DIVINITA’ DI GESU’ CRISTO

Divinità di Gesù Cristo.

[G. Bertetti: Il sacerdote predicatore; S.E.I. Ed. Torino, 1919 – impr.]

– 1° Gesù Cristo si rivela Dio nella sua nascita. — 2. Dalle sue parole. — 3. Dalle sue opere. — 4. Nella sua morte. — 5. Nella sua risurrezione.

1°- GESÙ CRISTO SI RIVELA DIO NELLA SUA NASCITA. — Nessun uomo riesce a far parlare di sé, prima della sua nascita … e chi a questo fosse riuscito, non sarebbe più un uomo soltanto, ma un Dio … Gesù Cristo solo fra tutti gli uomini ebbe il privilegio d’aver vissuto prima di nascere nella memoria dell’umanità per lo spazio ininterrotto di quattromila anni:… si fece conoscere, amare, adorare:… non solo presso il popolo giudaico, i cui profeti con tanta profusione ne parlarono, che si direbbe ne abbiano scritta la biografia come di persona già vissuta, … ma anche presso tutt’i popoli della terra, che aspettavano un redentore

– GESÙ CRISTO SI RIVELA DIO DALLE SUE PAROLE. — Gli uomini parlano in nome della giustizia, della scienza, del progresso, dell’umanità … nessuno parla in nome di se stesso;… nessuno si vanta d’essere il perfetto esemplare, degno d’ogni imitazione. Nessun uomo s’è sentito il coraggio di parlare a tutta l’umanità … si parla a una famiglia a una scuola, a un popolo … si parla per un limitato periodo di tempo e non per sempre. Gesù solo ha parlato a tutta l’umanità, senza limitazione di spazio e di tempo;… egli solo ha potuto dire: « Son venuto a portare la verità a ogni uomo; chiunque riceve la mia parola, sarà salvo, chiunque la respinge, sarà condannato… Andate e predicate l’Evangelo a ogni creatura ….. », Solo un Dio può parlare così… Gesù parla e dice: « Io sono il Cristo, il Figlio di Dio: … io e il Padre mio siamo una cosa sola … mio è tutto quello che ha il Padre mio; prima che Abramo ci fosse, io sono … ho posseduto la gloria nel seno del Padre mio, prima che il mondo ci fosse … come il Padre risveglia i morti e li rende alla vita, così il Figlio vivifica quel ch’Egli vuole:….» Gesù non avrebbe potuto proclamarsi in modo più chiaro e in modo più solenne Dio vero e immortale … l’intesero i discepoli che per bocca di Pietro dissero: « Tu sei il Cristo, il Figlio di Dio vivo »;   l’intesero i Giudei che vollero lapidarlo perché si faceva Dio, » com’essi dicevano, l’intese il gran consiglio della nazione giudaica, che lo condannò a morte come bestemmiatore perché si proclamava Dio. Solo fra tutti gli uomini Gesù Cristo si proclamò Dio apertamente e costantemente: dunque Gesù Cristo è vero Dio. Se ciò non fosse, bisognerebbe ammettere ch’egli fu il più dissennato fra gli uomini nel credersi Dio senza esserlo, … il più scellerato nel proferire la più orribile bestemmia.

3° – GESÙ CRISTO SI RIVELA DIO DALLE SUE OPERE. —

– Gesù Cristo esercitò nell’ordine fisico un’azione veramente divina e illimitata, dimostrandosi padrone assoluto della natura: … cambia l’acqua in vino, … moltiplica i pani, … cammina sui flutti, … calma le tempeste, … guarisce malattie insanabili, . . . risuscita i morti … E tutto ciò con una parola, … con un gesto,… con un segno della sua volontà… E ciò fa al cospetto di tutto un popolo,… al cospetto dei suoi nemici, di cui nessuno osa contestargli la potenza sovrumana e ch’Egli sfida apertamente: « Se non volete, credere alla mia parola, credete almeno alle mie opere, perché le opere ch’io faccio rendono testimonianza di me » Anche i santi fecero dei miracoli, ma operavano come servi di Dio, e semplici servi di Dio si proclamavano;… Gesù invece opera da padrone, opera da Dio, comanda da Dio: « Lo voglio, sii guarito!… Giovanotto, ti dico: sorgi! … Lazzaro, e vieni fuori» Questa potestà sovrannaturale gli è talmente propria da comunicarla ai suoi discepoli: « Nel mio nome cacceranno i demoni, parleranno in lingue sconosciute, leveranno via i serpenti, non sentiranno bracci il mortifero effetto dei veleni, con l’imposizione delle mani guariranno gl’infermi Anzi, chi crederà in me, non solo farà le opere ch’io faccio, ma ne farà ancora delle più grandi » …

– Gesù Cristo operò da vero Dio nell’ordine intellettuale.:… Dio ha dato all’uomo la facoltà di conoscere in modo limitato il presente e il passato; ma s’è riservata a sé la conoscenza del futuro, affinché se qualcuno venisse a noi col dono della profezia potessimo conchiudere che non è l’uomo ma Dio che parla con la sua bocca, e ch’egli è un inviato da Dio o Dio stesso. Molti profeti sorsero prima di Gesù Cristo, ma tutti si professarono soltanto inviati da Dio per annunziare la verità; nessuno si proclamò Dio; … lo stesso Battista, l’ultimo grande profeta, protestò d’essere soltanto la « voce di chi grida nel deserto: preparate la strada del Signore; »… protestò di non essere lui il Messia, ma invece quello Sconosciuto di cui non era degno di sciogliere i calzari Gesù che predisse in modo così preciso e particolareggiato la sua passione e morte, la sua risurrezione, la diffusione dell’Evangelo, la distruzione di Gerusalemme, si proclamò nello stesso tempo Figlio di Dio, Dio come il Padre … dunque Gesù Cristo è Dio Se non fosse Dio, bisognerebbe supporre che Dio stesso avesse posto la profezia in servigio dell’impostura e della bestemmia e che si fosse reso complice nel trascinare il mondo in un errore irrimediabile …..

– Gesù Cristo operò da Dio nell’ordine morale — È umanamente grande quell’uomo, che col suo ingegno s’innalza dal poco o dal nulla alle vette del sapere e delle dignità; … ma farsi piccolo quando si potrebbe essere grande, condannarsi spontaneamente alla povertà, all’oscurità, alla sofferenza suppone una forza morale superiore a quella del cuore umano; … la forza ch’ebbe soltanto Gesù Cristo e ch’Egli seppe comunicare, contrariamente a tutte le idee del mondo, ai suoi discepoli … Lui che sazia miracolosamente migliaia di persone, vive col pane della carità, non ha un giaciglio su cui posare il capo … passa trent’anni di vita nascosta, e nella sua vita apostolica proibisce ai discepoli e agl’infelici da lui beneficati di pubblicare le opere sue stupende, fugge quando vogliono farlo re … va invece esultando verso la passione e la morte …  Gesù Cristo praticò questa povertà, oscurità e sofferenza volontaria, con un entusiasmo superiore a quello onde i mondani vanno in cerca della ricchezza, della fama, dei piaceri … – Solo un cuore divino poteva sacrificarsi tutto a Dio e agli uomini, come fece Gesù …  Si sacrificò alla gloria di Dio, consacrandosi tutto al trionfo della giustizia e della verità, nonostante i disprezzi, gli oltraggi, le fatiche le persecuzioni … dalla Giudea in Samaria, dalla Samaria in Galilea, nelle città e nei villaggi, notte e giorno annunziando il regno di Dio … Si sacrificò alla salute delle anime, insegnando la celeste dottrina, sanando le miserie corporali e spirituali, consolando gli afflitti, sollevando i peccatori, regalandoci il suo sangue e la sua vita … E mentre che noi, solo a costo di grandi lotte con noi stessi, arriviamo ad acquistar la forza necessaria per compiere un sacrificio, Gesù lo fa con tanta calma e semplicità da far chiaramente apparire che in lui la forza del sacrificio è un’emanazione naturale di se stesso e della sua divinità — E solo un uomo Dio poteva estendere a tutta l’umanità il suo sacrificio, abbracciando in un solo amplesso tutti gli uomini, ricchi e poveri, dotti e ignoranti, Greci e Barbari, Giudei e Gentili. … Il cuor dell’uomo è naturalmente ristretto fra l’amore di se stesso, della famiglia, della patria: e quando cerca di allargarsi oltre questi limiti, se non è attratto da qualche utile, sente la necessità d’un soccorso sovrumano per sorpassare le barriere dell’egoismo … Il cuore di Gesù si dilata all’infinito, senza alcuno sforzo, con un’espansione illimitata e in lui connaturale …

– GESÙ SI RIVELA DIO NELLA SUA MORTE. — Nessun uomo può prevedere come e quando morrà:.., Gesù predice in modo chiarissimo e particolareggiato la sua morte di croce;… e la predice con calma come se si trattasse della cosa più ordinaria… senza lamenti e senza ostentazione — Nessun uomo ha libera la scelta della sua morte:… ma se avesse tale scelta, preferirebbe certo una morte gloriosa a una morte ignominiosa … Gesù fa questa scelta … Gesù solo può dire: «Nessuno può togliermi la vita, ma Io la depongo da me stesso, e son padrone di deporla, e son padrone di riprenderla» (IOAN., 20, 18) … e fin quando non è venuta la sua ora, l’ora da lui voluta, invano i suoi nemici tentano d’ucciderlo … Gesù, supremo dominatore della vita e della morte, non si sceglie una morte placida e soave, non una morte gloriosa, ma la più dolorosa, e la più ignominiosa delle morti … Soltanto un uomo Dio poteva trovare in se stesso la forza di discendere fino a quest’ultimo grado d’umiliazione …

– Solo un uomo Dio poteva conservare nella sua lunga dolorosa passione una pazienza inalterabile, una calma sovrumana; … solo un uomo Dio poteva esclamare sulla croce per i carnefici che l’avevano confìtto: « Padre, perdona loro, perché non sanno ciò che si fanno ».

– GESÙ SI RIVELA DIO NELLA SUA RISURREZIONE (V. Risurrezione).

PERSEVERANZA

PERSEVERANZA

[E. Barbier: I Tesori di Cornelio Alapide ; S.E.I. Ed. Torino, 3a ed. 1930]

1.-Necessità della perseveranza. — 2. Per perseverare ci vuole coraggio. — 3. Motivi di attendere alla perseveranza. — 4. Esempi di perseveranza. — 5. Eccellenza e vantaggi della perseveranza. — 6. Facilità della perseveranza. — 7. Disgraziati quelli che non perseverano! — 8. Mezzi di perseverare.

1. Necessità della perseveranza. — Dopo che Gesù Cristo aveva già detto in particolare della preghiera che « è necessario pregare sempre, cioè perseverare nella preghiera, e non stancarsi mai di pregare » (Luc. XVIII, 1); venne ad una sentenza più generale e disse perentoriamente che « quegli solo andrà salvo, il quale persevererà fino in fin di vita, nella fede, nella pietà, nella religione, nell’adempimento insomma di tutto ciò che costituisce la vita del cristiano » (Matth. XXIV, 13). Perché «chi mette mano all’aratro e si rivolge indietro, non è fatto per il regno dei cieli » (Luc. IX, 62). E con ragione: infatti non è forse l’uomo tenuto a progredire sempre in perfezione? Sì certo: e come potrà egli pervenirvi senza perseveranza? Ricordatevi, dice S. Bernardo, che il cristiano non si obbliga a servire Dio per un anno o per un determinato tempo, come un mercenario; ma per tutta la vita come un figlio; e quindi per quanto corra, non avrà mai il premio, se non corre fino alla morte : e ne ha esempio in Gesù Cristo che fu obbediente fino alla morte.
Ascoltiamo i salutari ammaestramenti che ci forniscono su questo punto gli Apostoli. S. Paolo, per animare i Romani a non più ricadere nel peccato dopo esserne siati mondati col battesimo e con la penitenza, ma a perseverare nel bene, propone loro l’esempio di Gesù Cristo il quale risuscitato una volta da morte, più non muore (Rom. VI, 9); e incoraggiava i Corinzi a mantenersi fermi e saldi, a proseguire anzi più alacri nelle opere del Signore, col ricordare loro che di quanto facessero, Dio nulla avrebbe lasciato senza mercede (I Cor. XV, 58). I Galati ammoniva che stessero nella libertà ricevuta da Cristo, e non si lasciassero più piegare al giogo della servitù del demonio; che non facessero solamente il bene in sua presenza, nè si stancassero qualche volta di farlo, ma fossero sempre zelanti per tutto ciò che vi è di buono (Gal. V, 1) (Gal. VI, 9) (id. IV, 18). – Scongiurava gli Efesini, per le sue catene, che si regolassero in maniera degna della loro vocazione, cioè come figli di luce, perché se altre volte erano stati tenebre, fatti cristiani erano divenuti luce del Signore (Eph. IV, 1) (Id. V, 8). Sì, la vocazione del cristiano è la perseveranza nel bene che egli cominciò a praticare dal punto in cui pose piede nelle vie spirituali. Ma chi cammina, moltiplica i suoi passi, avanza per arrivare alla mèta; voi dunque che avete ricevuto Gesù Cristo, vi dirò col medesimo Apostolo, camminate sui suoi passi, stretti a lui, edificati sopra di lui, e fermi nella fede che vi fu insegnata, ma fermi così ch’ella cresca ogni giorno nella vostra gratitudine (Coloss. II, 6-7). Guardate che nessuno di voi manchi alla grazia di Dio; non lasciate che la stanchezza vi accasci, o la tristezza vi abbatta (Hebr. XII, 15-3). – Crediamo rivolto ad ognuno di noi in particolare quel comando di San Paolo a Timoteo: « Ti ordino innanzi a Dio che tutto vivifica, e innanzi a Gesù Cristo, di osservare questo precetto immacolato e irreprensibile, fino alla venuta del Signore; perchè chi combatte nell’arringo, non è coronato se non ha combattuto come deve » (I Tim. VI, 13-14) (Il Tim. II, 5). – « Voi dunque, o fratelli miei, vi dirò con S. Pietro, che avete conosciuto il bene, custoditelo gelosamente, perchè non vi accada di scadere dalla vostra fermezza; ma crescete nella grazia e nella conoscenza del nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo » (II Petr. III, 17-18). « Conservatevi nell’amor di Dio », vi dirò con S. Giuda. « Mantenetevi fedeli fino alla morte », vi ripeterò con S. Giovanni (Apoc. II, 10). « Ricordatevi di quello che avete udito e ricevuto, e osservatelo per modo che chi è giusto lo divenga di più; chi è santo, diventi più santo » (Id. III, 3) (Id. XXII, 11). – « Tenetevi fermi dinanzi al Signore », inculcava Samuele al popolo ebreo (I Reg: X, 19). « Sta saldo a tuo luogo, dice a ciascun uomo il Savio, e persevera nell’invocazione dell’altissimo Iddio » (Eccli. XVII, 24). Ben comprendeva questa necessità della perseveranza il Salmista il quale diceva a Dio: « Assodate i miei passi per la strada che conduce a voi, affinché non mi avvenga di barcollare » (Psalm. XVI, 5).

2. Per perseverare ci vuole coraggio. — Tutte le frasi che adopera nella Santa Scrittura lo Spirito Santo, quando parla di perseveranza nel bene, accennano a fortezza, a coraggio, a lotta, a combattimento, a sforzi, a fatiche : « Noi ci sforziamo di piacere a Cristo », confessava di sé l’Apostolo delle genti (II Cor. V, 9); e scrivendo a Timoteo lo confortava che combattesse il buon combattimento della fede, e s’impadronisse della vita eterna alla quale era chiamato (I, VI, 12); altra volta lo esortava a fortificarsi nella grazia della perseveranza che è in Cristo Gesù (II, II, 1).
« Una pietra quadrata, scrive S. Agostino, da qualunque parte si volti, si ferma e sta; così dev’essere del cristiano; egli deve temprarsi ed acconciarsi ad ogni tentazione in modo che per nessun urto cada, per nessun assalto crolli, ma si trovi saldo in ogni circostanza ». Il levriere che scorge la lepre, la insegue tra selve e spine e burroni, né cessa di correre finché non l’abbia presa. Ecco l’immagine del cristiano che aspira alla vita eterna… – Fratelli miei, scriveva S. Paolo ai Filippesi, io cammino verso la mèta che mi fu assegnata dal Signore Gesù Cristo. Non penso affatto di averla raggiunta, ma solamente, obliando quello che mi sta dietro e spingendomi a quello che mi sta dinanzi, tendo al termine, alla ricompensa celeste che Dio mi destina in Cristo Gesù. Noi tutti dunque che vogliamo essere perfetti, siamo di questo sentimento (Philipp. IlI, 12-15). L’Apostolo esamina, non dove è giunto, ma quello che gli resta di via da percorrere, per giungere al cielo. E si sforza e suda per tendere alla vita eterna, dimenticando tutto il resto… « Beati quelli, dice a questo proposito S. Gerolamo, i quali non riposando su le opere di giustizia per lo innanzi fatte, ogni giorno, a imitazione dell’Apostolo, si rinnovano e progrediscono in virtù: poiché la giustizia non giova al giusto dal giorno in cui egli cessa di essere tale. Santità è, non cominciare ma finire ». Quindi S. Cipriano, scrivendo ai martiri, così li esortava: «Se il combattimento vi chiama, se il giorno della battaglia è giunto, combattete da valorosi, lottate con perseveranza: ben sapendo che vi battete sotto gli occhi del Signore, che i generosi vostri sforzi sta considerando ».
La moglie di Lot fu cambiata in una statua di sale, non appena fermò il piede e si voltò indietro : per significarvi che vera sapienza è progredire, dannosa follia è arrestarsi o indietreggiare… Serva questo esempio a incuterci un salutare spavento, mentre ci dà un utile ammaestramento. Il cristiano è raffigurato in quel cavaliere che fu veduto da S. Giovanni nell’Apocalisse, montare un bianco cavallo e partire vincitore con nella destra un arco e in capo una corona, per vincere ancora (Apoc. VI, 1-2). Egli deve, come la Sposa dei Cantici, levarsi la notte, percorrere la città, cercare colui che è l’amore dell’anima sua; cercarlo per le contrade e per le piazze; e trovatolo afferrarlo, stringerlo, abbracciarlo così stretto che non l’abbandoni mai più (Cant. III, 2-4). – « Sta nel luogo, nell’uffizio che ti è toccato e continua nella preghiera », ci dice lo Spirito Santo (Eccli. XVII, 24). Questa parola sta, dimora, sii fermo, significa: 1° la lotta che si deve sostenere contro i nemici per perseverare… ; 2° il coraggio, l’energia con cui si deve combattere per ottenere la perseveranza … Sta, tienti saldo; resisti generosamente; non cedere, non indietreggiare; solo in questo modo tu persevererai… – I soldati, sul campo di battaglia, resistono, combattono con eroico valore; tuttavia qualche volta sono vinti dai nemici. Ma i soldati di Gesù Cristo, se si tengono fermi, sono sempre vittoriosi; poiché nessuno può rapire loro la virtù e la perseveranza nella virtù; nessuno, eccetto la loro propria volontà… Essi si mostrano quali li dipinge S. Cipriano, irremovibili in mezzo alle torture, più forti dei carnefici; e le loro membra scerpate, slogate, peste, resistono alle verghe, ai graffi, alle lame ardenti. Il più lungo e atroce supplizio non può vincere la loro fede; e quando non possono più servire Dio con i loro corpi, perché esanimi, non cessano di servirlo con le loro ferite (De Martyr.)… Sta, invincibile e perseverante contro il demonio, le tentazioni, il mondo, la carne. – Entrate a parte della felicità dei Santi, vi dirò con l’Ecclesiastico, per mezzo delle buone opere; studiatevi di progredire ogni giorno in virtù, perchè entriate nel numero di quelli che vivono e danno gloria a Dio; andate al cielo, vivete per l’eternità (Eccli. XVII, 25). Fruttificate come rosai piantati presso un ruscello (Eccl. XXXIX, 17). Crescete, moltiplicate le vostre virtù, spiegatele; siate fecondi in foglie, in fiori, in frutti di carità, di pazienza, di umiltà, di soggezione, di modestia, di purità, e di ogni virtù… « Studiate a divenire migliori di giorno in giorno, dice S. Basilio; progredite nelle virtù, affinché vi accostiate sempre più agli angeli e diveniate simili a loro ».

