1 Agosto: SAN PIETRO IN VINCOLI (2019)

San Pietro in Vincoli

Hymnus {ex Proprio Sanctorum}
Quodcúmque in orbe néxibus revínxeris,
Erit revínctum, Petre, in arce síderum:
Et quod resólvit hic potéstas trádita,
Erit solútum cæli in alto vértice;
In fine mundi judicábis sǽculum.

Patri perénne sit per ævum glória,
Tibíque laudes concinámus ínclitas,
Ætérne Nate; sit, supérne Spíritus,
Honor tibi decúsque: sancta júgiter
Laudétur omne Trínitas per sǽculum.
Amen.

Lettura 1


Dagli Atti degli Apostoli

Atti XII: 1-5
1 Il re Erode mise mano a maltrattare alcuni della Chiesa.
2 Uccise di spada Giacomo, fratello di Giovanni.
3 E vedendo che ciò piaceva ai Giudei, procedé anche all’arresto di Pietro. Erano i giorni degli azimi.
4 E fattolo catturare, lo mise in prigione, dandolo in guardia a quattro picchetti, di quattro soldati ciascuno, volendo dopo la Pasqua processarlo davanti al popolo.
5 Pietro dunque era custodito nella prigione. Ma dalla Chiesa si faceva continua orazione a Dio per lui.

Lettura 2
Atti XII: 6-8
6 Or, la notte stessa che Erode stava per processarlo, Pietro dormiva tra due soldati, legato con due catene; e le sentinelle alla porta custodivano la prigione.
7 Quand’ecco si presenta un Angelo del Signore e brilla una luce nella cella, e dato un colpo nel fianco a Pietro, lo risvegliò, dicendo: Lévati su in fretta. E caddero le catene dalle mani di lui.
8 Poi l’Angelo gli disse: Mettiti la cintura e lègati i sandali. Ed egli fece così. E gli soggiunse: Buttati addosso il tuo mantello, e seguimi.

Lettura 3
Atti XII: 9-11
9 E uscito che fu, lo seguiva, senza rendersi conto che fosse realtà quanto si faceva dall’Angelo; ma credeva di avere un’allucinazione.
10 E passata la prima e la seconda sentinella, giunsero alla porta di ferro che mette in città, la quale s’aprì loro da sé medesima; e usciti fuori, s’inoltrarono in una contrada, e d’improvviso l’Angelo si partì da lui.
11 Pietro allora, rientrato in se, disse; Adesso riconosco veramente che il Signore ha mandato il suo Angelo, e m’ha liberato dalle mani d’Erode, e da tutta l’attesa del popolo dei Giudei.

Lettura 4
Sotto l’imperatore Teodosio il giovane, Eudossia, sua sposa, essendo andata a Gerusalemme per sciogliere un voto, vi fu colmata di numerosi doni. Il più prezioso di tutti fu il dono della catena di ferro, ornata d’oro e di gemme, colla quale si affermava essere stato legato l’Apostolo Pietro da Erode. Eudossia, dopo aver venerato piamente detta catena, l’inviò in seguito a Roma, alla figlia Eudossia, che la portò al sommo Pontefice. Questi a sua volta glie ne mostrò un’altra colla quale lo stesso Apostolo era stato legato sotto Nerone.

Lettura 5
Mentre dunque il Pontefice confrontava la catena conservata a Roma con quella portata da Gerusalemme, avvenne ch’esse si unirono talmente da sembrare non due, ma una catena sola fatta dallo stesso artefice. Da questo miracolo si cominciò ad avere tanto onore per queste sacre catene , che la chiesa del titolo d’Eudossia all’Esquilino venne perciò dedicata sotto il nome di san Pietro in Vincoli, in memoria di che fu istituita una festa al 1° Agosto.

Lettura 6
Da questo momento, gli onori che usavasi tributare in questo giorno alle solennità dei Gentili, si cominciò a darli alle catene di Pietro, il contatto delle quali guariva i malati e scacciava i demoni. Il che avvenne nell’anno dell’umana salute 969 a un certo conte, famigliare dell’imperatore Ottone, il quale essendo posseduto dallo spirito immondo, si lacerava coi proprii denti. Condotto per ordine dell’imperatore dal Pontefice Giovanni, non appena le sante catene n’ebbero toccato il collo, il maligno spirito se ne fuggì all’istante lasciando libero l’uomo: dopo di che la devozione alle sante catene si diffuse in Roma sempre più.

Lettura 7
Lettura del santo Vangelo secondo Matteo
Matt 16:13-19
In quell’ occasione: Gesù venuto nelle parti di Cesarea di Filippo, interrogò i suoi discepoli dicendo: La gente chi dice che sia il Figlio dell’uomo? Eccetera.


Omelia di sant’Agostino Vescovo

Sermone 29 sui Santi, alla metà
Pietro è il solo degli Apostoli che meritò di udire: «In verità ti dico che tu sei Pietro, e su questa pietra io edificherò la mia Chiesa» Matth. XVI,18; degno certo d’essere, per i popoli di cui sarebbesi formata la casa di Dio, la pietra fondamentale, la colonna di sostegno, la chiave del regno. Così leggiamo nel sacro testo: «E mettevano fuori, dice, i loro infermi, affinché, quando Pietro passava, almeno l’ombra sua ne coprisse qualcuno» Act. V,15. Se allora l’ombra del suo corpo poteva portare soccorso, quanto più ora la pienezza del suo potere? se, mentr’era sulla terra, si sprigionava al suo passaggio tal fluido salutare per i supplicanti, quanta maggior influenza non eserciterà ora ch’è nel cielo? Giustamente dunque in tutte le chiese cristiane si ritiene più prezioso dell’oro il ferro delle catene onde egli fu legato.

Lettura 8
Se fu sì salutare l’ombra del suo passaggio, quanto più la catena della sua prigionia? Se la fuggitiva apparenza d’una vana immagine poté avere in sé la proprietà di guarire, quanta maggior virtù non meritarono d’attrarre dal suo corpo le catene onde egli soffrì e che il peso impresse nelle sacre membra? S’egli a sollievo dei supplicanti fu tanto potente prima del martirio, quanto più efficace non sarà dopo il trionfo? Benedette catene, che, da manette e ceppi dovevano poi cambiarsi in corona, e che toccando l’Apostolo, lo resero così Martire! Benedette catene, che menarono il loro reo fino alla croce di Cristo, più per immortalarlo, che per farlo morire!

(dal Breviario Romano, Mattutino).

La Santa Madre Chiesa ha istituito questa festa proprio per questi tempi, per richiamarci alla fiducia in Gesù-Cristo ed alla presenza ininterrotta fino alla fine dei tempi, del suo Vicario in terra che, se pur tra vincoli come ai tempi di Erode, è tra noi, impedito ed ammutolito dai nemici di Dio, tradito dai falsi prelati che sanno e restano cani muti, e da quelli che sono sotto costante ricatto perché … non amano la verità, ma il loro ventre … i precursori dell’anticristo che è oramai alle porte, quelli della lobby gay del “novus ordo” ed i fiancheggiatori empi delle sette sedevacantiste e dei fallibilisti disobbedienti delle fraternità paramassoniche. Pietro è vivo e presto tornerà libero ed operante quando il soffio di Cristo brucerà l’anticristo ed i suoi seguaci maledetti, gli usurpanti servi di satana.

Viva Pietro, il Principe degli Apostoli, Vicario di Cristo e pietra fondante la Chiesa Cattolica, l’unica Arca in cui c’è salvezza e vita eterna.

Qui mange le Pape meurt!!!

I SERMONI DEL CURATO D’ARS: 1 AGOSTO – Sul martirio dei MACCABEI

1 Agosto.

SUL MARTIRIO DEI MACCABEI (1).

Parati sumus mori, magis quam patrias Dei leges prævaricari”.

[Siamo pronti a morire, anziché violare le leggi di Dio e della patria].

(II de’ Maccabei VII, 2).

[I Sermoni del B. GIOVANNI B. M. VANNEY, trad. It. di Giuseppe D’Isengrad P. d. M. – vol. IV, Torino, Libreria del Sacro Cuore – 1908- imprim. Can. Ezio Gastaldi-Santi, Provic. Gen., Torino, 8  apr. 1908]

(1) La festa dei santi Maccabei si celebra con solennità nella diocesi di Belley e in altre circonvicine: un’antica chiesa di Lione era ad essi intitolata. (Nota degli editori francesi).

Tale risposta diede ad Antioco, famoso persecutore della religione, l’illustre famiglia de’ Maccabei. Quei giovani ebrei risposero coraggiosamente: « Dobbiamo a Dio un amore forte ad ogni prova, e nessun tormento potrà farci violare la fedeltà di cui gli siamo debitori. Eccoci: puoi farci patire; i nostri corpi sono in tuo potere; ma della nostra fede e del nostro amore non sei padrone; rispetto a questo non hai impero su noi; non aspettarti dunque che facciamo cosa la quale possa dispiacere al Signore: siam lieti di morire ». Non esitano punto: coll’aiuto di Dio son risoluti di perdere non solo i beni e l’onore, ma anche la vita. Vedete qual coraggio in quegli antichi martiri, che avevano meno grazie che noi? No, miei fratelli, questi santi martiri non avevano veduto come noi Gesù Cristo portar la croce al Calvario; non avevano ancor veduto quelle schiere di eroi che, conformandosi all’esempio di Gesù Cristo, con tanto coraggio han sacrificato la vita; essi invece segnavan la via. Non avevano come noi la bella sorte d’udir la voce di Gesù Cristo, il quale, dall’alto della croce, par che ci dica: « Venite, figli miei, salite sul vostro Calvario, com’io son salito sul mio ». Ecco un linguaggio capace di darci forza. Ma no, essi non ebbero sì bella sorte! Oh! se i nostri padri ricomparissero tra noi, potrebbero forse riconoscerci per loro figliuoli ed eredi nella fede? Ohimè! quanti fra noi, non per timor della morte o della perdita dei beni, ma per un meschino rispetto umano, un lieve timore d’essere scherniti, abbandonano Iddio e arrossiscono d’esser buoni Cristiani! Quanti altri disonorano questa santa Religione con una vita tutta pagana e secondo il costume del mondo? Per eccitarvi, fratelli miei, a non temer nulla, quando si tratta di piacere a Dio e salvar l’anima nostra, vi metterò sott’occhio il coraggio de’ santi martiri dell’antico Testamento e di qualcuno del nuovo. Ma non contentiamoci d’ammirarne l’intrepidezza e lo zelo per la gloria di Dio e la salute dell’anima loro. Raffrontiamo la loro vita con la nostra, il loro coraggio con la nostra viltà, i loro tormenti col nostro orrore alla penitenza, e vediamo se possiamo, com’essi sperare il cielo facendo quel che facciamo. Ohimè! quanti Cristiani dannati! Facciamo quanto è in poter nostro per imitar questi eroi.

