LA PREGHIERA DI PETIZIONE (9)

LA PREGHIERA DI PETIZIONE (9)

P- B. LAR – RUCHE

LA PREGHIERA DI PETIZIONE (8)

OSSIA IL MEZZO Più INDISPENSABILOE E NELLO STESSO TEMPO INFALLIBILE PER IMPETRARE DADIO OGNI BENE E SOPRATTUTTO L’ETERNA SALVEZZA.

ISTITUTO MISSIONARIO PIA SOCIETA’ S. PAOLO

N. H., Roma, 15 maggio 1942, Sac. Dott. MUZZARELLI

Imprim., Alba 25 maggio 1942. Cn. P. Gianolio, Vic. Gen.

Tipogr. – Figlie di S. Paolo. – Alba – giugno – 1942.

14 — Lo nostra grande armatura.

Così definisce la preghiera S. Girolamo: « Ecco — egli dice — la grande armatura che ci rende forti ». Non possono quindi recarci più stupore queste altre sentenze dei Ss. Padri: « Dio, promettendo di esaudirci, s’è fatto nostro debitore » (S. Agostino); « Per mezzo della preghiera t’è dato di meritare ciò che brami… Non così presto il ruggito del leone mette in fuga le altre fiere, come la preghiera del giusto sbaraglia i demoni » (Crisostomo); « La preghiera è il flagello dei demoni… La preghiera del giusto è la chiave del Paradiso » (S. Agostino)..« Molti dicono che manca loro la grazia — nota S. Bernardo —; ma la cercano poi essi e la domandano? » Gli Ebrei « invocavano il Signore ed Egli li esaudiva » (Salmo 98, 6). E noi? Noi non siamo esauditi e le nostre cose vanno male, perché non invochiamo l’aiuto del Signore e non ci raccomandiamo alla Madonna. Proprio cosi! Infatti « spesso si lavora molto e si prega poco o niente; e in tal modo si costruisce sulla sabbia! » (Olgiati). Il buon Dio non entra in tante opere nostre: non già perché Egli ne sia positivamente escluso, ma unicamente perché non è invitato ad intervenire. E così anche nel nostro campo si verificano moltissimi « Nisi Dominus cioè: Se il Signore non… », con vergognosi smacchi nostri e grandi gongolii tra le linee degli avversari. Sì, purtroppo è questa la misera storia di tante opere nostre che ci costarono molti soldi e immense fatiche. E questo vedremo ancor meglio quando parlerò della preghiera in relazione all’apostolato. – Ma via i rimpianti, e procediamo nell’esposizione. Il Signore ha promesso, si può dire, infinite volte di esaudire le nostre preghiere. Ascoltiamo alcune di queste promesse. « Domandate — Egli dice — e vi sarà dato, cercate e troverete, picchiate e vi sarà aperto. Poiché chiunque domanda, riceve, chi cerca trova ed a chi bussa sarà aperto. Chi è tra di voi che al figlio che gli chiede un pane, gli dia invece un sasso? o se chiede un pesce gli dia un serpente? Ora se voi, pur essendo cattivi, sapete dare doni buoni ai vostri figliuoli, quanto maggiormente il Padre vostro che è nei Cieli darà cose buone a coloro che gliele domandano? Tutte le cose che domandate nella preghiera, abbiate fede di ottenerle, e le otterrete… Se domanderete qualcosa al Padre nel mio nome, Egli ve la darà. Tutto ciò che chiederete al Padre in nome mio, io lo farò » (Matt. VII, 7-11; Marc. XI, 24; Matt. XCIV, 35; Giov. XIV, 12). E tantissime altre, alcune delle quali già riferite. Nell’Antico Testamento sono innumerevoli gl’inviti alla preghiera e le promesse divine di esaudirle. Specialmente i Salmi e i libri dei Profeti sono, si può dire, un continuo intreccio di accorate invocazioni a Dio, di esortazioni a raccomandarsi al Signore” e di assicurazioni che la preghiera sarà ben accolta ed esaudita con larga generosità. Poi « scorrete la storia del popolo ebreo per tutto il tempo in cui fu governato dai Giudici (ed anche prima ed in seguito): se da una parte vedete una catena di cadute, d’infedeltà, di delitti, d’idolatria e quindi di sciagure, di disastri e di schiavitù; dall’altra si ammira una sequela di perdoni, di benefici e di liberazioni rinnovantesi ogni qualvolta il pentimento gli toccò il cuore e gli aprì la bocca alla preghiera ». Così l’A Lapide, vale a dire uno dei più grandi interpreti della S. Scrittura. Ma non aveva già detta la stessa cosa anche il regal Profeta, quando cantò: « In te sperarono i nostri Padri, sperarono e li liberasti. A te, o Dio, levarono il grido, e furono salvi. Sperarono in te, e non furono delusi »? (Salm. XXI, 5-6). E Gesù a chi mai negò le sue grazie durante la sua amorosa dimora tra gli uomini? Quantunque fosse quasi sempre richiesto di favori materiali (cosa che purtroppo avviene tutt’ora, anche da parte di tante anime pie), pure, da quanto ho potuto rilevare, sol due o tre volte Egli si fece ripregare prima di concedere quanto gli veniva richiesto; e tre sole volte Egli non assecondò le preghiere fattagli: la prima quando si rifiutò di far discendere – sulla istanza degli Apostoli – il fuoco sopra un villaggio della Samaria che non aveva voluto accogliere la loro comitiva (Luc. 9, 51-56); la seconda quando, senza apertamente respingerla, non diede soddisfazione a quegli stessi discepoli che, a mezzo della madre, gli avevano fatto la richiesta di poter un giorno sedere uno alla sua destra ed uno alla sua sinistra (Matt. 20, 20-23); e la terza quando non volle intromettersi in una questione ereditaria (Luc. 12, 13-14). Fatte queste più che giustificate eccezioni, tutte le altre volte in cui fu richiesto di favori, di grazie ed anche di veri e grandi miracoli — e furono moltissime — Gesù esaudì più che generosamente le suppliche rivoltegli. Dopo ciò oso fare una domanda che metterà certamente più di uno nell’imbarazzo. Tanti si lamentano di non essere esauditi nelle loro preghiere. Ora è forse diverso Iddio? o Gesù non è più quale si manifestò quando visse tra gli uomini?… No, no; a costo di farmi lapidare, m’arrischio invece a dire che le disposizioni di questi « pregatori » non sono quelle di coloro che domandavano grazie a Gesù, e che appunto ed unicamente per questo le loro preghiere non sono ascoltate. Sì, per questo — dirò loro con S. Giacomo — proprio « per questo non ricevete: perchè pregate male » (1Giac. 4, 3). Ben può dunque il buon Dio, dopo tante promesse e dopo tanti segni della sua generosa fedeltà alle medesime, gettarci questa sfida: « Chi mai invocò il Signore, e ne fu disprezzato » e respinto? Si faccia avanti! (Eccli. II, 12). Eh, no! se siamo giusti e sinceri, dobbiamo riconoscere che « il Signore sta vicino a tutti coloro che lo invocano con sincerità » (Salm. CXIV, 18) e che ancor « me esaudirà il Signore, se griderò a Lui » (Salm. IV, 4). Iddio non disdice le sue promesse e non è estroso e volubile come noi! Ed allora ognuno di noi deve fare suo ciò che scrive l’Abate Rosmini : « Io sono intimamente persuaso che, se tutto il popolo cristiano pregasse, quel tanto che prega, con intelligenza di ciò che dice e con conseguente affetto del cuore, in breve tutta la Chiesa e la Società sarebbero rinnovate nello spirito di Cristo ». Si, è vero che « molti Dio non esaudisce secondo il loro desiderio, ma bensì secondo conviene alla loro salute » (S. Isidoro), e fa assai bene a diportarsi così, poichè « il medico conosce meglio dell’ammalato ciò che gli conviene » (S. Agostino). Dobbiamo però saldamente ritenere che, se è ben fatta, « tanta è l’efficacia della preghiera, tanta la sua forza e i suoi buoni effetti, che non v’è cosa che non possa essere impetrata e vinta dalla medesima (A Lapide). Perciò « pregate, pregate, pregate! La preghiera è la chiave dei tesori di Dio; è l’arma del combattimento, della vittoria in ogni lotta per il bene, contro il male » (Pio XII, il 5-X-1940). E non solo dobbiamo ritenere per certo che Dio esaudirà le nostre preghiere e suppliche; ma dobbiamo per giunta persuaderci che « quando noi domandiamo le grazie, Egli — che è il più buono dei padri — ci dà più di quello che gli domandiamo » (S. Alfonso). – Dunque — dirà qui taluno — Iddio per esaudirci sconvolgerà perfino l’ordine delle cose e muterà anche le ordinarie disposizioni della sua Provvidenza? — Si, « ove fosse pur necessario far mutare a Dio il consueto ordine della sua Provvidenza, costringerlo a cambiare in nostro favore le leggi generali, a sorgere e a stendere il suo braccio onnipotente, anche questo potere avrebbero le nostre preghiere, purchè animate dalla fede e continuate con invincibile pazienza » (P. Ramière S. J.). Ma allora dove se ne va la sua immutabilità? Oh! è presto provvisto. Quel Dio che ha preveduto da tutta l’eternità la nostra preghiera, ha pure predisposta da tutta l’eternità la grazia od — all’occorrenza — anche il miracolo che in tal tempo, in tale circostanza e in favore della tal persona avrebbe fatto. Per sostenere l’efficacia della preghiera, di qualunque preghiera, non è affitto necessario crearsi un Dio che si lasci sballottare di qua e di là, come un burattino, dai fili delle nostre preghiere. No; « la parola del Signore rimane in eterno. E questa è la parola che viene annunziata a voi: In verità, in verità vi dico: Qualunque cosa domanderete al Padre in nome mio, Egli ve la darà » 1 Pietr. 1, 25; Giov. XVI, 23).

15. — Quella che ci salva dai peccato e dall’inferno.

Ora se tanto si può dire dell’efficacia della preghiera in generale, tanto maggiormente si può sostenerlo quando essa vien fatta per impetrare la liberazione dal peccato, dai vizi, e dall’inferno. Ed è soprattutto a questo che io miro colla presente opera. Infatti che ci gioverebbe l’essere da Dio esauditi e prosperati in ogni cosa economica e materiale su questa terra, se poi non potessimo ottenere da Lui ciò che costituisce già quaggiù la nostra vera pace, e poi di là l’eterna gioia delle anime nostre? Mi pare che questo solo sarebbe piuttosto pochino per chi anela ad una felicità senza fine. – Ma no; noi dobbiamo invece senz’altro credere e ritenere che la preghiera è efficacissima soprattutto in questo: nell’impetrare cioè dal Signore l’aiuto che ci è necessario per liberarci dal peccato, per svincolarci dalle nostre cattive abitudini, per compiere atti virtuosi e meritori di premio soprannaturale, per conservarci in grazia di Dio, per resistere alle tentazioni, e per raggiungere infine l’eterna beatitudine del Paradiso. Si tratta, qui, dello scopo essenziale di tutta la nostra vita presente e futura; e quindi quel Dio, che ci provvede così bene di tutto ciò che sia necessario ed utile al nostro benessere materiale e temporale, certo non manca di provvederci anche di quei mezzi e di quegli aiuti che occorrono affinché possiamo raggiungere l’unico necessario per cui fummo creati. Ne va di mezzo anzitutto il suo onore e poi anche la nostra sorte eterna. – Iddio infatti ci vuole buoni e contenti quaggiù, per poterci poi rendere soprannaturalmente felicissimi per tutta l’eternità. E siamo pur destinati a formar la corona della sua gloria nel Paradiso. Noi però colle sole nostre forze non possiamo essere buoni nè quanto né come Egli vuole, e neppur ascendere a tanta altezza. Interviene allora Egli stesso colla sua grazia, costituendoci prima nello stato soprannaturale, ed aiutandoci in seguito — si può dire — atto per atto a raggiungere lo scopo della nostra esistenza. Ma per concederci un aiuto tale che consegua davvero il suo effetto, Egli esige — aiutandoci anche in questo — una cosa sola: che gli chiediamo con fiducia e confidenza tale aiuto e che ci sforziamo di assecondare le buone ispirazioni del suo Spirito in noi, giusta il detto del Salmista « Sta sottomesso al Signore, e pregalo… Mostra al Signore la tua via, confida in Lui, ed Egli farà » (Salmo XXXVI): ciò che sulle tracce di S. Agostino — insegna lo stesso, Concilio di Trento, là dove dice: « Iddio non comanda cose impossibili; ma — comandando — ammonisce di fare ciò che puoi e di domandare ciò che non puoi, ed Egli aiuta affinchè tu possa farlo ». È proprio così: « Dio guarisce infallibilmente l’anima senz’oro nè argento. Non esige altro che la preghiera, e guarisce sempre l’anima che prega e per cui si prega, per quanto grave e mortale sia il male che la travaglia. La preghiera risana i Malati spirituali. Essa è pronto ed efficacissimo rimedio per colui che è fortemente tentato dai vizi » (S. Lorenzo Giustiniani in De intern. confl.). Quando però siamo tentati al male, dobbiamo anzitutto umiliarci davanti a Dio, e se eventualmente avessimo dato luogo alla tentazione, anche pentirci e, per quanto ci è possibile, ritrarci dall’occasione. Ma poi ricordiamoci che se « il Signore non è sempre obbligato a darci una grazia che sia proporzionata alla tentazione », però « è obbligato, quando siamo tentati, e a Lui ricorriamo, di somministrarci, colla grazia, la forza bastante con cui possiamo, in quel caso, veramente resistere alla tentazione (Card. Gotti, citato da S. Alfonso). Per cui — conclude S. Alfonso stesso — se mai restiamo soccombenti e vinti « restiamo vinti solo per colpa nostra; perchè non preghiamo ». Perciò « quando ci troviamo in qualche pericolo di offender Dio o in altro affare di conseguenza, e confusi non sappiamo ciò che dobbiamo fare, raccomandiamoci a Dio; e siamo sicuri che Iddio allora ben c’illuminerà e ci salverà da ogni danno ». (S. Alfonso). Dobbiamo infatti ritenere che « come per mezzo dell’acqua si spegne il fuoco, così per mezzo della preghiera si supera l’impeto della disordinata concupiscenza », che in tanti è si forte e provocante al male (S. Lorenzo Giustiniani). – Anche l’A Lapide, che conosce la S. Scrittura nei suoi più intimi meandri, non è meno esplicito, quando dice: « Chi vuol liberarsi dal peccato e rompere le catene della sua vergognosa schiavitù, preghi. Dio spezzerà i suoi ceppi e gli userà misericordia. Il peccatore non può da solo convertirsi e ottenere salvezza; ma gli è necessaria la grazia di Dio. Ora per mezzo della preghiera si ottengono tutte le grazie ». « Preghiera e grazia — dice un altro — stanno in proporzione diretta: il giorno in cui avrete imparato a pregare, sarà assicurata la grazia, e, con la grazia, la salvezza eterna » (Sac. Giorg. Canale di Fossano). – Non son quindi esagerate le seguenti parole di S. Alfonso De’ Liguori : « Bisogna persuadersi che dal pregare dipende tutto il nostro bene: dal pregare dipende la mutazione della vita, dal pregare dipende il vincer le tentazioni, dal pregare dipende l’ottenere l’amore divino, la perfezione, la perseveranza, la salute eterna » (Prat. d’amar G. C. XVII, 14). E altrove: « Dico e replico e replicherò sempre, sino a che ho vita, che tutta la nostra salute sta nel pregare; e che perciò tutti gli scrittori nei loro libri, tutti i sacri oratori nelle loro prediche e tutti i confessori nell’amministrare il sacramento della penitenza, non dovrebbero inculcare altra cosa più di questa, cioè di pregare sempre; con sempre ammonire, esclamare e ripetere continuamente: Pregate, pregate e non lasciate mai di pregare » (Del gran mezzo della pregh. H p. c. 4). Così S. Alfonso, carico della sua esperienza di 90 anni, grande Santo, grande missionario, grande Vescovo, è definito dallo stesso Vicario di Gesù Cristo per « il gran Dottore della preghiera ». – Però la dottrina qui esposta a molti non sembra retta. Tanti infatti, imbevuti dello spirito razionalista, che oggi domina dappertutto, sentenziano: « Ma che pregar tanto! Bisogna sopratutto cooperare con tutte le nostre energie alla grazia, vigilare su noi stessi e su quanto ci attornia, fuggire le occasioni di peccato, intervenire ai catechismi e alle prediche per istruirci nei nostri doveri, bisogna specialmente confessarci bene, fare saldi propositi di virtù e frequentar la Sacra Mensa. Ecco ciò che bisogna fare! » — Sì, cari! bisogna proprio arrivare a far tutto questo ed altro ancora. Ma osservate un po’: Chi vi darà il lume e la forza per farlo? Non forse Dio stesso colla sua grazia efficace? E possiamo noi avere questa grazia efficace senza domandarla istantemente a Dio?… Convincetevi che noi « non soddisferemo mai le nostre obbligazioni, se non chiediamo a Dio l’aiuto per adempirle » (S. Alfonso). Ma non ci sono pure — oltre la preghiera — altri mezzi, atti ad impetrarci da Dio le grazie che ci occorrono per liberarci dalla colpa, mantenerci in grazia di Dio e preservarci dall’inferno? — Sì, ce ne sono, e tanti; ed io stesso in tempi precedenti mi sono già presa la non lieve .briga di raccoglierne i principali in un opuscolo. Però torno a ripetere con S. Alfonso che «gli altri segni (o mezzi) della nostra salvezza son tutti incerti e fallibili; ma che Dio esaudisca chi lo prega con confidenza è verità certa ed infallibile, come è infallibile che Dio non può mancare alle sue promesse ». – Ora, dopo quel poco che ho detto e di fronte al tantissimo che ancora potrei dire, mi sembra che tutti possiamo venire alla chiara conclusione alla quale venne l’esimio filosofo della Compagnia di Gesù, P. Gius. Mauri: «L’unica differenza che passa fra i Santi e noi — ei disse — è questa: i Santi hanno pregato di più. Se noi pregassimo come loro, diverremmo Santi come loro; se pregassimo più di loro, li supereremmo in santità ». Altro che evitare solo il peccato mortale e l’inferno! Divenire Santi possiamo, e grandi Santi; e ciò con poca spesa e fatica. – Ed allora?… Allora preghiamo, preghiamo, preghiamo!

LA PREGHIERA DI PETIZIONE (10)

IL CATECHISMO DI F. SPIRAGO (XXVI)

IL CATECHISMO DI F. SPIRAGO (XXVI)

CATECHISMO POPOLARE O CATTOLICO SCRITTO SECONDO LE REGOLE DELLA PEDAGOGIA PER LE ESIGENZE DELL’ETÀ MODERNA

DI

FRANCESCO SPIRAGO

Professore presso il Seminario Imperiale e Reale di Praga.

Trad. fatta sulla quinta edizione tedesca da Don. Pio FRANCH Sacerdote trentino.

Trento, Tip. Del Comitato diocesano.

N. H. Trento, 24 ott. 1909, B. Bazzoli, cens. Eccl.

Imprimatur Trento 22 ott. 1909, Fr. Oberauzer Vic. G.le.

SECONDA PARTE DEL CATECHISMO:

MORALE (7).

IL III° COMANDAMENTO DI DIO.

Ricordiamo che Dio ha detto al suo popolo, al Sinai, di santificare il sabato. Sono sei giorni che lavorerete e userete per i vostri affari”. (Esodo.XX, 8). È quindi una comprensione incompleta di questo comandamento includere solo il riposo settimanale; esso è doppio e ordina 1° questo riposo, 2° il lavoro. (Cat. rom.).

Nel 3° COMANDAMENTO DIO CI ORDINA DI SANTIFICARE LA DOMENICA E DI LAVORARE DURANTE LA SETTIMANA.

I. LA SANTIFICAZIONE DELLA DOMENICA.

Affinché l’uomo, con le mille preoccupazioni della vita, non dimentichi il suo Creatore ed il suo fine ultimo e non ricada in una sorta di barbarie, Dio gli ha ordinato di santificare un giorno alla settimana. Noi soddisfiamo periodicamente i nostri bisogni materiali: fame, sete, sonno, quindi Dio ha voluto che avessimo dei giorni fissi per riflettere sulle verità eterne e per ritemprare le forze dell’anima (Mons. Gaume). Nei giorni festivi, l’uomo ha il tempo di riparare con la preghiera alle colpe commesse (S. Greg. M.), e per ringraziare Dio dei benefici ricevuti durante la settimana.

1. DIO HA ORDINATO DI SANTIFICARE IL 7° GIORNO PERCHÉ EGLI SI RIPOSÒ IL 7° GIORNO DELLA CREAZIONE.

“Dio -,dice Mosè nel suo racconto della creazione – benedisse il settimo giorno e lo santificò”. Lo santificò, perché in quel giorno si riposò da ogni lavoro”. (Gen. II, 2). L’uomo essendo l’immagine di Dio deve imitarlo e quindi, seguendo il suo esempio, deve riposare il 7° giorno dopo 6 giorni di lavoro. Inoltre, l’uomo ha bisogno di questo riposo settimanale: ogni giorno, dopo il suo lavoro, ha bisogno di un riposo di 6-7 ore..La Rivoluzione aveva sostituito la domenica con la decade: ma il vecchio ordine delle cose si è presto ristabilito. “Il numero sette appartiene ai fondamenti della natura e della religione (S. Th. Aq.). (ci sono 7 colori nello spettro solare, 7 toni nella musica). “Dio ha fatto le stelle perché servissero a segnare i tempi, i giorni e gli anni” (Gen. 1, 14); la luna, in particolare, ha fatto sì che tutti i popoli prestassero attenzione al riposo settimanale, perché ha nuove fasi ogni 7 giorni. Già nel 150 d.C. Teofilo di Antiochia scriveva: Tutti i popoli dell’universo conoscono il 7° giorno”. I Cristiani osservano la domenica, gli ebrei il sabato, i maomettani il venerdì, i mongoli il giovedì, i negri della Guinea il martedì, i manichei il lunedì. – La festa del 7° giorno è una figura del riposo eterno del cielo. (Eb. IV, 9). Il giorno del Signore è è un’ombra della festa futura nel Paradiso celeste; con la sua celebrazione ravviviamo il desiderio di quelle gioie eterne. (S. Greg. M.). Le nostre feste sono anche un simbolo della beatitudine celeste.

2. DIO COMANDÒ AI GIUDEI DI OSSERVARE IL SABBAT.

Il sabato era un giorno di gioia per i Giudei, già perché in quel giorno furono liberati dalla schiavitù dell’Egitto, ma Dio volle anche che questo giorno fosse santificato dal riposo e dall’astinenza dal lavoro servile. “In giorno di sabato non lavorerai” (Esodo XX, 10), da cui il nome sabato, che significa riposo. Era il più adatto per il culto divino, perché ricordava il beneficio più segnalato di Dio, (Ezech. XX, 12); inoltre era una figura del riposo del futuro Messia nel sepolcro. – I Giudei osservavano il sabato in modo molto rigoroso. La sua profanazione era severamente punita e non potevano andare in giro per le più piccole occupazioni, e neanche la manna cadeva. Un israelita che aveva solo raccolto un poco di legna venne lapidato (Num. XV, 32), e i farisei contestavano persino il diritto di fare opere di carità. (S. Matth. XII, 12). – Il sabbat ebraico cade di sabato, quello cristiano di domenica.

3. Gli APOSTOLI SOSTITUIRONO IL SABATO CON LA DOMENICA, PERCHÉ GESÙ CRISTO È RISORTO DAI MORTI DI DOMENICA.

La domenica è propriamente il giorno della Santissima Trinità.

Nel primo giorno della settimana (Act. Ap. XX, 7; I. Cor. XVI. 2), il Padre ha dato inizio alla creazione, il Figlio è risorto dai morti, lo Spirito Santo è disceso sugli Apostoli. – Gli Apostoli erano competenti per fare questa traslazione, perché la legge del Sinai non si riferiva tanto ad un giorno specifico quanto al riposo settimanale, e la legge dell’Antico Testamento era solo una figura di quella del Nuovo. – La domenica è chiamata anche giorno del Signore (Apoc. I, 10), perché è riservata in modo speciale al suo servizio. È stato S. Giustino (+139) a usare per primo, e a ragione, la parola “giorno del sole” nella sua apologia, e a ragione, perché in quel giorno il Salvatore, come il sole nascente risplendeva nella luminosità della sua risurrezione. (S. Amb.). Era il giorno in cui Dio creò la luce, quando lo Spirito Santo discese sugli Apostoli in fiamme di fuoco, quando ognuno doveva cercare nuova luce sul proprio destino. Costantino introdusse l’osservanza nella legislazione civile (321), seguito da Carlo Magno e da tutti i legislatori civili.

4. LA DOMENICA SIAMO OBBLIGATI AD ASTENERCI DAI LAVORI SERVILI, PARTECIPARE ALLE FUNZIONI PUBBLICHE OLTRE AD OCCUPARCI DELLA SALVEZZA DELLE NOSTRE ANIME ED A PROCURARCI UN’ONESTA RICREAZIONE.

Chiamiamo lavori servili quelli che si compiono principalmente con uno sforzo materiale e causano fatica corporea; derivano questo nome dal fatto che sono eseguiti da persone in servizio. (Th. Aq.). Se prendiamo la legge in senso stretto, anche il commercio (fiere e mercati) rientrerebbe nell’idea di lavoro servile; tuttavia, dice il cardinale Gousset, la consuetudine in alcuni Paesi può consentire una certa tolleranza, tranne che per il tempo degli uffici pubblici. Sull’esempio di Dio, dobbiamo riposare il settimo giorno, e come Cristo ha fatto la domenica in cui depose il suo sudario e le sue bende e lasciò il sepolcro, così noi dobbiamo liberarci dai legami delle cure temporali e sollevarci a Dio attraverso la preghiera. Il riposo corporeo è necessario per l’anima, perché un uomo appesantito dalla fatica non è in grado di pregare. – Il servizio pubblico obbligatorio è la Santa Messa (che di solito include la predicazione). Fin dai primi secoli, secondo S. Giustino, i fedeli erano presenti al santo Sacrificio; al Vangelo si teneva un’omelia, e l’usanza si è generalmente conservata. La Santa Messa è obbligatoria la domenica, perché non esiste un ufficio più perfetto.

La domenica otteniamo la nostra salvezza anche attraverso la ricezione dei Sacramenti, la preghiera, l’assistenza al sermone, le buone letture e le opere di misericordia. Prendiamo un onesto svago attraverso il riposo ed i piaceri consentiti.

Il riposo corporale è prescritto proprio per permetterci di lavorare con maggiore zelo per la nostra salvezza. Non sono gli abiti più belli, che fanno la domenica, ma la purezza e la bellezza dell’anima (San Leone M.). Per rispetto occorre non solo tagliarsi la barba, ma tagliare tutto ciò che è peccaminoso e vizioso. (S. Bonav.). La domenica, più degli altri giorni, la Chiesa ci facilita la ricezione dei Sacramenti. La Chiesa desidera che noi riceviamo i sacramenti; desidera che noi riceviamo la santa Comunione. (Conc. Tr. XXII, 6). La domenica, la Chiesa ci offre anche l’opportunità di pregare attraverso le sue funzioni pomeridiane ed in tutte le parrocchie c’è, la domenica, almeno un servizio di preghiera. In tutte le chiese parrocchiali di domenica c’è almeno un sermone. I nostri antenati avevano l’abitudine, la domenica, di fare delle letture pie, delle spiegazioni dei vangeli e delle vite dei Santi. Cristo guarì la maggior parte dei malati di sabato, nonostante lo scandalo e le mormorazioni dei Giudei: colui che aveva una mano inaridita (S. Matth. XII, 9-21), il nato cieco (S. Giovanni IX), l’idropico in casa del capo dei farisei (S. Luca XIV, 1); era per insegnarci che nel giorno del Signore dobbiamo praticare opere di carità.

La domenica sono leciti: 1° i lavori servili assolutamente indispensabili; 2°le occupazioni di poca importanza; 3° i lavori intellettuali; 4° una ricreazione dignitosa.

È lecito fare lavori servili necessari. Dio non vuole che questo comandamento ci sia nocivo: “Il sabato – dice Gesù – è stato fatto per l’uomo, e non l’uomo per il sabato” (S. Marco II, 27). Il lavoro è quindi permesso se necessario per il mantenimento della vita: preparare il cibo, portare il raccolto quando il pericolo di perdita è grave; tutto ciò che è di ordine ed interesse generale: alcuni servizi postali, ferroviari, telegrafici e di polizia. L’autorità ecclesiastica è competente a consentire il lavoro domenicale in alcuni casi, “perché – dice Gesù – il Figlio dell’uomo è anche Signore del sabato” (S. Luc VI, 5) e ciò che il Figlio dell’uomo può, anche la Chiesa può. – Poiché la domenica è stata istituita per il nostro bene spirituale e la nostra salvezza, è permesso, e persino obbligatorio, di domenica, compiere tutte le opere che possano procurarla, in particolare quelle che riguardano il culto divino: “I Sacerdoti – dice Cristo -trasgrediscono il sabato nel tempio, senza offendere Dio” (S. Matth. XII, 5). Siamo anche tenuti alle opere di misericordia in quel giorno, perché nulla contribuisce di più alla nostra salvezza. La nostra salvezza, infatti, dipende dalla sentenza del Giudice sovrano, il quale ci ha dato l’esempio della carità di sabato e l’ha dichiarata espressamente lecita. (S. Matth. XII, 12). Le opere servili sono proibite, ma non quelle di carità per il bene del prossimo. (S. Iren.). Sant’Odila aveva eretto un ospedale nelle vicinanze del suo convento: vi visitava gli ammalati ad ogni servizio, e li serviva tutto il giorno: molti santi facevano lo stesso. Tuttavia, la domenica possiamo compiere solo le opere di misericordia necessarie. Infatti,” dice Suarez, “se per ragioni di carità fossero permessi tutti i servizi servili, tutti gli artigiani e i braccianti potrebbero lavorare con questa intenzione, il che equivarrebbe all’abrogazione della legge”. Le opedi misericordia possono anche fare a meno della Santa Messa, perché sono esse stesse un culto di Dio (S. Jac. I, 27). “Voglio misericordia – dice il Signore- e non sacrifici” (S. Matth. IX, 13), cioè preferisco le opere di carità agli atti esterni del culto. Tuttavia, è necessario partecipare alle funzioni religiose per quanto possibile secondo il precetto di Cristo: “Fate l’uno e non tralasciate l’altro” * (S. Matth. XXI 11,23). – Sono consentiti anche i lavori domestici minori, la cui omissione causerebbe disordine: spazzare le stanze, le consuete faccende di cucina, una leggera riparazione di un indumento improvvisamente strappato, a maggior ragione il lavoro intellettuale: lettura, scrittura, musica. – Poiché la domenica è stata istituita per il nostro tempo libero, un onesto svago, come le passeggiate e il gioco moderato, non sono proibiti.

Peccati contro la santificazione della domenica.

Si pecca contro il comandamento della santificazione della domenica:

1. QUANDO SI COMPIE UN LAVORO SERVILE SENZA NECESSITÀ O RICHIESTA.

L’imperatore Valentiniano diceva: “Chi lavora di domenica è un sacrilegio, come chi mette del vino impuro in un vaso sacro”. Il Cristiano deve il riposo domenicale ai suoi subordinati, anche alle sue bestie da soma (Esodo XX, 8-10); così i servi e gli operai devono lasciare i padroni che li costringono a lavorare la domenica. – È già un peccato mortale fare un lavoro molto servile per 2 o 3 ore la domenica senza un motivo molto serio. – Il peccato può essere meno grave se il lavoro è più leggero, se ci sono motivi reali, anche se imperfettamente sufficienti, se c’è un fondato timore di essere licenziato dal proprio posto (ma il padrone commette un peccato mortale). – Il peccato è grave, quando c’è uno scandalo, anche se il lavoro è leggero o il tempo non è così lungo; è per questo scandalo che Gesù Cristo ha detto “sarebbe meglio legare una pietra al collo dello scandalosi e gettarlo negli abissi del mare”. (S. Matth. XVIII, 6). Per gli israeliti Dio aveva decretato: “Chiunque violerà il sabato sarà messo a morte; se qualcuno lavora in quel giorno, perirà in mezzo al mio popolo”. (Esodo XXXI, 14).

2. QUANDO SI MANCA ALLA SANTA MESSA SENZA MOTIVO.

Alcune festosità del sabato fanno spesso mancare all’Ufficio divino della Domenica. Che follia”, dice San Francesco di Sales, “trasformare la notte in giorno, il giorno in notte, e trascurare i propri doveri verso Dio per futili divertimenti”.

3. QUANDO CI ABBANDONIAMO A SVAGHI TROPPO RUMOROSI, TROPPO FATICOSI PER IL CORPO, PERSINO COLPEVOLI,

come la caccia con i segugi o le battute, i balli pubblici, soprattutto questi ultimi, che sono la causa di tanta immoralità, risse e sregolatezze, che portano al disgusto del lavoro e al vagabondaggio. – Le attività ricreative più profane della domenica sono peccaminose in sé, perché di tutte le opere il peccato è il più servile, perché rende schiavo del diavolo (S. Giovanni VIII, 34). Guai a noi se, in un giorno consacrato al servizio di Dio e alla salvezza della nostra anima, offendiamo Dio e feriamo mortalmente le nostre anime; se trasformiamo le feste del cielo in feste dell’inferno (Mons. Gaume). Alcuni Cristiani aspettano il giorno del Signore, per abusare della libertà del lavoro per la libertà del vizio.(Eus. Ces.). Per molti i giorni di festa sono i migliori giorni di lavoro per satana. Egli imita Apollonio, il crudele generale di Antioco, che con i suoi 22.000 uomini rimase tranquillo a Gerusalemme per tutta la settimana e fece massacrare tutti nel sabbath. Anche lui lascia riposare le anime per tutta la settimana; ma quando arriva la domenica, le spingerà ad ogni tipo di peccato, all’orgoglio ed alla vanità del vestire, alla passione per il gioco d’azzardo ed il ballo, alle visite pericolose, all’intemperanza nel mangiare e nel bere. le donne ad una toeletta insensata, gli uomini ad una gratificazione sensuale, che trasformano le istituzioni più sacre in peccato. (S. Ant.). La Domenica scaccia il demone del guadagno, dell’avidità materiale, ma sembra essere sostituito dai sette demoni dei piaceri sensibili, più malvagi di quello. Sembrano essere appesi agli stendardi delle società di canto, di tiro a segno, pompieri e ginnastica; dissolvono la vita familiare e divorano i risparmi. (Mons. Schmitz, Vescovo ausiliario di Colonia). S. Agostino si chiede se non sarebbe meglio profanare la domenica con il lavoro che con questi vizi. Offendere Dio è colpevole, ma è un doppio crimine offenderlo in un giorno a Lui consacrato. Abusare di questo giorno per le follie del mondo è una specie di sacrilegio (S. Cipr.), è saccheggiare i tesori della Chiesa. (S. G. Cris.). –

Motivi che dovrebbero indurci ad osservare il riposo domenicale.

1. La santificazione della domenica attira delle benedizioni temporali.

Dio è così buono che non ci chiede di fare lavori pesanti al suo servizio, ma solo di riposare. “La settimana ha 168 ore, Dio ve ne chiede solo una e voi volete usarla per opere profane” (S. G. Cris.). L’uomo avrà veramente successo solo a condizione di osservare la domenica. – Colombo nel suo viaggio verso l’America osservò il più possibile il riposo domenicale. Questo non ritardò il successo della sua spedizione. Coloro che osservano la domenica sono spesso protetti provvidenzialmente da grandi disgrazie. Un dipendente di una compagnia di piroscafi del Mississippi si rifiutò di scaricare il carico la domenica e fu licenziato; pochi giorni dopo la caldaia scoppiò e la maggior parte dei suoi compagni perirono. Il buon Dio aumenta la fortuna di coloro che osservano la domenica. Un operaio sosteneva che il bisogno lo costringeva a lavorare la domenica: uno dei suoi amici si offrì di fargli fare un periodo di prova di 6 mesi, promettendo di risarcirlo per le eventuali perdite. La prova è andata avanti e l’operaio ammise che durante questi 6 mesi aveva guadagnato più di prima. Non a caso nella Scrittura si dice: “Dio benedisse il settimo giorno”.(Gen. II. 3). – Alcuni produttori sostengono che il riposo domenicale paralizzi la produzione e danneggia fortemente l’industria; ma questo non è vero. L’esperienza dimostra che riducendo l’orario di lavoro si aumenta la capacità della produzione del lavoratore. L’operaio che osserva la domenica lavora di più e meglio durante la settimana. Un arco troppo sollecitato perde la sua elasticità e il lavoratore sovraccarico di lavoro perde la sua forza produttiva. Rousseau diceva: “Se volete creare un popolo attivo e industrioso, date loro delle feste. Questi giorni perduti saranno ritrovati più volte”. – In Inghilterra, il riposo domenicale è molto rigido: negozi, cabaret, teatri, ecc. sono chiusi. Anche le poste e le ferrovie non funzionano, eppure l’Inghilterra è in testa a tutti gli altri Paesi industriali. Gli ebrei osservano il loro sabato molto rigorosamente, e non si nota che si stiano impoverendo.

