LA TRADIZIONE

Tradizione.

51WT7Di2saL__AA160_

[Ab. E. Barbier: “I tesori di Cornelio Alapide”; S. E. I., Torino, 1930, 3° ed., vol. III]

Nel mondo cristiano vi è una vera fede, cioè una fede divina, fondata su la parola di Dio contenuta nei due Testamenti. Ma vi è ancora, dice il Padre Campion (Méthode pour discemer, etc.), una parola di Dio non scritta a cui si dà nome di tradizioni divine ed apostoliche, o semplicemente di Tradizione. – In qualunque maniera Dio si spieghi, egli ha sempre la medesima autorità. – Prima di Mose non vi era parola di Dio scritta. Per oltre duemila anni, i veri fedeli non si conservarono nella vera religione se non per mezzo delle tradizioni. Gli Apostoli medesimi predicarono il Vangelo prima che si scrivesse. Perciò S. Paolo diceva ai Tessalonicesi: «Fratelli miei, osservate le tradizioni che avete appreso, sia dai nostri discorsi, sia dalle nostre lettere » (Il Thess. II, 14). Quello che predicava a viva voce, non aveva minor forza né minore autorità di quello che insegnava per iscritto; e non si può negare che molte cose sono state rivelate, le quali non si trovano nella Scrittura, e che tuttavia noi dobbiamo credere, per esempio, che i quattro Vangeli, che le quattordici Epistole di S. Paolo, che le tre di S. Giovanni con la sua Apocalisse, sono stati inspirati dallo Spirito Santo. I cattolici ed i protestanti sono d’accordo su questo punto. Ora se i protestanti credono ciò di fede divina, bisogna che Dio abbia rivelato che tutti questi libri sono divini. – Ciò posto, mi dicano i protestanti, dove si trova questa rivelazione? È certo che non s’incontra nella Sacra Scrittura, non occorrendo luogo in tutta la Bibbia, nel quale si faccia l’enumerazione dei libri canonici. Ma se questo catalogo di libri santi non si trova nella Bibbia, come per certo non vi si trova, è assolutamente necessario ammettere una parola di Dio non scritta, che è la tradizione, poiché questa rivelazione sulla quale poggia la fede, mediante la quale crediamo che la Bibbia è un libro divino e che è parola di Dio, è una festa divinae, per sentimento dei protestanti il fondamento di tutti gli altri punti di fede. – E questa la ragione per cui la Chiesa Cattolica, apostolica, romana, ha sempre riconosciuto e ammesso una parola di Dio non scritta. Già da’ suoi tempi S. Giovanni Crisostomo faceva rilevare come dal testo di S. Paolo nella sua seconda epistola ai Tessalonicesi, chiaramente ne conseguisse che gli Apostoli insegnarono molte cose che non si trovano nella Scrittura, e a cui noi siamo obbligati a prestare la medesima fede che a quelle scritte. [“Hinc patet quod non omnia per epistolam tradita sunt; et multa alia etiam sine litteris; eadem fide tam ista quam illa digna sunt” (Orat. IV)]. – Secondo Origene, la dottrina delle tradizioni per la quale noi sappiamo non esservi che quattro Vangeli, e dietro la quale crediamo gli altri libri canonici, ha per suoi assertori, testimoni e banditori tutti i santi Padri e i Dottori. – Notissima a tutti è quella protesta di S. Agostino: « Non crederei al Vangelo, se non mi vi piegasse l’autorità della Chiesa cattolica ». [“Ego vero Evangelio non crederem, nisi Ecclesiae catholicae me moveret auctoritas” (Epist. CLVII)]. – Il medesimo Dottore dice in un altro luogo: « Gli illustri Pontefici di Dio mantennero esattamente quello che trovarono nella Chiesa; fedelmente insegnarono quello che essi appresero; consegnarono religiosamente ai figli ciò che ricevettero dai padri ». [“Illustres antistites Dei quod invenerunt in Ecclesia tenuerunt; quod didicerunt, docuerunt; quod a patribus acceperunt, hoc filiis tradiderunt”. (Enchirid.)]. – Quindi quella massima del Lirinese: « Bisogna curare diligentemente che nella Chiesa cattolica si tenga quello che sempre e in ogni luogo e da tutti fu creduto ». [“In ipsa catholica Ecclesia magnopere curandum est ut id teneamus quod ubique, quod semper, quod ab omnibus creditum est”. (VINCENT. LIRIN.) ]. – Infatti già osservava S. Gerolamo: Non è la Scrittura, ma la tradizione che insegna alla Chiesa che bisogna battezzare i bambini e non ribattezzare gli eretici che ritornano alla Chiesa; che invece del sabbato si deve celebrare la Domenica. La Quaresima è d’istituzione apostolica (Epist. LIV, ad Marc.). I protestanti credono al pari dei cattolici, contro Nestorio, che in Gesù Cristo vi è una sola persona, che è la Persona divina, e non due, come stoltamente pretendeva quell’eresiarca: credono al pari di noi, che in Gesù-Cristo vi sono due nature, la divina e l’umana, e non una sola, come sosteneva Eutiche. Ora questi due capitali articoli di fede non si trovano già chiaramente espressi nel Vangelo: noi li ammettiamo dietro le decisioni dei Concili i quali li avevano appresi dalla tradizione apostolica, cioè dalla parola di Dio trasmessa agli Apostoli, e da questi alla Chiesa. – Del resto, non solamente nel citato passaggio dell’epistola ai Tessalonicesi, ma in altri luoghi ancora S. Paolo comanda espressamente di osservar le tradizioni. Nella medesima epistola, per esempio, al capo III scrive loro: « Noi vi ordiniamo, o fratelli, nel nome di Gesù Cristo, che vi separiate da quelli dei nostri fratelli, i quali vivono in modo sregolato e non secondo la tradizione che hanno ricevuto da noi ». — Denuntiamus autem vobis, fratres, in nomine Domini nostri Iesu Cristi, ut subtrahatis vos ab omni fratre ambulante in ordinate, et non secundum traditionem quam acceperunt a nobis”. ( II Thess. III, 6). Al discepolo Timoteo diceva: «In quanto a te, tu conosci la mia dottrina, la mia vita, il mio scopo, la mia fede, ecc. Rimani dunque saldo in ciò che hai imparato e che ti fu confidato, ben sapendo da chi l’hai appreso » — Tua utem assecutus es meam doctrinam, institutionem, propositum, fidem, etc. — Tu vero permane in iis quae didicisti, et eredita sunt tibi, sciens a quo didiceris (II Tim. III, 10-14). S. Paolo non fa parola di dottrina datagli per iscritto, ma di dottrina insegnatagli, confidatagli, cioè data a viva voce e per tradizione. « Conformati, gli ripete un’altra volta, alle sane parole che da me hai udito, nella fede e nell’amore in Gesù Cristo… – E quello che da me hai inteso in presenza di molti testimoni, raccomandalo a persone fedeli le quali saranno poi idonee esse medesime ad istruire gli altri » — “Formam habe sanorum verborum quae a me audisti, in fide et dilectione in Christo Iesu” (Ibid. I, 13): — “Et quae audisti a me per multos testes, haec commenda fidelibus hominibus, qui idonei erunt et alios docere “(Ibid. II, 2). – Noi vediamo che l’Apostolo mette a paro le verità che ha insegnato ne’ suoi discorsi, con quelle che ha tracciato ne’ suoi scritti; e quelle e queste formano il deposito che confidava a Timoteo, ordinandogli di trasmetterlo a quelli che fossero capaci d’insegnare. Da tutto ciò, che è incontestabile, tiriamo due conseguenze. – La prima è che, se i protestanti rigettano le tradizioni della Chiesa, devono rigettare anche il nuovo Testamento, che queste tradizioni ammette quali pure sorgenti; che anzi rifiutino tutta quanta la Bibbia, perché è venuta fino a noi, attraverso i secoli, non per altra via, se non per quella della tradizione. La religione sia scritta sia orale, non è forse sempre la medesima Religione? E se la religione per tradizione può correre pericolo di venire alterata, non può esserlo ugualmente la religione per iscritto? Quand’anche non esistesse sillaba di Scrittura, la vera religione non cesserebbe perciò di sussistere e di perpetuarsi, come si è mantenuta per il corso di due mila anni, da Adamo fino a Mose; e la Religione cristiana anch’essa sul principio si è in questo modo mantenuta e diffusa in tutta la sua purezza per alcuni anni; poiché il nuovo Testamento non era ancora scritto, e l’antico non era ancora stato diffuso dovunque si trovavano dei fedeli. – La seconda conseguenza è che Dio ha dovuto necessariamente stabilire un giudice della sua parola, sia scritta sia non scritta, per terminare le difficoltà che protrebbero insorgere e intorno al numero dei libri sacri, e riguardo alla fedeltà delle traduzioni, e riguardo al senso dei testi, e riguardo alla tradizione; e che questo giudice dev’essere vivente, parlante, perpetuo, infallibile, inspirato e diretto dallo Spirito Santo, per rendere certa la nostra fede – La ragione e l’autorità, la storia e la tradizione proclamano ad una voce che questo giudice vivente, perpetuo, infallibile, inappellabile è la Chiesa docente, perché di Lei fu detto da Colui che non può né mentire né venir meno: « Le forze dell’inferno non basteranno a superarla » — “Portae inferi non praevalebunt adversus eam” (MATTH:. XVI, 18). Ora, siccome il capo, la bocca, l’organo di questo corpo che si chiama Chiesa, è una parte di Lei così sovreminente, sostanziale e necessaria che, per sentenza dei santi Padri, con Lei s’immedesima, e dove si trova esso, si trova tutta e sola la vera Chiesa: “Ubi Petrus, ibi Ecclesia(S. Ambros.), perciò il buon senso del popolo fedele e la sana dottrina dei luminari del Cristianesimo furono sempre unanimi nell’attribuire al Romano Pontefice, qual successore del B. Apostolo Pietro e quindi capo e fondamento della Chiesa, la medesima prerogativa d’infallibilità di cui questa va adorna; sostenuto in questo sentimento dalla parola del Redentore il quale non contento d’aver indirettamente accennato a questo sublime privilegio di Pietro chiamandolo e costituendolo fondamento sul quale avrebbe fondato la sua Chiesa: — “Tu es Petrus et super hanc petram aedificabo Ecclesiam meam” (MATTH., XVI, 18), apertamente glielo attribuì allorquando l’assicurò ch’Egli aveva pregato per lui individualmente e personalmente affinché la sua fede non venisse mai meno e che in virtù di questa sua preghiera, la fede di lui si sarebbe mantenuta in ogni tempo così ferma, così pura, così viva da essere in grado di rassodare, appurare, vivificare quella di tutto il corpo: — “Ego rogavi pro te, Petre, ut non deficiat fides tua; et tu aliquando conversus confirma fratres tuos” (Luc., XXII, 32). – Quello però che fino al presente era stato un sentimento, non dico comune, ma universale nella Chiesa di Gesù Cristo, perché da pochi Giansenisti e in tempi recenti fu messo in dubbio, adulterato, travisato, venne finalmente professato in chiari termini, dichiarato e promulgato qual domma cattolico, cui il contraddire è eresia, dal santo Concilio Ecumenico Vaticano 1° radunato in Roma dal Papa Pio IX il giorno 8 Dicembre 1869. Infatti sul fine del Capo IV della la Costituzione dogmatica — De Ecclesia Christi — votato nella IV Sessione pubblica tenutasi il 18 luglio 1870 e numerosa di 535 Padri, così si legge: — “Traditioni a fidei christianae exordio pereeptae fideliter inhaerendo… docemus et divinitus revelatum dogma esse definimus: Romanum Pontificem, cum ex Cathedra loquitur, idest eum omnium Christianorum Pastoris et Doctoris munere fungens, pro suprema sua Apostolica auctoritate doctrinam de fide vel moribus ab universa Ecclesia tenendam definit, per assistentiam divinam, ipsi in B. Petro promissam, ea infallibilitate pollere, qua divinus Redemptor Ecclesiam suam in definienda doctrina de fide vel moribus instructam esse voluit; ideoque eiusmodi Romani Pontificis definitiones ex sese, non autem ex consensu Ecclesiae, irreformabiles esse. Si quis autem huic Nostrae definizioni contradicere… praesumpserit anathema sit”. — Dunque il sacro Concilio, attenendosi alla tradizione venuta a noi fino dai primi secoli della Chiesa, insegna e definisce essere dogma divinamente rivelato, che il Romano Pontefice, allorquando dichiara di parlare in qualità di Pastore e di Dottore di tutti i Cristiani, e in virtù della suprema sua autorità apostolica definisce qualche dottrina appartenente alla fede e ai costumi, e la propone da credersi da tutta la Chiesa, gode, in virtù dell’assistenza divina promessagli nella persona di Pietro, della medesima infallibilità di cui dotò la sua Chiesa il Redentore divino; di modo che le sue cosiffatte definizioni sono irreformabili di per se stesse, senza che vi sia bisogno del convalidamento d’alcun concilio, o dell’accettazione della Chiesa.

#     #     #

“Ubi Petrus, ibi Ecclesia”

Al proposito riportiamo una breve ma importante citazione da “Mystici corporis Christi“, lettera enciclica di Pio XII del 1943, ove viene ancora una volta ribadito il concetto: “… Si trovano quindi in un pericoloso errore quelli che ritengono di poter aderire a Cristo, Capo della Chiesa, pur non aderendo fedelmente al suo Vicario in terra. Sottratto infatti questo visibile Capo e spezzati i visibili vincoli dell’unità, essi oscurano e deformano talmente il Corpo mistico del Redentore, da non potersi più né vedere né rinvenire il porto della salute eterna”

Stiamo attenti a capire quindi dov’è Pietro, affinché non ci capiti di ritrovarci fuori dalla Chiesa Cattolica, di marciare cioè sotto lo stendardo di satana, pensando di militare nella truppa di CRISTO! Che DIO ci liberi! -n.d.r.-

 

Omelia della Domenica IX dopo Pentecoste

Omelia della Domenica IX dopo Pentecoste

[Del canonico G. B. Musso – Seconda edizione napoletana, Vol. II -1851-]

[Vangelo sec. S. Luca XIX, 41-47]

E0702 KAULBACH WA403

-Anima in peccato-

“Infelice Gerusalemme (cosi lagrimando dicea Gesù-Cristo in vista di quella sciagurata città, come ci narra l’odierna evangelica storia) Gerusalemme infelice! Buon per te, se conoscessi in questo tuo giorno l’amorevole visita, che ti fa Colui che è mandato per la tua salvezza; ma tu hai sugli occhi e sul cuore un velame di cecità e di perfidia, che non ti lascia vedere il presente tuo stato, né lo stato peggiore, a cui fra non molto sarai ridotta, quando i nemici tuoi si stringeranno intorno con assedio sì fiero, che ti ridurranno all’ultimo sterminio, fino a non lasciare di te pietra sopra pietra”. – Queste divine minacce ben si possono rivolgere ad un’altra e mistica Gerusalemme, cioè all’anima di coloro che trovansi in istato di colpa mortale. Essi per lo più non conoscono né il misero loro stato presente, né il pericolo di un peggiore stato avvenire. Sono essi da un denso velo avvolti nella mente e nel cuore, onde non vedono né il loro male presente, né il rischio di un estremo male futuro. A rimuovere questo velo fatale io dico che un’anima rea di grave peccato ella è in istato di spiritual morte ciò che vedremo da prima, ella è in pericolo di eterna morte, ciò che vedremo dapprima se mi favorite di attenzione cortese.

  1. I. Anima in grave peccato, anima morta. Adamo, vedi tu quest’albero? In segno di mio dominio e di tua ubbidienza non ne gu Che se avrai l’ardimento di rompere quest’unico mio precetto, in quel giorno stesso sarai colto da certa morte: “In quocumque die comederis ex eo, morte morieris” (Gen. II, 17). Così al nostro primo padre Iddio Creatore. Mangia Adamo il vietato pomo e non muore: come si avvera la divina minaccia? Si avvera, risponde S. Agostino, in doppio modo (2Tract. 47 in Joan.). Adamo pria immortale, resta in quell’istante di sua trasgressione soggetto alla morte, e ciò riguardo al corpo. Muore al tempo stesso di più funesta morte, e ciò riguardo all’anima. Che cosa è morte? prosegue il santo Dottore: è la separazione dell’anima dal proprio corpo (De Civ. Dei lib. 13, c. 2). Ora siccome la vita del corpo è l’anima che l’informa; così la vita dell’anima è Dio che la vivifica. Divisa l’anima dal corpo, ecco la natural morte. Diviso per lo peccato Iddio dall’anima, ecco la morte spirituale. – A questa spiritual morte volle alludere il Signore, allorché dopo la caduta di Adamo discese nel terrestre paradiso, si fece così a chiamarlo, ed a compiangerlo, “Adam … ubi es” (Gen. III, 9)? E dir volle, secondo il prelodato S. Agostino, “o Adamo, a quale stato deplorabile ti sei ridotto? Tu, creato nell’originale giustizia, tu dotato della santificante grazia, tu ricco per tanti doni, ora pel tuo delitto di lutto spogliato, morto alla mia grazia, sei divenuto agli occhi miei oggetto di abominazione più che un verminoso cadavere”. – Tal è lo stato luttuoso, a cui il peccator si riduce talvolta per un vile interesse, per un immondo piacere, per uno sfogo di brutale passione. Una goccia di mele, può dir di sé stesso, mi è costata la vita; “gustans gustavi… paululum mellis, et ecce morior” (1 Reg. XIV, 43). Oh Dio! A quanti dirsi potrebbe ciò che nel divino Apocalisse fu detto a quel vescovo, “nomen habes quod vivas et mortuus es” (III, 1). Voi siete vivo, vegeto, sano, robusto, “nomen habes quod vivas”, ma portate in seno un’anima morta, “sed mortuus es”. – Ma questo non è il tutto. Muore pel grave peccato insieme coll’anima ogni opera buona, ogni merito acquistato. A ciò comprendere più chiaramente rammentate quel che dell’anime prevaricatrici scrive l’apostolo S.Taddeo nella sua epistola Cattolica. Chiama egli quell’anime: alberi autunnali due volte morti, “arbores autumnales, eradicatae , bis mortuae” (V, 12). Avrete forse veduto sul cominciar dell’autunno un albero carico di frutti non ancor giunti a maturità; quando un turbine procelloso gli si aggira d’intorno, lo stravolge, lo schianta fin dall’ime radici, e lo distende sul campo. Quest’albero è due volte morto; morto perché dalla radice non può più trar l’umor vitale, morto perché non può più maturare i suoi pomi, i quali per mancanza di alimento cadono disseccati sul terreno. Tanto avviene ad un’anima colpita da grave peccato; perde colla vita di grazia il frutto di tutte le precedenti sue opere buone. Avesse acquistati tutt’i meriti de confessori, delle vergini, de’ martiri, degli Apostoli, di tutti i beati del cielo, resta di tutti onninamente spogliata. “Omnes iustitiae eius, quas fecerat, non recordabitur(Ezech. XIII, 24). – Alla vista di tanta perdita, alla considerazione di questa doppia morte chi vi è che si risenta, che si commuova? “Io mi aggiro talvolta (diceva S. Giovanni Crisostomo al popolo Antiocheno) talvolta mi aggiro per le vostre contrade, e mi accade sentire da qualche casa uscir un mischio di pianti, di sospiri, di gemiti e di clamori, volgo il piede verso la casa rimbombante di tanti lamenti, ascendo le scale, ed ecco m’incontro in un cadavere, intorno a cui piangono inconsolabili i congiunti, i familiari, gli amici: chi singhiozza, chi urla, chi si dibatte, chi si strappa i capelli. Ah, miei figliuoli, esclamo allora, piangete pure la perdita, piangete la morte di un vostro caro, ben ne avete ragione. Si concede in questi casi funesti un moderato sfogo alla natura e al vostro dolore, ma di grazia per il ben che vi voglio, per l’amor che vi porto, permettetemi che io vi mostri un oggetto assai più meritevole del vostro pianto. Se voi per lo peccato siete in disgrazia di Dio, l’anima vostra è morta a Dio, alla sua grazia, alla sua amicizia: è questa la morte che più di ogni altra merita le vostre lacrime. Ma ohimè! che al sentir questa morte, morte degna di eterno pianto, io vi veggio stupidi, insensibili, indifferenti. O miei figli, o santa fede! Possibile, che per un defunto, che pur una volta doveva cessar di vivere, siete inconsolabili, e per la morte della vostr’anima immortale ed eterna non versiate una lacrima, non alziate un sospiro! Tanta commozione ed ambascia per un corpo fatto cadavere, e tanta indolenza e freddezza per un’anima resa per il mortale peccato a condizione più luttuosa di mille fetenti cadaveri, o miei figliuoli, o santa fede ! che cecità ella è mai questa? – Ma tutto qui finisce. Un’anima rea di grave delitto non solo è in istato di spiritual morte, ma essa è in pericolo di eterna morte. Ritorniamo a quella casa di lutto, ove ci ha condotti il Crisostomo. Io veggio uscir dalle sue porte collocato in un feretro il compianto defunto. Figli, così dunque lasciate portar via l’amato genitore? Egli è morto, voi mi rispondete. Consorte, come soffrite che vi sia tolto dagli occhi il fido vostro compagno? Egli è morto. E voi congiunti, domestici, amici. .. Egli è morto. E che volete voi dirmi con questo tanto ripetere: “egli è morto” ? Vogliam dire che un cadavere chiama il sepolcro, che chi più non vive sopra la terra, deve andare sotterra; ho inteso: per chi è morto “solum superest sepulchrum” (Giob. XVII). Così è, non deve funestare i vivi chi è nel numero de’ morti. Il suo luogo è la tomba: è questa la pratica di tutt’i secoli. Ditemi ora, fratelli carissimi, se l’anima vostra, che Dio non voglia, fosse morta per grave peccato, a qual luogo sarebbe essa destinata? Non rispondete? Morta che ella è, anch’essa chiama il suo sepolcro. E qual è il sepolcro di un’anima rea, di un’anima morta? Egli è l’inferno. Così affermò Gesù Cristo quando parlò dell’Epulone, “mortuus est… dives, et sepultus est in inferno” ( Luc. XVIII, 22). Trapassato che fu quel ricco malvagio sarà stato per avventura il suo corpo collocato da suo pari in qualche superbo mausoleo; ma l’anima sua fu sepolta nell’abisso infernale, “sepultus est in inferno”. Ecco la tomba che sta aspettando ogni anima peccatrice. – S’è così, e perché, voi ripigliate, un’anima morta non vien tosto colà giù seppellita? E perché, vi rispondo, un corpo morto nol mandate subito dal letto al sepolcro? Perché dopo un giusto contristamento degli addolorati congiunti convien comporlo in casa, esporlo poscia in Chiesa, e dar tempo che si compiano intorno ad esso le sacre ecclesiastiche cerimonie. E costume di tutte le nazioni incivilite di lasciar sopra terra i defunti per uno o più giorni secondo gli usi, le circostanze, o le qualità del soggetto. Dite altrettanto riguardo ad un’anima nel suo stato di morte. Chiama ella il suo sepolcro, cioè l’inferno; ma Iddio pietoso mosso dalle preghiere della Chiesa, dall’intercessione de’ Santi, e dalle viscere della sua misericordia, più che al castigo propende al perdono, differisce il suo destino, accorda tempo, aspetta che si ravveda, che apra gli occhi sul suo pericolo, che si adopri, che chieda aiuto per tornare in vita; e a questo fine, con una pazienza tutta propria, dice S. Agostino, di un Dio Onnipotente, con un amore tutto diretto a salvarla, indugia, ritarda per mesi, per anni a seppellirla nell’ abisso. Guai però per chi non si profitta di quest’indugio, guai per chi si abusa del tempo concesso pel suo ravvedimento! – Potrà’ dire di sè quest’infelice: Si sustinuero, infernus domus mea est”. (Giob. XVII) . Se io continuo in questo stato di morte, se non tronco quell’amicizia, se non abbandono quella pratica, se non dismetto quel giuoco, se non restituisco l’altrui roba, se non riparo l’altrui fama, in una parola, se non lascio il peccato, “si sustinuero”, la mia tomba, la mia abitazione perpetua sarà l’inferno; “si sustinuero infernus domus mea est”. – Che facciam dunque, peccatori miei cari? Vogliam persistere in questo luttuosissimo stato di morte con evidente pericolo di morte sempiterna? Ah! no, diamo ascolto alla voce di Dio, ai richiami della nostra coscienza, agli amorevoli inviti dell’apostolo Paolo, che a me peccatore e a ciascuno di voi così va dicendo: “O cristiano fratello, tu sei sepolto in un sonno letargico, tu sei morto a Dio e alla sua grazia; via su, svegliati in questo istante, apri gli occhi alla luce, sorgi da morte, che Gesù Cristo ti stende la mano, e di figlio che sei delle tenebre, ti cangerà in figlio di luce: “Surge qui dormis, et exurge a mortuis, et illuminabit te Christus” (Ephes. V, 14). Lo so, per la nostra spirituale risurrezione, ci vuole un miracolo della divina onnipotente destra, maggior di quel che si richiede a risuscitare un morto; miracolo ch’è pronto a farlo Iddio pietoso. Passa però questa differenza tra la vivificazione di un corpo, e la vivificazione di un’anima: che il corpo nulla può contribuire al proprio risorgimento; l’anima però, tuttoché morta, è sempre fornita del libero arbitrio, non è in essa estinto il lume della fede, non è insensibile ai pungoli della sinderesi, non è priva di qualche naturale virtù; onde assistita dalla grazia, che sempre è pronta a porgerle Aiuto, può e deve concorrere al suo risorgimento. – Mezzo efficacissimo a questo risorgimento, è l’umile e fervorosa preghiera; e perciò a voi rivolto, mio pietoso Signore, vi prego più col cuore che colle labbra, a dar la vita a chi n’è privo. Forse io son quello; ma deh! Voi fatemi penetrare alla mente un raggio di viva luce, acciò non mi addormenti in un sonno mortifero, per cui il mio nemico, il demonio si vanti di avermi vinto e perduto. “Illumina oculos meos ne unquam obdormiam in morte, ne quando dicat inimicus meus: preavalui adversus eum” (Ps, XII,4) .