3. Motivi di attendere alla perseveranza. — « Io proseguo, dice l’Apostolo, per arrivare allo scopo » (Philipp. Ili, 12). Queste parole cosi spiega il Crisostomo: Io ho tuttavia una vita piena di combattimenti; mi trovo ancora lontano dalla mèta, sono poco avanzato nella corsa. Il grande Apostolo usa il verbo perseguito anziché corro; perchè colui il quale anela dietro un oggetto, se lo fa con ardore, non bada a persona, supera coraggioso ogni ostacolo, v’intende gli occhi, il cuore, il corpo, le forze, l’anima tutta; non pensa ad altro, ma tutto si volge ad ottenere il suo fine (In Verb. Apost.). – « Ecco che io vengo presto, dice il Signore nell’Apocalisse; e porto con me la mercede, per ricompensare ciascuno a ragione delle opere sue » (Apoc. XXII, 12). « Mantenetevi dunque fedeli fino alla morte, ed io vi cingerò la corona di vita» (Apoc. II, 10). « Badate a tenervi ben custodito ciò che avete, affinché non sia data ad altri la vostra corona » (Id. IlI, 11). – Regoliamoci in modo, secondo l’avviso di S. Paolo, che guadagniamo sempre meglio (I Thess. IV, 1). Perché parola certa e degna di fede è questa, che se noi moriamo con Gesù Cristo, vivremo con lui.; se con lui duriamo nei patimenti, con lui regneremo (II Tim. II, 11-12). Noi conserveremo mirabilmente l’acquisto fatto, se studieremo del continuo ad acquistare; invece vedremo diminuire e andare in fumo quello che possediamo, se cessiamo dall’aggiungervene. Come stanno bene su le labbra del cristiano quei detti della Sposa dei Cantici: «Mi sono spogliata della tunica, forse che la vestirò di nuovo? Ho lavato i miei piedi, come mai li imbratterò ancora? » (Cant. V, 3). « Perseveriamo adunque, se vogliamo essere coronati, conchiuderò col Crisostomo; perché nobile ricompensa non può mancare a chi segue il Signore » (In Verb. Apost.) (Homil. VIII); e con Fausto, vescovo di Reims: siamo perseveranti nel servizio di Dio, avendo di mira l’eterna mercede e adoperiamoci a sempre fare meglio ogni giorno. Il desiderio di raggiungere la corona e l’abitudine del bene ci portino a sempre crescere in meriti (In Vita).

4. Esempi di perseveranza. — Gesù Cristo durava le notti intere nella preghiera (Luc. VI, 12). S. Paolo non cessava notte e giorno dall’ammonire con lacrime ciascuno in particolare dei fedeli (Act. XX, 31); e già allora vedeva tanti esempi di Cristiani fermi e costanti nella pratica del bene, che poteva dire agli Ebrei : « Accerchiati da un nuvolo tale di testimoni, deponiamo ogni peso ed ogni peccato, e corriamo con pazienza di carriera per l’arena che ci è aperta » (Hebr. XII, 1). Di S. Barnaba nota il sacro testo, che « esortava tutti i fedeli a perseverare con animo saldo nel Signore » (Act. XI, 23). E tanto valevano presso quei fervidi cristiani le apostoliche esortazioni, che di loro in generale può attestare S. Luca, che « erano perseveranti nella dottrina degli Apostoli, nella partecipazione del pane che loro veniva distribuito, e nella preghiera » (Act. II, 42). – Bisogna fare per la conservazione e l’acquisto della grazia e della virtù, quello che fa l’avaro per l’oro, e imitarne la perseveranza. Oh felici noi! felice il mondo! se si potesse rendere di ogni cristiano quella testimonianza che di S. Agata rendeva Afrodisio, al tiranno Quinziano: « Sarebbe più facile ammollire i macigni e il diaspro, cambiare il ferro in piombo, anziché cambiare l’animo di Agata, e sviarla dall’amore di Gesù Cristo e dal proposito della castità» (In Vita); se su la tomba di ciascun fedele si potesse incidere l’elogio che fece di Tobia lo Spirito Santo : « Stette immobile nel timor di Dio, rendendogli grazie tutti i giorni del viver suo » (Tob. II, 14). – Così era Davide il quale poteva dire: « Signore, io non ho abbandonato la vostra legge; ma perseverava tra i miei, nella innocenza del mio cuore » (Psalm. CXIII, 87) (c. 2). Tale era Giobbe che esclamava: Finché avrò un filo di vita, le mie labbra non proferiranno parola men che retta, la mia lingua non pronunzierà menzogna, praticherò l’innocenza, non devierò mai di un passo dalla giustizia (Iob. XXVII, 3-6).

5. Eccellenza e vantaggi della perseveranza. — S. Bernardo fa questo elogio della perseveranza: «La perseveranza è il vigore delle forze, la consumazione della virtù, la nutrice dei meriti, la mediatrice delle ricompense, la sorella della pazienza, la figlia della costanza, l’amica della pace, il nodo della carità, il legame dell’unanimità, la cittadella della santità. Togliete la perseveranza, e l’obbedienza non ritrae più premio, il benefizio perde la sua grazia, il coraggio non merita più lode. Solo alla perseveranza si concede l’eternità, meglio, è essa che restituisce l’uomo all’eternità, dicendo il Signore: Chi persevera fino alla fine, sarà salvo ». « La perseveranza, scrive il medesimo Dottore, è la figlia prediletta del gran re, il frutto e il compimento delle virtù, l’arca che contiene ogni bene. E tale virtù, senza la quale nessuno vedrà Dio, nè sarà veduto da Dio, è il termine della giustizia per ogni credente: infatti che cosa giova il correre, e poi stancarsi ed arrestarsi prima di toccare la mèta? Corriamo in modo che arriviamo al premio! ». – Le più munite fortezze cedono agli sforzi di un assedio perseverante… La perseveranza è più potente che la forza; anzi è essa una forza ed una potenza irresistibile… Senza la perseveranza, dice S. Lorenzo Giustiniani, né chi combatte, vince; né chi vince, ottiene la palma. Solo la perseveranza merita la corona della felicità eterna; che più? questa corona le appartiene… – Basti ricordare a questo proposito il fatto della donna cananea e la parabola di colui che va la notte a chiedere tre pani ad un amico. Quella supplica a calde lacrime il Redentore che abbia pietà di lei, e Gesù non la degna di una parola: si prostra per terra e grida: Signore, soccorretemi, e Gesù la rimprovera dicendole che non bisogna gettare ai cani il pane dei figli. La donna non si perde di coraggio, ma con perseveranza nella preghiera volge a suo vantaggio il paragone, facendo osservare al Redentore che se ai cani non si dà il pane, ben si gettano le briciole e gli avanzi della mensa. E questa perseveranza le vale, oltre una perfetta guarigione, un magnifico elogio dalla bocca del divin Maestro: Grande è la tua fede, o donna! (Matth. XV, 22-28). E colui che si vede arrivare nel cuore della notte, mentr’egli è in letto coi chiavistelli alle porte, un amico che gli chiede del pane, non è vero che se, dopo di averlo mandato due o tre volte con Dio, l’altro non si parte, ma continua a chiedere e bussare, egli finisce col levarsi su e, se non in riguardo dell’amicizia, per togliersi almeno la seccatura, dà all’importuno quello che gli bisogna? (Luc. XI, 5-8). Poteva la Sapienza incarnata metterci più vivamente sott’occhio l’eccellenza e l’umiltà della perseveranza? – Perché, osserva qui S. Agostino, colui che è coricato, si alza per dare a chi picchia alla sua porta? Perché questi non cessa dal bussare, perché non ottenendo nulla in su le prime, persiste a domandare. Colui che non voleva dare, vi si risolve alfine, perché il suo amico continua e non si offende del rifiuto. Ora come vorrete che Dio il quale è così buono, Dio che ci esorta a domandare, e si offende se non domandiamo, come vorrete, dico, che non ci dia tutto e più ancora di quello che domandiamo, se perseveriamo! (In Verb. Domini). Questa violenza piace a Dio, ce ne assicura Tertulliano (De Orat.). – Gesù, salito su la nave di Pietro, gli ordina di spingersi in alto mare e di gettare le reti per la pesca. Simone gli fa osservare che già per tutta la notte si erano affaticati indarno, ma che tuttavia fidente nella sua parola non ricusava di rimettersi all’ingrato lavoro : e gettate infatti le reti, le ritirarono tanto piene di pesci, che dovettero chiamare aiuto e poco mancò non si squarciassero (Luc. V, 3-6). Perché questa pesca miracolosa? Per due ragioni : 1° perché avevano continuato tutta la notte a pescare, ancorché loro non venisse fatto di prendere nulla; 2° per la pronta obbedienza di Pietro a ripigliare il lavoro… Qui si adatta la sentenza di Seneca: « Non vi è cosa né cosi ardua, né così sublime che una perseveranza solerte, forte, irremovibile non giunga a conquistare. Molto in alto sta la vita beata, ma la perseveranza la raggiunge. È vergogna soccombere vilmente sotto il peso, e contrastare col proprio dovere. L’uomo forte e animoso non scansa la fatica; la difficoltà dell’impresa gli infonde coraggio anziché togliergliene ». – L’apostolo S. Giacomo ci assicura che colui il quale tiene fisso lo sguardo nella legge perfetta di libertà e vi persevererà, senza dimenticare quello che ha inteso, ma operando secondo la legge, questi sarà beato ne’ suoi fatti (Iacob. I, 25). Anche Gesù aveva detto : « Se dimorate in me, e le mie parole dimorano in voi, voi domanderete tutto quello che vi gradirà, e l’avrete » (Ioann. XV, 7). Chi poi dimora, cioè sta fermo, persevera in Gesù Cristo, costui non pecca, dice il medesimo Apostolo. Ora chi è che si tiene saldo in Gesù, e in cui Gesù dimora? è colui che ne osserva i comandamenti (I Ioann. IlI, 6, 24). Queste parole suggerirono al Venerabile Beda la seguente esortazione: « Sia Iddio la casa vostra, e siate voi la casa di Dio. Dimorate in Dio, e Dio dimori in voi. Dio abita in voi per contenervi nella perseveranza; voi abitate in Dio per non cadere ». – Molti altri preziosi e nobili vantaggi della perseveranza accenna Iddio nell’Apocalisse: « Chi vincerà, mediante la perseveranza, non vedrà la seconda morte » (Apoc. II, 11); cioè egli sarà esente dal peccato che separa l’anima dalla sua vita, che è la grazia di Dio. La prima morte è quella che percuote il corpo nella vita presente; la seconda morte è quella che percuote l’anima nel tempo, e quindi il corpo e l’anima nell’eternità. In altro luogo fa annunziare che al vincitore egli darà una manna sconosciuta ed una pietruzza candida nella quale sta scolpito un nome nuovo, che nessuno conosce, eccetto colui che lo riceve (Id. II, 17). Ora assicura che chi avrà vinto sarà vestito di bianchi lini, non vedrà mai il suo nome cancellato dal libro dei viventi, ed egli, Gesù, lo confesserà per suo innanzi al Padre ed agli Angeli suoi : anzi lo farà sedere accanto a sè sul suo medesimo trono; come egli stesso, avendo vinto, si è assiso sul trono con suo Padre (Id. III, 5-21). Altrove dice che del vincitore ne farà una colonna che starà in eterno nel tempio del suo Dio, che scriverà sopra di lui il nome del suo Dio e il nome della città di Dio, della nuova Gerusalemme che discese dal cielo da Dio e finalmente il nome suo (Id. III, 12). Quanti vantaggi, quante ricchezze, quanta felicità, quanta gloria per quelli che trionfano per mezzo della perseveranza! Essa racchiude adunque tesori infiniti… – Quando Dio vede una generosa perseveranza, immantinente colma l’anima di favori celesti; e più vede fedeltà e fervore, più egli abbonda in grazia ed in gloria, secondo quelle sue parole : « Sarà dato a colui che già ha, ed abbonderà » (Matth. XIII, 12). Poiché la grazia nasce dalla grazia, i progressi aiutano i progressi, i meriti fanno scala ai meriti, i trionfi procurano trionfi; di modo che più uno si adopera ad acquistare ed a perseverare, e più si arricchisce di virtù; più attinge di sapienza alla sorgente della sapienza, e più desidera attingerne. Affrettiamo il passo, cerchiamo, domandiamo, desideriamo, picchiamo fino alla fine, acciocché ci sia dato rallegrarci e godere senza misura e senza fine. Diciamo a Dio col Salmista: « Noi non ci allontaniamo più da te; tu ci renderai la vita e noi invocheremo il tuo nome: e l’anima nostra vivrà sempre per te » (Psalm,. LXXIX, 19) (Psalm. XXI, 30). « Felice l’uomo che a te si appoggia, che da te aspetta il suo soccorso! Egli traversa le sabbiose valli della morte; vi trova sorgenti di acqua viva; le piogge le fecondano; accresce del continuo la sua forza, finché giunge in presenza del Signore su la montagna di Sionne » (Psalm. LXXXIII, 6-8). Diciamogli anche con Salomone: «O Signore, Dio d’Israele, voi conservate l’alleanza e la misericordia ai vostri servi che camminano con perseveranza e con amore innanzi a voi » (III Reg. VIII, 23).87.

6. Facilità della perseveranza. — Certamente, se soltanto dagli sforzi dell’uomo dipendesse il perseverare nel bene, sarebbe cosa non solo difficile, ma superiore alle sue forze; ma quando al buon volere dell’uomo si unisca l’aiuto di Dio, diventa impresa facile e leggera. Ora non vi è pagina nella Scrittura santa che non ci prometta e ci assicuri questo soccorso : « Fedele è quel Dio che vi ha chiamati, scriveva S. Paolo, ai Tessalonicesi, ed egli medesimo verrà in vostro aiuto, vi conforterà e stabilirà e custodirà dal male, purché voi non cessiate per parte vostra di esercitarvi nel bene. Ah sì! noi confidiamo nel Signore, che quanto vi comandiamo, voi lo adempite e l’adempirete » (I Thess. V, 24) (II Thess. IlI, 2) (Id. 13) (Id. 4). – Rammentiamo sempre che Dio è fedele e che non permette che siamo tentati oltre le nostre forze; ma quando la tentazione ci assale, egli la tiene in tali confini, che torna facile, a chi vuole, il superarla (I Cor. X, 13). Prendiamo dunque vigore nella grazia che è in Cristo Gesù; lavoriamo, sopportiamo le fatiche della perseveranza, come valorosi soldati di Gesù Cristo (II Tim. II, 1) (Id. 3). – Di coloro che perseverano, leggiamo nella Sapienza che riceveranno il regno di gloria e il diadema di onore dalla mano del Signore; il quale li coprirà con la sua destra e li difenderà col suo braccio onnipotente: li guarderà dai nemici, li difenderà dai seduttori; li prova con dure battaglie per renderli trionfanti, e loro mostra qual è il valore della sapienza : non li abbandona neppure tra le catene, finché loro non abbia rimesso lo scettro e la potenza reale; paga ad essi il prezzo dei loro lavori, li guida per una via meravigliosa; fa a loro ombra di giorno, e luce di notte (Sap. V, 17; X, 12, 14, 17). – Affinché perseverino nelle vie della giustizia, Dio veglia su quelli che lo amano, dicono i Proverbi (II, 8), e il Signore medesimo ci esorta per bocca del Savio, a combattere per la giustizia, a cagione dell’anima nostra; ma combattere fino alla morte; e Dio sbaraglierà per noi i nostri nemici (Eccli. IV, 33). Alla perseveranza può applicarsi quello che di sè afferma la Sapienza: « Chi si ciba di me, avrà ancora fame; chi beve al mio fonte, avrà ancora sete » (Eccli. XXIV, 29); perché la pena che prova in sul principio chi si dà al bene, gli si cambia, se persevera, in facilità, gioia, felicità, allegrezza… Quando un cristiano comincia a vivere bene e a consacrarsi con fervore alle buone opere, a calpestare il secolo, i cristiani tiepidi e rilassati si burlano di lui, dice S. Agostino; ma se egli persevera, se si mostra superiore a loro con la pazienza, finisce col vedere coloro medesimi che lo canzonavano, mettersi a poco a poco dietro di lui e seguirlo (In Psalm.). . Ben conosceva questa consolante verità il profeta Abacuc, il quale esclamava : « Dio è la mia forza; egli darà a’ miei piedi la velocità del cervo; e mi condurrà, trionfando in vece mia, nelle altezze, mentre inneggerò alla sua gloria » (Habac. IlI, 19). « Siano grazie a Dio, dice S. Paolo, il quale ci fa sempre trionfanti in Gesù Cristo » (II Cor. II, 14).

