FESTA DI OGNISSANTI

 

ognissanti

Hymnus

Placare, Christe, servulis,

Quibus Pátris clementiam

Tuæ ad tribunal grátiæ

Patrona Virgo póstulat.

Et vos beáta, per novem

Distincta gyros ágmina,

Antíqua cum præsentibus,

Futúra damna péllite.

Apóstoli cum vatibus,

Apud severum Júdicem,

Veris reorum flétibus

Exposcite indulgéntiam.

Vos purpurati mártyres,

Vos candidati præmio

Confessiónis, éxsules

Vocate nos in pátriam.

Chorea casta vírginum,

Et quos erémus íncolas

Transmísit astris, cælitum

Locáte nos in sédibus.

Auférte gentem pérfidam

Credéntium de fínibus,

Ut unus omnes únicum

Ovíle nos pastor regat.

Deo Patri sit glória,

Natóque Pátris unico,

Sancto simul Paráclito,

In sempitérna sæcula. Amen.

[Ti placa, o Cristo, coi servi, per i quali la clemenza del Padre implora, presso il tribunale della tua grazia, la Vergine patrona. E voi, schiere beate in nove cori distinte, gli antichi, presenti e futuri mali da noi allontanate. Apostoli e Profeti, presso il severo Giudice al sincero pianto dei rei, implorate clemenza. Voi, porporati Martiri, voi, candidi e gloriosi Confessori, da questo esilio chiamateci alla patria. Casto stuolo delle Vergini, e quanti dall’eremo migraste a popolare il cielo, nelle sedi locateci dei celesti. Sperdete la gente perfida di mezzo ai credenti, onde tutti in unico ovile ci governi un sol Pastore. Sia gloria a Dio, Padre, e al Figlio suo unigenito, insieme collo Spirito Paraclito, per i secoli eterni. Amen.]

 

FESTA DI TUTTI I SANTI

La festa della Chiesa trionfante.

[Dom Gueranger, “l’anno liturgico” vol. II]

« Vidi una grande moltitudine, che nessuno poteva contare, d’ogni nazione, d’ogni tribù, d’ogni lingua e stavano davanti al trono vestiti di bianco, con la palma in mano e cantavano con voce potente: Gloria al nostro Dio » (Apoc. VII, 9-10). Il tempo è cessato e l’umanità si rivela agli occhi del profeta di Pathmos. La vita di battaglia e di sofferenza della terra (Giob. VII, 1) un giorno terminerà e l’umanità, per molto tempo smarrita, andrà ad accrescere i cori degli spiriti celesti, indeboliti già dalla rivolta di Satana, e si unirà nella riconoscenza ai redenti dell’Agnello e gli Angeli grideranno con noi: Ringraziamento, onore, potenza, per sempre al nostro Dio! (Apoc. VII, 11-14). – E sarà la fine, come dice l’Apostolo (I Cor. 15, 24), la fine della morte e della sofferenza, la fine della storia e delle sue rivoluzioni, ormai esaurite. Soltanto l’eterno nemico, respinto nell’abisso con tutti i suoi partigiani, esisterà per confessare la sua eterna sconfitta. Il Figlio dell’uomo, liberatore del mondo, avrà riconsegnato l’impero a Dio, suo Padre e, termine supremo di tutta la creazione e di tutta la redenzione, Dio sarà tutto in tutti (ibid. 24-28). Molto prima di san Giovanni, Isaia aveva cantato: Ho veduto il Signore seduto sopra un trono alto e sublime, le frange del suo vestito scendevano sotto di lui a riempire il tempio e i Serafini gridavano l’uno all’altro: Santo, Santo, Santo, il Signore degli eserciti: tutta la terra è piena della sua gloria (Is. VI, 1-3). – Le frange del vestimento divino sono quaggiù gli eletti divenuti ornamento del Verbo, splendore del Padre (Ebr. I, 3), perché, capo della nostra umanità, il Verbo l’ha sposata e la sposa è la sua gloria, come egli è la gloria di Dio (I Cor. XI, 7). Ma la sposa non ha altro ornamento che le virtù dei Santi (Apoc. XIX, 8): fulgido ornamento, che con il suo completarsi segnerà la fine dei secoli. La festa di oggi è annunzio sempre più insistente delle nozze dell’eternità e ci fa di anno in anno celebrare il continuo progresso della preparazione della Sposa (Apoc. XIX, 7).

