SALMI BIBLICI: “BENEDIXISTI, DOMINE, TERRAM TUAM” (LXXXIV)

SALMO 84: “Benedixisti, Domine, terram tuam”

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS.

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

[Canonico titolare della Chiesa di Soissons, Professore emerito di Scrittura santa e sacra Eloquenza]

TOME DEUXIÈME.

PARIS – LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR 13, RUE DELAMMIE, 1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

Salmo 84

In finem, filiis Core. Psalmus.

[1] Benedixisti, Domine, terram tuam;

avertisti captivitatem Jacob.

[2] Remisisti iniquitatem plebis tuae, operuisti omnia peccata eorum.

[3] Mitigasti omnem iram tuam, avertisti ab ira indignationis tuae.

[4] Converte nos, Deus salutaris noster, et averte iram tuam a nobis.

[6] Numquid in aeternum irasceris nobis? aut extendes iram tuam a generatione in generationem?

[6] Deus, tu conversus vivificabis nos, et plebs tua laetabitur in te.

[7] Ostende nobis, Domine, misericordiam tuam, et salutare tuum da nobis.

[8] Audiam quid loquatur in me Dominus Deus, quoniam loquetur pacem in plebem suam,

[9] et super sanctos suos, et in eos qui convertuntur ad cor.

[10] Verumtamen prope timentes eum salutare ipsius, ut inhabitet gloria in terra nostra.

[11] Misericordia et veritas obviaverunt sibi; justitia et pax osculatae sunt.

[12] Veritas de terra orta est, et justitia de caelo prospexit.

[13] Etenim Dominus dabit benignitatem, et terra nostra dabit fructum suum.

[14] Justitia ante eum ambulabit, et ponet in via gressus suos.

[Vecchio Testamento Secondo la Volgata Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

SALMO LXXXIV

Si predice la liberazione dalla schiavitù del demonio per Cristo; e poi si prega per il compimento della predizione.

Per la fine; a’ figliuoli di Core, salmo.

1. Signore tu hai voluto bene alla tua terra. Mi hai tolta la schiavitù di Giacobbe.

2. Tu hai rimessi i peccati del popol tuo; hai ricoperti tutti i loro peccati.

3. Hai raddolcito tutto il tuo sdegno; hai sedato il furore di tua indignazione.

4. Convertici, o Dio nostro Salvatore, e rimuovi da noi l’ira tua.

5. Sarai tu irato con noi in eterno? o prolungherai l’ira tua di generazione in generazione?

6. O Dio, tu volgendoti a noi ci renderai la vita; e il popol tuo in te si rallegrerà.

7. Fa’ vedere a noi, o Signore, la tua misericordia, e dà a noi la tua salute.

8. Fa ch’io ascolti quello che meco parlerà il Signore Dio, perocché egli parlerà di pace col popol suo,

9. E co’ suoi santi e con quelli che al cuor loro ritornano.

10. Certamente la salute di lui è vicina a color che lo temono; e abiterà nella nostra terra la gloria.

11. La misericordia e la verità si sono incontrate insieme; si son dato il bacio la giustizia e la pace.

12. La verità spuntò dalla terra; e dal cielo ci ha mirati la giustizia.

13. Perocché darà il Signore la sua benignità, e la nostra terra produrrà il suo frutto.

14. La giustizia camminerà dinanzi a lui, e porrà nella retta strada i suoi passi.

Sommario analitico

In questo salmo, il Profeta domanda a Dio con istanza il ritorno degli Israeliti e dei Giudei, condotti in cattività. E contempla in spirito la grande liberazione degli uomini dalla cattività del demonio, con l’incarnazione di Gesù-Cristo. È una preghiera eccellente per ottenere la grazia della santità, dopo essere stato liberati dalla schiavitù del peccato (1).

(1) Rosen-Muller e qualche altro con lui riconducono la composizione di questo salmo al tempo che seguì immediatamente il ritorno della cattività. Altri lo considerano come una preghiera, per il ritorno dei prigionieri condotti da Salmanasar e Sennacherib.

I. – Espone il decreto divino con il quale Dio si è resoluto:

1° a dare alla Chiesa la benedizione mediante il Cristo;

2° la liberazione degli eletti dalla cattività del demonio (1);

3° la remissione dell’offesa contratta con il peccato;

4° la distruzione del peccato nell’anima (2);

5° la moderazione della pena, dovuta al fatto che Dio si è degnato di moderare la sua collera ed arrestare gli effetti della sua indignazione (3). 

II. – le disposizione che gli uomini devono osservare perché siano loro applicati gli effetti dell’Incarnazione:

1° La conversione interiore del peccatore verso Dio Salvatore, conversione che viene da Dio come principio;

2° La preghiera fatta al giusto giudice, perché si allontani la sua collera da lui e dalle generazioni avvenire (4, 5).

III. Gli effetti prodotti negli uomini dall’incarnazione:

1° La vita delle anime;

2° la gioia che ne deriva (6);

3° La misericordia di dio;

4° La vita ed il possesso di Dio Salvatore (7);

5° L’intelligenza delle parole di Dio soprattutto nei santi ed in coloro che sono convertiti con il cuore (8);

6° La pace;

7° La gloria (9).

IV. Gli attributi di Dio che si sono manifestati nel compimento dell’incarnazione:

1° La misericordia e la verità si incontrano;

2° La giustizia e la pace si baciano (10).

3° Egli fa vedere da dove è uscita ciascuna di queste virtù: a) la verità è uscita dalla terra; b) la giustizia si mostra dal cielo; c) la misericordia è venuta da Dio, d) la pace è venuta dalla terra, nella Persona di Gesù-Cristo che ha soddisfatto alla giustizia di Dio (12, 13).

Spiegazioni e Considerazioni

I. — 1 – 3.

ff. 1-3. – All’inizio di questo salmo, il Profeta ci fa conoscere il piano di liberazione del genere umano, e ce ne dice la causa ed il termine. La causa è l’amore divino: « Prerchè Iddio ha tanto amato il mondo da dargli il suo Figlio » (Giov. III), e benedirci con ogni specie di benedizioni (Ephes. I). Non si può dare altra ragione che la volontà divina, della sua benevolenza della sua misericordia. L’ultimo termine di questa misericordia divina è la nostra liberazione dal giogo del demonio, parziale in questa vita, ma completa e perfetta alla resurrezione generale, quando parteciperemo alla libertà della gloria dei figli di Dio (Rom. VIII, 21) – (Bellarm.). –  Come applicare al popolo giudeo queste parole del salmo: « Voi avete fatto cessare la cattività di Giacobbe? » Questo popolo dopo qualche tempo di schiavitù, recuperava la sua libertà, e più volte lo si vide successivamente ridotto in cattività e liberato; oggi esso è sotto il giogo, per punizione della mancanza commessa nel crocifiggere il suo Signore. Noi dobbiamo dunque intendere queste parole come riferite ad un’altra cattività, dalla quale tutti desideriamo essere liberati, perché noi tutti apparteniamo alla posterità di Giacobbe, se apparteniamo alla razza di Abramo, imitando la sua fede. Quale è dunque questa cattività da cui abbiamo il desiderio di essere liberati? Ecco che il beato Apostolo Paolo s’avanza e ce la indica: egli sia il nostro specchio, parli e ci vedremo nelle sue parole; poiché non c’è nessuno che non ci riconosca qui, egli dunque dice: « io mi compiaccio nella legge di Dio, secondo l’uomo interiore; » la legge di Dio riposa nel mio cuore; « … ma nelle mie membra vedo un’altra legge, che muove guerra alla legge della mia mente e mi rende schiavo della legge del peccato che è nelle mie membra » (Rom. VII, 23). Ecco qual è questa cattività; chi di noi non ne vorrebbe essere liberato? E come fare per esserne liberato? A chi il Profeta indirizza queste parole: « Voi avete fatto cessare la cattività di Giacobbe? » Al Cristo! Ascoltate ancora, come confessato dalla bocca di San Paolo, che sotto il peso di questa cattività esclama: « Sono uno sventurato! Chi mi libererà da questo corpo di morte? » Egli lo cercava e ben presto si è presentato al suo spirito la grazia di Dio, con Nostro Signore Gesù-Cristo (Rom. VII, 20). È di questa stessa grazia di Dio che il Profeta dice allo stesso Signore Gesù-Cristo. « Voi avete fatto cessare la cattività di Giacobbe » (S. Agost.). – Come Dio fa cessare la cattività di Giacobbe? Rimettendo l’iniquità! L’iniquità vi teneva prigionieri; l’iniquità è rimessa, e voi siete liberati. Com’è in effetti che colui che non conosce il suo nemico invoca il suo liberatore? « Voi avete coperto tutti i miei peccati. »  Che vuol dire « Voi avete coperto? » Per non vederli. Che vuol dire: per non vederli? Per non doverli punire. Voi non avete voluto vedere i mei peccati, e non li avete visti, perché non avete voluto vederli (S. Agost.). Voi avete coperto i loro peccati con le virtù, come se dicesse: Voi avete coperto l’iniquità con la giustizia, l’impurità con la castità, l’oscurità del peccato con il candore dell’innocenza (S. Gerol.). – Ecco dunque l’ordine di questa redenzione divina dell’uomo: la benedizione o la buona volontà di Dio ci ha dato il Redentore, il Redentore ha soddisfatto per i nostri peccati, placando la collera di Dio; la giustizia ha soddisfatto per i nostri peccati, placando la collera di Dio; soddisfatta la giustizia Egli ce li ha perdonati; il perdono dei nostri peccati è stata la fine della nostra prigionia (Bellarm).     

II. — 4-5.

ff. 4-5. – Il primo effetto della collera di Dio pacificato, è l’inizio della nostra salvezza, cioè del nostro ritorno a Dio. Questo ritorno è possibile quando Dio si rivolge per primo a noi, come si rivolse a Pietro dopo che questi disconobbe il suo Maestro divino, per ispirargli lo spirito di penitenza e di lacrime. Anche voi, uomini, a cui è dato convertirvi a Dio, meriterete la sua misericordia, mentre coloro che non si convertiranno a Dio non otterranno misericordia e non troveranno che collera da parte di Dio? E cosa potreste voi per la vostra conversione se non foste chiamati? Colui che vi chiama nel momento in cui voi non avete che avversione per Lui, non è l’Autore della vostra conversione? Guardatevi bene dall’attribuirvi la vostra conversione, perché se Dio non vi avesse chiamato quando lo foste, voi non avreste potuto convertirvi. Ecco perché il Profeta, riconducendo a Dio il beneficio della sua conversione, lo prega in questi termini: « O Dio, convertendoci a Voi, Voi ci vivificherete » (S. Agost.). –  Questa collera di Dio, che il peccato del nostro primo padre aveva attirato su tutti gli uomini, sarebbe stata in effetti eterna; sarebbe durata nella sequenza delle età se Dio, con una misericordia che sorpassa tutto ciò che noi possiamo concepire, non ci avesse dato una potente diga per arrestarne il corso, cioè il proprio Figlio (Duguet).

III. – 6-9.

ff. 6-9. – « Il vostro popolo si rallegrerà in Voi » Cattiva sarà la gioia che prenderà da se stesso, buona la gioia che prenderà in Voi. Quando ha voluto in effetti cercare la gioia in se stesso, non ha trovato che una causa di gemiti. Ma ora che ogni nostra gioia è in Dio, colui che voglia gioire con certezza, gioisca in Lui che non può perire. Perché, ad esempio, quale gioia trovare nel denaro? Il denaro perisce ed anche voi, e nessuno sa quale dei due perirà per primo. Una cosa è certa: è che entrambi periranno: chi per primo? Ecco ciò che è incerto; perché né l’uomo può restare eternamente quaggiù, né il denaro può durare per sempre; lo stesso è dell’oro, degli abiti, delle casse, ed anche della fortuna stessa. Non mettete dunque la vostra gioia in tutte queste cose, ma riponetela in questa luce che non si spegne mai. Gioite in questa luce che non ha preceduto il giorno di ieri, e che non seguirà il giorno di domani. « Io sono, ha detto il Signore, la luce del mondo, vi chiamo a lui. Chiamandovi Egli vi converte; e convertendovi vi guarisce; quando vi avrà guarito, voi vedrete Colui che vi avrà convertito e a cui il Profeta dice: « … e il vostro popolo gioirà in Voi » (S. Agost.). – Il Profeta  ha già domandato che la collera di Dio faccia posto alla grazia che deve vivificarci, dopo aver cancellato i nostri peccati; ora, questa non è la misericordia ordinaria di Dio, è la sorgente di tutte le misericordie, è la rivelazione della misericordia incarnata, la manifestazione del Figlio suo, di cui S. Paolo ha detto: « la grazia di Dio è apparsa tra gli uomini; » (Tit. II) « è apparsa a noi la bontà e l’umanità del nostro Salvatore Gesù-Cristo; » (Tit. III); – « Mostrateci la vostra misericordia, e dateci la vostra salvezza. » Beato colui a cui Dio mostra la sua misericordia; egli non può inorgoglirsi, perché mostrando a lui la sua misericordia, lo persuade che tutto ciò che l’uomo possiede di bene non può venire che da Colui che è tutto il nostro Bene … « e dateci la vostra salvezza, il vostro Salvatore. » Dateci il vostro Cristo, è in Lui che risiede la vostra misericordia. Diciamogli anche noi: dateci il vostro Cristo. È vero che Egli ci ha già dato il suo Cristo, tuttavia, Gli diciamo ancora: dateci il vostro Cristo, perché Gli diciamo: « Dateci oggi il nostro pane quotidiano. » (Matth. VI, 2). E il nostro pane qual è? Se non Colui che ha detto: « Io sono il pane vivo disceso dal cielo » (Giov. VI, 41). Diciamogli: dateci il vostro Cristo; perché Egli ce lo ha dato, ma nella sua umanità; dopo avercelo dato nella sua umanità, ce lo darà nella sua divinità. In effetti Egli ha dato un Uomo agli uomini, perché lo ha donato agli uomini come gli uomini potevano comprendere. Nessun uomo era capace di comprendere il Cristo senza la sua divinità. Il Cristo si è fatto uomo per gli uomini; si è riservato Dio per gli dei … Egli stesso ha detto nel Vangelo: « colui che mi ama osserva i miei comandamenti, ed Io lo amerò e mi manifesterò a lui. » (Giov. XIV, 9, 21). Egli parlava agli Apostoli e diceva loro « Io mi manifesterò a lui. » Perché? Non era lui che parlava? Si, ma là lo vedeva la carne, il cuore non vedeva la divinità. Ora, la carne ha visto la carne, affinché il cuore fosse purificato dalla fede (Att. XV, 9) e meritasse di vedere la divinità. La luce che ci sarà mostrata, deve trovarci puri, ciò che fa in noi la fede. Ecco dunque ciò che noi diciamo con queste parole: « Dateci il vostro Salvatore, » dateci il vostro Cristo, che noi conosciamo il vostro Cristo, che vediamo il vostro Cristo, non come lo hanno visto i Giudei che lo hanno crocifisso, ma come Lo vedono gli Angeli che si rallegrano in Lui. (San. Agost.). – « Io ascolterò ciò che il Signore dirà dentro di me ». – Dio parla interiormente al Profeta, ed il mondo circostante lo importunava con i suoi rumori. Egli allontana allora un po’ questo brusio del mondo, se ne allontana per ritrovarsi con se stesso e passare da se stesso a Colui del quale ascolta interiormente la voce; egli si tappa in qualche modo le orecchie contro le agitazioni di questa vita, contro la sua anima appesantita dal corpo che si corrompe, contro il suo spirito represso dalla sua abitazione terrestre e preso da numerosi pensieri, e dice: « Io ascolterò ciò che il Signore dirà dentro di me » (S. Agost.). – C’è una voce che ci parla interiormente e come nel fondo dell’anima quando, chiudendo l’orecchio al rumore delle creature, noi non vogliamo più ascoltare che Dio solo, e Lo chiamiamo in noi con tutto l’ardore dei nostri desideri. È quella voce che, lontano dagli uomini, deliziava i Paolo, gli Antonio, i Pacomio, e rivelava loro, senza oscurità, i segreti della scienza divina; è questa voce che istruisce i Santi, li infiamma, li consola e li inebria, per così dire, della sua celeste dolcezza e di una pace che sorpassa ogni intelligenza. – Dio parla un linguaggio di pace, non agli empi, che vogliono sempre perseverare nella loro empietà, ma al suo popolo, ai suoi santi ed anche ai peccatori che rientrano nel proprio cuore per convertirsi. – « … perché Egli porgerà un linguaggio di pace al suo popolo ». La voce del Cristo, la voce di Dio è dunque la voce della pace; essa ci chiama alla pace. Andiamo – essa dice – voi che sapete di non avere ancora la pace: amate la pace. Cosa potreste ricevere da me che valga più della pace? Cos’è la pace? L’assenza di ogni guerra, cioè l’assenza di ogni contraddizione, di ogni resistenza, di ogni opposizione. Vedete se siamo già in questo stato; vedete se non abbiamo più conflitti con il demonio; vedete se tutti i santi e tutti i fedeli non lottano ancora contro il principe dei demoni, contro i loro piaceri, attraverso i quali suggerisce il peccato … Non c’è dunque la pace, perché c’è combattimento. Quale pace possono trovare quaggiù degli uomini obbligati a resistere costantemente a tante importunità, a tante cupidigie, a tanti bisogni, a tanti scoraggiamenti? Questa non è la vera pace, non è la pace perfetta. Quando dunque ci sarà la pace perfetta? Quando la morte sarà assorbita nella vittoria, tutte queste debolezze non esisteranno più, e la pace sarà completa ed eterna. Noi saremo allora gli abitanti di una città di cui io vorrei parlare senza fine, una volta nominata, soprattutto in un tempo in cui gli scandali divengono sempre più frequenti. Che non desidererebbe questa città, da cui non uscirà nessun amico, dove non entrerà alcun nemico, e non vi sarà né tentatore né sedizioso, ove nessuno dividerà il popolo di Dio … ci sarà dunque una pace purificata da ogni imperfezione per i figli di Dio che si ameranno tutti tra loro e vorranno riempirsi di Dio, mentre Dio sarà in tutti (1 Cor, XV, 28). Noi avremo Dio come comune spettacolo, avremo Dio in possesso comune, avremo Dio nella pace comune. Qualunque bene ci dia ora, allora ci sarà posto per tutto ciò che ci dà oggi: questa sarà la pace piena e perfetta. È questa pace che fa intendere al suo popolo e che voleva provare colui che diceva: « io ascolterò ciò che il Signore dirà in me ». Volete possedere questa pace di cui Dio fa intendere le parole? Rivolgete il vostro cuore verso di Lui, non lo girate né verso di me, né verso l’uomo, né verso chicchessia; perché ogni uomo che vuole attirare a sé i cuori degli uomini, cade con essi. Cosa val più il cadere con colui verso il quale vi sarete rivolti invece che a Dio? La nostra gioia, la nostra pace, il nostro riposo, la fine di tutte i nostri dolori è Dio e Dio solo: beati « coloro che si convertono e rivolgono il loro cuore a Lui » (S. Agost.). – Rientrare nel proprio cuore, significa cominciare a riflettere sulla vanità delle cose temporali, sulla breve durata e sulla falsità del piacere che si trova nel peccato; e d’altra parte quanto amabile è la virtù, e quanto grande la ricompensa che l’attende nel cielo. – Rientrare nel suo cuore è ancor più il non esporrsi al giudizio degli uomini né ai discorsi dei figli del secolo, bensì il consultare in tutte le cose la retta ragione, la fede e la verità stessa, che è Dio (Duguet). – « … Tuttavia la sua salvezza è vicina a coloro che lo temono ». Non è per la distanza dei luoghi che un uomo è lontano da Dio, ma per i sentimenti. Amate Dio, e siete a Lui vicino; odiate Dio, e voi siete da Lui lontano. Nello stesso luogo voi siete vicino o lontano da Lui. Da tutte le parti del pianeta verranno coloro che volgeranno il loro cuore a Lui; « ma senza dubbio, la salvezza che Egli dona è vicina a coloro che Lo temono, e questo affinché  la sua gloria abiti, con uno splendore particolare, nella terra ove è nato il Profeta. È là in effetti che il Cristo è stato dapprima predicato; è di là che provenivano gli Apostoli, ed è di là che furono primariamente inviati; là vi erano i Profeti; là fu costruito in un primo tempo il tempio; là venivano offerti i sacrifici a Dio; là vissero i Patriarchi; là il Cristo stesso è nato dalla razza di Abramo e si è manifestato; è là la terra che il Cristo ha calpestato con i suoi piedi, la terra in cui ha operato i suoi miracoli (S. Agost.). 

IV. — 10-13.

ff. 10-13. – Praticate la giustizia ed avrete la pace, affinché la giustizia e la pace si diano in voi un bacio scambievole; perché se non amate la giustizia, non avrete nemmeno la pace. La giustizia e la pace si amano e si abbracciano; di modo che colui che avrà praticato la giustizia troverà sempre la pace dando un bacio alla giustizia. Esse tra loro sono come due amiche; forse vorreste l’una senza praticare l’altra, perché non c’è nessuno che non voglia la pace, ma non tutti vogliono praticare la giustizia. Domandate a tutti gli uomini; volete la pace? Tutto il genere umano vi risponderà all’unisono: Sì, io la bramo, la  desidero, la voglio, io l’amo. Amate allora anche la giustizia, perché la giustizia e la pace sono due amiche; esse si danno uno scambievole bacio. Se non amate l’amica della pace, la pace non vi amerà e non verrà a voi. Cosa c’è in effetti di straordinario nell’amare la pace? Chiunque sia, anche il malvagio desidera la pace, perché la pace è una buona cosa. Ma praticate la giustizia, perché la giustizia e la pace si scambiano baci e non sono mai tra esse in lotta. Perché vi mettete in lotta con la giustizia? Ecco che la giustizia vi dice:  non rubate, … e voi non l’ascoltate; non commettete adulterio, … e vi rifiutate di ascoltare; non fate agli altri quel che non volete sia fatto a voi; non dite agli altri quel che non volete che si dica a voi. Voi siete il nemico della mia amica, vi dice la pace: perché mi cercate? Io sono l’amica della giustizia, se qualcuno è nemico della mia amica, io non mi avvicino a lui. Volete allora arrivare alla pace? Praticate la giustizia (S. Agost.). – Cos’è questa verità che è uscita dalla terra, se non il Figlio di Dio? E che cos’è la terra dalla quale è uscita, se non la carne della Santa Vergine? Perché la giustizia guardasse dall’alto del cielo, cioè perché gli uomini fossero giustificati dalla grazia divina, è stato necessario che la verità uscisse dalla terra, che il Cristo nascesse da Maria. E come in effetti. perché fossimo giustificati dei nostri peccati, non ha Egli offerto per noi il Sacrificio della sua passione e della sua croce? E come ha compiuto il suo Sacrificio se non con la morte? E come sarebbe morto se non avesse preso prima una carne simile alla nostra? E come infine si è rivestito di carne mortale se la verità non fosse uscita dalla terra? (S. Agost.). –  Noi possiamo ancora dare un altro senso a questo versetto: « … la verità è uscita dalla terra »; la confessione è uscita dall’uomo. In effetti voi non eravate che un uomo peccatore. O terra che al momento del tuo peccato, hai inteso queste parole: « Tu sei terra e nella terra tornerai, » (Gen. III, 19), la verità esca da te, affinché la giustizia ti guardi dall’alto del cielo. Ma come la verità può uscire da te, che non sei che peccato, che non sei che ingiustizia? Confessa i tuoi peccati e la verità uscirà da te (S. Agost.). – « Perché Dio darà la dolcezza e la nostra terra darà il suo frutto. » Voi potete avere in voi i vostri peccati, ma non potete portare dei buoni frutti, se colui che vi ha confessato  non lo produce in voi. È perché il peccato, dopo aver detto: « La verità è uscita dalla terra, e la giustizia ha guardato dall’alto del cielo, » risponde per così dire a questa questione che gli verrebbe fatta e continua così: « … perché il Signore darà la sua dolcezza e la nostra terra darà i suoi frutti. « Esaminiamoci dunque e se non troviamo in noi che peccati, detestiamoli, e desideriamo la giustizia; perché quando cominciamo ad odiare i nostri peccati, questo solo odio del peccato comincia già a renderci già simili a Dio, perché odiamo ciò che Dio odia. Quando voi avrete iniziato ad odiare i vostri peccati ed a confessarli a Dio, se qualche diletto colpevole vi coinvolge e vi conduce a cose funeste, indirizzate a Dio i vostri gemiti confessando a Lui i vostri peccati, e meriterete di ricevere la ripugnanza che viene da Lui e vi darà la dolcezza che accompagna le opere della giustizia, affinché la giustizia cominci ad affascinarvi, voi che amavate un tempo l’iniquità. Da dove vi è venuta questa nuova dolcezza, se non dal Signore, che darà la sua dolcezza affinché la nostra terra produca il suo frutto? – « La giustizia camminerà davanti a Lui, e metterà i suoi passi nella via ». Questa giustizia è quella che viene dalla confessione dei peccati, perché essa stessa è verità. In effetti, voi dovete essere giusto contro di voi, per punire voi stesso. La prima giustizia dell’uomo è che si punisca quando ancora è malvagio, affinché Dio lo renda buono. Se dunque v’è prima la giustizia dell’uomo, questa giustizia apre a Dio una via perché venga a voi; preparateGli allora la via nel vostro cuore con la confessione dei peccati. « Preparate la via al Signore » (Matth. III, 9); che questa giustizia  prenda il sopravvento, affinché confessiate i vostri peccati. Egli verrà, vi visiterà, « perché metterà i suoi passi  sulla retta via. » In effetti Egli avrà ora dove posare i suoi piedi, avrà un cammino per venire in voi, e per formar voi stessi con le tracce che lascerà in voi.  

SALMI BIBLICI: “QUAM DILECTA TABERNACULA TUA” (LXXXIII)

SALMO 83: “QUAM DILECTA TABERNACULA TUA”

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS.

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

[Canonico titolare della Chiesa di Soissons, Professore emerito di Scrittura santa e sacra Eloquenza]

TOME DEUXIÈME.

PARIS – LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR 13, RUE DELAMMIE, 1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

Salmo 83

In finem, pro torcularibus filiis Core. Psalmus.

[1] Quam dilecta tabernacula tua, Domine virtutum!

[2] Concupiscit, et deficit anima mea in atria Domini; cor meum et caro mea exsultaverunt in Deum vivum.

[3] Etenim passer invenit sibi domum, et turtur nidum sibi, ubi ponat pullos suos. Altaria tua, Domine virtutum, rex meus, et Deus meus.

[4] Beati qui habitant in domo tua, Domine; in sæcula sæculorum laudabunt te.

[5] Beatus vir cujus est auxilium abs te, ascensiones in corde suo disposuit,

[6] in valle lacrimarum, in loco quem posuit.

[7] Etenim benedictionem dabit legislator; ibunt de virtute in virtutem, videbitur Deus deorum in Sion.

[8] Domine Deus virtutum, exaudi orationem meam; auribus percipe, Deus Jacob. [9] Protector noster, aspice, Deus, et respice in faciem christi tui.

[10] Quia melior est dies una in atriis tuis super millia; elegi abjectus esse in domo Dei mei magis quam habitare in tabernaculis peccatorum.

[11] Quia misericordiam et veritatem diligit Deus, gratiam et gloriam dabit Dominus.

[12] Non privabit bonis eos qui ambulant in innocentia. Domine virtutum, beatus homo qui sperat in te.

[Vecchio Testamento Secondo la Volgata Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

SALMO LXXXIII.

Ardente desiderio della visione di Dio nei tabernacoli celesti. É quasi lo stesso argomento del Salmo 41.

Per la fine: per li strettoi; salmo a’ figliuoli di Core.

1. Quanto amabili sono i tuoi tabernacoli, o Signor degli eserciti! L’anima mia si consuma pel desiderio di tua magione.

2. Il cuor mio e la mia carne esultano in Dio vivo.

2. Perocché la passera si trova una casa, e la tortorella un nido dove deporre i suoi parti.

3. I tuoi altari, Signor degli eserciti, mio Re e mio Dio.

4. Beali coloro che abitano nella tua casa, o Signore; te loderanno in perpetuo. (1)

5. Beato l’uomo, la fortezza del quale è in te; egli nella valle di lacrime ha disposte in cuor suo le ascensioni lino al luogo, cui egli si fece.

6. Perocché li benedirà il legislatore; andranno di virtù in virtù; (ad essi) si rivelerà il Dio degli dei in Sionne.

7. Signore Dio degli eserciti, esaudisci la mia orazione; porgi le tue orecchie, o Dio di Giacobbe.

8. Volgi il tuo sguardo, o Dio protettor nostro, e mira la faccia del tuo Cristo.

9. Imperocché vai più un sol giorno nella tua casa, che mille (altrove).

10. Mi sono eletto di essere abbietto nella casa del mio Dio, piuttosto che abitare nei padiglioni de’ peccatori.

11. Imperocché il Signore ama la misericordia e la verità; il Signore darà la grazia e la gloria.

12. Li non priverà dei beni coloro che camminano nell’innocenza; Signore degli eserciti, beato l’uomo che spera in te.].

(1) « In loco quem posuit, » può ricevere due spiegazioni: l’una se non si tenga conto che solo del latino, l’altra se si consideri il testo ebraico e la versione greca. 1° Felice l’uomo che mette in Voi la sua forza, mentre sarà in questa valle di lacrime, nel luogo ove è posto per sua colpa, per il suo peccato, perché Dio lo aveva posto originariamente in Paradiso; 2° felice colui che attende soccorso da Voi, ché da questa valle di lacrime sale un gradino dopo l’altro finché non sia giunto a questa eterna dimora che è il termine del suo pellegrinaggio.

Sommario analitico

In questo salmo, il Profeta, come rapito in estasi, esprime nel modo più toccante il suo amore per la casa di Dio, il rimpianto di vedersene allontanato, il desiderio di ritornarvi, fosse anche per occupare l’ultimo posto. – Secondo qualche interprete, questo salmo risale all’epoca che ha preceduto immediatamente la cattività, in cui i figli di Core furono obbligati a fuggire lontano dal tempio, verso la montagna dell’Ermon, per sfuggire a Sennacherib, ed i versetti 3, 4, 10, in cui è in questione il tempio, sembrano favorire questa opinione; ma il sentimento comune degli interpreti – nota a ragione Hengstenberg – è che il salmo fu composto durante la fuga di Davide  davanti ad Assalonne, quando questo re si trovava con coloro che gli erano rimasti fedeli al di la del Giordano, lontano dal santuario. In senso figurato è l’espressione del desiderio – nell’anima fedele – dei santi tabernacoli e soprattutto della patria celeste, alla quale solo può essere applicata la magnificenza delle espressioni di questo salmo.

I. – Il Profeta esprime il desiderio ardente di questa anima, desiderio che si manifesta:

1° nel suo amore per i santi tabernacoli (1);

2° nelle sua operazioni divine verso questo divino soggiorno;

3°nel languore che essa prova nella considerazione degli atri del Signore (2);

4° nei suoi trasporti di gioia, interiori ed esteriori, nella contemplazione del Dio vivente ed immortale (2).

II. – Egli compara la tranquillità dei beati in cielo con il riposo accordato agli uccelli sulla terra; giudica ed apprezza la loro felicità dalla sicurezza di cui essi godono, e dalle lodi che essi cantano continuamente a Dio (3, 4).

III. – Aspira alla perfezione cristiana come mezzo per giungere a questa felicità, perfezione:

1° che si comunica con la grazia di Dio e la risoluzione di avanzare nel cammino della virtù (5);

2° che si continua con una applicazione costante alla penitenza (6),

3° che si completa con l’aumento della grazia, l’esercizio delle virtù e l’unione con Dio. (7).

IV. – Egli indica i mezzi attraverso i quali Dio ci aiuta a pervenire a questa perfezione:

1° Una preghiera supplichevole, – a) al fine di ottenere il soccorso di Dio per compiere la volontà divina (8); – b) per applicare, mediante la grazia, all’anima fedele, i meriti di Gesù-Cristo (9); – c) per dirigere il grande affare della elezione (9).

2° La scelta che egli fa della via della perfezione cristiana, quantunque penosa, in luogo della vita comoda e facile dei peccatori (10); – a) a causa della misericordia di Dio, che promette il cielo; – b) della sua veridicità, che compie le sue promesse; – c) della sua liberalità, per cui dà la grazia a tutti, – d) della sua giustizia, che concede la gloria all’anima fedele (11); – e) a causa dei beni stessi di questa vita, che Dio non rifiuta affatto alle anime innocenti e che sperano in Lui (12).   

Spiegazioni e Considerazioni

I. — 1, 2.

ff. 1, 2. – Ogni parola, in questi due versetti, è come un trattato di fuoco, e mai l’amore impiegò espressioni più vive: è il grido del desiderio di un uomo che si sente come straniero sulla terra, e che sospira alla sua patria che è il cielo. La vivacità di questo desiderio nasce da due cose: dalla bellezza e dalle attrattive della patria, e dalla durezza dell’esilio. – Il desiderio sì vivo, produce una sorta di debolezza in tutto il suo essere: è ciò che i Santi esprimono con i termini di fuoco, di ferita e di estasi, tre effetti che essi attribuiscono all’amore divino. Quando l’anima ne è penetrata in tutte le sue potenze, essa perde in qualche modo la sua attività, scivola nel seno di Dio, e si perde in questo oceano di tutte le beatitudini e di tutte le perfezioni (Berthier). – Il cuore trasale di gioia e si attacca la dove è il suo tesoro. Per quali beni sobbalza il cuore della maggior parte degli uomini? Gli uni desiderano i beni della terra, le ricchezze di questo secolo; altri i primi posti nella Chiesa, la gloria che viene dagli uomini. Quanto a me, il mio unico desiderio è quello di vedere i tabernacoli eterni ove io contemplerò non più la riunione dei vizi, ma la felice riunione di tutte le virtù. – L’amore del Dio vivente ha, per il cuore distaccato dalla terra, delle delizie infinitamente più pure, più veraci e più dolci di tutte quelle del secolo. « Il mio cuore e la mia carne hanno sussultato nel Dio vivente » È l’espressione di un amore portato al suo grado più alto, perché altrimenti il cuore e la carne non avrebbero questa santa unanimità di gioia e di desiderio (S. Ger.).