I. — Se apriamo i Libri santi vediamo in tutti i tempi i buoni perseguitati dai cattivi. E questo dobbiamo aspettarci se vogliamo sperare il cielo. Vedete Abele e Caino, Giuseppe e i suoi fratelli, Davide e Saul, Giacobbe ed Esaù, ecc. Non abbiamo altro retaggio quaggiù, e ce lo provano abbastanza quelli che ci hanno preceduti. In ogni tempo chi volle esser di Dio dovette fare il sacrifìcio de’ suoi beni, della sua riputazione ed anche della vita: se vogliamo sperare eguale ricompensa dobbiamo imitarne l’esempio, altrimenti non avremo la sorte felice di aver parte a’ medesimi gaudi. Ecco un esempio che servirà a meglio convincervene. – Leggiamo nell’antico Testamento (1 Macc. I) che gli Ebrei, tornati dalla schiavitù di Babilonia, stettero in pace finché non salì sul trono l’empio Antioco. Questo re perverso suscitò la più crudele persecuzione che fino allora si fosse veduta. Dio, è vero, lo permise per far prova de’ suoi servi fedeli, e d’altra parte il profeta Daniele l’aveva loro predetto (Dan. XI). Era divisamento di quell’empio re abolire, se gli fosse riuscito, il culto del vero Dio. Intimò, sotto pena di morte, di profanare il sabbato e le feste, spogliare i luoghi santi, edificare altari e templi al demonio, e sacrificare animali, che la legge proibiva. Nel tempio fece porre un idolo infame, e i libri della legge furono distrutti ed abbruciati. Quei Giudei che volevano servire al Signore erano subito arrestati e puniti di morte. La citta santa fu abbandonata da’ suoi abitatori e diventò dimora de’ pagani. Il tempio rimase deserto, le feste si mutarono in duolo; tuttavia, non ostante i terrori che cominciavano a diffondersi per costringere i Giudei a rinunziare al vero Dio, parecchi risolvettero di non far nulla contro la legge e morire anziché violarla. Tra quelli che si mostrarono intrepidi fu un buon vecchio per nome Eleazaro, in età di novantanni, noto per la purità ed innocenza della sua vita (II Macc. VI). I persecutori l’arrestarono e gli comandarono di mangiar carne offerta agli idoli, altrimenti, secondo la legge del malvagio re, sarebbe fatto morire. Poiché vi si rifiutava, si volle costringerlo: alcuni gli aprivano la bocca: altri v’introducevano la carne, come se non sapessero, quegli insensati, che la volontà sola commette il peccato e che non è colpevole un’azione nella quale il cuore non ha parte. Eleazaro non poté esser vinto: volle piuttosto la morte che obbedire al re mangiando quella carne contro il divieto della legge. « Preferisco, diss’egli, una morte innocente ad una vita rea ». Mentre andava con gioia al supplizio ebbe ad incontrare da parte de’ suoi amici una prova, la quale, per ciò stesso, fu ben più formidabile che quella a cui l’aveva posto l’empio re. Venuti a visitarlo, gli dissero piangendo : « Amico, Siam venuti per salvarti, come ci siamo salvati noi. Faremo portar carne non immolata agli idoli, cioè al demonio, e tu, per condiscendere al nostro desiderio, la gusterai soltanto: e noi diremo agli ufficiali del re che hai obbedito. Ecco un mezzo sicuro di sfuggire la morte e conservarti al tuo popolo ». Ma il santo martire gridò: « No, no: non lo farò mai; mi si conduca subito al supplizio anziché commettere simile viltà che offenderebbe il mio Dio; piuttosto mi si getti vivo nel sepolcro; ciò mi è mille volte più caro. Ecché. mio Dio, mi si crede capace di dissimulare, all’età mia, e far credere che sia superstizione la mia religione? Io dar sì cattivo esempio alla gioventù che vuol prendermi qual modello! Io lasciar credere ad essa d’essere stato vinto dall’amor della vita e dal timor de’ tormenti? No, no! Ne’ brevi giorni di vita che mi restano non mi lascerò davvero andare a tale viltà. Quando pure oggi potessi, prostituendo l’anima mia e la mia coscienza, scansare i supplizi degli uomini, potrei forse sfuggire alla giustizia di Dio? No: moriamo costanti, amici miei, e mostriamoci degni della nostra età, poiché Dio si degna di eleggerci per darci come spettacolo alla gioventù. La morte, anche più crudele, è dolce del pari che gloriosa quando si fa a Dio il sacrificio della vita. Perché dovrei temere di perder la vita, che ben presto dovrò abbandonare senza merito, mentre sacrificandola adesso per amor di Dio, ne riceverò si bella ricompensa per l’eternità? Venite. carnefici, aggiungeva con singolare coraggio, venite, e vedrete quali sacrifici possono fare coloro cui sostiene la virtù dall’alto: mi toglierete un avanzo di vita, e mi procurerete in ricambio la vita eterna. Ah! mi par di veder gli Angeli che vengono a me per condurre in cielo l’anima mia (L’anima .di Eleazaro non poteva esser condotta immediatamente in Paradiso, perché il cielo era chiuso finché fosse compita la Redenzione. – Nota del Traduttore); no, no, amici miei, non temo né i tormenti né la morte: tutto questo è per me un bene. Moriamo pel nostro Dio, e li faremo vedere che l’amiamo veramente. Moriamo, figli miei, e lasceremo la guerra e i patimenti per andarcene in un luogo di pace, di gaudio, di delizie. Sì, mio Dio, vi faccio volentieri il sacrifizio della vita ». Oh! fratelli miei, quanto son belli questi sentimenti! E come son degni della grandezza d’un’anima bella e d’una Religione santa qual è la nostra! Tutte queste belle parole, da Eleazaro pronunziate dinanzi a’ suoi carnefici, avrebbero dovuto commuoverli e mutarne il cuore; ma no: divengono anzi più furibondi. Si scagliano su quel povero vegliardo, lo gettano per terra, lo spogliano, lo legano; i manigoldi armati di verghe, lo battono fino a perder la lena: ma tra tanti dolori raccoglie le poche forze che gli restano, e si volge al Signore dicendo: « Lo sapete, o mio Dio, che soffro per voi, per timore d’offendervi; sostenetemi, mio Signore, e fate che muoia per amor vostro ». Non cessarono di batterlo finché non ebbe reso la sua bell’anima a Dio. – Qual esempio per noi, miei fratelli: ma insieme qual vergogna per tanti codardi Cristiani che per un maledetto rispetto umano trasgrediscono sì spesso le leggi della Chiesa mangiando carne nei giorni proibiti! Ditemi, se foste stati posti a simili prove, avreste fatto come quel buon vecchio di novant’anni che volle morire anziché far mostra di mangiar la carne proibita dalla legge giudaica? Qual condanna per tanti apostati che si mettono sotto ai piedi le sante nostre leggi! Andate in occasione di fiera in una bettola in giorno di venerdì o in altro in cui sia vietato mangiar carne: vedete quelle tavole che ne sono coperte, osservate quei che ne mangiano. Ohimè! son padri, madri di famiglia, padroni e padrone che forse avranno con sé i loro figliuoli o i loro domestici; son cattivi Cristiani, e anche sacrileghi, che avranno adempiuto al dovere pasquale, e tante volte bau promesso di non più trasgredire questa legge! Quale idea si ha ai giorni nostri di Dio, della sua religione, delle sue leggi? Ohimè! miei fratelli, agli occhi del maggior numero de’ Cristiani la nostra santa Religione è ormai una chimera, un fantasma; non si conservano più che certe esteriorità, quando non ce ne viene alcuna molestia, o il conservarle non ci costa nulla: ma al menimo ostacolo dispregiamo tutto e pare che siam divenuti apostati. Oh! quanti Cristiani perduti! Son pur disgraziati, poiché commettono il peccato con tanta riflessione, sapendo pur bene che dan morte a Gesù Cristo, e strappano a Lui la loro povera anima per trascinarla all’inferno! Che cosa potranno rispondere quando Gesù li giudicherà? Diran forse che la loro fragilità o miseria li ha indotti a far questo? Quale vergogna per quei sciagurati apostati, di cui gli uni han peccato per empietà schernendo le leggi della Chiesa, altri per maledetto rispetto umano! Anziché sopportare l’onta d’una parola uscita dalla bocca d’un empio, d’un libertino, vollero piuttosto perder l’anima loro ed offendere Iddio!…. Passiamo ad altri esempi, fratelli miei, e vedremo che, se la vecchiaia è naturalmente più ferma nella fede, anche l’età più tenera ci dà esempi non meno grandi. Dopo i combattimenti di quel buon vecchio, entrarono in campo una madre coi sette suoi figli nel fior dell’età. Avevano tanto candore e tanta modestia, ch’erano a tutti oggetto d’ammirazione. Il crudele Antioco se li fece condurre dinanzi, e immantinente comandò loro di mangiar carne offerta al demonio, e senza replica conforme agli ordini da lui dati. Ad una voce ricusarono di farlo. A tal rifiuto li fece in sua presenza spogliare e ordinò che fossero battuti a colpi di flagelli e di nervi di bue, finche il loro corpo ne fosse tutto straziato. Il primogenito dei sette fratelli, non punto stupito di tale trattamento, parla pel primo e dice al tiranno: «Che cosa vuoi da noi? Impara che noi sappiano patire e morire, ma non tradire la legge del Signore ». Questa risposta fece salir l’empio Antioco in sì grande furore, che comandò tosto di far arroventar caldaie di bronzo, e mentre tutti i manigoldi s’affrettavano ad obbedirlo, furente contro quel giovane che a nome di tutti l’aveva affrontato, gli fece tagliar la lingua, strappare la pelle del capo, tagliar le mani ed i piedi sotto gli occhi della madre e dei fratelli. Fece poi accostare a tutte le parti del suo corpo strisce di ferro infocato; e siccome dopo siffatto tormento viveva ancora, ordina che sia gettato nella caldaia di bronzo, che il fuoco aveva resa ardente come una verga di ferro ch’esca dal fuoco, e si trattiene spietatamente a vederlo bruciare. Frattanto sua madre e i suoi fratelli s’incoraggiavano vicendevolmente a patire. « Orsù, figliuoli miei, gridava quella madre, coraggio! Con la nostra morte possiamo dar gloria a Dio e addivenire eternamente felici! Poiché tutti siamo condannati a morire pel peccato dei nostri progenitori, moriamo: la nostra morte avverrà in pochi istanti; ma avremo una ricompensa, una felicità eterna ». Morto il primo, fu preso il secondo. Prima di tutto gli si strapparono i capelli e la pelle del capo, chiedendogli se volesse mangiar di quella carne che gli sarebbe messa innanzi. Rispose che saprebbe patire e morire conforme all’esempio di suo fratello, ma non commetterebbe mai la viltà di violare la legge del Signore. Gli si fecero soffrire gli stessi tormenti, gli si tagliarono le mani ed i piedi. Vicino a rendere l’ultimo respiro disse al re: « Re scellerato, tu ci togli la vita presente; ma siam certi che il Signore, per cui la perdiamo, ce la renderà eterna ». Dopo questo si venne al terzo, che da sé stesso si presentò, e senza aspettare d’essere interrogato si offerse pronto ai medesimi supplizi. Gli si chiesero le sue mani e le presentò con gioia: « Dal cielo, disse, ho ricevuto queste membra, e le lascio volentieri in vostra balìa perché le facciate soffrire, dacché con questi patimenti posso glorificare Iddio e guadagnarmi il Paradiso ». – Ah! fratelli miei, se avessimo una fede viva al pari di quella di questi santi martiri, come dispregeremmo la nostra vita e i piaceri sensuali!…. Avremmo forse il coraggio di sacrificare ad essi così facilmente la nostra anima e la nostra eternità?…. Ah! se pensassimo alla nostra risurrezione che sarà tanto più gloriosa, quanto più i nostri corpi saranno stati sprezzati e perseguitati!… Di qual gloria appariranno cinte quelle schiere di martiri, che lasciarono mettere in brani il loro corpo!… Il re e i suoi cortigiani non conoscevano abbastanza qual forza dà la religione; e non potevano riaversi dal loro stupore. Ne divennero sempre più furibondi. Antioco passò al quarto de’ santi fratelli; non si die più la briga di minacciare, perché sapeva bene ch’era tempo perduto, e mise mano subito ai tormenti. Gli fece dunque strappare la pelle: gli si tagliarono le mani e i piedi e fu gettato in una caldaia rovente. Ma anch’egli rispose: « Non temo i tuoi tormenti, perché una risurrezione gloriosa ci aspetta, e il Dio che serviamo è tutta la nostra speranza: tu pure risusciterai un giorno, ma non alla vita: t’aspetta un’eterna morte ». S’impadronirono del quinto e il re disse furente: « Vedremo, se saran tutti egualmente insensibili ». Il giovinetto non aspetta che i manigoldi l’afferrino, ma corre loro incontro, e dal mezzo delle fiamme, ove il suo corpo era già tutto lacerato, leva tranquillo lo sguardo verso il tiranno: « Tu fai adesso di noi ciò che ti piace; ma verrà tempo in cui alla tua volta proverai il rigore della giustizia divina ». Il re non poteva più contenersi: « Finiamo, disse ai suoi carnefici, di sterminare questa famiglia insolente ». – Viene il sesto con la dolcezza dipinta sulla fronte: si fa innanzi con gioia e si abbandona senza terrore tra le mani de’ manigoldi. Quei manigoldi incominciano a straziarlo, gli strappano la pelle e gli tagliano mani e piedi: « Che temi tu, o re spietato? disse il martire generoso : non mi resta più che un fratello e la madre; un fanciullo e una donna; i miei fratelli m’aspettano in cielo: tu mi fai morire, e ne son ben contento ». Tuttavia più degno d’ammirazione è l’atteggiamento di quella povera madre, che vede senza versare una lacrima morir sotto i suoi occhi tutti i suoi figliuoli e in un giorno solo. Seppe sì bene frenare il suo dolore, che faceva invece quanto poteva per incoraggiarli. O madri, che m’ascoltate, se i vostri figli non sono religiosi, o piuttosto son senza religione, non ne incolpate che voi medesime!… Se aveste la bella sorte d’imitare questa madre generosa, se, com’essa, pensaste che Dio vi ha fatto dono de’ vostri figliuoli solo per darli al cielo!… « Ah! miei figliuoli, gridava loro mentre se ne straziavano i corpi e venivano fatti a brani, miei figliuoli, coraggio, morite pel Signore e il paradiso sarà vostro! Perdete pur codesta vita piena di miserie: ne avrete una felice ed eterna ». Ohimè! Quante povere madri, troppo deboli, vedono i loro poveri figli precipitare nel male, o piuttosto all’inferno senza versare una lagrima, fors’anche senza dire un Pater ed un Ave! Lasciamo da parte, fratelli miei, queste tristi riflessioni. Frattanto di sette figli restava a quella povera madre un solo, il più giovane. Antioco, pieno di confusione per non aver potuto vincere quei fanciulli, volle tentare un ultimo sforzo per guadagnare almeno questo. Gli fece belle promesse dicendo che lo annovererebbe tra’ suoi favoriti, purché rinunziasse alla sua religione. Ma il fanciullo era irremovibile. Il re, fingendo compassione, chiamò a se la madre coraggiosa: « Salva almeno, ten prego, quest’ultimo figliuolo. Sarà tua gioia e tua consolazione pei favori di cui lo ricolmerò ». Padri e madri, venite ad istruirvi: udite il linguaggio d’una madre, la quale sa bene che i figliuoli le sono dati per guidarli al cielo e non per dannarli. Disse dunque al figliuolo in presenza del re : « Figliuol mio, abbi pietà di colei che t’ha portato nove mesi nel seno, che ti ha nutrito per tre anni del suo latte, e ti ha allevato sino all’età a cui sei giunto: considera, figliuol mio, quel bel cielo: tu sei sulla terra soltanto per giunger là: vedi i tuoi fratelli, che siedono già su troni di gloria? Ti aspettano: conforme al loro esempio, sacrifica volentieri la tua vita pel tuo Dio ». Queste parole ispirarono al fanciullo così grande amor verso Dio, che si volse al carnefice dicendo: « Che aspetti? Credi tu ch’io voglia obbedire a’ vostri empi comandi? No, no: voglio mostrare che son degno di camminare sulle orme dei miei fratelli cui la vostra crudeltà ha posto su troni di gloria: essi m’aspettano: vedi che mi tendon le mani? Sì, com’essi sacrifico il corpo e la vita in difesa della legge del mio Dio ». Il re, allora, vedendo che una donna e un fanciullo si burlavano di lui, fu acceso di tal furore, che volle farlo soffrire anche più. Gli fece tagliar mani e piedi…. e alfine lo fece gettare in una caldaia arroventata, ove quel tiranno, con gioia diabolica, pigliava diletto nel vederlo soffrire. Rimase sola la madre in mezzo alle membra sparse de’ suoi figliuoli; da qualunque parte volga lo sguardo, vede i piedi, le mani, la pelle e la lingua dei suoi figli, gittate qua e là intorno ad essa per sempre più torturarla. Antioco, non avendo più speranza di espugnare l’animo della madre, le fece soffrire sì atroci tormenti, che morì tra i supplizi benedicendo Dio della lieta ventura che le aveva dato di vedere tutti i suoi figli morire e andarsene in cielo. Così morì quella madre beata, che lasciò la terra pel paradiso. Madre avventurata, i cui sette figli sono ora assisi su troni gloriosi! O figli fortunati, che aveste una tal madre, la quale vi ha dato la vita sol per condurvi al possesso di Dio! – Quanto ad Antioco, lo sciagurato tiranno la mano vendicatrice dell’Onnipotente lo punì in modo manifesto: fu colpito da una piaga invisibile ed incurabile, giusta pena ad un tiranno, che aveva inventato tanti supplizi per far soffrire i servi di Dio. Cadde dal suo carro, e si ammaccò tutto il corpo. Le sue viscere formicolavano di vermi, le sue carni cadevano a brandelli; mandava così insopportabile fetore, che niuno poteva avvicinarsegli o servirlo. Sentendosi colpito dalla mano invisibile di Dio, fece grandi promesse e prese le più belle risoluzioni; ma lo Spiritò santo ci dice che solo il timore de’ tormenti ve l’induceva. Dio non ascoltò la sua preghiera e lo sgraziato principe morì roso dai vermi. Così d’ordinario fluiscono gli empi, che par vivano soltanto per offendere Iddio, e indurre gli altri a far male. Dio, stanco delle loro empietà, li colpisce e li precipita all’inferno per purgarne la terra. Se vi fu sì grande differenza, fratelli miei, fra Antioco e quella madre coi suoi figliuoli, la differenza è anche maggiore di presente: il re è all’inferno, mentre quella madre e i suoi figliuoli sono in cielo. Oh! quanto pochi Cristiani ai dì nostri son pronti, non dico a dar la vita per Iddio, come fecero que’ sette fratelli, ma anche solo a sopportar la minima cosa per non violare le leggi della nostra Religione! Quanti vi sono che omettono la Confessione e la Comunione pasquale? Quanti non badano ai digiuni prescritti dalla Chiesa, e passano il tempo santo della penitenza come un tempo qualsiasi, senz’alcuna mortificazione, forse neppure astenendosi dal mangiare tra un pasto e l’altro? Ohimè! quanti altri frequentano pur le bettole, o, se nol fanno, passano almeno i giorni sacri alla penitenza, senza fare una preghiera o un’opera buona di più? E quanti senza difficoltà mancano alle funzioni parrocchiali, e forse vi mancheranno tre domeniche consecutive, sapendo benissimo di che li minaccia la Chiesa? (Forse il Beato allude qui a pene minacciate dalle Costituzioni sinodali di qualche diocesi particolare. – Nota del Traduttore). Quanti padri e quanti padroni costringono i loro figliuoli o i loro domestici a lavorare nel giorno santo della Domenica, e quanti poveri fanciulli stanno forse mesi interi senza assistere alle funzioni! Ohimè! quanti padroni dannati! Altri non si contentano di violare le leggi della Chiesa, spregiarle, farsene beffe; ma non fan conto alcuno della parola del Signore, che riguardano come parola umana. Quanti assistono alle sante funzioni senza divozione, e lasciano correre la loro mente, ove meglio le piace! A stento sanno che cosa vengono a fare in chiesa, e sarebbero in un bell’impiccio se dovessero rispondere a chi chiedesse loro, perché vengon alla santa Messa. Quanti fanno appena l’atto di mettersi in ginocchio!… Non si ha difficoltà di mancare ai vespri, all’istruzione, al rosario, alla Via Crucis, alla preghiera della sera. Taluni non fànno mai una visita al SS. Sacramento nell’intervallo tra le varie funzioni, e passano il giorno santo della Domenica meno bene che gli altri giorni. Oh! come osano poi sperare il cielo? Come possono credere che Dio debba far loro misericordia in quel giorno terribile, che ha fatto tremare anche i più gran santi, la cui vita era stata tutta opere buone, e che, per poche colpe leggere, avevano fatto tante penitenze? Quanti ancora tra codesti poveri Cristiani passano intere giornate senza pensare a Dio e senza far un po’ di riflessione sopra se stessi, cioè sulla lor povera vita, per concepire orrore de’ lor peccati, ed eccitarsi a far qualche opera buona onde attirarsi la misericordia di Dio! Ecco, fratelli miei, come si comporta la maggior parte dei Cristiani de’ nostri giorni! Non pensano punto alla propria salute: sono interamente occupati delle cose temporali, pensano che la morte non debba per essi giunger mai. E ciò nonostante quel momento arriva per tutti; e se non si è fatto nulla per assicurarsi il paradiso, la moltitudine de’ nostri peccati si affaccia alla nostra memioria, e insieme tutte le grazie disprezzate, le opere buone e le preghiere che si sarebbero potute fare e non si son fatte. In quel terribile momento si vedranno tutte lo anime perdute pei nostri cattivi esempi, che avremmo potuto condurre a Dio, se avessimo dati esempi buoni. Oh! quale infelicità si apparecchia chi è vissuto senza religione, senza far penitenza, senza esaminare a che l’obbligassero i Comandamenti di Dio e della Chiesa!.» Non così si deve fare, né così fecero i santi, ai quali stava tanto a cuore di piacere a Dio e salvar le anime loro, che non solo si studiavano di sfuggire anche i minimi peccati, ma di più passavano la vita nelle opere buone, nelle lacrime e nella penitenza. Gran numero di martiri sacrificarono la vita per assicurarsi il cielo; e ne abbiamo belli esempi nella storia de’ santi del nuovo Testamento. Vi citerò soltanto quello di S. Cosma e Damiano (Ribadeneira, 27 settembre).

II. — Erano due gemelli. La lor madre, timorata di Dio, ebbe tutte le cure possibili per istillar loro l’amor del Signore: parlava sovente ad essi della felicità di quelli che dan la vita per Gesù Cristo. I due fratelli, che avevano dinanzi agli occhi soltanto buoni esempi, furono naturalmente tratti ad imitare le virtù della loro madre. Oh! qual grazia, quale felicità pei figli l’aver buoni genitori! Oh ! quanti poveri figli van dannati, e sarebbero invece in Paradiso se avessero avuto parenti veramente religiosi! Mio Dio! Possibile che la mancanza di religione de’ parenti precipiti tante anime all’inferno? Sciagurati parenti, che pare abbiano figliuoli soltanto per trascinarli alla perdizione!… Come possono praticar la virtù quei figliuoli che han dinanzi agli occhi solo esempi cattivi? I figliuoli saran migliori de’ parenti, che non si confessano e non fan Pasqua, che punto non pregano, ma si levano e vanno al riposo come bestie da soma; che han sempre alla bocca cattive parole; che giungono sino a schernire e a censurare la Religione e chi la pratica, e mettono in ridicolo la Confessione e coloro che si confessano? I figliuoli, dico, saran migliori de’ loro parenti, che li lasciano vivere a loro talento, e permettono ad essi giuochi, balli e taverne; che forse vi passano anch’essi notti quasi intere con ogni sorta di libertini? Se un pastore, vedendo sì mali esempi, cercherà di far loro conoscere la colpa loro e quelle de’ loro figliuoli, andranno in collera, lo biasimeranno, ne diran male e faranno ai loro figliuoli mille contrarietà. Oh! quanti poveri fanciulli malediranno il giorno della loro nascita e i loro parenti, che, invece d’aiutarli a salvarsi, s’adoprarono a perderli con la lor poca cura nel fare ad essi conoscere i loro doveri religiosi e la gravezza del peccato!… Ohimè! fratelli miei! un giorno riconoscerete pur troppo che questo è vero!… Ma torniamo a’ nostri santi, ch’ebbero la sorte felice d’aver parenti sì virtuosi. Finiti i loro studi, riuscirono abilissimi nella medicina. La loro scienza era accompagnata dal dono della grazia, sicché col solo visitare gli infermi, restituivano ad essi la sanità: i ciechi riacquistavano la vista, gli zoppi camminavano, i sordi riavevan l’udito, e alla loro sola presenza i demoni fuggivano. Lo splendore di tante meraviglie li faceva da tutti ammirare; ma quest’alta rinomanza fu causa del loro martirio. Avendo gli imperatori Diocleziano e Massimiano rinnovato la persecuzione contro i Cristiani, mandarono nella città di Egea, qual prefetto, Lisia, perché ne facesse ricerca e li punisse secondo le leggi. Appena Lisia fu giunto in Egea, gli furono denunziati i due medici, che andavano di provincia in provincia e operavano stupendi prodigi nel nome di Colui al quale davano il nome di Gesù Cristo. Si aggiunse che per tal modo molti abbandonavano il culto degl’idoli per abbracciare una Religione all’atta nuova. Avuta questa denunzia, Lisia li fece arrestare. Quando gli furono dinanzi, pieno di collera disse loro: « Siete dunque voi quei seduttori, che andate per le città e per le province, sollevando il popolo contro gli dei dell’impero col pretesto di far loro adorare un uomo crocifisso? Se da questo momento non rinunziate a codesto Dio, e non obbedite agli editti degli imperatori, userò ogni sorta di tormenti per farvi patire. Ditemi i vostri nomi e la vostra patria » . — « Siamo Arabi, ed abbiamo nome, l’uno Cosma e l’altro Damiano. Abbiamo altri tre fratelli, che, come noi, adorano il vero Dio ». Lisia comandò loro d’offrir incenso al demonio. Poiché ricusarono, li fece mettere alla tortura, e fece loro soffrire supplizi terribilmente crudeli. Tuttavia i santi martiri erano così avvalorati dalla grazia di Dio, che ueppur sentivano i loro tormenti; sicché gli dissero: « Tu ci fai soffrire troppo leggermente; se hai altri supplizi, usali, perché questi neppur li sentiamo ». Il prefetto, divorato dalla rabbia, per sbarazzarsene più presto, li fece gettar in mare. Ma un Angelo ruppe le loro catene, li ritrasse dall’acqua e li ricondusse alla riva. Il prefetto, attribuendo questo prodigio al demonio, intimò loro d’insegnargli i sortilegi, di cui si valevano, per servirsene anch’egli com’essi. « Non sappiamo, risposero i martiri, che cosa sia magia, in nome di Gesù Cristo facciamo tutte queste cose. Se vuoi farti Cristiano, riconoscerai la verità di ciò che ti diciamo ». — « In nome del dio Apollo, riprese Lisia, voglio operare un simile prodigio ». Appena uscita dalle sue labbra questa bestemmia, due demoni s’impadronirono di lui, lo batterono senza misericordia, e lo avrebbero ucciso se i due santi non li avessero cacciati. « Vedi bene, gli dissero, che i tuoi dei non son che demoni, i quali cercano solo di nuocerti; riconoscerai adesso il nostro Dio, come il solo vero? Detesta dunque i tuoi idoli ». Non ostante la grazia ottenuta il prefetto rimase insensibile; di più fece condurre in prigione i suoi liberatori. Il giorno dopo comandò che gli fossero ricondotti innanzi, e, vedendo di non poterli vincere, fece accendere un gran fuoco e ve li fece gettar dentro. Ma essi passeggiavano in mezzo alle fiamme senza alcun dolore, anzi erano come in un giardino di delizie e cantavano inni di ringraziamento; e il fuoco, che non faceva loro alcun danno, si volse ad abbruciare gli idolatri, di cui gran numero perdette la vita. Queste meraviglie, che avrebbero dovuto convertire il prefetto, lo indurarono invece sempre più. Li fece stender sul cavalletto, ove i carnefici li tormentarono fino a perder la lena; poi furono appesi ciascuno ad una croce, per farne scempio a colpi di pietra; ma le pietre ricadevano impetuosamente su quelli che le lanciavano. Lisia, inasprito perché non riusciva a farli morire, diede egli stesso mano alle pietre per lanciarle sul loro capo; ma ricaddero su lui con tanta forza che gli spezzarono i denti. Diede poi ordine ai soldati d’armarsi di frecce per lanciarle contro i santi; ma anche queste, anziché nuocer loro, tornarono indietro e uccisero gran numero d’uomini e di donne venuti a vedere questo spettacolo. Il prefetto, disperando di farli morir in mezzo ai tormenti, li fece decapitare. Ecco che cosa può la grazia in un buon Cristiano, e ne’ figliuoli educati con cura da’ genitori, ispirando loro grande amor verso Dio, e sincero disprezzo dei beni di questo mondo e anche della vita. Avventurati figliuoli e beati genitori! Ecco, fratelli miei, come i buoni genitori salvano i loro figli! D’altra parte avete veduto, che i parenti senza Religione trascinano all’inferno con sé i loro poveri figliuoli, coi loro cattivi esempi, e col curarsi poco d’educarli nell’amor di Dio. Terminiamo, miei fratelli, dicendo che noi non siamo certamente esposti a prove sì grandi, come questi santi; ma se volessimo far buon uso delle pene, alle quali andiamo incontro, potremmo pur meritare la corona del martirio. Quante malattie, quante contraddizioni, quante umiliazioni, quanti disprezzi! Quante volte ci tocca rinunziare alla propria volontà, quanti sforzi dobbiam fare per perdonare e amare chi ci fa qualche cosa di male! Ebbene ecco il martirio, fratelli miei, cui Dio vuole che tolleriamo per meritare l’istessa felicità, di cui ora godono i santi! Chiediamo spesso, miei fratelli, a questi buoni santi d’ottenerci tal forza e tal coraggio nelle nostre prove quotidiane; così lavoreremo per piacere a Dio e pel paradiso. Questa felicità vi desidero.

