I fuochi di san Giovanni.

I fuochi di san Giovanni.

[Dom. Guéanger, l’anno liturgico, vol. II]

 fuochi

Tre Messe celebravano la nascita di Giovanni, come quella di Colui che egli fece conoscere alla Sposa: la prima, di notte, ricordava il suo titolo di precursore; la seconda, allo spuntare del giorno, onorava il suo battesimo; l’ultima, a Terza, esaltava la sua santità (Sacr. Gregor. Amal. pseudo Alcuino, Ord. Rom.). Inoltre, come vi erano una volta due Mattutini nella notte di Natale, Durando di Mende ci riferisce, insieme con Onorio di Autun, che parecchi celebravano nella festa di san Giovanni, un duplice Ufficio {Ration., 7, 14). Il primo cominciava al tramonto; era senza alleluja, per significare il tempo della Legge e dei Profeti che durò fino a Giovanni (Lc. XVI, 16). Il secondo, si iniziava nel cuore della notte e terminava all’aurora; veniva cantato con alleluja, per indicare l’inizio dei tempi della grazia e del regno di Dio (ibid.). – La letizia, che è il carattere specifico di questa festa, dilagava anche fuori dei luoghi santi, e si spandeva finanche sui Musulmani infedeli. Se a Natale il rigore della stagione confinava accanto al focolare domestico le commoventi manifestazioni della pietà privata, lo splendore delle notti della solennità estiva porgeva alla viva fede dei popoli l’occasione di rifarsi. Completava così quello che le sembrava l’insufficienza delle sue dimostrazioni verso il Bambino Dio, con gli onori resi al Precursore nella sua culla. Appena si spegnevano gli ultimi raggi del sole, dal lontano Oriente fino all’estremo Occidente, sull’intera superficie del mondo, immensi falò si levavano dalle montagne, e salivano d’un tratto da tutte le città, in ogni borgata, nei più piccoli villaggi. Erano i fuochi di san Giovanni: testimonianza autentica, e continuamente rinnovata, nella verità delle parole dell’Angelo e della profezia la quale annunciava quella gioia universale che doveva salutare la nascita del figlio di Elisabetta. – Come una lampada ardente e risplendente, secondo l’espressione del Signore, egli era apparso nella notte senza fine. Per un tempo, la sinagoga aveva voluto rallegrarsi ai suoi raggi (Gv. V, 35); ma, poi sconcertata dalla sua fedeltà che le impediva di sacrificarsi per Cristo e per la vera luce (ibid. 1, 20), irritata alla vista dell’Agnello che Giovanni mostrava come la salvezza del mondo e non più soltanto di Israele (ibid. 29), si era rivolta subito nuovamente verso la notte e aveva messo da se stessa ai propri occhi la benda che la faceva rimanere nelle tenebre fino ai nostri giorni. Grata a colui che non aveva voluto né mutilare né ingannare la Sposa, la gentilità lo esaltò tanto più quanto più egli si era umiliato; raccolse gli ideali che avrebbe dovuto custodire la sinagoga ripudiata, e manifestò con tutti i mezzi in suo potere che, senza confondere la luce avuta dal Precursore con lo splendore del Sole di giustizia, ne salutava tuttavia con entusiasmo quella luce che era stata per l’umanità l’aurora dei gaudi nuziali.

Antichità dei fuochi di San Giovanni.

Si potrebbe quasi dire dei fuochi di san Giovanni che risalgono all’origine stessa del cristianesimo. Per lo meno, appaiono fin dai primi tempi della pace, come un frutto dell’iniziativa popolare, non senza stimolare talvolta la sollecitudine dei Padri e dei concili, pronti ad allontanare qualunque idea superstiziosa di manifestazioni che volessero sostituire, del resto così felicemente, le feste pagane dei solstizi. – Ma la necessità di combattere alcuni abusi, possibili oggi come allora non impedì alla Chiesa di incoraggiare un genere di manifestazioni che rispondeva così bene al carattere della festa. [I pagani celebravano da lungo tempo il solstizio d’estate, il 24 giugno, con fuochi di allegria in onore del sole. I cristiani adottarono tale usanza, In onore di colui che, fiaccola ardente fu il Precursore della vera luce (DAC, V, c. 1468)]. – I fuochi di san Giovanni completavano felicemente la solennità liturgica; mostrando unite in uno stesso pensiero la Chiesa e la città terrena. Infatti, l’organizzazione di questi festeggiamenti spettava ai comuni, e i municipi ne sopportavano tutte le spese. Così, il privilegio di accendere i fuochi era riservato di solito alle personalità eminenti nel campo civile. Gli stessi re, prendendo parte alla gioia di tutti, si facevano un onore di dare questo segnale di allegria ai loro popoli; Luigi XIV, nel 1648, mise ancora il fuoco alla pira della piazza di Grève, come avevano fatto i suoi predecessori. D’altronde, come si usa sempre in parecchi luoghi della cattolica Bretagna, il clero, invitato a benedire le cataste di legna, vi gettava poi la prima torcia, mentre la folla, recando altre torce accese, si spargeva nelle campagne intorno alle messi in maturazione, oppure seguiva sulle rive del mare le sinuosità della costa, con grida di gioia a cui rispondevano i fuochi accesi nelle vicine isole.

