ voluntátis. Laudámus te. Benedícimus te. Adorámus te. Glorificámus te. Grátias ágimus tibi propter magnam glóriam tuam. Dómine Deus, Rex cæléstis, Deus Pater omnípotens. Dómine Fili unigénite, Jesu Christe. Dómine Deus, Agnus Dei, Fílius Patris. Qui tollis peccáta mundi, miserére nobis. Qui tollis peccáta mundi, súscipe deprecatiónem nostram. Qui sedes ad déxteram Patris, miserére nobis. Quóniam tu solus Sanctus. Tu solus Dóminus. Tu solus Altíssimus, Jesu Christe. Cum Sancto Spíritu ✠ in glória Dei Patris. Amen.
Oratio

Oremus.
Da, quǽsumus, Dómine, populo tuo diabólica vitáre contágia: et te solum Deum pura mente sectári.

[O Signore, Te ne preghiamo, concedi al tuo popolo di evitare ogni diabolico contagio: e di seguire Te, unico Dio, con cuore puro.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Ephésios.
Ephes IV: 1-6

 “Fatres: Obsecro vos ego vinctus in Dómino, ut digne ambulétis vocatióne, qua vocáti estis, cum omni humilitáte et mansuetúdine, cum patiéntia, supportántes ínvicem in caritáte, sollíciti serváre unitátem spíritus in vínculo pacis. Unum corpus et unus spíritus, sicut vocáti estis in una spe vocatiónis vestræ. Unus Dóminus, una fides, unum baptísma. Unus Deus et Pater ómnium, qui est super omnes et per ómnia et in ómnibus nobis. Qui est benedíctus in sæcula sæculórum. Amen.”

[“Fratelli: Io prigioniero nel Signore vi scongiuro che abbiate a diportarvi in modo degno della vocazione, cui siete stati chiamati, con tutta umiltà e mansuetudine, con pazienza, sopportandovi con carità scambievole, solleciti di conservare l’unità dello spirito nel vincolo della pace. Un sol corpo e un solo spirito, come siete stati chiamati a una sola speranza per la vostra vocazione. Un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo. Un solo Dio e Padre di tutti, che è sopra tutti, che opera in tutti, che dimora in tutti. Egli sia benedetto nei secoli dei secoli. Così sia.”]

LA VOCAZIONE.

Come sono solenni e dense di significato le poche battute con cui si apre il brano domenicale della Epistola agli Efesini! Vi scongiuro, — dice l’Apostolo, e perché lo scongiuro sia più efficace e commovente, si chiama prigioniero di Dio (in Dio), — a camminare degnamente in quella che è la vostra vocazione. E il pensiero corre subito alla «vocazione » di Cristiani, quali erano proprio e tutti i suoi primi, immediati lettori. C’è sotto alle parole dell’Apostolo, una grande, una nobilissima idea di questa vocazione cristiana. È Iddio che chiama i suoi figli dalle tenebre del paganesimo, dalla penombra della religione naturale, alla luce del Cristianesimo. Ogni Cristiano è un chiamato da Dio. Molti lo hanno dimenticato, lo dimenticano. Credono che l’essere Cristiani sia la cosa più naturale del mondo: che si nasca Cristiani come si nasce bimani o bipedi, che la vocazione sia un privilegio di pochi, e precisamente di quei pochi che si avviano al Sacerdozio, oppure entrano in un Monastero. Idee piccole e false. Dio ci ha chiamati, tutti e ciascuno, noi Cristiani alla Religione nostra, al Cristianesimo, al Vangelo che è e rimane una grazia! Ci vuole Lui Cristiani. Manda i Suoi apostoli a battezzarci, a istruirci, a convertirci. Nobilissima vocazione, perché Dio ci chiama nel Cristianesimo mercè del Battesimo, ci chiama ad essere suoi figlioli: «ut fili Dei nominemur et simus. » Basta pronunciare bene, sillabando, meditando, questa parola fili Dei, per capire l’altezza di questa dignità e la gravità degli obblighi che ne conseguono. Bisogna rendersi, in qualche modo, degni del nome e del carattere di figli, ricevuti nel Santo Battesimo, con la bontà delle opere. Bisogna vivere da figli di Dio; vivere veramente da buoni Cristiani. C’è qui tutto un programma, riassunto ancor più largamente nelle parole di un Santo Pontefice, grande anima romana e cristiana, San Leone Magno: — Riconosci, o Cristiano, la tua dignità, e, diventato partecipe della natura divina (non è forse il figlio della stessa natura del padre?) non volere con una condotta degenere tornare all’antica bassezza e viltà. — Sentiamola questa dignità di Cristiani oggi meglio d’allora, oggi dopo quasi duemila anni di esperienza, dopo che, con la loro vita, milioni di Santi e di Eroi, ci hanno mostrato che cosa può produrre di eroico il Vangelo in un’anima, in una società. Diventare Cristiani col Battesimo, oggi, vuol dire ricevere una eredità gloriosa di bene, inserirsi in una corrente luminosa, calda, satura di ciò che vi è al mondo di più sacro e più augusto. E ciò non toglie che ciascuno di noi abbia anche una vocazione, una destinazione, una destinazione provvidenziale in un altro senso. Perché ognuno è chiamato poi dal Padre a servirLo in modo speciale.

Nella Casa del Padre, ci sono molte mansioni, o funzioni, come in tutte le case bene ordinate, e ciascuno ha la sua, e tutte sono materialmente diverse ma tutte sono spiritualmente belle e nobili, perché nulla è ignobile nella casa del Padre Celeste, Iddio. E noi dobbiamo stare al nostro posto, fedeli e valorosi come soldati che montano la guardia, e lavorano, e combattono, sapendo di contribuire veramente a una sola, grande vittoria: la vittoria di Dio.

P. G. Semeria: Le epistole delle Domeniche, Op. naz. Per il mezzogiorno d’Italia, Milano, 1939.

(Nihil obstat sac. P. De Ambroggi – Imprim. P. Castiglioni vic. Gen. Curia Arch, Mediolani, 1-3-1938)

Graduale

Ps XXXII: 12;6
Beáta gens, cujus est Dóminus Deus eórum: pópulus, quem elégit Dóminus in hereditátem sibi.

[Beato il popolo che ha per suo Dio il Signore: quel popolo che il Signore scelse per suo popolo.]

Alleluja

Verbo Dómini cœli firmáti sunt: et spíritu oris ejus omnis virtus eórum. Allelúja, allelúja

[Una parola del Signore creò i cieli, e un soffio della sua bocca li ornò tutti. Allelúia, allelúia]
Ps CI: 2
Dómine, exáudi oratiónem meam, et clamor meus ad te pervéniat. Allelúja.

[O Signore, esaudisci la mia preghiera, e il mio grido giunga fino a Te. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia sancti Evangélii secúndum Matthæum.
Matt. XXII: 34-46

“In illo témpore: Accessérunt ad Jesum pharisæi: et interrogávit eum unus ex eis legis doctor, tentans eum: Magíster, quod est mandátum magnum in lege? Ait illi Jesus: Díliges Dóminum, Deum tuum, ex toto corde tuo et in tota ánima tua et in tota mente tua. Hoc est máximum et primum mandátum. Secúndum autem símile est huic: Díliges próximum tuum sicut teípsum. In his duóbus mandátis univérsa lex pendet et prophétæ. Congregátis autem pharisæis, interrogávit eos Jesus, dicens: Quid vobis vidétur de Christo? cujus fílius est? Dicunt ei: David. Ait illis: Quómodo ergo David in spíritu vocat eum Dóminum, dicens: Dixit Dóminus Dómino meo, sede a dextris meis, donec ponam inimícos tuos scabéllum pedum tuórum? Si ergo David vocat eum Dóminum, quómodo fílius ejus est? Et nemo poterat ei respóndere verbum: neque ausus fuit quisquam ex illa die eum ámplius interrogare”.

[“In quel tempo, accostandosi i Farisei a Gesù, avendo saputo com’Egli aveva chiusa la bocca ai Sadducei, si unirono insieme: e uno di essi, dottore della legge, lo interrogò per tentarlo: Maestro, qual è il gran comandamento della legge? Gesù dissegli: Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, e con tutta l’anima tua, e con tutto il tuo spirito. Questo è il massimo e primo comandamento. Il secondo poi è simile a questo: Amerai il prossimo tuo come te stesso. Da questi due comandamenti pende tutta quanta la legge, e i profeti. Ed essendo radunati insieme i Farisei, Gesù domandò loro, dicendo: Che vi pare del Cristo, di chi è egli figliuolo? Gli risposero: di Davide. Egli disse loro: Come adunque Davide in ispirito lo chiama Signore dicendo: Il Signore ha detto al mio Signore: Siedi alla mia destra, sino a tanto che io metta i tuoi nemici per sgabello ai tuoi piedi? Se dunque Davide lo chiama Signore, come è Egli suo figliuolo? E nessuno poteva replicargli parola; né vi fu chi ardisse da quel dì in poi d’interrogarlo”.]

Omelia

(G. Colombo: Pensieri sui Vangeli e sulle feste del Signore e dei Santi; VI  ediz. Soc. Ed. Vita e pensiero – Milano).

CHE VE NE PARE DI CRISTO?

I sadducei e i farisei erano giunti a tentare Gesù. Il Maestro, con poche ma ardenti parole, ribatté ogni loro ragionamento, poi, Egli stesso rivolse a’ suoi tentatori una terribile domanda: « Che ve ne pare di Cristo? Di chi è Figlio? ». Qualcuno ardì rispondere: « Di Davide ». Gesù incalzò: « Di Davide, tu dici? Allora, e perché Davide lo chiama suo Signore? ». Più nessuno osò fiatare. A noi, venuti venti secoli dopo, il Maestro rivolge la medesima domanda: « Quid vobis videtur de Christo? ». Cosa che fa stupire: oggi, in cui si parla di fratellanza universale; in cui, senza filo, possiamo comunicare da un estremo altro della terra; in cui, sorpassato ogni confine di monte e di mare, l’uomo in poche ore vola sopra le nazioni e congiunge i continenti, basta rivolgere questa domanda: « che ve ne pare di Cristo » per mettere gli uomini in contraddizione tra loro. Aveva ragione, il candido vecchio che nel tempio aveva consumato la sua vita aspettando il Messia, quando, stringendolo tra le braccia, esclamava: « Ecco il segno della contraddizione: e molti avranno per lui la vita, e molti avranno per lui la morte ». Gesù stesso dirà di sé la medesima cosa: « Venni al mondo per un giudizio: quei che non hanno la vista l’acquisteranno, quei che hanno la vista la perderanno » (Giov. IX, 39). E voleva dire che le anime umili saranno da Cristo illuminate, mentre i superbi da lui saranno accecati. Il crocifisso che domina il mondo, che domina i troni e le potenze della terra, come già una volta sul Calvario è il segno della divisione. Chi lo bestemmia, chi lo ignora, chi lo contempla con amore. « Quid vobis videtur de Christo? ». A questa domanda gli uomini rispondono in un triplice modo: odio, ignoranza, amore. – 1. ODIO. Un giorno del 1797, un ufficiale, passando non lontano dalla città d’Aosta, incontrò nel fondo di una torre in rovina, un disgraziato che vi dimorava da anni, privo d’ogni compagnia. « Che fate qui? » disse il militare. « Sono gli uomini, che non mi possono vedere » gemette l’infelice. Dopo aver scambiate alcune parole, l’ufficiale gli domandò il suo nome. « Il mio nome? » rispose il solitario « ah, il mio nome è terribile. Mi chiamano il Lebbroso ». Cristiani! Io conosco qualcuno che fin nell’ultimo villaggio trascorre i suoi giorni nella solitudine, dove l’odio degli uomini cerca di confinarlo. Se domandate il suo nome, quello che un Angelo portò dal cielo per lui, è Gesù; ma in terra, l’hanno chiamato con un nome terribile: il Lebbroso. Tale, infatti, lo vide il profeta… putavimus eum quasi leprosum. (Is., LIII, 4). E della sua storia si può dire quanto l’ufficiale diceva di quello d’Aosta: « È una lacrima, una lacrima continua ». — In antico, quando all’alba un lebbroso si lasciava sorprendere presso l’abitato, tutti, urlando, lo cacciavano a sassate. Ed a sassate i nemici della religione hanno cercato d’allontanare Cristo dalla società. E lo hanno cacciato dai comuni, ove insegnava a reggere i popoli: e via l’hanno cacciato dalle scuole ove benediceva la crescente gioventù; e via l’hanno cacciato dai tribunali, ove insegnava la giustizia. Perfino dagli ospedali l’hanno cacciato via, dove gli infermi lo cercavano sulle squallide pareti perché lenisse il loro dolore. — In antico, quando un lebbroso s’avvicinava, per bisogno, agli uomini, doveva segnalare la sua venuta col suono della raganella, e chiunque lo udiva, correva lontano, temendo il contagio. Oggi, quando Gesù esce come Viatico dei morenti nelle vie dei nostri paesi, e il chierichetto davanti l’annunzia col suono del campanello, ecco ripetersi l’antica scena di obbrobrio; tutti fuggono, tutti deviano, tutti, se possono, si nascondono dietro i portoni, per non vederlo, per non salutarlo: il Lebbroso! — « Le mie delizie sono tra i figliuoli degli uomini » ha detto il Signore; ma i figliuoli degli uomini ripetono l’urlo di Voltaire: « schiacciamo l’infame »; e i figliuoli degli uomini l’hanno scomunicato dalla loro società. E Gesù è costretto a ritirarsi in solitudine, perché le bestemmie e il turpiloquio offendono pubblicamente le sue sante orecchie, perché una moda sfacciata e scandalosa, ad ogni passo, offende la sua purissima pupilla, quella che pur guardando convertiva i cuori; è costretto a ritirarsi dalle nostre case e dai nostri cuori perché sono diventati luoghi di peccato. « Quid vobis videtur de Christo? ». — Via! via! crucifiggilo — rispondono gli uomini. – 2. IGNORANZA. Quando Giovanni cominciò a battezzare sulle rive del Giordano, a tutti balenò il sospetto ch’egli fosse il Messia. I Giudei da Gerusalemme mandarono una legazione di sacerdoti e di leviti a interrogarlo. Ma il Battista rispose: « Ecco il Messia è già tra voi: e non lo sapete ». Medius vestrum stetit quem vos nescitis (Giov., I, 26). Questo è il rimprovero che meriterebbero ancora non pochi Cristiani. Dite a loro: « Che ve ne pare di Cristo? ». Sgranerebbero gli occhi come a rispondere: « E che ce ne importa? ». Vivono perciò nell’indifferenza della religione, e quando hanno soddisfatto alle brame del loro corpo, non desiderano più nulla. Cristo è venuto sulla terra e per trent’anni col suo esempio, e per tre anni con la sua parola ci ha istruiti: e ci ha detto chi è Dio e quanto ci ama e che vuole da noi e come si fa ad amarlo e servirlo. Ma gli uomini, che pur sanno tante e tante cose per il loro corpo, non sanno nulla per la loro anima. E non desiderano di sapere, anzi non vogliono sapere; e il solo pensiero di ascoltare una predica, una spiegazione della dottrina cristiana, li fa morir di noia. Ignorano Cristo, perché ignorano il suo Vangelo. Cristo è venuto sulla terra nostra e ha istituito mirabili sacramenti, tra cui il sacramento del perdono, che da colpevoli ci ritorna innocenti, da maledetti ci fa figliuoli di Dio. Ha pure istituito il sacramento che nutrisce l’anima di un cibo soprasostanziale, che fortifica e santifica: questo cibo è la carne stessa, il sangue vero di Cristo nell’Eucaristia. Eppure, gli uomini non lo sanno, non vengono mai a confessarsi, a comunicarsi; solo qualche volta all’anno, e malamente. Ignorano Cristo, perché ignorano i suoi sacramenti. Cristo è venuto sulla terra nostra debole e bambino avvolto in panni, Lui che è Dio d’eserciti; è venuto nel freddo e nelle tenebre, Lui che ha creato il sole ed ogni fuoco; e pativa fame e sete, Lui che ha cibo per ogni uccello dell’aria e per ogni giglio della valle. E poi si lasciò tradire, e volle essere umiliato, crocefisso. Eppure, gli uomini ignorano tutto questo, perché non amano che i piaceri dei sensi, le ricchezze del mondo, il cibo e le vesti. Ignorano Cristo, perché non sanno quanto Cristo ha patito per loro. Perciò ha detto bene S. Giovanni (I, 10) in principio del suo Vangelo: « In mundo erat et mundus eum non cognovit ». – 3. AMORE! Fortunatamente però ci furono e ci sono anime che alla domanda: « Quid vobis videtur de Christo », rispondono: « Amore ». Da quel giorno che Pietro ruppe in quel grido: « Tu sei il Cristo, Figlio di Dio, » una lunga schiera d’anime sante hanno saputo rendere a Cristo testimonianza vera, con sacrificio e con sangue, e soprattutto con amore. Furono dapprima i martiri che morivano per Lui; pallidi e sanguinanti, tra la vita e la morte, il loro ultimo palpito era, sempre l’amore di Cristo. È santa Caterina d’Alessandria che davanti ai sapienti parla di Gesù; e poiché tentavano di persuaderla ch’era follia, lei ricca e giovane, adorare un povero ed oscuro Nazareno, la coraggiosa fanciulla gridò: « Cristo è Dio; e chi crede in Lui vivrà anche se muore ». E porse il suo vergine corpo ai tormenti del martirio. Vennero poi i vergini e le vergini che per amore di Gesù, rinunziarono ad ogni amore terreno. È sant’Agnese che alla profferta di un giovane nobile e potente rispose ch’ella amava il Signore con tanta forza che più non le restava amor di creatura. È S. Filippo Neri che nella festa di Pentecoste fu preso da un impeto d’affetto così forte per Gesù Cristo, che il suo cuore non seppe contenersi e ruppe due coste. È S. Teresa che nel monastero d’Avila vide un serafino che le punse il cuore con un dardo d’oro dalla punta infuocata: e da quel giorno non visse che per celeste ardore. Desiderava di morir mille volte per convertire i peccatori; piangeva sulla iniquità degli uomini e si flagellava per ripararle; era insaziabile di dolore e ripeteva sotto i portici del chiostro: O patire o morire. In fine, consumata dal fuoco divino in Alba di Termez morì d’amore per Cristo. Anche ai nostri tempi vivono di queste anime generose e sante, e non sono appena frati e monache; ma anche giovani, come Domenico Savio che preferiva la morte ma non il più piccolo peccato; ma anche uomini, come il professore Contardo Ferrini che si ebbe gli onori dell’altare. E noi, noi che cosa ne pensiamo di Cristo? A parole, certo, tutti diciamo che è Figlio di Dio: ma coi fatti, con la vita nostra quotidiana, che cosa pensiamo di Cristo? – Nella notte della passione, il principe dei sacerdoti osò domandare a Cristo cosa egli pensasse di sé. « Ti scongiuro, per Dio vivo, se tu sei figlio di Dio, dillo! ». E Gesù rispose: « L’hai detto ». Allora il principe dei sacerdoti si stracciò i vestimenti. Cristo aggiunse: « Verrà giorno e mi vedrai, seduto alla destra di Dio, giudicare dalle nubi i vivi ed i morti ». In questa vita, come già l’ipocrita Caifa, possiamo pensare quel che vogliamo noi di Cristo. È libero calunniarlo; è libero avvoltolarci nella polvere e nel fango dei vizi, stracciare coi peccati la veste dell’anima che è la grazia santificante. Ma quando lo vedremo sulle nubi, nella maestà, tra gli Angeli, calare verso noi a giudicarci, che cosa potremo pensare di Lui, allora? — CHI È GESÙ CRISTO. Questa volta, con una domandetta, Gesù mette in imbarazzo i farisei ed i sapientoni della legge che erano venuti in frotta per tentarlo. « Che cosa pensate del Cristo — domandò il Maestro divino. — Di chi è figlio? « Di Davide. — risposero ad una voce. — È un discendente della stirpe di Davide ». « Ditemi, allora — soggiunse Gesù, — se è figlio di Davide, perché Davide, pensando a lui non ancor nato, lo ha chiamato: mio Signore? ». Tutti tacevano smarriti nella difficoltà, che non era difficoltà da poco: un monarca indipendente, come era Davide, non riconosceva nessun signore o padrone fuori di Dio. Come mai aveva dato il titolo di Signore a un suo discendente?… I Farisei, i sapientoni della legge, silenziosi e mogi chinarono la testa, e da quel giorno, dice il Vangelo, furono più guardinghi nell’interrogare Gesù! Ma non è questa l’unica figura inflitta alla superbia e all’ignoranza di simil gente. Diceva un’altra volta Gesù: « Il padre vostro Abramo ha sospirato di vedermi nascere: la mia esistenza gli fu manifestata, mi vide e ne tripudiò ». A sentirlo parlare così, i Giudei restarono sbalorditi. « Son secoli e secoli che Abramo è morto, e tu, che non hai cinquant’anni, hai veduto Abramo? ». « In verità ve lo dico: io esisto prima ancora di Abramo ». Per la rabbia i Giudei non ci videro più: gli risposero a sassate come fosse un bestemmiatore. Ma chi è questo Cristo? È figlio di Davide; e Davide lo chiama suo Signore. È nato molti secoli dopo Abramo; ed esiste prima d’Abramo. Nasce da una donna, ma questa donna è, e rimane, vergine. Gli fa da cuna la greppia d’una stalla come fosse figlio di zingari; ma sopra la stalla viene un astro che guida tre re dall’Oriente a’ suoi piedi. Cresce nella bottega d’un falegname, ma, dodicenne appena, ne sa da meravigliare i dottori di Gerusalemme. Si fa battezzare nel Giordano da Giovanni Battista come fosse un peccatore; ma dal cielo discende la voce di Dio: — È il mio figlio diletto. Cammina come un pellegrino per le strade dei paesi. È stanco lui ma fa camminare gli storpi e i paralitici; ha gli occhi pieni di polvere lui, ma dà la vista ai ciechi; ha fame lui, ma dà pane e companatico a tutta una folla. Va in barca sul lago come un pescatore: non ne può più dal sonno e s’addormenta mentre i suoi discepoli lottano contro la burrasca: un momento dopo si sveglia e con un gesto appiana il lago e spezza le ali del vento. Davanti al cadavere d’un suo amico, anche lui piange lacrime amare! Ma poi con un grido lo risuscita. Nel giardino degli ulivi si lascia legare da una turma di soldati e di servi; ma prima li rovescia al suolo, senza toccarli; pronunciando il suo Nome. Sulla croce muore spasimando, come un uomo qualsiasi: ma il sole si oscura, la terra trema, il velo del tempio si scinde da un capo all’altro; s’aprono le tombe e i morti camminano. Chi è dunque Cristo? È Dio?… Ma Dio non nasce, perché è eterno. Dio non si stanca, non può aver fame, non può aver sete, non può soffrire, non può morire. È uomo?… Ma gli uomini non danno la vista ai ciechi, non guariscono subitamente la lebbra, non gettano a terra con una parola una compagnia di soldati, non placano i temporali, non fanno tremare la terra, non risuscitano, dopo tre giorni, dal sepolcro. Ma chi è dunque Cristo? Ciò che i Giudei non sapevano spiegare, ciò che nella loro superbia non volevano credere, noi Cristiani lo sappiamo e lo crediamo: Gesù Cristo è Dio e Uomo; vero Dio e vero uomo; Dio uguale al Padre Eterno e allo Spirito Santo. Uomo uguale a ciascuno di noi fuor che nel peccato. Come Dio è Signore di Davide, esisteva prima di Abramo; come Uomo è figlio di Davide, è nato dopo Abramo. Sono forse un po’ difficili da capire queste cose; ma è necessario saperle; e s’io non ve le predicassi farei ingiuria alla bontà di Dio che s’è degnata rivelarcelo. Ma si può forse essere Cristiani, senza conoscere chi è Gesù Cristo? Lasciate adunque che vi parli del nostro Redentore e vi dica: — Gesù Cristo è il Figlio di Dio che si è fatto Uomo, perché l’uomo si facesse figlio di Dio (Galat., IV, 4-5). – 1. FIGLIO DI DIO SI È FATTO UOMO. a) Il Figlio di Dio. Dio è uno solo: eterno, immenso, perfettissimo, Creatore e Signore dell’Universo. In questo unico Dio ci sono tre Persone distinte e uguali: il Padre da cui è generato il Figlio; dal Padre e dal Figlio spira un Amore infinito che è lo Spirito Santo. Padre, Figlio, Spirito Santo sono un Dio solo. O beata Trinità, io vi adoro! Offeso da Adamo, Dio maledisse tutti gli uomini e più nessuno doveva salvarsi. Era necessario che qualcuno chiedesse perdono a Dio ed espiasse per gli uomini! Espiare! L’ingiuria di Dio era infinita ed esigeva un’espiazione infinita che l’uomo non può dare: ci voleva dunque un Dio. Espiare! Qualsiasi espiazione avviene attraverso il patimento che Dio non sa provare perché eternamente beato: ci voleva dunque un uomo; ma un Uomo che fosse anche Dio. Ed allora ecco il Figlio di Dio prendere la nostra carne e farsi uomo. Gesù il Dio-Uomo: come Uomo poteva patire, e come Dio il suo patimento acquistava valore di una espiazione infinita. b) Si è fatto Uomo. Quando giunse la pienezza dei tempi, un Angelo discese in una cittaduzza di Galilea, e si diresse verso un’umile casa dove una fanciulla era entrata sposa da poco. E quella fanciulla si chiamava Maria. « Ave, o piena di grazia: il Signore è teco, benedetta tu fra le donne. Concepirai un Figlio che è Figlio dell’Altissimo ». « Come è possibile, se io non conosco uomo? ». « Per opera dello Spirito Santo, e non d’uomo diverrai Madre di Dio; e resterai sempre vergine ». Or udite un esempio della Storia Sacra. Un giorno afoso di mietitura, ad una donna di Sunam portarono in casa l’unico figliolo suo moribondo. « Mi duole il capo! — Mi duole il capo » gemeva in deliquio e morì. La madre presa da turbine di dolore, fugge al monte Carmelo in cerca del profeta Eliseo. « Viva il Signore, e viva l’anima tua! — singhiozzava la madre — io non ti lascerò se non vieni con me ». Il profeta la segue a casa, dove era il fanciullo morto. Entrato, chiuse la porta dietro di sé e pregò il Signore; poi ascese sul letto si distese sopra il fanciullo; pose la sua bocca sulla bocca di lui, i suoi occhi sugli occhi di lui, le sue mani sulle mani di lui, tutto il suo corpo vivo su quel corpo morto. La carne del fanciullo si riscaldò. Chiamò la donna di Sunam e le disse « Prendi, il tuo figlio è vivo » (IV Re, IV). Il fanciullo morto è immagine dell’umanità dopo il peccato originale, morta alla grazia e alla vita soprannaturale. Il profeta Eliseo è immagine del Figlio di Dio che viene a risuscitarla. L’unione di Dio con l’umanità avvenne nel seno verginale di Maria. Fu là che il Verbo si è fatto carne, che il Figlio di Dio si è fatto Figlio dell’uomo: fu là che l’Infinito si è ristretto sopra le piccole membra d’un bambino; l’Altissimo si è curvato sopra il morto che giaceva: ha posto i suoi occhi che avevano visto lo splendore del Padre sopra gli occhi umani senza luce, ha posto la sua bocca divina sopra la bocca umana muta, ha posto le sue mani creatrici del cielo e delle stelle, sopra le piccole mani peccatrici dell’umanità. Insomma, nel seno di Maria la Natura Divina si è misteriosamente congiunta alla natura umana, restando però sempre una sola Persona, la seconda Persona della Santissima Trinità. Ecco Gesù Cristo chi è. S. Bernardo passava delle giornate meditando questo mistero dell’Incarnazione e si trovava l’anima piena di dolcezza. Suaviter rumino ista, et replentur viscera mea. Noi non ci pensiamo mai. – 2. PERCHÈ L’UOMO SI FACESSE FIGLIO DI DIO. Sono figli di un padre quelli che hanno ricevuto la vita dal padre, assomigliante a lui, sono gli eredi di lui. Ebbene Gesù Cristo ci ha portato la vita di Dio, la somiglianza con Dio, l’eredità di Dio. Con la sua Redenzione ha meritato per noi la grazia, la quale è una virtù misteriosa e divina che ci fa partecipi della vita del Signore, rende l’anima così bella che pare un ritratto del Signore, e ci dà il diritto di avere in morte le ricchezze del Signore, che sono in paradiso. Dunque, siam figli di Dio, Dio è nostro Padre. « Padre nostro che sei in cielo… ». Ma S. Giovanni dice che non tutti gli uomini divengono figli di Dio, ma solo quelli che ricevono Gesù Cristo. Quotquot autem receperunt eum… Gesù è la via, la verità, la vita; bisogna dunque accoglierlo come via, verità, vita. a) Ego sum via. L’uomo sapeva che il suo destino era di amare Dio e di andare al cielo. Ma come si doveva fare per amarlo, e quale strada si dovesse scegliere per arrivare a salvamento? Gesù con i suoi esempi ce l’ha insegnato. Ricordate il fatto di Venceslao re di Boemia? Camminava una notte, a piedi nudi, per una strada coperta di neve e dietro si conduceva un fidatissimo servo. Costui ad un tratto, intirizzito dal gelo, non ne poté più, e stava per cadere disperatamente. Ma il Re gli disse: « Metti i tuoi piedi dove io imprimo l’orma nella neve ». Così fece il servo, sentì assai meno il freddo, e poté giungere dove erano incamminati. Così ha fatto con noi Gesù: « Mettete i vostri piedi dove io ho messo i miei e non sbaglierete, perché Io sono la via ». Non nell’avarizia, non nella superbia, non negli odi, non nei piaceri dei sensi, il nostro Redentore ha messo i piedi divini!… E i nostri dove li mettiamo? b) Ego sum veritas. « Maestro, — gli diceva S. Pietro — tu solo hai parole di verità ». E l’Eterno Padre ha gridato a noi dal cielo: « Questo è il mio figlio diletto: ascoltatelo ». Gesù parla nelle prediche, insegna nella spiegazione della dottrina cristiana: l’ascoltiamo noi? Gesù parla per la bocca del Papa; solo il Papa e i Vescovi uniti con lui hanno le parole della verità: e noi trascuriamo di leggere e di sapere le parole del Papa e del Vescovo per ascoltar libri, giornali, persone piene di menzogne e di calunnie e di oscenità. c) Ego sum vita. « Io sono venuto a portare la vita e a portarne tanta ». Gesù parla qui, non della vita naturale, ma della vita soprannaturale, che ci renderà capaci di vedere e godere Dio. Ebbene se vogliamo questa vita divina dobbiamo stare uniti a Cristo come il tralcio sta unito alla vite, come i membri stanno uniti al capo. Quando bambini fummo portati a Battesimo, noi fummo inseriti nel corpo di Cristo, e la sua vita cominciò a fluire nell’anima nostra. Ma quando cadiamo in peccato mortale noi diventiamo fronde tagliate via dall’albero, diventiamo braccia tagliate dal corpo:… inaridire, marcire, bruciare, ecco il destino di coloro che sono staccati da Cristo. Con qual coraggio, Cristiani, si resta in così orribile condizione per mesi, per anni? – Chi è Gesù Cristo? è tutto; è via, è verità, è vita. Senza di Lui c’è lo smarrimento, c’è l’oscurità, c’è la morte. Una notte, tornando da Mattutino, santa Teresa e sua sorella Maria, attraversavano le viuzze oscure di Avila. Ad un tratto Teresa, in pieno buio, esclamò: « O sorella mia, sapessi quale cavaliere ci accompagna ne rimarresti incantata! ». « Chi dunque? » domandò la sorella. « Nostro Signore Gesù Cristo che porta la croce… ». Lo vedesse in quel momento o no, l’episodio ci dimostra come Gesù era tutto nella vita di questa santa. E deve essere anche nella nostra vita, altrimenti siamo falsi Cristiani. Nelle vie del dolore, nelle vie della gioia, nelle ore di fervore e in quelle di tentazione, da giovani e da vecchi, sempre in ogni circostanza ci accompagni il ricordo di Nostro Signore Gesù Cristo che porta la croce per la nostra salvezza.