7. Disgraziati quelli che non perseverano! — A quanti cristiani si può applicare la parola di Gesù: « Quest’uomo ha cominciato a fabbricare, ma non ha potuto terminare » (Luc. XIV, 30). Chi comincia a servire Dio e non persevera, chi volge indietro lo sguardo, è come un edilizio cominciato e non terminato, sul quale non fu posto il tetto; si sfascia a poco a poco, si sgretola, e finisce per cadere affatto in rovina. Perciò quando Gesù guariva qualche malattia, o corporale, o spirituale, sempre diceva ai guariti : Andate, non peccate più, ma perseverate nella sanità dell’anima, affinché non v’incolga di peggio (Ioann. V, 14). Assolse la donna adultera quando seppe che nessuno dei suoi accusatori l’aveva condannata, ma le raccomandò di non più peccare (Ioann. VIII, 10-11). – Quando uno spirito immondo esce cacciato via da un uomo, va errando per luoghi aridi in cerca di riposo, e non trovandone, dice tra sé: Ritornerò là di dove sono uscito e venendo trova la casa scopata, pulita, sgombra e ornata. Allora se ne va a prendere sette altri spiriti peggiori di lui e con questi entra nella casa; e l’ultimo stato di quest’uomo è molto peggiore del primo (Matth. XII, 43-45). – Vi è forse disgrazia più terribile e più grave di quella di essere dichiarato inetto al regno dei cieli? Ora questo appunto affermò il Verbo divino in termini formali, di chi non persevera nel bene, non continua nella retta via : « Nessuno che mette mano all’aratro, disse Gesù, e si volge a guardare indietro è fatto per il regno dei cieli » (Luc. IX, 62). Considerate quello che avvenne alla moglie di Lot, affinché non abbiate da provare l’effetto di quella terribile sentenza del Signore: « Maledetto colui che non sta saldo nei precetti della mia legge e che non ne adempie le opere! » (Deuter. XXVI, 26). – Saullo aveva cominciato bene, ma non la durò e si perdette… Salo-mone aveva cominciato con ottimi principi, non si tenne fermo, e terribile dubbio lascia la Scrittura su la sua salvezza… Aveva cominciato bene Sansone, ma non perseverò, e i Filistei lo accecano, lo costringono a girare, come giumento, una macina; ne fanno il loro ludibrio, l’oggetto dei loro scherni… La Scrittura dice che il giusto è immutabile come il sole, mentre l’insensato è come la luna (Eccli. XXVII, 12). – S. Bernardo deplora la misera condizione di un giovane che aveva egregiamente cominciato, ma poi si era intiepidito, aveva guardato indietro ed era caduto in gravi eccessi. « Amaramente di te mi dolgo, o figlio mio, indicibile è il dolore che per causa tua io provo, o Goffredo. E chi infatti non si rattristerà vedendo il fiore della tua giovinezza, già da te offerto a Dio in odore di soavità, alla presenza degli Angeli che tripudiarono di gioia, ora calpestato dai demoni, lordato delle immondezze del secolo corrotto? Come mai, tu che eri chiamato da Dio, ora segui il demonio che a sé ti richiama? Come mai hai potuto, dalla sequela di Cristo, al quale or ora ti eri dato, rivolgere il passo addietro, e ritrarre il tuo piede dalla soglia della vera gloria? ». – Dal fonte battesimale parte la strada la quale mette capo al cielo; e per perseverare in questa via divina si rinunzia anticipatamente agli ostacoli che s’incontrano nel viaggio; si rinunzia solennemente al demonio, al mondo, alle sue pompe e alle sue opere; là il cristiano si obbliga, in faccia al cielo e alla terra, a vivere e morire per Gesù Cristo; cioè prende formale impegno di perseverare nel bene e allontanarsi dal male. Perciò colui il quale ha la disgrazia di non continuare per il retto cammino, dimentica, trascura, calpesta tutte queste risoluzioni. Allora succede uno sconcerto generale, una deplorabile confusione. Ecco colui che aveva rinunziato al demonio e al mondo, al vizio, alle cattive inclinazioni, al peccato, colui che aveva fatto giuramento di non seguire mai altri, né di servire ad altri che a Gesù Cristo, divenirgli infedele, volgergli le spalle, disprezzarlo e aborrirlo. Rinnega Gesù, abbraccia Barabba.  E furfanti più insigni di Barabba, il demonio e il mondo, gli tolgono tutto ciò che ha di prezioso, grazia, virtù, merito e gloria. Allora si grida come gli Ebrei deicidi al tempo della passione: « Non vogliamo che Gesù regni sopra di noi » (Luc. XIX, 14). Allora si ripete l’infame azione di Giuda che diceva ai principi dei sacerdoti : « Che prezzo mi offrite? ed io ve lo darò nelle mani » Matth. XXVI, 15). Satana, mondo, passioni, concupiscenza, che volete voi darmi? ed io vi consegno l’innocenza del mio battesimo, le mie promesse, i miei voti, la mia anima, la mia salute, la mia corona, la mia gloria, il mio Dio, la mia eternità! Ah! grande purtroppo è il numero di coloro che non perseverano! e piccola è la squadra di coloro che hanno la fortuna di toccare al termine della perfezione! « È di molti l’incamminarsi bene, ma di pochi l’arrivare alla vetta » (Sup. Matth.). Questa sentenza di S. Gerolamo serve di commento a quell’altra del Vangelo : « Molti sono i chiamati, ma pochi gli eletti » (Matth. XX, 16).

8. Mezzi di perseverare. — 1° Chi vuol durarla fino al fine, bisogna che abbia sempre sotto gli occhi il fine. 2° Stare vigilante : « Veglia su di te affinché non cada», dice il Savio (Eccli. XXIX, 27). « E chi si crede di stare saldo; badi di non cadere », dice S. Paolo (1 Cor. X, 12). Chi si è già avanzato per la via del cielo, cammina carico d’oro, deve perciò guardarsi attentamente dai ladri (Hyeron. Epist.). 3° Applicarsi alle cose di Dio. Di Maria Vergine, nota il Vangelo, che raccoglieva attenta, conservava e meditava tutto ciò che sentiva dirsi dai pastori e dagli altri testimoni della nascita di Gesù Bambino (Luc. II, 19). 4° Vivere tutti i giorni come se ogni giorno cominciasse l’opera della salute, o come se fosse l’ultimo della vita, e come vorremmo essere vissuti al punto di morte. 5° Lavorare alla presenza di Gesù Cristo e in sua compagnia. 6° Osservare fedelmente la legge di Dio : « Se la vostra legge, o Signore, confessava il Salmista, non fosse stata la mia continua occupazione, io già sarei perito » (Psalm. CXVIII, 92). 7° Camminare alla presenza di Dio e dei suoi Angeli: « Sia felice il vostro viaggio, disse Tobia; Dio sia con voi nel cammino, e l’angelo suo vi accompagni »  (Tob. V, 31). 8° Rammentarsi che Dio non muta e imitarlo (Malach. IlI, 6). 9° Tenersi strettamente aggrappati alla roccia incrollabile della Chiesa cattolica, apostolica, romana… [la “vera” Chiesa attualmente in esilio -ndr.-] Chi vuole davvero perseverare, deve : 1° riposare l’anima sua in Dio; 2° amare Dio con tutto l’affetto; 3° bramare ardentemente di progredire nella virtù; 4° considerare quanto grandi opere si possono fare da chi ha la volontà ferma e perseverante; 5° non dimenticare mai che brevi sono tutte le pene ed eterna la ricompensa; 6° invocare l’arcangelo Gabriele, che è l’Angelo della costanza e che è chiamato : Fortezza di Dio. 5° non dimenticare mai che brevi sono tutte le pene ed eterna la ricompensa; 6° invocare l’arcangelo Gabriele, che è l’Angelo della costanza e che è chiamato: Fortezza di Dio.

Mons. J.- J. GAUME: STORIA DEL BUON LADRONE (19), cap. XXXII e Conclusione

CAPITOLO XXXII.

DEVOZIONE PARTICOLARE AL BUON LADRONE .

Motivi di questa devozione nei tempi presenti. — Pratica di questa devozione.— Introduzione.— Primo privilegio del Buon Ladrone: meditazione e preghiera. — Secondo, terzo, quarto, e quinto privilegio. — Meditazione, e preghiera. — Orazione a S. Disma, gran protettore dei peccatori moribondi.— Epitaffio del Buon Ladrone.— Conclusione della storia del Buon Ladrone. — Avviso ai peccatori ed al secolo XIX. — Motivi di confidenza.— Necessità del pentimento. — Felicità del secolo XIX pentito.

Dalla vita del Buon Ladrone nascono naturalmente, come il profumo dal fiore, l’ammirazione, la confidenza, e l’amore. A fin di renderli efficaci, un antico e pio Autore ha tradotto questi nobili sentimenti in tanti esercizi di devozione ad uso di tutti i cristiani, e particolarmente dei grandi peccatori, che avessero la disgrazia di trovarsi non convertiti in punto di morte. Non ve ne è alcun altro, a parer nostro, il quale dovrebbe essere tanto popolare quanto questo, specialmente al giorno d’oggi. Non siamo noi forse, qualunque sia la nostro condizione, di fronte a quel gran peccatore che si chiama il secolo XIX, che a gran passi cammina verso l’abisso coperto di iniquità e colla bestemmia sul labbro? [… non parliamo poi del secolo XX e XXI – ndr. -] Oltre la carità, il timore di essere trascinati con lui, e la necessità di preservarci dallo spirito da cui è animato, non ci impongono forse il dovere di sollecitarne instantemente la conversione? E chi potrebbe ormai contar le anime che pel suo contatto si sono perdute? Quante pie persone nel mondo, quante religiose nelle case particolari o negli ospedali, quanti ecclesiastici nell’esercizio del loro ministero pastorale, quanti figli, spose, madri, o sorelle non si trovano nel caso di implorare la salvezza di qualche disperato? Or potremo noi trovare, dopo Maria Santissima rifugio dei peccatori, un avvocato più potente del Buon Ladrone, gran peccatore e gran Santo, convertito e canonizzato tre ore sole prima della sua morte? A queste osservazioni risponde il seguente esercizio fondato sui gloriosi privilegi del beato Disma.

INTRODUZIONE

Noi dobbiamo tutti morire. È decretato, dice s. Paolo, che tutti gli uomini debbano morire; e dopo la morte subire il giudizio. [Hebr., IX, 27.] Il male non sta nel morire, ma nel morire male. Quindi quel detto del Real Profeta: La morte del peccatore è ciò che vi ha di maggior male. [Psalm . XXXIII, 22.]. Per aiutarci a fare non solo una buona morte, ma una morte eccellente, dopo lunghe ricerche io ho trovato il grande s. Disma. Negli ultimi momenti di sua vita mortale egli divenne, grazie all’infinita misericordia, da ladro orribilmente famoso uno dei più gran santi del paradiso. Così lo insegna il santo Cardinale Pietro Damiani: «Paglia da bruciarsi, egli è divenuto un cedro del paradiso; tizzone d’inferno, egli è ora un astro brillante del firmamento.3 » [« Stipula inferni cedrus est Paradisi; turris inferni factas est splendidum sidus cœli. » [Senn. de S. Bonif.]. – Che ciascuno adunque ricorra a questo potentissimo avvocato degli agonizzanti, affinché gli ottenga in quel terribile momento un vero dolore dei suoi peccati. A questo fine, faccia spesso in di lui onore l’esercizio seguente.

Primo privilegio.

Il primo privilegio di s. Disma è la sua rassomiglianza con Gesù Cristo crocifisso. Essa consiste in ciò, che per la grazia onnipotente di Gesù, egli si convertì all’istante, divenne il prediletto del Salvatore, e fra tutti gli eletti desso è il solo che abbia sofferto il supplizio della croce insieme con Lui. Ascoltiamo il serafico s. Bernardino da Siena: « Poco importa che egli sia stato crocifisso per i suoi delitti. Dopo la sua conversione egli fu un vero membro di Gesù Cristo, e da quel momento le sue sofferenze furono simili alle mortali sofferenze del Figliuol di Dio. » Serm. in fer. v. post Dom. oliv.]

PREGHIERA .

O gran Santo! noi vi preghiamo dì ottenerci dal vostro amato Redentore la grazia di portar con allegrezza la sua croce, affinché siamo in tutto conformi a Colui che ha voluto essere crocifisso per amor nostro. « Imperciocché, dice l’Apostolo, i predestinati alla gloria devono esser sulla terra l’immagine del Figliuol di Dio. » [Rom. VII, 29]. Pater, Ave, e Gloria etc.

Secondo privilegio.

Il secondo privilegio di s. Disma è di essere stato l’avvocato del Figliuol di Dio. Questo privilegio è incomparabile. Per comprenderne la sublime grandezza, convien considerare chi era questo Gesù, che abbandonato da tutti ed inchiodato su di una croce, spargeva il suo sangue e dava la sua vita per la salvezza dell’uomo. Qual nobile cliente! Qual insigne privilegio l’essere scelto per suo difensore! Qual coraggio non ci voleva per dire innanzi a tutta la Sinagoga: Gesù è innocente! « Hic vero nihil mali gessit. » Luc., XXIII, 41.

PREGHIERA .

Gran Santo! degnatevi di ottenerci la forza di difendere in ogni occasione l’onore di Dio, la causa della Chiesa, e di confessare Gesù Cristo Uomo-Dio Redentore del mondo, fuggendo il peccato, e non trascurando cosa alcuna per farlo evitare e detestare dagli altri, affinché nel giorno del giudizio Gesù Cristo ci confessi innanzi all’eterno suo Padre ed innanzi a tutte le nazioni insieme radunate, secondo la sua promessa: « Colui che mi confesserà innanzi agli uomini, anch’Io lo confesserò innanzi al Padre mio. » [Matt. X, 32]. Pater, Ave, e Gloria etc.

Terzo privilegio.

Il terzo privilegio di s. Disma è di essere stato l’unico predicatore della divinità di Gesù Crocifisso. Se richiedevasi un coraggio eroico per proclamare 1’innocenza di Gesù in faccia ai suoi accusatori e dei suoi carnefici, si richiedeva altresì una fede d’una forza e di una vivacità incomprensibile per proclamarne la divinità. Questa fede è il privilegio esclusivo del nostro Santo. In quel Gesù moribondo in mezzo agli obbrobri, egli riconosce il Dio dell’universo, il Re immortale dei secoli, e lo proclama dicendo: « Ricordati di me quando sarai nel tuo regno. » [« Memento mei, cum veneris in regnum tuum . » Luc., XXIII, 42.]

PREGHIERA.

Gran Santo! noi vi preghiamo di ottenerci dal vostro tanto amato Gesù la grazia di ricercare avidamente non i beni perituri di questa miserabile vita, non le gioie di questo secolo corrotto, ma unicamente il regno di Dio e la sua giustizia come Egli stesso ce lo ha detto; [« Quærite primum regnum Dei et justitiam ejus. » Matth,, V, 33]; affinché « fra le vicissitudini di questo mondo i nostri cuori siano rivolti colà, ove sono i veri gaudi. » [«Ut inter mundanas varietates ibi nostra fixa sint corda, ubi vera sunt gaudia. » Orat. in Dom. iv, post. Pasch.]. – Pater, Ave, e Gloria etc.

Quarto privilegio.

Il quarto privilegio di s. Disma è di essere stato il compagno dei dolori della Santissima Vergine. Fra tutte le creature della terra al solo Buon Ladrone fu riserbata l’insigne prerogativa di essere il compagno delle sofferenze di Maria. Solo insieme con Ella, nel momento della morte del Redentore, egli conservò intatta la sua fede in Gesù. Solo con Maria egli compatì alla sua morte come alla morte del Figlio di Dio, veramente Dio e veramente uomo. È questa la dottrina del serafico s. Bernardino: « I gemiti del solo Buon Ladrone con quelli di Maria furono pienamente graditi a Dio, perché, grazie alla fede infusa nella sua anima, solo egli riguardò come veramente Dio quell’uomo, che vedeva morire sotto gli occhi suoi in mezzo ad incredibili dolori. »

PREGHIERA.

Gran santo! degnatevi di ottenerci dal nostro Signore Gesù Cristo la grazia di accompagnare la ss. Vergine nel doloroso martirio che essa soffrì a piè della croce. Questo è il desiderio di questa santa Madre, come essa stessa lo rivelò a s. Brigida: « Figlia mia, non mi dimenticare; vedi il mio dolore, e cerca di risentirlo per quanto puoi. Considera le mie sofferenze e le mie lagrime, ed affliggiti insieme con me » [ « Filia mea, non obliviscaris mei; vide dulurem meum, el imitare quantum potes. Considera dolures meos et lacrymas, et dole. » Revel. lib. II, c. XXIV]. Pater, Ave, e Gloria etc.

Quinto privilegio.

Il quinto privilegio del Buon Ladrone è di essere stato la figura di tutti gli eletti. In lui si vedono come riunite tutte le anime beate destinate a godere l’eterna gloria in paradiso; imperocché egli solo udì dalla bocca medesima di Gesù queste parole: « Oggi sarai meco in paradiso » [« Hodie mecum eris in Paradiso. » Luc., XXIII, 42.]. Egli le udì il primo, le udì per sé e per tutta l’umanità rigenerata di cui era la figura. « Il quinto privilegio del Beato Ladrone fu di essere la figura e come il rappresentante di tutti gli eletti; il che a nessun altro fu concesso. »

PREGHIERA.