2. Dio punisce i profanatori della domenica con punizioni temporali, in particolare la malattia e la povertà.

Dio punisce spesso coloro che lavorano la domenica. È a causa della profanazione di questo giorno che Dio fece distruggere a Nabucodonosor la città di Gerusalemme e portò i Giudei in cattività. (Esdr. XIII, 18). La punizione abituale per i profanatori della domenica è che diventino schiavi di tutti i vizi (Louis de Gr.); chi la domenica cerca le ricchezze della terra, trova i tesori del peccato e perde quelli del cielo. (S. Amb.). – Il lavoro ininterrotto rovina la salute: quando si scala una montagna, bisogna fermarsi di tanto in tanto, altrimenti si rischia di cadere per la stanchezza. “Il riposo – dice Mons. Gaume – è una legge naturale, come il cibo”. Il lavoro di certe fabbriche provoca la morte precoce di una grandissima parte dei lavoratori. Ne muoiono più che su un campo di battaglia. Il riposo è un dovere non solo verso Dio, ma anche verso se stessi. – La profanazione della domenica è un suicidio. – Vi visiterò – dice il Signore a questi profanatori -con la povertà” (Lev. XXVI, 16). Essi lavorano senza arricchirsi perché sono privati della benedizione di Dio. Come Dio è solito punire dove si è peccato (Sap. XI, 17), colui che ha profanato la domenica per l’avarizia, ottiene il contrario di ciò che cercava: diventa più povero. Questo vizio attira su interi Paesi raccolti scarsi, grandine, inondazioni, ecc. – I cinesi sono uno dei pochi popoli che non hanno un giorno di riposo settimanale, e sono fisicamente bassi, vigliacchi, immorali, afflitti da malattie epidemiche, e le recenti guerre hanno dimostrato che questa nazione di 400 milioni di anime non ha la forza di resistere.

3. La profanazione della domenica rovina la famiglia e la società.

Prima di tutto, mina la famiglia, perché i membri della famiglia che non frequentano l’Ufficio Divino perdono gradualmente la nozione dei loro doveri e cadono nei più profondi errori: il padre diventa prodigo, la madre negligente, i figli disordinati. I legami della famiglia si allentano e la casa, invece di essere un paradiso, si trasforma in un inferno. Un padre che lavora la domenica trascura il più sacro dei suoi doveri, l’educazione dei figli; impegnato tutta la settimana, ha solo questo giorno per conoscere i suoi figli e dare loro buoni consigli. – Ma non appena la famiglia viene minata, l’intera società viene scossa.; un edificio crolla non appena le sue fondamenta vacillano. La profanazione della domenica è un’aperta ribellione contro l’autorità di Dio, ne consegue che fa perdere il rispetto per ogni autorità, paterna, civile e religiosa; essa fa perdere la nozione e la pratica della religione, ci fa dimenticare Dio come fine ultimo e riporta l’uomo alla barbarie del paganesimo. – La Chiesa, con la sua festa domenicale è la barriera che separa il vero Cristiano dal Cristiano di nome, il predestinato dai reprobi; si sarà separati nell’eternità da coloro da cui si è stati separati quaggiù; chi la domenica non si considera tra i figli di Dio, sarà escluso dalla sua famiglia nell’eternità. Il momento della nostra morte sarà quello che sono state le nostre domeniche; è nelle domeniche che raccogliamo i beni eterni. (S. Greg. Naz.).

2. IL COMANDAMENTO DEL LAVORO.

Ci sono due tipi di lavoro: quello intellettuale e quello manuale.

È un errore considerare lavoratori solo gli operai, i manovali, gli artigiani ed i servitori, escludendo da questi i funzionari pubblici, Sacerdoti, insegnanti, medici e così via. Non fanno lavori manuali, ma lavoro di testa, che spesso è più faticoso e porta ad un disagio maggiore del primo.

I pagani consideravano il lavoro una vergogna, Gesù Cristo lo ha nobilitato e santificato.

Nel paganesimo c’erano due classi di uomini: l’aristocrazia o i padroni e gli schiavi o gli artigiani che in molti Stati non godevano del diritto di cittadinanza, mentre i primi, disprezzando il lavoro, trascorrevano il loro tempo nell’ozio o si limitavano all’impiego pubblico. Il Salvatore venne e santificò il lavoro con il suo esempio e i suoi insegnamenti (la parabola della vigna, S. Matth. XX, dove mostra la necessità del lavoro per la salvezza). I Cristiani illustri non si vergognavano del lavoro: San Paolo si guadagnava da vivere come tessitore di tende (Atti XX, 31; XVIII, 3); sant’Ilario lavorava nei campi, e i monaci del Medioevo lavoravano nell’agricoltura e copiavano manoscritti. – Un mestiere ed il lavoro manuale non sono disonorevoli; al contrario, un uomo si onora con la propria attività ed il proprio sforzo personale. (Leone XIII). Ciò che degrada l’uomo è l’ozio e il vizio; non è degenere, quindi, mettersi al servizio. Servire un uomo nell’ordine provvidenziale non è servire l’uomo, ma è Dio che lo ha ordinato: Gesù stesso è venuto per servire, non per essere servito. Lo stato di servo è migliore dello stato di schiavo di una passione (S. Aug.). i servi devono vedersi attaccati al servizio di Dio. (S. Greg. Naz.).

1. DAL PECCATO ORIGINALE, DIO HA IMPOSTO ALL’UOMO ILNLAVORO COME PUNIZIONE.

Questo non significa che prima del peccato l’uomo non avrebbe lavorato; egli avrebbe lavorato e le sue occupazioni sarebbero state un piacere per lui. Dopo la caduta, Dio disse all’uomo: “Mangerai il tuo pane con il sudore della tua fronte” (Gen. III, 19), finché non tornerai alla terra da cui sei venuto”.

2. IL COMANDAMENTO DI LAVORARE SI APPLICA A TUTTI GLI UOMINI SECONDO LE LORO CAPACITÀ:

Chiunque – dice S. Paolo – non vuole lavorare, non deve neppure mangiare“. (II. Th. III, 10).

Questo è vero soprattutto dopo il peccato originale: tutti ne siamo affetti, tutti quindi dobbiamo portarne la pena. Per costringerci a lavorare, Dio ha reso la terra arida senza gli sforzi dell’uomo; l’ozio universale sarebbe una carestia universale. Per questo motivo San Paolo ha proposto il principio sopra citato. I ricchi sono anch’essi obbligati a lavorare; possono utilizzare il frutto del loro lavoro per le elemosine e le opere buone. Quante principesse e donne ricche hanno realizzato ornamenti sacri con le proprie mani, seguendo l’esempio di Santa Elisabetta del Portogallo (+1336). Una volta si domandava ad un uomo che aveva fatto fortuna, perché continuasse a lavorare: “Pensi – rispose – che il buon Dio mi abbia dato le mani per niente? Anche Nella sua regola, Benedetto prescriveva di alternare preghiera e lavoro. – Chi non può lavorare è ovviamente esonerato; S. Paolo è un uomo di fede. Paolo non dice: “Chi non lavora…, ma chi non vuole lavorare, non deve mangiare”. Giobbe dice: “L’uomo è nato per il lavoro, come un uccello per l’aria” (V, 7); anche gli animali, come la formica, ci esortano al lavoro. (Prov. VI, 6). E così San Paolo scriveva: “Vi chiamiamo al lavoro delle vostre mani, come vi abbiamo comandato”. (I. Tess. IV, 11).

3. UN UOMO È SOPRATTUTTO VINCOLATO ALLE OCCUPAZIONI DEL SUO STATO.

La società umana comprende necessariamente diversi stati: medici, sacerdoti, aratori, artigiani, giureconsulti, soldati, scapoli e coniugati; assomiglia ad un corpo, ogni membro del quale ha un compito particolare (I. Cor. XII, 12), come un orologio, con tutti i suoi ingranaggi, grandi e piccoli, che si intrecciano tra loro. – È Dio che chiama ogni uomo ad uno stato specifico, chiamato per questo “vocazione“, dandogli il gusto, la capacità e l’opportunità. Di conseguenza l’uomo sente un’attrazione interiore verso questo stato, che deve seguire, come gli uccelli viaggiatori il cui istinto in autunno li spinge verso paesi più caldi. Non seguire la propria vocazione e spingersi in uno stato al quale non si è chiamati, sarebbe come per un uccello migratore rimanere in paesi freddi in inverno: da una parte e dall’altra è la morte, temporale per i primi, eterna per i secondi. I genitori devono quindi stare attenti a non forzare la vocazione dei figli. – La vocazione viene da Dio stesso, compiere i doveri del proprio stato è propriamente essere al servizio di Dio; questi doveri sono quindi i più importanti; tutti gli altri devono venire dopo di loro. “Tutto ciò che non è un dovere di stato è vanità e ozio. ” (Card. Galura). Bisogna saper lasciare Dio per Dio ‘ diceva san Filippo Neri. Il dovere di stato di Cristo era quello di salvare il mondo: appena si trattava di questo, lasciò tutto il resto; così, all’età di 12 anni, lasciò i suoi genitori per rimanere nel Tempio. – La donna samaritana al pozzo di Giacobbe, si dimenticò persino di mangiare. (S. Giovanni IV, 34). Mosè si comportò allo stesso modo: quando nel suo colloquio con Dio sul Sinai, apprese che il popolo era caduto nell’idolatria (Esodo XXXII, 7). –

L’adempimento fedele dei doveri di stato porta alla perfezione; la loro negligenza porta alla rovina temporale ed eterna.

L’accuratezza nei doveri di stato è segno che si è coscienzioso in tutte le cose. La vocazione è come la ruota motrice di una macchina: dipende dalla sua marcia regolare il buon funzionamento di tutta la macchina. Questo spiega perché nel processo di canonizzazione, la prima cosa che viene chiesta è la fedeltà con cui il defunto ha esercitato i suoi doveri di stato. È un grande errore, anche da parte di persone pie, immaginare che il tempo dedicato ai doveri di stato sia perso per il servizio di Dio e per la salvezza; al contrario, è la via più rapida verso la perfezione, mentre è una tentazione molto pericolosa trascurare i doveri di stato per la preghiera e le opere di pietà. Chi non le compie è in stato di peccato mortale, e in pericolo di dannazione. Anche se pregasse tutto l’anno e digiunasse per tutta la vita, sarebbe comunque dannato (S. F. de S.). – La preghiera non salverà coloro che non vogliono lavorare. Inostri esercizi di pietà devono essere regolati secondo gli obblighi della nostra vocazione. Una pietà che vanifica questi doveri è una falsa pietà (Id.). Nessuno stato che non sia cattivo in sé, non è un ostacolo alla salvezza. (I. Cor. VII, 17).

4. DURANTE IL LAVORO DOBBIAMO SPESSO ELEVARE LA NOSTRA ANIMA A DIO; PERCIÒ PRIMA DI LAVORARE BISOGNA CHIEDERE LA SUA GRAZIA E DURANTE IL LAVORO, FARE PREGHIERE GIACULATORIE.

Nulla riesce senza la benedizione di Dio, come vediamo nella pesca miracolosa. (San Luca V). Credetemi – diceva san Vincenzo de’ Paoli – tre operai, con la grazia di Dio fanno più di altri dieci. Andare a lavorare senza aver pregato è come un soldato che va in guerra disarmato. S. Paolo ci esorta a un buon proposito prima di andare al lavoro, con le ben note parole: “… sia che mangiate, sia che beviate, sia che facciate qualsiasi cosa, fate tutto per la gloria di Dio.” (I. Cor. X, 31). Davanti a tutte le nostre azioni dobbiamo imitare il tiratore che mira molto chiaramente all’obiettivo da raggiungere; dobbiamo quindi, prima di iniziare il lavoro, fare un segno di croce o dire mentalmente: “A maggior gloria di Dio”. Si può scrivere un numero infinito di zeri, ma essi avranno valore solo se si faranno prendere almeno da una unità; lo stesso vale per le nostre azioni: di per sé sono zeri, ma se le compiamo in nome del buon Dio, Egli li precede di una unità e li rende meritorie. – Durante il lavoro, bisogna fare quello che fa quando si scrive: ad ogni momento si immerge la penna d’oca nel calamaio per continuare a scrivere; così si deve elevare la nostra anima a Dio, in modo da riacquistare sempre nuova forza per il lavoro. Seguendo l’esempio dei piloti, che guardano sempre la loro bussola, noi dobbiamo guardare a Dio di tanto in tanto (S. F. di Sales). Gli Angeli, mentre servono l’uomo, non smettono mai di vedere Dio faccia a faccia (San Bonaventura). Gli architetti, mentre erigono un edificio, non smettono mai di avere tra le mani la squadra ed il filo a piombo, così noi, che dobbiamo costruirci una casa in cielo, dobbiamo avere continuamente davanti agli occhi il filo della carità, in modo da agire solo per questo motivo. (S. F. di S.). Così San Paolo dice: “Pregate incessantemente” (I. Thess. V, 17). Dobbiamo quindi abituarci a recitare spesso, durante il lavoro, preghiere giaculatorie, ad esempio “Signore, vieni in mio aiuto!”, “per la maggior gloria di Dio”. Il nostro motto dovrebbe quindi essere: “Preghiera e lavoro” (Ora et Labora) o “Mano al lavoro, cuore a Dio”.

5. IL LAVORO PORTA BENEFICI TEMPORALI E MERITI ETERNI, PERCHÉ È UNA SORTA DI CULTO DIVINO. Il beneficio temporale consiste nella contentezza e nella felicità.

Poiché Dio ha imposto il lavoro ad Adamo come pena dopo che egli ebbe confessato la sua caduta, chi lavora compie la volontà divina, e quindi compie un’opera gradita a Dio, in un certo senso più perfetta della preghiera. San Francesco di Sales, impedito a pregare dai suoi numerosi doveri di stato, si consolava dicendo: “Quaggiù dobbiamo pregare con le opere ed i fatti. – Le radici del lavoro sono amare, ma i suoi frutti sono dolci. Prima di tutto, porta benefici temporali: l’uomo ozioso si annoia, è sempre insoddisfatto di sé, mentre l’uomo industrioso, felice e gioioso, sente la verità delle parole di Cristo: “Il mio giogo è dolce ed il mio carico è leggero” (Matteo XI, 31). Colui che è impegnato in affari seri non si curerà molto di un concerto che si svolge nel suo quartiere, e sarà altrettanto indifferente alle seduzioni che il diavolo gli suggerisce ; satana lascia in pace quelli chi lavorano. – Una volta abbiamo esortato un monaco a non affaticare troppo il suo corpo. “Se non lo tormento, è lui che mi tormenta” (Cassiano). Il lavoro porta benessere e prosperità temporale. L’ape che ha lavorato bene durante l’estate vive in inverno con le provviste del suo alveare; così l’uomo laborioso si assicura il suo futuro. Una volta un romano fu portato davanti al Senato per aver accumulato una grande fortuna grazie alla magia; si presentò con i suoi attrezzi e disse: “Ecco i miei attrezzi da mago; ahimè, non posso più presentarvi il mio sudore” – Infine, il lavoro, come ogni opera di penitenza, porta meriti eterni. “L’operaio – dice Gesù – merita il suo salario”. (S. Luca X, 7) e S. Paolo aggiunge: “Ciascuno otterrà il suo salario”. Paolo aggiunge: “Ognuno otterrà la sua ricompensa nella misura del suo lavoro. (I. Cor. III, 8). Il guadagno è la molla dell’attività dei commercianti; essi si affannano per un guadagno temporaneo e noi per una ricompensa eterna. (S. Aug.). S. Bernardo vide un giorno uno dei suoi monaci lavorare duramente: “Continua, fratello mio – gli disse – tu non hai da temere il purgatorio.” – Guardiamoci bene quando lavoriamo di non pensare solo al profitto temporale, perché rischiamo di fare un lavoro disonesto che ci priverebbe della nostra ricompensa eterna.

Peccati contro il comandamento del lavoro.

Pecchiamo contro questo comandamento

1° quando ci abbandoniamo all’ozio;

2° quando trascuriamo i nostri doveri di stato;

3° quando, lavorando, ci si dimentica di Dio.

3. LA RICREAZIONE CRISTIANA.

1. OGNINUOMO CHE LAVORA HA IL DIRITTO DI RICREARSI; PERCHÉ LA RICREAZIONE, IL PIACERE, È UN MEZZO PER RIACQUISTARE FORZE NUOVE PER IL LAVORO.

Un arco sempre teso si spezza, così come un uomo che lavora senza riposo diventerebbe incapace di lavorare. – Le attività ricreative all’aperto contribuiscono al bene dell’umanità: rafforzano i legami di carità e prevengono o riconciliano le inimicizie. – Dio vuole che ci ricreiamo, perché ha fatto della natura una fonte di molti piaceri: il colore e la fragranza dei fiori, il canto degli uccelli, la bellezza e il sapore dei frutti, i paesaggi pittoreschi, ecc. Gesù stesso partecipava alle feste, anche ad un banchetto di nozze, e nella parabola del figliol prodigo, parla di danze, musica e banchetti. (S. Luc XV, 25). I banchetti cristiani (agapi) facevano addirittura parte della liturgia primitiva.

2. MA IL NOSTRO GUSTO PER I PIACERI DEVE ESSERE MODERATO E DOBBIAMO ASTENERCI DA TUTTI I PIACERI PECCAMINOSI; DOBBIAMO POI RICIRDARCI DI DIO DURANTE LE NOSTRE RICREAZIONI.

Il gusto per i piaceri non deve essere smodato, come se fossero il fine della vita; devono essere solo un mezzo per riparare le nostre forze. Chi ha un amore eccessivo per il piacere, si corrompe, diventa scontento e si perde nei debiti. – Ogni eccesso è dannoso, e l’eccesso di piaceri è dannoso quanto l’uso smodato di un rimedio. Il sale, preso con moderazione, esalta piacevolmente il sapore dei cibi; preso in eccesso, li rovina. Dobbiamo quindi concederci una pausa solo dopo aver compiuto i nostri doveri. Il riposo è dolce solo dopo il lavoro. Il pensiero della morte è adatto a ispirare la moderazione nei piaceri: Damocle, nel mezzo del più splendido banchetto, perse l’appetito alla vista della spada che pendeva sulla sua testa per un eccessivo gusto per il piacere, pensando che potesse morire da un momento all’altro, e addirittura essere dannati. La nostra epoca soffre molto di questa passione per il piacere. Gli inviti al piacere sono ovunque, e un incontro di piacere si sussegue all’altro, anche se tutti si lamentano del cattivo stato delle cose, che forse è proprio il risultato di questa brama di piacere. Che le vostre ricreazioni – diceva San Francesco di Sales – siano brevi e rare. – Non devono essere peccaminose. Tali sono, per esempio, il gioco d’azzardo con puntate troppo alte, la roulette o altri simili giochi; le maldicenze contro chi è assente; gli scherzi maligni, i discorsi indecenti e la derisione delle cose sacre. Solo i figli ingrati possono divertirsi con ciò che offende il padre loro. – Durante la ricreazione, ricordiamoci di Dio e del nostro fine. Rallegriamoci nel Signore. (Sal. XXXI, 11). San Carlo Borromeo un giorno, giocando a biliardo, gli fu chiesto cosa avrebbe fatto se la fine del mondo lo avesse raggiunto in quel giorno: “Continuerò a giocare – disse – perché lo faccio per la gloria di Dio e pensando a Lui.

IL CATECHISMO DI F. SPIRAGO (XXVII)

UN’ENCICLICA AL GIORNO TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO: S.S. PIO XII – “SÆCULO EXEUNTE OCTAVO”

La lettera Enciclica di S.S. Pio XII, la prima del suo luminoso pontificato, rivolta ai Vescovi del Portogallo, è un’apologia dello spirito missionario che deve animare la vita di ogni Cristiano, e soprattutto dei ministri della vera Chiesa di Cristo. Riferimenti storici e dottrinali si intrecciano in una esposizione chiara e corposa della dottrina cattolica, quella dottrina oggi misconosciuta, non solo, ma ferocemente ostacolata e combattuta dai lupi travestiti da agnelli del mondo ateo, pagano e soprattutto dai falsi profeti ed antipapi insediati apparentemente sulla Cattedra di S. Pietro e che ingannano senza vergogna sedicenti o secredenti fedeli peraltro confusi, oltre che eretici ed apostati loro malgrado. Ma la lettera conserva intatto il suo messaggio che noi del pusillus grex dobbiamo fare nostro ed attuare per quanto possibile a cominciare da una preghiera incessante per il Papa, la vera Gerarchia ed i pochi veri missionari cattolici ancora esistenti, affidandoci a S. Francesco Saverio e a tutti i Santi canonizzati che hanno versato il loro sangue per diffondere il messaggio autentico evangelico.

PIO XII

SÆCULO EXEUNTE OCTAVO

LETTERA ENCICLICA

SULL’ATTIVITÀ MISSIONARIA PORTOGHESE

L’VIII centenario della fondazione del Portogallo e il III della sua restaurazione, che la vostra gloriosa e nobile patria celebra quest’anno con grande solennità e unità di intenti, non potevano lasciare indifferenti il vigile interesse di questa Sede apostolica né, tanto meno, il nostro cuore di Padre comune dei fedeli. – Abbiamo anche un motivo speciale per partecipare alla commemorazione della vostra prima indipendenza, ed è il fatto che la Santa Sede, come è noto, collaborò perché le venisse data una costituzione giuridica. -“Gli atti con i quali i nostri predecessori del XII secolo, Innocenzo II, Lucio II e Alessandro III accettarono l’omaggio di obbedienza prestata da Alfonso Henriques, conte e in seguito re del Portogallo, e, promettendogli la loro protezione, dichiararono l’indipendenza di tutto il territorio, che a prezzo di durissime lotte era stato valorosamente recuperato dal dominio saraceno, fu il premio altamente vagheggiato con il quale la Sede di Pietro compensò il generoso popolo portoghese per le sue straordinarie benemerenze in favore della fede cattolica. Tale fede cattolica, come fu in certo qual modo la linfa vitale, che alimentò la nazione portoghese fin dalla culla, così fu, se non l’unica, certamente la principale fonte di energia, che elevò la vostra patria all’apogeo della sua gloria di nazione civile e nazione missionaria, «espandendo la fede e l’impero». Lo riferisce la storia e i fatti lo attestano. Infatti, quando i figli del re Giovanni I gli chiesero di autorizzare la prima spedizione oltremare, che portò poi alla liberazione di Ceuta, il grande e pio monarca, prima di qualsiasi altra cosa, volle sapere se l’impresa sarebbe stata utile per il servizio di Dio. Come in questo caso, anche tutte le altre imprese che seguirono ebbero come scopo principale la propagazione della fede, quella stessa fede che avrebbe animato la Crociata dell’Occidente e gli ordini equestri nell’epica lotta contro il dominio dei Mori. – Nelle caravelle che, innalzando il bianco pennone segnato con la rossa croce di Cristo, portavano gli intrepidi scopritori portoghesi sulle rive occidentali dell’Africa e delle isole adiacenti, navigavano anche i missionari, « per attirare le nazioni barbare al giogo di Cristo », come si esprimeva il grande pioniere dell’espansione coloniale e missionaria portoghese, l’infante Enrico il Navigatore. ‘ Il principe degli esploratori portoghesi, Vasco de Gama, quando levò le ancore per iniziare il suo avventuroso viaggio nelle Indie, portò con sé due padri Trinitari, uno dei quali, dopo aver predicato con zelo apostolico l’evangelo alle genti dell’India, coronò il suo faticoso apostolato con il martirio. Il suo sangue e quello di altri eroici missionari portoghesi fu in quei luoghi remoti, come sempre e dovunque è il sangue dei martiri, semente di Cristiani; il loro luminoso esempio fu per tutto il mondo cattolico, ma anzitutto per i loro generosi compatrioti, una chiamata e uno stimolo all’apostolato missionario. Successe allora – proprio quando una serie di avvenimenti funesti strappava gran parte dell’Europa dal grembo della Chiesa, che con tanta sapienza e amore materno l’aveva plasmata – che il Portogallo, insieme con la Spagna, sua nazione sorella, aprì alla mistica sposa di Cristo immense regioni sconosciute e portò al suo seno materno, in compenso di quelli miseramente perduti, innumerevoli figli dall’Africa, dall’Asia e dall’America. In quelle terre, a dimostrazione della perenne vitalità della Chiesa cattolica, per la quale il divino Fondatore intercede incessantemente e nella quale lo Spirito paraclito incessantemente opera, anche nelle ore più tragiche, sorsero e si moltiplicarono diocesi e parrocchie, seminari e conventi, ospedali e orfanotrofi. Come è stato possibile che voi, pur essendo pochi, abbiate fatto così tanto nella santa cristianità? Dove trovò il Portogallo la forza per accogliere sotto il suo dominio tanti territori dell’Africa e dell’Asia, e per estenderlo fino alle più lontane lande americane? Dove, se non in quella ardente fede del popolo portoghese, cantata dal suo maggiore poeta, e nella sapienza cristiana dei suoi governanti, che fecero del Portogallo un docile e prezioso strumento nelle mani della Provvidenza, per l’attuazione di opere tanto grandiose e benefiche? Infatti, mentre uomini esimi, coscienti della propria responsabilità, come Alfonso de Albuquerque, come Giovanni de Castro, governano con rettitudine e prudenza le diverse colonie portoghesi e prestano aiuto e protezione agli zelanti predicatori della fede – che grandi monarchi come Giovanni III si impegnano a mandare in quei paesi – il Portogallo si impone al mondo per la potenza del suo impero e per la sua gigantesca opera civilizzatrice. Quando invece la fede declina, quando lo zelo missionario si scoraggia, quando il braccio secolare, anziché proteggere, disturba, anziché incoraggiare, paralizza la vitalità missionaria, in particolare con la soppressione degli Ordini religiosi, allora, naturalmente, con la fede e la carità, si disperde e languisce tutta quella primavera di bene, che da esse era nata e si alimentava. – Uno sguardo anche a queste ombre, figlio nostro amato e venerabili fratelli, non sarà meno profittevole, anzi si presterà a utili riflessioni. Ma è sullo splendore delle vostre incomparabili glorie missionarie, che desideriamo fissare la vostra attenzione in quest’anno pluricentenario, destinato all’evocazione storica dei magnifici fasti della vostra inclita patria, perché nel vostro cuore si mantenga sempre vigoroso l’antico spirito missionario portoghese. Le attuali celebrazioni centenarie coincidono provvidenzialmente con un periodo di rinascita spirituale del popolo portoghese. Il solenne Concordato e l’Accordo missionario da poco ratificati, oltre a regolare le relazioni e a promuovere la collaborazione amichevole tra la Chiesa e lo stato, garantiscono tempi ancora migliori. L’ora attuale è dunque particolarmente propizia per dare nuovo incremento al vostro spirito missionario, con la speranza che possa emulare l’ardore degli antichi missionari portoghesi. Animato da tale spirito, chi potrà considerare con indifferenza i quasi dieci milioni di anime, che abitano nei territori portoghesi, e che nella stragrande maggioranza attendono ancora la luce dell’evangelo? Quale portoghese – degno di questo nome – non desidererà operare secondo le sue possibilità per conservare sempre vivo e far crescere ogni giorno più ciò che rappresenta una tra le sue glorie più belle, nonché uno dei maggiori interessi della sua patria?

***

Noi pertanto, nostro amato figlio e venerabili fratelli, con la mente e il cuore colmi delle gloriose tradizioni missionarie della nazione portoghese, vi teniamo presenti a favore delle molte anime che nelle vostre colonie ancora aspettano chi predichi loro la parola di Dio e condivida « le insondabili ricchezze di Cristo » (Ef 3, 8), e ripetiamo il gesto e l’esortazione del divino Redentore agli Apostoli, dicendo anche a voi: «Alzate gli occhi e guardate i campi già maturi per la mietitura » (Gv 4, 35); « La messe è grande, ma gli operai sono pochi. Pregate dunque il Padrone della messe perché mandi operai per la sua messe » (Lc 10, 2).

Sì, « gli operai sono pochi »! Le antiche diocesi dell’Africa portoghese soffrono grande scarsità di annunciatori della parola divina, e vaste circoscrizioni sono affidate a pochi missionari.

« Pregate dunque il Padrone della messe »; chiedete anzitutto al Signore che si degni di suscitare molte vocazioni missionarie sia in Portogallo come tra gli indigeni dei territori d’oltremare a voi soggetti; e non solo vocazioni di Sacerdoti, ma di fratelli coadiutori, di religiose e catechisti. Tutti i Sacerdoti consacrino parte delle loro preghiere a questa santa e altissima intenzione; in particolare lo facciano gli ordini contemplativi, e i fedeli, nel recitare il Rosario, tanto raccomandato dalla beata vergine Maria di Fatima, non trascurino di elevare un’invocazione alla Madre di Dio in favore delle vocazioni missionarie. – Ma non è sufficiente: è necessario organizzare giornate speciali per le vocazioni missionarie, con ore di adorazione e discorsi appropriati; ciò avvenga ogni anno, in tutte le parrocchie, nei collegi o case per l’educazione della gioventù, nei seminari. In tali giorni, tutti si accostino alla sacra mensa; in particolare i giovani si alimentino del pane dei forti, del « frumento dei prescelti » (Zc 9, 17): per molti sarà forse quello il momento benedetto e felice nel quale il Signore farà sentire la sua chiamata. Chi più del clero potrà promuovere in modo adeguato queste sante iniziative? Ci rivolgiamo quindi ai venerandi Sacerdoti portoghesi e con cuore ardente li esortiamo a iscriversi all’Unione missionaria del clero. Questa pia associazione, benedetta e arricchita di specialissime grazie dai nostri immediati predecessori, e che noi ugualmente benediciamo e raccomandiamo con insistenza, esiste già in quasi tutti i paesi cattolici e dovunque si dimostra mezzo molto efficace per formare la coscienza missionaria tra i fedeli. È nostro vivo desiderio che l’Unione missionaria del clero portoghese, anche nei suoi principi, si sviluppi rapidamente, poiché tra i suoi membri noi speriamo di trovare quei coltivatori zelanti ed esperti, che con amorosa sollecitudine sappiano scegliere ed educare le tenere pianticelle che nostro Signor Gesù Cristo fa spuntare nella sua vigna, per trapiantarle un giorno nel campo delle missioni. – Anzitutto il Signore attende dai suoi ministri un lavoro ancora più fondamentale: che preparino e coltivino il terreno affinché in esso possano germinare le vocazioni missionarie. Ne deriva che tocca in primo luogo ai Sacerdoti diffondere tra i fedeli la conoscenza del problema missionario e suscitare nel loro cuore lo zelo apostolico; perciò – come dichiarava un giorno il nostro predecessore Pio XI di v.m. – non dovrebbe esister un solo Sacerdote che non sia infiammato dall’amore per le missioni. – Perciò ripetiamo a voi, amato figlio e venerabili fratelli, le autorevoli parole dello stesso nostro grande predecessore nella sua lettera enciclica Rerum Ecclesiae: « Cercate di fondare tra voi l’Unione.missionaria del clero; o, se è già stata fondata, promuovetela con la vostra autorità, con consigli, esortazioni e un’attività sempre più vivace ». – Dovere primario dell’Unione missionaria del clero in Portogallo sarà di promuovere e diffondere con ogni mezzo la stampa missionaria. Se non esiste una stampa che faccia conoscere i gravi problemi e le urgentissime necessità delle missioni, né il clero, né, a maggior ragione, il popolo, se ne faranno carico.

Con tutto il cuore benediciamo quindi il bollettino dell’Unione missionaria del clero in Portogallo Il clero e le missioni affinché si rafforzi, e riaccenda in tutti i Sacerdoti portoghesi la chiamata allo zelo missionario e ricordi loro i doveri relativi alla propagazione della fede. – Benediciamo pure le altre riviste missionarie delle famiglie religiose, che tanto contribuiscono alla formazione missionaria dei fedeli e facciamo voti perché producano frutti sempre più abbondanti. Riserviamo quindi una benedizione speciale ai Sacerdoti che generosamente si incaricheranno di una zelante propaganda dell’Unione missionaria del clero, perché Dio renda feconda la loro attività. Certamente un autentico zelo per le anime ispirerà loro mille efficaci iniziative per portare a compimento il loro santo proposito.

L – Desideriamo inoltre che nei seminari l’educazione dei candidati al sacerdozio venga orientata in modo tale da far acquisire una solida e profonda coscienza missionaria, tanto utile per irrobustire la formazione sacerdotale, con vantaggio per il futuro esercizio del loro ministero, in qualsiasi posto la Provvidenza li destini. E se qualcuno di voi, per benignissima volontà dell’Altissimo, si sentisse chiamato verso le missioni, « né la mancanza di clero, né alcun’altra necessità della diocesi deve dissuaderlo dal dare il proprio consenso; poiché i vostri concittadini, avendo, per così dire, a portata di mano, i mezzi della salvezza, sono molto meno lontani da essa che gli infedeli… In tal caso poi, sopportate volentieri, per amore di Cristo e delle anime, la perdita di qualche membro del vostro clero, se perdita si può chiamare e non invece guadagno; giacché, se vi priverete di qualche collaboratore e compagno di fatica, il divino Fondatore della Chiesa certamente lo supplirà, o espandendo grazie più abbondanti sulla diocesi, o suscitando nuove vocazioni per il sacro ministero». – Ma il nostro maggiore e più ardente desiderio è che, a imitazione dell’arcidiocesi di Goa, dove abbondano le vocazioni sacerdotali e religiose tra i nativi del posto, anche le altre circoscrizioni ecclesiastiche dei domini portoghesi, sviluppando generosamente l’opera già intrapresa, possiedano tra non molto un esemplare clero indigeno, e numerose suore, figlie dello stesso popolo, nel cui seno eserciteranno il loro apostolato. Va a gloria del Portogallo l’aver sempre associato i popoli d’oltremare alla sua buona sorte, cercando di elevarli al suo stesso livello di civilizzazione cristiana. Noi contiamo su questa lodevole tradizione per la realizzazione di uno dei sogni più vagheggiati dalla Chiesa negli ultimi tempi: la formazione del clero indigeno. Da parte vostra, nostro amato figlio e venerabili fratelli, voi farete tutto il possibile perché queste speranze non siano vane, ma diventino tra breve tempo una consolante realtà.

