Cardinal H. E. Manning: LA CRISI ATTUALE DELLA SANTA SEDE (2)

Henry H. Edward Manning

LA CRISI ATTUALE DELLA SANTA SEDE (2)

[annunciata dalle profezie]

in 4 LETTURE

LONDON: PRINTED BY LEVEY, ROBSON, AND FRANKLIN. Grent New Street and Fetter Lane.

– MCCCLXI –

LETTURA II

Tale, quindi, è la rivolta che ha raccolte le energie in questi 1800 anni, maturando l’ora in cui riceverà il suo leader e capo. L’interpretazione universalmente seguita dai controversisti anticattolici, secondo la quale l’Anticristo è considerato uno spirito o un sistema e non una persona e, di conseguenza, che esso sia la Chiesa Cattolica Romana, o il Vicario del Verbo Incarnato, è un capolavoro di inganno: allenta ogni timore, ispira presunzione e fiducia, e fissa l’attenzione degli uomini nel controllare che i segni del suo apparire siano dappertutto tranne che là dove debbano essere visti; e la distoglie dal luogo dove essi sono già visibili. Ora, io non esito a dire che, in tutte le profezie dell’Apocalisse, non ce n’è nessuna che si riferisca alla venuta di Cristo nel modo più esplicito ed espresso tra quelle che riguardano la venuta dell’anticristo.

1. – In uno di questi passaggi, vi sono descritti tutti gli attributi di una persona; San Paolo lo chiama il malvagio, « ὀ ἂνομος » (o anomos), illi iniquus; l’uomo del peccato « ἂνθρωπος τῆς ἀμαρτίας » (antropos tes amartias), homo peccati, e figlio della perdizione « υἱὸς τῆς ἀπωλείας » (uios tes apoleias). E San Giovanni in ben quattro luoghi parla di esso come “anticristo”. Negare la personalità dell’anticristo, è quindi come negare la più elementare testimonianza della Sacra Scrittura: spiegare questi termini e questi titoli personali attribuendoli ad un sistema o ad uno spirito, è la stessa empietà del razionalismo di Strauss che osa negare il Cristo personale, “storico”.  – Una legge della Sacra Scrittura, ci dice che quando sono profetizzate delle persone, effettivamente queste persone poi appaiono; come, ad esempio, è il caso delle profezie di San Giovanni Battista o della Beata Vergine o del nostro stesso Signore. Tutti i Padri, sia dell’Oriente che dell’Occidente, – Sant’Ireneo, San Cipriano, San Girolamo, Sant’Ambrogio, San Cirillo di Gerusalemme, San Gregorio di Nazianze, San Giovanni Crisostomo, Teofilo, Ecumenius, tutti interpretano questo passaggio come di un Anticristo “alla lettera” e personale. Quella che potrei definire l’interpretazione “collettivista”, è veramente un modernismo eretico, controverso e irragionevole. Questo sistema fantasioso e contraddittorio è stato sufficientemente abbattuto per la verità, anche dagli stessi scrittori protestanti: ad esempio da Todd nel suo lavoro sull’Anticristo, un libro credibile e dotto, anche se in qualche modo deturpato dalle incongruenze del pregiudizio protestante; da Greswell, nella sua “Exposition of the parables” [esposizione delle parabole]; e da Maitland su “Daniele e San Giovanni”. In Germania pure, gli interpreti protestanti, pur mantenendo l’interpretazione anticattolica, reputano questa visione come una rinuncia al carattere di uno studio biblico. I protestanti d’Inghilterra sono ancora, come sempre sono stati, i meno coltivati ed i più irragionevoli. È vero, infatti, che l’anticristo ha avuto e potrebbe ancora avere molti precursori, come anche fu per Cristo stesso: come Isacco, Mosè, Giosuè, Davide, Geremia, erano i tipi precursori del Cristo, così Antioco, Giuliano, Ario, Maometto e molti altri, sono i prototipi dell’altro: persone che rappresentano persone – Quindi, ancora, così come Cristo è il capo ed il rappresentante in cui è stato riassunto e ricapitolato tutto il mistero della pietà (« τὸ τῆς εὐσεβείας μυστήριον » = to tes eusebieias musterion), [1Tim. III, 6], così anche l’intero mistero dell’empietà (« τὸ μυστήριον τῆς ἀνομίας ») [2 Tess. II, 7), troverà la sua espressione e la sua testa nella persona fisica dell’anticristo. Può davvero esso pure incarnare uno spirito o rappresentare un sistema, ma non per questo è meno, quindi, che una persona. Similmente anche tra i teologi, Bellarmino dice: « Tutti i cattolici sostengono che l’Anticristo sarà una persona individuale. » [De Summo Pontif. Lib. III, c. 2]. – Lessius dice: « Tutti sono d’accordo nell’insegnare che propriamente l’Anticristo non sarà una moltitudine, bensì una sola persona. » [De Antichristo, Tertia Dem.]. Suarez arriva a dire che questa dottrina dell’anticristo personale è « certa de fide ». [In III, p. D. Tomæ, Disp. liv. s. 1].

2. –  Successivamente, i Padri hanno creduto che l’Anticristo sarà di razza ebraica. Tale era l’opinione di Sant’Ireneo, di San Girolamo, e dell’autore dell’opera « De Consummatione Mundi », attribuita a S. Ippolito, e di uno scrittore di un Commentario sull’Epistola ai Tessalonicesi, ascritto a Sant’Ambrogio, e di molti altri, che aggiungono che sarà della tribù di Dan: come, ad esempio, San Gregorio Magno, Teodoreto, Areta di Cesarea, e molti altri. (Malveda, De Antichristo, lib. II, cc. X e XI). Tale è anche l’opinione di Bellarmino, che la definisce certa. (Ibid. c. XII). Lessius afferma che i Padri, con unanime consenso, insegnino come indubbio che l’Anticristo sarà un ebreo. (Ibid. in præfactione). J. Ribera ripete la stessa opinione, e aggiunge che Areta, San Beda, Haymo, Sant’Anselmo e Ruperto affermano che è questa la ragione per cui la tribù di Dan non è numerata tra coloro che sono suggellati nell’Apocalisse. (Ribera: in Apocalipsin, c.VII). Viegas dice lo stesso, citando altre autorità. (Viegas, in Apoc. c. VII). E questo sembra oltremodo probabile, se si considera che l’Anticristo verrà ed ingannerà gli Ebrei, secondo la profezia di nostro Signore: « Sono venuto nel nome di Mio Padre, e voi non mi avete ricevuto: un altro verrà nel suo nome, e voi lo riceverete »;  queste parole sono interpretate dai Padri come un consenso al falso Messia, che presso gli ebrei sarà considerato come il vero. E questo, ancora una volta, è l’interpretazione unanime dei Padri, sia dell’Oriente che dell’Occidente, come San Cirillo di Gerusalemme, Sant’Efrem Siro, S. Gregorio Nazianzeno, San Gregorio Nysseno, San Giovanni Damasceno, e anche di Sant’Ireneo, San Cipriano, San Girolamo, Sant’Ambrogio e Sant’Agostino. Questa evenienza appare ancora più probabile, se consideriamo inoltre che un falso Cristo non avrebbe alcun possibilità di successo se non fosse della casa di David; che gli Ebrei stanno ancora aspettando la sua venuta; e che sono scottati dalla delusione per aver crocifisso il vero Messia; e pertanto i Padri interpretano il vero e il falso Messia dalle parole di san Paolo ai Tessalonicesi: « τὴν ἀγάπην τῆς ἀληθείας » (ten agapen tes aleteias) « …con ogni sorta di empio inganno per quelli che vanno in rovina perché non hanno accolto l’amore della verità per essere salvi. E per questo Dio invia loro una potenza d’inganno perché essi credano alla menzogna » [2 Tess. II, 10, 11] « ἐνέργειαν πλάνης » (energheian planes). – Ora, penso che nessuno possa considerare la dispersione e la provvidenziale conservazione degli Ebrei tra tutte le Nazioni del mondo, la vitalità indistruttibile della loro razza, senza credere che siano stati conservati per qualche futura azione del suo giudizio e della sua grazia. E questo è predetto tra l’altro ancora nel Nuovo Testamento; per esempio nelle Epistole ai Romani e ai Corinzi. [Rom. XI, 15-24; 2 Cor. III, 16].

3. Da ciò percepiamo un terzo carattere dell’Anticristo, che cioè non sarà semplicemente l’antagonista, ma il « sostituto » o il supplente del vero Messia. E questo è reso ancora più probabile dal fatto che il Messia concepito dagli Ebrei è sempre stato un liberatore temporale, il restauratore del loro potere temporale; o, in altre parole, un principe politico e militare. È anche ovvio che chiunque, da quel momento in poi, li ingannasse con il preteso carattere del loro Messia, dovrà negare l’Incarnazione, qualunque pretesa di carattere soprannaturale proponesse per se stesso. Nella sua stessa persona ci sarà una completa negazione dell’intera fede cristiana e della Chiesa; perché se egli è il vero Messia (che apparirà come tale), il Cristo dei Cristiani deve essere necessariamente falso. Ora, forse, non ci rendiamo sufficientemente conto di quanto una persona comune e storica possa avere una tale potenza ingannatrice. Siamo così presi dell’idea e della visione del vero Messia nella gloria della sua divinità e della sua umanità, delle sue azioni divine, della sua Passione, della sua Risurrezione, Ascensione e Regalità sul mondo e sulla Chiesa, che non possiamo minimamente concepire come un falso Gesù Cristo possa essere ricevuto passando come vero. È per questo motivo che Nostro Signore ha detto di questi ultimi tempi: « Sorgeranno infatti falsi cristi e falsi profeti e faranno grandi portenti e miracoli, così da indurre in errore, se possibile, anche gli eletti. » (Matth. XXIV, 24); ma quelli che hanno perso la fede nell’Incarnazione, come gli umanisti, i razionalisti, i panteisti, potrebbero essere ingannati da qualsiasi persona di grande spessore politico e di successo che dovesse riportare gli Ebrei nella loro terra, e la gente di Gerusalemme, ancor più, con i figli dei Patriarchi. E non c’è nulla nell’aspetto politico del mondo che renda impossibile tale evenienza; in effetti, lo stato della Siria e l’ondata della diplomazia europea, che si sta continuamente spostando verso est, rendono tale evento nell’ambito di una ragionevole probabilità.

4. Ma le profezie assegnano alla persona dell’Anticristo un carattere più sovrannaturale. Esso viene descritto come un operatore di falsi miracoli. Si dice che la sua venuta sia « secondo la potenza di satana, con ogni portento, di segni e prodigi menzogneri, e con ogni sorta di empio inganno per coloro che periscono. » [2 Tess. II, 9-10]. – E qui non posso che percepire un incredibile cambiamento che si è verificato nel mondo. Mezzo secolo fa gli uomini che rigettarono il Cristianesimo, deridevano la credenza nella stregoneria come superstizione, e nei miracoli come follia. Ma ora il mondo ha superato anche la fede dei Cristiani per la sua credulità: L’Europa e l’America sono inondate dallo spiritismo. Non so quante centinaia e migliaia di medium esistano tra noi ed il mondo invisibile. Gli stessi uomini che non permetterebbero alla strega di Endor, o ad Elymas lo stregone, di passare senza considerarli ridicoli, credono nelle tavole ruotanti e nelle tavole parlanti, nella chiaroveggenza e nelle comunicazioni degli spiriti evocati dal mondo invisibile; nella scrittura dello spirito e nella locomozione attraverso l’aria e nell’apparizione delle mani, e persino delle persone. Rivelazione dello stato dei morti, dei segreti dei vivi, i colloqui prolungati e ripetuti con i defunti, non sono solo creduti, ma praticati abitualmente e quasi giorno dopo giorno. Ora non è il mio obiettivo, almeno non ora, il considerare tali fenomeni. Per noi è sufficiente dire qui che credere in un mondo invisibile e nella presenza e nella guerra degli spiriti del bene e del male, oggi non presenta alcuna difficoltà. Siamo tutti disposti ad affermare la loro realtà a causa della menzogna o della delusione che è confusa con essi. Sono quelle cose, precisamente, che la Chiesa ha sempre condannato e proibito sotto il nome di stregoneria: cose in cui c’è una vera azione soprannaturale espressa dalle molte imposture. Mi soffermo su questo punto perché è certo che siamo circondati da un ordine soprannaturale, in parte divino, e in parte diabolico. Non è strano che coloro che rifiutano l’ordine soprannaturale divino, diventino incredibilmente creduloni di quello diabolico? Ora in questo abbiamo già una preparazione all’inganno del quale scrive San Paolo. L’età è matura per un delirio. Non si crederà ai miracoli dei Santi, ma si accetteranno copiosamente i fenomeni dello spiritismo. Un medium di successo potrebbe benissimo passare, con le sue doti sovrannaturali, come il Messia promesso, e “segni e menzogne” in abbondanza possono essere compiuti dalle organizzazioni che sono già all’estero nel mondo.

5. L’ultima caratteristica di cui parlerò è forse la più difficile da concepire. San Paolo parla dell’« uomo del peccato », di « … colui che si contrappone e s’innalza sopra ogni essere che viene detto Dio o è oggetto di culto, fino a sedere nel tempio di Dio, additando se stesso come Dio. »  (2 Tess. II, 4) Queste parole sono interpretate dai Padri nel significato che: reclamerà gli onori divini, e quello nel Tempio di Gerusalemme. Dice Sant’Ireneo « L’anticristo è un apostata e un ladro, pretenderà di essere adorato come Dio » e « … cercherà di mostrarsi come Dio. » (S. Ireneo, lib. V, 29); – Lattanzio, che « … si proclamerà Dio » (Lattanzio: De divinis Istitutiones, lib. VII, c. 17). Lo scrittore con il nome di Sant’Ambrogio (l’Ambrosiastro) dice: « Affermerà di essere Dio » . San Girolamo:  « Si farà chiamare Dio, e pretenderà di essere adorato da tutti ». (S. Geron. In Zach. c. IX) San Giovanni Crisostomo, « Professa di essere il Dio di tutti, e si proclama e si mostra come Dio. » (S. Giov. Crist. In Hom. XI); Così anche Teodoreto, Teofilo, Ecumenius, Sant’Anselmo e molti altri. (Malvenda, lib. VII, c. 4); Suarez, nello spiegare questo passaggio, dice: « È probabile che l’Anticristo non crederà in alcun modo a sé stesso in ciò che insegnerà e che costringerà a credere gli altri. Perché sebbene all’inizio egli possa persuadere gli Ebrei che sia il Messia e venga inviato da Dio, e possa fingere di credere che la legge di Mosè è vera e sia da osservare, pure farà tutto questo nella dissimulazione, li ingannerà ed otterrà il potere supremo. Poiché subito dopo rifiuterà la legge di Mosè e rinnegherà il vero Dio che l’ha dettata. Per questo motivo molti credono che distruggerà l’idolatria in modo astuto per ingannare gli Ebrei. » – « Quanto sarà grande la sua perfidia e ciò che realmente crederà riguardo a Dio, non possiamo congetturarlo. Ma è probabile che sarà un ateo e negherà sia la ricompensa che la punizione nell’altra vita, e venererà solo l’essere preternaturale, dal quale ha appreso l’arte dell’inganno e acquisito le sue risorse, con le quali otterrà la ricchezza e il potere supremo. » (Suarez III, p. s. Thomæ, disp. liv. s. 4) – Ora, è facile capire come si opporrà a Dio, essendo l’antagonista di Cristo; e come si innalzerà o si eleverà al di sopra di tutto ciò che è chiamato Dio e adorato come tale; perché, soppiantando il vero Messia, si pone al posto del Dio incarnato. Né è difficile capire come coloro che hanno perso l’idea vera e divina del Messia possano accettarne uno falso, essendo inoltre abbagliati dalla grandezza dei successi politici e militari, (S. Agost. in Ps. IX, tom. IV, 54) ingolfati dalle nozioni panteistiche e sociniane (“massonismo” – ndr.-) della dignità dell’uomo, e possano così tributare alla persona dell’Anticristo l’onore che i Cristiani tributano al vero Messia. Ho toccato questo punto, perché San Paolo lo colloca in modo prominente nella descrizione dell’Anticristo, e poiché la tendenza dell’incredulità “credulona”, ​​che aumenta nel mondo man mano che diminuisce la fede, sta visibilmente preparando gli uomini alla allucinazione. Una delle più straordinarie interpretazioni dei Padri è quella che, alla fine del mondo, il paganesimo sarà restaurato. (Cornelius a Lapide in Apocal. c. XVII). Mai avremmo pensato che questo fosse stato possibile: ma se non altro lo possiamo credere, se non ci fossero altri motivi, almeno per lo sviluppo della moderna infedeltà; ed infatti l’infedeltà non fu mai più dominante di quando si ebbe nella prima Rivoluzione francese, in cui la Rivelazione fu reputata falsa, e al suo posto si installò l’adorazione della “dea” ragione e di “cerere”. In verità, quando l’intellettuale diventa panteista, il semplice diventerà politeista; questi ha bisogno di una concezione più materiale dei raffinati miscredenti, così da impersonare ed incarnare, prima nel pensiero e poi nella forma, l’oggetto della propria adorazione. E cos’è questo, se non il paganesimo semplice e puro? Ma in questo non posso ora entrare. Nel secondo libro delle opere di Gaume sulla rivoluzione francese, in particolare nei capitoli XII, XIII e XIV, si troverà un resoconto ampio e dettagliato del paganesimo di cinquant’anni fa; e nel “catechismo della religione positiva”, sotto la voce « Culto pubblico e privato », si vedrà un’elaborata professione di culto religioso indirizzata all’umanità, il corpo collettivo degli uomini deificati, che è la base naturale della religione dell’antica Grecia e di Roma. Ora, non si dica che non possiamo essere lontani dai più funambolici fenomeni soprannaturali circa la manifestazione e la persona dell’Anticristo. Tutta la storia ci porta ad aspettarceli; tutte le profezie sembrano prevederlo; i grandi periodi dell’azione divina nel mondo la prefigurano. Il mio obiettivo non è stato quello di privare il futuro del soprannaturale, ma di mostrare come il soprannaturale si confonda nel corso ordinario del mondo, e ci prenda, per così dire, di sorpresa. « Il regno di Dio non giunge osservato », ma … è in mezzo a noi, in piena presenza e potenza, sotto aspetti che ci sembrano comuni e non particolari, nelle pulsioni delle azioni umane, nell’ambito di movimenti nazionali, nella politica dei governi e nella diplomazia del mondo. Come si credeva che Cristo alla sua venuta fosse un falegname, così può l’Anticristo essere visibilmente non più che un avventuriero di successo. Persino il suo carattere soprannaturale, vero o falso che sia, può passare o come scintillio di follia, o come assurdità dei suoi partigiani, o come delusioni dei suoi adulatori. Quindi il mondo acceca i suoi stessi occhi con il fumo del proprio orgoglio intellettuale. Non c’è nulla che possa essere fuori dal contesto o dalla proporzione, o dall’ᾖθος (etos), come si dice del diciannovesimo secolo, per cui potrebbe sorgere una persona di sangue ebraico, naturalizzata in qualcuno dei popoli d’Europa, un protettore degli ebrei, tra i portaborse, i giornalisti e gli uomini di comunicazione, dalle rivoluzioni europee, salutato come loro salvatore dal dominio sociale e politico dei Cristiani e, circondato dai fenomeni dello spiritualismo anticristiano e dell’anticattolicesimo, egli stesso si proclami un pontefice, professando di essere più che Mosè o Maometto, cioè più alto della statura e delle proporzioni umane. A coloro che non hanno mai operato un discernimento, in linea di principio, tra l’Unità suprema e l’azione della verità da una parte, e la menzogna dall’altra, e allo stesso modo rispettivamente del bene e del male, può sembrare strano attribuire tanta importanza ad un dato evento che sembra riguardare la sfera della razza ebraica. Ma a quelli che credono che il mondo possa essere diviso in Cristiano ed anticristiano, o Cattolico e anticattolico, o, in altre parole, all’ordine naturale, basato sulla semplice volontà e azione umana, e al soprannaturale, basato sulla volontà divina e sull’Incarnazione di Dio, apparirà immediatamente essere l’episodio più vitale e decisivo di tutto ciò che spero di mostrare qui di seguito, e cioè che l’antagonismo tra due persone è l’antagonismo anche tra due società, e così come il nostro Divino Signore è il Capo e il Rappresentante di tutta la Verità e la Giustizia del mondo sin dall’inizio, così l’anticristo, chiunque sia o possa essere, sarà il capo e il rappresentante di tutte le menzogne ​​e gli errori che si sono accumulati per questi 1800 anni, tra le eresie, gli scismi, le sedizioni spirituali, le infedeltà intellettuali, i disordini sociali e le rivoluzioni politiche del movimento anticattolico del mondo. – Tale è il grande fondo mobile su cui poggia la società cristiana del mondo. Di tanto in tanto questo fondo si è innalzato con un potere soprannaturale, e ha fatto vibrare e agitare l’ordine cristiano in Europa. Poi di nuovo è sembrato ripiombare in una calma apparente. Ma nessuno con retto discernimento può errare nel vedere che esso, ora più che mai, è così profondo, potente e diffuso. Che questa potenza anticristiana poi un giorno prenderà il sopravvento e per un certo tempo prevarrà in questo mondo, è cosa certa secondo la profezia. Ma questo non può essere che fino a quando « … colui che lo tiene in pugno » sarà costretto a lasciar la presa. Questo, tuttavia, è il prossimo argomento nel nostro ordine, e non devo anticiparlo qui.

LE BEATITUDINI EVANGELICHE (-6A-)

BEATITUDINI 6 (A)

[A. Portaluppi: Commento alle beatitudini; S.A.L.E.S. –ROMA, 1942, imprim. A. Traglia, VIII, Sept. MCMXLII]

Beati mundo corde: quoniam ipsi Deum videbunt.

[Beati i mondi di cuore perché vedranno Dio]

I.

IL TRIONFO DELL’INGANNO

È una realtà sfiduciante la tronfia baldanza del vizio impuro sul mondo. Nelle regioni dominate dal paganesimo sta come in sua sede l’impurità; e vi è venerata al pari d’una divinità promettente. I missionari hanno contro di sé il dio nefando, sotto tutte le forme. Non è forse vero, che vi viene adorato? Le religioni pagane ancora esistenti sono nelle condizioni di decadimento del nostro paganesimo, allorché stava per rivelarsi il Cristo. E non sono in via di scomparire. Tanta energia dissolvitrice ancora possiedono. E purtroppo ne vediamo i frutti nella inferiorità di codesti popoli. Nelle opere civili, in quelle dell’intelligenza e del cuore. Sanno vestirsi dei trovati della nostra civiltà cristiana e in questo sono invadenti e pericolosi; ma essi non sanno creare. Non forse anche presso di noi ha un certo culto il demonio sudicio! Lo ha in diverse zone della nostra vita, dove il pensiero cristiano non penetra e il dettame di satana fa invece presa. Il diporto mondano è penetrato dal veleno impuro, la letteratura ne è resa fetente, il costume di certi ambienti intollerabile. Ci sono famiglie messe insieme dalla passione, coniugi senza la benedizione di Dio generano figli, ai quali viene negato il Battesimo o dove il Sacramento non riesce a fecondare alcuna virtù. Giovani avviati al vizio dai genitori stessi. Ragazze, che sciupano le rose della loro avvenenza prima che s’aprano ad olezzare. Adulti la cui sollecitudine è spremere dal resto della esistenza l’ultime gocce di piacere. Decrepiti — poiché qualche volta avanza un brano di vecchiezza anche al vizioso — i quali stanno esaurendosi nell’ansia tormentosa di turpi desideri insoddisfatti.

LA DELUSIONE

La società, se dipendesse dal loro contributo sarebbe distrutta da tempo. Dio è soppresso nella loro vita; ma anche questa ne subisce la sorte. Tutto per un piacere effimero e illusorio. È la vittima stessa, che lo sente così. Dopo una soddisfazione, si oscura la sua fronte e si chiede: Tutto qui? È una forza più esterna che intima, che seduce e acceca e sopprime il senso dell’osservazione e della critica. È un impulso fosco e trascinante, che ottenebra l’intelletto e lo fa inetto a penetrare e a ragionare. La carne ne è sollevata in una violenza, che umilia, ma che domina. Quando nella famiglia un giovine si fa serio senza ragione oltre il suo tono abituale, la sua parola più rada, il suo carattere intrattabile, dite che il verme della impurità lo sta rodendo alle radici del cuore. Persino la natura reagisce. Ma soprattutto si nota la stanchezza della disciplina, la noia della fatica, la incapacità di sostenere intero il dovere, che prima era piacere. – « E di che cosa mai mi dilettavo io, scrisse Sant’Agostino, se non di amare e di essere amato? Ma l’amicizia ha i suoi confini e molti pericoli, ed io invece non sapevo tener misura, e accecato dalla nebbia oscura che mandavano su le passioni della carne e il brulicame della pubertà, non distinguevo le bellezze dell’amor puro dalla bruttezza della libidine. L’una e l’altra mi ribollivano insieme nel cuore, e me imbecille trascinavano giù alla cieca nel precipizio dei peccati e mi affogavano in un mare di delitti. L’ira tua, o Signore, tutta mi pesava addosso, ed io non m’accorgevo, divenendo stupido per le catene de’ miei vizi, in pena della mia superbia. Sicché io me ne andava lungi da te, e mi scialacquava in dissolutezze, e infradiciavo tutto; e tu mi lasciavi fare e tacevi ». – Questa pagina delle Confessioni è l’eco della esecrazione che tormentava l’animo contrito del santo, dopo anni di ravvedimento e di espiazione. Ma il male amareggia tutta la esistenza dell’antico peccatore, anche se rinato nella santità. Qualcuno ha detto, e si ripete, che l’esperienza vale il peccato. Ma non si riflette, che nessuna malattia giova alla salute. Può darsi, che lo trattenga dai pericoli di ricadervi; ma è chiaro, che per questo non mancano le indicazioni, per evitare di battere una strada errata e di doverla poi rifare in senso contrario, faticosamente.

ANTICHE FOLE

Chi sappia incontrarsi con un giovine puro avrà per tutta la vita nell’animo l’impressione di una superiorità, che vale ogni sacrificio. Ma il suo rovescio fa orrore e ci dà la prova della miseria alla quale può arrivare un cuore non guidato dall’intelligenza che la Fede religiosa illumini. V’ha oggi, come in altri tempi, qualcuno il quale insegna ad alta e irata voce, che il peccato è una fola e che soltanto la superstizione di chi non sa conoscere la vita, può parlarne con tono pauroso. L’uomo è in se stesso sano e integro. Ogni suo bisogno è legittimo. La natura non decadde mai e il peccato originale è una eredità orientale e semita, estranea alla nostra civiltà europea. Siamo davvero sotto tale riguardo, in tempi di spenta originalità. Quando si ardisce declamare contro la Fede dei secoli cristiani si cade negli errori mille volte dimostratisi tali. Del peccato ognuno possiede la prova dentro la propria esperienza. Nessuno ha il potere di creare il rimorso circa alcuni lati della vita. Nasce da sé, si oppone da sé alla volontà sviata, tormenta da sé lo spirito in errore e sovente lo conduce alla resipiscenza e la Fede. Il rimorso qui è provocato dalla legge naturale disprezzata. – Fatto si è che l’uomo vittima del vizio impuro si esaurisce. L’intelligenza, il cuore, la volontà, le tre forze massime della natura nostra, si attenuano di vigore e di prontezza. L’indolenza poi fa precipitare nel disordine e nel disonore e compromette anche la condizione sociale. Giovani di bellissime speranze — come Prodighi alla custodia dei porci — si sono ridotti alla miseria spirituale. – Ma ciò che più conta, si è la vergogna che contamina l’anima e l’immagine di Dio contraffatta nel cuore. Leggiamo una pagina di Padre Lacordaire. « Chi è quel giovine? Donde viene che il suo sguardo è appannato, le guance scolorite e incavate, le labbra tristi, la fronte pensierosa? La giovinezza è primavera della bellezza; Dio, che è giovane sempre bello, ha voluto nei nostri primi anni darci qualche cosa della fisonomia della sua eternità. La fronte del giovane è il lampo della fronte di Dio, ed è impossibile vedere un’anima vergine sopra un volto puro, senz’essere commosso da una simpatia, che contiene tenerezza e rispetto. Ora questo dono sì grande, questo dono che precede il merito, ma non l’innocenza, Iddio lo toglie a chi ne abusa con precoci passioni. Il vizio s’imprime su quella carne… vi segna delle vergognose rughe premature ed accusatrici, un non so che di caduco, che non è il segno del tempo, né delle meditazioni dell’uomo dedicato ad austeri doveri, ma l’indizio certo d’una depravazione passata devastando… Così è delle nostre passioni; ciascuna ha il suo castigo terreno e rivelatore, destinato ad insegnarci che la loro strada è falsa… ». – Ma, dico, è l’anima umiliata, la prima vittima, il cencio che rimane come emblema della distruzione avvenuta. Dio cacciato da essa, ha tolto via con sé tutto: la bellezza, la intelligenza, il vigore fisico, le speranze del cuore verso l’avvenire, tutto il suo tesoro. La vita soprannaturale cancellata ha lasciato i rottami delle delusioni e della sfiducia. La vita del Cristiano senza Cristo è la preparazione alla più impensabile e disperata miseria. I genitori, che non si occupano di questo problema, sono destinati a sorprese ben desolanti.

II

LA PROFANAZIONE DELLA VITA

Sicché ogni impegno per liberare le anime da un peso sì grave e opprimente è opera di gran merito. Se uno ricorda la commozione provata dopo una confessione ben fatta e il sollievo sperimentato nella certezza del perdono, sa che la coscienza umana, sgombrata da codesta colpa, si sente leggera e agile, piena di fiducia e di desiderio di ben fare. È dunque una carità inestimabile il soccorso prestato a tale liberazione.