Il vizio dell’ IMPURITA’

IMPURITA’

[E. Barbier: I Tesori di Cornelio Alapide, 3 ed., vol. II, Torino, 1930]

51WT7Di2saL__AA160_

1.- L’impurità è un peccato mortale di sua natura. — 2. Avvilimento dell’impudico. — 3. Funesti effetti dell’impurità: 1° effetto, i tormenti; 2° danni spaventosi; 3° lo scandalo; 4° l’accecamento; 5° la schiavitù. – 6. In quanti modi si cade nel vizio della disonestà. – 7. Quanto sia difficile uscire dall’impurità. – 8. Castighi e dannazione dell’impudico. – 9. Rimedi contro l’impurità.

1.- L’impurità è un peccato mortale di sua natura. — L’impudico consacra il suo culto alla carne… Egli adora quello che adoravano i pagani; venera con loro il medesimo dio. Ora l’idolatria è un delitto enorme. « Il mio popolo, dice Iddio, ha cangiato la sua gloria per un idolo. Stupite, o cieli, e voi, o potenze del cielo, vestitevi a lutto » (Gerem. II, 11-12). «L’impudico cambia la gloria del Dio incorruttibile, nella sembianza dell’uomo corruttibile », dice S. Paolo (Rom. I, 23). Lo stesso Apostolo dice ancora: «Quelli che si deliziano nella carne, non possono piacere a Dio; se voi vivrete secondo gli appetiti della carne, morrete » (Rom. VIII, 8, 13). «Non illudetevi: né i lussuriosi, né gli idolatri, né gli adulteri possederanno il regno dei cieli » (I Cor. VI, 9-10); « perché la carne e il sangue non possono stare con Dio, né la corruzione immedesimarsi con l’incorruttibilità » (Ib. XV, 50). « Non sapete che voi siete il tempio di Dio, che i vostri corpi sono membri di Gesù Cristo e che in voi abita lo Spirito Santo? Adoprerete dunque i membri di Gesù Cristo per farne membri di una prostituta? Ma se alcuno profana il tempio santo di Dio, il qual tempio siete voi, Dio lo sterminerà » (Ib. III, 16-17; VI, 15). «Sappiate e vi stia ben fisso in mente, che nessun fornicatore o impudico avrà parte all’eredità del regno di Cristo e di Dio » (Eph. V, 5). Formale è il precetto di Dio: Non fornicare (Exod XX, 14), né meno chiara è la sua sentenza, che nella città di Dio non v’entrerà nulla di macchiato (Apoc. XXI, 27). « E Dio, dice S. Pietro, sa riservare i malvagi al giorno del giudizio per castigarli e quelli principalmente che accarezzano la carne vivendo secondo le voghe della carnale concupiscenza » (II, II, 9-10). Infatti è peccato così enorme l’impurità e cosi abbominato da Dio, che, come dice S. Agostino, è il più gradito a Dio l’abbaiare dei cani, il muggire dei buoi, il grugnire dei porci, che non il canto de’ suoi servi impudichi. « Non cambiate i vasi sacri in vasi d’ignominia », esclama S. Pier Damiani; ora, già l’abbiamo inteso dall’Apostolo, i cristiani sono i tempi, i vasi sacri del Dio vivente. Se un profanatore sacrilego dirocca una chiesa, abbatte un altare, spezza un vaso sacro, di quale odioso delitto non si rende colpevole! Ben più orrenda e indegna è la profanazione che fa il lussurioso della sua anima, del suo cuore, del suo corpo e infinitamente più enorme è il suo misfatto. Infatti, se è vera la sentenza di S. Tommaso, che per la lussuria l’uomo si allontana infinitamente da Dio », e se è vero che il peccato è un abbandono che fa l’uomo di Dio, ben può ciascuno calcolare l’enormità del peccato d impudicizia; quindi S. Bernardo non si contenta di dire: Guai, ma aggiunge, molti e grandi guai all’incontinente. E non si creda che per commettere peccato grave in questa materia, bisogni arrivare agli estremi limiti di questo abominevole vizio: sarebbe questo un deplorevole e grossolano inganno perché non solamente un’azione di tal genere è colpa mortale, ma anche un semplice pensiero, o desiderio, o sguardo fatto con consenso deliberato. – Possono i coniugati medesimi farsi rei di gravissime colpe in questa materia, quando non abbiano per iscopo e freno il santo timor di Dio. Ricordatevi, o sposi, la parola di S. Paolo: « Si porti rispetto da tutti al matrimonio e si conservi il talamo immacolato; perché Dio giudicherà i fornicatori e gli adulteri » (Hebr. XIII, 4); vi atterrisca la sentenza del Signore: «Il seme degli empi non attecchirà » — (Psalm. XXXVI, 28). Dio destinava alla vita ed al cielo tanti bambini; ora dove sono essi? O sciagurati che respingete nel nulla esseri destinati a benedire, lodare e godere Dio eternamente! La Scrittura ci narra che l’infelice Onan, perché impediva con un’azione detestabile che si compisse la volontà divina, fu dal Signore colpito di morte (Genesi XXXVIII, 9-10) Una tale profanazione è contraria alla legge naturale ed alla santità del matrimonio. Questo delitto è un omicidio. Vi sono dei genitori che si lagnano delle loro disgrazie, delle malattie, della morte dei loro ragazzi. Pensino se non sono forse castighi di Dio che li punisce in quello medesimo in cui hanno peccato. Dove si possono trovare parole che bastino a flagellare come conviene l’infame delitto dell’adulterio e tutti i mali che trascina con sé? L’adultero: 1° scioglie la fedeltà coniugale; 2° viola il matrimonio, perché la natura, e l’autore della natura, Iddio, esigono che gli sposi rispettino la loro unione (Gen. II, 24); 3° profana il sacramento; 4° fa grave ingiuria ai figli legittimi; 5° commette un’enorme ingiustizia; 6° si fa reo di un orrendo scandalo… L’adultero pecca contro Dio, di cui non vuole riconoscere l’autorità, rifiutando di adempirne il comando; pecca contro la persona che gli è unita, perché non le mantiene la data fede; pecca contro se medesimo, perché si macchia l’anima e il corpo; pecca contro i figli legittimi che danneggia; pecca contro il complice medesimo dell’adulterio, essendogli cagione od occasione di peccato… – « Non sapete, o adulteri, che l’amicizia di questo mondo è nemica di Dio? » — Adulteri, nescitis quia amicitia huius mundi inimica est Dei? (Iacob. IV, 4). Il mondo è adultero; amare il mondo è un adulterio spirituale; chi consacra l’anima sua al mondo, la ruba a Gesù Cristo sposo delle anime… – Il Signore nell’antica legge ordinava che l’adultero fosse lapidato; per bocca del Savio dice che sarà punito su la pubblica piazza; che si darà alla fuga come puledro scavezzato, ma sarà sorpreso là dove meno si pensa; sarà disonorato nel cospetto di tutti; lascerà la sua memoria in maledizione, e la sua infamia non sarà cancellata (Eccli. XXIII, 36). I castighi che piombano su Davide e la sua famiglia, a cagione del suo adulterio, sebbene da lui con amarissima penitenza espiato, bastano a darci un’idea di quello che deve aspettarsi dalla giustizia divina l’adultero impenitente.

2.- Avvilimento dell’impudico. — Una viva immagine dell’abbrutimento e della degradazione del lussurioso ce la fornisce il flgliuol prodigo del Vangelo, il quale si mise al servizio di un padrone e fu mandato a pascolare i porci (Luc. XV, 15); assai più vile di un gregge di maiali è la folla dei pensieri immondi, dei disonesti affetti, delle lubriche voglie che egli accoglie e custodisce nella sua anima. Ecco la sorprendente ma giusta metamorfosi del libertino e del suo stato! ecco il castigo inflitto alla sua licenza ed alla sua folle libertà! Colui che aveva rifiutato di essere devoto figlio di nobilissimo e generoso padre, si vede costretto a diventare schiavo di uno straniero, di un incognito, di un tiranno. Ecco l’impudico… respinge l’autorità di Dio, rifiuta di obbedirGli; non vuole rimanere con Lui ed eccolo obbligato a servire il diavolo più che da schiavo. Il prodigo non volle abitare nel palazzo del padre, è cacciato alla campagna tra il servitorame più abbietto, abbandonato alla fame, alla sete, alla nudità. Non volle avere per compagni di tavola e di casa il padre ed il fratello, è condannato a dividere il cibo e l’alloggio coi porci. Ebbe a nausea il pane e le eccellenti vivande della casa paterna, ora si stimerebbe fortunato se potesse empirsi dei miseri avanzi di schifosi animali! (Luc. XV, 16). « Che crudele, desolante condizione è mai questa, esclama il Crisostomo, non poter nemmeno mangiare del cibo dei porci, dovendo vivere coi porci! ». Ecco dove va a finire il lussurioso! S. Paolo ci avverte che Dio abbandona gli impudichi in balìa ai desideri immondi dei loro errori, alle ignominiose voglie della carne, affinché vituperino se medesimi nei loro corpi; finché disperando della loro salute, si abbandonano ad ogni sorta di più laida dissolutezza (Rovi. I, 24-26) (Eph. IV, 19); e si avvoltolano nel brago delle più schifose dissolutezze, appunto, dice S. Pietro, come un porco che si tuffa nel fango (II Petr. II, 22), e mettono, dice S. Giuda, in mostra le loro turpitudini (Iud. 13). – Non c è vizio più ributtante, più vergognoso, più degradante dell’impudicizia; a ragione S. Pietro raffigura l’impudico nel porco. Perché: 1° egli ama le cose sporche…; 2° è nei suoi portamenti sordido e stomachevole…; 3° si delizia, a somiglianza dei maiali, del fango e della mota…; 4° il porco non guarda che alla terra, non si occupa che del ventre, si corica sul suolo, non è che un informe massa di carne; non diversamente è dell’impudico…; 5° il porco è senza riconoscenza anche verso il suo padrone; il lussurioso non perde egli forse ogni sentimento e discernimento?… In lui si avvera l’imprecazione di David: « Copri la faccia loro d’ignominia» (Psalm. LXXXII, 15). – « Il dissoluto, scrive S. Eucherio, non si differenzia punto dalle pecore o dai porci, perché mette i suoi piaceri negli sfoghi carnali; fa suo dio della propria carne e volge in argomento di sua gloria quel che in lui vi è di più vergognoso  ». La stessa cosa già scriveva S. Paolo ai Filippesi: « Il cui dio è il ventre e la gloria nella propria vergogna » (III, 19). Anche Clemente Alessandrino lasciò scritto che gli « uomini lussuriosi guazzano nelle loro turpitudini come i lombrichi nella melma. Sono uomini porcini, poiché i porci preferiscono la lota all’acqua chiara ». – Si legge nella vita di S. Ignazio di Loyola, che per correggere un libertino il quale portavasi in una casa di mal affare, egli si tuffò un giorno nell’acqua, e quando vide passare di là quell’infelice, gli disse: Va, sciagurato, ai tuoi disonesti piaceri; non vedi la rovina che ti minaccia? Io mi sono imposte dure penitenze, per allontanare dal tuo capo i fulmini divini che stanno per incenerirti. La voluttà è giudicata da S. Gregorio Nazianzeno l’alimento di tutti i vizi, l’amo a cui facilmente restano colti gli animali vili ed abbrutiti. Perciò il Crisostomo afferma che se potessimo vedere l’avvilimento, la degradazione dell’anima di un lussurioso, preferiremmo un fetido sepolcro a un tale stato (Homil. XXIX, in Matth.); il profeta Abacuc piangeva su la sorte di coloro che fanno intorno a sé mucchi di spesso fango: (II, 6). E questi mucchi figurano, dice S. Gregorio (Lib. VI, Moral.), i desideri, le voglie, gli sfoghi d’una laida concupiscenza; da questo fango, il Salmista pregava Dio che lo preservasse (Psalm. LXVIII, 15). -Che cosa vi è di più corrotto e di più laido, domanda l’Ecclesiastico, del pensiero della carne? ogni pane, anche il più cattivo, riesce buono al fornicatore (XVII, 30) – (XXIII, 24). E non è forse vero che all’uomo abbrutito nell’incontinenza fa gola qualsiasi creatura? Sia bella o brutta, povera o ricca, pulita o sozza, giovane o vecchia, egli non guarda pel sottile; purché lo serva ai suoi brutali sfoghi, d’altro non gli importa; appunto come un affamato dà di morso in qualunque tozzo di pane, comunque nero, muffito o duro, gli capiti tra mano. -S. Bernardo osserva che gli uomini carnali non hanno un cuore di uomo, perché avendolo tutto imbrattato nelle vergognose passioni, è cambiato in cuore di bestia. Ed applicando a loro quelle parole del Salmista: « Il mio cuore si è liquefatto come cera in mezzo alle mie viscere » (Psalm. XXI, 14), dice: «Il loro cuore fuso al fuoco della passione carnale, esce dal suo luogo e cade nel fango, altro più non gustando che la passione, tutto confondendo, corrompendo e degradando, cambia l’affetto naturale e legittimo dell’amicizia in un appetito bestiale e sregolato; brama ciò che è illecito, ignominioso e vergognoso perfino alla carne stessa; dimenticata a tal punto la sua antica grandezza e nobiltà di figlio di Dio, che quelli ch’egli corrompe e coloro che corrompono lui, non lo credono ormai più altro se non un luogo di pubblica prostituzione, la sede naturale della lussuria. Infelici, mille volte infelici coloro che soffocando la voce della ragione e della coscienza sono discesi a tanto avvilimento, che più non stimano e prostituiscono a satana quell’anima che creata da Dio, apparteneva a Lui, ed essi ne hanno fatto la dimora e il trono del diavolo, la sentina di tutte le sporcizie, la fogna di tutte le più infami debolezze » (De nat. et dicjn. amoris, c. I). – Con tutta ragione pertanto Eusebio sentenzia che la lussuria abbassa e degrada l’uomo al disotto delle bestie; S. Pier Crisologo afferma che l’impudico « muore alla virtù, cresce ai vizi, oscura la sua gloria, seppellisce la sua riputazione e vedrà la sua follia crescere fino al furore ». Ah sì! bisogna dire col profeta, che l’uomo, posto in alto stato, non ha compreso il suo destino, si tenne uguale ai giumenti e divenne simile a loro (Psalm. XLVlll, 12); si corruppe e diventò abominevole (Psalm. Xlll, 1), perciò Dio li ha abbandonati all’ignominia eterna (Psalm. LXXVII, 66). L’uomo impuro, dice S. Agostino, invece di spiritualizzare il suo corpo, abbrutisce e materializza l’anima sua (De Morib. Eccl.), e ne forma il covo prediletto dei demoni i quali amano di stare nei lussuriosi più che in altri peccatori; come si vede figurato in quel fatto del Vangelo dove si narra che i demoni, scacciati dal corpo di un ossesso, chiesero in grazia a Gesù Cristo che li collimasse in un branco di maiali che stavano pascolando la vicino (Matth. 31-32). Quando un anima disprezza la gloria e la grandezza a cui era chiamata, allora alla riputazione succede lo scandalo e la follia; alla gloria, l’ignominia; alla ricchezza, la miseria; la grazia cede il luogo all’odio; il rispetto, al disprezzo; il guadagno, alla perdita; l’intenzione è corrotta, basso e vile il pensiero, disonesta l’azione… Osservate l’avvilimento, la degradazione in cui cadde e giace quell’adultero, quella donna da trivio, quella giovane spudorata. O Dio, come mettono schifo e ribrezzo non solo agli altri, ma ai loro medesimi corruttori! Il demonio medesimo, dopo di averle macchiate, le canzona, le disprezza, le calpesta. Obbrobrio della società e della famiglia esse si vedono fatte ludibrio agli scherni degli uomini e all’indignazione di Dio; sono la favola di tutto il mondo, derise dal cielo, dalla terra, dall’inferno, in uggia e abominio a se stesse… Donde può mai venire, domanda S. Bernardo, quella così grande e cosi miserabile abiezione, per cui una creatura così bella e nobile, capace dell’eterna beatitudine e del godimento di Dio; un essere creato a immagine di Dio, riscattato col sangue di un Dio, adottato dallo Spirito Santo, dotato della fede, nutrito di un Dio, fatto per Iddio e per l’immortalità; donde può mai essere, dico, che una tale creatura non arrossisca di tuffarsi e di vivere nella corruzione della carne e dei sensi? Ah! è questa una giusta punizione dell’avere abbandonato uno sposo quale è Gesù e di avere amato simili nefandezze; giusta punizione, il bramare i rifiuti degli animali e non averli! Giusto castigo, per questo orgoglioso che preferì custodire questi animali, anziché rimanersi nella Casa del padre suo! O stupido lavoro! o sudore male speso è questo mai col quale l’uomo si consuma intorno a un cadavere in putrefazione! « O insensati mortali], deh! non amate quello che amato v’insozza, posseduto vi schiaccia e perduto vi tormenta ». Finalmente, anche i saggi pagani convengono con la Scrittura e coi padri, che l’impudicizia è cosa laidissima e degradante e vergognosa più di qualunque altra. Platone e Cicerone, per esempio, dicono che la voluttà carnale è il nutrimento dei cuori abbietti e corrotti (De Sene et.). Orazio chiama i libidinosi « porci della mandria d’Epicuro ». — La libidine, dice Seneca, è propria non dell’uomo, ma della bestia . Il filosofo Panezio osservava che l’amore impuro è cosa vile tanto in colui che ama, quanto in colui che è amato. Poiché questo amore impuro non fa altro che convertire in putredine il corpo e quanto si prende in cibo e bevanda. L’oggetto che l’impudico ama di disonesto amore rimane nella sua memoria come una divinità nel suo tempio, divinità alla quale egli sacrifica non un toro né un capro, ma l’anima ed il corpo. Non si rende egli adunque quanto si può dire abbominevole e vile, se per un ignòbile piacere di un istante, si dà in balìa di una carne corrotta, o meglio si fa schiavo del più lurido dei demoni? (Anton. in Meliss.).