* * *

Non basta tuttavia reclutare numerose vocazioni; è soprattutto necessario educare santi e capaci missionari. Avete in mezzo a voi, e senza dubbio lo apprezzate degnamente, un monumento insigne della sollecitudine che merita presso questa Sede apostolica l’educazione delle vocazioni missionarie, ed è l’Associazione portoghese delle missioni cattoliche d’oltremare, fondata dalla sapiente intuizione ed energia del nostro predecessore, Pio XI di v.m., la quale è anche per Noi oggetto di speciali cure e speranze. Altrettanta fiducia la Santa Sede ripone negli Ordini e nelle Congregazioni religiose, maschili e femminili, che in ogni tempo sono stati e sono i luoghi dove viene formata la maggior parte dei missionari. Dagli uni e dalle altre ci aspettiamo molto e molto si aspettano le missioni. Conoscendo bene le necessità spirituali dei possedimenti portoghesi, è nostro vivissimo desiderio che a lato degli Ordini e Congregazioni religiose, che già si dedicano alle missioni, se ne schierino altre ancora, e che gli Ordinari concedano loro appoggio e favore, per un fine così urgente e santo, così che anche in questi istituti si moltiplichino gli operai dell’Evangelo, destinati alle missioni delle vostre vaste colonie. Ai direttori dei collegi della succitata Associazione missionaria, come pure ai superiori delle altre corporazioni religiose, vogliamo aprire il nostro cuore, perché vedano chiaramente le nostre preoccupazioni apostoliche e quanto desideriamo che le vocazioni missionarie siano debitamente coltivate e solidamente formate. Si ricordino che nessuno deve incamminarsi per i difficili ed eroici sentieri delle missioni, se non è chiamato per privilegio singolare del Signore; allo stesso modo non si deve permettere a nessuno che prosegua su questo cammino, se non corrisponde degnamente alla chiamata divina. – Il missionario dev’essere un uomo di Dio, non solo per vocazione, ma anche per la donazione completa e perpetua di se stesso. « In effetti – insegna l’ammirevole epistola apostolica Maximum illud di Benedetto XV di v.m. – è necessario che sia uomo di Dio, che predica Dio, che odia il peccato e che insegna ad odiarlo. Specialmente tra gli infedeli, che agiscono più sotto la spinta del sentimento che della ragione, la fede fa maggiori progressi se viene predicata con l’esempio più che con la parola ». ‘ Si tratta, nostro amato figlio e venerabili fratelli, di una santità profondamente radicata nell’anima, non di una superficiale bontà, che sparirebbe al primo contatto con la corruzione del paganesimo. Uomini che, secondo la frase di san Paolo, « hanno la parvenza della pietà, mentre ne hanno rinnegato la forza interiore » (2Tm 3,5) di certo non saranno sale della terra, che curi la corruzione dei costumi pagani, e nemmeno luce del mondo, che mostri il cammino della salvezza a quanti giacciono nell’ombra di morte. E piaccia a Dio che non arrivino loro stessi a corrompersi miserabilmente e, peggio ancora, a trasformarsi in maestri di corruzione! Inoltre, è necessario che il futuro missionario riceva un’educazione completa, sia scientifica che pastorale, affinché possa davvero essere un « sapiente architetto » (1 Cor 3, 10) del regno di Dio. Non gli basterà una vasta e profonda scienza teologica; dovrà anche conoscere le scienze profane relative all’esercizio dei suoi compiti; altrimenti, se gli mancheranno queste conoscenze sacre e profane, il missionario, guidato unicamente dal suo zelo, rischierà di costruire sulla sabbia. Pertanto, a somiglianza del divino Maestro, che « passò facendo del bene e sanando tutti » (At 10, 38), e obbedendo al mandato di Lui, che disse: « curate gli infermi » (Lc 10, 9) e « insegnate a tutte le genti » (Mt 28, 19), il missionario aprirà la bocca per parlare con sapienza e dottrina del regno di Dio, e stenderà le mani, convenientemente preparate e mosse da carità cristiana, per alleviare i corpi dalle malattie e dalle miserie che li affliggono; con i corpi sanerà unitamente le anime. Egli saprà pure elevare l’intelligenza di tanti poveri schiavi di superstizioni degradanti e immersi « nell’ombra della morte »; con l’istruzione aprirà in quelle intelligenze ottenebrate il varco alla luce dell’evangelo. – Infatti, a lato della casa di Dio, la Chiesa, illuminata dallo Spirito Santo, ha innalzato in ogni parte, ma soprattutto nelle terre di missione, orfanotrofi, ospedali e scuole. Ora chi sarà il « sapiente architetto » di queste sante opere, se non il missionario che annuncia la verità cristiana? E come potrà esserlo senza la necessaria preparazione per avere quelle doti e virtù? Identiche raccomandazioni facciamo a quanti si dedicano alla formazione di quell’esercito silenzioso, ma laboriosamente benefico, aiuto quasi indispensabile delle missioni, che sono le suore missionarie. Sappiamo che in Portogallo, per la misericordia di Dio, si stanno moltiplicando le Congregazioni religiose femminili. In esse si curino con diligenza il reclutamento e l’educazione delle vocazioni missionarie, in modo che le suore, pronte a partire verso terre di infedeli, siano ogni volta più numerose e meglio preparate a esercitare con successo i compiti di maestre, infermiere, catechiste, in una parola, tutte le incombenze particolari che si riferiscono all’apostolato missionario. – Tutti coloro cui compete questo dovere considerino bene che le suore missionarie potranno cogliere frutti tanto maggiori, quanto più adeguata e completa sarà la loro formazione, non solo religiosa, ma anche intellettuale. E piaccia a Dio che tra breve tempo vediamo collaborare con le suore missionarie molte zelanti suore indigene! – Non dimentichiamo certo voi, dilettissimi figli, che già avete obbedito all’invito del divino Maestro: « Prendi il largo! » (Lc 5, 4) A voi, che già vi trovate in alto mare, che lottate e vi affaticate per estendere il regno di Dio, va più sollecito il nostro pensiero e si dirigono più cordiali il nostro saluto ed esortazione. Infondendovi nuovo coraggio, preghiamo e scongiuriamo tutti e ciascuno in particolare, con le parole dell’Apostolo delle genti: « Sforzati di presentarti davanti a Dio come un uomo degno di approvazione, un lavoratore che non ha di che vergognarsi » (2 Tm 2, 15). « Sii esempio ai fedeli nelle parole, nel comportamento, nella carità, nella fede, nella purezza » (1 Tm 4, 12). Con lo stesso san Paolo, all’esortazione uniamo il suggerimento dei mezzi necessari per metterla in pratica, riassumendoli tutti nel seguente consiglio: « Tendi… alla pietà » (1 Tm 6, 11). Se la grazia di Dio dimorerà nel vostro cuore, non potrà mancare di diffondersi intorno a voi e sulle vostre opere, poiché questa è la legge del regno di Dio. Infatti « il regno dei cieli si può paragonare al lievito, che una donna ha preso e impastato con tre misure di farina perché tutta si fermenti » (Mt 13, 33). – La storia delle vostre missioni conferma eloquentemente la verità di questa legge divina. Mentre le cosiddette missioni laiche, che dovevano sostituire le missioni cattoliche, rimasero sempre infruttifere, quali immensi beni, non solo spirituali, ma pure – per logica conseguenza – temporali, a vantaggio e prestigio del Portogallo, operarono degli uomini apostolici come Francesco Saverio e Giovanni de Brito! Imitateli dunque degnamente! – Come sapete, il 15 marzo di quest’anno si è compiuto il quarto centenario della divina vocazione di Saverio verso le missioni dell’India portoghese. Questa vocazione divina gli fu manifestata dalla lettera che Giovanni III, re del Portogallo, scrisse al suo ambasciatore a Roma, incaricandolo di cercare saggi e virtuosi missionari per le Indie. Quanto bene Saverio ricompensò il Portogallo per il grande aiuto offerto alla vocazione divina del santo protettore delle missioni! Certamente non avrebbe potuto fare di più a servizio del Portogallo, se fosse stato portoghese di nascita. Tale è l’efficacia benefica della santità. In essa si trova il segreto del felice risultato della vostra missione. Il vostro programma missionario fra gli infedeli sia lo stesso del divino Maestro: « Santifico me stesso perché essi siano santificati » (Gv 17, 19) che fu anche il programma di san Francesco Saverio, del beato Giovanni de Brito e di tutta la gloriosa schiera di Santi missionari portoghesi, che tanto onore hanno recato alla Religione e alla nazione portoghese. – Ed ora, prima di concludere, una parola per il generoso e a Noi caro popolo portoghese. Cristo Signore confidò a coloro che già godono degli incomparabili benefici della redenzione, l’incarico di condividerli con i fratelli, che ancora ne sono privi. Nelle vostre magnifiche colonie avete milioni di fratelli, la cui evangelizzazione vi è in modo particolare affidata. Per questo noi vi convochiamo tutti a una santa crociata in favore delle vostre missioni. Come i vostri gloriosi predecessori, dei quali quest’anno celebrate la memoria, si stringevano intorno a capitani e cavalieri, che agitavano la bandiera crociata o, quando non potevano seguirli, li accompagnavano con le preghiere, con la solidarietà o con l’aiuto finanziario, così anche voi impegnatevi con l’offerta dei vostri figli, le vostre orazioni e il vostro obolo generoso per le missioni. – In questa nobile crociata un compito privilegiato spetta a quanti militano nell’Azione cattolica. Dio benedirà la vostra santa crociata e la vostra nobilissima nazione. Da Fatima, nostra Signora del Rosario, la grande Madre di Dio che vinse a Lepanto, vi assisterà con il suo potente patrocinio. San Francesco Saverio, il Santo protettore delle missioni cattoliche, portoghese di adozione, il beato Giovanni de Brito e tutta la nobile falange di Santi missionari portoghesi sarà con voi. – Intanto la benedizione apostolica che con tutta l’effusione del nostro cuore impartiamo a voi, nostro amato figlio e venerabili fratelli, e a tutti e ciascuno dei vostri fedeli, sia per voi pegno di grazie celesti e testimonianza della nostra paterna benevolenza.

Roma, presso San Pietro, 13 giugno 1940, festa di sant’Antonio, anno II del nostro pontificato.

PIO PP. XII 


I SERMONI DI P. LOUIS CAMPBELL (DOMENICA DI CRISTO RE 2023)

I SERMONI DI P. CAMPBELL 29-10-2023

– Padre Louis Campbell –

Festa di Cristo Re

La dignità regale di Cristo

Sermone del 29 ottobre 2023, Santuario di San Giuda, Stafford, Texas

Oggi onoriamo Cristo nostro Re e gli promettiamo la nostra obbedienza. La festa di Cristo Re è stata istituita da Papa Pio XI, con l’enciclica Quas Primas dell’11 dicembre 1925, per essere celebrata Chiesa universale ogni anno l’ultima domenica di ottobre. La collocazione della festa in questo preciso momento dell’anno liturgico ci dice che Cristo è Re qui e ora, Re di tutte le nazioni, Sovrano e Legislatore, la cui autorità deve essere riconosciuta da tutti i poteri terreni. Papa Pio XI dice in Quas Primas: “Quando renderemo onore alla dignità regale di Cristo, gli uomini si ricorderanno che la Chiesa fondata da Cristo, come società perfetta, ha un diritto naturale e inalienabile alla perfetta libertà e all’immunità dal potere dello Stato; e che nell’adempimento del compito affidatole da Dio di insegnare, governare e guidare alla beatitudine eterna coloro che appartengono al regno di Cristo, non può essere soggetta ad alcun potere esterno… – La celebrazione annuale di questa festa ricorderà alle nazioni che non solo gli individui privati ma anche i governanti e principi sono tenuti a rendere pubblico onore e obbedienza a Cristo… La sua dignità regale esige che lo Stato tenga conto dei diritti dei comandamenti di Dio e dei principi cristiani, sia nel fare le leggi che nell’amministrare la giustizia…”. – Papa Pio XI afferma anche che: – “… è dogma di fede che Gesù Cristo sia stato dato all’uomo non solo come Redentore, ma anche come legislatore, al quale è dovuta obbedienza”. Negare questo sarebbe negare i diritti di Cristo e della Sua Chiesa e cadere nell’eresia. È un dogma di fede”. – A sostegno di ciò, Sua Santità cita Papa Leone XIII: “Il suo impero comprende non solo le nazioni cattoliche, non solo le persone battezzate che, pur appartenendo di diritto alla Chiesa, sono stati sviati dall’errore o sono stati tagliati fuori da essa con lo scisma, ma anche tutti coloro che sono fuori dalla fede cristiana, in modo che veramente tutta l’umanità sia soggetta al potere di Gesù Cristo”. (Annum Sacrum, 25 maggio 1899). – Ogni nazione, ogni governante, ogni essere umano, ogni Vescovo e ogni Papa è quindi tenuto a riconoscere e ad accettare l’autorità di Cristo Re sulle nazioni e sui popoli. San Paolo, nella sua lettera ai Romani, parla di: “… Gesù Cristo, per mezzo del quale abbiamo ricevuto la grazia dell’apostolato per portare l’obbedienza alla fede tra tutte le genti per amore del suo nome…”. Qualsiasi nazione che non riconosca la regalità di Cristo e il suo potere legislativo, qualsiasi nazione che non dia “obbedienza alla fede”… è quindi illegale – come quasi tutte le nazioni del mondo in questo momento che sono in disobbedienza a Dio. Alcuni di essi rendono un “servizio a parole”, ma ignorano i Suoi comandamenti e seguono un modello secolare, una filosofia secolare e umanista, e fanno le leggi di conseguenza. C’è stata una rivoluzione mondiale contro Dio e il Suo Unto, Gesù Cristo. Dobbiamo anche dire che le religioni che non riconoscono l’autorità, la divinità e la messianicità di Cristo, il Re, sono false religioni., per le quali non possiamo avere alcun rispetto, anche se rispettiamo i loro aderenti e preghiamo per la loro conversione. Il Vaticano II e la Chiesa conciliare sono andati direttamente contro l’enciclica di Pio XI riconoscendo l’autonomia degli Stati e dei governi terreni. La Chiesa conciliare non vuole Stati cristiani né legislazioni cristiane. I Paesi che un tempo si chiamavano Cattolici sono stati istruiti dal Vaticano a disconoscere la Chiesa Cattolica, con il risultato che tutte le false religioni create dall’uomo hanno parità con l’unica vera religione rivelata da Dio. Non ci sono più Paesi cattolici. – Papa Pio XI aveva dichiarato in Quas Primas: “Se ordiniamo che tutto il mondo cattolico riverisca Cristo come re, risponderemo alle necessità del presente, e allo stesso tempo forniremo un eccellente rimedio per la piaga che infetta la società. Ci riferiamo alla piaga del secolarismo, ai suoi errori ed alle sue attività empie… Il diritto che la Chiesa ha ricevuto da Cristo stesso di insegnare agli uomini, di fare leggi, di governare i popoli in tutto ciò che riguarda la loro salvezza eterna, questo diritto è stato negato. Poi, gradualmente, la religione di Cristo è stata assimilata a false religioni e posta ignominiosamente sullo stesso piano di esse”. – Ebbene, non immaginava il Papa che la Chiesa stessa (o meglio, la “falsa” Chiesa conciliare) avrebbe sconfessato la propria dottrina e si sarebbe gettata ai piedi delle potenze di questo mondo. – San Paolo, nella sua Epistola ai Romani, avverte coloro che non riconoscono l’autorità di Dio e del suo Cristo: “… essi sono dunque inescusabili, perché, pur conoscendo Dio, non gli hanno dato gloria né gli hanno reso grazie come a Dio, ma hanno vaneggiato nei loro ragionamenti e si è ottenebrata la loro mente ottusa. Mentre si dichiaravano sapienti, sono diventati stolti e hanno cambiato la gloria dell’incorruttibile Dio con l’immagine e la figura dell’uomo corruttibile, di uccelli, di quadrupedi e di rettili. E così sono senza scusa, visto che, pur conoscendo Dio, non lo hanno glorificato come Dio e non gli hanno reso grazie, ma sono diventati vani nei loro ragionamenti e la loro mente insensata si è ottenebrata. Infatti, pur professandosi saggi, sono diventati stolti e hanno cambiato la gloria del Dio incorruttibile con un’immagine simile all’uomo corruttibile, agli uccelli, ai quadrupedi e ai rettili”. (Rm 1,21-23) – “Mentre le nazioni insultano il nome amato del nostro Redentore”, dice Papa Pio XI: “… sopprimendone ogni menzione nelle loro conferenze e nei loro parlamenti, dobbiamo a maggior ragione proclamare a gran voce la sua dignità e il suo potere regale, affermare universalmente i suoi diritti… “Così, con i discorsi pronunciati nelle riunioni e nelle chiese, con l’adorazione pubblica del Santissimo Sacramento esposto e con la processione solenne, gli uomini si uniscono nel rendere omaggio a Cristo, che Dio ha dato loro per loro Re. È per ispirazione divina che il popolo di Cristo fa uscire Gesù dal suo silenzioso nascondiglio nella Chiesa e lo porta in trionfo per le strade della città, in modo che Colui che gli uomini si erano rifiutati di accogliere quando venne dai suoi, possa ora ricevere pienamente i suoi diritti di re”. – È stato recentemente riportato nel film-documentario del 2023, “Una tempesta perfetta”, che il 65% dei Cattolici non crede più nella Presenza Reale di Gesù Cristo, Corpo, Sangue, Anima e Divinità, nel Santo Sacramento dell’Eucaristia. Perché, allora, crediamo? Perché Cristo stesso ce lo ha detto: “Questo è il mio Corpo… questo è il mio Sangue”, dicendoci anche: “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e Io lo risusciterò nell’ultimo giorno… Perché la mia carne è veramente cibo e il mio sangue è veramente bevanda” (Gv.VI: 55,56). In obbedienza alla fede, dunque, crediamo! Lunga vita a Cristo Re!

DOMENICA DI CRISTO-RE 2023

DOMENICA DI CRISTO-RE (2023)

DÒMINE Iesu Christe, te confiteor Regem universàlem. Omnia, quæ facta sunt, prò te sunt creata. Omnia iura tua exérce in me. Rénovo vota Baptismi abrenùntians sàtanæ eiùsque pompis et opéribus et promitto me victùrum ut bonum christiànum. Ac, potissimum me óbligo operàri quantum in me est, ut triùmphent Dei iura tuæque Ecclèsiæ. Divinum Cor Iesu, óffero tibi actiones meas ténues ad obtinéndum, ut corda omnia agnóscant tuam sacram Regalitàtem et ita tuæ pacis regnum stabiliàtur in toto terràrum orbe. Amen.

DOMENICA In festo Domino nostro Jesu Christi Regis ~ I. classis

L’ULTIMA DOMENICA D’OTTOBRE

Festa del Cristo Re.

(Messale Romano di S. Bertola e G. Destefani, comm. di D. G. LEFEBVRE O. S. B; L. I. C. E. – R. Berruti & C. Torino 1950)

Doppio di prima classe. – Paramenti bianchi.

La festa del Cristo Re, per quanto d’istituzione recente, perché stabilita da Pio XI nel dicembre 1925, ha le sue più profonde radici nella Scrittura, nel dogma e nella liturgia. Merita, a questo riguardo d’esser riportato qui integralmente in versione italiana dall’ebraico, il famoso salmo messianico, che nel Salterio reca il n. 2. Il salmista comincia dal descrivere la congiura di popoli e governanti contro il Messia, cioè il Cristo:

A che prò si agitano le genti

e le nazioni brontolano vanamente?

Si sollevano i re della terra

e i principi congiurano insieme

contro Dio ed il suo Messia:

« Spezziamo i loro legami

e scotiamo da noi le loro catene ».

Popoli e governanti considerano come legami e catene intollerabili i precetti divini e cercano di ribellarvisi: tentativo ridicolo, conati di impotenti contro l’Onnipotente:

Chi siede nei cieli ne ride,

il Signore se ne fa beffe.

Poi loro parla con ira

e col suo sdegno ti sgomenta.

Dio stesso dichiara che il Re da Lui costituito su tutto il mondo è il Messia:

« Ho consacrato io il mio Re,

(l’ho consacrato) sul Sion, il sacro mio monte »..

Alla sua volta il Cristo Re dichiara:

« Promulgherò il divino decreto.

Dio m’ha detto: Tu sei il mio Figlio;

Io quest’oggi t’ho generato.

Chiedi a me e ti darò in possesso le genti

e in tuo dominio i confini della terra.

Li governerai con scettro di ferro,

quali vasi di creta li frantumerai ».

Il Salmista conchiude, rivolgendo un caldo appello al governanti:

Or dunque, o re, fate senno:

ravvedetevi, o governanti della terra!

Soggettatevi a Dio con timore

e baciategli i piedi con tremore;

affinché non si adiri e voi siate perduti,

per poco che divampi l’ira sua.

Felici quelli che ricorrono a Lui!

(Trad. Vaccari)

Un altro salmo (CIX), il più celebre di tutto il salterio, insiste sugli stessi concetti: regalità del Cristo, il quale, nello stesso tempo che re dei secoli, è anche sacerdote in eterno; ribellione di re e popoli contro il Cristo; trionfo finale, schiacciante ed assoluto del Cristo sui propri nemici:

Responso del Signore (Dio) al mio Signore (il Cristo):

« Siedi alla mia destra,

finché io faccia dei tuoi nemici

lo sgabello dei tuoi piedi ».

Da Sionne stenderà il Signore

lo scettro di tua potenza;

impera sui tuoi nemici…

Il Signore ha giurato e non se ne pentirà;

« Tu sei sacerdote in eterno

alla guisa di Melchisedecco…».

(Ps. CIX).

Attraverso queste espressioni metaforiche ed orientali infravediamo delle grandi verità religiose e storiche: la dignità assolutamente regale e sacerdotale del Cristo; i suoi diritti, per generazione divina e per la redenzione del genere umano (vedi Merc. Santo, lez. di Isaia, c. LIII 1-12); la signoria di tutto il mondo (vedi Fil. II, 5-11); la feroce guerra mossa al Cristo dagli avversari in tutto ciò che sa di religioso e particolarmente di cristiano; la vittoria del Cristo Re. Venti secoli di storia cristiana dicono eloquentemente quanto siasi già avverata la Scrittura. Da Erode, cosi detto il Grande, che s’adombra del Cristo bambino, a Caifa, che paventa per la sua nazione, e Pilato, che teme per la sua sedia curule, ai Giudei, uccisori del Cristo e persecutori degli Apostoli, agli imperatori romani, che ad intervalli perseguitano la Chiesa per oltre due secoli, fino alle moderne rivoluzioni,, che tutte si accaniscono anzitutto e soprattutto contro la Chiesa, è una lunga incessante storia di ribellioni di popoli e principi contro Dio ed il Cristo Re. Se guardiamo semplicemente al nostro secolo, alla persecuzione sanguinosa dei Boxer contro i Cattolici cinesi, alle persecuzioni del Messico, a quelle di quasi tutta l’Europa, dalla Russia alla Spagna, che guerra al Cristo Re! È fatale; ma altrettanto fatale la vittoria del Cristo. Ai suoi discepoli il Cristo Re dice: Confidate: io ho vinto il mondo (Giov., XVI, 33). Ai suoi nemici: Chiunque cadrà su questa pietra sarà spezzato; e colui sul quale la pietra cadrà sarà stritolato, Luc. XX,18). Per impartirci tale dottrina « un’annua solennità è più efficace di tutti i documenti ecclesiastici, anche i più gravi » (Pio XI, enciclica 11 dic. 1925). La festa di oggi è una grande lezione per tutti: lezione specialmente di illimitata fiducia pei veri fedeli: Felici quelli che ricorrono a Lui (al Cristo Re). Lezione anche di devoto, generoso servizio sotto il vessillo del Cristo Re. La Messa odierna ricorda soprattutto la gloria tributata al Cristo Re dai beati del Cielo (Introito); il regno del Figlio Unigenito, ed il suo primato assoluto in tutto e su tutto (Epistola); quel regno celeste che Gesù ha rivendicato davanti a Pilato, il quale non credeva che al proprio grado e stipendio (Vangelo). il Prefazio canta le caratteristiche sublimi del regno del Cristo.  – Gesù-Cristo è il Verbo creatore, è l’Uomo-Dio seduto alla destra del Padre, è il nostro Salvatore. Sono questi i tre titoli di regalità.

Incipit

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Adjutórium nostrum in nómine Dómini.
R. Qui fecit cælum et terram.
Confíteor Deo omnipoténti, beátæ Maríæ semper Vírgini, beáto Michaéli Archángelo, beáto Joánni Baptístæ, sanctis Apóstolis Petro et Paulo, ómnibus Sanctis, et vobis, fratres: quia peccávi nimis cogitatióne, verbo et ópere: mea culpa, mea culpa, mea máxima culpa. Ideo precor beátam Maríam semper Vírginem, beátum Michaélem Archángelum, beátum Joánnem Baptístam, sanctos Apóstolos Petrum et Paulum, omnes Sanctos, et vos, fratres, oráre pro me ad Dóminum, Deum nostrum.
S. Misereátur nostri omnípotens Deus, et, dimíssis peccátis nostris, perdúcat nos ad vitam ætérnam.
R. Amen.
S. Indulgéntiam, absolutiónem et remissiónem peccatórum nostrórum tríbuat nobis omnípotens et miséricors Dóminus.
R. Amen.

V. Deus, tu convérsus vivificábis nos.
R. Et plebs tua lætábitur in te.
V. Osténde nobis, Dómine, misericórdiam tuam.
R. Et salutáre tuum da nobis.
V. Dómine, exáudi oratiónem meam.
R. Et clamor meus ad te véniat.
V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.

Introitus

Dignus est Agnus, qui occísus est, accípere virtútem, et divinitátem, et sapiéntiam, et fortitúdinem, et honórem. Ipsi glória et impérium in sǽcula sæculórum.

[L’Agnello che fu sacrificato è degno di ricevere potenza, ricchezza, sapienza, forza, onore, gloria e lode; a Lui sia per sempre data gloria e impero, per …]

Ps LXXI: 1
Deus, iudícium tuum Regi da: et iustítiam tuam Fílio Regis.

[Dio, da al Re il tuo giudizio, ed al Figlio del Re la tua giustizia] –

Dignus est Agnus, qui occísus est, accípere virtútem, et divinitátem, et sapiéntiam, et fortitúdinem, et honórem. Ipsi glória et impérium in sǽcula sæculórum…

[L’Agnello che fu sacrificato è degno di ricevere potenza, ricchezza, sapienza. Forza, onore, gloria e lode; a Lui sia per sempre data gloria e impero, per …]

Kyrie

S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Christe, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.

Gloria

Glória in excélsis Deo. Et in terra pax homínibus bonæ voluntátis. Laudámus te. Benedícimus te. Adorámus te. Glorificámus te. Grátias ágimus tibi propter magnam glóriam tuam. Dómine Deus, Rex cæléstis, Deus Pater omnípotens. Dómine Fili unigénite, Jesu Christe. Dómine Deus, Agnus Dei, Fílius Patris. Qui tollis peccáta mundi, miserére nobis. Qui tollis peccáta mundi, súscipe deprecatiónem nostram. Qui sedes ad déxteram Patris, miserére nobis. Quóniam tu solus Sanctus. Tu solus Dóminus. Tu solus Altíssimus, Jesu Christe. Cum Sancto Spíritu ✠ in glória Dei Patris. Amen.

Oratio

Orémus.
Omnípotens sempitérne Deus, qui in dilécto Fílio tuo, universórum Rege, ómnia instauráre voluísti: concéde propítius; ut cunctæ famíliæ géntium, peccáti vúlnere disgregátæ, eius suavissímo subdántur império: Qui tecum …

[Dio onnipotente ed eterno, che ponesti al vertice di tutte le cose il tuo diletto Figlio, Re dell’universo, concedi propizio che la grande famiglia delle nazioni, disgregata per la ferita del peccato, si sottometta al tuo soavissimo impero: Egli che …].

Commemoratio Dominica XXII Post Pentecosten

Deus, refúgium nostrum et virtus: adésto piis Ecclésiæ tuæ précibus, auctor ipse pietátis, et præsta; ut, quod fidéliter pétimus, efficáciter consequámur.

[Dio, nostro rifugio e nostra forza, ascolta favorevolmente le umili preghiere della tua Chiesa, Tu che sei l’autore stesso di ogni pietà, e fa che quanto con fede domandiamo, lo conseguiamo nella realtà]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Colossénses.
Col 1: 12-20
Fratres: Grátias ágimus Deo Patri, qui dignos nos fecit in partem sortis sanctórum in lúmine: qui erípuit nos de potestáte tenebrárum, et tránstulit in regnum Fílii dilectiónis suæ, in quo habémus redemptiónem per sánguinem ejus, remissiónem peccatórum: qui est imágo Dei invisíbilis, primogénitus omnis creatúra: quóniam in ipso cóndita sunt univérsa in cœlis et in terra, visibília et invisibília, sive Throni, sive Dominatiónes, sive Principátus, sive Potestátes: ómnia per ipsum, et in ipso creáta sunt: et ipse est ante omnes, et ómnia in ipso constant. Et ipse est caput córporis Ecclésiæ, qui est princípium, primogénitus ex mórtuis: ut sit in ómnibus ipse primátum tenens; quia in ipso complácuit omnem plenitúdinem inhabitáre; et per eum reconciliáre ómnia in ipsum, pacíficans per sánguinem crucis ejus, sive quæ in terris, sive quæ in cœlis sunt, in Christo Jesu Dómino nostro.

[Fratelli, ringraziamo con gioia il Padre che ci ha messi in grado di partecipare alla sorte dei santi nella luce. È lui infatti che ci ha liberati dal potere delle tenebre e ci ha trasferiti nel regno del suo Figlio diletto, per opera del quale abbiamo la redenzione, la remissione dei peccati. Egli è immagine del Dio invisibile, generato prima di ogni creatura; poiché per mezzo di Lui sono state create tutte le cose, quelle nei cieli e quelle sulla terra, quelle visibili e quelle invisibili: Troni, Dominazioni, Principati e Potestà. Tutte le cose sono state create per mezzo di Lui e in vista di Lui. Egli è prima di tutte le cose e tutte sussistono in Lui. Egli è anche il capo del corpo, cioè della Chiesa; il principio, il primogenito di coloro che risuscitano dai morti, per ottenere il primato su tutte le cose. Perché piacque a Dio di fare abitare in Lui ogni pienezza e per mezzo di lui riconciliare a sé tutte le cose, rappacificando con il sangue della sua croce, cioè per mezzo di Lui, le cose che stanno sulla terra e quelle nei cieli.]

Graduale

Ps LXXI: 8; LXXVIII: 11
Dominábitur a mari usque ad mare, et a flúmine usque ad términos orbis terrárum.
[Egli dominerà da un mare all’altro, dal fiume fino all’estremità della terra]

V. Et adorábunt eum omnes reges terræ: omnes gentes sérvient ei.

[Tutti i re Gli si prostreranno dinanzi, tutte le genti Lo serviranno].

Alleluja

Allelúja, allelúja.
Dan VII: 14.
Potéstas ejus, potéstas ætérna, quæ non auferétur: et regnum ejus, quod non corrumpétur. Allelúja.

[La potestà di Lui è potestà eterna che non Gli sarà tolta e il suo regno è incorruttibile]

Evangelium

Sequéntia ✠ sancti Evangélii secúndum Joánnem. – Joann XVIII: 33-37

In illo témpore: Dixit Pilátus ad Jesum: Tu es Rex Judæórum? Respóndit Jesus: A temetípso hoc dicis, an álii dixérunt tibi de me? Respóndit Pilátus: Numquid ego Judǽus sum? Gens tua et pontífices tradidérunt te mihi: quid fecísti? Respóndit Jesus: Regnum meum non est de hoc mundo. Si ex hoc mundo esset regnum meum, minístri mei útique decertárent, ut non tráderer Judǽis: nunc autem regnum meum non est hinc. Dixit ítaque ei Pilátus: Ergo Rex es tu? Respóndit Jesus: Tu dicis, quia Rex sum ego. Ego in hoc natus sum et ad hoc veni in mundum, ut testimónium perhíbeam veritáti: omnis, qui est ex veritáte, audit vocem meam.

[In quel tempo, disse Pilato a Gesù: “Tu sei il re dei Giudei?”. Gesù rispose: “Dici questo da te oppure altri te l’hanno detto sul mio conto?”. Pilato rispose: “Sono io forse Giudeo? La tua gente e i sommi sacerdoti ti hanno consegnato a me; che cosa hai fatto?”. Rispose Gesù: “Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù”.  Allora Pilato gli disse: “Dunque tu sei re?”. Rispose Gesù: “Tu lo dici; io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per rendere testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce”].

OMELIA

 [Mos. Giacomo Sinibaldi: Il Regno del SS. Cuore di Gesù. – Soc. Edit. Vita e Pensiero, Milano – 1924]

Deus caritas est:

Dio è amore (I Joan., IV, 8).

DIO È AMORE! — Quanta luce e quanta soavità di Paradiso ha condensato in così poche e semplici parole il glorioso Apostolo S. Giovanni! Dio, in sé stesso, è tutto l’essere: è verità, è sapienza, è giustizia, è onnipotenza, è ogni perfezione. Ma, riguardo a noi, è specialmente amore, perché, amando, Egli ci trae dal nulla e ci comunica i suoi beni. E, quanto più tenero e più intenso è l’amore, onde previene le sue creature, tanto più rari e preziosi sono i doni, che ad esse dispensa. Se l’uomo, nella scala degli esseri visibili, occupa il grado più elevato, e perciò è chiamato il re della creazione, tale preminenza Egli deve esclusivamente all’amore specialissimo, che Dio gli ha portato. Di fatti, la Santa Scrittura c’insegna che Dio, mentre gli esseri visibili avea chiamato dalla materia, non volle trarre lo spirito umano che dal suo seno, come un alito, un sospiro affettuoso (Gen. II, 7). – Creato dall’amore e nell’amore, il nostro spirito deve portare necessariamente in se stesso il raggio e il calore del suo divino Principio. L’uomo pure ama, e, amando, tende al bene, se non sempre a scopo di comunicarlo, sempre però nell’intento di raggiungerlo. Analizzando i nostri pensieri, le nostre parole, le nostre opere., ci convinceremo agevolmente che tutti questi prodotti della nostra attività, quantunque molteplici, diversi e perfino contrari, hanno però tutti una stessa radice, dalla quale germogliano, uno stesso centro, dal quale partono e al quale convergono. Questa radice, questo centro è l’amore. L’amore è la nostra vita. Dal bene, al quale tende e si stringe, prende l’amore la sua natura specifica; perciò, secondo che il bene amato è un bene vero, o soltanto apparente, il nostro amore è bello o deforme, santo o vizioso, retto o disordinato. — L’amore di Dio è sempre e necessariamente bello, santo, retto. Egli non ama e non può amare che la sua Bontà infinita e in Essa, e per Essa, ogni altra cosa; e la Bontà di Dio è santa e principio di ogni santità. L’amore nostro, al contrario, può essere e molte volte è deforme, vizioso, disordinato; perché, potendo abusare della libertà, tende ad oggetto, che di bene ha soltanto le apparenze che, nella realtà, è male. Naturalmente defettibile nella sua tendenza, deve l’amore dell’uomo sottostare ad una regola, che di necessità sia retta, infallibile. Questa regola non può essere altra che l’amore stesso di Dio. Come Dio ama sé e in sé e per sé tutte le altre cose, così l’uomo deve amare Dio e in Lui e per Lui ogni altro oggetto. È la legge che Dio impose al cuore umano, quando in esso destò il primo palpito, la prima tendenza al bene. – Era defettibile l’amore umano, e disordinò. Istigato da fallaci promesse, credé l’uomo trovar la felicità fuori di Dio, anzi contro Dio, e commise il peccato. Fu grande la sua colpa, perché significava mancanza di fiducia nell’amore di Dio, e sembrava irreparabile la sua rovina, perché sulla terra, l’oltraggio fatto all’amore rende quasi impossibile la speranza del perdono. Ma l’amore di Dio non dipende, come il povero amor nostro, dai meriti o dai demeriti delle persone, che ne sono l’oggetto. Amando la sua Bontà infinita, Iddio incontra nella stessa Bontà il motivo di amarci e ci trae gratuitamente dal precipizio del peccato, come gratuitamente ci aveva tratto dall’abisso del nulla. Le manifestazioni di Dio nella redenzione del genere umano sono tanto generose e, diremo, tanto eccessive, che il nostro cuore, commosso e vinto, sa appena ripetere: Dio solo può amare così! Dio ha un Figlio, generato da tutta la eternità fra gli splendori della gloria, immagine sostanziale e perfettissima della sua Essenza divina, e perciò oggetto di una compiacenza infinita. A questo Figlio, così grande e così amato, Dio comanda che scenda dal Paradiso, si rivesta della somiglianza dei peccatori, e, dopo una vita piena di privazioni e di sofferenze, agonizzi e muoia su di un patibolo d’infamia, e il suo sangue innocente plachi la giustizia divina, irritata dai peccati del mondo. E non sarà eccessivo questo amore di Dio, che, a fine di perdonare ai peccatori ingrati, non perdona al proprio Figlio innocente?… Compresa da alta meraviglia, la S. Chiesa esclama: « O inestimabile dilezione della carità! Per salvare lo schiavo colpevole, dannasti a morte il proprio Figlio innocentissimo! » Talché la morte di Gesù fu la vita della umanità. Infrante le catene, che ci tenevano avvinti al peccato ed alla pena, fummo pietosamente ridonati all’antica dignità di figli di Dio e riacquistammo il diritto alla eredità del Paradiso. Tuttavia l’Eterno Padre, se inviò al mondo il suo Unigenito come Vittima, lo inviò pure come Re; e appunto Re, perché Vittima. Sebbene assoluto e universale, il Regno del Figlio di Dio doveva essere tutto di pace e di dolcezza, concentrando e sintetizzando tutte le sue leggi nella grande legge dell’amore. Non si potrebbe immaginare un regno più amabile né più conforme ai sentimenti del cuore umano. Questo cuore deve necessariamente portare il giogo dell’amore, deve essere lo schiavo, anzi la vittima dell’amore. E vi potrà essere, un amore più puro, più soave, più generoso dell’amore di Gesù? Re di diritto, Gesù è Re anche di fatto? A certo, e lo constatiamo con gioia: Gesù regna sopra innumerevoli anime colla dolce potenza del suo amore. Sì, Gesù è amato; amato, non ostante la incostanza del nostro cuore e la ripugnanza delle nostre passioni; amato oggi, venti secoli dopo la sua morte; amato teneramente, generosamente, come lo amavano gli Apostoli, i Martiri, che gli dettero il supremo attestato dell’amore — l’attestato del sangue. — Il nome dei grandi conquistatori della terra, se si vuole trasmettere ai secoli futuri, deve essere scritto nelle pagine di una storia, o scolpito nella superficie di una pietra: monumenti inerti e freddi, che attestano, più che la grandezza dell’eroe, la grandezza di tutte le vanità del mondo. Solo Gesù è superiore a queste leggi, che regolano ogni cosa mortale. Il suo Nome benedetto sta scolpito in tanti monumenti vivi, quanti sono i cuori che lo amano, e la sua dolce e santa Immagine sta impressa nelle anime nostre, d’onde irraggia a tutte le potenze una luce così celeste, una forza così eroica, una consolazione così pura ed intima, che il nostro cuore, sotto il peso della sua felicità, è costretto ad esclamare con S. Paolo: « Io vivo, ma non sono io che vivo, è Gesù che vive in me » (Gal. II, 20). In questo modo, sulle sconfitte del nostro amor proprio, sulle rovine del nostro egoismo, Gesù innalza il trono del suo bello e santo amore. Eppure questo Gesù, tanto amabile e tanto amante, non è la delizia, non è l’amore di tutti i cuori umani. La maggior parte degli uomini non conosce Gesù, e perciò non lo ama, e mena vita povera e priva di ogni luce e gioia celeste, nella soddisfazione dell’amor proprio e delle passioni sregolate. – Molti conoscono Gesù, ma non lo amano, e giungono perfino a portargli odio! La ragione di quest’odio è la sua stessa bontà. Teneramente sollecito della nostra salvezza, Gesù ci comanda la repressione delle nostre tendenze disordinate, le quali ne spingono al peccato, alla morte eterna. Se molti danno ascolto alle sue voci e sono docili ai suoi voleri, molti altri invece preferiscono ai consigli pietosi di Gesù gli stolti suggerimenti dell’amor proprio, e il giogo tirannico delle passioni attestato al soavissimo peso del Signore, ripetendo, almeno colle opere, la blasfema protesta: « Non vogliamo che Gesù regni sopra di noi — Nolumus hunc regnare super nos » (Luc. XIX, 14). E non solo rigettano da sé stessi la sovranità del Redentore, ma animati da spirito satanico, gli muovono guerra spietata, e tentano ogni mezzo per cacciarlo anche dal cuore degli altri individui, e dal seno delle famiglie e delle nazioni. — specialmente delle nazioni, — pretendendo di elevare sopra le rovine del trono di Gesù — l’unico amico nostro — il trono di satana, implacabile avversario del genere umano. E si è eseguito questo piano tenebroso, cacciando Gesù dalle sale dei Comuni, dove provvedeva al bene delle città — dalle aule dei tribunali, dove ispirava la osservanza della giustizia, — dalle scuole, dove illuminava tante menti, — dagli ospedali, dove leniva tanti dolori, — e perfino dai cimiteri, dove alle ossa dei morti, dormienti in pace all’ombra della Croce, pareva ripetesse le consolanti parole: « Io sono la risurrezione e la vita! » (Giov. XI, 25). Tuttavia, è necessario che Gesù regni: oportet Christum regnare (I Cor. XV, 25) ; lo esigono i suoi diritti, lo implorano i nostri bisogni. — Sebben cieco, sedotto da ree passioni, dominato da immenso amor proprio, il cuore dell’uomo può trovare nella gravità stessa delle sue colpe il principio della sua rigenerazione, lo stimolo del suo ritorno a Gesù. Il peccato non ha fatto, né potrà far mai la felicità dell’uomo; anzi è fatale veleno, che riempie il cuore di amarezza e noiosa gli rende ogni gioia della vita. Sentendosi vuoto, deluso, oppresso sotto il peso di una tristezza immensa, l’empio può tornare a migliori sentimenti, e, mentre tutto è scuro per lui sulla terra, può ancora innalzare gli occhi al cielo e, al raggio di una luce benefica, la quale non manca mai, nemmeno agl’ingrati, intravvederà la santa Immagine di Gesù, che, tenero e compassionevole, ripete: « Venite a me; prendete sopra di voi il mio giogo, e troverete pace alle anime vostre » (Matt. XI, 25). La misericordia di Gesù, aspettando ed accogliendo il peccatore pentito, è senza dubbio immensa, ma non ha raggiunto ancora il suo limite. Non solo aspetta la umanità errante, ma la previene ancora, e in una maniera così delicata ed affettuosa. che solo l’amore di un Dio può escogitare. — Se al nostro cuore, stanco e amareggiato, si manifestasse un altro cuore, puro, santo e magnanimo, e, nel suo linguaggio misterioso, ci contasse tutto l’amore, onde da lungo tempo si è per noi dolcemente consumato, e tutte le pene, alle quali questo amore lo rese soggetto, sarebbe possibile, in tal caso, restar freddi, insensibili, ingrati? No, con certezza. Attaccato nel suo lato debole, il cuor nostro dovrebbe cedere, e cederebbe, e dimentico di ogni meschino egoismo direbbe a quel cuore: « Hai vinto, cuore generoso: sii tu il re del mio cuore! » — Ebbene, è appunto a questo spediente che ha fatto ricorso il buon Gesù. Quando il cuore dell’uomo, sedotto da un’apparenza di felicità, se ne andava più che mai ramingo da Lui, l’amore di Gesù fece l’ultimo e il più tenero sforzo per richiamarlo al seno della sua misericordia. Scoprendosi il petto sacrosanto, Gesù mostrò all’umanità intera il suo Cuore divino, infiammato di carità, ferito dalla lancia e circondato di spine, e disse quelle dolci e lamentose parole: « Ecco quel Cuore, che ha tanto amato gli uomini e che n’è così ingratamente corrisposto. È per questo Cuore che Io voglio regnare sul cuore di tutti gli uomini. Il mio Cuore regnerà! … » Santa Margherita Maria Alacoque, la quale raccolse e tramandò a noi le parole di Gesù, scriveva ad un’anima religiosa: « Abbiamo fiducia: il S. Cuore regnerà. Egli me lo ha affermato. Sì, non ostante tutte le insidie di satana e dei suoi seguaci, regnerà il divin Cuore. » E non erano forse questi i desideri di Gesù, quando esclamava: « Sono venuto a portar fuoco al mondo, e che voglio Io, se non che si accenda? » (Luc. XII, 49). Un regno del cuore, e del Cuore di Gesù! La degnazione di un Dio non potrebbe essere più delicata, né la nostra beatitudine più perfetta. – Ispirandosi a questi teneri sentimenti e giusti desideri del Redentore, il Santo Padre Leone XIII, di venerata memoria, pubblicava, il 25 Maggio 1899, la memorabile Enciclica Annum Sacrum. Riassumendo la tradizionale dottrina della Chiesa, l’augusto Pontefice proclama che Gesù è Re per diritto di nascita e per diritto di conquista, e che l’impero, che Egli esercita su tutti i popoli e su tutte le nazioni, è l’impero della verità, della giustizia, della carità, specialmente della carità, e perciò del suo Cuore. E additando al mondo questo Cuore divino, il grande Papa esclama: « Ecco un segno faustissimo e divinissimo — il Sacro Cuore di Gesù, sormontato dalla Croce e risplendente tra fiamme di celeste candore. In Esso dobbiamo collocare tutte le nostre speranze, e da Esso aspettare la salvezza e la felicità ». Vicario e rappresentante di Colui, che è il Re di tutti gli uomini e di tutte le nazioni, esortava, con efficaci parole, tutta l’umana famiglia a consacrarsi al Cuore amantissimo di Gesù. — Ricordiamo ancora la santa letizia e il tenero trasporto col quale il popolo cristiano, strettosi il giorno 11 Giugno di quell’anno, intorno all’Immagine del S. Cuore pronunziava, al cospetto del cielo e della terra, queste affettuose parole: « O Signore, siate il Re non solo dei fedeli, che non si allontanarono mai da Voi, ma anche di quei figli prodighi, che vi abbandonarono: fate che questi ritornino presto alla casa paterna, onde non muoiano di miseria e di fame. Siate il Re di coloro che vivono nell’inganno dell’errore o sono separati da Voi per discordia: richiamateli al porto della verità e alla unità della fede, affinché in breve si faccia un solo ovile e un sol Pastore. Siate finalmente il Re di tutti quelli che sono avvolti nelle superstizioni del gentilesimo, e non ricusate di trarli dalle tenebre al lume e al regno di Dio. Fate che da un capo all’altro della terra risuoni questa voce: Sia lode a quel Cuore divino, dal quale venne la nostra salute ». –  Queste considerazioni, così belle e salutari, che sono il celeste alimento delle anime cristiane, ci convincono che Gesù è Re di tutta l’umana famiglia — non solo per la forza del suo potere, — ma anche, e specialmente, per la tenerezza del suo amore, simbolizzato nel suo Cuore divino. — Ah! se fosse conosciuto e apprezzato questo impero di amore, che Gesù vuole esercitare su tutte le anime e su tutte le nazioni, un effluvio di grazia celeste si riverserebbe sulla umanità intera, e ai rimorsi, agli odii, alle guerre, si vedrebbe succedere la calma, la benevolenza, la fraternità universale! A noi, fedeli Cristiani, incombe il dovere di affrettare questo regno di amore, — a noi, che, prevenuti da speciali benedizioni, abbiamo promesso a quel Cuore divino di promuovere la sua gloria e la salvezza dei nostri fratelli.