CALENDARIO LITURGICO DELLA CHIESA CATTOLICA: AGOSTO 2019

CALENDARIO LITURGICO DELLA CHIESA CATTOLICA

AGOSTO 2019

LA CHIESA DEDICA IL MESE DI  AGOSTO ALLA B. V. MARIA ASSUNTA ED AL CUORE IMMACOLATO DI MARIA, MADRE DI DIO.

AD B. V. M. IN CÆLUM ASSUMPTAM

439 bis

Oratio

O Vergine Immacolata, Madre di Dio e Madre degli uomini!

I. Noi crediamo con tutto il fervore della nostra fede nella vostra Assunzione trionfale in anima e in corpo al cielo, ove siete acclamata Regina da tutti i cori degli Angeli e da tutte le schiere dei Santi; e noi ad essi ci uniamo per lodare e benedire il Signore, che vi ha esaltata sopra tutte le altre pure creature, e per offrirvi l’anelito della nostra devozione e del nostro amore.

II. Noi sappiamo che il vostro sguardo, che maternamente accarezzava l’umanità umile e sofferente di Gesù in terra, si sazia in cielo alla vista della umanità gloriosa della Sapienza increata, e che la letizia dell’anima vostra nel contemplare faccia a faccia l’adorabile Trinità fa sussultare il vostro cuore di beatificante tenerezza; e noi, poveri peccatori, noi a cui il corpo appesantisce il volo dell’anima, vi supplichiamo di purificare i nostri sensi, affinché apprendiamo, fin da quaggiù, a gustare Iddio, Iddio solo, nell’incanto delle creature.

III. Noi confidiamo che le vostre pupille misericordiose si abbassino sulle nostre miserie e sulle nostre angosce, sulle nostre lotte e sulle nostre debolezze; che le vostre labbra sorridano alle nostre gioie e alle nostre vittorie; che Voi sentiate la voce di Gesù dirvi di ognuno di noi, come già del suo discepolo amato: Ecco il tuo figlio; e noi, che vi invochiamo nostra Madre, noi vi prendiamo, come Giovanni, per guida, forza e consolazione della nostra vita mortale.

IV. Noi abbiamo la vivificante certezza che i vostri occhi, i quali hanno pianto sulla terra irrigata dal sangue di Gesù, si volgono ancora verso questo mondo in preda alle guerre, alle persecuzioni, alla oppressione dei giusti e dei deboli; e noi, fra le tenebre di questa valle di lacrime, attendiamo dal vostro celeste lume e dalla vostra dolce pietà sollievo alle pene dei nostri cuori, alle prove della Chiesa e della nostra patria.

V. Noi crediamo infine che nella gloria, ove Voi regnate, vestita di sole e coronata di stelle, Voi siete, dopo Gesù, la gioia e la letizia di tutti gli Angeli e di tutti i Santi; e noi, da questa terra, ove passiamo pellegrini, confortati dalla fede nella futura risurrezione, guardiamo verso di Voi, nostra vita, nostra dolcezza, nostra speranza; attraeteci con la soavità della vostra voce, per mostrarci un giorno, dopo il nostro esilio, Gesù, frutto benedetto del vostro seno, o clemente, o pia, o dolce Vergine Maria (Pio Pp. XII).

Indulgentia trium annorum.

Indulgentia plenaria suetis conditionibus, oratione quotidie per integrum mensem devote repetita (S. Pæn. Ap., 17 nov. 1951).

Queste sono le feste del mese di AGOSTO

1 Agosto S. Petri ad Vincula    Duplex majus *L1*

2 Agosto S. Alfonsi Mariæ de Ligorio Episc. Conf. et Eccles. Doct.    Duplex

             Primo Venerdì

3 Agosto De Inventione S. Stephani Protomartyris    Feria

             Primo   Sabato

4 Agosto Dominica VIII Post Pentecosten I. Augusti    Semiduplex Dominica minor *I*

                            S. Dominici Confessoris    Duplex majus

5 Agosto S. Mariæ Virginis ad Nives    Duplex

6 Agosto In Transfiguratione Domini Nostri Jesu Christi    Duplex II. classis *L1*

7 Agosto S. Cajetani Confessoris    Duplex

8 Agosto Ss. Cyriaci, Largi et Smaragdi Martyrum    Semiduplex

9 Agosto S. Joannis Mariæ Vianney Confessoris    Duplex

10 Agosto S. Laurentii Martyris    Duplex II. classis *L1*

11 Agosto Dominica IX Post Pentecosten II. Augusti    Semiduplex Dominica minor *I*

Ss. Tiburtii et Susannæ Virginum et Martyrum    Simplex

12 Agosto S. Claræ Virginis    Duplex

13 Agosto Ss. Hippolyti et Cassiani Martyrum    Feria.

14 Agosto In Vigilia Assumptionis B.M.V.    Duplex II. classis *L1*

15 Agosto In Assumptione Beatæ Mariæ Virginis    Duplex I. classis *L1*

16 Agosto S. Joachim Confessoris, Patris B. M. V.    Duplex II. classis

17 Agosto S. Hyacinthi Confessoris    Duplex

18 Agosto Dominica X Post Pentecosten III. Augusti    Semiduplex Dominica minor *I*

               S. Agapiti Martyris    Simplex

19 Agosto S. Joannis Eudes Confessoris    Duplex

20 Agosto S. Bernardi Abbatis et Ecclesiæ Doctoris    Duplex

21 Agosto S. Joannæ Franciscæ Frémiot de Chantal Viduæ    Duplex

22 Agosto

Immaculati Cordis Beatæ Mariæ Virginis    Duplex II. classis

23 Agosto S. Philippi Benitii Confessoris    Duplex

24 Agosto S. Bartholomæi Apostoli    Duplex II. classis

25 Agosto Dominica XI Post Pentecosten IV. Augusti    Semiduplex Dominica minor *I*

                S. Ludovici Confessoris    Duplex

26 Agosto S. Zephyrini Papæ et Martyris    Feria

27 Agosto S. Josephi Calasanctii Confessoris    Duplex

28 Agosto S. Augustini Episcopi et Confessoris et Ecclesiæ Doctoris    Duplex

29 Agosto In Decollatione S. Joannis Baptistæ    Duplex *L1*

30 Agosto S. Rosæ a Sancta Maria Limanæ Virginis    Duplex

31 Agosto S. Raymundi Nonnati Confessoris    Duplex

SALMI BIBLICI: “DOMINE QUIS HABITAVIT” (XIV)

Salmo 14: “Domine quis habitavit”

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS.

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.o

TOME PREMIER.

PARIS

LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR

13, RUE DELAMMIE, 1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

Salmo 14

Psalmus David.

[1]  Domine, quis habitabit

in tabernaculo tuo? aut quis requiescet in monte sancto tuo?

[2] Qui ingreditur sine macula, et operatur justitiam;

[3] qui loquitur veritatem in corde suo; qui non egit dolum in lingua sua;

[4] nec fecit proximo suo malum, et opprobrium non accepit adversus proximos suos.

[5] Ad nihilum deductus est in conspectu ejus malignus; timentes autem Dominum glorificat.

[6] Qui jurat proximo suo, et non decipit; qui pecuniam suam non dedit ad usuram, et munera super innocentem non accepit.

[7] Qui facit hæc non movebitur in æternum.

SALMO XIV

[Vecchio Testamento secondo la Volgata

Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

La scienza della salute, o la via alla vita eterna.

Salmo di David.

1. Signore, chi abiterà nel tuo tabernacolo, ovvero, chi riposerà nel tuo santo monte?

2. Colui che vive esente da ogni macchia e fa opere di giustizia:

3. Colui che dice la verità, che ha in cuor suo, e non ha ordita fraude colla sua lingua:

4. Non ha fatto danno al prossimo suo, e non ha dato ricetto alla maldicenza contro i suoi prossimi.

5. Negli occhi di lui è un niente il maligno; ma onora quelli che temono Dio.

6. Fa giuramento al suo prossimo, e non lo inganna; non dà il suo denaro ad usura, e non riceve regali contro dell’innocente.

7. Chi fa tali cose, non sarà smosso in eterno.

Sommario analitico

Davide in questo Salmo enumera le condizioni richieste a coloro che vogliono svolgere funzioni sacerdotali o levitiche, nel tabernacolo sulla montagna di Sion. In un senso più elevato, siccome questo tabernacolo e questa montagna erano figura della Chiesa, si possono vedere in questo Salmo le virtù che la Chiesa cristiana richiede ai suoi ministri. – Infine, con S. Agostino ed altri interpreti, si può dire che il Re-Profeta faccia qui l’elenco delle virtù che devono praticare qui giù i veri abitanti della casa di Dio, se vogliono arrivare al cielo e alla vita eterna.

Davide, volendo eccitare il desiderio del cielo, erge come una scala, per cui propone:

I. – il termine, cioè il cielo che è il tabernacolo di Dio;

  1. la sua santa montagna (1).

II. – I dieci gradini: .1) il desiderio perseverante di evitare il male e fare il bene (2); 2) la sincerità del cuore; 3) la fedeltà nelle parole (3); 4) la carità verso il prossimo; 5) l’odio dei detrattori (4); 6) la fuga dalla società dei malvagi; 7) le testimonianze d’onore date ai giusti (5); 8) l’orrore dello spergiuro; 9) la liberalità verso i poveri; 10) l’amore della giustizia e l’incorruttibilità nei giudizi (6).

Spiegazioni e Considerazioni

I. — 1.

ff.1. –  Curiosità biasimevole ed inutile è voler sapere il numero ed il nome di quelli che debbano essere salvati; ma curiosità santa e molto necessaria, è invece informarsi di cosa bisogna fare per essere di questo felice numero. – Occorre indirizzarsi a Dio stesso, che solo può istruirci, e domandargli con profondo sentimento di rispetto: « Signore, chi dimorerà nel vostro tabernacolo? » (Duguet). Il Profeta qui non dice “sulla vostra montagna”, prima di aver detto “nel vostro tabernacolo”, “nella vostra tenda”. Una tenda non è una dimora stabile, una tenda non ha fondamenta, la si trasporta da un luogo ad un altro, ed essa segue il cammino di colui al quale offre rifugio, perché essa non è radicata al suolo. Ma una casa vera e propria riposa su fondamenta solide. La montagna qui rappresenta la vita eterna (S. Gerolamo). – L’idea dell’eternità, dice San Tommaso, è collegata alla immutabilità.

II — 2-6.

ff. 2. –  « Colui che cammina senza macchia ed opera la giustizia. » Se colui al quale non manca alcuna virtù e che trascorre la sua vita senza peccato, è veramente senza macchia, in cosa differisce da colui che pratica la giustizia? Le due parti della proposizione hanno lo stesso senso, anche se bisogna dare a ciascuna di essa un significato particolare, nel senso che essere senza macchia, è avere tutte le perfezioni della virtù, secondo l’uomo interiore, mentre colui che pratica la giustizia è colui che produce al di fuori, con atti esteriori, la forza di agire di cui è dotata la sua anima. Pertanto noi dobbiamo non solo fare il bene, ma farlo nello spirito retto e giusto, secondo queste parole del Deuteronomio: « Voi ricercherete giustamente ciò che è giusto » (XVI, 20). – Così colui che cammina senza macchia, è perfetto interiormente; colui che pratica la giustizia è, come l’Apostolo (2 Tim. II, 15), un ministro degno di Dio. Notate ancora la precisione del linguaggio del Re-Profeta. Egli non dice: “colui che cammina”, “colui che ha praticato”; ma « colui che cammina senza macchia, che pratica la giustizia ». Perché un solo atto di virtù non è sufficiente a rendere l’uomo virtuoso, ma bisogna che la pratica della virtù abbracci tutto il corso della sua vita (S. Basilio, Psal. XIV). – Breve ma ammirabile questa risposta che riassume tutta la morale dei Profeti, del Vangelo e degli Apostoli. Due cose sono essenziali per essere salvati: – 1) camminare nell’innocenza, astenersi dal male, cosa che comprende tutte le azioni, sia esteriori che interiori e si estende a tutto il corso della vita; – 2) fare le azioni di giustizia. Il Profeta non dice “colui che pratica la castità, la saggezza, la forza”… o altre simili virtù, ma “… la giustizia”, che è la grande virtù, ed è come la madre di tutte le altre virtù (S. Gerolamo).

ff. 3. – Vi sono due tipi di inganni, uno nel cuore, l’altro sulla lingua. La verità deve essere prima nel cuore, e poi nella semplicità nelle parole (Duguet). – Alcuni hanno la verità sulle labbra ma non nel cuore. Essi sono simili a coloro che, conoscendo che una via è piena di pericoli, fraudolentemente la indicano dicendo: « andate di la e viaggerete in sicurezza ». Se accade in effetti che non si trovino pericoli, egli avrà detto il vero; ma non nel suo cuore, perché egli pensava il contrario, ed avrà detto il vero senza saperlo. È dunque poco dire una cosa vera se la verità non è nel cuore (S. Agost. e S. Girol.). « Dire la verità nel proprio cuore » è di una grande ampiezza: – 1) affezionarsi con il cuore e la volontà a tutte le verità rivelate; 2) amare queste verità e conformarvi la propria condotta; – 3) non dire mai nulla che il cuore neghi, e non parlare mai contro coscienza; – 4) non ingannare se stessi con falsi giudizi sul valore delle cose umane e delle cose eterne (Berthier).

ff. 4. Il Profeta intende qui il male premeditato che si farebbe al prossimo. Non è sempre in nostro potere non fare agli altri che cose piacevoli. Ci sono occasioni nelle quali si è obbligati a difenderci contro di essi, a reprimerli, a correggerli, a punirli anche. È la cattiva intenzione che qui il Re-Profeta condanna, è il desiderio di nuocere, è la malvagità che egli riprova (Berthier). Grande vigilanza ci vuole per non ferire nessuno, né con le parole, né con le azioni. – Dire o ascoltare maldicenze contro il prossimo, egualmente è agire contro la carità. – Più facile è non sgridare il prossimo per la maldicenza, che difendersi dalla credulità che vi consente, dalla malignità che ce la fa adottare, rilevare e da qui continuare nella maldicenza.

ff. 5. « Egli considera un niente il malvagio, ma glorifica coloro che temono Dio ». È segno di uno spirito veramente grande, incrollabile tra le vicissitudini delle cose umane, e di un uomo pervenuto al grado più alto della giustizia, rendere a ciascuno quello che gli è dovuto, il considerare i malvagi come gente da niente, qualunque sia la loro dignità, l’ammontare della loro ricchezza, lo splendore della propria nascita e i pretesi omaggi dei loro simili. Se l’uomo del bene scopre qualche traccia di iniquità o di ingiustizia, non ha considerazione per nessuno, nessuna stima, e questa è la prova di uno spirito veramente grande. Al contrario quelli che temono il Signore, fossero anche poveri, di natali oscuri, senza il dono della scienza né della parola, sono ai suoi occhi degni dei più grandi onori; egli li colma di lode e di gloria e, istruito dallo Spirito Santo stesso, proclama altamente che essi sono i soli beati (S. Basile). – Grande e rara virtù è detestare il male, non solo in sé, ma anche negli altri. – Vizio al contrario molto comune, è l’onorare i malvagi e considerare come gente da niente coloro che temono il Signore (Duguet). – Non si faccia alcun caso agli empi, considerati dal lato della loro empietà; si onorino coloro che temono il Signore: due sentimenti che nascono dall’alta idea che l’uomo giusto ha di Dio e della Religione. Tutti i talenti più brillanti, riuniti come in un nemico di Dio, non attirano l’ammirazione dell’uomo giusto; egli disprezza anzi colui che abusa in modo indegno dei doni di Dio. Al contrario, tutti gli svantaggi derivanti dalla nascita, dalla fortuna, dallo spirito stesso e dai talenti, riuniti in un uomo che teme Dio e che Lo serve, sono un nulla agli occhi del giusto. San Crisostomo considerava maggiormente l’abitazione di Aquila e Priscilla che il palazzo degli imperatori, perché Aquila e Priscilla, amici di San Paolo, avevano partecipato alle fatiche del suo apostolato. Questo grande Santo sapeva che la vera nobiltà non è legata alle dignità, ma alla probità ed all’innocenza dei costumi (Berthier). Tra le dieci condizioni richieste per abitare nella casa di Dio, o, se si vuole, i dieci gradini che conducono alla montagna santa, sette sono comuni ed obbligano tutti gli uomini, e sono sempre quelle che precedono; tre sono particolari a certi stati, ed obbligano solo in certi casi, e solo alcune persone. Per entrare nel regno dei cieli, bisogna dunque, indipendentemente dalle condizioni precedenti, badare al proprio giuramento, essere distaccato dai beni della terra e rinunciare ai guadagni sordidi, mostrarsi inaccessibile ad ogni interesse quando si tratta di rendere giustizia.

ff. 7. – L’unico e solido fondamento della salvezza, è praticare ciò che Dio comanda. – Ogni devozione che poggi su altri princîpi dai quali si ritiene venga la salvezza, è pericolosa o piuttosto è un errore pernicioso (Duguet). – Non ci si culli su leggere pratiche devozionali che impediscono forse un male peggiore, come l’empietà ed il disprezzo manifesto di Dio, ma che non fanno progredire un’anima e sono piuttosto un ostacolo perpetuo al suo progresso sulla via del bene. Costoro mettono la loro fiducia in cose da nulla, dice il profeta Isaia, e si dilettano delle vanità. La tela che hanno intessuto è una tela di ragno, e per questo, dice il Signore, « Le loro tele non servono per vesti, essi non si possono coprire con i loro manufatti » (Isaia LIX, 6.).