Gran santo! figura di tutti gli eletti, noi vi domandiamo umilmente di ottenerci da Gesù Crocifisso con voi, la grazia di portare pazientemente il peso della vita, le tribolazioni, la fatica, la povertà, le malattie, in una parola la croce, che in questa valle di lacrime pesa sugl’infelici figli di Adamo, affinché meritiamo di essere annoverati fra gli eletti, e di partecipare alla gloria eterna; essendo questa la condizione della salvezza secondo l’oracolo divino : « Entreranno nella casa del Padre celeste coloro i quali avranno lavato le loro vesti nel sangue dell’Agnello Crocifìsso. » [Ap. VII, 41].  Pater, Ave, e Gloria etc.

Ad sanctum DISMAM,

agonizantium Patronum.

Antiphona.

Beati mortui qui in Domino moriuntur.

Amodo jam dicit Spirìtus

ut requiescant a laboribus –

 [Beati i morti che muoiono nel Signore.

D’ora in poi già dice lo Spirito

che riposano dalle loro fatiche.] [Ap. VII, 41]

 

Sancte Disma, qui mira Dei

Providentia ex nefario latrone

in eximium pœnitentiæ speculum

evasisti, et paucas intra

horas æterna tibi gaudia comparasti:

aspice sublimi gloriæ

tuæ throno in hanc vallem miseriæ.

Recordare o Sanctæ mirabilis,

mentis humanæ fragilitatis,

ad malum semper, magis

quam od bonum proclivis. Recordare,

et prò nobis ad Deum

appella, ut sicut per gratium

suam efficacem ad pœnitentiam

et Paradisi cœlestis gloriam te

perduxit: ita nos famulos suos

et famulas, eadem efficaci gratia,

ad dignus pœnitentiæ fructus

impellat, ut peccata tecum

abolentes pie tibi commoriamur,

ac una tandem in Dei

salutari nostro perenniter exultemus.

Amen.

[O santo Disma, che per ammirabile provvidenza di Dio da insigne Ladrone diveniste un perfetto modello di penitenza, e in poche ore acquistaste l’eterna felicità, dal trono di gloria ove siete assiso, abbassate i vostri sguardi su questa valle di lacrime. Ricordatevi, o ammirabile santo, della fragilità della natura umana sempre più inclinata al male che al bene. Ricordatevene, e domandate per noi a Dio, il quale con la sua grazia efficace vi condusse alla penitenza ed alla gloria del paradiso, di far produrre con la medesima grazia a noi suoi servi e sue serve degni frutti di penitenza, affinché cancellando i nostri peccati come li cancellaste voi, possiamo morire parimente insieme con voi, per rallegrarcene eternamente insieme in Dio nostro Salvatore. Cosi sia.]

 

Preghiera di S. Brigida.

 

Benedictio æterna sit tibi,

Domine mi Jesu Christe, qui

existens in mortis, agonia, omnibus

peccatoribus spem de venia

tribuisti, quando Latroni ad

te converso, Paradisi gloriam

misericorditer promisisti. Amen

[Benedizione eterna a Voi, o mio Signore Gesù Cristo, che essendo in agonia deste a tutti i peccatori la speranza del perdono, allorché misericordiosamente prometteste al Buon Ladrone la gloria del paradiso. Così sia].

 .- Per non tralasciare nulla di ciò che può contribuire alla gloria del Buon Ladrone, trascriviamo qui l’epitaffio che una mano pia gli compose. Nel leggerlo vi si troveranno nuovi motivi di fiducia nel gran santo, il di cui culto sarebbe desiderevole che divenisse più popolare che mai ai giorni nostri.

Boni Latronis tumulus.

Incidisti in Latrunem, viator, sistendus es.

Vitam ejus non aliunde, quam ex morte cognoscas.

Ubique vagus, ubique profugus.

Ut inveniri semel a Deo posset, fìgendus fuit.

Ne tum quidem immemor artis suæ, cum propter illam periret,

Mutavit forti materiam, furacitate retenta.

Viatori Deo non prufuit dissimulasse mutilate thesaurus.

Exeuntem de mundu in aerem usque secutus adhæsit lateri.

Et festiata noctis opportunitate usus,

Quando non poterat manu, furatus est halitu.

Clavis David cui primum esset usui quam latroni?

Agnita illa est a seminare.

Nec eam aut nox aut rubigo celavit,

oculis intentis semper ad

claves.

Turbatum cœlum est, cum jam violenti raperent illud:

Gazis suis timuit trepidum,

Cum eas cerneret furibus patuisse.

Fractis mox cruribus iter salutis ingressus,

Eo se sedibus suis se non venisse convicit,

Hausto, de Christi vicinia, amore crucis, ita eidem adhæsit,

Ut ab ea fuerit fuste pellendus.

Bonum Latronem, viator, malo conjunge ne noceat.

lnter utrumque inveniendus est Christus.

Hæc gemina pharos portum salutis quærentibus attendenda.

 

 

Epitaffio del Buon Ladrone.

[« Ecco un ladro: viandante, arrestati.

« La sua vita non è conosciuta che per la sua morte.

« Dappertutto vagabondo, dappertutto fuggitivo;

« Affinché Dio potesse finalmente trovarlo, bisognò

inchiodarlo su di una croce.

« Nemmeno allora dimenticò il suo mestiere, condannato

a morte per cagione di quello.

« Egli cangiò la materia del furto, ma fu sempre

ladro.

« Al Dio viaggiatore non servì a nulla nascondere

i suoi tesori sotto la nudità.

« Com’egli parte dal mondo, il ladro lo segue sin

nell’aria e si attiene al suo fianco:

« Profitta delle tenebre di una notte improvvisamente

sopraggiunta,

« E non potendo rubar colla mano, ruba colla parola.

« Della chiave di David chi il primo doveva far uso,

se non un ladro?

« Semivivo, egli la riconosce:

« Né la notte, né la ruggine possono nasconderla,

   essendo i suoi occhi sempre intenti alle chiavi.

« Il cielo si turba mentre i violenti lo rapiscono;

« Esso teme pei suoi tesori

« Vedendoli aperti ai ladri.

« Ma questi, rotte le gambe, entrato nella via della salute,

« Prova che non vi viene come un ladro ordinario.

« Nella vicinanza di Cristo egli attinse un tale amore per la Croce,

« Che per distaccarnelo bisognò colpirlo con un grande bastone.

« Al Buon Ladrone, o viandante, unisci il cattivo perché non ti noccia.

« Fra loro due tu troverai il Cristo.

« Guarda questo doppio faro, se vuoi tenere la via del cielo »]

Apud Raynald., c. XIII, p. 554.

CONCLUSIONE

O pentirsi, o perire: è questa l’alternativa che rimane al colpevole, qualunque sia il suo nome. La storia del Buon Ladrone, assai meglio di qualunque ragionamento, la mette in piena evidenza. Se passavano alcune ore di più senza pentirsi, Disma si sarebbe perduto. Pei popoli, non meno che per gl’individui, quest’alternativa è inevitabile; e la ragione è chiara. Non pentirsi quando si sa di esser colpevole, è un pretendere di esser colpevole impunemente. – Pretendere di esser colpevole impunemente è un negare a Dio la giustizia, e all’uomo la responsabilità delle proprie azioni; è un voler vivere violando la legge fondamentale della vita, poiché la vita sta nell’ordine. – L’ordine esiste allorché ogni cosa sta al suo posto; in alto cioè quello che secondo le leggi eterne deve stare in alto; e in basso ciò che deve stare in basso. Mettere in alto quello che secondo le leggi eterne deve stare in basso, e in basso ciò che deve stare in alto; Dio al posto dell’uomo, e l’uomo al posto di Dio, costituisce il disordine. Pretendere di vivervi, e di vivervi impunemente, è lo stesso che voler mantenere in alto ciò che dev’essere in basso, e in basso ciò che deve stare in alto, cioè Dio al posto dell’uomo, e 1’uomo al posto di Dio. Di tutte le impossibilità questa è la più grande. Per l’individuo, perire è perdere la pace di questo mondo, e la vita eterna dell’altro. – Per le nazioni, che non vanno in corpo nell’altro mondo, perire è andare di rivoluzioni in rivoluzioni, sino a che lacerandosi con le proprie mani, o cadendo sotto i colpi di qualche potente vicino, esse subiscano l’inesorabile decreto di morte pronunziato contro la ribellione ostinata. – Così finirono tutte le nazioni del mondo antico. Al contrario, pentirsi è vivere, poiché è un rientrare nell’ordine, vale a dire è un rimettere ogni cosa al suo posto, Dio in alto e l’uomo in basso. Di questo nobile pentimento, guarentigia necessaria di vita e di felicità, il Ladro del Calvario è il modello compiuto e perfetto. Ultimo capolavoro del Redentore moribondo, egli fu lasciato al mondo come un tipo immortale. Il Dio Salvatore, la cui misericordia è immutabile, può e vuole effettuarlo in tutti i peccatori per quanto disperati. Egli stesso ce ne dà la sua infallibile parola: Il Figliuol dell’uomo è venuto per salvare tutto quello che era perito. Sì, tutto senza eccezione, popoli ed individui; tutto quello che vorrà esser salvato, anche i ladri e gli assassini. – Che rimane dunque a dire ai peccatori, e soprattutto al gran Ladrone cbe si appella secolo XIX? Una sola parola: pentimento! – Rivolgendosi ai primi, la fede loro dice: ‘Eccetto l’innocenza che più non avete, in tutto il resto voi siete tanti grandi bambini che vi lasciate affascinare dal vostro implacabile nemico. Vedete quei figli di un re; nelle loro mani si trova qualche volta una pietra preziosa. Presentasi loro un mariuolo, il quale in scambio di quel tesoro offre ad essi talune ghiottonerie di cui la loro età è avida, e la perla sfugge dalle loro mani. – Così fa il demonio con voi. « L’astuto nemico delle anime, dice s. Agostino, vi presenta un frutto ingannatore, e vi ruba il paradiso: Porrigit pomum et surripit paradisum. » Figli di re, eredi d’un trono, da molto tempo avete fatto il mestiere del balordo; è tempo ormai di metter senno. Imitate il Buon Ladrone: colpevoli come lui, sappiate pentirvi com’egli sì penti. Al vedere che un veterano del delitto, già sul patibolo, ottiene in pochi istanti e la grazia di Gesù Cristo e l’eterna felicità, chi è che possa disperar di sua salvezza: Quis hic desperet Latrone sperante? – In quanto al secolo XIX, a cui abbiamo dedicato questa storia, sembrano scritte espressamente per esso le parole seguenti, venuteci da un’età molto lontana. – « Rientra finalmente in te stesso, o vecchio Adamo. Considerando il Ladro del Calvario, vedi ove ti ha cercato il novello Adamo, ed in quale stato ti ha trovato. Nelle piaghe del suo corpo egli ti ha mostrato le ignominie dell’ anima tua. Tu lo fuggivi, ed a Lui non è stato sufficiente il correrti appresso, chiamandoti e piangendo in mezzo agli schiaffi, alla flagellazione, e ad ogni sorta di strazi più atroci. Egli ti ha inseguito sin sulla croce, ove i tuoi delitti ti avevan condotto, ed ivi Egli ti ha trovato già semivivo, e ti ha salvato. Chi fu infatti questo ladro, se non Adamo? Dal giorno, in cui il padre del genere umano nel paradiso terrestre divenne omicida di se stesso e della sua discendenza, sen fuggì carico del suo delitto lontano da Dio, e si nascose, fino a che inchiodato ad una croce non gli fu più possibile di fuggire e di nascondersi. Colà afferrato da voi, o buon Gesù, e convertito, egli confessò il suo fallo, e ne accettò volentieri il castigo. Affin di incoraggiarlo a soffrire, voi vi degnaste di collocar voi stesso ai suoi fianchi per soffrire con lui. » – Ecco precisamente il secolo XIX [ma pure il XX ed ancor peggio il XXI –ndr.-]. In piena insurrezione contro il Cristianesimo e contro la Chiesa, egli pretende di vivere senza di essi, lontano da essi, e loro malgrado. Vani sforzi! Simile al cavallo che gira la mola, a cui si sono bendati gli occhi, esso consuma le sue forze nel girare perpetuamente in un cerchio, di cui non si possono oltrepassare i limiti. A tutti i pontefici del’umana sapienza esso domanda l’ordine e la pace; ma non ne riporta che errori ed inganni. Frattanto la fermentazione rivoluzionaria si estende dappertutto; i sintomi di rovesciamento dell’ordine si vanno facendo più pronunziati; gli errori si moltiplicano, la colpabilità si aggrava; la potenza delle tenebre va crescendo visibilmente; ed il secolo XIX non ancora si converte [ed il XX ha pure cacciato dal suo trono il Vicario di Cristo, costringendolo ad un doloroso esilio! –ndr.-]. Che se ne deve conchiudere? Siccome è riservato a Dio il dir l’ultima parola, così bisogna conchiuderne che l’ora della crocifissione si avvicina. Già, se il secolo XIX vuol prestare orecchio, può ascoltare il rumore della scure e del martello dei numerosi operai, che nei loro antri sotterranei gli fabbricano la croce. Su di questa, sul patibolo cioè del socialismo e della barbarie, [ed oggi, XXI secolo: della massoneria e del modernismo gnostico –ndr.- ], resi più forti come lo dicono i loro apostoli, dall’ateismo e dal materialismo, esso sta per trovarsi faccia a faccia con Dio. – Ora nelle sue mortali angoscio si ricordi egli del Calvario. Colà vi ebbero due ladroni in croce; e se non vuol perire come il cattivo ladro, dica come il Buon Ladrone: Io soffro giustamente; ma il Cristianesimo che ho tanto bestemmiato; ma la Chiesa che ho tanto perseguitata, non hanno fatto alcun male. Gesù, Redentore del mondo, divino Fondatore del Cristianesimo e della Chiesa, ricordati di me quando avrai ristabilito il tuo regno sulle rovine di tutto quello che deve perire: io mi pento. – Da alcuni anni in qua soprattutto, la Provvidenza sempre lenta nel punire, sembra raddoppiare i suoi sforzi, col moltiplicar l’uno dopo l’altro i motivi di timore e di speranza, affin di indurre il secolo XIX a pronunziar questa parola di salvezza. Appena pronunziata, questa miracolosa parola fa rientrar tutto nell’ordine, chiude l’èra delle rivoluzioni e prepara al mondo un più lieto avvenire. Le nazioni di Occidente, tornando ad essere le docili figlie della Chiesa loro madre, e mettendo al di lei servigio gli immensi tesori di genio, di forza, e di attività di cui esse dispongono, senza sforzo alcuno rovesceranno le barriere secolari che arrestano la civiltà cristiana alle frontiere dell’Oriente. Allora riprendendo il principe della pace il suo impero, si verificherà quel trionfo universale della Chiesa presentito dagli uni, annunziato dagli altri, desiderato da tutti, e a quanto sembra visibilmente preparato mediante lo svolgimento senza esempio e senza ragione apparente di tutte le opere cattoliche nel mondo intero. – Giorno benedetto in cui il Dio Redentore diverrà secondo i suoi voti, l’unico Pastore di un solo ovile, e lasciando che i farisei odierni come quelli di una volta lo accusino di esser amico dei peccatori, si mostrerà per il Secolo XIX quello che fu per Disma, per la giovane penitente di Magdalo, per il figliuol prodigo, per la pecorella smarrita e ritrovata, cioè l’incomprensibile misericordia e l’incomprensibile tenerezza. Giorno benedetto! in cui il secolo XIX gran peccatore e gran ladro [e peggio il XXI –ndr.-], ma come il Ladrone del Calvario

gran penitente e grande apostolo, ascolterà la parola che dissiperà tutti i suoi timori, placherà tutti i suoi odii, guarirà tutte le sue piaghe: Oggi tu sarai meco in paradiso: Hodie mecum eris in paradiso. Così realmente avverrà. Il pentimento è la pace; la pace è la tranquillità dell’ordine; l’ordine è il paradiso in terra.

FINE

Mons. J.- J. GAUME: STORIA DEL BUON LADRONE (18), cap. XXXI

CULTO DEL BUON LADRONE

Unione dei Santi con noi. — I Santi non muoiono. — Il ciclo appellato la Terra dei viventi. — Amor di Dio pei santi. — Onorando questi si piace a Dio. — Culto speciale per quei santi che a Lui sono più cari. — Di questo numero è s. Disma .—

Elogio che ne fa s. Atanasio. — Privilegi di s. Disma, fondamento della nostra ardente devozione e della nostra fiducia. — Festa del Buon Ladrone in Oriente ed in Occidente. — Suo Officio negli antichi Breviari. — Suo culto nella maggior parte delle Chiese. — Molte Congregazioni religiose ne fanno l’officio. — Motivi che ne hanno. — A Napoli, bella cappella in suo nome. — In tutta l’Italia meridionale cappelle ed oratorii del Buon Ladrone. — Protettore della città di Gallipoli.— Devozione molto popolare, ed antica. — Miracolo operato da s. Disma.