3.Funesti effetti dell’impurità: 1° I tormenti. — Il primo dei funesti effetti dell’impudicizia è di accendere nel cuore e nelle ossa del libidinoso un fuoco che lo cruccia, lo cuoce, lo divora: perché come una fiamma che si apprende al solaio di una casa, scoppia ben presto in vasto incendio che consuma tutta la casa con tutto quello che si trova in essa, così l’impurità, appigliatasi ad un’anima, divampa, se tosto non è spenta, in tale incendio, che nell’uomo non vi rimane più nulla d’illeso, né mente, né cuore, né sensi, né membra. Inoltre, come il fuoco si dilata di casa in casa, finché riduce in cenere un’intera città, così la fiamma libidinosa facilmente si stende da uno o da più a molti e diventa un focolare d’incendio. L’impurità è poi ancora un fuoco, perché vicina al fuoco dell’inferno. L’inferno alimenta questo fuoco e questo fuoco popola l’inferno. Sodoma accesa di fuoco impuro, è divorata dalle fiamme di un fuoco disceso dal cielo. – « Il fuoco delle passioni divora la gioventù », dice il Salmista (Psalm. LXXVII, 63), e « la fiamma impura si accende tra i dissoluti e finisce per incenerirli » (Psalm. CV, 19). « L’impurità, dice Giobbe, è un fuoco che non si spegne se non quando più nulla vi resta da consumare » (Iob. XXXI, 12). Su queste parole, così scrive S. Gregorio « Che cosa è la passione impura, se non un fuoco e che cosa sono i pensieri disonesti, se non paglia? Ora chi non sa che una scintilla gettata nella paglia, in poco tempo incendia un intero pagliaio, se non si spegne subito? » (In Iob.). «L’impurità, dice S. Ambrogio, è un fuoco crudele che non cessa mai un istante; brucia notte e giorno e la sua vampa toglie perfino il sonno » (In Psalm. I). « O lussuria, fuoco infernale esclama S. Gerolamo, la cui materia è la gola, la cui fiamma è l’orgoglio, le cui scintille sono i discorsi disonesti, il cui fumo è la follia e il termine è l’inferno! ». Poiché, come dice S. Agostino, « quel che diletta passa, ma quel che tormenta e strazia dura in eterno ». « O impudichi, esclama Isaia, ecco che voi accendete il fuoco e, cinti di fiamme, camminate al loro bagliore e in mezzo all’incendio da voi acceso » (Isai. L, 11). . S. Gregorio vede in quella caldaia bollente di cui parla Geremia (I, 13), il cuore del lussurioso infiammato di voglie carnali, acceso da satana, scaldato dal consenso; escono da questa caldaia infocata, come tanti sprizzi, i desideri di abbandonarsi ad opere nefande. « L’anima impura è figurata in una caldaia bollente, dice S. Tommaso : 1° a cagione del fuoco della concupiscenza; 2° a cagione delle azioni brutali; 3° per la nerezza della macchia. Essa è poi riscaldata : 1° dal furore di un cieco amore; 2° dal fuoco della collera e del litigio; 3° dal fuoco dell’inferno » (De Peccat.). Ed ecco perché Osea paragona gl’impudichi ad un forno acceso (Ose. VII, 4); e la Scrittura parlando dei vecchioni incontinenti che attentarono alla pudicizia di Susanna, dice che furono investiti dalle fiamme della concupiscenza (Dan. XIII, 8). Il demonio si unisce alla passione e tutti e due fanno a gara per soffiare nel cuore del dissoluto il desiderio del peccato; essi gridano del continuo ai sensi e alle creature: Portate, portate… « Di tal natura sono i piaceri sensuali, dice S. Gregorio, che mentre non si hanno, ci accendono di desiderio; appena gustati, ce ne sentiamo ristucchi e nauseati. Per contrario i piaceri spirituali, finché non si hanno, ci dispiacciono; ma appena assaggiati, stimolano l’appetito e tanto più ardentemente si desiderano, quanto più copiosamente si godono ». Il desiderio delle cose spirituali, osserva il medesimo Papa, rallegra l’appetito delle carnali tormenta; questo è abbietto e vile, quello nobile e grande. I piaceri della carne presto saziano e la sazietà genera nausea; ma quelli dello spirito saziano senza disgusto e la sazietà sollecita il desiderio; perché quanto più si gustano, tanto più si conoscono e si amano. Perciò non può amarli chi già non li prova, perché non ne conosce le dolcezze. I diletti corporali escludono quelli spirituali e ne tolgono perfino il senso (Homil.). – 2° Danni spaventosi. — Un altro effetto, non meno deplorevole del primo, produce la libidine, col togliere ogni sorta di bene nell’anima e nel corpo della sua vittima: « Non vi può rimanere niente di salvo e intatto, dice S. Cesario, in colui che è investito dal fuoco della concupiscenza ». « E tutti coloro, dice Salviano, che cadono e rimangono nel fango delle lubriche passioni, si seppelliscono sotto le loro medesime rovine » (Lib. ad Ecclesiast.). E infatti, non si dice forse de’ figliuol prodigo, figura e modello dell’impudico, che andato in paese lontano, diede fondo ad ogni sua sostanza e fu ridotto sul lastrico dalla sua vita di libertinaggio? (Luc. XV, 13). – Questa è la sorte che tocca ai libertini di professione. Fanno getto di tutti i doni di natura e di grazia… : perdono la carità ed ogni sorta di virtù… Questo vizio acceca l’intelligenza, cosicché non si conosce più né Dio, né la virtù… Spegne la memoria della legge e dei benefizi di Dio… Indebolisce la volontà e la deprava a tal punto, che si preferisce il vizio alla virtù, la voluttà alla ragione, la creatura al Creatore, la carne allo spirito, il rimorso alla pace, la terra al cielo, il demonio a Dio, la morte alla vita, l’inferno al paradiso, il sommo ed eterno male al sommo ed eterno bene. Si svestono le insegne di Gesù Cristo e s’indossa la livrea di satana… – Il voluttuoso diventa stupido, sconsigliato, avventato, senza ragione, senza spirito, senza cuore, senz’animo… Tutte le forze dell’anima e del corpo, destinate a servire il Creatore, sono da lui sciupate dietro la creatura, la concupiscenza, i piaceri del senso. Disprezza i doni del senso. Disprezza i doni della grazia, calpesta le promesse del battesimo; la nobiltà scompare sotto il fango, e l’attitudine spirituale alle grandi cose ed alle sublimi virtù è spenta. – Udite come parla S. Cirillo: « Per la voluttà la carne si corrompe, il vigore dell’animo è fiaccato, l’ardore dei vizi imbaldanzito; il giogo delle virtù diventa intollerabile; le passioni entrano nel cuore e lo splendore della ragione si oscura. La voluttà ha prostrato Sansone prodigio di forza, ha abbattuto Davide modello dì santità, ha sedotto Salomone oracolo di sapienza. La voluttà avvelena col soffio di dragone; invita tutta dolce, penetra tutta soave, s’impadronisce da assassino e distrugge ogni cosa ». « L’impurità, continua S. Cipriano, è rabbia venefica, incendio della coscienza, madre dell’impenitenza, rovina della più bella età, onta del genere umano, nemica giurata del sangue e della famiglia ». «L’incontinente, come già notava il Savio, non rispetta né il principio della vita, né la santità del matrimonio (Sap. XIV, 24). Né v’è da stupire; poiché, come volete che rispetti ancora qualche cosa questa gente la quale è zimbello di un vizio tale che, come dice S. Bonaventura, schianta perfino le barbe di ogni virtù e, secondo S. Agostino, non lascia nemmeno più pensare all’avvenire ed ai novissimi , e per testimonianza di S. Ambrogio, fa traviare dalla retta fede? – A buon diritto S. Basilio chiama la libidine: «Amor del diavolo che trae a morte; madre del peccato, nutrice del verme che roderà in eterno ». S. Giovanni Damasceno la chiama: «Metropoli di tutti i mali »; e S. Ambrogio: « Semenzaio e origine di tutti i vizi ». S. Remigio poi si spinse fino ad asserire che la maggior parte dei reprobi si trova all’inferno a cagione di questo vizio (De Impurit.). – Su questo versetto dell’Esodo: «La terra li ha divorati» (XV, 12), così scrive Origene: «Se vedi una persona abbandonata ai piaceri del senso, una persona nella quale l’animo non ha più impero, ma che è dominata dalla lussuria, di’ pure che la terra l’ha divorata e ben presto la inghiottirà l’inferno ». – La lussuria è una catena che mette l’anima in balìa del corpo, che la vincola e l’assoggetta per tal modo alla carne, che non ascolta più altri che il corpo, non vive se non di lui e per lui, e diventa, come lui, materia e fango. Questa verità conobbero e confessarono anche i pagani. Euripide cantava che la massima delle pazzie è l’incontinenza (Laertius); era detto di Antistene, che preferiva di divenire pazzo piuttostochè voluttuoso; perché può bene un medico guarire talora un pazzo, ma quando la libidine si è impossessata di un’anima, diventa un male quasi incurabile {Anton. in Meliss.). – L’effeminatezza dei Romani fu, per testimonianza di Tito Livio, la cagione delle loro sconfitte sotto Annibale, perché ne aveva indebolito le forze e spento il cuore (Histor. Rom.). Cicerone riporta come sentenza di Archita tarentino, non esservi al mondo peste nè più pericolosa né più funesta della voluttà. Da lei i tradimenti della patria, i rovesciamenti dei troni, le guerre delle nazioni; non darsi misfatto o delitto al quale la libidine non spinga. Quanti avvelenamenti! quanti infanticidi! quante risse! (De Senect.). – I piaceri carnali hanno per conseguenza malattie, febbri, piaghe, mali di ogni sorta, perciò Claudiano dava per avviso : « Di tenere chiuso il cuore all’incantevole voce della voluttà carnale, poiché chi le dà retta, si compra la propria rovina per mezzo del dolore ». – La lussuria toglie all’uomo l’ingegno, il giudizio, la forza fisica e morale; uccide la ragione, abbrutisce l’uomo. Quest’abominevole passione ubriaca i sensi, indebolisce la vista, altera i lineamenti del volto, mena a precoce vecchiaia, distrugge ogni buona disposizione, fiacca il coraggio e rende, in una parola, simili a quelle statue che hanno occhi, orecchi, piedi e mani, e intanto non vedono, non odono e non fanno nulla. Inoltre, distrugge il buon nome, fa schiava la volontà, incatena i buoni desideri, istupidisce i sensi e fa dell’uomo un animale d’infima specie. Questa passione è un delirio dell’anima; una ubbriachezza in cui si perdono le ricchezze, la nobiltà, la dignità, la fama, la santità, la vita, la pace, la tranquillità, la felicità, l’anima, lo spirito, il cuore, il tempo, l’eternità… – 3° Lo scandalo. — Il terzo effetto dell’impurità è lo scandalo che ne deriva. « La terra è macchiata dalla lussuria, è infetta dalla prostituzione » (Psalm. CV, 37). Il voluttuoso è macchiato e macchia gli altri, egli manda un fetore di morte che uccide, secondo l’espressione di S. Paolo (II Cor. II, 16). L’impudicizia corrompe tutto dove essa penetra; è uno scandalo dovunque si mostri, sia nei conviti, sia nei festini, sia nei balli, sia nei teatri, sia nelle conversazioni, sia nelle veglie, sia nella solitudine, sia nei cattivi libri… Non vi è scandalo peggiore dello scandalo che dà l’impudico; egli scandalizza in tutto e dappertutto. Per lui non vi è nulla di santo, niente di sacro; non rispetta né l’innocenza, né l’età, né il sesso, né la debolezza, né le lagrime, né il tempo, né il luogo, nemmeno le cose e le persone sacre. – Ecco il quadro che degli impudichi scandalosi ci ha tracciato la Sapienza: « Essi dissero, folleggiando nei loro storti pensieri: Corto e tedioso è il tempo di nostra vita e non vi è riparo per l’uomo dopo il suo fine e non vi è, che si sappia, chi sia tornato dall’inferno. Noi siamo nati dal nulla e saremo come se non fossimo stati mai, perché il fiato delle nostre narici è un fumo; la loquela è una scintilla che viene dal movimento del nostro cuore: spenta questa, il corpo nostro sarà cenere e lo spirito si dissiperà come un’aura leggera e la nostra vita passerà come la traccia di una nuvola e si scioglierà come nebbia battuta dai raggi del sole e sciolta dal calore di esso… Su via dunque, godiamo dei beni presenti e serviamoci in fretta delle creature, finché siamo giovani. Coroniamoci di rose prima che appassiscano, non vi sia prato per cui non passeggi la nostra lussuria. Non vi sia nessuno di noi che non partecipi alla nostra lubrica vita, lasciamo per ogni dove le tracce della nostra dissolutezza, che questa è la nostra porzione e la sorte nostra… Così hanno pensato e sono caduti in errore; perché la loro malizia li ha accecati » (Sap. II, 1-10, 21). -Rapire l’onore, l’onestà, la salute, la felicità, la vita alle vittime de’ suoi sfoghi brutali è per il lussurioso un nulla, una galanteria. Ah! quanto è vera la sentenza di S. Cirillo, « che la furibonda lussuria non vede nulla perché è cieca ». 4° L’accecamento. — Queste parole di S. Cirillo non solo ci spiegano i tanti scandali che seminano i lussuriosi, ma ci svelano ancora il quarto effetto dell’impudicizia, che è l’accecamento, effetto già avvertito da S. Paolo : «L’uomo animalesco non capisce nulla di ciò che appartiene allo spirito di Dio; poiché questo egli tiene per follia e non lo può capire » (I Cor. II, 14). – Il voluttuoso ha occhi, ma non vede, ha mente, ma non comprende, perché e quelli e questa sono per l’impurità divenuti una massa di carne. Egli è come uccello che si lascia invischiare nella pania, o pesce che morde nell’amo. Esso gode quando, non vedendo l’amo, ingoia l’esca; ma quando il pescatore comincia a tirarlo, si sente prima straziare le viscere, poi cavare e gettare fuori dell’acqua che è l’elemento di sua vita; e così quel cibo ingannatore che formava poco prima la sua delizia, si è fatto causa della sua morte e della sua distruzione. Viva imagine della sorte che tocca al lussurioso!… – Non c’è vizio che tanto oscuri la ragione, quanto il nefasto vizio dell’impudicizia. Essa è la madre e la nutrice della frivolezza, dell’incostanza, della precipitazione, dell’imprudenza, dell’amore di sé, dell’odio di Dio, del desiderio sregolato della vita presente, dell’orrore della morte e del giudizio… Dove trovare accecamento simile a quello di quei giovani i quali si vituperano, corrono mille avventure, affogano in un mare di pene, vanno incontro a un’infinità di disgusti, distruggono il loro avvenire, per un momento di follia?… Accecamento prima della passione, per studiare il modo di appagarla… Accecamento nel soddisfare la passione… Accecamento dopo sbramata la passione, per stordirsi e giacere nel disonore e nel delitto… – 5° La schiavitù. — Se per sentenza infallibile di Gesù Cristo, chiunque si fa reo di un peccato, si rende per ciò schiavo del peccato (Ioann. VIII, 34), ognuno può, da quanto si è detto delle conseguenze della disonestà, rilevare in quale dura e infamante schiavitù essa trae i suoi amanti. Il prodigo del Vangelo, che ridotto alla miseria dalle dissolutezze, si fa schiavo di un padrone duro e spietato il quale lo condanna ad abitare e mangiare coi porci, è una sbiadita imagine della triste schiavitù in cui cade il disonesto. -Egli è come quel cieco giumento che gira continuamente attorno ad una macina essendo l’impudicizia la catena e la prigione dell’anima. E la sciagurata vittima della lussuria non è forse continuamente affaccendata, non corre notte e giorno, non parla, non supplica per soddisfare la sua vile e animalesca inclinazione?… Schiavo della più infame delle passioni, schiavo della creatura che egli ha sedotto o da cui fu sedotto; schiavo de suoi capricci; schiavo di quanto in lui vi è di più vile; schiavo del demonio…; non è questa la più ignobile, la più obbrobriosa, la più degradante delle schiavitù? – « O miserabile servitù, esclama S. Agostino, miserabile schiavitù, è quella della lussuria! Lo schiavo dell’uomo, stanco dei duri trattamenti del suo padrone, può talvolta sottrarsi con la fuga; ma dove può mai rifugiarsi, per ricuperare la sua libertà, lo schiavo dell’impudicizia? Dovunque vada, vi trascina se stesso » (Tract. XLI). – « La carne, dice S. Bernardo, è lo strumento, o piuttosto la fune, con cui Satana arresta e lega il disonesto» (Serm. XXXIX). Il demonio se ne fa suo zimbello, ora lo spinge, ora lo ferma, lo conduce dove a lui talenta, per le spine, i sassi, i bronchi, nei burroni, nei precipizi. Lo fa cadere e ricadere, finché il vizio diventa abitudine e l’abitudine una necessità che lo tiene tra le sue morse, come schiavo tra i ceppi, secondo l’osservazione di S. Agostino: «La consuetudine cui non si resiste, si cangia in natura ». Il lussurioso non ha più volontà propria, l’ha mancipata alla passione; e siccome senza volontà non si può fare nulla, perciò egli rimane stordito nella sua dura schiavitù i cui ceppi gli vengono ribaditi.san Luigi gonz.

San Luigi Gonzaga, santo della purezza. Ci sia di esempio e sprono!

4. – I piaceri della carne sono cosa da poco, pieni di amarezza e di molestie. — L’uomo è fatto per Iddio e nessuna creatura può appagarlo; il suo cuore è insaziabile perché è quasi immenso ne’ suoi desideri; solo Iddio, come bene immenso ed infinito, può appagarli. «Può bene, dice S. Bernardo, l’anima ragionevole occuparsi di mille oggetti, ma nessuno non può riempirla ». Se ciò è vero in quanto ad ogni sorta di beni, di piaceri, di gioie che l’uomo può ricavare dalla terra, dal mondo, dalle passioni, è più che mai evidente se si applica ai piaceri che il disonesto trae dalla carne. Che cosa resta infatti all’incontinente, dopo lo sfogo della sua passione?… Perché cerca avido nuovi godimenti?… O come è povera la voluttà! Non può nutrire né l’anima, né la mente, né il cuore e intanto stanca e uccide il corpo; scava un abisso spaventoso nell’interno dell’uomo. Ecco tutto il guadagno! – Che cosa trova l’uomo nei piaceri carnali? V’incontra la viltà e la miseria…, l’inutilità…, l’insaziabilità…, la brevità…, l’instabilità…, la falsità …, l’insensibilità…, l’infedeltà…, il disinganno…, l’incertezza…, un monte di croci. – « La voluttà è tanto poca cosa, dice Seneca, che svanisce l’istante medesimo in cui si gusta; tocca già al fine, quando è appena cominciata ». Ma pensate, dice S. Agostino, che « se momentaneo è ciò che diletta, eterno sarà quello che tormenta ». – Se per ogni peccato, come osserva S. Bernardo, il godimento passa e più non torna, ma l’affanno rimane e più non parte; tanto più questo si avvera nel peccato dell’incontinenza. Quindi nei piaceri carnali succede al voluttuoso il rovescio dei suoi desideri. Egli vorrebbe che il diletto rimanesse sempre e non mescolato di angoscia e questo non ha luogo. Vorrebbe che la melanconia e l’affanno non venissero mai a intorbidare il godimento, ed essi sono sempre alle porte del suo cuore per cacciarne il piacere non appena vi ha posto piede. Vorrebbe la soddisfazione della carne senza la punizione del peccato, e prova il castigo senza gustare il piacere. Infatti la suprema giustizia di Dio non si regola, né può regolarsi a norma dei colpevoli desideri del dissoluto. No, Dio non consulta, per punire giustamente, i voti e i disegni del lussurioso, che sono così ingiusti. Impudico, tu brami adunque piaceri eterni senza mistura di amarezza; ma sappi che non ti sarà mai dato di trovare ciò nelle tue passioni. Soffoca le tue passioni e allora avrai ucciso l’affanno; ritorna a Dio con animo ravveduto e sincero e vedrai pienamente soddisfatta la tua voglia di veri piaceri ed eterni. Questo desiderio di godere sempre dei piaceri, afferma che il tuo cuore è fatto per Iddio. Quello che nella voluttà solletica e blandisce, presto scompare; quello che è triste, amaro, vergognoso e pungente viene di galoppo e rimane. Questa è giustizia… « Osservate, dice Platone, la differenza che vi passa tra la virtù ed il vizio: all’effimera dolcezza della voluttà, succede una pena continua, dolori ed ansietà perpetue; alle corte e lievi pene della virtù succedono la pace e la felicità eterna » (Lib. de Republ). – « Me infelice! esclamava Gionata, ho appena gustato un po’ di miele, ed eccomi condannato a morte » (I Reg. XIV, 43). Non cessino mai queste parole dal risonare nelle orecchie dei disonesti e se ne facciano l’applicazione. Sì, la voluttà spreme su le labbra dell’impudico una sola stilla di miele, per poi affogarlo in un mare di fiele; mentre nella purità una leggera amarezza si perde ben tosto in un oceano di dolcezza… « Un istante di voluttà, dice S. Agostino, prepara all’anima infelice un obbrobrio ed un tormento eterno ». « È stoltissimo, dice San Cirillo, colui che si uccide col piacere e tanto più grande è la sua stoltezza quanto più irreparabile è la sua rovina ». La dolcezza del piacere carnale è la lubricità del verme che si pasce della corruzione(Iob. XXIV, 20); e ai lussuriosi si può applicare quel detto di Osea: — Comedistis frugem mendacii (Ose. X, 13). Voi avete mangiato il frutto di menzogna; perché la concupiscenza promette la felicità e non dà che tormenti; è una sirena incantatrice che attira, ammalia, addormenta, per divorare. – « La voluttà, dicono i Proverbi, distilla il miele su le labbra, ma in fondo alle viscere diventa assenzio e le strazia come spada a doppio taglio » (Prov. V, 3-4). Come queste parole piene di verità si adempiono esattamente nei disonesti! L’amarezza di quest’assenzio e la punta di questa spada, si sentono dai lussuriosi nelle loro malattie, nella perdita della fortuna, della sanità, del riposo, della tranquillità; nella confusione, nel disonore, nei rimorsi, nei litigi, nelle risse, nelle noie, nei dispiaceri, nel pianto, nella disperazione, nella morte, nella condanna, nella eterna riprovazione che li aspetta. – La dissolutezza avvelena la vita, abbrevia i giorni; è un piacere pernicioso, simile al frutto di cui Dio aveva proibito ad Adamo di mangiare, sotto pena di morte:(Gen. II, 17). La concupiscenza, il demonio, il mondo dicono, come satana al primo uomo: Vana paura; invece di morirne, se gustate di questa dolcezza, sarete felici come Dio (Ib. III, 4-5). Maledetta concupiscenza! Tu prometti al disonesto diletti e gioie, ma se questi ti dà retta, gl’ene deriva disgusto, rimorso, vergogna; sì, egli diventa simile agli dèi, ma agli dèi delle favole, dèi adulteri ed infami, dèi corrotti e bestiali, degni idoli dei lupanari. « O cielo, esclama S. Agostino, quante calamità, quanti affanni vanno insieme con i piaceri carnali! quante sollecitudini e angosce non costano in questa vita, senza contare poi l’inferno. Guardati, o lussurioso, che tu già non sii inferno a te stesso fin d’ora ». – « Vivo è il colore delle rose, dice S. Fulgenzio, ma il gambo loro è irto di spine; bella figura della libidine! Ha anch’essa il suo rossore per l’obbrobrio che fa alla verecondia, ma non si può toccare senza essere lacerati dalla spina del peccato. E come la rosa diletta, ma in breve svanisce, così la voluttà solletica un momento, poi fugge per sempre ». Ma fuggendo vi lascia, nefasta eredità! I germi di perniciosissima malattia, come scrive S. Leone; o, come dice S. Pier Damiani, vi abbandona, vittime destinate alla morte eterna, in balìa del demonio, il quale si ciberà di voi come di ghiottissima vivanda. – Nei voluttuosi si avvera quella minaccia di Dio al popolo d’Israele: « Io li ciberò di assenzio, li abbevererò di fiele; li perseguiterò con la spada finché di loro non rimanga più orma » Gerem. IX, 15-16). Sì, per i disonesti tutto si risolve in pena, tormento ed affanno. Le acque dolci dei fiumi, sboccate in mare, prendono del salmastro; ogni diletto carnale cominciato nella dolcezza termina nell’amarezza. Non vi sia chi si lusinghi, avverte il Crisostomo, di cogliere dall’albero della concupiscenza il frutto del piacere senza sentirsi lacerare e insanguinare dal rimorso e dall’angoscia; è ciò tanto impossibile, quant’è impossibile il maneggiare rovi spinosi senza sentirsene punte le mani. A buon diritto pertanto conchiude S. Cesario, che per l’impudico non vi è giorno di gioia e di festa, ma sempre roso dal rimorso e dall’affanno, si consuma di melanconia e di tristezza.

5. –Quali sono le principali cause dell’impurità? — « La lussuria, dice S. Bernardo, è il cocchio del delitto, della morte, del demonio, dell’inferno; poggia su quattro ruote, che sono l’indolenza, la vanità, la ghiottoneria, l’immodestia; è tirato da due focosi cavalli, che sono la prosperità e l’abbondanza; vi siedono poi a cassetta l’indifferenza e la falsa confidenza » (Serm. XXXIX in Cantic.). – I gradi per i quali si precipita nell’impurità, sono: 1° il lauto vivere; 2° il bere troppo; 3° gli spettacoli i quali sono pericolosissimo scoglio alla castità ed al pudore, perché i più ci vanno per vagheggiare ed essere vagheggiati; 4° i canti osceni, i libri cattivi, le pitture disoneste; 5° i regali offerti ed accettati; 6° l’amore eccessivo del riposo; 7° la compagnia dei dissoluti; 8° i geniali convegni con persone di diverso sesso. – Pensate alla caduta di Sansone, di Davide, di Salomone e riconoscendo quanto voi siate lungi dalla fortezza del primo, dalla santità del secondo, dalla sapienza del terzo, temete e tremate. Pensate se potrete tenervi saldi in mezzo ai pericoli, voi deboli canne, voi fragili vetri, mentre caddero di quelli che erano cedri robusti, saldi macigni. L’impurità è fuoco, non forniamogli alimento.

6.In quanti modi si cade nel vizio della disonestà. — Cinque strade mettono al baratro della disonestà: i pensieri, i desideri, le parole, gli sguardi, le azioni. 1° I pensieri; perché i pensieri disonesti allontanano da Dio (Sap. I, 3) al quale sono in abbominio (Prov. XV, 26). Infatti, come dice S. Cesar o d’Arles, si sprigiona da essi un tale fetore che al suo paragone la puzza della più fetida cloaca è un nulla. Dove è il vostro pensiero, scrive S. Bernardo, vi è il vostro affetto: se esso si porta a cose brutte, lo Spirito Santo si allontana da voi e il tempio di Dio diventa il castello del demonio, perché Satana s’impadronisce di ciò che Dio abbandona. Perciò, quando si affaccia alla vostra mente un pensiero cattivo, scacciatelo subito, non acconsentitegli, non lasciatelo entrare nel vostro cuore. Respingetelo subito e vi lascerà più facilmente. Un pensiero disonesto genera il piacere; il piacere muove al consenso; il consenso porta all’azione; l’azione diventa abitudine; l’abitudine si cambia in necessità; la necessità porta con sé la morte. Ecco a quale precipizio conduce un pensiero cattivo! – I pensieri cattivi sono scintille le quali se non sono spente su l’istante, accendono il fuoco della concupiscenza che cova nella cenere de la carne e suscita un vasto incendio. Quindi ogni ragione vuole che loro non si dia tregua, ma si combattano e scaccino inesorabilmente, da qualunque parte vengano, sia dalle creature, sia dalla nostra propria concupiscenza. 2° Si cade nell’impurità con i desideri. È chiarissima la sentenza di Gesù Cristo: « Chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso in cuor suo adulterio con essa » (Matth. V, 28). Perciò S. Paolo inculca ai Romani, che non accarezzino la carne nei corrotti suoi desideri (Rom. XIII, 14). – 3° Si va all’impurità per mezzo delle parole. « La bocca dà di quello di cui abbonda il cuore », dice Gesù Cristo (Matth. XII, 34). Un parlare osceno è dunque segno ed effetto di un cuore impuro. Ciò nondimeno, quante persone non si fanno leciti discorsi disonesti! È per burla, si risponde; ma badate che col peccato non si burla; la violazione della legge di Dio, lo scandalo del prossimo non sono cose da burla. -Date ascolto all’avviso di S. Cesario: « Innanzi tutto, in qualunque luogo vi troviate, non vi escano mai di bocca parole disoneste o turpi ». E di quello che sa di lussuria, non se ne faccia nemmeno parola, come conviene a cristiani (Eph. V, 3). 4° Si cade nell’impurità con gli sguardi. Leggiamo nell’Ecclesiastico, che la persona si conosce negli occhi (Eteli, XIX, 26), e vi sono tali occhi, dice S. Pietro, che riboccano d adulterio e di malizia(II, II, 14). Quindi S. Agostino scriveva: « Nessuno dica che ha l’anima pura, se ha gli occhi impudichi: l’occhio lussurioso è il segnale di un’anima disonesta, di un cuore impuro ». Grandissima è la forza degli occhi per ferire mortalmente l’anima e il cuore. L’oggetto veduto e tanto più se considerato, passa dalla pupilla nell’interno dell’uomo, vi stampa la sua imagine la quale vi resta impressa e come scolpita, anche dopo che l’oggetto non è più presente e questo non può avvenire senza che se ne generi o l’amore o l’odio nello spirito e nel cuore… Ah! lo sguardo è saetta infuocata che penetra nelle midolle del cuore e le consuma. Davide cadde nell’adulterio e nell’omicidio, perché non fu vigilante a contenere la vista. Gli occhi sono le guide e le scorte di Cupido ossia dell’amore impuro: è impossibile che freni la passione chi non frena gli occhi; Il fuoco brucia da vicino, gli occhi bruciano da vicino e da lontano. « È cosa certa, dice S. Bernardo, che quando gli occhi si sono fermati con compiacenza sopra un oggetto disonesto, l’anima resta subito macchiata d’impurità, poiché lo sguardo è il precursore, la guida dell’impudicizia, come le mani e il tatto ne sono i ministri. Bisogna guardarsi dalle occhiate immodeste, come dal morso di una vipera ». -« La morte, dice Geremia, salì per le nostre finestre e introdottasi in casa nostra, mena strage dei ragazzi e dei giovani » (IX, 21). Le finestre della nostra casa sono, gli occhi e per essi entra la disonestà nell’anima. Come non servono a nulla i bastioni e le torri se restano aperte all’entrata del nemico le porte della cittadella, così tutti i ripari, tutti i mezzi di difesa che ci fornisce la grazia a nulla valgono, se teniamo aperte le porte dei sensi a ricevere nell’anima i pensieri e i desideri della carne. Severissima pertanto ha da essere la chiusura e vigilantissima la guardia da farsi ai sensi e principalmente agli occhi, giacché per mezzo loro entra nell’anima o la vita o la morte. Chi condusse i due infami vecchioni a desideri nefandi verso la casta Susanna? i loro occhi (Dan. XIII, 8). Il consenso al peccato tien sempre dietro allo sguardo volontario… O Dio! quanti dannati nell’inferno per occhiate impure! – Seneca medesimo cosi esclama: « O quanto spaziosa e facile strada è aperta alle passioni per mezzo degli occhi e quanto meglio sarebbe che fossero strappati, anziché lasciare che vedano cose le quali corrompono il cuore! Gli occhi mostrano a questo l’adulterio, a quello l’incesto, a un terzo il potere; ed è fuori di dubbio che gli occhi sono gli strumenti attivi del vizio, i precursori dei misfatti » (Lib. de Remed. fortuit.). -5° Si va alla lussuria per mezzo delle azioni disoneste, sia sul proprio corpo, sia su la persona altrui; e in tutte queste varie maniere d’impurità vi è peccato mortale, quando vi si trova la volontà ed il consenso deliberato.