CONTRO NATURA

Infatti l’impuro contravviene alle leggi della natura e la profana. Questa esige il rispetto dell’ordine fissato al piacere. Il quale è destinato a rendere gradito il dovere della conservazione della vita nel mondo. Chi ne abusa a scopi personali di solo godimento, defrauda la natura del suo diritto. Vuol godere escludendo le responsabilità inerenti. Oltre a ciò la mala soddisfazione riempie l’animo di turbamento e di ambascia, vi solleva una tempesta di ansietà e di voglie scomposte, vi prepara altre cadute. – Il cuore, che ci è dato per amare e perché serva da casto motore alle diverse attività della vita, vien prostituito a servire l’immondezza e la volgarità. Sicché invece di essere strumento di opere di amore, diventa stimolo di corruzione e tranello per le conquiste del vizio. – Quante vittime della corruzione del cuore si contano nella società! Dalla storia conosciamo alcuni casi di singolare gravezza; ma ogni giorno la folla viene, insidiata e travolta dalla esasperazione di certi cuori avviliti nella sconfitta, i quali perseguitano altri come per vendicarsi della propria viltà. – Il dono della vista, la capacità di vedere e osservare, vengono pure contaminati dal vizio impuro, che l’usa come provocante incentivo al fuoco della concupiscenza. Qui è lo spirito preso di mira, e l’occhio che guarda impudicamente e con il desiderio del male contamina e piaga l’animo e lo infesta di stimoli insani. – Il Signore Gesù mise in guardia contro il pericolo con quelle parole, che elevarono la morale umana dal fatto esteriore ad una consapevolezza intima. « Chiunque guarderà una donna, per desiderarla ha già commesso in cuor suo adulterio con essa ». Commenta san Giovanni Crisostomo: « È quanto dicesse di chi vuole fissarsi troppo curiosamente nelle bellezze corporee e andar a caccia di leggiadri visi e pascere l’anima di codesto spettacolo e piantare gli occhi nelle sembianze lusingatrici. « Non venne egli a trarre il corpo soltanto dalle malvagie azioni, ma prima provvide allo spirito; e, come riceviamo nel cuore la grazia del Paracleto; così tende tosto alla purificazione di esso. E con quali mezzi, domanderete, possiamo liberarci dalla concupiscenza? In una maniera energica assai; poiché volendolo davvero, possiamo estinguerla o contenerla almeno affinché non si sbrigli ».

VIGILANZA FIDUCIOSA

Chi non ha qualche esperienza degli effetti di certi sguardi procaci? Colui che anela di fermarsi con gli occhi nella bellezza dell’altrui volto, infiamma la fornace della colpa, avvince lo spirito e sospinge attivamente verso l’azione malvagia. Questa deleteria efficacia suaditrice viene esercitata nella vita sociale oggi dal cinema immorale, dove gli occhi hanno una parte sovrana. Attraverso questi passa tutto un mondo di peccato, di seduzione, di inganno; si introduce nello spirito un torrente di eccitazioni, di stimolanti arditi, frementi, che diventano poi un fomite insaziabile. I genitori lo sappiano sempre e ne tengano conto, con somma attenzione. – Per buona sorte vi ha un altro modo di vedere. Il Signore non condannò il guardare, ma quel particolare modo, che è accompagnato da desideri impuri. Dono prezioso è quello della vista; ed ha una funzione di gran rilievo nella vita dello spirito. Dalla serena visione delle cose veniamo invitati a salire verso il Creatore con moto spontaneo e diretto. Funzione sulla quale dobbiamo ammaestrare i giovani d’ogni età, perché, apprezzando la generosità del Signore, sappiano usare dei suoi infiniti doni con rispetto e con facile profitto. – Che cosa occorre dunque per riuscire a conservare il dominio dei sensi secondo la volontà di Dio? Santa Caterina da Siena scrivendo ad una religiosa spiega con una similitudine come chi ambisce conservare la purezza debba somigliare alle vergini savie, di cui parla san Matteo (XXV, 1-13). Esse avevano la lampada, l’olio e il lume, che è fuoco e luce. La lampada è il nostro cuore, stretto in basso e largo in alto, perché poco e ordinatamente si tenga rivolto a terra e si tenga ampiamente aperto verso il cielo. Sia riservato nei doveri della esistenza presente, sia generoso con quelli che toccano i nostri rapporti con Dio. L’olio è la virtù della umiltà, che potremmo anche dire della diffidenza di noi medesimi. Per merito di essa noi non ci induciamo a usare libertà di modi quando trattasi del pericolo impuro, non accostiamo persone, cose, pensieri capaci a sedurre la nostra fragile volontà; abbiamo paura di essa, diffidiamo della nostra abilità e forza di resistenza. Questa diffidenza porta al conoscimento di noi e di Dio. Conoscer bene la nostra miseria e concentrarci in questo pensiero esclusivamente, riuscirebbe noioso e pesante e ci condurrebbe a disperazione; perciò dobbiamo levarci verso Dio e studiare la sua grandezza e bontà. Questa al contrario ci rivelerà la sua generosità a nostro riguardo; sicché ci s’allarga il cuore e la speranza rinasce e cresce. – « Convienci dunque mescolare l’uno con l’altro insieme, cioè stare nel conoscimento santo della bontà di Dio e nel conoscimento di noi medesimi; e così saremo umili, pazienti e mansueti e a questo modo avremo l’olio nella lampada ».

PUREZZA È GARANZIA

Il fuoco, che divampa dall’olio è la carità, l’amore di Dio e del prossimo è la fede, cioè l’accettazione delle verità da Dio rivelate e le opere che ne sgorgano, quando essa è viva. Le opere fanno risplendere la fede, e dimostrano che è sincera e fiammante. Orbene la fede, che opera, mira ad affermare il dominio di Dio sulla nostra vita. E Dio con questo dà all’uomo il suo valore. Bisogna stare uniti a Lui e lavorare nel suo solco. Quanto è attraente l’esistenza indipendente dalle agitazioni e dai turbamenti del piacere! Tu vedi giovani e adulti, che camminano come sovrani per la strada del loro dovere. Li vedi sopportare le opposizioni delle condizioni esteriori con la calma e serenità di chi è padrone e sicuro. Come sarebbe meglio appoggiato che al volere di Dio? L a purezza del costume è la prima affermazione della sua volontà. Puoi vedere molte cose belle in un individuo: intelligenza, salute, carattere felice, resistenza al lavoro, posizione fortunata; se non ha correttezza del costume non andrà esente dal fallimento. La nostra sorte è come appesa a quella virtù. « Non far getto dell’eroe che è in te », ha scritto un filosofo sventurato. Ma più che di eroi abbiamo bisogno di uomini normali. Il progredimento della vita avviene per mezzo della fatica lenta, ma assidua e costante, più che con i gesti ammirabili. Uomini sereni e pazienti, calmi e casti occorrono; come di donne consapevoli della loro dignità e del valore della fede data. Abbiam bisogno di coscienze comprese della presenza di Dio e della santità imposta a ciascuno, per il bene di tutti. Senza la purezza non matura virtù, né la vita fa frutto.

[continua…]

Cardinal H. E. Manning: LA CRISI ATTUALE DELLA SANTA SEDE (1)

-Henry Edward Manning

LA CRISI ATTUALE DELLA SANTA SEDE

 [annunciata dalle profezie]

-In 4 LETTURE-

LONDON: PRINTED BY LEVEY, ROBSON, AND FRANKLIN. Grent New Street and Fetter Lane.

– MCCCLXI –

Prefazione e lettera di presentazione:

LONDRA:

BURNS & LAMBERT, 17 & 18 PORTMAN STREET, e 63 PATERNOSTER ROW;

KNOWLES, NORFOLK ROAD, BAYSWATER.

MDCCCLXI.

PER IL REVERENDISSIMO

JOHN HENRY NEWMAN, D. D.

DELLA CONGREGAZIONE DI SAN FILIPPO NERI.

Mio caro Dr. Newman,

Circa tre anni fa, hai gentilmente unito il mio nome al tuo nella dedica del tuo ultimo volume de “I Sermoni”. Lascia ora che ti dia una prova di quanta gratitudine abbia nell’essere stato in qualche modo unito a te, chiedendoti di farmi unire indegnamente  il tuo nome con il mio ancora una volta in questa impresa. Ma, come sai, il nostro vecchio patto non si è mai sciolto. Tu sei stato così gentile da annoverarmi come tuo amico di quasi trent’anni; e questo mi dice che siamo entrambi giunti al momento della vita in cui gli uomini possono oramai guardare indietro e misurare il percorso che hanno compiuto. Questo non è piccola cosa, in una vita attiva piena di eventi e di lavoro svolto in oltre un quarto di secolo e per una generazione intera di uomini. Con pochissime eccezioni, tutti gli uomini che hanno avuto credito e potere quando è iniziata la nostra amicizia, sono oramai passati, ed una nuova generazione è nata ed è cresciuta fino alla virilità da quando è entrata nella vita. – Gli uomini sono sempre tentati di pensare ai tempi in cui hanno vissuto intensamente, estendendoli poi anche alle altre età. Ma, pur tenendo conto di questa comune infermità, penso che non dovremmo sbagliarci nel considerare come eccezionalmente grandi i trent’anni che, iniziati con l’emancipazione cattolica, abbracciano la restaurazione dell’Episcopato cattolico in Inghilterra, e terminano con il movimento anticristiano dell’Europa contro la Sovranità Temporale della Santa Sede. Posso aggiungere che per me e per te, in questo periodo, si è avuto un altro alto e singolare interesse per il movimento intellettuale che è sorto principalmente ad Oxford, e si è fatto poi sentire in tutto il nostro Paese fino ai nostri tempi. Tu sei stato un capofila in questo lavoro, ed io sono un testimone della sua crescita. Sei rimasto a lungo a Oxford, anche con tutte le sue infermità tanto note ad entrambi; ma io mi sono tenuto ad una certa distanza, e ho dovuto operare da solo. Tuttavia, a te devo un debito di gratitudine per l’aiuto intellettuale e per il lume di uno degli uomini più grandi del nostro tempo; è un debito di sincera gratitudine per me poterlo ora pubblicamente riconoscere, anche se non posso in alcun modo ripagarlo. Tra le molte cose che danno un vivido e grande interesse in questo momento, c’è lo sviluppo pronunciato ed esplicito, in entrambe le parti, dei due grandi movimenti intellettuali, al cui corso abbiamo noi assistito  così a lungo.  C’è stato un tempo in cui coloro che ora si contrappongono – cioè i Cattolici, e i razionalisti – erano apparentemente in stretta e perfetta identità di vedute. Ma sotto l’apparenza di un’opinione comune giaceva celato, anche allora, l’antagonismo essenziale di due princîpi, la cui divergenza è tanto ampia quanto tra le menti degli uomini ne possa intercorrere tra la Fede Divina o l’opinione umana. – Ogni anno poi ha confermato con prove luminose le ragioni che a te e a me elevavano le convinzioni dell’intelletto alla coscienza della Fede, rivelandoci l’unità divina e le peculiarità dell’unica Chiesa di Dio, mentre alcuni tra quelli che erano al nostro fianco, o erano seduti ai nostri piedi, sono stati risucchiati, come per un moto ondoso, nell’anglicanesimo, nel protestantesimo, nel latitudinarismo, nel deismo razionalistico. Invece il carattere divino e la sovranità della Chiesa Unica Cattolica e Romana, con le prerogative del Vicario del Verbo Incarnato, si sono manifestati a noi in un’ampiezza e con una maestà che comanda l’amorevole obbedienza dell’intelletto, del cuore, della volontà, e di tutte le potenze vitali; altri che un tempo pur le amavamo, sono arrivati a trovare la loro linea principale di ristabilimento dello stato delle cose, in una politica che, per me, è semplicemente il preludio dell’Anticristo. La politica in Italia dell’Inghilterra non ha altro nome. E sono meravigliato che il grande popolo francese, così sensibile alla preminenza inglese, così geloso dell’influenza inglese, e così giustamente sprezzante delle assurdità del protestantesimo inglese, sia stato spinto a realizzare una politica in odio alla Francia cattolica, superando tutte le speranze dell’Inghilterra protestante. Spogliare la Santa Sede della sua sovranità temporale, è stata fin dai tempi di Enrico VIII, la passione dell’Inghilterra protestante; ma essa non ha mai sognato di realizzare il suo progetto prediletto per mano della Francia cattolica. Questo è un risultato che va ben oltre le attese. Avevo appena scritto questa frase quando ho letto il dibattito alla Camera dei Comuni sulla politica estera del governo. Non credo che né tu, né io, potremo mai essere sospettati di apologia delle carceri napoletane, che sono pessime come le nostre, almeno fino a qualche anno fa; o della tortura a Napoli, ammesso che vi sia qualche briciolo di verità, cosa di cui io dubito più che mai. Tu ed io non abbiamo certo timore di passare per amanti del dispotismo, o dell’assolutismo, o anche di un governo repressivo. Ma pensiamo entrambi di giudicare uno spettacolo malinconico, quando vedremo il modo in cui alla camera dei Comuni hanno eliminato le disposizioni su questi argomenti dalle leggi che hanno creato l’Europa cristiana, e da tutto ciò che è prezioso nella Costituzione inglese, per approvare una politica sovversiva della società europea. Il diritto delle nazioni, il diritto pubblico, i trattati stabiliti ed il possesso legittimo, sono senza dubbio, per la moderna scuola degli statisti, un nulla e restano senza significato. Sono nondimeno queste le realtà che legano la società; e costituiscono le prove morali mediante le quali si deve provare la giustizia in una causa. La politica che li viola è immorale; il suo fine è l’illegalità pubblica, e il suo successo sarà la sua stessa punizione. Ora ho una convinzione ancor più profonda che questo movimento anticattolico, guidato e stimolato dall’Inghilterra, avrà il suo successo perfetto e regnerà per un tempo supremo; e poi, forse prima di essere nelle nostre tombe, tutti coloro che vi hanno partecipato, principi, uomini di stato e persone, saranno flagellati, mediante un conflitto universale, dalla rivoluzione, da una guerra europea, della quale il 1793 e le guerre del primo impero, sono un pallido preludio. Ciò che mi fa più vergognare ed allarmare, è vedere quegli uomini che una volta credevano in un ordine superiore delle politiche cristiane, propagare ora contro la Santa Sede, la dottrina della nazionalità, e la legittimità della rivoluzione che, se applicata all’Inghilterra, non riuscirebbe a smembrare l’impero solo perché sarebbe soffocata nel sangue. Sembra come se gli uomini abbiano perso la loro luce. In quale altro modo possiamo infatti spiegare la cecità che non riesce a vedere che il conflitto tra Francia ed Austria ha indebolito la società cattolica d’Europa, e ha dato alla politica protestante dell’Inghilterra e della Prussia un predominio estremamente pericoloso? Non passerà molto tempo prima che scoppi una guerra europea che esaurisca i poteri della società cristiana, sia dei protestanti che dei Cattolici, e darà un fatale predominio alla società anticristiana, o alla rivoluzione, che in ogni dove sta preparandosi per l’ultima battaglia, e per la sua supremazia. La società cattolica d’Europa si indebolisce, la società cristiana a sua volta, tra breve cederà. Poi arriverà il flagello! La convinzione che avverto è che si stia abbattendo una imminente grande tribolazione sul movimento anticattolico di Inghilterra, Francia e Italia, il che è reso ancora più sicuro dal fatto che il punto critico dell’intero conflitto, la chiave di volta del tutto, e l’ultimo successo che si prefigge di ottenere, è la detronizzazione del Vicario del nostro Redentore. « Il potere temporale del Papa – ci viene detto – è stato il grande ostacolo alla pace dell’Italia e dell’Europa ». È questo che distribuisce e ordina i due elementi: « Qui non mecum, contra me est » [chi non è con me, è contro di me]. Essi avranno il loro giorno, e il Vicario di Gesù Cristo attenderà il suo tempo! « Si moram fecerit, expecta illum;  quia veniens veniet, et non tardabit » [se farà ritardo, aspettalo; perché verrà e non tarderà]. Nel frattempo l’Inghilterra si sta preparando al suo sfaldamento. Essa ha guidato l’incredulità dell’Europa, e sarà divorata dai suoi stessi seguaci. La Riforma ha fatto il suo lavoro su di essa. Il protestantesimo, come la camicia di Nesso, aderisce alla carne dell’Inghilterra, e il suo giorno arriverà infine. Ci è stato detto che l’uomo ha ottantatré parassiti che vivono sulla sua carne. La Chiesa anglicana allo stesso modo offre un “pabulum” ad ogni eresia e porta nel suo sistema ciò che la Chiesa vivente di Dio espelle e caccia via. In questo momento, nella Chiesa anglicana istituita, esiste in uno stato formale il Sabellianesimo, il Pelagianesimo, il Nestorianesimo, il Calvinismo, il Luteranesimo, lo Zwinglianesimo, il Naturalismo e il Razionalismo. Passo sopra una moltitudine di altre eresie meno formali, e nomino solo queste perché hanno un’esistenza definita e attiva nell’Istituzione, e si riproducono da sole. È l’inimicizia intrinseca di questa congerie di eresie che dirige il potere politico dell’Inghilterra contro la Chiesa Cattolica e, soprattutto, contro la Santa Sede; è essa che dà all’Inghilterra la malinconica pessima preminenza della “terra più anticattolica”, e quindi della più anticristiana potenza del mondo. – Nelle pagine che seguono mi sono sforzato, in modo certamente insufficiente, data la complessità dell’argomento, di mostrare che ciò che sta avvenendo nei nostri tempi sia il preludio del periodo anticristiano dell’ultima detronizzazione della cristianità e della restaurazione della società senza Dio nel mondo. Ma, prima o poi, così deve avvenire: « … Il Figlio dell’uomo se ne va, come è scritto di Lui, ma guai a colui dal quale il Figlio dell’uomo viene tradito; sarebbe meglio per quell’uomo se non fosse mai nato! ». (San Matt. XXVI, 24). Che Dio ci impedisca di condividere anche il silenzio nella persecuzione della sua Chiesa!

Credimi, mio caro Dr. Newman, con immutato affetto, tuo:

H. E. MANNING.

St. Mart’s, Bayswater,

Master 1861

LETTURA I

Sono ben consapevole del fatto che le verità e i principi della Rivelazione siano stati, per il comune consenso degli uomini pubblici, esclusi formalmente dalla sfera della politica, e che applicarli come prove agli eventi del mondo, sia considerata, in questi giorni, una debolezza mentale. Coloro che rifiutano la Rivelazione sono coerenti in tale giudizio; ma con quale coerenza essi professano di credere in una rivelazione del governo divino del mondo, e tuttavia acconsentono ad escluderlo dal campo della storia contemporanea, non posso dirlo. Sto quindi procedendo, prudens et videns, a scontrarmi con lo spirito popolare di questi tempi, ben sapendo di espormi al disprezzo o alla compassione di coloro che credono che il mondo sia governato solo dall’azione della volontà umana. A questo mi rassegno molto volentieri e senza turbamenti. La mia intenzione però, è quella di esaminare l’attuale relazione della Chiesa con le potenze civili del mondo alla luce di una profezia registrata da San Paolo, e di individuare alcuni princîpi di tipo pratico per la direzione di coloro che credono che la Volontà Divina sia presente anche negli eventi che stanno avvenendo davanti ai nostri occhi. Non sto per entrare nella esposizione dell’Apocalisse, o nel calcolo dell’anno della fine del mondo; questo lo lascio a coloro che sono chiamati a farlo. I punti che mi propongo invece di prendere in considerazione, sono pochi e pratici; ed il risultato che desidero raggiungere è un discernimento più chiaro di quali siano i princîpi cristiani, di ciò che è l’anticristo, e un apprezzamento più sicuro del carattere degli eventi dai quali la Chiesa e la Santa Sede sono attualmente provati. Paolo, scrivendo ai Tessalonicesi, dice: « … Nessuno vi inganni in alcun modo! Prima infatti dovrà avvenire l’apostasia e dovrà esser rivelato l’uomo iniquo, il figlio della perdizione, colui che si contrappone e s’innalza sopra ogni essere che viene detto Dio o è oggetto di culto, fino a sedere nel tempio di Dio, additando se stesso come Dio. Non ricordate che, quando ancora ero tra voi, venivo dicendo queste cose? E ora sapete ciò che impedisce la sua manifestazione, che avverrà nella sua ora. Il mistero dell’iniquità è già in atto, ma è necessario che sia tolto di mezzo chi finora lo trattiene. Solo allora sarà rivelato l’empio e il Signore Gesù lo distruggerà con il soffio della sua bocca e lo annienterà all’apparire della sua venuta, l’iniquo, la cui venuta avverrà nella potenza di satana, con ogni specie di portenti, di segni e prodigi menzogneri, e con ogni sorta di empio inganno per quelli che vanno in rovina perché non hanno accolto l’amore della verità per essere salvi. E per questo Dio invia loro un’operazione d’inganno perché essi credano alla menzogna e così siano condannati tutti quelli che non hanno creduto alla verità, ma hanno acconsentito all’iniquità. » (2 Thess. II. 3 – 11). –

Abbiamo qui dunque una profezia di quattro grandi fatti: – primo, di una rivolta, che precederà la seconda venuta del nostro Signore; – in secondo luogo, della manifestazione di colui che è chiamato « il malvagio »; – in terzo luogo, di un ostacolo, che limita la sua manifestazione; – e infine, del periodo del potere e della persecuzione di cui [il malvagio] sarà l’autore. Nel trattare questo argomento, non mi avventuro in esso con congetture personali, ma riporterò semplicemente ciò che trovo sia nei Padri della Chiesa, sia nei teologi che la Chiesa ha riconosciuto attendibili, e cioè: Bellarmino, Lessius, Malvenda, Viegas, Suarez, Ribera ed altri. –

In primo luogo, quindi, qual è la rivolta? Nell’originale si chiama ἀποστασία, “un’apostasia” e nella Vulgata, discordia o “fuoriuscita”. Ora una rivolta implica una separazione sediziosa da una data autorità ed una conseguente opposizione ad essa. Se riusciamo a trovare l’autorità, troveremo naturalmente anche la rivolta. Ora, ci sono nel mondo solo due “supreme Autorità”, quella civile e quella spirituale, e questa rivolta deve essere quindi o una sedizione o uno scisma. Inoltre, deve essere qualcosa che si svolga in un campo ampio, in proporzione ai termini ed agli eventi della predizione. – San Girolamo, con alcuni altri, interpreta questa rivolta come la ribellione delle nazioni o delle province contro l’Impero Romano. Dice: « Nisi venerit discessio …. ut omnes gentes quaæ Romano Imperio sujacent, recedant ab eis [se non viene la separazione … cosicché tutte le genti sottoposte all’Impero romano, si separano da esso] » (S. Hier. Ep. ad Algasiam).  Non è necessario esaminare questa interpretazione, in quanto gli eventi della storia cristiana la confutano: infatti si sono ribellati, ma non è apparsa nessuna manifestazione. Sembra che ci sia bisogno di poche prove che dimostrino che questa rivolta o apostasia sia una separazione, non dall’autorità civile, ma dall’ordine e dall’Autorità spirituale; i sacri Scrittori infatti ripetutamente parlano di una tale separazione spirituale; e in un punto San Paolo sembra espressamente dichiarare il significato di questa parola. Prevede a San Timoteo che nei giorni successivi, « τινὲς ἀποστήσονται ἀπὸ τῆς πίστεως (tines apostesontai apo tes pisteos)– alcuni partiranno o faranno apostasia dalla fede », [1 Tim. IV, 1] per cui sembra evidente che sia la stessa caduta spirituale ad essere significata dall’apostasia in questo luogo. L’Autorità, quindi, nei confronti della quale deve avvenire la rivolta, è quella del Regno di Dio sulla terra, profetizzato da Daniele, come il regno che il Dio del cielo dovrebbe istituire, dopo i quattro regni distrutti dalla “pietra staccata non per mano d’uomo”, e che diviene poi una grande montagna riempendo tutta la terra; o, in altre parole, l’unica e universale Chiesa fondata dal nostro Divin Signore e diffusa dai suoi Apostoli in tutto il mondo. In questo solo Regno soprannaturale fu depositato il vero e puro teismo, o la conoscenza di Dio, e la vera e unica Fede nel Dio incarnato, con le dottrine e le leggi della grazia. Questa, quindi, è l’Autorità verso cui è fatta la rivolta ed il distacco, e non è difficile comprenderne il carattere. Gli scrittori ispirati descrivono espressamente le sue note. La prima è lo scisma, come dice San Giovanni: « È l’ultima ora: e come tu hai sentito che l’Anticristo viene: anche ora ci sono molti Anticristi: per cui sappiamo che è l’ultima ora. Sono usciti da noi; ma non erano dei nostri. Perché se fossero stati dei nostri, senza dubbio sarebbero rimasti con noi. » (1 S. Giov. II, 18-19). –