IL CREDO

Offertorium

Orémus
Dan. IX: 17;18;19
Orávi Deum meum ego Dániel, dicens: Exáudi, Dómine, preces servi tui: illúmina fáciem tuam super sanctuárium tuum: et propítius inténde pópulum istum, super quem invocátum est nomen tuum, Deus.

[Io, Daniele, pregai Iddio, dicendo: Esaudisci, o Signore, la preghiera del tuo servo, e volgi lo sguardo sereno sul tuo santuario, e guarda benigno a questo popolo sul quale è stato invocato, o Dio, il tuo nome.]

Secreta

Majestátem tuam, Dómine, supplíciter deprecámur: ut hæc sancta, quæ gérimus, et a prætéritis nos delictis éxuant et futúri

[Preghiamo la tua maestà, supplichevoli, o Signore, affinché questi santi misteri che compiamo ci liberino dai passati e dai futuri peccati.]

Præfatio

V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.
V. Sursum corda.
R. Habémus ad Dóminum.
V. Grátias agámus Dómino, Deo nostro.
R. Dignum et justum est.

de sanctissima Trinitate
Vere dignum et justum est, æquum et salutáre, nos tibi semper et ubíque grátias ágere: Dómine sancte, Pater omnípotens, ætérne Deus: Qui cum unigénito Fílio tuo et Spíritu Sancto unus es Deus, unus es Dóminus: non in uníus singularitáte persónæ, sed in uníus Trinitáte substántiæ. Quod enim de tua glória, revelánte te, crédimus, hoc de Fílio tuo, hoc de Spíritu Sancto sine differéntia discretiónis sentímus. Ut in confessióne veræ sempiternǽque Deitátis, et in persónis propríetas, et in esséntia únitas, et in majestáte adorétur æquálitas. Quam laudant Angeli atque Archángeli, Chérubim quoque ac Séraphim: qui non cessant clamáre quotídie, una voce dicéntes:

[È veramente degno e giusto, conveniente e salutare, che noi, sempre e in ogni luogo, Ti rendiamo grazie, o Signore Santo, Padre Onnipotente, Eterno Iddio: che col Figlio tuo unigénito e con lo Spirito Santo, sei un Dio solo ed un solo Signore, non nella singolarità di una sola persona, ma nella Trinità di una sola sostanza. Cosí che quanto per tua rivelazione crediamo della tua gloria, il medesimo sentiamo, senza distinzione, e di tuo Figlio e dello Spirito Santo. Affinché nella professione della vera e sempiterna Divinità, si adori: e la proprietà nelle persone e l’unità nell’essenza e l’uguaglianza nella maestà. La quale lodano gli Angeli e gli Arcangeli, i Cherubini e i Serafini, che non cessano ogni giorno di acclamare, dicendo ad una voce:]

Sanctus, Sanctus, Sanctus Dóminus, Deus Sábaoth. Pleni sunt cæli et terra glória tua. Hosánna in excélsis. Benedíctus, qui venit in nómine Dómini. Hosánna in excélsis.

Preparatio Communionis

Orémus: Præcéptis salutáribus móniti, et divína institutióne formáti audémus dícere:

Pater noster,

qui es in cælis. Sanctificétur nomen tuum. Advéniat regnum tuum. Fiat volúntas tua, sicut in cælo et in terra. Panem nostrum quotidiánum da nobis hódie. Et dimítte nobis débita nostra, sicut et nos dimíttimus debitóribus nostris. Et ne nos indúcas in tentatiónem:
R. Sed líbera nos a malo.
S. Amen.

Agnus Dei

Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: dona nobis pacem.

Panem cæléstem accípiam, et nomen Dómini invocábo.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Ps LXXV: 12-13
Vovéte et réddite Dómino, Deo vestro, omnes, qui in circúitu ejus affértis múnera: terríbili, et ei qui aufert spíritum príncipum: terríbili apud omnes reges terræ.

[Fate voti e scioglieteli al Signore Dio vostro; voi tutti che siete vicini a Lui: offrite doni al Dio temibile, a Lui che toglie il respiro ai príncipi ed è temuto dai re della terra.]

 Postcommunio

Orémus.
Sanctificatiónibus tuis, omnípotens Deus, et vítia nostra curéntur, et remédia nobis ætérna provéniant.

[O Dio onnipotente, in virtù di questi santificanti misteri siano guariti i nostri vizii e ci siano concessi rimedii eterni.]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (1)

ORDINARIO DELLA MESSA

LO SCUDO DELLA FEDE (270)

P. Secondo FRANCO, D.C.D.G.,

Risposte popolari alle OBIEZIONI PIU’ COMUNI contro la RELIGIONE (13)

4° Ediz., ROMA coi tipi della CIVILTA’ CATTOLICA, 1864

CAPO XIII.

MISTERI

I. La mia ragione non può ammettere misteri. II. Involgono contraddizione. III. Che ragione può esservi per ammetterli?

La fede presenta varie sorta di verità da credere: alcune alle quali l’uomo non giungerebbe o giungerebbe a stento, ma che, dopo che sono rivelate, non hanno nulla che ripugni alla ragione, come sono, a cagione di esempio, le perfezioni di Dio, la creazione, i principii eterni della giustizia e della moralità: altre alle quali non solo mai giungerebbe l’uomo lasciato a sé stesso, ma che a che dopo rivelate non si possono intendere e si debbono solo credere piegando l’intelletto in ossequio della fede. Tali sono, a cagion di esempio, l’Unità e Trinità di Dio, l’Incarnazione del divin Verbo, la presenza reale di Cristo nel Sacramento, ed universalmente tutti quelli che chiamiamo misteri. Ora intorno alle verità di primo ordine, dicono alcuni, potremmo anche adattarci, ma quanto alle seconde, cioè ai misteri, chi potrebbe sottomettervisi? Queste non hanno scopo, non potendo tornar di verun giovamento il credere quello che non s’intende, senza dir poi che la ragione non può mancare a sé stessa come farebbe ammettendo contraddizioni. Di che s’impuntano fieramente e non vogliono saperne e rigettano tutto quello che ha del misterioso. E tuttavia credete voi che abbiano veramente ragione di così fare? Come hanno torto quei che ricusano la fede, così hanno torto marcio quei che ficcano di stenderla fino ai misteri. Il primo l’abbiamo veduto nel capo antecedente, l’altro il vedremo qui.