II — 3, 4.

ff. 3, 4. – Il Profeta giunge a dirci che il suo cuore si era slanciato così come la sua carne, e li designa sotto il nome di: passero e tortorella: il suo cuore è come il passerotto e la sua carne come la tortorella. Il passerotto ha trovato una casa: il mio cuore ha trovato una casa. Esso esercita le sue ali nelle virtù che si praticano in questa vita, nella fede, nella speranza e nella carità per mezzo delle quali esso vola verso la sua casa, e quando vi sarà giunto, vi resterà, e la voce del passerotto, che è lamentosa quaggiù, non lo sarà più qui, perché è egli stesso il passero lamentoso del quale dice in un altro salmo: « … come il passero solitario sul suo tetto. » (Ps. I, 8). Da questo tetto egli vola alla casa. Benché sia già sul tetto che calpesta come sua dimora carnale, egli avrà una casa celeste, una dimora eterna. Là, il passero metterà fine ai suoi lamenti (S. Agost.). – Quando il nostro cuore ha sussultato a lungo per Dio, quando i nostri desideri ci hanno portato verso di Lui, come l’uccello vola verso la casa; quando abbiamo per lungo tempo vegliato, pregato a lungo, sospirato, Dio ascolta i nostri pianti e mette fine ai nostri languori, Egli ci mostra il luogo ove ci si riposi, amandolo e contemplandolo. Egli ci apre la casa del passero, la casa del cielo (Mgr. De la Douillerie, Symbol. 2° par.). – Ma alla tortorella – la carne – il Profeta ha donato dei piccoli; al passero una casa; alla tortorella un nido, un nido per deporre i suoi piccoli. Si sceglie una casa per abitarvi sempre; un nido è fatto da un cumulo di detriti per un breve tempo. Con il cuore noi pensiamo a Dio come un passero che vola verso casa; con la carne, noi compiamo le nostre buone opere, perché è con esse che noi facciamo tutto ciò che ci viene prescritto e tutto ciò che ci viene in soccorso in questa vita: « e la tortorella  cerca un nido per deporvi i suoi piccoli » … non faccia un nido nel primo spazio trovato, per deporvi i suoi piccoli, ma che produca le sue opere nella vera fede, nella Fede cattolica, nella comunione dell’unità della Chiesa (S. Agost.). – Se perseverate nella fede, la fede stessa è il nido in cui la tortorella deporrà i suoi piccoli, perché a causa della debolezza dei piccoli della vostra tortorella, Dio vi ha concesso di che fare un nido, e per questo si è rivestito di una carne che non è che fieno, per venire a voi. Deponete dunque in questa fede i piccoli che sono nati da voi, ed operate le vostre buone opere in questo nido. Quali sono questi nidi o qual è questo nido? Il profeta lo dice subito dopo: « … i vostri altari, o Signore degli eserciti » (S. Agost.). – La cima di un albero che si perde tra le nuvole, lo spesso fogliame in fondo al ramo, il cono oscuro di una casa isolata, è lo stazionamento che il passero preferisce. Ma dato che ha costruito il suo nido, si considera in tutta verità come a casa sua. Egli ha preso possesso della sua dimora: sta per diventare il capo di una nuova famiglia. Voi direte che è molto fragile questo posizionamento aereo. E tuttavia la sacra Scrittura lo cita molto saggiamente per l’uomo, per dargli un’utile lezione: « Quale confidenza si avrà, essa dice, in Colui che non ha neanche un nido? » (Eccli. XXXVI, 28). C’è bisogno che un dato giorno l’uomo anche sappia fissare la sua vita e che si ponga con onore là dove Dio gli ha creato dei doveri. – Ma sì modesto che possa essere il nido dell’uccello, vi ospita tutta la sua felicità; egli non lo lascia che per un istante e vi torna sempre con gioia. La femmina vi depone le sue uova; con quale cura, con quale tenerezza essa le cova e le riscalda, e più tardi lo farà con i suoi piccoli, quando esse saranno dischiuse. Chi di noi nel nido in cui la provvidenza l’ha posto, non ha riscaldato con il suo alito l’uomo dove dormono le proprie speranze! Tuttavia consideriamo che le nostre speranze saranno vane se hanno come oggetto solo i beni di questa vita passeggera … Il sant’uomo Giobbe, ricordando con amarezza le sue speranze deluse, si esprimeva con questa parole: « Io mi sono detto, pieno di fiducia: io morirò nel riposo nel piccolo nido che mi sono fatto » … « il nido in cui il patriarca vuole morire – dice S. Gregorio – (Moral., 1. XIX, c. 27), è l’immagine della pace profonda che solo la Chiesa assicura ai suoi figli fedeli, facendoli crescere nella sua fede e riscaldandoli nel suo amore, fino a che le loro ali si siano ingrandite per prendere il volo verso la patria celeste ». – « La Chiesa è come la tortorella che sa trovare un nido per i suoi piccoli ». Ma Davide designa ancor più chiaramente il nido in cui voglio vivere e morire: « La tortorella – egli dice – trova un nido per i suoi piccoli; ed io, mio Dio delle virtù, io non domando che i vostri altari ». Si, i vostri altari, Signore, intorno ai quali ha gioito nella mia giovinezza; i vostri altari ove io mi nutro ogni giorno dell’Alimento dei forti; i vostri altari verso i quali si slancia il mio cuore, come l’uccello che esce dal suo nido, per elevarmi di virtù in virtù e salire fino a Voi; i vostri altari che io voglio abbracciare morendo; i vostri altari dai quali non mi allontanerò se non per unirmi a Voi nel cielo! (Symbol. Ibid.) – Il Profeta desidera con ardore la patria celeste; ma essendone lontano, trovando la sua più viva immagine nell’altare del Signore, vi riposa come un uccello nel suo nido. L’altare è in effetti l’immagine più vivente del cielo; è circondato da mille cose che ricordano questa celeste patria: è là che viene immolato tutti i giorni questo Agnello che ci ha aperto, con il suo sangue, l’atrio dell’eternità, è là che ci è dato il pegno dell’immortalità; là noi siamo più vicini a Dio, la preghiera è più intima, la lode più attenta e pia. Tutti gli uccelli si trovano nel luogo del riposo, ed anche il passero più piccolo ha la sua casa ed il suo nido. Non soltanto l’uccello attivo e vivace, come il passero, ma anche l’uccello amico della solitudine, come la tortorella, ha un nido per deporvi i suoi piccoli e per vivere in sicurezza, …ed io, Signore, che viva di una vita attiva, come il passero, o scelga la solitudine, come la tortorella, avrò il mio riposo ed il mio nido presso i vostri altari, e potrò venire a riposare di tempo in tempo, e deporvi, come dei piccoli nel nido della loro madre, la mie preghiere, le mie voci, i miei casti desideri, le mie meditazioni ed il tributo delle mie lodi (S. Girol. – Bellarm.). – Ciò che è l’anfratto per il passero, il nido per la tortorella, sia l’altare per il nostro cuore. Verso questo tabernacolo, rivolgiamo le invocazioni più penetranti e le più grandi tenerezze delle nostre anime, i sospiri più ardenti del nostro cuore: « … i vostri altari, Signore Dio delle virtù, i vostri altari », ecco il rifugio, la protezione, il bastione! – Perché coloro che abitano nella vostra dimora sono felici? Cosa possederanno, cosa faranno? Tutti coloro che si dicono felici sulla terra possiedono qualcosa e fanno qualcosa. Tale uomo è felice in ragione delle tante terre, dei tanti servitori, del tanto oro e del tanto denaro: lo si dice felice di ciò che possiede. Un altro è felice perché è giunto ad alte dignità, è un governatore, un prefetto; lo si dice felice di ciò che ha fatto. L’uomo è dunque felice in ragione di quanto possiede ed in ragione di quanto fa. Da dove verrà dunque la felicità per coloro che abitano nella dimora del Signore?  Cosa possiederanno? Cosa faranno? Quel che possederanno lo dice più avanti: « Felici coloro che abitano nella vostra dimora! » Se voi possedete la vostra casa, siete povero; se possedete la casa di Dio, allora siete ricco. Nella vostra casa, voi avete paura dei ladri; ma Dio stesso è il muro che protegge la casa di Dio: « felici dunque coloro che abitano nella vostra casa! » Essi possiederanno la Gerusalemme celeste, senza angosce, senza oppressioni, senza differenze, senza limite di possesso; tutti la possiedono ed ognuno la possiede interamente. Che ricchezze immense! Il fratello non mette più il fratello nella ristrettezza: in cielo non c’è indigenza. Ed ora cosa faranno? Perché quaggiù la necessità è la madre di tutte la azioni umane … diteci dunque, cosa faranno nel cielo poiché non vi è alcuna necessità che spinga ad agire: « … essi vi glorificheranno nei secoli dei secoli ». Questa sarà la nostra unica occupazione, un alleluia senza fine. E non crediate che ne possa derivare alcun disgusto, sotto pretesto che se oggi lo ripetete per molto tempo, non potreste perseverare, perché è la necessità che vi distoglie da questa gioia;  ebbene, noi non potremmo gioire di ciò che non vediamo, tuttavia in mezzo alla tribolazioni della vita e malgrado la fragilità della nostra carne, se noi lodiamo con ardore gioioso ciò che crediamo, con quale trasporto loderemo ciò che vedremo? Siamo senza inquietudine; la lode di Dio, l’amore di Dio non ci causerà sazietà! Se potreste cessare di amarlo, potreste cessare di lodarlo, ma se il nostro amore per Dio è eterno, la vostra vista non potrà saziarsi della sua beltà. Non temete di non poter lodare Colui che potrete amare sempre (S. Agost.). – Per troppo tempo, come passero solitario, mi sono tenuto lontano da Voi, mio Dio! Quando avrò alfine questo bene di abitare in Voi, o Gesù? Quando potrò alfine dire che il passero ha trovato una dimora? – È una dolce idea da meditare quella di una dimora. Io non so cosa ne penseranno gli uomini di oggi, perché non parrebbero comprendere qual bene sia l’avere una dimora. Nella nostra società agitata e mutevole, più simile – sotto i brillanti aspetti del lusso e del piacere – ad una tribù nomade, che ad un popolo di famiglie unite in una patria comune, ci si fa facilmente l’idea di non avere casa e di abitare là dove ci si trovi, senza luogo, perché si è senza affezione; senza casa, perché senza famiglia, o ben presto senza patria, perché si è senza ricordi e senza speranze… Una casa è una famiglia, e come la famiglia non è che l’estensione dell’uomo, una casa è un simbolo sviluppato e fecondo dell’uomo tutto intero. Una porta, delle entrate e delle uscite, è l’immagine della volontà con la quale l’anima si espande al di fuori o si raccoglie in se stessa; una finestra che riceve la luce dal cielo, come l’intelligenza rischiarata dalla luce di Dio; una tavola che si nutre di un pane comune, simbolo del vero nutrimento delle nostre anime; un focolare, immagine del principio stesso della vita, centro, luogo che unisce tutti i membri della famiglia. Quali delicati misteri espressi da questi segni volgari! Ma soprattutto, in questa casa, termine di una unità collettiva, quante dolci soddisfazioni per il cuore! È in essa che vi si trova un padre, una madre, una sposa, dei fratelli, dei servitori, degli amici, ed anche qualche straniero al quale si rende il viaggio più piacevole e sicuro. Una  casa per cui si può dire: io qui sono nato, qui ho ricevuto le prime tenerezze e gli ultimi addii da mio padre, e con essi le tradizioni da conservare e le speranze da trasmettere. – Il Cristiano, che non vive solo la vita della natura, ma pure la vita della grazia, ha anch’egli una casa, la casa di Dio. Là egli nasce, si nutre, là trova suo Padre, dei fratelli, tutta una famiglia. Santa casa, quali piacevoli rifugi, quante gioie intime e quali dolci trasporti rivivono i profughi che vi rientrano dopo averla lasciata! La sua porta è la porta del cielo; il giorno che riceve dall’alto è veramente la luce eterna del Dio che vi abita e che si degna di conversare con noi (Mgr Baudry, Le Sacre-Coeur, p. 54, 55.)

III. — 5-7.

ff. 5-7. – Il Profeta ci dà qui i motivi che devono eccitarci a tendere sempre più verso il cielo. – 1° Dio che ci aiuta in questo lavoro! « Felice l’uomo che attende da Voi il suo soccorso »; – 2° la natura del cuore dell’uomo che desidera sempre elevarsi più in alto, e che resta pieno di inquietudini finché non riposi in Dio; – 3° il luogo da dove bisogna salire « in questa valle di lacrime »; – 4° il luogo ove bisogna tendere « per elevarsi fino al luogo che si propone ». Cos’è dunque ciò che Dio dona a colui che pone in Lui tutta la speranza ed il soccorso che attende? « Dio ha disposto dei gradi nel suo cuore ». Egli ha fatto dei gradini che gli servono per salire. Dove ha fatto questi gradini?  Nel suo cuore. Dunque, più amerete, più salirete. « Egli ha disposto dei gradini nel suo cuore! » Chi li ha disposti? Colui che ha preso ed elevato: « Felice colui che Voi prendete ed elevate verso di Voi. »; siccome l’uomo non può nulla da se stesso, è necessario che la vostra grazia lo prenda. E che fa la vostra grazia? Essa dispone dei gradini. Dove dispone questi gradini? « nel suo cuore, nella valle del pianto ». In questa valle del pianto, potete riconoscere il torchio; le pie lacrime della tribolazione sono il vino dolce dell’amore. « Egli ha disposto dei gradini nel suo cuore! » Dove dunque li ha disposti?  « Nella valle di lacrime » Quaggiù dunque Egli ha disposto questi gradini; perché quaggiù … si piange dove si semina. « Essi andavano e camminavano, dice il Profeta, e piangevano gettando la semenza nella terra » (Ps. CXXV, 6). Dio ha dunque disposto per sua grazia dei gradini nel vostro cuore. Salite questi gradini con l’amore; perché da questo deriva che bisogna cantare il cantico dei gradini. E questi gradini, dove sono disposti per voi? « … nel vostro cuore, nella valle di lacrime ». Per salire dove? « Nel luogo che Egli ha preparato » (Ps. LXXVIII, 7). Cosa vuol dire fratelli miei: « Nel luogo che Egli ha preparato? » Questo luogo che Dio ha preparato, se era possibile dire, lo dirà il Profeta. Egli vi ha già detto: « Egli ha disposto dei gradini nel cuore, nella valle di lacrime ». Voi chiedete: per andare dove? Cosa egli vi dirà? « … verso ciò che l’occhio non ha mai visto, e l’orecchio mai inteso, verso ciò che non è salito nel cuore dell’uomo » (1 Cor. II, 9).  Questo luogo è una collina, è una montagna, è una terra, è un prato; questo luogo ha ricevuto tutti questi nomi; ma ciò che esso sia in realtà e non per comparazione, chi ce lo spiegherà? « Perché noi vediamo ora attraverso uno specchio ed in enigma ciò che è questo luogo, ma allora lo vedremo faccia a faccia (Ibid. XIII, 12). Non cercate dunque quale sia il luogo designato con queste parole: « … verso il luogo che Egli ha preparato ». Questo luogo è conosciuto da Colui che ha preparato il posto ove vi condurrà, attraverso i gradini disposti nei vostri cuori. Temete dunque di salire per timore che Colui che vi conduce non si inganni?  – Ecco che Egli ha disposto dei gradini nella valle del pianto per salire « … verso il luogo che Egli ha preparato ». Noi oggi piangiamo. Di qual luogo? Del luogo ove sono posti i suoi gradini (S. Agost.). –  « Perché il legislatore darà la sua benedizione. » È ciò che dice l’Evangelista S. Giovanni: « Noi tutti abbiamo ricevuto della sua pienezza, e grazia su grazia, perché la legge è stata data da Mosè, la grazia e la verità sono venute da Gesù-Cristo. » (Giov. I, 17, 18). La legge non dava la grazia necessaria al compimento dei suoi precetti, perché la grazia e la giustizia non sono per la sua legge; ma « ciò che era impossibile alla legge, Dio, questo divino Legislatore, l’ha fatto Egli stesso, inviando suo Figlio che ha diffuso nelle nostre anime lo spirito di grazia, affinché la giustizia della legge si compisse in noi (Rom. VIII, 3, 4). – Non bisogna mai fermarsi sulla via del cielo: non avanzare significa retrocedere. – Facendo l’opera della verità nella carità, cresciamo in ogni modo in Gesù-Cristo nostro Capo (Ephes. IV, 15). Ahimè per la maggior parte dei Cristiani, la vita è una discesa perpetua: essi scendono, o piuttosto rotolano su questa pendenza maledetta nella quale li trascinano le loro inclinazioni viziose. – San Gregorio vede nelle montagne l’insieme delle divine contemplazioni, e spiega così le elevazioni che Dio dispone nel nostro cuore dopo averci posto nella valle di lacrime: « più in effetti il Signore ci tiene abbassati nella tristezza e nell’umiltà, più ci porta in seguito verso di Lui sulle altezze della contemplazione. » (Moral. XXX, 19). – Oh! Quanto è consolante questo pensiero e quanto dolce è il fermarvisi. Noi non possiamo, ahimè compararci a queste alte montagne che sono gli Angeli, i santi i Profeti, gli Apostoli. In noi tutto è vile e basso, ed il peccato ci ha fatto scendere fino alle profondità degli abissi. Ma nella miseria nera, siamo umili. Dio disporrà in noi ammirabili altezze, Egli eleverà le nostre anime, i nostri cuori, i nostri spiriti, e sulle cime ove ci porterà, noi benediremo il Signore, che a suo piacere ha fatto sorgere le montagne e fatto discendere le pianure nei luoghi che ha scelto. (Mgr. De La Bouillerie, Symbol., p. 208). – « Nella valle delle lacrime ». Dopo la caduta di Adamo, quanti torrenti di lacrime sono colati in questa valle! Quante sofferenze! Quanti dolori amari! Quante angosce lamentevoli! Ma ciò che deve fare scorrere soprattutto le nostre lacrime, sono le nostre colpe … La terra sia per noi una valle in cui colino le lacrime del nostro pentimento. Dio verrà a visitarci, e nel nostro cuore penitente disporrà Egli stesso i gradini che ci faranno salire verso di Lui (idem, p. 218). Quale immagine quella dei gradini formati nel cuore per risalire da questa valle di lacrime fino al soggiorno ove esse saranno asciugate! « Dio disseccherà tutte le lacrime » (Apoc. VII, 17). È così che il cuore parla, e se gli si domanda quali siano questi gradini, dirà che esse sono le prove della pazienza sostenuta dall’amore e dalla speranza (La Harpe). – I legislatori umani non danno la forza necessaria per compiere le prescrizioni che essi impongono. La legge data da Mosè stesso, era impotente sotto questo aspetto: « La legge è stata data da Mosè, la grazia e la verità da Gesù-Cristo » (Giov. I, 17). – Noi abbiamo in questi due versetti tutta la scienza della vita spirituale. Dio è la forza e l’appoggio di coloro che aspirano a possederLo nella eterna felicità; nel loro cuore, si formano delle strade che si elevano sempre di più verso la patria celeste. Essi camminano verso la verità, in questo mondo che è una valle di lacrime; ma essi hanno sempre di vista il termine dei loro desideri. Dio li consola in questa marcia, e Gesù-Cristo, il divino Legislatore, di cui seguono le lezioni e gli esempi, li colma di benedizioni. Essi avanzano così sempre nel cammino della virtù, e si preparano l’entrata della santa Sion (Berthier). – Obbligo cristiano è il non essere mai soddisfatto dello stato di santità in cui ci si trova, ma l’avanzare sempre di virtù in virtù. – Non proferite dunque mai questa parola indegna di una bocca cristiana: io lascio la perfezione ai religiosi ed ai solitari, troppo felici di evitare la dannazione eterna. No, non vi illudete: chi non tende alla perfezione, cade ben presto nel vizio; chi sale ad un’altezza, se cessa di elevarsi con uno sforzo continuo, è spinto dalla stessa pendenza, ed il suo stesso peso lo precipita. Ecco perché la Scrittura ci interdice di arrestarci un solo momento. Se, secondo l’Apostolo San Paolo, la vita tortuosa è una corsa, occorre, come questo Apostolo, avanzare sempre, dimenticare ciò che si è fatto, correre senza risparmio, ed immaginare un riposo solo alla fine della carriera, ove ci aspetta il premio della corsa (Bossuet, IV Serm. p. Pâques). – I giusti vanno di forza in forza, sempre più forte, secondo il senso del testo ebraico, o di virtù in virtù, secondo la nostra versione latina, passando da una virtù imperfetta ad una virtù perfetta, dalla virtù dell’azione, a quella della contemplazione, dalle virtù necessarie in questo mondo per salvarsi, a quelle che fanno la felicità del cielo, là dove non ci sarà più bisogno di prudenza, perché non ci saranno pericoli, né di giustizia umana –  non esistendo più l’ingiustizia – né di forza, perché non ci sarà  nulla da temere, né infine di temperanza, perché le passioni saranno tutte cessate (Bellarm.). – I gentili avevano degli dei visibili, ma essi non erano veri dei, gli ebrei adoravano il vero Dio, ma non era visibile. Il Dio dei Cristiani è il vero Dio, e si è reso visibile mediante l’Incarnazione. « Egli è stato visto sulla terra, ed ha conversato con gli uomini » (Baruch, III, 38). – Ma è soprattutto nel cielo che Lo vedremo faccia a faccia, così com’è. La visione di Dio è la ricompensa, il fine ed il frutto di tutti i nostri lavori, di tutte le nostre virtù, di tutte le nostre pene. Chi non preferirebbe un frutto assai prezioso, del tutto incomparabile, a tutte le cose visibili ed invisibili? Quale cuore tanto freddo non sarebbe infiammato da questa visione di Dio? (S. Bernard.). 

IV — 8-12

ff. 8, 9. – Se noi vogliamo essere esauditi quando ci avviciniamo a Dio con la preghiera, bisogna che Egli ci consideri Gesù-Cristo suo Figlio, mediatore tra Dio e gli uomini. Noi dobbiamo metterLo sempre tra Dio e noi, affinché Dio non ci veda se non attraverso i suoi meriti, e come coperti dal suo sangue. – Dio non ascolta se non le preghiere di Gesù-Cristo, non guarda se non Gesù-Cristo, e non getta gli occhi se non sul volto di Gesù-Cristo. Nessuna protezione c’è fuori da Gesù-Cristo; nessuna salvezza se non attraverso Gesù-Cristo; nessun bene se non per grazia sua, nessuna grazia che non venga dai suoi meriti. – Il Sacerdote ha un diritto tutto particolare per offrire a Dio questa preghiera; sì, o Dio, dato che non si tratta solo della Persona del Figlio vostro, ma di tutto ciò che rappresenta, di tutto ciò che continua e prolunga, nella razza umana, questo Figlio divenuto il “Figlio dell’uomo”; sì, c’è di che attirare il vostro sguardo, c’è un legittimo oggetto dei vostri pensieri e delle vostre attenzioni. Il più piccolo tra i battezzati vi ha un diritto rigoroso: quanto di stupefacente Voi fate alla maggior parte dei vostri preti, ai vostri pontefici, a coloro in cui rivive il reale Sacerdozio, il Sacrificio supremo del vostro Figlio incarnato? Dimenticate, o Dio, dimenticate tutto ciò che è proprio e personale alla vostra mirabile creatura, e guardate in essa solo la faccia del vostro Cristo (Mgr. Pie, Disc. Etc. VIII, p. 244).

ff. 10. – La bellezza della giustizia è sì grande, la luce è eterna, cioè la verità, la saggezza immutabile hanno tante attrattiveche non ci sarebbe dato di gioirne in un solo giorno, negli anni di questa vita, benché numerosi e pieni possano essere di gioie e delizie, non ci parrebbero degni che di disprezzo (S. Agost.;  De liber arbitr. cap. ult.). – Gli uomini desiderano migliaia di giorni, vogliono vivere per lungo tempo su questa terra; disprezzino i migliaia di giorni e desiderino un giorno solo, il giorno eterno al quale il giorno della veglia non ha fatto posto e che il domani non fa cessare. Non desideriamo che questo solo giorno! Che avremo da fare di migliaia di giorni? Da questi mille giorni noi avanziamo verso un giorno solo (S. Agost.). – « Meglio un giorno nel vostro Paradiso che migliaia di altri, ecco perché io ho amato di più essere l’ultimo nella casa del mio Dio, che abitare nelle tende dei peccatori ».  L’orgoglio sale sempre, secondo l’espressione del salmista (Ps. LXXIII, 23), fino a perdersi nelle nubi; gli uomini ambiziosi non danno alcun limite alla loro elevazione; coloro che abitano i palazzi dei re non cessano di affrettarsi fino a quando non occupano i più alti palazzi: voi che scegliete per dimora la casa del vostro Dio, seguite un’altra condotta e non imitate queste alacrità. Se i re, se i grandi del mondo disprezzano coloro che essi vedono negli ultimi ranghi e non disdegnano di arrestare su di essi i loro sguardi superbi, è scritto al contrario che Dio, il solo grande, guardi da lontano e con alterigia tutti coloro che fanno i grandi davanti alla sua forza, e volge gli occhi favorevolmente su coloro che sono abbassati. Ecco perché il Re-Profeta discende dal suo trono e sceglie di essere l’ultimo nella casa del suo Dio, essendo così più sicuro di essere protetto nella sua umiliazione che se levasse la testa e si mettesse al di sopra degli altri (Bossuet, I Serm. de profession, Exord.).

ff. 11. – Nel mondo non si incontra che durezza, insensibilità, menzogna, vanità. Dio è misericordioso, è per questo che dà la grazia; Dio è verace nelle sue parole, è per questo che conferisce la gloria. La grazia precede la gloria e la gloria presuppone il buon uso della grazia. Quando Dio ci dona la gloria, corona i nostri meriti, che sono il frutto della sua grazia. La misericordia e la verità di Dio sono il fondamento e l’appoggio della nostra fiducia (Berthier). –  « Il Signore darà la grazia e la gloria ». a Dio solo appartiene dare la grazia, senza la quale noi non possiamo nulla, e con la quale possiamo tutto. Gesù-Cristo non ha detto: … senza di me, voi farete il bene più difficilmente, bensì: « … senza di me non potete far nulla » (Giov. XV, 5). È la grazia di Dio che effonde nel nostro spirito la prima luce che ci illumina su che cosa si debba fare: « … lo spirito è nell’uomo, e l’ispirazione dell’Altissimo dona la saggezza; » (Giob. XXXII, 8); è la grazia di Dio che eccita i movimenti pii della volontà, « è Dio che con la sua volontà, opera in voi il volere ed il fare; » (Filip. II, 13); è la grazia di Dio che è il principio e la causa di tutte le buone opere: « … io non faccio il bene che voglio, » (Rom. VII, 15); « … non io, ma la grazia di Dio con me.» (I Cor. XV, 10). A Dio solo appartiene darci la gloria e dirci: « … venite benedetti del Padre mio, possedete il reame che vi è stato preparato dall’inizio del mondo. » (Luc. XI, 50). La grazia è il principio della gloria, e la gloria è la consumazione e la ricompensa della grazia.

ff. 12. – Per qual motivo, o uomini, acconsentite a perdere la vostra innocenza se non per procurarvi dei beni? Un uomo acconsente a sacrificare la propria innocenza per non restituire il deposito che gli è stato affidato; egli vuol possedere l’oro: perde l’innocenza! Cosa guadagna? Cosa perde? Per guadagno ha l’oro, come perdita la sua innocenza. Vi è qualcosa di più prezioso dell’innocenza? Ma – si dirà – se conservo la mia innocenza, io sarò povero. L’innocenza dunque è una mancata ricchezza? E voi, se avete un forziere d’oro, siete forse ricco? E se avete un cuore pieno di innocenza, siete povero? Se desiderate i veri beni, conservate ora l’innocenza, nell’indigenza, nella tribolazione, nella valle di lacrime, nell’oppressione, nelle tentazioni; perché così voi avrete in seguito i beni che desiderate: il riposo, l’eternità, l’immortalità, l’impassibilità; ecco i beni che Dio riserva ai suoi giusti. Quanto ai beni ai quali aspirate attualmente, attendendovi un grande premio, e per il possesso dei quali accettate di essere colpevole e di perdere la vostra innocenza, considerate coloro che li hanno, che li possiedono in abbondanza. Voi vedete le ricchezze nelle mani di ladri, di empi, di scellerati, di infami, di uomini perduti in vizi e mancanze; Dio li dà loro in ragione dell’unione comune del genere umano, e dell’ineffabile abbondanza della sua bontà; perché Egli « … fa sorgere il sole egualmente sui giusti e sugli ingiusti » (Matt. V, 45). – Se Egli dà sì grandi beni ai malvagi, voi non riceverete nulla? Vi ha dunque fatto delle promesse menzognere? Rassicuratevi, è un grande bene che vi riserva. Colui che ha avuto pietà di voi quando eravate empi, vi abbandona ora che siete giusto? Egli che ha concesso al peccatore la morte di suo Figlio, cosa riserverà all’uomo salvato dalla morte di suo Figlio? Rassicuratevi dunque. Credete che si è fatto vostro debitore, perché voi avete creduto alla sua promessa di donatore: « Il Signore non priverà di beni coloro che camminano nell’innocenza. » Cosa ci resta dunque nell’oppressione, nell’afflizione, nell’avversità, nei pericoli della vita presente? Cosa ci resta per arrivare al cielo? « Signore, Dio degli eserciti, felice l’uomo che mette la speranza in Voi!» (S. Agost.).

SALMI BIBLICI: “DEUS, QUIS SIMILIS ERIT TIBI?” (LXXXII)

Salmo 82: DEUS QUIS SIMILS ERIT TIBI?”

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS.

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

[Canonico titolare della Chiesa di Soissons, Professore emerito di Scrittura santa e sacra Eloquenza]

TOME DEUXIÈME.

PARIS – LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR 13, RUE DELAMMIE, 1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

Salmo 82

Canticum Psalmi Asaph.

[1] Deus, quis similis erit tibi?

ne taceas, neque compescaris, Deus:

[2] quoniam ecce inimici tui sonuerunt, et qui oderunt te extulerunt caput.

[3] Super populum tuum malignaverunt consilium, et cogitaverunt adversus sanctos tuos.

[4] Dixerunt: Venite, et disperdamus eos de gente, et non memoretur nomen Israel ultra.

[5] Quoniam cogitaverunt unanimiter, simul adversum te testamentum disposuerunt:

[6] tabernacula Idumæorum et Ismahelitae, Moab et Agareni,

[7] Gebal et Ammon, et Amalec; alienigenæ cum habitantibus Tyrum.

[8] Etenim Assur venit cum illis, facti sunt in adjutorium filiis Lot.

[9] Fac illis sicut Madian et Sisarae, sicut Jabin in torrente Cisson.

[10] Disperierunt in Endor, facti sunt ut stercus terræ.

[11] Pone principes eorum sicut Oreb, et Zeb, et Zebee, et Salmana; omnes principes eorum

[12] qui dixerunt: Hæreditate possideamus sanctuarium Dei.

[13] Deus meus, pone illos ut rotam, et sicut stipulam ante faciem venti.

[14] Sicut ignis qui comburit silvam, et sicut flamma comburens montes;

[15] ita persequeris illos in tempestate tua, et in ira tua turbabis eos.

[16] Imple facies eorum ignominia, et quaerent nomen tuum, Domine.

[17] Erubescant, et conturbentur in sæculum sæculi, et confundantur, et pereant.

[18] Et cognoscant quia nomen tibi Dominus; tu solus Altissimus in omni terra.

[Vecchio Testamento Secondo la Volgata Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

SALMO LXXXII.

Orazione in tempo di guerra, probabilmente quella di cui si parla al lib. 1, c. 6, de’ Maccabei.

Secondo S. Agostino, lo Spirito Santo mirò a quella dell’Anticristo contro la Chiesa; certamente poi l’intenzione di questo Salmo abbraccia la Chiesa.

Cantico, o salmo di Asaph.

1. Chi a te sarà simile, o Dio? non istar cheto e non rattenerti.

2. Imperocché ecco che gran rumore menano i tuoi nemici, e quei che ti odiano hanno alzata la testa.

3. Han formato de’ malvagi disegni contro il tuo popolo; e han macchinato contro dei santi tuoi.

4. Hanno detto: Venite, leviamoli dall’essere di nazione; e non si rammenti mai più il nome d’Israele.

5. Imperocché hanno fatta cospirazione, hanno formata

6. alleanza insieme contro di te i padiglioni degl’Idumei e gl’Ismaeliti;

7. Moab e gli Agareni, Gebal e Ammon e Amalec, gli stranieri cogli abitanti di Tiro.

8. Con essi è venuto anche l’Assiro; ha dato aiuto a’ figliuoli di Lot.

9. Fa ad essi come a’ Madianiti e a Sisara e come a Jabin al torrente di Cisson.

10. Eglino perirono in Endor; diventarono come lo sterco della terra.

11. Tratta i loro principi come Oreb e Zeb e Zebee e Salmana.

12. Tutti i loro principi, i quali hanno detto: Occupiamo come nostra eredità il santuario di Dio.

13. Dio mio, fa che sieno come ruota, e come paglia al soffiare del vento.

14. Come fuoco che incendia la selva, e come fiamma che arde i monti;

15. Così tu col tuo spirito tempestoso gli assalirai, e coll’ira tua gli porrai in confusione.

16. Copri d’ignominia i loro volti, e cercheranno il nome tuo, o Signore.

17. Abbian vergogna e turbamento per sempre; e sieno confusi e periscano.

18. E conoscano che tu ti nomi il Signore, tu solo Altissimo sopra tutta la terra.

Sommario analitico

In questo Salmo, il Profeta, prevedendo la moltitudine innumerevole dei nemici che devono invadere la Giudea, prega Dio di punirli secondo i loro crimini, e la maggior parte degli interpreti vedono in questa lega quella che si formò contro Gesù-Cristo ai tempi della sua passione, e contro la Chiesa nascente.

I. – Egli eccita Dio alla vendetta, Egli che:

1° per la sua maestà è al di sopra di tutti;

2° per la sua parola può spaventare tutti gli uomini;

3° con la sua giustizia deve punire i crimini (1).

II– Enumera i nemici del popolo di Dio:

1° fa conoscere i loro crimini, – a) il loro tumulto, facendo irruzione nella Giudea (2); – b) il loro orgoglio, ripromettendosi la vittoria (3); – c) la loro malvagità volendo distruggere il popolo di Dio con una irruzione improvvisa; – d) la loro crudeltà che li porta a volere annientare la nazione santa (4); – e) la loro cospirazione contro Dio stesso (5).

2° fa conoscere i loro nomi. – a) Gli uni sono usciti da genitori che si tenevano a lato del popolo di Dio; – b) gli altri sono della razza straniera ed infedele (5).

III. – Predice il loro castigo.

1° Questo castigo sarà simile – per le loro armate a quello con cui Dio altre volte ha colpito i madianiti, Sisara e Jabin, – per i loro capi a quello che ha colpito i generali di questa armate (9-11).

2° La causa ne è la volontà apertamente confessata di impadronirsi del santuario di Dio (12),

3° Egli descrive questo castigo sotto differenti figure: essi saranno: – a) come una ruota sempre in movimento; – b) come la paglia portata dal vento (13); – c) come la foresta in preda alle fiamme, – d) come le montagne consumate da un fuoco interiore (14).

4° L’effetto di questo castigo sarà: – a) per i buoni, la confusione dei loro peccati e la ricerca di Dio (15, 16); – b) per i malvagi, una confusione ed un tumulto eterno, ed una conoscenza ormai tardiva della potenza e della maestà di Dio (17, 18).


Spiegazioni e Considerazioni

I.— 4.

ff. 1. – È il capo degli angeli ribelli che si è vantato per primo di « essere simile all’Altissimo »; ed è il primo degli Angeli fedeli che è precipitato dall’alto del cielo nel più profondo degli inferi con questa parola di luce e di fuoco: « Chi è simile a Dio? ». – O Dio, chi sarà simile a Voi? Io credo che queste parole si applichino particolarmente al Cristo, divenuto simile all’uomo, e che è sembrato agli occhi di coloro che lo disprezzavano, comparabile agli altri uomini. O Dio, chi sarà simile a Voi? Perché Voi avete voluto essere simile, nella vostra umiltà, ad un gran numero di uomini, ed anche ai ladroni che sono stati crocifissi con Voi; ma, quando verrete nella vostra gloria: « Chi sarà simile a Voi? » (S. Agost.).  

II. — 2 – 8.

ff. 2. – « Perché i vostri nemici hanno fatto grande rumore, e coloro che vi odiano hanno levato alta la testa ». Queste parole figurano gli ultimi giorni, ove i pensieri che il timore comprime ora esploderanno con libertà, ma in urla irrazionali, che sembreranno piuttosto un vano brusio di parole o di discorsi. Non è allora che comincerà l’odio contro di Voi; ma coloro che Vi odiano da lungo tempo, leveranno il capo. Non « le loro teste », ma « la testa », quando saranno giunti ad avere per testa Colui che si eleva al di sopra di tutto ciò che si chiama Dio, e tutto ciò che si adora come Dio (Tess. II,4) (S. Agost.). – Questi nemici del popolo di Dio e del suo Cristo, sono gli eretici ed empi, e tutti coloro che nel corso dei secoli si sono dichiarati in un modo o nell’altro contro la Religione, di cui il Profeta ha qui tracciato il loro carattere: – 1° essi sono i nemici di Dio e del suo Cristo e sono, come dice l’Apostolo, dei veri anticristi, perché spingono verso l’apostasia coloro che sono deboli nella fede, perché essi perseguono costantemente coloro che restano fermi nelle loro credenze: « Questi sono vostri nemici ». – – 2° Essi esercitano turbolenze negli Stati: « i vostri nemici hanno fatto grande rumore ». – 3° Essi sono pieni di orgoglio: « … e coloro che vi odiano hanno levato la testa ». – 4° Essi sono pieni di inganni e di malizia: « … hanno formato dei disegni pieni di malizia contro il vostro popolo ». – 5° Essi distruggono e rovinano ogni santità. « Essi hanno cospirato contro i vostri santi ». – 6° e non indietreggiano davanti alle più barbare e più crudeli misure: « Venite, sterminiamoli, etc. ». – 7° Essi vorrebbero distruggere fin nei ricordi la vera Fede. « … e che non si ricordi più in avvenire il nome di Israele ». – 8° Malgrado le loro numerose divisioni, essi si uniscono mirabilmente e formano dei corpi spaventosi contro la Chiesa; « … hanno cospirato insieme e hanno fatto lega contro di Voi. » –  Tutti i caratteri della malvagità sono designati in questi versetti: rabbia e gelosia segreta, complotti artificiosi e maligni, pensieri ponderati sui mezzi di nicumento, l’ardire nelle imprese, e tutto questo è immaginato contro coloro che servono il Signore in segreto, che sono nascosti agli occhi del mondo, e che passano la loro vita nel silenzio del ritiro (Berthier). – Diverse maniere vi sono di cospirare contro Dio e contro i suoi Santi: o con alterigia ed insolenza, o con mascheramenti pieni di malizia. Ma quale sia la cospirazione è sempre necessario che Dio vi sia compreso, poiché l’odio che Gli si porta, nella persona dei Santi, è per essi un pegno del suo amore e del suo soccorso. – I Giudei hanno detto di Gesù-Cristo: « Sterminiamolo dalla terra dei viventi »; ed è con la sua morte che ha fatto rivivere tutti i morti. Essi hanno detto « che il suo nome sia cancellato per sempre dalla memoria degli uomini » (Gerem. XI, 19); ed è questo stesso Nome, che essi hanno voluto cancellare, che è divenuto la venerazione di tutti gli uomini, ed il trionfo di tutta la terra. Così si compie l’impedimento della divina Sapienza che l’orgoglio degli uomini stimola, senza che essi pensino, nei loro disegni maliziosi, che voltano a loro rovina proprio quando non pensano che a rovinare gli altri (Duguet). – Le nostre passioni fanno nei nostri riguardi ciò che i nemici di Israele meditano contro questo popolo caro a Dio. Esse fanno degli sforzi continui per interrompere il santo commercio che ci deve essere tra Dio e noi (Berthier). – « Essi hanno cospirato di comune accordo, hanno formato una alleanza contro di Voi ». Non è ciò che si è già compiuto tra noi, e che vediamo rinnovarsi sotto i nostri occhi? – I re ed i potenti della terra hanno nuovamente offeso il regno di Dio e della sua Chiesa. Da lungo tempo si sente un fremito segreto delle Nazioni, un sordo fragore di popoli. Infine risuona il grido di guerra, l’empietà ha raccolto sotto i suoi stendardi mille soldati diversi che hanno dimenticato i loro pregiudizi di nascita, di opinione, di sangue, per coalizzarsi contro il nemico comune. Disuniti su mille altri punti, essi non hanno che un pensiero unanime. E qual è questo nemico contro il quale io vedo marciare questi battaglioni così serrati? Ah! Che altri si fermino a discutere le passioni secondarie, a deplorare il tremore del contraccolpo e degli incidenti della mischia; per me, elevandomi al di sopra di queste comuni calamità comuni per non considerare che la tendenza principale, io dirò con un re, grande uomo di stato, che nel fondo e nella sua essenza « … la cospirazione è ordita contro Dio e contro il Cristo; è Dio, il suo Cristo, del quale si vogliono distruggere le catene, scuoterne il gioco »  (Mgr. Pie, Disc. et Instruct., 11, p. 668.).  – Immagine fortemente sensibile di ciò che intraprendono i nemici contro di noi: essi si riuniscono per impadronirsi del Santuario di Dio, che è la nostra anima, ove, secondo l’Apostolo, lo Spirito Santo abita, e che essi considerano come una eredità che appartiene loro, perché noi siamo stati un tempo sotto l’impero del peccato.