La seconda nota è il rifiuto dell’ufficio e della presenza dello Spirito Santo. San Giuda dice: « tutto ciò che essi conoscono per mezzo dei sensi, (come animali senza ragione, questo serve a loro rovina (ψυχικοί (=psukikoi) – animale o uomini semplicemente razionali e naturali) » – « non avendo lo spirito » (S. Giud. 9). Ciò implica necessariamente il principio eretico dell’opinione umana in contrapposizione alla Fede divina; dello spirito privato come contrario alla voce infallibile dello Spirito Santo, che parla attraverso la Chiesa di Dio. – La terza nota è la negazione dell’Incarnazione. San Giovanni scrive: « Ogni spirito, che confessa che Gesù Cristo è venuto nella carne è di Dio: e ogni spirito che non riconosce Gesù (negando cioè il mistero dell’Incarnazione, o il vero Dio, o la vera umanità, o l’unità ipostatica della divinità della Persona del Figlio incarnato) « non è da Dio, e questo è l’Anticristo, di cui tu hai sentito che è venuto, e ora è già nel mondo » Ancora una volta dice: « … Molti seduttori sono apparsi nel mondo, che non confessano che Gesù Cristo è venuto nella carne: questi è il seduttore e l’anticristo (2 Giov., 7) – Questi, quindi, sono i segni con i quali la Chiesa debba riconoscere, dalle sue caratteristiche, la rivolta dell’anticristo, o l’apostasia, forse distinti. Vedremo ora se esse possono essersi già verificate nella storia del Cristianesimo o nella posizione attuale della Chiesa nel mondo. Il primo punto che dobbiamo notare è che sia San Paolo che San Giovanni, dicono che questa rivolta dell’anticristo sia come già iniziata ai loro giorni. San Paolo dice: « Il mistero dell’iniquità è già in atto, ma è necessario che sia tolto di mezzo chi finora lo trattiene » (2 Tess. II, 7); e in modo ancora più esplicito San Giovanni, nei luoghi sopra citati, dice: « Questo è lo spirito dell’anticristo che, come avete udito, viene, anzi è già nel mondo (1 S. Giov. IV, 3). – E ancora: « Figlioli, questa è l’ultima ora. Come avete udito che deve venire l’anticristo, di fatto ora molti anticristi sono apparsi. Da questo conosciamo che è l’ultima ora » (1 Giov. II, 18). – Dobbiamo guardare, quindi, agli inizi di questa rivolta iniziata nei tempi degli Apostoli. Lo spirito dell’Anticristo era già al lavoro non appena Cristo si fu manifestato al mondo. In una parola, quindi, si descrive il continuo lavorio dello spirito dell’eresia, che fin dall’inizio è stato parallelo alla Fede. È evidente che San Paolo e San Giovanni applicassero questi termini ai Nicolaiti, agli gnostici e simili. Le tre note dell’Anticristo: scisma, eresia, e la negazione dell’Incarnazione, erano manifesti in loro. Ugualmente esse sono applicabili ai Sabelliani, agli Ariani, ai Semiariani, ai Monofisiti, ai Monoteliti, agli Eutichiani, e all’eresia macedoniana. I princîpi sono identici; gli sviluppi vari, ma solo accidentali. E così, in tutti questi milleottocento anni, ogni successiva eresia ha generato uno scisma, ed ogni scisma ha generato l’eresia; tutti [eresie e scisma] allo stesso modo negano la Divina Voce dello Spirito Santo che parla continuamente attraverso la Chiesa; e tutti allo stesso modo sostituiscono l’opinione umana alla fede Divina; allo stesso modo tutti procedono, con alterno processo, ora un po’ più rapidamente, ora un po’ più lentamente, verso la negazione dell’Incarnazione del Figlio. Alcuni possono iniziare con questo fondamento fin dall’inizio, altri vi giungono con una trasmutazione lunga ed inattesa, come quella del protestantesimo sprofondato nel razionalismo; ma sono tutti identici come linea di principio, e sono identici anche nelle loro conseguenze estreme. Ogni epoca ha la sua eresia, infatti ogni articolo di fede negato inganna nella sua definizione, e il corso dell’eresia è graduale e periodico; varie sono materialmente le eresie, ma formalmente sono “unum”, sia in linea di principio che nell’azione; di modo che tutte le eresie fin dalla loro origine, non sono altro che lo sviluppo continuo e l’espansione del “mistero dell’iniquità” che era già all’opera fin dall’inizio. – Un altro fenomeno nella storia dell’eresia è il suo potere di organizzare e perpetuarsi, almeno fino a quando non si risolvesse in qualcosa di più sottile o in una forma più aggressiva: per esempio, l’arianesimo, che rivaleggiava con la Chiesa Cattolica di Costantinopoli, in Lombardia e nella Spagna; il Donatismo, che pareggiava con la Chiesa in Africa; il Nestorianismo, che ha superato per numero la Chiesa in Asia; il maomettanesimo, che ha punito e assorbito la maggior parte dei suoi antenati e ha stabilito, nell’Est e nel Sud, la più terribile potenza militare anticristiana che il mondo abbia mai visto; il protestantesimo, che si è organizzato come un ampio antagonismo politico nei confronti della Santa Sede, non solo al Nord ma, mediante la sua politica e la diplomazia, anche negli stessi Paesi Cattolici. A questo potere di espansione deve aggiungersi una certa morbosa e nociva riproducibilità. I fisiologi ci dicono che c’è una perfetta unità finale anche nelle innumerevoli malattie che assalgono il corpo; tuttavia, ogni malattia sembra generarsi e discendere da una propria corruzione e riproduzione fisiopatologica. Così è nella storia e nello sviluppo dell’eresia. Per restare ad esempio allo gnosticismo, all’arianesimo e, soprattutto, al protestantesimo, notiamo come tali eterodossie abbiano generato ciascuna una moltitudine di eresie subordinate ed affiliate. Ma è il protestantesimo che, soprattutto, mostra le tre note degli scrittori ispirati nella sua più grande ampiezza e con certa evidenza. Altre eresie si sono opposte a parti e a dettagli della Fede e della Chiesa cristiana; ma il protestantesimo, preso nel suo complesso storico, come siamo in grado di valutarlo oggi con una retrospezione di trecento anni, giungendo dalla religione di Lutero, Calvino e Cranmer, sviluppata nel Razionalismo e nel Panteismo dell’Inghilterra da una parte, e della Germania all’altra, è l’antagonista più formale, dettagliato ed ostinato del Cristianesimo. Non intendo dire che esso abbia ancora raggiunto il suo pieno sviluppo, perché vedremo che ci sono ragioni per credere che ci siano margini per un futuro ancora più oscuro; ed anche se « il mistero dell’iniquità è già in opera », nessun altro antagonista è andato così in profondità nel minare la fede del mondo cristiano. Non pretendo di scrivere un trattato sulla riproduttività del protestantesimo; ce n’è abbastanza però per fissare determinati fatti ovvii nella storia intellettuale degli ultimi trecento anni, e che cioè il socinismo, il razionalismo e il panteismo sono la progenie legittima delle eresie luterane e calviniste; e che l’Inghilterra protestante, la meno intellettuale e razionalmente la meno consistente tra i paesi protestanti, offra in questo momento un ricco pabulum per la comunicazione e la riproduzione di questi spiriti di errore. Tutto ciò che desidero sottolineare è questo, per usare una frase moderna: che il movimento dell’eresia è unico e lo stesso fin dall’inizio: che  gli gnostici erano i protestanti del loro tempo e i protestanti sono gli gnostici di oggi;  che il principio è sempre lo stesso, ma il corpo del movimento si è evoluto fino a maggiori proporzioni; i suoi successi si sono accumulati mentre il suo antagonismo verso la Chiesa Cattolica è rimasto immutabile ed essenziale. Ci sono due conseguenze o operazioni di questo movimento così strano e così pieno di importanza, in base alla sua relazione con la Chiesa, per cui non posso passarli oltre. La prima è lo sviluppo e il culto del principio della nazionalità, che è sempre stato trovato in combinazione con l’eresia. – Ora, l’Incarnazione ha abolito tutte le distinzioni nazionali all’interno della sfera della grazia, e la Chiesa ha assorbito tutte le Nazioni nella sua unità soprannaturale. Una fonte unica della giurisdizione spirituale e una voce divina, tenevano insieme le volontà e le azioni di una famiglia di Nazioni. Prima o poi, ogni eresia si è identificata con la Nazione in cui è sorta, ha vissuto con il supporto dei poteri civili, incarnando la rivendicazione dell’indipendenza nazionale. Questo movimento, che è la chiave del cosiddetto grande scisma d’Occidente, è anche il rationale della Riforma; e gli ultimi trecento anni hanno dato uno sviluppo ed un’intensità allo spirito di separatismo nazionale, di cui ancora non vediamo nulla più che dei preludi. Non ho bisogno di indicare come questo nazionalismo sia essenzialmente scismatico, o che debba essere visto non solo nella Riforma anglicana, ma nelle libertà gallicane e nelle contese del Portogallo in Europa e in India, per non citare altro. Ora ho sottolineato questa caratteristica dell’eresia perché essa verifica uno dei tre marchi sopra menzionati. Se l’eresia nell’Individuo dissolve l’unità dell’Incarnazione, l’eresia in una Nazione dissolve l’unità della Chiesa, che è costruita sull’Incarnazione. E in questo vediamo un significato più vero e più profondo delle parole di San Girolamo di quanto non lo avesse previsto neanche egli stesso. Non si tratta della rivolta delle nazioni dall’Impero Romano, ma l’apostasia delle Nazioni dal Regno di Dio, che fu eretto sulle sue rovine. – E questo processo di defezione nazionale, che è iniziato apertamente con la Riforma protestante, è in corso, come vedremo in seguito, anche in Nazioni ancora nominalmente cattoliche; e la Chiesa deve riprendere il suo carattere medievale di madre delle Nazioni, tornando di nuovo nella sua condizione primitiva di una società di membri sparsi tra i popoli e le città del mondo. – L’altro risultato di cui ho parlato come conseguenza della successiva opera dello spirito eretico, è la deificazione dell’umanità. Questo lo possiamo constatare in due forme distinte: nelle filosofie panteistica e positivista; o piuttosto nella religione del positivismo, l’ultima aberrazione di Comte. Sarebbe impossibile in questo luogo dare un resoconto adeguato di questi due sviluppi terminali dell’incredulità; per fare ciò ci sarebbe bisogno di un trattato. Sarà però abbastanza esprimere, in modo popolare, il profilo di queste due forme di empietà anticristiana. Prendo l’espressione del Panteismo della Germania da due dei suoi moderni espositori, nei quali si può dire che esso culmini. Ci è stato detto che « Prima del tempo in cui è iniziata la creazione, possiamo immaginare che una mente infinita, un’essenza infinita o un pensiero infinito (perché qui tutti questi sono un “uno”), ha riempito tutto lo spazio dell’universo. Questo, quindi, come l’auto-esistente Uno, deve essere l’unica realtà assoluta; tutto il resto non può che svilupparsi dell’unico essere originale ed eterno …. Questa essenza primaria non è … una sostanza infinita, che ha le due proprietà di estensione e di pensiero, ma un infinito che agisce, produce, si sviluppa da sé come mente, anima vivente del mondo. »  – « Se possiamo vedere tutte le cose come lo sviluppo del principio originale e assoluto della vita, della ragione o dell’essere, allora è evidente come al contrario possiamo individuare i segni dell’assoluto in ogni cosa esistente, e di conseguenza, possiamo indagarli nelle operazione delle nostre menti, come una particolare fase di una sua manifestazione. » – Nella filosofia pratica abbiamo tre movimenti: il primo è quello in cui l’intelligenza attiva si mostra operante all’interno di un circuito limitato, come in una singola mente. Questo è il principio dell’individualità, non come se l’intelligenza infinita fosse qualcosa di diverso dal finito, o come se ci fosse un’intelligenza infinita fuori e separata dal finito, ma è semplicemente l’assoluto in uno dei suoi momenti particolari; proprio come un pensiero individuale è solo un singolo momento di tutta la mente. Ogni motivo finito, quindi, non è che un pensiero della ragione infinita ed eterna. – Essendo così l’essenza assoluta ogni cosa, è veramente eliminata ogni differenza tra Dio e l’universo; e il Panteismo diventa completo, « come l’assoluto si è evoluto dalla sua forma più bassa alla più alta, secondo la legge o il ritmo del suo essere, il mondo intero, materiale e mentale, diventa un’enorme catena di necessità, a cui nessuna idea di creazione libera può essere applicata. » (Vedi: account of the German school, Schelling, Hegel, and  Hillebrand, in Morell’s History of Modern Philosophy, vol. II, pp. 126-147). – Ed ancora: « … La divinità è un processo che va avanti ma non è mai compiuto, anzi, la coscienza Divina è assolutamente “una” con la coscienza avanzata dell’umanità. La speranza dell’immortalità è vana, poiché la morte non è che il ritorno dell’individuo all’infinito (come l’ensof cabalista – ndr. -), e l’uomo è annientato, sebbene la Divinità vivrà eternamente. Ancora: « La divinità è il processo eterno di auto-sviluppo così come realizzato nell’uomo; la coscienza divina e umana procedono assolutamente insieme. » – « … La conoscenza di Dio e delle sue manifestazioni forma l’argomento della teologia speculativa. … Di queste manifestazioni ci sono tre grandi ambiti di osservazione: la natura, la mente e l’umanità. In natura vediamo l’idea divina nella sua espressione più bassa; nella mente, con i suoi poteri, le facoltà, i sentimenti morali, libertà, ecc., lo vediamo nella sua forma più alta e più perfetta; infine, nell’umanità vediamo Dio, non solo come Creatore e sostenitore, ma anche come padre e guida. » – « … L’anima è uno specchio perfetto dell’universo, e dobbiamo solo guardarlo con grande attenzione  per scoprire tutta la verità che è accessibile all’umanità. Ciò che sappiamo di Dio, quindi, può essere solo questo che ci è stato originariamente rivelato da Lui nella nostra mente ». (Ibid. pag. 225). – Ho citato questi estratti per mostrare come il sistema soggettivo del giudizio privato si risolva in un legame legittimo con il puro panteismo razionalistico. – Concluderò con poche parole sul “positivismo” di Comte, e  affinché non sembri che distorca o colori autonomamente questa forma di aberrazione, la citerò con le parole stesse dell’autore. In primo luogo, dunque, egli descrive la filosofia positiva come segue: « Dallo studio dello sviluppo dell’umana intelligenza, in tutte le direzioni e attraverso tutti i tempi, si scopre che essa nasce da una grande legge fondamentale, alla quale è necessariamente soggetta e che ha un solido fondamento di prove, sia nei fatti della nostra organizzazione, che nella nostra esperienza storica. La legge è questa: che ciascuna delle nostre idee principali, in ogni ramo della nostra conoscenza, passa successivamente attraverso tre diverse condizioni teoriche: la teologica o fittizia; la metafisica o astratta; e la scientifica o positiva. In altre parole, la mente umana per sua natura impiega nel suo progresso tre metodi di filosofare, il cui carattere è essenzialmente diverso e anche radicalmente opposto, vale a dire: il metodo teologico, il metafisico, e il positivo. Quindi sorgono tre filosofie, o sistemi generali di concezioni sull’aggregato dei fenomeni, ognuno dei quali esclude gli altri. Il primo è punto di partenza necessario per la comprensione umana, e il terzo è il suo fisso e definito stato. Il secondo è semplicemente uno stato di transizione. » – « … Nello stato teologico, la mente umana, cercando la natura essenziale degli esseri, la causa primo ed il fine (l’origine e lo scopo) di tutti gli effetti – insomma, la conoscenza assoluta – suppone che tutti i fenomeni siano il prodotto dall’azione immediata di esseri soprannaturali ». – « Nello stato metafisico, che è solo una modifica del primo, la mente suppone invece degli esseri soprannaturali, delle forze astratte, delle entità vere (cioè astrazioni personificate), inerenti a tutti gli esseri, e capaci di produrre tutti i fenomeni. Ciò che è chiamato la spiegazione dei fenomeni è, in questo stadio, un semplice riferimento di ogni cosa ad una propria entità. » – « … Nello stato finale, lo stato positivo, la mente ha dedotto dalla ricerca, dopo le nozioni assolute, l’origine e la destinazione dell’universo e le cause dei fenomeni, e si applica allo studio delle loro leggi, cioè le loro invariabili relazioni di successione e di somiglianza. Ragionamento e osservazione, debitamente combinati, sono i mezzi di questa conoscenza. Quel che si intende, quando parliamo di una spiegazione di fatti, è semplicemente l’istituzione di una connessione tra singoli fenomeni e alcuni fatti generali, il cui numero diminuisce continuamente con il progresso della scienza ». (Positive Philosophy, vol. I. c. 1.).  Da ciò si osserverà che la credenza in Dio è avvenuta durante il primo periodo “fittizio” della ragione umana. Tuttavia, dopo il completamento della sua filosofia, Comte percepisce la necessità di una religione. Ed infatti il suo “Catechismo della religione positiva”, così inizia: «Nel nome del passato e del futuro, i servitori dell’Umanità – sia il filosofo che i servitori pratici – si sono fatti avanti per reclamare come sia a loro dovuta la direzione generale di questo mondo. Loro oggetto è, nel lungo, costituire una vera Provvidenza in tutti gli ambiti, morale, intellettuale e materiale. » Di conseguenza essi escludono, una volta per sempre, dalla supremazia politica tutti i diversi servi di Dio – il Cattolico, il Protestante o il Deista – come contemporaneamente arretrati e causa di disturbo (Catechism of Positive Religion, Preface). – Ma nella misura in cui non ci possa essere religione senza adorazione, e adorazione senza Dio, poiché in tal sistema non c’è Dio, Comte aveva bisogno di trovare o creare una “divinità”. Ora, dal momento che non c’è Dio, non può esserci alcun essere più in alto dell’uomo, e nessun altro oggetto di culto più elevato dell’umanità. « … Gli esseri immaginari che la religione introdusse provvisoriamente per i suoi scopi furono in grado di ispirare vivacemente i sentimenti nell’uomo, sentimenti che divennero anche più potenti sotto il sistema meno elaborato del fittizio. L’immensa preparazione scientifica richiesta come introduzione al positivismo per lungo tempo sembrò privarlo di una così valida attitudine. Mentre l’iniziazione filosofica comprendeva solo l’ordine del mondo materiale, anzi, persino quando si era esteso all’ordine degli esseri viventi, esso poteva rilevare solo le leggi che erano indispensabili per la nostra azione, e non potrebbe fornirci alcun oggetto diretto per un affetto duraturo e costante. Questo non è più il caso dal completamento della nostra graduale preparazione con l’introduzione dello studio speciale sull’ordine dell’esistenza dell’uomo, sia come individuo che come società. Questo è l’ultimo passaggio del processo. Siamo ora in grado di condensare tutte le nostre concezioni positive nell’unica idea di un Essere immenso ed eterno, l’Umanità, destinato dalle leggi sociologiche al costante sviluppo sotto l’influenza preponderante delle necessità biologiche e cosmologiche. Questo è il vero grande Essere da cui tutti, siano essi individui o società, dipendono come dal primo motore della loro esistenza, e che diventa il centro dei nostri affetti; essi si appoggiano ad esso con un impulso spontaneo come il nostro pensiero e le nostre azioni. Questo Essere, per sua stessa idea, suggerisce immediatamente la sacra formula del Positivismo; « Amore come nostro principio, Ordine come nostra base, e Progresso come nostro fine ». La sua esistenza composita è sempre fondata sulla libera concorrenza di volontà indipendenti. Tutta la discordia tende a dissolvere quella esistenza che, per la sua stessa nozione, sancisce il costante predominio del cuore sull’intelletto, come unica base della nostra vera unità. – Quindi l’intero ordine delle cose d’ora in poi trova la sua espressione nell’essere di chi lo studia e di chi lo perfezionerà sempre. La lotta dell’Umanità contro le influenze combinate delle necessità che è obbligata ad obbedire, crescendo come fa in energia e successo, rende il cuore, non meno dell’intelletto, un oggetto di contemplazione migliore di quello capriccioso e negativo del suo precursore teologico, capriccioso proprio della forza della parola onnipotenza. Un tale Essere Supremo è più alla portata dei nostri sentimenti e delle nostre concezioni, poiché è identico per natura ai suoi servitori e allo stesso tempo è superiore a loro. » – « … Devi definire l’umanità come l’insieme degli esseri umani, passati, presenti e futuri. La parola “intero” indica chiaramente che non devi prendere tutti gli uomini, ma solo quelli che sono veramente capaci di assimilazione, in virtù di una vera cooperazione in quella parte che promuove il bene comune. Tutti sono necessariamente figli nati dall’Umanità, ma non tutti diventano suoi servi. Molti rimangono nello stato di parassitaggio, che, scusabile durante la loro educazione, diventa colpevole quando tale educazione sia completa. I periodi di anarchia portano avanti a sciami creature del genere, anzi, permettono loro persino di prosperare, sebbene siano, nella triste realtà, un aggravio sul vero Grande Essere. (Catechism of Positive Religion, pp. 63, 74). – Si osserverà che sia il Panteismo sia il Positivismo finiscano nella deificazione dell’uomo; sono di un egotismo sconfinato e rappresentano l’apoteosi dell’orgoglio umano. – Non mi dilungherò oltre su questo punto; ho dovuto menzionarlo solo perché dovrò fare riferimento ad esso nel prosieguo. Ora riassumo brevemente ciò che ho detto: – Noi vediamo che è predetto che, prima della manifestazione dell’ultimo grande antagonista di Dio e del Figlio suo incarnato, ci debba essere una rivolta e una caduta; abbiamo visto che l’Autorità verso la quale la rivolta debba essere fatta è manifestamente quella della Chiesa di Dio, e che sarà una rivolta recante le tre note di: scisma, eresia e diniego dell’Incarnazione; abbiamo visto anche che questo movimento anticristiano fosse già all’opera anche ai tempi degli Apostoli; che abbia operato sin da allora in molteplici forme e in tempi diversi, e con i più diversi e persino contraddittori sviluppi, ma che tuttavia sia sempre lo stesso identico in linea di principio e in antagonismo con l’Incarnazione e con la Chiesa. È evidente che questo movimento abbia accumulato i suoi risultati di età in età, e che in questo momento sia più maturo ed abbia una statura maggiore, un potere più grande e un antagonismo più formale verso la Chiesa e la Fede che mai. – Si è legato all’orgoglio dei governi, per via del nazionalismo, e degli individui dalla filosofia e, sotto le forme del protestantesimo, della civiltà, della laicità; ha organizzato un vasto potere anticattolico nell’est, nel nord e nell’ovest dell’Europa. Di fatto, cattolico ed anticattolico descrivono i due schieramenti. Temo di dover aggiungere, Cristiano ed anticristiano. E questo è uno dei miei scopi essenziali, nel trattare l’argomento; perché sono convinto che le moltitudini vengano portate via, non sapendo dove vanno, da un movimento essenzialmente opposto a tutte le loro migliori e più profonde convinzioni, perché non sono in grado di discernere il suo vero principio ed il suo carattere. Nell’attuale panorama dell’opinione popolare dell’Europa contro la Santa Sede ed il Vicario di Gesù Cristo, si può distinguere l’istinto dell’Anticristo. Le rivoluzioni in Italia, sostenute dallo spirito anticattolico del continente e dalla politica dell’Inghilterra, stanno adempiendo alle profezie e confermando la nostra Fede. Ma spero di mostrare tutto questo più pienamente più oltre. Sembra inevitabile l’inimicizia di tutte le Nazioni che sono separate dall’unità cattolica e sono penetrate dallo spirito della Riforma, cioè dallo spirito del “giudizio privato” in opposizione alla Voce Divina della Chiesa vivente e dall’incredulità che ha bandito la presenza eucaristica del Verbo Incarnato che dovrebbe essere concentrata sulla persona che è Vicario e Rappresentante di Gesù, e sul Corpo che è testimonianza, da sola, dell’Incarnazione, e di tutti i suoi misteri di verità e di grazia. Tale è l’unica Chiesa Cattolica e Romana, e tale è il Sommo Pontefice, il suo Capo visibile. Tali, nelle parole della Sacra Scrittura, sono i due misteri della pietà e dell’empietà. Tutte le cose stanno mettendo in luce ed in risalto i due poteri estremi che dividono i destini degli uomini. Il conflitto è un semplice antagonismo tra Cristo e l’Anticristo; i due schieramenti si stanno ordinando, gli uomini scelgono i loro princîpi … o forse gli eventi scelgono per loro; e stanno inconsapevolmente andando alla deriva seguendo correnti di cui non hanno consapevolezza alcuna. La teoria, secondo cui la politica e la Religione hanno delle sfere diverse, è un’illusione e una trappola. Perché la storia può essere veramente letta unicamente alla luce della Fede; e il presente può essere interpretato solo dalla luce della Rivelazione: poiché sopra le volontà umane che sono ora in conflitto, c’è una Volontà, sovrana e divina, che sta conducendo tutte le cose a compiere il proprio fine perfettamente.

SALMI BIBLICI “EXAUDI, DOMINE JUSTITIAM MEAM” (XVI)

Salmo 16: “Exaudi Domine, justitiam meam”

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS.

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée. 

TOME PREMIER.

PARIS

LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR

13, RUE DELAMMIE, 1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

SALMO XVI

Oratio David.

[1] Exaudi, Domine, justitiam meam;

intende deprecationem meam.

[2] Auribus percipe orationem meam, non in labiis dolosis.

[3] De vultu tuo judicium meum prodeat; oculi tui videant aequitates.

[4] Probasti cor meum, et visitasti nocte; igne me examinasti, et non est inventa in me iniquitas.

[5] Ut non loquatur os meum opera hominum: propter verba labiorum tuorum, ego custodivi vias duras.

[6] Perfice gressus meos in semitis tuis, ut non moveantur vestigia mea.

[7] Ego clamavi, quoniam exaudisti me, Deus; inclina aurem tuam mihi, et exaudi verba mea.

[8] Mirifica misericordias tuas, qui salvos facis sperantes in te.

[9] A resistentibus dexteraæ tuæ custodi me, ut pupillam oculi.

[10] Sub umbra alarum tuarum protege me, a facie impiorum qui me afflixerunt.

[11] Inimici mei animam meam circumdederunt; adipem suum concluserunt; os eorum locutum est superbiam.

[12] Projicientes me nunc circumdederunt me; oculos suos statuerunt declinare in terram.

[13] Susceperunt me sicut leo paratus ad prædam, et sicut catulus leonis habitans in abditis.

[14] Exsurge, Domine: praeveni eum, et supplanta eum; eripe animam meam ab impio. Frameam tuam ab inimicis manus tuæ.

[15] Domine, a paucis de terra divide eos in vita eorum; de absconditis tuis adimpletus est venter eorum.

[16] Saturati sunt filiis, et dimiserunt reliquias suas parvulis suis.

[17] Ego autem in justitia apparebo conspectui tuo; satiabor cum apparuerit gloria tua.

SALMO XVI.

[Vecchio Testamento secondo la Volgata Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

Il giusto, ingiustamente perseguitato, prega Dio di liberarnelo.

Orazione di David.

1. Esaudisci, o Signore, la mia giustizia; dà udienza alle mie preghiere.

2. Porgi le orecchie alla orazione, che io fo con labbra non fraudolente.

3. Dalla tua faccia venga la mia giustificazione; gli occhi tuoi rivolgansi verso dell’equità.

4. Hai fatto saggio il mio cuore, e nella notte lo hai visitato; col fuoco hai fatto prova di me, e non si è trovata in me iniquità.

5. Affinché la mia bocca non parli secondo il fare degli uomini; per riguardo alle parole delle tue labbra io ho battuto vie faticose.

6. Reggi tu fortemente i miei passi ne’ tuoi sentieri, affinché i piedi miei non vacillino.

7. Io alzai, o Dio, le mie grida, perché tu mi esaudisti; porgi a me la tua orecchia, e ascolta le mie parole.

8. Fa bella mostra di tue misericordie, o Salvator di coloro che sperano in te.

9. Da color che resistono alla tua destra tienmi difeso come la pupilla dell’occhio.

10. Cuoprimi all’ombra delle ali tue: dalla faccia degli empi, che mi hanno afflitto.

11. I miei nemici han circondata l’anima mia. Hanno chiuse le loro viscere; la loro bocca ha parlato con arroganza

12. Dopo di avermi rigettato adesso mi han circondato; si studiano di tener gli occhi loro rivolti alla lena.

13. Stanno intenti a me come un leone inteso alla preda e come un leoncino, che sta in agguato in luoghi nascosti.

14. Levati su, o Signore, previenilo, gettalo a terra; libera colla tua spada l’anima mia dall’empio,

15. Da’ nemici della tua mano. Separali, o Signore, nella lor vita da que’ che sono in piccol numero sulla terra;

16. il loro ventre è ripieno dei beni tuoi. Hanno numerosa figliolanza, e lasciano i loro avanzi ai lor bambini.

17. Ma io mi presenterò al tuo cospetto con la giustizia, sarò satollato all’apparire della tua gloria.

Sommario analitico

Questo salmo, è stato composto probabilmente durante la persecuzione di Saul, piuttosto che quella di Assalonne, perché Davide vi parla della sua innocenza [In senso spirituale questo salmo può essere applicato a Nostro Signore nel tempo della sua Passione; Egli è in effetti nello stesso tempo il giusto per eccellenza, ed il peccatore per eccellenza. Questo salmo può essere applicato alla Chiesa e ad ogni giusto in questa terra, egualmente perseguitato, giusto in un senso, colpevole nell’altro];

Davide chiede a Dio di essere liberato dalla persecuzione di Saul:

I° per due motivi che gli sono propri:

1) la sua innocenza e la sua giustizia;

2) la sua ardente preghiera;

II. Per quattro ragioni estrapolate dagli attributi di Dio:

1) la sua giustizia,

a) che considera i combattenti con un occhio sorvegliante, a riguardo di ciò che vi è di equo nella loro causa (3); b) che ha penetrato il suo cuore, l’ha messo alla prova e lo ha trovato innocente nei suoi pensieri, nelle sua parole e nelle sue azioni (4); c) che accorda alla sua preghiera la costanza e la perseveranza nel bene.

2) La sua misericordia mirabile che si esercita in favore di coloro che sperano in Dio (7).

3) La sua potenza, che egli implora domandando a Dio:

a) che la conservi con cura, con amore, come la pupilla dell’occhio (8);

b) che la metta al riparo da ogni pericolo all’ombra delle sue ali (9);

c) che si mostri: 1) terribile per i suoi nemici che sono numerosi, crudeli, arroganti (10), astuti ed impietosi (11), furiosi e pieni di malizia (12); 2) efficace, venendo in soccorso dei giusti, prevenendo gli sforzi degli empi, e liberandolo dalle loro mani (13), separandoli dal piccolo numero dei fedeli servitori (14), affinché non possano opprimerlo con le loro ricchezze e la loro abbondanza (15, 16).

4) La sua fedeltà, per la quale:

a) Egli dà al giusto la sua felicità eterna;

b) colma tutti i suoi desideri e li riempie di gioia per la visione chiara dei cieli.

Spiegazioni e Considerazioni

I. – 1, 2.

ff. 1, 2. – Gesù Cristo l’unico di cui la giustizia merita di essere esaudita, e per la quale noi possiamo sperare che le nostre preghiere siano ascoltate, « Voi siete stabiliti in Gesù Cristo che ci è stato dato da Dio come nostra saggezza, nostra giustizia, nostra santificazione e nostra redenzione » (Cor. I, 30). – Questa preghiera condanna: .1° l’ipocrita che sembra pregare, e che vuole imporsi agli uomini con una falsa pietà; .2° l’uomo attaccato ai beni della terra che chiede questi beni a Dio, senza mettersi in pena nel sollecitare le grazie della salvezza; .3° colui che prega tiepidamente e senza unire i sentimenti della sua anima alle formule della sua preghiera (Berthier). – Pregare con labbra ingannevoli, è « onorare Dio con le labbra, mentre il cuore è lontano da Lui » (S. Matt. XV, 8). – Le ragioni per le quali Dio esaudisce la preghiera dei giusti è: – 1) Egli è un giusto giudice; – 2) il giusto ha sempre ascoltato docilmente la voce di Dio che lo chiamava; – 3) l’uomo giusto offre a Dio in un’anima santa come un aroma prezioso in un vaso d’oro; la sua vita come una preghiera interpretativa: « Le nostre preghiere, dice San Cipriano, salgono rapidamente verso Dio, quando esse sono sostenute dai meriti delle nostre opere buone ».

ff. 3. – La luce del volto di Gesù Cristo nel giorno del giudizio: raggi brucianti vivi e che consumano i peccatori, mentre i raggi di questa stessa luce sono dolci e gradevoli ai giusti (Duguet).

ff. 4, 5. – È duro per l’impudico osservare la continenza, la temperanza è dura per colui che si abbandona all’ubriachezza, così è dura al maldicente il dire bene di suo fratello; ed in generale il giogo della legge sembra duro a tutti gli uomini che vogliono godere della propria libertà. Quanti periscono in seguito alla loro vita facile e dolce, e così tanto pochi pervengono alla vita del cielo perché incapaci di sopportare i pesi severi della vita diretti dalla sante regole della virtù! Ascoltiamo il Re-Profeta: « A causa delle parole della vostra bocca, ho battuto delle vie difficili ». Egli chiama delle vie dure e difficili i Comandamenti che ci sono stati imposti per condurre un’anima alla perfezione. Quanto di più difficile è, in effetti, volgere la guancia sinistra a colui che vi batte sulla destra? Cosa di più duro c’è per colui che è nudo, non domandare nulla al suo rapitore? Cosa di più severo che cedere la propria tunica a colui che ha preso il mantello, che opporre le benedizioni alle maledizioni, la preghiera agli oltraggi, l’amore all’odio? Ma queste vie dure e difficili ci conducono nel dolce seno di Abramo (S. Basilio, in Is. c.VIII). – Il mondo ha egli stesso delle vie dure e penose, ma ei vi cammina perché viene dominato dalle proprie passioni, perché è schiavi delle proprie passioni, perché è abbandonato al demone dell’avarizia, ed è così che si porta il peso del mondo, invece di seguire le vie dure e penose della Religione che vuole attaccarsi esattamente alle parole di Gesù Cristo ed ai suoi consigli (Bourdal, Tresor caché dans la Rel.). – Voi avete provato il mio cuore per vedere ciò che io in fondo sono, Voi avete fatta l’esperienza della mia sincerità, mi avete visitato la notte ed esaminato nel fuoco; perché ci sono due occasioni in cui il cuore si mostra scoperto, nel tempo delle tenebre e in quello delle tribolazioni (Bellarm.). – Non è soltanto con il nome della “notte” che bisogna chiamare la tribolazione, a motivo del turbamento che essa porta d’ordinario, ma ancora con il nome di “fuoco”, perché essa brucia; sottomesso a questa prova, io sono stato trovato giusto (S. Agost.). – mi è arrivata la sofferenza, poi verrà anche il riposo; mi è venuta la tribolazione, verrà anche il momento in cui io sarò mondo da ogni peccato, come l’oro brilla nel crogiuolo dell’orafo. Esso brillerà su un monile, su qualche ornamento, ma è necessario che sopporti la fiamma del crogiuolo, per arrivare alla luce che è depurata da ogni miscuglio impuro. In questo crogiuolo, c’è della paglia, c’è dell’oro, c’è del fuoco; l’orafo accende la fiamma, la paglia brucia nel crogiuolo, mentre l’oro si purifica; la paglia è ridotta in cenere e l’oro è liberato da ogni miscuglio impuro. Il crogiuolo è il mondo; la paglia sono gli empi; l’oro i giusti; il fuoco, le tribolazioni; l’orafo è Dio. Ciò che vuole l’orafo, io faccio; dove mi pone l’orafo, io resto pazientemente: a me il compito di sopportare, a Lui la scienza nel purificarmi (S. Agost.). – Ci si provi ad esaminarsi con il pensiero del fuoco dell’inferno: che questo fuoco serva ad eccitare in noi un altro fuoco ed a spegnere ancora un terzo fuoco: cioè che ecciti in noi il fuoco della carità, e spenga il fuoco della cupidigia (S. Agost.).

ff. 5. –  Chi di noi può dire: Signore, Voi mi avete provato, mi avete esaminato, soprattutto nei tempi delle avversità, e non avete trovato che sulla mia bocca io abbia usato il linguaggio degli uomini, che non mi sia dato al pianto ed ai mormorii; Voi avete al contrario trovato che, conformemente alla vostre sante leggi, io sono rimasto tranquillo e sottomesso in questo cammino così contrario alla natura? (Berthier). Levarsi al di sopra degli altri, ammassare più ricchezze che si possa, gioire dei piaceri della vita, etc., è linguaggio o piuttosto sono opere degli uomini, mediante le quali la bocca di un Cristiano non deve mai parlare (Duguet). – Due tipi di strade vi sono: una larga, spaziosa, molto frequentata, che conduce alla perdizione; l’altra, il sentiero stretto, scosceso, solitario e rude, ove il giusto si arrampica più che camminare; è il cammino che conduce alla vita. Questa via è dura e penosa, – 1° perché essa è rada e montuosa: « la terra nella quale state per entrare non è come la terra d’Egitto, è una terra di montagne e di pianure, che attende le piogge dal cielo » (Deut. XI, 10-11); – 2° Essa è dura e penosa perché noi siamo deboli; – 3° essa è pur rada e penosa poiché dobbiamo camminarvi caricati della croce di Gesù Cristo (Matt. X, 38); – 4° essa è dura e penosa perché piena di nemici congiurati contro di noi. – Si seguano queste vie, non per alcuna considerazione umana, ma unicamente per obbedire a Dio, e a causa delle parole che sono uscite dalle sue labbra.

ff. 6. – C’è un bisogno pressante e continuo che Dio ci rafforzi in questo cammino scivoloso a causa dei costumi e della corruzione del secolo, che ne fa cadere così grande numero (Duguet). – Tutta la vita cristiana, tutta l’opera della nostra salvezza, è una sequela continua di misericordia, ma è soprattutto nella vocazione che ci previene e nella perseveranza finale che ci corona, che la bontà che ci salva si nota propriamente con una connotazione incisiva e particolare (Bossuet, Or. Fun. De la Duch. D’Or). – Si chieda incessantemente a Dio che ci sostenga con la sua mano potente, che ci conservi i doni della sua grazia, che ci confermi nel bene e ci raffermi fino alla fine.