I. La mia ragione non può ammettere misteri. Cominciamo dai dritti sempiterni della povera umana ragione tanto debole da un lato, e tanto superba dall’ altro. E perché non può la vostra ragione ammettere i misteri? Abbiamo detto di sopra che noi per fede crediamo sull’ autorità di Dio che parla, dopo che abbiamo posto in sodo, con ogni genere di dimostrazione, che è veramente Iddio quello che ha parlato. Ma se è così, che importa che Dio parli cose intelligibili o non intelligibili? Iddio non è sempre infallibile nella sua parola? Non ha sempre gli stessi diritti sopra di noi? Non può esigere il sacrificio anche del nostro intelletto? Che vale adunque iI dire io non comprendo quello che Egli propone? Avete almeno compreso che è un Dio quello che lo propone? Se avete compreso questo, che non può non comprendersi, avete compreso quanto basta perché siate legato di mani e di piedi, e perché non possiate più fiatare in contrario, se pure non ignorate al tutto quello che sia Dio, la sua padronanza, la sua sapienza, la sua veracità. I vostri diritti son belli e buoni, ma credo che anche Dio possa avere qualche diritto sulle sue creature, e quando voglia farlo valere, come ha fatto nel nostro caso, credo che non avrete diritti contro di Dio. Questa ragione non ammette replica e basta da sé sola a sciogliere ogni difficoltà. – Ciononostante, per trattare con maggior condiscendenza la vostra difficoltà, perché dite che la vostra ragione rimane offesa dai misteri? Non v’avvedete che i miccini hanno già aperto gli occhi e già sanno quello che significano certe frasi, tolte ad imprestito da chi le ha inventate per darsi un po’ d’aria filosofica, quando appunto gli mancava la filosofia? Se il credere quello che non intendete offende la vostra ragione, potete andarvi a riporre, perché questo mondo sublunare non fa per voi. Qui ad ogni momento avrete da credere cose che non comprendete, e vi converrà toglierlo con pazienza, se già non vi mettete all’impresa di fabbricarvi un mondo a bella posta per voi, dove tutto sia chiaro ed intelligibile. E che? Comprendete voi tutti i misteri della natura che avete sempre sotto gli occhi? Di grazia, non credete voi che i venti soffino, benché sapete come essi soffiano; che la luce illumini, benché non ne conosciate l’intima natura; che esista l’etere, benché non apprendete di che sia costituito? Entrate in una famiglia, dove saranno forse sei figliuoli, l’uno savio, l’altro discolo, il terzo sempre gaio, il quarto sempre piangoloso; quegli intende tutto appena avete aperto bocca per parlare, l’altro, per quanto facciate, non in nulla, e sono tutti figliuoli di uno stesso padre, d’una stessa madre. Donde tanta diversità? Ne comprendete voi il mistero? Se siete mai entrato un poco innanzi nella fisica, nella metafisica, nella medicina, od in qualche altra scienza anche naturale, voi non potete ignorare che sono misteriosi nelle loro cagioni i fatti che abbiamo più comunemente sott’occhio, e tuttavia la ragione di nessuno rimane offesa ad ammetterli. Il celebre P. Lacordaire a un cotale che non poteva credere, fece questa interrogazione: sapete voi come avvenga che il fuoco, il quale strugge il burro, induri le uova? Eppur tuttoché non lo intendiate, credete benissimo alla frittata: pensate adunque se debbano offendere la ragione i misteri divini proposti da un Dio! Io vi dirò di più: siccome questi misteri riguardano Iddio, la nostra ragione tanto non resta offesa da essi, che anzi prima ancora che si metta ad investigare le cose divine, già debba aspettarseli. Chi si getta attraverso un oceano per passarlo, deve spettarsi correnti e scogli e venti e burrasche, perché così lo richiede la natura del mare. Così chi si fa a considerare le cose di Dio, deve aspettarsi profondità, sublimità, immensità inarrivabili a mente umana, cioè misteri. – Se Dio, la sua natura, le sue perfezioni, le sue opere potessero esser comprese dall’uomo, sì che egli le adeguasse col suo intelletto, una delle due: o l’uomo sarebbe pari a Dio, o Dio scenderebbe fino alla meschinità dell’uomo. Dire il primo sarebbe un orgoglio pari a quello dello spirito reprobo che disse: Sarò simile all’Altissimo; l’altro sarebbe una bestemmia non ancora venuta in mente, che si sappia, a veruno dei demoni. Il perché la religione vera sarà sempre una religione di misteri, e tanto è falso che il mistero sia indizio di falsità, che anzi vi sarebbe subito da sospettare falsità dove non fosse mistero. – Né solo per ragione dell’oggetto che è Dio, diventa facile la credenza dei misteri, ma ancora (cosa veramente ammirabile!) per l’inclinazione soavissima che ad ammetterli Iddio ha collocata nella natura dell’uomo, dalla quale siamo portati naturalmente a tutto quello che è misterioso sino ad esserne passionati. E vaglia il vero, donde quell’avidità che hanno i giovanetti di essere messi a parte di cose occulte e segrete e di misteriosi avvenimenti? Donde l’ascoltarli con tanta avidità e farne tesoro quando anche sanno che sono finzioni, se non dall’allettamento che ha per noi il mistero? Donde sono sbucate le notturne congreghe, le divinazioni, i sortilegi e tante altre superstizioni perseguitate sì vivamente non solo dalla Chiesa, ma pur dalle leggi civili? Donde l’avventarsi a dì nostri con tanta furia a tutte le mirabilità del magnetismo, delle tavole parlanti, dello spiritualismo, se non per quel carattere misterioso che esse presentano? Noi abbiamo un affetto inestinguibile, al vero, ma come scambiamo spesso il reale coll’apparente, ne nasce l’errore; noi abbiamo un amor invincibile al bene, ma come ci atteniamo spesso all’ombra invece del corpo, ne nasce la colpa: similmente l’inclinazione che abbiamo al mistero fa sì che quando non abbiamo i veri ed i santi, ci appigliamo ai fallaci ed agli irreligiosi. – E ciò è sì vero, che nel secolo scorso in Francia, quando giunta al colmo l’incredulità, ed abolito il Cristianesimo, ed adorata la ragione, furono tolti di mezzo i santi misteri della fede, il popolo si precipitò con tanta furia nei misteri nefandi dei vizio e della superstizione, che non vi fu più modo di dar corso ai processi. Il Portalis testifica che, nella Biblioteca nazionale di Parigi, non si chiedevano più altri libri che di cabala e di magia; il Roubies, bibliotecario pubblico a Lione, mostrò al medesimo le prove autentiche di misteri abominandi che si celebravano periodicamente in notturne assemblee e di tanto orrore, che a petto di essi erano un nulla le più svergognate superstizioni del paganesimo. Ed ai nostri giorni negli Stati Uniti ed in Ginevra quelli che, per non ammettere la divinità di Cristo, negano il mistero dell’Incarnazione, si assidono intorno ad una tavola che loro parla; e credono colla miglior fede del mondo che gli Angeli, gli Arcangeli e Gesù Cristo stesso si trattengono in petto ed in persona con loro sin quando parlano da libertini. Tant’è; bisogna che il mistero santo e religioso occupi convenientemente il nostro spirito, o esso si gitterà ai misteri tenebrosi e svergognati del vizio e della superstizione. – E del dover essere così vi è una ragione chiarissima. Nel mistero vi ha alcun che di maraviglioso, e noi siamo tratti naturalmente quel che desta la meraviglia; nel mistero v’ha del grande e del sublime, e noi siam tratti naturalmente all’immenso ed all’infinito; nel mistero v’ha qualche cosa di augusto e di venerando, e noi, se non facciamo violenza alla nostra natura, siamo portati alla religione ed alla pietà. Non sappiamo spesse volte render ragione delle nostre tendenze, ma non possiamo sottrarci alla forza di quelle inclinazioni che Dio ci pose nel cuore. Il perché tanto è falso che la nostra ragione rimanga offesa dai misteri, che anzi se ne trova mirabilmente giovata e confortata.

II. I misteri, continuano, involgono contraddizioni, ed allor… Non andate oltre. Se voi faceste questa difficoltà ad un putto di dieci anni ben ammaestrato nel catechismo, vi accoglierebbe con una risata, e poi vi risponderebbe che non sono contrari alla ragione, ma superiori: e che però la contraddizione non è reale ma solo apparente. Vedetelo in un esempio: Se, parlando del mistero della SS.Trinità, si dicesse che vi è un Dio solo e che vi sono tre Dei, questa sarebbe una vera contraddizione, e quindi un vero impossibile, perché non si può verificare tutto insieme che Dio sia un solo e che siano tre gli Dei: ma se si dica solamente quel che dice la fede, che Dio è uno solo, sebbene questo Dio solo sussista in tre Persone, non vi è contraddizione veruna. La divinità è una sola sebbene in tre Persone. Resta solo in ciò il mistero che non comprendiamo come Dio possa avere una triplice sussistenza. Ma perché non lo comprendiamo, può forse la nostra ragione Dire che non sia possibile? Per affermarlo bisognerebbe prima che avessimo tale cognizione della natura divina e di tutte le sue proprietà, che potessimo dire tutto quello che le conviene, e tutto quello che le disdice. Il che, come ognun vede, sarà sempre impossibile alla nostra limitatissima capacità, e quindi sempre falsissimo che essa trovi delle contraddizioni nel mistero. E quello che io vi ho detto di questo mistero, e voi applicatelo a tutti gli altri. Non comprendo come Gesù Cristo possa essere tutto insieme e Uomo e Dio: si, ma avete voi mai letto nel profondo dell’essenza di Dio tutte le maniere onde una Persona divina può congiungersi ad una creatura? Non comprendo come Gesù Cristo possa trovarsi sotto le specie sacramentali nella Eucaristia: sì, ma avete scrutati tutti i segreti della sapienza e potenza divina per definire tutti i modi di esistere che essa può dare ad un corpo? Non comprendo come la Madonna possa essere tutto insieme e Vergine e Madre: sì, ma avete voi dunque penetrati tutti i segreti della infinita virtù di Dio, perché possiate accertare che non si stende a quell’effetto? Definite prima tutto ciò e poi potrete parlare. Non vedete che per poter dire che il mistero è impossibile, e contraddittorio, vi bisognerebbe conoscere prima l’essenza, l’infinità, l’onnipotenza, l’immensità di Dio, e che essendo ciò impossibile, perché l’uomo finito non è capace dell’infinito, sarà anche eternamente impossibile il trovare ed il dimostrare nel mistero una contraddizione?

III. Se non che replicano tuttavia: Qual motivo può aver avuto Iddio a porporci dei misteri da credere? Quello che non s’intende non può produrre in noi nessun bene. Poteva dunque guidarci per altra via. Questa domanda sarebbe ridicola, se non fosse sacrilega.Imperocché e chi siamo noi, che domandiamo a Dio perché abbia fatto così? Non basta che ciò sia ordinato da un’infinita sapienza,perché debba curvarlesi prontamente dinanzi ogn’intelletto?E tuttavia non è così difficile il rintracciarne delle ragioni molto soddisfacenti. L’uomo si è perduto per la colpa onde nonvolle credere a Dio là nel paradiso terrestre: è dunque convenientissimomodo di espiazione, che ora creda a Dio senza comprenderequello che crede. In questo modo è mirabilmente ragguagliatala pena alla colpa. Inoltre, qual è il sacrifizio più grandeche l’uomo possa fare alla divinità? Non sono le vittime chepuò scannare, né le oblazioni che può offrire. Per l’intellettol’uomo si differenzia dai bruti ed emula l’angelica natura: or dunquenell’esercizio della fede sacrifichi quello che ha di più splendido,di più angusto, cioè il suo intelletto, e questo sarà sacrifiziodegno dell’uomo, e meno indegno di Dio. Finalmente qual è ilbene che noi aspettiamo come ultimo e preziosissimo frutto dellanostra religione? Il veder Dio faccia a faccia e goderlo svelato:ma dunque quale disposizione è più proporzionata a tal premio, chequella della fede, per cui ora si comincia a credere con merito quello che un giorno si vedrà svelatamente per ricompensa? Anchequeste sole ragioni bastano ad appagare chi con sincerità cerchiil vero. – Né seguita poi quello che affermano gli irreligiosi, che dal mistero non se ne ritragga veruna cognizione.. Imperocché i misteri sono come quella nuvola maravigliosa che guidava il popolo d’Israele nel deserto, la quale se era tutta tenebre da un lato, dall’altra poi spandeva una vivissima a luce. Così i misteri, mentre sono da una parte il nostro intelletto, e servono per esercizio allanostra fede, dall’altra lo illustrano con sovrane verità. In primo luogo, tuttoché non si comprenda quello che forma il mistero,non è da credere che, sotto quelle parole che lo annunziano, non siracchiuda una cognizione. Da quella sacra caligine sempre si traeuna verità sublimissima. Io non intendo come nel mistero. Della SS. Trinità, un Dio sussista in tre Persone distinte, né come nell’Incarnazione due nature sussistano in una sola Persona: mafrattanto ho queste due notizie intorno a Dio ed a Gesù Cristo:notizie di tanto pregio che mi fanno conoscere di Dio, della sua grandezza ed immensità più che non ne seppero naturalmente ipiù profondi pensatori che abbia avuto il mondo.Inoltre, ammessi che siano sulla divina parola i misteri spargonosulle altre verità una vivissima luce. Stando sempre all’esempioallegato, appena posto in sicuro che Dio è Uno e Trino, sispiega come il divin Figliuolo, assumendo la nostra umanità, abbiapotuto dare al Padre una piena soddisfazione. Le grandezzedivine di Cristo, il suo sacerdozio, il suo sacrifizio, i suoi meriti, itesori di confidenza che dobbiamo avere in Lui, la fonte donde ciperverranno tutte le grazie ed altre innumerabili verità che daquel mistero discendono, restano illustrate mirabilmente, sì che ilnostro intelletto se ne appaga. Dite lo stesso della presenza realedi Gesù Cristo nella Eucaristia. Noi non intendiamo come Gesùstia nell’Ostia, ma una volta creduto questo mistero sulla paroladi Gesù, ci si discoprono tutte le ricchezze dell’amor divino versodi noi, tutte le degnazioni, tutte le finezze di Gesù e l’esaltamentonostro e la incomparabile dignità in lui. E quello che si dicedi questi misteri, intendetelo pure di tutti. Sono essi una caliginesacra, è vero; ma una caligine da cui partono raggi di tantaluce, che a petto loro sono tenebre tutte le umane scienze. -E per verità i Padri di santa Chiesa ed i sacri Dottori, contemplandoa lungo quei santi misteri, ne traggono torrenti di vivaluce. Mettete S. Agostino e S. Ilario a speculare sovra il misterodella Trinità sacrosanta, e vi addenseranno volumi sopra volumidi verità al tutto maravigliose; S. Tommaso vi farà lo stesso sulladivina Eucaristia; S. Cirillo e S. Attanasio sulla divina Incarnazione;S. Ambrogio e S. Bernardo sulla Verginità di Maria, e cosìdi tutti i divini arcani, tutti i santi Dottori, mostrando col fatto diquanta luce siano fecondi i misteri, tuttoché oscuri, della santafede. -Sapete quello che solo si richiederebbe in chi muove tante difficoltà contro i misteri, per vedersele tutte sciolte in un punto?Un poco di buona fede, e che si cercasse sinceramente la verità.Ma il fatto è ben altrimenti: si grida contro i misteri, perché ciò sipuò fare senza parerne un animale; ma non sono i misteri quelli nella nostra religione principalmente dispiacciono, sono invece i comandamenti. Si dice che la ragione, la grande, la nobileragione, non consente che si credano tali veri, ed è invece la carne, l’ignobil carne, che non consente che si ammettano tali precetti.Ed io do in pegno l’esperienza di tutti i savii, che, dove Iddio si contentasse di abrogare un paio di comandamenti, per esempio,il sesto ed il settimo, questi nostri filosofi ammetterebbero dibuon grado duecento misteri: ed appena conceduto quel poco dilibertà al senso., la lor ragione non avrebbe più di che turbarsi, esarebbe ristabilita pienamente la pace fra tutti i miscredenti ed i fedeli.Il solo male è che Dio non accetta la condizione.

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA (53)

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA DAGLI APOSTOLI A S.S. PIO XII (53)

HENRICUS DENZINGER

ET QUID FUNDITUS RETRACTAVIT AUXIT ORNAVIT

ADOLFUS SCHÖNMATZER S. J.

ENCHIRIDION SYMBOLORUM DEFINITIONUM ET DECLARATIONUM

De rebus fidei et morum

HERDER – ROMÆ – MCMLXXVI

Imprim.: Barcelona, José M. Guix, obispo auxiliar

INDICE DEGLI ARGOMENTI -X-

L. — DIO PREMIANTE E CASTIGANTE.

L 1. 1. Morte dell’uomo.

A morte dell’uomo occorse a causa del peccato, non per necessità di natura 146 222 372 1512 2617.

La fine della sua vita umana è anche la fine della condizione per meritare: non é da mettere in dubbio che le anime nel purgatorio siano fuori dallo stato di meritare 1488; add. il testo circa la sorte dell’uomo dopo la morte L 3 6; l’uomo che differisce la conversione alla fine della vita non trova spazio per la riconciliazione 310.

Cristo a.risorgendo sottomissione l’impero della morte 72 a485 3901.

L 2 2. Il giudizio particolare dell’uomo.

Il giudizio particolare da subirsi, si suppone precedere la destinazione al cielo, al purgatorio, all’inferno (857s 1002 1304-1306): ugualmente indirettamente si distrugge l’asserzione riprovata (ritrattata) di Giovanni XXII [i dannati non andranno alla pena eterna prima dell’ultimo giudizio] 990°.

3. Sorte dell’uomo avviato alla beatitudine: Beatitudine celeste.

L 3a. a. — ESSENZA DELLA BEATITUDINE CELESTE

3aa. Beatitudine essenziale (finale) consiste nella a.fruizione dell’essenza divina, b.nella visione e dilezione di Dio a1000 bc1067 c1316; è chiamato “cielo”, paradiso caeleste, patria sempiterna 839 991 1000.

3ab. Visione dell’essenza divina. I Beati vedono — l’essenza divina 990s 1000 1316; —: Dio uno e trino, e le a.processioni divine 1305 a3815;

— : visione a.intuitiva e b.di faccia b9905 ab1000 b1067; — : l’essenza nuda, chiaramente ed apertamente 1000 1305; —: immediatamente, cioè, senza alcuna mediazione di creatura che sarebbe oggetto di visione; anche le anime separate dai corpi vedono l’essenza nella visione facciale per quanto la loro condizione lo permetta 991.

Riprov. gli errori: [la beatitudine consiste nella visione della sola chiarezza di Dio da Esso emanante] 1009; [Dio può comunicare la sua essenza anche ad entità finite col lume della gloria nel solo modo accomodato di comunicare, cioè in quanto autore di opere ad extra] (3227) 3238-3240.

La visione di Dio evacua l’atto di fede e di speranza in quanto virtù teol. 1001;, non esclude i casto timore 735; riprov. l’asserzione: [nella vita eterna non dobbiamo essere soggetti a Dio come un servo sotto al padrone]; riprov. l’asserzione [nella vita eterna saremo trasformati totalmente in Dio] 960.

3ac. Beatitudine del corpo. Gli uomini davanti al Giudice compaiono con i corpi per ricevere col proprio corpo quanto fanno fatto in vita di bene 574 1002.

3ad. Consorti degli Angeli. Ad essi si aggregano gli uomini beati 443 991 1000. 3ad

L 3b. b. — PROPRIETÀ DELLA BEATITUDINE.

3ba. Soprannaturalità. La beatitudine è dovuta alla grazia di Dio 377 443; il beando manca del lume di gloria elevante 895; reprob.: [l’uomo in questa vita può conseguire la beatitudine finale secondo ogni grado di perfezione] 894.

L’immediata cognizione di Dio all’anima umana non è congenita o essenziale o identica al lume intellettuale 2841 2844s 3237; riprov.: [Dio non può produrre esseri intelligenti senza ordinarli alla visione beatifica] 3891.

3bb. Ineguaglianza della beatitudine. Per la diversità dei meriti c’è un più alto il grado di perfezione 1305 (582);

Si riprov. tuttavia: [le anime liberate dal purgatorio grazie ai suffragi degli altri, sono meno felici che se avessero soddisfatto da soli] 1490.

3bc. Sicurezza della beatitudine. L’uomo è beato senza timore di errare 443; cf. anche il falso presupposto nell’asserzione riprovata [le anime preesistono e stanche della contemplazione divina fecero poi defezione] 403.

3bd. Eternità della beatitudine. I beati vedono Dio in eterno a.senza interruzione 1000 a1001; Cristo fa participi gli uomini della sua immortalità 413; il premio delle opere buone è la perpetua felicità perpetua, la vita eterna 76 377 443 485 802 1545s 1638; add. testo circa la fede nella vita eterna: L 7e; gli uomini buoni risorgono alla gloria sempiterna 801; raggiungono il regno della beatitudine senza fine, la patria sempiterna 574 839.

L 3c. c. — AMMISSIONE ALLA BEATITUDINE.

L 3c. Condizioni da parte dell’anima. La morte nelle stato di grazia o in carità 839 1546

1582; l’accesso è aperto alle anime — di coloro che dopo il battesimo non hanno commesso assolutamente alcun peccato 857 925 1305; —: di coloro che sono state purificate da una a.piena purgazione o soddisfazione (in terra o in purgatorio) 857 925 a990s 1000 1067 a1074 1305; —: i fanciulli morti dopo il battesimo prima dell’uso della ragione (794) 839 a1000 1316.

3cb. Condizioni da parte del tempo. Il Regno della beatitudine era chiuso per tutti fino alla morte di Cristo 780 1000; l’ingresso fu dischiuso all’ascensione di Cristo 1000;

si riprov.: [i santi soggiornavano in paradiso prima del tempo della Redenzione] 337.

La beatitudine finale non può essere acquisita già in questa vita 894.

Le anime purgate a.subito (b.immediatamente) dopo la morte, pervengono alla beatitudine anche c.prima della resurrezione dei corpi e il giudizio universale b857 a925 ac991 ac1000 ac1067 a1305 b1316; riprov. l’asserzione opposta: [Anima separata ha la visione della divinità non prima della resurrezione dei corpi 990° 1009.

L 3d. d. — COMUNICAZIONE TRA CHIESA TRIONFANTE E MILITANTE.

3da. La Comunione dei santi è la mutua comunicazione tra fedeli di ausili, espiazioni, preghiere, benefici, o dei giunti nella patria celeste o ancora immersi nel fuoco espiatorio o ancora peregrinanti in terra, in una unica città 3363; fede dei symbol. della fede nella comunione dei Santi 19 26-30; i Santi offrono orazioni per gli uomini 1821 1867 2187; patrocinio dei Santi 3363.

3db. Culto dei Santi. Vd. K 2dd; ogni culto liturgico prestato agli Angeli e agli uomini ridonda e finisce come culto alla Ss. Trinità (675 1824s) 3325.

4. Sorte dell’uomo purgante: il purgatorio.

L 4a. a. — ESISTENZA ED ESSENZA DEL PURGATORIO.

Purgatorio o catartario è il nome del luogo di purgazione degli uomini 838 856.

Si tivendica l’esistenza del purgatorio 1010 1487 1820 1867 3554.

Al Purgatorio è destinato l’anima degli uomini deceduti in grazia, che non hanno pienamente soddisfatto ai loro peccati 838 856 1066 1304 1398 1580.

Il Purgatorio è concepito come fuoco a.transitorio temporaneo) 8838 a1067 1398 3363.

Si riprovano le asserzioni circa le anime in Purgatorio peccanti e non sicuri della propria salvezza 1488s.

L4b. b. — COMUNICAZIONE TRA LA CHIESA MILITANTE E LA PENITENTE

Le anime purganti partecipano alla comunione dei Santi 3363; da se stessi non possono meritare e quindi hanno bisogno dei suffragi degli altri 1398 1405; ad essi possono essere utili i suffragi dei fedeli viventi: a.il Sacrificio della Messa, b.le orazioni, le c elemosine, d.altri benefici ed esercizi di pietà (a583) a741 acd797 abcd856 abcd1304 bc1405 a1743 a1753 a1820 a1866s a2535 a3363.

Le indulgenze possono applicarsi alle anime purganti per modo di suffragio 1398 1405 1448 CdIC 911; nella misura in cui si giudicano applicate ai bisogni dei defunti 1448 2750; riprov. le ass. neganti applicabilità o l’utilità delle indulgenze per i defunti 1010 1416 1472 1490 2642s;

riprov.: [l’Anima liberata in virtù dei suffragi è meno beata di quanto avesse soddisfatto da sé stessa] 1490.

L 5. 5. Sorte del defunto col solo peccato originale: il limbo.