Dalla Lettera Enciclica di Papa Pio XI
Lett. Encicl. Quas primas, del dì 11 Dicembre 1925

Avendo questo Anno santo concorso non in uno ma in più modi ad illustrare il regno di Cristo, ci sembra che faremo cosa quanto mai consentanea al nostro ufficio Apostolico, se, assecondando le preghiere di moltissimi Cardinali, Vescovi e fedeli fatte a Noi sia da soli che collettivamente, chiuderemo questo stesso Anno coll’introdurre nella sacra liturgia una festa speciale di Gesù Cristo Re. Da gran tempo si è usato comunemente di chiamare Cristo con l’appellativo di Re per il sommo grado di eccellenza, che ha in modo sovraeminente fra tutte le cose create. In tal modo infatti, si dice ch’egli regna nelle «menti degli uomini» non solo per l’altezza del suo pensiero e per la vastità della sua scienza, ma anche perché egli è Verità, ed è necessario che gli uomini attingano e ricevano con obbedienza da Lui la verità; similmente « nelle volontà degli uomini », sia perché in Lui alla santità della volontà divina risponde la perfetta integrità e sottomissione della volontà umana, sia perché colle sue ispirazioni influisce sulla libera volontà nostra, in modo da infiammarci verso le più nobili cose. Infine Cristo è riconosciuto « Re dei cuori » per quella « sua carità che sorpassa ogni comprensione umana » e per le attrattive della sua mansuetudine e benignità: nessuno infatti degli uomini fu mai tanto amato e lo sarà in seguito al pari di Gesù Cristo. Ma per entrare in argomento, tutti devono riconoscere ch’è necessario rivendicare a Cristo-uomo nel vero senso della parola il nome e i poteri di re; infatti soltanto in quanto è uomo si può dire che abbia ricevuto dal Padre la «potestà, l’onore e il regno» perché, come Verbo di Dio, essendo della stessa sostanza del Padre, non può non avere in comune col Padre ciò ch’è proprio della divinità; e per conseguenza Egli su tutte le cose create ha il sommo e assolutissimo impero. Ben a proposito Cirillo Alessandrino, a mostrare il fondamento di questa dignità e di questo potere, avverte che: « Egli, per dirla in una parola, ha il dominio su tutte le cose create, non estorto con violenza né venutogli da altri, ma per la sua stessa essenza e natura »; cioè il principato di Cristo si fonda su quella unione mirabile, ch’è chiamata unione ipostatica. Dal che segue, che Cristo non solo deve essere adorato come Dio dagli Angeli e dagli uomini, ma che anche a Lui come Uomo debbono e gli Angeli e gli uomini essere soggetti ed obbedire: cioè che pel solo fatto dell’unione ipostatica Cristo ebbe potestà su tutte le creature. Volendo ora esprimere la natura e il valore di questo principato, accenniamo brevemente ch’esso consta di una triplice potestà, la quale se venisse a mancare, già non si avrebbe più il concetto d’un vero e proprio principato. Le testimonianze attinte dalle sacre Lettere circa l’impero universale del nostro Redentore provano più che a sufficienza quanto abbiamo detto, ed è dogma di fede, che Gesù Cristo è stato dato agli uomini quale Redentore in cui debbono riporre la loro fiducia, ed allo stesso tempo come legislatore a cui debbano ubbidire. I santi Vangeli non soltanto ci narrano che Gesù abbia promulgato delle leggi, ma ce lo presentano altresì nell’atto stesso di legiferare: e il divino Maestro afferma in varie circostanze e con diverse espressioni, che chiunque osserverà i suoi comandamenti, darà prova di amarlo e rimarrà nella sua carità. Lo stesso Gesù davanti ai Giudei che l’accusavano di aver violato il Sabato coll’aver ridonata la sanità al paralitico, afferma che a Lui fu dal Padre attribuita la potestà giudiziaria: « Ché il Padre non giudica alcuno, ma ha rimesso ogni giustizia al Figlio » Joann. 5, 21. Nel che è compreso anche il diritto di premiare e punire gli uomini anche durante la loro vita (perché ciò non può disgiungersi da una certa forma di giudizio). Inoltre la potestà esecutiva devesi parimenti attribuire a Gesù Cristo, poiché è necessario che tutti obbediscano al suo comando, e nessuno può sfuggire ad esso e ai supplizi da Lui stabiliti. Che poi questo regno sia principalmente spirituale e attinente alle cose spirituali, ce lo mostrano i passi della sacra Bibbia sopra riferiti, e ce lo conferma Gesù Cristo stesso col suo modo di agire. In varie occasioni, infatti, quando i Giudei e gli stessi Apostoli credevano per errore che il Messia avrebbe reso la libertà al popolo, ed avrebbe ripristinato il regno d’Israele, egli cercò di togliere loro dal capo questa vana attesa e questa speranza; e così pure quando stava per essere proclamato re dalla moltitudine che, presa di ammirazione, lo attorniava, egli declinò questo titolo e questo onore ritirandosi e nascondendosi nella solitudine; finalmente davanti al Preside romano annunciò che il suo regno « non è di questo mondo » Joann. XVIII, 36. Questo regno nei Vangeli viene presentato in tal modo, che gli uomini debbono prepararsi ad entrarvi per mezzo della penitenza, e non possano entrarvi se non per la fede e per il battesimo, il quale sacramento, benché sia un rito esterno, significa però e produce la rigenerazione interiore; questo regno è opposto unicamente al regno di satana e alla potestà delle tenebre, e richiede dai suoi sudditi non solo l’animo distaccato dalle ricchezze e dalle cose terrene, la mitezza dei costumi e la fame e sete di giustizia, ma anche che essi rinneghino se stessi e prendano la loro croce. Avendo Cristo come Redentore costituita col suo sangue la Chiesa, e come Sacerdote offrendo se stesso in perpetuo quale ostia di propiziazione per i peccati degli uomini, chi non vede che la regale dignità di Lui rivesta il carattere spirituale dell’uno e dell’altro ufficio? D’altra parte gravemente errerebbe, chi togliesse a Cristo-uomo il potere su tutte le cose temporali, dato ch’Egli ha ricevuto dal Padre un diritto assoluto su tutte le cose create, in modo che tutto soggiaccia al suo arbitrio. Pertanto, colla nostra apostolica autorità istituiamo la festa di Nostro Signor Gesù Cristo Re, stabilendo che sia celebrata in tutte le parti della terra l’ultima Domenica dì Ottobre, cioè la Domenica precedente la festa di Tutti i Santi. Similmente ordiniamo che in questo medesimo giorno, ogni anno, si rinnovi la consacrazione di tutto il genere umano al Cuore Santissimo di Gesù.

IL CREDO

Offertorium

Orémus
Ps II: 8.
Póstula a me, et dabo tibi gentes hereditátem tuam, et possessiónem tuam términos terræ.

[Chiedi a me ed Io ti darò in eredità le nazioni e in dominio i confini della terra]

Secreta

Hóstiam tibi, Dómine, humánæ reconciliatiónis offérimus: præsta, quǽsumus; ut, quem sacrifíciis præséntibus immolámus, ipse cunctis géntibus unitátis et pacis dona concédat, Jesus Christus Fílius tuus, Dóminus noster:Qui tecum …

[Ti offriamo, o Signore, la vittima dell’umana riconciliazione; fa’, Te ne preghiamo, che Colui che immoliamo in questo Sacrificio, conceda a tutti i popoli i doni dell’unità e della pace: Gesù Cristo Figliuolo, nostro Signore, Egli …]

Præfatio
de D.N. Jesu Christi Rege

Vere dignum et justum est, æquum et salutáre, nos tibi semper et ubíque grátias ágere: Dómine sancte, Pater omnípotens, ætérne Deus: Qui unigénitum Fílium tuum, Dóminum nostrum Jesum Christum, Sacerdótem ætérnum et universórum Regem, óleo exsultatiónis unxísti: ut, seípsum in ara crucis hóstiam immaculátam et pacíficam ófferens, redemptiónis humánæ sacraménta perágeret: et suo subjéctis império ómnibus creatúris, ætérnum et universále regnum, imménsæ tuæ tráderet Majestáti. Regnum veritátis et vitæ: regnum sanctitátis et grátiæ: regnum justítiæ, amóris et pacis. Et ídeo cum Angelis et Archángelis, cum Thronis et Dominatiónibus cumque omni milítia coeléstis exércitus hymnum glóriæ tuæ cánimus, sine fine dicéntes:

[È veramente degno e giusto, conveniente e salutare, che noi, sempre e in ogni luogo, Ti rendiamo grazie, o Signore Santo, Padre Onnipotente, Eterno Iddio: Che il tuo Figlio unigenito, Gesú Cristo nostro Signore, hai consacrato con l’olio dell’esultanza: Sacerdote eterno e Re dell’universo: affinché, offrendosi egli stesso sull’altare della croce, vittima immacolata e pacifica, compisse il mistero dell’umana redenzione; e, assoggettate al suo dominio tutte le creature, consegnasse all’immensa tua Maestà un Regno eterno e universale, regno di verità e di vita, regno di santità e di grazia, regno di giustizia, di amore e di pace. E perciò con gli Angeli e gli Arcangeli, con i Troni e le Dominazioni, e con tutta la milizia dell’esercito celeste, cantiamo l’inno della tua gloria, dicendo senza fine:]

Sanctus, Sanctus, Sanctus Dóminus, Deus Sábaoth. Pleni sunt coeli et terra glória tua. Hosánna in excélsis. Benedíctus, qui venit in nómine Dómini. Hosánna in excélsis.

Preparatio Communionis

Orémus: Præcéptis salutáribus móniti, et divína institutióne formáti audémus dícere:

Pater noster,

qui es in cælis. Sanctificétur nomen tuum. Advéniat regnum tuum. Fiat volúntas tua, sicut in cælo et in terra. Panem nostrum quotidiánum da nobis hódie. Et dimítte nobis débita nostra, sicut et nos dimíttimus debitóribus nostris. Et ne nos indúcas in tentatiónem:
R. Sed líbera nos a malo.
S. Amen.

Agnus Dei

Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: dona nobis pacem.

Panem cæléstem accípiam, et nomen Dómini invocábo.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Ps XXVIII:10;11
Sedébit Dóminus Rex in ætérnum: Dóminus benedícet pópulo suo in pace.

[Sarà assiso il Signore, Re in eterno; il Signore benedirà il suo popolo con la pace]

Postcommunio

Orémus.
Immortalitátis alimóniam consecúti, quǽsumus, Dómine: ut, qui sub Christi Regis vexíllis militáre gloriámur, cum ipso, in cœlésti sede, júgiter regnáre póssimus: Qui

[Ricevuto questo cibo di immortalità, Ti preghiamo o Signore, che quanti ci gloriamo di militare sotto il vessillo di Cristo Re, possiamo in cielo regnare per sempre con Lui: Egli che …]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (2)

ORDINARIO DELLA MESSA

LO SCUDO DELLA FEDE (275)

LO SCUDO DELLA FEDE (275)

P. Secondo FRANCO, D.C.D.G.,

Risposte popolari alle OBIEZIONI PIU’ COMUNI contro la RELIGIONE (18)

4° Ediz., ROMA coi tipi della CIVILTA’ CATTOLICA, 1864.

CAPO XVIII

PROFEZIE

I. Le profezie sono oscure; II. Mai non si può aver certezza di esse. III. Un uomo si adattò a certe vaghe tradizioni e si spacciò come Dio.

Dopo i miracoli, le profezie sono, secondo affermazione di Gesù Cristo, un testimonio splendidissimo della verità cristiana. Ed il divin Salvatore che diceva che le opere che Ei faceva, cioè i miracoli, rendevano a Lui testimonianza, affermava pure che tutte le Scritture parlavano di Lui e lo annunziavano. Il perché la santa Chiesa fece sempre grandissimo conto di esse, e se ne valse i tutti tempi, sia presso i popoli gentileschi, cui annunziava la fede la prima volta, sia presso i fedeli che già l’avevano abbracciata, per confermarli viepiù in essa. Ma che? Anche queste dovevano essere dalla incredulità recate in dubbio. Ed in qual modo? Eccolo.

.I. Le profezie, dicono in primo luogo, sono piene di oscurità: come dunque venire in cognizione di cose oscure, per mezzo di ragioni anche più oscure? Per rispondere a questa difficoltà, chiediamo in primo luogo, sono esse oscure prima che si avverino, oppure se anche quando sono avverate? Se almeno dopo il loro compimento non fossero chiare, fossero manifeste, sicché al tutto non si potessero negare, non basterebbero a rendere piena testimonianza alla verità? Certo sì: allora si vedrebbe che quelle parole, che per un qualche tempo tenevano le menti incerte, avevano un chiaro significato, e riscontrandole coll’evento, sarebbero l’espressione di una verità: questa verità poi, dall’essere stata con profezia autenticata, riceverebbe tutta la sua forza. Così, a cagione di esempio, vien detto al serpente, dopo la caduta dei nostri primi padri, che la stirpe della donna gli schiaccerà il capo: similmente ad Abramo, ad Isacco, a Giacobbe, che nella loro stirpe, saran benedette tutte le genti. Ora poniamo che fino al Messia non si veda ancora chiarissimo, né chi sia quegli che debbe operare sì grandi fatti, né in qual modo debbano essere operati; tuttavia, dopoché Gesù Cristo figliuolo di Maria e discendente della stirpe di Abramo, d’lsacco, di Giacobbe è comparso al mondo ed è diventato fonte d’ogni benedizione, quelle profezie divengono chiarissime ed innegabili. Quanti detti arcani, misteriosi, non si ripetono tutto giorno di filosofi, di poeti, di oratori, i quali, al primo udirli, non s’intendono; ma poi, appressati ad un fatto, da tutti si comprendono, sicché più niuno dubita del loro significato! Ora se anche fossero misteriose le profezie in questo modo, non proverebbero ugualmente che è divino quello spirito che le ha dettate, poiché ha potuto per mezzo di esse indicare fatti lontani fuori di ogni umana cognizione? Ma la verità è poi che se vi sono alcune profezie di questa fatta, che cioè si schiariscono solo col metterle a confronto dei fatti, ve ne ha poi moltissime che sono sì chiare, che non possono non intendersi da chiunque le prenda a leggere: però il dire universalmente che le profezie sono oscure è fuori d’ogni verità. Il patriarca Giacobbe, per esempio, afferma che non uscirà la dominazione temporale dalla tribù di Giuda, prima che venga quello che dev’essere mandato. Mosè dice chiaro ai Giudei che Iddio loro susciterà un profeta simile a lui, e che se non l’ascolteranno, Iddio ne sarà vindice. Nel salmo 109 David parla chiaramente di un sacerdote secondo l’ordine di Melchisedecco. Il salmo 21 descrive a lungo tutte le pene del divino Salvatore, con tutte le più minute circostanze di esse. Lo stesso si ripete nel cap. 53 d’Isaia e con tanta esattezza che sembrano piuttosto due Evangelisti che scrivano dopo il fatto, che non due profeti che annunzino avvenimenti, che tarderanno tanti secoli ad avverarsi. Similmente qual cosa più chiara della profezia di Michea, che determina Betlem qual luogo della nascita del Messia? Qual Profezia più manifesta che quella di Daniele, il quale definisce 490 anni prima il momento della sua morte? Come poteva dirsi più chiaramente l’indole mansueta, le virtù, i prodigi d’ogni sorta che avrebbe fatti Gesù, di quello che lo scrivesse Isaia? La venuta nel tempio, che allora si stava solo fabbricando, fu scritta da Aggeo; la sostituzione del sacrifizio dei nostri altari alle antiche oblazioni, da Malachia; la risurrezione di Gesù Cristo, da David; le glorie della santa Chiesa, da Isaia; e ciò per tacere d’innumerevoli altre profezie chiare, solenni, autentiche, riconosciute come appartenenti al divin Redentore perfino dai Giudei. Né niun dica che se fossero state sì chiare, i Giudei le avrebbero riconosciute: perocché anzi se i Giudei le avessero riconosciute, già più non sarebbero vere le profezie. Imperocché quelle medesime profezie che annunciavano Gesù e la sua vita e le sue opere divine, annunziavano pure che il suo popolo non l’avrebbe riconosciuto, che per pena di ciò ne sarebbe stato ripudiato e disperso per tutta la terra, senza tempio, senza altare, senza sacerdote, senza sacrifizio: che in sua vece sarebbe subentrato il popolo gentile; che questo avrebbe riconosciuto Gesù, e che fra le genti sarebbe stato grande il nome di Dio, che esse avrebbero avuto l’oblazione monda, e che sarebbero state il popolo del Signore. – Le quali profezie tutte noi vediamo con alto nostro stupore pienamente e chiaramente verificate. Non può dunque in niun modo rifiutarsi la validità della prova che si trae dalle profezie in favore del Cristianesimo sotto il pretesto dell’oscurità.

II. Altri invece dicono che, qualunque cosa si tenga delle profezie, mai non si potrà avere certezze intorno ad esse. Imperocché onde faccia prova una profezia, si richiedono tre cose: che io sia testimone della profezia; che io sia testimone dell’avveramento di essa; che mi sia dimostrato che non per caso l’effetto si accordò col predicimento. Ora come posso io mai esser certo di tutto ciò, e senza questa certezza come posso fidarmi di una profezia? Questa difficoltà che viene ripetuta da vani increduli, quasi fosse senza replica, ha poi veramente qualche forza? Non è altro che una triplice falsità e gravissima chi ben la consideri. Perché io sia certo di una profezia, dicono in primo luogo, si chiede che io sia testimonio di essa: e questo è al tutto falso. Imperocché non accade menomamente che io l’abbia intesa coi miei orecchi, basta che mi sia testificata con prove al tutto certe che essa fu fatta. Ora nel caso nostro le profezie che riguardavano il Redentore, erano confermate da tutto il popolo giudeo diffuso e sparso per molte nazioni, erano scritte in molti libri, erano tradotte in molte lingue diverse, erano conosciute fino dai Gentili, e ciò molti secoli prima che il Redentore apparisse al mondo. Quindi, senza averle udite di proprio orecchio, io sono più sicuro che esse esistevano, che se le avessi udite. – Che io sia testimonio del loro compimento: e questa è una solennissima falsità. lmperocché il compimento di essa è un fatto, ed i fatti mi possono constare per mille prove al tutto indubitate, senza che io li abbia veduti cogli occhi miei, se già non vogliamo negare tutti i fatti della storia antica e moderna, ai quali noi non siamo intervenuti colla presenza. Nel caso poi speciale dei fatti che riguardano il divino Redentore, non solo noi abbiamo le storie sacre e le profane, diciotto secoli di testimonianze, ed ogni sorta di monumenti che ci fan fede di quanto gli appartiene; ma fino ai dì nostri rimangono in piedi le prove parlanti che Egli fu sulla terra, che operò, che fondò una Chiesa, che le diede leggi, che istituì riti, che stabilì una religione con sacrifizi, sacramenti e pratiche speciali di divin culto. Il perché non vi ha nessun bisogno di aver veduto cogli occhi proprio quello, di che rimangono prove così patenti: come non vi ha bisogno per credere che esista l’America, di averla veduta cogli occhi propri, in faccia a tante testimonianze che noi possediamo della sua esistenza. È falso finalmente che non si possa conoscere se l’avveramento di esse sia opera del caso; oppure di una sapienza provvida che l’abbia disposto. Imperocché si conosce invece benissimo che il caso non può operare con senno, e combinare insieme tante profezie così disparate, quali sono quelle che riguardano il Redentore con tutte le circostanze del suo tempo, della sua venuta, della sua nascita, della sua infanzia e gioventù, dei miracoli, della vita, morte e risurrezione, della fondazione della Chiesa, e somigliante. – Un caso che operasse con tanto senno, sarebbe infinitamente più meraviglioso che non qualunque profezia per quanto straordinaria. Inoltre, tanto è impossibile che il caso abbia verificate le profezie, quanto molte di queste profezie non si potevano verificare se non per una virtù al tutto superiore alla naturale, cioè miracolosa, ed i miracoli sono opera dell’onnipotenza divina. Il profetizzare eventi che non possono aver luogo senza miracolo, è lo stesso che dire, ché Iddio concorrerà a suo tempo con la sua onnipotenza a sostenere quello che il profeta prenunzia, cioè che l’opera dell’uomo si congiungerà con quella di Dio; e se la profezia fosse una pura invenzione umana, che Dio a suo tempo, per darle credito, si farà complice dell’umana perversità. Eppure è indubitato che le profezie, di cui parliamo, contengano il predicimento di molti eventi miracolosi, quali sono che Gesù sia per nascere di Madre Vergine, che sia per dare la vista ai ciechi, la favella ai intitoli, la dirittura agli storpi, agli infermi la sanità, che abbia da risorgere da morte a vita per virtù propria, che abbia a salire in cielo, ed andate dicendo. In tutti questi eventi il caso non poteva avere luogo, né la natura, poiché sono opere che superano la forza dell’uno e dell’altro: ed appare limpido che come Dio solo poteva sapere quello che avrebbe fatto liberamente; così Dio solo poteva ispirare ai profeti tanto tempo prima quello che avrebbe fatto. Resta dunque che la difficoltà, proposta con tanta sicumera, non sia altro che un sofisma da illudere le menti più grossolane.

III. Finalmente, ripiglian altri, un uomo della Galilea avendo osservato che il popolo giudaico, secondo certe tradizioni popolari, aspettava un liberatore, egli stesso si presentò qual desso, e adempiendo in sè alcune di quelle condizioni, che, secondo quelle menti rozze, dovevano accompagnare il sospirato liberatore, ottenne credito ed ingannò un popolo sempre vago di scuotere il giogo della straniera dominazione. Ecco tutta la forza dell’argomento tratto dalle profezie in favore del Cristianesimo. Così essi. Per verità ci voleva tutta la empietà del secolo passato ad apportare siffatta spiegazione, e tutta la leggerezza del presente per accettarla. – Vi erano certe tradizioni popolari che promettevano un futuro liberatore. Ma e dunque chi aveva formate queste tradizioni? Come si era destata una tale espettazione? E come aveva preso piede sì ampiamente che tutta la Giudea ne era piena? Come si era sparsa fra Gentili per modo che gli storici greci e romani la conoscessero? Come la cantavano i poeti sotto di Augusto, in Roma stessa, applicandola per adulazione ora all’uno ed ora all’altro dei Cesari? Un effetto così universale, così solenne. non dovette avere qualche fondamento? Sarebbe strano se dicessimo che vi erano veramente delle profezie? Ma come poi negarle, se il popolo giudeo aveva dei libri, nei quali era descritta profeticamente tutta la vita del futuro liberatore, e se questi libri erano noti a’ Gentili e trasportati già in lingua greca qualche centinaio d’anni prima che il liberatore comparisse? Come negare, io torno a chiedere, che vi fossero profezie? Gesù Cristo le applicò a sé senza che le appartenessero, dicono. È meraviglioso questo trovato. Se le applicò a sé, dunque vi erano; se vi erano, ad alcuno dovevano appartenere, e finora non si sa che nessuno, da Lui in fuori, le abbia in sé stesso verificate. Ma poi tanto è impossibile che altri le applicasse a sé per frode, quanto è impossibile che gli uomini abbiano azione prima di esistere. In queste profezie abbiamo appuntato il popolo, la tribù, la famiglia da cui sarebbe nato, la patria e la madre che avrebbe avuto, la fuga che fanciullo avrebbe dovuto fare in Egitto, il modo onde lo avrebbero perseguitato; la morte che avrebbe sostenuta, la sua risurrezione, la fondazione della sua Chiesa colle lotte e colle vittorie di lei. Or di grazia, come poteva un uomo far verificare di sé tutte quelle circostanze, che evidentemente non dipendevano dalla sua volontà? Come piegare e trarre tutte le volontà a cospirare colla sua? Era vaticinato che sarebbe nato in Betlemme dalla famiglia di David, morto nella settimana determinata da Daniele, nel termine del regno di Giuda annunziato da Giacobbe: come, dunque, prima di nascere ha potuto un uomo ordinare sì fattamente le predizioni a sé, o sé alle predizioni, sì che coincidessero per l’appunto? Come ha fatto ancor fanciulletto a combinare la persecuzione di Erode per dover fuggire in Egitto, secondo la profezia? Come ispirare ai suoi nemici il consiglio di dargli morte e dargliela di croce, colle circostanze tutte degl’insulti, del fiele, del dividersi le sue vesti e trarle a sorte, siccome esigevano le profezie? Abbiamo la vita di Gesù scritta nei profeti tanti secoli prima e con tanta minutezza, che sembra più una storia, narrata dopo il fatto, che un predicimento dell’avvenire; l’abbiamo sì autentica, che non la possono negare i Giudei medesimi, sfidati nemici di Gesù Cristo, e potè tuttavia Gesù Cristo fingere e mostrare in sé verificate quelle circostanze che non erano in sua mano, perché dipendevano dalla libera volontà di uomini svariatissimi nel pensare e negli interessi? – Per fermo non potrà negare di avere una fede molto robusta chi si sente la forza d’ammettere tali assurdi: noi Cattolici, per quanto siamo tacciati di troppa credulità, noi non sentiamo la forza di crederli. – Meno strani riuscivano gl’idolatri, i quali, al sentirsi recitare le antiche profezie, ed al vedersele mostrate così per l’appunto verificate nella persona di Gesù Cristo, dicevano che noi le avevamo inventate dopo il fatto; poiché rispondevano troppo esattamente all’evento: ma noi, che non possiamo dubitare dell’anteriorità di esse per la testimonianza che ce ne fanno i Giudei sfidati nemici di Gesù, per la testimonianza dei filosofi gentili, i quali già prima della morte di Gesù le conoscevano; noi, non potendo ricorrere allo spediente di negarle, non possiamo, finché vogliamo operare ragionevolmente, disconoscerne l’autorità. Che se le profezie sono di quel peso che ognun vede, quanto è dunque sicura quella fede che ne può vantare tante e così solenni in suo favore!

IL CATECHISMO DI F. SPIRAGO (XXV)

IL CATECHISMO DI F. SPIRAGO (XXV)

CATECHISMO POPOLARE O CATTOLICO SCRITTO SECONDO LE REGOLE DELLA PEDAGOGIA PER LE ESIGENZE DELL’ETÀ MODERNA

DI

FRANCESCO SPIRAGO

Professore presso il Seminario Imperiale e Reale di Praga.

Trad. fatta sulla quinta edizione tedesca da Don. Pio FRANCH Sacerdote trentino.

Trento, Tip. Del Comitato diocesano.

N. H. Trento, 24 ott. 1909, B. Bazzoli, cens. Eccl.

Imprimatur Trento 22 ott. 1909, Fr. Oberauzer Vic. G.le.

SECONDA PARTE DEL CATECHISMO:

MORALE (6).

II° COMANDAMENTO DI DIO.

“Non nominare il nome di Dio invano”, cioè non lo nominerete senza rispetto. Per Nome di Dio non intendiamo tanto le lettere e le sillabe di cui è composto il nome, quanto piuttosto la maestà di Dio (Cat. rom.).

CON IL 2° COMANDAMENTO DIO CI ORDINA DI TRIBUTARE ALLA SUA SUPREMA MAESTÀ L’ONORE CHE GLI È DOVUTO, E PROIBISCE TUTTO CIÒ CHE OFFENDE QUESTO RISPETTO.

Noi dobbiamo rispetto al buon Dio, perché Egli è un padrone di infinita maestà e bontà.

Il rispetto è un misto di timore, amore e stima. Quando un sovrano ha diversi milioni di sudditi, e centinaia di migliaia di soldati che può mobilitare a volontà, che può rendere felici o infelici con una parola, ispira paura. Se è molto buono e impegnato a rendere felici i suoi sudditi, sarà amato e stimato. Lo stesso vale per Dio, se consideriamo le sue infinite perfezioni e la sua immensa bontà nei nostri confronti (Galura). – Le infinite perfezioni di Dio! Sulla terra ci sono un miliardo e mezzo di esseri umani: Dio li conosce tutti, li nutre, li governa, risponde alle loro preghiere, li aiuta nelle loro necessità, li premia o li punisce, spesso anche qui sulla terra. Quale conoscenza possiede questo Essere Supremo! Nella spazio immenso si muovono milioni di astri: Dio li ha creati tutti, li conserva e li dirige. Quale potere! Senza contare il mondo invisibile! Vi sono milioni di spiriti, e Dio li conosce tutti, li conserva, li governa, ne riceve l’adorazione. Quale maestà! “Chi tra i forti – cantava Mosè – è come te, Signore? Chi è come te, che sei tutto glorioso nella santità, impressionante e degno di lode, e che fai meraviglie?”. (Esodo XV, 11). Temiamo Dio per la sua infinita maestà e lo amiamo per la sua immensa bontà: questi due sentimenti costituiscono il rispetto.

1. DOBBIAMO MOSTRARE IL NOSTRO RISPETTO PER DIO:

Invocando spesso il Nome santo di Dio con devozione e affetto, soprattutto all’inizio di ogni azione, nelle nostre necessità e in punto di morte.

La Chiesa vuole che invochiamo spesso il santo Nome di Dio, perché per ogni invocazione dei nomi di Gesù e Maria, ci concede 25 giorni di indulgenza, e a coloro che hanno praticato questa devozione per tutta la vita, un’indulgenza plenaria in articolo mortis (Clem. XIII, 5 sett. 1759). Anche Newton, che aveva riconosciuto la maestà di Dio nello studio degli astri, aveva un grande rispetto per il santo Nome di Dio e si inchinava ogni volta che lo sentiva. Molti dei fedeli hanno la lodevole abitudine di inchinarsi ogni volta che il nome di Gesù venga pronunciato, proprio come fa il Sacerdote negli uffici. S. Ignazio di Antiochia aveva invocato il Nome di Gesù migliaia di volte durante la sua vita, e prima della sua morte ripeteva: “Questo Nome non può scomparire dalle mie labbra, non può essere cancellato dal mio cuore. “I due leoni che lo divorarono nell’anfiteatro lasciarono intatto il suo cuore. ‘ Nelle epistole di san Paolo, il Nome di Gesù si trova quasi 250 volte, e la Litania del Santo Nome di Gesù è una continua invocazione di quel santo Nome. – Dobbiamo invocare il santo Nome di Dio all’inizio di ogni azione, soprattutto al mattino. “Qualunque cosa facciate, in parole o in opere, fatelo nel Nome del Signore Gesù” (Col. III, 17). Diciamo dunque all’inizio della benché minima azione: nel Nome di Dio, o nel Nome di Gesù, oppure facciamo il segno della croce con la formula che abbiamo ricevuto. Così facendo, attireremo la benedizione di Dio, ossia il successo delle nostre imprese, e otterremo per il più piccolo atto la ricompensa eterna che il Salvatore promette a chi dà solo un bicchiere d’acqua al suo prossimo nel suo nome (S. Marco IX, 40).