La morte non rompe i vincoli che uniscono i cristiani del Cielo a quelli della terra, i santi del tempo a quelli dell’eternità. I santi col morire non muoiono; anzi incominciano a vivere di quella che è vera vita. Il Cielo è appellato la terra dei viventi : Terra viventium. Questo stesso linguaggio trovasi in bocca della Chiesa, la quale caratterizza il giorno della morte di un Santo con la parola natività; poiché per un Santo, morire è veramente nascere. Parlando di Abramo, di Isacco, e di Giacobbe, Gesù Cristo diceva : « Dio non è il Dio dei morti, ma dei vivi.1 » Or se i santi vivono, ne segue che essi vedono, ascoltano, amano, agiscono ; se sono nostri fratelli, membri di una medesima famiglia, essi riguardano come loro propri i nostri interessi. « Sicuri come sono della loro esterna felicità, siccome dice s. Cipriano, essi son pieni di sollecitudine per la nostra salvezza. – Tutti i secoli cristiani hanno avuto questa fede; la quale, anziché dispiacere a Dio e nuocere in nulla ai meriti del nostro unico Redentore, è stata sempre da Dio rimunerata. Sarebbe un voler intraprendere a numerare le stelle del cielo il voler contare le glorie segnalate, i miracoli autentici ottenuti mediante l’intercessione dei Santi. Ma se Iddio si degna di onorare i Santi con l’associarli alla sua potenza; vi può esser cosa più legittima del culto di cui essi sono l’ oggetto per parte dei loro fratelli tuttora dimoranti in questa valle di esilio? Il protestantismo con aver cercato di rompere i vincoli di famiglia che ci uniscono ad essi, ha mostrato di esser senza cuore, come è senza ragione. – Se Dio ama tutti i Santi, come un padre che è veramente padre ama tutti i suoi figli, tra quelli però ve n’ha alcuni, che i loro meriti collocano più vicini al suo cuore, ed in un più alto grado di gloria. Or il desiderio del nostro Padre celeste, non meno che il nostro personale interesse, ci fanno un dovere di onorare specialmente questi che sono i privilegiati della grazia. – A questa classe senza dubbio appartiene s. Disma ; come ce lo ha dimostrato la sua storia, la quale si compone in gran parte degli elogi che i più eloquenti Dottori dell’ Oriente e dell’ Occidente non hanno cessato di fare all’illustre compagno di Gesù Crocifìsso. A tutto quello che già ne sappiamo, contentiamoci di aggiungere alcuna delle invocazioni, colle quali il grande s. Atanasio esprime la sua ammirazione e la sua fiducia pel Buon Ladrone, e c’invita ad imitarlo. « O beato Ladrone! Tu fosti più abile del primo Adamo a guadagnare il Cielo. II padre della stirpe umana mal consigliato stese la mano al frutto dell’albero vietato, ed il veleno della morte si diffuse in lui ed in tutta la sua posterità: tu assai meglio ispirato, con lo stendere la mano verso il santo albero della croce, ricuperasti il Cielo che i tuoi peccati ti avevano fatto perdere, e guadagnasti la via. » – « O beato Ladrone! che per mezzo di un segreto sin allora sconosciuto, trovasti il mezzo di scoprire e d’impadronirti del più meraviglioso dei tesori.» « O beato Ladrone! che imitato hai il tradimento di Giuda, ma il tradito è stato il demonio tuo nemico astuto ed implacabile. » – « O beato Ladrone! che con le tue virtù eroiche hai fatto della tua croce uno sgabello per salire al Cielo, ed una cattedra eloquente, donde con una sovrumana energia prendesti la difesa del tuo prediletto Redentore. » – « O beato Ladrone! che mostri a tutti i peccatori del mondo la potenza della fede, l’efficacia istantanea di una confessione ben fatta, e di un pentimento sincero. » [Serm. in Parasc., apud Gretzcr, t. II, p. 415.] – I cinque privilegi del Buon Ladrone precedentemente spiegati, giustificano questi elogi, e debbono svegliare la nostra devozione. La potenza dei Santi è in proporzione della loro elevazione nel Cielo; poiché più un Santo è elevato nella gloria, e più si avvicina a Dio che è la potenza infinita. Or se v’ha chi possa misurare la gloria del Beato Disma, questi solo potrebbe dirci la fiducia che esso ci deve inspirare. La Chiesa nostra madre lo dice a suo modo a tutti i suoi figli; poiché in Oriente ed in Occidente la vediamo onorare il Buon Ladrone con pubblico culto. – La Chiesa di Siria e di Mesopotamia celebrano la sua festività il nono giorno dopo il Venerdì dei dolori, cioè il Sabato della settimana di Pasqua. [Herbelot, Bibl. orient., p. 512.] I Greci mettono la sua festa al 23 Marzo, i Latini al 25 dello stesso mese. Anticamente si .celebrava nella maggior parte delle Diocesi. Tutte le belle tradizioni relative a questo gran Santo, facevano parte dell’officio. Si trovavano particolarmente nelle lezioni del Breviario di Quiemper; eranvi egualmente nel martirologio di Usnardo. Il dotto Molano ed il B. Pietro Canisio assicurano che l’officio del Buon Ladrone si faceva religiosamente nell’antica cattedrale di Bruges, e nella maggior parte delle Chiese. – Tale era ancora nel secolo XVI il culto del Buon Ladrone. Ai nostri giorni è meno diffuso; ma non si può dire che sia cessato dappertutto. E qui aggiungiamo, che avuto riguardo allo stato del presente secolo XIX, non vi sarebbe cosa più desiderabile che di restituirgli la sua antica popolarità. Alla fine del secolo XVI, come abbiam detto altrove, 1’ordine della Mercede per la redenzione degli schiavi ottenne dal Papa Sisto V l’approvazione d’un officio del Buon Ladrone. – Lo stesso favore fu nel secolo XVIII domandato ed ottenuto dalla Congregazione dei Pii Operai La domanda che ne fece era motivata sul gran numero di conversioni strepitose che si ottenevano, durante il corso delle missioni, mediante l’intercessione del Buon Ladrone; e quei zelanti missionari, a testimonianza della loro riconoscenza, lo hanno scelto per loro avvocato presso Dio, e per protettore speciale dei loro istituto. [La critica moderna ha rigettato la più parte delle tradizioni relative al Buon Ladrone. La questione è di sapere se divenendo più ragionatrice, ella sia divenuta più ragionevole. Noi non lo pensiamo.] – A Napoli la loro Chiesa di s. Giorgio possiede una magnifica cappella dedicata al Buon Ladrone, le cui mura ripiene di un gran numero di ex voto presentano la testimonianza autentica dei favori miracolosi ottenuti mediante la di lui intercessione. I buoni padri che la officiano ricevono continue lettere di ringraziamento per i favori dovuti al Beato, e ricevono pure innumerevoli domande delle sue immagini. Per gli stessi motivi di questi missionari Italiani, gli Oblati di Maria, apostoli dell’antico e del nuovo mondo, recitano ancora ai dì nostri l’officio del Buon Ladrone. I Serviti onorano allo stesso modo colui che fu il consolatore dell’augusta Madre ed il compagno di tutti i suoi dolori. Lo stesso dicasi dei Chierici Regolari. Questi pii figli di s. Gaetano Tiene, che fu l’anima della restaurazione cattolica nel secolo XVI, fanno la festa del Buon Ladrone ai 26 marzo con rito doppio. I salmi sono del comune dei confessori non pontefici: s. Gian Crisostomo e s. Ambrogio forniscono le lezioni del secondo e del terzo notturno: l’orazione è propria, e sembra che la riconoscenza, l’umiltà, e la fiducia siansi accordate per comporla : « Dio onnipotente e misericordioso, che giustificate gli empii, noi umilmente vi supplichiamo di eccitarci ad una vera penitenza, facendo cadere su di noi quello sguardo di bontà, col quale il vostro unico Figliuolo attirò il Buon Ladrone, e di accordarci la gloria eterna che gli promise. » [« Omnipotens et misericors Deus, qui justificas impios, te supplices exorarnus, ut nos benigno intuitu, quo Unigenitus tuus beatum traxit Latronem , ad dignam pœnitentiam provoces, et illam, quam ei promisit, tribuas nobis gloriam sempiternam. » – La devozione a s. Disima non rimase ristretta nei recinti delle case religiose; ma è popolarissima nell’Italia meridionale; ove si invoca questo gran Santo per essere preservato dai ladri. Molte famiglie ne serbano l’immagine collocata dietro la porta d’ingresso delle loro case; e si citano una quantità di prodigi ottenuti per la di lui intercessione. Fra tutte le altre, la città di Gallipoli, città molto commerciante, posta sul golfo di Taranto, l onora con un culto fervoroso, e lo venera come suo Protettore. I marinari di quella costa non intraprendono mai alcun viaggio, né mai ritornano dai paesi lontani, senza visitare il loro santo Protettore. Questa devozione rimonta ai tempi i più antichi, ed ebbe origine dai pericoli incessanti che le incursioni dei pirati barbareschi facevano correre agli abitanti di quella marittima contrada. In tutti i paesi s’ incontra un gran numero di oratorii e di cappelle dedicati a s. Disma. Allorché il viaggiatore francese vi entra per visitarle, domanda a se stesso, perché la Francia ne possiede sì poche, se pur ne possiede? Perché la devozione a questo gran Santo, canonizzato da Gesù Cristo medesimo, entrato prima di tutti gli altri in paradiso, e collocato in un posto sì alto di gloria, si è perduta tra i francesi? Vi può essere per il secolo XIX in particolare un protettore meglio scelto, un protettore più sensibile ai mali che minacciano 1’Europa, o che già la divorano? Non v’ha niente da temere dai pirati rivoluzionari? D’altronde, il Buon Ladrone non è forse stato quello che noi siamo, cioè un gran peccatore; e tutto il suo desiderio non è forse che noi diventiamo quello che ora egli è? Perché mai la cattedra cristiana rimane troppo abitualmente muta sulla potenza di questo Santo illustre, e sulla fiducia che egli deve inspirare a tutti, specialmente ai peccatori moribondi, ed a coloro che hanno l’obbligo di prepararli al decisivo passaggio dal tempo alla eternità? – Questo amico del Salvatore, questo suo glorioso compagno d’armi: Commilito regni, come lo appella s. Atanasio, si è compiaciuto in ogni tempo di manifestare il suo credito presso Dio; e questo suo credito è sempre lo stesso. Fra gli altri suoi miracoli, ci basti di riportare il seguente, che è celebre nella storia dei Santi. – Verso la fine del quarto secolo viveva sulle sponde del Giordano un solitario, che divenne uno dei più grandi personaggi del suo tempo; questi è s. Porfirio vescovo di Gazza. Colpito da un scirro al fegato, la sua vita andava di giorno in giorno sensibilissimamente mancando. Desiderando di morire sul luogo ove il Salvatore del mondo aveva lasciata la sua vita, si fece trasportare a Gerusalemme; ove, malgrado la sua estrema debolezza, ogni giorno, appoggiato ad un bastone, andava a visitare qualcuna delle stazioni della via dolorosa. Siccome credessi prossimo a morire, era preoccupato dal pensiero che nell’abbandonare il mondo egli aveva lasciato nella sua patria Tessalonica un immensa fortuna, che non aveva distribuita ai poveri a motivo della giovinezza dei suoi fratelli. Egli dunque spedì a Tessalonica Marco suo intimo amico per dar sistema ai suoi affari. Il fedele mandatario con la più religiosa fedeltà esegui la sua commissione, ed a capo di tre mesi tornò in Gerusalemme. — Ma lasciamo che racconti egli stesso questo suo viaggio. – « Munito d’una lettera del santo, io m’imbarcai ad Ascalona, e dopo tredici giorni di navigazione giunsi a Tessalonica. Mostrai la mia procura, e divisi tutte le sostanze tra il mio buon Maestro ed i suoi fratelli; vendei quanto spettava a lui in beni fondi per tre mila scudi di oro; e riportai con me le stoffe preziose e l’argenteria, più una somma di mille e quattrocento scudi di oro. Dopo undici giorni di mare, fui di ritorno in Ascalona, ove presi dei cammelli e dei muli per portare tante ricchezze, e partii per Gerusalemme. Ivi giunto, al vedermi il pio maestro mi abbracciò con tenerezza paterna, e mi bagnò di lacrime di gioia; poiché anche la gioia fa piangere. — In quanto a me, io non lo riconosceva più essendo la sua persona in buon essere, le sue guancie paffute e rubiconde, talché non mi ristava da riguardarlo. Accortosi della mia esitanza si pose a sorridere, e mi disse dolcemente: Marco, mio fratello, non ti sorprenda se mi vedi così fresco e robusto: apprendi solamente la causa della mia guarigione, ed ammirerai con me l’ineffabile bontà di Nostro Signore Gesù Cristo, il quale può facilmente guarire le malattie le più disperate. « Io lo pregai che mi dicesse egli stesso in qual maniera avesse ricuperato la sanità. Sono quaranta giorni, mi rispose, che la vigilia della santa domenica fui preso da un dolore intollerabile: impiegai tutte le poche forze che mi restavano per trascinarmi sul Calvario, e colà mi gettai disteso in terra. In una sorta di estasi occasionata dal dolore, vidi il Salvatore inchiodato in croce, ed al di lui fianco un dei ladroni su di un’altra croce. A tal vista, mi metto a gridare ed a ripetere le parole del Buon Ladrone : Ricordati di me, o Signore, quando sarai nel tuo regno. Per risposta alla mia preghiera il Salvatore disse al Ladrone: discendi dalla croce, e salva quest’ammalato, come fosti salvato tu stesso. Il Ladrone allora discese dalla Croce, mi abbracciò e mi baciò. All’istante io sono in piedi; corro a Nostro Signore, e vedo che egli stesso è disceso dalla croce. Allora presentandomi la sua Croce, mi dice: Ricevi questo legno, e conservalo. Avendo ricevuto e portato quel prezioso legno, io rinvenni dall’ estasi, ed all’istante ogni dolore disparve, e non rimase più traccia di alcuna malattia. – « Questo discorso mi riempì di ammirazione, ed io mi attaccai più inviolabilmente che mai al mio beato maestro. » [Apud Sur. et Bolland. in vit. S. Porphyr., 36 febr. Sur., t. II, p. 1058.]. E noi pure, attacchiamoci più che mai al gran Santo che fu lo strumento benedetto di questa miracolosa guarigione. Se fino al presente l’abbiamo obliato di soverchio, facciamoci un dovere di praticare sia per noi, sia per tanti peccatori induriti, l’esercizio di devozione che la pietà cattolica gli ha consacrato.

Mons. J.- J. GAUME: STORIA DEL BUON LADRONE (17), cap. XXX

CAPITOLO XXX.

RELIQUIE DEL BUON LADRONE (1)

 (1) [Noi intendiamo per reliquie del Buon Ladrone la croce sulla quale spirò: poiché in quanto al suo corpo, crediamo che non ne sia restato nulla sulla terra, portando avviso con molti dotti personaggi che s. Disma fu tra il numero dei risuscitati del Calvario. Rainaldo, Corn. a Lapid. etc.]

Gli strumenti del supplizio sotterrati insieme coi condannati.— Testimonianze de1 Giudei. — Sforzi de’ Giudei e dei Pagani per nascondere le croci del Calvario. — Condotta della Provvidenza. — Sant’Elena a Gerusalemme. — Del Calvario. — La tradizione. — Curiosa lettera dell’imperatore Leone al Re dei Saraceni. — Giudei costretti a manifestare il segreto dei loro correligionari. — Passo di Gretsevo. — Scoperta delle croci. — Portate a Costantinopoli con altre reliquie. — Testimonianza degli Storici Niceforo, Zonara, Suida, Cedrene. —Una buona porzione della croce del Buon Ladrone lasciata nell’isola di Cipro. — Testimonianza del dotto Luca Tudense e di Felice Faber testimoni oculari. — Particelle della croce del Buon Ladrone in Roma, a Bologna ed altrove. — Autorità dei Bollandisti, di Masini, del P. Rainaldo, e di Orilia.