La pena del peccato originale è la mancata visione di Dio (184 219) 780; add. circa le sequele D 3bd; non esiste un luogo di mezzo della beatitudine tra il regno di Dio e la dannazione, nel senso dell’intelletto pelagiano 0 (184) 224 2626; si riprova.: [L’anima dei bambini nati da genitori cristiani morti senza bpt. vanno nel paradiso terrestre, l’anima dei bambini nati sa genitori non Cristiani, vanno nei luoghi in cui si trovano i loro genitori] 1008.

Le anime decedute col solo peccato originale discendono nell’inferno, dove tuttavia, sono puniti in modo diverso 858 a926 1306; sono puniti con la pena del danno senza la pena del fuoco 2626; il luogo in cui stazionano è chiamato di solito limbo 2626; si riprova: [il picccolo deceduto senza battesimo avrà in odio Dio] 1949.

6. Sorte dell’uomo dannato: inferno.

L 6a. a. — ESISTENZA DELL’INFERNO DI PENE.

L’anima deceduta in peccato attuale mortale discende nell’inferno. (338 342) 839 858 926 1002 1075 1306; Christo (con la sua passione) non distrusse l’inferno inferiore, riprovato: [distrusse totalmente l’inferno] 1011 1077.

L 6b. b. — NATURA DELL’INFERNO.

Pena dell’inferno è designata con le parole a.supplizio, b.cruciato, et massimamente c.fuoco (ardore)

c76 c.338 c342 a443 a485 c575 b780 (c2626); questa pena è eterna (a.fuoco inestinguibile) 72 76 212 342 a443 486 574 596 630 780 801 839; riprov. l’asserzione circa la futura crocifissione redentrice di Cristo per i demoni e circa la reintegrazione dei demoni e degli uomini dannati p0409 411.

L 6c. c. — CAUSE DELLA DANNAZIONE.

Gli uomini si dannano per l’arbitrio della propria volontà 443; per peccati capitali 342; per la morte a.senza penitenza nello stato di peccato b.mortale c.attuale c627 c780 ab839 c1002 b1075 bc.1306.

7. La sorte finale del mondo.

L 7a. a. — AVVENTO DI CRISTO GIUDICE.

Fede (nei symbol.) nell’avvento di Cristo a.gloriosa b.nella sua carne a6 10-30 a40-42 a44 ab46 ab48 50s 55 a60 61-64 76 125 a150 b167 325 414 443 485 492 681 b791 801 852; questioni eseget. 3433 3628-3630.

Si riprova l’asserzione del Millenarismo o Chiliasmo: [Cristo prima del giudizio finale verrà visibilmente su questa terra per regnarvi] 3839; si riprova:

[L’avvento0 alla fine dei secoli si può attribuire al Padre] 737.

L 7b. b. — RESURREZIONE DEI MORTI.

Fede (dei symbol.) nella resurrezione della carne (ossia dei morti) 2 5 10-30 36

41//51 55 60 63 76 150 190 200 540 574 684 797 854; tutti risorgono 443 493 540 801 859 1002.

L’uomo riceve col proprio corpo quanto meritato 443 574 1002; l’uomo risorge —: nella medesina carne con cui visse 23 72 76 325 485 684 797 801 854;

—: non in una qualsiasi carne 540 574 797; —: non in a.aerea o b.nell’ombra di una visione fantastica a540 ab574; si riprovano gli errori circa la costituzione dei corpi dopo la resurrezione 407 1046.

La glorificazione del corpo del capo mistico di Cristo è da aspettarsi nell’avvento della futura gloria dei membri (358) 414 (485); Cristo (a.vivificante i morenti) resuscita i morti 72 a369 485; si riprova tuttavia: [la Risurrezione dei morti è da attribuire solo ai meriti di Cristo] 1910.

L 7c. c GIUDIZIO OUNIVERSALE.

Fede (dei Simboli) nel futuro giudizio di Cristo 10-30 40//51 55 60-64 76 125 150 325 414 443 485 492 540 574 681 791 801 852 859 1549; gli uomini rendono ragione dei loro atti 76 859 1002.

il giorno del giudizio è sconosciuto agli Angeli ed agli uomini, anche a.a Paolo Apostolo (non ostante certe espressioni) 474s a3629; solo Cristo conosce questo giorno per potenza divina 474-476.

L 7d. d. FINE DEL MONDO.

Si riprova la spiegazione della fine del mondo materiale. 1361.

L 7e. e. – IL REGNO ETERNO DI DIO E DI CRISTO.

I beati vivono senza fine 443; fede dei symb. nella vita eterna 3s 11° 15 18-30 36 41 //51 60 72 76 150 854; la vita eterna è il frutto della giustificazione, gratuito e mercede delle buone opere 72 443 485 540 1351 1545-1547 (1522) 1576 1582.

la Chiesa transiterà nel regno celeste 493; fede dei Symb. Nel regno dei cieli 3s 44 46 48 60 63; Cristo fa partecipi i fedeli del suo regno 540; la Chiesa, i Santi, i fedeli regneranno con Cristo a.in perpetuo a.550 s575 1821 2187 3363; il regno di Cristo non avrà fine 41s 44 56 48 60 150.

IL MONDIALISMO SATANICO BENEDETTO DALL’ANTIPAPA RONCALLI.

Il mondialismo satanico benedetto dall’antipapa Roncalli

Da un’intervista ad un sedicente arcivescovo (facilmente reperibile in rete) leggiamo:

D. Ritiene (…) che il globalismo sia essenzialmente satanico? 

R. L’essenza del mondialismo è satanica, e l’essenza del satanismo è mondialista. Perché il piano di Satana è di instaurare il regno dell’Anticristo, dandogli modo di parodiare la vita terrena di Cristo, imitare i Suoi miracoli con grotteschi prodigi, trascinare le folle non con la semplicità della Verità ma con l’inganno e la menzogna. Il mondialismo costituisce, per così dire, l’allestimento scenico, il copione e la sceneggiatura che devono preparare l’umanità all’ascesa politica dell’Anticristo, al quale i governanti del mondo – suoi servi – cederanno le sovranità nazionali perché egli diventi una sorta di tiranno mondiale. – Ma il regno dell’Anticristo non si crea dal nulla: prima occorre cancellare quel che rimaneva del regno di Cristo nelle istituzioni, nella cultura e nella quotidianità dei cittadini. La dissoluzione morale è una delle vie più semplici per soggiogare le masse, incoraggiandole al vizio e deridendo la virtù; e ovviamente distruggendo la famiglia naturale, cellula fondamentale della società, eliminata la quale i figli diventano commodity, prodotti che chi ha soldi può ordinare su internet, alimentando una rete criminale vastissima e sempre più fiorente, senza parlare dell’industria della maternità surrogata. Divorzio, aborto, eutanasia, omosessualismo e pansessualismo, mutilazioni per la transizione di genere si sono dimostrati efficaci strumenti per eliminare non solo la Fede rivelata, ma anche i più sacri principi della Legge naturale. – Ed è di fatto una religione, quella che va instaurandosi con l’ideologia woke; una religione che come quella vera, ma con scopi diametralmente opposti, intende imporsi nella società, permeare con i propri dogmi le istituzioni, le leggi, l’istruzione, la cultura, le arti, le attività umane. – I globalisti applicano i principi cattolici della «regalità sociale», ma proclamano satana re delle società: Te nationum præsides honore tollant publico: colant magistri, judices; leges et artes exprimant. Te delle nazioni i Principi manifestino Re con pubblico onore: Te adorino i maestri, i giudici; le leggi e le arti esprimano. Sono le parole dell’inno di Cristo Re, ma le vediamo blasfemamente applicate dai sacerdoti del Nuovo Ordine Mondiale al loro re, il Principe di questo mondo, e all’Anticristo a suo tempo.  – Attenzione, però: il globalismo, come emanazione del pensiero massonico e rivoluzionario, apparentemente proclama la democrazia e condanna i regimi assoluti; ma di fatto sa benissimo che la Monarchia di diritto divino è la migliore forma di governo possibile, perché assoggetta tutti – anche lo stesso Re, che è vicario di Cristo nelle cose temporali – a una legge trascendente cui tutti devono obbedienza.  – La censura delle notizie non allineate alla narrazione ufficiale, compiuta con la complicità delle piattaforme social e dei media, è la stessa censura che i liberali dell’Ottocento condannavano sui loro fogli clandestini, quando veniva però applicata per impedire la diffusione di errori filosofici e dottrine contrarie alla vera Religione cattolica. – E non è un caso se la finzione democratica ricorre a mezzi di repressione violenta delle proteste popolari che in una libera democrazia dovrebbero portare alle barricate, e alla esecrazione internazionale – penso tra gli altri a Macron, allievo dello Young Leaders for Tomorrow del World Economic Forum di Klaus Schwab. – Non basta chiamare «democrazia» una dittatura, perché lo diventi d’incanto, soprattutto quando il consenso dei cittadini per chi interpreta il loro stato d’animo e le loro aspettative costituisce una pericolosa minaccia alla sopravvivenza di questi parassiti eversori. (…). – Il paradosso appare nella sua evidenza quando vediamo accusare di estremismo un partito cattolico francese e allo stesso tempo inviare armi e aiuti al regime di Zelens’kyj, sostenuto da gruppi neonazisti che praticano la pulizia etnica contro i propri cittadini russofoni, perseguitano i ministri della Chiesa Ortodossa Russa (e anche di quella Cattolica di rito orientale, sul versante ungherese), ostentano svastiche e simboli hitleriani, inneggiano al criminale Bandera e celebrano lo sterminio degli ebrei di cui costui fu responsabile in Ucraina. – Ripeto: se la democrazia funzionasse, non lascerebbero i cittadini a baloccarsi con la farsa delle elezioni e con l’illusione di essere rappresentati in Parlamento. Se la permettono, è perché l’oligarchia massonica sa di poterla controllare tramite i suoi emissari, piazzati ovunque. – D’altra parte, l’Anticristo sarà re, non presidente; eserciterà il potere in forma assoluta, totalitaria, dittatoriale. E chi avrà creduto alla favola della democrazia scoprirà troppo tardi di essere stato ingannato. …

Fin qui le “giuste” e condivisibili parole del sedicente “arcivescovo”, (falsamente ed invalidamente ordinato dall’antipapa e teatrante teosofo comunista Woitiła) il 3 aprile del 1992 con il blasfemo ed eretico rito montiniano (inventato dal sedicente Paolo VI) totalmente invalido ed atto a consacrare al demonio un “eletto manicheo”, parole che hanno un fondo di verità mutuato dalle dichiarazioni di ben documentati “antisistemisti”. Apprezziamo le dichiarazioni del sedicente arcivescovo con tutte le riserve del caso circa un aderente alla “chiesa dell’uomo” di cui è stato esponente non di secondo piano con gli importanti ruoli ricoperti presso organizzazioni mondialiste, oggi apparentemente recitante il ruolo di “pentito”, in realtà scismatico dalla “vera” Chiesa eclissata e dal suo “legittimo” capo, il Vicario in terra di Cristo, quindi fuori dalla Chiesa Cattolica, oltretutto aderente a colui che egli considera il Papa e nei cui confronti rilascia dichiarazioni infamanti che nessun vero Cattolico potrebbe mai rivolgere ad un legittimo Vicario di Cristo. Ma l’evidente ipocrisia si manifesta nell’occultare la “benedizione” che al pensiero ed all’azione mondialista diede a suo tempo il primo antipapa dell’era moderna della sinagoga di satana insediata in Vaticano il 26 ottobre del 1958, il Cardinale della quinta colonna massonica Angelo Roncalli, (sedicente Giovanni XXIII, stesso nome di B. Cossa, ugualmente antipapa del quattrocentesco scisma d’Occidente). Senza volerci inoltrare in considerazioni personali di scarsa importanza e che potrebbero portarci ad una mancanza di carità, passiamo direttamente a citare alcune parti della pseudo-enciclica mondialista dell’usurpante antipapa (Papa dell’epoca era S.S. Gregorio XVII, G. Siri), la Pacem in terris, dell’aprile 1963, due mesi prima della sua morte (grassetti e sottolineature sono nostre):

…. Segni dei tempi

75. Come è noto, il 26 giugno 1945, venne costituita l’Organizzazione delle Nazione Unite (ONU); alla quale, in seguito, si collegarono gli istituti intergovernativi aventi vasti compiti internazionali in campo economico, sociale, culturale, educativo, sanitario. Le Nazioni Unite si proposero come fine essenziale di mantenere e consolidare la pace fra i popoli, sviluppando fra essi le amichevoli relazioni, fondate sui principi della uguaglianza, del vicendevole rispetto, della multiforme cooperazione in tutti i settori della convivenza. – Un atto della più alta importanza compiuto dalle Nazioni Unite è la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo approvata in assemblea generale il 10 dicembre 1948. Nel preambolo della stessa dichiarazione si proclama come un ideale da perseguirsi da tutti i popoli e da tutte le nazioni l’effettivo riconoscimento e rispetto di quei diritti e delle rispettive libertà. – Su qualche punto particolare della dichiarazione sono state sollevate obiezioni e fondate riserve. Non è dubbio però che il documento segni un passo importante nel cammino verso l’organizzazione giuridico-politica della comunità mondiale. In esso infatti viene riconosciuta, nella forma più solenne, la dignità di persona a tutti gli esseri umani; e viene di conseguenza proclamato come loro fondamentale diritto quello di muoversi liberamente nella ricerca del nell’attuazione del bene morale e della giustizia; e il diritto a una vita dignitosa; e vengono pure proclamati altri diritti connessi con quelli accennati.

Auspichiamo pertanto che l’Organizzazione delle Nazioni Unite — nelle strutture e nei mezzi — si adegui sempre più alla vastità e nobiltà dei suoi compiti; e che arrivi il giorno nel quale i singoli esseri umani trovino in essa una tutela efficace in ordine ai diritti che scaturiscono immediatamente dalla loro dignità di persone; e che perciò sono diritti universali, inviolabili, inalienabili. Tanto più che i singoli esseri umani, mentre partecipano sempre più attivamente alla vita pubblica delle proprie comunità politiche, mostrano un crescente interessamento alle vicende di tutti i popoli, e avvertono con maggiore consapevolezza di “essere membra vive di una comunità mondiale.” …

Ovviamente, non troviamo nessun accenno a Dio o a Cristo, o alla vera unica Religione divina o alla retta morale del Cristianesimo, ma un auspicio a che il mondo intero sia governato da un’autorità unica come si sta palesando oggi in tutta la sua mostruosa identità. Il diritto di Dio e della Chiesa sono totalmente obliati, come anche quelli della salvezza eterna dell’uomo, mentre si applaude ai diritti laici dell’uomo sganciati dalle fede e dal soprannaturale; tante altre considerazioni potrebbero farsi, ma le lasciamo alla sensibilità dei lettori. Come mai il (canonicamente falso arcivescovo e fallibilista circa l’operato di colui che riconosce essere “papa” – quindi scomunicato ipso facto secondo il codice canonico -) non ricorda ai suoi accoliti questo documento in cui è sdoganato senza remore il mondialismo che oggi è sulla bocca e nella penna di tutti? Non vogliamo infierire ulteriormente, lasciamo a chi possieda ancora un criterio morale retto ed una sana attività intellettuale, il compito di prendere atto ed agire – almeno spiritualmente – di conseguenza. Il Fabianesimo in atto, agisce con lentezza, ma da “buona tartaruga” va avanti come un lupo travestito da agnello. Gesù Cristo ce lo ha detto fin dall’inizio della sua predicazione evangelica. Crediamogli, finché siamo in vita.

IL CATECHISMO DI F. SPIRAGO (X)

IL CATECHISMO DI F. SPIRAGO (X)

CATECHISMO POPOLARE O CATTOLICO SCRITTO SECONDO LE REGOLE DELLA PEDAGOGIA PER LE ESIGENZE DELL’ETÀ MODERNA

DI

FRANCESCO SPIRAGO

Professore presso il Seminario Imperiale e Reale di Praga.

Trad. fatta sulla quinta edizione tedesca da Don. Pio FRANCH Sacerdote trentino.

Trento, Tip. Del Comitato diocesano.

N. H. Trento, 24 ott. 1909, B. Bazzoli, cens. Eccl.

Imprimatur Trento 22 ott. 1909, Fr. Oberauzer Vic. G.le.

PRIMA PARTE DEL CATECHISMO:

FEDE (6).

2-7 Art. del Simbolo: Gesù Cristo.(1)

I. La redenzione.

GESÙ CRISTO, NOSTRO SALVATORE, CI HA LIBERATO DELLE CONSEGUENZE DEL PECCATO ORIGINALE.

L’uomo decaduto era incapace da solo di riacquistare la santità e la giustizia primitive, così come i beni che ne dipendevano. Un uomo morto non può risorgere il suo corpo, ed un’anima morta spiritualmente non può tornare di sua spontanea volontà alla vita. “Se già l’uomo con la grazia di Dio, non ha potuto mantenere se stesso nello stato di rettitudine in cui è stato creato, quanto più non può tornare ad esserlo senza la grazia di Dio (S. Aug.). L’uomo, dopo il peccato originale, assomiglia ad un malato che può muovere le braccia e le gambe, ma non può alzarsi dal letto senza un aiuto esterno, né trasportarsi verso il luogo della sua destinazione. (S. Th. Aq.). Ciò che il Buon Samaritano fu per l’ebreo caduto nelle mani dei ladri, Cristo è è per l’umanità ferita dalle astuzie del diavolo e spogliata dei suoi doni soprannaturali. Cristo è perciò chiamato il Salvatore (guaritore) dell’umanità, perché ha portato il rimedio a questa umanità rovinata dal peccato (Sailer – gesuita bavarese, poi secolarizzato, professore di teologia ad Ingolstadt e Landshut, poi Vescovo a Ratisbona, 1751-1832).

Prima di tutto, Cristo ha liberato la nostra anima dalle conseguenze del peccato originale: ha illuminato la nostra ragione con la sua dottrina, ha inclinato la nostra volontà al bene con i suoi comandamenti e le sue promesse, ha preparato per noi con il suo sacrificio sulla croce le grazie (i soccorsi) di cui abbiamo bisogno per ottenere la grazia santificante, per tornare ad essere figli di Dio ed eredi del cielo.

Cristo ha quindi svolto una triplice funzione: quella di Profeta o di magistero dottrinale; quella di Re o di governo pastorale; quella di Pontefice o di ministero sacerdotale. Cristo è dunque il nostro Maestro, il nostro Re ed il nostro Pontefice. A queste funzioni corrispondono le tre parti del catechismo: nella prima, Cristo ci insegna, nella seconda ci governa, nella terza si sacrifica per noi. – Il Cristo usa diverse figure per designare questa triplice funzione. Egli si definisce la luce del mondo, perché illumina la nostra comprensione con il suo insegnamento. (S. Giovanni XII, 46). Una torcia nell’oscurità illumina e fa vedere gli oggetti lontani, così Gesù Cristo ci fa vedere ciò che è più lontano: l’aldilà e l’eternità. – Davanti a Pilato Egli si dichiara re di un regno che non è di questo mondo (S. Giovanni XVIII, 36); si definisce anche il buon pastore che dà la vita per le sue pecore (id. X, 11); si paragona spesso ad una guida e ci esorta a seguirlo (id. XIV, 6; S. Matth. X, 38). “Noi siamo viaggiatori su questa terra che non hanno una dimora fissa, ma che cercano la dimora del futuro. Il cammino è accidentato, ripido, fiancheggiato da precipizi, e ci sono molti che per ignoranza si smarriscono e periscono. Ma abbiamo una guida che dice di sé: “Io sono la via, la verità e la vita”. (San Giovanni XIII). Se seguiamo questa guida e non abbandoniamo i suoi passi, non possiamo smarrirci. (L. de Gren.) – S. Paolo chiama Cristo il grande Pontefice (Eb. II, 17), che non ha dovuto sacrificarsi prima per i propri peccati e poi per quelli del popolo (id. VII, 27), che non offrì il sangue di animali, ma il proprio corpo una volta per tutte (id. Xi), e che è entrato nei cieli (id. IV, lô). Con la sua obbedienza ha espiato la disobbedienza di Adamo (Rom. V, 19), poiché è stato obbediente fino alla morte di croce (Fil. II, 8). – Poiché Cristo ha dischiuso con il suo sacrificio le fonti della grazia, la Messa e i sacramenti, attraverso i quali possiamo recuperare la santità e la filiazione divina (Gai. IV, 5) e i nostri diritti al cielo (ibid.), diciamo che il Salvatore ci ha riaperto il paradiso. È proprio per questo che alla sua morte si è squarciato il velo del tempio che chiudeva il Santo dei Santi. (S. Matth. XXVII, 51). Abbiamo la speranza certa di entrare nel Santo dei Santi, cioè in cielo, attraverso il sangue di Gesù Cristo (Eb. X, 19). La croce è la chiave del cielo. (S. G. Cris.).

Cristo ha liberato il nostro corpo dalle conseguenze dannose del peccato.: morendo per noi, ci ha fatto guadagnare la risurrezione, ci ha insegnato con i suoi insegnamenti e il suo esempio come vivere felicemente in questo mondo come in cielo, e come dominare il mondo; infine, ci ha mostrato i mezzi per tenere il diavolo lontano da noi e per vincerlo.