LE BEATITUDINI EVANGELICHE (-5A-)

BEATITUDINI EVANGELICHE

[A. Portaluppi: Commento alle beatitudini; S.A.L.E.S. –ROMA, 1942, imprim. A. Traglia, VIII, Sept. MCMXLII]

CAPO QUINTO (5A)

Beati misericordes: quoniam ipsi misericordiam consequentur.

Beati i misericordiosi perché troveranno misericordia

I.

LA MISERICORDIA DOPO LA GIUSTIZIA

Poveri noi, se Iddio per il nostro giudizio usasse la sola misura della giustizia! Se Egli ci giudicasse soltanto in base ai comandamenti e alla carenza delle nostre opere buone e se la sua sentenza fosse formulata sotto la fredda luce del diritto e del dovere, come mai potremmo noi salvarci? È vero, che Cristo Giudice non sarà appena giusto, ma anche ispirato dalla misericordia.

L’ABUSO DELL’INDULGENZA

Ed ecco, che l’uomo trova anche in questa consolante verità il pretesto per secondare ogni mala tendenza. Siamo tanto frivoli, da raggiungere tutte le forme della ingratitudine. Dietro la affermazione « Dio è buono », anziché favorire una volontà tenace nell’obbedienza e nel sacrificio, deponiamo, come in un rifugio provvido, il proposito di indipendenza e di ribellione. Ma l’abuso del senso del perdono, oltre ad essere grave offesa al Signore, è un piano inclinato su cui si scivola verso ogni bassezza. Abusare della indulgenza di Dio è provocare la sua più severa condanna. – E quando fossimo tentati in questo senso, subito reagiamo mantenendoci nella ferma ubbidienza alla legge del Signore. Provocare la divina giustizia è stoltezza. – Dice l’Autore della Imitazione: « O miserabile e sciocco peccatore, che cosa risponderai a Dio consapevole di tutte le tue iniquità, mentre ora talvolta tremi davanti ad un uomo sdegnato? » (I, 24, I).

Ma la misericordia esiste. La misericordia vive ed agisce. È anzi la nostra garanzia di salvezza. Sopra di essa noi poggiamo tutta l’opera della Redenzione. Non è per merito di questo attributo divino, forse, che noi leggiamo e gustiamo la storia della nostra liberazione dalla schiavitù di satana? Storia tragica, ma soffusa di una ineffabile atmosfera di indulgenza. In essa noi abbiamo la prova e il documento della potenza di Dio, che salva ciò che era perduto nella oscurità della colpa e che redime ciò che era smarrito dietro la vanità della mondana leggerezza. E sappiamo, che questa potenza salvatrice non s’è esaurita nei secoli, ma piuttosto sviluppata e affermata in una ricchezza e varietà stupenda di applicazioni. « Della misericordia del Signore è piena la terra ». Ed « è per la tua misericordia se noi non siamo ridotti in frantumi ».

DIO NON E’ NOSTRO SERVITORE

Penso alle colpe dei singoli contro la Divinità. È una cosa orrenda, una enormità, che l’uomo, creatura fragile, da un incidente minimo distrutto, ardisca ribellarsi contro il suo Creatore. Chi lo penserebbe d’un uomo verso un altro uomo, a lui superiore? Lo può fare un pazzo. Deve essere più che pazzo il peccatore, che sfida la giustizia del Signore. Talvolta l’incredulità si nasconde dietro il peccato e ne è la causa segreta. È una vera provocazione della Divinità, fatta da un essere di nessuna consistenza e tutto e in tutto alla sua mercé. L’uomo intende invitare Dio a dimostrargli la sua presenza e potenza e lo fa in tono di sfida insana. Ho letto una dimostrazione evidente del modo come Dio osserva questa pretensiosa empietà. – « Due uomini stanno davanti a un angolo della camera, coperto da una tenda.

A dice a B: — Sotto quella tenda sta un uomo con un’arma carica. B sorride e risponde: — Io non ci credo; tu vuoi darmela ad intendere per spaventarmi. A : — Certo, ci sta. Allora B : — Io voglio mostrarti che non v’è dentro nessuno. Si ferma indietro alquanto, poi grida verso la tela: — Ehi, tu, se effettivamente vi sei nascosto, uccidimi! A è terrorizzato e aspetta il colpo mortale; ma nessuno si muove.

Ride B e dice: — Vedi ora, che non v’è nessuno dietro la tenda? Ambedue si dirigono verso l’angolo, sollevando la tela e davvero vedono un uomo con l’arma carica in mano. Stupore e terrore di B. Il quale chiede all’uomo: — Perché non hai sparato? Egli risponde: — Devo io farlo quando lo dici tu? Puoi tu impormi qualcosa? — Così, allorché il bestemmiatore sfida apertamente la divina giustizia e Dio non risponde, non è lecito affermare che Dio non esiste, ma soltanto: — Dio, in questo caso non si muove. – Altrimenti Dio sarebbe alla mercé del nostro capriccio e noi potremmo provocare miracoli. Ha forse Dio il dovere di manifestare prodigiosamente la sua esistenza, per far piacere al peccatore? Quando entreremo nell’eternità, sarà levato il velo e il negatore fatuo e presuntuoso si sentirà invaso da una sorpresa spaventosa. – La più elementare prudenza deve suggerire all’uomo di non provocare la divina giustizia. Anche perché la sua legge è l’espressione delle esigenze della  nostra natura, del bisogno insopprimibile di elevatezza, della volontà di pace. È vero, che ci sono i negatori ostinati e affatto irragionevoli, caparbi e chiusi ad ogni prospettiva di luce. Si tengono estranei alle sollecitudini dello spirito con un’attenzione, che ha del diabolico, tradiscono quasi la paura della verità. Ma sovente, sotto l’animo amareggiato, che non sia scettico di proposito, anche se persiste a lungo nelle negazioni, si scopre come queste siano piuttosto « amantium iræ », capaci di diventare salde affermazioni di fede e di attaccamento alla verità. – Il peccatore, ha scritto Giovanni Papini, è « sovente crisalide miracolosa di possibile santità ». L a giustizia infatti è quaggiù lenta e paziente. Dio è Padre e amoroso e generoso; nondimeno si deve rimanere prudenti, davanti al pericolo. « Si nolueris servire charitati, necesse est ut servias iniquitati (S. Agost., in Ps. XVIII, 15).

PROCESSO Al POPOLI

Occorre altresì pensare alla giustizia nei confronti delle colpe dei popoli. Il Signore li processa quaggiù; poiché nell’altra vita entrano i singoli, non le collettività. È una cosa ben dolorosa vedere gli innocenti puniti insieme e per colpa degli iniqui. Ma Dio ha modo e sa compensare lautamente quelli e farli risplendere come oggetti della sua benevolenza. Sono essi infatti gli assertori della sua volontà; li glorifica e premia per impegno e riconoscimento di giustizia. Oggi lo vediamo sotto gli occhi nostri il processo da Dio intentato contro i popoli. L’apostasia da lui ha raggiunto le estreme conseguenze. Delle lacerazioni fatte alla Chiesa nel secolo X e poi nel XVI, che fu la più gravida di deleterie conseguenze, oggi assistiamo ai risultati visibili in una tragica affermazione delle passioni a Dio ribelli. L’avarizia e la lussuria esaltate dalla superbia. Ecco l’umanità che cammina verso l’autodistruzione.

« E disse: Va’ e dirai a questo popolo: Gli orecchi per udire li avete, ma non volete capire; avete gli occhi per vedere, ma non volete intendere. Acceca il cuore a questo popolo e indura le sue orecchie e chiudigli gli occhi affinché non vegga co’ suoi occhi, né oda coi suoi orecchi e non comprenda col suo cuore e si converta e lo risani ». (Is., VI, 9-10). E non soltanto il popolo ebreo ebbe ad essere vittima dell’ira giusta di Dio. Ira la quale si esprime e si effettua secondo l’ordine delle volontà umane; poiché il male reca in sé il seme del suo proporzionato castigo. Talvolta questo si avvera con lentezza, ma non falla, se non intervenga una disposizione contraria di Dio medesimo. La giustizia deve essere in ogni caso soddisfatta. A noi non è dato di conoscere le proporzioni in cui egli sa inserirvi la sua misericordia; ma certo è che la sua giustizia deve essere placata per intero. Ed è piuttosto ragione di conforto che di timore; giacché la giustizia è un bene, è una virtù, che onora Dio, è una garanzia per tutti. E oltre a ciò è il segno della serietà e del rispetto che Dio ha per noi. Egli mantiene la parola data e dimostra in noi fiducia. Si interessa alla nostra condotta, promettendo e minacciando, ci guarda con occhio di padre e non ci abbandona alla nostra sorte, come estranei. Nella « fedeltà » di Dio troviamo la ragione della nostra dignità di uomini.

II

IMITARE LA DIVINA MISERICORDIA

Non ci spaventa la divina giustizia, ma ci tiene svegli e attenti all’orientamento della nostra volontà. Il timor santo di Dio ha questo fine appunto. Sappiamo d’altronde quanto grande sia la sua misericordia, la quale in Lui è la stessa virtù. Un’armonia inesprimibile per noi, ma effettiva e reale. L’armonia della vita divina, dell’amore sovrano, della pietà sconfinata. È deplorevole, che noi non sappiamo sempre con vivezza e ardore sentire tutto questo, che è Iddio, poiché la nostra esistenza sarebbe ancorata così saldamente, da affrontare qualunque contrasto per il bene con animo vittorioso. Sentite come il poeta salmista parla delle attenzioni di Dio nei riguardi dell’uomo. « Circumduxit eum et erudivit eum; et custodivit eum sicut pupillam oculi; gli fece la guida, lo ammaestrò, lo custodì come la pupilla dell’occhio suo; Sicut aquila tegit nidum suum et super pullos suos circumblanditur — come l’aquila che addestra al volo i suoi piccoli e vola sovressi: expandit pennas suas et accepit eos; et elevavit eos super scapulas suas — stese le sue al Signore! sollevò Israele, e lo portò sulle sue spalle » Duter., XXXII, 10-12). È la parola dello Spirito Santo attraverso la mente di un popolo ancora agli inizi delle espressioni dell’amore di Dio verso di lui. Ma noi allora, che cosa dovremmo dire? Non ci bastano i simboli dell’amore umano più appassionato e più alto. La nostra anima è fasciata dalla sua misericordiosa bontà. La nostra giornata è segnata da sempre nuove prove della sua attenta tenerezza per noi. Le vicende della vita nostra recano sempre più palesi impronte del suo amore per i criteri nostri impossibile. Le parole della Scrittura, che lo cantano ed esaltano, sono appena un tenue attestato della riconoscenza dell’uomo. Non dicono a noi più grandi cose; perché assuete e senza profonde risonanze nel nostro spirito. Le riputiamo con sentimento, come il meglio che ci sia suggerito, come il canto dei secoli, come il grido delle anime fedeli d’ogni tempo, come l’eco di milioni di cuori commossi e grati. Ma vorremmo ben altre voci levare verso i cieli e con commozioni mille volte più profonde.

LA NOSTRA MIOPIA

Sappiamo tuttavia, che la migliore riconoscenza non è questa delle lodi, sebbene quella delle opere in sincerità di spirito. Queste sono la prova dell’amore, soprattutto se importano sacrificio, rinunce, sforzi della pigra volontà. E poiché siamo sotto l’impressione della divina misericordia, dimostrare a Dio la decisione di usar questa virtù nei nostri rapporti con i fratelli, con gli altri suoi figli. Sicché dover nostro è di farci realizzatori di misericordia. Quando viene la Domenica in cui leggiamo nel Vangelo la storia del servo iniquo, il quale dopo d’aver ottenuto con lagrime bugiarde la remissione del suo grosso debito, si mostrò crudele verso un collega, che gli doveva poche lire, ci pare di non poter trovare dei riferimenti pratici nella nostra vita comune, ci sembra, che per incontrare tanta malvagità occorra cercare assai lontano. Non ci sfiora lo spirito Il dubbio d’essere tante volte duri e cattivi con chi ci vive accanto. Manchiamo di coerenza e di sincerità. Siamo facili e pronti a trovare perdonanza per noi; stentati e sofistici a scoprire in noi colpe e deficienze. Usiamo le lenti d’ingrandimento sulle magagne dei prossimi e abbiamo gli occhi miopi per noi. Siamo nel fondo dell’animo soddisfatti di non vedere in noi gravità da condannare, ma non egualmente generosi se le si rilevano nei vicini. Ci pare insomma, che il bene altrui ci faccia piccoli e l’altrui colpa invece ci esalti. L’angustia del nostro spirito si accentua in presenza della generosità del Signore. Eppure, se siamo sinceri verso di noi, dobbiamo pur riconoscere, che il dominio delle cattive tendenze è cosa non facile. L’uomo è fragile davanti alla tentazione. Sta in questo appunto l’argomento psicologico che prova la verità del dogma del peccato originale. Manca in noi l’equilibrio delle tendenze: da un lato un gran desiderio di bene, di virtù, di elevatezza, da un altro invece il peso di tante forze di seduzione verso il piacere disordinato, e perciò, illecito e peccaminoso. È vero, che la grazia di Dio è per noi di vigoroso soccorso. Si vince con essa e la volontà di bene ottiene il sopravvento. Grande conforto per tutti e prova della sovrana esistenza del Signore su noi e sulla nostra vita morale. Ma la constatazione ci deve far sempre più persuasi della nostra debolezza. Orbene, se siamo deboli noi, lo sono pure i nostri prossimi; e se noi riteniamo d’aver diritto a compatimento e ad indulgenza, altresì i vicini, che soffrono di quello scompenso intimo e umiliante. È chiaro, che la bontà dei santi verso chi si presenta loro come colpevole, sia abbondante e spesso sorprendente. Essi, i migliori indagatori di spiriti, le guide e i consiglieri di tante anime, gli sperimentatori della vita sotto le sue facce più disparate, sono sempre anche sconfinatamente indulgenti e compassionevoli. Essi mirano in tutto a incoraggiare, a seminare confidenza, a stimolare l’abbandono totale nel Signore.

LA COMPRENSIONE DEI SANTI

Leggiamo una pagina dei Catechismi del santo Curato d’Ars. « Se ci elogiano un amico senza rammentarci, ne siamo contrariati; c’indispettiamo anche nel vedere che altri sono più virtuosi di noi, perché, pensiamo, saranno maggiormente amati e onorati. Se vediamo qualcuno, convertito da poco tempo, fare progressi rapidi nella virtù e raggiungere alla svelta un alto grado di perfezione, ne soffriamo e sentendo lodarlo, diciamo con afflizione: — Oh! non è stato sempre così; era come gli altri, ha fatto questo e quell’altro. Differentemente è il Cristiano, figlioli miei; lo paragonano a una colomba, perché è privo di livore; ama tutti i buoni, perché son tali, i cattivi per compassione e perché vede in essi delle anime riscattate dal sangue di Gesù Cristo. Prega per i peccatori e dice a Nostro Signore: Mio Dio non permettete, che periscano queste povere anime. Così si giunge al Cielo, mentre coloro che hanno stima di se medesimi, perché fanno qualche pratica di pietà, ma che vivono sempre nell’odio, nella gelosia, si ritroveranno spogli nell’ultimo giorno. Dobbiamo odiare soltanto i demoni, il peccato e noi stessi. È necessario acquistare la carità di S. Agostino, che gioiva vedendo un’anima buona: « Almeno, diceva, eccone una che risarcisce Dio del mio poco amore ». – Il rancore verso gli altri è lontano le mille miglia dalla vita cristiana. La dottrina di Gesù è troppo diversa e anzi opposta. Se pensiamo, per giustificarci, al male ricevuto dal prossimo, dobbiamo piuttosto chiederci, se non abbiamo noi stessi meritato l’umiliazione, la critica, l’avversione, per altri peccati. Ora il Signore permette, che noi li scontiamo; ma non è lecito giustificare in nessun modo il rancore. Del resto, neppure alcuna forma di vendetta. Senza la carità si è in contrasto con Dio. In punto di morte avremo davanti tutti i nostri difetti e le mancanze di ogni natura e non sarà una impressione lusinghiera; ma se potremo sentire che ciò nonostante abbiamo coltivato la carità e siamo stati pronti a reprimere ogni risentimento, dimenticate le ingiurie, perdonate le offese, potremo essere tranquilli. Il Signore della carità ci userà misericordia.

SALMI BIBLICI: “DIXIT INSIPIENS IN CORDE SUO” (XIII)

Salmo 13: “Dixit insipiens in corde suo”

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS.

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

TOME PREMIER.

PARIS

LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR

13, RUE DELAMMIE,1878

IMPRIM. Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.P

TOME PREMIER.

Salmo 13:

[1] In finem. Psalmus David.

 Dixit insipiens in corde suo:

Non est Deus.

[2] Corrupti sunt, et abominabiles facti sunt in studiis suis; non est qui faciat bonum, non est usque ad unum.

[3] Dominus de caelo prospexit super filios hominum, ut videat si est intelligens, aut requirens Deum.

[4] Omnes declinaverunt, simul inutiles facti sunt. Non est qui faciat bonum, non est usque ad unum.

[5] Sepulchrum patens est guttur eorum; linguis suis dolose agebant. Venenum aspidum sub labiis eorum.

[6] Quorum os maledictione et amaritudine plenum est; veloces pedes eorum ad effundendum sanguinem.

[7] Contritio et infelicitas in viis eorum, et viam pacis non cognoverunt; non est timor Dei ante oculos eorum.

[8] Nonne cognoscent omnes qui operantur iniquitatem, qui devorant plebem meam sicut escam panis?

[9] Dominum non invocaverunt; illic trepidaverunt timore, ubi non erat timor.

[10] Quoniam Dominus in generatione justa est, consilium inopis confudistis, quoniam Dominus spes ejus est.

[11] Quis dabit ex Sion salutare Israel? Cum averterit Dominus captivitatem plebis suae, exsultabit Jacob, et lætabitur Israel.

[Vecchio Testamento secondo la Volgata Tradotto in lingua mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

SALMO XIII.