Confidenza.

Beati gli invitati alle nozze dell’ Agnello! (ibid. 9). Beati noi tutti che, come titolo al banchetto dei cieli, ricevemmo nel battesimo la veste nuziale della santa carità! Prepariamoci all’ineffabile destino che ci riserba l’amore, come si prepara la nostra Madre, la Chiesa. Le fatiche di quaggiù tendono a questo e lavoro, lotte, sofferenze per Dio adornano di splendenti gioielli la veste della grazia che fa gli eletti. Beati quelli che piangono! (Mt. V, 5). – Piangevano quelli che il Salmista ci presentava intenti a scavare, prima di noi, il solco della loro carriera mortale (Sal. CXXV) e ora versano su di noi la loro gioia trionfante, proiettando un raggio di gloria sulla valle del pianto. La solennità, ormai incominciata, ci fa entrare, senza attendere che finisca la vita, nel luogo della luce ove i nostri padri hanno seguito Gesù, per mezzo della beata speranza. – Davanti allo spettacolo della felicità eterna nella quale fioriscono le spine di un giorno, tutte le prove appariranno leggere. O lacrime versate sulle tombe che si aprono, la felicità dei cari scomparsi non mescolerà forse al vostro rammarico la dolcezza del cielo? Tendiamo l’orecchio ai canti di libertà che intonano coloro che, momentaneamente da noi separati, sono causa del nostro pianto. Piccoli o grandi (Apoc. XIX, 5), questa è la loro festa e presto sarà pure la nostra. – In questa stagione, in cui prevalgono brine e tenebre, la natura, lasciando cadere i suoi ultimi gioielli, pare voler preparare il mondoall’esodo verso la patria che non avrà fine. Cantiamo anche noi con il salmista: « Mi sono rallegrato per quello che mi è stato detto: Noi andremo nella casa del Signore. O Gerusalemme, città della pace, che ti edifichi nella concordia e nell’amore, noi siamo ancora nei vestiboli, ma già vediamo i tuoi perenni sviluppi. – L’ascesa delle tribù sante verso di te prosegue nella lode e i tuoi troni ancora liberi si riempiono. Tutti i tuoi beni siano per quelli che ti amano, o Gerusalemme, e nelle tue mura regnino la potenza e l’abbondanza. Io ho messo ormai in te le mie compiacenze, per gli amici e per i fratelli, che sono già tuoi abitanti, e, per il Signore nostro Dio, che in te abita, in te ho posto il mio desiderio » (Sal. CXXI).

Storia della festa.

Troviamo prima in Oriente tracce di una festa in onore dei Martiri e san Giovanni Crisostomo pronunciò una omelia in loro onore nel iv secolo, mentre nel secolo precedente san Gregorio Nisseno aveva celebrato delle solennità presso le loro tombe. Nel 411 il Calendario siriaco ci parla di una Commemorazione dei Confessori nel sesto giorno della settimana pasquale e nel 539 a Odessa, il 13 maggio, si fa la «memoria dei martiri di tutta la terra». In Occidente i Sacramentari del V e del VI secolo contengono varie messe in onore dei santi Martiri da celebrarsi senza giorno fisso. Il 13 maggio del 610, Papa Bonifacio IV dedicò il tempio pagano del Pantheon, vi fece trasportare delle reliquie e lo chiamò S. Maria ad Martires. L’anniversario di tale dedicazione continuò ad essere festa con lo scopo di onorare in genere tutti i martiri. – Gregorio III, a sua volta, nel secolo seguente, consacrò un oratorio « al Salvatore, alla sua Santa Madre, a tutti gli Apostoli, martiri, confessori e a tutti i giusti dormienti del mondo intero ». – Nell’anno 835, Gregorio IV, desiderando che la festa romana del 13 maggio fosse estesa a tutta la Chiesa, provocò un editto dell’imperatore Luigi il Buono, col quale essa veniva fissata al 1 novembre. – La festa ebbe presto la sua vigilia e nel secolo xv Sisto IV la decorò di Ottava obbligatoria per tutta la Chiesa.