II. — 7 – 17.

ff. 7, 8. – Doppio è il grido verso Dio: un grido di desiderio per ottenere ciò che Gli si chiede, e l’altro, un grido di riconoscenza quando lo si è ottenuto. – Secondo i potenti del mondo, non si è quasi mai in diritto di domandare una seconda grazia dopo averne ottenuta una prima. Presso Dio, è invece il contrario; più si ottiene, più si deve aver fiducia di ottenere (Berthier). – Una misericordia comune non è sufficiente dopo tanti e sì gravi peccati da noi commessi, è necessaria una misericordia che sorpassi la misura dei doni ordinari, e come ultimo sforzo di questa misericordia: « fate brillare su di me la vostra misericordia ».

ff. 9, 10. – A quanti oggi non è sufficiente mettersi in uno stato di rivolta aperta contro Dio e la sua Chiesa, ma si sforzano di coinvolgere nella loro ribellione pure i suoi più fedeli servitori. La pupilla dell’occhio sembra troppo piccola e troppo esigua, ma è attraverso di essa che si dirige la forza visiva mediante la quale discerniamo la luce dalle tenebre (S. Agost.). – La pupilla dell’occhio è anche ciò che è di più delicato e sensibile nel corpo umano, e che noi difendiamo con maggior cura contro tutti i corpi estranei che potrebbero danneggiarla (Berthier). – Gli empi ed i peccatori affliggono i giusti non solo con le loro persecuzioni, ma ancor più con la loro cattiva vita (Duguet). – Ci sono due cose necessarie a produrre l’ombra, la luce ed un corpo: la luce è il simbolo della divinità di Cristo; il corpo è la figura della sua umanità (San Girolamo). – « Proteggimi all’ombra delle tue ali »; proteggetemi all’ombra del vostro amore e della vostra misericordia (S. Agost.).

ff. 11, 13. – Noi abbiamo qui una descrizione viva e figurata della crudeltà e della scaltrezza dei nemici della nostra anima, che usano tanto la violenza, tanto la sorpresa per perderla. – Ecco due tratti che caratterizzano bene gli uomini senza Religione: essi chiudono le loro viscere alla pietà, ed il loro linguaggio emana orgoglio ed arroganza. Il loro cuore è chiuso a tutti i sentimenti di carità, la loro bocca è aperta alla critica insolente delle opere di Dio, alle empietà, alle blasfemie, etc.. La causa dell’odio così forte degli empi contro coloro che fanno professione di Religione, è che essi non considerano che i loro interessi, e che non cercano di soddisfare se non le proprie passioni. « Essi sono resoluti nel tener i loro occhi abbassati verso la terra »; essi sono risoluti nell’abbassare verso le cose terrestri i desideri del loro cuore, immaginando che Colui che essi immolavano sulla croce era grandemente un malfattore, e che essi non lo erano in alcun modo (S. Agost.). – « Essi sono resoluti », vale a dire che quando le verità della fede si presentano ai loro occhi, perché si alzino al cielo, è con proposito deliberato, con volontà determinata, con malizia ostentata che essi li rivolgono invece verso terra (Bossuet). – Dio aveva li nobilmente elevati verso il cielo, ma essi hanno preso questa risoluzione di camminare con gli occhi abbassati verso la terra. In questi sciagurati c’è una risoluzione: essi hanno soffocato gli istinti della propria anima, naturalmente cristiana; hanno atrofizzato il loro cuore, hanno ucciso la loro coscienza (Doublet, Psaumes, etc.). – Quanti Cristiani che sembrano aver dimenticato i titoli ed i doveri della loro condizione, e dei quali si può anche dire che essi abbiano fatto giuramento di tenere i loro occhi attaccati alla terra, e che si siano come abbandonati, per partito preso, alla loro parte di eredità eterna. Fieri dei loro successi negli affari terreni, inebriati dai vantaggi e dai guadagni superbi che loro garantiscono l’industria, la cultura ed il negozio, essi non possono essere strappati da questo ordine di preoccupazioni volgari. Questa è una moltitudine grossolana e carnale che non apprezza se non ciò che si conta e ciò che si palpa, che non vive che la vita dei sensi, e sulla quale ogni azione è troppo spesso impossibile da esercitare.

ff. 14. – Dio solo può prevenire i crimini, come preveniva i denti dei leoni che stavano per divorare Daniele, e l’ardore del fuoco che doveva consumare i tre giovani nella fornace (Bellarmin.). – La spada di Dio, è il potere che Egli ha dato agli uomini ed ai demoni di perseguitare i giusti, la spada della quale si serve per punire o provare i suoi eletti. Nessuno sarà al riparo dai suoi colpi se Dio non lo strappa in tempo dalle mani dei nemici.

ff. 15. – Grande è la felicità per il piccolo numero di quelli che sono da Dio sulla terra, separati in questa vita dal numero straordinario degli empi e dei peccatori. Sciagura spaventosa è invece per i malvagi l’essere separati dai buoni per l’eternità (Duguet).- Quaggiù non si cerchi un posto che li separi gli uni dagli altri; essi non sono allontanati dalla distanza dei luoghi; « essi sono, dice S. Agostino, mescolati con i corpi, ma separati nei cuori ».

ff. 16. – Quale errore è più comune oggi che l’affannarsi ad accumulare sempre più beni per i propri figli, senza prendersi alcuna cura di dar loro un’educazione cristiana! Lasciarli eredi di grandi beni, è spesso lasciarli eredi di grandi ingiustizie (Duguet). – I ricchi della terra lasciano i loro resti ai loro figli, cioè essi non lasciano i loro beni ai loro figli se non quando non possono gioirne essi stessi (Berthier).

ff. 17. – Grande sicurezza è l’apparire agli occhi di Dio nella giustizia, non nella propria giustizia, ma in quella che viene dall’alto e che sola rende degni di comparire davanti a Dio (Duguet). – Tutta la gloria, tutti gli onori, tutte le ricchezze, tutte le delizie del mondo, sono incapaci di saziare un cuore creato da Dio. (S. Agost. Conf. XI c. 8). – Dopo la disobbedienza dell’uomo, Dio ha voluto ritrarre a Sé tutto ciò che aveva elargito per una solida gioiosità sulla terra, nell’innocenza degli inizi; Egli ha voluto ritrarli a Sé per renderli di nuovo un giorno ai suoi beati; e la piccola goccia di gioia che ci è stata lasciata da tanta rovina, non è capace di soddisfare un’anima i cui desideri non sono finiti e che non può riposare che in Dio (Bossuet, Serm. 3 D. ap. Paques). – « Io sarò saziato quando manifesterete la vostra gloria », gran parola che ricorda incessantemente al cuore dell’uomo che la fame tortura, il lavoro schiaccia, per cui la vita intera è un martirio per tutti i giorni, e che egli trova nel contempo in questa speranza, un balsamo per i propri affanni ed un pane soprannaturale per i morsi della sua fame”. – « Io sarò saziato quando mi sarà manifesta la vostra gloria ». Pertanto Signore, qualunque cosa il mondo faccia per me, io sarò sempre affamato ed angustiato; fin là, tediato da ciò che io sono, vorrò sempre essere ciò che non sono;; fin là il mio cuore, pieni di vani desideri e vuoto di solidi beni, sarà sempre nell’agitazione e turbato. Ma quando mi avrete fatto parte della vostra gloria, il mio cuore saziato comincerà ad essere tranquillo; io non sentirò più questa sete ardente della cupidigia che mi bruciava; io non avrò più questa fame avida per l’ambizione segreta che mi divorava. Tutti i miei desideri passeranno, perché troverò nella vostra gloria la pienezza della mia felicità, la pienezza del riposo, la pienezza della gioia; perché questa gloria quando la possederò, sarà per me l’affrancamento da ogni male, e la potenza di ogni bene (Bourd. Rec. Des Saints). – È allora che tutti questi misteri che porto nel mio cuore senza comprenderli, saliranno a Lui – come una luce, come un profumo, tutta la città, tutto il tempio della mia anima ed il suo altare, che è il mio cuore, saranno circondati dalla gloria del Signore che cadrà su di lui come un torrente, come un fiume di pace, ed io sarò saziato quando questa visione apparirà (Mgr. Baudry. Il cuore di Gesù). – Questa terra non è il luogo della felicità completa. La mia intelligenza sogna ben altra cosa, il mio cuore attende un’altra felicità di cui quella della terra, benché pura o dolce che sia, non è che l’immagine imperfetta: io ho bisogno della vostra gloria, la vostra gloria completa: solo allora io sarò saziato. Io vedo bene che questo nutrimento transitorio, questo bevanda di un giorno che mi accordate quaggiù, è solo un acconto, un pegno dell’avvenire. Ciò di cui ho bisogno è la vostra stessa gloria, è la vostra stessa essenza divina per me nutrimento, è la vostra saggezza infinita che io reclamo come bevanda di immortalità, e ancora questa saggezza, questa bevanda, io la desidero come un torrente, perché vi è impegnata la vostra parola (mgr. Lardriot, Bestitud. II. 225).

UN’ENCICLICA AL GIORNO TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO: S. S. PIO IX – “INCREDIBILI AFFLICTAMUR”

Ancora una volta si ode l’eco delle parole che Dio imponeva al suo Profeta: …  « Clama, ne cesses, quasi tuba exalta vocem tuam, et annuntia populo meo scelera eorum, et domui Jacob peccata eorum» In questa breve ma drammatica lettera Enciclica, il Santo Padre denunzia le violenze perpetrate nei confronti della Chiesa di Cristo da un governo di stampo massonico che dominava allora la Nuova Granata, l’attuale Columbia [.. che sta ancora pagando con i cartelli della droga e con la violenza civile], usurpando, violando, massacrando corpi e soprattutto anime, violando i più elementari diritti di inermi cittadini e religiosi zelanti: è la persecuzione che da sempre accompagna i seguaci di Cristo. Oggi la persecuzione è ancor più subdola, perché cerca, trasfigurata da “angelo di luce”, di uccidere soprattutto l’anima, il vero obiettivo del demonio. I governi mondiali e mondialisti, solo tutti dello stesso stampo oramai, le persecuzioni materiali avvengono nei Paesi ancora non totalmente sottomessi al dictat dei “figli della vedova”, persecuzioni che non avvengono apparentemente nei Paesi in cui la setta del “novus ordo” [… è lo stesso che dire i figli del baphomet-signore dell’universo] ha il pieno controllo della situazione politico-spirituale. Ma è proprio là infatti che si annida il nemico di Cristo e del suo Vicario, come fu ben profetizzato dal terrorizzato Santo Padre Leone XIII, voce dello Spirito Santo, nella sua tremenda visione che diede luogo alla composizione della preghiera a San Michele che Papa Pecci indulgenziò con 500 giorni … anche questo è Magistero ordinario ed universale e Profezia divinamente ispirata: « … ubi sedes beatissimi Petri et Cathedra veritatis ad lucem gentium constituta est ibi thronum posuerunt abominationis et impietatis suæ » … più chiaro di così! E allora, pusillus grex, non mollare: la lotta è sempre più dura, occorre serrare le fila, condurre la buona battaglia fino alla fine anche se occorresse il martirio – grazia che garantisce l’eterna salvezza – nella certezza della corona finale … CLAMA, NE CESSES!

Pio IX
Incredibili afflictamur

Siamo afflitti da incredibile dolore e gemiamo insieme a voi, Venerabili Fratelli, considerando in quale maniera crudele ed empia il Governo della Repubblica di Nuova Grenada assale, sconvolge e dilacera la Chiesa. – Neppure possiamo esprimere con le parole i molteplici sacrileghi ardimenti con i quali lo stesso Governo, recando gravissime offese a Noi ed a questa Sede Apostolica, tenta di conculcare e distruggere le nostra santissima Religione, i suoi diritti consacrati, la dottrina, il culto e i suoi sacri ministri. – Soprattutto da due anni, infatti, tale Governo ha emanato leggi esecrabili e decreti che ostacolano la Chiesa Cattolica, la sua dottrina, la sua autorità e i suoi diritti. Per effetto di queste leggi e di questi decreti iniqui, ai sacerdoti è, tra l’altro, proibito di esercitare il ministero ecclesiastico senza l’autorizzazione del potere civile, e tutti i beni della Chiesa sono stati sequestrati e venduti; per questo motivo sono rimaste prive delle loro rendite le parrocchie, le famiglie religiose di entrambi i sessi, il clero, gli ospedali, le case di rifugio, le pie confraternite, i benefici e persino le cappellanie sotto diritto di patronato. – Inoltre, per queste stesse leggi e per questi decreti ingiustissimi è totalmente contrastato il legittimo diritto della Chiesa di acquistare e possedere; è sancita la libertà per ciascun culto non Cattolico; sono state tolte di mezzo tutte le comunità religiose, maschili e femminili, stabilitesi nel territorio di Nuova Grenada e ne è stata completamente vietata l’esistenza; vietata anche la divulgazione di tutte le Lettere e di qualunque Rescritto proveniente da questa Sede Apostolica, con la pena dell’esilio per gli ecclesiastici che rifiutassero di attenersi alle disposizioni, e di multe e carcere per i laici. – Per di più, con queste detestabili leggi e questi decreti è stabilito che sia comminata la pena dell’esilio a tutti i religiosi, secolari o regolari, che abbiano tentato di sottrarsi alla legge che prevede la spoliazione dei beni ecclesiastici; che gli ecclesiastici non possano assolutamente adempiere al loro ministero se non dopo aver giurato fedeltà alla Costituzione della Repubblica di Nuova Grenada ed a tutte le sue leggi (così contrarie alla Chiesa) già promulgate e che verranno pubblicate in futuro, contemporaneamente viene inflitta la pena dell’esilio a tutti coloro che si rifiutino di prestare un giuramento tanto empio ed illecito. Queste norme e molte altre, assolutamente ingiuste ed inique – che ripugna enumerare nel dettaglio – sono state fissate dal Governo della Repubblica di Nuova Grenada contro la Chiesa, in spregio di tutte le leggi divine ed umane. – Tuttavia, poiché voi, Venerabili Fratelli, per il vostro egregio spirito religioso e per la vostra virtù non avete mai smesso di opporvi costantemente, con le parole e con gli scritti, alle prevaricazioni ed ai decreti del Governo, così empi e sacrileghi, e di propugnare impavidi la causa ed il diritto della Chiesa, il furore del Governo non ha smesso di infierire contro di voi; contro tutti gli ecclesiastici a voi sottomessi, memori del loro impegno e della loro vocazione; contro tutto ciò che è della Chiesa. – Quasi tutti voi siete stati perseguitati miserevolmente, schiacciati dalle forze armate, allontanati violentemente dal vostro gregge, buttati in prigione, cacciati in esilio, relegati in regioni dal clima pernicioso; i sacerdoti e i membri delle famiglie religiose che si sono meritoriamente opposti alle criminali disposizioni del Governo sono stati mandati in carcere, oppure hanno trovato la morte nell’esilio, o sono obbligati a vivere alla macchia. – Quando tutte le vergini consacrate a Dio furono cacciate violentemente dai loro monasteri e ridotte alla miseria più totale dal Governo, esse furono accolte nelle case di alcuni pii fedeli, profondamente commossi dalla loro tristissima condizione. Ma il Governo, che non può tollerare ciò, minaccia di cacciarle anche dalle case di questi fedeli e di disperderle. – I templi santi ed i cenobii sono stati denudati, spogliati, profanati, adibiti a stazioni militari; le loro sacre suppellettili ed i loro ornamenti saccheggiati; il culto divino abolito; il popolo cristiano, privato dei suoi pastori legittimi e lasciato miseramente senza il soccorso della nostra Religione divina, corre gran rischio – con massima preoccupazione Nostra e vostra – per quanto riguarda la salvezza eterna. – Quale persona, animata da spirito cattolico od umano, non si addolorerebbe profondamente vedendo la Chiesa Cattolica, la sua dottrina, l’autorità, i suoi rappresentanti consacrati, combattuti con tanta violenza e crudeltà persecutoria dal Governo di Nuova Grenada, che reca ingiurie tanto grandi anche alla suprema autorità Nostra e di questa Sede Apostolica? – Ciò che soprattutto va deplorato, Venerabili Fratelli, è che possano esistere alcuni ecclesiastici che non hanno esitato ad obbedire alle disposizioni ed alle inique leggi del Governo, ad appoggiarle ed a prestare l’illecito giuramento di obbedienza sopra citato, con grandissimo dolore vostro e Nostro, meraviglia e lutto di tutte le persone per bene. – In tanto disastro per la Chiesa Cattolica e in tanto pericolo per le anime, doverosamente memori dei Nostri compiti apostolici e soprattutto solleciti del bene di tutte le Chiese, considerando come detta a Noi la frase del Profeta “Grida, non smettere, esalta la tua voce come una tromba e annuncia al mio popolo i loro delitti e alla casa di Giacobbe i loro peccati ” (Is LVIII, 1), con questa Lettera eleviamo la Nostra voce apostolica lamentando senza sosta e rinfacciando tutti i gravissimi danni e le offese che il Governo di Nuova Grenada ha inflitto alla Chiesa, alle persone e alle cose consacrate, e a questa Santa Sede. – Tutti questi attentati ed anche quelli commessi contro la Chiesa in altre materie del diritto ecclesiastico, sia dal Governo di Nuova Grenada, sia anche dai suoi sottoposti e dai suoi magistrati, attentati portati a termine in qualunque maniera, Noi li stigmatizziamo e condanniamo. Abroghiamo con la Nostra stessa autorità le leggi, i decreti e le norme che ne sono derivati e li dichiariamo di nessun effetto e di nessuna forza, né per il passato né per l’avvenire. – In nome di Dio supplichiamo gli autori di questi misfatti affinché aprano infine gli occhi davanti alle gravissime ferite inferte alla Chiesa; affinché si ricordino e prendano in serio esame le censure e le pene che le Costituzioni Apostoliche e i decreti dei Concilii generali infliggono a coloro che invadono il diritto della Chiesa e che perciò stesso incorrono in esse; affinché abbiano pietà delle loro anime, tenendo presente “che severissimo sarà il giudizio per coloro che sono al comando” (Sap V, 6). – Con il massimo impegno ammoniamo ed esortiamo quegli ecclesiastici che, appoggiando il Governo, sono venuti miseramente meno ai loro doveri: ricordandosi della santa vocazione, si affrettino a ritornare sulla via della giustizia e della verità, e seguano l’esempio di quegli ecclesiastici che, per un’infelice caduta, prestarono il prescritto giuramento d’obbedienza al Governo e tuttavia in seguito si sono gloriati di ritrattare e condannare tale giuramento, con grande soddisfazione Nostra e dei loro Vescovi. – Intanto, le più grandi e le più meritate lodi esprimiamo a voi, Venerabili Fratelli, che – impegnandovi come valorosi soldati di Gesù Cristo e combattendo con singolare costanza – non avete mai smesso di far sì che tramite vostro si potesse difendere, con la parola o con gli scritti, la causa della Chiesa, la sua dottrina, i codici, la libertà; che si potesse curare la salvezza del vostro gregge, rafforzandolo contro l’empia distruttività dei nemici e i pericoli che aggrediscono la Religione. Tutto ciò avete fatto sopportando con forza vescovile anche le offese più gravi, anche gli attacchi più aspri. – Perciò non possiamo dubitare che con altrettanto impegno, quanto ce n’è in voi, continuerete a propugnare la causa della nostra divina Religione e a preoccuparvi della salute dei fedeli, così come avete fatto tanto lodevolmente fino ad ora. – Lodi dovute esprimiamo anche al fedele clero della Repubblica di Nuova Grenada che, geloso della propria vocazione e stretto a questa Cattedra di Pietro ed ai suoi Vescovi, gravemente perseguitato per la Chiesa, la verità e la giustizia, ha sopportato e sopporta con pazienza pesantissimi oltraggi di ogni genere. – Non possiamo non lodare e non ammirare tante vergini consacrate a Dio che, pur espulse violentemente dai loro monasteri e ridotte in triste miseria, tuttavia si sono mantenute tanto strettamente legate allo Sposo celeste; sopportano con cristiana virtù la terribile condizione nella quale si trovano; non cessano di effondere notte e giorno i loro cuori davanti a Dio, pregandolo in umiltà e zelo per la salvezza di tutti, compresi i loro stessi persecutori. – Insieme lodiamo anche il popolo cattolico di Nuova Grenada, che in larghissima maggioranza continua a dimostrare l’antico amore, la fede, la riverenza e l’obbedienza nei confronti della Chiesa Cattolica, di Noi, della Sede Apostolica e dei suoi maestri. – Non cesseremo nemmeno, Venerabili Fratelli, di rivolgerci con fiducia al trono della grazia; di pregare umilmente e scongiurare con le più ferventi orazioni il Dio delle misericordie e Padre di ogni consolazione, affinché sorga e giudichi la sua causa; tolga dalle calamità la sua Santa Chiesa, vessata qui come in quasi tutte le parti del mondo; la consoli con il suo opportuno aiuto, e generosamente le elargisca la pace e la serenità, tanto desiderate in così numerose e gravi avversità. Che Egli abbia pietà di tutti secondo la sua grande misericordia, e con l’onnipotente sua virtù faccia si che tutti i popoli, le genti, le nazioni adorino Lui, il Suo Figlio Unigenito Signore Nostro Gesù Cristo, insieme con lo Spirito Santo; li temano, li riconoscano e li amino con tutto il cuore, l’anima, la mente, ed osservando religiosamente i mandati e i precetti divini camminino come figli della luce sulla strada del bene, della giustizia e della verità. Infine, in vista di ogni dono celeste e come indubitabile pegno della Nostra benevolenza speciale nei vostri confronti, impartiamo con affetto l’Apostolica Benedizione, sgorgata dal profondo del cuore, a voi, Venerabili Fratelli, e al gregge affidato alla vostra custodia.

Dato a Roma, presso San Pietro, il 17 settembre 1863, anno diciottesimo del Nostro Pontificato.

DOMENICA VIII DOPO PENTECOSTE (2019)

DOMENICA VIII DOPO PENTECOSTE (2019)

Incipit

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Ps XLVII: 10-11.

Suscépimus, Deus, misericórdiam tuam in médio templi tui: secúndum nomen tuum, Deus, ita et laus tua in fines terræ: justítia plena est déxtera tua. [Abbiamo ricevuto, o Dio, la tua misericordia nel tuo tempio; la tua lode, come si conviene al tuo nome, si stende fino alle estremità della terra: la tua destra è piena di giustizia.]

Ps XLVII: 2. Magnus Dóminus, et laudábilis nimis: in civitate Dei nostri, in monte sancto ejus. [Grande è il Signore, e degnissimo di lode nella sua città e nel suo santo monte.]

Ps XLVII: 10-11 Suscépimus, Deus, misericórdiam tuam in médio templi tui: secúndum nomen tuum, Deus, ita et laus tua in fines terræ: justítia plena est déxtera tua. [Abbiamo ricevuto, o Dio, la tua misericordia nel tuo tempio; la tua lode, come si conviene al tuo nome, si stende fino alle estremità della terra: la tua destra è piena di giustizia.]

Oratio

Orémus.

Largíre nobis, quǽsumus, Dómine, semper spíritum cogitándi quæ recta sunt, propítius et agéndi: ut, qui sine te esse non póssumus, secúndum te vívere valeámus. [Concedici propizio, Te ne preghiamo, o Signore, di pensare ed agire sempre rettamente; cosí che noi, che senza di Te non possiamo esistere, secondo Te possiamo vivere.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Romános.

Rom VIII: 12-17

Fratres: Debitóres sumus non carni, ut secúndum carnem vivámus. Si enim secúndum carnem vixéritis, moriémini: si autem spíritu facta carnis mortificavéritis, vivétis. Quicúmque enim spíritu Dei aguntur, ii sunt fílii Dei. Non enim accepístis spíritum servitútis íterum in timóre, sed accepístis spíritum adoptiónis filiórum, in quo clamámus: Abba – Pater. – Ipse enim Spíritus testimónium reddit spirítui nostro, quod sumus fíli Dei. Si autem fílii, et herédes: herédes quidem Dei, coherédes autem Christi.

OMELIA I.

[A. Castellazzi: La scuola degli Apostoli – Sc. Tip. Vescov. Artigianelli, Pavia,

DIGNITÀ’ DEL CRISTIANO

“Fratelli: Non abbiam alcun debito versa la carne per vivere secondo la carne. Se, pertanto, vivrete secondo la carne, morrete; se, al contrario, con lo spirito farete morire le opere della carne, vivrete. Poiché, quanti sono mossi dallo Spirito di Dio sono figli di Dio. Invero, non avete ricevuto lo spirito di servitù per ricadere nel timore, ma avete ricevuto lo spirito di adozione in figliuoli, per il quale gridiamo «Abba! (o Padre)». E lo Spirito Santo stesso attesta al nostro spirito che noi siamo figli di Dio. Ora, se siamo figli, siamo anche eredi: eredi di Dio, coeredi di Gesù Cristo”. (Rom. VIII, 12-17).

L’Epistola è tolta dal cap. VIII della Lettera ai Romani. Lo Spirito Santo è come l’anima della vita cristiana. La carne non ha, dunque, più nulla da reclamare dal cristiano per trascinarlo a seguire le cattive inclinazioni, che danno la morte all’anima. Egli, deve, invece, mortificare le voglie della carne, mediante le opere dello Spirito, se vuol pervenire alla vita soprannaturale. Veri figli di Dio son coloro che si lasciano guidare dallo Spirito di Dio, seguendo docilmente i suoi impulsi. Questo Spirito, poi, non ci deve incutere timore, come se fossimo servi, ma ci deve ispirare un amore filiale; poiché è lo Spirito della filiazione adottiva, il quale attesta la nostra adorazione a figli di Dio e, per conseguenza, eredi di Lui e coeredi di Gesù Cristo. – Quanto insegna qui S. Paolo, fa pensare alla grande dignità del cristiano, della quale non sarà fuor di luogo dire due parole. Il Cristiano:

1. È figlio di Dio,

2. È l’abitazione dello Spirito Santo,

3. È l’erede del regno celeste.

1.

Quanti sono mossi dallo Spirito di Dio sono figli di Dio.