Corruzione della umana natura, e profezia del Salvatore.

Per la fine, salmo di David.

1. Disse lo insensato in cuor suo: Iddio non è.

2. Si sono corrotti, e sono divenuti abbominevoli  ne’ loro affetti; non v’ha chi faccia il bene,  non v’ha neppur uno.

3. Il Signore dal cielo, gettò lo sguardo sui figliuoli degli uomini, per vedere se siavi chi abbia intelletto, o chi cerchi Dio.

4. Tutti sono usciti di strada, son divenuti egualmente inutili; non havvi chi faccia il bene, non ve n’ha nemmen uno.

5. La loro gola è un aperto sepolcro; colle loro lingue tessono inganni, veleno d’aspidi chiudon le loro labbra.

6. La bocca de’ quali è ripiena di maledizione e di amarezza; i loro piedi veloci a spargere il sangue.

7. Nelle loro vie afflizione e calamità, e non han conosciuta la via della pace; non è dinanzi a’ loro occhi il timore di Dio.

8. Non se n’avvedranno eglino tutti coloro i quali fan loro mestiere dell’iniquità, coloro che divorano il popol mio come un pezzo di pane?

9. Non hanno invocato il Signore; ivi tremarono di paura dove non era timore.

10. Perché il Signore sta con la stirpe dei giusti: voi vi faceste beffe dei consigli del povero, perché il Signore è la sua speranza

11. Chi darà da Sionne la salute d’Israele? quando il Signore ritornerà il suo popolo dalla schiavitù, esulterà Giacobbe e sarà in allegrezza a Israele.

Sommario analitico

Non si può dire con certezza a quale circostanza precisa della vita di Davide si riferisca questo salmo. – Il sentimento più probabile è quello che lo applica agli empi che osano negare Dio, se non con la bocca, con le opere criminali. San Tommaso l0 applica soprattutto ai Giudei, Bellarmino ai gentili. Si può applicare generalmente a tutti noi, perché come osserva Jansénius, il Re-Profeta descrive qui la moltitudine di malvagi che, persuasi che Dio non esista e non cercando di conoscerlo, non temono di darsi ad ogni tipo di eccessi per opprimere i giusti. Ma essi finiranno per conoscere, per loro sventura, che questo Dio che verrà li castigherà e libererà i giusti dalla violenza e dalla oppressione nella quale essi li tengono. San Paolo ha citato questo salmo quasi per intero. Può essere applicato a tutti gli atei.

Davide in questo salmo mostra:

I. – L’empietà dell’ateo.

1) Cieco nella sua intelligenza, con la quale nega perfino Dio (1);

2) nella sua volontà, ove tutte le affezioni, tutte le inclinazioni sono corrotte;

3) nelle opere che presentano l’omissione assoluta di ogni bene (2);

4) il Profeta conferma ciò che viene a dire dalla testimonianza di Dio, che attesta: a) la corruzione, gli artifici dei loro discorsi; b) le loro calunnie e le loro blasfemie, c) il loro incitamento a commettere il crimine e a spandere il sangue (3, 6).

II.Il castigo degli atei. – 1° Le angosce e la desolazione sono nelle loro vie (7), 2° essi non conoscono il sentiero della pace; 3° il timore del Signore non è davanti ai loro occhi, ed essi non hanno nessuna intelligenza né di questi disegni, né della sua giustizia (8); 4° essi non Lo invocano mai e per questo tremano la dove non c’è nulla da temere (9).

III. Il trionfo e la gioia dei giusti che Dio protegge: – 1° in questa vita, dimorando con essi con la fede e la carità (10); 2° consolandoli, con la speranza, nelle loro afflizioni; 3° dando loro la grazia della salvezza; 4° liberandoli da ogni cattività; 5° colmandoli di gioia e di allegria (11).

Spiegazioni e Considerazioni

I. — 1-6.

ff. 1. –  « L’insensato ha detto nel suo cuore … »; nessun uomo in effetti osa dire queste cose, anzi nemmeno pensarle (S. Agost.). – Tre tipi di atei vi sono, in rapporto alle tre facoltà dell’anima: l’intelligenza, la volontà e la memoria. Questo vuol dire che ci si può rendere colpevoli in diversi modi di questo errore insensato: per errore, per volontà, per dimenticanza. In primo luogo gli atei e i libertini, che dicono apertamente che le cose vanno secondo il caso e l’avventura, cioè senza ordine, senza governo, senza una condotta superiore. La terra contiene pochi di questi mostri, gli idolatri stessi e gli infedeli sono loro in orrore; e quando alla luce del Cristianesimo se ne scopre qualcuno, lo si deve stimare maledetto ed abominevole. Altri non negano fino a questi eccessi la divinità, ma pressati e spinti dalle loro passioni smodate, dalle leggi che li condannano, dalle minacce che li atterriscono, dal timore dei giudizi che li disturbano, preferirebbero che Dio non ci fosse; ancor più essi vorrebbero credere che Dio non sia che un nome, e dicono nel loro cuore, non per persuasione, ma per desiderio: « Non c’è Dio … ». Tre modi dunque, per dire che Dio non esiste: ciò che noi disdegniamo pensare e come un nulla ai nostri sguardi. Costoro, quindi, dicono in cuor loro che Dio non c’è, che non giudicano degno il pensare a Lui. Appena sono attenti alla sua verità quando si predica, alla sua maestà quando si sacrifica, alla sua giustizia quando colpisce, alla sua bontà quando dona; infine Lo ritengono talmente un niente, che pensano di non aver nulla da temere e che non abbiano che se stessi per testimone (Bossuet, Nécess. de trav. à son salut.). – L’empio domanda: perché c’è Dio? Io gli rispondo: perché Dio non dovrebbe esserci? È forse perché Egli è perfetto, e la perfezione è un ostacolo all’essere? Errore insensato; al contrario, la perfezione è la ragione dell’essere. Perché l’imperfetto sarebbe ed il perfetto non potrebbe essere? Perché l’Essere a cui nulla manca non sarebbe piuttosto che l’essere al quale manca qualcosa? Chi può dunque impedire che Dio non ci sia? E perché il niente di Dio, che l’empio vuole immaginare nel suo cuore insensato, perché – io dico – questo niente di Dio prevarrebbe sull’esitenza di Dio, e vorrebbe che Dio non sia l’Essere? O Dio, ci si perde in tale accecamento! L’empio si perde nel niente di Dio, che egli vuole preferire all’essere di Dio; in se stesso, quest’empio non si sogna di chiedere a se stesso perché egli è. (Bossuet, Elév. I Sein. 2° El.). – Gesù-Cristo è la sapienza, la giustizia, la verità, la santità; la sapienza è negata dalla follia, la giustizia dall’iniquità, la verità dalla menzogna, la santità dalla vita sensuale e viziosa; ed una volta che veniamo vinti dal vizio, è allora che neghiamo che Dio esista. Al contrario, tutte le volte che facciamo una buona azione, confessiamo, se non con la bocca almeno con le opere, l’esistenza di Dio (S. Girol.). – L’insensato ha detto nel suo cuore: « Dio non c’è »! Ecco che questo grido di inesprimibile delirio è stato inteso, questa negazione che se non parte dal cuore e dalla regione dei sensi, supporrebbe l’estinzione completa della ragione, è stato audacemente opposto alla credenza venerabile di tutti i secoli ed ai più eclatanti lumi dell’evidenza (Doublet, Psaumes, etc. T. III, 294).

ff. 2. –  Ecco la sequela naturale ma deplorevole della depravazione del cuore: la fede ed il timor di Dio, sono due freni salutari onde arrestare il peccatore; una volta rotti questi due freni, si precipita in ogni sorta di disordini. – Affezioni e desideri smodati, sono la sorgente corrotta delle azioni più abominevoli (Duguet). – Non peccare e fare bene, due cose differenti se si tratta del bene assoluto e perfetto; perché questi uomini, privati della fede e della grazia, ridotti alle sole forze della natura, peccano ordinariamente; ma essi fanno anche opere talvolta moralmente buone, che non si possono chiamare peccato, benché non siano assolutamente buone non conducendo al Bene sovrano (Bellarmino). – Il Profeta, in questo versetto e nel quarto, si leva contro coloro che non fanno il bene. Dio non si contenta dell’omissione del male, Egli giudica e condanna l’omissione del bene. Parole di Gesù-Cristo all’ultimo giudizio; molti, al giudizio di Dio avranno visto il bene; essi lo avranno anche consigliato, insegnato, lodato, ricompensato, ma se essi non lo avranno fatto da se stessi, non sfuggiranno al giudizio di Dio (Berthier).

ff. 3. – Si consideri qui: Chi guarda, è il Signore; da dove guarda? dal cielo, dal soggiorno che abita in particolare, e là dove apre ai suoi servitori tutti i tesori della sua divinità; siccome guarda da lontano tutta la terra, come un maestro guarda da un luogo elevato i suoi servitori che contravvengono ai suoi ordini; cosa guarda? … i figli degli uomini; con quale fine? … per vedere, non per apprendere ciò che non conosce, ma per portare soccorso, alfine di vedere se c’è qualcuno che conosca Dio. Dio infatti è meno cercato che conosciuto: ricorrere a Dio per ottenerne beni temporali, non è cercare Dio, è cercare i beni della terra. – Quale spettacolo agli occhi della fede! Dio dall’alto del cielo, affacciandosi sulla terra ed interrogando con i suoi sguardi tutti gli uomini che l’abitano o la percorrono, più o meno occupati nei loro affari, cerca di scoprire – in questa folla innumerevole di esseri che Egli ha creato a sua immagine – un uomo, un solo uomo intelligente che cerchi Dio per conoscerlo meglio ed affermarsi nella fede della sua esistenza, sia per amarlo, sia per servirlo con più ardore. Ma non ne trova! (Rendu.). – Gli uomini non vogliono cercare Dio, essi non vogliono pensare a Dio, essi hanno per tanto tempo omesso di farlo, non sospettando per un solo momento a qual grado essi Lo ignorano o Lo dimenticano. Chi di noi non ha visto tante persone discendere tranquillamente la corrente della vita, piene di nobili sentimenti e di istinti generosi, benefacenti e disinteressati, senza un’ombra di debolezza nel carattere, ardenti, delicati, fedeli, indulgenti, prudenti e nonostante ciò senza Dio, nel mondo; sono anime scelte che farebbero onore alla fede, se avessero l’occasione di pensare per una volta a questi due termini: “Noi siamo delle creature, noi abbiamo un Creatore, noi abbiamo un Dio”? (Faber.).

ff. 4, 5, 6. – Cercare il proprio bene, la gioia e la felicità nelle creature vuol dire deviare dal retto cammino. – Condurre una vita oziosa e inutile, è sufficiente per essere gettati nelle tenebre esterne. Vi sono due tipi di servitori unitili: 1) quelli che consumano i beni della Chiesa, senza far nulla per la Chiesa; 2) quelli che amano il riposo, non fanno nulla per la loro salvezza e non pensano che a gioire della vita (Duguet). – Applicazione alle anime tiepide che si trascinano più che marciare nella via della salvezza: esse non hanno comprensione del loro vero interesse; si vantano di cercare Dio, ma … quale ricerca?! Esse contano di trovarla nell’amore del mondo o di se stesse? Esse sono inutili in pratica, poiché non fanno alcun bene solido e vero: preghiere senza fervore e senza attenzione, Comunioni senza frutto, Confessioni senza emendamento, conversazioni senza utilità per il prossimo, lavoro senza spirito interiore, prove o afflizioni senza pazienza. La curiosità, la leggerezza, la vanità, riempiono i giorni e gli anni (Berthier).

ff. 6. –  Il veleno del cuore si diffonde ben presto sulla lingua, sepolcro chiuso che non tarda più ad aprirsi. – Veleno di aspide, veleno nascosto appena percepibile, causa certa di morte. – Calunnie, oltraggi, acidità, occasioni ordinarie per versare sangue. – « Essi tremano la dove non c’è motivo di temere ». È un tremore come in un viaggiatore sperduto tra le tenebre di una foresta profonda, che la caduta di una foglia fa sussultare: le malattie, le prove, i colpi di fortuna, le separazioni, le doglie, la morte, si ergono davanti a lui come tanti fantasmi che lo spaventano (Doublet, Ps.).

ff.7. –  « La desolazione e l’infelicità sono nelle loro vie », ciò che è ugualmente vero sia in senso attivo che passivo. Ci sono persone che non sembrano nate se non per rendere gli altri infelici; è il loro unico oggetto, il loro unico studio, e per una giusta reciprocità, tutti i colpi che vogliono portare agli altri, ricadono su loro stessi. – L’assenza del timor di Dio, è sorgente di tutti i disordini, è causa di tutti i crimini.

II — 7-8.

ff.8. Coloro che commettono l’iniquità non conoscono né temono la giustizia di Dio. Essi la conosceranno un giorno, e ne saranno stupefatti (Duguet). « Non spetta forse a voi conoscere la giustizia? – dice il profeta Michea – nemici del bene e amanti del male, voi che strappate loro la pelle di dosso e la carne dalle ossa. Divorano la carne del mio popolo e gli strappano la pelle di dosso, ne rompono le ossa e lo fanno a pezzi come carne in una pentola, come lesso in una caldaia » (Michea III, 1-3). « Come se mangiassero un pezzo di pane », tutti i giorni; … come si mangia il pane ogni giorno, con la stessa facilità e senza mai stancarsi (Duguet). – I malvagi non si sottraggono a nessuna violenza, pur di soddisfare la propria cupidigia, la loro avarizia, il loro libertinaggio. Il giudizio di Dio è necessario per rivelare tutte le rapine, tutte le frodi, tutte le ingiustizie che si commettono segretamente nel mondo (Berthier).

ff. 9. Ci sono coloro che immaginano di invocare il Signore, ma in realtà senza invocarlo, allo stesso modo di colui che offre a Dio il frutto delle sue rapine: in realtà non Gli si offre niente, perché Dio non può ricevere una tale offerta; così è per quelli che spogliano e divorano i loro fratelli: essi non invocano Dio credendo invece di invocarlo (S. Chrys.). – Il Profeta indica qui la causa o l’effetto della malvagità degli uomini; essi guardano il Signore essere a loro completamente estraneo, non Lo invocano affatto; essi vivono nel suo impero, sotto le leggi della sua provvidenza, tra le sue opere, ricolmi dei suoi benefici, senza testimoniargli alcuna riconoscenza. – Così tutto è sregolato nella condotta e nella vita dei peccatori. Essi temono là dove non si dovrebbe temere, similmente ad un bambino spaventato da una figura orrida, ma non temono di cadere nel fuoco. Essi temono la povertà, l’umiliazione, le sofferenze, etc., che chiamano “mali”. Essi desiderano e ricercano gli onori, i piaceri, le ricchezze, etc., che stimano come veri beni (Duguet). – « Essi hanno tremato per lo spavento, la dove non c’era nulla da temere », cioè per la perdita dei beni temporali. « Se noi lo lasciamo fare, dicevano i Giudei, tutti crederanno in Lui, ed i Romani verranno e ci porteranno via il nostro paese e la nostra nazione » (S. Giov. XI, 18). Essi hanno temuto di perdere un regno terreno, cosa che non dovevano temere, ed hanno così perso il Regno dei cieli, l’unica cosa veramente da temere. La paura che essi avevano di perdere le cose del tempo, impediva loro di pensare a quelle dell’eternità, ed essi così persero le une e le altre (S. Agost.).

ff. 10. – Dio non è con coloro che amano il secolo. È ingiusto in effetti, trascurare il Creatore dei secoli ed amare il secolo, … servire la creatura al posto del Creatore (S. Agost.). – Dio è in mezzo alla generazione dei giusti, come un Re mezzo ai suoi soggetti, come un generale in mezzo ai suoi soldati. Egli dice nel suo Vangelo: « Là dove sono riuniti due o tre nel mio nome, ivi Io sono in mezzo a loro ». Se Egli ama essere in mezzo a due o tre dei suoi fedeli servitori, quanto più in mezzo ad una generazione intera di giusti (S. Chrys.). – La vita dei giusti è sempre stata e sarà sempre oggetto di critiche, di censure degli empi e dei mondani. Gli empi di professione rimproverano quelli che hanno conservato la fede; gli uomini del mondo, senza pietà e senza fervore, prendono in giro gli uomini ferventi. Ci sono dei termini consacrati per questo tipo di guerra. Si confonde colui che teme Dio con l’ipocrita; colui che spera in Lui, con il superstizioso (Berthier).

ff. 11. – La venuta del Messia, la salvezza di Israele doveva uscire da Sion, il desiderio di tutti gli antichi profeti. Il Messia non è ancora venuto per un gran numero di Cristiani, che non hanno approfittato della sua venuta. I peccatori sono ancora sotto la legge, e devono sospirare lo stato di grazia. I giusti hanno ancora una parte di se stessi che non è santificata e che geme nell’attesa della liberazione (Duguet).

UN’ENCICLICA AL GIORNO TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO: S. S. PIO IX – “QUI NUPER”

In questa brevissima lettera, il Santo Padre, sottolinea ancora una volta la necessità per la Chiesa di Cristo, di possedere un principato civile « … dichiariamo essere necessario a questa Santa Sede il principato civile, perché senza alcun impedimento possa esercitare, nell’interesse della Religione, la sua sacra potestà (principato civile che i perversissimi nemici della Chiesa di Cristo si sforzano di strapparle), » . Sappiamo ora come è andata a finire la questione per la Sede Apostolica, ma solo in parte sappiamo cosa è successo alla Nazione italiana (guerre coloniali, guerre mondiali, dittatura feroce, milioni di giovani ragazzi immolati al moloch della guerra, milioni di civili falcidiati dagli oppressori nazisti e dai “liberatori” anglo-americani, distruzioni e miserie senza numero …) e possiamo solo immaginare cosa l’aspetti ancora nel tempo prossimo venturo, visto che il Signore è lento nel manifestare la sua ira ma colpisce inesorabilmente quando tutto sembra procedere nel migliore dei modi. Ma le ingiurie per il Santo Padre, il Vicario di Cristo, vero unico e definitivo bersaglio dei servi del demonio [ … satanisti massoni, satanisti modernisti, satanisti pseudo-religiosi della quinta colonna del “novus ordo”, satanisti sedevacantisti e gallicani fallibilisti, kazaro kabalisti …], non sono finite con la usurpazione dei territori strappati alla Chiesa, ma sono proseguite fino alla cacciata del Papa dal suo trono ereditato da Pietro, il Principe degli Apostoli, occupato da un fantoccio manipolato dai poteri demoniaci attraverso i “masculorum concubitores” già annunziati da San Paolo ai suoi fedeli di Corinto: « … nam ejusmodi pseudoapostoli sunt operarii subdoli, transfigurantes se in apostolos Christi. Et non mirum: ipse enim satanas transfigurat se in angelum lucis. Non est ergo magnum, si ministri ejus transfigurentur velut ministri justitiæ: quorum finis erit secundum opera ipsorum ». (II Cor. 11, 13-15). Ma chi persevererà fino alla fine, si salverà, chi non persevererà … ahimè! … là sarà pianto e stridor di denti, secundum opera ipsorum!