7.Quanto sia difficile uscire dall’impurità. — È cosa facilissima il cedere alle seduzioni della voluttà, perché questa passione si accende più facilmente che la paglia al fuoco; ma quanto difficile riesce il liberarsene e spegnere gli ardori di tale incendio! Come dura e laboriosa impresa è quella di correggersi e uscire da tale cloaca, per chi vi è affogato con frequenti cadute e con lunga abitudine! E infatti, chi li aiuterà a togliersi da tale pantano? Forse Dio? Sì, Dio è pronto ad aiutarli e a sé li invita con le chiamate del divino Spirito, ma essendo la vita loro tutta di carne, sono divenuti carne e l’uomo carnale, ossia animalesco, poco intende la voce dello spirito (Rom. VIII, 5)(I Cor. II, 19). « In essi non è più traccia, dice S. Giacomo, della sapienza che viene dall’alto, non vi rimane che la terrena, l’animalesca, la diabolica » (Iacob. III, 15). Ora, si può sperare che una tale sapienza si pieghi a darsi vinta ai puri e dolci influssi della sapienza divina? – Forse la vergogna naturale, il ribrezzo che certe nefandezze provocano negli animi onesti? Nemmeno questo; perché abbandonati da Dio al furore delle loro malnate cupidigie, lasciati in balìa al reprobo senso, si spogliano di ogni rossore, non distinguono più la sconcezza della lussuria dalla bellezza dell’onestà : sono, come li chiama S. Giuda, uomini di vita animale, privi di senno (Iud. 19). -Si lasceranno almeno commuovere e guadagnare alla grazia? Non possono, risponde S. Bernardo; « perché, come chi ha gustato le dolcezze della grazia, trova insipidi tutti i piaceri della carne, così chi trova appettosi i piaceri del corpo, non sente più nessun gusto nelle dolcezze, nelle attrattive della grazia ». – Sarà il terrore dei divini giudizi che rimetterà in senno i lussuriosi e li spingerà a togliersi dal fango? Non ci credete, dice S. Agostino, perchè l’incontinenza distoglie dal pensiero dei novissimi. – Non hanno maggiore forza su l’animo degli impudichi gli avvertimenti, i consigli, le ammonizioni; nessuna di queste cose, per testimonianza del Crisostomo, non può scuotere e salvare dal naufragio l’anima che affoga nella lussuria. Anzi, come osserva S. Cirillo, « il libidinoso invece di accogliere di buon grado gli ammonimenti, con cui si cerca di strapparlo alla vergognosa sua condizione, li prende in mala parte ». Egli diventa un impasto di caparbietà’, di orgoglio, di accecamento, di stupidezza, cosicché invano intorno a lui si adopera e Dio e l’uomo. – « Colti in questa diabolica rete di satana, oh! quanto è difficile e raro esclama S. Gerolamo, che ne usciamo! ». Perciò, dice S. Tommaso, il demonio si rallegra quando riesce a prendere un’anima nella lussuria, perché è cosa vischiosissima e difficilmente si riesce a liberarsene. Questo vizio è come una palude fangosa in cui, se si estrae un piede, si affonda l’altro. – Questo spiega perché Clemente d’Alessandria chiami l’impurità « male incurabile »; Tertulliano, vizio immutabile » e S. Cipriano «madre dell’impenitenza ». S. Dionigi di Chartres afferma che non si trova tra i voluttuosi abituati, chi abbia dolore del suo peccato perciò quasi tutti gli impudichi si dannano (In Vita). « E’ quasi impossibile, scrive Pietro di Blois, che uno riesca a trionfare della carne, quando la carne ha già di lui trionfato ». Infatti, osserva S. Agostino, « con lo sfogare la libidine, se ne contrae l’abitudine la quale, a lungo andare, diventa necessità. La caduta è una catena, la ricaduta e l’abitudine gettano in prigione, l’abitudine poi, diventa necessità, mura la porta di questa medesima prigione ». – Purtroppo la quotidiana esperienza di tanta gioventù che si abbandona al vizio e non si ravvede nemmeno tra il gelo della vecchiaia, è mallevatrice della verità delle sopraddette sentenze!

8.-Castighi e dannazione dell’impudico. — Bastano a darci un’idea dei castighi che porta con sé l’impurità i mali e le disgrazie che piombano come la folgore e la tempesta in capo all’impudico; e quella vita di nefandezza, di avvilimento di degradazione, d’illusione, d’inganno, di agitazione, di accecamento, di schiavitù, di rimorso, di affanno in cui lo vediamo trascinare i suoi giorni. E poi non è forse il più terribile dei castighi il fatto che Dio li abbandona ai corrotti appetiti della carne, al reprobo loro senso? « Deh! non v’illudete, esclama S. Paolo, Dio non si beffa. L’uomo raccoglierà quello che ha seminato: chi semina nella carne, raccoglierà dalla carne, corruzione; chi semina nello spirito, raccoglierà dallo spirito, vita eterna» (Gal. VI, 7-8). Ed agli Ebrei ricorda, che Dio farà giudizio dei fornicatori e degli adulteri (Hebr. XIII, A). La stessa cosa predica anche Pietro la ove dice che Dio sa riservare al giorno del giudizio quelli che devono essere castigati e tra questi sono in prima fila coloro che si danno ai piaceri sensuali (II Petr. II, 9-10).- « Iddio, scrive S. Agostino, fa servire gli stessi peccati ai disegni della sua giustizia, per modo che quello che è stato strumento di piacere in mano al peccatore, diviene strumento di castigo in mano a Dio vendicatore ». Il disonesto è dal Crisostomo paragonato all’indemoniato che non è padrone di se stesso (Hom. XXIX in Matth.). « Chi fa lega con persone di mala vita, diverrà sfacciato, dice l’Ecclesiastico: avrà in retaggio la putredine e i vermi; sarà proposto ad esempio di terrore e di spavento e cancellato dal numero dei viventi » (Eccli. XIX, 3). Il più spaventoso castigo che abbia veduto il mondo, è certamente il diluvio; ora chi l’ha attirato su la terra? L’impurità del genere umano; ogni carne si era corrotta e Dio, per purgare il mondo, lo affogò in un diluvio d’acqua. Chi fece piovere su Sodoma e Gomorra fuoco e zolfo? l’impudicizia… Chi atterrò i grandi imperi? la dissolutezza… Donde sbucano la maggior parte delle eresie che scompigliano la Chiesa di Dio? Dal vizio impuro. Percosso da disgrazie e da castighi nei giorni della sua vita il lascivo incontra una morte orrenda e spaventosa…; terribile sarà il suo giudizio…; l’inferno sarà la sua dimora eterna… Ah sì! l’impurità è un fuoco che si converte in fiamme eterne e termina nel fuoco dell’inferno. « I disonesti, scrive il cardinale Gaetano, portano già in questo mondo dentro se stessi l’inferno e termineranno coll’andare ad alimentare il fuoco dell’inferno. L’inferno sarebbe vuoto, cesserebbe, per così dire, la sua fiamma, quando l’impurità degli uomini cessasse dal fornirle alimento. La voluttà si cambierà in pece che nutrirà un fuoco cocentissimo nelle viscere dei lascivi per tutti i secoli. Oh che infelicità, che sventura prepara mai a se stesso l’impudico, nel tempo e nell’eternità!»

9.- Rimedi contro l’impurità. — « La voluttà è simile al cane, osserva S. Giovanni Crisostomo; se lo cacciate, si allontana; se lo carezzate, più non vi lascia ». Bisogna dunque scacciare e fuggire questa sirena incantatrice che è l’impurità, come già ne avvisava i giovani Seneca medesimo (Ap. Laert. lib. II). Altro rimedio ci suggerisce S. Basilio, ed è che si castighi il corpo e si tenga custodito e domato come animale furioso, malmenando con penitenze e rigori questo nostro vestimento di carne e di sozzura, come lo chiama l’apostolo S. Giuda (Iud. 23). Poiché la mortificazione del corpo, dice S. Basilio, forma la sanità e il vigore dell’anima. Siccome questa passione invita con le lusinghe, attrae col solletico della felicità e del piacere, si impadronisce per uccidere e rovina quanto trova nell’uomo, è necessità non mai porgerle orecchio, non prestarle fede, non affidarsele, ma diffidarne, temerla, studiosamente e prontamente fuggirla. « Chi vuole praticare le virtù, scrive S. Gregorio, e non impedirne il crescere, deve spegnere in se stesso il fuoco impuro in modo tale che a forza di vigilanza non se ne lasci mai toccare neppure leggermente » (Moral.). Il rimedio che ci premunisce contro le fiamme del fuoco impuro, sta nell’averne un grande orrore; nel non accostarvisi; nel fuggirne più lontano che si può; e questo si ottiene con la vigilanza e con la preghiera, dicendo Gesù: «Vigilate e pregate, acciocché non v’incolga tentazione; perché anche dove lo spirito è pronto, la carne è debole » Matth. XXVI, 41). Mezzi validissimi a vincere la voluttà sono: considerare la brevità del piacere e la lunghezza dei patimenti che vengono dopo; conviversi che la lussuria è il più pericoloso e mortale nemico dell’uomo e la causa principale di tutte le sue sciagure; meditare attentamente sulla differenza immensa che passa tra le ricchezze, le consolazioni, le soavità della grazia, della continenza e la miseria, l’amarezza, l’angoscia, gli strazi dell’impurità, dell’incontinenza. L’umiltà è buon talismano contro gli incantesimi della lussuria: dove non vi è umiltà, rarissimamente vi è castità. Adamo per orgoglio si ribella a Dio, ed ecco tosto ribellarsi a lui la carne; si vede nudo, arrossisce ed è costretto a nascondersi… Bisogna che si sottometta a Dio, che a lui obbedisca chi vuole avere la carne soggetta e obbediente allo spirito… Per respingere gli assalti della voluttà, è pure ottima difesa il lavoro. « La libidine resta fiaccata e spenta dalle fatiche corporali », scrive S. Isidoro; quindi quell’aureo avviso di S. Gerolamo: « Bada che il demonio ti trovi sempre occupato al lavoro »; non dimenticare però di unire al lavoro la preghiera la quale è, come dice S. Gregorio, « la guardia del pudore ». Finalmente il digiuno, i sacramenti, il pensiero della presenza di Dio, la divozione alla Vergine Maria, la considerazione dei novissimi sono tali mezzi che vincono sicuramente e prostrano il vizio dell’impurità.

 

 

La strana sindrome di nonno Basilio -16-

nonno

Caro direttore, sono ancora qui a scriverle, visto che lei ha la bontà di ascoltarmi e non cestina le mie missive che riconosco essere un po’ fuori dal “coro” del cosiddetto “politicamente corretto”, anche se in verità la mia è solo una richiesta di aiuto. Sono qui a raccontare nuovamente del colloquio che intrattengo (lei mi dirà che sono un fortunato in questi tempi in cui da padrone la fanno i video-games) con i miei cari nipoti Mimmo e Caterina, e spesso pure con i loro amici. Infatti gli ultimi avvenimenti, a cui ho fatto riferimento negli ultimi mesi, come lei certamente ricorderà, ha suscitato un ulteriore “scontro-dialogo”, specie da quando nella vita di mio nipote Mimmo è entrata la sua nuova fiamma, Martina, dichiaratamente protestante, anche se onestamente non saprei riferirle con certezza a quale delle 16.000 sette ella aderisca. Quello che mi ha sorpreso, e continua ogni giorno ad allibirmi ed a darmi un dolore profondo, in verità, è che mia nipote Caterina asserisca che tante idee, per me assolutamente strane (è un eufemismo evidentemente!) ed in contrasto anche ferocemente con la fede cattolica di sempre, abbiano invaso l’immaginario dottrinale di preti farneticanti e di fedeli che continuano a proclamarsi cattolici, senza nemmeno lontanamente sapere o anche semplicemente immaginare più cosa ciò comporti in materia di fede, morale, teologia, devozioni, partecipazione ai Sacri Riti, e via discorrendo! Se veramente fosse così, caro direttore, ci sarebbe da mettersi le mani nei capelli per la desolazione dottrinale, morale, sociale e per gli abomini liturgici perpetrati a danno delle anime di tanti poveracci che si credono fedeli cattolici, anche ferventi, ma che in realtà, invece di dare culto a Dio e a Cristo, Lo disprezzano e Lo ridicolizzano sempre di più, mettendo al centro del mondo i bisogni meramente materiali dell’uomo, ed osannando (Dio non voglia!), al “dio dell’universo”, cioè il baphomet massonico, quello dei Rosa+croce, dei templari corrotti e del “cavaliere kadosch”, incorrendo inconsapevolmente nell’ira di un Dio offeso e deriso continuamente. Ma certamente io credo che, oltre al mattacchione Mimmo, questa volta anche Caterina abbia compreso male o non correttamente ciò che ascolta o legge, per quanto sia una ragazza assennata, prudente, e con buone conoscenze di base,… ma si sa, tutti possiamo sbagliare, in particolare i giovani con la loro inesperienza … bisogna comprenderli e correggerli con amore, non tutti hanno la fortuna di avere uno zio Tommaso! Ed ecco anche perché ricordo sempre ai miei nipoti di recitare, anche mentalmente, il “breve di Sant’Antonio”, e di portarne addosso una copia scritta! Come lei certamente saprà, secondo la tradizione popolare, questa preghiera, nota anche come “motto di sant’Antonio”, sarebbe stata consegnata dal Santo ad una donna per vincere le tentazioni del diavolo. Il Papa francescano Sisto V, nel sec. XVI, la fece addirittura incidere alla base dell’obelisco da lui fatto erigere a Roma, al centro di Piazza san Pietro. La ricordo a lei ed ai suoi lettori, anche perché permette di lucrare 100 giorni di indulgenza per le anime del purgatorio ogni volta, secondo quanto decretato da Papa Leone XIII il 21 maggio del 1892! Eccola! “Ecce Crucem Domini! Fugite partes adversae! Vicit Leo de tribu Juda, Radix David! Alleluia!”(Ecco la Croce del Signore! Fuggite forze nemiche! Ha vinto il Leone di Giuda, La radice di Davide! Alleluia!).Fin da piccoli raccontavo ai miei nipoti, allora anime innocenti, non ancora contaminati dai veleni modernisti e progressisti, l’aneddoto che si ritiene all’origine della preghiera, ed essi mi guardavano sgranando gli occhi pieni di meraviglia. La racconto pure a lei, chissà che qualche altro bimbo innocente non sgrani anche lui gli occhi meravigliati!? Durante il Regno di re Denis del Portogallo, una donna era molto tentata dal diavolo di gettarsi nel fiume Tago. Un giorno ella era sul punto di cedere alla tentazione … ma sulla sua strada capitò una Chiesa francescana, ella vi entrò invocando l’aiuto di Sant’Antonio di Padova. Spossata dalla fatica e desolata si addormentò … fu così che Sant’Antonio le apparve in sogno per dissuaderla dal suo proposito, e nello stesso tempo le diede un pezzo di pergamena, che lei avrebbe dovuto portare sempre con lei! Al risveglio la donna ritrova effettivamente il prezioso dono appeso al suo collo con sopra scritte le parole conosciute appunto come benedizione di Sant’ Antonio. Ella avverte subito l’efficacia di questa benedizione … la tentazione infatti sparisce completamente. Anche il re, all’udir parlare di questo avvenimento e del meraviglioso documento, vuole vederlo ed ordina perciò che gli venga portato. I suoi ordini vengono naturalmente eseguiti, ma non appena la donna viene espropriata del suo “tesoro”, eccola nuovamente assalita dal suo nemico. Le viene ridata allora una copia, e di nuovo la tentazione cessa senza mai più ripresentarsi. La benedizione è stata utilizzata in seguito in tutto il mondo con risultati meravigliosi. Ma torniamo a noi! Le devo dire, con piacere, caro direttore, che ultimamente Mimmo, sente finalmente l’esigenza di istruirsi nella religione cattolica, che dovrebbe essere un obbligo per ogni buon cattolico, come ad esempio, tanto per citarne uno, ricorda Clemente XII nell’enciclica “In Dominico Agro” – 14 giugno 1761 (ed al proposito, lei certamente saprà che lo studio del Catechismo di San Pio X, effettuato almeno per mezz’ora due volte al mese, comporta l’acquisto delle sante Indulgenze!!), e con lui siamo pertanto ritornati sull’importanza della “Bibbia greca”, argomento fugacemente trattato con Martina, e segnalato in una mia precedente missiva. Io non sono certamente un competente però, nonostante la mia memoria malandata, che stranamente risorge in queste circostanze (… stranezze mentali, diceva il neuropsichiatra che un tempo frequentavo!), mi sovviene l’insegnamento dello zio Tommaso che, nelle sue frequenti riunioni familiari, dopo aver gustato un po’ dei deliziosi biscottini della nonna Margherita (anch’egli faceva qualche peccatuccio di gola ogni tanto … ma i biscotti della nonna meritavano, una tentazione …), ci delucidava l’argomento cosi: “Un documento scritto dall’ebreo alessandrino Aristeo al fratello Filocrate riferisce che il capo della Biblioteca di Alessandria, Demetrio, persuase il re ellenistico d’Egitto, Tolomeo II il Filadelfo, a promuovere la traduzione di libri dell’Antico Testamento in greco, e da ciò nacque la versione detta “dei Settanta”, poiché tale era il numero degli anziani di Israele convocati ad Alessandria dal re per compiere la traduzione, la quale venne poi pubblicamente letta alla popolazione giudaica perché la approvasse. Il testo sacro aveva (ed ha!) una funzione assai importante: quella di contenere la Verità rivelata da Dio con potenza salvifica, è cioè la parola di Dio che crea, redime, salva. Gli Ebrei, con voce unanime, acclamarono con entusiasmo la nuova versione. Fra le generali acclamazioni venne pronunciato un solenne “anatema eterno” contro chiunque osasse minimamente alterarla e, a maggior ragione, contro chi cercasse di far ritorno alla precedente versione, proprio ciò che il Sinedrio talmudista apostata e materialista fece dopo aver respinto il Salvatore. Un’altra fonte giudaica, il Frammento di Aristobulo, del secondo secolo avanti Cristo, conferma che tale origine della versione greca dell’Antico Testamento era comunemente nota. Questo nasceva dal bisogno, nell’attesa ritenuta prossima del Messia, di rendere accessibile a tutti le Sacre Scritture che ne profetizzavano l’avvento. La salvezza veniva dagli Ebrei, ma tutti gli uomini vi erano chiamati. Le due versioni bibliche, quella ebraica e quella greca, sono divinamente ispirate, la differenza è che quella greca è più prossima al tempo del Messia ed è assai più esplicita riguardo ai maggiori articoli di fede. S. Agostino nel “De Doctrina Cristiana” sostiene la maggiore autorità della versione greca dei Settanta, e giudica che in ogni caso di divergenza, fra il testo ebraico e quello greco dei Settanta, si debba preferire quello greco. Questa versione consente una versione trinitaria, rivelando che la Salvezza non è un concetto generico, ma una Persona. Delle presunte inesattezze della versione greca non resta evidentemente nulla, ogni inesattezza o divergenza non è che una precisazione ed un approfondimento della Rivelazione, frutto di ispirazione divina nell’imminenza del compiersi della promessa. Tale è l’opinione dei Padri della Chiesa; il mito delle “inesattezze” di traduzione nasce da quella volontà, ancora attuale, del Sinedrio ebraico che aveva respinto e fatto crocifiggere il Redentore, di far dimenticare il testo assai più esplicito dei Settanta, per tornare al vago dell’attesa messianica di molti secoli prima. In pratica, la Chiesa potrebbe tranquillamente abbandonare il testo ebraico, se non per motivi puramente antiquari, ed oltretutto il testo punteggiato masoretico risale addirittura a parecchi secoli dopo Cristo, quando gli ebrei in diaspora, in particolare i discendenti dei Kazari convertiti, gli attuali askenaziti, aspiranti governanti e dominatori del “nuovo ordine” mondiale (questa era una specie di mantra dello zio Pierre … naturalmente!), non conoscevano più la pronunzia esatta del testo e avevano quindi bisogno dei segni vocalici … (sembra quasi una scrittura sulla quale cadono fiocchi di neve …). Così il Concilio di Trento approvò come divinamente rivelata la Bibbia dei Settanta, quella appunto rifiutata e “sforbiciata” da Lutero, che fece delle traduzioni personali inserendo tutto quello che gli aggradava e che sosteneva le sue peregrine argomentazioni. Oggi si fanno ancora traduzioni e versioni “ecumeniche”, con testi formalmente eretici partoriti dalle stramberie ideologiche anche di certe “Eminenze” pseudo ed autoreferenziali intellettualoidi!! Diffida sempre, Mimmo, diffida, perché non ci vuole molto a contraffare la Sacra Rivelazione e ad interpretarla secondo il genio protestante e modernista, (vedi ad esempio il contenuto delle encicliche: “Inter praecipuas” dell’8 maggio 1844 – sulla condanna delle “Società Bibliche” – di Gregorio XVI, oppure “Providentissimus Deus” del 18 nov. 1893 di Leone XIII, o ancora Divino Afflante Spiritu –del 30 settembre 1943 di Pio XII) e così come sottolineato più volte anche da tutti i recenti “veri” Pontefici (leggi: Pio IX, Leone XIII, S. Pio X, Benedetto XV, Pio XI e Pio XII!), soprattutto quando i fedeli vengono colpevolmente tenuti nell’ignoranza per poterli meglio ingannare”! Poi, dopo una breve pausa per sorseggiare un po’ d’acqua, tra una compressa e l’altra che la mia Genoveffa si premura di farmi trangugiare, riprendo: “Un altro aspetto che ti potrebbe interessare, caro Mimmo, visto che ti atteggi a filosofare specie nelle discussioni politiche con i tuoi compagni, è come il protestantesimo abbia giustificato il naturalismo con le sue conseguenze più drammatiche”.“Ma nonno, risponde subito Mimmo, evidentemente già opportunamente “imbeccato”, mi sembra strano e paradossale tacciare il protestantesimo di naturalismo. Non c’è nulla in Lutero di questa esaltazione della bontà intrinseca della natura, giacché, secondo lui, la natura è irrimediabilmente decaduta e la concupiscenza invincibile”.“È vero, replico io, tuttavia, lo sguardo eccessivamente nichilista che il protestante appunta su se stesso approda ad un naturalismo pratico: a forza di sminuire la natura e di esaltare la forza della sola fede, si relegano la grazia divina e l’ordine sovrannaturale nella sfera delle astrazioni. Per i protestanti la grazia non opera un autentico rinnovamento interiore: il Battesimo non è la restituzione di uno stato sovrannaturale abituale, è soltanto un atto di fede in Gesù Cristo che giustifica e salva. La natura non viene restaurata dalla grazia, rimane intrinsecamente corrotta, e la fede ottiene da Dio soltanto che Egli getti sui nostri peccati il pudico mantello di Noè. Quindi, la forma sovrannaturale che il Battesimo aveva aggiunto alla natura radicandosi su di essa, tutte le virtù infuse ed i doni dello Spirito Santo sono ridotti a niente, ricondotti come sono a quest’unico atto disperato di fede-fiducia in un Redentore che fa grazia solo per ritrarsi lungi dalla sua creatura, mantenendo sempre un tale colossale abisso tra l’uomo definitivamente miserabile e il Dio trascendente, tre volte Santo (Kadosh, Kadosh, Kadosh, ripeteva lo zio Tommaso citando Isaia … Sanctus, Sanctus, Sanctus, Dominus Deus Sabbaoth … mi sembra risentirne la voce!) Questo pseudosupernaturalismo, come lo chiama padre Garrigou-Lagrange, attento filosofo e sagace teologo tomista, abbandona infine l’uomo, pur redento, alla sola forza della sue potenzialità naturali, e sprofonda fatalmente nel naturalismo; dopotutto gli estremi opposti coincidono! Jacques Maritain, esprime bene l’esito naturalista del luteranesimo avendolo ben vissuto: «La natura umana non potrà che rifiutare come un vano orpello teologico il manto di una grazia che nulla è per lei, e ricondurre su di sé la sua fede-fiducia, per divenire quella graziosa bestia affrancata il cui infallibile, continuo progresso incanta oggi l’universo». E questo naturalismo si applicherà in modo particolare all’ordine civile e sociale: ridotta la grazia ad un sentimento di fede fiduciaria, la Redenzione non consiste più che in una religiosità individuale e privata, senza presa sulla vita pubblica. L’ordine pubblico, economico e politico, è dunque condannato a vivere e a svilupparsi al di fuori di Nostro Signore Gesù Cristo. Al limite, il protestante cercherà nella sua riuscita economica il criterio della sua giustificazione agli occhi di Dio; è in tal senso che scriverà volentieri sulla porta della sua casa questa frase del Vecchio Testamento: «Rendi onore a Dio dei tuoi beni, dagli primizie di tutti i tuoi raccolti, e allora i tuoi granai saranno abbondantemente colmi e i tuoi tini traboccheranno di vino» (Prov. III, 9 e seg.). Jacques Maritain, un filosofo bergsoniano, che come tale, (e ci diceva lo zio Pierre … fingendosi a tratto tomista, ma contraddicendo spesso, da scaltro marrano-modernista, la dogmatica magisteriale ed il retto pensiero scolastico medioevale, senza mai negarlo espressamente), affondava la sua metafisica nella melma gnostica, in un emanatistico “umanesimo integrale”, (fonte di elucubrazioni moderniste e progressiste, alla quale si sono abbeverati prelati intellettuali acattolici e marrani finti-cattolici, quelli della “quinta colonna” che hanno cercato di minare tutto l’assetto della Chiesa), egli stesso finto cattolico convertito, marrano figlio di una ebreo-russa di origine kazara (la tredicesima tribù d’Israele,  … ci raccontava sempre il solito zio Pierre), che ben conosceva il protestantesimo per essere nato appunto in una famiglia mezzo-protestante, ed esponente poi di punta della nuovelle theologie [la “vecchia teologia di lucifero, come la definiva sempre il caro zio Pierre], scrive sul materialismo del protestantesimo, che darà poi vita al liberalismo economico ed al capitalismo (ne: “I tre riformatori”): «… dietro gli appelli di Lutero all’Agnello che salva, dietro i suoi slanci di fiducia e la sua fede nel perdono dei peccati, c’è una creatura umana che alza la testa e fa molto bene i suoi affari nel fango in cui è piombata per la colpa di Adamo! Si districherà nel mondo, seguirà la volontà di potenza, l’istinto imperialista, la legge di questo mondo che è il suo mondo. Dio non sarà che un alleato, un potente». Il risultato del protestantesimo sarà che gli uomini si attaccheranno di più ai beni di questo mondo e dimenticheranno i beni eterni. E se un certo puritanesimo eserciterà una sorveglianza esteriore sulla moralità pubblica, esso non impregnerà i cuori dello spirito autenticamente cristiano che è uno spirito sovrannaturale, che si chiama “primato dello spirituale”. Il protestantesimo sarà necessariamente condotto a proclamare l’emancipazione del temporale nei confronti dello spirituale. Ebbene, è proprio questa emancipazione che si ritroverà nel liberalismo, la cui perversa radice è proprio anticattolica”. “E qui c’è pure la radice del capitalismo occidentale e del neoconservatorismo americano con le sue funeste conseguenze attuali”, – interviene pronta Caterina! – (su questo argomento però, ho bisogno di fare un po’ di ulteriore chiarezza e di acquisire altre informazioni dalla mia cara nipotina,  … ne riparleremo con più calma in altra occasione). Per il momento un ricordo … l’eco dello zio Tommaso quando, citando alcuni versetti dei salmi II e III, voleva farci stare tranquilli, ci ricordava che la potenza di Dio è superiore a tutte le empietà umane, di esse si ride e, risorgendo, ai peccatori spezza i denti:Quare fremuerunt gentes, et populi meditati sunt inania? Astiterunt reges terrae, et principes convenerunt in unum adversus Dominum, et adversus Christum ejus. Dirumpamus vincula eorum, et projiciamus a nobis jugum ipsorum. Qui habitat in caelis irridebit eos, et Dominus subsannabit eos. (Salmo II, 1-4) [Perché le genti congiurano, perché invano cospirano i popoli? Insorgono i re della terra e i principi congiurano insieme contro il Signore e contro il suo Messia: “Spezziamo le loro catene, gettiamo via i loro legami”. Se ne ride chi abita i cieli, li schernisce dall’alto il Signore], e poi: “Exsurge, Domine; salvum me fac, Deus meus. Quoniam tu percussisti omnes adversantes mihi sine causa; dentes peccatorum contrivisti. Domini est salus; et super populum tuum benedictio tua”. (Salmo III, 7-9) [Sorgi, Signore, salvami, Dio mio. Hai colpito sulla guancia i miei nemici, hai spezzato i denti ai peccatori. Del Signore è la salvezza: sul tuo popolo la tua benedizione]. Direttore, le chiedo scusa, la discussione adesso si è fatta complicata per me, oggi ho avuto una dura giornata e la devo lasciare, ma non tema … non la mollo. Alla prossima!