 Il Cristiano che, ricevuta la grazia dello Spirito Santo vi coopera, cercando di condurre una vita virtuosa, lontana dal peccato, è veramente figlio di Dio. Per mezzo della grazia santificante che riceviamo nel Battesimo, veniamo incorporati a Gesù Cristo. Questa mistica unione è così intima, che diveniamo «membra del corpo di Lui, della carne di Lui e delle ossa di Lui» (Eph. V, 30). E in lui siam fatti figli di Dio. Egli è il Figlio naturale del Padre, il Figlio unigenito; noi siamo i figli adottivi, ma pur sempre figli.Dio è nostro Creatore. Egli ha ci cavato dal nulla. Perciò siamo fattura di Lui. Ma Egli non è solamente Creatore nell’ordine naturale; è Creatore anche in un ordine più elevato; nell’ordine soprannaturale. «Infatti — dice. l’Apostolo — siamo fattura di Lui creati in Gesù Cristo» (Eph. II, 10). Quando noi siamo battezzati in Gesù Cristo diventiamo una nuova creatura, un uomo nuovo, diventiamo «partecipi della natura divina» (ll Pietr. I, 4), diventiamo figli di Dio per mezzo di una generazione spirituale. S. Giovanni ci richiama alla considerazione di tanta dignità, a cui Dio ci ha elevati: «Osservate quale carità ci ha dato il Padre, che siamo chiamati e siamo figli di Dio» (1 Giov. III, 1). Sarebbe già dimostrazione di grande amore da parte di Dio se ci avesse concesso di poterlo chiamare col nome confidenziale di Padre. Ma Egli non si è accontentato d’esser Padre solamente all’apparenza; ma volle essere nostro Padre in realtà; così che noi siamo veramente suoi figli, non di nome, ma anche di fatto. Il Salmista, che invita Israele a lodar Dio per i benefici che ha fatto a Gerusalemme e a tutto il popolo, termina il suo cantico con questa constatazione: «A nessun altro popolo fece altrettanto» (Salm. CXLVII, 20). Nella nuova legge noi possiam dire con tutta verità, che fece altrettanto e molto più al popolo cristiano. I Cristiani, essendo stati adottati a figli di Dio, sono veramente, ben più che il popolo d’Israele: «stirpe eletta, sacerdozio regale, gente santa, popolo di acquisto» (I Pt. II, 9). – «Comprendi, cristiano, la tua dignità? associato alla divina natura non ritornare per una indegna compiacenza alle vergogne del passato» (S. Leone M. Serm. 21, 3) «Quanto è turpe offendere un tal padre!» (S. Zenone. Lib. 2, Tract. 22, 3).

2.

E lo Spirito stesso attesta al nostro spirito che noi siam figli di Dio.

Lo Spirito Santo a coloro, che si lascianoguidare da Lui, attesta con voci interne la consolantissima. verità che sono figli di Dio. Queste voci interne sono molteplici. L’esser spinti a chiamar con fiducia e con affetto filiale Dio con il dolce nome di Padre, l’orrore al peccato, l’amor di Dio, la prontezza nei seguir le buone ispirazioni. La pace e la tranquillità della coscienza sono echi di questa voce interna.Questo linguaggio interno dello Spirito Santo suppone che Egli sia presente nell’anima nostra, che sia «abitante in noi» (Rom. VIII, 11). È una verità insegnata ripetutamente da S. Paolo. e da lui richiamata con energia alla mente dei Corinti: «Non sapete che siete il tempio di Dio. e che lo Spirito di Dio abita in voi? »  (I Cor. III, 16).

 Veramente, tutto il creato è tempio di Dio. La terra, con tutta la sua varia magnificenza, è come lo sgabello del suo trono, gli astri sono come la sua corona. Se noi potessimo sollevarci alle più eccelse altezze, vi troveremmo Dio; se potessimo  portarci dall’uno all’altro confine del mondo, sentiremmo di essere sotto la sua destra; se discendessimo nei più profondi abissi dovremmo confessare col salmista : « ivi tu sei » (Ps CXXXVIII, 8). Se tutto il creato è tempio di Dio, Dio stesso volle scegliersi dei templi particolari. Egli dice sul monte a Mosè: «Ordina ai figli d’Israele che levino per me un contributo… E mi facciano un santuario, si che Io abiti in mezzo a loro» (Es. XXV, 2-8). E quando l’opera è compita, ecco, che una nube vi scende sopra, a significare che Dio prende possesso del tabernacolo, e vi pone la sua dimora (Es. XL, 32, segg.). Più tardi Salomone, in luogo del tabernacolo mobile di Mosè, costruisce sul modello del medesimo, ma in proporzioni e con magnificenza maggiori, un tempio stabile. Di nuovo, nel giorno della consacrazione, una nuvola miracolosa riempie il tempio ad attestare la presenza di Dio (3 Re. VIII, 10). – Ma oltre questi tempi Dio se ne sceglie degli altri. Quando l’anima del Cristiano è purificata nel Battesimo, diventa tempio dello Spirito Santo, il quale, per così dire, vi prende possesso e ne forma la propria dimora: diciamo meglio, forma la dimora della SS. Trinità, perché ove è una Persona divina, ci sono anche le altre. Di chi, mediante la carità, è tempio dello Spirito Santo, dice Gesù Cristo: «Il Padre mio lo amerà, e verremo da lui, a faremo dimora presso di lui» (Giov. XIV, 23). – Sulle case ove abitarono uomini illustri, si mettono delle lapidi commemorative, che ricordano al passante, che quella casa ebbe l’onore d’essere stata l’abitazione del tale o del tal altro personaggio. Talune vengono curate con somma diligenza, perché non vadano soggette a deperimento; altre vengono dichiarate monumento nazionale, perché nessuno osi toccarle, deteriorarle, distruggerle. Sull’anima del Cristiano, che non ha perduto la grazia santificante possiamo leggere un’iscrizione di maggior valore: « Tempio dello Spirito Santo ».

3.

Per mezzo del Battesimo i Cristiani sono divenuti figli di Dio e fratelli di Gesù Cristo. Ora, se siam figli, siamo anche eredi: eredi di Dio, coeredi di Gesù Cristo. Procediamo di meraviglia in meraviglia. La gloria che attende il cristiano sorpassa ogni intendimento. Gesù Cristo è re della gloria. I Cristiani, fratelli di Gesù Cristo, vengono pure a partecipare della sua dignità regale, poiché « il segno della croce rende re tutti coloro che sono rigenerati in Gesù Cristo » (S. Leone M. Serm. 4, 1). Anche l’eredità che spetta al cristiano sarà un’eredità regale. A lui è concesso da Dio il diritto di « sedere in cielo con Gesù Cristo » (Eph. II, 6). Quando Davide vede avvicinarsi gli ultimi giorni, dichiara suo successore Salomone. Questi viene unto re, e sale il trono del regno. Quei della corte si rallegrano col re Davide, dicendo: «Dio renda il nome di Salomone più grande del tuo nome, e magnifichi il suo trono sopra il tuo trono» (3 Re I, 47). – Il regno dove i Cristiani sederanno con Gesù Cristo, sarà, senza confronto, più magnifico del regno di Salomone. Il regno ereditato da Salomone andò presto diviso, ed ebbe la sua fine. « Il magnifico regno è il bellissimo diadema che riceveranno dalla mano del Signore » (Sap. V, 17), i Cristiani che rimarranno intatti. Quel regno «è una eredità che non impiccolisce pel numero dei coeredi; ma rimane intera tanto per molti, quanto per pochi; tanto per ciascuno quanto per tutti» (S. Agost. Enarr. in Ps. XLIX). La Chiesa, celebrando la gloria d’un santo martire con le parole del Salmista, esclama: «Hai posto, o Signore, sul suo capo una corona di pietre preziose» (Ps. XX, 4). Questa corona di pietre preziose Dio pone non solo sul capo dei martiri, ma sul capo di tutti i giusti. E questa corona non passerà ai successori. Non sarà mai tolta dal capo, su cui Dio l’ha posta. A considerare la grandezza dell’eredità che ci attende, il nostro animo s’accende della brama di andarvi in possesso. Ma per arrivare al possesso di questa eredità è necessario di non rendersene indegni. Le leggi umane contemplano i casi di indegnità, che potrebbero privare un figlio dall’eredità che gli spetta. Per i Cristiani questa indegnità c’è quando si commette il peccato. Quando si commette un peccato grave, lo Spirito Santo, che dimorava nell’anima come amico, consigliere, maestro, se ne parte con tutti i suoi doni, e con lui se ne partono anche il Padre e il Figlio, e l’uomo peccatore rimane privato dal diritto all’eredità. Per arrivare al possesso dell’eredità eterna occorre la grazia di Dio, che noi dobbiam procurare di non perdere mai. In paradiso non ci si va in carrozza. Noi saremo «eredi di Dio e coeredi di Gesù Cristo, se però soffriamo con Lui affine di essere anche con Lui glorificati » (Rom. VIII, 17). «Non si può pervenire ai grandi premi, senza grandi fatiche. Perciò Paolo, eccellente predicatore dice: Non sarà coronato se non chi avrà combattuto secondo le leggi» (S. Gregorio M. Hom. 37, 1). E tutti sappiamo qual è questo combattimento secondo le leggi: nelle molteplici circostanze della vita diportarci secondo l’esempio datoci da Gesù Cristo: osservare con fedeltà i suoi comandamenti.

Graduale

Ps LXX: 1V. Deus, in te sperávi: Dómine, non confúndar in ætérnum. Allelúja, allelúja. [V. O Dio, in Te ho sperato: ch’io non sia confuso in eterno, o Signore. Allelúia, allelúia]

Alleluja

Ps XLVII:2

Alleluja, Alleluja.

Magnus Dóminus, et laudábilis valde, in civitáte Dei nostri, in monte sancto ejus. Allelúja. [Grande è il Signore, degnissimo di lode nella sua città e sul suo santo monte. Allelúia].

Evangelium

Sequéntia ✠ sancti Evangélii secúndum Lucam. (Luc XVI: 1-9)

In illo témpore: Dixit Jesus discípulis suis parábolam hanc: Homo quidam erat dives, qui habébat víllicum: et hic diffamátus est apud illum, quasi dissipásset bona ipsíus. Et vocávit illum et ait illi: Quid hoc audio de te? redde ratiónem villicatiónis tuæ: jam enim non póteris villicáre. Ait autem víllicus intra se: Quid fáciam, quia dóminus meus aufert a me villicatiónem? fódere non váleo, mendicáre erubésco. Scio, quid fáciam, ut, cum amótus fúero a villicatióne, recípiant me in domos suas. Convocátis itaque síngulis debitóribus dómini sui, dicébat primo: Quantum debes dómino meo? At ille dixit: Centum cados ólei. Dixítque illi: Accipe cautiónem tuam: et sede cito, scribe quinquagínta. Deínde álii dixit: Tu vero quantum debes? Qui ait: Centum coros trítici. Ait illi: Accipe lítteras tuas, et scribe octogínta. Et laudávit dóminus víllicum iniquitátis, quia prudénter fecísset: quia fílii hujus saeculi prudentióres fíliis lucis in generatióne sua sunt. Et ego vobis dico: fácite vobis amicos de mammóna iniquitátis: ut, cum defecéritis, recípiant vos in ætérna tabernácula.

Omelia II

[A. Carmignola, Spiegazione dei Vangeli domenicali, S. E. I. Ed. Torino,  1921]

SPIEGAZIONE XXXVI.

“In quel tempo disse Gesù ai suoi discepoli: Eravì un ricco, che aveva un fattore, il quale fu accusato dinanzi a lui, come so dissipato avesse i suoi beni. E chiamatolo a sé, gli disse: Che è quello che io sento dire di te? Rendi conto del tuo maneggio; imperocché non potrai più esser fattore. E disse il fattore dentro di sé: Che farò, mentre il padrone mi leva la fattoria? non sono buono a zappare; mi vergogno a chiedere la limosina. So ben io quel che farò, affinché, quando mi sarà levata la fattoria, vi sia chi mi ricetti in casa sua. Chiamati pertanto ad uno ad uno i debitori del suo padrone, disse al primo: Di quanto vai tu debitore al mio padrone? E quegli disse: Di cento barili d’olio. Ed ei gli disse: Prendi il tuo chirografo; mettiti a sedere, e scrivi tosto cinquanta. Di poi disse a un altro: E tu di quanto sei debitore? E quegli rispose: Di cento staia di grano. Ed ei gli disse: Prendi il tuo chirografo, e scrivi ottanta. E il padrone lodò il fattore infedele, perché prudentemente aveva operato: imperocché i figliuoli di questo secolo sono nel loro genere più prudenti dei figliuoli della luce. E io dico a voi: Fatevi degli amici per mezzo delle inique ricchezze; affinché, quando venghiate a mancare, vi dian ricetto ne’ tabernacoli eterni” (Luc. XVI, 1-9).

Le parabole, di cui si valse nostro Signor Gesù Cristo per farci conoscere i misteri della sua grazia, della sua dottrina e della sua Chiesa, si possono dividere in tre classi. Nella prima classe vi sono le parabole profetiche, vale a dire quelle, con cui volle indicare che cosa sarebbe avvenuto in seguito o della sua Chiesa, o dei suoi discepoli, od anche di coloro, che non avrebbero abbracciato la sua fede. Nella seconda classe vi sono le parabole profetiche e morali ad un tempo, quelle cioè, con le quali, non solo volle indicare qualche futuro avvenimento, ma volle ancora dare agli uomini qualche importante ammaestramento intorno ai doveri, che essi hanno da compiere. Nella terza classe poi vi sono le parabole puramente morali. Con tutto ciò non è da credere, che queste ultime siano meno importanti delle altre; anzi sotto un certo aspetto lo sono anche di più, in quanto che con esse Gesù Cristo mirò direttamente ad ottenere da noi l’adempimento di quei doveri, che è indispensabile alla nostra eterna salute. Ed è tra queste ultimo che va annoverata la parabola dell’economo infedele, che nel Vangelo di questa domenica la Chiesa offre alla nostra considerazione.

1. In quel tempo disse Gesù ai suoi discepoli: Eravi un ricco, che aveva un fattore, il quale fu accusato dinanzi a lui, come se avesse dissipato i suoi beni. E chiamatolo a sè gli disse: Che è quello che io sento dire di te? Rendi conto del tuo operato; imperocché non potrai più essere mio fattore. Quest’uomo ricco, o miei cari, è Iddio, che solo può esser chiamato così a buon diritto, perché sorgente di ogni ricchezza, di ogni bene e di ogni tesoro. Il fattore siamo tutti noi, perché è a tutti noi, che Iddio nella sua bontà si è degnato affidarci il maneggio delle sue grazie, che dobbiamo santamente trafficare. Se non che quanti vi sono tra gli uomini, i quali, anziché usare a bene le grazie del Signore, le vanno miseramente dissipando, sia coll’impiegare malamente i beni di fortuna a scapricciarsi, a soddisfare tutte le loro perverse voglie, a fare un lusso smodato; sia con l’usare i beni della mente per parlare e scrivere contro la fede e la morale cristiana; sia con il non curare i beni dello spirito o col farli talvolta servire a profanazioni ed a sacrilegi orribili. Ma tutti questi economi infedeli vi ha chi si fa ad accusarli, e questi è il demonio, del quale si dice nelle Sacre Scritture (Apoc. XII, 10) che è accusatore nostro, e ci accusa dinanzi a Dio giorni e notte. E noi tutti un giorno, al termine della vita, saremo chiamati a render conto della nostra amministrazione, vale a dire del modo con cui ci saremo regolati, del come avremo usato di tutte le grazie, che il Signore ci ha fatto. Or bene, o miei cari, se noi desideriamo di potere in quel giorno rendere della nostra vita un conto diverso da quello dell’economo infedele, ci gioverà grandemente rientrare anche ogni giorno in noi medesimi e rendere conto a noi di tutto il nostro operato.Per certo, un buon economo tiene le sue partite assestate, e le conosce a menadito; un buon negoziante ripassa i suoi debiti, le sue partite, i suoi guadagni anche ogni giorno, e così dobbiamo fare noi. Tra le sentenze auree di Pitagora, S. Girolamo riporta questa: Bisogna ogni mattina o ogni sera esaminare quel che faremo e quel che abbiamo fatto. Trattando S. Bonaventura della purità della vita, raccomanda come mezzo acconcissimo a conservarla, l’esaminare anche più volte al giorno la propria condotta, attentamente considerando e indagando in qual modo abbiamo passato le nostre ore innanzi a Dio. E così per l’appunto costumava di fare San Ignazio di Loyola. Di fatti qual cosa è più utile per mantenersi nella via del bene o per ritornarvi tosto appena ce ne siamo discostati, che un esame serio e ben fatto della nostra coscienza, anche ogni giorno? In tale esame vengono all’aperto le colpe, che durante il giorno si sono commesse, la loro malizia e gravità, le cause, gli effetti, le occasioni, le circostanze più o meno umilianti delle medesime, le intenzioni perverse, che le precedettero, e le conseguenze deplorabili, che ne derivarono. Epperò un tale rendiconto conduce chi lo ha fatto alla cognizione di se stesso, che è cosa cotanto necessaria e indispensabile alla vita cristiana, e feconda di tanti beni. Esso gli apre gli occhi a vedere la propria debolezza e fragilità, le sue perverse inclinazioni, la sua ingratitudine verso Dio, la sua infedeltà e tiepidezza nel servirlo, la sua leggerezza e volubilità, e mille altri difetti e mancamenti. Al considerare che una cosa da nulla, una paroletta, uno sguardo, un piccolo accidente, una leggera contraddizione, una storiella insignificante fu sufficiente a farlo prevaricare anche gravemente, è forzato a dire a se stesso: Ah! io son dunque ben debole e miserabile, per essermi lasciato vincere da sì leggera tentazione! Ah! bisogna bene che sia molto perverso, per commettere il peccato con tanta facilità! Poiché in fin dei conti per qual motivo ho offeso Iddio in quell’occasione? Per una vile soddisfazione, per un momentaneo diletto, per un meschino interesse. Sciagurato ch’io sono! Non ho avuto il coraggio di resistere, di frenar la mia brutale passione, ho rovinata l’anima mia l’ho messa fra le mani del demonio e quel ch’è peggio, ho tradito il mio Salvatore, ho offeso il mio Dio, Pazzo che fui ed ingrato! Devo dunque diffidar di me stesso, star in guardia di continuo, fuggire le occasioni, raddoppiar le preghiere e mantenermi in continua umiltà. Ecco quanto bene arreca all’anima nostra l’esame di coscienza! Come c’ispira l’umiltà, la diffidenza di noi stessi, la vigilanza, il timore salutare dei divini giudizi, la compunzione del cuore, i santi proponimenti, il fervore dell’orazione, la confidenza e la gratitudine verso Dio, e tanti altri sentimenti salutari! – Ma perché l’esame di coscienza produca realmente tali vantaggi bisogna che lo facciamo davvero e bene. Epperciò, raccogliendoci la sera un qualche minuto in noi stessi, esaminiamoci attentamente e senza dissimulazione; esaminiamo sottilmente e a fondo il nostro cuore, e non sarà raro trovarvi appiattata qualche passione, incantucciato, qualche difetto, che brutta tutte le nostre azioni, che spiace a Dio, e tien da noi lontani i suoi doni. Esaminiamoci su quel che s’è fatto, e nel modo che s’è fatto. Domandiamoci seriamente: Di qual difetto mi sono emendato quest’oggi? a qual peccato ho resistito? … sono io migliore? Facciamo insomma da noi stessi le parti di testimonio, d’accusatore, di giudice e di esecutore, figurandoci di sentir a risuonare al nostro orecchio quella tremenda parola, che ci rivolgerà un giorno Gesù Cristo: Recide rationem villicationis tuæ; rendimi conto della tua passata vita. Noi fortunati se ci appiglieremo a questa santa pratica e la eseguiremo con fedeltà e diligenza, essa senza dubbio, animandoci a detestare il male commesso e ad operare il bene nella nostra vita avvenire, ci scamperà da un rendiconto terribile nel giorno del giudizio. San Paolo ce lo ha detto chiaramente: « Si nosmetipsos diiudicaremus, non utique iudicaremur: Se disaminiamo severamente noi stessi e da noi stessi castighiamo i nostri peccati, certamente non saremo per essi giudicati e puniti da Dio ».

2. Tornando ora alla parabola del Santo Vangelo, all’intimata del padrone, il fattore, disse dentro di sé: che farò mentre il padrone mi leva la Fattoria? non sono buono a zappare; mi vergogno a chiedere la limosina. So ben io quel che farò, affinché, quando mi sarà levata la fattoria, vi sia chi mi ricetti in casa sua. Chiamati pertanto ad uno ad uno i debitori del suo padrone disse al primo: Di quanto vai tu debitore al mio padrone? E quegli disse: Di cento barili d’olio. Ed il fattore: Prendi la tua nota: mettiti a sedere e scrivi tosto cinquanta. Di poi disse ad un altro: E tu di quanto vai debitore? E quegli rispose: Di cento staia di grano. E il fattore: Prendi la tua nota, e scrivi ottanta. E qui, o miei cari, lasciando pure di considerare la malvagità di questo fattore, il quale ricorre alla falsità ed al furto per riparare in qualche modo alla sventura, cui si vede destinato, vi invito piuttosto a riguardare la sua grande stoltezza. Perciocché da tutto l’insieme si rileva che il suo padrone era di buon cuore, e che se egli sinceramente pentito della sua mala amministrazione, gli avesse chiesto perdono e gli avesse promesso ripararvi con la massima diligenza per l’avvenire, senza dubbio il padrone lo avrebbe perdonato. Or bene, o carissimi, anche maggiore sarebbe la stoltezza nostra, se riguardando al cattivo uso, che pel passato noi abbiamo fatto delle grazie e dei beni del Signore, diffidassimo di esserne perdonati. La bontà del Signore verso di noi è così grande che non solo ci permette, ma ci comanda ancora di sperare nella sua misericordia infinita. Perciò, considerando i peccati della nostra vita passata, dobbiamo bensì sentirne un vero dolore, ma questo dolore deve essere confidente; accompagnato cioè con una gran fiducia nella bontà e misericordia infinita del Signore, da cui dobbiamo sperare il perdono ad onta della nostra indegnità. Altrimenti il nostro dolore sarebbe simile a quello dell’economo infedele, ossia dei dannati, che si pentono dei loro peccati come causa di tante pene, a cui vanno soggetti, ma si pentono senza speranza di perdono. Anche Giuda si pentì del suo tradimento; ma perché mancò di fiducia, disperato andò ad appiccarsi e piombò nell’inferno. S. Pietro invece all’occhiata amorosa datagli da Gesù Cristo si sentì aprire il cuore ad una gran fiducia, e pianse bensì amaramente il suo peccato, come dice il Vangelo, ma con un pianto confidenziale nella divina misericordia, il quale gli fece conseguire il perdono. Guardiamoci bene da quel dolore cupo, turbolento, smanioso, che agita il cuore, conturba lo spirito, avvilisce, scoraggia, e porta l’anima alla disperazione. Questo è suggerito dallo spirito delle tenebre a nostra rovina. Quello al contrario che viene infuso dallo Spirito Santo è un dolore, che ravviva la fede e conforta l’anima peccatrice con una dolce e filiale fiducia di ottenere dal Padre delle misericordie il perdono ad onta dei propri demeriti; e questo ha veramente una mirabile virtù per renderci propizio il Signore. Afferma S. Agostino, che quando si metteva ai piedi del Crocifisso a piangere i peccati della vita passata, quelle lagrime gli spargevano in cuore un’ineffabile dolcezza, per cui poi si levava tutto consolato e rinvigorito, con una volontà risoluta e generosa di espiar con la penitenza le offese recate a Dio con le gravi sue colpe. Questo è il vero pentimento, che in luogo di trascinarci alla disperazione ci conduce soavemente alla penitenza sicura ed operativa. – Pertanto quand’anche fossimo stati pessimi peccatori, quand’anche avessimo sull’anima tutti i delitti e le iniquità commesse da tutti insieme gli uomini del mondo, non dovremmo avvilirci né scoraggiarci; ma confidare nella misericordia di Dio, che è di gran lunga maggiore perché infinita: confidare nel Sangue di Gesù Cristo, del quale una sola goccia basta a cancellar tutti i peccati del mondo. Guai a chi si abbandona alla disperazione alla vista de’ suoi peccati! Egli con questo reca il massimo degli oltraggi a Dio Padre della misericordia, e a Gesù Cristo che si è sacrificato appunto per la redenzione e salvezza dei poveri peccatori. La disperazione colma la misura delle colpe e rende impossibile il perdono. Umiliamoci adunque innanzi a Dio, detestiamo e piangiamo di vero cuore i nostri peccati ai piedi del Crocifisso, e con gran fiducia preghiamolo per le sue piaghe e per il suo sangue preziosissimo ad aver pietà di noi, ad accordarci il perdono, e stiamo certi che lo otterremo. Che se ancor ci sentissimo inquieti e diffidenti, ricorriamo a Maria, Madre della misericordia, Rifugio dei peccatori, Speranza dei disperati, ed essa c’impetrerà la grazia del vero pentimento, e dietro a questo la remissione di tutti i peccati.

3. Gesù conchiude la parabola dicendo: E il padrone lodò il fattore infedele, perché prudentemente aveva operato: imperocché i figliuoli di questo secolo sono nel loro genere più prudenti dei figliuoli della luce. Ed io dico a voi: Fatevi degli amici per mezzo delle inique ricchezze; affinché, quando veniate a mancare vi diano ricetto nei tabernacoli eterni. Dice adunque Gesù Cristo, che il padrone, saputo quel che aveva fatto con tanta astuzia il suo fattore, prese a lodarlo. E con ciò non vuol dire che fu lodata l’ingiustizia e la frode, ma la sua previdenza, la sua abilità e l’industria, con la quale seppe riparare alla sua ben meritata sventura.Così pure soggiungendo che i figliuoli del secolo vale a dire coloro che rivolgono tutte le loro cure alle cose presenti senza darsi pensiero della vita avvenire, sono più prudenti dei figliuoli della luce, di coloro cioè che sono illuminati dalla dottrina e dalla grazia di Gesù Cristo per sapere che devono fare per guadagnarsi il cielo, intese di dire che i figliuoli del secolo nel loro genere, quanto alla sollecitudine pei loro interessi temporali, sono più industriosi, che i figliuoli ed amatori del Vangelo per i beni spirituali. Quindi è che, rivolgendosi ai suoi discepoli, finiva dicendo: Per mezzo delle opere buone e specialmente con le opere di carità e di misericordia verso il prossimo attendete a procacciarvi con sicurezza il regno dei cieli.Ecco adunque, o cari giovani e cari Cristiani, dove dobbiamo spiegare la nostra abilità, la nostra industria, la nostra operosità: nel far del bene, nell’impiegare a prò dei poveri bisognosi le ricchezze, che Dio ci avesse largito, nell’applicarci a ben consigliare, a confortare il nostro prossimo, a cooperare alla sua eterna salute. Perciocché i meriti delle buone opere, che avremo fatte, e le preghiere dei poveri, che avremo sollevati, contribuiranno potentemente ad aprirci le porte del paradiso. Sì quelli, ai quali avrete data limosina in nome di Gesù Cristo, coloro a cui avrete reso servizio per principio di carità, quelli che avrete ricondotti sul buon sentiero, allorché sapranno che siete sul punto di comparire al tribunale di Dio, sia che si trovino ancora su questa terra, e tanto più se già saranno passali alla beata eternità, pregheranno per voi, perché favorevole sia la sentenza, che il divin Giudice dovrà pronunziare per voi. In loppe, città della Siria, quando nella prima età della Chiesa morì la pia donna Tabita, che era la vera madre dei poveri, tutta la città fu in pianto al primo annunzio di quel caso acerbissimo; e poiché si seppe, che poco lontano stava il Principe degli Apostoli, alcuni di quei Cristiani corsero a lui, pregandolo che volesse venire a confortare il popolo desolatissimo di quella perdita, almeno con la sua presenza. Il santo Apostolo ruppe ogni indugio e partì con loro; ma nel mettere piede nella città vide affollarglisi intorno vedove scarmigliate, orfani disciolti in lagrime, poveri d’ogni maniera rotti al singhiozzo; e questi gli mostrava la veste donatagli da Tabita, quegli narrava del pane provvedutogli dalla sua mano; altri ricordava il soccorso venutogli in casa per opera sua, e chi toccava una carità, e chi un’altra, e tutti s’univano ad esclamare con voce unanime: Rendeteci, Uomo di Dio, rendeteci la madre nostra. Non resse l’Apostolo a quelle strida pietose ma, fattosi condurre dove stava ancora il cadavere di Tabita, piegò le ginocchia a terra, alzò le mani al Cielo, fece una breve ma calda preghiera; e poi farsi vicino alla morta, dirle surge, Tabita, ravvivarla e renderla alla folla, che impaziente aspettava il miracolo, non fu che un punto. – Ebbene, quel che fecero i poverelli di loppe con S. Pietro, per gratitudine a Tabita, è quello, che certamente faranno per voi tutte lo persone in qualsiasi modo da voi beneficate. Sì, perché se anche in questa vita dimentiche dei benefizi ricevuti non pregassero per voi, parlerebbero tuttavia in vostro favore le vostre opere di carità, giacché neppur un bicchier d’acqua dato nel nome del Signore sfugge all’occhio onniveggente di Dio; ma senza dubbio alcuno non lascerebbero di pregare per voi nell’altra vita, giungendo al bel Paradiso. A pie’ del trono di Dio, ove dal celeste Retributore riceveranno l’immortale corona, dopo adorata e ringraziata la mano larga con loro di sì gran premio: Benedite, diranno, salvate, o Signore, i nostri pietosi benefattori; secondo la vostra promessa, siate misericordioso con quelli che a noi hanno usato misericordia; retribuite copiosamente coloro che ci hanno fatto del bene per il vostro nome e per la vita eterna. Facciamo adunque, o carissimi, di meritarci avvocati così pietosi e così efficaci presso il trono di Dio, mettendo esattamente in pratica la raccomandazione con la quale Gesù Cristo finisce oggi il Santo Vangelo.

Credo …

Offertorium

Orémus Ps XVII: 28; XVII: 32

Pópulum húmilem salvum fácies, Dómine, et óculos superbórum humiliábis: quóniam quis Deus præter te, Dómine? [Tu, o Signore, salverai l’umile popolo e umilierai gli occhi dei superbi, poiché chi è Dio all’infuori di Te, o Signore?]