Pio IX
Qui nuper

Quel moto di sedizione testé scoppiato in Italia contro i legittimi Principi, anche nei paesi confinanti con i Domini Pontifici, invase pure, come una fiamma d’incendio, alcune delle Nostre Province; le quali, mosse da quel funesto esempio e spinte da eccitamenti esterni, si sottrassero alla Nostra paterna autorità, cercando anzi, con lo sforzo di pochi, di sottoporsi a quel Governo italiano che in questi ultimi anni fu avverso alla Chiesa, ai legittimi suoi diritti ed ai sacri Ministri. Ora, mentre Noi riproviamo e lamentiamo questi atti di ribellione con i quali una sola parte del popolo, in quelle province così ingiustamente disturbate, risponde alle Nostre paterne cure e sollecitudini, e mentre apertamente dichiariamo essere necessario a questa Santa Sede il principato civile, perché senza alcun impedimento possa esercitare, nell’interesse della Religione, la sua sacra potestà (principato civile che i perversissimi nemici della Chiesa di Cristo si sforzano di strapparle), a Voi, Venerabili Fratelli, in così gran turbine di avvenimenti indirizziamo la presente lettera per dare qualche sollievo al Nostro dolore. – In questa occasione vi esortiamo anche affinché, secondo la provata vostra pietà e l’esimia vostra sollecitudine per la Sede Apostolica e la sua libertà, procuriate di compiere quello che leggiamo avere già prescritto Mosè ad Aronne, supremo Pontefice degli Ebrei: “Prendi il turibolo e spargi l’incenso sul fuoco prelevato dall’altare, e incamminati rapidamente verso il popolo per pregare per esso; infatti l’ira del Signore si è già messa in cammino e la ferita incrudelisce grandemente” (Nm 16,6-7). Del pari vi esortiamo a pregare, come già fecero quei santi fratelli Mosè ed Aronne i quali “con il volto chino dissero: O Dio, più forte di tutti i viventi, a causa dei peccati di alcuni la tua ira si sfogherà contro tutti?” (Nm 16,22). A questo fine, Venerabili Fratelli, vi scriviamo la presente lettera, dalla quale riceviamo non lieve consolazione, giacché confidiamo che Voi risponderete abbondantemente ai Nostri desideri ed alle Nostre cure. – Del resto, Noi dichiariamo apertamente che, vestiti della virtù che discende dall’alto e che Dio, supplicato dalle preghiere dei fedeli, concederà alla Nostra pochezza, soffriremo qualunque pericolo e qualunque dolore piuttosto che abbandonare in qualche parte il Nostro dovere apostolico e permettere qualsiasi cosa contraria alla santità del giuramento con cui Ci siamo legati quando, per volontà di Dio, salimmo, benché immeritevoli, a questa suprema Sede del Principe degli Apostoli, rocca e baluardo della Fede Cattolica. – Augurandovi, Venerabili Fratelli, ogni allegrezza e felicità nel compiere il vostro dovere pastorale, con ogni affetto impartiamo a Voi ed al Vostro Gregge l’Apostolica Benedizione, auspice della celeste beatitudine.

Dato in Roma, presso San Pietro, il 18 giugno 1859, anno decimoquarto del Nostro Pontificato.

DOMENICA VII DOPO PENTECOSTE (2019)

DOMENICA VII dopo PENTECOSTE (2019)

Incipit

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Ps XLVI:2.  Omnes gentes, pláudite mánibus: jubiláte Deo in voce exsultatiónis.[O popoli tutti, applaudite: lodate Iddio con voce di giubilo.]

Ps XLVI: 3 Quóniam Dóminus excélsus, terríbilis: Rex magnus super omnem terram. [Poiché il Signore è l’Altissimo, il Terribile, il sommo Re, potente su tutta la terra.] Omnes gentes, pláudite mánibus: jubiláte Deo in voce exsultatiónis. [O popoli tutti, applaudite: lodate Iddio con voce di giubilo.]

Oratio

Orémus. Deus, cujus providéntia in sui dispositióne non fállitur: te súpplices exorámus; ut nóxia cuncta submóveas, et ómnia nobis profutúra concédas. [O Dio, la cui provvidenza non fallisce mai nelle sue disposizioni, Ti supplichiamo di allontanare da noi quanto ci nuoce, e di concederci quanto ci giova.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Romános. Rom VI : 19-23

“Fratres: Humánum dico, propter infirmitátem carnis vestræ: sicut enim exhibuístis membra vestra servíre immundítiæ et iniquitáti ad iniquitátem, ita nunc exhibéte membra vestra servíre justítiæ in sanctificatiónem. Cum enim servi essétis peccáti, líberi fuístis justítiæ. Quem ergo fructum habuístis tunc in illis, in quibus nunc erubéscitis? Nam finis illórum mors est. Nunc vero liberáti a peccáto, servi autem facti Deo, habétis fructum vestrum in sanctificatiónem, finem vero vitam ætérnam. Stipéndia enim peccáti mors. Grátia autem Dei vita ætérna, in Christo Jesu, Dómino nostro”.

Omelia I

[A. Castellazzi: La scuola degli Apostoli – Sc. Tip. Vescov. Artigianelli, Pavia, 1920]

IL PECCATO

“Fratelli: Parlo in modo umano, a motivo della debolezza della vostra carne. Come deste le vostre membra al servizio dell’immondezza e dell’iniquità per commettere l’iniquità; così ora date le vostre membra al servizio della giustizia per la santificazione. Perché quando eravate servi del peccato, eravate liberi rispetto alla giustizia. Ma qual frutto aveste allora da quelle cose, delle quali adesso arrossite? Giacché il loro termine è la morte. Ma adesso, affrancati dal peccato e fatti servi di Dio, avete per vostro frutto la santificazione e per termine la vita eterna. Perché la paga del peccato è la morte, ma il dono grazioso di Dio è la vita eterna in Cristo Gesù, nostro Signore… “ (Rom. VI, 19-23).

L’Epistola è un brano della Lettera ai Romani. Il Cristiano, liberatosi con l’aiuto di Dio dalla servitù del peccato, è passato a servire la giustizia. Sarebbe un controsenso, se tornasse ancora al peccato. Egli deve continuare nella giustizia a servir Dio con altrettanto zelo, con quanto prima ha servito al peccato. Quand’era schiavo del peccato, commetteva azioni di cui ora deve arrossire, le quali avevano per termine la morte spirituale, che è la paga del peccato. Ora, invece, lontano dal peccato, fatto servo di Dio, deve, con la grazia di Lui, compiere buone opere, che conducano alla vita eterna. Questo brano ci porge occasione di parlare del peccato, il quale:

1. È una dura servitù,

2. Che ci riempie di confusione

3. E ci conduce alla eterna rovina.

1.

Quando eravate servi del peccato, eravate liberi rispetto alla giustizia. Eravate da essa lontani, esenti dal suo giogo. Se il vostro padrone era il peccato, non potevate attendere alle opere della giustizia. Chi vive schiavo del peccato, non è libero di far quel che vuole; ma deve fare la volontà del padrone che odia la giustizia, e impedisce che i suoi servi, attendendo alle opere della giustizia, procurino la propria santificazione. L’Apostolo parla a coloro che avevano cessato di esser servi del peccato,e che, aiutati dalla grazia di Dio. attendevano alla propria santificazione. Anche noi nel Battesimo siamo stati affrancati dal peccato; ma non saremmo per avventura ritornati sotto il suo giogo, invece di attendere alla nostra santificazione! Pensiamo un po’ quanto sia deplorevole la condizione di chi è schiavo. Il cuore ci si commuove quando leggiamo di tanti nostri fratelli, che nei paesi barbari vengono catturati, venduti, comperati come schiavi. Approviamo l’opera di coloro che si adoperano per togliere o ridurre questa piaga; lodiamo i governi energici che, con il loro intervento, troncano questo turpe mercato. Ma una schiavitù da compiangersi anche maggiormente, è la schiavitù del peccato. «Chi commette il peccato è schiavo del peccato». (Giov. VIII, 34). – Si comprende che uno schiavo preferisca a un padrone crudele un padrone che abbia sentimenti di umanità. Quando si commette il peccato, invece avviene precisamente il contrario. Si abbandona Dio, bontà infinita, che non lascia senza ricompensa il più piccolo sacrificio fatto per lui, e si va a servire un tiranno inesorabile. – Il suo primo atto è quello di spogliarci di tutti i beni spirituali. Di tante lotte sostenute, di tante privazioni, di tanti sacrifici, che cosa rimane, per la vita eterna? – Il peccatore si è incontrato in un ladrone che lo ha spogliato di tutti i meriti che s’era acquistati servendo Dio, quend’era nella sua grazia. Avutici in suo potere, non ci lascia un momento di tregua. Comanda sempre. Se, caduto una volta in peccato, l’uomo non cerca, con l’aiuto di Dio, di sottrarsene subito al grave giogo, presto cadrà di nuovo. Commetterà un altro peccato, quasi per far dimenticare il primo; se ne aggiungeranno altri; si formerà l’abitudine; e, fatta l’abitudine, la servitù è completa. Non farà neppur più il tentativo di rompere i legami che l’avvolgono: «Purtroppo resterà schiavo delle sue passioni e stretto nelle catene dei suoi peccati» (Prov. V, 22.). – Come non gli bastasse, poi, un tiranno solo, il peccatore si cerca tanti tiranni quante sono le passioni a cui cede. Egli sarà schiavo della superbia, dell’avarizia, della gola, della lussuria, dell’empietà ecc.: tutti padroni che, messe una volta le catene al piede del loro schiavo, son decisi a non levarle più. «Quanti sono i peccati, quanti sono i vizi, altrettanti sono i tiranni» (S. Ambrogio. In Ps. CXVIII Serm. 20, 50. 1). –

2

S. Paolo si domanda: Ma qual frutto aveste allora da quelle cose, delle quali adesso arrossite?Nella domanda è inclusa la risposta: Il frutto avuto fu la confusione. Si allude specialmente ai peccati impuri, ma vale per qualunque peccato. Qualunque peccatore, dopo la sua conversione, considerando qual era il suo stato durante la vita di peccato, non può sottrarsi a un certo smarrimento d’animo, vedendo a quale punto si era degradato. Dio ha dato all’uomo la ragione, con cui possa governare tutte le sue facoltà. Quando invece di governare, lascia che prendano sopravvento dalle passioni, la ragione è come sbalzata dal suo trono; l’uomo perde la sua dignità, e scende al livello degli esseri irragionevoli, «che non hanno né il giudizio con cui giudicare e governarsi, né lo strumento del giudizio, la ragione» (S. Bernardo – In Cant. Serm. 81. 6). Dio rimproverò amaramente Israele : «Il mio popolo sostituì la sua gloria con un idolo (Ger. II, 11). Chi offende Dio si prostra innanzi all’idolo mostruoso del peccato. La disillusione segue necessariamente, e sempre, il peccato. «Ogni peccato ha questo: prima che si commetta ha un certo qual piacere; commesso che sia, il piacere cessa e inaridisce: vi subentra il dolore e la tristezza » (S. Giov. Grisost. In Epist. ad Thim. Hom. 2, 3). E quanto più uno si sforza di trovar soddisfazione nel peccato, tanto più si sente oppresso dal dolore e dalla tristezza. Nonostante tutta l’apparenza esterna: allegria, divertimenti, piaceri, ricchezze, onori, il peccatore è nella più stretta miseria spirituale. Nonostante i frizzi, l’ostentato disprezzo, il compatimento per coloro che servono Dio, egli gli invidia. Essi godono un bene che manca a lui: la serenità dello spirito. Il nostro cuore è fatto per Dio, e i piaceri di quaggiù non possono appagarlo. L’anima si trova a posto quando è con Dio: lontana da Lui, non c’è che lo smarrimento, l’angoscia, la confusione.

3.

Non solo le azioni peccaminose ci rendono infelici in questa vita; esse ci conducono all’eterna dannazione, giacché il loro termine è la morte. Questo è il soldo che il peccato paga ai suoi seguaci per il servizio prestato. «La via dei peccatori — dice S. Agostino — ti piace perché è larga, e molti vi camminano: tu ne vedi la larghezza, ma non ne vedi il termine. Dove essa finisce, sta il precipizio; essa conduce in fondo a un baratro: quivi finiscono quelli che spaziano allegramente in questa via» (En. in Ps. CXLV, 19). Chi comincia male, finisce peggio. Ai nostri giorni hanno preso grande sviluppo le escursioni in montagna. Sono comitive, più o meno numerose, che togliendosi dalla vita agitata e dall’afa della città, vanno a respirare l’aria libera e a godere lo spettacolo della natura. Come sono allegre, chiassose alla partenza! Come fanno pompa del loro sacco e della loro piccozza! Ma non è sempre così al ritorno. Non di rado la salita è troncata a metà. Alcuni s’affrettano a casa, con l’angoscia nel cuore, a portare alla madre, alla sorella, alla sposa d’uno dei gitanti una triste notizia: « È  precipitato in un burrone!» Altri rimangono sul posto come impietriti, o vanno in cerca, di coraggiosi alpigiani che, affidati alle corde, scendano nel precipizio a rintracciare e a riportare il cadavere dello scomparso. Quante volte la morte assale, lungo il cammino incompiuto, il peccatore nella sua spensieratezza, e lo precipita nel baratro dell’inferno! E da quel baratro nessuno lo toglierà più. «Chi vuol passare da qui a voi non lo può» (Luc. XVI, 26), dice Abramo, invocato dal ricco epulone. Laggiù in quel baratro non ci sarà la pace e la tranquillità, che regna nei burroni delle montagne. Laggiù ci sarà il rimorso, lo strazio d’ogni pena, la lontananza da Dio. Se noi quaggiù perdiamo un amico, ne possiamo trovare un altro, forse migliore del primo. Ma Dio, non si può sostituire ; né il dolore della sua perdita può venir lenito dal tempo. La stessa pena che si soffre, parla della potenza e della giustizia di Lui. Nuovi ricordi, nuove distrazioni non ce lo potranno far dimenticare. Quale pena! Essere creati per amar Dio, per goder Dio, e dover starsene lontani per sempre, sotto i colpi della sua giustizia punitrice. Il padre Giovanni Mazzucconi, primo missionario e martire della Melanesia, trovandosi, da fanciullo, in collegio, vide un compagno commettere una grave mancanza contro di un altro. Diede in un pianto dirotto. Uno gli si accostò e gli fece la domanda: «Perché piangi ?» — «Piango — rispose — perché quello ha peccato» (Cenni sul sacerdote Giovanni Mazzucconi. Milano .1857, pagina 11). Se si considerasse sul serio la bruttezza e le conseguenze del peccato, ci sarebbe veramente da piangere. Ma, purtroppo, non si considera la malizia e la bruttezza del peccato prima di commetterlo, e non la si considera, generalmente, dopo che si è commesso; e così, un peccato tira l’altro. Prendiamo un po’ per noi le parole del profeta ai Giudei: «Applicatevi col vostro cuore a riflettere sui vostri andamenti» (Agg. 1. 5), e se scorgiamo che la nostra vita è peccaminosa, mutiamo subito condotta. « È bello non peccare, ma è anche buona cosa convertirsi dopo aver peccato; come è cosa eccellente esser sempre sani, ma è bello anche guarire dalla malattia» (S. Clemente Alessandrino. Pedag. L . 1 , c. 9).

Graduale

Ps XXXIII: 12; XXXIII: 6

Veníte, fílii, audíte me: timórem Dómini docébo vos. – V. Accédite ad eum, et illuminámini: et fácies vestræ non confundéntur. [Venite, o figli, e ascoltatemi: vi insegnerò il timore di Dio. V. Accostatevi a Lui e sarete illuminati: e le vostre facce non saranno confuse.]

Alleluja

Allelúja, allelúja

Ps XLVI: 2 Omnes gentes, pláudite mánibus: jubiláte Deo in voce exsultatiónis. Allelúja. [O popoli tutti, applaudite: lodate Iddio con voce di giubilo. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia ✠ sancti Evangélii secúndum Matthæum.

Matt VII: 15-21 “In illo témpore: Dixit Jesus discípulis suis: Atténdite a falsis prophétis, qui véniunt ad vos in vestiméntis óvium, intrínsecus autem sunt lupi rapáces: a frúctibus eórum cognoscétis eos. Numquid cólligunt de spinis uvas, aut de tríbulis ficus? Sic omnis arbor bona fructus bonos facit: mala autem arbor malos fructus facit. Non potest arbor bona malos fructus fácere: neque arbor mala bonos fructus fácere. Omnis arbor, quæ non facit fructum bonum, excidétur et in ignem mittétur. Igitur ex frúctibus eórum cognoscétis eos. Non omnis, qui dicit mihi, Dómine, Dómine, intrábit in regnum coelórum: sed qui facit voluntátem Patris mei, qui in cœlis est, ipse intrábit in regnum cœlórum.”

Omelia II

[A. Carmignola, Spiegazione dei Vangeli domenicali, S. E. I. Ed. Torino,  1921]

SPIEGAZIONE XXXV

“In quel tempo disse Gesù a’ suoi discepoli: Guardatevi dai falsi profeti, che vengono da voi vestiti da pecore, ma al di dentro son lupi rapaci: li riconoscerete dai loro frutti. Si coglie forse uva dalle spine, o fichi dai triboli? Così ogni buon albero porta buoni frutti; e ogni albero cattivo fa frutti cattivi. Non può un buon albero far frutti cattivi; né un albero cattivo far dei frutti buoni. Qualunque pianta che non porti buon frutto, si taglia, e si getta nel fuoco. Voi li riconoscerete adunque dai frutti loro. Non tutti quelli che a me dicono: Signore, Signore, entreranno nel regno de’ cieli; ma colui che fa la volontà del Padre mio che è ne’ cieli, questi entrerà nel regno de’ cieli” (Matth. VII,15-21).

In quell’ammirabile discorso, che Gesù Cristo tenne a’ suoi discepoli e ad una turba immensa, che lo aveva seguito da molte parti della Palestina, dopo di avere con le beatitudini indicate le sorgenti della vera felicità, soggiunse di poi molti precetti e molte massime, per la cui osservanza si sarebbe facilmente conseguita la eterna salvezza. Ma poiché anche gli uomini di buona volontà avrebbero potuto restar vittima della falsità e degli inganni di altri maestri, i quali insegnano astutamente l’errore affine di allontanarli dalla pratica degli insegnamenti divini, perciò il divin Redentore prima di porre fine a quel sublime discorso mise i suoi seguaci in guardia di questo grave pericolo. E le parole del Vangelo, che la Chiesa ci fa leggere nella messa di questa Domenica, sono quelle appunto proferite da Gesù Cristo a tale scopo. Ed oh! quanto sono acconce ed utili anche per noi, che viviamo in tempi, in cui i maestri d’errore tanto abbondano! Consideriamole adunque attentamente per saperne fare nostro prò.