La strana sindrome di nonno Basilio -15-

nonno

Caro direttore, le invio questa mia nuova sempre nella speranza di un aiuto, che umanamente tarda ad arrivare, per sollevarmi dagli interrogativi angosciosi che da tempo mi attanagliano, come ripetutamente le ho accennato nelle mie precedenti missive. Come se non bastasse, a complicare ancor più la matassa è comparsa questa nuova “fiamma” di Mimmo, come le ho già accennato recentemente, che ha deciso di confondermi ulteriormente le idee già in alto mare per le inquietanti asserzioni e novità moderniste oramai, mi pare di capire, imperanti in quella che una volta era la Santa Chiesa Cattolica Romana, come io l’avevo sempre conosciuta fin dai tempi dell’infanzia, guidato, come spesso le ho già ricordato, dal mai abbastanza compianto zio Tommaso, sacerdote integerrimo e fedele alla santa Tradizione ecclesiastica. L’altro giorno ero in preghiera e cercavo di illustrare ai miei nipoti Mimmo e Caterina, la accorata, stupenda “Preghiera infuocata” di San Luigi Maria Grignion de Monfort che io, ogni giovedì in particolare, secondo le raccomandazioni dello zio Tommaso appunto, recito per tutti i sacerdoti, vivi e defunti, raccomandandola anche a lei, come già in altra occasione ho fatto. Nel bel mezzo della lettura, là dove il Santo riporta i passi del salmo LXVII, piomba a casa Martina, questa volta pure accompagnata da un’amica svizzera che, guardandoci con commiserazione, esordisce dicendo che è inutile affannarci in chiacchiere inutili, tanto le opere, come le elemosine, il suffragio dei defunti, o qualunque altra opera di misericordia corporale o spirituale che siano, sono inefficaci per ottenere la salvezza: è solamente la fede che salva! Mimmo è sorpreso più di tutti, non si aspettava questa visita, e non sa che dire, … e allora comincio a parlare io, tanto per rompere il ghiaccio. “Cari ragazzi, vi ricordo che nella nostra Bibbia, quella approvata dai dottori della Chiesa e dai Padri conciliari, di Trento in particolare, c’è nel Nuovo Testamento, una lettera di un certo Apostolo San Giacomo, non so se ne abbiate mai sentito parlare, che dice esattamente il contrario: “Che giova, fratelli miei, se uno dice di avere la fede ma non ha le opere? Forse che quella fede può salvarlo?” (Giac. II-14). Poi prosegue illustrando l’importanza della “fides cum operibus”. Le opere di per sé, è vero non salvano, tuttavia manifestano la fede, e soprattutto la carità, cioè l’amore. Uno può avere una fede di bronzo, ma se manca di amore, la sua fede è vana, come dice espressamente anche san Paolo. In quanto a fede, se ci pensate bene, nessuno ha una fede più forte di “farfariello” (un nomignolo che mia nonna Margherita affibbiava con disprezzo agli angeli decaduti), che sa perfettamente che Dio esiste, che Gesù è il Cristo, Dio incarnato, che la Madonna gli schiaccia la testa, tuttavia questo non gli giova a nulla. Così come a coloro che utilizzano per i loro riti abominevoli, l’Ostia consacrata: credendo in piena coscienza che si tratta del Corpo di Cristo immolato, questa fede non giova affatto, anzi è motivo di perdizione eterna”. A questo punto però passo decisamente all’attacco e continuo: “ … e poi, non vi lasciate ingannare così facilmente, basterebbe semplicemente considerare che l’iniziatore della cosiddetta “riforma”, era uno che ha abiurato a tutti i doveri da lui liberamente scelti, come il celebrare Messa e recitare il Breviario, ispirato, a suo dire, dallo Spirito Santo !?!…., omicida ed infine suicida … che infanga il voto di castità sposando (beh si fa per dire!) una monaca altrettanto apostata, lasciando quindi l’esempio della banalizzazione di voti liberamente assunti, primo passo verso la disgregazione del sacerdozio e della famiglia, esempio di incapacità nel portare a termine un impegno assunto, di uno spirito di menzogna, di irresponsabilità, così come nel caso del divorzio, dell’apostasia, del non rispetto per la vita nascente e per quella in declino, tutte ideologie nate in ambito luterano ed ormai tracimate spudoratamente, finanche nel modernismo teologico propinato da volponi e lupi randagi, sotto l’impulso delle conventicole pseudo filantropiche, spinte dai “nemici di tutti gli uomini”, molti dei quali nascosi nella “quinta colonna” infiltrata nella Chiesa (come puntualizzava sempre lo zio Pierre!) anche nei Paesi una volta cattolici. Così si è svilito il valore della libertà, oramai incapaci di assumere un impegno assoluto. Liberismo ed anarchia, forme politico-sociologiche attuali, anche se nel passato propugnate in ideologie antiche (che cambiano il pelo, ma non la sostanza del vizio), sono figlie della stessa madre: la riforma anticattolica, e come sorellastra hanno il comunismo ateo ed un comune discendente, l’indifferentismo agnostico ed ultimo, il nichilismo assoluto, fine dello gnosticismo becero di ogni tempo e latitudine, diversamente mascherato, ma che tiene celata sempre, in definitiva, la dottrina del principe della città del male”. A questo punto interviene Mimmo che, vista l’aria plumbea che si comincia a respirare, e la mia decisa presa di posizione che non lasciava spazio a “dialoghi”, svia il discorso chiedendo a Martina di presentarci la sua amica svizzera, tale Jeanne, proclamatasi calvinista! Direttore, ma tutte a me devono capitare? Solo a sentire il nome dell’eretico ginevrino, mi si sono drizzati i pochi capelli rimastimi, e con fare indifferente (ma la pressione sarà certamente schizzata ai livelli massimi, anche se non l’ho misurata subito … per non far capire i miei veri sentimenti!) ho cercato di illustrare ai miei nipoti, che di questa tragica figura sanguinaria, per fortuna, non conoscono molto, e facendo appello alle mie residue facoltà mnemoniche, che la situazione all’epoca della “riforma” andò in ulteriore “maturazione” con l’apporto di Calvino, e della sua dottrina della “doppia predestinazione”, secondo la quale per salvarsi non c’è bisogno neppure della fede, ma uno è predestinato dalla nascita, qualunque sia il suo comportamento e qualunque azione si compia. Questa fu una prima tragica conseguenza della negazione del libero arbitrio: ora se l’uomo non è libero, è facile pensare che una potenza superiore ne determini il destino, in questo modo un concetto pagano, quello di “fato”, penetra nel Cristianesimo. Da qui il via, ad esempio, a tutte le idiozie degli oroscopi forniti in ogni salsa, oggi anche informatica, come tiene ad informarmi Caterina, senza contare poi le allucinazioni millenaristiche, gli amuleti e i talismani che “dirigono” i destini. Ricordo a tal proposito quella preziosa bolla del Santo Padre Sisto V, “Coeli et terrae Creator” del 1586, in cui venivano condannate espressamente tutte le pratiche divinatorie e stregonico-esoteriche, che evidentemente già in quell’epoca si facevano spazio tra i poveri allocchi che abboccavano all’amo dell’“assassino delle anime”! “Queste pratiche, pensa un po’ nonno, – si inserisce pure Caterina – oggi vengono allegramente propinate in spettacoli televisivi e mediatici, in qualsiasi ora del giorno, agli ignari e assopiti spettatori, incapaci del benché minimo discernimento e della benché minima reazione, con tanto di “maghetti” millantatori e streghette discinte e suadenti, che divulgano poi sulla carta stampata, anche quella pretesa “seria”, le loro predizioni e profezie, e sono presi incredibilmente sul serio, nonostante non ne abbiano mai azzeccata una!” Ecco come queste brillanti idee, risultato della deviazione dalla più elementare logica razionale, sono state partorite dalla comune madre protestante, ma che a ben vedere (e non lo diceva solo lo zio Pierre) è anch’essa un tentacolo della “piovra” rosa+crociana e massonica (il cui cervello occulto è sempre quello di chi “odia Cristo, la sua Chiesa e tutti gli uomini”, di chi, creato per godere dell’eternità, si è reso schiavo del “serpentone”), non hanno risparmiato morti, stragi anche tra fazioni opposte per imporre “democraticamente” questi aneliti di libertà, così come oggi si impone la democrazia con le armi e le tecniche moderne di distruzione di massa ad inermi popoli rei di abitare terre dal sottosuolo produttivo, o dai campi ricchi di “erba” da spacciare. Ma il progresso democratico bisogna pur pagarlo, perché inevitabilmente ha dei costi, in particolare per i poveri stupidi che credono alle baggianate di una stampa ben “orientata” ed ammansiti dalle necessità delle “crisi finanziarie” opportunamente giostrate. Ma Jeanne, che comprende molto bene l’italiano, non desiste ed attacca un altro punto di controversia caro alle sette protestanti più radicali: “il culto delle immagini”. Per chiarire subito la mia posizione, comincio con il chiedere retoricamente a Mimmo, il più imbarazzato in tanto contesto, sballottato da una tempesta di umori e affetti contrastanti: “… ma secondo te chi è che odia a morte la figura umana se non il nemico dell’umanità, il “farfariello”, colui che odia a morte l’Incarnazione, l’anima umana, il corpo umano, la sua forma, il colore, tutto, chiaramente introdottosi anche nell’arte figurativa (o presunta tale … oggi direi … sfigurativa!) contemporanea, nella quale operano notoriamente seguaci di sette eretiche e sataniche che hanno avviato, sostenuti da magnati corrotti ed altrettanto impegnati in peripezie iniziatico-esoteriche, il culto dell’orrendo, il disfacimento della figura umana, banalità, oscenità ed arroganze pseudo culturali, il tutto condito da messaggi subliminali oramai sotto gli occhi di tutti, ed imposte, con grotteschi rituali in combutta con critici opportunamente ammansiti da laute prebende, ad un pubblico che fa finta di apprezzare opere ripugnanti solo per non apparire culturalmente arretrato o “scorretto”, come il bambino della nota favola del “re nudo”. Questa “schifosa” e abominevole spazzatura artistica è purtroppo finita anche nelle rappresentazioni che adornano (o dissacrano ulteriormente!) le chiese moderniste, oramai simili a mega discoteche, a palazzetti o palazzoni dello sport, a capannoni industriali, a moschee, sinagoghe e … ancor peggio, a templi massonici ornati senza ritegno, e senza uno straccio di protesta da parte di chi dovrebbe comprendere ed agire, da simboli luciferini evidenti a tutti. Da questi concetti “farfarielleggianti” si è così pure sviluppato lo gnosticismo nichilista, rivitalizzazione della ripugnante mummia dell’eresia catara, eresia basata sul dualismo manicheo in cui si considera lo spirito come principio positivo, e la materia come principio negativo e perciò da combattere; ora, poiché l’immagine è un veicolo di amore, questo veicolo d’amore tra l’uomo e Dio va distrutto, come predicato sia dalle eresie iconoclastiche bizantine, sia dal puritanesimo calvinista. E allora vi chiedo: se tu porti la foto di tua figlia, tua moglie, fidanzata (… e guardo Mimmo) in tasca, questo è un modo di riaccendere un sentimento di amore, non ti pare? E voi credete che io non sappia distinguere la foto di mia moglie dalla mia vera Genoveffa? E non è lo stesso anche tra l’Essere ineffabile e divino e la Sua icona? L’arte, la bellezza delle immagini, è stata ed è tuttora un canale prezioso ed insostituibile di evangelizzazione: distruggerla è azione diabolica: è Dio stesso che ha voluto scendere tra noi ed assumere la forma umana, una falsa e malata idea di spiritualità estrema, di “deismo ex nihilo”, vorrebbe invece cancellare il volto umano di Dio, la sua Incarnazione garanzia di redenzione, ed ecco perché l’unica vera Chiesa ha ragioni profonde per difenderle. All’inizio, è vero c’era gente ancora primitiva che avrebbe potuto adorarle, ma quando la civiltà e l’intelletto migliorarono, apparvero le prime immagini angeliche, ovviamente sotto forma umana, nel Tempio di Salomone. Certo poi c’è stata la degenerazione delle immagini pagana, greca, e quella erotico-pornografica romana, ma c’era una differenza già all’epoca tra le rappresentazioni delle catacombe e quelle delle lascive case di tolleranza pompeiane”. Mia nipote Caterina, evidentemente dotata di qualità sensoriali particolari, si accorge che la mia pressione ha abbondantemente superato i livelli di guardia, per cui interviene usando modi un po’ forzosi e cercando di licenziare rapidamente le ospiti, che però prima di andarsene lanciano una sfida: “Non è finita qui, torneremo con chi è più preparato e così, caro nonnino “saputello”, la metteremo ko!” Caro direttore, ma è possibile che ci si mettano pure gli stranieri a confondere la mia povera mente già duramente provata dalle “strane vicende”? A lei ed ai suoi lettori l’ardua sentenza! Intanto, per calmarmi inizio la recita dei tre consecutivi salmi “confitemini Domino”, il CIV, il CV, il CVI, quelli del notturno del sabato, che mi fanno meglio delle benzodiazepine! La saluto cordialmente promettendole ( … e non inorridisca per favore!) di rifarmi vivo presto!

la strana sindrome di nonno Basilio -9-

Egregio caro direttore, la ringrazio di cuore per la sua preziosa collaborazione nel tentare di risolvere le mie perplessità circa le situazioni ambientali che mi trovo ad affrontare a causa delle mie instabili condizioni mentali. Mi preme perciò renderle noti i miei progressi clinici, evidenziabili, secondo gli illustri professori che con sforzo titanico, (e con parcelle altrettanto … titaniche), cercano di curare alla meglio la mia salute, dalla comparsa di “una intensa attività onirica” e dalla “vivacità di ideazione psico-cognitiva” (non modifichi nessuna parola di questa brillantissima diagnosi … visto soprattutto quanto mi sia costata!). In pratica, mi diceva mio nipote, Lorenzo, da poco laureato in medicina, “… hai ripreso a sognare, ed hai una grande fantasia!”. Ma guardi un po’ questi giovani, sempre dissacranti ed irrispettosi del lavoro di illustri luminari! Mah, chi li capisce?! Per darle un esempio della mia “ritrovata attività onirica” le voglio raccontare, se me lo consente, il sogno veramente strano che ho fatto qualche notte orsono. Mi trovo su di una nave grandissima, robusta, elegante, praticamente inaffondabile, con sulla fiancata una scritta enorme: “Vaticanic”. Su questa nave, gestita da personaggi in talare rossa, porpora, nera, e … due bianche, e da uomini seriosi in doppio petto con una targhetta con su scritto “IOR- Goldmann-S…” (ahh … non vedo bene!), c’è una specie di altare con una statua raffigurante un uomo, una specie di “Oscar” gigante, davanti al quale si agitano religiosi pseudo-cristiani di varie fogge, pittoreschi pastori protestanti, “pope” sedicenti ortodossi, rabbini con la classica Kippah e le treccine temporo-retrorbitarie, bonzi orientali, muezzin islamici, uomini con uno strano grembiulino policromatico, operatori voodoo, qualche stregone africano, un induista che ammalia un serpente in compagnia di una vacca sacra. Ad un certo punto scoppia un violento temporale, tutti tremano, arriva il Signore Gesù che, appena sceso dalla croce, alza le braccia con gesto evangelico per sedare la tempesta … ma viene afferrato da uno squadrone di guardie svizzere, preso e … orrore!! … gettato in mare tra i flutti!! Le onde ed i venti si calmano, tutti gli imbarcati si rallegrano, si scambiano complimenti, danzano, cantano e brindano festanti in uno scoppiettare di fuochi di artificio! Io, nascosto dietro il timone tenuto da un uomo vestito di bianco che lo fa girare vorticosamente senza badare alla direzione della nave, resto smarrito, atterrito dal susseguirsi degli eventi ed … invoco l’aiuto della Vergine Santissima e La imploro dicendo: “Hanno portato via il mio Signore e non so dove Lo hanno posto”. (Joann. XX, 13). La Mamma celeste, con una schiera di angeli, arriva subito e, facendosi largo tra i festanti brilli e rubizzi, i cantori, le guardie svizzere, i grembiulini e la … vacca sacra, mi afferra per le orecchie (… non può fare altro visto che i mie capelli sono ormai ben pochi!) e mi trascina in alto. Da qui vedo che la nave oramai si sta incuneando in un corso d’acqua al cui termine c’è una altissima cascata che finisce a strapiombo in un lago infuocato gorgogliante e zampillante dal quale si alzano vapori sulfurei. La Mamma celeste mi tiene ben saldo e mi rincuora (mi sovvengono le parole del salmo CXXX: “Io sono tranquillo e sereno come bimbo svezzato in braccio a sua Madre, come un bimbo svezzato è l’anima mia”), e mi dice: “Tranquillo Basilio, coraggio, qui ci sono tre scialuppe di salvataggio che Io stessa governo con i miei Angeli in attesa che torni il Figlio mio a riprendere possesso della nave per distruggere “l’empio con il soffio della sua bocca e annientare l’iniquo all’apparire della sua venuta” (2 Tess. cap. II), e riportarla nella giusta direzione per evitarle il naufragio nello stagno ardente, dove “sarà pianto e stridor di denti”; planando dolcemente scorgo sulla superficie dell’acqua tre scialuppe, e vedo con chiarezza, senza occhialoni: nella prima scialuppa “Maestra dei popoli” scorgo nitidamente Mosè con gli antichi profeti e San Paolo, oltre agli Evangelisti, che tengono strette le Sacre Scritture, il Vecchio ed il Nuovo Testamento; accanto a loro Pio IX con il Syllabo, gli atti dei primi Concili, del Concilio di Trento e del Vaticano I, San Pio X e San Roberto Bellarmino con i Catechismi Tradizionali, i Padri della Chiesa con in testa il Santo Vescovo di Ippona, San Tommaso aquinate con la “Summa Theologica” ed i Dottori della Chiesa, sia d’Occidente che d’Oriente, tra i quali il mio omonimo S. Basilio. Nella seconda scialuppa “Liturgia sacra” si intravede nitidamente San Pio V vicino ad un altare a muro sul quale fa bella mostra di sé il “Messale Romano” ed il “Breviario romano”, il tutto rigorosamente in latino, la lingua sacra del Cattolicesimo, e vicino San Gregorio Magno con alcuni monaci intonanti una melodia gregoriana “… Adoro te devote, latens Deitas …” al cospetto di un ostensorio preziosissimo davanti al Quale sono in adorazione Santi vari, tra i quali mi pare di scorgere San Giuseppe da Copertino, San Pasquale Bylon, San Giovanni Bosco, S. Francesco di Paola e numerosi altri. Nella terza scialuppa “Sante Devozioni” sono in piena e fervorosa attività San Domenico, Santa Caterina da Siena, il Beato Alano della Rupe, San Vincenzo Ferrer, S. Alberto Magno con i Santi domenicani e carmelitani, tutti “armati” con la “fionda”, il Santo Rosario ben stretto tra le mani; più in la mi pare di scorgere un monaco, ma si … è lui, … è San Simone Stock che distribuisce scapolari del Carmelo con il profeta Elia, ed invita tutti al culto del Cuore immacolato di Maria; S. Leonardo da Porto Maurizio richiama tutti alla pratica della “Via Crucis”; Santa Margherita M. Alacoque, San Claudio de la Colombiere, Leone XIII e Pio XII ricordano la devozione del Cuore di Gesù indicando la “Grande Promessa” della perseveranza finale; in poppa alla scialuppa si erge il re Davide con il libro dei Salmi e le preghiere bibliche, soprattutto quelle che ci permettono di suffragare le anime purganti; subito più in la c’è Santa Brigida con il libricino delle orazioni annuali e dei dodici anni, orazioni che permettono di evitare il purgatorio, secondo la promessa di Gesù, ed ancora l’immancabile ed instancabile Sant’Ignazio con il testo dei suoi “esercizi spirituali”. Le tre scialuppe, guidate e protette dalla Vergine e dagli Angeli, procedono tra acque tranquille e serene, e tutti gli occupanti, anche se disturbati da orribili presenze che di tanto in tanto fuoriescono dalla superficie dell’acqua con ghigni spaventosi, prontamente ricacciati dall’Arcangelo S. Michele e da San Giuseppe che accompagnano sempre anch’essi la Vergine, vivono uno stato di beatitudine nella trepida attesa, che sembra oramai imminente, del Signore Gesù. In un angolo dominato da una bandiera con su le chiavi incrociate di S. Pietro, vedo in modo indistinto, prostrato come il Cristo nel Getsemani, un uomo “in rosso”, umiliato ed esiliato, soffrire ed offrire per la salvezza della Chiesa di Cristo la propria sofferenza vissuta nella solitudine e nel silenzio imposto con tremende minacce … francamente non riesco a capire bene, ma vedo che la colomba dello Spirito Santo lo illumina e lo incoraggia a perseverare …, perché, dice, così la “catena d’oro” della successione Apostolica di Pietro sarà conservata intatta, secondo la promessa del divino Maestro! Da lontano si odono gli schiamazzi e le grida provenienti dalla grande nave, ma come un’eco lontana che accompagna un canto sempre più lugubre … “… intona sulle alture un canto lugubre, perché il Signore ha rigettato e abbandonato la generazione che è oggetto della sua ira (Gerem.VII,29). Intanto io adesso mi sento al sicuro ed in uno stato di meravigliosa beatitudine, superato lo smarrimento iniziale con il conforto materno della Santa Vergine, e mi pare di essere in … Paradiso (di cui … me ne rendo conto ora … sono assolutamente indegno, ma d’altra parte … è solo un sogno, no?!). Chiedo alla Mamma celeste: “Mamma carissima, dove devo salire?”. Lei dolcissima mi risponde: “Scegli tu, puoi passare tranquillamente da una scialuppa all’altra, ma … ricordati che per ottenere la salvezza eterna devi fare un salto in quell’ultima barca, che vedi laggiù … aguzzo la vista e leggo sulla fiancata di questa piccola imbarcazione, che al centro porta un albero maestro a forma di croce: “sofferenza”. La visione si fa sempre più confusa, comincio a sentire le voci ambientali, ed ecco arrivare la cara Genoveffa, la mia dolce mogliettina, un po’avanti negli anni, ma ancora energica e lucida, con le mie medicine … “Basilio, sveglia … è tardi … sono le nove, com’è che stamattina hai preso sonno? Dobbiamo andare dal dottore, alla visita di controllo! Eccoti il caffè!!”. Caro direttore, sii è rotto l’incanto, e che le posso dire, queste mogli … mah, ringraziamo il Signore per la pazienza che portano e con la quale sopportano, guai se si stancassero e ci buttassero anche loro fuori … dalla barca!! Mi scusi, ma sarà l’effetto del sogno …! Per il momento la lascio con lo scritto di un Papa grandissimo, di cui avremo modo di riparlare, Pio II Piccolomini: “Fluctuat saepe numero Apostolica navis, sed non demergitur ; concutitur, sed non frangitur ; oppugnatur, sed non expugnatur. Tentari sinit Deus electos suos, vinci non sinit”. -Traduco per Mimmo, che non ha voluto studiare il latino: “La barca di Pietro spesso sta per colare a picco, ma non affonda; è sbattuta, ma non conquassata; combattuta, ma non soccombe. Dio permette che i suoi eletti siano tentati, ma non vinti”- Enea Silvio Piccolomini, S.S. Pio II. Direttore non si preoccupi, non la mollo! Saluti a lei e a tutti i suoi lettori, in particolare a quei due o tre che avranno avuto la pazienza di leggere queste righe fino in fondo!