Dobbiamo anche invocare il santo Nome di Dio nei momenti di bisogno. “Invocatemi – dice il Signore

nella tribolazione – Io vi salverò e voi mi glorificherete” (Sal. XLIX, 15). È al grido di Gesù! Maria! che i difensori di Vienna (1688) si precipitarono sui Turchi e li costrinsero a togliere l’assedio. – È soprattutto in punto di morte che dobbiamo invocare il Nome di Gesù, come Santo Stefano che gridò: “Gesù, accogli la mia anima!” (Atti Ap. VII, 58). Lo stesso Salvatore, spirando, disse: “Padre, nelle tue mani affido l’anima mia”. L’invocazione del Nome santo di Gesù è, inoltre, indispensabile per lucrare l’indulgenza della buona morte. – Dobbiamo invocare il Nome di Gesù, perché è il nome più potente, attraverso il quale otteniamo tutto. Chi prega in questo Nome, sarà esaudito (S. Giovanni XVI, 23). È in questo nome che hanno operato gli Apostoli e i Santi: i miracoli che facevano, come disse San Pietro in occasione della guarigione del paralitico: “Nel Nome di Gesù, alzati e cammina” (Act. Ap. III); che i fedeli hanno il potere di scacciare i demoni. (S. Marco XVI, 17). Quando invochiamo il suo Nome, Gesù Cristo ci aiuta a combattere contro satana; i demoni fuggono e tremano appena lo sentono. (S. Giust., S. Gr. Naz.). Questo Nome ha un tale potere contro l’inferno che spesso è efficace anche sulle labbra dei peccatori. (Orig.); ha il potere speciale di rallegrare il cuore (S. Lor. Giust.); come l’olio (Cantico dei Cant. I, 2) illumina, nutre, allevia i dolori (S. Bern.); è un riparo contro tutti i pericoli sia spirituali che corporali o temporali. (S. Vinc. F.). “Io sostengo”, diceva questo santo, “che l’invocazione di questo Nome guarisce anche le malattie corporali”. Tutte le grazie si uniscono nel Nome di Gesù, come i raggi focalizzati da uno specchio. Non c’è altro nome in cielo per il quale siamo salvati”. (Act. Ap. IV, 12); “a questo nome ogni ginocchio si deve inchinare in cielo, in terra e negli inferi”, (Fil. II, 10). Tutti gli uomini dovrebbero dire, come San Bernardo: “Questo Nome è miele in bocca, armonia per l’orecchio, delizia per il cuore”. – La devota invocazione di questo santo Nome è poco compatibile con il peccato mortale, perché nessuno può dire: “Signore Gesù, se non lo S. Spirito Santo” (I. Cor. XII,3), cioè senza essere in stato di grazia.

2° MOSTRANDO UN’ALTA STIMA PER OGNI COSA CHE SERVA PER IL CULTO DI DIO, SPECIALMENTE PER I SUOI MINISTRI, LE COSE E I LUOGHI SACRI, LE CERIMONIE DEL CULTO.

Dobbiamo mostrare grande stima per i ministri di Dio. Rodolfo d’Asburgo ne diede un bell’esempio: mentre andava a caccia incontrò un sSacerdote che portava il viatico a un malato; smontò immediatamente e offrì il suo cavallo al Sacerdote. Il sacerdote glielo riportò, ma lui non volle accettarlo e glielo diede. In cambio, il Ssacerdote gli predisse che avrebbe ricevuto grandi onori e felicità. 9 anni dopo (1272) fu eletto imperatore a Francoforte – Anche il pagano Alessandro Magno può servire da esempio. Il sacerdote dei Giudei era andato ad incontrarlo vestito con i suoi paramenti ed alla testa dell’intero corpo sacerdotale, il re si prostr davanti a lui. Quando gli fu chiesto perché rispose: “Non ho adorato il pontefice, ma il Dio di cui è lui il sacerdote. Dio esige questo rispetto: “Chi disprezza voi, disse Gesù, disprezza me”..(S. Luca X, 16) e l’Antico Testamento conteneva già questo ordine. “Guardatevi dal toccare i miei unti”. (1 Par, XVI, 22). Non sapete. – dice San Giovanni Crisostomo – che gli onori tributati ai Sacerdoti vanno fino a Dio”? 2 – Dio comanda anche il rispetto delle cose e dei luoghi sacri. Al roveto ardente disse a Mosè: “Non ti avvicinare; togliti i calzari, perché la terra su cui stai è sacra”. (Esodo III, 5). “Tremate davanti al mio santuario”, dice ancora (Levit. XXVI, 2); perciò era severamente vietato toccare l’Arca dell’Alleanza. (Numeri IV, 15). Non. Entrare nel mio santuario se non come nel cielo stesso, e non fare o dire mai nulla di terreno lì. (S. Nil.). La santità, Signore, deve essere l’ornamento della tua casa (Sal. XII, 5). Siamo anche tenuti a rispettare le cerimonie religiose. Santa Elisabetta d’Ungheria.portava a Messa la sua corona e non portava mai con sé alcun gioiello. In molte diocesi i fedeli rimangono sempre in ginocchio. È per rispetto al il Vangelo che lo ascoltiamo in piedi, e va da sé che la ricezione dei Sacramenti richiede il più profondo rispetto.

3. DOBBIAMO LODARE SPESSO DIO PER LE SUE INFINITE PERFEZIONI E BONTÀ, SOPRATTUTTO DOPO AVER RICEVUTO DEI BENEFICI DA LUI.

Il cantico dei tre giovani nella fornace (Dan. III) è un cantico di gratitudine, e Tobia (XI, 17) lodò Dio non appena gli si aprirono gli occhi. Zaccaria intonò il Benedictus dopo la sua guarigione, e Maria il Magnificat dopo il saluto di Elisabetta (S. Luca I). Dobbiamo quindi prendere l’abitudine di dire le belle preghiere eiaculatorie: Dio sia lodato! (Deo gratias), Gloria al Padre, ecc..

Sia lodato Gesù Cristo! E se la malattia ci rende difficile parlare, lodiamo Dio dal profondo del cuore; perché Dio, che non è corporeo, non ha bisogno del suono della voce e si contenta della nodtra volontà (S. Aug.). L’anima mia benedica il Signore e tutto ciò che è in me benedica il suo santo Nom (Sal. CII, 1). “Benedirò il Signore in ogni momento; la sua lode sarà sempre nella mia bocca” (id. XXXIII, 1). Il Nome del Signore è degno di lode dal sorgere del sole fino al tramonto (id. CXII, 3). La lode di Dio è nel nostro interesse, perché così facendo attiriamo su di noi più abbondanti benedizioni divine.

II. IL RISPETTO PER DIO PROIBISCE:

I. LA PRONUNCIA INUTILE DEL NOME DI DIO E DI ALTRI NOMI SACRI.

Molte persone hanno l’abitudine di dire: “Mio Dio! Gesù, Maria, Giuseppe ecc. Se ce l’abbiamo, dobbiamo assolutamente eliminare questo disordine e far sì che i nostri vicini ne siano consapevoli. “Quando amerete Dio, vostro Signore, con tutto il vostro cuore e vedete il suo santo Nome profanato nel modo più rivoltante, è impossibile sopportare senza indignarsi”. (S. Bern.). La pronuncia non necessaria del Nome santo di Dio o di altri nomi sacri è almeno un peccato veniale. “Non non prendere sempre in bocca il nome di Dio, altrimenti non sarai senza peccato”. (Eccli. XXIII, 10). Il Signore non riterrà innocente colui che avrà pronunciato invano il nome del Signore suo Dio. (Esodo XX, 7). Abbiamo cura dei nostri abiti di festa per non usurarli troppo in fretta; quanta cura bisogna avere per non abusare del Nome di Dio, degno del nostro massimo rispetto. (S. G. Cr.). Per un eccesso di rispetto superstizioso, i Giudei avevano persino soppresso l’uso del Nome di Dio Jéhovah e usavano solo la parola Signore, Adonaï. (Cat rom.).

2. LE IMPRECAZIONI, CIOÈ AUGURARE IL MALE IN PREDA ALL’IRA, USANDO NOMI SACRI.

I genitori irreligiosi maledicono i loro figli in questo modo; gli operai, il loro lavoro o o i loro attrezzi, pronunciando nomi sacri. Le maledizioni senza l’uso di di nomi religiosi sono gravi peccati contro la carità, ma non sono contrarie al il 2° comandamento “La bocca dei Cristiani non deve fare altro che benedire, dice San Pietro”. (I. Cp. III, 9). Come possiamo ricevere il corpo di Cristo con la stessa lingua che abusiamo per maledire e offendere Dio? – Spesso Dio punisce coloro che bestemmiano permettendo che l’imprecazione si realizzi. – S. Agostino racconta di una madre che maledisse i figli che l’avevano battuta. Essi furono colpiti da violente convulsioni, finché non cominciarono a vagare di regione in regione fino a quando, finalmente, arrivarono a Ippona, la città episcopale di S. Agostino, e furono guariti grazie alle reliquie di Santo Stefano. – S. Ignazio di Loyola chiese una volta l’elemosina ad un signore spagnolo. Il signore si arrabbiò e cominciò a proferire imprecazioni: “Che io possa bruciare il mio corpo se non meriti i ceppi! Dopo un poco nacque il bambino erede al trono, e tutti manifestarono la loro gioia con salve e fuochi d’artificio. Questo gentiluomo accese incautamente un barile di polvere da sparo e morì miseramente per le orribili ustioni. Se l’aratore ara e semina con bestemmie (imprecazioni), è giusto che i suoi raccolti siano maledetti. È forse strano che gli animali muoiano dopo essere stati maledetti? Che il lavoro non abbia successo? “L’empio ha amato la maledizione e questa ricadrà su di lui”, questa è la minaccia di Dio (Sal. CVIII,17).

Questa cattiva abitudine mette in pericolo la salvezza.

L’imprecazione è il peccato che merita l’inferno, dove si troverà per la sua punizione. Il diavolo maledice e bestemmia Dio; tuttavia, in quanto spirito, conserva un certo rispetto e timor di Dio; quando sente il Nome di Gesù trema e fugge; e l’uomo osa abusare del nome di Dio, di Gesù, del Santissimo Sacramento! Questo è un linguaggio più orribile di quello dell’inferno (S. Greg. Naz.). La lingua di un uomo ci permette di concludere sulla sua nazionalità. Si può dire se un uomo viene dall’inferno quando parla la lingua del diavolo. I Padri di S. Padri considerano l’abitudine di bestemmiare come un segno di riprovazione; “coloro che bestemmiano Dio periranno senza speranza” (Sal. XXXVI, 22), non possederanno il regno di Dio. (I Cor. VI, 10). – La gravità della maledizione dipende dalla gravità del male desiderato e dalla serietà con cui viene compiuto. Anche se leggero e sconsiderato rimane un peccato più grande della vana pronuncia del Nome di Dio, perché offende non solo il rispetto dovuto a Dio, ma anche la carità dovuta al prossimo.

3. LA PROFANAZIONE DI PERSONE, LUOGHI, COSE (O AZIONI) CONSACRATE A DIO.

Il disprezzo dei Sacerdoti ricade su Dio, perché, dice Gesù Cristo: “Chi disprezza voi disprezza me” (S. Luc X, 26); chi disprezza i Sacerdoti è quindi colpevole di un’offesa a Dio e merita la stessa punizione dei Giudei che insultarono e disprezzarono il Figlio di Dio. “Ogni sorta di male deriva dalla mancanza di rispetto per i ministri di Dio” (S. G. Cris.); lo vediamo già nell’Antico Testamento nella punizione inflitta a questi bambini, divorati da un’orsa per aver deriso il profeta Eliseo. (IV Re, II, 24). – Le chiese sono profanate da un comportamento disordinato (ridere, chiacchierare, girarsi), dagli sputi (soprattutto vicino all’altare, e vicino al banco della comunione). “Chi è indecente in chiesa se ne va con un peccato più grave di quello con cui è entrato. (S Ambr.). I peccati commessi nella casa di Dio lo feriscono di più; così Gesù, la dolcezza in persona, scaccia con indignazione i venditori ed i compratori dal tempio, dicendo: “La mia casa è una casa di preghiera e voi ne avete fatto un covo di ladri (Matteo XXI, 13). Chi profana il tempio di Dio sarà confuso (I Cor. III,17). – Siamo tenuti ad avere lo stesso rispetto per le cose sacre. Quando Davide trasportò l’arca dell’alleanza a Gerusalemme, Oza fu colpito a morte anche solo per averla toccata (e anche allora con l’intenzione di impedire che cadesse) (II Re VI, 7). – Il re Uzzia fu colpito dalla lebbra perché aveva avuto la presunzione di entrare nel santuario per offrire l’incenso (Paral. XXXVI). Il disturbo e la derisione degli atti religiosi è molto peccaminoso; questo fu il peccato dei figli di Heli che disturbavano i sacrifici e rubavano le vittime. (I. Re II). Questo peccato non è raro al giorno d’oggi dove vediamo gli empi disturbare i sermoni, le funzioni, le processioni con azioni chiassose, insultando i Sacerdoti che portano il viatico, o facendo degli atti religiosi l’oggetto del loro scherno.

4. BESTEMMIA. Si commette con parole oltraggiose contro Dio, i suoi Santi e gli oggetti consacrati al culto (S. Th. Aq.).

Giuliano l’apostata non chiamava il Figlio di Dio altro che il Galileo: è ripetendo questa bestemmia: “Hai vinto, Galileo” che spirò sotto un colpo di lancia). Ahimè, ci sono molte persone empie che pronunciano bestemmie; anche le persone cosiddette pie bestemmiano quando, ad esempio, affermano nelle loro prove che Dio li sta castigando più di quanto essi meritino. È una bestemmia parlare in modo sprezzante di Dio, come Alfonso d’Aragona che disse: “Se fossi stato presente alla creazione, avrei fatto notare a Dio molte cose che dovevano essere cambiate”. È ancora bestemmiare l’attribuzione ad una creatura in attributo di Dio (S. Bonav.). Il popolo bestemmiava quando applaudendo al discorso di Erode Agrippa, gridava: “È la voce di un dio non di un uomo “(Act. Ap. XII, 23). Questo era il peccato familiare dei Giudei: “Il mio nome – dice Dio attraverso il profeta Isaia (LII, o) – viene bestemmiato continuamente per tutto il giorno. Anche l’insulto ai Santi è una bestemmia; poiché Dio deve essere lodato nei suoi Santi (Sal.CL, 1); l’insulto fatto a loro può essere ricondotto a Lui (S. Th. Aq,).

Si può considerare in questa categoria il Sacrilegio o profanazione di una cosa destinata al culto di Dio.

Nei Paesi veramente civilizzati questi atti sono puniti dalla legge civile. -Questo fu il peccato del re babilonese Bàlthasar, che profanò i vasi sacri in stato di ebbrezza, bevendo in essi. (Daniele V). Questo è il peccato di coloro che calpestano e maledicono le immagini, che mutilano le croci e le statue, così come è un crimine di lesa-maestà trattare in questo modo le statue di un sovrano! – È particolarmente sacrilego ricevere i Sacramenti in modo indegno, rubare i beni della Chiesa, rubare da una proprietà della Chiesa, o rubare in un luogo sacro. Si dice che i massoni che si procurano le ostie consacrate o da ladri o da empi che ricevono la Comunione, poi commettano gli oltraggi più infami contro di esse: sono le messe nere, un’opera assolutamente satanica. – La bestemmia e il sacrilegio sono peccati veramente diabolici e della massima gravità. La bestemmia è il peccato proprio dei demoni e dei reprobi. (S. Th. Aq.). Come Dio parla attraverso la bocca dei buoni, così satana parla attraverso la bocca dei bestemmiatori.(S. Bernardino). – Questo è peggiore di un cane: un cane non morde la mano del suo padrone, anche quando viene castigato da questo, a causa del cibo che riceve; il bestemmiatore sbava su Dio che l’ha ricoperto di tante benedizioni, perché le prove sono anch’esse una benedizione (S. Bern.). Quando a San Policarpo (+ 167) fu chiesto di rinnegare Cristo, egli rispose: “L’ho servito per 86 anni e non mi ha mai fatto il minimo male. Come potrei bestemmiare il mio Dio e il mio Salvatore!? – Tutti gli altri peccati sembrano leggeri in confronto a questo (S. Ger.); la maggior parte degli altri peccati attaccano solo l’immagine di Dio, la bestemmia attacca direttamente Dio. – Il bestemmiatore pronuncia i suoi insulti contro il Santo d’Israele (IV. Rois XIX, 22); è più grave del furto e dell’omicidio, peggiore della lesa-maestà, perché esso oltraggia il Re dei Re. Insultare un buon principe è un crimine, ma che crimine insultare la bontà suprema (S, Aug.). La maggior parte degli altri peccati hanno origine nell’ignoranza o nella debolezza umana, la bestemmia nasce dalla malizia del cuore (S, Aug. (S. Bern.); gli altri peccati si procurano un vantaggio: la superbia la stima degli uomini, l’avarizia per il denaro, l’intemperanza per il gusto del cibo; il bestemmiatore non ha alcun profitto, non ha alcun piacere. (S, Bern.). – Presso i Giudei questo crimine era punibile con la morte. La bestemmia è sempre un peccato mortale a meno che non l’abbiamo pronunciata senza riflettere o in preda ad un’eccitazione che ci ha tolto il senso di colpa (S. Th. Aq.). Come, grida S. Efrem: “non avete paura del fuoco che cade dal cielo per divorarvi, voi che aprite la bocca contro l’Onnipotente?” Dio punisce terribilmente la bestemmia all’inferno, e spesso già in questa vita; è punita anche nel codice di molte nazioni civilizzate. Non ci si fa beffe di Dio impunemente. (Gal. VI, 7). Balthasar aveva appena profanato i vasi sacri che la sua condanna fu scritta sul muro da una mano vendicatrice: la stessa notte i nemici presero la città, lo uccisero nel suo letto e distrussero il suo impero. (Dan., V). Anche il re d’Assiria, Sennacherib, aveva bestemmiato Dio nella campagna contro gli Israeliti. L’angelo sterminatore uccise 200.000 dei suoi soldati, costringendolo a ritirarsi ed egli stesso morì per mano dei suoi figli (IV. Re XIX). Michele III, l’imperatore di Costantinopoli, fece in un giorno dell’Assunzione parodiare i sacramenti al circo; quella stessa notte si verificò un terremoto e fu ucciso dai suoi figli nel bel mezzo di un banchetto. Erode Agrippa, che si era fatto chiamare Dio, fu immediatamente colpito da violenti dolori alle viscere e morì divorato vivo dai vermi (Act. Ap. XII, 21). Un israelita aveva bestemmiato nel deserto. Mosè lo fece immediatamente arrestare e chiese al Signore quale sorte dovesse essergli inflitta. Che tutto il popolo – rispose a Mosè Dio – Che tutto il popolo lo lapidi”. (Lev. XXIV, 14). Lo stolto che scaglia una pietra contro il cielo non può raggiungere le stelle, ma si espone al pericolo di vederla cadere su di sé, così il bestemmiatore non raggiunge l’oggetto celeste che attacca, ma porta su di sé la vendetta divina. Il bestemmiatore stesso affila la spada che lo colpirà (S. G. Crys ). Chi insulta il fratello merita, secondo Gesù, il fuoco eterno (S. Matth. V, 22), tanto più chi insulta il suo Dio. La Legge di Mosè puniva con la morte chiunque maledicesse il padre o la madre (Esodo XXI, 17), e questo in un’epoca in cui gli uomini conoscevano Dio in modo molto imperfetto. Qual è dunque la pena punizione per coloro che insultano non i loro genitori, ma il loro Dio, ora che la conoscenza di Dio deve essere ed è più perfetta? (S. G. Cris.) Secondo le consuetudini dei diversi tempi, il diritto civile puniva severamente la bestemmia. S. Luigi, re di Francia, fece tagliare la lingua dei bestemmiatori con un ferro rovente; la punizione fu applicata per la prima volta ad un ricco borghese di Parigi e fu un esempio salutare. Se il reato dell’offesa al Capo dello Stato merita una pena, lo stesso vale per l’offesa al Sovrano Signore. (S. G. Cris.). Una volta fu chiesto a san Girolamo perché riprendesse con tanto zelo un bestemmiatore: “I cani”, rispose, “abbaiano per difendere il loro padrone, ed io sarei muto quando il nome del mio Dien viene profanato? Sarò ucciso, ma non sarò messo a tacere”.

5. SIMONIA. Consiste nel comprare cose sacre in cambio di denaro o per cose stimabili al prezzo di denaro.

La simonia era il flagello del Medioevo; vescovati e benefici venivano conferiti al miglior offerente. Sarebbe simonia offrire a un Sacerdote del denaro per l’assoluzione, comprare o vendere reliquie, vendere rosari o oggetti benedetti a prezzi più costosi di altri. Questo vizio prende il nome da Simone il mago che vide gli Apostoli conferire lo Spirito Santo con l’imposizione delle mani, ed offrì loro del denaro dicendo loro: “Date anche a me questo potere, perché ognuno di quelli sui quali imporrò le mani riceva lo Spirito Santo”. (Atti VIII, 19). – Il simoniaco è punito con la scomunica. (Pio IX 12 ottobre 1869); è a lui che si applicano le parole di San Pietro a Simon mago: “Che il tuo denaro perisca con te, tu che hai creduto che il dono di Dio si possa acquistare con il denaro”. (Act. Ap.). Perdiamo lo S. Spirito sa to cercando di comprarlo. (S. P. Dam.). Tuttavia, il fatto di dare una somma di denaro a un Sacerdote per un’intenzione di Messa non è simonia, non più più di quanto non lo sia fare l’elemosina ad un povero e chiedergli di pregare per noi. Nemmeno il casuale (compenso per le stole) dei Sacerdoti è simoniaco, perché non è il pagamento di una cosa sacra, ma solo un contributo al mantenimento del clero. Se ci fosse simonia in questo, San Paolo non avrebbe detto:”I ministri del tempio mangiano di ciò che viene offerto nel tempio e coloro che servono l’altare partecipano all’oblazione dell’altare”. Il Signore ha anche comandato a coloro che annunciano il Vangelo di vivere di Vangelo (I. Cor. IX, 13).

6. PER RIPARARE ALLE BESTEMMIE E SGLI OLTRAGGI CONTRO DIO, I PII CRISTIANI ISTITUIRONO LA DEVOZIONE DEL VOLTO SANTO.

La tradizione cristiana racconta che il volto del Salvatore è stato impresso sul velo presentatogli dalla Veronica (corruzione di Berenice) sulla via del Calvario. Si dice che Santa Veronica abbia donato questa reliquia a S. Clemente, il discepolo e successore di S. Pietro; da allora si trova a Roma ed è conservata a S. Pietro (Fu esposta nel 1849 e fece miracoli). Questo velo reca distintamente i lineamenti del Salvatore: si vede come i suoi carnefici lo abbiano orribilmente sfigurato; è un’immagine delle offese fatte a Dio e ci riempie di santa compassione e di profondo pentimento. In passato, i Papi proibivano di fare riproduzioni, ma nei tempi moderni hanno abrogato questo divieto, e la devozione al Volto Santo, favorita da Dio con numerose grazie, si è diffusa rapidamente. Ad Alicante questa devozione ha guadagnato popolarità dopo una lunga siccità (1849). A Tours gli sforzi di un pio cristiano, M. Dupont, (+ 1876) hanno portato all’erezione della Confraternita del Volto Santo, il cui scopo è quello di riparare alla bestemmia è fu eretta da Leone XIII come arciconfraternita. Santa Gertrude racconta nelle sue rivelazioni che Gesù Cristo le disse: Coloro che venerano l’immagine della mia umanità (del mio volto) saranno illuminati dallo splendore della mia divinità fino al fondo della loro anima”. Si dice anche che abbia detto alla suora S. Pierre (1845): “Poiché in ogni paese è possibile procurarsi una moneta che reca l’impronta legale, così tutto si può ottenere da me con la preziosa moneta del mio Volto Santo” … e ancora: “Più voi farete ammenda onorevole al mio Volto sfigurato, quanto più io ripristinerò l’immagine di Dio sfigurata dal peccato nello splendore del Battesimo”.

IL CATECHISMO DI F. SPIRAGO (XXVI)

26 OTTOBRE 2023, MANCANO 5 ANNI ALLA FINE DELLA DEPORTAZIONE A BABILONIA.

LA “VERA” CHIESA ED IL SUO “VERO” VICARIO.

(Mos. G. SINIBALDI: IL REGNO DEL SS. CUORE DI GESU’ – Soc. ed. VITA E PENSIERO, Milano)

XIII.) L’uomo è naturalmente inclinato alla società religiosa, nella quale può incontrare la soddisfazione delle più nobili ed irresistibili tendenze del suo cuore. Gesù Cristo, venuto al mondo per restaurare ogni cosa e guidar l’uomo al destino soprannaturale, fondò la sua Chiesa. Questa è la società di uomini, uniti fra loro per la professione della stessa vera fede e per la partecipazione agli stessi Sacramenti, sotto il regime dei legittimi Pastori e del Romano Pontefice, Vicario dello stesso Gesù Salvatore ». — Il fine ultimo della Chiesa è la felicità eterna, la quale consiste nella visione intuitiva della Divinità, e perciò è fine soprannaturale, cioè superiore a tutte le nostre forze ed esigenze. Se soprannaturale è il fine, soprannaturali debbono essere anche i mezzi. Quindi la virtù, che è fine della vita presente e mezzo della futura, deve sgorgare da un principio soprannaturale, che è la grazia. — È così bella questa Chiesa, fondata da Gesù, ed è così poco conosciuta, che ci sembra necessario parlare della sua costituzione, delle sue proprietà, dei suoi poteri e dei suoi diritti. — È naturale che qualche cosa, detta in questa nota, si ripeta nel testo.

A) COSTITUZIONE DELLA CHIESA. — La Chiesa, Come società visibile, si compone di due elementi: uno materiale, che è la moltitudine dei fedeli — l’altro formale, che è l’autorità. — L’autorità è di ordine e di giurisdizione. Infatti, la Chiesa, essendo Religione e Regno, deve guidar i fedeli alla felicità eterna, e questa si ottiene ordinariamente per mezzo dei Sacramenti. Dunque, l’autorità dev’essere di ordine per l’amministrazione dei Sacramenti, e di giurisdizione per la direzione sociale dei fedeli. Queste due autorità, alle quali si riducono tutti i poteri della Chiesa, sono soprannaturali, comunicate immediatamente da Dio in quanto è autore della grazia, e perciò sono affatto indipendenti da ogni autorità naturale (il superiore non può dipendere dall’inferiore). — La giurisdizione è mobile (mentre l’ordine è immobile) e può essere interna o esterna, secondo che riguarda il foro interno, che è la coscienza, o il foro esterno, che è la pubblica direzione dei fedeli. — La giurisdizione esterna è gerarchica. Essa è concentrata, in tutta la sua pienezza, nel Romano Pontefice, dal quale deriva ai Vescovi. I semplici Sacerdoti esercitano giurisdizione, ma come delegati del Papa e dei Vescovi. — Perciò la forma di governo nella Chiesa è la monarchica.

B) PROPRIETÀ’ DELLA CHIESA. — La Chiesa è società divina, spirituale, soprannaturale, giuridica, perfetta, suprema.

a) È società divina. Fu essa fondata immediatamente da Dio con atto positivo (non per via naturale, come la società civile), e da Dio in quanto è autore della grazia, avendo Egli prescritta la forma del regime, scelto il soggetto dell’autorità, prescritti i mezzi, e promulgate le leggi.

b) È società spirituale.. Essendo il fine della Chiesa la felicità eterna, che è un bene spirituale, la Chiesa stessa è spirituale (perché è dal fine che le società traggono la loro natura specifica), e perciò è specificamente diversa dallo Stato, che ha per fine la felicità temporale dei cittadini.

c) È società soprannaturale. Non solo è soprannaturale per il suo fine, che è la visione intuitiva di Dio, ma anche — per la sua origine, perché viene da Gesù, — per la sua costituzione, che pure fu data dal Redentore, — e per i suoi mezzi, che superano i limiti delle forze umane.

d) È società giuridica. Una società è giuridica, quando i doveri, che stringono i soci, sono giuridici, cioè fondati sulla giustizia, e provengono da veri diritti, dei quali la stessa società è rivestita. Tali sono i doveri degli uomini verso la Chiesa; essi derivano dai sacri ed inviolabili diritti — che Gesù ha dato alla Chiesa — di chiamare tutte le genti e di guidarle alla vita eterna. L’autorità della Chiesa è la stessa autorità di Dio, e perciò i doveri degli uomini verso la Chiesa sono della stessa specie di quelli, che essi hanno verso Dio — essenzialmente giuridici.

e) È società perfetta. Essa ha tutti i mezzi indispensabili al conseguimento del suo fine, di modo che non dipende da altra società superiore; e ciò è necessario e basta alla perfezione di una società. E qual società terrena potrebbe fornire alla Chiesa i mezzi soprannaturali?… I mezzi materiali, sebbene necessari, sono sussidiari, e la Chiesa li ha virtualmente, in quanto li può esigere dallo Stato.

f) È società suprema. Il fine della Chiesa è supremo, cioè superiore a tutti gli altri fini, perché la salvezza dell’anima sorpassa tutti gl’interessi temporali. Questa supremazia deve essere riconosciuta, e gli Stati devono subordinare i loro atti e interessi agli atti e interessi della Chiesa.

C) POTERI DELLA CHIESA. — La giurisdizione, che la Chiesa esercita sopra i fedeli, contiene quattro poteri — il dottrinale, il legislativo, il giudiziale, l’esecutivo o coattivo
a) La Chiesa ha il potere dottrinale. Essa, difatti, è una Religione costituita in società perfetta. Se, in quanto è Religione, ha l’officio d’insegnare, in quanto è società perfetta, deve avere il potere di obbligare i fedeli a credere alle verità che insegna. Questo potere deriva dalla missione della Chiesa, che è quella di spandere la vera fede, principio della salvezza e fondamento della giustificazione, e la fede si spande coll’insegnamento, ministrato da chi he ha ricevuto la legittima missione. Gesù disse agli Apostoli: « Andate e ammaestrate tutte le genti »  (Matth., XXVIII, 19). — Il Maestro di tutta la Chiesa, e perciò dei fedeli e dei Vescovi, è il Papa. I Vescovi sono maestri delle loro rispettive diocesi, e solo allora sono maestri di tutta la Chiesa, quando sono riuniti in Concilio in unione col Papa e sotto la sua dipendenza. — Il Papa, quando, nell’esercizio del suo officio di maestro universale, definisce verità spettanti alla fede o alla morale, è infallibile. La infallibilità è un privilegio grande, ma necessario alla direzione dei fedeli e alla conservazione della Chiesa, che è il Regno della Verità.

b) La Chiesa ha il potere legislativo. Questo potere è un mezzo indispensabile per dirigere gli uomini, così diversi d’indole e di pareri, al bene comune, e perciò non può mancare alla Chiesa, come non manca a qualunque società perfetta. — Le leggi, che devono regolare le azioni dei fedeli, debbono essere positive, perché le naturali non bastano alla conquista di un fine soprannaturale. — Né si dica che basti a ciò la legge evangelica; perchè questa, essendo molto generica, deve essere determinata ed applicata ai casi speciali: e ciò si fa ton leggi positive. — Il potere legislativo risiede — nel Sommo Pontefice in rapporto alla Chiesa universale, — e nei Vescovi in rapporto alle Chiese particolari.
I Vescovi fanno leggi per tutta la Chiesa soltanto nel Concilio ecumenico. — La materia di questo potere è tutto ciò che ha relazione coll’ordine spirituale ed esterno, come il culto, i Sacramenti, il costume. Perciò la Chiesa non governa direttamente gli atti interni dei fedeli, ma solo indirettamente, in quanto, comandando un atto esterno, comanda con ciò stesso l’atto interno, senza del quale l’esterno non ha alcun valore. Gli atti interni cadono sotto il comando diretto del potere dottrinale.

e) La Chiesa ha il potere giudiziale. — Non si può concepire una società, nella quale  non siano giudici, i quali interpretino le leggi e le applichino ai casi particolari, e, in armonia con esse, decidano le questioni che possono sorgere fra i cittadini, e condannino gli atti contrari al fine comune. Dunque anche la Chiesa deve avere tale potere. Questo si estende anche alla parte dottrinale; perché la Chiesa è essenzialmente il Regno della Verità, e quindi vi debbono essere dei giudici, i quali illuminino i fedeli, interpretando i dogmi, speculativi e pratici, confrontando con essi la credenza e i costumi dei fedeli, onde giudicare della moralità di certi atti, risolvendo le controversie e i dubbi in materia di fede, condannando l’eresie, ecc.

d) La Chiesa ha il potere esecutivo. — Ogni società perfetta, e perciò anche la Chiesa, ha il potere di costringere, per mezzo della coazione giuridica, la volontà dei sudditi all’adempimento delle leggi; altrimenti sarebbe impossibile il conseguimento del fine. — La coazione giuridica, nella Chiesa, non deve limitarsi alle pene spirituali o all’uso della forza spirituale, ma può e deve abbracciare le pene temporali e l’impiego della forza materiale, — non solo perché, altrimenti, non si potrebbero impedire certi atti esterni dei soci, ma anche perché, consistendo ordinariamente il crime nella ribellione della sensibilità contro la ragione, è giusto che l’autorità possa reagire contro la stessa sensibilità per l’applicazione delle pene temporali, e così sia ristabilito l’ordine violato. — vero che la Chiesa è spirituale, ma non è vero che perciò non possa usare le pene spirituali. Essa è spirituale in rapporto al fine, e non in rapporto ai sudditi. Questi non sono spiriti, ma uomini, cioè esseri composti di spirito e di materia. Ora i mezzi efficaci e proporzionati per obbligare esseri composti anche di materia devono essere materiali, sebbene il fine che si vuol ottenere sia spirituale. E se la Chiesa non ha in sé la forza materiale, può chiederla allo Stato, il quale ha il dovere di fornirla.