La « Girandola »

In alcuni luoghi, la girandola, disco infuocato che girava su se stesso e percorreva le strade della città o scendeva dalla cima dei monti, rappresentava il moto del sole che raggiunge il punto più alto della sua corsa per ridiscenderne subito; richiamava così le parole del Precursore riguardo al Messia: Bisogna che egli cresca e che io diminuisca (Gv. III, 30). Il simbolismo era completato dall’usanza che si aveva di bruciare le ossa e gli avanzi di ogni specie, in quel giorno che annunciava la fine della legge antica e l’inizio dei tempi nuovi, secondo il detto della Scrittura: Rigetterete ciò che è vecchio all’arrivo dei nuovi beni (Lev. XXVI, 10). – Beate le popolazioni che conservano ancora qualcosa delle usanze a cui la semplicità dei nostri padri attingeva una letizia più vera e più pura certamente di quelle chieste dai loro successori a certe feste in cui l’anima non prende più parte.

S. MASSIMO VESCOVO E CONFESSORE

MASSIMO VESCOVO E CONFESSORE

[23 GIUGNO – I Santi per ogni giorno dell’anno; Pia Soc. S. Paolo, Roma, 1933]

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A Torino, nell’anno 380 circa nacque il nostro santo da nobile famiglia cristiana. I suoi parenti dopo avergli impartita una educazione seria e santa, pensavano fare di lui un valente magistrato, ed a tal fine lo mandarono a Roma, a perfezionarsi negli studi dell’eloquenza e della filosofia, come usavano i figli dei nobili d’allora. Furono tali i suoi progressi, che salì presto in voce di uno dei primi oratori del suo tempo, e venne tosto laureato in Filosofia. – Però al vedere tante miserie e calamità, che in quei tempi erano spaventose, Massimo decise di consacrarsi totalmente al servizio del Signore. Era allora Pontefice S. Innocenzo I, nativo di Alba in Piemonte, il quale non poté stare indifferente a tanta virtù che si manifestava in Massimo. Perciò quando questi decise di darsi a Dio, lo animò ad essere perseverante negli studi per prepararsi degnamente al sacerdozio. – Ordinato sacerdote, e laureato in Sacra Teologia, si diede con zelo instancabile ad esercitare il sacro ministero, specialmente fra la gente povera di Roma. Tanto ardore fece impressione al santo Pontefice, che, illuminato dallo Spirito Santo, ordinò Massimo Vescovo, e lo mandò a Torino, sua città natia, a reggere quel popolo, e me primo loro pastore. Quantunque i Taurini fossero ancora in gran parte pagani, tuttavia lo zelantissimo apostolato di S. Massimo in pochi anni li vinse, e molti ricevettero il battesimo. – Abilissimo e dotto scrittore ci lasciò copiosissime omelie, ed altre opere. Le continue incursioni barbariche avevano di molto impoverito il popolo della campagna, onde questo ricorreva alla città per potersi sfamare. Il cuore paterno e generoso di Massimo sanguinava al veder tanti suoi figli così ridotti, onde cercava di sollevarne quanti più poteva. Ogni giorno distribuiva il cibo necessario a quanti gli era possibile, e la sua casa era sempre rigurgitante di derelitti e di mendici. – La sua carità giunse a tal segno, da divenirne suo distintivo precipuo; ed ai forestieri che domandavano dove abitasse il vescovo, veniva risposto: “Là, ove troverete tutti i mendici alla porta, ivi è la casa di Massimo”. – Che ancor non fece per il suo gregge? Durante una lunga siccità, egli stesso, vecchio di oltre 60 anni, fece un pellegrinaggio a piedi, da Torino a Roma sulle tombe di S. Pietro e di S. Paolo, dei quali era devotissimo. Infatti per le fervide preghiere del Santo pastore cessò la siccità; la pioggia venne abbondante e benefica, e al suo ritorno Massimo fu accolto trionfalmente dai suoi fedeli. – Figlio tenero di Maria, predicò senza riposo la divina sua Maternità e Verginità e stabili a Torino un culto tale alla Consolata, che Papi e principi vi andavano a pregarLa. La Consolata, detta la Madonna di S. Massimo, diventò la roccaforte della città, ed ancor oggi se ne ammira il quadro originale nella sua sontuosa basilica. Per esso Torino fu chiamata la città di Maria SS. – Inoltre manifestò pure la sua sapienza al concilio di Milano dove confutò sapientissimamente gli errori di Nestorio e di Eutiche, e anatematizzò tremendamente quelli che falsificavano la divina incarnazione del Verbo. – Finalmente dopo tante fatiche, si riposò nel Signore, andando a godere in cielo il premio del suo immenso lavoro.

FRUTTO. — Ad imitazione di S. Massimo consacriamoci al Signore fin dalla nostra giovinezza.

PREGHIERA. — O Signore, che ad istruire i popoli, hai decorato il Beato Alassimo, tuo Confessore e Vescovo, concedi che, seguiti i suoi esempi, possiamo anche noi giungere in Paradiso. Così sia.