1. Gesù, pertanto disse a’ suoi discepoli: Guardatevi dai falsi profeti, che vengono da voi vestiti da pecore, ma al di dentro sono lupi rapaci. Al tempo di Gesù Cristo questi falsi profeti, ossia falsi maestri, erano in gran numero; e facevano un male assai grande nel popolo, appunto perché fingevano di avere la stessa semplicità dei profeti e come essi comparivano dinnanzi al popolo come grandi digiunatori e predicavano con grande enfasi la penitenza. Ma come al tempo di Gesù Cristo, così anche ai tempi nostri questi falsi maestri abbondano assai e non fanno minor male di allora. Se ne incontrano talvolta nelle scuole fra gli stessi maestri, se ne incontrano nei divertimenti fra gli amici, se ne incontrano negli uffici, nei negozi, nelle officine fra i compagni di impiego e di lavoro, se ne incontrano nei viaggi, nei passeggi, nelle conversazioni, se ne incontrano da per tutto, fra gli uomini di tutte le condizioni e di tutte le età. E chi sono mai questi falsi profeti, così numerosi anche ai dì nostri! Sono tutti coloro, i quali con parole, con racconti, con massime perverse, con sarcasmi contro la Religione e la virtù, con fatti, con cenni e con azioni nefande, con libri, giornali e figure cattive si fanno lupi rapaci delle anime, massime di quelle dei giovanetti, e spargono il veleno della disonestà e dell’irreligione nei loro cuori. Sì, tutti costoro sono falsi profeti, veri ministri di satana. Difatti il demonio, invidioso del nostro bene, non cerca altro che la nostra rovina e per riuscire più facilmente ad operarla si trasforma. Con la nostra progenitrice Eva prese le sembianze del serpente, ed oh come bene riuscì ad ingannarla! Con molti altri e massimo con certi Cristiani, poco istruiti nelle verità della fede, e con i giovani, così facili a lasciarsi ingannare, prende la sembianza di un falso profeta di un cattivo maestro, di un perverso compagno, di un maligno scrittore. Epperò il Salvatore rivolgendo la parola ai falsi profeti del suo tempo diceva chiaramente: Voi siete figliuoli del diavolo: e volete compiere i desideri del padre vostro: Vos ex patre diabolo estis, et desideria patris vestri vultis facere (Joan. VIII, 44). Più ancora quando S. Pietro, senza però cattivo animo, prese a farla con Gesù Cristo da cattivo compagno, volendolo rimuovere dalla sua passione, il divino Maestro lo chiamò col nome stesso di satana, e: Fatti indietro, gli disse, o satana, che così mi sei di scandalo. E Gesù, somma verità, non si inganna. Di fatto, chi può dire il male che fanno i cattivi compagni, gli scellerati scrittori, i maestri di iniquità! Davide ne’ suoi salmi così lo descrive: « La gola de’ cattivi è un sepolcro aperto, la loro lingua uno strumento di seduzione, e le labbra stillano veleno viperino. Piena d’amarezza e di maledizione è la lor bocca; corrono veloci i lor piedi agli altrui danni. Dove passano, seminano stragi ed infelicità; non conobbero la via, che mette al riparo, non ebbero innanzi agli occhi il timor di Dio. Questi operai d’iniquità divorano i servi di Dio come un boccon di pane. » Ed è pur troppo così. È dai seminatori di perverse massime, dagli istigatori del peccato, dai cattivi compagni, che provengono i tanti mali, che vi sono nel mondo.L’uomo, anche per operare il male abbisogna talora di eccitamento, e questo viene appunto dai cattivi. Epperò, il mondo che, al dire di Gesù Cristo, è posto tutto nel maligno, avendo troppo bene intesa questa verità, si vale appunto di questi iniqui maestri, di questi scrittori diabolici, di questi scellerati compagni, per eccitare gli uomini e specialmente la gioventù a disprezzare e ad abbandonare la fede e la morale cristiana e a commettere i più gravi disordini. E così sono rovinati tanti studenti, tanti operai, tanti magistrati e tanti padri di famiglia e massimamente tanti poveri giovani, i quali inesperti della vita si abbandonano assai facilmente nelle braccia di chi li lusinga per poi tradirli. Oh sì, senza dubbio gli insegnamenti, le conversazioni, gli scritti, massimamente se cattivi, influiscono grandemente sugli affetti, sui sentimenti e sui costumi di chi ascolta, o di chi legge, quand’anche ci fosse in lui la previdenza ed il proposito di non lasciarsi influenzare. Come colui che passeggia nelle calde ore d’estate o nei freddi giorni dell’inverno sente, ancorché neppur ci badi con il pensiero, l’azione del sole e del freddo, perché l’atmosfera che ne circonda s’infiltra nelle nostre viscere per via della respirazione e comunica al corpo nostro il grado di calore che in lei si trova; così avviene a chi legge libri e giornali cattivi, a chi ascolta cattivi insegnamenti, a chi pratica cattivi compagni: si trova attorniato da un’atmosfera appestata, sotto il cui influsso il veleno dell’iniquità penetra l’anima e il cuor suo, producendovi il più orribile guasto tanto per riguardo alla fede, quanto per riguardo ai costumi. E basta perciò interrogare la dolorosa esperienza di chi ha perduto l’innocenza, o la fede, o l’una e l’altra, perché si intenda facilmente a rispondere che ciò è provenuto da cattive massime, da perversi suggerimenti avuti da un maestro di iniquità. Non deve perciò far meraviglia se dalla bocca di Gesù Cristo medesimo, che era la bontà e la dolcezza per eccellenza, uscì un giorno un terribile guai. Vedendo egli colla sua mente divina gli scandali, che sarebbero stati la rovina di molte anime, massime dei giovanetti e, profondamente afflitto di vederseli strappare dal seno amoroso, uscì in questo spaventose parole: Guai a chi darà scandalo ad un fanciullo, che crede in me. Piuttosto di dare uno scandalo siffatto, meglio sarebbe che quel disgraziato si appendesse una pietra da molino al collo, e poi si gettasse nel profondo del mare.Importa adunque sommamente di praticare l’avvertimento che ci dà oggi il divin Redentore e guardarsi bene dai falsi profeti, vale a dire da tutti coloro che in qualche modo attentano alla nostra virtù.

2. Ma poiché qualcuno potrebbe dire di non saperli conoscere, e potrebbe essere ingannato sul loro conto, perché si presentano vestiti da pecore, ecco il divin Maestro ad insegnarci ancora a che dobbiamo badare per questo fine. Egli dice: Li riconoscerete dai loro frutti. Si coglie forse uva dalle spine, o fichi dai trìboli? Così ogni buon albero porta buoni frutti; e ogni albero cattivo fa fruiti cattivi. Ecco adunque a che bisogna badare per conoscere i maestri di errore, gli scrittori maligni, i cattivi compagni: bisogna badare ai loro frutti. Costoro verranno forse a voi col manto di agnelli. Vi blandiranno, vi loderanno, vi accarezzeranno. Ma quando in vostra presenza non arrossiranno di parlar male del Papa, dei Vescovi, dei sacerdoti, della fede e della morale cristiana, di gettar fuori discorsi osceni, di proferir parole equivoche e scandalose, di fare mormorazioni, dir bugie, spergiuri, imprecazioni, oppure cercano di allontanarvi dai genitori e superiori, dal loro rispetto ed amore, dalla frequenza dei Sacramenti, dalle pratiche di pietà, allora fuggiteli prontamente come dal diavolo istesso, perché questi frutti cattivi dimostrano cattivo l’albero. – Riguardo poi ai libri ed ai giornali, nella cui conoscenza vi potrebbe essere maggiore difficoltà, ponderate bene queste indicazioni: Per cattivi si debbono avere tutti quei libri o giornali, che in qualsiasi modo o per mezzo di lunghi ragionamenti, od anche con sole espressioni o brevi motti, oppure con illustrazioni e figure offendono la fede, o la morale, o la verità, o l’onestà e modestia cristiana. Epperò sono cattivi quei volumi con cui gli eretici antichi e quei foglietti con cui gli eretici odierni, i protestanti, cercarono e cercano di falsare gli insegnamenti di Gesù Cristo, di corrompere i dogmi cattolici, di travolgere il senso delle sacre Scritture, di allontanare i Cristiani dalla retta credenza. Sono cattive quelle opere filosofiche, nelle quali scalzandosi l’edificio dell’autorità e dell’insegnamento della Chiesa riguardo alle più fondamentali verità della Religione, si mira in quella vece a surrogarvi gli empi ed assurdi sistemi del materialismo e del razionalismo, negando per tal guisa la esistenza stessa di Dio e la necessità della Rivelazione per divinizzare e la ragione e la materia. Sono cattive quelle storie dove la verità dei fatti è indegnamente travisata per coprire di fango, se fosse possibile, la memoria e le opere dei Pontefici, dei Vescovi, dei preti, dei frati, dei ministri tutti del santuario e degli stessi santi, ed a quella vece porre sugli altari e rappresentare a’ pubblici onori i più tristi uomini, che mai siano esistiti, feccia delle città e delle nazioni che li generarono e li accolsero, col nuovo titolo di martiri della libertà del pensiero e della indipendenza. Sono cattivi quei poemi, quei romanzi, quelle novelle, quelle poesie, quei racconti che riboccano di empietà e di impudicizia, che senza alcun velo o con sottilissimo ti mostrano  il vizio e la corruzione ne’ più minuti ed osceni particolari, e le colpe più nefande ti di spingono con effetto di passione irresistibile. – Sono cattivi quei giornali, quei periodici, che o apertamente dichiarati massonici, o alquanto nascostamente tali, osteggiano la Chiesa Cattolica, il suo Capo augusto, le sue leggi e le sue prescrizioni, ora con le più vituperose invettive o spudorate menzogne, ora con la beffa e col sarcasmo più velenoso, ed ora con l’ipocrisia più subdola e più perversa, con l’astuzia più raffinata e funesta. Sono cattivi infine tutti quei fogli, che alla schifosità dei racconti e dei motti aggiungendo per soprappiù la luridezza delle illustrazioni e delle figure, più indegnamente dileggiano le persone più venerande ed i più sacrosanti misteri, e più al vivo ti pongono dinanzi agli occhi le sottigliezze e nefandità del mal costume. Tali e somiglianti sono i libri e giornali cattivi. – Ma sebbene voi possiate conoscerli a questi caratteri, il meglio per voi si è, che prima di apprendervi alla lettura di un libro o giornale qualsiasi, domandiate consiglio a chi ben ve lo può dare, e che appena dal vostro confessore, dal vostro parroco, o dal vostro superiore vi è fatto conoscere la malvagità del libro o giornale, che pensereste di leggere, smettiate subito tale pensiero con un santo orrore. Così facendo non turberete mai la vostra coscienza, vi terrete lontani da ogni pericolo di peccato, e non correrete il rischio di incorrere la sorte, a cui sono destinati gli scrittori dei cattivi libri, e tutti quanti gli altri maestri di peccato.

3. Perciocché nostro Signore termina nel Vangelo di oggi dicendo: Qualunque pianta, che non porti buon frutto si taglia e si getta nel fuoco…. E non tutti quelli che dicono: Signore, Signore, entreranno nel regno de1 cieli; ma entrerà solamente colai che fa la volontà del Padre mio. Or bene questa sorte di dannazione eterna riservata a coloro che si fanno maestri e propagatori del male, è pure la sorte destinata a coloro che stoltamente danno loro ascolto. Se pertanto non volete, o miei cari, che incolga a voi una tale sventura, imprimete ben bene nella mente vostra quanto conchiudendo sono per dirvi. Anzi tutto fuggite, per quanto è possibile, la compagnia di coloro che parlano di cose oscene, o cercano di deridere il Papa, i Vescovi e gli altri Ministri della nostra Santa Religione, o vi tengono discorsi sovversivi contro le autorità, il buon ordine, i principii della fede e della morale cristiana. Se rimarrete anche per poco in loro compagnia è impossibile che non he riportiate nocumento; e se poi prendeste a frequentarli, andreste senza dubbio anche voi alla rovina. Non tardereste a riguardare al par di loro come una stoltezza la vita veramente cristiana, ed a beffare quelli che la conducono. Se per motivo di studio, di professione o di parentela dovrete trattare con costoro, non entrate mai in dispute di Religione; e se cercano di farvi difficoltà, rispondete semplicemente: Quando sia infermo andrò dal medico, se ho delle liti mi recherò dall’avvocato o dal procuratore, se ho bisogno di rimedii, dal farmacista. In fatto poi di Religione vado dai Preti, come quelli che di proposito l’hanno studiata. Guardatevi poi col massimo impegno dal leggere libri o giornali cattivi. Se per avventura taluno vi offrisse libri o giornali irreligiosi, abborriteli e rigettateli da voi con quell’orrore e disprezzo, che ributtereste una tazza di veleno. Se a caso ne aveste qualcuno presso di voi, consegnatelo al fuoco. È meglio che il libro od il giornale bruci nel fuoco di questo mondo, piuttosto che mettere l’anima vostra in pericolo di andare a bruciare per sempre nelle fiamme dell’inferno. E qui taluno forse per iscusarsi delle cattive letture andrà dicendo che egli è ben istruito, assai forte e sicuro di sé da evitare i pericoli, che tali letture possono presentare. Ma d’ordinario ben altrimenti è la cosa; e quand’anche fosse così, sarebbe non di meno una grave imprudenza, una temerità inescusabile lo esporsi volontariamente e senza motivo al pericolo della seduzione. Voi non dovete ignorare, o cari giovani e cari Cristiani, che allorquando leggiamo un libro, ci è sempre dentro di noi stessi un avvocato difensore di esso libro, un complice, per così dire, che dapprima eccita e poi sostiene la nostra funesta curiosità. L’avvocato che piglia la difesa delle cattive dottrine, che ci sono predicate, sono lo nostre passioni, le quali trovano sempre in simili scritti l’alimento loro confacente, e le opinioni a cui volentieri si adagiano. Quanti naufragi nella fede e nei costumi furono occasionati dalla lettura di un sol libro o immorale o anticristiano! Quante anime, sebbene forti, sebbene illuminate, sono perite battendo a questo scoglio! Quanti esempi potremmo qui ricordare. Eutiche, che era stato prima l’intrepido difensor della fede cattolica, per la lettura d’una sola opera manichea si cambiò in eresiarca e, ridotto al silenzio in un monastero, continuò a pervertire co’ suoi scritti una parte notevole dell’Oriente. Bardasane di Siria, che fu dapprima l’ammirazione dei fedeli per la sua pietà e pel suo zelo nella fede cristiana, in seguito fu trascinato dalla lettura di alcuni volumi nella setta dei Valentiniani e si segnalò poi pel suo ardore a propagare l’eresia. Avito, un altro ministro del Signore, che S. Girolamo aveva in modo speciale premunito contro le opere d’Origene, non ostante la precauzione di non leggerle che con la confutazione alla mano, ne trangugiò miseramente il veleno. Più tardi Bullingero, uomo dotto e pio che stava per entrare alla Certosa, leggendo qualche libro di Melantone divenne un eretico ed un apostata. S. Gerolamo dice che i libri dei Priscillianisti portarono nella Spagna e nel Portogallo la corruzione della fede, a cui quei due paesi erano fino allora sfuggiti. Il famoso Wiclefo, impotente a propagare con la predicazione i suoi errori in Inghilterra, riuscì a pervertire tutta la Boemia col mezzo de’ suoi libri. Tutti poi conoscono questo fatto generale, che gli eretici, i novatori, gli increduli, tutti i corruttori della sacra dottrina si sono trasmessa la trista eredità dell’errore per mezzo dei loro libri perversi. Ecco i funesti effetti delle cattive letture anche sulle persone illuminate. Nessun pretesto adunque ci induca a farci lettori di libri, di giornali, di romanzi cattivi od anche solo pericolosi. – Finalmente, o miei cari, se i maestri di iniquità, i cattivi compagni, i falsi profeti vedendo la vostra volontà di fare il bene si facessero a burlarvi, voi disprezzate ogni burla e mettete sotto ai piedi ogni diceria mondana, richiamando alla memoria la sentenza del Salvatore contro coloro, che per umano rispetto si lasciano trascinare al male: « Chiunque si lascia far paura, e a tempo debito per rossore non si manifesta per Cristiano, sarà svergognato da me, quando si presenterà al mio Divin Tribunale ». Quando poi dicono che siamo in tempo di libertà, e che perciò ognuno può vivere come vuole, voi rispondete, che la libertà, di cui parlano, non è libertà, ma sfrenata e indegna licenza; oppure che se siamo in tempo di libertà, vi lascino anche liberi in fatto di Religione e liberi di praticarla come a voi piace. Così facendo in tali circostanze potete essere sicuri, che vi manterrete fermi nella fede e nella pratica di vostra santa Religione e salverete eternamente l’anima vostra.

Credo …

Offertorium

Orémus

Dan III: 40

“Sicut in holocáustis aríetum et taurórum, et sicut in mílibus agnórum pínguium: sic fiat sacrifícium nostrum in conspéctu tuo hódie, ut pláceat tibi: quia non est confúsio confidéntibus in te, Dómine”. [Il nostro sacrificio, o Signore, Ti torni oggi gradito come l’olocausto di arieti, di tori e di migliaia di pingui agnelli; perché non vi è confusione per quelli che confidano in Te.]

Secreta

Deus, qui legálium differéntiam hostiárum unius sacrifícii perfectione sanxísti: accipe sacrifícium a devótis tibi fámulis, et pari benedictióne, sicut múnera Abel, sanctífica; ut, quod sínguli obtulérunt ad majestátis tuæ honórem, cunctis profíciat ad salútem. [O Dio, che hai perfezionato i molti sacrifici dell’antica legge con l’istituzione del solo sacrificio, gradisci l’offerta dei tuoi servi devoti e benedicila non meno che i doni di Abele; affinché, ciò che i singoli offrono in tuo onore, a tutti giovi a salvezza.]

Communio

Ps XXX: 3. Inclína aurem tuam, accélera, ut erípias me. [Porgi a me il tuo orecchio, e affrettati a liberarmi.]

Postcommunio

Orémus. Tua nos, Dómine, medicinális operátio, et a nostris perversitátibus cleménter expédiat, et ad ea, quæ sunt recta, perdúcat. [O Signore, l’opera medicinale (del tuo sacramento), ci liberi misericordiosamente dalle nostre perversità e ci conduca a tutto ciò che è retto.]

LO SCUDO DELLA FEDE (70)

LO SCUDO DELLA FEDE (70)

[S. Franco: ERRORI DEL PROTESTANTISMO, Tip. Delle Murate, FIRENZE, 1858]

PARTE SECONDA.

FRODI PER CUI S’INTRODUCE IL PROTESTANTISMO

CAPITOLO V.