Cristo era libero da ogni peccato, anche dal peccato originale. Per questo Egli non era soggetto alla morte che è la punizione per quel peccato. È morto liberamente per noi. Perciò è giusto che ci venga restituita la vita e che risorgiamo. Un paragone ci aiuterà a comprendere questa verità. Se dobbiamo una somma di denaro e un amico paga questo debito nello stesso momento in cui noi lo paghiamo, è giusto che ci vengaa restituito il danaro. Il Cristo è la risurrezione e la vita; (S. Giovanni XI, 2) e con la sua stessa risurrezione ha voluto darci un pegno della nostra. (I Cor. XV). La morte è venuta attraverso un uomo, la risurrezione dei morti deve venire se osserviamo la dottrina di Cristo, otterremo la vera felicità (si vedano le parole di Cristo alla Samaritana – S. Giov. IV) e godremo del paradiso terreno già in questa vita. – Praticando le virtù che Gesù Cristo ha insegnato e praticato, in particolare l’umiltà, la mitezza, la liberalità, la castità, praticando i consigli evangelici, possiamo respingere gli assalti del diavolo, nella misura in cui sono dannosi per la nostra salvezza. Cristo ha solo spezzato il potere di satana (Apoc. XII, 8), non lo distruggerà completamente se non all’ultimo giorno. (I Cor. XV, 24). – È per aver gettato satana dall’alto del suo potere che Gesù Cristo disse: “Ho visto Satana cadere come un fulmine dal cielo” (S. Luc. X, 18). – Con Gesù Cristo, nostro Salvatore, abbiamo più o meno riacquistato tutti i doni persi a causa del peccato. Senza dubbio, rimanevano molte conseguenze: concupiscenza, malattie, morte. Ma grazie ai meriti di Gesù Cristo, siamo stati compensati con doni più grandi e più numerosi di quelli che ci sono stati tolti dalla gelosia del diavolo. (S. Leone M.) Dove c’era abbondanza di peccato” c’era allora una sovrabbondanza di grazia. (Rom. V, 20). O colpa felice – esclama S. Agostino – che ci ha portato un Salvatore così grande e glorioso!

2. LA PROMESSA DEL REDENTORE.

Dio, che non aveva perdonato gli angeli caduti, perdonò i nostri primi avi perché erano meno colpevoli. Essi non lo conoscevano molto bene e sono stati sedotti dal diavolo. Inoltre, gli uomini avevano, almeno in parte confessato e si erano pentiti del loro peccato (non avrebbero dovuto però dare la colpa agli altri). Infine, Dio non voleva per la colpa di uno solo far sprofondare l’intera umanità in una disgrazia irreparabile.

1. SUBITO DOPO LA CADUTA, DIO HA PROMESSO ALL’UMANITÀ UN SALVATORE. DIO DISSE AL SERPENTE INFERNALE:

Porrò inimicizia tra te e la donna, e tra il tuo seme e il suo; ella ti schiaccerà la testa“. (Gen. ni, 15).

Questo è il significato di queste parole: porrò inimicizia tra satana e la Vergine Maria, tra i settari di satana e Cristo, il figlio della Vergine (Gal, III, 16); la Vergine Maria darà alla luce Colui che annienterà il potere del demonio, cioè Colui che libererà la razza umana che si è sottomessa alla sua influenza a causa del peccato originale. È un errore credere che con queste parole Dio abbia voluto solo ispirare all’uomo l’avversione, l’orrore del serpente; Dio le pronunciò contro il seduttore e non contro il suo semplice strumento. – Queste parole sono comunemente considerate il Provangelo, (primo) Vangelo, cioè la prima buona notizia del Redentore.. – Tuttavia, il Redentore non venne subito, perché gli uomini diventarono troppo sensuali e quindi incapaci di ricevere una grazia così grande. Egli fu invece costretto a punirli molto severamente con il diluvio, la distruzione di Sodoma e Gomorra e la dispersione presso la Torre di Babele.

2. 2000 ANNI DOPO, DIO PROMISE AD ABRAMO CHE IL REDENTORE SAREBBE STATO UNO DEI SUOI DISCENDENTI.

All’inizio Abramo viveva a Ur (città del fuoco) in Caldea, poi ad Haran in Mesopotamia; circondato da idolatri, aveva mantenuto la sua fede nel vero Dio. Il Signore allora gli ordinò di lasciare la sua famiglia e di andare in Chanaan o Palestina. Come ricompensa per questa obbedienza, Dio gli promise che in lui sarebbero state benedette tutte le generazioni della terra. (Gen. XlI, 23). Gli promise anche una numerosa discendenza. (Abramo è il padre spirituale di tutti i credenti. Rom. IV, 11). e diede a lui e ai suoi discendenti la fertile terra di Palestina (Gen. XII, 7). – Dio rinnovò questa promessa quando venne con due angeli a fargli visita nella sua tenda. (Gen. XVIII) e quando, per obbedienza, Abramo si preparò a sacrificare suo figlio Isacco. (Gen. XXII).

Questa promessa fatta ad Abramo, Dio la rinnovò ad Isacco, Giacobbe e circa 1000 anni dopo al re Davide.

Dio apparve a Isacco quando, spinto dalla carestia, volle attraversare la Palestina (Gen. XXVI, 2); a Giacobbe, quando fuggì dalla casa paterna e vide la visione della scala misteriosa (id. XXVIII, 12). Davide (re dal 1055 al 1015) ricevette da Dio, attraverso il profeta Natan, che uno dei suoi discendenti sarebbe stato il Figlio di Dio e avrebbe fondato un regno eterno. (II Re VII, 12). – Gli uomini dalla cui stirpe è nato il Salvatore sono chiamati Patriarchi. Ci furono 10 patriarchi prima del diluvio, da Adamo a Noè, e 12 da Shem ad Abramo, Isacco e Giacobbe.

Tutti i patriarchi vissero fino all’età matura: prima del diluvio raggiunsero un’età di quasi 1000 anni, dopo il diluvio, da 400 a 450 anni. Questa longevità può essere spiegata in parte dalla semplicità dei loro costumi, dalla loro vita all’aria aperta, dalle condizioni atmosferiche più favorevoli prima del diluvio, ma soprattutto dai disegni della Provvidenza, che attraverso questa ininterrotta tradizione ha voluto educare il genere umano; ciò che la Sacra Scrittura e l’insegnamento della Chiesa sono per noi, i Patriarchi lo furono per le generazioni primitive.

3. IN SEGUITO DIO INVIÒ I PROFETI E FECE LORO PREDIRE MOLTE E DETTAGLIATE COSE SULLA VENUTA, LA PERSONA, LE SOFFERENZE E LA GLORICIZIONE DEL MESSIA.

I Profeti erano uomini illuminati da Dio (uomini di Dio) che erano stati incaricati da Lui di parlare agli israeliti in suo nome. Il ruolo principale dei Profeti era quello di impedire a Israele di peccare (di rimproverarli quando avevano peccato) e di prepararli alla venuta del Messia (cioè di profetizzare su di Lui). – Dio scelse profeti di diversa estrazione (Isaia era di stirpe reale; Amos era un pastore; Eliseo era stato chiamato dall’aratro) e concesse loro il dono dei miracoli e della profezia (predire le punizioni e gli eventi futuri della vita del Messia), cosicché furono immediatamente considerati come inviati di Dio. La maggior parte di loro conduceva una vita molto penitente; alcuni rimasero celibi (Elia, Eliseo, Geremia). – I Profeti parlavano con grande audacia ed erano molto stimati dal popolo. Tuttavia, tutti furono perseguitati e alcuni messi a morte (S. Matth. XXIII, 20). In tutto, i profeti furono circa 70. Mosè stesso era un grande profeta (Dent. XXXIV3 10); il più grande fu Isaia, che parlò così chiaramente del Salvatore, che noi potremmo – dice San Girolamo – chiamarlo evangelista. L’ultimo Profeta fu Malachia (intorno al 450 a.C.). Diversi profeti hanno lasciato degli scritti (4 grandi e 12 piccoli Profeti).

I. SULLA VENUTA DEL MESSIA I PROFETI HANNO PREDETTO:

1. Che sarebbe nato a Betlemme.

“E tu, Betlemme chiamata Efrata, dice Michea, sei piccola tra le città di Giuda; ma da te uscirà Colui che dovrà regnare in Israele, la cui generazione è fin dal principio, da tutta l’eternità. “(Michea V, 2). – Così i re Magi furono informati che il Salvatore dovesse nascere a Betlemme. (S. Matth. II, 5).

2. Che il Messia sarebbe venuto finché fosse rimasto il 2° tempio.

Quando i Giudei, al ritorno dalla cattività, cominciarono a ricostruire il tempio, gli anziani che avevano visto l’antico tempio piansero amaramente, perché videro fin dall’inizio che il nuovo tempio non avrebbe eguagliato la grandezza e la bellezza di quello antico. Il Profeta Aggeo venne allora a consolarli, dichiarando che il Salvatore sarebbe entrato nel tempio che stava per essere costruito. Il Salvatore sarebbe entrato in questo tempio che avrebbe prevalso in gloria sul primo (Agg. II, 8-10). – Ora, questo tempio fu distrutto da Tito nel 76 (d.C.) e non fu mai più ricostruito.

3. Che il Messia sarebbe venuto quando i Giudei sarebbero stati privati della sovranità (potere regale).

Prima di morire Giacobbe benedisse i suoi figli e disse a Giuda: “Lo scettro (la sovranità, l’autonomia) non uscirà da Giuda fino all’arrivo di Colui che le nazioni attendono. (Gen. XLIX, 10). Da quel momento in poi, la tribù di Giuda conservò la sovranità. All’uscita dall’Egitto e sotto i Giudici, essa fu la tribù dominante (Num. II, 3-9; Giud. I, 3; XX, XVIli). Il re Davide apparteneva alla tribù di Giuda (l Par. II, 16), così come i suoi successori fino alla cattività, e Zorobabele, che riportò il popolo (Esdr. I, 8). E mentre i Giudei erano sottomessi a re stranieri, i governatori che in Oriente hanno il potere assoluto, erano Giudei. In seguito, il popolo giudaico riacquistò la libertà ed ebbe re nazionali della famiglia dei Maccabei. Ma nel 39 a.C. i re giudei persero il loro trono, perché in quell’anno uno straniero pagano, Erode il grande (nato l’anno 3 dopo Gesù Cristo), fu nominato re dai Romani. – In quel periodo il Salvatore era davvero atteso in tutta la Giudea; infatti, Erode tremò quando i Magi gli chiesero dove fosse nato il Salvatore (S. Matth. 11, 3); i Giudei credettero addirittura che Giovanni Battista nel deserto fosse il Cristo (S. Luc. IIl, 15). – Anche la Samaritana al pozzo di Giacobbe parla della venuta del Messia (S. Giovanni IV, 25). Il sommo sacerdote esorta Gesù a dirgli se è Lui il Messia (S. Matth. XXVI, 63); infine più di 60 impostori ingannarono il popolo facendosi passare per il Cristo. – Anche i pagani all’epoca di Gesù Cristo si aspettavano un dominatore del mondo, originario della Giudea (Tacito, Svetonio); il poeta Orazio lo chiamava figlio della vergine celeste, che sarebbe tornato in cielo. (Odi I, 2).

4. Che Daniele (605-530) dalla ricostruzione delle mura di Gerusalemme (453) alla vita pubblica del Messia, ci sarebbero state 69 settimane di anni, e fino alla sua morte, 69 e mezzo.

Questa profezia gli fu comunicata dall’Arcangelo Gabriele, mentre alle 3 del pomeriggio “offriva il sacrificio della sera e pregava per la liberazione dalla cattività babilonese”. (Dan. IX, 21). – Ora, Ciro nel 636 concesse ai Giudei prigionieri solo il permesso di ricostruire la città ed il tempio, ma in nessun modo di costruire fortificazioni; altrimenti non si capirebbe perché siano stati accusati presso il re di Persua di costruire le mura di Gerusalemme (I Esdr. IV, 12). – Fu solo Artaserse, che nel 20° anno di regno (453) diede a Neemia, il suo coppiere, l’autorizzazione di fortificare Gerusalemme e di dotarla di porte (II Esdr. II, 2,1-8). Ora, se al numero 452 aggiungiamo 69 volte 7, ossia 483 anni o 69 e mezzo volte 7, ossia 486 e mezzo, arriviamo all’anno 30 e 33 dopo Gesù Cristo. Che mirabile profezia!

5. Che il Messia sarebbe nato da una Vergine della razza di Davide.

Dio fece dire ad Isaia al re Achaz (VII, 15) di chiedergli un segno della sua onnipotenza. Ma il re rifiutò: “Perciò – disse il Profeta – il Signore ne darà uno di sua iniziativa”. Ecco, una vergine concepirà e partorirà un figlio, e il suo nome sarà Emmanuele (Dio con noi). – Da parte sua, Geremia ha detto: “Susciterò per Davide un discendente giusto; egli regnerà come re e il suo nome sarà: Il Signore nostro Giusto (Ger. XXIII,5-6).

6. Che il Messia avrebbe avuto un precursore, che avrebbe predicato nel deserto e avrebbe condotto una vita angelica.

“Abbiamo udito – dice Isaia, (XL, 3) – la voce di uno che grida nel deserto: Preparate le vie del Signore, raddrizzate i sentieri del nostro Dio. Tutte le valli saranno riempite e ogni monte e colle sarà abbassato. Io vi manderò – dice Malachia (III, 1), “il mio angelo che preparerà la mia via davanti alla mia faccia, e subito il sovrano che cercate… verrà al suo tempio”. Questo precursore era San Giovanni Battista.

7. Che una nuova stella sarebbe sorta con il Messia.

L’indovino Balaam profetizzò davanti al re dei Moabiti quando arrivarono gli Israeliti figli di Mosè: “Lo vedo, ma non ancora; lo vedo, ma non da vicino. Una stella uscirà da Giacobbe, uno scettro sorgerà in Israele” (Numeri XXIV, 17).

8. Che i re sarebbero venuti da terre lontane per adorarlo e portargli doni. (Sal. LXXI , 10).

9. Che al momento della nascita del Messia, molti bambini sarebbero stati uccisi.

“Un brusio – dice Geremia (XXXI, 16) di lamentele, gemiti e pianti si è alzato sulla collina. Rachele piange i suoi figli e rifiuta di essere consolata, perché non ci sono più”. Rachele, la madre della tribù più numerosa, rappresenta qui il popolo giudaico. Rachele morì e fu sepolta a Betlemme (Gen. XXXV, 19).

10. Che il Messia sarebbe fuggito in Egitto (Is. XIX, 1) e che sarebbe tornato. (Os. XI, 11).

11. Della Persona del Messia i Profeti hanno annunciato:

1. Che il Messia sarebbe stato il Figlio di Dio.

Dio annunciò il Salvatore a Davide attraverso il profeta Natan e disse: “Io sarò suo Padre ed egli sarà mio Figlio.” (Rm VII, 10). Nel Salmo II Dio dice al Messia: “Tu sei mio Figlio, oggi ti ho generato”.

2. Che sarebbe stato allo stesso tempo Dio e uomo.

“Un bambino è nato per noi, dice Isaia (IX, 6), un figlio ci è stato dato, e il suo nome sarà

(cioè sarà Lui stesso): Consigliere mirabile, Dio”. “Dio verrà di persona e vi salverà”. (Ibid. XXXV, 6).

3. Che sarà un grande operatore di meraviglie.

“Dio stesso verrà e vi salverà. Allora si apriranno gli occhi dei ciechi,

gli orecchi dei sordi; gli zoppi salteranno come cervi e la lingua dei muti sarà sciolta. (Is. XXXV, 6).

4. Che sarebbe stato un sacerdote come Melchisedec.

Secondo Davide, Dio parlò al Messia in questi termini: “Tu sei sacerdote per sempre secondo l’ordine di Melchisedec”. (Ps. CIX, 4.) – Gesù Cristo ha offerto il pane ed il vino nell’Ultima Cena e lo fa ancora ogni giorno attraverso le mani dei Sacerdoti.

5. Che sarebbe stato un grande profeta o dottore.

Dio aveva già promesso a Mosè che “avrebbe suscitato per gli Israeliti un profeta come lui tra i loro fratelli”. (Deut. XVIII, 18). Così i Giudei lo chiamarono semplicemente il Messia, “il profeta che deve venire”. (S. Giovanni VI, 14). – Come profeta, il Salvatore doveva insegnare e profetizzare. Doveva anche essere il maestro dei Gentili. (Is. XLIX, 1-6).

6. Che sarebbe stato il sovrano di un nuovo regno (Ger. XXIII, 6) indistruttibile e comprendente tutti i regni della terra. (Dan. II, 44).

Questo regno è la Chiesa Cattolica o universale. – Ecco perché Cristo davanti a Pilato si è definito Re (S. Matth. XXVII). 11). Egli aggiunge però questo: “Il mio regno non è di questo mondo”, cioè il mio regno è tutto spirituale (S. Giovanni XVIII, 36).

III. Per quanto riguarda la Passione del Messia, i Profeti avevano predetto:

1. Che il Messia farebbe la sua entrata in Gerusalemme su di un asino. (Zac. IX, 9).

2. Che sarebbe stato venduto per trenta pezzi d’argento.

Mi fecero pagare, dice Zaccaria (XI, 12), trenta pezzi d’argento; e il Signore disse: “Gettalo al vasaio, l’alto prezzo che mi hanno fatto pagare”. E io presi i 30 denari e li gettai nel tesoro della casa del Signore. – I fatti rispondono a questa profezia: Giuda gettò il denaro del tradimento nel tempio ed i sacerdoti comprarono il campo del vasaio per la sepoltura degli stranieri. (S. Matth. XXVII, 5-7).

3. Che sarebbe stato tradito dal suo commensale (Sal. XL, 10).

Giuda lasciò la tavola e tradì subito il suo Maestro (S. Giovanni XVIII, 15).

4. Che nella sua passione i suoi discepoli lo avrebbero abbandonato“.(Zac. XIII, 7).

Quando Gesù fu preso, tutti i suoi discepoli lo abbandonarono e fuggirono (S. Marco XIV, 50). Pietro e Giovanni, da soli, lo seguirono da lontano nel cortile del sommo sacerdote. (S. Giovanni XYIII, 15).

5. Che sarebbe stato schernito (Sal. XXI, 7), colpito, disprezzato (Sal.L,.6), flagellato, (Sal. LXXII, 14) coronato di spine, (Cant. III, 11) fatto bere fiele ed aceto (Sal. LXVIII,22).

Coloro che passavano sotto la croce lo maledicevano e scuotevano la testa. (S. Marco XV, 29). I principi dei sacerdoti e gli scribi lo irridevano e dicevano tra di loro: “ha aiutato gli altri; aiuti se stesso”. (S. Marco XV, 31).

– Già davanti al sommo sacerdote Anna, un servo aveva dato uno schiaffo al Salvatore, perché la sua risposta gli era dispiaciuta. (S. Giovanni XVIII, 22). Quando Cristo davanti a Caifa confessò di essere il Figlio di Dio, alcuni gli sputarono in faccia, lo presero a pugni ed altri gli diedero schiaffi (S. Matth. XXVI, 67). Pilato fece flagellare Cristo (S. Giovanni XIX, 1); poi i soldati gli misero una corona di spine, un mantello di porpora, gli colpirono la testa con una canna, gli diedero colpi e lo schernirono (S. Marco XV; S. Giovanni XVIII). Sul Golgotha gli diedero un vino detestabile, mescolato con fiele (propriamente con mirra – S. Marco XV, 21) e dopo averlo assaggiato, rifiutò di berlo. (S. Matth. XXVII, 34).

6 . Che tirassero a sorte la sua veste. (Sal. XXI, 19).

I soldati fecero della veste di Cristo 4 parti e ognuno ne prese una; ma poiché la veste era priva di cuciture e tessuta in un unico pezzo, non vollero tagliarla (S. Giovanni XiX, 23) e lo tirarono a sorte.

7. Che gli venissero trafitte le mani e i piedi. (Sal. XXI, 17).

Gesù Cristo era davvero inchiodato alla croce; così poté mostrare a Tommaso le ferite delle sue mani, dicendogli: “Metti qui le tue dita” (S. Giovanni XX, 27). – Altri che furono crocifissi, come i due ladroni, poi S. Pietro e S. Andrea, non furono crocifissi. Si dice che fossero solo legati alla croce con delle corde.

8. Che sarebbe morto in mezzo ai criminali.

“Gli danno, dice Isaia, il suo sepolcro tra gli empi ed Egli sarà tra i ricchi dopo la sua morte. (Is. LIII, 9). Cristo morì tra due briganti della strada che furono crocifissi con lui (S. Luc. XXIII, 33).

9. Che in mezzo alle sue sofferenze, sarebbe stato paziente come un agnello (Is. LIII, 7) e che avrebbe persino pregato per i suoi nemici. (Ibid. 16).

10. Che avrebbe sofferto liberamente e per i nostri peccati. (Ibid. 4-7).

IV. Per quanto riguarda la glorificazione del Messia, i Profeti annunciano:

1. Che la sua tomba sarebbe stata tra i ricchi (Is. LIII, 9).

Che sarebbe stato addirittura glorioso (Is. XI, 10).