Desiderare l’aiuto dei Santi.

 «Perché possiamo sperare tanta beatitudine dobbiamo desiderare ardentemente l’aiuto dei Santi, perché quanto non possiamo ottenere da noi ci sia concesso per la loro intercessione.» Abbiate pietà di noi, sì, abbiate pietà di noi, voi che siete nostri amici. Voi conoscete i nostri pericoli, voi conoscete la nostra debolezza; voi sapete quanto grande è la nostra ignoranza, e quanta la destrezza dei nostri nemici; voi conoscete la violenza dei loro attacchi e la nostra fragilità. Io mi rivolgo a voi, che avete provato le nostre tentazioni, che avete vinto le stesse battaglie, che avete evitato le stesse insidie, a voi ai quali le sofferenze hanno insegnato ad avere compassione.» Io spero inoltre che gli angeli stessi non disdegneranno di visitare la loro specie, perché è scritto: visitando la tua specie non peccherai » (Giob. V, 24). Del resto, se io conto su di essi perché noi abbiamo una sostanza spirituale e una forma razionale simile alla loro, credo di poter maggiormente confidare in coloro che hanno, come me, l’umanità e che sentono perciò una compassione particolare e più intima per le ossa delle loro ossa e la carne della loro carne.

Confidenza della loro intercessione.

»Non dubitiamo della loro benevola sollecitudine a nostro riguardo. Essi ci attendono fino a quando anche noi non avremo avuta la nostra ricompensa, fino al grande giorno dell’ultima festa, nella quale tutte le membra, riunite alla testa sublime, formeranno l’uomo perfetto in cui Gesù Cristo, nostro Signore, degno di lode e benedetto nei secoli, sarà lodato con la sua discendenza. Così sia » (Discorso sui Santi, passim).

OMELIA di S.S. GREGORIO XVII (G. Siri)

TUTTI I SANTI – S. Messa (1972)