QUINTA FRODE: DIRE CHE LA S. CHIESA PROIBISCE LA LETTURA DELLA BIBBIA

Intorno alla Santa Scrittura fingono anche i Protestanti un’altra calunnia e la appongono alla Chiesa Cattolica. Vi dicono che i Sacerdoti Cattolici vi vogliono tenere nell’ignoranza, perché non scopriate le loro frodi e menzogne; che per questo non vogliono che leggiate la santa Bibbia, che leggiate il santo Vangelo, perché se leggeste questi libri verreste a conoscere le loro imposture. Questo lo dicono sfacciatamente. – Ebbene questa è una pura menzogna, una pura calunnia. La S. Chiesa nulla tanto desidera quanto che tutti i Fedeli siano profondamente istruiti nelle verità della S. Religione. Non è forse vero che i Parrochi, i Sacerdoti sono sempre sul raccomandarvi che veniate alla istruzione, alla spiegazione del santo Vangelo, che mandiate i vostri figliuoli alla Dottrina Cristiana? Non è forse vero che si premette una speciale e diligente istruzione dinanzi alla prima Comunione ed al Sacramento della Confermazione? Non è forse vero che la S. Chiesa ha ordinato che i Parrochi, prima di ammettere al sacramento del Matrimonio gli sposi, li interroghino intorno alla Dottrina Cristiana, per assicurarsi se sono istruiti? Non è forse vero che in ogni tempo i Confessori i quali si avvedono che i Penitenti non sanno le cose necessarie alla salute, differiscono loro l’assoluzione finché non le hanno imparate? – Quale menzogna adunque più grave di questa, che affermare che la Chiesa promuove l’ignoranza nel popolo? Vedete: prima di questi ultimi tempi tutte le scuole che si apersero in tutto il mondo, tutte le Università più celebri, tutte furono aperte dai Vescovi e dai Sommi Pontefici. Vedete se sono essi che amano la ignoranza! E voi dite ai vostri maestri che abbiano la bontà di provare che non sia cosi. Ma direte voi, non lasciano leggere la Santa Scrittura al popolo. E questa è un’aperta calunnia. La S. Chiesa Cattolica non ha proibita la Santa Scrittura ai Fedeli: solo vuole che nel leggerla si prendano due precauzioni.

Primo. Non vuole che si legga la Santa Scrittura guasta, corrotta e falsificata dagli Eretici, come è quella che vi mettono in mano, del Diodati. Ed ha ragione di fare così. perché allora invece di aver cibo per la vostr’anima, avreste il veleno degli errori, di che l’hanno seminata. Del resto, quando leggiate quella che è pura di ogni errore, come è quella di Monsignor Martini, allora non la proibisce. Ora dite a me: voi proibite ai vostri figliuoli di mangiare frutta guaste, acerbe ed altri cibi nocevoli alla sanità; se alcuno prendesse questo pretesto per dire che voi non volete che i vostri figliuoli mangino, che volete farli morire di fame, che cosa direste? che sono calunniatori, mentre voi vi contentate sì che mangino in buon’ora, purché mangino dei cibi sani. Ora lo stesso fa la S. Chiesa Leggano pure i fedeli la Santa Scrittura, la leggano con divozione, con riverenza, con pietà, con umiltà, che ne caveranno profitto, ma leggano la vera Santa Scrittura, non quella che è stata falsificata. Qual cosa può trovarsi più ragionevole? –

L’altra avvertenza che la buona Madre la S. Chiesa vuole che abbiamo, è che nel leggerla procuriamo di non prendere abbaglio e frantenderne il senso. Imperocché avete da sapere che nelle Sante Scritture vi sono molte cose profonde, sottili, difficili a capirsi, che se si prendono a traverso, invece di ammaestrarci nella verità ci conducono all’errore, come lo insegna lo stesso Apostolo S. Pietro. Ora perché non ci avvenga questa disgrazia, la S. Chiesa vuole che la leggiamo con le opportune spiegazioni vicine. Così se nasce qualche dubbio o se si incontra qualche difficoltà, subito se ne trova lo scioglimento e la spiegazione. Perciò vuole che la Santa Scrittura abbia delle note fatte bene, da lei approvate per sicure e che corredata di queste spiegazioni si dia ai Fedeli. Non vi sembra questa una grand’attenzione ed amorevolezza che la Santa Chiesa ci usa? Ci dà il pane e ce lo dà così bell’e tagliato, perché non ci facciamo male. Voi lasciate scherzare, saltare, divertirsi i vostri figliuoli, ma lasciate far tutto ciò vicino ad un fosso od un precipizio? Eh no, volete che siano sicuri. Così fa con voi la S. Chiesa. Tacciano dunque tutti i calunniatori di S. Chiesa e si confondano, e voi ammirate sempre più la sua sapienza e ringraziatela della sua amorevolezza. –

Ma che pericolo si può incontrare nel leggere la S. Scrittura, poiché lo Spirito Santo ci rivela tutto quello che in essa si contiene? Eh io lo so che i Protestanti hanno sempre in bocca questa bella ragione: ma il male si è che è falsissimo che lo Spirito Santo abbia preso quest’impegno di farci da interprete della S. Scrittura. Lo Spirito Santo c’insegna ogni cosa in questo senso, che quando pervengono alle nostre orecchie gli ammaestramenti esterni della S. Chiesa, dei Pastori legittimi, oppure della S. Scrittura letta con umiltà e spiegata dai S. Padri, esso ci fa provare diletto in essi e ce li rende soavi allo spirito, come vediamo accadere tutto giorno alle persone sinceramente devote: ma non c’ammaestra in questo modo, che Egli ci riveli sensibilmente quello che abbiamo da credere e da praticare. Il presumere questo è una pazzia, ed è una fonte d’infinite altre pazzie, quali noi vediamo in quelli che credono a siffatta immediata ispirazione. Lo Spirito Santo, in una parola, non ci fa da interprete della Divina Scrittura, ma quando ci è sanamente interpretata la S. Scrittura, esso ce la fa gustare e ce ne fa trarre profitto. E questo è quello che c’insegna la stessaS. Scrittura, la quale ci fa sapere che la Fede ci viene per mezzo dell’udito, cioè dalla spiegazione che ce ne fa il Magistero di S. Chiesa, che la S. Scrittura non si deve intendere per propria interpretazione, ma bensì per quella di S. Chiesa: che nella Scrittura vi sono cose molto difficili ad intendersi, e che alcuni per loro rovina le depravano e così si perdono. Del resto gli è poi tanto chiaro che lo Spirito Santo non ha mai preso cotesto impegno di ammaestrare ognuno in particolare, che per vederlo basta aver occhi. Che cosa è lo Spirito Santo? É spirito di verità. Non può dunque non rivelare la Verità. Ora se fossero tutti ispirati dallo Spirito Santo, quei che interpretano la S. Scrittura privatamente non potrebbero contraddirsi scambievolmente: ma tutti dovrebbero convenire nelle verità che ritraggono dalle S. Scritture: il fatto però ci convince fino all’ultima evidenza che è tutto l’opposto, mentre ciascuno l’intende a suo modo. – A Lutero lo Spirito Santo dice, a cagion di esempio, che Gesù Cristo si trova nell’Ostia, a Calvino lo mette in dubbio, ai Sacramentari dice assolutamente che non vi è. Lo Spirito Santo dice ad alcuni che sono necessarie le buone opere, ad altri che sono inutili, ad altri che sono impossibili e così andate voi discorrendo. Tutti fondano la loro dottrina sulla S. Scrittura, tutti dicono che hanno lo Spirito Santo che li ammaestra; è possibile che lo Spirito Santo dica sì e no, si contradica ad ogni momento e con tante contradizioni quante sono le teste? – Lo Spirito Santo è Dio come il Padre e come il Figliuolo, ed è la stessa sapienza, giustizia e verità. È dunque un bestemmiatore sacrilego chi lo tratta da falsatore, da bugiardo, da contradicente a sé medesimo. Deponga ognuno pertanto, se non vuole bestemmiare, tutte le sue storture della privata ispirazione. Lo Spirito Santo è congiunto alla Chiesa di Gesù e la regge, e la illumina e la conforta e l’assiste coi suoi doni e con le sue grazie, e noi fintantoché siamo uniti con la Chiesa partecipiamo a tutti i doni dello Spirito Santo ed alla sua luce divina; ma appena ci dipartiamo da Lei, Egli si diparte da noi, ed allora noi andiamo soggetti a prendere per ispirazioni divine tutte le stranezze del nostro cervello.

SALMI BIBLICI: “USQUEQUO DOMINE” (XII)

Salmo 12: “Usquequo Domine”

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS.

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

TOME PREMIER.

PARIS

LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR

13, RUE DELAMMIE,1878

IMPRIM.: Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

Salmo 12: Usquequo, Domine …

[1] In finem. Psalmus David.

  Usquequo, Domine, oblivisceris me in finem? usquequo avertis faciem tuam a me?

[2] Quamdiu ponam consilia in anima mea, dolorem in corde meo per diem?

[3] Usquequo exaltabitur inimicus meus super me?

[4] Respice, et exaudi me, Domine Deus meus. Illumina oculos meos, ne umquam obdormiam in morte;

[5] nequando dicat inimicus meus: Praevalui adversus eum. Qui tribulant me exsultabunt si motus fuero;

[6] ego autem in misericordia tua speravi. Exsultabit cor meum in salutari tuo. Cantabo Domino qui bona tribuit mihi; et psallam nomini Domini altissimi.

Salmo XII

 [Vecchio Testamento secondo la Volgata Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

Preghiera a Dio in tempo di tentazione.

Per la fine, salmo di David.

1. Fino a quando, o Signore? ti scorderai forse di me per sempre? fino a quando volgi da me la tua faccia?

2. Fino a quando accumulerò perplessità nell’anima mia, e nel cuor mio dolori ogni giorno?

3. Fino a quando avrà possanza sopra di me il mio nemico?

4. Volgiti a me, ed esaudiscimi, Signore, Dio mio. Illumina gli occhi miei, affinché io non dorma giammai sonno di morte;

5. Affinché non dica una volta il mio nemico: Io lo ho vinto. Coloro che mi affliggono, trionferanno se io sarò smosso:

6. lo però mia speranza ho posta nella tua misericordia. Il mio cuore esulterà nella salute che vien da te; canterò il Signore mio benefattore; e al nome del Signore altissimo farò risonare inni di laude.

Sommario analitico

Questo salmo è stato composto nelle stesse circostanze del precedente, quando Davide cioè era prigioniero nella città di Ceila, essendo stato avvertito che Saul si avvicinava con la sua armata, e deliberava se prendere la fuga davanti a lui. Egli dice a Dio: « fino a quando mi dimenticherete? » perché da lungo tempo condannato a condurre una vita errante, e fa allusione al consiglio che chiede per mezzo dell’intermediazione di Abiathar, rivestito dell’efod « Fino a quando io sarò abbandonato all’incertezza dei miei consigli? » Egli parla egualmente della necessità nella quale si trovava di sottrarsi con la fuga all’inseguimento dei suoi nemici, cosa che doveva esporlo alle loro beffe e ai loro oltraggi. – In senso tropologico, Davide rappresenta qui l’uomo giusto assalito da violente tentazioni. Egli implora il soccorso di Dio per tre motivi:

motivo, preso da se stesso, vale a dire perché Dio viene infine a liberarlo dalle sue afflizioni, ove sembra averlo dimenticato da tanto tempo, senza che avesse tratto nessuna utilità dai consigli che chiedeva, senza che il suo dolore sembrasse toccare il cuore di Dio (1-2).

motivo, tratto dai suoi nemici che a) si glorificavano della propria potenza (3); b) si vantavano di sopraffarlo con la forza (4); c) si preparavano a trionfare insolentemente con la loro vittoria (5).

3° motivo, desunto dalla gloria di Dio, che egli celebra: – interiormente con sentimenti di riconoscenza, – esteriormente con le sue lodi e le sue opere (6).

Spiegazioni e Considerazioni

I. — 1-6

ff. 1. – Non è che una grazia mediocre l’essere sensibile all’oblio di Dio. Questo oblio non è in Dio un sentimento dell’anima, ma un semplice abbandono. Un grande numero di coloro che sono oggetto di questo abbandono, infatti lo ignorano e non si curano di deplorarlo. Essi non conoscono, come il Re-Profeta, i segni dai quali si può riconoscere il ricordo di Dio, essi non sanno discernere inoltre i segni caratteristici dell’oblio di Dio. È naturale che coloro che non conoscono questi segni della sua amicizia, non conoscano nemmeno quelli della sua collera (S. Chrys.). – C’è una differenza marcata tra le disposizioni dei veri Cristiani e quelle dei peccatori, dei mondani, degli empi del secolo. Questi ultimi non si affliggono dall’essere lontani da Dio, si glorificano piuttosto dello spirito di irreligione, oppure si irritano del fatto di non potersi sottrarre alla sua potenza o al suo dominio, e giungono talvolta finanche a fabbricare dei sistemi nei quali a Dio non resta né potere, né giustizia, né provvidenza. I veri Cristiani, al contrario, mettono tutta la loro felicità in un rapporto intimo con Dio e, quando sembra che a loro si nasconda, se ne lamentano nelle lacrime (Berthier). – Qui c’è il pianto doloroso di un’anima oppressa da una lunga e violenta tentazione. Due mali ci affliggono nella tentazione: i cattivi desideri della volontà e le tenebre dell’intelligenza; quando questi cattivi desideri ci opprimono, Dio sembra dimenticarci ed abbandonare la nostra anima; quando le tenebre oscurano la nostra intelligenza, allora Dio volge da noi la faccia (Bellarm.). – Questo oblio di Dio, questo voltare il capo, sono sovente un effetto della sua bontà.

ff. 2. Colui che è uscito dal porto va errando qua e la verso l’avventura; colui che è privato della luce va urtando tutti gli ostacoli; così colui che è caduto nell’oblio di Dio, è continuamente in preda alle preoccupazioni, all’inquietudine, al dolore. Uno dei mezzi più propri per ricondurre gli sguardi di Dio su di noi, è l’essere abbandonati agli affanni cocenti, consumati dalla tristezza, e riflettere nelle lacrime sulle cause di quest’allontanamento di Dio (S. Chrys.). – Questo è il quadro di un’anima agitata e turbata: una folla di pensieri l’assalgono, come Giobbe (XX, 2), e lo trasportano da ogni lato, come i flutti di un mare agitato dalla tempesta. « Perché siete turbati – diceva Gesù ai suoi discepoli – e perché tutti questi pensieri si levano dai vostri cuori? » (S. Luca XXIV, 38).

ff. 3. – Il demonio e la tirannia della cattiva abitudine sembrano talvolta stravolgerci. Non bisogna in questo stato però perdere la fiducia, ma ricorrere a Dio con nuovo fervore. Cosa significano queste parole: « io non l’ho avuta vinta » se non che il mio nemico, che non ha nessuna forza per se stesso, nonostante ciò sia stato più forte di me. Sono i nostri difetti che costituiscono la sua forza, che aumentano la sua potenza e lo rendono invincibile (S. Chrys.). – Se voi vi ripromettete che alfine arriverà il tempo di pensare alla salvezza, senza pensarci fin da ora, ah! … ricordate che è per questo che tanti peccatori sono fin qui periti, e che è essa la grande via che porta alla morte essendo in peccato; ricordatevi che il peccatore, anche se lo desidera spesso ma invano, non si converte mai. Più sentirete anzi in voi questi sterili movimenti di salvezza, più farete sì che la vostra misura si colmi di più, ed ogni grazia disprezzata vi avvicinerà ad un grado maggiore di indurimento. Dite spesso al Signore con il Profeta: Fino a quando, o mio Dio, illuderò le inquietudini segrete della mia anima con vani progetti di penitenza? « Quandiu ponam consilia in anima mea »? Fino a quando vedrò trascorrere rapidamente i giorni della mia vita, promettendo al mio cuore, per calmarne i disordini, un dolore ed un pentimento che si allontana sempre più da me? « Dolorem in corde meo per diem »? Fino a quando il nemico prevarrà sulla mia debolezza? … si servirà di un errore così grossolano per sedurmi? « Usquequo exaltabitur inimicus meus super me? » Esaudite oggi, o mio Dio, questi desideri di salvezza, oggi in cui mi sembra che la vostra grazia li renda più vivi e sinceri: « Respice et exaudi me, Domine, Deus meus » (Bourdal).

ff. 4. –  Il Profeta parla qui degli occhi del cuore, e chiede che essi non siano mai chiusi a causa dei funesti diletti del peccato (S. Agost.). – Il peccato è nello stesso tempo un sonno ed un sonno di morte. Qual analogia tra il sonno ed il peccato, la morte dell’anima, e la morte del corpo! (Leblanc). – La morte di cui il Re-Profeta chiede qui di essere preservato, è la riprovazione, la perdita eterna di Dio, della quale è causa il peccato. Ciò che preserva da questa morte, è la luce della grazia; e ciò che è incompatibile con questa morte è questa stessa luce (Berthier). – Quanto è necessario fare a Dio questa preghiera: « rischiarate i miei occhi, etc. ». Non c’è forse alcun uomo al mondo che non abbia un recesso in cui tema che si faccia luce. Ci sono forse per questo tante ragioni individuali, ma malgrado questa varietà, il fatto non è meno universale. Quasi tutti noi ne ignoriamo le ragioni, perché forse piuttosto è uno di quegli istinti che vivono nel fondo della nostra natura corrotta. L’oracolo segreto ci dice che se noi penetriamo in questa piega del nostro essere, noi avremo modo di far fremere la pigrizia o la mancanza di mortificazione; il fascino della devozione a buon mercato o dell’amore dei nostri comodi, sarà infranto, e noi ci troveremo faccia a faccia con qualche necessità incresciosa, forse con il dovere e gli obblighi di una rivoluzione interiore completa, sotto pena di restare scontenti di noi stessi. Così noi lasciamo questa parte del nostro interno scrupolosamente chiusa, con la porta sbarrata e in solitudine di questi appartamenti dei quali si evitano i ricordi, o questi cassetti nei quali si sono depositati tanti rifiuti ed anticaglie che non si ha la forza di rimettere in ordine e di ripulire (S. Faber, Confér. Spirit. Simpl.).

ff. 5, 6. – Il demone, sapendo che la maestà di Dio è inaccessibile alla sua collera, smuove il cielo e la terra per suscitare dei nemici tra gli uomini che siano suoi figli. Egli crede così di vendicarsi di Dio; e siccome non ignora che non ci sono risorse per sé, egli non è capace se non di questa gioia maligna che perviene ad un malvagio nell’aver dei complici, e ad uno spirito malefico di vedere dei miseri e degli afflitti (Bossuet, S. sur les Dem.). – Vi è più gioia in cielo per un solo peccatore che fa penitenza, che per novantanove giusti che non ne hanno bisogno. Ugualmente c’è più grande gioia nell’inferno per aver perso qualcuno dalla pietà eminente, che per aver portato dei peccatori a commettere nuovi crimini. È quello che un profeta chiama « carne scelta e deliziosa » (Habac. I, 16). – Il mondo stesso è incantato nel poter essere autorizzato nei suoi disordini con gli esempi e le cadute di persone di pietà, dei Pastori dei popoli (Duguet). – Quale buona opera porta il Re-Profeta a sostegno della sua preghiera? Quali sono i suoi titoli? Che gli altri – egli dice – portino altri motivi; per me io non so che una sola cosa e non voglio dire che una cosa: è in Voi che ripongo ogni mia speranza; non c’è che questa speranza che possa liberarmi da sì grande pericolo (S. Chrys.).

ff. 7. – La gioia dei giusti è ben diversa dalla gioia dei malvagi. La gioia dei malvagi è la rovina di quelli che si lasciano andare alle sue suggestioni ed insieme la causa stessa della loro gioia; l’altra è un principio di salvezza e di vita per colui che essa riempie dei suoi trasporti (S. Chrys.). – Unico e solido soggetto di gioia, è la salvezza che Dio ci procura, la giusta riconoscenza che è dovuta a Dio quando ci ha soccorso: riconoscenza interiore, riconoscenza del cuore, esaltato dal trasporto della gioia; riconoscenza della bocca, espressa dai cantici di lode. (Duguet).