III. — 9-18.

ff. 9-18. – Coloro che non perseguono se non il godimento dei desideri del loro cuore sono come una ruota in movimento perpetuo, che non si fermano davanti a niente di solido e regolato, senza consistenza nei loro pensieri, senza gravità nei loro disegni, senza solidità nei loro desideri. Essi rotolano in questa vita, sempre precipitandosi verso il termine, senza percepire il danno del pericolo. Essi fanno – dice S. Agostino – come la ruota che si trova su un terreno in pendenza: essa si alza da dietro e si abbassa davanti, mentre che, per evitare la caduta, essa dovrebbe fare tutto al contrario (Berthier). –  In questa figura: « … mio Dio, rendeteli come una ruota », si può vedere anche Dio che confonde i vani progetti degli ambiziosi, facendoli ben presto giungere fino in cielo, con la follia delle loro pretese, e facendoli subito discendere fino al fondo degli abissi, con il nulla delle loro imprese, permettendo che si ingannino e tornino incessantemente in ciò che essi chiamano con vera ragione, la ruota della fortuna, ed è nella loro persona che si compie quella voce che il profeta indirizza a Dio, … di far girare gli empi come una ruota (De Boulogne, sur l’amb.). – Gli empi e gli eretici sono simili ad una ruota, perché sono in agitazione perpetua; – poiché hanno un bell’agitarsi, un rimestarsi, non procedono in niente; – perché passano incessantemente da un’opinione ad un’altra. (S. Hil.  lib., II, de Trin.). « La forma della fede è certezza; ma, per gli eretici, tutti i loro pensieri sono pieni d’incertezza » – Essi sono ancora simili alla paglia portata dal vento: la paglia non ha alcuna forza di resistenza; essa è il trastullo continuo dei venti, è sollevata nell’aria, non per la sua gloria, ma per ricadere ben presto ignominiosamente nel fango. –  La prosperità dei malvagi è simile alla paglia che il vento disperde, ad una grande foresta divorata dal fuoco, o anche alle montagne che il fuoco consuma. – Ahimè che dire di questi uomini, che dire di un popolo il cui empio orgoglio, lontano dal decrescere ed abbassarsi, sembra al contrario montare ed ingrandirsi con il flusso delle umiliazioni: « Signore, diceva il Profeta reale, coprite la loro faccia di ignominia, e forse allora cercheranno il vostro Nome; che siano avvolti dall’onta, dalla confusione, dall’agitazione, e forse allora conosceranno che Voi siete il Padrone, che Voi vi chiamate il Signore e che solo Voi siete l’Altissimo sulla terra ». Ebbene! No. L’ignoranza, la confusione, la rovina, niente farà. Signore, i vostri occhi vedono la verità: Voi li avete colpiti, ed essi hanno pianto, il loro pianto non è stato che recriminazione e bestemmia; Voi li avete  schiacciati, e tutto il risultato del castigo, è che essi si sono impennati, si sono rivoltati sotto la verga della disciplina (Gerem. V, 6). Più incorreggibili e forsennati dei loro predecessori, questi nuovi “Antioco” non sono stati ricondotti dalla punizione divina a rientrare in se stessi; stesi sul giaciglio  della loro corruzione, sotto i fumi della loro fetida decomposizione, essi non possono risolversi a proclamare che sia giusto essere sottomessi a Dio, e non si addica ad un mortale ritenersi uguale all’Altissimo. Che dire dunque di una società che, posta nell’alternativa se tornare a Dio o a morire, dichiara con fierezza che « essa muore e non fa ritorno, muore ma non si converte? » (Mgr Pie, Disc, et Instruct., t. VIII, p. 74). – Essere perseguitati dalla misericordia di Dio, quando si fugge, quale felicità! Essere perseguito dal soffio imperioso della tempesta della collera di Dio, quale terribile disgrazia! – Due tipi di confusione vi sono: l’una salutare, l’altra funesta. La prima fa rientrare il peccatore in sé per confessare la sua cecità; la seconda lo agita, ma di un’agitazione eterna, che lo fa perire miseramente nel suo orgoglio. – Conoscere Dio e non adorarlo mettendo unicamente in Lui la nostra fiducia, riportandogli tutto quel che facciamo, lavorando per Lui solo, non è un buon conoscere. (Duguet). – Conoscere veramente Dio, è confessare la verità del suo Essere, adorarne la perfezione, ammirarne la pienezza, sottomettersi alla sua sovrana potenza, abbandonarsi alla sua alta ed incomprensibile saggezza, confidare nella sua bontà, temere la sua giustizia, sperare la sua eternità (Bossuet).

SALMI BIBLICI: DEUS STETIT IN SYNAGOGA DEORUM (LXXXI)

SALMO 81: “DEUS STETIT IN SYNAGOGA DEORUM

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS.

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

[Canonico titolare della Chiesa di Soissons, Professore emerito di Scrittura santa e sacra Eloquenza]

TOME DEUXIÈME.

PARIS – LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR 13, RUE DELAMMIE, 1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

Salmo 81

[1] Psalmus Asaph.

     Deus stetit in synagoga deorum;

in medio autem deos dijudicat.

[2] Usquequo judicatis iniquitatem, et facies peccatorum sumitis?

[3] Judicate egeno et pupillo; humilem et pauperem justificate.

[4] Eripite pauperem, et egenum de manu peccatoris liberate.

[5] Nescierunt, neque intellexerunt; in tenebris ambulant; movebuntur omnia fundamenta terrae.

[6] Ego dixi: Dii estis, et filii Excelsi omnes.

[7] Vos autem sicut homines moriemini, et sicut unus de principibus cadetis.

[8] Surge, Deus, judica terram, quoniam tu hæreditabis in omnibus gentibus.

[Vecchio Testamento Secondo la Volgata Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

SALMO LXXXI.

Esortazione ai giudici perché proferiscano giudizii giusti. A renderla più efficace, parla Dio come giudice supremo a’ giudici inferiori.

Salmo di Asaph.

1. Iddio sta nell’adunanza degli dei; e in mezzo a loro, degli stessi dei fa giudizio.

2. E fino a quando farete voi giudizii ingiusti, e avrete rispetti umani in grazia dei peccatori?

3. Rendete giustizia al povero e al pupillo; fate ragione al piccolo e al povero.

4. Difendete il povero; e strappate il mendico dalle mani del peccatore.

5. Sono nell’ignoranza, e privi del bene dell’intelletto, camminano nelle tenebre; sono scosse le fondamenta della terra.

6. Io ho detto: Voi siete dii e figliuoli tutti dell’Altissimo.

7. Ma voi, come uomini, morrete, e cadrete come uno dei principi.

8. Levati su, o Dio, giudica tu la terra; imperocché tu avrai per tua eredità tutte le genti.

Sommario analitico

Il profeta, desidera contenere nei loro doveri i giudici della terra e venire in aiuto del pio re Ezechia che, all’inizio del suo regno, ristabilì la buona amministrazione del suo regno con la buona regolazione della giustizia, dimenticata sotto i regni precedenti [Illengstenberg pensa che questo Salmo sia stato composto sotto il regno di Davide, ma la maggior parte degli esegeti moderni lo riconducono ai tempi di Ezechia o di Giosafat, che sono stati i restauratori del culto di Dio e della Giustizia].

I. – Rappresenta Dio:

1° presente in mezzo all’assemblea dei giusti;

2° E che li giudica pubblicamente (1).

II. – Li invita:

1° Ad evitare l’ingiustizia che li porta a rendere iniqui giudizi, e a fare eccezione tra persone (2);

2° a rendere la giustizia ai poveri, agli orfani, agli innocenti ed a liberare i poveri dall’oppressione dei peccatori (3, 4).

III. – Egli condanna.

1° La loro ignoranza nella scienza del diritto;

2° la loro negligenza nello studiare le cause che sono loro affidate;

3° la depravazione dei loro istinti, come tanti mali che distruggono i fondamenti degli Stati e delle società (5).

IV. – Predice che Dio li farà scendere dalla dignità elevata che essi occupano, li condannerà ad una morte obbrobriosa e disonorante come quella dei tiranni (6-7).

V. – Invita il Cristo ad esercitare il potere ricevuto di giudicare, su tutti coloro che appartengono al suo dominio (8).

Spiegazioni e Considerazioni

I. – 1.

ff. 1. – « Dio sta nella sinagoga degli dei ». Non si tratta qui di una presenza corporale di Dio, ma di una presenza spirituale, la sola conveniente alla sostanza che si pone in rapporto con le cose create, in modo meraviglioso, appena intellegibile per un piccolo numero di uomini. Dio si trova dunque invisibilmente nell’assemblea degli uomini, così come riempie pure invisibilmente il cielo e la terra, come Egli stesso dice per bocca del Profeta (Gerem., XXIII, 24). E non soltanto siamo in possesso della testimonianza, ma ancora, nella misura dello spirito umano, si riconosce che Dio abita in coloro che Egli ha creato, tutte le volte che un uomo sta alla sua presenza, lo ascolta, e si sente ricolmo di gioia, perché ascolta la voce divina nel più profondo del cuore (Giov. III, 29). – Ascoltate la voce di Dio che fa il discernimento, ascoltate la voce del Signore che divide la fiamma del fuoco (Ps. XXVIII, 7). « Fino a quando giudicherete con iniquità, e prenderete le parti dei peccatori? » … sarà fino all’avvento di Colui che è la luce del cuore? Io vi ho dato la mia legge; voi vi avete resistito con la vostra durezza. Io ho inviato i miei Profeti, voi li avete ricoperti di ingiurie e li avete messi a morte, o siete stati in connivenza con coloro che lo facevano. Ma coloro che hanno ucciso i servi di Dio che erano stati loro inviati, non sono degni che si indirizzi loro la parola; io domando a voi che avete osservato il silenzio quando essi commettevano i loro crimini, cioè a voi che volete imitare oggi, come se fossero innocenti, coloro che allora hanno mantenuto il silenzio, … io vi domando: «Fino a quando giudicherete con iniquità, e prenderete le parti dei peccatori? » Oggi che l’Erede stesso è venuto, bisogna pure metterlo a morte? Se Egli è come un orfano, lontano da suo padre, non è a causa vostra? Se Egli ha fame e sete, come un indigente, non è a causa vostra? Non ha Egli esclamato: « Imparate da me che sono mite ed umile di cuore? » (Matth. XI, 29).  « Non si è fatto Egli povero, mentre era ricco, per arricchirvi con la sua povertà? » (II. Cor. VIII, 9). Rendete dunque giustizia all’orfano e all’indigente: « sostenete la giustizia dell’umile e del povero ». Non è a questi uomini ricchi ed orgogliosi in se stessi, ma a quest’Uomo che si è fatto umile e povero per voi, che dovete credere e proclamarne la giustizia (S. Agost.). –  I principi ed i giudici della terra sono chiamati “dei” perché rappresentano Dio, perché sono i depositari dell’autorità di Dio, a cui solo appartiene propriamente l’essere Giudice. È per questo che l’Apostolo dice che ogni potenza è di Dio, e che colui che resiste all’autorità, resiste all’ordine di Dio (Berthier). – Questo nome conviene ancora a tutti coloro che sono alla testa delle Chiese, e che il Dio degli dei giudica da se stesso e non per altri.. (S. Gerol.) – Ma questi giudici della terra devono ricordarsi che hanno un Maestro che è in mezzo ad essi quando giudicano, e che non rendono alcun giudizio se non in presenza del Giudice sovrano. « Il Signore è in piedi per giudicare, sta in piedi per giudicare i popoli. » – Il Signore interrogherà gli anziani ed i principi del suo popolo. » (Isai. III, 14). Dio giudica gli dei, come un potente sovrano in mezzo alla sua armata:  che spettacolo formidabile, capace di ispirare il terrore. Se Egli giudica gli dei, che farà con i peccatori?  (S. Girol.). Aprite gli occhi, Cristiani; contemplate questi augusti tribunali ove la Giustizia rende i suoi oracoli: voi vi vedrete, con Davide, « … gli dei della terra, che muoiono alla verità come degli uomini » ma che tuttavia devono giudicare come degli dei, senza timore, senza passione, senza interesse, con il Dio degli dei alla loro testa, come canta questo grande re con un tono così sublime in questo salmo divino: « Dio assiste – egli dice – all’assemblea degli dei, ed in mezzo ad essi, giudica gli dei. » O giudici, qual Maestà nelle vostre sessioni! Qual Presidente delle vostre assemblee! Ma anche qual Censore dei vostri giudizi (Bossuet, Or. fun. De Le Tellier).

ff. 2. – Questa è una questione umiliante per l’umanità. Essa dimostra che la depravazione della giustizia è antica, e che era già un male inveterato ai tempi del  Profeta. – Ogni differenza di condizione sparirà al giudizio di Dio; essa deve sparire al giudizio di Dio, così come deve pur sparire nei giudizi che renderanno gli uomini (Dug.). – « Ponete ben attenzione a ciò che farete, perché non è la giustizia dell’uomo che voi esercitate, ma la Giustizia del Signore, e tutto ciò che avrete giudicato ricadrà su di voi » (II Paralip. XIX, 6).   

II. — 2 – 4

ff. 3, 4. – L’indigente, l’orfano ed i piccoli sono abbandonati, perché sono poveri. Il ricco ed il potente li opprimono, perché hanno molti amici e tanto credito per ribaltare tutto l’ordinamento delle leggi. – Ci sono e ci saranno sempre dei magistrati degni di questo nome, che prediligono la causa di coloro che sono deboli ed oppressi; ma spesso la difficoltà è quella di arrivare fino ad essi, di vincere gli ostacoli che si oppongono al dedalo delle leggi, di svincolarsi dai preliminari di un giudizio di cui il giudice non è l’arbitro. Per giungere ad esporre la verità in tutta la sua luce, ci vuole un tempo, una spesa, un lavorio, una pazienza che ordinariamente sono al di sopra delle forze del povero senza risorse, e del misero senza protezione (Berthier). –  Una tripla scienza è necessaria ai giudici. La scienza dottrinale, che si acquisisce nelle scuole e sui libri; la scienza dell’esperienza, che è frutto degli anni e del lavoro; la scienza attuale, che non può ottenersi senza un esame serio dell’affare sottomesso ai loro giudizi: tutte le parole di questo versetto sono da considerare. Essi non hanno conosciuto nulla: ciò che esprime un difetto di luce; essi non hanno compreso nulla: ciò che denota un difetto di intelligenza; essi camminano nelle tenebre: ciò che indica il giudizio pronunciato alla cieca, delle decisioni portate come a caso, come la strada che si segue nelle tenebre è sempre soggetta all’incertezza e allo smarrimento; infine da qui gli scossoni che prova tutto l’ordine civile ed ecclesiastico; perché l’esortazione del Profeta riguarda anche i pastori delle anime così come i magistrati secolari. L’ignoranza di ciò che possa turbare lo Stato, e l’ignoranza di questi, allontana quasi sempre dalle vie di salvezza (Berthier).

ff. 5. – « Tutte le fondamenta della terra sono scosse. » In tutte le Nazioni e presso tutti i popoli, noi vediamo dei giudici incaricati, a nome della società, di porre riparo ai disordini della giustizia violata, di mantenere intatto il deposito delle sue leggi, del suo spirito, della sua tradizione, ed obbligati a consacrare la propria vita allo studio delle leggi. Questi uomini rappresentano Dio sulla terra, occupano il suo posto e ne fanno le funzioni. Questi uomini, per l’inamovibilità della loro posizione, sono stati resi indipendenti dagli uomini e dalle cose, ed in effetti davanti alle loro sentenze sovrane si curvano i popoli ed i re. Sempre la nostra anima si indigna alla vista di una ingiustizia da qualsiasi parte giunga ai nostri occhi; ma quando essa si mostra negli ambiti degli dei della terra, come li chiama il Profeta, tra coloro che hanno ricevuto per missione il respingerla e l’eliminarla, la è per la umana natura, l’abominazione e la desolazione. Le volte dell’edificio sociale sono squassate fin nelle fondamenta; « … tutte le fondamenta della terra sono scosse. » Questa espressione sì è di una grande energia, e di una perfetta esattezza: la giustizia è il fondamento degli imperi, ed ogni atto contrario alla giustizia è in sé uno scossone all’ordine sociale.

III. — 6, 7.

ff. 6. – Tutti gli uomini sono uguali, Dio è il loro unico Padrone e loro Giudice, Egli solo ha il diritto di togliere la vita, i beni, ed è evidente che Egli elevi ad una autorità divina tutti coloro che stabilisce come giudici dei loro fratelli, e comunica loro un potere che non appartiene che a Lui, e che con l’esattezza più rigorosa li rende in questo punto come degli dei di tutti quelli che sottomette loro (Dug.). – La santità fa considerare gli uomini come qualcosa di divino, come dei sulla terra: « voi siete degli dei, e siete tutti figli dell’Altissimo. » La santità negli uomini, è una qualità morale che dà loro tutte le virtù e li allontana da tutti i peccati. Nulla è più eccellente negli uomini che la santità; nulla li rende sì ammirevoli, sì venerabili.  (BOSSUET, Médit., 2° p. LXVI°  j.).

ff. 7. – « Io ho detto: voi siete degli dei. » I giusti sono chiamati qui degli dei, perché costituiti giudici supremi dei popoli, ed hanno in essi il potere di vita o di morte. – «Io ho detto: voi siete degli dei. » Tuttavia, aggiunge Egli, o dei di carne e sangue, o dei di terra e polvere, non vi lasciate abbagliare da questa divinità passeggera e presa in prestito, « … perché infine voi morirete come degli uomini, e scenderete dal trono nella tomba. » La maestà, lo confesso, non è mai dissipata né annientata, e la si vede interamente rivestire i suoi successori. Il re, noi diciamo, non muore mai, l’immagine di Dio è immortale; ma tuttavia l’uomo cade, muore, e la gloria non lo segue nel sepolcro. (BOSSUET, Sur l’ambition.)

SALMI BIBLICI: “EXSULTATE DEO, ADJUTORI NOSTRO, JUBILATE DEO JACOB” (LXXX)

SALMO 80: Exsultate Deo adjutori nostro, jubilate Deo Jacob.

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS.

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

[Canonico titolare della Chiesa di Soissons, Professore emerito di Scrittura santa e sacra Eloquenza]

TOME DEUXIÈME.

PARIS – LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR 13, RUE DELAMMIE, 1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

Salmo 80

In finem. Pro torcularibus. Psalmus ipsi Asaph.

[1] Exsultate Deo adjutori nostro, jubilate Deo Jacob.

[2] Sumite psalmum, et date tympanum; psalterium jucundum, cum cithara.

[3] Buccinate in neomenia tuba, in insigni die solemnitatis vestræ;

[4] quia præceptum in Israel est, et judicium Deo Jacob.

[5] Testimonium in Joseph posuit illud, cum exiret de terra Ægypti; linguam quam non noverat audivit.

[6] Divertit ab oneribus dorsum ejus; manus ejus in cophino servierunt.

[7] In tribulatione invocasti me, et liberavi te. Exaudivi te in abscondito tempestatis; probavi te apud aquam contradictionis.

[8] Audi, populus meus, et contestabor te. Israel, si audieris me,

[9] non erit in te deus recens, neque adorabis deum alienum.

[10] Ego enim sum Dominus Deus tuus, qui eduxi te de terra Aegypti. Dilata os tuum, et implebo illud.

[11] Et non audivit populus meus vocem meam, et Israel non intendit mihi.

[12] Et dimisi eos secundum desideria cordis eorum; ibunt in adinventionibus suis.

[13] Si populus meus audisset me, Israel si in viis meis ambulasset,

[14] pro nihilo forsitan inimicos eorum humiliassem, et super tribulantes eos misissem manum meam.

[15] Inimici Domini mentiti sunt ei, et erit tempus eorum in saecula.

[16] Et cibavit eos ex adipe frumenti, et de petra melle saturavit eos

[Vecchio Testamento Secondo la Volgata Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

SALMO LXXX

Esortazione a ben celebrare le feste; commemorazione dei beneficii ricevuti da Dio ; riprensione della negligenza ed ingratitudine del popolo ebraico.

Per la fine: per li strettoi; salmo allo stesso Asaph.

1. Esultate lodando Dio, aiuto nostro; alzate voci di giubilo al Dio di Giacobbe.

2. Intonate salmi, e sonate il timpano, il dolce salterio insieme colla cedra.

3. Date fiato alla buccina nel novilunio, nel giorno insigne di vostra solennità.

4. Imperocché tal è il comando dato ad Israele, e il rito istituito dal Dio di Giacobbe.

5. Egli lo ha ordinato per memoria a Giuseppe quando usci dalla terra d’Egitto, quando udì una lingua, che a lui era ignota.

6. Sgravò (Dio) gli omeri di lui da’ pesi; le mani di lui avean servito a portare i corbelli.

7. M’invocasti nella tribolazione, e io ti liberai; ti esaudii nella cupa tempesta; feci prova di te alle acque di contraddizione.

8. Ascolta popol mio, ed io t’istruirò; se tu ascolterai me, o Israele,

9. non sarà presso di te dio novello, né adorerai dio straniero.

10. Imperocché io sono il Signore Dio tuo, che ti trassi dalla terra d’Egitto; dilata la tua bocca, ed io adempirò i tuoi voti.

11. Ma il popol mio non ascoltò la mia voce, e Israele non mi credette.

12. E io li lasciai andare, secondo i desidero del loro cuore; cammineranno secondo i loro vani consigli.

13. Se il popol mio mi avesse ascoltalo, se nelle mie vie avesse camminato Israele,

14. Con facilità avrei forse umiliati i loro nemici; e sopra color che gli affliggono, avrei stesa la mia mano.

15. I nemici del Signore a lui mancaron di fede, ma verrà il loro tempo, che sarà eterno. (1)

16. Ed ei gli ha nudriti di ottimo frumento; e gli ha saziati del miele che usciva dal masso. (2)

(1) La parola “tempus” è spesso presa nella scrittura per “castigo”.

(2) In Palestina le api fanno il loro miele nelle fenditure delle rocce, miele considerato più delicato del miele delle api domestiche. Hengstenberg pensa che potrebbe essere in questione un miele miracoloso che Dio avrebbe fatto colare dalle rocce in favore del suo popolo. 

Sommario analitico

Questo Salmo, ha come oggetto la celebrazione delle feste e del culto di Dio, e sembra essere composto in occasione della Neomenia del mese di Abib (dopo Nissan), in cui si celebrava la festa di Pasqua, poiché il salmista ricorda che la festa che egli esorta il popolo a celebrare, fu stabilita in Egitto (5).

I. – Egli esorta il popolo di Dio a celebrare degnamente le feste.

1° Prescrive il modo in cui si debba lodare Dio (1, 2).

2° Ne indica i tempi (3);

3° ne designa le cause: – a) il precetto che Dio stesso ne ha fatto al suo popolo (4); – b) un motivo di riconoscenza per i benefici di cui ha ricolmato il suo popolo liberandolo dalla schiavitù dell’Egitto e vegliando su di esso nel deserto  (5-7).

II – Lo istruisce in nome di Dio stesso sul culto che Gli è dovuto:

1° Lo invita a prestare una grande attenzione alle sue parole (8);

2° Lo esorta a mai adorare un dio nuovo, né straniero (9);

3° Insegna ad esso a non adorare che Lui solo, – a) che per la sua natura e la sua maestà è il sovrano Signore; – b) che per la sua bontà e carità è il suo proprio Dio; – c) che, per la sua potenza, lo ha liberato dalla terra d’Egitto; – d) che per la sua liberalità, è sempre pronto a colmarlo di beni (10);

4° Gli fa vedere i danni nei quali lo fa precipitare la sua infedeltà: – a) il suo popolo ha rifiutato di ascoltare i suoi insegnamenti divini per seguire i desideri del suo cuore, ai quali Dio li ha abbandonati (11-13); – b) Dio aveva promesso di liberarlo dai suoi nemici se fosse stato fedele, e non lo lascerebbe in preda ai loro attacchi (13-14); – c) assegna come causa di questo pericolo l’incostanza e la fluttuazione nelle vie di Dio, e predice la grandezza e l’eternità del supplizio degli infedeli (15); – d) lo rimprovera di averlo dimenticato e preso in disgusto i soccorsi che Dio aveva loro recato nel cammino verso la terra promessa, nutrendoli del più puro frumento e saziandoli col miele di roccia (16). 

Spiegazioni e Considerazioni

I. – 1-7

ff. 1. – 1° Il Profeta ci invita alla gioia, perché la gioia dilata il cuore e riempie lo spirito di viva luce. Essa è come il sole dell’anima: – perché è onore e gloria del padrone che i suoi servitori siano nella gioia; – perché Dio ama la gioia nei suoi servi; essa aiuta a perseverare nel suo servizio, mentre la tristezza li allontana da Lui. 2 ° Egli ci invita a rallegrarci in Dio a causa della sovrana perfezione del suo Esere, e dell’estrema bassezza della creatura; – a causa del soccorso continuo che dà alla nostra debolezza: « Abbiate delle esplosioni di gioia in onore di Dio che è nostra forza; » – perché Egli circonda di un amore particolare coloro dei quali si dichiara il Protettore. « cantate con santi trasporti le lodi del Dio di Giacobbe ». Che altri celebrino la loro cerchia ed i loro piaceri, voi celebrate il vostro Dio; altri celebrino chi li inganna, voi Chi vi protegge; altri celebrino il loro dio, cioè il loro ventre, voi invece il vostro Dio, il vostro Protettore. « Lodate con il vostro giubilo il Dio di Giacobbe; » perché, anche voi appartenete a Giacobbe: » ben di più, voi siete Giacobbe stesso, il minore dei due popoli servito dal suo maggiore (Gen. XXV, 23). « Lodate con il vostro giubilo il Dio di Giacobbe. Tutto ciò che non potete esprimere con le parole, non cessate di celebrarlo con i vostri trasporti di giubilo (S. Agost.) –  Lodate Dio con una grande gioia del cuore. Dio ama colui che dona con gioia, quanto più chi loda con gioia. – Cantare o recitare freddamente, talvolta anche con disgusto l’Ufficio Divino, riguardarlo come un carico pesante, è il marchio sicuro di un’anima tiepida che ama poco Colui in onore del quale esercita questo dovere. – È questo uno strumento di musica utile per eccitare la devozione di coloro che si comportano in tal senso. Per i Cristiani, il cui culto deve essere più elevato, non devono servirsene o intenderli se non per persuadersi che tutta la loro vita e la loro condotta debba comporre agli occhi di Dio e della Chiesa, come una santa armonia, con il legare la carità e la giustizia a tutti gli altri esercizi di pietà (Dug.).

ff. 4-6. – « Perché questo è un precetto dato ad Israele ed il giudizio appartiene al Dio di Giacobbe. » dov’è il precetto, li è anche il giudizio. In effetti, « … coloro che hanno peccato sotto la legge saranno giudicati dalla legge. » (Rom. II, 12) – Dio comanda la celebrazione delle feste, e sanziona questo comandamento con il giudizio riservato ai trasgressori. – È bene che celebriamo le feste che Egli ha istituito a testimonianza dell’amore che ci porta e dei benefici di cui ci ricolma. – Il mese cominciava presso i Giudei con la luna nuova; la luna nuova è la vita nuova. Che cos’è la luna nuova? « Se qualcuno è in Gesù-Cristo, è una creatura nuova. » (II Cor. V, 17). Cosa vuol dire: « suonate la tromba all’inizio del mese della tromba? » . Predicate con fiducia la vita nuova; non temete i rumori della vita antica (S. Agost.). – « Quando uscì dall’Egitto intese una lingua che gli era sconosciuta. » Quando avrete passato il maro Rosso, quando vi sarete liberato dei vostri peccati per la potenza della mano di Dio e con la forza del suo braccio, scoprirete i misteri di cui non avete sentito parlare, intenderete una lingua che non conoscevate e che, ascoltandola ora e conoscendo coloro che sono capaci di attestare che la conoscono, apprenderete  dove donare il vostro cuore (S. Agost.). – Un Cristiano uscito dall’Egitto raffigura la corruzione del secolo, parla ed ascolta una lingua che gli era in precedenza sconosciuta. – Il cuore nuovo on parla più il linguaggio corrotto del mondo  al quale ha rinunciato: egli parla la lingua dello Spirito Santo; egli intende e gusta delle verità che gli erano in precedenza sconosciute, e Dio comincia a dargli l’intelligenza dei suoi misteri. – « Egli ha liberato le sue spalle dai loro fardelli. » Chi ha dunque liberato le spalle di Giuseppe dai loro fardelli se non chi ha detto: « Venite a me, voi tutti che soffrite e siete carichi. » (Matth. XI, 28). – L’effetto più funesto del peccato di cui è caricato il peccatore, è che spesso egli non lo sente, e si crede perfettamente libero in mezzo alla più dura schiavitù; egli è assoggettato alle azioni più basse e più degradanti di un uomo libero e se ne crede onorato (Duguet).

ff. 7. – « Voi mi avete invocato nella vostra tribolazione, ed io vi ho liberato. » Ogni coscienza cristiana si riconosca qui, se ha attraversato piamente il mar Rosso; se essa ha deciso, con volontà ferma di credere e praticare una lingua che in precedenza ignorava fino ad allora, che essa ha riconosciuto che l’ha esaudito nella sua tribolazione? Perché la grande tribolazione per essa era l’essere abbattuta sotto il fardello  dei suoi peccati. Qual è la sua gioia di essere ora risollevato? Ecco che siete stato battezzato; una coscienza – ieri travolta – è oggi ricolma di gioia. Voi siete stato esaudito nella vostra tribolazione: ricordatevi di ciò che era questa tribolazione. Prima di giungere a questa cura salutare, da quante inquietudini eravate caricato! A quale giogo eravate sottoposto! Che afflizioni portavate nel vostro cuore! Quale preghiera interiore, piena di pietà e di devozione! I vostri nemici sono stati uccisi, tutti i vostri peccati distrutti: « voi mi avete invocato nella vostra tribolazione, ed Io vi ho liberato. » (S. Agost.). – « Io vi ho liberato nel segreto della tempesta; » non la tempesta del mare, ma la tempesta del vostro cuore. « Io vi ho esaudito nel segreto della tempesta; Io vi ho provato nell’acqua di contraddizione. » Sicuramente, colui che è stato esaudito nel segreto della tempesta, deve essere stato provato nell’acqua della contraddizione. Perché quando un uomo avrà abbracciato la fede, quando sarà stato battezzato, quando avrà cominciato a seguire la via di Dio, troverà numerosi contraddittori che cercheranno di sviarlo dalla fede, che lo minacceranno anche per quanto potranno, per distruggerlo ed abbattere il suo coraggio: ecco che cos’è questa acqua di contraddizione (S. Agost.).- Tre sono i felici effetti della tribolazione: – 1° essa ci spinge ad implorare il soccorso di Dio: « Voi mi avete invocato nella tribolazione; » – 2° essa porta Dio a venire in nostro soccorso in mezzo anche alle tempeste della tribolazione: « Io vi ho esaudito cacciandomi nel mezzo della tempesta della tribolazione; » – 3° essa ci prova e ci rende più forti nel servizio di Dio: « Io vi ho provato, etc. » – È da notare come Dio metta qui, nel numero dei suoi benefici, la prova che aveva fatto con il suo popolo alle acque di contraddizione. – Dio è spesso nascosto in mezzo alla tempesta e alle contraddizioni per provare i suoi, benché essi non se ne accorgano, e li libera nei tempi in cui la sua bontà e la sua saggezza lo ritengano più utile. (Dug.). Il segreto della tempesta è una di quelle espressioni che appartengono alle sacre Scritture, e che istruiscono e consolano quanto più le si mediti. Questa tempesta che salva gli Israeliti e perde gli Egiziani, figura quella che si scatena contro la Chiesa ed anche in ogni anima fedele che si è decisa a domare le proprie passioni. Ogni tempesta di questa natura racchiude un segreto di Dio. Oltre al movimento esteriore, che colpisce lo sguardo degli uomini, essa compie una operazione misteriosa del Maestro supremo che produce, quando gli piace, la calma e la salvezza in mezzo ad un mare increspato ed agitato. Paolo e Agostino hanno sentito queste tempeste ed hanno conosciuto il segreto divino. Tuttavia – dice questo Padre della Chiesa – non c’è bisogno che un’anima così caricata dal fardello dei suoi pecca tisi propone di condurre una vita calma e piacevole: essa avrà, come abbiamo visto in precedenza, le sua acque di contraddizione (Rendu). 