2. Che il suo corpo non sarebbe stato consegnato alla corruzione della tomba. (Sal.. XV, 10).

3. Che sarebbe tornato in cielo (Sal. LXVII, 34) e si sarebbe seduto alla destra di Dio. (Sal. CIX, 1).

4. Che la sua dottrina si sarebbe diffusa da Gerusalemme, dal monte stesso di Sion, a tutta la terra (Is. II, 3).

Il Cenacolo, dove gli apostoli ricevettero lo Spirito Santo, si trovava sul Monte Sion.

5. Che le nazioni di tutto il mondo entrassero nel suo regno e lo adorassero. (Sal. XXI, 28-29).

6. Che il popolo giudaico che lo aveva crocifisso sarebbe stato punito e disperso tra tutti i popoli della terra. (Dent XXVIII, 64).

Gerusalemme sarà distrutta insieme al tempio, i sacrifici e il sacerdozio ebraico, ed il tempio non sarà più ricostruito. (Dan. IX, 26-27; Os. III, 4).

7. Che in tutti i luoghi della terra si offrirà a Lui un sacrificio puro di grano. (Mal. I, 11).

8 . Che un giorno avrebbe giudicato tutti gli uomini (Sal. CIX, 6) e che prima del giudizio avrebbe inviato Elia sulla terra (Mal. IV, 5).

4. La vita del Messia è stata anche preannunciata da molte figure.

Una pianta mostra in anticipo come sarà l’edificio. L’ombra del viaggiatore indica che lo seguirà. L’alba annuncia il giorno. Allo stesso modo, alcune delle azioni dei Patriarchi prefiguravano alcune azioni di Cristo, e molte cerimonie giudaiche prefiguravano alcuni dei misteri del Cristianesimo. (I Col. II, 17). L’Antico Testamento è per il Nuovo, ciò che l’ombra è per la realtà (Eb. X, 1), ciò che l’immagine è per l’originale. Tutto l’Antico Testamento era il velo del Nuovo (S. Aug.). – Il Nuovo Testamento è nascosto nell’Antico e quest’ultimo è illuminato dal Nuovo. (S. Aug.). Le persone o le cose che rappresentano un evento futuro sono chiamate figure o tipi.

Le principali figure del Messia furano Abele, Noè, Melchisedec, Isacco, Giacobbe, Giuseppe, Mosè, Davide, Giona, l’Arcangelo Raffaele, l’agnello pasquale, il sacrificio espiatorio, il serpente di bronzo, la Manna, ecc.

Abele fu il primo giusto tra gli uomini (Cristo il primo degli eletti); era un pastore e offrì a Dio un sacrificio gradito, fu odiato e ucciso dal fratello e rimase dolce come un agnello (Gen. IV). (Cristo fu ucciso dai Giudei, suoi fratelli). Noè fu l’unico uomo giusto tra tutti i suoi contemporanei (Gesù Cristo è l’unico senza peccato); costruì un’arca mentre ancora predicava (Cristo fondò la Chiesa); salvò l’umanità dalla rovina (Gesù Cristo salva l’umanità dalla morte eterna); offre a Dio un sacrificio gradito a Dio quando uscì dall’arca (Gesù Cristo lo offrì quando uscì dalla vita). Con Noè, Dio ha stretto un’alleanza con l’umanità e ha promesso l’arcobaleno. (Gesù Cristo ha rinnovato l’alleanza e ha dato in pegno il SS. Sacramento). (Gen. VI-IX).

Melchisedec (Gen. XIV), che significa re della giustizia, era re di Salem, cioè della pace. (Gesù Cristo è il re eterno della giustizia e della pace). Re e sacerdote egli offre pane e vino. – Isacco è l’unico figlio amato da suo padre (Gen. XXlI); porta la legna per il suo sacrificio sul monte, si pone obbediente sulla legna, fu restituito al padre (Gesù Cristo è risorto dai morti). – Giacobbe (Gen. XXV-33) fu perseguitato dal fratello ed alla fine si riconciliò con lui. Cristo fu perseguitato dai suoi fratelli, i Giudei, e si riconcilierà con loro alla fine dei tempi. Benché figlio fi un uomo ricco, andò povero in un paese straniero, a trovarsi una sposa pia, (Gesù Cristo è venuto sulla terra per fidanzarsi alla Chiesa); per avere questa sposa, Giacobbe si mmisssw asl lavoro per lunghi anni (Gesù Cristo per la Chiesa ha preso la forma di uno schiavo ed ha servito l’umanità per 33 anni); Giacobbe aveva 12 figli e tra questi un figlio di predilezione, Giuseppe. (Gen. XXV, 33). Gesù Cristo aveva 12 Apostoli e tra essi un amico particolare, Giovanni).  – Giuseppe (Gen. XXXVII-XLV), il figlio prediletto, viene odiato dai fratelli e venduto per meno di 30 denari viene imprigionato tra mezzi criminali, uno dei quali viene graziato e l’altro giustiziato (così Gesù Cristo sulla croce); dopo le sue umiliazioni viene elevato ai più alti onori; con il suo consiglio salvò l’Egitto dalla carestia (Gesù Cristo con il Vangelo, ci salva dalla carestia spirituale), gli araldi ordinano al popolo di inginocchiarsi davanti a Giuseppe (gli Apostoli hanno chiesto lo stesso onore per Gesù). Egli si riconcilia finalmente con i suoi fratelli, come Gesù si riconcilierà con ii Giudei alla fine del mondo. – Mosè (Esodo) sfugge da bambino ai crudeli ordini del faraone. trascorse la sua giovinezza in Egitto, digiunò 40 giorni prima della promulgazione della legge (Gesù Cristo digiuna 40 giorni prima della predicazione del Vangelo); libera gli Israeliti dalla prigionia e li condusse nella Terra Promessa (Gesù Cristo ci ha salvato dalla schiavitù di satana e ci ha portato nella Chiesa); compie miracoli per dimostrare la sua missione divina, prega continuamente per il popolo, appare sul Monte Sinai con un volto raggiante di luce (Tabor), è il mediatore dell’Antica Alleanza, come Gesù Cristo della Nuova. – Davide nacque a Bethlehem e trascorse la sua giovinezza in uno stato molto umile; attaccò il gigante Golia con un bastone e cinque pietre, l’avversario del popolo di Dio e lo sconfisse (Gesù Cristo ha sconfitto satana con il legno della croce e le sue cinque ferite), diventa re, come Gesù, soffre molto, ma trionfa sempre. (I-II Re). – Giona trascorre tre giorni nel ventre del pesce (Gesù Cristo, 3 giorni nel seno della terra. S. Matth. XII, 40); predica la penitenza ai Niniviti come Gesù agli Ebrei. – L’Arcangelo Raffaele scende dal cielo per diventare la guida di un uomo (Gesù-Cristo per diventare la guida dell’umanità), lo accompagna, cura la cecità (Gesù Cristo cura la cecità spirituale) e lo libera dal diavolo (Tob.). – L’agnello pasquale (Es. XIII) viene sacrificato prima dell’uscita dall’Egitto, quindi alla vigilia del grande sabato pasquale; è una vittima ed un cibo, senza difetti, senza macchia, nel fiore della vita; le sue ossa non sono state spezzate; il suo sangue viene messo sulle porte, preserva dalla morte corporea (quella di Gesù, dalla morte eterna), viene mangiato al momento della partenza per la Terra Promessa (Gesù Cristo dona se stesso al momento della partenza per la vostra vita futura); l’agnello è mite, come lo era il Salvatore. – Il grande. sacrificio di propiziazione: Il sommo sacerdote imponeva le mani su un ariete e dopo aver confessato i peccati del popolo, lo spingeva nel deserto per farlo morire (Num. XXIX), anche Gesù Cristo prese su di sé i peccati degli uomini e per questo andò incontro alla morte attraverso il deserto della sua vita mortale. – Il serpente di bronzo (Num. XXI, 6) è collocato nel deserto su una croce; un solo sguardo guarisce dal morso mortale dei serpenti di fuoco. Come Mosè ha innalzato il serpente di bronzo nel deserto, così il Figlio dell’uomo deve essere innalzato, affinché tutti coloro che credono in Lui non periscano, ma abbiano la vita eterna” (S. Giovanni III, 14). – La Manna è una figura di Gesù nel Santissimo Sacramento; è bianca come l’ostia; cadeva ogni mattina, come Gesù scende ogni mattina sull’altare; non cadeva più dopo il soggiorno nel deserto, come Gesù smetterà di essere presente nel Santissimo Sacramento dopo la fine del mondo.

Sacramento dopo la fine del mondo. La manna, secondo Gesù Cristo (S. Giovanni VI, 33) si differenzia dall’Eucaristia in quanto non è il vero pane del cielo, mentre questo (l’Eucaristia) è il vero pane del cielo e dà vita al mondo”.

3. LA PREPARAZIONE DELL’UMANITÀ ALLA VENUTA DEL SALVATORE.

1. DDIO SCELSE UN POPOLO E LO PREPARÒ ALLA VENUTA DEL SALVATORE.

Questo popolo scelto era costituito dai discendenti di Abramo.; è comunemente chiamato popolo israelita o ebreo

La vocazione di Abramo è ben nota (Gen. XII). Il popolo ebraico doveva essere il sacerdozio di tutta l’umanità. (Es. XIX, 6). Questa scelta non era quindi una riprovazione per altri popoli, ma una prova che Dio si prendeva cura di loro. Dio dichiarò che il Redentore avrebbe reso felici tutti i popoli. .

La preparazione del popolo eletto per la venuta del Salvatore consisteva in prove severe, in una legge severa, in numerosi miracoli e nell’insegnamento dei profeti.

Il popolo eletto era molto sensuale; preferiva le pentole dell’Egitto alla libertà. (Es. XVI, 3). Per questo motivo Dio inviò loro delle prove per sradicare questa sensualità: Ad esempio, l’ordine del faraone di uccidere tutti i bambini maschi; la fame e la sete nel deserto; i serpenti di fuoco, gli attacchi dei nemici quando il popolo aveva abbandonato la cattività babilonese e l’oppressione di re crudeli. A causa della rozzezza del popolo Dio diede loro le sue leggi tra lampi e tuoni, accompagnati da minacce e da promesse (S. Giovanni Cris.). Il popolo era anche molto incline alla idolatria, come dimostra l’episodio del vitello d’oro. (Es. XXXII, 1). I miracoli avevano lo scopo di rafforzare la fede e la fiducia nell’unico vero Dii (le piaghe d’Egitto, l’attraversamento del Mar Rosso e del Giordano, la manna, la sorgente della roccia, la caduta delle mura di Gerico, ecc.) – I profeti dovevano anche rafforzare la fede nel vero Dio e mantenere vivo il desiderio della venuta del Redentore.

Ecco un breve riassunto della storia del popolo ebraico.

1. I discendenti di Abramo vissero dapprima in Palestina, poi vennero in Egitto, dove rimasero per 400 anni sotto dura oppressione.

Dio chiamò Abramo intorno al 2000 a.C. e lo condusse in Palestina. Abramo si stabilì a Hèbron (a ovest del Mar Morto); ebbe un figlio, Isacco, che volle sacrificare sul Monte Moriah. Isacco ebbe due figli, Giosuè e Giacobbe (chiamato anche Israele), il quale aveva sottratto al fratello, con l’inganno, la benedizione paterna e la primogenitura; fu costretto a lasciare la casa. Ebbe 12 figli uno dei quali, Giuseppe, divenne re in Egitto, dove chiamò i suoi parenti, 66 in numero, ad est del Delta del Nilo, la fertile terra di Gessen (1900 a.C.). Gli Israeliti – o figli di Israele – si moltiplicarono lì molto rapidamente e furono oppressi dai re d’Egitto.

2. Mosè condusse gli Israeliti fuori dall’Egitto; essi rimasero nel deserto per 40 anni.

Attraversarono il Mar Rosso (1500 a.C.) con 2 milioni di persone, di cui 600.000 guerrieri, e arrivarono nel deserto arabico, dove Dio li nutrì con la manna e diede loro la legge sul Sinai. Dio compì molti miracoli davanti ai loro occhi e Mosè morì sul Monte Nebo.

3. Sotto Giosuè conquistarono la Terra promessa, ma per altri 300 anni furono costretti, sotto la guida dei Giudici a combattere i loro nemici (1450-1100 a.C.).

Giosuè, successore di Mosè, divise la Terra Promessa tra le 12 tribù.

I Giudici erano capi suscitati da Dio in tempi di prova; essi comandavano il popolo in guerra, combattevano i nemici e amministravano la giustizia. I giudici furono Gedeone, Jefte, Sansone e Samuele, che fu l’ultimo giudice.

4. Gli israeliti furono poi governati da re: Saul, Davide e Salomone (1100-975 a.C.). – Saul era un uomo crudele che si uccise in battaglia. – Il suo successore

Davide si distinse per la sua pietà (1055-1015). Compose molti salmi e gli fu promesso da Dio che da lui sarebbe disceso il Salvatore. Egli cadde due grandi crimini, si sottopose a una severa penitenza. Suo figlio Assalonne gli si ribellò, ma senza successo. – Suo figlio Salomone costruì il meraviglioso tempio di Gerusalemme (1012) e fu famoso per la magnificenza della sua corte. Aveva una grande saggezza e scrisse il Libro dei Proverbi.

5. Dopo la morte di Salomone, il regno fu diviso in due parti: il regno di Israele a nord (975-722) e quello di Giuda a sud (975-588).

A Salomone successe il figlio Roboamo, che gravò il popolo di tasse ancora più pesanti del padre, così che le 10 tribù del nord formarono uno scisma e fondarono il regno di Israele. Le due tribù meridionali, Giuda e Beniamino rimasero fedeli a Roboamo e formarono il regno di Giuda.

6. Poiché gli abitanti di questi due regni abbandonarono il vero Dio, i regni furono distrutti e il popolo finì in cattività.

Il regno di Israele ebbe 19 re; essi portarono il popolo all’idolatria per impedire di andare a sacrificare a Gerusalemme. Dio inviò i profeti per minacciarli dei suoi castighi. Infine, nel 722, il re di Assiria, Salmanasar, distrusse il regno e deportò i suoi abitanti (tra cui Tobia) nella cattività assira. Nel 606, dopo la distruzione dell’impero assiro, essi caddero sotto il dominio dei Babilonesi e, nel 538, sotto il re persiano Ciro. – Il regno di Giuda ebbe 20 re e durò più a lungo. Fu solo il re di Babilonia, Nabucodonosor, che lo distrusse; poiché si ribellarono, un gran numero di ebrei (tra i quali Daniele

tra gli altri) furono fatti prigionieri (606 e 599). La città di Gerusalemme e il tempio furono distrutti. Tuttavia, i Giudei continuarono a offrire sacrifici sulle rovine del tempio. (Bar. 1, 10).

7. Dopo il ritorno dalla cattività (536), i Giudei godettero della pace fino al regno del crudele Antioco, re di Siria (203).

Dal 606 i Giudei del regno d’Israele e di Giuda furano soggetti allo stesso governo; vivevano nello stesso paese e presto ebbero relazioni amichevoli. Da questo momento in poi prevalse l’appellativo di Giudei anziché di Israeliti. Il re di Persia, Ciro, che aveva sottomesso l’impero babilonese, permise agli Ebrei di tornare in patria (Balthazar, ultimo re babilonese fu giustiziato la stessa notte in cui aveva profanato i vasi sacri). Nel 536 gli Ebrei tornarono in Palestina e ricostruirono il tempio. Immediatamente 42.000 guidati da Zorobahel tornarono a Gerusalemme e iniziarono a costruire il tempio, che fu completato nel 516. (Adempimento della profezia consolante di Aggeo). Nel 453 i Giudei ricevettero dal re persiano Artaserse il permesso di ricostruire le mura di Gerusalemme (profezia di Daniele sulle 69 settimane di anni). I Giudei rimasero sotto il dominio persiano per quasi 200 anni senza essere perseguitati. Nel 330 passarono sotto il dominio del re di Macedonia, Alessandro Magno, che aveva distrutto l’Impero persiano. Dopo la sua morte, i Giudei passarono sotto diversi sovrani, ma infine divennero (203) sudditi di Antioco Epifane IV. Egli li perseguitò a causa della loro religione: ad esempio, voleva costringere i 7 fratelli Maccabei ed Eleazar a mangiare carni proibite e li fece martirizzare; innalzò idoli nel tempio.

8. Dopo un’aspra guerra, gli Ebrei ottennero la libertà e furono governati per 100 anni da principi Giudei. (140-39 A.C.).

Sotto la guida dei valorosi Maccabei (Mattatia ed i suoi 5 figli), i Giudei iniziarono la guerra d’indipendenza e si liberarono completamente del giogo siriano. (In una di queste battaglie vennero uccisi alcuni giudei, sui quali furono trovati degli idoli. Giuda Maccabeo fece offrire sacrifici per loro). Uno di questi 5 fratelli, Simone, divenne re e sommo sacerdote in Giudea (140). Gli successe sul trono la sua posterità. Nel 64, Pompeo, in spedizione in Asia Minore, si fermò in Giudea e rese i suoi principi vassalli dell’Impero romano.

9. Nel 38 a.C., un pagano di nome Erode, divenne re della Giudea.

Quando i Giudei si ribellarono, i Romani deposero il loro principe e nominarono un pagano, Erode il Grande (39 a. C.). Erode fu il primo re dei Giudei, estraneo alla loro nazionalità. – Fu quindi sotto di lui che il Messia doveva nascere; fu anche lui a far massacrare i bambini di Betlemme. Morì nel 3 d.C. – A Erode successe il figlio Erode Antipa (3-40); fu lui a far uccidere S. Giovanni Battista ed a chiamare “folle” il Salvatore. Gli successe Erode Agrippa, un nipote di Erode il Grande. E. Agrippa fece decapitare Giacomo il maggiore ed imprigionare San Pietro. Egli si inimicò Dio e morì divorato dai vermi (44). – Nel 70 Gerusalemme fu distrutta da Tito ed i Giudei si dispersero in tutto il mondo.

2. Gli altri popoli furono preparati alla venuta del Messia, o dal popolo ebraico, o da uomini pii e saggi o con mezzi straordinari.

I Giudei erano in contatto regolare con i Gentili attraverso un commercio molto esteso. I loro libri sacri divennero presto noti ai Gentili e furono tradotti in diverse lingue. La Provvidenza ha permesso la loro prigionia per metterli a lungo in contatto con i Gentili; attraverso di loro i Gentili conobbero il vero Dio e le profezie sul Redentore. Tobia, illuminato dallo Spirito Santo, gridò: “Lodate il Signore, figli d’Israele! Egli vi ha dispersi tra i pagani che non lo conoscono, perché possiate raccontare le sue meraviglie e proclamare davanti a loro che non c’è altro Onnipotente all’infuori di Lui”. (Tob. X III, 3). – Dio ha anche suscitato uomini saggi e pii, o ne ha inviati alcuni. Socrate in Grecia insegnava un solo Dio, Creatore dell’universo; dimostrò la follia dell’idolatria, si distinse per la sua temperanza, l’altruismo

la dolcezza e l’impavidità, e fu condannato a morte per le sue dottrine. Giobbe in Arabia, Giuseppe in Egitto, Giona a Ninive, Daniele a Babilonia hanno svolto questo ruolo. Le loro straordinarie virtù, l’intrepida confessione della loro fede, i miracoli operati da Dio in loro favore (i tre giovani nella fornace, Daniele nella fossa dei leoni), erano destinati a mostrare ai pagani chi fosse il vero Dio. Di conseguenza, alcuni pagani adottarono la religione ebraica: furono chiamati proseliti. – Dio illuminò anche i Gentili con mezzi straordinari. Avvisò i tre Magi con una stella miracolosa (S. Matth. II,3); il centurione Cornelio da un Angelo (Atti Ap. X, 3), il re Baldassarre dalla misteriosa mano sulla parete sul muro (Dan. V.), il re Nabucodonosor da un sogno miracoloso che riguardava il vero Dio e il Messia (Dan. II), Balaam da un’asina (Num. XXII, 28). Inoltre, come vedremo in seguito, si trova davvero tra i pagani la speranza del Redentore.

3. Prima di inviare il Salvatore, Dio ha lasciato cadere tutti i popoli dell’universo in una profonda miseria, per far sì che desiderassero più ardentemente questo Salvatore e gli preparassero un’accoglienza più gioiosa.