Nostro Signore e i due ladroni furono spiccati dalla croce subito dopo la loro morte e sepolti precipitosamente, pel sopraggiungere del Sabato, che incominciava al tramonto del sole. Tale era la legge dei Giudei. Un dei loro autori, Filone, la spiega in questi termini: « La legge, dice egli, non permette agli omicidi di pagar colla moneta ciò che pagar debbono colla morte o con l’esilio, ma esige rigorosamente che il sangue sia espiato col sangue, e che la vita dell’omicida sia data per la vita della vittima. Se tale non fosse la disposizione della legge, gli assassini si farebbero un gioco dell’ omicidio e di tutti gli altri delitti „ Contro rei di tal sorta di misfatti, il legislatore avrebbe decretato mille supplizi, se lo avesse potuto : ma non potendolo, esso ordinò, come supplemento di pena, che fossero crocifissi. – « Cionondimeno, Mosè il più mansueto degli uomini, diede prova della sua clemenza a riguardo dei rei. Che il sole, diss’egli, non tramonti su quelli che son sospesi al patibolo : ma sieno essi staccati di là e sepolti prima che scenda all’occaso. E nel fatto, due cose erano necessarie. Bisognava elevar dalla terra coloro che avevano con i loro delitti imbrattato ogni parte della creazione, per rendere testimoni del loro supplizio il sole, e col sole il firmamento, l’aria e la terra. Dipoi, occorreva prontamente seppellirli, affinché non contaminassero nulla di quel che è visibile. »  – In conseguenza, ed a motivo della prossimità del gran Sabato, il corpo del Buon Ladrone, subito dopo il crurifragium fu distaccato dalla croce e frettolosamente sepolto sulla montagna stessa del Calvario. Né solo il suo corpo fu seppellito; presso gli Ebrei era in uso di seppellire presso il corpo de’ giustiziati anche gli strumenti ch’avevano servito a dar loro la morte. – « Era proibito, dicono gli Antichi Rabbini, di deporre i cadaveri dei condannati nelle sepolture comuni. Essi dovevano esser sepolti a parte. Ed egualmente a parte si dovevano sotterrare gli strumenti del loro supplizio, cioè, le croci, i chiodi, le mannaie, le pietre, secondo il genere della morte che avevano subito. Ed è perciò ch’era vietato di crocifiggere ad un albero; ma era d’uopo che l’albero fosse segato, e dei suoi rami si formasse la croce, affinché fosse mobile lo strumento del supplizio, e potesse seppellirsi pur esso » [Apud Baron., an. 34, n. 134]. Nella medesima fossa i Giudei gettarono le tre croci dei condannati, le quali rimasero sotterrate per 300 anni, fino cioè alla scoperta che ne fu fatta da S. Elena imperatrice, madre di Costantino. La operazione presentò assai difficoltà. Primieramente, i Pagani, in odio al Cristianesimo, avevano fatto di tutto per far dimenticare il luogo della crocifissione e la fossa profonda nella quale si erano seppellite le croci del Salvatore e dei due ladroni. Per disposizione dei persecutori, erasi portata sul Calvario una gran quantità di terra per fare una piattaforma molto elevata sul vertice della montagna: fu questa cinta da un muro, ornato di emblemi pagani, quindi selciata, e vi si edificò un tempio dedicato a Venere, presso il quale sorgeva una statua di Giove. – I Cristiani pertanto che andavano a pregar sul Calvario, erano creduti adoratori degl’idoli; ed il timore di passare per idolatri li tratteneva dal frequentare quel luogo sacro, che in conseguenza a poco a poco fu abbandonato del tutto; e i Pagani speravano di far anche dimenticare il gran fatto che ivi era avvenuto. Ma, senza saperlo, secondavano le mire della Provvidenza. Era necessario che le croci del Calvario rimanessero nascoste fino alla pace della Chiesa, Se fossero state scoperte durante il predominio del Paganesimo ed il tempo delle persecuzioni, sarebbero state certamente profanate o distrutte. – La venerabile Imperatrice non si arrestò innanzi alla difficoltà materiale. Un gran numero di soldati e di operai ebbero incarico di demolire il tempio dell’impura Dea, e di rovesciare la statua del principe dei demoni, non che di sgombrare dei rottami e della terra la sacra montagna. L’opera fu eseguita con ammirabile attività, e ben tosto si venne a scoprire la cima naturale del sacro monte. Rimaneva a trovarsi il luogo ove le croci fossero sotterrate. Si raccolse la tradizione dalla bocca dei Cristiani e dei Giudei. Sul principio essa non diede alcuna indicazione precisa. Essendosi tuttavia nell’incertezza, 1’Imperatrice fu avvertita esservi alcuni Ebrei che perfettamente conoscevano il sito ov’eran le croci, ma che ricusavano palesarlo. Ascoltiamo l’imperatore Leone che scriveva ad Omar re dei Saraceni, quanto ora avvenuto in quella circostanza. Noi riportiamo la sua lettera per intero, perché poco nota, e perché aggiunge interessanti particolarità, a quelle che noi dobbiamo a S. Paolino, a S. Ambrogio, e ad altri scrittori ecclesiastici sul grande avvenimento della scoperta della vera croce. – « Io mi accingo a rispondere, dice il principe, alle domande che m’indirizzate su Gesù Cristo. Egli fu crocifisso con due ladroni, l’uno a destra, l’altro a sinistra, e morì in quel medesimo giorno. Alla sua morte tremò la terra e si oscurò il sole. I principi de’ Giudei ch’eran presenti, furono colpiti da grande spavento, e vidersi in grave imbarazzo a motivo delle croci. Per cancellare la memoria di quanto era avvenuto, seppellirono essi quelle croci di tal maniera che niuno potesse sapere ove fossero, tranne uno solo fra essi. Durante la sua vita, il depositario del segreto non lo confidò ad alcuno. All’avvicinarsi della morte, egli lo trasmise ad uno dei suoi parenti, dicendogli: Se mai si venisse a riparlare della croce, tu saprai ov’essa è, e glie ne indicò il luogo preciso. – « Quando Gesù Cristo volle pubblicamente confondere i Giudei fece apparire la Croce a Costantino imperatore dei Romani, non ancora cristiano. Andando egli alla guerra, alzò gli occhi al cielo, e vide nell’aria due colonue, che si traversavano a guisa di croce e su quelle una luminosa leggenda scritta in greco, la quale diceva: Poiché tu hai chiesto a Dio di conoscere la vera fede, fatti un vessillo sul modello di questa croce, e portalo alla testa del tuo esercito. L’imperatore obbedì, attaccò il nemico, e per virtù della santa Croce, riportò una compiuta vittoria. « Nel ritorno egli mandò Elena, sua madre, con un corpo di truppe fino a Gerusalemme, per domandare agli Ebrei che fosse avvenuto della Croce del Signore. – E ricusando essi di rispondere, ella ne fa’ porre parecchi alla tortura. Alla fine essi indicarono all’Imperatrice colui che era il depositario del segreto, ed ella bentosto Io fece ricercare, e negando egli di saperlo, lo fece calare in un pozzo senza fargli somministrare alcun cibo. Dopo qualche giorno, sentendosi venir meno la vita, consentì ad indicare il luogo ov’erano le tre croci. « Si cominciò a scavare, e bentosto si sentì venir fuori dalla fossa un soave profumo che assicurava la scoperta delle croci, già da tre secoli sepolte colà. Trattele fuori, non sapendo l’Imperatrice qual fosse la Croce del Signore, fece appressare ad un morto la prima che le si presentò, ed al contatto di quella il morto non diede segno di vita. Lo stesso avvenne della seconda; ma non appena la terza ebbe toccato quel cadavere, si levò esso in piedi in tutto il vigor della vita. Elena feece immediatamente edificare una Chiesa sul sepolcro di Nostro Signore Gesù Cristo, vi depose una parte del santo Legno, e fe’portare il resto a suo figlio.» [Epist. Leon, imperat, ad Umarum Reg. Saracen. in Bibl. PP, t. III; et apud Gsetzer, De Cruce, t. II, p. 75, edit. in 4.]. La storia ha conservato il nome del giudeo che manifestò il segreto dei suoi correligionari. Egli chiama vasi Giuda, e convertito al Cristianesimo, prese il nome di Ciriaco, divenne Vescovo, e poi morì martire sotto Giuliano l’apostata. La sua festa è segnata al primo di Maggio nel martirologio di Beda, ed il racconto della sua conversione si legge nella storia di Gregorio di Tours, ed in altri molti scrittori riportati testualmente da Gretzer. Quel dotto religioso poi aggiunge: « Non vogliasi avere in conto di favola cotesto racconto, non solamente per l’autorevole testimonianza di Gregorio di Tours, ma altresì per l’autorità molto maggiore dell’Officio Ecclesiastico dell’Invenzione della Santa Croce. In detto Officio leggesi, parola per parola, tutta la storia di questo Giuda, ed essa ogni anno è recitata dal Clero » —  La guarigione istantanea di un infermo presso il santo Sepolcro, e soprattutto la risurrezione del morto, avevano fatto con certezza conoscere la Croce del Salvatore. Incontestabili prove altresì fecero certamente distinguere la croce del Buon Ladrone, poiché l’Oriente e l’Occidente conservano con molta cura e piamente onorano le preziose reliquie dello strumento del supplizio, sul quale morì santificato l’evangelista del Calvario. Sostenere il contrario, e sostenerlo senza gravi autorità, sarebbe un’ingiuria gratuita alla fede dei secoli cristiani. Il silenzio di taluni autori non è che un argomento negativo, il cui valore svanisce dinanzi alla positiva testimonianza di altri rispettabili autori, e soprattutto innanzi al consentimento delle passate generazioni. – Or ecco quello che noi sappiamo. S. Elena profittò del suo soggiorno a Gerusalemme per raccogliere con ogni possibile diligenza tutti gli oggetti santificati dal contatto del Salvatore, o testimonianze della sua morte, o monumenti delle antiche tradizioni bibliche. Questi ultimi, salvati da distruzione dalla stessa Provvidenza, sussistevano, siccome i fossili nelle viscere della terra, in prova dei grandi avvenimenti narrati da Mosè. Tali erano fra gli altri la statua di sale, nella quale fu tramutata la moglie di Loth; le ossa enormi dei giganti i cui misfatti avevano provocato il diluvio; finalmente il venerando oggetto di cui parliamo, e che fu il solo che portò seco s. Elena. Quanto agli altri è facile immaginare con quale religiosa sollecitudine fossero essi conservati dalia filiale pietà dei Cristiani della Palestina. – La pia Imperatrice portò seco, non solamente una gran parte della Croce di Nostro Signore, i chiodi, il titolo scritto in più lingue, e gl’istrumenti tutti della sua morte, ma ancora la croce del Buon Ladrone, e quella pur del cattivo. Se la prima era un monumento di misericordia, la seconda era un monumento di giustizia. Se l’una doveva ispirare il pentimento e la fiducia nel perdono, l’altra era propria a colpire di un terror salutare. Di più senza essere offerte l’una e 1′ altra alla venerazione dei secoli, ambedue rendevano testimonianza del più grande avvenimento della storia. – Ma lasciamo parlare gli antichi e i moderni. « La imperatrice, dicono gli storici greci, Niceforo, Suida, Cedreno, Zonaro, riunì le croci dei due ladroni con molti altri oggetti, raccolti in Terra Santa, e li trasportò a Costantinopoli. Vi erano fra gli altri, il vaso dei profumi coi quali fu imbalsamato il Signore, i dodici canestri, e le sette sporte che avevano contenuto i pani miracolosamente moltiplicati, con qualche pezzo di quei medesimi pani, di più l’ascia della quale si era servito Noti nella costruzione dell’Arca e molti altri oggetti che avevano il marchio della loro autenticità. « Costantino accolse queste ammirande reliquie con una gioia ed una pietà degne della sua fede. Sulla piazza di Costantinopoli, che portava il suo nome, fece egli innalzare per riceverle un magnifico monumento, che si componeva di quattro solide arcate mirabilmente scolpite, che formavano come quattro portici intorno ad una grande colonna di porfido. Nello zoccolo della colonna l’imperatore con le sue mani depose una ricca cassetta, che conteneva le sante reliquie, e fu da lui suggellala col suggello dell’impero. Vero ed inestimabile tesoro della città imperiale, questo monumento ancora sussiste intatto e venerato. » Quanto alla croce dei Buon Ladrone, una immemorabile tradizione dice, che s. Elena, tornando da Gerusalemme la donò quasi interamente agli abitanti dell’isola di Cipro. Egli è un fatto che da secoli si conservò, e per avventura conservasi ancora, in un Convento in mezzo alle montagne prossime a Nicosia (oggi Lefkosia) capitale dell’isola, la croce del Buon Ladrone. Essa è collocata dietro l’altare maggiore, ove sta, per quanto dicesi, miracolosamente sospesa. Benché imporporata del sangue di un Santo illustre, si aggiunge che, a renderla più venerabile, s. Elena vi fece incastrare un pezzo della Croce del Salvatore: quindi il numeroso concorso degli abitanti dell’isola all’antico Monastero, ed i miracoli d’ogni specie, pubblici e privati, ottenuti in quel luogo. Tal’è la testimonianza di molti autori commendevoli per il loro sapere, e dei quali parecchi furono testimoni oculari di ciò che raccontano. Ciò che rimase della croce del Buon Ladrone fu portato a Costantinopoli, e relativamente a questa preziosa reliquia, avvenne ciò che avviene ancora rispetto a tutte le altre, e pur anco alla Croce di Nostro Signore. Una parte fu conservata nella città imperiale, intanto che delle particelle più o mono importanti andarono ad arricchire diverse Chiese dell’Oriente e dell’Occidente. Così nella Basilica Costantiniana di Santa Croce in Gerusalemme, Roma possiede un pezzo notabile della Croce del Buon Ladrone. Esso è collocato sull’altare della cappella delle reliquie, ed è rinchiuso in un reliquiario di cristallo. – Bologna ancora nella sua bella Chiesa dei santi Vitale ed Agrigola, conserva una non piccola parte della croce di s. Disma. La venerazione di che la dotta città fa mostra per l’illustre compagno del Salvatore, è pur comune ad altre Chiese, e noi il vedremo nel seguente Capitolo.

Mons. J.- J. GAUME: STORIA DEL BUON LADRONE (16), capp. XXVIII-XXIX

CAPITOLO XXVIII.

GLORIA DEL BUON LADRONE.

La gloria dei santi proporzionata alla loro carità. — Tutte le virtù definite per mezzo della carità .— Dottrina di S. Agostino.— Eroismo della carità di S. Disma.— Grandezza della sua giuria.— Cinque privilegi di S. Disma.— Primo privilegio: copia fedele di Gesù Crocifisso.— Rassomiglianza esteriore — Parole di S. Bernardino da Siena. — Rassomiglianza interiore. — Parole del medesimo santo.— Secondo privilegio: avvocato del Figlio di Dio.— Nobile causa da difendere. — Sublime difesa che ne fa S. Disma. — Coraggio dell’avvocato. — Riconoscenza del cliente divino.— Terzo privilegio: unico predicatore della divinità di Gesù Cristo.

Paolo ha detto questa bella e profonda parola: La carità è il vincolo della perfezione: vinculum perfectionis. Dio è la perfezione stessa; e Dio è carità, aggiunge Giovanni, Deus charitas est. La carità che unisce l’uomo a Dio, è dunque per l’uomo il vincolo della perfezione. Più quel legame è stretto, più grande è la perfezione. Quindi in primo luogo avviene che sulla terra il merito delle virtù deriva dalla carità, e su di essa valutasi. S. Agostino giunge a definire tutte le virtù per mezzo della carità che le informa : « Se la virtù ci conduce all’acquisto dell’eterna beatitudine, io sostengo, dice il sommo Dottore, che la virtù altro non è che il sommo amor di Dio. Le differenti virtù non sono che le differenti applicazioni della carità, ed io non esito a definirle nel seguente modo. La fede è l’amore che crede: la speranza è l’amore che attende; la pazienza è l’amore che sopporta; la prudenza è l’amore che giudica con discernimento; la giustizia è l’amore che dà a ciascuno ciò che gli è dovuto; la fortezza è l’amor coraggioso per operare; la temperanza è l’amore che del tutto si riserva per l’oggetto amato » De Morib. Eccl. cath., c. xv, n. 25; et Enarrat. 2 in ps. 31 et passim]. – In secondo luogo ne consegue che in cielo la carità dei santi è la misura della loro gloria essenziale. Ora quella del Buon Ladrone si elevò, come vedemmo, fino all’eroismo. Egli fu dunque eroicamente credente, eroicamente paziente, prudente, giusto, forte, e temperante. Aggiungiamo che la sua carità si manifestò in mezzo a circostanze affatto eccezionali, e queste a lui valsero nel cielo cinque prerogative o privilegi che alcun santo non ebbe comuni con lui. Fra gli abitanti innumerevoli della celeste Gerusalemme san Disma godrà per tutta la eternità, e godrà egli solo della gloria di essere stato: 1. la fedele copia di Gesù Crocifisso: 2. l’avvocato del Figlio di Dio: 3. l’unico predicatore della sua divinità: 4. il compagno di tutti i dolori della Santissima Vergine: 5. la figura di tutti gli eletti.

1.° S. Disma fu la copia fedele di Gesù Crocifisso. Chi non andrebbe superbo di somigliare alla più bella di tutte quante le umane creature? Rassomigliare ad un Angelo, qual gloria! Ma rassomigliare ad un Dio, qual incomparabile prerogativa! E questa è quella del Buon Ladrone. Una simile proposizione vi sorprende, e forse vi scandalizza. Qual rassomiglianza, direte voi, può esservi tra il Giusto per essenza, ed uno scellerato coperto di delitti fino a quel punto? Fra l’anima di Gesù più candida della neve, e l’anima di un ladro più nera delle tenebre che coprivano in quel momento il Calvario? – Rassicuratevi, poiché Disma non è più Disma. Siccome il fuoco purifica l’oro, e gli dà uno splendore che abbaglia; come l’acqua del battesimo purifica l’anima del bambino, e di una bellezza ammirabile la riveste; cosi la grazia ha purificata 1’anima di questo ladrone, e ne ha fatto per Dio e per gli Angeli un oggetto di compiacenza infinita. – V’è di più. La rassomiglianza particolare consiste in ciò, che di tutte le membra del corpo mistico di Gesù Cristo, Disma è il solo che abbia corporalmente sofferto il supplizio della croce in compagnia del divino nostro Capo. [S. Bernardin., Cerm. LI, fer. vi, Post. Dom. Oliv. p. 332, edit. in fol. Paris, 1635.] Or chi più di un crocifisso rassomiglia ad un crocifisso? Né per il tempo, né pel luogo, né pel modo, la esterna rassomiglianza lascia nulla a desiderare. – Rimane ora la rassomiglianza interna. Senza dubbio Disma soffriva per espiare i suoi delitti, e Nostro Signore per espiare quelli di tutto il mondo. Ma dopo la sua conversione, il Buon Ladrone era divenuto un membro vivente di Gesù Cristo: e quindi i suoi dolori e la sua morte, sofferte con rassegnazione, facevano di lui un redentore personale, che moriva pel suo proprio riscatto, simile, almeno in parte, al Redentore universale che moriva pel riscatto di tutto il genere umano [S. Bernardin., ubi supra]. – Vi è anche di più. Divenendo membro di Nostro Signore, Disma il diveniva della comunione dei santi. Come s. Paolo, egli poteva dire in tutta verità: « Io dò nella mia carne compimento a quello che rimane dei patimenti di Cristo a prò del corpo di lui ch’è la Chiesa » [Colos., I, 24]. – Se dunque, secondo lo stesso Apostolo, i cristiani battezzati portano in se medesimi la rassomiglianza di Nostro Signore; quanto non apparisce più viva siffatta rassomiglianza nel Buon Ladrone battezzato nel suo sangue, e prima di ogni altro battezzato al fianco del Redentore in persona?