Fratelli miei, tra poco procederemo all’ordinazione sacerdotale di questi quattro diaconi. Ora, riflettiamo bene sul Vangelo che abbiamo sentito leggere. E tolto dal capitolo 5° di Matteo (vv. 1- 12a) e fa parte del Discorso detto della Montagna. Non mi fermo a commentare le otto beatitudini espresse, ma, considerando l’insieme del brano evangelico, mi limito ad alcuni rilievi di carattere generale, che peraltro ritengo estremamente importanti. – Dobbiamo partire da questo punto: le otto beatitudini, enunciate e proclamate ora, contengono il codice della santità. Questo va affermato in modo certo, va scolpito, perché c’è da desiderare che si finisca in questo mondo una buona volta di giocare con le parole, sostituendo le parole e gli slogans al Vangelo, e si ritorni a parlare puramente e semplicemente con le parole che ha usato Nostro Signore Gesù Cristo. Si è abusato e si abusa troppo di parole generiche, che possono dire tutto quello che si vuole e che possono anche dire nulla. Qui abbiamo i l codice della santità. E vorrei osservare che la meta proposta non solo ai sacerdoti, ma ai fedeli è la santità. La santità corrisponde alla giustizia in senso biblico, perché nella Sacra Scrittura quando si parla di giustizia si intende tutto l’insieme per cui una creatura intelligente può piacere a Dio ed entrare nel beneplacito divino. Dico: si deve tendere alla giustizia. Non basta tendere alla comunione, è troppo poco; non basta tendere alla liberazione – chissà poi da che -, è troppo poco; non basta tendere alla solidarietà, è troppo poco; non basta tendere alla redenzione dei mali terreni, che non avverrà mai, è troppo poco, ed è talmente troppo poco da essere un inganno per tutti, poveri e ricchi. Si tende alla santità! Il Vangelo ci chiama a questo traguardo, ed è necessario pronunciare una parola di severa condanna su tutte le sostituzioni e su tutti gli alibi che si tendono a offrire con tante parole vuote agli uomini, alibi affinché facciano tutto quello che loro comoda e per di più si credono, ingannandosi, dì Poter meritare la vita eterna. Dunque è a questo codice della santità che si deve guardare. Le parole umane ci possono ingannare, quelle divine no. – Veniamo ad una seconda considerazione di ordine generale: questi otto canoni che portano alla santità e che sono tali che uno li comprende tutti, sono fra di loro reversibili come gli universali nell’ente. Questi otto canoni hanno un punto di arrivo, che sta al di sopra della santità ed è la vita eterna, perché Gesù promette per quelli che osserveranno questi canoni il Regno di Dio ultimo, perfetto, che è il Cielo. È necessario guardare alla vita eterna. È essa che domina la vita del tempo; gli altri elementi, che possono nello svolgersi dei fatti diventare indicativi per noi, sono elementi che in tanto vanno accolti in quanto possono essere certamente recepiti nella tendenza alla vita eterna. Tutto riguarda la vita eterna: quello che faremo oggi, quello che abbiamo fatto ieri, quello che faremo domani, un lungo domani. Tutto è giustificato solo se tende alla vita eterna. L’alternativa alla vita eterna per i destini ultimi si chiama dannazione; per il tempo, e cioè l’esperienza della vita, si chiama il nulla. Difatti gli uomini sembra che si divertano; non è così! In realtà la gran parte, la quasi totalità del loro divertirsi è semplicemente una fuga. Hanno paura di se stessi, del mistero che portano nell’anima loro e del mistero che sta al fondo di tutte le cose e della storia. La vita eterna: si parli di quella, anche perché in tanto si aggiustano, meglio diremo, si rabberciano le cose di questo mondo in quanto tendiamo alla vita eterna, perché è sul filo di questa tentazione che sta la risoluzione di tutti i problemi terrestri degli uomini. E questa è la seconda considerazione generale. – Passo ad una terza: negli otto canoni della santità noi abbiamo una rivelazione che abbaglia. Tutto quello che potrebbe sembrare rifiuto per gli uomini, serve benissimo per la vita eterna. Gli uomini dal fomite della loro concupiscenza sono portati ad amare prima di tutto se stessi e poi le cose, in quanto le cose sono un arricchimento di se stessi. Dire a loro e parlare a loro della povertà di spirito, la prima delle beatitudini, cioè del distacco del cuore dai beni terreni, è cosa che agli sprovveduti può far paura. E invece no, è la cosa più utile che a loro si possa suggerire sia per l’eternità sia anche per il tempo, perché quando nel tempo si ha il cuore distaccato dalle cose terrene, tutti noi