D) DIRITTI DELLA CHIESA. — Sono quei poteri morali ed inviolabili, che Essa ha di possedere, fare o esigere qualche cosa, e che le furono dati dal divino Fondatore. — Sono interni ed esterni, secondo che riguardano le sue relazioni interne coi proprii sudditi, o le relazioni esterne con gli Stati. Rimettendo ad altro luogo la recensione dei diritti esterni, diremo ora degl’interni. I principali sono: il diritto territoriale e il costitutivo, il diritto di eleggere i ministri, dirigere e tutelare l’insegnamento religioso, di possedere beni temporali ed il diritto della libera comunicazione.

a) La Chiesa ha il diritto territoriale. — Essa è il Regno di Gesù Cristo, il quale, per diritto divino, si estende a tutti i popoli della terra… Questo diritto, del quale la Chiesa è dotata, non è diritto di proprietà, perché nessuno ha mai detto che la Chiesa sia la proprietaria di tutto il mondo, e nemmeno è diritto di giurisdizione politica, perchè Gesù non ha istituito la Chiesa per il governo politico del mondo; ma è diritto di giurisdizione religiosa sopra tutti i popoli, che essa deve, per ordine divino, ammaestrare, santificare e salvare. — Da ciò ne viene che la Chiesa non è ospite in nessuna parte del mondo, e nemmeno è una potenza straniera, che eserciti la sua giurisdizione sopra sudditi non propri. In ogni luogo sta la Chiesa come in casa sua, con più diritto che il proprio sovrano temporale (perché il mondo appartiene più a Dio che ai sovrani), e il potere, che essa esercita sopra i fedeli, è un potere ordinario, che si esercita sopra i sudditi propri. — L’esistenza della Chiesa non può essere contraria all’autonomia dello Stato; gl’interessi dì ambedue sono di un ordine differente, e perciò lo Stato, se non esce dalla sfera della sua azione, non solo non incontrerà ostacoli da parte della Chiesa, ma avrà da essa aiuti e benefici. — Dal detto si scorge facilmente che la Chiesa ha il diritto di annunziare, a mezzo dei suoi missionari, la Fede di Gesù Cristo nelle terre degli eretici, degli scismatici, degl’infedeli, senza il consenso e contro la volontà stessa dei sovrani terreni. Il diritto della Chiesa è l’istesso diritto di Dio, al quale tutti, sudditi e sovrani, devono prestare omaggio ed obbedienza.

b) La Chiesa ha il diritto costitutivo. — È il potere di regolare il culto divino, interno ed esterno, — di stabilire la gerarchia per il regime dei fedeli, — di fondare e dirigere gli ordini religiosi, ecc. Perciò non si tratta qui della costituzione primitiva e fondamentale della Chiesa, né dei suoi elementi costitutivi (questo diritto se l’ha riservato il divino Fondatore, e il Papa non può cambiare né la forma di governo, né la sostanza dei Sacramenti, né tante altre disposizioni, che si chiamano di diritto divino), ma si tratta di una costituzione secondaria ed esplicativa. Così inteso, questo diritto appartiene alla Chiesa, la quale, essendo Religione, deve potere regolare il culto divino, l’amministrazione dei Sacramenti e del S. Sacrificio, ecc. — ed essendo Società, deve potere istituire la gerarchia, fondare ordini religiosi, prescrivere norme ai fedeli, ecc. Senza questi poteri, la Chiesa non potrebbe raggiungere il suo fine.

c) La Chiesa ha il diritto di eleggere i suoi ministri. Anche ciò è necessario. Perciò il Papa, che ha giurisdizione immediata e ordinaria su tutta la Chiesa, ha il diritto di nominare i Vescovi; come il Re, che ha potere su tutto lo Stato, nomina i Prefetti delle Provincie. Per la stessa ragione, i Vescovi hanno il diritto di nominare i Curati nelle parrocchie della propria diocesi. — L’intervento dei popoli o dei sovrani, in altre epoche, non si ammetteva che per dare informazioni intorno alla vita e alla capacità dei candidati. Oggi non si ammette affatto: sarebbe occasione di lotte, di scandali e di ruina.

d) La Chiesa ha il diritto di dirigere e tutelare l’insegnamento religioso. Questo diritto è relativo all’officio che la Chiesa ha ricevuto di ammaestrare tutte le genti, e riguarda propriamente l’insegnamento, che, in materia di religione, si porge ai fedeli — chierici o laici. — La Chiesa ha il diritto di dirigere e tutelare l’insegnamento religioso, che si porge ai Chierici. La formazione dei ministri appartiene alla società, alla quale essi debbono servire. Oltre ciò, la scienza teologica, necessaria ai Chierici, si fonda sulla divina Rivelazione, e di questa la Chiesa sola è depositaria. Quindi commettono un’assurda prepotenza quegli statisti, che fondano, nelle Università laiche, facoltà teologiche, indipendenti dai Vescovi e soggette al Ministro della pubblica istruzione. — Non meno evidente è questo diritto della Chiesa in rapporto ai laici. Questi, se non debbono essere teologi, debbono però essere Cristiani, e perciò conoscere le principali verità religiose. Ora l’insegnamento di queste verità è stato affidato da Gesù alla Chiesa. Questo diritto autorizza, sebbene indirettamente, la Chiesa a portare il suo giudizio sulle altre scienze, condannando le dottrine, opposte alle verità cattoliche e necessariamente false.

e) La Chiesa ha il diritto di possedere beni temporali. — È società religiosa, ma composta di uomini, e perciò deve mantenere i suoi ministri, innalzar templi, comprar vesti e vasi per il culto, ecc.; e tutto ciò esige grandi spese, che non si possono fare se non si hanno beni temporali. Questi beni sono sacri, e chi li usurpa è ladro sacrilego.
f) La Chiesa ha il diritto della libera comunicazione. — Consiste questo diritto in ciò che i Vescovi possano comunicare liberamente con i fedeli della loro diocesi, e il Papa cori i Vescovi e con i fedeli di tutto il mondo. È verità di senso comune. — Il Vescovo è maestro, pastore, padre, principe del popolo di Dio. Chi dirà che il maestro non ha il diritto di comunicare con i discepoli, il pastore con le pecorelle, il padre con i figli, il principe con i sudditi? — Il Papa è il Vescovo dei Vescovi, Padre e Maestro di tutti i fedeli, Pastore supremo degli agnelli e delle pecorelle. Chi potrà negargli il diritto di comunicare liberamente con i Vescovi e con i fedeli? Questo diritto è divino, perché divino è il dovere, dal quale emerge. — Laonde gli statisti, che impediscono o rendono difficile questa comunicazione, esercitano un atto d’ingiusto dispotismo. Trattano il Papa come un sovrano straniero, e non vogliono convincersi che il padre non è mai straniero per i propri figli, né il pastore per le sue pecorelle. Temono usurpazioni da parte del Papa, e non si ricordano che la Chiesa, che dispone del regno celeste, non invidia l’autorità e le attribuzioni dei sovrani della terra. Si può domandare: Se la Chiesa è stata edificata da Gesù su la pietra, che è Simone, figlio di Jona o Giovanni, come si può dire che Essa cominciò in Adamo? Rispondiamo che la Chiesa si può prendere in due sensi: uno largo, e l’altro ristretto. — Presa nel senso largo, la Chiesa significa una moltitudine di persone, chiamate da Dio alla luce della vera fede, e alla pratica di un culto legittimo. In questo senso, essa cominciò colla umanità. Elevato misericordiosamente ad un fine superiore a tutte le esigenze della sua natura — alla visione immediata ed intuitiva di Dio, l’uomo dovette subito essere ammaestrato dallo stesso Dio, in via straordinaria, intorno a questa elevazione, e ricevere ancora i mezzi proporzionati al conseguimento del suo nobilissimo destino. Così la Chiesa cominciò in Adamo. Il peccato turbò l’ordine soprannaturale, ma non lo distrusse; il fine ultimo restò immutato, benché l’uomo, privo della grazia, non lo potesse più raggiungere. Ma l’astuzia e l’invidia del demonio non potevano rendere frustrati i disegni della Bontà divina sull’uomo. Era appena entrato nel mondo il peccato, che vi entrava pure la redenzione. E il Redentore era proprio il Figlio di Dio umanato nel seno di una Vergine. I nostri progenitori ricevettero da Dio la grande promessa, prestarono l’adesione della loro mente e del loro cuore alla sua parola, e la fede nel Redentore fu il principio della loro salvezza, e il fondamento, la vita stessa della società dei fedeli. Gesù non era ancora apparso su la terra, e già i meriti del suo sacrifizio si applicavano ai nostri progenitori e ai loro discendenti. Era decreto di Dio che, siccome da un uomo era venuto al mondo il peccato, ogni male, così da un altro Uomo, il quale era anche Dio, derivasse alla umanità la grazia, che ristora, che vivifica e salva. Era questo decreto, che S. Pietro svelava al mondo in quelle parole ispirate: Non c’è sotto il Cielo altro nome dato agli uomini, mercè del quale possiamo salvarci » (Acta Ap., IV, 12). Talché Gesù fu sempre l’oggetto della fede e della speranza del mondo, il principio di ogni grazia e di ogni benedizione, e perciò la Chiesa è stata sempre cristiana. — Cominciata in Adamo, e quasi distrutta nella massima parte della terra, essa si mantenne in un piccolo popolo e si svolse nei Patriarchi e specialmente nel Mosaicismo. La Chiesa giudaica era piena del Cristo; questi era il suo oggetto, il suo fine, la sua vita. — Ma la Chiesa stessa giudaica, come abbiamo detto, non era che un abbozzo al confronto di quella Chiesa, che Gesù ha fondato, e che Egli si degna chiamar sua. Non è estranea a quell’antica la nuova Chiesa; ma gli elementi antichi, nelle mani onnipotenti di Gesù, ricevono una trasformazione così profonda, un miglioramento così radicale e completo, che la Chiesa di Gesù si può dire ed è veramente una fondazione novella. Osservatela un istante la Chiesa di Gesù, e, al confronto della Chiesa giudaica, scorgerete facilmente la sua superiorità: — superiorità nella verità, resa più chiara e più ricca da nuova e definitiva rivelazione; — superiorità nella legge, più completa e più efficace nell’innalzare l’uomo alla più sublime ed eroica perfezione; — superiorità nei Sacramenti, non più simboli vuoti e sterili, ma veri strumenti di grazia e di santificazione; — superiorità nella estensione, abbracciando non un popolo privilegiato, ma i popoli tutti della terra; — superiorità nella durata, non limitata ad un ristretto periodo di tempo, ma perenne sino alla fine del mondo; — superiorità nel governo, sicuro ed infallibile nel guidare gli uomini al loro destino immortale. Perciò, se la Chiesa si prende in questo senso ristretto, in quanto cioè è una moltitudine di uomini, unita ed elevata a società perfetta, fornita di tutti i mezzi di grazia e di santificazione, e soggetta al suo angusto Capo, Gesù Cristo, rappresentato dal Romano Pontefice, — allora questa Chiesa è nuova e deve la sua origine al Dio-Uomo. Talché se la Chiesa antica — da Adamo fino a Gesù — si può e si deve dire cristiana, in quanto i suoi membri erano giustificati e salvi per i meriti di Gesù Cristo, oggetto della loro fede e delle loro speranze, — la Chiesa nuova è cristiana, anche perché riconosce in Gesù Cristo il suo augusto fondatore.

(XIV.) La Chiesa si dice corpo mistico del Dio-Uomo per varie ragioni: — 1°) perché ossi è distinta dal Corpo fisico di Gesù, composto di carne e di ossa, come quello di tutti gli uomini; — 2°) perché la Chiesa non è un corpo naturale, ma una società soprannaturale, e perciò un mistero della infinita Bontà, Sapienza e Potenza di Dio, come lo sono tutte le opere soprannaturali; — 3°) perché la sua origine, il suo incremento, la sua energia, — tutta la sua vita è un congiunto di alti e occulti misteri; — 4°) perché il rapporto della Chiesa al Dio-Uomo è somigliante a quello della Umanità assunta al Verbo assumente, e perciò sommamente nascosto e misterioso. — Il corpo mistico si distingue, non solo dal corpo fisico, ma anche dal corpo morale (esercito, famiglia, etc.), perché nel corpo morale l’influsso del Capo nelle membra è tutto esterno, per mezzo dell’autorità, mentre nel corpo mistico l’influsso è, sopra tutto, interno, per la grazia e le virtù soprannaturali. La Chiesa non solo è corpo, ma anche pienezza di Cristo (Eph., I, 23). In che senso essa sia pienezza di Cristo, ce lo dichiarano S. Girolamo e S. Tommaso. — S. Girolamo dice: « Siccome l’imperatore si perfeziona e si compie, quando aumenta il suo esercito, e al suo regno si aggiungono nuove provincie e nuovi popoli, così Gesù Cristo Signor Nostro si compie e si perfeziona, quando nuovi uomini gli si uniscono per la fede e, pieni di virtù, lo fanno crescere in età, sapienza e grazia, non solo davanti a Dio, ma anche davanti ali uomini » (Comm. in Ep. ad Eph., 1. I, c. i). — S. Tommaso: « Il corpo è fatto per l’anima, e non viceversa; e perciò il corpo naturale è una certa pienezza dell’anima. Di fatti, se non vi fossero nel corpo tutte le membra perfette, l’anima non potrebbe esercitare con perfezione i suoi atti. Lo stesso accade in rapporto a Cristo e alla Chiesa. Siccome la Chiesa è stata istituita da Cristo, si dice che essa è la pienezza di Lui, cioè che la virtù che risiede in Cristo, si compie in certo modo nei membri della stessa Chiesa, in quanto tutte le grazie e tutti i doni spirituali, che si trovano nella Chiesa, derivano da Cristo ai membri della Chiesa e in questi si compiono (Exp. in Ep. ad Eph., 1. 8). La grazia, che Gesù diffonde sulle anime nostre, è quella che Egli ha come Capo della Chiesa. — In Gesù dobbiamo distinguere una triplice grazia: la grazia di unione, che è la stessa unione ipostatica, cioè la unione della sua Umanità colla Persona divina, — la grazia abituale, che riempie e santifica l’Anima sua benedetta, — la grazia di comunicazione, che Egli ha come Capo della Chiesa e che Egli diffonde su le anime nostre.

La grazia di unione — è grazia, perché quella unione fu dono gratuito, concesso, senza merito precedente, alla Umanità di Gesù, — ed è grazia infinita, perché infinita è la Persona del Verbo, alla quale si unisce la Umanità, e perché questa Umanità è resa santa di santità sostanziale, increata ed infinita, che è la stessa santità del Verbo; con questa differenza che il Verbo è per se stesso santo e santità, mentre la sua Umanità è santa non essenzialmente o per identità, ma per dono gratuito, per la unione personale, e perciò si dice grazia di unione. Questa grazia non solo santifica l’Anima di Gesù, ma anche il suo Corpo, perché tutta la Umanità sua fu unita sostanzialmente al Verbo, santità increata (Coloss., II, 9). Quindi anche la Carne di Gesù partecipa, secondo la sua capacità, alla santità sostanziale, e perciò non solo è santa ed immacolata, ma è anche strumento di santificazione ed è meritevole anch’essa del supremo culto di latria. —. La grazia abituale è una qualità soprannaturale e permanente, la quale è infusa da Dio nell’anima dei giusti, affinché sia il principio intrinseco e proporzionato degli atti soprannaturali. È dono creato, accidentale e finito, e risiede nella essenza dell’anima, alla quale aderisce per unione accidentale; talché l’anima stessa viene costituita santa dalla santità accidentale, creata e finita della grazia. — Come dalla essenza dell’anima derivano le potenze, così dalla grazia sgorgano le virtù infuse. Le virtù perfezionano le potenze nell’ordine soprannaturale, come la grazia perfeziona la essenza dell’anima. — La grazia abituale, infusa nell’anima di Gesù, è incomparabilmente superiore a quella degli altri giusti e del tutto proporzionata alla sua altissima dignità. Di fatti, quanto più una cosa si avvicina al suo principio, tanto più ne partecipa l’influsso, se sia atta a riceverlo; ora, essendo l’anima di Gesù vicinissima alla Divinità, fonte di grazia, e dispostissima, per la sua purità e dignità, a riceverne l’influsso, è chiaro che la grazia, di cui fu adorna, fu sommamente abbondante. — Non basta. La grazia di Gesù fu piena — plenum gratiae et veritatis (Joan., 1, 14). Piena — quanto alla essenza, perché attinge il più alto grado che possa darsi nell’ordine presente; stabilito dalla sapienza di Dio; — quanto alla efficacia, perché si estende a tutti gli effetti della grazia, quali sono le virtù, i doni e e gli altri carismi soprannaturali, che spuntano, come da radice, dalla stessa grazia abituale. — Questa pienezza di grazia è assoluta, propria soltanto di Gesù, ed immensamente superiore a quella pienezza di grazia, che si comunica alle altre anime in una misura proporzionata alla condizione o dignità, alla quale esse sono chiamate, e che perciò è pienezza relativa, maggiore o minore secondo l’altezza della condizione o dignità. Quindi, sebbene la grazia abituale di Gesù sia essenzialmente finita, perchè entità creata e residente in un soggetto creato e finito, quale è l’anima umana, può tuttavia dirsi in qualche modo infinita, perché è data in tutta la pienezza e perfezione, della quale è capace la natura creata nell’ordine attuale, ed è il frutto proporzionato della unione massima che possa esistere fra l’anima e Dio, cioè della unione ipostatica. — Tale pienezza di grazia Gesù l’ebbe fin dal principio della sua vita umana, e anche per questo era incapace di aumento, sebbene potesse ammettersi un progresso nelle sue rivelazioni esterne. Diciamo — anche per questo, parche all’aumento della grazia è necessario lo stato di semplice viatore, e Gesù, anche in quanto Uomo, fin dal primo istante della sua concezione fu pure comprensore. — La grazia abituale, della quale l’anima di Gesù fu ornata, è un effetto della grazia di unione; la grazia segue la Divinità. come lo splendore segue il sole, da cui emana.

La grazia di comunicazione, che Gesù ha come Capo della Chiesa non differisce che nel concetto dalla grazia abituale, onde è santificata l’Anima sua. Nella essenza è la stessa grazia: la quale è personale. in quanto santifica l’anima sua, ed è di comunicazione, in quanto da Lui si diffonde in tutti i membri (Sum. Th., p. III, qq. 7, 8).

(XV.) Gesù, Capo degli uomini secondo tutta la sua adorabile Umanità, la quale opera come strumento vivo della Divinità, è Capo non solo delle anime nostre, ma anche dei corpi; e sì m quelle, che in questi trasfonde la sua virtù. La trasfonde nelle anime, perchè le vivifica e le nobilita colla grazia e colla gloria; la trasfonde nei corpi, i quali adesso divengono strumenti di opere sante, e un giorno riceveranno dall’anima anche la vita della gloria. In due modi, pertanto, il nostro corpo partecipa dell’influsso spirituale di Gesù: in quanto è adesso strumento della grazia, e in quanto più tardi sarà consorte della gloria. Beati gli uomini, se permettessero a Gesù di compiere in essi tutto il piano della sua bontà infinita! Il dogma, col quale professiamo — che fuori della Chiesa non vi è salvezza, — fu spessissimo dalla Chiesa stessa proclamato e inculcato. A scanso di equivoci, che lo potrebbero far parere molto duro, facciamo le seguenti avvertenze:

— 1.°) non fa Dio cosa ingiusta nè dura, quando a tutti prescrive, come indispensabile, una condizione al conseguimento della felicità soprannaturale, e perciò del tutto indebita;

— 2.°) un uomo può appartenere alla Chiesa, se non in atto, almeno in voto; ciò accade, quando, sebbene egli si trovi fuori della Chiesa, da lui ignorata, tuttavia ha l’animo disposto a far tutto ciò che Dio ha ordinato per il conseguimento della salvezza eterna; nel quale generale proposito (che è possibile a tutti coll’aiuto della grazia e che è assolutamente necessario) sta rinchiuso quello speciale di entrar nella vera Chiesa, appena si sia conosciuta: — 3°) quando si dice che — fuori della Chiesa non vi è salvezza — non s’intende parlare di coloro, che appartengono alla Chiesa in voto, sebbene adesso non vi appartengano in atto; questi possono salvarsi, e se si dannano, non si dannano perché non appartennero alla Chiesa, ma perché commisero peccati mortali, e non li detestarono, — ma, invece, si parla di coloro che non sono nella vera Chiesa — o perché non la vogliono abbracciare, dopo di averla conosciuta, — o perché, per una colpevole negligenza, non si curano di cercare la vera Chiesa ed abbracciarla. In poche parole, quel dogma riguarda tutti quelli che sono fuori della vera Chiesa, non in buona, ma in cattiva fede.

Da questo dogma, così inteso, è facile dedurre: —

1.°) che la Chiesa è una società necessaria, nella quale gli uomini debbono entrare per divino precetto; — 2.°) che sono false e contrarie alla dottrina di Gesù Cristo tutte le teorie, che danno all’uomo la libertà di scegliersi la Chiesa e sostengono che, ad ottener la salvezza, basta l’onestà della vita, l’osservanza della legge naturale, etc.; — 3°) che è assurda ed empia la così detta tolleranza religiosa, secondo la quale tutte le sette e tutte le religioni, sebbene fra loro diverse e contrarie, hanno lo stesso valore innanzi a Dio e conducono alla vita eterna: — è assurda, perché l’errore non può valere come la verità, né il vizio come la virtù, — è empia, perché suppone che Dio sia indifferente all’errore e alla verità, al vizio e alla virtù. — Questa tolleranza, che la Chiesa rigetta, è la religiosa, non la politica (la quale consiste in ciò che il principe, ad evitare discordie e guerre civili, non proibisce, anzi permette ai suoi sudditi di seguire la religione, che vogliono). — La Chiesa è intollerante verso gli errori, ma è piena di bontà e condiscendenza verso gli erranti e gli eretici, e non desidera che la loro conversione e salvezza.

[L’appartenenza al Corpo mistico è garantita solo dalla vera Chiesa e dall’adesione al “vero” Sommo Pontefice, Vicario di Cristo che ci è stato promesso da Cristo stesso – infallibile – fino al suo ritorno glorioso. Non c’è spazio per sedevacantismi “comodi” o di facciata omnipermessivi, né per fallibilismi o figure “materiali” non formali, né per eretici manifesti usurpanti la Sede apostolica. Anche Pietro è stato in carcere impedito, come tanti altri Pontefici del passato, figura dell’attuale situazione in cui il Vicario, come il Titolare uomo-Dio, si trova nel sepolcro impedito, ma pronto ad una gloriosa resurrezione, alla quale tutti noi Cattolici del Pusìillus grex siamo chiamati, come gli Apostoli, a credere sulla parola di Cristo.

Oggi, dopo 65 anni dalla deportazione a Babilonia (la falsa chiesa modernista dell’uomo), siamo chiamati alla preghiera continua per la restaurazione del legittimo Papato, in attesa fiduciosa della manifestazione della volontà divina come descritta da San Paolo (II Tessal.) e da San Giovanni apostolo (Apoc.).

Con ferma fede preghiamo per il Sommo Pontefice successore di Gregorio XVII eletto in quel 26 ottobre del 1958 e subito ricacciato nel “deserto” come descritto in Apoc. XII).

Santo Padre, ovunque voi siate, sappiate che questo pusillus grex prega per voi e spera ardentemente nella parola evangelica e della Santa Madre Chiesa Cattolica Romana, unica Arca di salvezza eterna! Viva Iddio, viva il suo Vicario in terra e che ci protegga la Vergine Santa – refugium peccatorun – e l’Arcangelo Michele, capo della milizia celeste, che ancora una volta sconfiggerà satana, il dragone infernale ed i falsi profeti attuali.

LA PREGHIERA DI PETIZIONE (8)

LA PREGHIERA DI PETIZIONE (8)i

P- B. LAR – RUCHE

LA PREGHIERA DI PETIZIONE (8)

OSSIA IL MEZZO Più INDISPENSABILOE E NELLO STESSO TEMPO INFALLIBILE PER IMPETRARE DADIO OGNI BENE E SOPRATTUTTO L’ETERNA SALVEZZA.

ISTITUTO MISSIONARIO PIA SOCIETA’ S. PAOLO

N. H., Roma, 15 maggio 1942, Sac. Dott. MUZZARELLI

Imprim., Alba 25 maggio 1942. Cn. P. Gianolio, Vic. Gen.

Tipogr. – Figlie di S. Paolo. – Alba – giugno – 1942.

12. — Ciò che si deve ritenere.

Da quanto ho detto fin qui vien dunque limpida e chiara la conclusione: Qualsiasi uomo retto e di cuor sincero (e chi non fosse ancor tale, può divenirlo per mezzo della preghiera) qualsiasi uomo, dico, il quale nelle tentazioni e nei pericoli di offender Dio, invoca sinceramente, istantemente e perseverantemente, di vero cuore e con piena fiducia il buon Padre che sta nei cieli, il divin Redentore Gesù, lo Spirito Santo od anche solo la gran Vergine Madre di Gesù e pur nostra tenerissima Madre celeste e nello stesso tempo tesoriera di tutte le grazie, otterrà infallibilmente non solo la possibilità di mantenersi fedele alla legge di Dio, ma la grazia di fare effettivamente ciò che è gradito al Signore. Per mezzo della coscienza, delle circostanze, di qualche buona persona, d’un avvenimento. d’un contrattempo, o per altra via (e se fosse necessario anche con un miracolo) il buon Dio, nel momento opportuno, gli suggerirà — secondo i casi — d’informarsi se ciò che sta per fare sia lecito o conveniente, di allontanarsi da quel luogo o da quella compagnia, di non andare per quella strada o a quel divertimento, di non fermarsi davanti a quelle figure, di gettar da parte quel libro, quel giornale o quella illustrazione, di vegliare su se stesso e su quanto lo attornia, di assoggettarsi a quel sacrificio, di rassegnarsi a quella sventura, ecc. ecc.; oppure il Signore stesso — che ha in mano tutto l’uomo — toccherà il suo cuore col timore d’una disgrazia o del disonore, col ricordargli vivamente i molti benefici fattigli, i perdoni concessigli, le misericordie usategli, od anche col rammentargli la felicità d’un’anima pura e giusta, coll’incutergli un salutare timore dei divini giudizi, col richiamargli le delizie del Paradiso, col prospettargli la possibilità d’una morte improvvisa, col ricordargli le pure e soavi gioie del giorno della sua prima Comunione, ecc. ecc. — ed egli, pur senza vedersi in alcun modo violentato e sentendosi invece soavemente e pur fortemente sostenuto ed aiutato, non potrà fare a meno di assecondare la buona ispirazione di compiere ciò che piace al Signore; e così eviterà di trasgredire il divin beneplacito e si salverà dal peccato e — non di rado — dall’imperfezione stessa; ed in seguito benedirà il Signore per essere stato così buono verso di lui. – Ecco qui ripeto ciò che scrive lo zelantissimo autore, « Vivere in Cristo » « Colla preghiera fatta colle dovute condizioni otteniamo certamente da Dio: non soltanto la grazia di poterci convertire, ma di convertirci davvero; non di poter schivare i peccati, ma di evitarli di fatto; non di poter essere casti, ma di esserlo davvero; non di poterci salvare, ma di andar in Paradiso di sicuro. Cioè la preghiera non solo ci implora la grazia, ma assicura in modo infallibile la nostra corrispondenza alla grazia del Signore ». E questo, perseverantemente. Scrive infatti lo stesso autore (che è il medesimo di Ut vitam habeant): « Colla preghiera (s’intende sempre che sia ben fatta) certissimamente si possono ottenere le grazie non solo sufficienti, ma efficaci, per perseverare nella grazia fino alla morte ». E cita il grande teologo P. Palmieri, che a sua volta dice: « È sentenza certa che il giusto possa impetrare, e in modo infallibile, la perseveranza finale, impetrare cioè che non gli manchino le grazie attuali efficaci, e che allora sia colto dalla morte, quando è in grazia di Dio; e perciò impetrare quel dono così grande della perseveranza finale, che è gratuito ». – Sicchè — sarebbe da dirsi — se il peccatore colla preghiera ottiene infallibilmente la grazia di convertirsi, cioè divenire giusto, e se il giusto a sua volta colla preghiera impetra infallibilmente la grazia di perseverare nel bene fino alla morte in modo da morire certamente in grazia di Dio, chi mai si dannerà più? Solo chi non prega. Eh, si! poichè « chi prega certamente si salva » (S. Alfonso) prima dal peccato mortale e poi dall’inferno. – Davvero bisogna riconoscere che le attestazioni da me riferite sono oltre ogni dire incoraggianti. Tuttavia, esse non dicono nulla di più e nulla di meglio di quanto, sull’autorità della parola di Dio, dei Santi Padri e dei migliori teologi, aveva sostenuto già due secoli addietro il gran Dottore della preghiera (Cosi fu definito da S. S. Pio XI IN un discorso del 20 settembre 1934.) S. Alfonso M. de’ Liguori nell’aureo suo libretto Del gran mezzo della preghiera. « Nell’ordine soprannaturale — egli sostiene — l’uomo è impotente ad ottenere colle sue forze l’eterna salute; ma il Signore per la sua bontà concede ad ognuno la grazia della preghiera, colla quale può impetrare tutte le altre grazie che gli bisognano per osservare i divini precetti e salvarsi ». – Quindi si deve bensì dire, raccomandare ed insistere che l’uomo debba opporsi con tutte le sue forze al male, istruirsi nelle verità della fede e nei Comandamenti, evitare le occasioni prossime di peccato, compiere più opere buone che gli sia possibile, mortificare le sue passioni e le sue cattive tendenze, reagire contro le tentazioni, ascoltare le prediche, meditare le massime eterne, rendersi esperto nel compiere i doveri del proprio stato, accostarsi con frequenza ai Ss. Sacramenti della Confessione e della Comunione, esercitarsi nelle opere di misericordia e compiere tutte quelle cose che ci sono in parte comandate da Dio, in parte suggerite dalla retta ragione e in parte raccomandate dai saggi e pratici maestri di spirito e dai Santi; ed i fedeli devono fare tutto il possibile per assecondare — ognuno nella propria condizione di vita — questi comandi, questi dettami e questi consigli; poiché « non si deve mai ritenersi abbastanza sicuri, dove va di mezzo l’eternità » (S. Agostino). Tuttavia, non potendo neppure i Cristiani adulti che si trovano in grazia santificante, compiere bene, perseverantemente e con merito nulla di tutto questo senza l’efficace aiuto di Dio, ed essendo d’altra parte certissimo che questo efficace aiuto non ci viene assicurato che dalla preghiera, ne vien di legittima conseguenza che la prima cosa alla quale dobbiamo soprattutto badare è quella di pregare e di far pregare molto e bene. Questo è della massima importanza a ritenersi. Ed anche questo è confermato dallo stesso autore di Ut vitam habeant, quando dice che « solo alla preghiera Dio ha promesso infallibilmente la grazia efficace, quella cioè a cui l’uomo di fatto corrisponde infallibilmente »: quell’autore che pur dice grandi fonti, anche di grazie attuali, i Sacramenti, come ancora le opere buone, i sacramentali, l’assistere e il far celebrare Ss. Messe, l’ascoltare la divina parola, la meditazione e la lettura spirituale, le disgrazie ecc. ecc. Il pio e forte autore, quando scrisse le parole da me riferite, ebbe certamente presente questa decisiva sentenza di S. Alfonso: « Gli altri segni (o mezzi) della nostra salvezza son tutti incerti e fallibili: ma che Dio esaudisca chi lo prega con confidenza è verità certa ed infallibile, come è infallibile che Dio non possa mancare alle sue promesse » (Del gran mezzo della preghiera). – Mi ripeto: lo so; ma lo faccio appositamente, perché soltanto se questo chiodo sarà penetrato profondamente e stabilmente nella nostra mente e nel nostro cuore in modo da formare in noi una vera e profonda convinzione dell’immensa efficacia e dell’assoluta necessità della preghiera, noi ci decideremo davvero a metter mano a quest’unico insurrogabile ed infallibile mezzo, che c’impetrerà da Dio quanto dobbiamo sopra ogni altra cosa ricercare: cioè il nostro progressivo miglioramento morale e spirituale per l’onore di Dio e per la nostra salvezza eterna. A scanso però di illusioni e di sorprese, mi credo in dovere di avvertire che forse a principio — per l’imperfezione delle nostre preghiere — non ne sperimenteremo tutta l’efficacia che desidereremmo (1Attenti specialmente alla presunzione, alla scarsa fiducia, alla poca perseveranza, al formalismo…). Ma s’insista in essa senza perdersi d’animo. « Quanto più l’uomo prega, tanto più, insensibilmente e senza accorgersi, ma in modo profondo e radicale, va rassomigliandosi a Dio. Fossero pur mondani i nostri affetti, a poco a poco il nostro cuore e i nostri pensieri si muteranno; ciò che prima ci ripugnava e riusciva duro e aspro, ci si renderà facile e soave; il mondo che ci trascinava dietro a sè perderà le sue attrattive; Dio solo e l’eternità diverranno per noi grandi e degni delle nostre aspirazioni » (P. Meschler). – Sì, è certo, certissimo che chi si rivolge di tutto cuore al buon Dio, a tempo opportuno sarà infallibilmente esaudito in ciò che riguarda la liberazione dai peccati e l’eterna salvezza. Dirò anzi di più. « Se non vogliamo dare una smentita alla parola di Gesù…, teniamo per certo che tutte le volte in cui abbiamo pregato bene, le nostre preghiere sono state esaudite, sebbene forse sembri che non abbiano avuto alcun risultato”(Ramière S. J.). Ma sì! « Se voi, pur essendo cattivi, sapete dare buoni doni ai vostri figliuoli, quanto maggiormente il Padre celeste darà cose buone e lo spirito buono a coloro che Glielo domandano » (Luc. XI, 13; Matt. 7, 11). No, non v’è alcun dubbio che il Signore esaudirà senza fallo tutti coloro che di vero cuore lo invocano. V’è di mezzo la sua parola. Ora — disse Gesù — « il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non verranno meno » (Matt. XXIV, 35). Ma se è così, che ci resta a fare? Una cosa sola: deciderci ad abbracciare la preghiera come la più importante, anzi l’indispensabile tavola di salvezza; e fin d’ora supplicare il buon Dio a concederci la grazia di pregare, di pregar bene.e di pregar sempre, specialmente quando siamo, in pericolo di cadere in peccato.

13. — La più grande leva delle grazie.

Ah, quanto è stato buono con noi il Signore! Egli nella preghiera ci ha dato un mezzo facilissimo e semplicissimo e quindi praticabile da tutti, anche dalle persone di più scarsa intelligenza, e perfino dai bambini. Ma guarda! È proprio per questa sua poca appariscenza che la preghiera è poco stimata, poco usata e perfin derisa e disprezzata dalle persone più autorevoli e più intelligenti secondo il mondo, dalle quali essa vien considerata come una cosa da donnicciole e da bambini. Oso tuttavia domandare: Se gli uomini coi propri mezzi naturali non potevano salvarsi, e se d’altra parte Iddio voleva davvero che tutti gli uomini si salvassero, non era forse Egli in certo modo obbligato ad offrire loro a tal uopo un mezzo accessibile a tutti, compresi i bambini, gl’ignoranti e i peccatori stessi? (Lo stesso dicasi di un altro grande mezzo che abbiamo per salvare l’anima nostra: l’ascoltare la parola di Dio, per assecondare il quale basta un po’ di buona volontà, il fare due passi per andar ad udire il predicatore o l’allungar la mano per prendere e aprire un libro che la riferisca. È poi questo — secondo S. Paolo —.il mezzo più indicato per eccitare e nutrire la nostra preghiera. Egli infatti scrisse: « Chiunque avrà invocato il nome del Signore, sarà salvo ». Però tosto soggiunge: « Ma come invocheranno uno in cui non han creduto? E come crederanno in uno di cui non hanno udito parlare? Come poi sentiranno parlare se non c’è chi predichi? E come poi predicheranno, se non vengono mandati i predicatori? (Rom. 10, 13-15). Dunque da quel poco che ho scritto intorno a quest’argomento, già si.può sufficientemente comprendere anche la necessità da una parte di ascoltare la parola di Dio e dall’altra di predicarla. C’è insomma l’ « Ascoltate, o genti, la parola di Dio, e c’è anche il «Guai a me se non predicherò!» (Ger. 31, 10; I Cor. 9, 16). Guardando però attorno a noi, dobbiamo vedere che, se i predicatori son molti e anche assai zelanti, gli uditori invece sono purtroppo assai. pochi, ed anche questi più desiderosi che essi terminino assai presto i loro sermoni, che di attendere a quanto essi van dicendo per il bene delle loro anime. Purtroppo, oggi più che mai il mondo segue i più stravaganti maestri, e non Si adatta a seguire chi insegna le più utili e sante verità spirituali. Ma dove andrà di questo passo?). Infatti, come mai avrebbero potuto riuscire a salvarsi tutti, se quel mezzo assolutamente necessario per raggiungere l’eterna salute fosse stato difficile ad individuarsi, difficile ad aversi e difficile ad adoperarsi? Ecco, dunque, il vero e tutto amoroso motivo per cui il primo e più necessario mezzo di salvezza doveva essere semplice, facile ed a portata di tutti gli uomini. Il buon Dio voleva che noi fossimo certi e sicuri della sua assistenza e del suo valido aiuto, affinché potessimo raggiungere il fine della creazione; ed eccoci così offerta la preghiera, di cui con movimenti di mani e con vagiti son capaci perfino i bambini lattanti, ed alla quale il Signore legò tutte le grazie di cui abbiamo bisogno. « Alla preghiera — disse quindi il grande Pontefice Pio XI — tutto è promesso, poiché il Signore si è proprio, per dir così, sbilanciato, ed ha promesso tutto quanto senza eccezione a questo mezzo che è il più facile ed alla portata di tutti » (Osservat. Rom; 7-8 – I – 1936). – Che cosa è infatti la preghiera? Essa è bensì « un colloquio col Signore » (Crisostomo), « un trattenimento ed una conversazione con Dio » (Nisseno), « una conversazione familiare e l’unione dell’uomo con Dio » (S. Giov. Climaco) « una elevazione della mente e del cuore a Dio, per la quale l’anima contempla, loda e ringrazia Dio » (A Lapide); ma in senso stretto e proprio essa è quella pia pratica colla quale l’anima si rivolge al Signore e « gli espone i suoi bisogni, i suoi desideri, i suoi voti, e gli domanda di esaudirli » (A Lapide). Ecco che. cosa è la vera preghiera. E non vedo affatto come essa possa essere confusa col semplice movimento meccanico delle labbra balbettanti suoni articolati che esprimono bensì cose in sè belle e sante, ma che son dette senza applicazione della mente e senza alcun affetto del cuore: opera della quale sarebbe pur capace un pappagallo e perfino un grammofono. Dunque, com’è facile scorgerlo, nella preghiera (qualunque essa sia) noi abbiamo — esplicita od implicita — la fede in Dio, la sottomissione a Lui, il riconoscimento della sua infinita provvidenza (potenza, sapienza e bontà), e la fiducia nel suo aiuto. V’è pure il riconoscimento e la manifestazione dei propri bisogni e delle proprie miserie. Ben a ragione quindi San Tommaso d’Aquino poteva scrivere: «Per la preghiera l’uomo dimostra riverenza a Dio, in quanto a Lui si sottomette; e, pregando riconosce di aver bisogno di Lui, come dell’Autore dei suoi beni » (Non meno esplicito a questo proposito è il Chaignon, il quale anche della preghiera di petizione, scrive: « La preghiera è l’anima della religione ed il gran mezzo. di salute dato agli uomini. Poiché con essa riconosciamo e confessiamo il nostro nulla, protestiamo di riconoscere Dio come arbitro di tutte le sorti, come potente a segno di darci — se vuole — quanto gli domandiamo, come tanto benigno da volerlo dare, se lo preghiamo. Pregando io confesso che non posso porgermi aiuto da me, nè aver un efficace soccorso dalle creature che mi circondano, ma che ardisco tutto aspettare dalla sua infinita potenza, dalla sua inesauribile bontà. Non viene Egli onorato come desidera con questo mio omaggio di dipendenza, di fiducia, e di amore? E quando io lo prego, non devo sperare tutto da Lui? »). – Ed ecco così colto e spiegato ancora il motivo per cui la preghiera è tanto efficace, come abbiam veduto e come avremo occasione di vedere anche in seguito. Non è quindi a meravigliarsi se i Santi ebbero tutti e sempre grandi parole di lode, di stima e d’ammirazione per la preghiera e ne esaltarono pure in tutti i toni l’immensa efficacia. S. Carlo Borromeo, p. es., dice che « la preghiera è il principio, il progresso e il compimento d’ogni virtù »; il Crisostomo afferma che essa « è un’arma capace di vincere tutti gli assalti dei demoni, è una difesa che ci rende immuni da qualsiasi pericolo, è un porto che ci salva da ogni tempesta, è un tesoro che ci provvede d’ogni bene »; pel Nisseno la preghiera è « la robustezza dei corpi, l’abbondanza e la ricchezza della casa »; e secondo S. Lorenzo Giustiniani « la preghiera placa lo sdegno di Dio che perdona a chi con umiltà lo prega, ottiene la grazia di tutto ciò che domanda, e supera tutte le forze dei nemici: insomma muta gli uomini ciechi in illuminati, i deboli in forti, i peccatori in santi ». Dunque « fin dove arriva l’efficacia della preghiera? Essa arriva fin dove si estende la necessità dell’uomo, e la potenza e misericordia di Dio: nulla eccettuato » (P. Meschler S.J.). Un concetto simile ha della preghiera anche il Ven. Prof. Contardo Ferrini: « Se ho un inizio di carattere — ei scrive — lo devo alla preghiera se i miei studi approdarono a qualcosa lo devo alle benedizioni della preghiera. Per l’efficacia consolatrice della preghiera io non perdo tempo nei teatri, nei caffè, nelle mille inutilità di una vita dissipata: la preghiera mi fa amare il raccoglimento, la solitudine, il lavoro». Si, ce ne sono tanti che — irretiti da sciocche consuetudini,— non sanno come fare per liberarsi dalle tante cianciafruscole che li tengono legati al mondo condannato da Gesù e che sono per loro delle vere occasioni di perditempo e di peccato. Orbene si raccomandino vivamente e sinceramente al Signore e alla Madonna, e sperimenteranno i mirabili effetti delle loro accorate suppliche. – E quanto ci eleva e ci nobilita la preghiera anche in mezzo al mondo! Infatti « datemi un uomo che proferisca di cuore queste parole “Sia santificato il tuo Nome, venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà; dacci oggi il nostro pane quotidiano, perdonaci come noi perdoniamo non c’indurre in tentazione, liberaci dal male”; datemi un tal uomo, e non sarà possibile ch’egli non sia un buono e verace e leale cittadino, utile e decoroso alla famiglia e alla società. Non si prega così se non si è buoni o se non si ha il vivissimo desiderio di diventarlo » (Ven. Contardo Ferrini). – Ciò posto, se il Crisostomo osò dire che « niuno al mondo è potente quanto un uomo virtuoso che prega », e S. Agostino non esitò a definire « la preghiera la forza dell’uomo e la debolezza di Dio »; ben poteva anche il Toniolo asserire e ripromettersi che « la società sarà rigenerata solo dal santo che prega ». Insomma, di colui che prega noi possiamo dire quello che andavano dicendo di Gesù gli spettatori del miracolo: Chi è costui al quale obbediscono i venti e le onde? Le stesse sentenze di Dio sono infrante dalla preghiera » (A Lapide). Bisogna quindi dire che il Signore, quando ci comandò di pregare, dimostrò un immenso amore verso di noi; poiché c’insegnò ed indicò ciò che dovevamo fare per essere arricchiti di ogni bene tanto nell’ordine spirituale, come in quello morale, come pure in quello materiale. Ah, sì! quando Gesù ci fece le seguenti raccomandazioni « Domandate e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto… Bisogna sempre pregare e non mai desistere… Vegliate e pregate per non soccombere alla tentazione » (Matt. 7, 7; Luc. 18, 1; Matt. 16, 41), ci fece una divina carità. E quando il buon Dio ci fa ripetere quasi fino alla nausea: « Pregate senza intermissione… pregate con ogni sorta di istanze e di suppliche, in ogni tempo, vegliando e pregando senza tregua in ispirito per tutti… Pregate gli uni per gli altri affmché vi salviate… Voglio che gli uomini preghino in ogni luogo)) (I Tessal. V, 17; Efes. VI, 18; Giac. V, 16; I Tim. II, 8), è segno certo e sicuro che, per il bene che ci vuole, è disposto a darci generosamente i suoi eccellenti doni ed a concederci le sue più segnalate grazie. E non dobbiamo neppur pensare che Iddio voglia illuderci! – Ma qual è il nostro contegno di fronte alle tante assicurazioni che abbiamo da parte di Dio riguardo alla potenza ed all’efficacia della preghiera ben fatta? Ah! duole il dirlo: noi ci rassegniamo beatamente (vorrei dir: beotamente) ad esser sempre infelici e miseri in questo mondo, e — se non ci sarà un vero miracolo — infelicissimi e miserrimi per tutta l’eternità; e ciò unicamente perché non vogliamo adattarci a pregare. Lo dice molto bene anche un pio autore vivente. « Dio — egli scrive — ha legato la sua grazia a un mezzo facilissimo ed infallibile: la preghiera. E noi non abbiamo nè il tempo nè la voglia di pregare! » (Sac. G. Canale, Rett. del Semin. di Fossano). Proprio così!