la strana sindrome di nonno Basilio -8-

Caro direttore, le scrivo ancora una volta per metterla al corrente degli avvenimenti di casa Del Vescovo, di modo che possa darmi qualche buon consiglio o richiederlo a qualche sua illuminata conoscenza. Passo a raccontarle i fatti. Stavo meditando, come al solito il venerdì, la Via Crucis di S. Leonardo di Porto Maurizio, intervallata dal canto dello Stabat Mater di Jacopone da Todi (beh .. diciamo che il canto lasciava alquanto a desiderare, ma sono sicuro che al Signore va bene anche con qualche nota calante, qualche neuma o melisma impreciso). Giunto alla ottava stazione, meditavo sulla pietà di Gesù verso quelle donne, madri dei figli sui quali poco prima era stato invocato, presso Pilato, la ricaduta del sangue dell’Innocente fatto condannare “sine causa”… e nel contempo mi balenavano le parole di Geremia: “Una voce si ode da Rama, lamento e pianto amaro: Rachele piange i suoi figli, rifiuta d’essere consolata perché non sono più … ” (Ger.XXXI-15), parole, pure ricordate da S. Matteo nel capitolo II del suo Vangelo. Lo Stabat mi risuonava nelle orecchie “ … pro peccatis suae gentis vidit Jesum in tormentis et flagellis subditum …” Gesù nei tormenti consola i figli di Rachele, ben sapendo a cosa andassero incontro in tutta la loro storia, fino alla fine dei tempi. Ecco perché la Chiesa Cattolica (quella del Magistero infallibile ed irreformabile, come cerco di spiegare ai miei nipoti -credo oramai le siano familiari- ) invitava i fedeli a pregare per il popolo dal quale Gesù era nato nella carne, con le preci che i loro stessi profeti avevano composto. Ma ecco che il Magistero da un po’ di tempo è stranamente cambiato, come mi fa appunto notare Caterina leggendomi ancora un passo di quel documento stravagante, o sarebbe forse meglio definirlo eufemisticamente delirante, che è “Nostra Aetate” ( … a meno che, come io credo, non sia uno scherzo del solito Mimmo … buontempone e che ignora completamente tutte le sentenze, definitive ed irreformabili della Santa Chiesa Cattolica al riguardo!). Ascolti, direttore e giudichi un po’ lei: “… Tuttavia, secondo l’Apostolo, gli Ebrei, in grazia dei padri, rimangono ancora carissimi a Dio, i cui doni e la cui vocazione sono senza pentimento (Rm. 11, 28-29)”.(N.A. 4/e). “E se autorità ebraiche con i propri seguaci si sono adoperate per la morte di Cristo, tuttavia quanto è stato commesso durante la sua passione non può essere imputato né indistintamente a tutti gli Ebrei allora viventi, né agli Ebrei del nostro tempo. E se è vero che la Chiesa è il nuovo popolo di Dio, gli Ebrei tuttavia non devono essere presentati né come rigettati da Dio, né come maledetti, quasi che ciò scaturisse dalla Sacra Scrittura. Pertanto, tutti facciano attenzione nella catechesi e nella predicazione della Parola di Dio a non insegnare alcunché che non sia conforme alla verità del Vangelo e allo spirito di Cristo” (N.A. 4 g-h) (… che ipocrisia spudorata! E i Concili lateranensi III e IV, il Concilio di Basilea …, di Meaux e quelli di Toledo li dobbiamo cancellare? … e le innumerevoli bolle ed encicliche papali chiarissime al riguardo, bolle tutte irreformabili come la Chiesa ha sempre definito questi documenti?,) A questo punto comincio a sbottare, perché ecco che così i “Padri del Vaticano II” inviavano alla sbarra degli imputati, duecentosessanta Papi, da San Pietro Apostolo a San Pio X, venti Concili Ecumenici, tutti i Padri della Chiesa, con in testa S. Giovanni Crisostomo, ed una legione di Santi e Dottori della Chiesa con l’accusa – sia pure indiretta, e nel migliore stile modernista – di avere nel corso di duemila anni insegnato, o comunque lasciato insegnare, una dottrina “non conforme alla verità del Vangelo e allo spirito di Cristo”. Tutti costoro insomma avrebbero – qui come altrove e in altri campi – falsificato la verità. Qui come altrove lo Spirito Santo, contro ogni promessa divina, avrebbe abbandonato la Chiesa per quasi duemila anni, fino alla riscoperta del “vero cristianesimo” fatta dai “Padri del Vaticano II” sulla scia di Blondel, de Lubac & C. (i falsi profeti, veri lupi vestiti da agnello … ma adesso mi devo fermare, perché dice il mio cardiologo, devo stare attento alla pressione … mi perdoni!). Per far trangugiare, però, al “popolo di Dio” anche questa ennesima eresia, mio caro Mimmo e Caterina, i “P/L..adri del Vaticano II” avrebbero dovuto far sparire dalla circolazione anche un bel po’ di fastidiosi passi del Nuovo Testamento. che disturbano il nuovo idillio ecumenico catto-giudaico, modernista-talmudico e kabbalistico appena inaugurato, come ad esempio i seguenti, che vi invito a controllare scrupolosamente: Perciò io vi dico: vi sarà tolto il Regno di Dio e sarà dato a un popolo che lo farà fruttificare”.(Matteo XXI-43) Voi siete di quaggiù, io sono di lassù; voi siete di questo mondo, io non sono di questo mondo. Vi ho detto che morirete nei vostri peccati; se infatti non credete che Io Sono, morirete nei vostri peccati”. (Giov. VIII-23,24). Essi (gli Ebrei increduli) non piacciono a Dio e sono nemici di tutti gli uomini, impedendo a noi di predicare ai pagani perché possano essere salvati. In tal modo, essi colmano la misura dei loro peccati! Ma ormai l’ira è arrivata al colmo sul loro capo”.(I Tess. II-15). «… i Giudei furono pieni di gelosia e contraddicevano le affermazioni di Paolo, bestemmiando. Allora Paolo e Barnaba dichiararono con franchezza: “Era necessario che fosse annunziata a voi per primi la parola di Dio, ma poiché la respingete e non vi giudicate degni della vita eterna, ecco noi ci rivolgiamo ai pagani”».24 (Atti XIII,45-46); All’Angelo della Chiesa di Smirne scrivi: Così parla il Primo e l’Ultimo, che era morto ed è tornato alla vita: Conosco la tua tribolazione, la tua povertà – tuttavia sei ricco – e la calunnia da parte di quelli che si proclamano Giudei e non lo sono, ma appartengono alla sinagoga di satana”. (Apoc. II,8-9), per non parlare poi del Vangelo di S. Giovanni al cap.VIII-43 e segg. che invito tutti a rileggere, per farsi un’idea di come Gesù si rivolgesse ai suoi connazionali (unico esempio di asprezza verbale di Gesù in tutto il suo mite eloquio terreno), e del cap. XXIII di Matteo con le ripetute citazioni con tanto di “razze di vipere” e di “Guai a voi … ”  e dei “Guai a voi … ” del cap. XI del Vangelo di S. Luca ne vogliamo parlare?! È evidente dunque che gli Ebrei sui quali cade la condanna divina, non sono soltanto quelli che materialmente furono promotori e cooperatori della crocifissione e morte di Nostro Signore Gesù Cristo, come vorrebbe dare ad intendere il “ribaltone” di“Nostra aetate” (il documento sicuramente stilato da Mimmo o da qualche altro suo amico, ignorante buontempone come lui!), bensì anche tutti gli altri nella misura in cui essi persistono nel loro ostinato ripudio del Figlio di Dio. Se poi gli Ebrei – come afferma sempre l’ineffabile Nostra Aetate, stravolgendo il senso della Lettera ai Romani cc. IX, X ed XI – “rimangono ancora (queste due parole “aggiunte” che però non figurano in San Paolo) carissimi a Dio (questa poi … è proprio il colmo, ma se afferro Mimmo di soppiatto, gliene darò di bastonate, così vediamo se finalmente impara qualcosa …!) , i cui doni e la cui chiamata sono senza pentimento”, è evidente che lo sono soltanto in quanto popolo che, alla fine, negli ultimi tempi, in quanto popolo si convertirà, dopo che “saranno entrate tutte le genti” (Rom. XI,25-26). Fino ad allora, però, i singoli ebrei increduli rimangono “rami recisi” dall’olivo buono dell’Israele dei Patriarchi (che non è certamente l’Israele ribelle a Cristo), sul quale invece sono stati innestati i veri credenti, ossia i pagani convertiti al cristianesimo (Rom. XI,17-21). A conferma di quanto detto, San Paolo stesso afferma, nel medesimo luogo, che egli predica il Vangelo “nella speranza di suscitare la gelosia di quelli del mio sangue (gli Ebrei, ovviamente) e di salvarne alcuni (Rom. XI,14)”. La conversione rimane dunque, per gli Ebrei, come per i pagani, l’unica via di salvezza: “Considera dunque la bontà e la severità di Dio: severità verso quelli che sono caduti (gli Ebrei increduli); bontà di Dio invece verso di te, a condizione però che tu sia fedele a questa bontà. Altrimenti anche tu verrai reciso. Quanto a loro, se non persevereranno nell’infedeltà, saranno anch’essi innestati”.(Rom. XI, 22-23) Alle osservazioni inconcludenti di Mimmo, che annaspa e farfuglia, dico solo che, senz’altro aggiungere, basta scorrere i suddetti capitoli della Lettera ai Romani, per giudicare dell’onestà intellettuale, per non dire della fede, degli estensori della Nostra aetate e dei “Padri del Vaticano II” (il solito difetto mi porta a scrivere la “L”… mi perdoni!). Caro direttore, le voglio a questo punto ricordare, come ho fatto con i miei esterrefatti nipoti, una frase che il Santo Pio X, (autentico Santo Padre secondo la bolla di Paolo IV “Cum ex Apostolatus Officio”) letteralmente estromesso dal Concilio (concilio che secondo S.S. Pio II in una sua bolla, è un falso d.o.c. – … in altra occasione parleremo della sua bolla “Execrabilis” del 1460 – documento anch’esso infallibile ed irreformabile la cui conoscenza eviterebbe tante inutili polemiche a sostegno di stranezze fatte trangugiare col “mantra” dell’obbedienza – ma … ora è tardi e devo prendere le mie medicine che la buona Genoveffa, la mia povera cara moglie, mi ricorda di prendere). Ecco la frase, (dall’Enciclica “Pascendi dominici gregis”) che il buon zio Tommaso ci ricordava spesso nelle nostre riunioni domenicali, e che sembra … azzeccarci proprio (non mi ricordo quale uomo politico ricorreva sempre a questa espressione …!): «Non pochi dello stesso ceto sacerdotale, fingendo amore per la Chiesa, scevri d’ogni solido presidio di filosofico e teologico sapere, anzi tutti penetrati delle velenose dottrine dei nemici della Chiesa, si danno, senza ritegno, per riformatori della Chiesa medesima; e, fatta audacemente schiera, si gettano su quanto ha di più santo nell’opera di Cristo»… per cui, aggiungo io, come scriveva San Marco: “vos autem fecistis eam speluncam latronum” (…ne avete fatto una spelonca di ladri) (S. Marco XI-17). E poi, caro direttore, i nostri fratelli maggiori (eredi infatti di … Caino, di Esaù, di Ruben, Dan, Gad e fratelli reprobi, etc…), lo sa come considerano noi cristiani, Gesù e la Santa Vergine Maria?? .. non lo sa? A parte le invio allora un estratto di “perle” del Talmud e dello Zohar, i libri sacri (secondo i loro rabbini) dei “cari fratelli”, libri messi all’Indice dai Santi Papi (non li cito perché ci vorrebbe un volume intero che comprenda bolle, encicliche, citazioni, documenti conciliari, tutti infallibili ed irreformabili, … altro che le chiacchiere di Mimmo!) perché reprobi, offensivi, e scandalosi. Alle ulteriori arrampicate sugli specchi di Mimmo, con spreco di pietà e compassione per i poveri perseguitati, che cita “Nostra Aetate” ed altri documenti spudoratamente modernisti … “elaborati dalla quinta colonna” – dice Caterina – e successivi fino ai nostri giorni (… ma saranno poi veri o, come penso io, frutto sempre della fervida fantasia di Mimmo?), gli faccio notare che questi testi sono un’esplicita professione di eresia direttamente opposta alla solenne definizione dogmatica di Papa Eugenio IV e del Concilio Ecumenico di Basilea [sessione XIX], e Firenze, [sessione XI – bolla di unione dei copti] e la dottrina detta dal supremo magistero di Papa Benedetto XIV (il famoso Cardinal Lambertini) in «Ex Quo Primum», che ripetutamente ed esplicitamente cita la definizione di Firenze nella bolla dei copti, in cui l’alleanza Mosaica è stata “revocata” e “abrogata”. Per non parlare di Innocenzo III, … ma sì, cosa gli vado a raccontare a Mimmo, che tanto quello, poverino, che ne sa? Oramai a guardare i prelati di ogni risma e grado che vanno a braccetto riverendo i bestemmiatori … no, non ce la faccio proprio più, e nessuno mi accusi di antisemitismo, il solito trucco per mettere a tacere coloro che dicono verità sacrosante, perché la Madre mia – e quindi anch’io – è, secondo la razza, una vera semita, non come quelli che lo dicono ma non lo sono, perché ariani convertiti, discendenti dai Kazari, la cosiddetta XIII tribù (falsa) di Israele!! Caro direttore, quando è troppo, è troppo !!… perdoni il mio sfogo, ma per la Madre mia sono disposto a rinunciare a tutto, a vendere cara la pelle (anche se nelle mie condizioni, non vale molto … lo so … ), se necessario … “Siate, Cristiani, a muovervi più gravi: non siate come penna ad ogne vento, e non crediate ch’ogne acqua vi lavi. Avete il novo e ‘l vecchio Testamento, e ‘l pastor de la Chiesa che vi guida; questo vi basti a vostro salvamento. Se mala cupidigia altro vi grida, uomini siate, e non pecore matte, sì che ‘l “Giudeo” di voi tra voi non rida! Mi torna alla mente lagrande” Felicina, la cugina secchiona, quando recitava per intero il V canto del Paradiso di un certo anticlericale, feroce antipapista, forse rosa+croce, un “modernista” gnosticheggiante, che si nascondeva “sotto il velo de li versi strani”, uno che scopiazzava i poeti arabi, pretendendosi un grande letterato …(questo ce lo diceva lo zio Pierre … a scuola però ci dicevano tutt’altro!), come si chiamava … ah, si, Dante Alighieri … mi pare! Adesso devo lasciarla perché la mia pressione ha varcato i livelli di guardia … mi avverte Caterina. Saluti affettuosissimi a lei e ai suoi lettori … se avranno avuto la pazienza di leggermi!

(Continua … )

 