diventiamo padroni e sovrani e solo allora abbiamo l’indipendenza e la libertà. Quando uno non ha il cuore distaccato da se stesso e dai beni terreni, dica quel che vuole, non è un uomo libero, fa pietà, e voi capite quale scorta di pietà occorre avere nel cuore a vedere e a sentire tutto quello che vediamo e sentiamo. Ecco la rivelazione abbagliante degli otto canoni della santità: tutto quello che il mondo scarta come se fosse minorazione, come se fosse debolezza, come se fosse asservimento – no! -; la fame e la sete di giustizia, la sofferenza, il pianto, la mitezza (scambiata dagli uomini come una debolezza, mentre è la più grande forza per dominarli): tutto questo, quello che il mondo pare rifiutare, tutto serve alla vita eterna. Ma l’ho già detto: è quello che serve di più anche a risolvere le questioni terrene. E ringraziamo Iddio che noi, molte volte prigionieri delle cose, di questa terra e costretti quasi al pianto dal loro maligno intersecarsi, possiamo guardare le vicende di questo mondo in qualche modo, non del tutto, come le vedremo quando saremo arrivati nella casa del Padre. – E finalmente vi prego di osservare: questi otto canoni cominciano tutti con la parola “beati”. È grande questo, perché la parola “beati” non si riferisce solo al fatto che avremo la vita eterna e che intanto possiamo godere della speranza e dell’attesa della vita eterna, ma si riferisce anche al tempo. In questo mondo ci può essere una beatitudine, naturalmente imperfetta, naturalmente relativa, naturalmente ridotta e naturalmente contestabile dagli altri. Comunque nostro Signore afferma che in questo mondo pure può esistere una certa beatitudine iniziale, perché l’insieme delle beatitudini fa capire che la beatitudine perfetta è nel Regno, lassù, non quaggiù, ma la possiamo avere. E la cosa è da Lui esplicitamente detta nell’ultima beatitudine, con la quale chiuderemo il nostro discorso, perché dice della peggior cosa di cui abbiano paura gli uomini addirittura: “in questo momento godete ed esultate” (Mt 5, 12). È la rivelazione stupenda di questo canone della santità: Nostro Signore non ci ha condannati alla tristezza di questo mondo, no; sa che ce ne sarà, ma non ci ha condannati, non ci ha obbligati ad essere perennemente tristi, tutt’altro. Ci ha insegnato persino a godere ed esultare quando le cose secondo una piccola ragione umana sembrerebbero addirittura disastrose. E ringraziamo Iddio, perché sappiamo sempre dove poterci rifugiare comunque vadano le cose di questo mondo. – Ed ora, l’ultima beatitudine: “Beati voi quando vi perseguiteranno e, mentendo, diranno di voi ogni male a causa mia” (Mt 5, 11). Causa sua: attenti bene alle parole! “Godete allora ed esultate perché è grande la vostra ricompensa nei cieli” (Mt 5, 12a). Più di così non si può dire. Cari tra poco sacerdoti, questa beatitudine portatela con voi e ringraziate Dio, imparate a ringraziare Dio e a godere quando gli altri vi daranno fastidio. Il fastidio è un inizio della persecuzione, ma è già una piccola persecuzione. Ne troverete tante di cose che vi daranno fastidio. Sappiate che il Salvatore ha detto: “Delle più grandi cose che danno fastidio, godete ed esultate”. Per poter godere ed esultare imparate per tempo a ringraziare Dio di tutte le cose che vi andranno a traverso. Imparate per tempo! Quando si è imparato a ringraziare sempre Iddio, a questo mondo non ci si sta poi troppo male, e non esageriamo con le cose tristi e con le cose severe fuori posto. Portatela con voi questa ottava beatitudine. Ed ora, cari fratelli questa solennità di tutti i Santi è non sotto tutti i punti di vista, ma sotto un certo punto di vista la più grande solennità dell’anno, e noi in questa cattedrale la celebriamo come tale. Perché? Perché è la festa in cui siamo tutti uno, noi quaggiù e quelli che sono in Cielo. Avete sentito legger la visione dell’Apocalisse (7, 2-4.9-14), della liturgia eterna. La visione di questa liturgia eterna è una visione composta con elementi umani, pertanto è un segno, soltanto un segno, che però getta la nostra mente in una ricerca verso l’infinito. Oggi siamo una cosa sola noi e i Santi. È questo i l giorno. Anche perché tra i Santi, dei quali celebriamo la festa, non ci sono soltanto quelli che sono stati canonizzati o beatificati, ci sono tutti coloro che sono in Cielo con Dio. Quindi pensiamo alle molte persone che abbiamo conosciuto. Oggi siamo con loro.

Autore: Associazione Cristo-Re Rex regum

Siamo un'Associazione culturale in difesa della "vera" Chiesa Cattolica.