II. 8-18.

ff. 8-10. –  Grande onore è che Dio voglia parlarci Egli stesso, dichiararci la sua volontà. – Ammirevole condiscendenza di un Dio che, essendo la sovrana Giustizia, viene ad abbassarsi fino ad entrare in discussioni con il suo popolo, a fargli sentire ciò che ha fatto per lui e nello stesso tempo la sua estrema ingratitudine. – « Israele, se mi ascoltassi, non avresti fra te un dio nuovo. » Un “dio nuovo” è un dio fatto per un tempo, ma il nostro Dio non è nuovo, Egli è da tutta l’eternità. Il nostro Cristo è senza dubbio nuovo come uomo; ma come Dio, è eterno! Cos’era in effetti prima di ogni inizio? « In principio era il Verbo e il Verbo era in Dio, ed il Verbo era Dio » (Giov. I, 1). E il nostro Cristo è il Verbo che si è fatto carne, per abitare tra noi. Lungi da noi questo pensiero che Egli sia in qualche cosa un dio nuovo. Un dio nuovo è una pietra, un pezzo di argento o di oro, o un fantasma … Un gran numero di eretici si sono fatti, come i pagani, questa o quella divinità, si sono fabbricati questo o quel dio, e se non lo hanno posto nei templi, essi li hanno – cosa ben peggiore – stabiliti nei loro cuori, e si sono fatti essi stessi templi di questi falsi e ridicoli idoli. È un gran lavoro bruciare questi idoli fuori da sé, e purificare il luogo, non per un dio nuovo, ma per il Dio vivente. Tutti questi eretici (e noi possiamo aggiungervi tutti i filosofi deisti, naturalisti, materialisti, panteisti), correndo da opinione in opinione, forgiandosi questa o quella divinità, e variando la propria fede con la diversità dei loro errori, sembrano combattersi tra di loro, ma né gli uni né gli altri si ritirano dai pensieri della terra, e si accordano in questi pensieri terrestri. Essi hanno differenti opinioni, ma non hanno che una stessa vanità. Essi hanno un bel da farsi in disaccordo per la varietà delle loro opinioni, perché sono legati insieme dalla comunanza della loro vanità … Io sono colpito da questa espressione: « Non avrete tra voi un dio nuovo. » Il profeta non ha detto: “che viene lontano da voi”, come per parlare di qualche immagine venuta dall’esterno, ma in voi, nel vostro cuore, nei fantasmi della vostra immaginazione, nelle delusioni del vostro cuore; perché è là che portate il vostro dio nuovo, restando voi nella vostra antichità. « E dunque ascoltatemi » Egli dice, perché « Io sono Colui che sono » (Es. III, 14), voi non avrete in voi un dio nuovo, non adorerete un dio straniero. Se non immaginate un falso dio, non adorerete un dio fabbricato dall’uomo, e non avrete in voi un dio nuovo (S. Agost.). – « Perché Io sono ». Perché volete adorare ciò che non è? « Perché Io sono il Signore vostro Dio », perché Io sono Colui che sono. Ed in verità Io sono – Egli dice – Colui che sono, e che sono al di sopra di ogni creatura. Ma quale temporale vi ha aiutato? « Sono Io che vi ho tratto dall’Egitto ». Queste parole non si indirizzano solo al popolo Giudeo; perché noi siamo tutti stati tratti dalla terra d’Egitto, noi siamo passati tutti per le acque del mar Rosso, ed i nostri nemici che ci perseguitavano, sono morti nell’acqua. Non siamo dunque ingiusti verso Dio; non dimentichiamo il Dio eterno, per fabbricarci un dio nuovo. « Sono Io che vi ho tratto dalla terra dell’Egitto; aprite la bocca ed Io la riempirò. » Voi siete alle strette in voi stessi a causa del dio nuovo che vi siete fatti nel vostro cuore; bruciate questa vana immagine, rigettate dalla vostra coscienza un idolo fatto dalla mano d’uomo. « Aprite la bocca » confessando ed amando Dio, ed Io la riempirò, » perché in me si trova la sorgente di vita (Ps. XXXV, 10, S. Agost.). – Dio dichiara qui tre cose: – 1° che Egli è Dio; – 2° che Egli è il nostro Signore; – 3° che Egli è il nostro Salvatore ed il nostro liberatore, è il nostro benefattore. Noi dobbiamo quindi ascoltarlo come nostro Dio, adorarlo come unico Dio degno di adorazione, temerlo come nostro Padrone e Signore, amarlo come nostro Salvatore, cercarlo come Benefattore la cui liberalità non tende che a soddisfare e colmare tutti i nostri desideri. – « Aprite la vostra bocca ed Io la riempirò. » Queste parole sono più energiche di quelle di Gesù-Cristo: « … chiedete e riceverete; bussate e vi sarà aperto? » possiamo noi temere da queste promesse divine, sì fortemente accentuate, di essere abbandonati a noi stessi, nelle nostre necessità temporali o spirituali? – « Spalancate la vostra bocca ed Io la riempirò. » Dio occupa nei nostri cuori il posto che noi Gli facciamo; più ne cacciamo i desideri, più Egli è racchiuso e durevole; quando, con un vero pentimento, un vero desiderio di amarlo meglio, una Confessione sincera, una sottomissione piena e completa, noi gli lasciamo completamente questa dimora che si è scelta creandola in noi, la sua promessa non inganna: Egli viene interamente.

ff. 11, 12. – « Ed il mio popolo non ha obbedito alla mia voce, ed Israele non mi ha prestato attenzione. » Chi? A Chi? « Israele, a me. » O anima ingrata, anima che non vive se non per me, anima chiamata da me, riportata alla speranza da me, lavata dal peccato da me! « Ed Israele non mi ha prestato attenzione. » In effetti, essi sono battezzati, passano per le acque del mar Rosso; ma lungo il cammino mormorano, contraddicono, si lamentano, sono agitati da sedizioni; sono ingrati verso Colui che li ha liberati dall’inseguimento dei loro nemici, che li ha condotti attraverso l’aridità del deserto, dando loro bevanda e nutrimento, luce durante la notte e frescura dall’alba durante il giorno (S. Agost.). – « Ed Io li ho abbandonati ai desideri dei loro cuori. » Io li ho abbandonati non alla direzione salutare dei miei comandamenti « ma ai desideri del loro cuore, » … li ho lasciati a se stessi. L’Apostolo ha detto nello stesso senso: « Dio li ha lasciati ai desideri del loro cuore » (Rom. I, 24). Io li ho abbandonati ai desideri del loro cuore; essi seguono l’inclinazione delle loro affezioni. Ecco cosa deve fare orrore … gli uni preferiscono il circo, gli altri l’anfiteatro; questi le baracche degli istrioni stabilite nei villaggi, quelli il teatro; gli uni una cosa, gli altri un’altra; altri infine, il loro dio nuovo. « Essi seguono l’inclinazione delle loro affezioni. » (S. Agost.). –  Il peccatore ama meglio ascoltare  i compiacenti che lo lusingano, piuttosto che ascoltare la verità di Dio che lo condanna. Egli vuole essere ingannato e che lo si inganni. È così che Dio si vendica in Dio; Egli fa nascere il suo supplizio dallo stesso peccato; Egli lo acceca con le proprie tenebre, e per metterlo nello stato più deplorevole, non fa altro che abbandonarlo ai desideri del suo cuore e allo smarrimento dei suoi pensieri (Dug.). –  Non si ammirerà mai abbastanza questa sublimità, questa profondità, questa calma terrificante, questo muto terrore della vendetta divina. Dio vuol combattere e punire infine i suoi nemici sopportati per lungo tempo. Dove prenderà le sue armi? Dove va a cercare i suoi strumenti di supplizio? È nel cuore dei colpevoli, così ricco di desideri, è nella loro immaginazione sì feconda di progetti; è nella loro memoria, sì piena di voluttuosi e brillanti ricordi, che Egli trova i castighi più formidabili. Questi desideri manterranno eternamente il loro divorante ardore; questa immaginazione riprodurrà sempre le stesse chimere; questa crudele memoria richiamerà sempre gli stessi ricordi, e tutto ciò con la certezza che il tempo sarà … l’eternità (Rendu).

ff. 13, 14. – « Se il mio popolo mi ascoltasse, se Israele avesse camminato per le mie vie ». Forse questo Israele si dice: io pecco, è evidente; io seguo le inclinazione delle affezioni del mio cuore; ma è colpa mia? Questo la fa il diavolo, ciò è fatto dai demoni. Che cos’è il diavolo, cosa sono i demoni? Sono i vostri nemici. Ora, « se Israele avesse marciato nelle mie vie, Io avrei umiliati i suoi nemici. » Dunque. « se il mio popolo mi avesse ascoltato,  »  ed è il mio popolo che non mi ascolta – « Se il mio popolo mi avesse ascoltato. » Che vuol dire « mi avesse ascoltato?» Se avesse camminato nelle mie vie. Esso piange e geme sotto l’oppressione dei suoi nemici; « Io avrei umiliato i suoi nemici, ed avrei appesantito la mia mano su coloro che l’affliggevano. » (S. Agost.).  – « Se tu avessi camminato nella via di Dio, avresti abitato in una pace eterna. » (Baruch III, 15). « Se tu fossi stato attento ai miei precetti, la tua pace sarebbe stata come un fiume e la tua giustizia come i flutti del mare, la tua posterità sarebbe stata moltiplicata come le sabbie del mare, i tuoi figli come le pietre delle sue sponde, mai sarebbe perito, mai il suo nome sarebbe stato cancellato dalla mia presenza. » (Isai. XLXVIII, 18, 19).

ff. 15. – Ma or anche hanno da lamentarsi dei loro nemici? Essi sono diventati da se stessi i loro nemici più accaniti. E come? Vedete ciò che viene in seguito. Voi vi lamentate dei vostri nemici, che siete voi stessi? « I nemici del Signore hanno violato la parola che Gli avevano dato. » Voi rinunciate? Io rinuncio! E ritorna alle cose alle quali rinunzia. A cosa rinunciate, in effetti, se non alle azioni cattive, alle azioni che il demonio suggerisce, alle azioni che Dio condanna, ai furti, alle rapine, agli omicidi, agli adulteri, ai sacrilegi, alle colpevoli curiosità? Voi rinunciate a tutte queste colpe e ben presto, ritornando sui vostri passi, vi lasciate ricadere di nuovo. » (S. Agost.). « Essi fanno professione di conoscere Dio, ma vi rinunciano con le loro azioni: essi sono abominevoli, ribelli ed incapaci di ogni bene. » (Tit. I, 16).  Essi lo hanno amato con le labbra, ma la loro lingua ha mentito al Signore; il loro cuore non era retto davanti a Lui, non erano fedeli alla sua alleanza. » (Ps. LXXVII, 39, 40), (S. Agost.). – « I nemici di Dio hanno violato la fedeltà che Gli hanno promesso. » E quanto grande è la pazienza del Signore! Perché i suoi nemici non sono abbattuti? Perché non si trova la terra per ingoiarli? Perché il fuoco del cielo non li riduce in cenere? Perché la pazienza del Signore è grande. Resteranno dunque impuniti? Non si può. Non si lusinghino della sua misericordia al punto da pensare ad una ingiustizia da parte sua: « Ignorate che Dio è paziente per indurvi alla penitenza? Ma voi nella durezza del vostro cuore, nell’impenitenza del vostro cuore, ammassate contro di voi tesori di collera per il giorno dell’ira e della manifestazione del giusto giudizio di Dio, che renderà a ciascuno secondo le sue opere. » (Rom. II, 5-6). Se non lo fa oggi lo farà allora; se lo fa anche oggi, non lo fa che temporaneamente. Ma allora, per chi non sarà convertito né corretto, Egli lo farà eternamente … ma voi dite, che farà loro? Essi non sono viventi? Non respirano l’aria, non vedono la luce, non bevono l’acqua, non mangiano i frutti della terra? « Il loro tempo sarà l’eternità … » io non posso comprendere queste parole che del fuoco eterno, di cui la scrittura dice: « Il loro fuoco non si estinguerà, ed il loro verme non morirà » (Ps. LXVI, 24). Ma la Scrittura – mi si dirà – ha parlato degli empi e non di me; perché, benché io sia peccatore, benché io sia adultero, benché sia ingiusto, benché io sia rapinatore, benché spergiuro, io ho come fondamento il Cristo, io sono Cristiano, sono stato battezzato: sarò purificato dal fuoco, a causa del fondamento sul quale sono stabilito, io non perirò! Rispondetemi dunque ancora: Chi siete voi? Io sono un Cristiano, voi rispondete. Passi provvisoriamente. Cosa siete ancora? Un rapinatore, un adultero, uno di questo altri colpevoli di cui l’Apostolo ha detto che coloro che commettono questa sorta di peccati non possederanno il regno dei cieli (Gal. IV, 21). E cosa? Non essendo emendati da questi peccati, non avendo fatto penitenza di queste cattive azioni, voi sperate di possedere il regno dei cieli? Mettetevi dunque in questo momento sotto gli occhi la venuta del Giudice superiore. Ebbene! Grazie a Dio, Egli non ha taciuto sulla sua sentenza definitiva, non ha messo fuori gli accusati, non ha tirato il velo su di essi. Egli ha voluto farci conoscere in anticipo ciò che si è proposto di fare; ed eccolo: « … Tutte le nazioni saranno radunate davanti a Lui (Matth. XXV, 32). Cosa farà? Le separerà: metterà gli uni alla sua destra, gli altri a sinistra. Vedete qualche altro posto intermedio? Coloro dunque che quaggiù fanno tutte queste cose, avendoci detto l’Apostolo che non possiederanno il regno di Dio: essi non saranno alla destra del Cristo, con coloro ai quali dirà. « venite, benedetti del Padre mio, ricevete il regno. » Ma se non sono alla destra di Dio, non resta loro altra alternativa che essere alla sua sinistra: « … andate dunque nel fuoco eterno. » (Matth. XXV, 34). « Il loro tempo sarà l’eternità. » 

ff. 16. – « Voi conoscete – dice S. Agostino – il puro frumento di cui si nutrono i nemici stessi che hanno mentito al Signore; voi sapete che Egli li ha ammessi ai suoi Sacramenti, che Giuda il traditore vi ha partecipato. Gli ingrati! Essi sono stati nutriti con il fiore del frumento più puro, sono stati saziati col miele uscito dalla roccia, e questa roccia è Gesù-Cristo; ed essi sono stati in seguito infedeli al Signore, sono diventati i suoi nemici « … il tempo del loro supplizio sarà l’eternità. » – Quanti numerosi sono i nemici di Dio che violano la fedeltà che hanno promesso, e che sono nutriti non solo col fior di frumento più puro, ma ancora col miele estratto dalla roccia, vale a dire dalla saggezza del Cristo! Quanti sono coloro affascinati dalla sua parola, dalla conoscenza dei suoi Sacramenti, dalla spiegazione delle sue parabole! Quanto numerosi sono coloro che vi trovano le loro delizie, quanto numerosi coloro che esclamano: il miele non è fornito da alcun uomo, esso viene dalla pietra, che è il Cristo! Quanto numerosi sono coloro che si saziano di questo miele, ed esclamano: esso è soave, non c’è niente di meglio, niente di più dolce allo spirito ed alla bocca! E tuttavia questi uomini sono nemici di Dio, violano la fedeltà che Gli hanno promessa (S. Agost.).

ff. 17. – Nessuno più di Davide ha conosciuto ed espresso il fascino del simbolo eucaristico: « Dio –egli dice- ha nutrito il suo popolo col grasso di frumento, e lo ha saziato. » Quale frumento, riprende S. Agostino, se non quello del quale Egli stesso ha detto: « Io sono il pane vivente disceso dal cielo? ». Se Dio nutre anche le nostre anime in esilio, quanto più farà per saziarci in patria? » – Il Dottore angelico ci fa percepire l’ammirevole relazione tra il frumento e questo corpo divino: « nascosto nel covone, il frumento è figura del corpo di Gesù-Cristo nel seno della Vergine Santissima, perché si può applicare a Maria questa parola dello Sposo del Cantico alla sua Sposa: « … Il tuo seno è come un mucchio di grano » (Cant. VII, 2). Quando il lavoratore semina il suo campo, il chicco di frumento che egli semina, ricorda la morte del Salvatore, predetta da Lui stesso con questi termini: « Se il chicco non cade e non muore in terra, non porta frutto » (Giov. XII, 24). Infine il frumento trasformato in pane rappresenta il Corpo glorioso di Gesù-Cristo, che è in cielo l’alimento degli Angeli e dei Santi, secondo questa parola del salmista: « L’uomo è nutrito dal pane degli Angeli » (S. Thomas, opusc. XLV).

SALMI BIBLICI: “QUI REGIS ISRAEL, INTENDE” (LXXIX)

SALMO 79: “Qui regis Israel, intende”

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS.

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

[Canonico titolare della Chiesa di Soissons, Professore emerito di Scrittura santa e sacra Eloquenza]

TOME DEUXIÈME.

PARIS – LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR 13, RUE DELAMMIE, 1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

Salmo 79

In finem, pro iis qui commutabuntur. Testimonium Asaph, psalmus.

[1] Qui regis Israel, intende;

qui deducis velut ovem Joseph. Qui sedes super cherubim, manifestare

[2] coram Ephraim, Benjamin, et Manasse. Excita potentiam tuam, et veni, ut salvos facias nos.

[3] Deus converte nos, et ostende faciem tuam, et salvi erimus.

[4] Domine Deus virtutum, quousque irasceris super orationem servi tui?

[5] Cibabis nos pane lacrimarum, et potum dabis nobis in lacrimis in mensura?

[6] Posuisti nos in contradictionem vicinis nostris, et inimici nostri subsannaverunt nos.

[7] Deus virtutum, converte nos, et ostende faciem tuam, et salvi erimus.

[8] Vineam de Aegypto transtulisti, et ejecisti gentes, et plantasti eam.

[9] Dux itineris fuisti in conspectu ejus; plantasti radices ejus, et implevit terram.

[10] Operuit montes umbra ejus, et arbusta ejus cedros Dei.

[11] Extendit palmites suos usque ad mare, et usque ad flumen propagines ejus.

[12] Ut quid destruxisti maceriam ejus, et vindemiant eam omnes qui praetergrediuntur viam?

[13] Exterminavit eam aper de silva, et singularis ferus depastus est eam.

[14] Deus virtutum, convertere, respice de caelo, et vide, et visita vineam istam;

[15] et perfice eam quam plantavit dextera tua, et super filium hominis quem confirmasti tibi.

[16] Incensa igni et suffossa, ab increpatione vultus tui peribunt.

[17] Fiat manus tua super virum dexterae tuae, et super filium hominis quem confirmasti tibi.

[18] Et non discedimus a te; vivificabis nos, et nomen tuum invocabimus.

[19] Domine Deus virtutum, converte nos, et ostende faciem tuam, et salvi erimus.

[Vecchio Testamento Secondo la Volgata Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

SALMO LXXIX.

Testimonianza di Asaph: cioè testimonianza cantata da Asaph della cattività e liberazione del popolo ebreo. — Spiritualmente, delle anime sotto il giogo del demonio.

Per la fine: per quelli che saranno cangiati; testimonianza di Asaph, salmo.

1. Ascoltami tu, pastor d’Israele, tu che conduci Giuseppe, come una pecorella.

2. Tu, che sei assiso sopra i Cherubini, (1) fatti vedere dinanzi ad Ephraim, a Beniamin e a Manasse. (2) Sveglia la tua potenza, e vieni a salvarci.

3. O Dio, convertici: e mostra a noi la tua faccia, e sarem salvi.

4. Signore Dio degli eserciti, fino a quando ti adirerai, né darai ascolto all’orazione del tuo servo?

5. E ci nutrirai con pane di lagrime, e bevanda di lagrime darai a noi in larga misura? (3)

6. Ci hai renduti oggetto di contraddizione a’ nostri vicini, e i nemici nostri si fan beffe di noi.

7. Dio degli eserciti, convertici; e mostraci la tua faccia, e sarem salvi.

8. Tu dall’Egitto trasportasti una vigna; discacciasti le nazioni, e la piantasti.

9. Tu le andasti avanti come condottiere nel viaggio; tu facesti barbicare le sue radici, ed ella empiè la terra.

10. L’ombra di lei ricoperse i monti, e i rami di lei i cedri di Dio.

11. Fino al mare stese ella i suoi tralci, e le sue propaggini sino al fiume. (4)

12. Per qual motivo hai tu distrutta la sua siepe, e la vendemmiano tutti quei che passano per istrada?

13. Il cinghiale del bosco l’ha sterminata, e la fiera solitaria feroce ne ha fatto pasto. (5)

14. Dio degli eserciti, volgiti a noi, mira dal cielo, e vedi, e visita questa vigna.

15. E lei coltiva, che fu piantata dalla tua destra; e mira quel figliuolo dell’uomo, cui tu eleggesti.

16. Ella è stata arsa dal fuoco e diradicata, ma ai minacciosi tuoi sguardi periranno i nemici.

17. Sia la mano tua sopra l’uomo della tua destra e sopra il figliuolo dell’uomo, cui tu eleggesti. (6)

18. E noi non recediamo da te ; tu ci darai nuova vita, e noi invocheremo il tuo nome.

19. Signore Dio degli eserciti, convertici; e mostraci la tua faccia, e sarem salvi. (7)

(1) Per Israele è espresso tutto il popolo di Israele, tutto il popolo che usciva dall’Egitto, come suo tronco; anche Giuseppe, il prediletto di Giacobbe, è posto qui per tutti i suoi fratelli, per tutti gli Israeliti, perché questo patriarca aveva meritato l’onore di designare con il suo nome tutta la posterità di Giacobbe, nutrendola per intero in Egitto, e perché solo, tra i dodici figli di Giacobbe, era rappresentato da due tribù, Manasse ed Efraim.

(2) Le tre tribùqui designate erano accampate più vicino all’Arca, e la seguivano immediatamente nella sua marcia.

(3) In mensura. Questa misura è quella che occorre per istruirvi, non per sopraffare, o meglio secondo la misura dei nostri peccati.

(4) Questo mare è il mare Mediterraneo, ed il fiume l’Eufrate, limiti estremi dell’occidente e dell’oriente, della maggior potenza degli Ebrei, sotto Salomone. Talvolta queste stesse espressioni designano l’estremità della terra.

(5) Questa bestia selvaggia significa Teglatphalasar, Sahanasar. Sennacherib, o Nabuchodonosor, se si considera questo salmo nella presa di Gerusalemme dei Caldei.

(6) È visibile che una parte di questo salmo è perduto, e che i versetti 15 e 16 non sono che semi-versetti male assemblati. La seconda parte del versetto 16 non è che quella del versetto 17, ricavata dalla similitudine della fine della prima parte, dextera tua.

(7) Il versetto, ripetuto tre volte, è come il ritornello del salmo.

Sommario analitico

Il profeta, considerando i malori delle dieci tribù portate in cattività da Salmanazar, prega Dio di porvi un termine. Questo salmo sembra ricondursi alle dieci tribù. Infatti il salmista vi parla in generale di Israele e di Giacobbe, e quando specifica, parla di Giuseppe, Efraim e Manasse. Questo salmo è una preghiera che si può fare per la conservazione della Chiesa.

I- Il salmista richiede l’avvento del Messia:

1° per manifestare la cura particolare che prende di Israele, per far brillare la sua gloria e la sua potenza (1, 2);

2° Per dare la salvezza alle anime in attesa e che supplicano Dio di esaudire i loro voti (3, 5).

3° Per dare la consolazione agli afflitti che subiscono gli oltraggi dei popoli vicini (6, 7).

II. – Egli chiede il ristabilimento del popolo di Dio che compara ad una vigna:

1° Esso è stato provato da numerose vicissitudini: – a) all’inizio: 1) è stato trapiantato miracolosamente dall’Egitto, come una vigna; 2) è stato piantato al di la del Giordano, dopo che Iddio ne ebbe cacciati gli abitanti (8); 3) ha posto delle radici profonde; – b) nel suo progredire 1) ha riempito tutta la terra promessa (9); 2) ha coperto le montagne della sua ombra; 3) i rami hanno sopravanzato i cedri più alti (10); i suoi rami si sono estesi fino al mare  e le sue propaggini fino al fiume (11); – c) alla fine 1) è stato privato della protezione di Dio, che lo difendeva come un muro (12); 2) spogliato dei suoi frutti dai suoi nemici (12); sradicato da Salmanazar come un cinghiale, e divorato da Nabucodonosor come una bestia feroce (13);

2°Esso attende la salvezza da Dio solo che, – a) si dia interamente a lui, 1) gettando su di Lui uno sguardo di affezione; 2) visitando la sua vigna diletta; 3) facendo prosperare quella che la sua destra ha piantato (14); – b) invia il Messia, 1) che Egli conferma con l’unione ipostatica (15); 2) confida nel ristabilimento di questa vigna devastata (16); 3) che egli riveste della sua forza contro i suoi nemici (17); – c) istruisce il suo popolo: 1) gli da la vita della grazia; 2) l’anima alla professione della vera fede (18); 3) lo favorisce della sua presenza; 4) lo salva e lo conduce nei cieli (19).

Spiegazioni e Considerazioni

I. — 1-7

ff. 1, 2. – Dio conduce i suoi servitor come delle pecore, a causa della loro innocenza, della loro docilità e della loro obbedienza. « Le mie pecore ascoltano la mia voce, Io le conosco ed esse mi seguono » (Giov. X, 27). Il discepolo fedele deve dire a Dio incessantemente con l’autore dell’Imitazione: « ponetemi dove voi vorrete, e disponete assolutamente di me in ogni cosa ». Io sono nelle vostre mani, voltatemi e rivoltatemi a vostro gusto. Ecco che io sono pronto a servirvi in tutto, perché non desidero vivere per me, ma per Voi solo (Lib. III, cap. XV]. Lasciarsi condurre dalla mano di Dio solo, come una pecora, con la dolcezza, docilità e sottomissione di questo piccolo animale. « Voi che siete seduto sui Cherubini »: i Cherubini sono la sede della gloria di Dio, ed il loro nome vuol dire: “pienezza della scienza”. È su di loro che Dio è assiso nella pienezza della scienza. Ma anche se i Cherubini sono elevati al di sopra delle potenze e delle virtù dei cieli, tuttavia, se volete, sarete un cherubino; perché se i Cherubini sono la sede di Dio, ascoltate ciò che dice la Scrittura: « L’anima del giusto è la sede della sapienza » (Sap. VII, 27). Ma come divenire la pienezza della scienza? Chi può assumere questa condizione? Voi avete un mezzo per assumerla: « … L’amore è la pienezza della legge » (Rom. XIII, 10). Cercate di non vagare e correre di qua e di la. La vasta estensione dei rami vi spaventa? Restate alla radice e non pensate alla grandezza dell’albero. Che l’amore venga in voi e la pienezza della scienza ne seguirà inevitabilmente. Chi può ignorare in effetti colui che sa amare, poiché è stato detto: « Dio è amore » ? (Giov. IV, 8) (S. Agost.). – « Eccitate la vostra potenza e venite ». L’Incarnazione del Figlio di Dio è l’opera per eccellenza della potenza divina; perché nulla di più sublime può avvenire che un Dio-uomo, ed un uomo-Dio! È questa un’opera mirabile, un’opera al di sopra di tutte le sue altre opere (S. Bern. Serm. III, in Vig. Nativ.).

ff. 3, 4. – Gesù-Cristo è venuto per salvare gli uomini, Egli è l’oggetto principale della sua incarnazione. Nulla è sì sovente ripetuto nelle Scritture e l’Angelo Gabriele lo spiega chiaramente quando dice a Giuseppe: « … voi lo chiamerete Gesù, cioè Salvatore, perché Egli salverà il suo popolo dai suoi peccati » (Matth. I, 21). Egli è venuto per salvarci, convertendoci a Lui e al Padre suo: « Voi siete come pecore sbandate, ma ora siete tornate e convertite a Colui che è il Pastore ed il Vescovo delle vostre anime (I Piet., II, 2). – La salvezza dell’uomo è l’effetto non solo della bontà, ma anche della potenza di Dio. « O Dio, voltateci verso di Voi ». Noi non siamo voltati verso di ;se Voi non vi volgete a noi, noi non lo faremo mai da noi stessi ». Noi ci siamo allontanati da Voi, e se non vi girate verso di noi, noi da noi stessi non lo faremo, « Mostrateci il vostro volto e noi saremo salvati ». Dio ha forse un viso tenebroso? Dio non ha un volto tenebroso, ma ha nascosto il suo volto sotto il velo della carne e come sotto il velo della debolezza; Egli è stato misconosciuto quando era sospeso sulla croce, ma per essere poi riconosciuto quando sarà assiso nel cielo (S. Agost.). – « Mostrateci il vostro volto e noi saremo salvi ». Prima dell’Incarnazione noi vediamo, in ogni pagina delle sante Scritture, il terrore che colpiva naturalmente ogni uomo alla presenza di Dio, dopo che il peccato era entrato nel mondo; ma, con l’Incarnazione, ci è apparsa la grazia e la benignità di Dio nostro Salvatore (Tito III, 4), e noi possiamo dirgli con tutta fiducia: « Mostrateci il vostro volto e noi saremo salvi ». – Questa faccia del Padre, è il Cristo, perché lo splendore della sua gloria e l’immagine della sua sostanza (Hebr. I, 3), e come si conosce un uomo vedendo il suo volto, così si conosce il Padre vedendo il Cristo (S. Gerol.). – « Filippo – diceva Gesù-Cristo a questo Apostolo – colui che vede me, ha visto il Padre » (Giov. XIV, 19). « Ecco Io mando il mio Angelo, ed egli preparerà la via davanti alla mia faccia » (Malac. III, 1), cioè Giovanni-Battista davanti al Cristo.

ff. 5-7. – « Signore, Dio degli eserciti, fino a quando sarete irritato contro la preghiera del vostro servo? », di colui che ora è il vostro servitore. Voi che vi irritate contro la preghiera del vostro nemico, vi irritate pure contro la preghiera del vostro servo? Voi ci avete voltato verso di Voi, noi vi abbiamo riconosciuto, e vi irritate ancora contro la preghiera del vostro servo? Si, Voi vi irritate ancora, ma la vostra collera sarà quella di un padre che corregge e non quella di un giudice che condanna … Non crediate che la collera di Dio sia passata, dal momento che siete tornati a Lui; essa è passata ma solo per non condannarvi eternamente. Ma Egli vi castiga, non vi risparmia, perché Egli castiga tutti coloro che riconosce come figli (Hebr. XII, 6). « Fino a quando ci nutrirete con pane di lacrime, e ci farete bere lacrime in abbondanza? » Ascoltate l’Apostolo: « Dio è fedele, non permetterò che siate tentati al di la di ciò che potete sopportare » (I Cor. X, 13). Questa misura è quella delle vostre forze, questa misura è ciò che vi necessita per istruirvi, e non per sopraffarvi (S. Agost.). – Il bene ed il male, la gioia e la tristezza, tutto si dà quaggiù con misura. Le gioie del mondo, le sue tristezze non meritano di essere contate. – Tutte le lacrime non sono le lacrime cristiane: la cupidigia ha le sue lacrime così come la carità; non ci sono che le lacrime di penitenza che siano cristiane, e non c’è che Colui che ha estratto altre volte l’acqua dalla pietra, che possa estrarne dalla durezza del nostro cuore.

II. — 8-19.

ff. 8-10. – Niente di più comune c’è nelle Sacre Scritture, che la comparazione del popolo di Dio, della Chiesa, ad una vigna, e questa comparazione si giustifica per numerose ragioni: – 1° è nei terreni petrosi che la vigna cresce più facilmente; è su Gesù-Cristo, come sulla pietra, che la Chiesa si radica e fruttifica. – 2° La vigna ha bisogno di puntelli che la sostengano e di legacci per fermarla; altrimenti essa si trascina, strisciando sulla terra; essa non può elevarsi se non è sostenuta, altrimenti cade. Ma pur essendo sostenuta, da dove non si eleva? Gesù-Cristo è nel contempo il piolo che la sostiene ed il legaccio che la tiene sospesa a questo piolo, ed è della Sapienza incarnata che è detto: « In essa c’è una bellezza che dona la vita, e le sue catene sono legami che guariscono e che salvano » (Eccl. VI, 31). – 3° La vigna ha bisogno di una coltura assidua e di cure incessanti. Così è per la Chiesa di Cristo. Egli recluta dei lavoratori per inviarli nella sua vigna, non soltanto dall’aurora, ma anche all’ora terza, alla sesta, alla nona ed all’undecima, di modo che sia coltivata ad ogni ora. – 4° I tralci della vigna seccherebbero e perirebbero senza risorse, se non fossero attaccati ed uniti al loro gambo, e se fossero privati della linfa da cui continuamente la traggono. Lo stesso è dei Cristiani: se essi non dimorano in Gesù-Cristo se non ricevono continuamente la grazia che li fa vivere. –  5° Quando la vigna è potata, colpita nel vivo, quando si recide non solo il legno secco, ma anche il legno verde, è allora che essa porta i frutti più abbondanti. È così che la Chiesa cresce e fruttifica in mezzo alle prove e pone nelle persecuzioni il principio di una più grande fecondità. – 6° Il tralcio staccato dal ceppo, seccherà, sarà gettato nel fuoco e seccherà, sarà gettato nel fuoco e brucerà. « Che si farà del legno della vigna, se lo si compara a tutti gli altri alberi che sono nei boschi e nelle foreste? Si utilizzerà il legno della vigna per qualche opera, lo si potrà fissare al muro e sostenervi ciò che si vorrà? Lo si getta nel fuoco del quale diventa preda, la fiamma ne consuma le due parti, ed il mezzo è ridotto in cenere; dopo questo, potrà mai essere buono per qualcosa altro? » (Ezech. XV, 2-4). Più essa è eccellente quando porta « il suo frutto delizioso che rallegra Dio e gli uomini » (Sap. IX, 13), più essa è  inutile se non ne porta più. E non ha più nulla da attendere se non il fuoco di cui è degna. Il legno della vigna è quello in cui si caratterizza al meglio la vita del Cristiano: non gli resta che portare frutto, o di essere gettato nel fuoco. –  I caratteri dello stabilirsi della Chiesa non sono marcati in modo meno incisivo nei diversi tratti di questa parabola! 1° Dio l’ha trapiantata, questa vigna, dall’Egitto, nella terra che aveva promesso, vale a dire che fa passare la sua Chiesa dalle tenebre del peccato, alla luce della fede e della grazia. – 2° Dio ha sterminato gli antichi abitanti di questa terra per farle posto e piantarla. (8). È così che Dio ha piantato la sua Chiesa nella fede. – 3° Dio ha fatto sviluppare delle radici profonde a questa vigna. « Voi le avete fatto da guida camminando davanti ad essa, Voi avete rafforzato le sue radici. »  È ciò che Dio ha fatto per la Chiesa, nel senso delle parole di queste San Paolo: « Dio, secondo le ricchezze della sua gloria, vi fortifichi nell’uomo interiore con il suo Spirito; Gesù-Cristo abiti nei vostri cuori per mezzo della fede, e siate radicati e fondati nella carità. » – 4° Questa vigna si è estesa da collina in collina e si è elevata al di sopra delle alte montagne che essa ha coperto. Tutta la terra, fino al fiume e fino al mare, ne è stata ripiena, tanto il vitigno è stato fecondo ed abbondante. È così che Dio concede alla sua Chiesa di moltiplicarsi e di propagarsi, con le sue propaggini ed i suoi frutti. –  « L’ombra di questa vigna ha coperto le montagne, ed i suoi tralci i cedri più elevati. ». Così la Chiesa si è elevata al di sopra di tutti i reami del mondo, di tutte le superbe altezze del secolo. Le montagne ed i cedri erano come al coperto sotto questa vigna, come le potenze del secolo, sottomesse alla Chiesa, trovavano il loro riposo, la loro sicurezza e la loro salvezza sotto l’ombra della fede. – La vigna – dice S. Ambrogio – è l’immagine della Chiesa. Il popolo cristiano si eleva come una vigna verdeggiante al di sopra del suolo avvilito. Questa tenera propaggine, innestata sulla vecchia vigna, è cresciuta sul legno nodoso della croce; e lo Spirito Santo, inondandola con la sua grazia, ha purificato la vigna. È essa che il colono si compiace di vangare, irrorare e tagliare (Comm. In Evang. Luc XV). – È anche questa vigna della Chiesa, i cui fiori spandono lontano i profumi di Gesù-Cristo, i cui frutti maturi ed abbondanti ispirano allo stesso santo dottore questo cantico di lode: « Signore», vi lodino coloro che vedono la vostra Chiesa estesa lontano, i suoi rami carichi, e tutte le anime che la circondano come dei monili preziosi, facendo in essa brillare la maturità e la prudenza, lo splendore della fede, il bagliore della giustizia, la fecondità della misericordia » (Hex. III, cap. 10).

ff. 12-13. – In questi versetti, il Profeta compone un quadro spaventoso e troppo naturale delle persecuzioni, delle prove, delle devastazioni alle quali Dio ha permesso che la Sinagoga, e poi la Chiesa cristiana, fossero sottoposte. –  Il muro della Chiesa, è Dio stesso: « Io sarò attorno ad essa, dice Jeowah, come un muro di fuoco, e sarò in mezzo ad essa nella mia gloria » (Zacc. II, 5). I muri della Chiesa sono ancora gli Angeli, i Santi, i Vescovi ed i Dottori, i precetti di Dio, le virtù e la preghiera. Tutti questi muri, questi bastioni sono abbattuti e distrutti, quando Dio permette allo spirito di persecuzione e di errore di prevalere per un tempo contro la sua Chiesa. Abbattuto questo muro, la vigna è aperta ad ogni tipo di devastazioni. « Essa è vendemmiata da tutti coloro che passano per strada. » Non solo essi ne prendono le radici, ma le bestie feroci vengono a strapparla fino alle radici, « ed il cinghiale della foresta l’ha devastata ». – Noi abbiamo qui un’immagine non meno spaventosa dello stato di un’anima che il peccato abituale ha sprofondato nell’indurimento. Dio la lascia in qualche modo indifesa, senza bastioni: tutti gli oggetti sensibili vi portano devastazione; essa è come una vigna che non ha più muraglia, e che resta esposta al saccheggio dei passanti.

ff. 14-16. – Malgrado queste sventure, tornate verso di noi. Guadateci dall’alto del cielo, vedete questa vigna e visitatela, « … e rendete perfetta quella che la vostra destra ha piantato ». Non ne piantate un’altra, ma rendete perfetta quella; perché essa è la razza stessa di Abramo; essa è la razza nella quale tutte le nazioni sono benedette (Gen. XXII, 18); là è la radice sulla quale è inserita l’olivo selvaggio (S. Agost.). –  Il profeta chiede qui Dio tutto intero: – 1° il suo volto, « Dio degli eserciti, volgetevi a noi; – 2° i suoi sguardi favorevoli: « Guardate dall’alto del cielo e vedete »; è lo sguardo di Dio che il Profeta Geremia domandava come un raggio di sole vivificante: « Vedete, Signore, che io sono nella tribolazione » (Gerem-Lam. I, 17): « O mio Dio, inclinate il vostro orecchio ed ascoltate; aprite i vostri occhi, e guardate la nostra desolazione, e la città sulla quale è stato invocato il vostro Nome;» – 3° egli domanda che Dio stesso venga a visitare la sua vigna e constati lo stato di devastazione nel quale i suoi nemici l’hanno ridotta: « e visitate la vostra vigna; » – 4° egli domanda la mano di Dio per riparare le sue rovine e ristabilirle nel suo stato originario. È ciò che Dio ha fatto con il suo Cristo: « e rendetela perfetta per il Figlio dell’uomo che Voi avete rafforzato per Voi. » Magnifico fondamento! Costruite sopra tutto ciò che potete costruire perché « non si può porre altro fondamento diverso da quello che è stato già posto, che è il Cristo Gesù » (1 Cor. III, 2). – Le cose sradicate e date alle fiamme periranno con l’indignazione del vostro volto. » Quali sono queste cose sradicate e date alle fiamme, e che periranno con l’indignazione del volto di Dio? Contro chi il Cristo è indignato? Contro i peccati! I peccati periranno dunque per l’indignazione del suo volto. Perché i peccati saranno sradicati e dati alle fiamme? Due cose producono in noi tutti i peccati: il desiderio ed il timore. Riflettete, discutete, interrogate i vostri cuori, sondate le vostre coscienze, vedete se potete commettere qualche peccato se non per desiderio o per paura. Per portarvi al peccato vi viene presentato un’esca, cioè qualcosa che vi piace; voi agite in vista di ciò che desiderate. Al contrario, voi non sperate nulla che vi porti al peccato, ma delle minacce vi spaventano, vi agitano in vista di ciò che voi temete … che farà dunque il volto di Dio che distrugge i peccati? Quali sono i peccati sradicati e dati alle fiamme? Che aveva fatto il cattivo amore? Esso aveva come illuminato una fiamma. Che aveva fatto il cattivo timore? Aveva come scavato il suolo. In effetti l’amore infiamma, la paura umilia; ecco perché i peccati nati dal cattivo amore sono dati alle fiamme, ed i peccati nati dal cattivo timore sono come sradicati (S. Agost.). – Gesù-Cristo è veramente l’uomo della destra di Dio: 1° perché è seduto alla destra del Padre; 2° perché è per Lui  che Dio opera tutto quel che fa; perché tutte le sue opere sono fatte in saggezza, con la saggezza e per la saggezza, che è il suo Verbo eterno ed increato.  – Dio non getta gli occhi che sul Figlio dell’uomo e suo, che è Gesù-Cristo. Egli non vede che Lui, non conosce che Lui, non accorda grazie se non per Lui e in vista di Lui. Dio ha stabilito Gesù-Cristo principalmente per se stesso, a suo onore e gloria. « Voi siete di Gesù-Cristo, e Gesù-Cristo è di Dio Voi » (I Cor. III, 23).

 ff. 19-20. – Allontanarsi da Dio, è sorgente di tutti i mali; tornare a Lui, per non separarsene mai, è sorgente di tutti i beni. – « Noi non ci allontaneremo da Voi, Voi ci vivificherete, e noi invocheremo il vostro nome. » (Ibid.). Voi ci sarete caro, « perché Voi ci vivificherete. » Noi amiamo dapprima la terra, noi non ci amiamo; ma Voi avete mortificato le nostre membra che appartengono alla terra (Coloss. III, 5). In effetti l’antico Testamento, che contiene promesse terrene, sembra invitare l’uomo a non adorare Dio senza interesse, ma ad amarlo perché Egli doni qualcosa sulla terra. Che amerete dunque per non amare Dio? Ditelo … guardate intorno a voi tutta la creazione. Vedete se sarete attirato da qualche parte per il desiderio della voluttuosità ed impedito di amare il Creatore, se non per le creature stesse di Colui che voi negligete. E perché amate queste creature se non perché esse sono belle! Possono essere belle così come Colui che le ha fatte? Voi ammirate le creature, perché non vedete il Creatore; ma gli oggetti della vostra ammirazione vi facciano amare Colui che non vedete. Interrogate la creatura: se essa è per se stessa, non andate al di la di essa; ma se essa viene da Lui, sappiate che ella non è funesta a chi ne è innamorato se non perché la preferisce al Creatore. Perché avete detto queste cose? È in ragione dei versetti che spieghiamo. Questi erano dunque dei morti che adoravano Dio al fine di riceverne dei beni carnali; perché « … essere saggi secondo la carne, è come essere morto » (Rom. VIII, 6). Sono dunque questi, dei morti che non adorano Dio se non per interesse, vale a dire perché Egli è buono, e non perché dona loro dei beni che accorda anche ai malvagi. Voi chiedete dei soldi a Dio? Anche un ladro ne ha. Una sposa, una famiglia numerosa, la salute del corpo, gli onori del mondo? Vedete quanti malvagi possiedono questo tipo di benefici. È qui tutto ciò che vi fa servire Dio?  I vostri piedi cancelleranno, e crederete di adorarlo inutilmente, quando vedrete questi stessi beni in possesso di coloro che non Lo adorano (Ps. LXXII, 2). Egli dona dunque questi beni anche ai malvagi; si conserva Lui solo, per i buoni. « Voi ci vivificherete », perché noi eravamo morti, quando eravamo attaccati alle cose della terra; noi eravamo morti quando portavamo in noi l’immagine dell’uomo terrestre. « Voi ci vivificherete; » Voi ci rinnoverete, Voi ci darete la vita dell’uomo interiore; « ed invocheremo il vostro Nome », cioè noi vi ameremo. Voi sarete il dolce Salvatore che rimette i nostri peccati; Voi sarete tutta la ricompensa delle nostre anime giustificate.