Secreta

Súscipe, quǽsumus, Dómine, múnera, quæ tibi de tua largitáte deférimus: ut hæc sacrosáncta mystéria, grátiæ tuæ operánte virtúte, et præséntis vitæ nos conversatióne sanctíficent, et ad gáudia sempitérna perdúcant. [Gradisci, Te ne preghiamo, o Signore, i doni che noi, partecipi dell’abbondanza dei tuoi beni, Ti offriamo, affinché questi sacrosanti misteri, per opera della tua grazia, ci santífichino nella pratica della vita presente e ci conducano ai gaudii sempiterni.]

Communio

Ps XXXIII: 9 Gustáte et vidéte, quóniam suávis est Dóminus: beátus vir, qui sperat in eo. [Gustate e vedete quanto soave è il Signore: beato l’uomo che spera in Lui.]

Postcommunio

Orémus.

Sit nobis, Dómine, reparátio mentis et córporis cæléste mystérium: ut, cujus exséquimur cultum, sentiámus efféctum. [O Signore, che questo celeste mistero giovi al rinnovamento dello spirito e del corpo, affinché di ciò che celebriamo sentiamo l’effetto.]

Per l’ordinario vedi:

ORDINARIO DELLA MESSA – ExsurgatDeus.org

LO SCUDO DELLA FEDE (71)

LO SCUDO DELLA FEDE (71)

[S. Franco: ERRORI DEL PROTESTANTISMO, Tip. Delle Murate, FIRENZE, 1858]

PARTE SECONDA.

FRODI PER CUI S’INTRODUCE IL PROTESTANTISMO

CAPITOLO VI

SESTA FRODE: ATTRIBUIRE L’IDOLATRIA ALLA SANTA CHIESA

La calunnia per quanto sia poi a suo tempo smascherata, lascia sempre qualche margine in fronte a chi essa è apposta. Perciò è che i Maestri di errore se ne valgono a tutto andare e fingono che noi abbiamo certe dottrine false che non solo non abbiamo, ma che rigettiamo con tutto il cuore, e poi dopo d’avercele imputate a torto, si fanno a combatterle come se fossero vere. Io ve ne darò alcuni esempi. Avvertiteli bene. – Primo. Dicono che noi siamo idolatri e poi citano alcuni passi della S. Scrittura, dove è condannata da Dio l’idolatria, e così c’infamano. Ora sappiamo anche noi che è un gran delitto l’idolatria, ma qui sta la loro calunnia; nell’attribuirla a noi Cattolici, mentre noi anzi la detestiamo con tutto il cuore. Del resto credete voi poi che sappiano bene quel che sia idolatria? Hanno sempre sul labbro questa accusa, ma io ho più di una volta sperimentato che non sanno neppure quello che voglia dire. Ve lo spiegherò io pertanto, affinché tocchiate con mano quanto per divina misericordia siamo lontani da questo delitto. Idolatria è prestare ad una creatura quell’adorazione che si deve a Dio solo, siccome facevano i Pagani che alle statue ed agli idoli fabbricati dalle loro mani offrivano vittime ed incenso come a verissime divinità: e questa è colpa gravissima, come ognun vede, perché pareggia una creatura vilissima al Creatore, ed a quella prostituisce gli onori divini, rubandoli alla divina Maestà, che sola gli merita. Ora nella S. Chiesa, a chi si presta solamente il culto supremo di adorazione? La Chiesa Cattolica insegna e professa che questo è dovuto solamente a Dio, il quale è nostro Creatore, nostro unico Redentore, nostro Padrone supremo: che però dobbiamo renderglielo con tutto il cuore unendoci a Lui per fede, per speranza, per carità riguardandolo come il solo che può formare la nostra piena beatitudine, comunicandoci quel bene infinito che Egli è. Ed in prova di ciò, il Sacrifizio della S. Messa, che è l’atto più solenne di culto che abbia la Chiesa, non può offrirsi che a Dio solo, e sebbene in essa s’invochino anche i Santi affinché ci aiutino a far con maggiori disposizioni sì grande offerta, tuttavia la Messa non si offre mai se non alla divinità. Ciò presupposto, come potrebbe verificarsi che nella Chiesa vi fosse idolatria? Quando noi, alla Vergine SS. ed ai Santi prestassimo quegli atti di adorazione che si debbono alla Divinità. Ma tolga Dio che cadiamo in questo eccesso. Noi ci vantiamo davvero di onorare la Madonna ed i Santi, ma prima di tutto non riconosciamo in loro nessuna perfezione divina, neghiamo affatto che loro convenga la qualità di Creatore, di Redentore, di Padrone supremo, di ultimo fine, protestiamo poi che tutto quello che essi hanno di bene, tutto fu loro concesso da Dio pei meriti di Gesù, che quanto essi possono a nostro favore, il possono solo pregando ed intercedendo per noi, e che tutta la loro felicità è di stare uniti con Gesù. Vedete dunque quanto siamo lontani dalla Idolatria. Infatti se noi venerassimo la Madonna ed i Santi siccome Divinità. diremmo noi mai che pregassero per noi? Non è ciò molto chiaro? Ebbene osservate tutte le belle preghiere che noi facciamo alla Madonna ed ai Santi: voi trovate che sempre diciamo che preghino per noi. Nell’Ave Maria che cosa voi dite? Santa Maria Madre di Dio, prega per noi peccatori adesso e nell’ora della morte nostra. Nelle Litanie della Madonna e dei Santi che cosa dite? che preghino per noi, che preghino per noi. Avete veduto? Eppure i bugiardi hanno sempre da dire che siamo idolatri, e che riconosciamo la Madonna ed i Santi siccome Dio. E così col calunniarci cercano d’ingannarvi. – Ma e non è poi vero almeno che i Cattolici esagerano le grandezze della Madonna quando la chiamano loro vita, loro dolcezza, loro speranza e simile? Non è forse vero che questi nomi non convengono se non a Gesù? Oh, miei cari, no, non esagerano né punto né poco i Cattolici in tutto ciò: perocché mentre riconoscono che Ella non è Dio, tutto quell’altro che possono dire di magnifico e di grande intorno a Lei, tutto è poco rispetto alla sua incomparabile dignità di Madre di Dio. Ella stessa ripiena di spirito Santo ebbe ad esclamare che fece cose grandi in Lei l’Onnipotente: e che perciò l’avrebbero chiamata beata tutte le generazioni. Ma dunque, com’è che convengono alla Madonna tutte quelle espressioni? Avvertite che in due maniere può uno chiamarsi vita, speranza, dolcezza nostra, o perché appartiene a lui darci la vita, formare la nostra speranza ecc.: o perché se non tocca a lui a darcela, ce la può ottenere da chi può darla. Ora nel primo modo convengono solamente a Gesù quei nomi, nel secondo modo convengono ottimamente anche alla Madonna. Per comprender ciò anche più chiaro immaginate che un povero contadino si presenti ad un maestro di casa che gode tutta la confidenza d’un Padrone, per ottenere un podere in affitto, oppure che un impiegato si porti da un Ministro di stato che gode tutta la fiducia del Principe per ottenere un avanzamento di posto, che cosa diranno essi in questo caso? Signore, io metto ogni mia speranza in voi, voi certo potete se volete, se voi v’impegnate per me, mi darete la vita, e sarete la consolazione di tutta la mia famiglia. Queste ed altre simili espressioni adopreranno ambedue. Ma non dipende dal Padrone e dal Principe la grazia, e non torna a loro offesa il parlare in questo modo ai lor dipendenti? Niente affatto, perché si comprende da tutti che la potenza di accordare quelle grazie sta veramente nel Padrone e nel Principe. Mentre tutto il potere di questi loro dipendenti, sta tutto nel chiedere e nell’impetrare. Ora è lo stesso rispetto alla Madonna. Siccome Ella qual Madre di Gesù ha un’immensa efficacia nel domandare ed ottenerci le grazie desiderate, così noi la chiamiamo nostra vita, nostra speranza, e simile nel raccomandarci che facciamo a Lei, ma già si sa che è sola potenza ed efficacia di preghiera la sua, mentre la potenza essenziale si trova solo in Gesù. Non vi è dunque nessun abuso in tutte quelle formole di pregare, vogliono anzi essere frequentate con tutto l’affetto perché valgono molto ad accrescere la nostra fiducia. – Sulla Madonna hanno anche un altro gravissimo errore che spargono. Hanno il coraggio questi sfacciati, imitando in ciò il demonio, il quale è sempre stato il grande nemico di Maria, di negare la sua Santa Verginità. Gli antichi Santi, come S. Girolamo, S. Ambrogio, S. Bernardo, quando sentivano questa orrenda bestemmia contro la SS. Vergine Madre nostra, correvano a turarsi gli orecchi per alto orrore. Ora lo stesso dobbiamo fare noi. Ma e come fanno poi a persuadere questa loro bestemmia? Osservano che nel santo Vangelo sono nominati qualche volta i fratelli di Gesù ed essi subito credono che la Beatissima Vergine abbia avuti anche altri figliuoli. Ora questa è tutta loro ignoranza, poiché non sanno che la S. Scrittura, parlando secondo il modo degli Orientali, chiama col nome di fratelli anche gli altri parenti, come sono i cugini, i cognati ecc., e così il santo Vangelo non vuol dire che Gesù abbia avuto dei fratelli carnali, ma dei cugini ed altri parenti: epperò è falsissimo, che la Madonna abbia avuti altri figliuoli fuori di Gesù Cristo, secondo che ha tenuto tutta la S. Chiesa, condannando sempre quei mostri che hanno negato a Maria il gran privilegio di essere stata Vergine prima del parto, nel parto e dopo il parto. Ma e che necessità vi è di rivolgersi alla Madonna ed ai Santi ed invocarli? non possiamo andare direttamente da Gesù? Ripigliano essi. Ma noi risponderemo loro che vadano pure da Gesù quanto vogliono, che non vi andranno mai di troppo né saremo ardimento di condannare la S. Chiesa, la quale adopera la loro intercessione. Ricorrano a loro fino a quel punto che lo fa la S. Chiesa nella sua liturgia per esserle così obbedienti figliuoli; del resto se nell’esercizio della divozione loro privata, amano meglio di andare direttamente da Gesù, sono padroni. Noi Cattolici abbiamo una singolare fiducia nella Madonna e nei Santi per molte ragioni: perché persuasi dei nostri demeriti e ripieni di un senso profondo di umiltà, noi crediamo di dovere essere esauditi più prontamente, quando ci presentiamo al divin trono accompagnati anche dalle orazioni dei Santi e specialmente della B. Vergine, che essendo la gran Madre di Gesù è infinitamente cara al cuore di Lui: noi abbiamo fiducia che così Gesù si muova più efficacemente al nostro aiuto, che più abbondantemente ci consoli e ci usi maggior pietà. Noi pratichiamo quel che farebbe un servitore infimo di casa, che volendo ottenere dal padrone una grazia, s’indirizza ad un altro servitore che sia più intimo del padrone perché parli per lui, e questo sentimento di umiltà è certo di un gran pregio dinanzi a Dio che ama i cuori umili. Inoltre poi onoriamo con ciò più perfettamente Gesù Cristo. Imperocché non è vero che resta tanto più onorato un Principe, quanto sono più grandi quelli che gli si umiliano dinanzi a chiedere grazie e favori? Ora noi stimiamo tanto il nostro gran Dio e Salvatore Gesù, che desideriamo che gli si prostrino dinanzi per supplicarlo non solo tutti i Santi e tutti gli Angeli, ma perfino la Regina di tutti loro Maria, e così gli rendiamo il maggior onore che per noi si possa. Vedete adunque quali scempiaggini vi dicono quando vi affermano che l’onorare Maria fa torto a Gesù! Voi frattanto sentendo tutti questi insulti che fanno i Protestanti alla cara nostra Madre Maria, procurate di onorarla ancora più, compensando a Maria questo orrendo insulto, col pregarla con più divozione, col recitarle più assiduamente il S. Rosario, col mettere sotto la sua protezione tutte le vostre famiglie, e col gloriarvi in tutti i tempi ed in tutte le occasioni di essere gli zelanti difensori dell’onore della vostra buona Madre. Dite lo stesso con la debita proporzione riguardo ai Santi. Tenetevi cari i vostri Santi Avvocati e Protettori: li avete ricevuti da Dio, ed essi pregano per voi e voi raccomandatevi sempre a loro con tutto l’affetto. Tutta la S. Chiesa è piena delle grazie stupende che la SS. Vergine ed i Santi hanno fatto ai loro devoti: i miracoli che sono succeduti per la loro invocazione sono a migliaia, testificati dai più grandi uomini del mondo, succeduti spesse volte al cospetto d’intere moltitudini e perciò impossibili a negarsi: e questo è il grande onore del Re del cielo e della terra Gesù Cristo, che i suoi servi siano tanto grandi anch’essi, che possano impetrare da Lui opere così stupende, quali sono quelle che noi ammiriamo per gloria di Gesù e sperimentiamo per nostro bene.

SALMI BIBLICI: “CONSERVA ME DOMINE” (XV)

Salmo 15: “Conserva me Domine”

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS.

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée. 

TOME PREMIER.

PARIS

LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR

13, RUE DELAMMIE, 1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

SALMO XV

[1] Tituli inscriptio, ipsi David. 

  Conserva me, Domine,

quoniam speravi in te.

[2] Dixi Domino: Deus meus es tu, quoniam bonorum meorum non eges.

[3] Sanctis, qui sunt in terra ejus, mirificavit omnes voluntates meas in eis.

[4] Multiplicatæ sunt infirmitates eorum, postea acceleraverunt. Non congregabo conventicula eorum de sanguinibus; nec memor ero nominum eorum per labia mea.

[5] Dominus pars hæreditatis meæ, et calicis mei: tu es qui restitues hæreditatem meam mihi.

[6] Funes ceciderunt mihi in præclaris; etenim hæreditas mea præclara est mihi.

[7] Benedicam Dominum qui tribuit mihi intellectum; insuper et usque ad noctem increpuerunt me renes mei.

[8] Providebam Dominum in conspectu meo semper, quoniam a dextris est mihi, ne commovear.

[9] Propter hoc laetatum est cor meum, et exsultavit lingua mea; insuper et caro mea requiescet in spe.

[10] Quoniam non derelinques animam meam in inferno, nec dabis sanctum tuum videre corruptionem.

[11] Notas mihi fecisti vias vitae; adimplebis me lætitia cum vultu tuo: delectationes in dextera tua usque in finem.

SALMO XV

[Vecchio Testamento secondo la Volgata

Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

Il titolo del salmo è memorando e da non più abolire, quindi da scolpire su colonna. È l’orazione di Cristo al Padre per la sua glorificazione.

Dello stesso David: iscrizione da incidersi sopra una colonna.

1. Salvami, o Signore, perocché in te ho posta la mia speranza.

2. Ho detto al Signore: Tu se’ il mio Dio, e de’ miei beni non hai bisogno.

3. A prò de’ santi, che sono nella terra di lui, adempiè egli mirabilmente ogni mia volontà.

4. Eran moltiplicate le loro miserie; dietro a queste camminavano velocemente. Non convocherò le loro adunanze di sangue, né rammenterò i loro nomi colle mie labbra.

5. Il Signore è la porzione di mio retaggio e del mio calice; tu sei quegli che a me restituirai la mia eredità.

6. La sorte è caduta per me sopra le cose migliori; e certamente la mia eredità è preziosa per me.

7. Benedirò il Signore che a me dà consiglio: e di più ancor nella notte il mio cuore mi istruì.

8. Io antivedeva sempre dinanzi a me il Signore, perché egli si sta alla mia destra, affinché io non sia smosso.

9. Per questo rallegrassi il mio cuore ed esultò la mia lingua; anzi anche la carne mia riposerà nella speranza.

10. Perocché tu non abbandonerai l’anima mia nell’inferno, né permetterai che il tuo santo vegga la corruzione.

11. Mi facesti conoscere le vie della vita, mi ricolmerai di allegrezza colla tua faccia: delizie eterne sono alla tua destra.

Sommario analitico

Questo Salmo, uno dei più belli senza dubbio di tutto il Salterio, ha come autore Davide, come indicano il titolo e l’autorità di San Pietro (Act. II, 25) che lo attribuisce al Re-Profeta. Lo stesso Apostolo ne ha citato quattro versetti, che egli applica esclusivamente a Gesù Cristo, e San Paolo ne cita uno che egli anche non intende se non attribuito al Salvatore (Act. II, XIII, 35). Ma poiché la persona che parla nel Salmo è sempre la stessa, come il contesto fa intravedere, la conclusione naturale è: – 1) che questo Salmo intero riguardi, in senso veramente letterale, Nostro Signore che prega il Padre prima della sua passione: – 2) che non possa trattarsi di Lui solo in alcune parti. Nel senso tropologico, può essere applicato a tutti i fedeli membri di Gesù-Cristo, ed in particolare, come fa la Chiesa, a colui che ha lasciato tutto affinché il Signore sia sua parte. Davide, figura di Gesù-Cristo, nei tratti che possono convenire all’uno ed all’altro, si appoggia sulla fedeltà al Signore, per sperarne giorni di felicità che egli celebra in anticipo, tanto che è sicuro di ottenerla.

I. – Davide chiede a Dio di proteggerlo contro i suoi nemici:

1° perché ha posto tutta la sua speranza in Dio;

2° perché si sottomette a Lui come al suo Dio con la più perfetta dipendenza (1);

3° perché tutte le sue attrattive, tutte le sue inclinazioni, sono per i Santi di Dio (1) [i miei reni, cioè le mie affezioni più intime, mi eccitano a lodare il Signore], che egli ha soccorso nelle loro afflizioni nel tornare a Dio (2, 3);

4° perché ha una profonda avversione per gli empi, le loro assemblee, le loro opere (4).

II. – Egli si mostra pieno di baldanza e sicurezza: – 1) per l’eredità eterna che Dio stesso gli ha riservato (5); – 2) per i beni dell’anima di cui è ricolmo, a) nel suo spirito per l’intelligenza che Dio gli ha dato; b) nella sua volontà per l’ardore di cui è stato ripieno il suo cuore (7); c) nel compimento delle sue opere, per il soccorso presente che Dio non gli ha cessato di prestargli (8); – 3) per i beni del corpo, a) nel suo cuore, la gioia (9); b) nella sua bocca, i canti di allegria; c) nella sua stessa carne, un riposo pieno di speranza; – 4) per la grazia segnalata della resurrezione: a) la sua anima non resterà nel limbo; b) il suo corpo sarà preservato dalla corruzione della tomba e restituito alla vita (10); c) egli gioirà eternamente della visione di Dio e della felicità del cielo (11).

Spiegazioni e Considerazioni

I. — 1-4.

ff. 1. – La creazione e la conservazione non sono due cose differenti, esse non possono essere separate che dallo spirito; la prima conduce all’altra. Il concorso, l’influsso di Dio, non è meno necessario per noi del conservare l’essere che è stato creato primitivamente dal nulla. – Un bisogno continuo che noi abbiamo, è che Dio conservi in noi i doni della sua grazia; noi non ne possediamo alcuno per cui non possiamo perdere un istante per la mutabilità naturale dei nostri desideri. – Mettere la nostra speranza in Dio è il titolo più giusto per ottenere che Egli ce li conservi, e compia le molteplici promesse che ci ha fatto. – La grandezza di Dio è di non aver alcun bisogno di noi, né dei nostri beni. Una sorgente non viene aumentata dall’acqua dei ruscelli che escono da essa, né Dio dai beni che Egli ha dispensato alle sue creature. Cosa possiamo noi dare a Dio? Egli è la ricchezza e noi la povertà; dare a Lui la nostra indigenza è quello che Egli desidera! Cosa offrire alla pienezza delle acque della grazia se non un vaso vuoto nel quale esse possano riversarsi? Se voi siete senza Dio, sarete sicuramente diminuiti; ma se siete con Dio, Dio non diventerà più grande. Voi non potete aggiungere nulla alla sua grandezza, ma senza di Lui, voi giungerete alla vostra piccolezza … voi avete tutto da guadagnare avvicinandovi a Lui, tutto da perdere allontanandovi da Lui (S. Agost. Tratt. XI su S. Giov.). – Dio non ha alcun bisogno della nostra virtù, del nostro amore, ma Egli lo esige, Egli desidera che noi Lo amiamo, Egli ci comanda di amarlo, Egli ha sete che noi abbiamo sete di Lui, “sitis sitiri”, dice San Gregorio di Nazianze. Una sorgente viva che, per la continua fecondità delle sue acque chiare e fresche, si presenti da bere ai passanti assetati, non ha bisogno che la si lavi dalle sue sozzure, né che la si rinfreschi nel suo ardore; ma contentandosi essa stessa della sua nettezza e della sua freschezza naturale, essa non domanda – ci sembra – più niente, se non che la si beva e che ci si venga a lavare ed a rinfrescare con le sue acque. Così la natura divina, sempre ricca, sempre abbondante, non può più crescere né diminuire a causa della sua pienezza; e la sola cosa che le manca, se si può parlare in tal sorta, è che si vengano a poggiare nel suo seno le acque della vita eterna, di cui essa porta in sé una sorgente infinita ed inesauribile (Bossuet, Serm. Sur la Visit.).

ff. 2. – Le volontà ammirevoli di Gesù-Cristo per i Santi sono apparse soprattutto in tutto ciò che Egli ha fatto e compiuto per essi con i misteri dell’Incarnazione, della Redenzione, e che ha fatto tutto questo per essi, quando erano ancora suoi nemici (Rom. V, 8). – Dio ha reso ammirabile tutte le volontà di suo Figlio nei loro progressi spirituali, nei quali essi hanno compreso quanto era per loro utile che l’umanità in Gesù Cristo fosse unita alla divinità affinché potesse morire, e la divinità alla sua umanità, affinché potesse resuscitare (S. Agost.). – « È questo nei riguardi dei suoi Santi che abitano la sua terra », dei Santi che hanno posto la loro speranza nella terra dei viventi, dei cittadini della Gerusalemme celeste, di cui la vita spirituale, benché siano presenti con il corpo ancora su questa terra, è fissata dall’àncora della speranza in quella patria così giustamente chiamata la terra di Dio (S. Agost.). – Occorre imparare da Gesù Cristo ad essere pieni di carità per tutti gli uomini, soprattutto per i Santi che servono Dio in spirito e verità. – Raccolti in se stessi, non vedendo in me che peccato, imperfezione e nulla, io vedo nello stesso tempo al di sopra di me una natura felice e perfetta, ed in me stesso ripeto, come il salmista: « Voi siete il mio Dio, Voi non avete bisogno dei miei beni ». Voi non avete bisogno di alcun bene; « che mi serve la moltitudine dei vostri sacrifici »? (Isaia I, 2). Tutto è mio, ma io non ho bisogno di tutto ciò che è mio; per me è sufficiente essere, ed in me trovo ogni cosa; Io non ho bisogno delle vostre lodi; le lodi che voi mi innalzate vi rendono felici, ma esse non rendono me felice, ed Io non ne ho bisogno; « le mie opere mi lodano », ma Io non ho bisogno delle lodi che mi rendono le mie opere; tutto mi loda imperfettamente, e nessuna lode è degna di me, se non quella che mi rendo da me stesso gioendo di me stesso e della mia perfezione (Bossuet, Elév. III S. II Elév.).

ff. 3. – Le loro infermità sono state moltiplicate non per perderli, ma per far desiderare loro il medico. Alla vista delle loro infermità divenute sempre più numerose, si sono affrettati a cercare la loro guarigione (S. Agost.). – Il più forte è colui che conosce le proprie infermità, il più debole è colui che si illude di avere una sanità di presunzione. – Dire come San Paolo (II Cor. XII, 4): « Quando sono debole, è allora che sono forte » (Duguet). – Ecco il quadro ammirevole di un’anima toccata da Dio: essa era debole e malata, e la grazia gli ha reso la salute; essa non poteva camminare nella via della salvezza, mentre la grazia la fa correre in questa via. « Io ho corso nella via dei vostri Comandamenti, dice allora il Re-Profeta, quando Voi avete dilatato il mio cuore » (Berthier).

ff. 4. –  Si stabilisce la legge nuova: è venuta l’ora nella quale non è su questa montagna, né in Gerusalemme che adorerete il Padre vostro. È venuta l’ora in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità, perché il Padre comanda simili adoratori (Giov. IV, 21-23). – È unico il sacrificio di Gesù Cristo che con una sola oblazione ha reso perfetto per tutti quello che ha santificato (Ebr. X, 14). – Dimenticato il nome antico « vi si chiamerà con un nome nuovo che il Signore stesso vi darà » ( Isaia: LXII, 2), il nome nuovo di cristiano. – « Io non mi unirò mai ad assemblee di sangue ». Le assemblee del mondo non sono spesso che delle riunioni di sangue, ove le ferite che le lingue fanno alla virtù più pura diventano uno spettacolo che diletta l’ozio e che allietano la noia? Bisogna che costi sangue e la reputazione ai loro fratelli perché si divertano; e colui che affonda il pugnale con maggiore abilità e successo è colui che ottiene i pubblici suffragi e le acclamazioni di queste assemblee di iniquità (Massillon).

ff. 5, 6. –  I Santi possiederanno con Gesù Cristo, come eredità, il Signore stesso. Che altri scelgano parti terrene e temporali per gioirne: la parte dei Santi, è il Signore eterno. Che altri bevano dalle voluttà che uccidono, la porzione versata nella mia coppa, è il Signore (S. Agost.). – Ricca e magnifica eredità, non agli occhi di tutti, ma agli occhi di coloro che l’apprezzano (Idem). – O Israele, grida il profeta Baruch, quanto è grande la casa di Dio, e quanto vasti sono i luoghi che Egli possiede! (Baruch, III, 24). – Come si può desiderare altra cosa? La figura del mondo passa e noi passiamo con esso; le sue ricchezze si corrompono, il suo splendore si oscura, le sue corone avvizziscono, ma Dio che è il mondo, la ricchezza, lo splendore, la corona degli eletti, è immortale ed inalterabile.

ff. 7. –  La vera ed unica intelligenza, quella che rende l’uomo veramente felice, è quella che gli fa scegliere il Signore come sua eredità. Non c’è che Dio che possa dare questa intelligenza e questo gusto. – Si Preghi il Padre della gloria affinché ci dia lo spirito di saggezza e di rivelazione per conoscerlo, che rischiari gli occhi del nostro cuore perché possiamo sapere quale sia la speranza della nostra vocazione, quali siano le ricchezze e la gloria dell’eredità che ha preparato ai Santi (Efes. I: 17-18). – Due grandi lezioni ci sono qui per noi: la prima, quella di offrirci allo Spirito di Dio come all’unica guida della nostra vita; la seconda di benedirlo nell’acme delle nostre tribolazioni, e di profittare di questa notte per segnalare la nostra costanza ed il nostro amore (Berthier).

ff. 8. – Sull’esempio di Gesù Cristo, occorre vivere in presenza di Dio e come sotto i suoi occhi, studiare i suoi disegni e le sue volontà su di noi, non perdere mai di vista la sua legge, mezzo, questo, per assicurarsi la sua protezione mediante una fiducia filiale e con una fede viva alla vigilanza paterna che ha su di noi (Duguet). La fede nella presenza di Dio fa che noi ci applichiamo questa santa presenza, che guardiamo Dio come applicato a proteggerci particolarmente. Sull’esempio di Gesù Cristo che vedeva Dio faccia a faccia, i veri Cristiani sono persuasi che Dio sia sempre al loro fianco, e riconoscano l’importanza dell’unione con Dio, dell’operare con Dio, di occuparsi incessantemente della sua presenza, e questa presenza influisca su tutte le loro azioni.

ff. 9. –  Frutti del santo esercizio della presenza di Dio sono: la gioia, i canti di allegria, la speranza del secolo da venire e di resuscitare un giorno, vincitore della morte e coperto di gloria. L’uomo tutto intero, corpo ed anima, ogni membro del suo corpo, ed ogni facoltà della propria anima siano incessantemente richiamate alla loro naturale e sublime destinazione: il servizio di Dio che li ha fatti, l’uno e l’altro per la loro felicità e per la sua gloria. L’uomo intero, corpo ed anima, avrà partecipato alla vita di sofferenze e di prove che non dura che un momento; l’uomo intero, corpo ed anima, parteciperà alla vita di delizie e di ricompense che non finirà mai (Rendu).