La strana sindrome di nonno Basilio -6-

Caro direttore, mi perdoni se ancora mi faccio vivo, ma oramai la considero una cara persona di famiglia, vista la benevolenza che lei mi accorda usandomi tanta pazienza nell’ascoltare le mie vicende personali e familiari. D’altra parte, le chiedo, con chi parlare, visto che oggi tutto deve aderire al “pensiero unico” e al “politicamente corretto” (mi si era inceppato il tasto sulla “o” e mi veniva “corrotto”… bah prima o poi lo devo far riparare questo catorcio!)? … e lei sa molto bene che la “verità” (quella con la V maiuscola) non si accorda praticamente mai con il “politicamente corretto”, in particolar modo quando occorre dar fiato ai tromboni “tuttologi” che strombazzano falsità demagogiche in ogni ambito. Ma bando alle ciance e torniamo al mio caso. In una notte della scorsa settimana, non le saprei dire il giorno con precisione, ho fatto un sogno orribile, devastante per la mia povera mente malata, che mi ha portato in uno stato di angoscia profonda, di vuoto esistenziale, direi quasi (mi perdoni la stravaganza) di dolorosa notte dell’anima. Mi trovavo in una stanza dove c’era una persona vestita con una talare bianca, circondata da uomini abbigliati con vesti cardinalizie e da curiosi personaggi ricoperti da bizzarre tonache e turbanti pittoreschi. Ho pensato subito che si trattasse di una festa di carnevale, organizzata da quel mattacchione di Mimmo, mio nipote, ma lo sguardo è andato oltre la finestra della stanza ed ho visto nettamente stagliarsi la sagoma del cupolone michelangiolesco ed il colonnato del Bernini di piazza San Pietro. Ad un certo punto, quest’uomo vestito di bianco ha preso un grosso libro e lo ha baciato con grande deferenza e rispetto. Ho aguzzato lo sguardo (unica nota positiva: nel sogno vedevo benissimo, pensi che non ho dovuto nemmeno inforcare i miei soliti occhialoni!) ed ho letto: il “Corano”. Il fatto che quest’uomo in bianco non avesse la tiara, mi ha in parte rincuorato, pensando che comunque non si trattasse del Santo Padre (mai Pio XII, il “mio” Papa, il Vicario di Cristo, avrebbe compiuto quel gesto sacrilego!!!), ma questo è bastato a rovinarmi il sonno provocandomi gli effetti descritti, oltre ad una sudorazione profusa ridottasi solo dopo un’abbondante tazza di buon caffè che mia moglie, la povera, cara Genoveffa, mi ha prontamente preparato, spaventata dalle mie condizioni. Poco dopo sono arrivati solerti i miei nipoti, Mimmo e Caterina, avvertiti dalla nonna, ai quali ho raccontato il terribile sogno. Ma le mie condizioni, faticosamente e solo in parte recuperate, sono precipitate nel baratro (insieme alla mia pressione sanguigna) quando Mimmo, con fare sornione, mi ha detto, pensando di confortarmi: “Ma nonno, questo è un avvenimento realmente accaduto il 14 maggio del 1999 … allora la tua memoria si sta risvegliando!!”. Raccogliendo le mie esauste forze riesco appena a dire: “Come è possibile che in nome di un falso ecumenismo, si vada verso un sincretismo assurdo, viziato da una barriera teologica insormontabile, per superare la quale non basta certamente questo gesto inutilmente sacrilego compiuto nel baciare il Corano, il “libro sacro dei musulmani” che, come è noto, vuole e ordina la morte di tutti gli “infedeli” cristiani (… ne sanno qualcosa per esempio ad Otranto!), declassa Nostro Signore Gesù Cristo a semplice profeta (oltretutto falso ed ingannevole perché proclamatosi Figlio di Dio!) e d’altra parte non ho mai visto né udito (anche se la mia memoria è debole) un imano rivolgere ai Vangeli un segno altrettanto rispettoso (se ne ha notizia o ne hanno i suoi lettori, caro direttore, me lo faccia sapere, la prego!) per cui, anche se si volesse interpretare il gesto come un atto puramente diplomatico, la sua indiscutibile unilateralità è di una folle inutilità, così come è completamente vano far risaltare continuamente il monoteismo delle tre principali religioni, come elemento unificante, perché oltretutto resta la “questione invalicabile” della divinità di Gesù Cristo. Quindi o ci si crede o non ci si crede: una terza via, come effetto del dialogo, non esiste! A meno che questo dialogo non lo diriga una “quinta colonna” di marrani, e … questo lo diceva spesso lo zio Pierre (gliene ho già parlato in una lettera precedente … mi pare, … o no?!) secondo il quale nessun incontro compromissorio, sulla natura divina del Redentore è possibile tra le tre religioni monoteiste (e guarda Mimmo, che, secondo lo zio Pierre, di religioni monoteiste ne esiste pure una quarta, ed è forse oggi quella dominante e che ci veicolerà verso l’anticristo: quella della “sinagoga di satana!”): è un grave errore unire il monoteismo cristiano a quello giudaico e musulmano; è una falsa prospettiva usare perciò l’espressione “religioni monoteiste” (a meno che non vogliamo preparare l’avvento della quarta! … il monoteismo della “contro religione satanica”, il cui dio unico è lucifero … o abituarcene almeno all’idea!), perché il contenuto di queste tre religioni è essenzialmente e radicalmente diverso. Mimmo ovviamente non condivide, adducendo motivazioni essenzialmente umanitarie, ma io incalzo ancora dicendo : “Capire questa povera gente, aiutarli a risollevarsi dalla loro miseria morale e religiosa, è un dovere cristiano (“guai a me se non predicassi il Vangelo”-1Cor IX-16, diceva Paolo di Tarso- ma parlare dei Musulmani come intimi nostri “fratelli”, “adoratori dell’unico Dio e figli di Abramo”, è un assurdo. Forse che dai loro minareti, da secoli, non stanno gridando a squarciagola, che “non vi è altro Dio al di fuori di Allah”, il quale, però, è tutt’altro che il nostro Dio-Trino, compresa, quindi, anche la divinità di Cristo? Un “Allah” anticristiano, quindi, perché negazione assoluta dei due principali “misteri” cristiani, di origine giudaizzante e dalle secolari logomachie delle eresie pseudo-cristiane. Un Allah, per l’Islam, che assicura, nell’al di là, “un giardino di delizie” con molte concubine (la demagogia ha fatto sempre la sua parte per convincere gli immorali e i corrotti!) e dove la visione beatifica di Dio non ha alcun interesse! Un Allah che vuole “la spada e la guerra santa” per sottomettere gli “infedeli” – cristiani compresi, anzi essi soprattutto! – alla venerazione della “Pietra nera”, che libera da ogni peccato! (mi perdoni, ma mi viene da ridere … un po’ di buonumore ogni tanto ci vuole!). Nel pomeriggio, dopo un pranzo leggero, su mia richiesta, Caterina riprende la lettura della “Nostra Aetate”, documento chiave del Concilio “tradimentino” (devo proprio cambiarlo, questo arnese … guarda che scherzi mi fa!), dove ad un certo punto una volta preso l’abbrivio, i “Ladri conciliari”(ancora la “L”, lo devo proprio far sistemare questo aggeggio … è irrecuperabile oramai!) passavano a tessere l’elogio dell’Islam, affermando testualmente e con perfetto aplomb che “la Chiesa guarda con stima anche i musulmani che adorano l’unico Dio … che ha parlato agli uomini. Essi cercano anche di sottomettersi con tutto il cuore ai decreti nascosti di Dio,(… se sono nascosti, occulti, secondo quanto si legge alla sura 57:3, e come fanno a conoscerli … mi chiedo? Boh!), come si è sottomesso Abramo, al quale la fede islamica volentieri si riferisce. (ma questo Abramo è l’Abramo del Corano, intriso di elementi leggendari ed apocrifi, non quello dell’Antico Testamento, si badi bene!!). Così pure essi hanno in stima la vita morale e rendono culto a Dio (… ma a quale Dio? … non certo quello cristiano … ergo! – N.d.r.- ) soprattutto con la preghiera, le elemosine e il digiuno”(… stendiamo un velo pietoso sul digiuno diurno seguito da abbondanti libagioni serali e notturne …) (N.Ae. n. 3/a. 113). Per la verità (quella verità che evidentemente i L/Padri conciliari ed i loro falsi teologi della Nouvelle Théologie – la Jezabel di zio Pierre, di cui parleremo un’altra volta – nella loro ottica evoluzionista giudicavano ormai “sorpassata”, dimenticando che Cristo non “cambia mai, che è lo stesso ieri, oggi e sempre” …, ma da dove sono usciti questi, mi chiedo e le chiedo, caro direttore?) se i musulmani adorassero veramente “l”unico Dio… che ha parlato agli uomini” e non la sua immagine contraffatta presentata dal Corano (e finora non si è ancora capito bene da chi … del presunto Maometto non si ha in realtà nessuna notizia certa, solo leggende, illazioni, assenza totale di notizie storiche), non negherebbero la Divinità di nostro Signore Gesù Cristo, che in proposito è stato chiarissimo: “Il Padre infatti non giudica nessuno, ma ha rimesso ogni giudizio al Figlio, perché tutti onorino il Figlio come onorano il Padre. Chi non onora il Figlio, non onora il Padre che Lo ha mandato (Gv. V, 22-23)”. “E come la mettiamo con lo stato giuridico di dhimma, (agli “infedeli” non è concesso alcun diritto), con la schiavitù ufficialmente riconosciuta, la poligamia e il ripudio (4 mogli e un numero illimitato di schiave e concubine, o meglio … prostitute), amputazione della mano al ladro (mezza Italia politica e finanziaria sarebbe monca … boccaccia mia: statti zitta..!)”. Interviene Caterina: “… e la storia di Gesù profeta dell’Islam, “servo di Dio” muslim, sottomesso, cioè un musulmano (sura 38:65) come Abramo, tanto da preannunziare la venuta di Maometto (sura 51:6); e con il culto offensivo alla Vergine Maria in quanto “madre di un profeta dell’Islam”, e persino confusa (“beata” ignoranza !! o si dice beota?… che dubbio, mi aiuti!) con Maria “sorella di Aronne”, fratello di Mosè, figlia di Imram, confusa quindi con la profetessa Maria di Esodo XV; ed il concetto di “pace islamica”, (ancora oggi invocata dai vertici cattolici – ma questi vertici, teologicamente e gerarchicamente falsi per tanti motivi, ci si chiede, sono vertici o profondità?!) mezzo imposto dalle circostanze con durata che non oltrepassi i 10 anni, per poi riprendere la guerra agli infedeli, obbligo morale religioso giuridico, sino all’immancabile vittoria finale ed all’instaurazione di uno stato islamico mondiale (un altro ordine mondiale …! Bah oramai non se ne può più!). Complimenti … qui due sono i casi: o questi non avevano mai letto il Corano, o erano all’esordio di due contemporanei gravi morbi con sintomi parossistici misti: il Parkinson e l’Alzheimer insieme …”. “… Caterina, ti prego sii più corretta nelle diagnosi e misericordiosa, aumenta la preghiera … il miserere, il miserere!!… può darsi che la Santa Vergine li converta … i l/padri del Vaticano II e del “vat’inganno” III. Perché -continuo- io, credo che questo documento sia stato stilato da persone che ignoravano veramente il contenuto del Corano ed il senso della religione islamica … (anche se è più semplice pensare che si era deciso l’autodemolizione della Chiesa Cattolica Romana per farla convergere nella “superchiesa dell’uomo”, come la definiva zio Pierre, anche se lui in verità preferiva chiamarla “Contro-chiesa dell’anticristo venturo ”. Quanto alla “vita morale” contemplata dal Corano e che ammette e legalizza la poligamia, il concubinato, il divorzio, la schiavitù e promette nell’altra vita – tanto per cambiare – un “paradiso” di piaceri sensuali con tanto di innumerevoli “urì” (concubine “celesti”) a disposizione… beh, nulla da meravigliarsi che i musulmani l’abbiano grandemente “in stima”… Chissà poi se la “stima” dei Padri del Vaticano II verso i musulmani si estendesse anche alle seguenti sure coraniche: “… e dissero: abbiamo ucciso il Messia Gesù figlio di Maria, il Messaggero di Allah!” Invece non l’hanno né ucciso né crocifisso, ma così parve loro. Coloro che sono in discordia a questo proposito, restano nel dubbio: non hanno altra scienza e non seguono altro che la congettura. Per certo non lo hanno ucciso.” (IV-157). … Il Messia Gesù, figlio di Maria non è altro che un messaggero di Allah, una Sua parola che Egli pose in Maria, uno Spirito da Lui [proveniente]. Credete dunque in Allah e nei suoi messaggeri” (IV-157). “ … Uccideteli ovunque li incontriate, e scacciateli da dove vi hanno scacciati: la persecuzione è peggiore dell’omicidio …” (II-191). “La ricompensa di coloro che fanno la guerra ad Allah e al Suo Messaggero e che seminano la corruzione sulla terra è che siano uccisi o crocifissi, che siano loro tagliate la mano e la gamba da lati opposti o che siano esiliati sulla terra: ecco l’ignominia che li toccherà in questa vita; nell’altra vita avranno castigo immenso …” (V-33). “… uccidete questi associatori [cioè gli infedeli cristiani –n.d.Bas-] ovunque li incontriate, catturateli, assediateli e tendete loro agguati” (IX- 5).  “O voi che credete, combattete i miscredenti che vi stanno attorno, che trovino durezza in voi. Sappiate che Allah è con i timorati” (IX-123). “… getterò il terrore nei cuori dei miscredenti: colpiteli tra capo e collo, colpiteli su tutte le falangi!” (VIII,12) E potremmo continuare fino a domattina … Interviene ancora Caterina, indignata ancor più: “ E pensa, nonno, che qualcuno recentemente (tra quelli che non hanno giustamente “altra scienza” e parlano a vanvera!) ha definito il Corano “libro di pace” … ridicolo!” Riprendo io: “Quanto poi ai figli di Abramo, è figlio di Abramo, infatti, non chi ne vanta una discendenza carnale, ma solo chi ha la “fede” di Abramo: il quale appunto credette nel Cristo venturo e, come dice Gesù stesso, “esultò nella speranza di vedere il mio giorno; lo vide e se ne rallegrò”(S. Giovanni VIII-56). E S. Giovanni precisa ancora: “Chi rinnega il Figlio non possiede neppure il Padre; chi confessa il Figlio possiede anche il Padre”(1 Giov. II, 22-23)”. E allora, come San Giacomo, mi chiedo: (S. Giac. III-11,12) “Forse la sorgente può far sgorgare dallo stesso getto acqua dolce e amara? Può forse, miei fratelli, un fico produrre olive o una vite produrre fichi? Neppure una sorgente salata può produrre acqua dolce”.  L’Apostolo delle Genti afferma poi senza possibilità di equivoci: “se appartenete a Cristo, allora siete discendenza di Abramo, eredi secondo la promessa”(Galati III-29). Riprende Mimmo: “Nonno, tu vivi nel tuo eremo dorato, e non sai che qui, con l’assenso di molti vescovi, delle alte gerarchie ecclesiastiche, delle autorità politiche di ogni risma e colore, si stanno costruendo moschee e minareti un po’ dappertutto nell’Europa una volta cristiana!” A questo sobbalzo, un fremito mi scuote tutto, mi risiedo e raggiungo con fatica la calma per dire: “Ragazzi, durante l’estate, finite le scuole, lo zio Tommaso, buon’anima, santo sacerdote, assegnava a tutti noi nipoti, dei compiti che dovevamo svolgere durante le ore meno afose dell’estate in campagna. Un anno a me era toccato lo studio del Concilio di Vienne … attento Mimmo, non pensare alle tue operette e a Vienna … qui parlo di Vienne, in Francia, una bella cittadina lungo il fiume omonimo, ove si tenne il XV Concilio Ecumenico dal 1311 al 1312. Fu un’estate allucinante, leggere e studiare tutte quelle bolle e documenti, … in particolare quelli di condanna dei Templari … e poi Clemente V, … i Begardi e le Beghine, i Zabazala …. altro che spiagge e vacanze al mare! Ecco cosa volevo ricordare : i “zabazala”, come volgarmente erano detti i sacerdoti saraceni! “Aspetta, Mimmo, dovrei avere ancora i quaderni di quei compiti, che poi lo Zio Tommaso correggeva accuratamente, e … guai a sbagliare!” A proposito dei raduni o cosiddette preghiere pubbliche a Maometto in terre cristiane, nel decreto 25 (infallibile ed irreformabile!) si dice … aspetta, ah eccolo qua! … qui è in latino, ma te lo traduco: “… Si risolve in offesa del nome divino e in disonore per la fede cristiana il fatto che in alcune parti del mondo soggette a principi cristiani, dove talora separati, talora frammischiati con i cristiani abitano i saraceni, i loro sacerdoti, detti volgarmente Zabazala, ogni giorno, ad ore determinate, nei loro templi o moschee, dove gli stessi saraceni si riuniscono per adorarvi il perfido Maometto, invochino o esaltino ad alta voce da un luogo elevato, in modo che sentano i cristiani e i saraceni, il nome dello stesso Maometto, recitando pubblicamente alcune parole in suo onore. Inoltre una gran moltitudine di saraceni di quelle ed altre regioni si reca pubblicamente nel luogo dove un tempo fu sepolto un saraceno che gli altri venerano ed onorano come santo. Da questi fatti deriva un grande danno alla nostra fede ed ha origine un grande scandalo nel cuore dei fedeli. Perché non siano ulteriormente tollerati comportamenti simili in offesa alla divina maestà, con il consenso del santo Concilio noi proibiamo ancor più severamente d’ora in poi tali fatti in terre cristiane. Ingiungiamo inoltre, sotto la minaccia del divino castigo, a tutti e singoli i prìncipi cattolici, nei cui possedimenti i saraceni abitano compiendo tali cose, di eliminare dalle loro terre tutto ciò, comportandosi come veri cattolici e gelosi custodi della fede cristiana, per raggiungere il premio dell’eterna beatitudine, e di curare che i loro sudditi facciano altrettanto. Devono infatti riflettere sulla vergogna che deriva a loro stessi e agli altri cristiani da quanto abbiamo sopra descritto. Proibiscano perciò espressamente che in pubblico si faccia tale invocazione o proclamazione del nome del sacrilego Maometto, o che qualcuno nei loro domini osi tentare il pellegrinaggio sopraddetto o favorirlo in qualunque modo. Provvedano essi stessi a punire in modo esemplare, mossi dal rispetto versi Dio, coloro che si comporteranno diversamente, in modo che anche gli altri, atterriti da tale esempio, siano dissuasi da simile temerarietà.” È vero che questi compiti richiedevano pazienza ed impegno, però oggi sono ancora in grado di distinguere un cattolico da un marrano, un vero devoto cristiano da un modernista manicheo … un fervente cattolico da un blasfemo e sacrilego marrano, un sacerdote di Cristo da un sacrificatore deicida che, alla maniera del cavaliere rosa+croce, offre i “frutti del lavoro dell’uomo, come Caino, nientemeno che al dio dell’universo dei massoni, il baphomet-lucifero, un Papa santo da un impostore fasullo, una Messa cattolica da un rito sacrilego paraprotestante o peggio pantomima dell’agape massonica del 18° livello, un Vescovo validamente consacrato da una maschera di carnevale senza mandato apostolico né giurisdizione, e … non è poco! Ma tornando a noi, ricordo a Mimmo, che in questo è carente: “Abramo ebbe due figli (Ismaele ed Isacco) da due donne diverse, la schiava e la moglie Sara e, nella citata lettera ai Galati, al capitolo IV, 30-31, S. Paolo (… sempre Paolo di Tarso, che non risulta evidentemente essere stato invitato a questo Concilio Vaticano II e nemmeno tanto letto successivamente) dice testualmente … leggi Mimmo, che cosa dice la Scrittura? “Manda via la schiava e suo figlio, perché il figlio della schiava non avrà eredità col figlio della donna libera. Così, fratelli, noi non siamo figli di una schiava, ma di una donna libera” … continua … Mimmo, vai al cap. V: “Cristo ci ha liberati perché restassimo liberi; state dunque saldi e non lasciatevi imporre di nuovo il giogo della schiavitù”. Questa è fede cattolica!! Direttore, non ne posso più, sono stanco, e perciò chiudo con ciò che scriveva il Santo (… non certo un santo “subito”, teosofo, comunista, marrano  scomunicato da bolle e da vari concili , e senza miracoli!); S. Pio X: «Siate forti! Non si deve cedere dove non bisogna cedere … Si deve combattere, non con mezzi termini, ma con coraggio; non di nascosto, ma in pubblico; non a porte chiuse, ma a cielo aperto»! … e il Papa Felice III: «È già un approvare l’errore il non resistervi; è già un soffocare la verità il non difenderla!». Ecco ad esempio, come si comportò S. Maiuma, un santo oggi occultato accuratamente,  … il quale (come si legge nel martirologio del 21 febbraio): avendo detto ad alcuni arabi, che erano andati da lui mentre era infermo “Chiunque non abbraccia la fede cristiana cattolica è dannato, come anche il vostro falso profeta Maometto”, fu da essi ammazzato. E Santa Caterina da Siena incalza: “Avete taciuto abbastanza. E’ ora di finirla di stare zitti! Gridate con centomila lingue. Io vedo che a forza di silenzio il mondo è marcito!”. Mi sovviene ancora lo zio Tommaso, quando, dopo una bella e veemente predica, sconcertando tutti, diceva in latino: “Quoniam zelus domus tuae comedit me …” , “lo zelo per la tua casa mi divora” dal Salmo LXVIII -10). Pertanto con Isaia dico a voce forte, anche a lei, oltre che a me: “Clama, ne cesses!” Saluti vivissimi al direttore e a tutti i lettori!! Con affetto e gratitudine, Nonno Basilio e famiglia!

 

la strana sindrome di nonno Basilio -5-

Caro direttore, la saluto con affetto e deferenza per la pazienza dimostratami nell’ascoltarmi e nel volere aiutarmi a dipanare una matassa ingarbugliata nella quale, per via della mia non perfetta salute mentale, non riesco a districarmi. Non le dico poi dei tentativi che i miei volenterosi nipoti, ognuno a suo modo, tentano di fare per aiutarmi, finendo però per confondermi ancora di più, specialmente il giocherellone Mimmo, tanto affettuoso ma bisbetico ed un po’ “ignorantello” in cose di fede, tanto da irritarmi spesso con affermazioni tratte direttamente dal bagaglio dell’idiozia modernista, duramente anatemizzata come la somma di tutte le eresie, dal Santo Pio X, o da quella neo-modernista, progressista summa anti-teologica ancora peggiore, “decuplicata” se possibile nella sua balordaggine eretica, anzi francamente apostatica, condannata dall’altrettanto santo, Eugenio Pacelli, Pio XII, anche se non canonizzato, anzi disprezzato, con false argomentazioni da comunisti, atei, massoni, istigati dai soliti “nemici di tutti gli uomini”, pur essendo stato l’unico a prodigarsi disinteressatamente con i mezzi a sua disposizione nel corso dell’ultimo evento bellico. Pensi che appunto l’altro giorno il mio caro nipote Mimmo mi chiedeva, con la sua solita aria sorniona e beffarda: “Nonno Basilio, ma tu credi veramente ai dogmi infallibili della Chiesa, alla loro immutabilità, alla impossibilità di aggiornarli adattandoli ai nostri tempi?” In quel momento avevo giusto per la mente il salmo CXVI, recitando il quale si lucra anche un’indulgenza parziale, che poi diventa plenaria in un giorno del mese, se recitato per l’intero mese, (io l’applico sempre per lo zio Tommaso, santo e vero sacerdote, buon’anima!) :“Laudate Dominum, omnes gentes, laudate eum omnes populi, quia confermata est super nos misericordia ejus, et veritas Domini manet in Aeternum”! Ne approfitto per recitarlo a voce alta a Mimmo. “Certamente, Mimmo, lo saprai tradurre sicuramente anche tu questo versetto!”, (un po’ di incoraggiamento per il povero Mimmo, che è stato sempre rimandato a settembre in latino, o come si dice oggi ha avuto diversi “debiti” … il linguaggio della finanza, forse per abituare i giovani a fare debiti con le banche?!), la verità di Dio non cambia mai, resta in eterno, per sempre, senza limiti di spazio e tempo. E per restare nella salmodia davidica il pensiero va ancora al caro, mitico (come oggi dicono i giovani di cose però assolutamente ordinarie) zio Tommaso che, come già ricordavo in una precedente missiva, organizzava tra noi nipoti gare della recita a memoria dei salmi (in latino naturalmente), gare nelle quali si distingueva in particolare la nostra invidiata “secchiona” Felicina con il suo cavallo di battaglia, il ciclopico “Beati immaculati in via”, il salmo CXVIII, quello tutto focalizzato sulla legge del Signore. Io non sono mai riuscito ad impararloper intero, benché ne ammirassi la bellezza e la dottrina profonda, però alcuni versetti li ho scolpiti nella mente, ed alcuni li voglio ricordare al mio caro nipote, che naturalmente (inutile dirlo, purtroppo!) non ne conosce nessuno. Eccone qui alcuni: “Et custodiam legem tuam semper, in saeculum et in saeculum saeculi” [Custodirò la tua legge per sempre, nei secoli, in eterno.] -44- “In aeternum, Domine, verbum tuum permanet in caelo” [La tua parola, Signore, è stabile come il cielo -89-] “Aequitas testimonia tua in aeternum; intellectum da mihi, et vivam.” [Giusti sono i tuoi insegnamenti per sempre, fammi comprendere e avrò la vita. -144 -]. Mi fermo qui, perché già da soli questi tre versetti sono capaci di chiudere definitivamente ogni discorso che qualunque novatore (e ce ne sono stati tanti nel corso dei secoli che hanno cercato di scardinare la retta dottrina e sostituirla con le strampalate idee mutuate dalla solita “gnosi”, la dottrina di Lucifero … del serpente primordiale dottrina tanto amata dalla “razza di vipere”, come li chiamava Gesù!) potrebbe proporre, così come hanno fatto i modernisti, condannati da S. Pio X ed i neo-modernisti, condannati anticipatamente da Pio XII. Ma oggi per fortuna questi pestiferi e truci individui non sono presenti più in giro ad infestare la Chiesa …. o no!? “I dogmi erano già contemplati nella legge di Mosè, dico a Mimmo, che mi guarda perplesso, poi vennero completati con le disposizioni evangeliche dettate direttamente dal Dio-Uomo, il Messia Gesù Cristo, ed annunciati dai suoi discepoli ed apostoli. Ma perché le disposizioni divine venissero chiarificate alle menti dei tempi successivi, il Signore Gesù lasciò l’incarico a S. Pietro, che a sua volta lo conferì ai successori in perpetuo, che divennero così i rappresentanti di Cristo in terra, forti della promessa loro fatta dell’assistenza dello Spirito Santo in materia di fede e di morale nel loro Magistero ordinario ed universale, quando cioè parlano da Papi, cioè quando si presentano come tali, e non solo in circostanze straordinarie, come alcuni pretendevano e pretendono, cosiddette “ex cathedra”, che sono abbastanza rare nella vita di un Papa. San Paolo dice, ad esempio, nel famoso “inno alla carità” (I Cor. XIII, 1-13), che a nulla valgono le più sublimi opere di misericordia corporale e spirituale ed i carismi più straordinari senza la Carità, laddove per Carità devesi intendere, nella sua più autentica accezione, l’ansia trepidante, al primissimo posto, della salvezza eterna, quella propria e quella dei nostri fratelli, alla quale tutto il resto deve essere subordinato. Gesù ha versato il suo sangue sulla croce (fino all’ultima goccia) unicamente per salvare le anime. «Il mio regno non è di questo mondo». Tutto ciò che ha fatto sulla terra, era in funzione di questo. E per indirizzarci verso questo traguardo ci ha dato dei … ehm, segnali stradali, delle indicazioni precise da seguire per non finire fuori strada, la “legge” di Mosè del Pentateuco, le profezie degli antichi profeti completate dall’annunzio evangelico con i comandamenti nuovi e le otto beatitudini. Infatti al proposito è il Maestro divino stesso che ammonisce con autorità: “Nolite putare quoniam veni solvere legem, aut prophetas: non veni solvere, sed adimplere. Amen quippe dico vobis, donec transeat caelum et terra, jota unum aut unus apex non praeteribit a lege, donec omnia fiant (S. Matteo V, 17-18) [lo traduco per Mimmo: 7”Non credia­te che io sia venuto ad abolire la legge o i pro­feti; non son venuto ad abolire, ma a comple­tare. 18In verità vi dico che fino a quando il cielo e la terra non pas­seranno, non scompari­rà dalla legge neppure un iota o un apice, fin­ché non sia tutto adem­piuto.”] E poiché poi lo Spirito Santo avrebbe dovuto far comprendere nella pratica, adattando il tutto ai tempi, ai luoghi e alle situazioni contingenti, questo compito è stato affidato materialmente alla santa Chiesa Cattolica, nella figura particolare del Santo Padre, assistito ed ispirato dallo Spirito Santo stesso, voce di Cristo promessa per sempre, ininterrottamente (anche nel periodo che intercorre tra la morte di un Papa e l’elezione del successore, c’è supplente il “camerlengo”) che unicamente garantisce così la veridicità dei postulati e la volontà divina, attraverso le definizioni dogmatiche infallibili ed irreformabili, ed in tutta la sua attività magisteriale in materia di fede e morale. Anche il dogma della Santa Chiesa è da annoverare quindi tra le cose che non passeranno mai, finanche nei dettagli più reconditi: “jota unum aut unus apex”! “Ma andiamo, nonno, mi dice Mimmo, a questi dogmi, o a buona parte di essi oramai non crede più nessuno veramente, specie tra i sacerdoti più giovani, ma anche tra i “principi della Chiesa” infarciti da salse progressiste, da teologie di chiara matrice gnostica e massonica, talmudica e cabbalistica! Praticamente quasi tutti ormai, non sanno nemmeno più cosa essi siano!…. Qui devo fare uno sforzo sovrumano per non sbottare e mantenermi calmo, trovando il fiato per rispondere: “Ciò non toglie però loro nessuna validità e l’assoluta necessità di conoscerli, crederli, difenderli (anche questo è un dogma) per salvarsi, e che essi dimorino intatti sino alla consumazione dei secoli. Vedi Mimmo, questo è assolutamente di fede cattolica, … non credere o sottovalutare o ignorare un solo Dogma significa cadere in eresia e quindi nella scomunica automatica (una volta si diceva “ipso facto”) davanti a Dio, ancor prima o anche senza una condanna ufficiale, perché significa porsi fuori della Fede cattolica, vale a dire, fuori della Chiesa cattolica, in parole povere: autocandidarsi alla dannazione. Se nella legge umana non è ammessa l’ignoranza per cui uno che ruba, pur essendo convinto – al limite – di fare opera meritoria, va dritto in galera, nella legge divina questo principio è all’ennesima potenza, con la differenza che si va in un carcere ben più crudele, e soprattutto eterno … a nulla vale conquistare il mondo intero se poi si perde l’anima propria …. “Ma dai nonno, adesso stai esagerando … la tua è una posizione estremistica senza dialogo …”. “Caro Mimmo, ti ricordo che questa non è la mia posizione, ma la posizione di Dio e della Chiesa cattolica che parla a nome suo! E che dialogo vuoi instaurare se la verità è unica e abbondantemente conosciuta da secoli? Vedi, continuo, la Carità (là dove si presume ci sia), senza o addirittura contro la Verità è – nel migliore dei casi – una pia illusione, ma nel peggiore, l’anticamera se non dell’Inferno, (Dio non voglia!) sicuramente di un lungo e doloroso Purgatorio. Su queste cose c’è poco da scherzare! Una volta entrati nell’eternità non si può più tornare indietro!”. “Ma dai, oramai i tempi sono cambiati, tutta la società è cambiata, e pure la Chiesa si è già adattata a tante realtà, e ad altre si sta preparando!” Ecco che interviene Caterina, reduce da un esame universitario brillantemente superato, che entra subito nell’argomento che ben conosce, entrando a “gamba tesa” sull’attacco di Rocco: “ Quando si dice questa frase “sono cambiati i tempi”, frase che ormai fa parte del gergo del “pensiero unico dominante” [direttore ma che cos’è questo pensiero dominante, boh?], si cade dalla padella dell’insensatezza spirituale alla brace infernale dell’eresia modernista, condannata a chiare lettere da San Pio X.”. “Giusto Caterina, ricordiamo allora a Mimmo le preposizioni condannate irrevocabilmente in eterno dal Papa Sarto nel decreto “Lamentabili sane exitu” del 3 luglio del 1907. E certo Mimmo, beccati questa: al n. 22. I dogmi, che la Chiesa presenta come rivelati, non sono verità cadute dal cielo, ma l’interpretazione di fatti religiosi, che la mente umana si è data con travaglio. E al n. 23. Può esistere, ed esiste in realtà, un’opposizione tra i fatti raccontati dalla Sacra Scrittura ed i dogmi della Chiesa fondati sopra di essi; sicché il critico può rigettare come falsi i fatti che la Chiesa crede certissimi. 24. Non dev’essere condannato l’esegeta che pone le premesse, cui segue che i dogmi sono falsi o dubbi, purché non neghi direttamente i dogmi stessi. 25. L’assenso della Fede si appoggia da ultimo su una congerie di probabilità. 26. I dogmi della Fede debbono essere accettati soltanto secondo il loro senso pratico, cioè come norma precettiva riguardante il comportamento, ma non come norma di Fede. Nel condannare la successiva 53, sembra che il Santo Padre voglia risponderci direttamente. Si condanna: “La costituzione organica della Chiesa non è immutabile; ma la società cristiana, non meno della società umana, va soggetta a continua evoluzione”. Ed ancora al n. 54. “I dogmi, i sacramenti, la gerarchia, sia nel loro concetto come nella loro realtà, non sono che interpretazioni ed evoluzioni dell’intelligenza cristiana, le quali svilupparono e perfezionarono il piccolo germe latente nel Vangelo con esterne aggiunte”. Altra condanna al n. 59: “Cristo non insegnò un determinato insieme di dottrine applicabile a tutti i tempi e a tutti gli uomini, ma piuttosto iniziò un certo qual moto religioso adattato e da adattare a diversi tempi e circostanze”. Infine la stangata: n. 65. “Il Cattolicesimo odierno non può essere conciliato con la vera scienza, a meno che non si trasformi in un cristianesimo non dogmatico, cioè in protestantesimo lato e liberale.” Vistosi in affanno, Mimmo comincia a replicare: “Ma nell’ultimo Concilio, si sono ripetutamente contraddetti con il concorso di tutti i Padri ed i Papi presenti [!?!… ma questo poiché lo dice Mimmo che non conosce la costituzione dogmatica “Pastor Aeternus” sfornata al XX Concilio Ecumenico Vaticano – quello vero e valido -, penso sia una barzelletta, le pare direttore?], dogmi essenziali della dottrina della Chiesa, che secondo te, nonno, sarebbero assolutamente irreformabili!”. “E allora, caro mio, ti dico che questo Concilio o presunto tale, a meno che non sia la tua solita “macchietta napoletana alla Totò”, non è stato cattolico, bensì un conciliabolo, che ha tentato di minare la Chiesa cattolica perché è impossibile (ennesimo dogma pure questo) che la “vera” Chiesa cattolica contraddica se stessa pronunciando, testimoniando ed insegnando un’eresia dopo l’altra ….”, “ e fino ai giorni nostri, aggiunge Caterina, dandomi man forte, giorni nei quali tutto è ridotto ad un mostruoso panteismo, ad un naturalismo spietatamente anticattolico, basato sugli assiomi, dogmi e miti mai dimostrati da una falsa scienza che sta distruggendo tutto e tutti con la pretesa di conoscere, giudicare insindacabilmente, pontificare, decidere in modo autoreferenziale, … ed anche tu, nonno, te ne sei reso conto nel corso delle tue peregrinazioni tra un illustre asino e l’altro, che da bravi “azzeccagarbugli” professoroni, hanno fatto finta di curarti senza sapere da che parte iniziare”. [Direttore, ma questi giovani sono proprio irriguardosi verso le autorità, o … presunte tali! Che mondo, ma dove stiamo finendo, mi chiedo e le chiedo?]. “Caro Mimmo – mi sforzo di essere pacato – il buon sacerdote, lo zio Tommaso, soleva ripeterci fino alla noia che: “Il DOGMA è Dio stesso che, a causa della durissima e volubilissima cervice umana, è costretto a definire, per la bocca o la penna del Suo Vicario (legittimamente eletto e strettamente fedele a quanto stabilito dai suoi Predecessori, e con l’intenzione di procurare il bene della Chiesa), questo o quell’aspetto particolare del Suo Messaggio di salvezza. Pertanto Ignorarli o – peggio – volerli ignorare, significa disprezzare Dio che li ha ispirati e voluti ed è pertanto sufficiente una sola eresia per dover rigettare tutto, perché l’Onnipotente non si contraddice, non si sbaglia e non inganna MAI, neanche in diluizioni omeopatiche. Chiunque disprezza Dio non obbedendo alla Sua volontà, alle sue leggi, quindi non amandoLo, può anche dare il corpo alle fiamme in nome e per amore Suo o avere una fede da spostare le montagne o una carità da sfamare il mondo intero, ma tutto ciò non serve a nulla, anzi, per la sostanziale superbia che queste opere celano, costituiranno paradossalmente il motivo principale della sua condanna. E ci ricordava che San Matteo nel capitolo VII del suo Vangelo scriveva quello che Gesù ripeteva: «Molti mi diranno in quel giorno: Signore, Signore, non abbiamo noi profetato nel tuo nome e cacciato demoni nel tuo nome e compiuto molti miracoli nel tuo nome? Io però dichiarerò loro: Non vi ho mai conosciuto; allontanatevi da me, voi operatori d’iniquità» (Mt. VII, 22-23).”. E l’agguerrita Caterina continua rivolta a Mimmo: “Se poi si riflette con un minimo di onestà intellettuale su quanto è accaduto con e dopo il Concilio o conciliabolo, si deve amaramente concludere che i conti non tornano, ma anzi registrano una sovversione tanto spettacolare da dover concludere che l’unico e occulto suo scopo sia stato quello di distruggere i capisaldi della Fede cattolica, in antitesi assoluta con le famigerate e quanto mai opportune: 1) Bolla “Execrabilis” di Papa Pio II Piccolomini, 2) Costituzione apostolica “Pastor Aeternus” Vaticano I . Il tutto, concepito e portato avanti dai marrani del giudaismo massonico, cioè da quella stessa élite che, da duemila anni, con una capacità sovrumana d’infiltrazione, mimetismo e simulazione, non ha mai cessato di tramare contro Cristo e la Sua Chiesa, nella quale ha sempre individuato il maggior (se non l’unico) ostacolo all’assoggettamento (soprattutto spirituale) del mondo e all’instaurazione dell’allucinante Nuovo Ordine Mondiale ormai alle porte. [Direttore, ma questa sta diventando come lo zio Pierre, anzi peggio! … e non è finita …]. Purtroppo (sempre per permissione di Dio, che si serve dei Suoi nemici: i giudei riprovati, per castigare i suoi amici: i cattolici fedifraghi che Lo hanno tradito come e forse peggio dell’Iscariota) ci sono riusciti, fino ad eclissare la Sposa di Cristo e sostituirla con una grottesca e mostruosa controfigura. La Madonna a La Salette (1846) ha pronunciato parole che schiacciano come macigni: «La Chiesa sarà eclissata… Roma perderà la fede e diverrà la sede dell’Anticristo». Ciò significa – tra l’altro – che siamo alla “Fine dei tempi”. “Bene cara nipote mia, ricordiamo allora a Mimmo, ancora le parole dello zio Tommaso che, quando ci vedeva svogliati nello studio della Religione, ci ricordava che: “ogni cattolico, cui preme la salvezza dell’anima propria e altrui, ha il sacrosanto dovere di verificare la propria Fede e approfondire il Magistero espresso in modo infallibile e irrevocabile dai DOGMI, perché da ciò dipende la sua eternità. Se non lo fa per pigrizia, per interesse, per comodità, perché “così fan tutti” [qui c’è un sobbalzo di Mimmo, che ricorda il titolo di un’opera di Mozart, … ma quello è “così fan tutte”!] o addirittura, per ambizione e superbia, quando si troverà davanti a Dio, avrà una sorpresa terribile, perché scoprirà la falsità e la vacuità della sua Fede e si precipiterà laddove capirà chiaramente di dover andare, colpevole per non aver voluto fare i doverosi accertamenti, verifiche e approfondimenti, immensamente più importanti della stessa aria che respira. Lo Spirito Santo non può assolutamente contraddire Se stesso, a meno che … non sia un altro “spirito”, ma quello non è santo, tutt’altro. L’eternità è una categoria che dovrebbe – da sola – far tremare chiunque. Se poi si associa al rischio (che per gli eretici ostinati diventa certezza), di andare incontro a un orrore senza limiti di tempo e di atrocità, c’è da inorridire. Quindi, miei cari, l’unica luce e guida sicura che il Cattolico ha ricevuto dal suo Divino Redentore per smascherare i sottilissimi insidiosissimi inganni del Demonio, compresi quelli ancor più subdoli dei cosiddetti “tradizionalisti”, “neo-gallicani”, “fallibilisti”, “sedevantisti” [aggiunge Caterina! … ma che strani vocaboli, direttore, ma lei li ha mai sentiti?] e giungere al porto della salvezza, è il Magistero infallibile ed irrevocabile sancito dai Dogmi (– repetitia iuvant e Mimmo dice da tifoso: “repetita Juventus” … ma che asino!) della Sposa di Cristo.