LA PREGHIERA DI PETIZIONE (9)

IL CATECHISMO DI F. SPIRAGO (XXIV)

IL CATECHISMO DI F. SPIRAGO (XXIV)

CATECHISMO POPOLARE O CATTOLICO SCRITTO SECONDO LE REGOLE DELLA PEDAGOGIA PER LE ESIGENZE DELL’ETÀ MODERNA

DI

FRANCESCO SPIRAGO

Professore presso il Seminario Imperiale e Reale di Praga.

Trad. fatta sulla quinta edizione tedesca da Don. Pio FRANCH Sacerdote trentino.

Trento, Tip. Del Comitato diocesano.

N. H. Trento, 24 ott. 1909, B. Bazzoli, cens. Eccl.

Imprimatur Trento 22 ott. 1909, Fr. Oberauzer Vic. G.le.

SECONDA PARTE DEL CATECHISMO:

MORALE (5).

4. IL CULTO DEI SANTI.

Chiamiamo santi tutti coloro che sono morti in stato di grazia e che quindi sono in cielo ma soprattutto quelli che la Chiesa ha canonizzato.

La canonizzazione di per sé non ha il potere di ammettere nessuno in cielo; è la dichiarazione solenne del Papa, a nome della Chiesa, che una tale o tale persona (dopo un’indagine sull’intero corso della sua vita) ha vissuto una vita santa che (in base ai miracoli provati da essa operata) è in cielo e che dovrebbe essere venerata dalla Chiesa cattolica. La canonizzazione è sempre preceduta dalla beatificazione, che permette al santo di essere venerato da una parte della Chiesa, mentre la canonizzazione riguarda tutta la Chiesa. L’indagine sulla vita e sui miracoli di coloro che sono stati proposti per la canonizzazione è condotta da una giuria composta da cardinali, avvocati, medici e studiosi, e può avvenire solo 60 anni dopo la morte del santo. – A causa del loro numero, la differenza di luminosità e il fatto che la loro vita è più celeste che terrena, i santi possono essere paragonati alle stelle; alle pietre preziose, perché sono rari tra gli uomini, preziose agli occhi di Dio; a pecore, perché per carità si sono sacrificate per i loro simili; ai cipressi il cui legno non marcisce mai, perché hanno evitato la corruzione del peccato; ai cedri del Libano per la loro perfezione; al giglio odoroso, perché le loro virtù si diffondono come profumo tra gli uomini; all’incudine, che resiste ai colpi di martello, perché sono rimasti invariabilmente saldi, nonostante i colpi del destino (S. Efr.); al paradiso terrestre che era irrigato da 4 fiumi, perché possedevano le quattro virtù cardinali (S. Isid.); sono le colonne della Chiesa, perché la sostengono con le loro preghiere. (S. Cris.); sono per la Chiesa ciò che le torri sono per le città; le danno forza e grandezza.

La Chiesa desidera che veneriamo pubblicamente i Santi da essa canonizzati.

La Chiesa sa che il culto dei Santi è buono ed utile per noi (Conc. de Tr. 25); Perciò approfitta di ogni circostanza per incoraggiarci a farlo, dà ad ogni nuovo membro della Chiesa il nome di un Santo, come fa per la Cresima; in ogni giorno dell’anno, ricorda nel suo ufficio la memoria di uno o più santi; espone immagini di santi nelle sue chiese e li invoca nelle sue funzioni (messa, litanie, ecc.).

1. NOI ONORIAMO I SANTI PERCHÉ SONO GLI AMICI DI DIO, I PRINCIPI DEL CIELO ED I NOSTRI BENEFATTORI; IN PIÙ QUESTO ONORE CI PROCURA MOLTE GRAZIE DA DIO.

Onoriamo i santi perché saranno sempre amici e servitori di Dio. Chi onora un capo di Stato onora anche i suoi servitori, ministri, rappresentanti, ecc. Onoriamo i servitori perché questo onore si riflette sui padroni. Ed è questo il motivo per cui sono amati sopra ogni cosa sulla terra (Sant’Alfonso). Durante la loro vita, i Santi hanno rifuggito dagli onori; sono stati disprezzati, vituperati e perseguitati Dio vuole quindi che le loro virtù risplendano e che siano venerati da tutta la cristianità. (Cochem). Dio vuole anche che i fedeli di ordine inferiore ottengano la loro salvezza eterna per mezzo di quelli di ordine superiore. (S. Th. d’Aq.). Dio stesso onora i Santi ed opera meraviglie attraverso la loro intercessione e spesso punisce in modo eclatante coloro che li deridono. Gesù Cristo stesso ha detto: “Se qualcuno mi serve, il Padre mio lo onorerà”. (S. Giovanni, XÏJ, 26). – Noi onoriamo i Santi per il posto d’onore che occupano in cielo. Se già rendiamo onori così grandi ai governanti con cui Dio governa la terra, quanto più dovremmo onorare gli spiriti celesti di cui si serve per guidare la sua Chiesa, interi popoli, nonché per la salvezza degli uomini, e che di conseguenza sono di gran lunga superiori in dignità ai re (Cat. rom.). La maggior parte dei Santi hanno meritato il bene dell’umanità. Alcuni hanno estirpato il paganesimo nei nostri Paesi (come San Martino in Gallia, san Bonifacio in Germania); altri hanno preservato la fede per noi (Sant’Ignazio di Loyola fondando la Compagnia di Gesù) o hanno scritto libri di grande valore (ad esempio, sant’Agostino e san Francesco di S.). Dio spesso risparmia gli uomini per amore dei Santi: Sodoma sarebbe stata sarebbe stata risparmiata se ci fossero stati 10 giusti. (Gen. XVIlï, 32). Dio ha benedetto tutta la casa di Putifar a causa di Giuseppe (I. Gen. XXXIX( 5). 11 lasciò il suo regno a Salomone, Salomone, nonostante la sua perversione, a causa dei meriti di Davide (III Re XI, 12), e i giorni del giudizio saranno abbreviati a causa degli eletti. (S. Matth, XXIV, 22). I Santi pregano Dio dopo la loro morte per i loro parenti ed il loro popolo. Il profeta Geremia, dopo la sua morte, non smise di pregare per il popolo ebraico e per la città santa. (II. Mach. XV, 14). I Santi in cielo e i Cristiani sulla terra sono membri dello stesso corpo. Quando un membro soffre, tutti gli altri soffrono con lui e si sostengono a vicenda, ed è per questo che i Santi in cielo ci sostengono con le loro preghiere. (S. Bonav.). Grandi onori vengono tributati agli uomini che si sono dedicati ai loro contemporanei; si erigono loro statue, si celebrano i loro meriti in discorsi e canti, ed i loro nomi vengono dati ad istituzioni, città, monti e strade. Il faraone ha ricoperto Giuseppe di onori per i suoi servizi all’Egitto ed i Santi sono stati tra i maggiori benefattori dell’umanità. Certamente onoreremmo chi ci ha salvato da un naufragio, a maggior ragione dobbiamo onorare chi ha sopportato tanto dolore per salvarci dalla morte eterna. – Il culto dei Santi è sommamente utile (Concilio di Trento, 25); ci ottiene molti benefici da Dio e soprattutto la pronta risposta alle nostre preghiere. Quando desideriamo un favore da un sovrano della terra, lo otteniamo molto più sicuramente e prontamente attraverso uno dei suoi ministri. Così è con Dio, e più intercessori abbiamo, meglio è. DIO può concedere a molti Santi ciò che avrebbe rifiutato ad uno solo, così come un abate non rifiuterà facilmente un favore che gli viene chiesto da tutti i religiosi dell’abbazia. I mendicanti di una città chiedono il pane di strada in strada. Così nella città celeste dobbiamo passare per le strade degli Apostoli e dei martiri, vergini e confessori per chiedere la loro intercessione presso Dio. (S. Bonav.).

2. NOI ONORIAMO I SANTI, CHIEDENDO A DIO LA LORO INTERCESSIONE PRESSO DIO, CELEBRANDO ANNUALMENTE LE LORO FESTE, VENERANDO LE LORO IMMAGINI E RELIQUIE; PORTANDO I LORO NOMI, METTENDO LE COSE IMPORTANTI SOTTO LA LORO PROTEZIONE, LODANDO I LORO MERITI IN DISCORSI E NEGLI INNI. MA IL MODO MIGLIORE PER ONORARE I SANTI CONSISTE NELL’IMITAZIONI DELLE LORO VIRTÙ.

Dobbiamo essere compagni dei Santi in cielo, così da essere uniti a loro apparteniamo alla stessa grande famiglia, alla comunione dei santi; essi si interessano a noi, soprattutto se li invochiamo, cioè se chiediamo loro di intercedere per noi presso Dio. Invocandoli, riconosciamo il valore delle loro preghiere, è quindi allo stesso tempo un’espressione del nostro rispetto. – Celebriamo la festa dei Santi. I primi Cristiani annotavano il giorno della morte dei martiri, in modo da poterla celebrare annualmente. (S. Cipr. Il mondo celebra giubilei di eventi importanti; perché la Chiesa non dovrebbe farlo? Tuttavia, la maggior parte delle feste dei Santi sono celebrate senza solennità, solo alcune, secondo le usanze di ogni paese, sono giorni festivi. – Veneriamo i ritratti dei nostri genitori, quelli dei sovrani o degli uomini famosi ; ci piace ricordare i membri della nostra famiglia; custodiamo oggetti appartenuti a uomini famosi, della armi di eroi, l’aratro dell’imperatore Giuseppe II); i francesi hanno perfino un tempio a Parigi, il Panthéon, in cui sono sepolti i loro grandi uomini; questa venerazione dovrebbe a maggior ragione essere estesa alle immagini e alle reliquie dei Santi. – Ci piace dare a città, musei e istituzioni il nome di uomini famosi; quindi è giusto chiamarci con il nome di un Santo quando siamo battezzati, cresimati o ammessi a un ordine religioso. – Nel mondo, un’impresa importante è solitamente posta sotto il protettorato di un grande personaggio; ed è così che i Cristiani costruiscono le loro chiese, i loro altari, le loro città e i loro paesi sotto il protettorato dei Santi, che vengono chiamati “patroni”. – In tutto il mondo, gli uomini famosi sono ricordati con il loro nome e in loro onore si compongono cantate; la Chiesa fa lo stesso per i suoi Santi, celebrando la loro memoria con panegirici ed inni. – Ma la cosa più importante è imitare i Santi. “Onorare i santi senza imitarli significa adularli falsamente”. (S. Aug.) La lettura delle vite dei Santi è un modo perfetto per onorarli, se le leggiamo con il desiderio di prenderle a modello.

3. IL CULTO DEI SANTI NON È UNA RIDUZIONE DEL CULTO DOVUTO A DIO, PERCHÉ NOI ONORIAMO I SANTI SOLO A CAUSA DI DIO, NON LI ONORIAMO COME DIO, MA COME SERVI DI DIO.

Onorando i Santi, non diminuiamo in alcun modo il culto di adorazione che dobbiamo a Dio. Chi oserebbe affermare che il rispetto dovuto al sovrano sarebbe diminuito da quello accordato a sua madre, ai suoi figli, ai suoi amici? Al contrario, non farebbe che aumentarlo (S. Ger.). La venerazione dei Santi non è una diminuzione dell’adorazione di Dio come l’amore del prossimo non è una diminuzione della carità; l’una si rinforza con l’altra. (S. Ger.). Onoriamo i santi per Dio, perché sono l’immagine della sua santità, e come veneriamo l’immagine del sovrano, perché è una sua riproduzione, così veneriamo i Santi perché sono l’immagine fedele di Dio. La venerazione dei Santi vale anche per l’amore per il prossimo: noi amiamo il nostro prossimo solo perché è immagine e figlio di Dio. Inoltre, onoriamo i Santi perché sono stati strumenti di Dio per compiere azioni nuove e straordinarie. (S. Bern.). Non possiamo nemmeno onorare i Santi per se stessi, perché il merito delle loro opere appartiene a Dio, perché è stato Lui ad aiutarli a compierle. Non è il pennello a meritare il merito di un quadro, né la penna di una bella scrittura, né alla lingua quello di un bel discorso. Dio è dunque ammirevole nei suoi Santi (S. Bern.). Ecco perché la Beata Vergine non dice: “Ho fatto grandi cose”, ma “L’Onnipotente ha fatto grandi cose in me”. (S. Luc. I, 48). Quindi il disprezzo dei Santi è rivolto a Dio come loro culto. Gesù Cristo considera il disprezzo dei suoi Apostoli come diretto contro se stesso (S. Luc X, 10) e un atto di durezza verso il prossimo come commesso contro se stesso. (S. Matth. XXV, 40). A maggior ragione Dio dovrebbe risentire del disprezzo per i Santi, perché li ama molto più di tutti gli uomini della terra. “Chi onora i Santi onora Gesù Cristo stesso, e chi li disprezza disprezza Gesù Cristo” (S. Ambr.) – C’è un’altra ragione per cui il culto dei Santi non è un insulto a Dio: l’omaggio che rendiamo loro è assolutamente diverso da quello che rendiamo a Dio. Noi adoriamo Dio e non i Santi; sappiamo che c’è una distanza infinita tra Dio e i Santi, perché i Santi, che sono superiori a noi in dignità, sono tuttavia solo creature come noi. Noi ci limitiamo a venerare i santi come si fa sulla terra agli uomini di grande merito, o a quella che abbiamo per i pii servitori di Dio quaggiù, ma è tanto più profondo in quanto è rivolto ai Santi che sono entrati nella vita eterna come vincitori. (S. Aug.) I Santi rifiutano l’adorazione: quando Tobia e la sua famiglia si inginocchiarono davanti all’Arcangelo Raffaele, l’Arcangelo disse loro: “È Dio che dobbiamo glorificare e di cui dobbiamo cantare le lodi!” (Tob. XII, 18). Quando San Giovanni Evangelista cadde alle ginocchia dell’Angelo, quest’ultimo gli disse: “Non fare così, ma adora Dio”. (Apoc. XiX, 10). Quando ci inginocchiamo davanti alle tombe o alle immagini dei Santi, li adoriamo come un servo adora il suo padrone quando si inginocchia davanti a lui per ottenere un favore. Quando facciamo celebrare delle Messe in onore dei Santi, o dedichiamo loro chiese e altari, ci rivolgiamo a Dio solo, e chiediamo ai Santi di aiutarci con le loro preghiere ad ottenere da Lui le grazie di cui abbiamo bisogno che gli chiediamo in questa santa Messa, in questa chiesa e su questo altare; oppure ringraziamo Dio per aver condotto i suoi Santi in modo così mirabile alla santità.. Quindi il culto dei Santi non è idolatria. – Né la venerazione dei Santi è un atto di sfiducia nei confronti di Gesù Cristo, il nostro mediatore. È piuttosto un segno di sfiducia in noi stessi, un segno di umiltà. Non osando, vista la nostra indegnità, rivolgerci noi stessi a Gesù Cristo, ci rivolgiamo ad un intercessore le cui preghiere sono più potenti delle nostre.

4. È UTILE INVOCARE, NELLE DIVERSE CIRCOSTANZE DELLA VITA, DEI SANTI SPECIALI.

Questa utilità è dimostrata dai fatti. Per ottenere una buona morte, preghiamo S. Giuseppe (perché morì assistito da Gesù e Maria), per i bisogni materiali (fu il padre adottivo di Gesù Bambino); contro il pericolo del fuoco, S. Floriano (che annegò per la sua fede); S. Biagio (che ha miracolosamente guarito un bambino con una spina in gola) è invocato per le malattie del collo; S. Odile (che recuperò la vista quando fu battezzata) per le malattie degli occhi. S. Rocco (che curò e guarì gli appestati) contro la peste. S. Giovanni Nepomuceno (che morì come martire per il segreto della confessione), quando si è bersaglio di calunnie; S. Antonio di Padova (che si fece rubare un’opera finita e le cui preghiere ottennero che il rimorso costringesse il ladro a restituire l’oggetto rubato) a ritrovare le cose perdute, ecc. Sembra che Dio abbia concesso ad alcuni Santi un potere speciale per aiutare in certe necessità. (S. Th. d’Aq.). Possiamo concludere da alcune preghiere miracolosamente esaudite, che i Santi sono particolarmente interessati a persone che si trovano in una situazione simile alla loro, ai luoghi in cui vivevano o allo stato che professavano.

5. lL CULTO SOVRAEMINENTE DELLA MADRE DI DIO.

Le figure della Vergine nell’Antico Testamento erano l’albero della vita nel paradiso terrestre che doveva comunicare la vita all’umanità; l’Arca che salvò l’umanità dal diluvio; l’arca dell’alleanza che conteneva la manna; il tempio di Gerusalemme, che all’esterno era di un bianco abbagliante e risplendente (Maria era pura da ogni contaminazione e piena di amore divino); Giuditta, che uccise Oloferne, il nemico giurato del suo popolo; la regina Ester, esentata dalla legge comune (Maria era esentata dalla legge del peccato originale) e che, attraverso la sua mediazione salvò il suo stesso popolo in esilio; la madre dei sette fratelli Maccabei, che assistette alla morte dei suoi 7 figli e che (come Maria) ebbe il cuore trafitto da 7 frecce. – I santi evangelisti ci raccontano ben poco della vita della Beata Vergine. (Nel linguaggio teologico, questo culto superiore è chiamato iperdulico, dal greco per servizio superiore.). Di solito chiamiamo Maria la Madre di Cristo, Madre di Dio o Beata Vergine. – Già Santa Elisabetta chiamava Maria “Madre di Dio” (S. Luc. 1, 43), e il Concilio di Efeso (431) confermò il titolo di Madre di Dio contro l’eresia di Nestorio. Maria ha dato alla luce Colui che è Dio e uomo in una sola Persona. – Il bambino riceve la sua anima da Dio e tuttavia colei che lo partorisce è chiamata sua madre. Allo stesso modo Maria è giustamente chiamata Madre di Dio, anche se non ha dato la divinità a suo Figlio. – Maria è giustamente chiamata “Vergine beata”. Le parole rivolte all’Angelo provano la sua volontà di rimanere vergine (S. Luc I, 34)., e il profeta Isaia aveva già predetto che il Salvatore sarebbe nato da una vergine (Is. VII, 14). È il titolo che le conferisce il simbolo degli Apostoli: Maria concepì Gesù Cristo da vergine; partorì da vergine e rimase vergine. (S. Aug.). Così come il roveto ardente non fu distrutto dal fuoco, allo stesso modo la verginità di Maria non fu danneggiata dalla nascita di Cristo; così come Gesù Cristo è apparso in mezzo agli Apostoli, anche se le porte erano chiuse, allo stesso modo è venuto al mondo senza danneggiare la verginità di sua Madre. (S. Aug.). Egli è come un raggio di sole che passa attraverso il cristallo senza frantumarlo. (S. Aug.); questo cristallo rappresenta Maria, che è la finestra del cielo attraverso la quale Dio ha lasciato trasparire la vera luce (S. Cris.). Maria è la Vergine delle vergini (lit. lauret.). – I fratelli di Gesù Cristo (S. Matth. XIII, 55) sono i parenti di Cristo. Abramo chiamò suo nipote Lot suo fratello. (Gen. XIII, 8). Perché Gesù Cristo sulla croce avrebbe raccomandato sua Madre a San Giovanni, se avesse avuto altri figli che avrebbero potuto prendersi cura di lei? (S. Cris.). Gesù Cristo è stato chiamato il primogenito, cioè colui che secondo la legge (Esodo XIII, 2) doveva essere consacrato a Dio. Gesù Cristo era veramente il primo dei figli di Maria (Rm VIII, 29); Ella ne ha ancora molti altri, questi sono i Cristiani. (Sant’Alfonso). Maria sposò Giuseppe secondo un ordine divino solo per non essere lapidata e perché avesse qualcuno che si prendesse cura di lei e del divino Bambino. (S. Ger.). Si sottopose alla purificazione nel Tempio come Gesù alla circoncisione. Maria è una parola ebraica che significa donna o sovrana. (S. Pier Chris., Giovanni Dam.), Maria significa anche illuminata o illuminatore (S. Bern., S. Bonav.).

Noi onoriamo Maria, la Madre di Dio, con un culto diverso da quello degli altri Santi.

Maria era già molto onorata in vita dall’Angelo all’Annunciazione dell’Incarnazione: la chiamò piena di grazia e benedetta tra le donne (S. Luc I, 26). È un grande onore per l’uomo poter offrire i propri omaggi ad un Angelo che gli appare; nell’Annunciazione, non è l’uomo che onora l’Angelo, ma l’Angelo che saluta l’uomo. Ne consegue che Maria era una creatura superiore all’Angelo. (S. Th. Aq.). Maria non è stata meno onorata da santa Elisabetta: l’ha chiamata benedetta e Madre di Dio (Ibid. 42). Maria stessa aveva avuto una premonizione degli onori di cui sarebbe stata oggetto: “Tutte le generazioni – disse – mi chiameranno beata”. (Ibid. 48). La Chiesa ci esorta a questo culto speciale, poiché raramente dice il Padre Nostro senza aggiungere l’Ave Maria; suona la campana tre volte al giorno per ricordare l’Annunciazione dell’Incarnazione e il culto dovuto in suo onore; fa recitare le Litanie della Beata Vergine durante le funzioni pubbliche. Alla Madonna dedica due mesi, il mese di maggio, il più bello dell’anno, ed ottobre, come mese del Rosario; le ha dedicato numerose chiese, molte delle quali sono diventate famose come luoghi di pellegrinaggi, come Lourdes, Loreto, Maria Zell in Austria, Kevelær nella Prussia renana, Einsiedeln; titoli gloriosi come Mediatrice di tutte le grazie, Madre della Misericordia, Rifugio dei peccatori, Aiuto dei Cristiani, Regina del cielo, ecc. – Questo culto superiore (iperdulia) non è adorazione. “Noi onoriamo Maria -dice sant’Epifanio – ma adoriamo solo il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo”.

1. NOI ONORIAMO MARIA IN MODO SPECIALE PERCHÉ È LA MADRE DI DIO E LA NOSTRA MADRE.

Chi ama veramente Dio onora certamente la Madre di Dio, e più dei Santi che sono solo suoi amici.

Gli onori tributati alla madre di un re salgono al figlio stesso. Dalla devozione a Maria possiamo quindi dedurre il grado di carità (perfezione) di un Cristiano; e infatti i più grandi Santi sono stati i più devoti servitori di Maria. – Maria è veramente nostra madre, perché Gesù ce l’ha donata sulla croce. Le parole che rivolse a Giovanni: “Ecco tua madre” (S. Giovanni XIX, 27) vale per tutti i Cristiani, perché Giovanni li ha rappresentati tutti sul Calvario. (S. Aug.). Maria è la seconda Eva, quindi la seconda madre del genere umano. La prima l’ha persa con la sua disobbedienza, la seconda l’ha salvata con la sua sottomissione (S. Iren.). Una donna ha portato la morte nel mondo, un’altra ha riportato la vita. (S. Bern.). Maria è quindi anche la madre della Chiesa. – Maria, essendo nostra madre si preoccupa della nostra salvezza più di tutti gli altri Santi. (S. Germ.). L’amore di tutte le madri non arrivano all’amore di Maria per uno dei suoi figli (S. Bern.), e Maria ci ama tanto, perché tra tutti i Santi è animata dal più grande amore di Dio e di conseguenza dal più grande amore per il prossimo. Come la luna supera tutte le stelle, così l’amore di Maria per noi supera quello di tutti i Santi, e come il mare accoglie le acque di tutti i fiumi, il cuore di Maria contiene la carità di tutti i Santi. Maria conosce le nostre necessità; le conoscono anche gli Angeli (S. Luca XV, 7), e non è possibile che gli Angeli abbiano una conoscenza maggiore di quella della loro Regina. – Un bambino che ama sua madre. Ama la sua società, ed un buon Cristiano troverà piacere nella devozione a Maria.

2. NOI RENDIAMO UN CULTO SPECIALE A MARIA PERCHÉ DIO STESSO LA ONORA PIÙ DI TUTTI GLI ANGELI E DI TUTTI I SANTI.

I sovrani concedono privilegi alle città in cui sono nati o sono stati incoronati. Così il Re del cielo ha concesso a sua madre privilegi speciali.

Dio ha scelto Maria per essere la Madre di suo Figlio; l’ha preservata dalla macchia del peccato originale, risuscitò gloriosamente il suo corpo e la incoronò Regina del Cielo.

L’Angelo più perfetto non può dire a Dio: “Figlio mio!”. Che privilegio! Maria è veramente una madre ammirevole (Lit.), non solo perché è sia vergine che madre, perché è Madre degli uomini, ma anche perché è la Madre del Creatore e ha dato alla luce Colui che l’ha creata. Maria è il miracolo dei miracoli e nulla di ciò che esiste, tranne Dio, è bello come Lei (S. Isid.). – La sua purezza immacolata (preservazione da ogni peccato), è stata predetta nel Paradiso (Gen. III, 15) dalla maledizione rivolta al serpente: “Ti schiaccerà la testa”, e proclamata dall’Arcangelo Gabriele che la salutava piena di grazia..(Se Maria doveva schiacciare il serpente, non poteva prima essere sotto il suo dominio attraverso il peccato). Solo la dignità di Cristo esige questa purezza assoluta da Maria; quando Dio chiama qualcuno ad una posizione elevata, lo rende degno di essa, e il Figlio di Dio, che ha chiamato Maria alla maternità divina, non ha mancato di renderla degna di essa per grazia (S. Th. Aq.). Un uomo non abbandona al suo più mortale nemico la casa che ha costruito per sé, a maggior ragione lo Spirito Santo non ha consegnato Maria, il suo tempio, al principe dei demoni. (S. Cir. Al.). I Padri hanno sempre chiamato Maria la Vergine Immacolata; i Cristiani hanno sempre rivolto le loro preghiere alla Regina del cielo senza peccato, è per questo motivo che hanno eretto statue al riguardo. Dopo aver consultato i Vescovi di tutto il mondo, Pio IX ha proclamato l’8 dicembre 1854 che l’Immacolata Concezione1 di Maria è una verità rivelata da Dio e sempre creduta dalla Chiesa. Quando apparve a Lourdes nel 1858, Ella disse: “Io sono l’Immacolata Concezione”. (Preservazione, non remissione, del peccato originale fin dal primo momento dell’esistenza della Vergine). Maria è stata esente pure da ogni peccato attuale (Conc. Tr. VI, 23); ella è il cedro del Libano dal legno incorruttibile (Eccli. XXIV, 17), il giglio tra le spine (Cant. dei Cant. 11, 2), lo specchio (Sap. VII, 26). – Maria progredì rapidamente e ininterrottamente come la vite che cresce sempre (Eccli XXIV, 23) fino a raggiungere la cima dell’albero su cui poggia (S. Alf.). La luna completa la sua rivoluzione più rapidamente degli altri pianeti e Maria raggiunse la perfezione più velocemente degli altri Santi (S. Alf.); fece questo rapido progresso perché era più vicina a tutte le grazie e ne ha ricevute più di tutte le altre creature (S. Th. Aq.); Ella è quindi la creatura più santa e più perfetta. Fin dal primo momento della sua esistenza, Maria è stata più santa dei più grandi Santi alla fine della loro vita. (S. Greg. M.); per questo Maria è chiamata la torre di Davide, che si ergeva maestosa sulla collina più alta di Gerusalemme (Cant. dei Cant. IV, 4); è anche chiamata torre d’avorio (per la sua forza ib. VII,4), e specchio della giustizia (Lit.). Di tutte le creature Maria aveva il più grande amore per Dio ed il minore attaccamento alle cose terrene. Lo Spirito l’aveva incendiata come il ferro dal fuoco (S. Ildef.), da cui il titolo di casa d’oro (tempio della carità). – Maria si distinse in tutte le virtù, per questo è chiamata la rosa mistica perché, come la rosa è superiore a tutti gli altri fiori per la bellezza del suo colore e la dolcezza del suo profumo, così Maria è superiore a tutti i Santi per la perfezione della sua carità ed il profumo delle sue virtù, che la fanno anche paragonare ad una “Regina con una veste d’oro arricchita di vari ornamenti”. (Sal. XLIV, 8). – Dio ha dunque amato Maria più di tutti i Santi messi insieme. (Suar.). – Dio ha gloriosamente resuscitato il corpo di Maria. La tradizione racconta che San Tommaso, arrivato troppo tardi per la sepoltura di Maria, volle comunque vedere il suo sacro corpo. Quando il sepolcro fu aperto, il sudario fu trovato vuoto. La Chiesa universale celebra l’Assunzione il 15 agosto: qualsiasi reliquia del corpo della Vergine non può che essere una frode, Maria gode della gloria suprema in cielo; il sole, la luna e le stelle rappresentano Cristo, Maria e i Santi: la luna, per il suo splendore, è nella Scrittura l’immagine di Maria (Cant. dei Cant. VI, 9). È la Regina degli angeli, dei patriarchi, dei profeti, degli apostoli, martiri, confessori, vergini, di tutti i Santi (Lit.); è in grado, più di tutte le creature, di darci un’idea delle perfezioni divine (S. Isid.). La sua esaltazione ci dà una prova speciale della misericordia infinita di Dio che trae l’uomo dalla polvere della terra per elevarlo al di sopra di tutti i cori celesti. (Sal. CXII, 8).

3. RENDIAMO UN OMAGGIO PARTICOLARE A MARIA PERCHÉ LA SUA INTERCESSIONE È LA PIÙ POTENTE PRESSO DIO.

Questa intercessione è straordinariamente efficace, perché già qui sulla terra le sue preghiere sono state esaudite da Gesù Cristo, come vediamo al banchetto di nozze di Cana, Egli farà lo stesso in cielo. Il pagano Coriolano che i senatori ed i pontefici di avevano invano implorato di rinunciare ai suoi attacchi a Roma (49 a.C.), si lasciò piegare dalla preghiera della madre Veturia, anche se questa condiscendenza gli costò la vita; quanto più grande sarà la condiscendenza di Colui che ci ha ordinato di onorare nostra Madre. E se l’intercessione dei Santi, dei servi di Dio, è già così efficace; quale sarà quella della stessa Madre di Cristo? I desideri di Maria sono ordini per suo Figlio, (Sant’Antonino). Maria è la Vergine potente (Lit.), la supplicante onnipotente. (S. Bern.). – Ella può ottenere tutto per noi dal Re del cielo, proprio come una regina della terra ottiene favori per tutti coloro di cui prende in mano gli interessi. (S. Cir. Al.). Maria è la nostra speranza (Salve reg.), perché attraverso di Lei speriamo di ricevere ciò che non oseremmo promettere per noi stessi con le nostre preghiere. Maria è persino chiamata dispensatrice di tutte le grazie; come tutti i favori del re vanno ai suoi sudditi attraverso la porta del palazzo, così tutte le grazie dal cielo alla terra passano attraverso le mani di Maria. (S. Bern.). La luna riflette la luce del sole; e Maria riflette a noi i raggi del sole di giustizia (id.). Il Verbo non ha voluto incarnarsi senza il consenso della Beata Vergine, per farci conoscere che la salvezza di tutti gli uomini è nelle sue mani (S. P. Dam.). Ella stava sotto la croce per manifestare che senza la sua mediazione non si partecipa ai meriti del sangue di Gesù Cristo (Id.). Dio Padre decreta, Gesù Cristo concede e Maria distribuisce le grazie. Ella è dunque la Madre della divina grazia (Lit ). La preghiera della Madre di Dio è sempre esaudita, quando ciò è possibile con Dio. “Tuo figlio ascolta sua Madre: cosa si può dire di un tale Figlio e di una tale Madre!” diceva San Bernardo; È con questi sentimenti che ha composto il Memorare. Chi è colui che ha invocato Maria invano? Cessi per sempre di celebrare la sua clemenza!. “La sua invocazione è sempre così efficace che non è nemmeno necessario chiederle grazie specifiche, è sufficiente raccomandarsi in generale alla sua intercessione” (S. Ildef.). La più piccola preghiera a lui rivolta viene esaudita e colmata di grandi favori”. (S. Andr. Cors.). Non è così severa da lasciare un saluto senza risposta; Ella ci saluta ogni volta che la preveniamo (S. Bonav.). Maria è la Vergine clemente (Lit.); non c’è nulla di severo in Lei, è tutta bontà e dolcezza e saremmo noi ad avvicinarci a Lei con timore.. (Sant’Alfonso).

Da tempo immemorabile i Cristiani ricorrono a Maria nei pericoli.