ff. 10. –  Queste parole si sono compiute letteralmente in Gesù Cristo, e in Gesù Cristo solamente, ad esclusione anche di David (Act. III e XIII). La morte, dice Bossuet (I. Serm. P. le jour de Paq.), ha avuto molto potere sul suo corpo divino, essa l’ha posseduto sulla terra senza che avesse movimento e senza vita; ma essa non ha potuto corromperlo, e noi possiamo indirizzargli oggi questa parola, questa stessa parola che Giobbe diceva al mare: « tu andrai fin la, e non passerai oltre; questa pietra segnerà il limite alla tua furia », e su questa tomba, come su di un baluardo invincibile, si infrangeranno i tuoi sforzi. – Gesù aveva vinto la morte nelle persone che erano morte naturalmente, e bisognava ancora vincerla quando sarebbe giunta con violenza. Egli l’aveva vinta fin nella tomba e nel putridume nella persona di Lazzaro. Restava solo che Egli impedisse anche la corruzione. Coloro ai quali aveva reso la vita, rimanevano mortali; rimaneva quindi che con la morte, Egli vincesse anche la mortalità. Era nella sua Persona che Egli doveva dimostrare una vittoria completa. Dopo averlo fatto morire, Egli resuscitò per non morire più, anche senza aver visto la corruzione, come aveva cantato il Salmista. Quello che si fece nel Capo, si compirà anche nei membri. La nostra immortalità ci viene assicurata da Gesù Cristo, a miglior titolo di quanto inizialmente ci fosse stata data in Adamo. La nostra prima immortalità era di poter non morire, la nostra ultima immortalità sarà di non poter più morire (Bossuet, Méd. S. l’Ev. I. P. IV j.). – Il corpo incorruttibile di Gesù Cristo è il rimedio della corruzione di Adamo, la semenza dell’incorruttibilità dei Cristiani, ed il germe dell’immortalità (Duguet). – Per l’unione che noi abbiamo con Gesù Cristo e per la promessa che ci è stata fatta, noi possiamo dire anche che il Signore non lascerà affatto la nostra anima all’inferno, e che Egli non permetterà che noi proviamo per sempre la corruzione. La nostra anima, all’uscita da questa vita, non è condannata, come quella dei giusti dell’Antico Testamento, a veder differito il momento della propria felicità. Il nostro corpo, benché condannato a tornare nella polvere, è nondimeno destinato a riprendere una nuova vita, più perfetta della prima (Berthier). – Cosa temi, tu anima cristiana, nell’avvicinarsi della morte? Temi di perdere il tuo corpo? Ma che la tua fede non venga meno: dal momento che ti sottometti allo Spirito di Dio, questo Spirito onnipotente te lo renderà migliore, saprà ben conservartelo per l’eternità. Forse che vedendo cadere la tua casa tu credi di essere senza protezione? Ma ascolta il divino Apostolo: « Noi sappiamo – dice ai Corinti – noi non siamo portati a credere a congetture dubbiose, ma noi lo sappiamo sicuramente e con piena certezza, che se questa casa di terra e di fango nella quale noi abitiamo è distrutta, noi abbiamo un’altra casa che non è fatta da mano d’uomo, e che ci è preparata in cielo ». O condotta misericordiosa di Colui che provvede a tutti i nostri bisogni! « C’è l’intenzione, dice S. Crisostomo, di riparare la casa che ci è stata data; mentre Egli la distrugge e la stravolge per poi ricostruirla, è necessario che noi sloggiamo », perché cosa faremmo in questo tumulto ed in questa polvere? E Lui stesso ci offre il suo palazzo, ci da un appartamento per farci attendere nel riposo l’intera riparazione del nostro antico edificio (Bossuet, Sur la Résur.).

ff. 11. –  Felice e necessaria conoscenza è quella del cammino della vita! Quanto poco è conosciuto ed ancor meno seguito? Quanti scambiano il cammino della morte per quello della vita? (Duguet). – Il cammino che ha condotto Gesù Cristo alla resurrezione è l’obbedienza alla volontà del Padre, la pazienza nelle prove di questa vita, la carità e lo zelo per la salvezza degli uomini (Berthier). – La grazia può mostrarci Dio più di quanto ce Lo faccia vedere la ragione … La conoscenza che ci dà la ragione, sublime per quanto sia, non è che una conoscenza ideale; Dio non si manifesta a noi direttamente; la sua Persona e la sua sostanza ci restano inaccessibili; ed essendo certi di Lui, certi della sua presenza e della sua azione nell’universo, ci resta l’incomparabile inquietudine di non averlo mai visto. Occorre che un’altra chiarezza si sovrapponga alla ragione perché tutte e due insieme elevino l’uomo alla visione della Personalità divina, e lo preparino a vederla un giorno nell’impenetrabile luce dell’essenza increata. Ora lo scopo della grazia, il suo effetto proprio, è di prepararci un giorno a vedere Dio, ed anche a vederlo da quaggiù (Lacord., Conf. De toul, Vie surn.). – Nel libro dei Santi, la faccia, il viso di Dio ci viene rappresentato quasi come – per così dire – l’amante verso il quale sono attirate tutte le creature. Nessuno dubita che per la parola “faccia” si intenda in generale la visione di Dio. La fede è la vista interiore delle cose invisibili. L’attrazione della santità creata è di aspirare alla faccia del Creatore, o piuttosto queste aspirazioni sono esse stesse la santità. Le cose nel mondo offrono certamente delle facce; ma tutte queste facce delle cose, benché belle o piuttosto coperte da una bella tristezza, cupe o sgradevoli, sono tutte rivestite da un’aria di attesa: i loro tratti dicono che esse non sono definitive e che non ci si deve arrestare ad esse. Nessuna di esse, fosse anche la migliore, può procurare la gioia, il riposo all’animo umano … il volto del Creatore, la manifestazione di questo volto nascosto: ecco quello che gli uomini devono ricercare con tutto l’ardore dei loro desideri. La lezione che la vita deve loro insegnare, è che non c’è vera vita al di fuori della visione di questo volto da sempre benedetto (Faber, Bethléem, I Ch. II). – Dio ha un viso per i giusti ed un viso per i peccatori: il viso che Egli ha per i giusti è un volto tranquillo e sereno, che dissipa tutte le nubi, che calma tutte le turbolenze della coscienza; un viso dolce e paterno « … che riempie l’anima di santa gioia » (Bossuet, II Serm. p. le Vend.-saint). – Quattro cose sono da considerare nella vita dei Santi: – 1) essa è piena, « voi mi colmerete di gioia »; – 2) essa è prodotta dalla visione di Dio « per la vista della vostra faccia »; – 3) essa è accompagnata dalla gloria « io gusterò delle delizie ineffabili alla vostra destra »; – 4) essa è eterna, « per l’eternità ».

IL CUORE DI GESÙ (21): Il Sacro Cuore di GESÙ e la gioventù.

CUORE DI GESÙ

 (A. Carmignola: IL SACRO CUORE DI GESÙ, S. E. I. Torino, 1920)

DISCORSO XXI

Il Sacro Cuore di Gesù e la gioventù.

Io non so chi vi sia tra di voi, già alquanto innanzi nel cammin della vita, che non si senta turbato e commosso nel vedersi dinnanzi un fanciullo od un giovane. Perciocché che cosa sono questo giovane e questo fanciullo? Essi sono un germe, che racchiude un molteplice avvenire; l’avvenire di loro stessi, temporale ed eterno, l’avvenire della famiglia, che un dì formeranno, l’avvenire della società, alla quale apparterranno e la cui vita avranno essi nelle mani. E a un tanto pensiero come non turbarsi e commuoversi nel vedere un fanciullo od un giovane? La Sacra Scrittura ne insegna apertamente, e l’esperienza quotidiana il comprova, che il giovane, presa che ha una buona via, più non si allontana da quella, nemmeno nella sua vecchiaia: Adolescens iuxta viam suam, etiam cum senuerit, non recedet ab ea. (Prov. XXII, 6) Sicché come è vero in generale, che se il giovane è buono, lo sarà ancora in seguito non solo per sé, ma pur in prò della famiglia e delia società, così è verissimo, che se il giovane è tristo, lo sarà pure negli anni ulteriori e per sé e per la famiglia e per la società. E dopo di ciò qual meraviglia, che tra gli amori speciali, di cui si mostrò infiammato il Cuore Santissimo di Gesù Cristo, tenga un posto principalissimo quello, che Egli ebbe verso la fanciullezza e la gioventù? Del che. leggendo il Vangelo, non possiamo avere alcun dubbio. Il Vangelo ci apprende, che a Gesù presentavano dei fanciulli, affinché imponesse loro le sue mani divine e li benedicesse, e cercando gli Apostoli d’impedirlo, loro diceva: « Lasciate che i fanciulli vengano a me, e non vogliate impedirli, perché di essi è il regno dei cieli. » (MATT. XIX) il Vangelo ci apprende, che Gesù Cristo un giorno pronunziò un terribile guai: « Guai a chi darà scandalo ad un fanciullo, che crede in me. Piuttosto di dare scandalo siffatto, meglio sarebbe che il disgraziato si legasse una pietra da molino al collo e con quella andasse a gettarsi nel profondo del mare. » Il Vangelo ci apprende, che Gesù Cristo ha detto ancora: « Guardatevi dal disprezzare alcuno dei fanciulli, perciocché io sono venuto a salvarli, e i loro Angeli custodi, che sempre veggono il volto del Padre mio, chiamerebbero sul vostro capo un’aspra vendetta. » ( MATT. XVIII) Infine il Vangelo ci apprende ancora, come Gesù Cristo abbracciando col suo amore i fanciulli e i giovani di tutti i tempi pronunziò quella grande parola creatrice delle più grandi opere a prò della gioventù, quella parola che ha suscitato gli Ignazii di Loyola, i Calasanzii, i Zaccaria, i Gerolamo Emiliani, i Giovanni Bosco, quella parola che ha allargato le braccia della Chiesa ad accogliere al suo seno con maggior predilezione i giovani per istruirli, per proteggerli, per salvarli: « Chiunque riceverà in mio nome un fanciullo, sarà come ricevesse me stesso: Qui susceperit unum parvulum talem in nomine meo, me suscipit. (MATT. XVIII, 5) Ah! prima che Gesù Cristo pronunziasse questa gran parola, nessuno si pigliava cura della gioventù e l’amava di un amor vero. E sebbene un retore pagano avesse riconosciuto che al fanciullo si deve massima riverenza, tutta via la gioventù non era riguardata che quale elemento di forza materiale, e, cosa orribile a dirsi, siccome pascolo di nefande passioni. Quale carità adunque non ebbe mai Gesù Cristo per la gioventù, illuminando gli uomini sul valore di questo brillante stadio dell’età umana! Ma, oh Dio! dopo diciannove secoli di Cristianesimo qual è il conto che fa la gioventù della carità di Gesù Cristo per lei? Rammentando che oggi la Chiesa onora e festeggia un giovine, che la carità di Gesù Cristo ricambiò con l’amore più ardente e più puro, e venendomi innanzi l’opposto e miserando spettacolo, che presenta la gioventù irreligiosa e scostumata dei nostri giorni, mi par conveniente farvi rilevare oggi come molta gioventù mal corrisponda alla carità di Gesù Cristo per lei.

I. — Qual è adunque il conto, che fa oggidì la gioventù della carità di Gesù Cristo per lei? Nessuno. Oggidì la gioventù non ama Gesù Cristo; a quindici, a diciotto, a venti la gioventù non prega più, non v a più a messa, non s’accosta più ai Sacramenti, non fa più pratiche religiose. E non solo la gioventù non ama Gesù Cristo e non si cura della sua religione; ma, cosa orribile a dirsi, eppur vera, la gioventù oggidì non crede più a Gesù Cristo e lo disprezza. Ecco quello che fa oggidì un giovane a quindici, a diciotto, a vent’anni. Se egli è un giovane del popolo, ai crocicchi delle vie, agli angoli delle piazze, tra i lavori dell’officina, non fa uscir dal suo labbro che bestemmie le più orribili contro di Dio, di Gesù Cristo, della Vergine e dei Santi, insulti i più bassi e vigliacchi contro la Chiesa e i suoi ministri, discorsi i più scellerati ed immorali, da far fremere di orrore l’aria che li ascolta. Se egli poi è un giovane di più elevata condizione, benché non così rozzamente e rabbiosamente, tuttavia forse anche con maggior colpevolezza, perché con maggior raffinatezza e malizia, compie verso di Dio e di Gesù Cristo lo stesso dileggio. Egli è uscito appena dall’infanzia, ma perché in una scuola tecnica o liceale ha già apprese qualche po’ di latino e di greco, qualche po’ di fisica e di matematica, qualche squarcio di storia antica e moderna, e soprattutto perché egli ha letto qualche libercolo più o meno spiritoso contro il Cristianesimo, qualche osceno romanzetto, si pone con baldanza in faccia a Gesù Cristo e alla sua Religione, e dice senz’altro: Impostura, menzogna, follìa, superstizione, tenebre! Sì, così parla e sentenzia questo giovane; e mentre le verità della fede per diciannove secoli di Cristianesimo hanno occupate le menti dei più grandi geni, e sono state l’oggetto della loro più profonda ammirazione, questo giovane a quindici, a diciotto, a vent’anni, non ancora capace di seriamente studiare e riflettere, e senza aver punto studiato e riflesso, le giudica follle e le rigetta con disprezzo. Ah! miei cari, non si è mai veduto alcunché di simile, non mai è accaduto un fatto così lagrimevole. In altri tempi, giacché le passioni non sono di oggi, il vizio penetrava ben anche nel cuore dei giovani; in altri tempi venivano ben anche trasandate dai giovani le pratiche di Religione, ma la fede cristiana in fondo all’anima rimaneva, e il perderla affatto era cosa assai rara, di qualche individuo isolato. Oggidì invece… la gioventù più non crede. – Ma non è tutto. Nel tempo stesso che questa gioventù respinge e disprezza la fede di Gesù Cristo, ne respinge e disprezza la morale, anzi è appunto perché ne conculca la morale, che, ne rigetta la fede. La superbia dell’animo e la corruzione della carne, ecco ciò che tutti lamentano oggidì nella gioventù. Per essa non vi ha più alcun giogo che valga, trattisi pure dei più ragionevoli e necessari. In famiglia spadroneggia i genitori, che oggimai anziché padri e madri, son divenuti miseri schiavi ai capricci dei figli; nella scuola s’impone ai professori, ai quali cogli urli e coi fischi nega a suo piacere il diritto di far lezione, e di farla in un modo piuttosto che in un altro; nella società si rivolta contro lo stesso pubblico potere, e con gazzarre e tumulti per poco gli si fa a dettare la legge. E con la superbia dell’animo la corruzione della carne. Indarno, gettando lo sguardo sull’odierna gioventù voi cercate di scoprire in essa qualche tratto, che annunzi il minimo senso cristiano: l’immodestia del contegno e del portamento, l’occhio impudente e inverecondo, il parlare frivolo ed osceno, la frenesia pei liberi divertimenti, la voluttà per tutto ciò che inebria i sensi, tutto rivela che il vizio la domina e la corrode. Ed ahi! non di rado questa terribile rivelazione ò fatta da una fronte solcata di rughe premature, da occhi smorti ed incavati, da labbra impotenti a ritrarre il sorriso della bontà, da un volto insomma, che nella primavera della vita già porta sopra di sé le ingiurie del tempo, ed annunzia vicino lo schiudersi di una tomba. Ah! senza dubbio non è a dire che sia così di tutti i giovani. Guai se lo fosse! Giovani credenti, umili e ben costumati, per grazia di Dio, ve ne sono ancora. Come l’antichità pagana ci ha mostrato il grande e bello spettacolo del giusto, che rimane imperturbato in mezzo alle rovine del mondo crollante a’ suoi piedi: Et si fractus illabatur orbis impacidum ferient ruinæ; così l’ora presente ci mostra uno spettacolo più bello e più grande ancora, quello di un giovane, che ama Gesù Cristo, che lo crede, che lo confessa con sincerità e coraggio nelle parole e nei costumi non ostante il soffio delle proprie passioni e le terribili seduzioni del mondo. E se vi ha uno spettacolo, che tranquilizzi alquanto, che ravvivi la speranza e consoli l’anima è questo appunto di una gioventù credente e casta, che passa in mezzo al mondo come una soave emanazione del cielo, come Lot in mezzo alle infamie di Sodoma, che conserva perciò tutta la grazia, tutta la freschezza, tutto il vigore di tale età. O giovani carissimi, che siete qui ad ascoltarmi, voi la conoscete questa gioventù tanto degna di ammirazione e di stima, ed io ben la ravviso in voi, e in voi con tutta l’enfasi dell’anima mia le faccio plauso e le grido: Gloria e onore! Ma con tutto ciò, senza esagerazione di sorta, noi possiamo asserire, che in generale la gioventù odierna, nei due suoi terzi abbondantemente, è incredula, superba e corrotta, nemica giurata di Gesù Cristo, della sua fede e della sua morale. Come si spiega tutto ciò?! Quali cause ingenerano una rovina sì grande, sì numerosa sì precoce? Che cosa è che oggidì fa perdere ai giovani la fede, la sudditanza e la purità del costume? Tutti coloro, che hanno studiato a fondo questo spaventevole fenomeno, vanno tutti d’accordo nel dire, che le cause più vere, che lo hanno prodotto, sono l’ignoranza intorno alla Religione ed il pestifero ambiente irreligioso, in cui oggidì la gioventù viene cresciuta.

II. — Ed anzi tutto l’ignoranza intorno alla Religione. Di fatto, questi giovani, che con tanta sicumera si danno a trinciar sentenze su Dio, su Gesù Cristo e sulla sua Chiesa, che cosa ne sanno essi e di Dio, e di Gesù Cristo, e della sua Chiesa? Nulla! Molti non hanno mai avuto alla mano un piccolo catechismo. E talora se ne incontrano di quelli che, incredibile a dirsi, sebbene nati in paesi cristiani, da genitori Cristiani, non sanno tuttavia a farsi il segno della croce. Purtroppo per la più parte della gioventù Dio è il grande Ignoto cui S. Paolo trovava un altare dedicato in Atene. E come potrebbe essere diversamente? L’apostolo S. Paolo scriveva che la scienza e la fede delle verità divine non si ottiene, che per mezzo dell’udito, e l’udito per mezzo dell’insegnamento della dottrina cristiana: Fides ex auditu, auditus autem per verbum Christi. (Rom. X, 17) L’uomo, ha detto il grande Lacordaire, è un essere insegnato. Epperò come le lettere e le scienze non entrano nella sua mente se non per mezzo dell’insegnamento, che glie ne vien fatto con la parola, così non può essere altrimenti della Religione. Ma chi è oggidì, che apprende ai giovani la Religione, che parla loro in modo conveniente di Dio, di Gesù Cristo, dei grandi misteri della fede! Questo grande insegnamento, non si può mettere in dubbio, appartiene alla famiglia, alla scuola ed alla Chiesa. Nella famiglia è la madre, che deve impartire ai figliuoli la prima istruzione religiosa; è dessa il primo ministro di Dio, il primo missionario, il primo apostolo, il primo dottore. E Dio le ha dato perciò un accento così tenero, così soave, così persuasivo. A lei adunque, non ad altri massimamente che a lei, si conviene d’istruire di buon’ora i suoi figli negli elementi della Religione, d’apprendere loro i misteri principali della fede, il simbolo degli Apostoli, i Sacramenti, i precetti di Dio e della Chiesa. A lei gettare nei loro vergini cuori i germi della pietà e del timor di Dio; a lei trasfondere nelle tenere loro anime l’amore di Gesù Cristo e della sua Santissima Madre; a lei mostrar loro il Cielo e metterli per tempo nella via, che ve li conduce. – Ma quando il fanciullo cresce e già comincia ad uscir di casa per entrar nella scuola, allora senza dubbio la scuola deve continuare essa quell’insegnamento, che la madre ha incominciato in famiglia; perciocché in fondo in fondo la scuola non deve essere altro che l’aiuto della famiglia nella cristiana educazione della gioventù. E come il padre e la madre ricordando del continuo che i figli, ricevuti da Dio, per Iddio sopra tutto devono allevarli, così i maestri insegnando le lettere e le scienze ai loro discepoli non devono mai trasandare il primo e più importante di tutti gl’insegnamenti, l’insegnamento, che apprende a conoscere, ad amare e servire Iddio. Anzi, poiché questi loro discepoli non vivono in un’isola separata dal mondo, e in cui non siano peranco penetrate le sue massime, ma vivono propriamente in mezzo all’empietà e corruzione del mondo, è perciò necessario che di mano in mano che col crescere degli anni si avanzano negli studi delle lettere e delle scienze, crescano altresì nello studio delle divine verità e ne vadano acquistando un conoscimento razionale, corrispondente alla loro coltura, affinché o nell’affacciarsi dei dubbi alla loro mente, o nell’udire o nel leggere difficoltà ed obbiezioni contro la loro fede, essi sappiano ricordarne almeno in complesso le grandi prove, e trovare in esse le armi per difendersi e star fermi nella loro credenza. – Ma infine insieme con la famiglia e con la scuola la Chiesa più che mai deve insegnare ai giovani le verità della fede. È questo uno dei suoi diritti e dei suoi doveri più sacrosanti. Tocca a lei pertanto con la divina autorità, di cui fu rivestita, quando Gesù Cristo disse ai suoi apostoli: « Andate ed ammaestrate tutte le genti, » tocca a lei e co’ suoi catechismi, e con le convenienti spiegazioni, far ben penetrare nell’animo dei fanciulli e dei giovani la dottrina e il sentimento cristiano. Ed è appunto questa dottrina e questo sentimento che soli riescono a rendere la gioventù, quale dovrebbe essere, religiosa, umile e morigerata. È questa dottrina e questo sentimento, che alla mente del giovane fanno rilucere quelle verità che sono la norma del ben pensare e del ben operare. È questa dottrina e questo sentimento, che avvalorano la naturale fragilità del giovane e lo spronano a combattere le sue ree inclinazioni. È questa dottrina e questo sentimento, che ingenerano nel suo animo il nobile sdegno per il piacere disonesto e per la colpa, e gli fanno battere, sia pur con sacrifizio, la strada severa e dignitosa della virtù. Ma ora io domando: queste tre cattedre, che devono trasfondere nell’animo del giovane una dottrina ed un sentimento così efficace, ed il solo efficace, compiono esse di comune accordo questo grande dovere? Io tremo in rispondere. L’insegnamento cristiano è taciuto nel massimo numero delle famiglie. Molte madri oggidì, piene di spirito mondano, non sognano pei loro figli che grandezze, che onori di mondo, che beni di fortuna. E simili a quell’uccello, di cui parla la Scrittura, che dopo fatte le uova le seppellisce nella terra, ove le dimentica e abbandona, le madri mondane non si curano di procacciare ai loro figli che vantaggi terreni, seppellendoli nella terra, circondandoli e coprendoli di terra, senza neppur pigliarsi un pensiero della loro anima e della loro eternità, senza talora seminare in fondo al loro cuore neppure una qualche idea cristiana; filia populi mei crudelis: quasi struthio in deserto dereliquit ova sua in terra. (Thren. iv, 3; IOB. XXXIX, 14) L’insegnamento cristiano, taciuto nel massimo numero delle famiglie, nella sbcuola poi, se si tratta di quella elementare, si imparte come un’elemosina, che ogni anno il padre di famiglia è costretto a chiedere formalmente; se si tratta della scuola tecnica, ginnasiale e liceale, e tanto più della universitaria, esso non c’entra, né deve entrarci affatto. E in chiesa? In chiesa indarno si trova al suo posto il prete per apprenderlo, perciocché quanti sono massime i giovani di famiglie un po’ agiate o ricche, che frequentano la dottrina cristiana? Pochissimi e talora nessuno, giacche entrando in una chiesa all’ora della dottrina, voi non vedrete ordinariamente, che un qualche gruppo di fanciulle povere, e negli oratori festivi, benché frequentati, quasi nient’altro che figli del popolo. E quando pure, a non parere esagerati, volessimo asserire che in generale fanciulli, che ricevono l’istruzione religiosa in famiglia, nella scuola e in chiesa ve ne sono ancora, che istruzione è dessa? Un’istruzione affatto elementare quale è richiesta dalla loro età, un’istruzione che consta più di esercizi di memoria, di parole e di formule, che non di cose e di verità, un’istruzione che dura fino ai dieci o ai dodici anni e poi si tronca lì per tutta la vita. E sarà dunque questa istruzione quella che valga a rendere religiosa, soggetta e costumata la gioventù? Ah! miei cari, voi dovete purtroppo dolorosamente riconoscere che l’insegnamento religioso manca alla gioventù in modo pressoché assoluto. E mancando tale insegnamento, ne viene per conseguenza quella stupida ignoranza, che nei giovani fa grossolanamente ripetere quelle obbiezioni, che sono state le mille volte confutate, quegli errori, che le mille volte furono sfatati, che li fa combattere quei dogmi, che le mille volte furono propugnati e difesi, che al pari degli eretici e dei pagani del tempo di S. Paolo, li fa bestemmiare quello che ignorano. E quel che è peggio, mancando la cognizione delle verità e delle massime cristiane, manca il più grande riparo al torrente delle male inclinazioni, che così irrompe, dilaga e rovina. Ma ohimè! ciò non è ancor tutto. Perciocché dal mondo crudele dei giorni nostri non solo è negato alla gioventù il cibo della cristiana istruzione, ma con un’educazione apertamente nemica della Religione, la si costringe a crescere su in un ambiente avvelenato. E quando non si nutre il corpo di un cibo adatto e per soprappiù gli si fa respirare un’aria malefica, come non cadrà vittima di qualche rio malore? Ah! certamente come l’aria contaminata e satura di miasmi contagiosi aggirandosi, insinuandosi e compenetrandosi nel corpo degli uomini indubbiamente li abbatte, li opprime e produce in loro febbri maligne e fatali, così l’atmosfera morale in cui la gioventù è allevata, l’atmosfera della famiglia, della scuola, della società, essendo guasta ed impestata, non può, senza un certo qual miracolo, non cagionare nella gioventù quelle gravi malattie dell’anima, alle quali nella gran maggioranza soccombe. Ed anzitutto l’atmosfera della famiglia. L’aria morale che prima di ogni altra respira il giovane è quella della famiglia: e quest’aria è pure indubbiamente quella, che influirà più d’ogni altra sulla sua vita avvenire, perciocché quest’aria morale, nel più intimo avvicinamento dei genitori coi propri figliuoli, in certa guisa si trasfonde e si inocula nel sangue di quest’ultimi, formando in loro con un’energia latente e decisiva le idee, che forse dureranno per tutta la vita. Ora qual è quest’aria morale, che il giovane comincia a respirare oggidì fin dall’infanzia nel seno della famiglia? Ah! diciamolo ad onor del vero: per parte di molte madri è ancor un’aria di religione e di virtù, un’aria, di cui Gesù Cristo costituisce un sufficiente elemento, ma per parte dei padri, fatte le debite eccezioni, tanto più nobili quanto più rare, per parte dei padri è un’aria d’indifferenza e persino di miscredenza spaventosa. In un gran numero di famiglie il padre non prega, il padre non va a messa, il padre non fa la Pasqua, il padre vive come se Dio non vi fosse. E forseché a sette anni il fanciullo, aprendoglisi il lume della ragione, non si avvede della irreligione del padre? Oh sì …, e come! Allora egli ricerca con ingenuità il perché della differenza, che passa tra gl’insegnamenti e gli esempi della madre e la condotta del padre; ma a dieci anni tutto ciò egli ricerca già con malizia, e a quindici alla madre, che da lui vorrebbe ad ogni costo l’esercizio delle pratiche religiose, risponde con audacia: E papà? … Tu vuoi che io preghi ancora, che vada ancora a Messa, che prenda ancora Pasqua; e non sono già abbastanza grande da vivere senza tutto ciò, come fa mio padre? Ma che dire quando insieme con l’irreligione del padre si congiunge nella famiglia la vita frivola ed irreligiosa della madre? Allora è fatto: i figliuoli con una educazione del tutto mondana e anticristiana sono sciaguratamente condannati ad una incredulità spaventosa e fatale. Allora si rinnova in peggior modo l’orrendo sacrifizio dei Druidi, che immolavano i fanciulli alle loro false divinità, bruciandoli vivi; allora si ripete la crudeltà esecranda di quei genitori, che al dir della Scrittura portavano i loro figli nelle braccia infuocate di Moloc; allora il padre e la madre non sono più i genitori della loro prole, ma ne sono gli spietati carnefici. Ma dopo l’ambiente di famiglia quello, che oggidì appesta l’animo della gioventù, è quello della scuola. La scuola, si sa, è quella dove si formano i convincimenti dell’uomo. E se la scuola tendesse seriamente al suo grande scopo, se essa fosse il prolungamento della famiglia, l’aiuto del padre e della madre nella cristiana educazione della gioventù, non potrebbe far a meno di trasfondere nell’animo dei giovani, insieme con la luce delle lettere e delle scienze, correnti di fede e fiamme ardenti di virtù. Così appunto faceva un tempo la scuola, non solo quella dei teneri fanciulli, che loro apprendeva prima d’ogni altra cosa la scienza di Dio, e con l’esempio e con la disciplina li spronava più che tutto alla pratica della pietà cristiana, ma eziandio la scuola dei giovani adulti, la stessa scuola universitaria. Ogni anno alle Università, il corso degli studi era inaugurato solennemente con la celebrazione della Messa e con l’invocazione dello Spirito Santo, ed era continuato con varie altre solenni funzioni religiose; e chi può dire quanto pei giovani fosso edificante lo spettacolo dei loro venerandi rettori e professori prostrati in mezzo a loro dinnanzi a quel Dio, che si chiama il Dio della scienza, pregare da Lui efficacia al loro insegnamento, a quell’insegnamento, in cui il nome di Dio veniva di spesso ripetuto colla massima riverenza? Chi può dire il rispetto, la stima, l’amore, che tutto ciò conciliava a quei veri educatori della gioventù! Tale rispetto era sì grande, che essi passavano tra i condiscepoli come divinità calate dal cielo. Or che accade invece ai giorni presenti? Io non posso dirlo senza fremere e senza a sentirmi bollire il sangue. Oggidì il fanciullo esce dalla casa domestica, ed entrando nella scuola egli entra non già in un prolungamento della famiglia, ma in una vera agenzia dello Stato; giacché i maestri e i professori non sono più ausiliari delle sollecitudini di buoni genitori e delle loro legittime ambizioni, no, essi sono gli impiegati dello Stato, che si sostituisce all’inviolabile autorità del padre e della madre e confisca la loro missione. Fin dai primi anni di età, nell’asilo infantile e su su, nelle scuole elementari, ginnasiali, tecniche, liceali, universitarie, lo Stato si impadronisce del giovine, e ne fa una cosa sua. Lo Stato giudica e stabilisce egli quello, che il giovine debba imparare, non imparare e disimparare, e per mezzo degli impiegati suoi, cui torrebbe il pane, se non fossero delle sue idee, egli istruisce, educa, plasma il carattere, inocula sentimenti, tendenze, abitudini a suo proprio uso. Lo Stato insomma, tolto il giovane, e sarebbe più proprio il dire strappatolo dalle mani della famiglia, lo fonde e lo rifonde al calore del suo fuoco, come si fa delle statue di bronzo. E qual è il calore di questo fuoco? Si dice: quello del patriottismo; ma in realtà è quello dei più spudorato scetticismo. Perciocché col preteso di esortare i giovani a mostrarsi degni figli della patria, col metter loro ipocritamente innanzi virtù menzognere, fin dai loro primi anni si comincia a por loro in derisione Gesù Cristo, la sua Chiesa, i suoi ministri, i suoi dogmi, i suoi Sacramenti, e poi si prosegue con un’audacia incredibile fino a che entrati i giovani nei corsi superiori sono poi completamente attossicati senza alcun ritegno. E non vi sono nei Licei e nelle Università nostre dei professori, talora in età già abbastanza matura, che insegnano in mezzo agli applausi della gioventù corrotta e leggiera, che Gesù Cristo non è che un mito, che non vi ha Dio, non anima, non immortalità, non distinzione del bene e del male, non libertà morale, non responsabilità; che tutte le passioni sono nella natura, e che per conseguenza tutto ciò che è nella natura è buono; che il piacere è l’unica realtà della vita, che la morale non è altro che un affare di istinto, che la coscienza non ò che un meccanismo, che si monta e si smonta a proprio piacimento, giacché se vi ha un Dio non è altro all’infuori di quello che ciascun uomo si crea da per sé? Sì, non è questo, che certi vecchiardi insegnano oggidì a giovani leggeri, guasti e tormentati dalle passioni? E dopo tali insegnamenti a giovani, che ne vanno troppo lieti per le conseguenze, che ne possono trarre, come non discacceranno essi Gesù Cristo, Iddio dal cuore e non prenderanno persino a disprezzarlo e odiarlo? Gesù Cristo non ò che un mito? Dio non c’è? Dunque a che Chiesa, a che fede, a che preghiera, a che Sacramenti? Sono gli imbecilli soltanto che si curano di ciò. Siamo tutta materia? dunque tendiamo al nostro fine, diamo alla materia, vale a dire alla carne, quegli sfoghi naturali, che essa domanda. Il piacere è l’unica realtà della vita? Dunque incoroniamoci di rose, scorriamo per ogni prato, beviamo al dolce calice, abbandoniamoci al piacere. Non sono che cretini coloro, che ne rifuggono siccome da cosa illecita. Al di là c’è il nulla? Dunque non siamo così bestie da non vivere, finché si vive, come vivono le bestie. Così, così, con una logica brutale, tolto Dio dal cuore dei giovani, tolta la fede, tolte le massime cristiane, è tolto altresì ogni ritegno alla scostumatezza, tolto eziandio il naturale pudore, ed il vizio trionfa pubblicamente. Sicché quando io vedo dei giovani come voi che mi ascoltate, i quali malgrado l’ambiente appestato della scuola, come i tre fanciulli della Bibbia nella fornace di Babilonia, non si abbruciano punto, e conservando la fede conservano la moralità e conservando la moralità conservano la vita, allora con tutta la commozione dell’anima io esclamo: No, l’antico valor non è ancor morto. Vi hanno ancora dei veri eroi; e come Leonida, padre di Origene vorrei baciare il cuore di questi giovani come il santuario dello spirito di Dio, come la manifestazione più efficace e più parlante della grazia del Signore. Ma infine un’atmosfera anche più pestilenziale, che non quella della famiglia e della scuola, perché più specialmente libera da riserve e da scrupoli, l’atmosfera della società è quella che compie l’opera devastatrice della vita morale della gioventù. Perciocché che cosa è che questa nostra società fa respirare ai giovani di quindici, diciotto, venti anni? L’irreligione e la immoralità da per tutto. Irreligione ed immoralità in un giornalismo dichiaratamente empio e pornografico; irreligione ed immoralità nei romanzi e nei libri, scritti con intento diabolico appositamente per lei: irreligione ed immoralità nei circoli e nelle società settarie, in cui si fa di tutto per irreticarla; irreligione ed immoralità nei teatri, di dove, si dice, gli spettatori adulti, benché poco delicati, sono talvolta costretti per un po’ di pudore che ancor li assale, levarsi e andarsene; irreligione ed immoralità in un nugolo di gente da trivio, appostata ad ogni angolo delle vie per darle l’assalto; irreligione ed immoralità nell’andamento di tutta la cosa pubblica, in cui l’onore posto sulla punta della spada, le truffe più ingenti e più audaci, l’ingiustizia più aperta e manifesta non fanno regnare che la ragion del più forte. E la gioventù, malamente educata in famiglia, scristianizzata del tutto nella scuola, come non cadrà asfissiata in questa atmosfera d’irreligione e d’immoralità, che le fa respirare la società in cui si trova? Sì, essa cadrà asfissiata, ma non impunemente, né per essa, né per la società. Non impunemente per essa, che talvolta se ne muore consunta a venticinque anni tra le strida di una madre, che non avrà pace più mai, e tal altra avanzandosi nel cammin della vita, tra i contrasti spaventosi, di cui è cosparso, senza fede in Dio e in Gesù Cristo, senza amore per Lui, si sentirà orribilmente straziata ora dal dubbio, ora dalla noia, ora dall’agitazione, ora dalla tristezza, ed ora persino dalla disperazione, che ingenera la pazzia e spinge al suicidio; non impunemente per la società, la quale avendo operato il suo assassinio e la sua rovina, resterà alla sua volta da lei assassinata e rovinata. Ecco, o miei cari, la catastrofe orrenda, a cui mette capo l’atmosfera senza Dio, senza Gesù Cristo, che oggidì si fa respirare alla gioventù nella famiglia, nella scuola e nella società. E dopo tutto ciò, se vi ha gente da mettere alla gogna, no, non sono tanto questi poveri giovani, ma sono gli scrittori infami, i seduttori maligni, i professori empii, i poteri pubblici prepotenti, e soprattutto, quei padri così ciechi da non vedere l’opera, che si compie in danno dei loro figli, cosi fiacchi da tollerarla in pace senza alcuna protesta, e talora così malvagi da coadiuvarla essi pure con le loro iniquità e coi loro scandali!