San Vincenzo da Lerino, nel suo “Commonitorium” ci chiarisce ancor meglio le idee: “Le formule dogmatiche sono immutabili quanto all’essenza, ma approfondibili quanto alla maggior penetrazione da parte dei fedeli e di tutta la Chiesa, ma solo nel suo genere, cioè nello stesso senso e nello stesso contenuto”. Dunque il dogma non può cambiare intrinsecamente, in sé, nè sostanzialmente, non può cioè passare da una verità ad un’altra essenzialmente diversa dalla prima. Esso può essere approfondito solo estrinsecamente da parte del soggetto conoscente (il Magistero della Chiesa ed i fedeli subordinati, in questo caso l’asino Mimmo!), ed accidentalmente, quanto al modo più profondo e al modo più preciso di esposizione. Questo significa quindi che la formula dogmatica, pur essendo vera in sé ed immutabile quanto alla sostanza, è perfettibile quanto al soggetto conoscente (la Chiesa docente e discente) e al modo di conoscenza sempre più profondo, e di espressione (sempre meglio), rimanendo immutata la sostanza della medesima verità. Diversamente si cadrebbe nel soggettivismo evolutivo, ove ognuno pensa quel che vuole e se ne fa un idolo falso senza fondamenti … e chi più chiacchiera più affabula!

L’Apostolo dei gentili poi ci mette in guardia: «Orbene, se anche noi stessi o un angelo dal cielo vi predicasse un vangelo diverso da quello che vi abbiamo predicato, sia anàtema! L’abbiamo già detto e ora lo ripeto: se qualcuno vi predica un Vangelo diverso da quello che avete ricevuto, sia anàtema!» (Gal. 1,8-9). Pio IX in “Dei Filius” ha scritto opportunamente: «La dottrina della fede che Dio rivelò non è proposta alle menti umane come una invenzione filosofica da perfezionare, ma è stata consegnata alla Sposa di Cristo come divino deposito perché la custodisca fedelmente e la insegni con magistero infallibile. Quindi deve essere approvato in perpetuo quel significato dei sacri dogmi che la Santa Madre Chiesa ha dichiarato, né mai si deve recedere da quel significato con il pretesto o con le apparenze di una più completa intelligenza. Crescano dunque e gagliardamente progrediscano, lungo il corso delle età e dei secoli, l’intelligenza e la sapienza, sia dei secoli, sia degli uomini, come di tutta la Chiesa, ma nel proprio settore soltanto, cioè nel medesimo dogma, nel medesimo significato, nella medesima affermazione». Pio XII ci ha ugualmente ammonito (in Humani generis): «Le verità che riguardano Dio e le relazioni tra gli uomini e Dio trascendono del tutto l’ordine delle cose sensibili; quando poi si fanno entrare nella pratica della vita e la informano, allora richiedono sacrificio e abnegazione. Nel raggiungere tali verità, l’intelletto umano incontra ostacoli della fantasia, sia per le cattive passioni provenienti dal peccato originale. Avviene che gli uomini in queste cose volentieri si persuadono che sia falso, o almeno dubbio, ciò che essi “non vogliono che sia vero”. Per questi motivi si deve dire che la Rivelazione divina è moralmente necessaria affinché quelle verità che in materia religiosa e morale non sono per sé irraggiungibili, si possano da tutti conoscere con facilità, con ferma certezza e senza alcun errore». Direttore, è tutto chiarissimo, a questo punto siamo tutti stravolti, chi più chi meno, e speriamo che non lo sia anche lei! La saluto con affetto quindi, … alla prossima!

La strana sindrome di nonno Basilio -4-

Caro direttore, eccomi ancora a lei ed alla sua cortese attenzione per renderla partecipe, se di suo gradimento, di una discussione intervenuta, come al solito in questi ultimi tempi, tra me ed i miei cari nipoti a proposito delle nuove dottrine del Vaticano II e Vat’inganno III … come io lo chiamo: il Concilio mai convocato ma che procede incessantemente, alimentato da teologi cosiddetti di sinistra e di destra, prelati e gerarchie neo-moderniste, come sento dire Caterina, mia nipote, che al riguardo si sta facendo una gran cultura. Ma veniamo ai fatti: in una bella giornata di sole, ero seduto sul mio divanetto preferito immerso nella lettura di un passo biblico, per l’esattezza il Capitolo XVIII del I libro dei Re che, come lei ben sa, riporta l’episodio di Elia che sul monte Carmelo sfida i 450 sacerdoti di Baal. Immerso nella lettura, cercando di ricordare le infuocate omelie che lo zio Tommaso, buon’anima, faceva su questo passo, non mi ero accorto che nella camera, inondata di luce, erano entrati Caterina e Mimmo, che tutto giocondo aveva con sé un “paccotto” di fogli e giornali. Su uno di questi fogli era stampigliata la scritta: le “NUOVE DOTTRINE” DEL VATICANO II”. Le confesso che di questo concilio non ne so quasi nulla, a differenza del Vaticano I, perché la mia memoria, come le ho già accennato in altra lettera, si complicò proprio quando fu convocato da un Papa strano, cicciottello, paffuto, apparentemente simpatico e bonaccione (che, mi perdoni l’ardire, non aveva nulla dell’aspetto maestoso e ieratico ad esempio di un santo come Pio X, o anche del suo predecessore, il grande Pio XII!, … forse era la mia malattia, ma a me sembrava un beone appena uscito da una locanda malfamata, con la faccia rubiconda e l’addome a mongolfiera …) lasciandomi nel buio che sto ora faticosamente tentando di allontanare. Devo perciò ricorrere alle notizie “colorite” e a tratti anche spassose di Mimmo (… mi fa fare grandi risate, che però stranamente non mi mettono di buon umore), e alle ricerche più serie e “scolastiche” di Guendalina. Ecco Mimmo partire alla carica, ascolti che cosa mi ha detto, con fare ironico e beffardo (lo so che mi vuole un gran bene, ma lui è fatto così!): “Ascolta, nonno Basilio, impara finalmente quello che sta scritto in “Nostra Aetate”, uno dei grandi documenti del Vaticano II. E dal foglio stampato legge: “Nella dichiarazione Nostra Aetate sulle religioni non cristiane, i Padri conciliari annunciavano al mondo di aver scoperto finalmente (e, a parer loro, dopo un sonno letargico del Magistero protrattosi per… duemila anni, pensi un po’!) addirittura la sostanziale … bontà delle altre religioni. Proprio quelle che l’oscurantista Chiesa “preconciliare” aveva invece costantemente considerato e condannato come false religioni”. Subito interviene Caterina dicendo: “ma Mimmo, anche il noto missionario “conciliare” p. Piero Gheddo, tra gli altri, ammetteva che “nella tradizione missionaria le grandi religioni non cristiane erano viste come “paganesimo”, come ostacoli alla diffusione del messaggio cristiano. Anche grandi santi e missionari, come S. Francesco Saverio e Matteo Ricci, hanno avuto parole di fuoco contro induismo e buddhismo, confucianesimo e taoismo”! Come è possibile che oggi si dicano queste cose, direttore? (mi conforti, mi confermi che si tratta di uno scherzo di Mimmo, la prego …) e non è mica finita qui, perché i “Padri del Vaticano II” invece, sempre teleguidati dai “nuovi teologi” (questi ultimi veramente credo che siano usciti da un’operetta, facenti parte di quel mondo che piace tanto a Mimmo) non si peritarono di gabellare al povero “popolo di Dio” che, ad esempio, nell’Induismo, continua sempre il caro Mimmo citando il documento, “ … gli uomini scrutano il mistero divino e lo esprimono con l’inesauribile fecondità dei miti e con i penetranti tentativi della filosofia ( … ma come mitologia e filosofia partorita da menti bislacche dedite a droghe ed allucinazioni …!1) cercando la liberazione fisica attraverso forme di vita ascetica, sia nella meditazione profonda (… ed io di letargia comincio ad intendermene, sa, direttore!!), sia nel rifugio in Dio con amore e confidenza”(chissà cosa volessero intendere, … che linguaggio mellifluo!). E questo è ancora poco rispetto al Buddhismo nel quale, secondo i “Padri del Vaticano II”, addirittura “… si insegna una via per la quale gli uomini, con cuore devoto e confidente, siano capaci di raggiungere lo stato di liberazione perfetta (liberazione dalla ragione, evidentemente o da cos’altro? –n.d.r.-) o di pervenire allo stato di illuminazione suprema (anche qui gli Illuminati … ma da cosa, e soprattutto da chi? – n.d.r.) sia per mezzo dei propri sforzi, sia con l’aiuto venuto dall’alto (sembrebbe più dal basso! – n.d.r. -)”. “Sarei ben curioso allora di sapere, dico a Mimmo rovistando nei miei ricordi giovanili, cosa ne pensavano, i suddetti “Padri conciliari” (chissà perché mi viene sempre da schiacciare la L) ed i loro “periti”, del Tantra-yoga e del Saktismo induista, o del Tantrismo buddista, come il Vajrayana – tanto per limitarci a tre soli esempi – nei quali gli adepti vengono istruiti a giungere alla suddetta “liberazione perfetta” ed “illuminazione suprema” per mezzo di pratiche magiche ed erotico-orgiastiche, logica conseguenza, peraltro, delle premesse filosofiche di quelle due gnosi anticristiane, vero e proprio pot-pourri pseudo-religioso in cui finisce per annegare ogni ragionevolezza (non vi si ammette, tra l’altro, alcun Dio personale perché il “Brahman” induista è per essenza “impersonalità”, mentre il Buddismo è sostanzialmente agnostico. Altro che “rifugio in Dio con amore e confidenza…, qui ci rifugiamo in ben altra profondità”!!!). Nel timore, comunque, che lo sventurato “popolo di Dio”, ancora anacronisticamente ancorato alle “vecchie verità” preconciliari, non avesse ben afferrato la nuova dottrina del Vaticano II sulla globalizzante e modernistica sostanziale bontà di tutte le religioni, contraddicendo l’intero millenario Magistero e tutta la Scrittura Sacra, mai citata ovviamente, i suddetti “Padri” (mi viene sempre la L … mannaggia …!) precisavano, senza possibilità di equivoci … – è ancora Mimmo che parla leggendo il documento – che: “la Chiesa Cattolica (…) considera con sincero rispetto quei modi di agire e di vivere, quei precetti e quelle dottrine che, quantunque in molti punti differiscano da quanto essa stessa crede e propone, tuttavia non raramente riflettono un raggio di quella Verità che illumina tutti gli uomini”. Incredibile?!?! Ma caro Mimmo, guarda che tutto all’opposto, la Chiesa Cattolica – quella autentica, e nonostante tutto io me la ricordo ancora bene! – ha invece sempre insegnato che eventuali verità, più o meno numerose, presenti in un sistema religioso falso, non lo rendono per questo buono, ma servono a meglio ingannare gli incauti e gli sprovveduti, mascherandone gli errori e gli orrori, come in questo caso. Caro direttore, mi sono riguardato anch’io quel documento, in cui ecco ora, i “Padri del Vaticano II” proclamare sfrontatamente il rispetto della Chiesa, non – si badi – per le persone, bensì proprio per quei vani e spesso immorali ed immondi “precetti” e per quelle false “dottrine” dal sapore decisamente gnostico, che tengono tuttora sotto il loro giogo miliardi di esseri umani, mettendo a grave rischio – ci creda o no la Gerarchia “conciliare” – la loro salvezza eterna. Questa volta oltre che stanco, sono anche avvilito, ma le vorrei solo far notare la nuova nozione, neomodernista, di “missione” in Nostra Aetate (… tanto per parlare, perché penso che si tratti sicuramente della solita burla di Mimmo. La Chiesa, infatti, per gli ineffabili “Padri del Vaticano II” (mi si sarà rotto il tasto del computer … viene sempre prima la L, chissà come mai, bohh … ) è tenuta ad annunziare incessantemente il Cristo che è “via, verità e vita” (Gv. XIV, 6) in cui gli uomini devono trovare la pienezza della vita religiosa”. I non cristiani, insomma, per chi non l’avesse ancora capito, sarebbero già graditi a Dio così come sono; mentre la loro eventuale conversione costituirebbe un semplice “optional” in vista di una maggiore perfezione (la “pienezza della vita religiosa” di cui sopra). A questo punto sbotto, direttore, ma questo è un “ribaltone” dottrinale in piena regola, è il trionfo della gnosi che alcuni dicono “spuria”, ma io dico semplicemente “gnosi” e che è in verità, la contro-teologia del serpentone!! Tradimento, tradimento!!! Dopo il Concilio Tridentino, abbiamo il concilio … “tradimentino”! Qui si attualizza la lettura biblica in cui ero immerso: ci vuole di nuovo un “Elia”, Profeta dell’Altissimo, che affronti i nuovi sacerdoti di Baal (i Ladri della vera fede … ah ecco la “L” …) e li sbeffeggi, li smascheri, togliendo loro la corazza di finta e sinistra luce di cui, come gli angeli primordiali sprofondati, si sono rivestiti, ridicolizzandoli davanti al popolo confuso, e facendo loro piombare addosso il fuoco divoratore! Ma sono sicuro, glielo dico ancora, che … Mimmo si sia ancora preso gioco di me, e il tutto finirà in risate davanti ad un buon piatto di tagliatelle, perché tanto nessuna autorità, neanche la più elevata nella gerarchia (o più probabilmente, a questo punto, “falsa” e ignobile gerarchia), può costringerci ad abbandonare o a diminuire la nostra Fede cattolica, chiaramente espressa e professata dal magistero della Chiesa da venti secoli. E poi, far conoscere la verità, convertire, è un atto di carità autentico che i cristiani devono, se veramente tali, rendere ai loro fratelli che vivono nelle tenebre, perché è in gioco la cosa più importante per un essere umano: la salvezza eterna dell’anima! “Caro Mimmo – dico a mio nipote – la religione Cattolica, non è un’associazione culturale, una ideologia astratta che si contrappone a filosofie o a scuole di pensiero, una onlus, una ONG o peggio … come sembra oggi, una “conventicola” filantropica guidata da marrani, oppure un istituto di carità o di beneficenza, un volontariato dedito ai bisogni o alle miserie corporali che affliggono il genere umano, è in parte anche questo, se vogliamo, in una certa misura, rientrando nelle opere di misericordia corporali del Catechismo di sempre, ma la sua funzione principale, il suo vero scopo, per cui Dio stesso si è incarnato nella Persona del Figlio, ed è morto in Croce per soddisfare il Padre per i nostri peccati, ed al quale tutti siamo chiamati indistintamente a collaborare, con i mezzi che il Signore stesso mette a disposizione di ognuno, (… i talenti!) sostenuti dalla preghiera incessante e dai Sacramenti, è la salvezza eterna dell’anima, il raggiungimento della vera Felicità, l’eterna felicità! Non ha forse detto Gesù: Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato”?(S. Matteo XXVIII,19-20), e ancora più crudamente in S. Marco XVI,15-16 “Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo, ma chi non crederà sarà condannato”? Se veramente amiamo Dio ed il nostro prossimo, non possiamo esimerci da questo compito fondamentale che il Signore ci ha affidato (forse per il Concilio, occorre modificare e cancellare questi scomodi passi entiecumenici del Vangelo … beh … certo che il Signore è proprio ostinato, non vuole modernizzarsi, adeguarsi ai tempi, ai capricci del mondo, non conosce Freud e la sua falsa “scienza”(!?!) psicoanalitica che vuole la liberazioni delle passioni perché il peccato appartiene al corpo materiale, non all’anima “pura fiammella” divina di gnostica memoria … : è un reazionario tradizionalista … bisogna fargli un po’ di catechismo … magari quello olandese, insegnargli la teologia di Rhaner, Tehillard de Chardin o di qualche “Illuminato volpone bavarese”, di qualche “gatto della Pampa”, il gatto e la volpe che vogliono trascinare il povero Pinocchio nel paese di Bengodi … (eh, che ne dice direttore?), di apportare cioè il sovrannaturale nel mondo (… siamo nel mondo ma non del mondo!..), sostenendoci con la sua grazia: se non convertiamo non ci salviamo né noi (… guai se non predicassi il Vangelo, diceva l’Apostolo dei gentili) né i nostri fratelli. Chi ritiene che bisogna rispettare le culture, i costumi sociali, ideologici e (falsamente) religiosi impastati da sentimentalismo o da elementi naturali dei popoli, rituali di magia nera ed altre nefandezze, e che vivono in una dimensione spirituale negativa, lontani dal Cristo Salvatore che riscatta dalla colpa originale in una prospettiva di salvezza eterna e definitiva, è semplicemente un illuso o un idiota in mala fede, che fa il gioco del serpentone ingannatore, quello che si mangia la coda … che, sotto l’apparenza di un falso pacifismo e di una solidarietà, accoglienza o quant’altro oggi diffuso dalla strombazzante ideologia ecumenico-mondialista della globalizzazione fraternizzante, egalitaria e (pseudo)liberalizzante, perché rende facilmente asservibili ai rapaci sfruttatori e ai nemici di tutti gli uomini, vuole allontanarci dalla grazia divina, dalla salvezza eterna e portarci, con illusorio e falso buonismo nella sinagoga del … “farfariello” (… come lo chiamava mia nonna Margherita), a fargli compagnia! … intelligenti pauca! … Non per nulla scriveva S. Paolo a Timoteo, suo degno discepolo: “O Timòteo, custodisci il deposito; evita le chiacchiere profane e le obiezioni della cosiddetta scienza, professando la quale taluni hanno deviato dalla fede.” (1 Tim. VI, 20-21) e : “… Ti scongiuro davanti a Dio e a Cristo Gesù che verrà a giudicare i vivi e i morti, per la sua manifestazione e il suo regno: annunzia la parola, insisti in ogni occasione opportuna e non opportuna, ammonisci, rimprovera, esorta con ogni magnanimità e dottrina. Verrà giorno, infatti, in cui non si sopporterà più la sana dottrina, ma, per il prurito di udire qualcosa, gli uomini si circonderanno di maestri secondo le proprie voglie, rifiutando di dare ascolto alla verità per volgersi alle favole. Tu però vigila attentamente, sappi sopportare le sofferenze, compi la tua opera di annunziatore del vangelo, adempi il tuo ministero” (2 Tim. IV,1-5). Rifuggiamo allora dal fuorviante dialogo che non arricchisce in nessun modo un Cattolico vero, (al contrario lo contaminano della melma in cui si sbrodolano i suini …!) conserviamo il deposito della fede trasmesso dagli Apostoli e dal Magistero autentico, infallibile ed irreformabile della Chiesa Romana, conserviamo la fede, sbandieriamola quando è opportuno e quando non lo è (cioè sempre!), in ogni circostanza, e che il Signore salvi la Chiesa dalle conseguenze delle colpe degli “uomini della Chiesa”, o ivi infiltrati! Preghiamo senza stancarci, chiediamo perdono a Dio per le nostre colpe, come faceva Santa Caterina da Siena quando voleva persuadere i prelati … miserere mei … !! Sento la pressione che comincia a salire, la devo lasciare, mi dispiace, ma vedrà, tornerò presto ad importunarla, direttore! Saluti cordiali da nonno Basilio e famiglia.