2.° S. Disma fu l’avvocato del Figlio di Dio. Il giorno, in cui il Re del cielo e della terra fu condannato a morire come un malfattore, Gerusalemme aveva forse più di un milione di persone, fra coloro che abitavano la città, e gli stranieri accorsi da tutte le parti del mondo per assistere alle feste della Pasqua. Relativamente al divino Condannato, quell’immensa popolazione si divideva in due campi; il campo dei nemici di Gesù di Nazareth, ed il campo dei suoi seguaci. – Gesù, legato, schiaffeggiato, coperto di sputi, è trascinato per le vie della città, da Caifa a Pilato, da Pilato ad Erode, da Erode a Pilato. Nel campo dei suoi nemici, accuse e grida incessanti di provocazione a condanna. Nel campo dei suoi amici, assoluto silenzio. Pilato lo mostra al popolo coperto di piaghe, coronato di spine. Nel campo nemico grida universali di morte; e silenzio assoluto nel campo degli amici. Gesù monta al Calvario; carico del grave peso della croce, ed in uno stato da muover a pietà le rupi: e sempre i medesimi schiamazzi d’imprecazione nel campo avverso, e nel devoto a lui lo stesso silenzio. Egli è crocifisso, e bestemmie, accuse, scherni ed ingiurie dal canto dei suoi avversari si succedono senza posa, e son ripetute dagli echi di queicontorni; e fra suoi devoti, non v’ha un solo che alzi la voce per difenderlo. Eppure qual più nobile e più giusta causa! Ahi se loro fosse dato di accorrere, quanti milioni di Angioli scenderebber dal cielo, veloci come il lampo, raggianti siccome il sole, e verrebbero a confondere i suoi nemici, a far manifesta la sua divinità, la sua onnipotenza, ed il suo infinito amore per gli uomini, cagione volontaria delle sue umiliazioni, de’ suoi dolori, e della sua morte! Ma che? Iddio non accorderà ad alcuna creatura del ciclo e della terra l’onore di perorare pel suo divino Figliuolo? Sì, Egli l’accorderà, e la ragione umana sarà per tutti i secoli impotente a misurare la grandezza di un siffatto favore. In mezzo al costernato silenzio di tutti gli amici di Gesù, e alle grida sanguinarie dei suoi efferati nemici, si alza una voce, una sola, per difendere il Giusto, ed è la voce di Disma. La sua difesa è sublime per eloquenza e coraggio. L’intrepido avvocato sfida il furore di tutto un popolo di carnefici, padroni della sua vita, e tutto dice con una parola: « Gesù è innocente: Hic autem nihil mali gessit. » – Torniamo col pensiero alle circostanze del tempo e del luogo, in cui quella difesa venne fatta: alla posizione dell’avvocato che la pronunzia; e figuriamoci, non più la gloria di essere stato scelto, tra tutti gli Angeli del cielo e tutti gli abitanti della terra, per un siffatto ministero; ma la riconoscenza del Salvatore morente, e morente in quel supplizio, abbandonato dai suoi più fedeli amici, per il solo difensore della sua innocenza, il solo consolatore delle sue mortali angosce. Ci piace di avere una debole idea dell’una e dell’altra? Supponiamo un re, strappato dal suo trono, spogliato della sua porpora, tradotto innanzi ai tribunali, come un malfattore volgare, del quale tutti i grandi uffiziali, tutti i cortigiani e i vassalli, ricolmi dei suoi benefizi, si son da lui allontanati all’ora del pericolo. Tradito dagli uni, negato dagli altri, abbandonato da tutti, ingiustamente condannato a morire su di un patibolo, questo re sventurato gira lo sguardo intorno a sé, cercando invano qualcuno che lo difenda e lo consoli. Tutto ad un tratto uno dei suoi più umili sudditi, lungo tempo ribelle, quando il suo re era nella prosperità, gli domanda pubblicamente perdono, prende la difesa della sua causa, proclama la sua innocenza, e fa tremare i suoi carnefici. – Se questo re tornasse al possesso del trono, o andasse a regnare altrove, può ognuno immaginare qual sarebbe la riconoscenza per il suo coraggioso avvocato, e di quali titoli di onore lo colmerebbe, e di quale e quanta efficacia sarebbero presso quel monarca le sue raccomandazioni ed i suoi minimi desideri. Come tutto il regno, compresi i più eminenti personaggi, lo riguarderebbero con ammirazione, come lo inchinerebbero tutti e nel vederlo passare direbbero: ecco il difensore del re! Quante suppliche gli sarebbero presentate, e come ne sarebbe da tutti ambita la protezione! Duplicate, triplicate la forza dei sentimenti e dei pensieri, che una tale supposizione ispira, ed avrete appena una debole idea della gratitudine di Nostro Signore nel regno della sua gloria, e del potere di Disma sul cuore di Lui. – « Datemi, dice il Crisostomo, mille servi fedeli al loro padrone, quando egli è nel pieno godimento della sua potenza e della sua gloria; ed un servo che, al tempo della sventura, dell’afflizione e dell’esilio non lo abbandona, intanto che i mille fuggono e da lui si allontanano Forseché al ritorno della fortuna, quei primi saranno così ben riguardati come il secondo? No certamente. Patriarchi, Profeti, Apostoli, Evangelisti, Martiri, voi avete creduto al Signore, voi vi siete legati a lui, perche lo avete veduto nello splendore della sua gloria, nella stupenda opera dei suoi miracoli; ma il Buon Ladrone non lo ha veduto che nell’ignominia, e gli è rimasto fedele » De Cœco nato. Ubi supra.].

3.° S. Disma fu il solo predicatore della divinità di Gesù Crocifisso. La difesa del Buun Ladrone ha due parti: nella prima il coraggioso avvocato proclama la innocenza del suo cliente: Gesù non ha fatto alcun male: hic autem nihil mali fecit. Nella seconda proclama la sua divinità: Ricordati di me quando sarai nel tuo regno: memento mei cum venerìs in regnum tuum! E di qual regno parlava Disma? Certamente non era di un regno di questo mondo, dappoiché Nostro Signore moriva povero e nudo senz’alcun apparenza di terrena signoria; ma del regno dell’altro mondo, cioè del cielo, ove Gesù morendo entrerebbe, e del quale 1’illustre apologista riconosce e dichiara appartenergli la proprietà. Ora, a chi appartiene la piena proprietà del regno dei cieli se non a Dio, ed a Dio solo? Ecco quel che afferma il fortunato Disma, e fuori di lui, nessun osa affermare, E non è questo un glorioso privilegio? Se occorreva del coraggio per proclamare 1’innocenza del Salvatore, ne bisognava mille volte più per proclamare la sua divinità. Dire che Gesù era innocente, era questo un irritare i giudei; ma affermare ch’Egli era Dio, era lo stesso che provocare i sarcasmi e gli oltraggi più sanguinosi. « Insensato! andava a dire crollando il capo quella plebaglia delirante, qual ricordo può serbare di te, qual regno può darti questo malfattore, che noi abbiamo come te crocifisso, e ch’è per morire con te? Tu Io proclami Dio, ed egli è qualche cosa meno di un uomo. » – Disma non si scuote perciò, e a dispetto della Sinagoga, e di tutto un popolo bestemmiatore, eroicamente persiste nella sua domanda. Sarà egli questo un privilegio da nulla? Se la fede non avesse illuminata l’anima di questo glorioso evangelista di una luce soprannaturale, pensate voi che avrebbe potuto riconoscere un Dio sotto l’apparenza di un condannato all’estremo supplizio ? Pensate voi che avrebbe riposte tutte le sue speranze in un uomo che appariva qual reo in atto di espiare sul patibolo i suoi delitti, e non già il desiderato di tutte le genti, sì magnificamente predetto? E questa fede eccezionale, sì ferma, sì viva, sì chiara, in un tal momento e in un tal luogo, in mezzo a sì strano concorso di circostanze, avrete voi il coraggio di riguardarla come una grazia ordinaria? Quanto a me, io con i santi Padri l’ho in conto di uno dei più gloriosi privilegi del fortunatissimo Disma. « E nel vero, mai forse il Signore ha trovato in Israele e nel mondo intero una fede sì grande.1 » [S. Aug. Serm. XLIV, De Tempor.].

CAPITOLO XXIX.

GLORIA DEL BUON LADRONE.

( Continuazione.)

Quarto privilegio del Buon Ladrone: compagno di tutti i dolori della Santissima Vergine.— Natura di questo privilegio.— Notevoli parole di S. Bernardino da Siena, del B. Simone di Cascia e del P. Orilia. — Quinto privilegio: figura di tutti gli eletti. — Grandezza di questo privilegio . — Testimonianze del Crisostomo, di S. Tommaso, di S. Bernardo, di Arnaldo di Chartres.

4.° S. Disma fu il compagno di tutti i dolori della Santissima Vergine. Noi abbiamo veduto quanto viva fosse la riconoscenza di Nostro Signore pel suo coraggioso avvocato. Ma non meno viva si fu quella di Maria per il compagno di tutti i suoi dolori. Certamente la S. Vergine ebbe per consolatore S. Giovanni, e le pietose donne, ma le une e l’altro si tenevano in silenzio; ed in tutto il tragitto della via dolorosa, e durante la lunga agonia del suo divino Figliuolo, Maria, immersa nel dolore, non sente che una sola parola di conforto, e quella parola viene dalla bocca del Buon Ladrone: Gesù è innocente, Gesù è Dio, Gesù è il desiderato delle nazioni e il Salvatore del mondo. – Oh! come quella parola inaspettata e coraggiosa dové inondare di gioia l’anima dell’augusta Madre. A suo Figlio, abbandonato da tutti, quella parola rivela un amico, non solamente fedele come S. Giovanni, ma intrepido come nessun altro. A lei stessa procurava quella un consolatore al di sopra di tutti gli altri, poiché proclamava egli avanti al cielo e alla terra, due verità, la cui manifestazione era l’oggetto di tutti i di lei voti: la innocenza del Figlio, e la sua divinità. – S. Bernardino da Siena non esita a credere che l’amoroso Disma non si limitasse a ciò. « Non vi ha, dice egli, nessun inconveniente a credere che il Buon Ladrone, avendo sopravvissuto a Nostro Signore, e vedendo l’immenso dolore della sua divina Madre, a Lei rivolgesse delle parole piene di filiale tenerezza. Divenendo cristiano, esso era divenuto fratello di Gesù Cristo, ed aveva quindi ragione di riconoscere Maria per sua vera madre. » In quest’ordine di rapporti san Disma fu veramente il compagno privilegiato dei dolori della santa Vergine. Nel suo Figlio Maria amava il suo Dio, e nel suo Dio Ella amava il suo Figlio. Da questi due amori, elevati alla più alta potenza, nasceva nel cuore della divina Madre, allo spettacolo della croce, un dolore che nulla aveva di analogo con nessun altro dolore. Ora Disma solo risentiva un siffatto dolore, per quanto un cuor d’uomo può esserne capace; poiché, in Gesù Crocifisso, egli vedeva, come Maria, un Uomo Dio, che moriva per la salute del mondo. A lui solo fra tutte le creature, vivente della vita presente, fu accordato il privilegio di essere associato con tanta pienezza alle ambasce della divina Madre. – Egli è pur vero che allato di Maria erano s. Giovanni e la Maddalena, che dividevano i suoi dolori; « Ma, dice s. Bernardino da Siena, in Gesù essi piangevano un buon Maestro: nella sua morte, essi piangevano la morte di un uomo superiore ad ogni altro uomo, e non la morte di un Uomo-Dio, che moriva per tutto il genere umano. Solo, con Maria, Disma piangeva in Gesù un Uomo-Dio, e le sue consolazioni furono le sole capaci di lenire i dolori dell’ augusta Madre » – Un tal privilegio sembrava tanto glorioso all’Angelo da Siena, che vi ritorna sopra con piacere. Paragonando gli Apostoli al Buon Ladrone, egli dice in altro luogo. « Passati avendo tre anni alla scuola di Gesù, essi sempre avevano inteso la dottrina di Gesù, ed ovunque erano stati presenti ai suoi miracoli. Poc’anzi avevano ricevuto dalle sue stesse mani il suo sacratissimo Corpo in cibo, e fuggendo rinnegavano il loro Maestro. Solo, con Maria silenziosa a piè della croce, il Buon Ladrone credeva dal fondo del suo cuore, e di una fede irremovibile, che Gesù era il Figlio di Dio. » – Il beato Simone da Cascia esprime lo stesso concetto: « Solo, dice egli, il Buon Ladrone confessa con le sue parole colui che Maria confessa col suo silenzio. Nei suoi atrocissimi dolori, fu egli il compagno della Beata Vergine, dividendone la fede ed il cordoglio » [« Latro solus cum tacente Virgine confitetur, et in his mœroribus tam horrendis socius fuit Virginis in fide atque dolore. » Lib. XIII, c. III], e il P. Orilia dice di più, che in quel funestissimo tempo della passione di Cristo, la fede in petto a tutti, toltane Maria, se non cadde, crollò! -Il Vangelo stesso non ci mostra forse gli Apostoli, il giorno dopo Pasqua, in preda all’incertezza sulla risurrezione del loro Maestro, e per conseguenza sulla sua divinità e l’infallibilità delle sue promesse! Non trattano essi di sogni e visioni i racconti delle pie donne, che loro annunziano la sua risurrezione? E Nostro Signore medesimo non rimprovera ad essi la loro incredulità? Per convincerli non è egli costretto più volte a discendere ad infinite compiacenze, fino a lasciarsi toccare ed a prender cibo insieme con essi? [S. Marc., XVI, 11, S. Luc., XXIV, 21 etc., etc. – Impertanto, a giudizio dei Santi dei quali allegammo i testi, due sole persone sul Calvario ebbero nella divinità del Salvatore una fede completa e ferma, Maria e Disma. Se dunque noi fossimo stati a piè della Croce avremmo potuto consolare l’augusta Madre, tenendole questo linguaggio: « O Madre dei dolori, consolatevi! … non siete sola a piangere la morte di vostro Figlio, come la morte di un Dio. V’ha qui alcuno che ne prova un dolore, se non eguale, almeno simile al vostro; ed è questo Ladrone crocifisso alla destra di Gesù. Illuminato dal lume della fede, egli sa che il vostro Figlio è veramente Dio, e veramente uomo, Dio ed uomo ad un tempo; e come tale lo confessa e lo piange. » Ove mai trovar nella storia un santo privilegiato in tal modo? V’era in Gerusalemme un gran numero di discepoli prediletti dal Salvatore, e neppur uno di essi si fa distinguere per una fede così perfetta, così salda come quella del Buon Ladrone. A lui solo è pertanto riserbato l’insigne favore di comprendere in tutta la loro estensione, e, per quanto l’ umana debolezza il comportava, dividere i dolori ineffabili di Maria. Tale si è il punto onde forza è muovere per formarsi un giusto concetto della gloria di cui gode nel cielo.