I Giudei erano molto divisi in materia religiosa; tre partiti religiosi o sette si combattevano: i Sadducei, i ricchi del paese, che negavano la vita futura; i Farisei, meticolosi osservatori delle prescrizioni mosaiche; gli Esseni che si lasciavano alle spalle il mondo e conducevano una vita di dura penitenza. – Nonostante la loro filosofia, i pagani erano immersi in un’ignoranza totale delle cose divine e nell’immoralità più sfrenata. Il numero delle loro divinità era così grande che, secondo Esiodo, non è possibile enumerarle tutte. Adoravano statue di uomini viziosi, perfino animali; consideravano i loro dei come protettori del vizio e pensavano fosse meglio onorarli con azioni viziose o immorali, persino sacrifici umani. I pagani riconobbero la loro profonda miseria e chiedevano aiuto. In una delle sue odi, il poeta romano Orazio lamenta le guerre civili e dice: “Vieni finalmente, figlio della nobile vergine, rimani a lungo con il tuo popolo, torna tardi in cielo e trova il piacere di essere chiamato padre e principe”. (Socrate aveva già espresso la speranza che un mediatore sarebbe disceso dal cielo per insegnarci, senza errori, i nostri doveri verso Dio e verso gli uomini.. È quindi ragionevole che Giacobbe morente (Gen. XLIX, 10) e i profeti (Agg. 11, 7) avessero chiamato un tempo il Salvatore, il Desiderato delle nazioni. – Prima della venuta di Gesù Cristo, l’universo era come un malato che gridava al medico, perché sente il suo dolore in modo così acuto, come piante appassite che desiderano una rugiada rinfrescante, come un uomo che è caduto in un pozzo ed ha bisogno di un soccorritore perché, nonostante tutti i suoi sforzi, non riesce a risalire, come il figlio di un re, costretto a vivere nella più grande povertà e sapendo di essere chiamato a destini più alti. (Alb. Stolz). – Dio, nella sua saggezza, continua ad agire nello stesso modo; prima delle ispirazioni dello Spirito Santo, lascia che alcuni uomini cadano molto profondamente: testimonianza, un certo S. Paolo, un S. Agostino. Gli uomini in tale stato di miseria sono molto più disposti a ricevere la grazia di Dio ed a servirlo con zelo dopo la loro conversione.

IL CATECHISMO DI F. SPIRAGO (XI)

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA (52)

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA DAGLI APOSTOLI A S.S. PIO XII (51)

HENRICUS DENZINGER

ET QUID FUNDITUS RETRACTAVIT AUXIT ORNAVIT

ADOLFUS SCHÖNMATZER S. J.

ENCHIRIDION SYMBOLORUM DEFINITIONUM ET DECLARATIONUM

De rebus fidei et morum

HERDER – ROMÆ – MCMLXXVI

Imprim.: Barcelona, José M. Guix, obispo auxiliar

INDICE DEGLI ARGOMENTI -IX-

K. — DIO PRECETTORE DELLA VITA MORALE.

1. Principi fondamentali della vita morale.

K 1a. a. — CONDIZIONI DELL’ATTO MORALE.

1 aa. Cognizione dell’oggetto della moralità. L’ignoranza può essere invincibile (escludente la volontarietà) e pertanto scusante dal peccato (1485) 1968 2865° 2866;

Tuttavia, non qualsiasi ignoranza scusa 729s.

1 ab. Intenzione dell’oggetto della moralità. La libertà dall’uomo comporta questa dignità, per la quale essa sia in mano del suo consiglio ed ottenga il potere delle proprie azioni 3245; sull’uomo è imposto di adempiere i comandamenti di Dio per libro arbitrio. 227 245;

se esistono fatali necessità si è sollevati dall’imputabilità degli atti umani, dal premio o dalla pena. 283; si rivendica la libertà dall’uomo anche se caduto nello stato di natura: vd. D 3bd; la libertà pure da se sola non è sufficiente a fare il bene. 725.

La bontà morale si raggiunge solo mediante la compartecipazione al Dio buono. 240; non è sufficiente tendere al fine ultimo tanto per congettura 2290;

si riprova l’ipotesi del peccato filosofico 2291; si riprovano le affermazioni più lasse circa l’intenzione (esclusiva) del diletto sensuale 2102s; si riprovano d’altra parte le asserzioni che peccano per eccesso, richiedendo (come necessario per un atto moralmente buono) il motivo soprannaturale di fede, speranza, carità 1925 1934-1938 2307-2313 2444-2459.

Per il peccato attuale si richiede il consenso 870; pertanto (e per assenso dell’avvertenza alla malizia) non si può commettere nemmeno il più piccolo dei peccati attuali 223 780 1514; si riprovano le asserzioni: [Alla ragione del peccato non appartiene la volontarietà; a.l’uomo pecca anche in ciò che fa di necessario] 1946-1949 (1950-1953) 1967.

La violenza scusa dal peccato: applicazioni 1(762) 2715 2758 3634 3718.

Il timore non esclude la volontarietà e l’imputabilità al merito o pena,

applicazioni 1678 1705 2070 2129 2151 2573 3273.

K 1b. b. — FONTI DELLA MORALITÀ.

K1ba. Oggetto. Si fa un opera buona (naturalmente e soprannaturalmente) per l’oggetto e la circostanza 1962.

K 1bb. Sono da indagare dal confessore le circostanze dei peccati 813; in confessione sono da dichiarare quelle che ne mutano la specie (della moralità), 1681 1707 (1962).

K 1bc. Il Fine non giustifica i mezzi (a.in favore della fede; b.per la salute del corpo) b815 ab1254 a1998 b3684.

K 1c. c. — ESTENSIONE DELLA MORALITÀ.

Si Riprovano le asserzioni contro il valore morale e l’imputabilità degli atti esterni 733 739 966-969 (2234) 2240.

K 1d. — NORMA OGGETTIVA DELLA MORALITÀ: LEGGE.

1 da. La legge eterna è la ragione eterna del Creatore 3247; è il fondamento delle l1 dd.eggi della ragione umana quanto è la natura dei beni e dei mali 3248 3781 3973; è il principio del diritto dell’universo 3249.

1dd. La Legge naturale è la stessa legge eterna scolpita negli animi degli uomini che comanda di fare le cose rette vietando di peccare 3247s (3272) 3780s 3956; si rivendica la sua esistenza e conoscibilità (quanto al a.diritto al dominio e alla proprietà, b.diritto di imperare, c.diritto al salario necessario) 2302 b3131 3132 a3133 b3150s 3152 b3165 3170 3248 a3265 c3270 CdIC 6 a1499 a1509, 10°.

Si rigetta la nozione di diritto nel naturalismo, nello stesso luogo sostituito dalla forza materiale 2890; si riprovano le asserzioni circa l’etica atea [le Leggi morali non hanno bisogno della legge divina come fondamento] 2956-2961 (2962-2964); [la Repubblica è fonte e origine di ogni diritto] 2939; [la Volontà del popolo è la legge suprema] 2890.

1dc. La Legge umana stessa consiste nel consociarsi degli uomini secondo la legge naturale come per i singoli uomini 3248; per la legge umana per nome proprio sono prescritte dai poteri civili cose definibili non immediatamente dalla sequela del diritto naturale 3248.

1dd. Autore della legge. Cristo non è solo redentore, ma anche legislatore 1571.

L’autorità eccl. e civile procede immediatamente da Dio 3151 3170; circa il diritto di imperare e degli obblighi nei confronti delle leggi: vd. C 7cc; K 5a c

1dc. Interpretazione della legge. I principi del diritto eccl. in CdIC 17-19. lde

Nella consuetudine nella Chiesa Ecclesia la forza della legge si ottiene unicamente dal potere superiore gerarchico CdIC 25.

K 1e. e. — NORMA SOGGETTIVA DELLA MORALITÀ: LA COSCIENZA.

1ea. Dono della coscienza: all’uomo è comandato di fare e conservare l’ordine morale; come decisione morale si deve applicare la legge obiettiva al caso particolare 3918; si riprova l’etica della situazione giudicante non sec. le leggi obiettive, ma sec. un’intuizione personale 3918-3921.

1eb. Regole della prudenza per agire praticamente, o: sistemi morali. Si riprova il tutiorismo assoluto o rigorismo 2303.

Liberamente si può scegliere un sistema di probabilismo e probabiliorismo 2175-2177; si consente di seguire l’autorità di S. Alfonso nella questione morale, restando tuttavia liberi di conservare le sentenze delle altre autorità 2725-2727.

Si Riprovano a.il principio del probabilismo più lasso e le sue applicazioni (b.maggiormente espresse) 2021-2065 b2046s b2106s a2103 b2104 2105-2165.

K 1f. LE VIRTÙ IN GENERE.

Si riafferma l’esistenza delle virtù naturali (ctr. i Giansenisti) 1916 1925 1936-1938 1962 2307-2309 2444//2467; si riprova d’altra parte il disprezzo delle virtù soprannaturali in favore delle virtù naturali 3343-3345; si riprovano le asserzioni disprezzanti l’esercizio delle virtù come imperfezioni 896 2231 2368.

Dio precipuamente richiede gli atti di fede, speranza, carità (1923) 2188.

Si riprova l’asserzione circa la connessione delle virtù (morali). 1216.

2. Exercizio delle virtù nei confronti di Dio.

(Beni richiesti a Dio)

K 2a. a. — VIRTÙ TEOLOGICA DELLA FEDE.

Circa la natura della fede vd. A 8a; la fede in quanto disposizione alla giustificazione e virtù infusa vd. F 3e 4.

2aa. Necessità di credere. La fede cattolica è necessaria per la salvezza 75s 485; una volta dato l’assenso con giudizio di verità, l’uomo non già è libero fintanto che la voglia abbracciare (2780) 2915; l’uomo pieno della rivelazione è tenuto a prestare assenso di intelletto e di volontà 3008; nell’adulto battezzando c’è la necessità di credere 2836; si riprova: [l’opinione anche la meno probabile che scusa l’infedele contro l’obbligo di credere] 2104; si riprova l’indifferentismo o tollerantismo (negante l’obblig. di credere) 2720 2730s 2785 2865-2867 2915-2918.

I fedeli della Chiesa catt. per giusta causa mai possono mutare o mettere in dubbio la fede 3014 3036; si riprova il dubbio positivo come metodo teol. 2738.

Si riprov. le asserzioni più lasse circa l’obbligo di produrre l’atto di fede 2021 2116. 2165; circa la fermezza dell’assenso alla fide 2119-2121.

La visione dell’essenza di Dio evacua l’atto di fede in quanto la fede è una virtù teologica 1001.

2ab. Verità da credersi. Per fede divina e cattolica è da credersi tutto ciò come che sia divinamente rivelato, contenuto nello scritto del Verbo di Dio, nella tradizione, o che la Chiesa proponga con giudizio solenne o mediante il Magistero ordinario ed universale (1870) 3011 CdIC 1323, § 1; tuttavia una volta dogmaticamente definita nessuna cosa può essere compresa se non espressa manifestamente CdIC 1323, § 3.

Per necessità di mezzo sono da credere:— l’esistenza di Dio, alcuni suoi attributi (Dio remuneratore e vindice), la Persona di Cristo 2381; —la Trinità divina 75 177 2164 2380; —: l’incarnazione del Verbo 76 2164 2380; si riprovano le asserzioni più blande in tali cose 2122s 2164.

Non è lecito distinguere tra capi fondamentali e non-fondamentali, così da permettere il libro assenso diverso dei fedeli 3683; si riprova (nel senso simile) la selezione dei temi nelle conclusioni eccl. 2676-2678.

2ac. Professione della fede. È diritto fondamentale il praticare privatamente e pubblicamente la religione; l’occultazione della fede può essere pecca8monisa se cede allimplicita negazione della fede o in scaldalo al prossimo 2118 CdIC 1325, § 1.

2ad. Conservazione della fede Ctr. la fede pecca particolarmente l’eretico e l’apostata CdIC 1325, § 2 (qui le definizioni di “eretico”, “apostata”); infedeltà puramente negativa non è peccato 1968.

Da fuggire sono pure quegli errori che portano all’eresia CdIC 1324.

Si proibisce di aderire: — alle società clandestine (sette dei Massoni) 2511s 2783 2894 3156-3160 (3278s) CdIC 2335; —: alle società bibliche 2771 2784; — : ai circuli teosofici 3648; —: al partito comunista 2786 3865.

I Libri sono sottoposti alla censura e i nocivi proibiti; vd. H ld.

K 2b. b. — VIRTÙ TEOLOGICA DELLA SPERANZA.

La speranza è la virtù teologica che decade alla visione di Dio 1001.

Si rivendica la legittimità del motivo della speranza ctr. gli errori: vd. F 4; si riprov. l’ass. più blando circa l’obbligo di praticare l’atto di speranza 2021.

C. – VIRTÙ TEOLOGICA DELLA CARITÀ.

Si deve aderire a Dio come al sommo Bene 285.

Si riprov. gli errori del perfetto amore di Dio e circa la rassegnazione di se stesso (a.applicati anche ai peccati commessi) a964s 975 2351-2373.

Si riprov.: [Dio può comandare l’odio di Dio] 1049.

Si riprov. l’ass. più blanda circa l’obbligo di produrre l’atto di carità verso Dio 2021 2105-2107.

Circa l’obbligo di osservare i comandamenti di Dio in genere: vd. F 3fe.

K 2d. d. – CULTO DI DIO IN GENERE.

2de. Preghiera. Si riprov. Le asserzioni detraenti dell’orazione a.vocale ed b.impetratoria come non convenienti all’uomo contemplativo o perfetto b957959 a2181 a2214; la preghiera vale come soddisfazione per i peccati 1713.

Riprov. le asserzioni circa l’applicazione dell’orazione: [le Orazioni applicate per una persona non possono giovare che in generale] 1169; [l’Orazione dei presciti a nulla vale] 1176.

2db. Il Sacrificio è necessario in ogni religione S3339.

2dc. L’uso dei Sacramenti e dei sacramentali anche nei contemplativi deve essere del cuore 2191; non si disprezzano o si dimenticano senza peccato 1259 1699 1718 1775 2523.

2dd. Il Culto dei Santi (degli Angeli e degli uomini) si difende come lecito e si raccomanda come utile 675 1821-1825 1867 CdIC 1276; cf. L 3db ; la Messa in onore dei Santi è nel senso lecito 1744 (1755) 3363.

Ugualmente lecito è il culto delle reliquie 675 (818) 1269 1821-1825 1822 1867 CdIC 1276; si riprova il modo disonesto di agire con le reliquie 818 1825.

Ugualmente lecito è il culto delle immagini 477 581 600//608 653-656 1269 1821 1823 1824s 1867 CdIC 1276.

Alle Reliquie ed alle immagini si deve il culto relativo alla persona alla quale si riferiscono CdIC 1255, § 2; il culto di adorazione (latria) è da attribuire solo a Dio, non alle immagini 477 601; alle immagini non è inerente la virtù per la quale si venerano ma l’onore ad esse tributato si riferisce al prototipo 601 1823; si riprov. “adorare” immagini (il cui termine nondimeno viene infelicemente citato 600//608 653-656: versioni; cf. 612°; ma anche 675) 447 581.

Conviene anche il culto contemplativo delle immagini 2187;

Si riprov. L’asserzione indebitamente limitante il culto delle immagini 2325 2669-2672; si riprovano tuttavia le immagini della B. Maria Vg. abbigliata con vesti sacerdotali 3622.

Si censura l’abuso nel culto dei Santi 818 1825.

2de. Osservanze superstiziose. Si proibisce la divinazione, praticata nei sortilegi, gli auspici, l’astrologia giudiziaria, la chiromanzia etc. 1859 2824; all’astrologia (come scienza) non è da riporre fede 205 283 459s.

Si disapprova lo spiritismo con linterrogare anime o spiriti con l’operato di un “medium” personale 3642; ugualmente il magnetismo con fini soprannaturali 2823-2825.

Magia, veneficio: si riprovano atti e libri loro inerenti. 283 1859.

K 2e. e. – CULTO DI DIO PUBBLICO.

2ea. La Liturgia constituisce il culto pubblico, che il Redentore tributa al Padre e che la società dei fedeli tributa per suo mezzo al Padre (3840) 3841; il culto è pubblico, se esercitato in nome della Chiesa da persona legittimamente a questo deputata e presentata per atto di istituzione della Chiesa a Dio e ai Santi CdIC 1256; il culto deve essere esterno ed interno 3842;

Si riprov. le asserzioni estreme circa l’essenza della liturgia 3843.

Il Sacrificio dell’altare e le preghiere dell’ufficio divino sono un culto pubblico 3757; si riprov. le asserzioni circa l’ordine da osservare nella liturgia 2631-2633 2664s.

Si comanda il Precetto di ascoltare la Messa nei giorni festivi CdIC 1248; si riprova l’asserzione più blanda 2153; la celebrazione simulata della Messa è inganno del popolo 789; si riprova l’asserzione circa la celebrazione delle feste 2152 2673s; è sconveniente celebrare la festa delle singole Persone della Ss. Trinità 3325.

Le Preghiere liturgiche fatte dall’Ufficio a Dio in nome della Chiesa posseggono maggiore forza delle private 3758 3845; tuttavia, non per questo non sono da farsi le private 3819; si rivendica il valore “soggettivo” della pietà ctr. le detrazioni 3845.

Il concetto di anno liturgico è insufficiente ma vero concetto 3855.

Asserzione riprovata circa la lingua liturgica 2486 2666.

L’Ufficio divino dei Chierici: riprov. l’asserzione più blanda circa l’obbligo 2041 2053-2055 2154.

Orationi pubbliche, missioni popolari, esercizi spirituali: asserzioni riprovate 2664s.

2eb. Astinenza dalle opere servili nei giorni festivi. CdIC 1248.

2ec. Penitenza comune digiuno e astinenza da praticare in determinati periodi dell’anno: l’uso Romano non è condannabile 1080; il precetto obbliga anche i contemplativi 2191; le asserzioni più blande sono riprovate 2043 2049-2052.

K 2f. f. — REVERENZA NEI CONFRONTI DI DIO.

2fa. Tentazione di Dio. Si Riprovano le ordalie (ad opera dei ferri roventi, dell’acqua bollente, etc.) 670 695 799 1114; per il duello vd. K 4da.

2fb. Simonia è definita la efficace volontà di comprare o vendere per prezzo temporale una cosa intrinsecamente spirituale, o temporale a quella necessariamente annessa o che costituisce oggetto del contrario CdIC 727, § 1; si può comminare i per denaro, a.lingua, b.ossequio 304 473 586 692 ab707 751 820; si riprova la simonia nel a.conferire gli ordini sacri, nel b.promuovere gli ufficiali, nell’amministrazione del c.battesimo, d.crisma, e.sepoltura. f.sacramentali, g.nel ricevere un monaco nel monastero ab304 a473 a586 a691-694 a701s a705 ab707 cde708 ab710 bdf715 g752 ab820 CdIC a729; delle ordinazioni simoniache vd. J 8bb.

Si considera Simonia —: come riduzione della grazia soggetta a un prezzo 304; — : come vendita di un dono dello Spirito S. 473 586; si riprov. l’asserzione peccante — : per eccesso 1175 (1178); —: per difetto 2145s.

K 2g. g. — FEDELTÀ E VERACITÀ VERSO DIO.

2ga. Voto religioso (professione monacale, voto di verginità perpetua non può essere abbandonata senza peccato 321s; riprov. [Il Voto impedisce la perfezione] 2203.

2gb. È lecito il giuramento (an nel testimoniare davanti ad un giudice) a648 795 1252 a1253;

Lo spergiuro sempre, anche se in favore della fede, è peccato mortale 1254;

Riprovata l’asserzione negante o restringente della più equa liceità del giuramento 913 1193 (1252) 2675; asserzioni peccante per eccesso: [Ctr. Il giuramento non vale altro testimonio] 1110; [Violare il giuramento è lecito in favore della patria] 2964; asserzioni più blande 2030 2124-2126 2128.

3. Esercizio delle virtù verso se stessi.

(Beni chiesti a se stesso.)

K 3a. a. — I BENI RELIGIOSI DELLA PROPRIA ANIMA.

Obbligo di procurare i beni con l’uso dei Sacramenti: vd. sotto i singoli Sacramenti circa l’effetto e la necessità: J 3c 4c 5e 6c 7c; ugualmente il precetto della Confessione e della Comunione almeno annuale; J 5ed 6d.

Si riprov. le asserzioni circa la dismissione dei beni spirituali dell’anima (ad es. dell’amore interessato, delle virtù, della propria perfezione, della propria beatitudine) come requisiti per la perfezione (896) 957-959 2207 2212 2351//2373.

Obbligo delle buone opere 1538s 1545s 1548.

Opere di penitenza e mortificazione: riprov. le asserzioni detrattrici del loro valore 2238-2240 (3344); il digiuno vale come soddisfazione per i peccati 1713; l’uso della Chiesa latina del digiunare non è condannabile. 1080; il digiuno non è da disprezzare dagli uomini perfetti 892.

Obbligo di evitare l’occasione prossima di peccare: asserzione riprovata. 2061 2162s.

K 3b. b. — BENI IMMATERIALI TERRESTRI DELL’ANIMA.

3ba. Libertà personali. Singoli diritti o libertà vd. sotto il luogo proprio tra K.

3bb. Onore e fama propria. Si riprova: difendere o rivendicare il proprio onore —: col duello: vd. K 4da; — con l’uccisione del calunniatore 2037s; —: con una falsa incriminazione 2143s; — con amfibologia 2127; —: con procurato aborto 2134.

K 3c. c. — BENI CORPORALI PROPRI.

Dio concesse all’uomo il diritto dell’integrità della vita e del corpo

(inclusi i a.mezzi necessari ad un onesto genere di vita, b.funzioni sociali in tempo di inopia) a3771 b3774.