SALMI BIBLICI: “DEUS, VENERUNT GENTES” (LXXVIII)

SALMO 78: “DEUS, VENERUNT GENTES”

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS.

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

[Canonico titolare della Chiesa di Soissons, Professore emerito di Scrittura santa e sacra Eloquenza]

TOME DEUXIÈME.

PARIS – LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR 13, RUE DELAMMIE, 1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

Salmo 78

[1] Psalmus Asaph.

      Deus, venerunt gentes

in hæreditatem tuam; polluerunt templum sanctum tuum; posuerunt Jerusalem in pomorum custodiam.

[2] Posuerunt morticina servorum tuorum escas volatilibus caeli, carnes sanctorum tuorum bestiis terrae.

[3] Effuderunt sanguinem eorum tamquam aquam in circuitu Jerusalem, et non erat qui sepeliret.

[4] Facti sumus opprobrium vicinis nostris, subsannatio et illusio his qui in circuitu nostro sunt.

[5] Usquequo, Domine, irasceris in finem? accendetur velut ignis zelus tuus?

[6] Effunde iram tuam in gentes quae te non noverunt, et in regna quae nomen tuum non invocaverunt;

[7] quia comederunt Jacob, et locum ejus desolaverunt.

[8] Ne memineris iniquitatum nostrarum antiquarum; cito anticipent nos misericordiae tuae, quia pauperes facti sumus nimis.

[9] Adjuva nos, Deus, salutaris noster; et propter gloriam nominis tui, Domine, libera nos, et propitius esto peccatis nostris, propter nomen tuum.

[10] Ne forte dicant in gentibus: Ubi est Deus eorum? et innotescat in nationibus coram oculis nostris ultio sanguinis servorum tuorum qui effusus est.

[11] Introeat in conspectu tuo gemitus compeditorum; secundum magnitudinem brachii tui posside filios mortificatorum;

[12] et redde vicinis nostris septuplum in sinu eorum; improperium ipsorum quod exprobraverunt tibi, Domine.

[13] Nos autem populus tuus, et oves pascuæ tuæ, confitebimur tibi in sæculum; in generationem et generationem annuntiabimus laudem tuam.

[Vecchio Testamento Secondo la Volgata Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

SALMO LXXVIII

Si deplorano le calamità incontrate al tempo dei Maccabei per opera di Antioco e di altri persecutori. Essere questo Salmo una profezia, è detto  negli stessi libri de’ Maccabei, 1. 1, c. 7. Può applicarsi alla Chiesa, come fa S. Agostino.

Salmo di Asaph.

1. O Dio, son venute le nazioni nella tua eredità, han profanato il tempio tuo santo, han cangiata Gerusalemme in un tugurio di guardiani delle frutta.

2. Han gettato i cadaveri de’ tuoi servi pasto agli uccelli dell’aria, le carni dei santi tuoi alle fiere della terra.

3. Hanno sparso come acqua il loro sangue intorno a Gerusalemme, e non v’era chi desse lor sepoltura.

4. Siam divenuti oggetto di ignominia pei nostri vicini, d’insulto e di scherno per quei che ci stanno all’intorno.

5. E fino a quando, o Signore, sarai sdegnato implacabilmente, e arderà come fuoco il tuo zelo?

6. Scarica il tuo sdegno sopra le genti, che non ti conoscono, e sopra i regni che non hanno invocato il tuo nome;

7. Perché hanno divorato Giacobbe, e han devastata la casa di lui.

8. Non ti ricordare delle pristine nostre iniquità: ci prevengano prontamente le tue misericordie, perché noi siam divenuti oltremodo miserabili.

9. Aiutaci, o Dio, nostro Salvatore, e a gloria del nome tuo liberaci, e sii propizio a’ peccati nostri pel nome tuo;

10. Affinché non siavi forse tra le nazioni chi dica: Il Dio loro dov’è? (1). Nota sia tra le nazioni, veggenti noi,

11. la vendetta del sangue de’ servi tuoi, che è stato sparso; siano ammessi al tuo cospetto i gemiti di quei che sono in catene. Conserva col tuo gran braccio i figliuoli di que’ che furono uccisi.

12. E rendi, o Signore, ai nostri vicini nel loro seno sette volte tanto pe’ loro improperii vomitati contro di te.

13. Ma noi tuo popolo e pecorelle della tua greggia ti confesseremo eternamente; Annunzierem le lodi tue d’una in altra generazione.

(1) «Dov’è il loro Dio? » È  un rimprovero molto frequente nella bocca dei pagani (Ps. XLI, 4); è ciò che diceva in particolare Sennacherib, nella sua lettera ad Ezechia.

 Sommario analitico

Il Profeta predice e descrive la persecuzioni che il popolo di Dio ebbe a soffrire, o da Nabucodonosor, durante la presa di Gerusalemme e della distruzione di questa città e del tempio, o da parte del re Antioco, e nel nome dei Maccabei, nei quali si personificano la Chiesa Cristiana perseguitata:

I. Egli descrive i dettagli di questa atroce persecuzione.

1° La loro patria occupata dai nemici;

2° Il tempio di Dio profanato;

3° La santa città ridotta alla desolazione (1);

4° I cadaveri esposti agli uccelli predatori ed alle bastie feroci (2);

5° Il loro sangue sparso come l’acqua e la privazione della sepoltura (3);

6° Gli obbrobri e  beffe di cui essi sono oggetti da parte dei loro vicini (4).

II. Domanda a Dio di essere liberato da tutte queste calamità, dando come motivo:

1° I crimini dei gentili, che meritano più di loro questi castighi (6), a causa della loro infedeltà e della loro idolatria, – a causa della loro crudeltà e dei loro sacrilegi (7);

2° La loro qualità di popolo di Dio, che chiede a Dio di cancellare i suoi peccati passati e di liberarlo delle sue miserie presenti (8);

3° La gloria di Dio stesso, che i giusti riconoscono e di cui invocano la potenza, e di cui gli empi di burlano come se fosse colpito da impotenza (10);

4° Le tribolazioni e le afflizioni dei santi che domandano – a) che la loro morte sia vendicata; – b) che dal seno delle loro prigioni i loro gemiti salgano fino a Dio; – c) che Dio prenda sotto la sua protezione dei poveri orfani (11);

5° L’empietà dei popoli vicini, che devono essere puniti – a) per la loro crudeltà contro i figli di Dio; – b) a causa delle loro blasfemie contro Dio (12);

6° Le virtù dei giusti liberati, che manifestano le lodi di Dio con umiltà e perseveranza (13). 

Spiegazioni e Considerazioni

.I. — 1-4.

ff. 1-4. – Le calamità descritte nei primi versetti di questo salmo sono una predizione delle sventure di Gerusalemme, o sotto Nabucodonosor, che devastò la Giudea tutta intera, o più verosimilmente, sotto Antioco, persecutore accanito dei Giudei e profanatore del loro tempio. Questa profezia non può aver rapporto con l’ultima devastazione di Gerusalemme dell’imperatore romano Tito, perché come potrebbe chiamarsi eredità di Dio questo popolo che non aveva più il Cristo con sé, che al contrario veniva riprovato e messo a morte; popolo che rifiutava di credere in Lui, anche dopo la sua Resurrezione e che, per di più, faceva morire i suoi martiri? (S. Agost.). – Pertanto, questa profezia sotto forma di preghiera, come lo Spirito Santo avrebbe ispirato un Profeta per ottenere la liberazione di una città che il Signore avrebbe condannato ad una totale rovina senza ritorno? – Queste persecuzioni dirette contro il popolo di Dio, contro la città di Gerusalemme ed il tempio, figurano le persecuzioni dirette contro la Chiesa Cristiana che si sono compiute alla lettera spesso a suo riguardo nel corso dei secoli. – Bisogna comprendere le prime parole profetiche di questo salmo: « O Dio, le nazioni sono venute nella vostra eredità »; (Ps. LXXVIII, 1) in questo senso che i Gentili sono entrati nella Chiesa non credendo, ma perseguitando, cioè essi l’hanno invasa con l’intenzione di distruggerla e perderla interamente, come di fatto lo dimostrano tante persecuzioni, e capire che ciò che segue: « Esse hanno macchiato il vostro tempio santo », si applichi non a del legno o delle pietre, ma a degli uomini che, simili a pietre viventi, servono – dice l’Apostolo San Pietro – a costruire la casa di Dio (I Piet. II, 5). È in questo senso che l’Apostolo San Paolo dice chiaramente: « Il tempio di Dio è santo e voi siete questo tempio. » (I Cor. III, 17). I persecutori hanno dunque macchiato questo tempio in coloro che essi hanno forzato nel rinnegare il Cristo con minacce o con supplizi, e che sono costretti con violente pressioni, ad invocare gli idoli. » (S. Agost.) –  « Essi hanno fatto di Gerusalemme un tugurio per guardiani da frutta. » Con questa figura il Profeta esprime l’abbandono che ha prodotto l’estendersi della persecuzione; perché si abbandona la capanna dove ci si era messi per guardare i frutti, quando il tempo  dei frutti è passata; ma quando la Chiesa, sotto la persecuzione dei Gentili, è sembrata diventare deserta, la anime dei martiri sono passate alla tavola celeste, come frutti numerosi e deliziosi raccolti nel giardino del Signore (Idem). – Le passioni ed i vizi, maestri di un’anima di cui Dio aveva preso possesso con la sua grazia; – il traffico delle cose sante, lo spirito mercenario nelle sacre funzioni, etc., sono, in un senso topologico, le nazioni che sono entrate nell’eredità di Dio, che è la sua Chiesa, e che l’hanno profanata, disonorata, ridotta ad essere come la guardiana dei frutti della cupidità e dell’avarizia. Ogni anima che si sente devastata dai suoi peccati, come tante barbare nazioni, può dire con Mattatia, padre dei Maccabei: « Chi di quelli che non ha ereditato dal suo reame, e non ha ottenuto le sue spoglie? Tutta la sua magnificenza gli è stata tolta: essa era libera, essa è diventata schiava; e tutto ciò che noi abbiamo di santo, di bello e di splendido è stato desolato e profanato dalle nazioni. Perché dunque ancora viviamo? » (I Maccab. II, 10). –  « Non sapete che i vostri corpi sono membra di Gesù-Cristo? Toglierò dunque a Gesù-Cristo le proprie membra per farne membra di prostituta? A Dio non piace … (I Cor. VI, 15). Non sapete che voi siete il tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi? Ora, se qualcuno profana il tempio di Dio, Dio lo perderà; perché il tempio di Dio è santo, e voi siete questo tempio. » (I Cor. III, 16, 17). Vedete cosa dovete fare del tempio di Dio? Se avete scelto la Chiesa per commettervi un adulterio, cosa ci sarebbe di più detestabile, di più abominevole? Ora, ricordatevi che siete voi stessi il tempio di Dio. Voi siete il suo tempio quando entrate nella vostra dimora, voi siete tempio quando ne uscite, voi siete il suo tempio quando restate nella vostra dimora … Vegliate dunque su tutti i vostri atti, guardatevi dall’offendere Colui che abita questo tempio, per timore che non vi abbandoni, che non vi condanni ad una rovina intera e senza ritorno (S. Agost. Serm XVI sur les parol, du S.). –  « Essi hanno dato i cadaveri dei vostri servi in pasto agli uccelli del cielo, e la carne dei santi alle bestie della terra. Quando le anime dei martiri erano presentate come dei frutti ai loro coltivatori, le nazioni davano i cadaveri e le carni di questi martiri in pasto agli uccelli del cielo ed alle bestie della terra; come se qualche cosa di essi dovesse mancare alla resurrezione, nel momento in cui Colui per il Quale sono contati tutti i capelli della nostra testa, risusciterà il loro corpo riprendendoli dai punti più nascosti della terra (S. Agost.). – La vista di una città riempita di cadaveri a cui nessuno vuol dare sepoltura, e che restano esposti per essere preda delle bestie, è una spettacolo spaventoso, che produce in noi una impressione di terrore da cui non possiamo difenderci. E tuttavia noi vediamo, senza esserne spaventati, tante anime a cui il peccato dà ogni giorno la morte, e che lascia esposti in preda alle loro passioni, mille volte più crudeli delle bestie feroci. Questi morti non si vedono con gli occhi del corpo, è la fede che li scopre, è la fede che li piange. Siccome queste lacrime vengono dal cielo, esse sono potenti nei loro effetti che provengono dalla loro origine; perché le lacrime che si versano sulle rovine delle città, non saprebbero mai ristabilirle; ma spesso le lacrime dei Santi e delle anime pie hanno resuscitato delle anime morte da lungi tempo alla vita della grazia (Duguet). Era dalla gloria di Dio che la sola nazione che fosse al mondo devota al vero culto, non divenisse l’oggetto del disprezzo e dello scherno dei vicini: ma la gloria di Dio non era interessata a questa o quella nazione di cui godesse di una grande considerazione tra i suoi concittadini: l’umiliazione è stata, in tutti i tempi, per gli amici di Dio, la salvaguardia della santità e la strada della salvezza (Berthier). 

II — 5-13.

ff. 5-7. – Questa preghiera che fa qui intendere il Profeta, prova che la sua recita delle afflizioni di Gerusalemme non ha come scopo il farle conoscere, bensì il compiangerle. Egli supplica Dio di non irritarsi fino agli estremi eccessi, cioè di non condurre all’estremo i mali che sopravvengono, le loro tribolazioni e la devastazione del loro paese, secondo la parola di un altro salmo: « Voi ci farete mangiare un pane impastato con le nostre lacrime e ci farete bere lacrime in abbondanza » (Ps. LXXIX). – Ma la collera e l’indignazione di Dio non sono dovute a passioni che lo turbino, come certi uomini ritengono dalle Scritture che non comprendono. Sotto il nome di collera, si intende solo la punizione dell’iniquità, e quello di zelo non indica che il rigore con il quale Dio esige quella purezza che fa sì che l’anima rispetti la legge del suo Signore, e non si perda lontano da Lui come per una sorta di adulterio. Questi sentimenti, per gli effetti che producono nell’uomo afflitto, sono causa di turbamento; ma nella disposizione provvidenziale di Dio, essi sono pieni di pace, perché è detto di Dio. « Voi, Signore delle anime, giudicate con mitezza » (Sap. XII, 18). Queste parole fanno ben vedere che le afflizioni sono mandate agli uomini, anche fedeli, a causa dei loro peccati, benché nello stesso tempo facciano brillare la gloria dei martiri per il merito della loro pazienza e della loro pia energia nell’osservare la legge del Signore anche sotto i colpi dei suoi castighi (S. Agost.). – La collera di Dio contro i giusti, è ben differente dalla collera di Dio contro i peccatori: la prima è una collera d’amore che vuole semplicemente reprimere. Esse sono entrambe divampate come un fuoco, ma riguardo ai peccatori è un fuoco che consuma; nei confronti dei giusti, è un fuoco che purifica. – « Spargete la vostra collera sulle nazioni che non vi conoscono, e sui regni che non hanno invocato il vostro nome. » Come dunque interpretare ciò che dice il Signore nel Vangelo: « Il servitore che non conosce le volontà del suo maestro e che commette degli atti degni di castigo, sarà rigorosamente castigato?» (Luc. XII, 48). Se la collera di Dio è più violenta contro le nazioni che non Lo hanno conosciuto … non sarebbe perché c’è una grande differenza tra i servitori che, ignorando la volontà del loro maestro, invocano tuttavia il suo nome, e coloro che sono estranei alla famiglia di un tale padre, e che hanno una ignoranza tale da non invocare neanche il nome di Dio? Anche il Profeta non rappresenta coloro che definisce come ignoranti la volontà del loro padrone, benché non lascino di temerla, ma li rappresenta come ignoranti al punto da non invocarlo e farsi nemici del suo Nome. C’è dunque una grande differenza tra i servitori che non conoscono la volontà del loro padrone, ma che pertanto vivono nella sua famiglia e nella sua casa, ed i nemici che non solo non vogliono conoscere il suo nome, ma che non contenti di non invocare il suo Nome, fanno pure la guerra ai suoi servitori (S. Agost.). – Sotto questi termini così semplici è stata per lungo tempo velata una verità capitale che San Paolo ha chiaramente rivelato alla Chiesa cristiana, e che Bourdaloue ha perfettamente sviluppata nel suo sermone della I settimana di avvento: « … Colui che non avrà ricevuto la legge, sarà giudicato senza la legge; colui che non avrà avuto la fede rischiarata, sarà giudicato senza la legge. » Oltre alla legge esteriore, che non è stata promulgata per questo o quel popolo, oltre alla fede che non ha per Lui questo popolo, è stata data un’altra luce, una luce naturale che illumina ogni uomo che viene in questo mondo, la luce della ragione che emana dalla ragione eterna e sovrana: il Verbo divino.  Questa luce naturale, questa ragione umana ha dovuto servire da guida ad ogni uomo. Essa era sufficiente, se ascoltata con attenzione, se consultata con sincerità, se obbedita con zelo; essa era sufficiente a condurre l’uomo a Dio Creatore, al Dio principio e fine di tutte le cose, al Dio vendicatore del crimine e rimuneratore della virtù. Coloro che avranno, con il soccorso di questa luce, conosciuto Dio ed invocato il suo Nome, saranno colpevoli di questo difetto di conoscenza, di questo difetto di invocazione, e responsabili di tutte le loro conseguenze. A maggior ragione i Giudei che hanno ricevuto la legge da Mosè, i Cristiani, che hanno ricevuto la legge da Gesù-Cristo stesso, saranno sottomessi al terribile Giudizio, se non hanno conosciuto Dio, se non Lo hanno invocato (Rendu).

ff. 8, 9. – « Non rammentate le nostre antiche iniquità. » Egli non dice le nostre iniquità passate, che potrebbero anche ssere recenti, ma delle nostre iniquità antiche, vale a dire di quelle che vengono dai nostri padri; perché sì gravi iniquità meritano non la correzione, ma la condanna. « Affrettatevi a prevenirci con la vostre misericordie. » Che ci precedano esse davanti ai vostri giudizi; perché la misericordia si eleva sopra al giudizio … ma aggiungendo: « … perché noi siamo caduti in una estrema povertà, » il Profeta vuol far sentire che le misericordie divine  ci prevengono affinché la nostra povertà, cioè la nostra debolezza, sia aiutata dalla sua misericordia nell’osservare i comandamenti per timore di non arrivare al giudizio per essere condannati. « Aiutateci o Dio che siete il nostro Salvatore. » Con queste parole: « Nostro Salvatore, » egli spiega molto chiaramente di quale genere di povertà abbia voluto parlare dicendo: « … perché noi siamo caduti in una estrema povertà; » infatti questa povertà non è altra cosa che la debolezza per la quale è necessaria un Salvatore. Ma quando vuole che siamo aiutati, non manca né di riconoscenza verso la grazia, né di giustizia verso il nostro libero arbitrio, perché colui che riceve soccorso agisce nello stesso tempo per mezzo di Lui stesso. Egli dice ancora: « Liberatemi, Signore per la gloria del vostro Nome », vale a dire … non a causa nostra. Cosa meritano in effetti i nostri peccati, che sia dovuto loro, se non dei castighi proporzionati? Ma « Siate propizio ai nostri peccati, a causa del vostro Nome, » … « e che la vendetta del sangue dei vostri servitori brilli ai nostri occhi in mezzo alle nazioni. » Ci sono due modi per intendere queste parola: o che l’iniquità dei nostri nemici sia distrutta dalla loro fede in Dio, o che, perseverando nella loro malvagità. essi siano puniti dei supplizi del giudizio finale (S. Agost.). –  Non c’è parola in questa preghiera che non sia espressiva. L’oggetto della preghiera è la gloria del santo Nome di Dio; Colui al quale si indirizza la preghiera è Dio, Autore di ogni grazia e salvezza; la disposizione della preghiera, è il cuore penetrato dal ricordo dei propri peccati; il desiderio principale enunciato dalla preghiera, è di essere ristabilito nel favore di Dio (Berthier) – Dio ci previene con le sue misericordie aiutandoci – 1° ad espiare con la penitenza, i peccati passati; – 2° ad evitare i peccati; – 3° a fare opere di giustizia. Quando domandiamo il soccorso di Dio ed il perdono dei nostri peccati, non lo attendiamo per i nostri meriti. – È un dolore dei più sensibili per i giusti che soffrono, vedere che le loro sofferenze siano una occasione di oltraggiare Dio e vomitare delle bestemmie contro Lui. Si lasci a Dio la cura di arrestare queste bestemmie, e salvare l’onore della pietà. –  Occorre fare anche questa preghiera, non solo per i nostri peccati particolari, ma per la nostra Patria: o Dio, Voi che siete la nostra unica salvezza, aiutateci; ed a causa vostra, a causa della gloria del vostro Nome, perché agli occhi di tutti i popoli la Francia è sempre stata il più ricco pinnacolo della vostra corona terrena, venite in nostro aiuto e procurateci la nostra liberazione. Infine se è purtroppo vero che ancora siamo peccatori, che siamo sempre colpevoli, siate propizio, siate indulgente verso i nostri peccati a causa vostra e del vostro Nome, e perché la Francia non possa essere abbassata, forse umiliata ché il vostro Nome ne soffra, che la vostra causa ne sia profondamente colpita. (Mgr PIE, Disc, etc., t. VII, p. 307).

ff. 11-12. – Se non bisogna rendere a nessuno male per il male, non solo non bisogna opporre una azione malvagia, ma non bisogna rendere un desiderio malvagio che, se non si vendica da se stesso, attende non di meno e desidera che Dio punisca il suo nemico. Se dunque il giusto ed il malvagio desiderano che Dio li vendichi dei loro nemici, in cosa distinguerli se non in ciò che il giusto desidera vedere il suo nemico corretto piuttosto che punito, e se lo vede punito da Dio, non si compiace nel suo castigo, perché non lo odia, ma nella giustizia di Dio, perché ama Dio? Infine se il giusto è vendicato dal suo nemico in questo mondo, gioisce o perché al suo soggetto, il castigo lo corregge, o per gli altri, affinché temano di rendersi colpevole come lui. Egli stesso diventa migliore attraverso questo castigo, non nutrendo il suo odio del supplizio del suo nemico, ma correggendo i propri errori. È dunque per benevolenza e non per malvagità che il giusto gioisce vedendosi vendicato, e lava le sue mani, cioè purifica le sue opere nel sangue, cioè nella punizione del peccatore, dalla quale trae non una gioia per la disgrazia altrui, ma un esempio di avvertimenti da Dio (S. Agost.). –  « Versate nel seno dei nostri vicini sette volte tanto il male che essi ci hanno fatto ». Il Profeta non desidera il loro male ma, come in precedenza, annunzia la giusta punizione delle loro colpe, e profetizza l’avvenire. Con il numero sette, cioè con il male reso sette volte, egli vuol far comprendere che la punizione sarà piena, perché spesso il numero sette è impiegato per esprimere la totalità. Il profeta dice: «I nostri vicini », perché la Chiesa abiterà in mezzo ai suoi nemici fino al giorno della separazione, perché al presente, non si opera nessuna separazione visibile. Egli dice: « versate nel seno », vale a dire nel segreto, affinché la vendetta che si fa oggi segretamente « brilli ai nostri occhi in mezzo alle nazioni ». Ed in effetti, quando un uomo è dedito al suo senso depravato, egli riceve interiormente, nel suo seno, la minaccia dei supplizi avvenire che ha meritato. « E l’obbrobrio che essi hanno gettato su di Voi, Signore; » versato nel loro seno sette volte con tanto di vergogna; cioè come punizione dell’obbrobrio che essi hanno voluto gettare su di Voi, respingeteli interamente nel segreto dei loro cuori. È la, in effetti, che essi hanno gettato l’obbrobrio su di Voi, conservando la speranza di cancellare il vostro nome dalla terra, per la distruzione dei vostri servitori (S. Agost.).

ff. 13. – « Ma noi, vostro popolo », queste parole si applicano in generale ad ogni sorta di uomini pii e di veri Cristiani. Noi dunque, che essi credevano di poter perdere, « noi, vostro popolo e pecore del vostro gregge », se qualcuno si glorifica, lo faccia nel Signore (I Cor. I, 21), « … noi confessiamo il vostro Nome per il secolo », vale a dire fino alla fine dei secoli (S. Agost.), « … e renderemo pubbliche le vostre lodi nelle future generazioni ». Quale più dolce occupazione c’è per coloro che sono veramente il popolo di Dio, che sono del numero delle pecore, che lo seguono come loro Pastore, e che sono nutriti nei suoi pascoli, che rendergli eterne azioni di grazie e rendere pubbliche le sue lodi già fin da questa vita ed in seguito nella sequela dei secoli. (Dug.).

SALMI BIBLICI: “ATTENDITE, POPULE MEUS, LEGEM MEAM”(LXXVII)

SALMO 77: “ATTENDITE, POPOLE MEUS, LEGEM MEAM”

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS.

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

[Canonico titolare della Chiesa di Soissons, Professore emerito di Scrittura santa e sacra Eloquenza]

TOME DEUXIÈME.

PARIS – LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR 13, RUE DELAMMIE, 1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

Salmo 77

[1] Intellectus Asaph.

    Attendite, popule meus, legem meam;

inclinate aurem vestram in verba oris mei.

[2] Aperiam in parabolis os meum; loquar propositiones ab initio;

[3] quanta audivimus et cognovimus ea, et patres nostri narraverunt nobis.

[4] Non sunt occultata a filiis eorum in generatione altera, narrantes laudes Domini et virtutes ejus, et mirabilia ejus quæ fecit.

[5] Et suscitavit testimonium in Jacob, et legem posuit in Israel, quanta mandavit patribus nostris nota facere ea filiis suis:

[6] ut cognoscat generatio altera; filii qui nascentur et exsurgent, et narrabunt filiis suis,

[7] ut ponant in Deo spem suam, et non obliviscantur operum Dei, et mandata ejus exquirant;

[8] ne fiant, sicut patres eorum, generatio prava et exasperans; generatio quae non direxit cor suum, et non est creditus cum Deo spiritus ejus.

[9] Filii Ephrem, intendentes et mittentes arcum, conversi sunt in die belli.

[10] Non custodierunt testamentum Dei, et in lege ejus noluerunt ambulare.

[11] Et obliti sunt benefactorum ejus, et mirabilium ejus quæ ostendit eis.

[12] Coram patribus eorum fecit mirabilia in terra Ægypti, in campo Taneos.

[13] Interrupit mare, et perduxit eos; et statuit aquas quasi in utre,

[14] et deduxit eos in nube diei, et tota nocte in illuminatione ignis.

[15] Interrupit petram in eremo, et adaquavit eos velut in abysso multa.

[16] Et eduxit aquam de petra, et deduxit tamquam flumina aquas.

[17] Et apposuerunt adhuc peccare ei; in iram excitaverunt Excelsum in inaquoso.

[18] Et tentaverunt Deum in cordibus suis, ut peterent escas animabus suis.

[19] Et male locuti sunt de Deo; dixerunt: Numquid poterit Deus parare mensam in deserto?

[20] quoniam percussit petram, et fluxerunt aquae, et torrentes inundaverunt. Numquid et panem poterit dare, aut parare mensam populo suo?

[21] Ideo audivit Dominus et distulit; et ignis accensus est in Jacob, et ira ascendit in Israel;

[22] quia non crediderunt in Deo, nec speraverunt in salutari ejus.

[23] Et mandavit nubibus desuper, et januas cæli aperuit.

[24] Et pluit illis manna ad manducandum, et panem cæli dedit eis.

[25] Panem angelorum manducavit homo; cibaria misit eis in abundantia.

[26] Transtulit austrum de cælo, et induxit in virtute sua africum.

[27] Et pluit super eos sicut pulverem carnes, et sicut arenam maris volatilia pennata.

[28] Et ceciderunt in medio castrorum eorum, circa tabernacula eorum.

[29] Et manducaverunt, et saturati sunt nimis; et desiderium eorum attulit eis;

[30] non sunt fraudati a desiderio suo. Adhuc escæ eorum erant in ore ipsorum;

[31] et ira Dei ascendit super eos; et occidit pingues eorum, et electos Israel impedivit.

[32] In omnibus his peccaverunt adhuc, et non crediderunt in mirabilibus ejus.

[33] Et defecerunt in vanitate dies eorum, et anni eorum cum festinatione.

[34] Cum occideret eos, quærebant eum et revertebantur, et diluculo veniebant ad eum.

[35] Et rememorati sunt quia Deus adjutor est eorum, et Deus excelsus redemptor eorum est.

[36] Et dilexerunt eum in ore suo, et lingua sua mentiti sunt ei;

[37] cor autem eorum non erat rectum cum eo, nec fideles habiti sunt in testamento ejus.

[38] Ipse autem est misericors, et propitius fiet peccatis eorum et non disperdet eos. Et abundavit ut averteret iram suam, et non accendit omnem iram suam.

[39] Et recordatus est quia caro sunt, spiritus vadens et non rediens.

[40] Quoties exacerbaverunt eum in deserto, in iram concitaverunt eum in inaquoso?

[41] Et conversi sunt, et tentaverunt Deum, et sanctum Israel exacerbaverunt.

[42] Non sunt recordati manus ejus, die qua redemit eos de manu tribulantis;

[43] sicut posuit in Ægypto signa sua, et prodigia sua in campo Taneos;

[44] et convertit in sanguinem flumina eorum, et imbres eorum, ne biberent.

[45] Misit in eos cænomyiam, et comedit eos, et ranam, et disperdidit eos;

[46] et dedit ærugini fructus eorum, et labores eorum locustæ;

[47] et occidit in grandine vineas eorum, et moros eorum in pruina;

[48] et tradidit grandini jumenta eorum, et possessionem eorum igni;

[49] misit in eos iram indignationis suae, indignationem, et iram, et tribulationem, immissiones per angelos malos;

[50] viam fecit semitæ iræ suæ, non pepercit a morte animabus eorum, et jumenta eorum in morte conclusit;

[51] et percussit omne primogenitum in terra Ægypti, primitias omnis laboris eorum in tabernaculis Cham;

[52] et abstulit sicut oves populum suum, et perduxit eos tamquam gregem in deserto;

[53] et deduxit eos in spe, et non timuerunt, et inimicos eorum operuit mare.

[54] Et induxit eos in montem sanctificationis suae, montem quem acquisivit dextera ejus; et ejecit a facie eorum gentes, et sorte divisit eis terram in funiculo distributionis;

[55] et habitare fecit in tabernaculis eorum tribus Israel.

[56] Et tentaverunt, et exacerbaverunt Deum excelsum, et testimonia ejus non custodierunt.

[57] Et averterunt se, et non servaverunt pactum, quemadmodum patres eorum, conversi sunt in arcum pravum.

[58] In iram concitaverunt eum in collibus suis, et in sculptilibus suis ad aemulationem eum provocaverunt.

[59] Audivit Deus, et sprevit, et ad nihilum redegit valde Israel.

[60] Et repulit tabernaculum Silo, tabernaculum suum, ubi habitavit in hominibus.

[61] Et tradidit in captivitatem virtutem eorum, et pulchritudinem eorum in manus inimici.

[62] Et conclusit in gladio populum suum, et hæreditatem suam sprevit.

[63] Juvenes eorum comedit ignis, et virgines eorum non sunt lamentatæ.

[64] Sacerdotes eorum in gladio ceciderunt, et viduæ eorum non plorabantur.

[65] Et excitatus est tamquam dormiens Dominus, tamquam potens crapulatus a vino.

[66] Et percussit inimicos suos in posteriora, opprobrium sempiternum dedit illis.

[67] Et repulit tabernaculum Joseph, et tribum Ephraim non elegit.

[68] Sed elegit tribum Juda, montem Sion, quem dilexit.

[69] Et aedificavit sicut unicornium sanctificium suum, in terra quam fundavit in saecula.

[70] Et elegit David, servum suum, et sustulit eum de gregibus ovium; de post foetantes accepit eum:

[71] pascere Jacob, servum suum, et Israel, hæreditatem suam.

[72] Et pavit eos in innocentia cordis sui, et in intellectibus manuum suarum deduxit eos.

[Vecchio Testamento Secondo la Volgata Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

SALMO LXXVII

Il titolo significa la difficoltà del Salmo. L’argomento e storico. Davide ricorda  i benefìcii di Dio e l’ingratitudine degli antichi Israeliti, perciò castigati, e quindi da non imitarsi. Adombra anche il regno di Cristo, che fini l’antico Testamento e stabilì il nuovo, tanto migliore. Il titolo adunque ammaestra Asaph d’intendere esso e far intendere agli altri, adoperando parabole (v. 2), i misteri di questo regno.

Istruzione, ovvero intelligenza di Asaph.

1. Ascolta, popolo mio, la mia legge; porgi le tue orecchie alle parole della mia bocca.

2. Aprirò in parabole la mia bocca; dirò cose recondite de’ primi tempi,

3. Le quali furono da noi udite e intese, e a noi le narrarono i padri nostri.

4. E questi non le tenner ascose a’ loro figliuoli e alla seguente generazione, narrando le lodi del Signore, e le opere potenti e le meraviglie fatte da lui.

5. Nel popolo di Giacobbe egli stabili i suoi comandamenti, e ad Israele diede la legge;

6. Le quali cose comandò egli a’ padri che facessero sapere a’ loro figliuoli, affinché la seguente generazione le sappia. E i figliuoli, che nasceranno e verranno alla luce, le racconteranno a’ propri figliuoli,

7. Affinché questi in Dio pongano la loro speranza, e non si scordino delle opere di Dio, e custodiscano i suoi comandamenti.

8. Affinché non siano quali i padri loro, generazione prava e ribelle; Generazione, che non ebbe cuore retto, e della quale lo spirito non fu fisso in Dio.

9. i figliuoli di Ephrem, periti nel tendere e scoccar l’arco, nel giorno della battaglia voltaron le spalle.

10. Non custodirono l’alleanza di Dio, e non vollero camminare nella sua legge.

11. E si scordarono dei suoi benefizi e delle cose mirabili, che egli avea lor fatte vedere.

12. Dinanzi a’ padri loro fece egli cose mirabili nella terra d’Egitto, nella campagna di Tanis.

13. Divise il mare, e portogli a riva; e chiuse le acque quasi in un otre.

14. E li guidò il giorno per mezzo di una nuvola, e tutta la notte col chiarore del fuoco.

L5. Spaccò nel deserto la rupe, e diede loro delle acque, quasi fossero presso una profonda fiumana.