III. — Ma ora dopo d’aver riconosciuto la mala corrispondenza, che la gioventù odierna rende alla carità di Gesù Cristo per lei, e quali cause producono in lei sì nera ingratitudine, che cosa fare? Senza dubbio che si cambi radicalmente indirizzo nell’educazione della gioventù non è cosa da sperarsi, né è da pensare, che la gioventù, la quale si è spiegata in senso opposto alla verità ed alla virtù, tutto ad un tratto abbia a mutar idee e costumi. Per tutto ciò sarebbe necessario uno di quei prodigi, di cui Gesù Cristo non è sempre largo, massime quando gli uomini non ne hanno alcun merito. Ma tuttavia noi Cristiani, amanti di Gesù Cristo, dobbiamo sollecitarlo al più presto possibile con l’opera nostra. La Chiesa, in quanto è da sé, più che mai allarga le sue braccia ai fanciulli ed ai giovani coi moltiplicati oratorii festivi e con le scuole di Religione largamente istituite; e con tutta la tenerezza e l’insistenza della sua voce materna li invita a rifugiarsi nel suo seno, ad attingervi il santo timor di Dio, gridando: Venite, filii, audite me; timorem Domini docebo vos. (Ps. XXXIII, 12) Ma voi, o genitori Cristiani, non lasciate di fare la parte vostra. Anzitutto educate voi cristianamente i figli vostri, e quando trattisi di allontanarli dal vostro fianco per mandarli alla scuola e tanto più per affidarli al collegio, deh! aprite gli occhi e preferite sempre la scuola e il collegio, dove non solo entra la Religione come una larva ipocrita per tradire la vostra fiducia, ma dove la Religione è dichiaratamente rispettata e praticata. Ma soprattutto voi, o madri, imitando l’esempio di quelle donne ebree, che recavano a Gesù Cristo i loro figli, perché imponesse loro le mani e li benedicesse, recate anche voi a Gesù Cristo i tigli vostri, consacrandoli a Lui fin dal loro nascere, ammaestrandoli per tempo a conoscere ed amare Lui, aiutandoli sempre con le vostre esortazioni e coi vostri esempi a tenersi uniti a Lui. E quando cresciuti negli anni, per l’influenza malefica di una scuola atea e di una società scostumata, li vedeste con immenso dolore dell’animo vostro tralignare dalle speranze della loro verde età, e cader vittime sventurate dell’incredulità e delle passioni, ricordatevi allora che non vi ha spettacolo, che maggiormente commuova il Cuore di Gesù Cristo a compassione della sventura dei vostri figli, quanto quello delle vostre lagrime. Quando si portava alla sepoltura il figliuolo unico della vedova di Naim, spietatamente rapito dalla morte sul fior della vita, l’infelice madre gli teneva dietro con tale profluvio di lagrime, che avrebbe intenerito le pietre. E l’amabilissimo Gesù, alla vista di quello spettacolo di desolazione e di dolore, tocco nel più intimo del suo Cuore, si appressa a quella povera madre, con l’accento della più filande tenerezza e pietà le dice di cessare il pianto, e avendo comandato ai portatori della bara di fermarsi, voltosi al morto: « O giovane, gridò, io ti dico, sorgi. » E dall’istante quel giovane, che era morto, si levò a sedere e pieno di salute e di vita si fe’ a parlare. Ora, quello a cui valsero le lagrime di una madre per la vita fisica del suo figlio, sarà pur quello a cui varranno per la vita dell’anima. S. Monica lo ha ben provato nel suo Agostino. Non disperate pertanto, o povere madri, cui lo stato spaventoso dei figli vostri e la spirituale loro morte mette in desolazione e terrore. Piangete e pregate, e non cessate mai dal piangere e dal pregare. Forse anche per voi, come già per S. Monica, dovrà passare del tempo, prima che siate esaudite. Ma se al pari di lei sarete costanti a piangere ed a pregare, finirete com’essa per ottenere la grazia. Il Cuore di Gesù è troppo tenero per non commuoversi di voi e per non cambiare a tempo opportuno il vostro pianto di dolore in lagrime di gioia. Sì, egli vi consolerà di quanto avrete sofferto, risusciterà i vostri figliuoli morti e li ridonerà belli e vivi di una nuova vita cristiana al vostro amore. – Ma anche voi, o giovani Cristiani, che mi ascoltate, anche voi dovete mettere riparo alla sciagura di tanti altri giovani con la vostra fermezza nella fede e con la costanza vostra nella virtù. Rappresentatevi di spesso alla mente l’amore che Gesù Cristo vi porta, e siate generosi nel ricambiarlo. Senza dubbio, voi dovrete combattere le vostre passioni, perché anche voi figliuoli di Adamo, anche voi ne siete travagliati; ma ricordando la parola di Gesù Cristo: « Chi vuol venire dietro a me rinneghi se stesso; » gettando lo sguardo sopra di Lui, modello di sacrifizio, di abnegazione, di mortificazione e di obbedienza, e sopra tutto accostandovi spesso a ricevere nel cuor vostro Lui, che è il frumento degli eletti ed il vino, che germina i vergini, voi domerete le vostre passioni, come il domatore delle belve doma il leone della foresta. Senza dubbio, dovrete resistere al gran pericolo di una scienza atea e materialistica, le cui dottrine vi è giocoforza ascoltare per la schiavitù dell’insegnamento; ma non dimenticando le lezioni sublimi intorno alla vostra origine, alla vostra natura ed ai vostri destini, appresi sulle ginocchia della vostra madre Chiesa e della vostra Chiesa-Madre, e con lo studio continuato della Religione convertendole in succo ed in sangue, voi, mercé di Dio, avrete mai sempre sufficiente intelletto per lasciare tutta a certi professori la gloria di essere un pugno di fango o razza di scimmie e di lombrichi. Senza dubbio voi dovrete superare gli umani rispetti, che vi assaliranno da ogni parte e da per tutto, perché la vostra fede e la vostra virtù, essendo un pruno negli occhi dei tristi, sarà sempre da loro oltraggiata e derisa; ma voi infiammati d’amore per la vera libertà, che Gesù Cristo è venuto a portare sulla terra, e che affranca da ogni servaggio, anche da quello del numero e della forza materiale, non sarà mai che vendiate la vostra coscienza a prezzo di una vile apostasia. Senza dubbio voi dovrete respingere la stolta calunnia, che la pietà cristiana rende stupidi e melensi e che la fede è contraria alla scienza, e col tenervi sempre lontani da coloro, cui ogni pretesto è buono per liberarsi dalla noia dello studio, col non partecipare mai alle loro gazzarre e baldorie, e coll’applicarvi invece seriamente agli studi, dimostrerete una volta di più, che col raggio della fede penetrate ben più a fondo che gli altri nelle verità scientifiche, e coll’aiuto della cristiana pietà riuscite anche meglio degli altri ad apprenderle. O giovani cattolici! o nobili speranze della Chiesa e della patria, gettate oggi lo sguardo sopra l’eroe, che la Chiesa festeggia e vi dà per modello, e checché sembri al mondo, seguendo le traccie luminose di S. Luigi Gonzaga, crescerete senza dubbio allo stato virile, « all’età di Gesù Cristo. » Presto o tardi il mondo avrà bisogno di voi. Sotto gli occhi spalancati del genere umano finirà il trionfo di una dottrina e di una virtù, che non è la vostra. Ed allora la società stanca di veder più a lungo lo spettacolo dell’incredulità e della corruzione, accasciata dal dolore di tante rovine, a voi, figliuoli unici della fede e dell’amore di Gesù Cristo, volgerà affannosa lo sguardo e stenderà anelante la mano gridandovi ad alta voce di trarla a salvamento. – E voi, o Cuore Sacratissimo di Gesù, che ponete mai sempre la vostra delizia tra i figliuoli degli uomini, soccorrete con la vostra grazia questi giovani volonterosi, che si stringono oggi intorno al vostro altare; date loro la forza di mantenersi costanti nella professione della fede e nella pratica della virtù e di essere pronti sempre a morire piuttosto, anziché venirvi meno. Ma ad un tempo stesso pietà vi prenda di quei giovani infelici, che vi disconoscono, che non vi amano, che anzi vi oltraggiano: pietà per amor di queste madri, che ora dinnanzi a voi versano amare lacrime per essi. Deh! o divino Pastore, richiamate presto, che ben lo potete, questi agnelli traviati al vostro ovile; stringeteli presto, cambiati di costume, tra le vostre braccia amorose, ed allora noi benediremo un’altra volta ai trionfi della vostra bontà e della vostra misericordia.

LE BEATITUDINI EVANGELICHE (-5B-)

BEATITUDINI EVANGELICHE

 [A. Portaluppi: Commento alle beatitudini; S.A.L.E.S. –ROMA, 1942, imprim. A. Traglia, VIII, Sept. MCMXLII]

CAPO QUINTO

Beati misericordes: quoniam ipsi misericordiam consequentur.

Beati i misericordiosi perché troveranno misericordia

III

VIRTÙ DI CHI CONOSCE IL CUORE UMANO

Il mondo è sempre piuttosto duro nel giudicare e trattare con chi è caduto nel male. Non ci rendiamo conto delle condizioni nelle quali sono cresciuti, della loro famiglia, dell’esempio che ivi ebbero nella loro fanciullezza e poi sempre. Neppure abbiamo notizia di quello che impararono quando tutto s’assorbe e si trasforma in elemento o di vita o di morte.

FAMIGLIA E SOCIETÀ’ SENZA DIO

Quanta miseria infesta certe famiglie, indegne dello stesso nome! Sono più covi e tane, che case di Cristiani. Vi regna piuttosto l’odio che l’amore. L’ira e l’invidia vi si respira, anziché la pace e la gioia della vita. Come può svolgersi un’anima? Né l’intelletto viene illuminato dalle verità della Fede; né il cuore scaldato dai principi della divina carità e dal desiderio della virtù. La virtù per tanti giovanetti è l’abilità di farla franca. Evitare con l’astuzia la sorveglianza della legge, questa è la qualità più pregiata. Sfuggire alle maglie della giustizia umana. Questo concetto della vita, come equilibrio tra il costume esterno e le proprie voglie disordinate, si conserva poi sempre; poiché vedono che molti cittadini onorati » lo tengono effettivamente, se non apertamente come guida e norma della loro riuscita. Povere esistenze prive d’ogni conforto, alle quali non giunge neppure l’ombra d’un gesto gentile, neppur l’eco d’una parola buona. Ignare del massimo patrimonio di vitale energia, che è la pietà religiosa, passano gli anni della giovinezza o annebbiati dallo spasso volgare o avvelenati da delusioni irritanti. Non sentono mai parola di Dio, se non per bestemmiarla;non conoscono i Sacramenti che han forse ricevuto da bambini, se non per un lontano e velato ricordo seducente; la Madonna di cui vedono le immagini dovunque, è per essi non il richiamo gentile e materno ma il termine di ingiurie innominabili per la bestialità battezzata; le virtù della purezza, della modestia, della carità, della mortificazione, sono ignote anche come vocaboli, come realtà esistenti. Miseria della vita di cui la responsabilità resta in gran parte della società effettivamente atea e tesa verso la contaminazione di tutti e di tutto. Siamo pertanto colpevoli in solido. E in solido dobbiamo renderne a Dio strettissimo conto. – Come dunque non essere misericordiosi, quando si conosca l’origine del male e la felicità per molti di cadérne vittime? Debole la natura, corrotta sovente la famiglia, la società colma di seduzioni maligne, i poveri che peccano quale responsabilità avranno al tribunale di Dio?

LA NOSTRA NOBILTÀ’

Vero è che sotto tutto codesto marasma sentiamo nell’uomo una grandezza e un alto destino. L’uomo è come un ricco decaduto; sotto i suoi cenci si avverte il tipo del nobile sangue, la linea distinta del volto, la delicatezza dell’indole. I suoi grandi desideri sono un «curo segno d’origine divina; la voce della coscienza, sempre vigile a suggerire il bene e a condannare il male, è voce che viene da più alto di lui; lo stesso bruciore del rimorso tradisce un fondo dello spirito, che si ribella alla schiavitù della terra. Non è forse vero, che le prime tentazioni turbano assai e che le prime cadute lasciano amara la bocca e il fiele in cuore? La stessa natura decaduta non ha cancellato la purità delle origini e insieme alla miseria presente sente ancora la sua congenita nobiltà. E poi v’è anche modo di leggere questa alta parola nella stessa vergogna delle passioni. Le quali esprimono, in fondo, il bisogno di possedere un oggetto eguale alla capacità del cuore umano. Sono pertanto, la manifestazione d’uno sforzo, che fallisce la sua direzione e batte una strada errata; ma lo scontento dice qualcosa. È sapienza conoscere così il nostro cuore e quello altrui. Da tale conoscenza acquista valore il sentimento di compassione e di misericordia. È questa sostanzialmente odio del male e amore del bene; salire alto verso il Cielo e discendere giù sino all’abisso. – Che cosa cerchiamo in Cielo, se non la luce di Dio, la sua bontà per noi, la volontà di salvezza che muove il suo cuore? Saliamo a Dio per attingervi il coraggio della virtù, le sue ragioni più pure, per sentire forte forte l’imperativo della coscienza — strato umano attraverso cui parla il Signore. È pertanto necessario questo incontro con Lui, per dire a noi medesimi: « Sta su d’animo, sei ancora buono e devi rimetterti in pace con te stesso per rappacificarti con Dio ». L a divina misericordia è benevola verso chi la seconda nella condotta della propria vita. Essa vi vede uno strumento docile delle sue effettuazioni nel mondo umano, un collaboratore intelligente e capace.

PENSIAMO Al PECCATORI

È evidente d’altronde, che con la salita alla sommità della scala verso il Giudice divino, occorre accoppiare la discesa verso l’abisso dove si trovano i caduti, per aiutarli nella fatica dell’uscire e del riprendersi in una vita rifatta in Dio. È questa un’opera di redenzione di alto valore ed apprezzata dal cuore del Signore, come una funzione ausiliatrice alla sua ed anche come lo sforzo di far meglio produrre la sua stessa Passione. Darle uno sviluppo nella effettiva applicazione agli smarriti, alle vittime dell’errore, della passione. La misericordia qui è la forma più evidentemente efficace dell’amore compassionante, che onora il Cristiano verace. « Siccome, diceva in un catechismo il santo Curato d’Ars, nulla affligge il cuore di Gesù quanto il vedere perdute, per un gran numero di persone, le sue sofferenze, gli sono bene accette le preghiere per la conversione dei peccatori. Son queste le suppliche più belle, perché i giusti possano perseverare, le anime del Purgatorio andare in Cielo, ma che sarà dei poveri peccatori, che non pregano mai, se qualcuno non prega per loro? « Alcuni esitano a convertirsi : un Pater e un’Ave basterebbero a deciderli. Quante anime potremo riportare al Signore con le preghiere! « La Santa Comunione e il Santo Sacrificio della Messa sono i due atti più efficaci per ottenere la conversione dei cuori. Vi sono pure le novene, soprattutto quelle che precedono le quattro grandi feste della Santa Vergine; spesso con queste funzioni si ricevono grazie, che non era stato possibile ottenere con altre preghiere, ma bisogna domandarle con il cuore puro. Quante belle anime ci sono, che ottengono tante conversioni con le loro preghiere! ». Infine, che cosa interpreta la nostra necessità spirituale meglio dell’esercizio della misericordia? Siamo in armonia con Dio, con noi medesimi, con il prossimo. Questo ambisce il soccorso in un affare di tale importanza; quello ha deciso che l’uomo debba collaborare alla propria salvazione; e noi intermediari siamo gli interpreti del diverso sentimento di ambedue. Anello di congiunzione fra il Cielo e la terra, entriamo, poveri ma volenterosi, nella funzione stessa del Redentore del mondo. Anche se la nostra persona val poco, la funzione è grande e onorevole. Noi allora ci sentiamo stimolati ed impegnati a servire il Signore con dignità e onore della nostra coscienza. Sentiamo cioè la vocazione all’esercizio della misericordia, per aiutare il Signore.

IV

L A MISERICORDIA ATTIRA MISERICORDIA COME SI AMA IL POVERO

L’animo, che sa commuoversi a pietà per il prossimo, sa compiere il sacrificio di piegarsi verso la sua debolezza e soccorrerla. A questo serve assai un cuore modesto. L’orgoglioso è troppo preoccupato di sé e dei suoi ambiziosi desideri, per avvertire il bisogno altrui. Gli pare, anzi, che il piegarsi verso gli altri sia una compromissione e una debolezza. Così è normale, che alla cura abituale dei poveri e dei deboli si consacrino i cuori umili e pii, i quali, sentendo l’amore di Dio, lo dimostrano praticamente sui prossimi, per onorare lui. – Quando Federico Ozanam sentì ben robusto quest’amore, si avvide del poco che gli dava per la sua gloria, notò che l’amare il prossimo lo avrebbe aiutato a dargli il tributo del suo cuore e, con altri amici del medesimo sentimento, pur essendo studenti alla Sorbona, si dedicò alle opere da cui nacquero le Conferenze di san Vincenzo. Il mondo presente appare ostentatamente orgoglioso delle sue opere sociali. Si pavoneggia delle molte effettuazioni a vantaggio dei poveri. Ma anche si avvede, che le necessità maggiori sfuggono alle sue attenzioni, non sa soccorrerle a dovere. Gli abbisogna l’aiuto della Religione e del suo unico spirito di carità. Questa sa fecondare gli animi con mezzi esclusivi. Insegna ad accostare il povero senza umiliarlo e dà senza condizioni. Il suo appoggio e le sue ragioni sono soltanto in Dio. Nell’intento di Ozanam l’aiuto materiale non deve scompagnarsi da quello spirituale; ma senza ombra di ostentazione. Soleva dire ai compagni, che anche nelle conversazioni coi poveri non si deve introdurre la Religione, se non al momento in cui essa viene naturalmente richiesta, o per consolare un’afflizione, che non ha alcun terreno conforto, o per spiegare alle menti oscurate dall’errore, come sia giusta e soccorrevole la Provvidenza. « Badiamo, che uno zelo impaziente, invece che fare dei Cristiani, non faccia degli ipocriti». Questa delicatezza è ben notata dai poveri. I quali stabiliscono dei confronti fra coloro che si dedicano per ufficio al loro soccorso; e sanno apprezzare la finezza di chi dà senza mirare a soddisfare la propria vanità, il proprio orgoglio, e neppure il senso soltanto umano della compassione, ma che vedono nel povero l’immagine di Dio da consolare e da purificare con l’amore disinteressato. Orbene questo si misura dall’offerta del tempo e della vita.

« Multum facit qui multum dilìgit — molto fa chi molto ama » dice l’Imitazione. E il solo amore del Signore dà il tono del disinteresse totale. La misericordia salva il misericordioso. Anche davanti a Dio. I poveri hanno certo il diritto d’essere aiutati, ma devono pure riconoscere, che non può bastare un proposito umano, un fine politico a spingere il benestante ad affondare le mani nei forzieri per toglierne da distribuire ai bisognosi. Il motivo umano servirà talvolta a stimolare alla donazione; ma il cuore è mosso soltanto dal pensiero di Dio e dal dovere della generosità in faccia al bisogno materiale altrui. Per altro vediamo bene come vivono gli avari.

GRANDE URGENZA DI OFFRIRSI

« Da queste parti c’era un avaro che s’ammalò… racconta san Giovanni Vianney. Al curato che andò a visitarlo disse: « Beviamo e parliamo della guerra signor curato ». — « Avete del vino dunque? » — « Andate in cantina e vedrete ». Era piena di barili di vino. Disse ancora: «Andate nel granaio». Era pieno di grano. « Ah! mio Dio, datemi ancora un anno di vita! » Ebbene no, morì e lasciò tutto quanto. Egli voleva mangiarsi tutte le provviste e non ne ebbe il tempo. Era disperato di dover morire e lasciare ad altri questi beni. Se fosse stato un buon Cristiano avrebbe considerato di nessun valore i suoi beni, poiché tutto proviene dalla terra ». La naturale accortezza suggerisce quello appunto che ci dice la Fede. Perché essere duri e insensibili verso i nostri compagni di viaggio poveri, mentre noi non siamo certi di poter godere neppure una parte dei nostri beni? Certa invece è la necessità di costoro. Clemente IX volle prender come stemma un pellicano, che alimenta i suoi piccini, e come motto: « Aliis non sibi clemens — clemente non verso di sé, ma verso gli altri ». E un altro Papa, sommo giurista, Innocenzo III, soleva dire ch’egli considerava la compassione superiore al diritto. Sopra tutte le autorità umane, Dio stesso si pronuncia per l’amore. Scrisse il Cardinale De Berulle nelle Grandezze di Gesù: « Così Dio incomprensibile si fa conoscere in questa umanità; Dio ineffabile, si fa udire nella voce del suo Figlio incarnato; Dio invisibile, si fa vedere nella carne che egli unì con la natura dell’eternità; e Dio che si fa sentire nella sua dolcezza, nella sua benignità e impone terrore nello splendore della sua grandezza, nella sua umanità… O meraviglia! O grandezza! » Sicché il trionfo è della sensibilità del cuore di Dio. Volete scorgere chiaramente come Dio si umiliò per potere amare la sua creatura umana? « La santa anima di N. S . Gesù Cristo scrisse il gesuita Lallemant non fu creata che per l’amore di noi; il suo sacro corpo non fu formato che per noi; la sua umanità non fu unita alla persona del Verbo, che per gli uomini.. Che cosa facciamo noi per Cristo?

L’ANIMA DELLA CARITÀ’

Noi siam fatti pure per amare. E l’amore non sta senza un soffio d’umiltà. « Non ti far giudice non competente di te medesimo, scrive in un’omelia san Basilio; né volere esaminarti, mettendo in conto alcuna cosa di buono, che ti sembri aver fatto, dimenticandoti a bella posta dei tuoi peccati, ovvero non insuperbire di ciò che hai fatto bene oggi, scusando poi le cose malfatte… Ma se mai il presente ti gonfia, riduciti alla memoria il passato e l’insensata gonfiezza si riumilierà. E quando vedrai peccare il prossimo, non considerare di lui questa cosa sola, ma ricordati insieme quante cose egli ha fatto e fa rettamente, e sovente troverai lui essere migliore di te, facendo la ricerca di tutte le sue azioni e non sentenziando solo rispetto a una parte ». – Se noi, insomma ci poniamo sempre di fronte ai nostri simili, verso i quali siamo tentati di sentire malamente, avremo tante ragioni di compatirli e di giudicarli meno colpevoli di quanto sembri, mentre sovente sono migliori di noi. – Sicché la misericordia è spesso un dovere di giustizia. « Perdona a noi come noi perdoniamo ai nostri debitori ». Ma anche per questo occorre tanto sentimento di umiltà, che ci tenga presente la indegnità nostra e il bisogno di una espiazione fervorosa e continua. In questa condizione morale sono abitualmente le anime più aperte alla grazia. Carlo Psichari, mentre era ai suoi primi esperimenti di vita religiosa nel secolo, espandeva il suo cuore così col Padre Clérissac, suo direttore spirituale: « È una adorabile scoperta ch’io faccio in questo momento, è una dolce e crudele riconoscenza, e non v’è ufficio (religioso) nel quale io non versi le lagrime abbondanti davanti al Maestro, che ho sì a lungo crocifisso e che la Francia stessa crocifigge ogni momento… Io ho potuto accostarmi ogni mattina alla Santa Mensa e l’ho fatto con coraggio, contando sulla misericordia di Nostro Signore, per ottenere il perdono delle mie debolezze, che mi rendono così indegno di ricevere il suo Corpo, e abbandonarmi del tutto a Lui in ogni cosa… Credo bene, che sia quando siamo abbattuti il momento di desiderare con più vivo amore l’Eucaristia; e, quanto a me, è in queste ore che mi volgo con maggior confidenza verso il Maestro al quale ormai io sono rivolto ». – Anime tanto ardenti e umili, così poco fiduciose di sé affatto abbandonate nel Signore, sono destinate ad attirare dal suo Cuore ogni delicatezza. Non danno esse tutto a Dio? Perché il Signore non si darà loro con quella generosità delicata, di cui offre esempio nella esperienza dei santi? La misura usata da Dio non è proporzionata al nostro merito, bensì alla sua ricchezza.