La stessa natura delle cose comanda di conservare la vita propria 3268 3270; è proibito esporre la propria vita per legge divina 3272; i suicidi o duellanti sono privati della sepoltura eccl. CdIC 1240, § 1, 3°-4°; circa il duello vd. K 4da.

L’uomo nelle membra del suo corpo non ha altro dominio che quello che è pertinente ai fini naturali 3723; non gli è lecito, danneggiare le sue membra, mutilare, o per altra via rendersi inetto se non quando non si possa provvedere diversamente al bene dell’intero corpo (a.applicando il principio della totalità) 3723 3760 3763 S128a aS128a°; proibita è la castrazione volontario di se stesso 762 S128a.

Integrità sessuale: si riprova la masturbazione direttamente procurata (a.anche per fini medici) 687s a3684; asserzione riprovata della peccaminosità che investe qualunque atto carnale 897 1367 2044s 2109 2148 2149 -2241 2247; si proibiscono i libri lascivi 1857.

K 3d. d. — BENI MATERIALI ESTERNI.

Obbligo di lavorare per procurarsi il vitto 3268-3271; tuttavia, non per questo è riprovevole la mendicità religiosa 1174 (1491);

Il lavoro della madre di famiglia e degli infanti per il salario insufficiente del padre, è un abuso 3735.

K 4. Esercizio delle virtù nei confronti del prossimo.

(Beni del singolo richiesti al prossimo)

K 4a. a. — PRINCIPI GENERALI.

Si rivendica l’obbligatorietà di amare il prossimo con atto interno e formale. 2110s.

Peccati generici ctr. la carità: si riprov. l’ass. più blando a.circa il gaudio dela male altrui, b.il desiderio del male dell’altro, c.la tristezza per il bene altrui abc2113 b2114 a2115.

Lo scandalo al prossimo per l’occultazione della fede CdIC 1325, §4 ; scandalo può sorgere dal modo insano di declamare in pubblico 1405 1820.

Cooperazione al male—: nell’onanismo matrim. 2715 2758 3634 3917a; – : dell’ufficiale cattol. nel divorzio civile 3190-3193; —: nel duello 3162; —: coinvolgere il servo nel peccato 2151; —: nel cremare i cadaveri 3278s: —: nel suffragare i comunisti 3865.

K 4b. b. — I BENI RELIGIOSI DELL’ANIMA.

Si espongono i principi circa l’educazione religiosa. 3685-3690; in qual senso è riprovata l’educazione sessuale 3697s.

K 4c. c. — I BENI IMMATERIALI TERRENI.

4ca. Verità e veracità.

Si riprovano le asserzioni (più blande) —: scusanti la menzogna e l’amfibologia (2124) 2125-2128; – : la testimonianza giuridica dannosa 1112 2046 2102; — circa la detrazione e la falsa incriminazione.

Si Riprova la simulazione della.Messa, b.dei Sacramenti, c.del battesimo a789 b2129 b2560s.

4cb. Fedeltà. Si riprova l’asserzione più blanda circa la fedeltà nella promessa 2030.

4cc. Libertà personale. Dal potere civile di deve assicurare la libertà che richiede la dignità della persona umana 3250.

Tra i diritti fondamentali dell’uomo, spetta la personale libertà in particolare: — la libertà di sequire la coscienza propria, 3250.

— : libertà dalla coercizione nella pratica della fede: nessun recalcitrante è da obbligare al battesimo 647 698 773 781 (1998) 2552-2554 2557 3177; non è lecito battezzare i figli di genitori nolenti 1998 2552-2554 2557;

Cristo non obbliga nessuno ad agire con violenza, ma è riservata l’esortazione alla libertà del proprio arbitrio 698. — : tolleranza della persuasione religiosa degli altri (a.e tutela del culto ctr. i perturbatori), che viene comandata o raccomandata 480 698 772 a773 3176 (3250) 3251s; si riprova: [gli eretici sono da bruciare ctr. la volontà dello Spirito S.] 1483.

Ripugna la libertà Illimitata di pensare, scrivere, insegnare 2731 2850-2859 2875 2979 3252.

Si protegge la Libertà della donna nel matrimonio 3709;

Libertà dalla schiavitù: Empia è la vendita degli uomini per questo si proibisce ctr. I diritti dell’umanità e della giustizia 668 1495 2745s.

Si riprovano I mezzi violenti dell’inquisizione giudiziaria (per estorcere una confessione di crimini); 648; cf. anche le ordalie: K 2fa.

4 cd. L’onore e la fama.

La Confessione è segreta e vi è obbligo del sigillo: vd. J 6ad; asserzioni riprovate circa il danno all’onore degli altri 2143s.

K 4d. d. — BENI CORPORALI

4da. Vita. È vietato dalla legge divina e naturale ferire o uccidere qualcuno all’infuori di una causa pubblica senza essere costretto da alcuna necessità. 3272; il giudizio del sangue è lecito da parte del potere secolare purché non proceda da odio, ma per giudizio e riflessione 795; la milizia può essere innocente 321; si rivendica il diritto di combattere contro gli infedeli (Turchi) 1484; si riprova l’uccisione innocente per ordine della pubblica autorità. 3790.

Si riprova l’ass. scusante l’uccisione — del calunniatore e del falso giudice 2037s 2130; — : del tiranno 1235; — : il ladro per una sola moneta 2131; — : persona che turba la legittima speranza di possesso 2132s; — per adulterio colto i flagranza 2039.

Si riprova l’uccisione del feto o aborto (a.come omicidio) a670 2134s 3258 3298 3337 3719-3721 CdIC 2350, § 1; si giudicano i diversi modi di estrazione del feto: a.accelerazione del parto, b.aborto, c.operazione cesarea, d.laparotonmia, e.craniotomia e3258 be3298 a3336 bc3337 b3338.

Si. riprova il duello (monomachia) ed il a.quasi-duello 799 1111 1113s 1830 2022 2571-2575 3272s 63672 CdIC 1240, § 1 2351; il duello è tentazione a Dio, b.temerarietà nell’esporre la propria vita, b.temerarietà, perversione del diritto come punizione privata a799 bc3272s; non è lecito ad un medico o confessore assistere al duello 3162.

4db. Integrità del corpo. La pubblica autorità non ha diretta potestà sui membri dei sudditi (3272) 3722 3760-3765; questione della liceità quanto —: castrazione e mutilazione 762 S128a; — sterilizzazione 3722 3760-3765 3788; in quanto alla sostanza l’atto non è intrinsecamente illecito, ma lo è per difetto di diritto di agire, se si configura come impedimento alla prole 3760.

4dc. Cura dei corpi dei defunti. Si proibisce la cremazione dei cadaveri (a.ragione addotta) 3188 3195s 3276-3279 a3680 CdIC 1240 §, 1,5°; non è in sé un male e si permette in casi particolari 3680; questione della liceità quanto alla cooperazione 3278s.

Violazione dei cimiteri. Si riprova la dissepoltura dei cadaveri fatta con prava intenzione 773.

K 4e. e. — BENI DELLA VITA SESSUALE.

4ea. Diritto a contrarre il matrimonio (ed istituire una famiglia) 3702 3771.

4cb. Beni che preludono alla prole 3704s; la continenza, consenzienti entrambi i coniugi, può evitare onestamente la prole 3716; il modo di agire dei coniugi che convivono in modo naturale è legittimato dai fini secondari del matrimonio, dal momento che,o per causa naturale, o per il tempo, o a causa di difetti non possa generare la vita. 3718; lecita è l’osservanza dei tempi agenesiaci 3148 3748; si riprova l’onanismo matrimoniale (specialmente indotto con a.strumento, b.coito sodomitico) 2715 2758-2760 2791-2793 a2795 3185-3187 b3634 a3638-3640 3716-3718 ab3917a; si scusa la moglie obbligata al peccato 2715 2758 3634 3718.

Questione della liceità quanto alla —: copula dimezzata 3660-3662; —: ampiesso riservato 3907.

La Fecondazione artificiale è illecita 3323.

4ec. Si disapprova la vita sessuale più libera — : matrimonio a tempo, ad esperimento 3715; —: dissoluzione dell’unione coniugale 283; — divorzio delle presunte vedove da altro marito, al ritorno del primo (creduto morto) 314.

Si riprovano i giudizi più lassi quanto alla peccaminosità degli atti carnali 2060 2109 2148-2150; la fornicazione del soluto con una soluta è peccato a.mortale a835 2148; si riprov. l’asserzione più lassa circa il modo di considerare i peccati sessuali 2044s 2150.

Il Chierico costituito negli ordini sacri e i regolari solennemente professi, contraggono il matrimonio invalidamente 1809 CdIC 1072s (2388, § 1); in cosa di sollecitazione venerea non è ammessa parvità di materia 2013;

asserzione riprovata circa la denunzia della sollecitazione 2026s.

4ed. Istruzione sessuale. L’educazione sessuale in qual senso è riprovata 3697; riprovata l’educazione dei sessi 3698; sono proibiti i libri lascivi 1857.

K 4f. f. — BENI MATERIALI ESTERNI.

4fa Si raccomanda l’Elemosina come opera buona (a.soddisfattoria per i peccati, b.in suffragio per i defunti) b797 9713 b856 9304 b1405; si rivendica il modo di vivere degli ordini mendicanti 844 1170 1174 1184 1491.

L’obbligo all’elemosina non viene dalla giustizia, ma dalla carità, eccetto nelle cose estreme 3267;. I ricchi sono gravemente obbligati a dare da libere donazioni (a.negato il supposto dell’asserzione lassa) a2112 3729.

4fb. Giustizia nell’acquistare e nel possedere. Il diritto al dominio e alla proprietà è fondato sulla legge divina e naturale 3133 3265s 3271 3726 (3728) 3771; si difende come diritto ondamentale specialmente nelle genti oppresse dell’uomo 773 1495 2746; si riprovano le asserzioni che negano al peccatore il diritto alla proprietà civile o all’eredità 1121-1125 11541 1165 1230; la proprietà non impedisce la salvezza dell’uomo 797; il comunismo contrasta il diritto alla proprietà 2786.

Il diritto alla proprietà ha indole individuale e sociale (3267) 3726 3728 3773; da evitare è sia a.l’individualismo quanto il b.collettivismo ab3726 a3741.

Nel possesso occorre distinguere l’uso dei beni 3267 3727; l’uso dei beni materiali riguarda tutti (a.in equa parte) 3267; l’abuso o il non uso non è ammesso nel diritto di proprietà 1126s 1137s 1166 1168 3727;

l’autorità pubblica non può negare il diritto al possesso, ma temperarne l’uso e concorrere al bene comune 3271 3728. Circa il bene comune e la giustizia sociale vd. K 5ca 5cb.

Titoli per acquistare il dominio -: l’occupazione di una cosa di nessuno 3730;

l’industria o la specificazione (così come gli dà una nuova specie o aumento della proprietà) 3730;

– il lavoro personale equo tuttavia non è l’unico titolo legittimo 3265 3268s 3731 .3732 3773; principi del giusto salario: vd. K 4fc;

– diritto all’eredità (a.che nessuno della civile autorità può portar via) 1122s a3728;

– prescrizione, supposta buona fede 816 CdIC 1512.

lesione della proprietà. Il furto e la rapina sono divinamente proibiti 3133;

I rapitori della cose dei naufraghi sono scomunicati come fratricidi 706;

riprov. le ass. più lasse -: favoreggiamento nei furti 1368 2136-2138; -: peccati ctr. la giustizia nel risolvere le obbligazioni ecclesiastiche per lo stipendio ricevuto 2028-2030 2040-2042 2053-2055 2063 2147 (2154);

sentenza del giudice con accettazione di denaro con parti ugualmente probabili 2046; -: ctr. l’obbligo della restituzione 1115 2040 2053 2138s.

4 fc. Giustizia nel contrarre. In forza del prestito, nessuno può percepire un guadagno. 3105: 4fc.

un lucro è legittimato da titoli estrinseci 3106s; principi determinanti la quantità del lucro 3108s.

L’Usura è definita come studio del lucro non germinante dall’uso della cosa, da alcun lavoro, nessun rischio, nessun pericolo 1442 (2546) CdIC 1543; si riprova l’usura (a.e le specie di contratti affini) 280s 716 a753 a764 906 2062 a2140 2141s S747; si condannano i cambi 1981s; cause scusanti ed i contratti scusati (in specie i Monti di Pietà) 828 1355-1357 a1442-1444 2548-2550; usura a solo legis titolo di legge è considerata di dubbia fede 2743.

Locazione dell’opera. Il Salariato di per sé non é ingiusto 3733;

Si raccomanda la temperanza nel contratto dell’opera contro il contratto di società e la partecipazione attiva del lavoratore alle strutture da amministrare 3733

Principi per la mercede diminuita giustamente (tra le quali a.la necessità della famiglia, b.stato economico dell’officina, c.il bene comune) (a3266) 3269s 3271 (a3726) 3733 a3735 3736 c3737 3773.

K 5. Esercizio delle virtù contro la suprema società.

K 5a. a. – BENI RICHIESTI ALLA SOCIETÀ IN GENERE.

5aa. Il diritto di formare una società è dato da Dio 3771.

5ab. Circa la giustizia sociale quale principio economico vd. K 5cb.

I beni sia esterni sia all’anima sono dati all’uomo tanto per la perfezione propria che per l’utilità degli altri 3267.

5ac. L’autorità imperante (in genere).

L’autorità legittima è difesa ctr. i denigratori: [l’uomo perfetto si emancipa dall’obbedienza] 893 2265; [il Popolo arbitrariamente recusante la legge non pecca 2048;] [il Popolo può a suo arbitrio correggere i signori che delinquono] 1167: si riprova il concetto materialistico dall’autorità 2960; il diritto di dominare non si estingue nell’uomo peccatore o prescito 1121 1165 1230.

Ogni autorità umana ha i limiti nella legge eterna 3248s;

K 5b. b. — BENI RICHIESTI ALLA FAMIGLIA.

Il diritto a formarsi una famiglia è dato da Dio 3771; il convito domestico per ragione e cosa è prioritario rispetto alla comunità civile 3728; si riprov.: [la famiglia trae la ragione della sua esistenza dal diritto civile] 2891; l’ordine dell’amore e la sottomissione nella famiglia 3707-3709; il diritto ed il compito della famiglia di educare e procurare l’istruzione 3685 3690 CdIC 1372 1374; questo diritto precede il diritto dello stato 2891s 3690 3693.

Si riprova il lavoro della madre di famiglia e degli infanti obbligati alle officine dalla esiguità del salario paterno 3735 3737; la giusta mercede del lavoro è determinata dal rispetto e dalla necessità della famiglia (3266) 3271 (3726) 3735.

K 5c. c. — BENI RICHIESTI ALLA SOCIETÀ CIVILE.

5ca. Genere di beni provenienti dalla società civile. Beni comuni economici: obbligo di intendere la richiesta del bene comune dall’indole del dominio sociale 3728; questa cura deve estendersi a tutto il mondo (oltre la propria gente); casi speciali ove urge il rispetto al bene comune 3737 3772

Adeguamento degli uomini rispetto ai diritti e ai beni della cultura terrestre (La ragione considera la dignità della persona umana), in specie per ciò che spetta all’indipendenza politica della gente 3255.

Pace – : si spera conservarla —: tra gli ordini dei cittadini: (3170)

5cb. Principi dell’intercessione della potestà civile nella vita sociale. La giustizia sociale è il principio direttivo economico esigente dal singolo quanto sia necessario al bene comune 3732 3737-3741 3774.

Il principio si sussidiarietà deve reggere qualsiasi ordine sociale 3738.

Si riprov. l’ass. circa il diritto assoluto di tassare del potere civile 2939 3782s 3785; principi di resistenza ctr. l’abuso del potere civile (a.dissuadere la sedizione, b.si riprova il tirannicidio) a1235 a3132 a3170 3252s 3775s.

La societas civile ha il diritto di educare, non assoluto ed antecedente il diritto della famiglia 2891s 3685 3690-3596; non ha il diritto di sciogliere in vincolo del matrimonio (a.neppure nei legittimi matrimoni naturali) 2992 (3190-3193) a3724; non può togliere il diritto di proprietà ed eredità 3728.

Ai cittadini compete la facoltà di eleggere o temperare la forma della cosa pubblica 3173 3253s; —di partecipare attivamente ai negozi della repubblica 3174; — di riunirsi in società di lavoratori 3740.

5cc. Sistemi dell’ordine sociale. Si riprende il liberalismo (ed il suo individualismo) 3772.

Il Socialismo (anche a.mitigato) contrasta con i principi cristiani 2892 2918 3742-3744.

Il Comunismo rovescia le necessità dei cittadini e della società 2786 3773; è proibito il suo favireggiamento 3865.

K 5d. d. — BENI RICHIESTI ALLA CHIESA.

Sottomissione all’autorità della Chiesa —: rivendicata in genere 102 161 704 1215 2895; nessun uomo a.giustificato né b.perfetto (o contemplativo) è esente dai precetti della Chiesa b393 a1570 b21895; — dall’insegnamento: vd. H la c 2a-c; — dal riconoscere il primato del S. Pontefice: vd. G 4db; rifiutare la sottomissione al S. Pontefice e ricusare di comunicare con i membri della Chiesa è scismatico 446 468s CdIC 1325, § 2.

Diritto della Chiesa è obbligare e punire i disobbedienti: vd. G 4b; diritto ai beni temporali vd. G 4a.

6. Vita della perfezione cristiana.

K 6a. a. — NATURA DELLA PERFEZIONE CRISTIANA.

6aa. Cooperazione con la grazia divina. Si riprova l’ass. che nega il valore e la necessità dell’umana attività [come: Dio solo vuole operare in noi senza di noi; l’uomo deve annichilare le sue potenze; ogni progresso della virtù deve attribuirsi unicamente all’azione divina] 2201//2255 3817 3846; reprob.: [l’uomo può perfezionarsi a tal punto da non poter più progredire nella grazia] 891.

6aa. Effetto o frutto della vita di perfezione. Riprov. l’ass. esagerante: [si può pervenire alla perfetta libertà dalle passioni, dalla cupidigia, alla morte della sensualità, alla pace imperturbabile] 892 2254-2256 2262s:

[Si può giungere anche alla libertà dal peccato veniale fino ad essere a.impeccabile] a891 2256-2261.

Alle Tentazioni devono resistere anche i contemplativi a192 2217-2224 2237 2241-2253; l’atto e peccato anche per l’uomo perfetto 897 2248 (2241-2253).

L’unione con Dio è da raggiungere in terra, si riprov. l’ass. esagerante: [a.l’uomo si trasforma totalmente in Dio, b.si fa uguale a Dio c.gode la beatitudine e la comunione illimitata con Dio, d.opera una cooperazione comune con Dio] b959s ac9615 c963 b970-972.

6ac. Sottomissione a Dio e alla Chiesa. Anche i contemplativi vi sono tenuti 893 2189s; ad essi non conviene omettere l’atto di riverenza prescritto nei confronti della S. Eucaristia 898.

K6b. b. — VIA DELLA PERFEZIONE CRISTIANA.

6ba L’Esercizio delle virtù conviene pure agli studenti 896 2188 2231 2368; anche l’atto esterni ha valore per la vita di perfezione 966-969.

6bb. Orazione. L’ Orazione contemplativa è riconosciuta legittima ed eccellente 2182 2185 2188; il suo oggetto non è solo la presenza di Dio 2185-2187; l’orazione meditativa e riconosciuta legittima e di valore per la vita di perfezione 2181-2185; negando ad essa la necessità per la salvezza 2192: si rivendica la legittimità dell’orazione discorsiva ctr. le detrazioni 2218-2223 2225 2229 1232 2264 2365-2368; all’uomo perfetto conviene pure l’Orazione impetratoria 957-959 2214; reprob. l’asserzione ctr. la devozione sensibile (2218) 2227//2235 2263.

6bc. Le opere di penitenza e di mortificazione hanno il loro valore anche per i perfetti 2238-2240.

6bd. Rinunzia all’amor proprio. Si riprova l’asserzione esagerata soprattutto circa la necessità della rinuncia all’amore proprio, ai beni spirituali e alla salvezza eterna 957-959 2201-2217 2224s 2232//2253 2351//2373 2433.

6be. Consigli evangelici o voti religiosi. Si rivendica la loro legittimità 321 (381) 797 3345; non impediscono la perfezione 2203; si riprovano le asserzioni esagerate circa la povertà — di Cristo e degli Apostoli 930s 1087//1097; —: forza del voto 908 10871097.

6bf. 6bf lo Stato religioso è il modo stabile di vivere in comune in cui oltre ai precetti comuni si praticano anche i consigli evangelici CdIC 487; si rivendica li stato religioso (ctr. gli avversari) 844 11691174 1181 1184s 1194s 1270 CdIC 487; riprov. le asserzioni circa la riforma dei regolari e dei monacali 2680-2692; si difende come legittimo lo stato dei religiosi mendicanti 841-844 1170 1174 1184 1491.

6bg. Stato di verginità e celibato. Obbligatorio per i chierici (a.negli ordini maggiori)

117° 118s 185 711 a1809 2972 CdIC a132 1072s.

La verginità ed il celibato superando stato matrimoniale 1810 3911s; il mutuo aiuto dei coniugi non è un mezzo di maggior perfezione per la santità come la verginità. 3912.

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA (53)