16. Imperocché egli le acque fe’ uscir dalla pietra, e le acque fe’ scorrer a guisa di fiumi.

17. Ma eglino non rifinirono di peccare contro di lui: ad ira mossero l’Altissimo in quel secco deserto.

18. E ne’ cuori loro tentarono Dio, chiedendo cibo a sostenere le loro vite.

19. E parlaron male di Dio, e dissero: Potrà egli forse Dio imbandirci una mensa in un deserto?

20. Perché egli ha battuta la pietra, e ne sono sgorgate acque, e ne sono sboccati tonanti, potrà egli forse dare anche del pane, o imbandire una mensa al suo popolo?

21. Udì adunque il Signore, e differì il soccorso; e un fuoco si accese contro Giacobbe, e montò l’ira contro Israele.

22. Perché eglino non credettero a Dio, e non sperarono la salute da lui.

23. Or egli fu che diede ordine alle altenuvole, e aperse le porte del cielo,

24. E piovve ad essi per cibo la manna, e diede loro pane del cielo.

25. Mangiò l’uomo il pane degli Angeli; ei mandò loro in abbondanza onde cibarsi.

26. Rimosse dal cielo l’Austro, e con la sua potenza vi menò l’Africo.

27. E fece piovere sopra di essi le carni, come la polvere; e come le arene del mare, uccelli alati.

28. E caddero in mezzo ai loro alloggi:, intorno a’ lor padiglioni.

29. E ne mangiarono, e si satollarono oltre il bisogno; ed egli soddisfece a’ lor desiderii, ed ebbero tutto quel che bramavano.

30. Avevan tuttora in bocca le loro vivande, quando l’ira di Dio piombò sopra di essi.

31. E i più grassi ne uccise, e prostrò il fiore d’Israele.

32. Con tutto questo peccarono tuttavia, e non prestaron fede alle sue meraviglie.

33. E i giorni loro qual fumo sparirono, e i loro anni con fretta.

34. Lo cercavano quando ei gli uccideva, e a lui si volgevano, e con sollecitudine andavano a lui.

35. E si ricordavano che Dio è loro aiuto, e l’altissimo Dio è il loro Redentore.

36. E lo amarono a parole, e con la lor lingua dissero a lui cose false;

37. Ma il cuor loro verso di lui non era retto, nò furon fedeli alla sua alleanza.

38. Egli però e misericordioso, e perdonava loro i peccati, e non gli sterminava.

E l’ira sua molte e molte volte rattenne, e non die fuoco a lutto il suo sdegno;

39. E ricurdossi ch’e’sono carne: un soffio, che passa e non ritorna

40. Quante volte lo esacerbarono nel deserto? lo provocarono ad ira in quegli aridi luoghi?

41. Ed e’ tornavano a tentare Dio, ed esacerbarono il Santo d’Israele.

42. Non tenner memoria di quel ch’ ei fece in quel di, in cui li riscattò dalle mani dell’oppressore;

43. E come egli fe’ vedere i suoi segni nell’Egitto, e i suoi prodigi nella campagna di Tanis.

44. E mutò in sangue i loro fiumi e le loro acque affinché non avesser da bere.

45. Mandò loro delle mosche, che li mangiavano, e delle ranocchie che li disertavano.

46. E i loro frutti die in preda alla ruggine, e le loro fatiche alle locuste.

47. E uccise colla grandine le loro viti, e i loro mori colla brinata.

48. E alla grandine diede in preda i lor giumenti, e al fuoco le lor possessioni.

49. Mandò sopra di loro l’ira e l’indignazione sua, l’indignazione e l’ira e la tribolazione mandate per mezzo de’ cattivi angeli.

50. Larga strada aprì all’ira sua, non risparmiò loro la morte, e nella stessa morte involse i loro giumenti.

51. E percosse tutti i primogeniti nel territorio dell’Egitto, le primizie delle loro fatiche nei padiglioni di Cham.

52. E ne trasse il suo popolo come pecore, e come una greggia li guidò nel deserto.

53. E fuor li condusse speranzosi, e non ebber di che temere; e il mare seppellì i loro nemici.

54. E li condusse al monte di santificazione, monte cui egli col braccio suo acquistò. E dalla faccia loro discacciò le nazioni, e distribuì loro a sorte la terra misurata con le corde.

55. E i tabernacoli di quelle nazioni diede in abitazione alle tribù d’Israele.

56. Ma eglino tentarono ed esacerbarono l’altissimo Iddio, e non custodirono i suoi comandamenti.

57. E volsero a lui le spalle, e non osservarono il patto; si mutarono in arco fallace, come già i padri loro.

58. Lui mossero ad ira su’ loro colli, e con gli idoli scolpiti da loro provocarono lo zelo di lui.

59. Udigli Iddio, e disprezzò e umiliò altamente Israele.

60. E rigettò il tabernacolo di Silo, il suo tabernacolo dove fe’sua dimora tra gli uomini.

61. E la loro fortezza diede alla schiavitù, e la loro gloria nelle mani dei nemici.

62. E chiuse il popol suo tra le spade, e disprezzò la sua propria eredità.

63. La loro gioventù fu divorata dal fuoco, e le loro vergini non furon piante.

64. I loro sacerdoti periron di spada, e non si piangevano le loro vedove.

65. Ma il Signore si risvegliò come un che dormiva, come un uom valoroso dopo aver bevuto assai bene del vino.

66. E percosse i suoi nemici alle spalle, e di sempiterna ignominia li ricoperse.

67. E rigettò il tabernacolo di Giuseppe, e non elesse la tribù di Ephraim.

68. Ma elesse la tribù di Giuda, il monte di Sion, cui egli amò.

69. Ed edificò come il corno del monoceronte il santuario sopra la terra fondata da lui pei secoli.

70. Ed elesse David suo servo, e dalla greggia delle pecorelle lo prese; dalla cura delle gravide pecorelle lo tolse.

71. Per pascere Giacobbe suo servo, ed Israele suo retaggio.

72. Ed ei gli ha pasciuti, secondo l’innocenza del suo cuore; e secondo la perizia delle sue mani gli ha condotti.

Sommario analitico

Questo salmo didattico è una storia dei benefici di Dio nei riguardi del popolo giudeo, delle infedeltà di questo popolo e dei castighi che ne furono la conseguenza. Questa storia è proposta come istruzione per i popoli cristiani. I versetti 9, 41, 60, 67, 69, proverebbero che questo salmo sia posteriore allo scisma ed anche alla cattività delle dieci tribù.

I. – Il Profeta, prima di intraprendere la recita di questa storia,

1° Eccita l’attenzione dei suoi uditori in ragione del linguaggio che sta per utilizzare (1, 2);

2° propone delle cose che sta per trattare, le riporta dai suoi padri ed esse devono essere comunicate ai loro discendenti (3, 4);

3° aggiunge delle raccomandazioni – a) sulla conoscenza della volontà e della legge divina che deve essere trasmessa alla posterità più remota (5, 6); – b) sulla speranza che essi devono riporre in Dio, col ricordo dei suoi benefici e l’obbedienza dovuta ai suoi comandamenti (7, 8); – c) sulla indocilità e la ribellione dei loro ancestri, che essi non devono imitare (9);

4° conferma queste raccomandazioni ricordando sommariamente il castigo degli Israeliti, come punizione per la trasgressione della legge di Dio e dell’oblio dei suoi benefici (10, 11):

II. – Narrazione storica degli avvenimenti accaduti agli Ebrei nel loro viaggio verso la terra promessa. Il profeta oppone costantemente alle verità di Dio i peccati dei Giudei:

1° Le opere della potenza divina essendo: – a) i miracoli operati in Egitto, ed in particolare nella piana di Tanès (12); – b) il mare che divide le proprie acque aprendo loro un cammino (13), – c) la colonna di volta in volta di nube e di fuoco che guidava la loro marcia (14); – d) l’acqua zampillante con abbondanza dalla roccia (15, 16). – A queste opere, gli Israeliti opposero: – a) una malvagità reiterata che irritò la collera dell’Altissimo (17); – b) la tentazione di Dio, al Quale chiedevano un nutrimento più squisito (18); – c) un dubbio blasfemo sulla potenza di Dio (19, 20); – d) l’assenza di fede e di speranza che rinnegava la bontà di Dio eccitando la sua collera (21, 22).

2° Le opere della liberalità divina erano – a) la manna, nutrimento celeste preparato dagli angeli (23-25); – b) le carni e gli uccelli che Dio fece piovere in mezzo a loro come la polvere (26-28). – A queste opere i Giudei opponevano – a) una voracità smoderata; – b) una insaziabile lussuria (29, 30).

3° Le opere della giustizia divina erano – a) la morte istantanea che venne a colpire gli Israeliti sensuali; – b) l’indebolimento delle loro forze (30, 31). – A queste opere i Giudei opponevano – a) i peccati di ipocrisia, un’apparenza di conversione estorta per il timore; – b) la promessa di cambiare vita, non seguita da alcun effetto (32-37)  

4° Le opere della divina misericordia essendo – a) la propensione al loro perdono e la moderazione della sua giusta indignazione (38); – b) la commiserazione per la fragilità e l’incostanza naturale all’uomo (39). A queste opere i Giudei opponevano – a) una ingratitudine nera, delle frequenti ricadute che irritavano Dio (39); – b) l’oblio di tutti prodigi che Egli aveva operato per liberarli (40-42).

III. – Il Profeta espone in seguito:

1° Le piaghe con cui Dio colpì gli Egiziani (43-51);

2° i benefici dei quali ricolmò gli Israeliti: – a) la loro uscita dall’Egitto e la marcia miracolosa attraverso il deserto, senza che essi abbiano avuto alcun timore degli Egiziani che li inseguivano (52, 54); – b) la loro introduzione nella terra promessa, che divise loro in tribù, dopo averne cacciato i precedenti abitanti (54, 55).

IV. – Egli continua la recita degli avvenimenti che seguirono l’entrata degli Israeliti nella terra promessa:

1° La malizia dei Giudei: – a) essi tentano nuovamente Dio, lo irritano, violano la sua legge (56); – b) la loro malizia si accrebbe fino a rompere l’alleanza con Dio, fino a ritirarsi da Lui (57); – c) essa giunge alla aperta idolatria (58)

2° La vendetta eclatante di Dio contro il suo popolo ingrato: – a) Dio concepisce un profondo disprezzo per questo popolo (59); – b) si decide a lasciare l’arca dell’alleanza e a metterli nelle mani dei Filistei (60, 61); – c) libera tutto l’intero popolo dalla spada del nemico; i loro giovani, le loro vergini, i loro preti, cadono senza che si versi una lacrima sulla loro sorte (62-64);

3° Il ritorno di Dio a sentimenti di misericordia: – a) la sua vendetta si volge contro i Filistei, colpiti da una piaga vergognosa (65, 66); – b) trasferisce da Silo e dalla tribù di Efraim l’arca sulla montagna di Sion e nella tribù di Giuda, dove ha fatto costruire un tempio degno di Lui (67, 69); – c) scelse Davide che allontanò dalla guardia delle greggi, per porlo sul trono e farne un re secondo il suo cuore (70, 72). 

Spiegazioni e Considerazioni

I. — 1-11.

ff. 1, 2. – « O popolo mio, poni attenzione alla mia legge ». Con una locuzione che frequentemente si incontra nelle scritture, il Profeta dice: « Prestate attenzione », e non « presta attenzione », perché un popolo è composto da un gran numero di uomini, ed è a questo gran numero che il Profeta parla ancora al plurale con la frase seguente: « Inclinate l’orecchio alle parole della mia bocca ». Presta una pia attenzione alla legge di Dio ed alle parole della sua bocca, colui al quale l’umiltà fa inclinare l’orecchio, lungi dall’orgoglio che fa drizzare il capo. In effetti ciò che è versato è ricevuto nel cavo dell’umiltà, e respinto dal tumore dell’orgoglio (S. Agost.). – « Io aprirò la mia bocca per parlarvi in parabole ». Chi non sarebbe distolto dal suo sonno da queste parole? Chi oserebbe scorrere, con rapida lettura, con chiarezza manifesta, delle parabole e dei problemi il cui nome solo indica che occorre uno studio profondo, poiché in effetti le parabole non presentano, sotto forma di comparazione, che l’esterno del suo soggetto? (S. Agost.). – La parabola non presenta, sotto forma di comparazione, se non l’esterno del suo soggetto? (S. Agost.). – La gloria di Dio è nel velare la sua parola, affinché essa sia nascosta ai profani ed ai superbi e non sia rivelata che agli umili. Egli la vela ancora infine per coloro che la riveriscono con più rispetto apprendendo ad esercitare la loro fede, con ‘oscurità stessa che vi riscontrano, nutrendosi, dice Sant’Agostino di ciò che è loro conosciuto, ed adorando ciò che non possono comprendere (Duguet).

ff. 3, 4. – « Quante cose abbiamo ascoltato e conosciuto e che i nostri padri ci hanno raccontato! » Innanzitutto era il Signore che parlava; perché dunque un uomo prende qui tutto ad un tratto la parola? È ciò che Dio vuole da questo istante, parlare per il ministero di un uomo. Dio ha innanzitutto voluto parlare a suo nome, per timore che mettesse le sue parole nella bocca di un uomo, e non fosse disprezzato, perché uomo; Egli si serve ora dell’uomo per manifestare le sue volontà, sia in effetti come l’Angelo può servirsi dell’aria, dei venti, del mare, del fuoco e di ogni altro agente naturale o di una apparenza corporea; se l’uomo, per indicare i segreti del pensiero, impiega il suo viso, la sua lingua, la sua mano, una penna, delle lettere ed ogni altro segno esteriore; se infine, qualunque uomo sia, ha il potere di inviare altri uomini come messaggeri e dire ad uno di essi: va, ed egli va; e ad un altro: vieni ed egli viene, ed al suo servitore: fai così, ed egli lo fa (Luc. VII, 8), con quanta più potenza ed efficacia Dio, al quale tutte le cose sono sottomesse come al loro Signore, può servirsi dell’Angelo e dell’uomo per annunciare ciò che gli piace. Così, benché sia un uomo che dica: « quali cose abbiamo ascoltato » tuttavia ascoltiamo delle parole come fossero divine (S. Agost.). – Il prezioso deposito delle sante Tradizioni, affidato dapprima alla sinagoga, e poi e per sempre affidato alla Chiesa Cristiana, è qui ammirevolmente descritto. Ci appare con tutta la maestà dei ricordi antichi, con tutta la venerazione di cui l’ambiente dei primi testimoni e i loro figli ed i figli dei figli, con ogni fedeltà e pari omaggi garantiscono, mantengono e perpetuano. È vero che mai più grandi cose siano state mostrate agli uomini, e coloro ai quali Dio ha confidato la cura di ricordare di età in età, fino alla fine dei secoli, queste meraviglie di potenza e di bontà, devono stimarsi ben felici di essere stati onorati di un sì sublime ministero, e contribuire così tutto in una volta, alla gloria di Dio ed alla salvezza degli uomini (Rendu).  « La prima e la più antica via con la quale i fatti della Religione ci sono pervenuti, dice bene il P. Berthier, è la Tradizione. I primi uomini, che vissero molto a lungo, trasmisero facilmente fino a Mosè la storia della creazione, del diluvio, della vocazione di Abramo, e delle promesse che gli furono fatte … La Chiesa Romana ha sempre avuto il vantaggio di comporre, malgrado la sua estensione, un solo corpo presidiato da un solo Capo, che è stato il centro dell’unità … Non sono i santi Libri che mantengono l’unità dell’insegnamento. Ogni setta ha preteso di spiegarli a suo modo; è la continuità dello stesso insegnamento che ha conservato la vera fede e che ha determinato il vero senso delle Scritture ».

ff. 5-8. – « Egli ha suscitato una testimonianza in Giacobbe, ed ha posto una legge in Israele ». La legge e la testimonianza non sono che una sola e medesima cosa: come attestazione, è una testimonianza; come prescrizione è una legge. È così che il Cristo è la pietra, pietra angolare per quelli che credono, pietra di inciampo e di scandalo per coloro che non credono. Allo stesso modo la testimonianza della legge, per coloro che non fanno un uso legittimo della legge, è una testimonianza di correzione contro i peccatori che subiranno il castigo, e per coloro che fanno un uso legittimo della legge, una testimonianza di attestazione indicante a cosa debbano ricorrere i peccatori che vogliono evitare il castigo.  (S. Agost.). – Successione ereditaria che i padri devono lasciare ai loro figli, ed i loro figli a coloro che nasceranno da essi, che è un’osservazione esatta della legge di Dio. Tutto è là: la felicità degli individui, la felicità delle famiglie, la felicità dell’intera società. Se dall’infanzia una educazione veramente cristiana metterà in tutti gli spiriti il pensiero dei benefici di Dio, in tutti i cuori la riconoscenza e l’amore verso questo divino Benefattore, tutto marcerà nel mondo con ordine, senza scosse e senza tempeste. La pace, la felicità regneranno là dove, con un’educazione che si vorrebbe rendere sempre più estranea ad ogni nozione di Dio, regnano l’agitazione, la guerra, i dissensi e tutti i mali che ne conseguono. – La Tradizione della vera dottrina, sia in materia di fede che in materia di morale, è molto vicina ad operare i frutti che qui espone il Salmista. Questa Tradizione mi insegna che solo Dio sia il mio sostegno, il mio asilo, il mio protettore durante questa vita e la mia ricompensa dopo la morte. Questa Tradizione mi richiama incessantemente le meraviglie del Signore ed il ricordo delle grandi cose che Gesù-Cristo ha fatto per me. Questa Tradizione mi raccomanda incessantemente l’osservazione dei Comandamenti di Dio … questa tradizione mostra, sia tra gli ebrei, sia tra i cristiani, dei ribelli, degli ostinati, degli increduli. Si sono avuti, sotto la sinagoga, degli idolatri; e nella Chiesa di Gesù-Cristo, si sono levati degli empi, degli eretici, degli uomini scandalosi. La vera dottrina ha sussistito malgrado queste tempeste e l’insegnamento pubblico ha sempre condannato gli errori ed i crimini. Questa tradizione mi fa comprendere le cause dei disordini che regnano sulla terra: è che la maggior parte degli uomini non ha il cuore retto, e che non sono animati da una fede sincera. Ecco ciò che Gesù-Cristo mi fa conoscere sulle Tradizioni, io sono inescusabile se rifiuto questa istruzione tutta divina (Berthier); – « Egli ha comandato ai nostri padri di far conoscere ai loro figli queste meraviglie, affinché essi mettano in Dio la loro speranza, che non dimentichino mai le opere di Dio, e ricerchino sempre più i suoi Comandamenti ». – Lo scopo principale, essenziale dell’educazione è insegnare all’uomo a mettere tutta la propria speranza in Dio, in mezzo e a dispetto delle mille prove di cui la vita è attraversata. Il Profeta indica chiaramente i due grandi motivi di questa speranza: da una parte è sufficiente considerare le meravigliose invenzioni con le quali la saggezza e la bontà divine si sono manifestate dall’inizio del mondo, in favore della razza umana; d’altra parte, la fedeltà nell’osservare i Comandamenti di questo Dio sì saggio e sì buono è un pegno certo della sua protezione. Egli dona questa fedeltà, e questo dono, accettato con riconoscenza, diviene per l’uomo un merito che l’Autore stesso del dono si compiace di ricompensare (Rendu). –  Ricercare con cura, non solo la lettera, ma lo spirito dei comandamenti di Dio e ciò che essi racchiudono. – « E che essi cerchino i Comandamenti ». se già essi li hanno appresi, come ancora li cercheranno? Se essi non ripongono che solo in Dio la loro speranza, cercheranno veramente i suoi Comandamenti, perché cercheranno il suo aiuto per realizzarli. « E non diventino, come i loro padri, una razza corrotta che irrita Dio, una razza che non ha conservato il suo cuore retto, ed il cui spirito non è restato unito a Dio con la fede ». In effetti, quando lo spirito dell’uomo coopera all’operazione dello Spirito di Dio, ciò che Dio ha comandato, si compie; ciò che non ha luogo per la fede in colui che giustifica l’empio (Rom. IV, 15).  Questa fede è mancata alla razza corrotta il cui spirito non è stato unito a Dio con la fede. Queste parole hanno più forza per significare la grazia di Dio, che non solo opera la remissione dei peccati, ma ancora ammette lo spirito dell’uomo a cooperare con essa alle buone opere, che se il Profeta avesse detto semplicemente: il suo spirito non ha avuto fede in Dio; perché avere il proprio spirito unito a Dio con la fede, è credere che questo spirito non possa fare opera di giustizia senza Dio, ma soltanto con Dio. È ancora là credere in Dio, ciò che è più che credere a Dio. Si può in effetti credere ad un uomo qualunque, senza per questo credere in lui. È dunque il credere in Dio, l’unirsi a Lui con la fede, per cooperare al bene che Egli opera. « Perché senza di me, dice il Signore, voi non potete far nulla » (Giov. XV, 5). E l’Apostolo – dice San Paolo – può dire ancor di più su questo soggetto con queste parole: « Colui che si unisce al Signore è un solo spirito con Lui? » (I Cor. VI, 17), (S. Agost.). 

ff. 9-11. – « I figli di Efraim, tendendo e lanciando i loro archi, hanno girato il dorso nel giorno del combattimento ». ricercando la legge di giustizia, essi non sono pervenuti alla legge di giustizia (Rom. IX, 31). Perché? Perché essi non l’hanno ricercata mediante la fede. In effetti, è questa la razza il cui spirito non è affatto unito a Dio con la fede; essa l’ha cercata solamente, in qualche modo con le sue opere; perché se essa ha teso e lanciato i suoi archi (manovre esteriori che possono significare le opere della legge), essa non ha badato allo stesso modo alla rettitudine del suo cuore, ove il giusto vive della fede, la quale agisce con l’amore (Gal. V, 6).  Ora è con l’amore che l’anima si unisce a Dio, che opera nell’uomo il volere ed il fare secondo quanto gli piace (Fil. II, 13). Cos’è in effetti, tendere il proprio arco e lanciarlo, poi cedere terreno, girare il dorso nel giorno del combattimento, se  non è tenersi attenti e fare promesse nel giorno della predicazione, e disertare nel giorno della tentazione? … se questo non è ancora brandire dapprima la spada e non servirsene poi nell’ora della battaglia? (S. Agost.). – Incoraggiando la predicazione, concepiscono in se stessi dei grandi disegni, sembrano aguzzare le loro anime contro i vizi, nel giorno della tentazione , essi li hanno resi vergognosamente. Essi promettevano molto nell’esercizio, hanno ripiegato nel combattimento; sembravano animati quando si suonava la tromba, ma hanno girato il dorso tutto ad un tratto quando hanno dovuto venire alle mani (Bossuet). – L’uomo non dimentica nulla così facilmente quanto i benefici di Dio, perché ha poca fede e molto orgoglio. La sua poca fede impedisce di comprenderli, il suo orgoglio glieli fa dimenticare. 

II. — 15-16.

ff. 15-16. – Il profeta si mette a ricordare nell’ordine, i benefici e le meraviglie che questa razza corrotta ha posto nell’oblio. Se queste recite sono delle parabole e pongono dei problemi, sicuramente bisogna rapportarle ad altri fatti, con delle comparazioni. Noi non dobbiamo dunque distogliere la nostra attenzione dallo scopo di questo salmo, e dal frutto che dobbiamo trarre da tutto ciò che esso racchiude. Questo frutto è che noi mettiamo in Dio la nostra speranza, che noi non dimentichiamo le opere di Dio, e ricerchiamo i suoi Comandamenti. È a questo pensiero che bisogna riportarsi, e tutto ciò che troveremo, come tante figure, nella recita dei fatti, può riprodursi spiritualmente nell’uomo, sia per la grazia di Dio, se si tratta del bene, sia per il giudizio di Dio, se si tratta del male. Bisogna dunque vedere nella terra d’Egitto la figura di questo mondo. Colui che ha diviso il mare per farvi passare gli Israeliti e che ha tenuto le acque come in degli otri, Costui può per sua grazia comprimere i flutti impetuosi dei desideri carnali, quando si rinuncia a questo secolo, di tal modo che essendo distrutti tutti i peccati, come tanti nemici, il popolo dei fedeli passi attraverso le acque del Sacramento del Battesimo. Colui che li ha condotti di giorno all’ombra della nube, e tutta la notte al chiarore della colonna di fuoco, può anche dirigere spiritualmente la nostra strada con la sua grazia, che è come una nube dalla quale siamo difesi contro gli ardori mortali della concupiscenza; ed anche come una colonna ardente la cui luce rischiara le nostre tenebre, la cui fiamma ci riscalda nella nostra tiepidezza, ed il cui fermarsi ci rende immobili in mezzo ai turbinii ed alle agitazioni di questa vita. Noi traversiamo questa vita come un deserto, non troviamo in noi che aridità, impotenza e durezza della pietra. Non c’è acqua sulla terra che possa spegnere la nostra sete: « O Dio, la mia anima è davanti a Voi come una terra arida e senza acqua ». Ma Colui che ha scisso la pietra nel deserto e li ha dissetati come con profonde riserve di acqua, Costui può anche, a chi ha sete della fede che dà lo Spirito Santo, versare, secondo il significato spirituale di questi fatti, l’acqua della pietra spirituale che dissetava i Giudei, e che è il Cristo (1 Cor. X, 4); Colui che ha fatto scaturire acqua dalla pietra ed ha fatto colare le acque come fiumi, può forse, quando gli piace, trarre da un cuore duro come la pietra, lacrime di compunzione e farle scorrere come fiumi (S. Agost.).

ff. 17-22. – « Essi non lasceranno di peccare ancora contro di Lui, ed irriteranno l’Altissimo in luogo arido ». si tratta dell’aridità del deserto, o piuttosto della loro propria aridità? Perché, benché abbiano bevuto l’acqua dalla pietra, essi provano ancora l’aridità, non dello fauci, ma dello spirito, ove non produce alcun frutto di giustizia. In questa aridità, essi avrebbero dovuto supplicare Dio con una fede ancora più viva, affinché Colui che aveva dato la sazietà alle loro bocche, donasse egualmente la giustizia ai loro cuori. Lungi da ciò: « … ed essi hanno tentato Dio nei loro cuori, chiedendogli il nutrimento per la loro vita ». Altra cosa è domandare credendo, altre cosa tentando. In effetti, è detto poi in seguito. « Essi hanno parlato male contro Dio ed hanno detto: potrà forse Dio prepararci una tavola nel deserto? » Essi non avevano fede nel domandare così il nutrimento per la loro vita. Non è così che l’Apostolo San Giacomo ordina che si domandi il nutrimento dell’anima: egli vuole che si domandi il nutrimento dell’anima: egli vuole che sia domandato da uomini che credono e non da uomini che tentano Dio e parlano male di Lui (Giac. I, 5, 6). Questa fede mancava alla generazione che non aveva osservato la rettitudine del cuore, ed il cui spirito non era unito a Dio con la fede (S. Agost.). – La sensualità, l’avidità, l’intemperanza, è causa per i Cristiani, come lo è stato per gli Israeliti, di una moltitudine di peccati come ci indica questo salmo. In effetti questo è un peccato che si supera difficilmente, e che è causa frequente di caduta in altri crimini. « Io ne ho visti molti che, soggetti a vizi di altro genere, hanno finito per trionfarne, ma coloro che sono schiavi di questo vizio dell’avidità, della sensualità, che fanno loro dio il ventre, che pongono tutte le loro delizie nei grossolani piaceri della tavola, non ne ho mai visto nessuno che abbia potuto scuotere questo giogo degradante. » (S. Basil. Trait, de abdic. rer.). 1° Questo è un vizio che provoca la collera di Dio: « Essi eccitarono la collera di Dio in un luogo arido. » 2° L’intemperanza è la madre dei blasfemi: « essi hanno parlato male contro Dio. » 3° Gli intemperanti mostrano nel grande giorno la loro follia quando, dubitando della potenza di Dio, dicono: « Potrà forse Dio prepararci una tavola nel deserto? » 4° L’avidità, l’intemperanza sono un focolaio di lussuria, di impurità: « Un fuoco si illumina in Giacobbe, » fuoco che fu seguito dalla collera di Dio « … e la collera di Dio si levò contro Israele. » 5° L’intemperanza è il naufragio della fede: « Poiché essi non hanno creduto a Dio. » 6° Essa è la madre dei disperati: « Essi non hanno sperato nella sua salvezza. » – « Dio potrà forse preparare una tavola nel deserto? » – « Il Signore intese e differì. » Dio differì il castigo, per soddisfare prima la loro avidità, malgrado la loro infedeltà, per non sembrare irritato da ciò che essi chiedevano, tentandolo e bestemmiando il suo nome, delle cose che non avrebbe potuto fare. « … Egli dunque ha inteso e differito » nel punirli, e quando ebbe fatto ciò che essi pensavano che non avrebbe potuto fare, allora « la sua collera si levò contro Israele. » (S. Agost.). 

ff. 23-29. – Se essi avessero messo in Dio la loro speranza, non solo nei desideri della loro carne, ma anche in quelli del loro spirito, sarebbero stati soddisfatti. In effetti, Colui che ha dato i suoi ordini alle nubi sospese nell’aria, che ha aperto le porte del cielo, che ha fatto piovere su di essi la manna, e che ha dato loro il pane del cielo in modo tale che l’uomo mangiasse il pane degli Angeli; Colui che ha inviato loro nutrimento in abbondanza per saziarli, benché fossero increduli, Questi era pur tanto potente da dare a coloro che credono il vero pane del cielo che rappresenta la manna, Lui che è il vero pane degli Angeli, che la virtù nutre incorruttibilmente, perché essi sono incorruttibili, che si è fatto carne e ha dimorato tra noi, affinché l’uomo mangiasse lo stesso pane (Giov. I, 14). È questo il pane che fanno piovere in tutto l’universo queste nubi angeliche, i cuori dei predicatori che, come le porte del cielo, si aprono ed annunziano questo pane, non alla sinagoga che mormora e tenta Dio, ma alla Chiesa, che mette in Dio la sua fede e tutta la sua speranza (S. Agost.). – Dio è Dio in tutte le sue opere; ma in quelle che sono le più grandi Egli fa meglio vedere la sua divinità, e poiché il Sacramento dell’Eucarestia è un’opera grande di Dio, qual più sicuro marchio può portare del suo operato, per essere ricevuto con convinzione, per essere mirabile ed incomprensibile? Dio non voglia che io faccia come questi ribelli che diffidavano della divina Maestà, dicendo: « … potrà Egli stabilire una tavola nel deserto? » – Ciò che non potrei masticare di questo agnello pasquale, io lo getterei nel fuoco del potere infinito di questo Padre onnipotente al quale io credo. Le piccole nubi di difficoltà che il nostro occhio materiale vede in questo Sacramento, come dureranno al vento della forza di Dio? Quale durezza c’è tanto insolubile che questo fuoco non divori? ( S . Franc. de Sales. Les 12 petits trait… T. X.). – 1° Nell’Eucaristia, bene superiore alla manna, miracoli ben più grandi si compiono: la manna era preparata dagli Angeli, ma è Dio stesso che ci dà l’Eucaristia; – la manna fu data ai soli Ebrei per 40 anni, l’Eucaristia è data a tutti i popoli della terra fino alla consumazione dei secoli; – la manna era un nutrimento corporale che non impediva di morire, l’Eucaristia è un nutrimento spirituale che preserva dalla vera morte coloro che se ne nutrono. – 2° Gesù-Cristo nell’Eucaristia è veramente un pane che appaga la fame, nutre l’anima, conserva ed aumenta la vita che gli è propria. – 3° L’Eucaristia è un pane celeste e divino: « Egli ha dato loro un pane del cielo », e Gesù-Cristo stesso ci dice « Io sono il pane vivente, disceso dal cielo » (Giov. VI, 52), pane del cielo, perché Egli discende dal cielo, ed è Egli che ci conduce al cielo, e fa un vero cielo dell’anima in cui entra. – 4° Gesù-Cristo, nell’Eucaristia, è il pane degli Angeli, perché la partecipazione del Cristo, che ci è data quaggiù sotto simboli, è accordata agli Angeli sotto una forma superiore ai simboli eucaristici; – perché questo celeste nutrimento fa la gioia e la delizia degli Angeli; – perché esso fa Angeli gli uomini che lo ricevono con le disposizioni convenienti. – 5° L’Eucaristia è un pane sufficiente a nutrire tutto l’universo. « Egli inviò loro in abbondanza di che nutrirsi ». Che si consideri questa abbondanza in rapporto ai luoghi, in tutte le parti del mondo abitato, l’Eucaristia vi è consacrata e distribuita; in rapporto al tempo, non c’è parte del tempo in cui Gesù-Cristo non si dia nell’Eucaristia, e questo fino alla fine del mondo; sia sotto il rapporto delle persone, nessuno ne è dispensato: è un banchetto al quale tutti sono invitati; sia sotto il rapporto dei doni che delle grazie che la santa Eucaristia diffonde nelle anime. – Essere nutriti dal pane del cielo, dal pane degli Angeli, e dopo questo desiderare con ardore delle carni e della carne, è ciò che gli Israeliti hanno fatto una volta, e che i Cristiani fanno ogni giorno, con una preferenza tanto più ingiuriosa quanto il pane dell’Eucaristia è infinitamente al di sopra della manna del deserto. Ecco dei ribelli ai quali il Signore accorda ciò che desiderano: è nella sua collera che Egli invia loro un alimento che soddisfi la loro cupidigia. Guai dunque a coloro che gioiscono in questa vita di tutto ciò che lusinga la sensualità, questi beni si volgono per essi in veleno, e mettono il sigillo alla loro riprovazione (Berthier). 

ff. 30, 31. – « Le carni erano ancora nelle loro bocche, quando la collera di Dio si levò contro di essi, e fece perire i più vigorosi tra loro, e fece cadere coloro che erano il fiore di Israele. » Ecco quel che il Profeta ci dice di coloro che hanno peccato dopo aver ricevuto e mangiato la manna. Ed ora, se un Cristiano nella Chiesa si nutre della carne e del sangue di Gesù-Cristo, e torna alle sue abitudini criminali, sappia che lo attende un severo giudizio: « … colui che mangia il corpo e beve il sangue del Signore indegnamente, mangia e beve la propria condanna » (I Cor. XI, 29), (S. Gerol.)

ff. 32-37. – « I loro giorni sono svaniti nelle vanità », mentre avrebbero potuto, se avessero creduto, passare nella verità dei giorni senza fine presso Colui di cui è detto « i vostri giorni non finiranno mai » (Ps. CI, 28). « I loro giorni mortali sono dunque svaniti nella vanità, ed i loro anni trascorrono rapidamente; perché ogni vita mortale si volge verso il suo termine, e quella che sembrava la più lunga non è che un vapore che si dissipa un po’ meno rapidamente. » (S. Agost.) – Noi consumiamo i nostri giorni nella vanità, e li trascorriamo nella inutilità o nelle occupazioni che non servono a nulla per la salvezza. Gli anni trascorrono così rapidamente che noi ne vediamo la fine quando crediamo che sia solo l’inizio; essi si succedono gli uni agli altri, senza che noi abbiamo il tempo di accorgercene, e ci troviamo al termine del nostro percorso senza aver pensato seriamente a questi anni eterni che non trascorrono mai. – « Tuttavia, quando li faceva perire, essi Lo cercavano », non perché desiderassero la vita eterna, ma perché temevano che questo vano vapore sparisse troppo presto. Essi Lo cercavano dunque, non evidentemente coloro che Egli aveva fatto perire, ma coloro che temevano di perire sul loro esempio … « Essi tornavano a Lui ed essi si ricordavano che Dio era il loro aiuto e che l’Altissimo era il loro redentore. » Ma tutto questo, essi lo facevano per ottenere dei beni terreni, e per evitare dei mali temporali. Ora che cercavano Dio a causa dei suoi benefici temporali, essi non cercavano Dio, ma questi stessi benefici. Onorare Dio in tal modo, è farlo col timore della schiavitù, e non con l’amore di figlio. Onorare così Dio, non è punto onorarlo, perché si onora ciò che si ama. Ecco perché, essendo Dio più grande e migliore di tutte le cose, per onorarlo, bisogna amarlo al di sopra di tutto (S. Agost.). –  « Essi lo amavano soltanto con la bocca, e la loro bocca Gli ha mentito. » Colui davanti al quale tutti i segreti degli uomini sono messi a nudo, trovava una parola sulle loro labbra ed un pensiero nel loro cuore, e scopriva senza velo alcuno, ciò che essi amavano di più;  « perché il loro cuore non era retto davanti a Lui. » Un cuore è retto davanti a Dio quando cerca Dio per Se stesso. In effetti il cuore retto non ha desiderio di ottenere dal Signore e non Gli domanderà che una cosa sola: di abitare sempre nella casa del Signore e di gioire delle delizie della sua vista. (Ps. XXVI, 4). Il cuore fedele dice a Dio: « io non mi sazierò con la caldaia piena di carne degli Egiziani, né con angurie e meloni, né con porri o cipolle che questa razza corrotta preferiva anche al pane del cielo, né con una manna visibile, né con uccelli portati dal vento; io non mi sazierò se non quando sarà manifesta la vostra gloria » (Ps. XVI, 15). Tale è l’eredità del nuovo Testamento, di cui questi uomini non fanno parte come fedeli, ma della quale gli eletti avevano fede, anche quando la loro fede era velata, mentre questa eredità è ora conosciuta, ma da un piccolo numero, tra coloro che sono stati chiamati. Ecco dunque quel che era questa razza corrotta, anche quando essa sembrava cercare Dio; essa Lo amava con la bocca e Gli mentiva con la lingua, ma non era retta con Dio nel suo cuore, laddove essa amava le cose per le quali chiedeva il soccorso di Dio, più di quanto amasse Dio stesso. (S. Agost.). – L’equità simulata non è un’equità, ma una doppia iniquità, perché è in un tempo iniquità ed ipocrisia (S. Agost., Ps LXIII).

ff. 38-41. – Molti secondo queste parole, riterranno che la misericordia divina lascerà la loro iniquità impunita, anche quando persisteranno nella loro somiglianza con questa razza perversa il cui spirito non è unito a Dio con la fede … Essi si ingannano. Chi non vede, in effetti, quanto la pazienza e la misericordia divina, risparmi i malvagi? Ma Dio li risparmia prima del Giudizio. È dunque così che ha risparmiato questo popolo, e che non ha acceso tutta la sua collera per sradicarlo e perderlo interamente … Vediamo in effetti, fino a qual punto li abbia risparmiati e li risparmi ancora; perché Egli li ha introdotti nella terra promessa ed ha conservato la loro nazione fino al giorno in cui, con l’uccisione del Cristo, si sono caricati del più grande di tutti i crimini. Se, dopo questo crimine, li ha privati del loro regno e dispersi in mezzo ai popoli e tutte le Nazioni, tuttavia non li ha interamente distrutti; perché questo stesso popolo sussiste perpetuando la sua razza, e come Caino, ha ricevuto un segno affinché nessuno lo mettesse a morte, cioè non lo perdesse completamente … È così che Dio, di cui occorre esaltare la misericordia e la giustizia, in questo secolo agisce con la misericordia, facendo sorgere il sole sui buoni e sui cattivi (Matth. V, 45);  mentre alla fine dei secoli agirà con la sua giustizia, punendo i malvagi, che le tenebre senza termine separeranno dalla sua luce eterna (S. Agost.). –  Comunque Dio ama perdonare il peccato, e non distruggere il peccatore. La sua misericordia, la sua grazia, sovrabbonderanno là dove il peccato aveva abbondato (Rom. V, 20). Dio conosce la nostra miseria, la fragilità della nostra origine; Egli si è ricordato che noi siamo polvere (Ps. CII, 14). Egli è eterno e noi non siamo che un soffio che passa e si dissipa. Noi siamo impotenti nel rientrare da noi stessi nella vita, ma tutto è possibile a Dio. –  Lo Spirito Santo avverte, nel libro dei Proverbi, che coloro che camminano nell’iniquità, non ne torneranno più. Questi sono gli uomini dei quali la Scrittura dipinge qui l’impotenza; ma in ciò essa esalta pure la forza della grazia, che sola può farli tornare (S. Agost.). – Che cos’è l’uomo se lo compariamo con la natura di Dio? C’è bisogno qui di ricordare i diversi apprezzamenti che i Santi fanno delle bassezze dell’uomo nella Scrittura santa? Secondo Abramo, l’uomo è terra e polvere; secondo Isaia è l’erba di un giorno dei campi; secondo Davide, non è come l’erba dei campi, ma come l’erba; secondo l’Ecclesiaste non è che vanità; secondo San Paolo, una vera miseria (S. Gregorio di Nissa, De Beatit.). – La vita dell’uomo è simile ad un soffio che passa e non torna più. Quanti disegni noi costruiamo su questo vapore! Quante speranze fondate sul soffio di un momento! – Tutti coloro che mancano di fiducia in Dio, fanno come gli Israeliti: essi osano fissare dei limiti alla sua Provvidenza, e prescrive dei limiti alla sua bontà … Ma la colpa più grande che commettiamo, è il mormorare, quando ci invia delle sofferenze, invece di benedire le adorabili visioni della sua Provvidenza, e di profittare dei beni inestimabili che derivano dalla croce. Insensati, noi irritiamo il Santo di Israele, ed amareggiamo noi stessi (Berthier). 