Durante l’assedio di Vienna da parte dei Turchi nel 1683 (dal 16 luglio al 13 settembre) Vienna e tutto il mondo cattolico pregavano il Rosario. Il soccorso arrivò nel momento del maggior pericolo; ci fu la gloriosa vittoria del 12 settembre, di cui si ricorda l’anniversario nella festa del Santo Nome di Maria. Nome di Maria. – La Beata Vergine è l’ausilio dei Cristiani. (Lit.). – Anche i semplici fedeli amano rivolgersi a Lei nelle loro necessità. S. G. Nepomuceno ricorse all’immagine miracolosa di Altbunzlau nel suo terribile calvario (1393); Maria è la consolatrice degli afflitti. (Lit.). È a Lei che i Cristiani ricorrono nelle loro malattie. S. Giovanni Damasceno si fece tagliare la mano per ordine del Califfo, a causa dei suoi scritti sul culto delle immagini (+ 780); andò a gettarsi davanti a un’immagine della Vergine e fu guarito. Molti malati sono stati curati a Lourdes e dalla sua acqua, tra cui il famoso avvocato H. Lasserre, che fu guarito dalla cecità e scrisse la storia di questo pellegrinaggio. (1862): Maria è la salute degli infermi (Lit.). – I Cristiani si rivolgono a Maria anche quando, da peccatori sfortunati, desiderano convertirsi. L’invocazione di Maria invia su di loro lo Spirito Santo. È la stella del mattino (lit.) che precede il sorgere del sole; è l’alba (del perdono) (Cant. des Cant. VI, 9); “quando appare l’alba, le tenebre si dissolvono, così la devozione a Maria fa scomparire il peccato” (S. Alf.). – Il mese di maggio è particolarmente consacrato a Maria perché è il mese del rinnovamento. La devozione a Maria è la primavera dell’anima peccatrice. Santa Maria Egiziaca (+ 431) si convertì d’avanti ad un’immagine della Vergine nella Basilica della Croce a Gerusalemme. Maria è pronta a riconciliarci con Dio. Se una madre sapesse che i suoi due figli si odiano mortalmente, farebbe ogni sforzo per riconciliarli, ma Maria è la madre di Cristo, che odia il peccato, e la Madre di tutti gli uomini, anche dei peccatori che sono nemici di Cristo (Sant’Alfonso). – Come la luna si muove sempre tra il sole e la terra, così Maria è sempre tra Dio e il peccatore, e le sue preghiere placano facilmente la severità di Cristo. Alessandro Magno deve aver detto un giorno che una lacrima di sua madre avrebbe cancellato molte sentenze di morte; sarebbe un insulto a Gesù Cristo metterlo al di sotto di quest’uomo, di questo pagano, in termini di rispetto per sua madre. Maria è quindi il rifugio dei peccatori (Lit.); è la Madre della misericordia, rappresentata dall’albero d’ulivo (Eccles. XXIV, 29) che distilla su di noi l’olio del perdono. Maria è la nostra mediatrice. – I Cristiani invocano Maria nei momenti di tentazione. Gli israeliti, grazie all’arca dell’Alleanza, sono stati vittoriosi quando sono entrati nella Terra Promessa (Numeri X, 35) e contro i Filistei (I Re XIV); noi Cristiani siamo vittoriosi in tutte le nostre battaglie contro il diavolo grazie a Maria, l’Arca della Nuova Alleanza. -Maria è anche rappresentata dall’arca di Noè: in ella tutti trovano rifugio dal diluvio infernale. (S. Bern.). Così come la stella del mare guida i marinai attraverso le tempeste verso un porto sicuro, così Maria ci guida verso il cielo attraverso le tempeste della vita (S.Thom. Aq.). Maria è l’acero dei libri sapienziali (Eccli. XXIV, 19) che ci protegge dal sole e dalla pioggia; è un rifugio contro gli attacchi del diavolo, è la nostra protettrice contro di lui, è terribile per lui come un esercito schierato in battaglia (Cantico dei Cantici VI, 3). – Diamo a Maria diversi titoli per mostrare le ragioni della nostra fiducia nella sua potenza: la chiamiamo Nostra Signora del Buon Soccorso, Nostra Signora del Perpetuo Soccorso, Nostra Signora del Buon Consiglio, Nostra Signora dei Dolori, e così via.

La devozione alla Beata Vergine è un’eccellente mezzo per raggiungere la santità e la felicità nell’eternità.

È da notare che tutti i Santi avevano una devozione filiale verso la Vergine. È attraverso di Lei che hanno ottenuto da Dio le grazie più preziose. Tra i servi devoti di Maria vi sono S. Bernardo, abate di Chiaravalle (f 1158), S. Alfonso de Liguori, vescovo di S. Agata dei Goti (vicino a Napoli) e fondatore dei Redentoristi (+ 1787): egli recitava il rosario tutti i giorni, il sabato mangiava pane e acqua, recitava l’Ave Maria ogni ora, quando usciva e rientrava, all’inizio e alla fine delle sue azioni più importanti, al suono dell’Angelus. Fu lui a scrivere il bellissimo libro delle Glorie di Maria. – Maria è la porta del Paradiso. (Lit.). È la vera scala di Giacobbe sulla quale Gesù è sceso sulla terra e sulla quale noi saliamo a Gesù (S. Fulg.). L’inferno non può vantarsi di aver inghiottito un solo fedele servitore della Madre di Dio. (S. Alfonso). – Maria fu anche oggetto di venerazione da parte di molti uomini illustri. S. Bernardo credeva nella certezza della salvezza per coloro che quotidianamente onorano Maria; e S. F. Borgia teme per le anime di coloro che trascurano questa devozione.

6. IL CULTO DELLE IMMAGINI.

Il culto delle immagini risale ai tempi più antichi e risponde a un’esigenza della nostra natura. Il culto delle immagini è antico quanto il Cristianesimo (S. Bas.), come si può vedere nelle catacombe del mondo antico, dove si trovano immagini di Nostro Signore, della Beata Vergine con il Bambino, scene dell’Antico e del Nuovo Testamento, e soprattutto quelle che, in mezzo alle persecuzioni, ci ricordano la potenza di Dio e la futura risurrezione (La risurrezione di Lazzaro, Daniele nella fossa dei leoni, i tre giovani nella fornace, ecc.) Il culto delle immagini si diffuse con il Cristianesimo; crocifissi e statue di Santi decoravano non solo le chiese, ma anche i fori e le strade pubbliche (Eus.). – Questo culto trovò violenti oppositori tra gli imperatori d’Oriente (Leone III nell’anno 726 e altri) che fecero bruciare e distruggere le statue, cancellare le immagini imbrattate nelle chiese e martirizzare i difensori di questa tradizione: furono chiamati iconoclasti (rompitori di immagini). Ma il Concilio di Nicea del 787 dichiarò che solo l’idolatria fosse proibita e che il culto delle immagini fosse lecito. Il culto risponde perfettamente a un’esigenza della natura umana: noi onoriamo i ritratti dei nostri genitori, dei nostri amici, di uomini illustri, e la Divina Provvidenza vuole che l’uomo recuperi attraverso le cose sensibili la felicità effimera che gli hanno fatto perdere. (S. Greg. M.). – È vero che il culto delle immagini era severamente proibito agli Ebrei (Esodo XX, 4), perché gli Ebrei erano di natura molto sensuale, molto inclini all’idolatria e che il Figlio di Dio non era ancora diventato uomo. Ciononostante, c’erano dieci cherubini sull’arca dell’Alleanza nel Santo dei Santi e Mosè innalzò un serpente di bronzo nel deserto, il cui aspetto guarì gli israeliti avvelenati dai morsi di serpente (Num. XXI, 8).

Le immagini religiose sono quelle che rappresentano Cristo, i Santi o le verità religiose.

Cristo è generalmente rappresentato secondo un tipo uniforme; una figura al tempo stesso dolce e severa, con capelli lunghi e barba media; spesso ha il Sacro Cuore sul petto. Maria è rappresentata come Nostra Signora del Buon Soccorso con il Bambino Gesù in braccio, come la Madonna Addolorata (Pietà) con il corpo di Gesù sulle ginocchia, come Nostra Signora dell’Immacolata Concezione senza il Bambino Gesù, vestita di bianco e blu (ad esempio, la Madonna di Lourdes), come Regina del Cielo (Apoc. XII, 1), vestita d’oro, in piedi sulla luna e coronata di stelle. (Tra le immagini più famose della Vergine Maria c’è quella di Santa Maria Maggiore a Roma, dipinta secondo la leggenda da San Luca; la Madonna Sistina di Raffaello che porta in grembo il Bambino Gesù e appare a Papa Sisto: N. Signora del Perpetuo Soccorso, (41X52 ctm.) dipinto su tavola del XIII secolo, raffigurante Maria con il Bambino Gesù, a cui gli Angeli mostrano gli strumenti della Passione e che, spaventato, si aggrappa alla madre. Questa immagine si trova nella chiesa di di S. Alfonso, vicino a Santa Maria Maggiore e al Laterano). Le immagini del Santi si riconoscono dall’aureola: (questi effluvi di luce sono stati visti in molti Santi come Mosè, Santo Stefano e soprattutto Cristo alla Trasfigurazione). I Santi hanno anche i loro simboli caratteristici che indicano le loro funzioni (come i paramenti sacerdotali indossati da Papi e Pontefici), le loro virtù virtù (un giglio indica la purezza; un libro, la conoscenza; un cuore ardente, la carità; la palma, l’eroismo; l’ulivo, la dolcezza, e gli strumenti del loro martirio (spada, frecce, ruota). S. Pietro porta le chiavi. – I 4 Evangelisti traggono i loro simboli dall’inizio dei loro Vangeli: S. Matteo ha accanto a sé un uomo, perché inizia con la genealogia umana di Cristo; S. Marco, un leone, perché inizia con la predicazione di Giovanni, la voce nel deserto; S. Luca un bue, perché inizia con il sacrificio di Zaccaria nel tempio; S. Giovanni, un’aquila per la sublimità dell’inizio: In principio era il Verbo. La sua dottrina vola come un’aquila. Altre immagini simboleggiano i dogmi, come la Santissima Trinità, il Purgatorio, ecc. o rappresentano scene bibliche. (L’Annunciazione, il battesimo di Cristo, l’istituzione del Santissimo Sacramento, ecc.) – Le tre Persone divine sono rappresentate in base alle loro apparizioni (il Padre come un vecchio seduto su un trono, ecc.); è impossibile rappresentare Dio in sé, le immagini devono quindi solo simboleggiare le perfezioni e rendere percepibili gli atti. (Cat. rom.).

Alcune immagini sono chiamate miracolose.

Ci sono immagini miracolose della Vergine in molti luoghi di pellegrinaggio. Più di una di queste immagini è stata miracolosamente preservata dalla distruzione, o sono avvenute guarigioni davanti ad esse. Dio opera questi miracoli per proclamare la divinità della Chiesa, e qualunque cosa si pensi di ciascuno di essi nei dettagli, sarebbe quasi un’empietà negarli tutti in linea di principio; infatti, la Santa Sede controlla rigorosamente questi fatti soprannaturali e non incorona ufficialmente un’immagine fino a quando non sia stata perentoriamente provata.

La più vera di tutte le immagini è la Croce del Salvatore.

Le nostre chiese, i nostri altari, i nostri cimiteri sono tutti adornati con la croce; i Sacramenti non vengono mai amministrati, la Santa Messa non viene mai celebrata senza la presenza della croce, tanto grande è la venerazione della Chiesa per questo segno di salvezza. La croce brilla sulle corone dei principi, sui petti dei cittadini che si distinguono per il decoro; si erge nelle campagne, ai lati delle strade per consolare il viaggiatore e il contadino che bagna il suo campo con il sudore della sua fronte. La croce è la firma del povero ignorante incapace di scrivere; è l’ultimo oggetto che il morente stringe tra le mani e porta nella tomba: essa dovrebbe adornare la casa di tutti i Cristiani, ed è un cattivo segno quando vi si trovano solo immagini profane.

1. L’ADORAZIONE DELLE IMMAGINI CONSISTE NELL’ADORNARE LE PROPRIE ABITAZIONI, NEL PREGARE, SCOPRIRSI IL CAPO DAVABTI AD ESSE, DECORARLE O FARNE LA META DI UN PELLEGRINAGGIO.

Il culto che tributiamo alle immagini non si riferisce all’immagine materiale ma alla persona, Cristo o i Santi, che esse rappresentano (Conc. de Tr. 25). Con l’apparizione della croce, adoriamo Colui che è morto lì per noi (S. Ambr.). Non onoriamo quindi la materia, ma la persona (2° Concilio di Nicea). Alla presenza della croce, noi adoriamo Colui che è morto per noi (S. Ambr.) Così ne è per le immagini di Cesare: chi le insulta è considerato come se avesse insultato Cesare stesso. Baciamo i S. Vangeli per onorare la parola del Salvatore, indipendentemente dal lusso o dalla semplicità tipografica; se per qualche motivo il testo scomparisse, il libro cesserebbe di ricevere il nostro omaggio; è lo stesso delle immagini dei Santi. – Questo culto non è un’adorazione. Quando baciamo i nostri genitori o i nostri figli, non abbiamo altro scopo che mostrare l’affetto del nostro cuore; l’adorazione delle immagini non ha altro scopo che quello di mostrare il nostro amore per i Santi. (S. Nic.). Allo stesso modo in cui accendiamo candele o incenso davanti ai Santi, il culto delle immagini non ha altro scopo che mostrare il nostro amore per loro. Se accendiamo l’incenso davanti a loro, vogliamo solo simboleggiare il fuoco dello Spirito Santo e il profumo delle virtù dei santi. (S. Germ.). – Non è dall’immagine materiale che ci aspettiamo aiuto, ma da Dio per intercessione dei Santi. – Noi Cattolici, siamo ben lontani dal pensare, come fanno i pagani, che le immagini possiedano una virtù propria e di riporre in esse la nostra fiducia. Allo stesso modo, Mosè non confidava nella sua verga, ma nell’onnipotenza di Dio che gli ordinò di usarla.

2. L’ADADORAZIONE DELLE IMMAGINI È BENEFICA; CI DONA SPESSO DELLE GRAZIE STRAORDINARIE CHE CI AIUTANO AD EVITARE LE DISTRAZIONI E CI INCORAGGIANO A FARE IL BENE.

Le immagini di Dio e dei suoi amici, dice San Giovanni Dam., diffondono la grazia dello Spirito Santo. Il diavolo viene allontanato da ogni luogo in cui viene eretta una croce (Sant’Ambrogio). Più di un’anima immersa nel vizio è stata toccata e convertita alla vista dell’immagine come Santa Maria Egiziaca, ed i Santi, specialmente nella loro agonia, hanno amato fissare lo sguardo su un’immagine sacra. – Le immagini sacre ci proteggono dalle distrazioni; sono come una scala che ci permette di salire al cielo.(Alb. Stoltz); e poiché preghiamo meglio davanti alle immagini, queste preghiere sono più efficaci, come dimostrano i numerosi ex voto dei pellegrinaggi. – Le immagini sono un insegnamento, una lezione di dogma e di morale che dobbiamo imitare nei Santi, di cui queste immagini sono come una biografia (S. Germ.); le immagini insegnano ancora più efficacemente delle parole. – Ciò che colpisce l’occhio, diceva già Orazio (Art. poetica), ci commuove più profondamente delle parole. Per il popolo, le immagini sostituiscono i libri (S. Greg. M.); ecco perché, nel Medioevo, prima dell’invenzione della stampa, le immagini erano molto diffuse: i presepi e le stazioni della Via Crucis risalgono a questo periodo. Le immagini che i fedeli trovano nelle chiese sono come un riassunto per immagini della dottrina cristiana.

7. IL CULTO DELLE RELIQUIE.

Chiamiamo reliquie i resti dei corpi dei Santi o gli oggetti che sono stati in contatto intimo con Cristo o con i Santi.

Sono reliquie: l’intero corpo di un santo, un braccio, un piede o anche un pezzo di osso. Si trovano negli e sugli altari, o in possesso dei fedeli. Le reliquie autentiche portano sempre il nome del Santo e il sigillo di un Vescovo; il loro commercio è severamente vietato e solo il reliquiario può essere pagato. – Da sempre, l’uomo ha venerato oggetti che avevano un’intima relazione con Gesù Cristo e con i Santi; ad esempio, il Presepe, la vera Croce, la Veste di S. Pietro, la S. Sindone, il velo del Volto Santo, ecc. Il presepio di Gesù (frammenti) è conservata a Roma, a Santa Maria Maggiore; la Tunica senza cuciture a Treviri; una tunica di Gesù adolescente è ad Argenteuil; la tavola di cedro dell’Ultima Cena nella basilica Lateranense. C’è una S. Sindone a Torino ed il velo di Santa Veronica è a San Pietro a Roma. La Corona di spine a Parigi. La vera Croce fu trovata dall’imperatrice Sant’Elena nel 325: una parte di essa si trova nella chiesa del Santo Sepolcro a Gerusalemme, l’altra a Roma. – Noi consideriamo reliquie tutta la Terra Santa e le crociate (1096-1270) mostrano l’importanza che i Cristiani medievali vi annettevano. Il luogo dell’Annunciazione a Nazareth è particolarmente venerato, a Betlemme il luogo della Natività, a Gerusalemme il Cenacolo, la grotta dell’Agonia, il Calvario e il Santo Sepolcro, il luogo dell’Ascensione. Costantino e sua madre avevano costruito splendide basiliche in tutti questi luoghi. – Da tempo immemorabile sono venerati i paramenti, gli strumenti del martirio dei Santi, il luogo della loro nascita e della loro sepoltura. S. Girolamo riferisce che sant’Antonio eremita aveva ereditato da san Paolo eremita (+ 356) il suo mantello fatto di foglie di fico, che egli teneva in grande venerazione e che indossava solo nelle grandi feste dell’anno. La Chiesa primitiva costruiva già chiese ed erigeva altari sulle tombe dei Santi.

Le S. Reliquie sono venerabili, perché i corpi dei Santi erano templi e strumenti dello Spirito Santo che un giorno risorgeranno nella gloria. (Conc. di Tr. 25).

8. IL CULTO STRAORDINARIO DI DIO.

Onoriamo Dio anche con i giuramenti ed i voti.

Questo culto è chiamato straordinario perché il giuramento e il voto non fanno parte della vita ordinaria, ma si verificano solo in casi particolari: il giuramento, quando la testimonianza dell’uomo non è sufficiente; il voto, quando ci impegniamo liberamente. – Il giuramento onora Dio, perché riconosce la sua onnipotenza, giustizia e santità. Il voto è una sorta di sacrificio, perché sacrifichiamo la nostra volontà con la promessa di un’azione gradita a Dio (Gury).

I. Il giuramento.

A volte capita che la gente si rifiuti di credere ad un uomo. Questi allora porta un testimone che dice: Sì, l’asserzione è vera, ho visto il fatto, saremo più inclini a dare credito alla parola del primo. Questo sarà tanto più vero in quanto questo testimone sarà riconosciuto come più affidabile. Ora, può accadere che un uomo chiami Dio come testimone, cioè che chieda a Dio, che sa tutto, di provare con la sua parola la veridicità della persona che presta giuramento. In questo caso le parole dell’uomo passano come parola di Dio stesso. “Lo scopo del sigillo è quello di provare l’autenticità di un documento; e il giuramento è come un sigillo dato dalla divinità per confermare la verità (Marchant). Il giuramento è una preziosa moneta d’oro che porta l’impronta del Dio vivente (Stolberg). Gesù Cristo prestò giuramento davanti a Caifa, quando quest’ultimo gli chiese in nome di Dio di dire se fosse il Messia (giuramento di assertività). Esaù, al momento di scambiare la sua primogenitura, fece un giuramento che confermava la sincerità del suo impegno (giuramento promissorio).

1. PRESTARE UN GIURAMENTO SIGNIFICA CHIAMARE DIO A TESTIMONIARE CHE SI STA DICENDO LA VERITÀ O CHE SI È PRONTI A MANTENERE LA PROMESSA.

Nel fare un giuramento, si può chiamare direttamente Dio come testimone oppure delle cose sacre. Chiamiamo Dio direttamente come testimone quando diciamo ad esempio: Per Dio; certamente come Dio vive (Ger. XLII); Dio mi è testimone (Rm I, 9); che Dio mi punisca, se ecc.. – Le cose sacre che di solito vengono invocate nel giuramento sono i sacramenti, il crocifisso, il Vangelo, il cielo, ecc. Poiché questi oggetti sono di per sé incapaci di rendere testimonianza o di punire il bugiardo, è evidente che viene invocata la testimonianza di Dio. (S. Th. Aq.). Gesù Cristo stesso dichiara che si può giurare sul tempio, il cielo, il trono di Dio (S. Matth XXIII, 21). – Ma chi dice semplicemente certamente, per certo, sul mio onore, sulla mia coscienza, per quanto vivo, ecc. etc., rafforza solo la sua affermazione, ma non fa un giuramento. – Il giuramento è semplice o solenne; il primo si trova nei rapporti ordinari degli uomini, il secondo davanti alla legge o alle autorità (giuramento dei funzionari o delle truppe). Si giura a testa nuda davanti al crocifisso perché nulla sia nascosto agli occhi del crocifisso; si alzano le tre dita della mano destra in onore della Santissima Trinità. In alcuni paesi le parole alla formula del giuramento sono queste: Dio mi aiuti e il suo santo Vangelo, e si rinuncia alla grazia di Dio e alle promesse del Vangelo, se non dicono la verità. Gli ebrei giurano, a capo coperto, ponendo il palmo della mano sulla Thora (legge), a pagina 40. I maomettani alzano solo un dito, perché non credono nella Santissima Trinità.

2. NON SIAMO OBBLIGATI A RIFIUTARE ALCUN TIPO DI GIURAMENTO, PERCHÉ DI PER SÉ È PERMESSO E PERSINO ONOREVOLE PER DIO.

Se non fosse lecito giurare, Gesù Cristo non avrebbe giurato (S. Matth. XXVI,64), Dio non avrebbe giurato ad Abramo sul monte Moriah che la sua discendenza sarebbe stata numerosa come le stelle del cielo e i granelli di sabbia del mare (Gen. XXII, 16); S. Paolo non avrebbe giurato così spesso nelle sue lettere (Rm 1,9; I Cor 1,23). Inoltre, il giuramento ha uno scopo onesto, serve a risolvere le controversie (Eb. VI, 16).

– Il giuramento è gradito a Dio, perché attraverso di esso professiamo pubblicamente la sua conoscenza, la sua giustizia, il suo potere infinito. Gli atei non dovrebbero quindi essere ammessi al giuramento. Dio vuole che giuriamo in caso di necessità. Se Cristo ha detto:.”La vostra parola sia: sì, sì! no, no! ciò che è più è male” (S. Matth. V, 37), intendeva solo dissuadere i farisei dai giuramenti frivoli a cui erano molto inclini. I Cattolici non hanno quindi alcun motivo per rifiutare i giuramenti in linea di principio, come fanno alcune sette. – Tuttavia, nessuno dovrebbe estorcere il giuramento a chiunque; e chi sfida con un giuramento qualcuno che si induce a spergiurare, è peggiore di un assassino, perché quest’ultimo almeno uccide solo il corpo, mentre lo spergiuro uccide un’anima, anzi due anime: quella di chi giura e la propria, colpevole della morte del prossimo (S. Isid. di Pél.).

3. UN GIURAMENTO PUÒ ESSERE FATTO SOLO PER UN MOTIVO SERIO, IN VERITÀ. EQUITÀ E GIUSTIZIA (Ger. iv, 2.).

Il giuramento, dice Gesù Cristo, viene dal male (S. Matth. V, 37), cioè ha origine nelle cattive inclinazioni dell’uomo; se infatti egli si fosse mantenuto nella giustizia e nella santità originarie, il giuramento sarebbe inutile: è stato usato soltanto quando la sincerità e la fedeltà sono scomparse sempre di più dall’umanità. Quando il male ha corrotto l’universo, solo allora – dice S. J. Chr. – l’usanza del giuramento è stata introdotta; la menzogna e la malizia generale hanno distrutto la fiducia degli uomini nei confronti dei loro simili. La fiducia degli uomini nei loro simili era sparita, e cominciarono a prendere Dio come testimone delle loro parole. Il giuramento è un rimedio, dice S. Aug. usiamo l’uno o l’altro solo per motivi seri. Il giuramento è per un uomo ciò che il bastone è per uno storpio. Non è quindi permesso giurare per questioni banali, come fanno spesso alcuni commercianti. (Cat. rom.). L’abitudine di imprecare porta facilmente a giurare il falso. (S. Aug.). Chi giura spesso accumula crimini e le pene non spariranno dalla sua casa (Sap. XXIII, 12). Dobbiamo quindi giurare quando necessario; chi non parla non mente e chi si astiene dal giurare non dice il falso (S. Bern.). L’ordine di un’autorità è un motivo sufficiente per giurare. – Bisogna anche giurare in verità, cioè parlare come pensiamo o essere disposti a mantenere la parola data. Regolo ha dato un bell’esempio del mantenere la parola data. (250 A.C.). Egli fu fatto prigioniero dai Cartaginesi e tenuto in cattività per sei anni. Dopo avergli fatto giurare che sarebbe tornato in patria se le trattative non fossero andate a buon fine, Regolo si ritirò a Roma. Giunto a Roma, descrisse al Senato la debolezza di Cartagine e la esortò a entrare in guerra., poi tornò in prigionia anche se gli stessi pontefici volevano trattenerlo. S. Pietro, invece, spergiurò nel tribunale del sommo sacerdote (S. Matth. XXVI, 72). È vietato usare equivoci nel giuramento. (Innoc. XI). Tommaso Moro, cancelliere d’Inghilterra, fu imprigionato da Enrico VIII per ostilità contro la Chiesa; gli fu offerta la libertà se avesse giurato la seguente formula: “Mi sottometterò ai dettami del mio padrone e re”. Ebbene molte persone gli consigliarono di prestare questo giuramento al suo sovrano e re. “Questo non è permesso”, rispose, “devo giurare sulla verità”. Non è un peccato sbagliarsi, né essere incapaci di mantenere una promessa a causa di una malattia o di un rovescio. di fortuna. – devi giurare con riflessione, cioè prima di giurare dobbiamo esaminare attentamente la possibilità di mantenere la nostra promessa. Erode fece un giuramento avventato giurando a Erodiade che le avrebbe dato tutto ciò che lei chiedeva, perché allora ella chiese la testa di San Giovanni Battista (S. Marco VI, 23). – Si deve giurare nella giustizia, dire e promettere con giuramento solo ciò che sia permesso. I quaranta persecutori di S. Paolo si impegnarono con un giuramento a non mangiare o bere finché non avessero ucciso la loro vittima. (Atti XXIII, 12). I massoni oggi giurano di rifiutare i sacramenti sul letto di morte. Va da sé che tali giuramenti sono ingiusti e criminali,

2. LO SPERGIURO È UN ORRIBILE SACRILEGIO CHEVCOMPORTA MALEDIZIONE DIVINA E LA DANNAZIONE ETERNA.

Il falso giuramento è chiamato anche spergiuro. Lo spergiuro (cioè colui che giura il falso o che, giurando, intende non mantenere la sua promessa) è come un criminale che usa un sigillo ufficiale per commettere una falsificazione, un crimine degno di una severa punizione. (Marchant). Un falso giuramento è sempre un peccato mortale. (Innoc. XI). Nessun pugnale ferisce così mortalmente, nessuna spada uccide così crudelmente come lo spergiuro (S. G. Cris.). La maledizione di Dio cade sulla casa dello spergiuro (Zac. V, 3); Dio punisce spesso gli spergiuri con una morte improvvisa. Il re di Giud, aveva giurato fedeltà a Nabucodonosor e poi lo aveva tradito; Dio gli annunciò immediatamente, tramite il profeta Ezechiele (XVII), un castigo crudele e la sua morte a Babilonia, e infatti Nabucodonosor lo sconfisse, gli cavò gli occhi e lo portò a Babilonia dove morì (IV Re, XXV). Vladislao, re d’Ungheria, aveva concluso e giurato la pace con il sultano Murad II, nonostante ciò, riprese la guerra e nella battaglia di Varna fu ucciso con la maggior parte dei capi del suo regno (1444). Anche i codici penali umani puniscono molto severamente i giuramenti falsi. Carlo Magno ordinava che agli spergiuri venisse tagliata la mano destra; secondo altri codici, invece, agli spergiuri, venivano tagliate le tre dita con cui avevano giurato. – Chi giura senza un motivo sufficiente commette un peccato almeno veniale: Tuttavia, colui che ha la cattiva abitudine di giurare con leggerezza e che di conseguenza giura cose false, è, se è consapevole della sua abitudine, in stato di peccato mortale (Gury). – Se qualcuno ha giurato una promessa criminale, deve pentirsi e non mantenerla: questo è ciò che avrebbe dovuto fare Erode. – La rottura di una promessa è un peccato grave o leggero, a seconda dell’importanza della cosa promessa. Per questo giuramento è la stessa cosa che per un voto.

2. IL VOTO.

1. IL VOTO È UNA PROMESSA LIBERA FATTA A DIO DI COMPIERE UNA BUONA AZIONE.

Il voto è una promessa fatta a Dio; è quindi almeno un’invocazione mentale a Dio, perché gli diciamo, per così dire, che faremo una buona azione, con questo pensiero: Mio Dio! Te lo prometto, ecc. Il voto si differenzia essenzialmente dalla risoluzione, che non dà a nessuno, nemmeno a Dio, il diritto di esigere qualcosa da noi. Il voto è una promessa libera; nessuno è obbligato a farla (Deut. XXIII, 22), quindi nessuno può essere costretto a farlo. Un voto estorto con la forza è quindi nullo, ma non un voto fatto per paura di una malattia o sotto la pressione del bisogno, perché in questo caso la libertà non viene soppressa. – L’oggetto del voto deve essere gradito a Dio; e non si può promettere il male, come fece Iefte, che, prima di una battaglia, fece voto, in caso di vittoria, di offrire in olocausto la prima persona che uscisse dalla sua casa per andargli incontro: era sua figlia, che egli sacrificò. (Giudici XI). Un tale voto è sciocco ed empio (Ecclesiaste V, 3). Non è permesso adempiere ad un voto che può essere mantenuto solo con un crimine. Si promette generalmente un atto a cui non si è obbligati, ad esempio un pellegrinaggio; si può invece promettere un atto a cui si è già obbligati in altro modo, come l’osservanza dell’astinenza di domenica, la temperanza nel mangiare e nel bere. Se uno non adempie al suo voto, pecca doppiamente. L’unica figlia di un ricco produttore si ammalò; se fosse guarita, il padre promise di non farla lavorare la domenica e nei giorni festivi; la figlia guarì e tutti capiranno come e perché questo fabbricante è obbligato a osservare la domenica, in primo luogo per la legge generale, poi per l’obbligo personale contratto con il voto.

La maggior parte dei voti sono condizionati.

Questi voti sono come un contratto con Dio. Giacobbe ha fatto voto di offrire a Dio una decima dei suoi beni, se fosse tornato sano e salvo alla casa di suo padre. (Gen. XXVIII, 20). Le Rogazioni hanno la loro origine in un voto fatto durante una carestia da parte del santo Vescovo di Vienne, Mamerto (500); la processione di S. Marco, in un voto.voto di San Gregorio Magno; la rappresentazione della Passione, che si svolge ogni 10 anni a Oberammergau, ha anch’essa origine da un voto fatto (1633) dalla popolazione durante un’epidemia. Durante una grave malattia, Luigi di Francia si propose di intraprendere una crociata (1248). Molti Cristiani del nostro tempo durante una malattia o una prova fanno voto di recarsi in pellegrinaggio, “come testimoniano gli ex-voto esposti”, di fare una donazione ad una chiesa (come testimoniano gli ex-voto esposti) di far erigere una statua, di digiunare in determinati giorni, ecc.

I voti più importanti sono quelli religiosi, cioè la libera promessa fatta a Dio di seguire i consigli evangelici.

Questi voti sono quelli di povertà, castità e obbedienza. Sono molto salutari; ci separano completamente dal mondo per servire Dio in modo più perfetto. Sono anche molto graditi a Dio, perché con essi gli offriamo non solo le nostre azioni, ma tutta la nostra persona: dà di più chi dà non solo il frutto ma l’albero stesso (S. Ans.). C’è chi offre a Dio un ornamento, olio, cera, ecc., ma c’è un’offerta più perfetta e più gradita. (S. Aug.). – I voti della religione sono solenni (gli obblighi sono più gravi) o semplici. I voti solenni conferiscono una sorta di santificazione, di consacrazione interiore (S. Thom. Aq.); tuttavia, ciò che è una volta consacrato, non potrà mai più essere usato per scopi profani, a differenza di quanto avviene per la semplice benedizione. Chi ha fatto voti solenni è irrevocabilmente consacrato al servizio di Dio (Lehmkuhl). I voti solenni possono essere revocati solo dal Papa e per motivi molto seri. Prima di fare la professione, cioè di pronunciare i voti solenni, queste persone fanno prima un anno di noviziato e poi emettono i voti semplici per tre anni. (Pio IX, 19 marzo 1857). – Ci sono casi in cui il Vescovo e i superiori delle congregazioni possono revocare i voti semplici per motivi meno importanti.

2. IL VOTO RENDE PIÙ GRADITA A DIO LA BUONA AZIONE A CUI CI SI IMPEGNA. COLUI CHE QUINDI FA UN VOTO È PIÙ PRESTO ESAUDITO DA DIO E RAGGIUNGE LA PERFEZIONE PIÙ RAPIDAMENTE.

Il voto è un atto di fedeltà a Dio; è anche un sacrificio, perché si è rinunciato alla propria volontà a favore di una buona azione. Il digiuno praticato a causa di un voto è più perfetto del digiuno senza voto (S. Fr. di S.), per la stessa carità. Per questo Sant’Agostino scriveva: “La verginità non è tanto un onore, perché si è vergine, ma perché è consacrata a Dio”. – Ne consegue che i fedeli vincolati da un voto vengono esauditi prima: non appena gli abitanti di Oberammergau fecero il loro voto, la peste cessò immediatamente e nessuno morì. Anna, la madre di Samuele, fece un voto chiedendo al Signore un figliolo e ottenne questo grande profeta (I. Re I, 11). Queste grazie straordinarie sono la ragione di tanti ex-voto nei pellegrinaggi, di tante croci ai bordi delle strade, di tanti doni preziosi alle chiese. – Il voto porta più rapidamente alla perfezione (S. F. di S.); infatti, attraverso di esso otteniamo più forza per la pratica del bene, perché il voto rende la volontà più ferma (id). Il pensiero di aver promosso un atto di virtù al proprio Dio, ci spinge con più forza, al bene. “Molti santi – dice San Gregorio Magno -hanno fatto voti per imporsi i vincoli della disciplina divina”. Il voto ottiene anche grazie di scelta. Si può così, prima della festa di alcuni santi, obbligarsi con voto a fare delle novene, per la Quaresima e i mesi di maggio e di ottobre dedicati alla Vergine, e a fare digiuni, elemosine e varie devozioni. È sufficiente provare per vedere quali grazie speciali si ottengono.

3. NON ADEMPIERE AD UN VOTO, O RITARDARE IL SUO ADEMPIMENTO SENZA MOTIVO E UN’OFFESA A DIO (Deut, XXIII, 21).

Bisogna mantenere la parola data agli uomini, a maggior ragione a Dio. “È meglio non fare un voto che farne uno senza adempierlo”. (Eccles. V, 4). Il debitore negligente può essere consegnato alla giustizia, mentre chi inganna Dio rimarrebbe impunito? … (S. P. Dam). Chi viene meno ai suoi voti viene meno gravemente o leggermente, a seconda che l’oggetto sia più o meno importante o dell’intenzione di obbligarsi sotto pena di peccato mortale o veniale. – Un peccato contro un voto può costituire due colpe gravi, se l’atto è grave in sé e disonora Dio in particolare, ad esempio un peccato contro il voto di castità. – Una persona che non è in grado di adempiere al suo voto è dispensata da esso; è tuttavia obbligata a fare almeno ciò che può.

Prima di fare un voto, quindi, bisogna pensare seriamente alla possibilità di adempierlo.

Prima di costruire un edificio, si redige un preventivo e ci si chiede se si avranno i mezzi per finirlo (S. Luc XIV, 28). È quindi imprudente fare un voto perpetuo subito, è meglio iniziare con un voto temporaneo e poi prolungarlo. Francesco di Sales, che aveva fatto voto di recitare il rosario tutti i giorni fino alla sua morte, ammette di ammette di essersi pentito di essersi impegnato così presto. – S. Alfonso aveva fatto il voto di non rimanere mai inoccupato; ma prima di farlo aveva praticato per qualche tempo per verificarne la possibilità. – È quindi saggio consultare il suo confessore o un altro Sacerdote esperto. – Ecco perché la Chiesa impone a coloro che desiderano entrare in religione un intero anno di noviziato, che serve per esaminare la propria vocazione. Chiunque riconosca di non avere una vocazione e ciononostante abbraccia la vita religiosa, deve allora biasimare se stesso e non il suo stato.

Quando un voto non può essere adempiuto, bisogna farsene dispensare o farlo commutare dal suo Vescovo.

Gesù Cristo disse ai suoi Apostoli: “Ciò che sciogliete in terra sarà sciolto in cielo” (S. Matth. XVIII, 18); il Vescovo ha quindi il potere di commutare i voti. Di solito vengono commutati in opere più utili per la salvezza della persona interessata, come ad esempio la ricezione dei Sacramenti. – Ci sono cinque voti che il Papa ha riservato a se stesso per dispensarne: quello della castità perpetua, dell’ingresso in religione, del pellegrinaggio a Roma (tomba degli Apostoli), a Gerusalemme (Santo Sepolcro), a Compostela (tomba di San Giacomo). Il Vescovo può anche concedere queste dispense in casi urgenti, oppure quando questi voti sono solo condizionati, quando c’è un dubbio sulla libertà o la riflessione con cui il voto sia stato fatto o sulla disconoscenza delle sue conseguenze. – In tempo di Giubileo, i confessori hanno la facoltà di commutare i voti che non sono espressamente riservati. – Si è sempre liberi di commutare un voto più perfetto: Dio non si oppone alla generosità del debitore verso il suo creditore (S. Bern.).