III. — 43-55.

ff. 43-51. – « Non si sono ricordati della sua mano potente né del giorno in cui li ha riscattati dalle mani dei loro persecutori. Il Salmista enumera qui i flagelli con i quali Dio ha colpito gli Egiziani. – Gli Israeliti avevano in questi flagelli due tipi di istruzione: una tutta di misericordia, perché questi flagelli avevano per oggetto la liberazione da una dura e vergognosa cattività; l’altra tutta di rigore, poiché Dio attuava tutte le sue vendette con un re ostinato nella sua durezza. Questo popolo doveva dunque da una parte, benedire le attenzioni benefiche del suo liberatore, e dall’altra, temere nell’imitare il faraone nelle sue ribellioni contro l’Onnipotente. Ma queste istruzioni erano in pura perdita per Israele: esso dimenticava sia i benefici che le vendette del suo Dio, esempio che è purtroppo molto seguito dai Cristiani (Berthier).  – Tutta la sequenza della Scrittura ci insegna che il disprezzo della divinità, l’orgoglioso compiacimento di noi stessi, la nostra insaziabile cupidigia, è il principio delle calamità che sopportiamo. Ecco l’odio che devasta le nostre uve, ecco la gelata che distrugge le nostre vigne, le nebbie che uccidono le prime gemme di certi alberi i cui frutti alterano il succo dell’olivo, ecco l’insetto che divora le nostre semenze, ecco il veleno che consuma nella terra gli alimenti più indispensabili alla sussistenza del povero, e che il ricco si procura solo a peso d’oro. Non vi dedicate più di tanto alla ricerca e all’osservazione delle cause seconde, è Dio che invia tutti questi castighi. (Mons. Pie, I° Inst. Sur l’aum.).

ff. 52-55. – Il salmista, dopo aver ricordato le piaghe degli Egiziani, continua: « Ed Egli ha tratto il suo popolo come delle pecore, le ha condotte nel deserto, come un gregge. Egli le ha condotte piene di speranza e libere da ogni timore, ed ha inghiottito i suo nemici nel mare. » Questa liberazione si opera in un’altra maniera, molto più eccellente se essa passa per le profondità dell’anima, ove noi siamo attaccati alla potenza delle tenebre, e trasportati in spirito nel reame di Dio. Là si trovano in abbondanza dei pascoli spirituali; noi diventiamo le pecore di Dio, che camminano in mezzo a questo mondo come in un deserto perché la nostra fede non appare agli occhi delle persone; ciò che fa dire all’Apostolo: « La vostra vita è nascosta con il Cristo in Dio » (Colos. III, 3). Noi siamo condotti nella speranza, perché « … siamo salvati nella speranza » (Rom. VIII, 24). E noi non dobbiamo temere nulla, perché « … se Dio è per noi, chi sarà contro di noi? » E il mare ha inghiottito i nostri nemici; vale a dire che essi sono distrutti nel Battesimo, con la remissione dei peccati (S. Agost.). – « E li condurrà sulla montagna che si era consacrata. » Questa montagna, che era quella di Sion, era la figura di una montagna molto più augusta, della Chiesa Cristiana, di cui il profeta Michea profetava: « Ed ecco che, negli ultimi tempi, la montagna della casa del Signore sarà preparata sull’alto dei monti, elevata al di sopra delle colline; i popoli vi accorreranno in folla, e le nazioni si precipiteranno dicendo: « Venite, andiamo alla montagna del Signore e alla casa del Dio di Giacobbe: Egli ci insegnerà le sue vie, e noi marceremo nei suoi sentieri, perché la legge uscirà da Sion, e la parola del Signore da Gerusalemme » (Michea, IV, 1-2.). – 1° La Chiesa è la montagna veramente consacrata al Signore, la montagna della sua santificazione, perché essa è santificata da Dio stesso, ed essa santifica gli altri con la grazia di Dio. – 2° La grande dignità della Chiesa è di essere la montagna acquisita dal diritto del Cristo steso sulla croce. – 3° Gesù-Cristo, dall’alto di questa montagna, trionfa dei suoi nemici e li mette in fuga: « Ed Egli cacciò le nazioni che erano prima di loro ». – 4° Gesù-Cristo dilata ed estende la sua Chiesa su tutta la terra: « E diede loro in sorte la terra dopo averla segnata con la corda di divisione ». – 5° La Chiesa abita con sicurezza all’ombra della protezione del Cristo: « E fece abitare le tribù di Israele nelle dimore di queste nazioni. » È ciò che aveva predetto Isaia: « Il mio popolo troverà la sua gioia nelle dolcezze della pace, ed abiterà nei tabernacoli della fiducia ed in un opulento riposo. » (Isai. XXXII, 18). Dio è il padrone del mondo e di tutte le nazioni, e ne dispone come gli piace. Egli fa conoscere di tempo in tempo ai potentati che è per la sua mano tutto ciò che essi hanno ricevuto, per cui Egli ha il diritto di scacciarli e spogliarli dei loro stati, quando li trova buoni, senza che possa essere accusato di ingiustizia. (Dug.). 

IV. — 56 – 72.

ff. 56-58. – Gli Israeliti, giunti al termine, non sono stati migliori dei loro padri. « Essi si sono rivoltati e sono divenuti come un arco inverto con cui si tira di traverso » [che falla]. Ciò che segue spiega chiaramente queste parole: « Essi hanno eccitato la sua collera sulle loro colline »; vale a dire che si sono dati all’idolatria. L’arco invertito è dunque quello che non tende verso la gloria del Nome di Dio, ma contro il Nome di D io, che aveva detto a questo popolo: « voi non avrete altro Dio al di fuori di me. » (Esod. . 3). Ora l’arco rappresenta qui l’intenzione dello spirito; ed il Profeta si esprime con maggiore precisione dicendo: « E con le loro immagini scolpite, essi hanno provocato la sua gelosia. » (S. Agost.).

ff. 59-64. – « Dio li ha intesi e li ha disprezzati, ha ridotto Israele ad un niente assoluto. » Quel che è restato in effetti, sotto il disprezzo di Dio, di coloro che con l’aiuto di Dio erano stati quel che sappiamo che furono? (S. Agost.). – Non c’è castigo più terribile per gli uomini che l’essere disprezzati da Dio. La Scrittura si serve spesso di questo termine per sottolineare l’estrema indignazione dell’Altissimo contro i peccatori ostinati. San Paolo dice agli Ateniesi che Dio aveva disprezzato i tempi dell’ignoranza in cui erano vissuti gli idolatri, cioè li aveva abbandonati ai loro sensi riprovati. Egli mostrò il suo disprezzo per la maggior parte di Israele, consegnando agli Assiri le dieci tribù che non entrarono mai nel corpo della nazione nella terra promessa e si perdettero nella maggior parte dietro gli idolatri. Il suo disprezzo per la tribù di Giuda non fu così assoluto: Egli si contentò di colpirla di tanto in tanto, di punirla con una cattività che non fu senza ritorno. Ma quando ella ebbe disconosciuto il Messia, Egli la riprovò riducendola allo stato di esilio, di dispersione che noi ancora vediamo  (Berthier). –  E fino al Cristianesimo, quanti popoli nel corso dei secoli sono stati ridotti a nulla, dopo aver contato tra i primi popoli, ed esercitato sulle nazioni vicine una potenza dominatrice, e questo perché si sono allontanati da Dio, non hanno osservato la sua alleanza, lo hanno insultato con una empietà che aveva assunto le proporzioni di un crimine nazionale. Si, quando un popolo spinge l’irreligione fino al disprezzo formale di Dio, è disprezzato da Dio a sua volta, condannato e ridotto all’umiliazione profonda di provare sconfitte ignominiose, vergognose capitolazioni, di vedere i suoi numerosi figli cadere sotto la spada o condotti in cattività, il proprio territorio invaso, le sue provincie passare sotto il dominio del vincitore, e la sua influenza, fino ad allora incontestata, ridotta ad un nulla nel concerto delle grandi potenze dell’Europa. – Ed in una sfera più limitata, quante anime infedeli Dio ha già in parte disprezzato a causa dell’accecamento in cui persistono con ostinazione, che abusano così di qualche raggio di luce, di qualche mezzo di salvezza che resta ancora loro, e con questo abuso di grazia, ingrandiscono ancora il tesoro di collera per il giorno della manifestazione del giusto Giudizio di Dio. – Niente di così santo c’è che l’empietà non sia capace di profanare. I luoghi santi non hanno la virtù di mettere gli empi al riparo dalla collera di Dio, ma gli empi hanno malauguratamente il potere di obbligare Dio a distruggere questi luoghi santi, a lasciare i propri preti cadere sotto la spada, ed a rigettare il suo tabernacolo in cui abita con gli uomini. Dio non protegge il suo tabernacolo ed il suo tempio che in rapporto a coloro che l’onorano; se essi lo profanano con la loro empietà, Dio li rigetta e li distrugge tutti. 

ff. 65, 66. – « Ed il Signore si è svegliato come se fino ad allora avesse dormito. » In effetti Egli sembra dormire, quando dà il suo popolo nelle mani di coloro che Egli odia; di modo che si possa dire a questo popolo: « … dov’è il vostro Dio? » (Ps. XLI, 11). « Egli dunque si è svegliato, come se avesse dormito; Egli si è svegliato come un uomo potente che avesse bevuto del vino. » Nessuno, se non lo Spirito di Dio, oserebbe parlare di Dio in simili termini. Egli ha detto in effetti che Dio dorme da tanto tempo come un uomo ubriaco (cosa che pensano gli empi che Lo insultano), quando non viene in soccorso degli uomini così presto come si vorrebbe (S. Agost.). –  Ma infine si risveglia; Egli si serve dei nemici del suo Nome per punire i suoi figli infedeli o indocili, ma questi strumenti della sua giustizia restano sempre suoi nemici, ed essi saranno presto o tardi l’oggetto delle sue vendette, e non hanno che da attendere l’obbrobrio eterno, riservato ai nemici di Dio e della sua Chiesa.

ff. 67-69. – « Egli ha scelto la tribù di Giuda, la montagna di Sion che ha amato. » La tribù di Giuda scelta da Dio, preferendola alla tribù di Giuseppe e di Efraim, è la Chiesa che Dio ha scelto preferendola alla sinagoga. 1° Questa tribù, per il gran numero di coloro che la composero, soprattutto dopo la cattività, per tutta l’estensione della terra di Chanaan, che essa occupò ed alla quale darà il suo nome, è figura della universalità della Chiesa. – 2° La montagna di Sion è il simbolo della sublimità della Chiesa, che si leva sopra tutte le cose create, non adora Dio a causa dei beni carnali del tempo presente, ma contempla da lontano, con gli occhi della fede, le ricompense future dell’eternità (S. Agost.). – 3° La Chiesa Cattolica è l’oggetto dell’amore particolare di Dio e di Gesù-Cristo: « … la montagna di Dio che Egli ha amato ». È alla sua Chiesa che il suo Profeta ha detto: « Io ti prenderò come mia sposa per sempre, e tu sarai mia Sposa nella giustizia e nell’equità, nella grazia e nella misericordia. » (Osea, II, 21). – 4° L’unità della Chiesa è figurata dall’unico corno che porta il liocorno. Noi chiamiamo il suo santuario, la Chiesa, che leva un corno terribile contro i suoi nemici, come il liocorno che si difende dagli altri animali (S. Cirillo d’Alessandria). 5° La Chiesa di Gesù-Cristo è santa: « Egli ha consolidato il suo santuario. » – 6° La Chiesa di Gesù-Cristo è ferma ed indistruttibile: « Egli ha consolidato il suo santuario per tutti i secoli. »

ff. 70-72. – « Egli ha scelto Davide, suo servo. » La tribù di Giuda è stata dunque scelta in vista di Davide, e Davide in vista di Cristo; la tribù di Giuda è stata dunque scelta in vista del Cristo … Ed il Salvatore stesso, uscito secondo la carne dalla razza di Davide, è figurato in questo passaggio, sotto il nome di Davide, dal Signore Dio, che ha aperto la bocca per parlare in parabole. E non vi stupite che dopo aver detto « Ed Egli ha scelto Davide, » sotto il cui nome parla del Cristo, Egli aggiunga: « suo servo » e non suo Figlio? Questa parola deve solo farvi capire che non è la sua sostanza di Figlio unico, coeterno al Padre, ma la forma di schiavo che il Cristo ha preso dalla razza di Davide (S. Agost.) – Gesù-Cristo è dunque il nostro vero Davide, ed è stato scelto da Dio per essere il pastore dei Giudei e dei Gentili. È la qualità che assume da se stesso proclamandosi il buon Pastore che conosce le sue pecore, e che è da esse conosciuto. « Ed Egli le ha nutrito, dice il Profeta, secondo l’innocenza del suo cuore. » Cosa vi era di più innocente di Colui che non aveva alcun peccato, che non soltanto da esso non fu vinto, ma che ebbe a vincere? « Egli li ha diretti secondo l’intelligenza delle sue mani. Sembrerebbe più giusto dire: nell’innocenza delle sue mani e nell’intelligenza del suo cuore; ma Colui che sapeva meglio degli altri ciò che doveva dire, ha preferito attribuire l’innocenza al cuore e l’intelligenza alle mani. È – a mio avviso – perché molti si credono innocenti perché non fanno cattive azioni, per paura dei castighi che li attenderebbero se li commettessero, ma che farebbero se potessero farli impunemente. Costoro possono avere l’innocenza delle mani, ma non quella del cuore. Ma cos’è questa innocenza e di quale natura è, se non è l’innocenza del cuore, per cui l’uomo è stato fatto ad immagine di Dio? (S. Agost.) – La Chiesa che ha la luce sulla fronte e la carità nel cuore, ha inoltre l’intelligenza nelle mani: precisamente perché ha l’occhio molto rischiarato, ha una sicurezza di movimenti, una precisione di manovra che le permette di dirigere l’umanità attraverso tutte le insidie, tenendo conto nello stesso tempo dei princîpi che non variano e delle congiunture che ne fanno variare le applicazioni e danno soddisfazione allo spirito dei tempi, senza offendere le esigenze divine (Mons, Pie, Disc., et inst., tome V, p. 192.) – Il Vicario di Cristo che risiede a Roma è veramente il Pastore del mondo. Pascere, vuol dire reggere e sostenere il gregge, condurlo con intelligenza, nutrirlo con amore. Osservate le generazioni che si succedono da quando Pietro è stato incaricato di dirigerle e nutrirle. Non è il caso di dire come il Salmista reale: « Egli li ha nutriti come loro pastore, nell’innocenza del suo cuore e le ha condotti con mano saggia e prudente? » Quando si considera il governo della Sede Apostolica, non si sa cosa ammirare prima, se la semplicità, o la rettitudine del cuore, o l’indirizzo, l’industria intelligente delle mani (Mgr. Pie, Disc. etc., t. V. p. 174.).- Noi vediamo qui riunite le qualità di un buon pastore: 1° L’elezione divina: « Egli ha scelto Davide, suo servitore, » – 2° l’oggetto e la fine della sua elezione, vale a dire la cura scrupolosa che deve prendersi delle sue greggi, « affinché serva da pastore al suo servo Giacobbe, e ad Israele, sua eredità; » – 3° l’innocenza della vita e la purezza dei costumi: e li ha nutriti come un pastore, nell’innocenza del suo cuore; » – 4° la saggezza e la saggezza pratica con la quale egli deve condurre il suo gregge. « Ed Egli li ha condotti con mano saggia e prudente. »

SALMI BIBLICI: “VOCE … Voce MEA AD DEUM, ET INTENDI” (LXXVI)

SALMO 76 “VOCE … VOCE MEA AD DEUM, et intendi”

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS.

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

[Canonico titolare della Chiesa di Soissons, Professore emerito di Scrittura santa e sacra Eloquenza]

TOME DEUXIÈME.

PARIS – LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR 13, RUE DELAMMIE, 1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

Salmo 76

In finem, pro Idithun. Psalmus Asaph.

[1] Voce mea ad Dominum clamavi; voce mea ad Deum, et intendit mihi.

[2] In die tribulationis meae Deum exquisivi; manibus meis nocte contra eum, et non sum deceptus. Renuit consolari anima mea;

[3] memor fui Dei, et delectatus sum; et exercitatus sum, et defecit spiritus meus.

[4] Anticipaverunt vigilias oculi mei; turbatus sum, et non sum locutus.

[5] Cogitavi dies antiquos, et annos æternos in mente habui.

[6] Et meditatus sum nocte cum corde meo, et exercitabar, et scopebam spiritum meum.

[7] Numquid in æternum projiciet Deus? aut non apponet ut complacitior sit adhuc?

[8] aut in finem misericordiam suam abscindet, a generatione in generationem?

[9] aut obliviscetur misereri Deus? aut continebit in ira sua misericordias suas?

[10] Et dixi: Nunc cæpi; hæc mutatio dexteræ Excelsi.

[11] Memor fui operum Domini, quia memor ero ab initio mirabilium tuorum;

[12] et meditabor in omnibus operibus tuis, et in adinventionibus tuis exercebor.

[13] Deus, in sancto via tua: quis Deus magnus sicut Deus noster?

[14] Tu es Deus qui facis mirabilia: notam fecisti in populis virtutem tuam.

[15] Redemisti in brachio tuo populum tuum, filios Jacob et Joseph.

[16] Viderunt te aquæ, Deus; viderunt te aquae, et timuerunt; et turbatæ sunt abyssi.

[17] Multitudo sonitus aquarum; vocem dederunt nubes. Etenim sagittæ tuætranseunt;

[18] vox tonitrui tui in rota. Illuxerunt coruscationes tuæ orbi terræ; commota est, et contremuit terra.

[19] In mari via tua, et semitæ tuæ in aquis multis, et vestigia tua non cognoscentur.

[20] Deduxisti sicut oves populum tuum, in manu Moysi et Aaron.

[Vecchio Testamento Secondo la Volgata Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

SALMO LXXVI

Quanto al titolo, sembra che sia Salmo pel cantore Asaph sopra l’istrumento Idithun. — L’argomento é la preghiera nella tribolazione della schiavitù babilonica o in quella di Antioco, o in qualche altra.

Può applicarsi al giusto nelle gravezze insopportabili del pellegrinaggio terreno.

Per la fine: per Idithun. – Salmo di Asaph.

1. Alzai la mia voce, e le mie grida al Signore; alzai la mia voce a Dio, ed egli mi ascoltò.

2. Nel giorno di mia tribolazione, stesi la notte verso Dio le mie mani; e non sono stato deluso.

3. Non volle consolazione l’anima mia; mi ricordai di Dio, e n’ebbi conforto, e mi esercitai nella meditazione; e venne meno il mio spirito.

4. Gli occhi miei prevennero le vigilie; io era turbato e non apersi la bocca.

5. Ripensai ai giorni antichi; ed ebbi in niente gli anni eterni.

6. E meditava la notte in cuor mio, e ponderava e si purgava il mio spirito.

7. Ci rigetterà forse Dio in eterno, ovvero non vorrà più essere disposto a placarsi?

8. Ovvero torrà egli per sempre la sua misericordia a tutte le generazioni, che seguiranno?

9. Ovvero si dimenticherà Dio di usar pietà, e tratterrà nell’ira sua le sue misericordie?

10. E io dissi: Adesso io incomincio; questo cangiamento (vien) dalla destra dell’Altissimo.

11. Mi sono ricordato delle opere del Signore; anzi mi ricorderò di tutte le meraviglie fatte da te fin da principio.

12. E mediterò tutte quante le opere tue, e onderò investigando i tuoi consigli.

13. Le tue vie, o Dio, sono sante; qual è il Dio, che grande sia come il Dio nostro? Tu se’ il Dio, che operi meraviglie.

14. Tu facesti manifesto ai popoli il tuo potere; col tuo braccio tu riscattasti il tuo popolo, i figliuoli di Giacobbe e di Giuseppe. (1)

15. Te videro le acque, o Dio, le acque ti videro, e s’impaurirono; e gli abissi furono sconvolti.

16. Rumor grande di pioggia; le nuvole hanno date fuori le loro voci.

17. Le tue saette scoppiano; la voce del tuo tuono ruota per l’aria.

18. I tuoi folgori illuminarono il giro della terra; la terra si scosse, e tremò. (2)

19. Tu camminavi pel mare; tu ti facesti strada per mezzo alle acque, e non si vedranno le tue pedate. (3)

20. Guidasti il tuo popolo, come tante pecorelle, col ministero di Mosè e di Aronne.

(1) Giuseppe è considerato qui come il capo della tribù, perché egli fornisce per un certo tempo gli alimenti agli israeliti in Egitto. Questa espressione sarebbe anche indice di un tempo « che ha seguito la  cattività delle dieci tribù, o di coloro tra essi che erano scappati riunendosi a Giuda. »

(2) in rota, in orbe; lo svolgimento dei tuoni.

(3) E le tracce dei vostri piedi, etc. cioè il mare si è diviso in due, ed in seguito le acque si son riunite senza lasciar traccia del cammino aperto dalla potenza di Dio.

Sommario analitico

In questo salmo, che sembra collocarsi ai tempi di Sennacherib, devastando tutta la Giudea, arrivava su Gerusalemme per prenderla e distruggerla;

il Profeta, personificando tutti i giusti in mezzo alle afflizioni ed alle prove inseparabili dalla vita:

I – Si rivolge a Dio

1° Con tutti i sensi del corpo (1, 2);

2° Con tutte le potenze dell’anima (3);

3° Elevandosi alla meditazione, – a) che inizia dall’aurora, con la contrizione del cuore e nel silenzio (4), – b) dalla quale egli prende  la materia dai giorni antichi e dagli anni eterni, e dai ricordi del peccati (5); – c) che continua durante la notte, durante la quale si leva alla ricerca della verità ed all’esame dell’anima (6).

II. È agitato dal timore

1° di essere riprovato da Dio (7);

2° di essere al di fuori delle attenzioni della sua misericordia (8);

3° di avere Dio sempre irritato contro di sé (9).

III. Egli concepisce ben presto le migliori speranze,

1° con il buon proposito che formula, in nome di Dio, di condurre una vita tutta nuova (10);

2° con il pensiero della potenza, della saggezza, della maestà divina (11, 12);

3° con il ricordo delle meraviglie che ha operato in favore degli Israeliti, che Egli ha liberato dalla schiavitù dell’Egitto (13-20).

Spiegazioni e Considerazioni

I. — 1-6.

ff. 1, 2. – Tutte le qualità della preghiera si trovano riunite: l’umiltà, il fervore, la perseveranza, l’efficacia. È soprattutto nel giorno della tribolazione che noi dobbiamo cercare Dio. Noi possiamo andare a Dio rettamente, è certo, seguendo piacevolmente la grande strada, ma non lo cerchiamo efficacemente, non ritorniamo a Lui se non attraverso il sentiero del dolore.  Ogni ritorno a Dio implica nel contempo l’errore del crimine, lo smarrimento colpevole e la loro misericordiosa punizione. Beati quindi i cuori feriti! Beata la sofferenza che induce a cercare Dio! Beati i prigionieri incatenati dalla benedizione del dolore! (S. Ambrogio in Psal. LXXVI). – Il profeta esprime qui una cosa ben difficile e molto rara. « Nel giorno della mia tribolazione, io ho cercato Dio ». Quando l’afflizione cade su di noi, noi ci lasciamo abbattere, non pensiamo che alla sofferenza; il Profeta, al contrario, dimentica tutto per non pensare che a Dio, per non cercare che Dio, come se dicesse: se io trovo Dio, io trovo tutto con Lui (S. Gerol.). – Sono in molti a gridare verso il Signore per le ricchezze da acquisire e per le perdite da evitare, per la salute della propria famiglia, per la stabilità della propria casa, per il benessere temporale, per le dignità del mondo, infine, per questa salute del corpo che è il patrimonio dei poveri. Per tutte queste cose e per altre simili, tutti gridano incessantemente verso il Signore: appena c’è qualcuno che grida verso il Signore per il Signore stesso. È facile all’uomo desiderare qualcosa dal Signore, senza desiderare il Signore stesso, come se ciò che Egli dà possa essere più dolce di Colui stesso che lo dona! (S. Agost.). – La voce di colui che prega per interesse e senza un vero ritorno verso Dio, ha come termine i beni che desidera, non il buon piacere di Dio: è per questo che la sua preghiera è inutile o addirittura condannabile. Essi hanno gridato – dice il Profeta in un altro passo – e nessuno li ha salvati; essi hanno invocato il Signore, ed Egli non li ha esauditi. Il marinaio alza la voce durante la tempesta; il contendente alla veglia del suo processo; la madre nella malattia di suo figlio; il mercante in una impresa in cui impegna il suo bene; il ministro anche della parola, nel momento in cui va a distribuirla ad i suoi uditori.  Scrutate il cuore di queste persone, e seguite il corso delle loro azioni, e vedrete che spesso il motivo delle loro preghiere non è il desiderio di onorare Dio, ma l’alacrità di riuscire in ciò che progettano: la loro voce è rivolta all’oggetto che affligge la loro anima, e non verso Dio, o se pure è verso Dio, è per farlo entrare a far parte dei loro desideri terreni. Essi meritano di non essere esauditi, e se lo sono, questo sarà nella collera del Signore, che li distoglierà dalle loro inclinazioni sregolate, dalle loro ambizioni, dalla loro avarizia, dalla loro vanità, dalle loro gelosie.  Preghiamo dunque nella prospettiva di salvezza, preghiamo per crescere nella conoscenza e nell’amore di Dio; preghiamo con un cuore distaccato da tutte le affezioni terrene (Berthier). – « Nel giorno della tribolazione, ho cercato il mio Dio ». Chi siete voi che agite così? Vedete cosa cercate nel giorno della vostra tribolazione: se una prigionia causa la vostra tribolazione, cercate di uscire dalla prigione; se la lebbra causa la vostra tribolazione, cercate la salute; se la fame causa la vostra tribolazione, cecate di essere saziato; se delle perdite causano la vostra tribolazione, cercate il guadagno; se l’esilio causa la vostra tribolazione, cercate la città che vi ha visto nascere; e perché tutto riportare, o piuttosto come riportare tutto? Volete liberarvi di tutti questi ostacoli? Nel giorno della tribolazione, cercate Dio, non cercate niente da Dio; cercate di acquisire il possesso di Dio in cambio della vostra pena; vale a dire domandate a Dio che allontani le vostre afflizioni, affinché Gli restiate legati in tutta sicurezza. « Nel giorno della mia tribolazione, io ho cercato il mio Dio », non qualsiasi altra cosa, bensì solo Dio. – Come Lo avete cercato? « … Con le mie mani ». quando Lo avete cercato?  « … Durante la notte ». Dove lo avete cercato? « … In sua presenza ». e qual è stato il frutto della vostra ricerca? « … Io non sono stato deluso ». Vediamo tutte queste circostanze, esaminiamole tutte, interroghiamole tutte (S. Agost.).

ff. 2, 3. – Cercare veramente Dio, è non soltanto invocare, ma pure tendere le mani verso di Lui con la pratica delle buone opere. Cercarlo con la purezza di una vita innocente e con obbedienza fedele a tutti i suoi comandamenti, è la via più sicura per trovarlo piuttosto che con letture e lunghe meditazioni. – La notte dell’afflizione è una occasione favorevole per cercare Dio, che veniva dimenticato durante il giorno della pace e della prosperità. – Impotenza delle consolazioni umane; ricordo di Dio, sorgente della vera gioia, consolazione solida di coloro che rifiutano le consolazioni umane e la gioia inalterabile di coloro che non ne hanno altre fuori di Lui. – necessita un desiderio ardente di possedere Dio, effetto di una lunga e fervente meditazione, e che giunge a far cadere lo spirito nel mancamento (Duguet). – « La mia anima ha rifiutato la consolazione della terra, così io mi sono ricordato di Dio ed ho ritrovato la gioia ». Oh quanto queste parole sono vere, semplici e profonde nella loro verità! Come in una sola parola la Scrittura santa descrive la subitanea trasformazione del cuore! L’anima grida nel giorno dell’angoscia: io ero nel dolore e le acque della tribolazione mi avevano circondato; una densa nube gravava su di me e mi soffocava, lasciandomi nelle tenebre; io ho chiamato, io ho chiesto soccorso, e nessuno mi ha ascoltato; io stavo per sprofondare negli abissi della disperazione; ma tutto ad un tratto il ricordo di Dio si è presentato al mio cuore, è penetrato nell’anima mia come il raggio di sole che visita il prigioniero in un oscuro anfratto; io ignoro cosa sia successo in me, ma tutto è sparito, ed i torrenti di una gioia sconosciuta hanno inondato la mia anima … è sufficiente – dice S. Agostino – versare Dio nella propria anima, come un prezioso liquore, per ottenere la dilatazione del cuore, e la dilatazione del cuore non è null’altro che il passaggio dall’angoscia alle ampie campagne della gioia (mons. Landriou, “Preghiera”, n. 39).

ff. 4-6. – « Prevenire il levarsi del sole per benedire il Signore ed adorarlo al principio del giorno » (Sap. XVI, 28). Una meditazione attenta dei suoi giudizi ci riempie di un turbamento che ci toglie la parola e non ci lascia se non la libertà di adorarli con profondo rispetto. Occupazione utile è il richiamare nel proprio pensiero le azioni dei Santi per imitarli; pensieri ancor più salutari da aver spesso presenti allo spirito sono questi lunghi e vasti anni dell’eternità (Duguet). – Quali sono gli anni eterni? Che gran soggetto di meditazione! Vedete se questa meditazione non esiga il silenzio più profondo? Colui che si pone al riparo da ogni agitazione esterna e si separa in se stesso da ogni tumulto delle cose umane, vuole meditare sugli anni eterni. Sono forse gli anni durante i quali noi viviamo, o quelli durante i quali sono vissuti i nostri ancestri, o quelli durante i quali vivranno i nostri discendenti, gli anni eterni? A Dio non piace! Cosa resta in effetti di questi anni? Ecco che parlando noi diciamo: questo anno, e di questo anno cosa è in nostro potere se non il solo giorno in cui siamo? Perché i giorni precedenti a quest’anno sono già trascorsi e noi non li possediamo più; quanto ai giorni a venire, essi non esistono ancora. Noi dunque non siamo che in un giorno, e noi diciamo quest’anno; dite dunque oggi, se volete parlare al presente, perché di tutto questo anno cosa possedete come tempo presente? Tutto ciò che di quest’anno è passato, non esiste più. E tutto ciò che deve arrivare, non c’è ancora. Come osate dire allora: questo anno? Correggete il vostro linguaggio, dite: oggi! Voi avete ragione, dirò ormai: oggi! Ma riflettiamo ancora a questo. Le prime ore di questa giornata appartengono già al passato e le ore avvenire non esistono ancora. Correggete il vostro linguaggio e dite: in quest’ora. E di quest’ora cosa avete in vostro potere? Tanti istanti sono già nel passato e quelli che devono arrivare non sono ancora. Dite dunque: “in questo momento”. Ma quale momento? Mentre io pronuncio parole di due sillabe, l’una non risuona ancora, e l’altra è già passata; infine in una stessa sillaba, non fosse composta che da due lettere, non risuona ancora la seconda che la prima non sia già passata. Cosa possediamo dunque di questo tipo di anni? Questi anni sono soggetti a cambiamenti; bisogna pensare ad anni eterni, ad anni stabili che non siano composti da giorni che vanno e vengono, a quegli anni dei quali la Scrittura dice, indirizzandosi a Dio. « … ma Voi, Voi siete lo stesso, ed i vostri anni non avranno fine » (Ps. CL, 28). – (S. Agost.).

ff. 5. – Si domandava ad un venerabile anziano della Trappa ciò che avesse fatto durante i lunghi giorni della sua vita solitaria. Egli rispose semplicemente: « … Ho pensato ai lunghi giorni dell’eternità ». Grande e solenne parola, semplice e profonda come la verità, grido sublime dell’anima che ha compreso il suo valore e la sua destinazione, il suo punto di partenza e gli orizzonti che l’attendono. – Quando Dio apparirà un giorno per giudicare la terra, e chiederà a certi uomini che avranno calunniato la vita di clausura: … e voi, detrattori ingiusti, cosa avete fatto durante la vostra vita? Forse, e per un certo numero, dormire, mangiare, praticare la vita animale in tutta la perfezione del suo sviluppo … tale sarà il risultato più esatto della loro vita, ed ancora devo tacere ciò che farebbe arrossire pure l’animale senza ragione! – Quando poi il Signore si rivolgerà versi il religioso contemplativo, e gli chiederà, con gli accenti di paterna soddisfazione: « E tu, servitore fedele, cosa hai fatto? » – Mio Dio, durante questi lunghi e dolci anni della mia solitudine, io ho pensato agli anni dell’eternità, ho coltivato la mia anima per renderla degna di Voi, facevo ciò che Voi fate dall’eternità … io vi amavo. – Allora sapremo quale delle due vie sarà stata la più piena e meritoria, quando entrambi saranno pesati sulla bilancia della divina giustizia (Mons. Landriot, Preghiera, II, 136, 137). – Notti santamente impiegate, non nei piaceri e nemmeno nel sonno, ma in una meditazione viva ed attenta, non degli anni di questa vita che passano così in fretta, ma di quegli anni eterni che sono il desiderio e la speranza dei veri fedeli. – Io sondavo, lavoravo il mio spirito come un campo, per spandervi il buon seme delle dottrine del Signore (S. Girol.). – Se qualcuno si mettesse a sondare la terra per trovarvi un filone d’oro, nessuno lo accuserebbe di follia; molti uomini, al contrario, lo stimerebbero saggio per voler arrivare a scoprire l’oro! Quanti tesori l’uomo racchiude in se stesso senza mai cercarli! (S. Agost.).

II. — 7 – 9.

ff. 7-9. – Non c’è in voi o da parte vostra, alcun tipo di misericordia verso il prossimo che Dio non vi abbia dato, e Dio stesso forse dimenticherebbe la sua misericordia? Il ruscello cola, la sorgente stessa sarà a secco? « O Dio dimenticherà di aver pietà di noi? O nella sua collera reprimerà la sua misericordia? » Cioè Dio si lascerà irritare tanto da non avere nessuna pietà? Egli reprimerà più facilmente la sua collera che la sua misericordia. È quello che aveva detto per bocca di Isaia (Isai. LVII, 16): « Io non mi vendicherò di voi in eterno, e non sarò sempre irritato contro di voi » (S. Agost.).

ff. 10. – « Ed io ho detto: è ora che io cominci, e questo cambiamento viene dalla destra dell’Altissimo ». Ecco che l’Altissimo ha cominciato a cambiarmi; ecco che io ho preso possesso di un luogo ove sarò in sicurezza; ecco che io sono entrato in un palazzo ove si trova la felicità, e dove nessun nemico è da temere; ecco che io ho cominciato ad abitare questa regione ove la vigilanza dei miei nemici non prevarrà su di me; « ora, io ho cominciato; è la destra di Dio che ha operato questo cambiamento » (S. Agost.). – Una disposizione necessaria agli stessi che sono i più avanzati nella virtù, è di essere ben persuasi che non si fa ogni giorno che entrare al servizio di Dio e dire con gli stessi sentimenti di San Paolo: « Io penso di non avere raggiunto ancora lo scopo a cui tendo o che io sia perfetto; ma io proseguo la mia corsa per cercare di raggiungere il luogo al quale Gesù-Cristo ha voluto condurmi » (Fil. III, 13). – Quando si ha ben riflettuto sulla Religione, ci si determina a crederla; si dice, con una convinzione piena di zelo e di attività, … io comincio a far tacere tutti i miei dubbi, e ad abbracciare delle verità così preziose. Quando si è affaticati dai processi e dalle illusioni del mondo, si dice volentieri: io comincio a non vedere intorno a me che inganni di frivole vanità, di beni che non possono accontentarmi. Quando si è colpiti vivamente dai propri peccati e si prende la risoluzione di condurre una vita totalmente cristiana, si dice nella sincerità del cuore: io comincio a camminare nelle vie della giustizia; io rinuncio per sempre alla schiavitù delle mie passioni. Quando dopo una vita tiepida e languida, si intraprende il servire il Signore con fervore, si dice, senza differire e senza ascoltare le ripugnanze dell’amor proprio: io comincio a camminare sui passi di Gesù-Cristo, qualsiasi cosa mi costi il seguirlo. Quando ci si sente attratti dai santi esercizi dell’orazione, si deve avere un sentimento che è già il frutto di una unione intima con Dio: … io comincio, Signore, a non voler vivere se non del vostro amore. Così la parola del Profeta è come il segnale di tutte le risoluzioni più sagge e più salutari. Non ci viene appunto dato questo segnale, senza una grazia particolare, e senza l’obbligo di riconoscere che questo cambiamento sia l’opera della mano dell’Altissimo (Berthier). – Il rigore non è nella natura di Dio. Quando Dio cede alla collera, quando esercita la sua giustizia, fa un’operazione che gli è estranea (Isai. XXVIII, 21). È la sinistra che tiene la verga, ed Egli lascia prontamente di operare con questa  mano. La mano destra del Signore, al contrario, è lo strumento favorito del suo cuore, essa frutta le opere del suo amore; in particolare essa ha la felice proprietà e la felice potenza di muovere le anime e di convertirle. Di un peccatore cieco ed incorreggibile, essa sa farne in un batter d’occhio, un penitente risoluto e che si mette immediatamente all’opera. « … Ed io ho detto: ora io comincio, questo cambiamento è l’opera dell’Altissimo ». (Mgr. Pie, Discorsi, etc., tomo VII, p. 303).

ff.11, 12. – « Io mi sono ricordato delle opere del Signore ». Vedete ora il Profeta camminare in mezzo alle opere del Signore. In effetti, egli parlava senza misure all’esterno, ed il suo spirito contristato era indebolito; egli ha parlato interiormente con il suo cuore e con il suo spirito, ed avendo sondato questo medesimo spirito, si è ricordato degli anni eterni, si è ricordato della misericordia del Signore, ha cominciato a gioire in tutta sicurezza nelle opere di Dio, ed a darsi senza alcun timore all’allegria. Ascoltiamo dunque quali siano queste opere, e gioiamone pure, ma per le affezioni del nostro cuore, e non rallegriamoci per i ben temporali. Noi abbiamo anche la nostra cella interiore: perché non vi entriamo? Perché non agirvi nel silenzio? Perché non sondiamo il nostro spirito? Perché non meditiamo sugli anni eterni? Perché non rallegrarci delle opere di Dio? Ora, rallegratevi nelle opere di Dio, dimenticate voi stessi, e cercate in Lui solo, se potete, tutte le vostre delizie. Cosa c’è di meglio in effetti di Lui? Non vedete che tornando a voi stessi, tornate non meno che a Lui? « Io mi sono ricordato delle opere del Signore, ecco perché io mi ricorderò delle meraviglie che avete compiuto fin dall’inizio » (S. Agost.). – Pensate che coloro che temono Dio siano privi di affezioni? Lo credete realmente? Osereste credere che un quadro, un teatro, la caccia di animali selvatici o agli uccelli, eccitino le affezioni, e che le opere di Dio non ne eccitino? Credete che la contemplazione di Dio non ecciti affezioni interiori, quando si consideri il mondo, quando si ha davanti agli occhi lo spettacolo della natura, quando se ne cerca il Fautore, quando si trova Colui che mai si spiace e si compiace di tutte le cose? (S. Agost.).

ff. 13. – « Tutte le mie vie sono in Colui che è santo, o nella santità ». In Colui che è il Santo, vale a dire in Colui che ha detto: « Io sono la via, la verità e la vita » (Giov. V. 6). Uscite dunque, uomini dalle vostre cattive affezioni! Dove andate, dove correte? Dove fuggite? Non solamente lontano da Dio, ma pure lontano da voi stessi? Rientrate violatori della legge, rientrate nei vostri cuori (Isai. XLVI, 8); sondate il vostro spirito, ricordate gli anni eterni, ottenete misericordia da parte di Dio e contemplate le opere di questa misericordia. « La sua via è in Colui che è Santo. Figli degli uomini, fino a quando il vostro cuore sarà appesantito? Che cercate nelle vostre affezioni? Perché amate la vanità e vi attaccate alla menzogna? Sappiate che il Signore ha glorificato Colui che è Santo. » (Ps. IV, 3, 4). « La sua via è in Colui che è Santo. Portiamo dunque su di Lui la nostra attenzione. Portiamo la nostra attenzione sul Cristo: è in Lui che è la via di Dio ». (S. Agost.) –  «  La vostra via è nella santità ». Quante cose contenute in queste poche parole! Se le vie del Signore sono tutte sante, anch’io devo camminare nella santità. « Siate santi, perché Io sono Santo ». Io devo conformarmi in tutto alla sua volontà. Ora la sua volontà chiaramente espressa è che io lavori alla mia santificazione (I Tess. IV, 3). Io devo temere tutti i suoi sguardi. « I vostri occhi sono puri e non possono guardare l’iniquità » (Habac. I, 13). Io devo temere il suo giudizio, perché niente di impuro entrerà nel suo reame (Apoc. XXI, 17). Io devo considerare il mondo come il grande nemico di Dio, perché esso è piombato interamente nel male, cioè nella corruzione e nel peccato (I Giov. V, 19). Io devo gemere incessantemente del mio passato, perché le vie che ho seguito sono state tutte contrarie alla mia santità.

ff. 14. – « Voi solo, o Dio, operate dei miracoli » Voi siete veramente il Dio grande, che solo fa miracoli nel corpo e nell’anima: i sordi ascoltano, i ciechi riacquistano la vista, i malati recuperano la salute, i morti sono resuscitati, i paralitici hanno ripreso vigore. Ma questi miracoli non riguardano che il corpo, vediamo invece quelli che concernono l’anima. Ecco degli uomini sobri che poc’anzi erano dediti all’ubriachezza; ecco dei fedeli che poco prima adoravano gli idoli; ecco degli uomini che danno i loro beni ai poveri e che poco prima rubavano i beni degli altri. « Qual dio è grande come il nostro Dio? Solo Voi siete il Dio che opera miracoli ». Mosè  ha fatto miracoli ma non lui solo; Elia ne ha fatti, Eliseo ne ha fatti, anche gli Apostoli ne hanno fatti, ma nessuno di essi li ha operati da solo. Essi ne hanno fatto, ma Voi eravate con essi, o mio Dio, e quando Voi ne avete fatti, essi non erano con Voi. Essi non erano con Voi quando avete creato tutte le cose, poiché Voi avete creato loro stessi. « Voi avete fatto conoscere Colui che è la vostra virtù, la vostra potenza ». Quale virtù, quale potenza ha fatto conoscere tra i popoli? « Noi predichiamo, dice l’Apostolo, il Cristo crocifisso, che è vero, è uno scandalo per i Giudei ed una follia per i Gentili, ma che è, per gli eletti tra i Giudei ed i Gentili, la Virtù di Dio e la Saggezza di Dio (I Cor. I, 23, 24). Se dunque il Cristo è la virtù di Dio, Dio ha fatto conoscere il Cristo tra i popoli. E non ancora lo sappiamo? Siamo così insensati, discesi così in basso, abbiamo fatto così pochi gradini, perché noi ignoriamo questo fatto? (S. Agost.).

ff. 15-20. – La potenza di Dio, che si è manifestata con tanto splendore nella liberazione degli Israeliti dalla servitù d’Egitto, figura della liberazione delle nazioni dalla tirannia del demonio, con la forza del suo braccio, che è Gesù-Cristo. – I predicatori sono simili a delle nubi che fanno sentire le propria voce per annunziare la grazia del Vangelo, e le loro parole sono state come delle frecce. Una freccia, presa in senso proprio, non è una pioggia, non più che la pioggia non è una freccia; ma la parola di Dio è una freccia, perché essa colpisce, ed una pioggia perché bagna. La voce dei suoi tuoni è risuonata in forma di ruota, i suoi fulmini hanno brillato per tutta la terra. Le nubi hanno formato come una ruota intorno al globo terrestre; da questa ruota partivano i tuoni ed i fulmini che hanno scosso l’abisso: i tuoni hanno l’autorità della parola, i fulmini hanno il bagliore dei miracoli (S. Agost.). – Dio si apre un cammino nel mare di questo mondo, quando entra in un’anima che lo fa camminare in mezzo alle acque tempestose del secolo, come tra due montagne di acqua, senza fare naufragio. « le acque vi hanno visto, o mio Dio, le acque vi hanno visto ed hanno temuto, e gli abissi sono stati agitati ». Che si intende per “abisso” ? si intende la profondità delle acque. Chi ne sarà turbato, tra i popoli, quando la sua coscienza sarà colpita? Voi cercate la profondità del mare, cosa c’è di più profondo della coscienza umana? Questo abisso è stato scosso quando Dio ha riscattato il suo popolo in mezzo alle sue braccia. Qual è stato questo scuotersi degli abissi? Ciò che tutti gli uomini, confessando le proprie colpe, hanno fatto diffondendo le loro coscienze davanti a Dio (S. Agost.). – Dio, conducendo il suo popolo come un gregge di pecore, per mano di Mosè ed Aronne, ci insegna quanto sia importante e necessario avere un uomo illuminato per condurci nelle vie di Dio.  

SALMI BIBLICI: ” NOTUS IN JUDEA, DEUS” (LXXV)

SALMO 75: “NOTUS IN JUDÆA DEUS”

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS.

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

[Canonico titolare della Chiesa di Soissons, Professore emerito di Scrittura santa e sacra Eloquenza]

TOME DEUXIÈME.

PARIS – LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR 13, RUE DELAMMIE, 1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

Salmo 75

[1] In finem, in laudibus. Psalmus Asaph, canticum ad Assyrios.

[2] Notus in Judæa Deus;

in Israel magnum nomen ejus.

[3] Et factus est in pace locus ejus, et habitatio ejus in Sion.

[4] Ibi confregit potentias arcuum, scutum, gladium, et bellum.

[5] Illuminans tu mirabiliter a montibus æternis;

[6] turbati sunt omnes insipientes corde. Dormierunt somnum suum, et nihil invenerunt omnes viri divitiarum in manibus suis.

[7] Ab increpatione tua, Deus Jacob, dormitaverunt qui ascenderunt equos.

[8] Tu terribilis es; et quis resistet tibi? ex tunc ira tua.

[9] De cælo auditum fecisti judicium: terra tremuit et quievit

[10] cum exsurgeret in judicium Deus, ut salvos faceret omnes mansuetos terrae.

[11] Quoniam cogitatio hominis confitebitur tibi, et reliquiæ cogitationis diem festum agent tibi.

[12] Vovete et reddite Domino Deo vestro, omnes qui in circuitu ejus affertis munera terribili,

[13] et ei qui aufert spiritum principum; terribili apud reges terræ.

[Vecchio Testamento Secondo la Volgata Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI,Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

SALMO LXXV

Profezia della vittoria che sopra Sennacherib riportò Ezechia; e di quella che gli eletti di Dio riporterannosopra tutti i loro nemici visibili ed invisibili.

Per la fine: per lodare; salmo di Asaph;cantico sopra gli Assiri.

1. Dio è conosciuto nella Giudea; in Israello è grande il suo nome.

2. E sua sede è nella pace, ed ha sua abitazione in Sionne.

3. Ivi egli ha distrutta la forza degli archi, lo scudo, la spada e la guerra.

4. O tu, che spandi mirabilmente tua luce dalle alte montagne, son rimasti conquisi tutti gli stolli di cuore.

5. Dormirono il loro sonno, (1) e nulla trovarono nelle loro mani questi uomini tesoreggiatiti.

6. Al tuono delle tue minacce, o Dio di Giacobbe, si addormentarono i cavalieri.

7. Terribile se’ tu, e chi a te farà resistenza? L’ira tua è antica.

8. Dal cielo facesti sentire il tuo giudizio; tremò la terra, e si tacque;

9. Allorché Dio si levò su per far giudizio, per tutti salvare i mansueti della terra.

10. L’uomo che rifletterà, darà a te laude; e la fine de’ suoi pensieri sarà di onorarli con giorni festivi. (2)

11. Offrite voti al Signore Dio vostro, e scioglieteli, o voi tutti, che stando intorno a lui gli presentate dei doni;

12. A lui terribile, a lui che toglie lo spirito ai grandi, a lui che è terribile a’ re della terra.

(1) « Essi hanno dormito il loro sonno », il sonno della morte: essi furono sterminati durante la notte, e dormirono senza discontinuità passando dal sonno naturale al sonno della morte. – « Coloro che cavalcavano i cavalli » per esprimere l’orgoglio degli Assiri, che confidavano nella loro numerosa cavalleria.

(2) Nell’ebraico si legge: « Quoniam ira hominis confitebitur tibi », etc., vale a dire gli uomini che si erano irritati contro di te, i nemici, si convertiranno e ti loderanno; coloro tra essi che tu non avrai distrutto, i resti dei tuoi nemici celebreranno una festa in tuo onore (Weitenauer e Le Hir.). – Questo versetto molto oscuro può ricevere questo altro senso. Il Profeta viene giustamente a parlare di Dio, e ne considera qui il risultato: il pensiero dell’uomo renderà gloria al Signore nel giorno di questo giudizio, e ciò che resta di questo pensiero del ricordo della liberazione del popolo di Dio, e non cesseranno di celebrare le grandezze di questo Essere supremo.

Sommario analitico

Questo salmo, in cui l’autore ispirato predice la vittoria dei Giudei contro Sennacherib, contro gli Assiri e, in seguito alla vittoria, una pace perfetta in Gerusalemme, può essere considerato, in senso non meno vero, come un canto trionfale della Chiesa cristiana, vittoriosa dei suoi nemici.

I. Il profeta celebra i frutti di questa vittoria che sono:

1° La conoscenza e la gloria di Dio, diffusa dappertutto (1),

2° L’affermazione della pace in seno alla Chiesa (2);

3° L’idolatria e l’eresia vinta (3);

4° La dottrina celeste che chiarisce tutti gli spiriti con la sua luce divina (4).

II.- Enumera gli effetti prodotti da questa vittoria sui nemici.

1° Essi saranno turbati a causa del loro follia (5);

2° spogliati a causa della loro avarizia (5);

3° rovesciati ed abbattuti a causa del loro orgoglio (6);

4° spaventati e ridotti in silenzio davanti al giusto Giudice, tuonante dall’alto dei cieli, che fa tremare la terra, reprimendo gli empi, giudicando tutti gli uomini e salvando i giusti (7-9).

III. Celebra il ricordo di così grandi benefici;

1° Con una pubblica confessione e con delle feste di gioia (10);

2° con voti fatti e compiuti con dei doni (11);

3° per il timore di un Dio così terribile, anche per i potenti della terra (12).

Spiegazioni e Considerazioni

I. — 1-4.

ff. 1. – Dio è conosciuto nella Giudea, e noi lo diremo con i Giudei, se essi sapessero comprendere che cosa sia questa Giudea. Coloro che ora si glorificano del nome di Giudei, e che ne hanno perso le opere, hanno degenerato rispetto ai loro padri, e per questo restano Giudei secondo la carne e pagani secondo il cuore. Nell’avvicinarsi la venuta del Signore, il regno dei Giudei fu sconvolto e tolto ai Giudei. Ora essi non hanno più un regno perché si rifiutano di riconoscere il vero Re. Vedete se essi debbano essere considerati ancora Giudei. Ora non si può più chiamarli con questo nome, essi stessi vi hanno rinunciato, sebbene non meritino più di essere chiamati Giudei, se non secondo la carne. In quale momento si sono separati da se stessi da questo nome? Nel momento stesso in cui con il loro grido assassino, hanno operato contro il Cristo, essi la razza di Giuda, contro la discendenza di Davide; nel momento in cui hanno risposto a Pilato: « noi non abbiamo altro re che Cesare » (Giov. XIX, 15).  O voi che siete chiamati figli di Giuda e che non lo siete, se non avete altro re che Cesare, Giuda cessa dunque dal darvi un re? Colui che è l’erede delle promesse è dunque venuto? Costoro piuttosto hanno il diritto di essere chiamati Giudei, che da Giudei sono divenuti Cristiani. Gli altri Giudei che non hanno creduto al Cristo hanno meritato di perdere anche questo nome. La vera Giudea è dunque la Chiesa di Cristo, che cede a questo Re, venuto dalla tribù di Giuda dalla Vergine Maria … Noi dobbiamo interpretare il nome di Israele come quello di Giudeo, e dire che i Giudei non sono più il vero Israele ed i veri Giudei. In effetti chi è che merita di portare il nome di Israele? Colui che vede Dio. E come essi hanno visto Dio, questi uomini in mezzo ai quali Dio è vissuto nella carne e che, non avendolo scambiato che per un uomo, lo hanno crocifisso? D’altra parte, dopo la sua Resurrezione, Egli non ha manifestato la sua divinità che a coloro a cui è piaciuto mostrarsi? Costoro sono dunque degni di essere chiamati col nome di Israele, questi che hanno meritato di comprendere che il Cristo, nella sua carne mortale, era Dio; di modo che essi non hanno disprezzato quello che vedevano in Lui, ma al contrario hanno adorato ciò che non vedevano (S. Agost.). –  La conoscenza di Dio è stata per lungo tempo il privilegio del popolo giudeo, essa fu la sua gloria, in mezzo all’accecamento di tutte le altre nazioni. Essa ritornerà sua eredità, quando infine aprirà gli occhi alla luce pura del Vangelo. Fino a questa epoca gloriosa, che sembra avvicinarsi, è alla Chiesa cristiana, alla Chiesa dei gentili che si applica questo semplice e magnifico elogio del santo Profeta: « il Signore è conosciuto nella Giudea ».  La “conoscenza di Dio”: queste due parole racchiudono tutti i tesori della scienza, tutti i segreti della felicità, tutti gli splendori della gloria; ed è la ciò che Dio aveva dato ai Giudei, a preferenza di tutte le altre nazioni; è là che Egli ha dato, con più grande magnificenza ai Cristiani, ciò che Egli donerà agli eletti con una generosità smisurata ed infinita. (Rendu). – Tutto il dovere dell’uomo, tutto il suo soggetto, tutta la sua natura, tutta la sua Gloria è il conoscere Dio. Ecco la parola del Signore: « che il saggio non si glorifichi per la sua saggezza, che l’uomo forte non si glorifichi per la sua forza, che il ricco non si glorifichi delle sue ricchezze; ma colui che vuole glorificarsi, si glorifichi unicamente nel conoscermi, perché Io sono il Signore, ed è a me che appartiene il fare misericordia e giustizia » (Gerem. IX, 23, 24).  – Questa verità, così semplice, così chiara, così essenziale, che è una delle prime che la Chiesa Cattolica insegna ai suoi figli, è quasi sconosciuta ora alla maggior parte dei Cristiani. Conoscere Dio è il minore dei suoi pensieri, e l’ultima delle sue occupazioni. – Dai tempi più remoti, ma soprattutto dai giorni di Abramo, Dio e la verità non erano stati conosciuti sulla terra che in seno ad una sola famiglia, ad una sola discendenza, che ben presto era diventata una nazione. Ora tutte le pagine della Scrittura avevano annunciato come uno dei più importanti avvenimenti dell’avvenire, il ritorno del resto dell’universo alla verità, alla conoscenza del vero Dio. – Dunque, ciò che il Profeta reale diceva della Giudea e di Israele, noi possiamo dirlo a maggior ragione della Chiesa della legge nuova, della Chiesa Cattolica Universale. – Il Dio è conosciuto, là il suo nome è riverito e glorificato, là è acclamata la sua Regalità, la sua legge osservata, in una parola, secondo la bella definizione del Concilio di Trento spiegando l’inizio della Orazione domenicale, « il regno di Dio e del Cristo, è la Chiesa »,  Regnum Christi est Ecclesia  (Mgr PIE, Disc, et Instr. t. VI, 445; III, 445.).

ff. 2. – La Chiesa Cattolica è il luogo della vera pace; fuori dal suo seno, non c’è che turbolenza, tumulto e confusione. – Il cuore dei giusti è esente da turbamenti, dal tumulto e dall’agitazione delle passioni, è un vero luogo di pace che Dio ha scelto per sua dimora. Se noi vogliamo diventare luogo dell’abitazione del Signore, suo tabernacolo e suo tempio, siamo vigilanti all’esempio dei Santi, ed applichiamoci a conservare la pace. (S. Gerol. Ep. XXXVI).

ff. 3. –  « Là Egli ha distrutto la potenza degli archi e lo scudo e la spada e la guerra ». Dove li ha distrutti? In questa pace eterna, in questa perfetta pace. E da ora, coloro che hanno una fede perfetta vedono come non debbano presumere di essi stessi, e distruggano, con l’aiuto di queste fede, tutta la potenza delle minacce che sentono in se stessi e tutto ciò che non ha in sé armi capaci di nuocere, e tutto ciò che essi considerano prezioso per preservarsi dai mali temporali, e la guerra che sostengono contro Dio difendendosi dai loro peccati: Dio ha distrutto tutto in Sion (S. Agost.). –  la pace costituisce il carattere della dimora dell’Altissimo: pace nell’antica Israele, finché essa sappia stimare il vantaggio di appartenere a Dio; pace nell’anima dei Cristiani, fintanto che si tengano uniti a Gesù-Cristo infine, pace eterna ed inalterabile negli abitanti del cielo, perché essi sono stabiliti nel soggiorno in cui non c’è più né timore, né lutto, né dolore. (Berthier). – I nemici della Chiesa, come la maggior parte dei Cristiani sono terribili e formidabili, sono numerosi e forti, si uniscono con la forza per perderci; ma poiché Dio ha scelto la Chiesa e l’anima del giusto, né gli archi, né le spade sono capaci di cacciarlo; e se la guerra non cessa completamente in questa vita, la pace perfetta essendo solo per il cielo, Nostro Signore ci ha dato l’assicurazione che annienterà tutta la forza dei nostri nemici e vincerà in noi il mondo ed il principe del mondo, come lo ha vinto Egli stesso (Duguet).

ff. 4. – Quali sono queste montagne eterne dall’alto delle quali Dio diffonde una luce ammirabile? Quelli che Dio ha reso eterni; coloro che sono le grandi montagne, i predicatori della verità. Voi diffondete la luce, ma per le vostre eterne montagne. Le alte montagne ricevono per prime la vostra luce, e tutta la luce è ben presto inondata dalla luce che le montagne ricevono. Gli Apostoli sono le alte montagne che hanno ricevuto la luce, gli Apostoli hanno ricevuto come i primi fuochi di questa luce al suo levarsi (S. Agost.). –  E ciò che essi hanno ricevuto lo hanno tenuto per sé? No, esso li hanno diffuso nell’intero universo: « Voi spandete una luce ammirabile con le eterne montagne ». Attraverso coloro che avete reso eterni, Voi avete promesso agli altri la vita eterna. È con giustezza e magnificenza che il Profeta ha detto: «  Voi spandete » affinché nessuno si possa dire illuminato dalle sole montagne. La luce che viene da queste montagne è una luce riflessa e bisogna attaccarsi alla Luce primitiva, a Colui che ha illuminato queste montagne (S. Agost.). – La preghiera, il mezzo più semplice ed il più facile per dissipare l’oscurità da cui la nostra anima è spesso avvolta. Che fa il sole per dissipare le nuvole? Si mostra, e si fa luce. Allo stesso modo, nei dubbi che attraversano l’animo, preghiamo invece di dissertare, ed un raggio di grazia cambierà il crepuscolo in una luce serena. Attacchiamoci a Dio con amore, e l’intelligenza troverà sempre tanta luce. I chiarori non mancheranno mai ai cuori puri, in questi sentieri che conducono alle montagne dell’eternità, ed in ogni anfratto oscuro, la verità brilla sempre per coloro che non hanno interesse a sviarsi.  (Mgr. LANDRIOT, Prière I, 25)

II. — 5-9.

ff. 5, 6. – « Tutti coloro il cui cuore è insensato, sono stati turbati ». La verità è  stata predicata, la vita eterna è stata annunciata, si è insegnato che esiste un’altra via che non appartiene a questo mondo; gli uomini illuminati dalle montagne che Dio aveva rischiarato, hanno disprezzato la vita presente ed amato la futura, al contrario coloro il cui cuore è insensato sono stati turbati. Da cosa? Dalla predicazione del Vangelo. Che cos’è dunque la vita eterna? Chi dunque è resuscitato dai morti? Gli ateniesi si sono meravigliati, si sono turbati quando S. Paolo ha parlato loro della resurrezione dai morti, ed essi hanno creduto che egli raccontasse loro non so qual favola (Act. XVII, 18-22), perché diceva che c’era un’altra vita che l’occhio non può vedere, e l’orecchio sentire, e le cui gioie non sono entrate nel cuore dell’uomo (1 Cor. II, 9) – (S. Agost.). – Vi sono due tipi di follie: la follia dello spirito e la follia del cuore: la prima fa che si vedano delle cose diversamente da come sono, la seconda fa che conoscendo il prezzo dei veri beni, non li si lasciano per preferire loro degli altri che non li valgono. « Gli uomini di ricchezza hanno dormito il loro sonno e non hanno trovato nulla nelle loro mani ». Essi hanno amato le cose della vita presente, e vi si sono addormentati e queste cose sono divenute per loro deliziose. Ugualmente, colui che vede in un sogno che ha trovato un tesoro, è ricco finché non si svegli: il sogno lo fa ricco, il risveglio lo fa povero. Forse il sogno si è manifestato in lui quando era steso a terra, coricato sul duro, quando era povero e mendicante; in sogno, quest’uomo si è visto disteso su di un letto d’oro o di avorio, su cumuli di mollezze; nel sonno, egli dorme deliziosamente, ma al risveglio si ritrova sul duro giaciglio, così come quando il sonno lo aveva colpito. È lo stesso di questi ricchi: essi sono venuti in questa vita ed i piaceri e le cupidigie temporali li hanno addormentati. Essi si sono lasciati prendere dalle vane ricchezze e da un fasto passeggero che ben presto è sparito. Essi con hanno compreso qual buon uso potevano fare di queste ricchezze; perché essi non avevano conosciuto l’altra vita e si erano fatti un tesoro dei beni che periranno quaggiù (S. Agost.). – Terribile risveglio è quello della morte: essi tenderanno le mani a tutto ciò che li circonda, non stringeranno che fantasmi, una fumata che si dissipa, e che non lascia nulla di reale nelle mani. – Il supplizio dei grandi e dei ricchi della terra, così fieri dei loro cavalli e dei loro equipaggi, è il dormire nella loro grandezza immaginaria, e di esserne sorpresi nella morte. È con ragione che il salmista dice: « gli uomini di ricchezze – e non le ricchezze degli uomini – per dimostrarci che essi non possiedono le loro ricchezze, ma che le loro ricchezze in realtà li possiedono ». In effetti, il posseduto deve appartenere al possessore e non il possessore a ciò che è posseduto. Colui dunque che non usa del suo patrimonio come di un bene che possiede, che non sa darne ad un povero, è schiavo piuttosto che padrone delle sue ricchezze: egli le considera come un servitore guarda i beni che non gli appartengono, e non come ne userebbe un padrone. E parlando di tali uomini, noi diciamo che questi sono gli uomini delle loro ricchezze, e non che le ricchezze appartengono loro (S. Ambrogio-De Nab.). – I peccatori si sono addormentati, ecco l’assopimento delle coscienze criminali; ed in questo stato, arriva loro ciò che succede ogni giorno ad un uomo che dorme: povero com’è, immagina talvolta delle ricchezze immense di cui diviene possessore, aumenta le sue tenute, accumula tesori su tesori; ma tutto questo non è che un’idea, perché al suo risveglio si ritrova con le mani vuote, e più povero che mai. Lo stesso avviene al peccatore: il peccatore, praticando le buone opere, crede di arricchirsi davanti a Dio, e tuttavia nulla gli è di profitto. Egli è assiduo al servizio divino, è caritatevole verso i poveri, è duro con se stesso; ma, nel sonno del peccato in cui è sepolto, tutto questo non è che un sogno, e quando viene la morte, che è come il risveglio dell’anima, egli non stringe nulla nelle sue mani  (Bouan., Etat du péché et état de grâce).

ff. 7-9.« Voi siete terribile e chi vi resisterà nel momento della vostra collera? »Essi dormono ora e non sentono che Dio è irritato; ma il loro sonno anche è effetto della sua collera. Ciò che essi non sentono, ora che dormono, lo sentiranno alla fine; perché allora il Cristo apparirà come Giudice dei viventi e dei morti: « … E chi vi resisterà al momento della collera? ». Ora, in effetti, essi dicono ciò che vogliono; essi disputano contro Dio e dicono: cosa sono i Cristiani? O ancora, … che cos’è il Cristo? … quanto insensati sono coloro che credono ciò che non vedono, che abbandonano le delizie che vedono, e mettono la loro fede in delle cose che non appaiono ai loro occhi? Voi dormite, vi divagate sognando, voi dite contro Dio tutto ciò che vi viene nello spirito. « Fino a quando Signore, fino a quando i peccatori si glorificheranno? Fino a quando risponderanno e parleranno il linguaggio dell’iniquità » (Ps. XLIII, 3). Quando cesseranno di parlare se non quando saranno costretti a rivoltarsi contro se stessi, come è predetto nel libro della Sapienza (V, 3)? Essi diranno, vedendo la gloria dei Santi: « Ecco coloro che noi prendevamo in giro ». E voi che  avete dormito un sonno profondo vi svegliate ora e vi trovate le mani vuote. Voi vedete quanti di coloro che voi burlate per la loro pretesa povertà, hanno le mani piene della gloria di Dio (S. Agost.). –  San Paolo insegna la stessa verità del Profeta: « … è terribile cadere nelle mani del Dio vivente » (Ebr. X, 32). Nessuna potenza, nessuna forza creata può darci l’idea della giusta collera di Dio e degli effetti che essa opera. La stessa Parola che ha fatto uscire l’universo dal nulla distrugge tutto ciò che è oggetto delle sue vendette. Lo spettacolo della collera di Dio si esercita sul proprio Figlio, sul Calvario: questo è il mezzo più grande che noi abbiamo di giudicare del rigore dei giudizi dell’Essere infinito. Si – potremmo dire ai piedi di questa croce – Voi siete terribile Signore, ed il vostro Figlio stesso, che vi è uguale in dignità ed in potenza, non vi resisterà (Berthier). – « Signore, Voi siete terribile, chi potrà resistervi? » Senza dubbio in nostro potere è il cancellare in noi l’immagine di Dio, e detronizzarlo lontano da noi; noi siamo liberi di avvilirlo oltraggiando la sua bontà, di corromperci violando la sua rettitudine, e di rivolgere contro di Lui questo magnifico dono che è la libertà che Egli ci ha dato a nostra perfezione e per sua gloria. Ma Lui, che è tutta forza e tutta santità, avrà senza dubbio il diritto di vendicare il suo onore, e non soffrire che la sua volontà santa sia vinta dalla volontà ribelle dell’uomo. E che? Tutto nella natura è docile sotto la sua mano, e l’uomo solo avrebbe il diritto di essere ribelle! No, no, non è affatto così: se l’uomo peccatore non vuole sottomettersi a Lui per amore, gli si sottometterà con la forza; egli scuote il giogo della legge benefattrice, cadrà nell’ordine della giustizia rigorosa. (De Boulogne, Sur la justice de Dieu). « Dall’alto del cielo, voi avete fatto intendere il vostro giudizio, la terra ha tremato, e poi è restata a riposo ». La terra si agita e si scuote ora, essa parla molto, fa dei progetti senza numero, ma verrà il momento in cui, colta da paura e da tremore, sarà obbligata o far silenzio alla presenza del sovrano Giudice. Meglio varrebbe per essa che si occupasse di meditare nel silenzio questo giudizio così terribile, e di prevenirne i soggetti con un ritorno sincero a Dio che tutto conosce e che chiederà conto di tutto (S. Agost.).

III. — 10 – 12.

ff. 10. – Il primo pensiero salutare che è come il primo atto della conversione, è quello del peccatore che condanna la sua vita passata e prende la risoluzione di rinunciarvi. Il resto di questi pensieri sono come il ricordo di questi grandi benefici, ricordo pieno di riconoscenza che l’uomo giustificato conserva con cura, e che lo porta ad onorare Dio con dei giorni di festa, vale a dire con delle azioni di grazie continue. Il primo pensiero è dunque quello che ci porta alla confessione delle nostre colpe ed all’abbandono della nostra vecchia vita … questo primo pensiero non deve dissolversi nel nostro spirito; le conseguenze di questo pensiero devono restare profondamente incise nella nostra memoria. In effetti il Cristo ci ha rinnovato, ci ha rimesso tutti i nostri peccati e noi ci siamo convertiti: se noi dimentichiamo ciò che ci sia stato perdonato e Chi lo abbia perdonato, noi dimentichiamo ciò che ha fatto il Salvatore: ed infatti al contrario – se noi ne conserviamo il ricordo – non è il Cristo che si immola per noi tutti i giorni? Il Cristo è stato immolato una sola volta per noi, quando noi abbiamo creduto; allora noi abbiamo avuto il primo pensiero. Ora le conseguenze di questo pensiero primario sono quelle di ricordarci Chi è Colui che è venuto a noi, e quali sono le colpe che ci abbia rimesso; e l’effetto di queste conseguenze del pensiero primario, o l’effetto del nostro stesso ricordo, è che il Cristo è tutti i giorni immolato per noi, come se ci rinnovasse per così dire ogni giorno, dopo averci rinnovato con la sua prima grazia … Se oggi non c’è più il pensiero primario che è in voi, abbiate almeno in voi le conseguenze del vostro primo pensiero, per paura che il ricordo di Colui che vi ha guarito non sfugga alla vostra memoria; perché se obliate le vostre antiche piaghe, il resto, le conseguenze del pensiero primario, non saranno più in voi (S. Agost.).

ff. 11, 12. – Che ognuno faccia i voti che sono in suo potere e se ne appaghi. Non abbiate timore di fare questi voti; perché non è con le vostre forze che li compirete. Voi cadrete se presumete di voi stessi; ma se mettete la vostra fiducia in Colui al quale si indirizzano i vostri voti, fateli, sicuri di potervene acquistare.  « Fate dei voti al Signore nostro Dio, e compiteli ». Quali sono i voti che tutti indistintamente devono fargli? Di credere in Lui, di sperare da Lui la vita eterna, di ben vivere secondo la regola comune. C’è in effetti una regola comune a tutti: il voto, ad esempio, non è una cosa proibita alla vergine consacrata a Dio e permessa alla donna sposata. Ugualmente è impedito a tutti l’ubriachezza, abisso in cui l’anima si perde, peccato con il quale essa sporca in sé il tempio di Dio. È a tutti prescritto di non inorgoglirsi. A tutti è prescritto similmente di non commettere omicidio, di non odiare il proprio simile e non voler nuocere a nessuno. Ecco tutte le cose che noi dobbiamo evitare senza riserva. Ci sono poi dei voti propri di ciascuno. Ognuno faccia quel voto che vorrà, ma una volta fatto il voto stia attento ad acquistarne fedelmente. Qualunque voto si faccia a Dio, è una gran colpa guardarsi indietro (S. Agost.). – Non mancare di parola a Colui che è terribile nei suoi giudizi e del quale è scritto: « Non vi ingannate, non ci si burla impunemente di Dio » (Galat. VI, 7). Egli non è solo terribile allo sguardo dei particolari, ma pure al riguardo dei principi e dei re che sono terribili per gli altri uomini, e a cui Dio toglie la vita  quando a Lui piace, con la stessa facilità che agli ultimi dei suoi soggetti (Duguet). – È soprattutto negli ultimi giorni che Dio apparirà terribile ai re ed ai grandi della terra.