5.° S. Disma fu la figura di tutti gli eletti Nel Venerdì Santo sì è veduta sempre la immagine anticipata del finale Giudizio. Tre croci s’innalzano sulla cima dei Calvario. Alla destra è 1’umanità penitente, che è per salire al cielo. Alla sinistra l’umanità impenitente che cade neill’inferno. Nel mezzo è l’Uomo-Dio, Giudice supremo de’vivi e dei morti, che dall’alto della croce, divenuta il trono della sua potenza, determina i destini eterni dei figli di Adamo. Come il cattivo ladrone rappresenta tutti i reprobi, il Buon Ladrone rappresenta tutti gli eletti. Chi può farsi un’idea di una simile gloria? Glorioso è l’ambasciatore che rappresenta un potente monarca; ma mille volte più glorioso quei che ne rappresentasse delle migliaia più grandi di tutti i re della terra. Tali sono i Santi che regnano in cielo. Per un privilegio unico, S. Disma sulla croce li rappresenta tutti. In lui, od in lui solo in questo solenne momento luminosamente risplende l’imperscrutabile misericordia, che sceglie fra i figli dell’uomo quelli che vuol sollevare alla visione beatifica. A lui solo, a lui il primo, è rivolta la parola che consacra tutti gli eletti: Oggi sarai con me nel Paradiso. – Gli Apostoli l’udiranno; migliaia di Santi e di martiri la udiranno nel corso dei secoli: nel giorno del giudizio tutti i predestinati l’udiranno; ma Disma l’ha udita il primo. Durante la vita loro gli altri Santi, per grandi che siano, non udiranno questa parola che nel segreto della loro coscienza, né sempre così precisa da rassicurarli completamente: Disma al contrario la sente con le sue proprie orecchie, e mentre è ancor tra i viventi; e gli è detta in presenza di migliaia di testimoni che al pari di lui la sentono, e di tutti gli Angeli del Cielo che pur essi l’ascoltano. Essa è talmente positiva e chiara, che non lascia dubbio né timore alcuno nel fortunato che n’è favorito. Ammirabile prerogativa che Nostro Signore, sì pietoso, sì buono, non accordò mai ad alcuno dei suoi prediletti! La madre dei figli di Zebedeo era sua parente, ed era per età maggiore di lui. Piena di confidenza nel suo divino congiunto e nella predilezione del Salvatore per i suoi due figli, Giacomo e Giovanni, viene a chiedere per quelli i primi seggi nel regno di Dio. – Invece di rispondere come fece al Buon Ladrone, egli disse a’ suoi cugini: « Potete voi bere il calice che berrò io? Gli risposero: possiamo. » Pare che allora Nostro Signore avrebbe dovuto soggiungere: ebbene, voi sarete con me nel Paradiso; ma no: Egli disse loro: « Sì che leverete il calice mio: ma per quel che è di sedere alla mia destra o alla sinistra non tocca a me il concedervelo, ma sarà per quelli ai quali è stato preparato dal Padre rnio: non est meum dare vobis, sed quibus paratum est a Patre meo.» – Quindi è che a nessuno del mondo, né a s. Giovanni suo prediletto discepolo, né a s. Pietro, che era un altro Lui stesso nel governo della Chiesa, né ai Profeti, né ai Patriarchi Nostro Signore aveva detto: Oggi sarete con me nel Paradiso. Pel nostro santo, e per lui solo era riserbato questo incomparabile privilegio. «Qual mistero è mai questo? domanda il Crisostomo. Perché mai un ladrone è il primo a ricevere la promessa del Paradiso? Perché mai un assassino diviene prima di tutti cittadino del cielo? Eccone la ragione. II primo uomo fu un ladro; reo di aver rubato il frutto dell’albero vietato, fu espulso dal paradiso. Il pentito del Calvario è pur esso un ladro. Per aver preso il frutto dell’albero della croce, esso pel primo è introdotto nel Paradiso. Dal legno ebbe principio il peccato, e dal legno incomincia la salvezza. – « Iddio lo volle per insegnare agli uomini tutti, che se, sull’esempio del buon Ladrone, essi adorano Gesù Crocifisso come loro Signore e loro Dio, riceveranno i medesimi onori. Ei lo volle, affinché vedendolo dalla Croce perdonare tutti i peccati del ladrone, credessero che Egli, Redentore Universale, ha cancellato la sentenza di condanna di tutto il genere umano. Ei lo volle affine di convincerne che, se nella persona del primo Adamo pose in bando dal Paradiso come una spina l’umanità colpevole, nella persona del Ladrone penitente ve l’ha richiamata come una rosa. – « Quindi è che, promettendogli il cielo per quel medesimo giorno, ci fa di lui ad un tempo la figura ed il precursore di tutti quelli che, in virtù dei meriti della redenzione, debbono entrare nella Reggia della celeste Gerusalemme.» – Dai privilegi di s. Disma, noi possiamo argomentare qual ne sia la gloria, della quale ei gode nel Cielo. – « La grazia, dice s. Tommaso, è il principio della gloria. » [« Gratia nihil aliud est quam quædam inchoatio gloriæ in nubis. [8, 3, p. 84, art. 3, ad 3]. – Più la grazia concessa all’uomo viatore è grande, sublime, straordinaria, e più la gloria di cui gode nel cielo è splendente, e più elevato il seggio che occupa in quello. [« Secundum multitudinem gratiæ, magnitudine gloriæ exaltatus. » S. Bern., Ser. de S. Benedict.]. – Partendo da questo principio, e riandando col pensiero l’incomprensibile immensità della grazia, della quale fu privilegiato il Buon Ladrone, concludiamo che la sua gloria è ugualmente incomprensibile. E di lui particolarmente bisogna dire con san Paolo, né occhio vide, né orecchio udì, né entrò in cuor dell’uomo nulla mai di paragonabile alla felicità, alla beatitudine, alla gloria, alla potenza, che ora sono, e saranno per tutti i secoli, privilegio del prediletto del Signore. Siccome negl’infallibili consigli della Provvidenza, i mezzi sono sempre proporzionati al fine, i santi Dottori non dubitano di asserire che il Buon Ladrone occupa uno dei più eccelsi troni della celeste Gerusalemme. « Quando dal pressoio della croce (dice s. Bernardino da Siena) ov’era schiacciato dal peso del dolore, il buon Gesù faceva scendere a rivi il vino soave dell’amor suo, che doveva inebriare il mondo intero, non fu pago di darne un qualche sorso al Buon Ladrone; ma l’anima di quel fortunato, intimamente unita al cuore di Gesù, dovette essere come sommersa nell’amore. Quindi io non dubito che il difensor coraggioso di Nostro Signore non brilli tra i più eminenti principi della Corte del Re divino. » [ut supra]. –  Altri non esita a chiamarlo l’Arcangelo del Paradiso, il figlio primogenito di Gesù Crocifisso, il martire e l’apostolo per eccellenza, il predicatore dell’Universo. « Se Paolo, soggiunge egli, parla come un Cherubino, Disma ama come un Serafino.  » [Vid. Cor. a Lap., In luc. . XXIII, 42]. Infine l’amico di s. Bernardo, il dotto e pio Arnaldo di Chartres, gli dà nel cielo il seggio stesso che lasciò vuoto Lucifero. [« Ibi latro collocatur, unde Lucifer corruit. * De sept. verb.].  – E perché non sarebbe vero tutto ciò? Qual’altro ne sarebbe più degno? Da una parte sappiamo che al seguito di Lucifero precipitarono dal cielo molti angeli di tutte le gerarchie, e che i loro seggi, rimasti vuoti, debbono essere occupati dai Santi. Vi saranno dunque dei santi fra i Serafini e i Cherubini, come fra gli altri cori Angelici. Dall’altra parte, il buon Ladrone rappresentava tutta la umanità rigenerata. Egli fu più coraggioso di tutti gli Apostoli, il fido compagno di tutti i dolori di Nostro Signore e della Santissima Vergine, il primo a cui fu promesso il cielo. La sua fede, la sua speranza, la sua carità si elevarono ad un eroismo incomparabile. E perché dunque il primo canonizzato di tutti i Santi non occuperebbe il luogo del primo prevaricatore? Comunque sia, non potremo mai abbastanza ammirare la potenza del pentimento, e l’inestimabile bontà del nostro Dio. In un batter d’occhio sollevare un’anima coperta di delitti al grado delle più pure e più sublimi intelligenze; o penitenza, quanto è grande la tua virtù! E considerando ciò che tu hai potuto fare, s. Pier Damiano ha ben ragione di esclamare: « Qual prodigio! Una paglia destinata al fuoco, divenire un cedro del Paradiso: un tizzone d’inferno, divenire un degli astri più luminosi del firmamento celeste! » [Stipula Tartari, cedrus est Paradisi; torris inferni, factas est splendidum sidus cœli. » Serm. de S. Bonif.]. Ed il pentimento dipende da noi!

Mons. J.- J. GAUME: STORIA DEL BUON LADRONE (15), capp. XXVI-XXVII

CAPITOLO XXVI.

RICOMPENSA DEL BUON LADRONE.

Delizioso mistero compiutosi nella sua anima. — Egli sente di essere perdonato. — È assicurato di perseverare. — Assicurato di possedere una gloria immacolata, una felicità pura ed immortale.— Godimento di questa felicità. — Ammirazione di S. Bernardo. — Ora misteriosa in cui il paradiso gli fu promesso. — Qual è questo paradiso. — Spiegazione di S. Agostino e di S. Tommaso.— È egli entrato il primo ìu paradiso?

Disma aveva fatto ciò che deve fare ogni peccatore penitente. Egli era rientrato in se stesso, si era pentito, confessato, ed erasi rivolto a quel Dio che in tanti modi e sì lungamente aveva offeso. Tutto ciò lo aveva fatto con perfetta sincerità e con un coraggio eroico: e la Misericordia, non trovando più ostacoli, entra ben tosto nella di lui anima, come la luce in un appartamento spalancato ai suoi raggi. Ma ciò non basta: la misericordia si getta su lui, come l’ape sul fiore, come la più tenera Madre sul figlio dell’amor suo da lungo tempo perduto. –  E che di più possiamo dire per dare un’idea di un sì delizioso mistero? Un gran colpevole è condannato a morte. Egli è solo, legato mani e piedi nel fondo di un nero carcere. Sta innanzi alla sua coscienza una vita intera di iniquità. Prima di salire al patibolo, due manigoldi lo flagellano: nel passato i rimorsi; nell’avvenire la vista dell’estremo supplizio. Finalmente uno strano rumore gli ferisce l’udito: è il carceriere che viene colle sue grosse chiavi ad aprir 1’uscio della prigione agli sgherri della giustizia. Il reo è condotto via: per poco ancora, ed avrà subito una morte obbrobriosa e crudele. In mezzo a sì lugubre e funesto apparecchio, il re giunge e gli dice: « Tu sei assoluto. » E chi potrà mai esprimere la gioia, la impressione di contento che una tal parola produrrebbe sul povero condannato?… Ma mille volte più grande fu il gaudio di Disma, allorché intese il Salvatore dirgli: « Oggi sarai meco in paradiso. A provarlo basta svolgere il senso di quelle ineffabili parole. Dapprima vogliono dire: Tu sei perdonato. « Io son perdonato! Ed è ciò possibile? Io invecchiato nel delitto; io giustamente condannato al supplizio il più infamante; io, la cui anima è più nera del carbone; io l’orrore dei miei simili; io già destinato all’inferno, io son perdonato, io son 1’amico di Dio! Sì, lo sento, io son perdonato! Non v’ha più un peso che opprime la mia coscienza; non più rimorsi! Una pace sconosciuta m’inonda l’anima, e la inebria, e la fa uscire fuori di se! » E ben si comprende che una simile parola, uscita da una tal bocca, e diretta ad un uomo qual si era Disma, era capace di farlo morire. Disma è perdonato; ma sarà durevole la sua felicità? Non ha egli da temere di perderla con ricadere nel peccato? No. Fatto certo del suo perdono, il fortunato penitente non lo è meno della sua perseveranza. Egli ne ha pegno la parola infallibile; che dico? Il giuramento, il solenne giuramento del suo Redentore. – La parola Amen dicono i santi Dottori, è il giùramento di Dio. Usandola a riguardo del Buon Ladrone, Nostro Signore gli dà l’inalterabile sicurezza, ch’ei persevererà fino alla morte nella fede, nella speranza, nella sincerità del suo ravvedimento. Né ciò è tutto. Quasiché il divino Maestro avesse temuto che il suo caro Disma potesse rimanere in qualche inquietezza, replica quella solenne parola: Amen, Amen,, in verità in verità io tel dico. Oblio pel passato, sicurezza per l’avvenire … immensi favori, e pure essi non sono che un primo saggio della misericordia verso il Buon Ladrone e una debole parte della sua ricompensa. Vediamone il seguito. Se non contento di accordare la sua grazia, al reo di cui facemmo parola, il Re avesse detto: oggi stesso io ti condurrò meco alla Corte, e prenderai parte alla mia gloria, alla mia potenza, ed a tutti i miei godimenti: la lingua umana non potrebbe sicuramente esprimere le emozioni dì un uomo, richiamato ad un tratto dalle porte della morte ai più vivi splendori della vita, e dal fondo di un carcere all’altezza di un trono. Ma anche più grande è la sua impotenza ad esprimere i sentimenti di Disma nell’udire il re dei re dirgli: « In verità, in verità ti dico: oggi tu sarai meco in Paradiso. » – Quello che può affermarsi con uno dei suoi panegiristi si è, che l’annunzio di una siffatta felicità assorbì ogni sensazione di dolore: Latro plagarum immemor, dilectione dilatatur. [Arnold. Carnot., De sept. verb.]. – Precursore di un altro insigne convertito, Disma può egli pur dire come s. Paolo: « Sono inondato dall’allegrezza in mezzo a tutte le nostre tribolazioni. » [II Cor., VII, 4.] – Precursore dei martiri, egli provò quello che essi provarono. In mezzo ai più crudeli tormenti, furon veduti ebbri di gioia cantare sugli eculei, sorridere sotto le ruote, e coi piedi sugli ardenti carboni dire ai loro giudici: « Giammai noi ci trovammo ad una sì lieta festa, ad un sì lauto convito: nunquam tam jucunde epulatìs sumus [Ad. SS. Mar. et Marc.]. – Questa coesistenza del dolore e della gioia è chiaramente spiegata da s. Tommaso [3. p. q. 46. art. 8, ad I.]. – La sola cosa che il Salvatore promette al suo diletto compagno di morte non è già di renderlo felice in mezzo ai suoi mortali affanni: Egli lo assicura di una felicità assoluta, e non già nel corso di un anno, di un mese, ma per quel medesimo giorno. I Padri della Chiesa sen vanno in estasi nel considerare i tesori di tenerezza contenuti in quelle divine parole. Per essi tutti ascoltiamo s. Agostino ed un contemporaneo di s. Bernardo. Il primo si esprime così: « Sovvengati di me, disse il Buon Ladrone; e non ora, ma quando sarai rientrato nel regno tuo. Io son reo di tanti delitti, che non posso sperare un pronto riposo. Che le mie pene si prolunghino pure fino al tuo definitivo trionfo, non è certamente soverchio per i miei peccati. Allorché sarai rimesso nel tuo trono di gloria, allora mi perdonerai. Egli rimetteva ad un avvenire non vicino la sua salvezza; ma il Salvatore gli offrì il Paradiso che egli non osava domandare. » Ecco le parole del secondo: « In verità, ti dico, oggi sarai meco in paradiso. E chi mai? Tu che mi hai confessato tra i tormenti della croce, tu sarai meco nelle delizie del Paradiso. Con me, egli disse! Bontà ammirabile! Egli non disse semplicemente: tu sarai accolto in Paradiso, o tu sarai in Paradiso con gli angeli; ma con me. Tu sarai ricolmato di gioia vedendo Colui che tu desideri. Tu vedrai in tutta la sua maestà colui che tu confessi in mezzo ai dolori. Io non fo attendere ciò che prometto: oggi stesso tu verrai con me. – « Il dolce e pietoso Gesù ascolta subito, promette subito, e subito dà. Chi può dunque disperare di un Dio sì facile a dare ascolto, sì pronto a promettere, e sì puntuale a dare? … E noi pure che conosciamo la vostra benignità, noi speriamo in voi, perché non abbandonate mai coloro che vi cercano s. » Tal’è la premura del Salvatore d’introdurre nel cielo il suo diletto, che passa sopra a tutte le regole dell’ordinaria sua provvidenza. Egli stesso ha stabilito S, Pietro a custode della celeste Gerusalemme: a lui solo dava il diritto di aprirne le porte. Ma nella circostanza della quale parliamo, Nostro Signore non bada a quella disposizione, riprende le chiavi e senza consultare altri, apre Egli medesimo il suo regno al suo fedele compagno. Si è questa un’ingegnosa riflessione di Arnaldo di Chartres. Non vi adombrate, dice egli a S. Pietro, voi principe degli Apostoli e portinaio del cielo, lo non vi vedo a piè della Croce: il timore vi tiene lontano, e non avete nemmeno il coraggio di accompagnare la Madre del vostro Maestro, né le pie donne che intrepidamente si stanno appiè della Croce. Voi non fate uso alcuno dell’apostolica vostra autorità di legare e di sciogliere. Mentre inchiodati alle loro croci il Salvatore ed il peccatore si trattengono a parlare insieme, voi siete assente, e, permettete ch’io ve lo dica, trascurate il vostro officio di portinaio. Il sommo Sacerdote vi supplisce forzando le vecchie serrature; ed il Ladrone primizia dei disperati introdotto dallo stesso Signore nel regno dei cieli, è collocato sul trono stesso di Lucifero: e colui, al quale voi forse non avreste perdonato più di sette volte, benché colpevole più di settantasette volte, è assolto dal buon Gesù e regna con gli Angeli. – « Riassumete le vostre funzioni, ed imparate a perdonare … non contate né il numero né la lunga durata dei peccati. La divina clemenza non conosce limite alcuno, non è circoscritta dalla quantità né limitata dal tempo. Vi sia pure qualcuno che implori, e vi sarà qualcuno che esaudirà. Che vi sia qualcuno che si penta, e vi sarà qualcuno che perdonerà. Notate l’ora, che è l’ora estrema; osservate la persona che è un gran peccatore. Peccati enormi, peccati in gran numero, peccati antichi, in un batter d’occhio son cancellati per l’azione della grazia, e così totalmente scompaiono che non rimane ombra di macchia in quell’anima lavata dal battesimo della misericordia! « Modello di ravvedimento, esemplare di speranza, predicatore della misericordia, il Ladrone del Calvario si pente, ed in un attimo ei trova ciò che cerca; e ciò ch’ei domanda, l’ottiene. Per lui non v’hanno fiamme espiatrici. Ei va diritto al paradiso, messaggero del nostro perdono, primizia e testimonio del nostro riscatto, e per primo egli vi entra in mezzo agli applausi dei cori angelici. Oggi stesso tu sarai con me nel Paradiso: Hodie me cum eris in Paradiso » [Arnold. Carnot.in Bibl.Max. PP., t. XIII. part. 4, p. 1266]. In qual momento preciso furono pronunziate queste parole, le più dolci che mai risonar possano ad orecchio umano? il dicemmo: anche nelle più piccole circostanze della passione del Redentore del mondo ogni cosa è mistero. Meditandole al lume della tradizione, i santi Dottori vi scoprono armonie ammirabili. La parola che schiudeva il cielo al buon Ladrone, e nella sua persona al genere umano tutto quanto, fu pronunziata precisamente all’ora del mezzodì. E perché? Perché all’ora precisa del mezzodì il vecchio Adamo fu cacciato dal Paradiso, la cui porta restò chiusa fino alla morte del novello Adamo. Deriva da ciò che l’ora del mezzogiorno è sempre stata pei Cristiani un’ora santa. Notiamo le osservazioni di alcuna di quelle alte intelligenze. Noi preghiamo a mezzogiorno, perché essa è l’ora nella quale il Figlio di Dio fu posto in Croce. Creato all’ora sesta del giorno, Adamo peccò alla sesta ora: perciò la riparazione ebbe luogo all’ora stessa della caduta. Mostrando in figura la sua persona e la sua Chiesa agli antichi patriarchi, il Desiderato delle nazioni, all’ora di mezzogiorno si fece vedere ad Abramo sotto la quercia di Mambre. Era mezzodì, quando Giuseppe mangiò coi suoi fratelli che lo calarono nella vuota cisterna. Fu all’ora di mezzogiorno che l’ammirabile Ruth, bella figura della Chiesa, si avvicinò a Rooz nel suo campo, come la Chiesa a Nostro Signore, e divenne sua sposa, e si nutrì del suo bene. Fu all’ora di mezzogiorno che la Samaritana, figura della Chiesa de’ Gentili, s’imbatté nel Redentore, seduto al pozzo di Giacobbe. A cagion di Adamo, e per riparare al suo fallo nel medesimo giorno e all’ ora medesima, nella quale era stato commesso, Nostro Signore montò sulla croce all’ora sesta, nella sesta età del mondo, alla sesta ora del medesimo milionario, e della sesta settimana; infine alla sesta ora del sesto giorno. Tutto questo era misteriosamente annunziato dal sesto giorno della creazione che durò sei giorni. – Ma qual è il paradiso, del quale il Buon Ladrone fu posto in possesso il giorno medesimo della sua morte? Egli è certo che Nostro Signore in quel giorno non salì al cielo col Buon Ladrone, ma discese al Limbo per annunziare, come dice S. Pietro, la loro liberazione alle anime dei giusti. L’anima del Buon Ladrone vi discese con Lui, e come quella degli altri giusti, godè della visione beatifica: ora la visione beatifica è quella che forma la perfetta felicità, o il paradiso. « Si scioglie, dice S. Agostino, da ogni ambiguità il senso delle parole di Nostro Signore, se si considerano dette da Lui non come uomo, ma come Dio. Infatti, come uomo, il Cristo doveva essere in quel giorno nel sepolcro, quanto al corpo; e quanto all’ anima nel Limbo. Ma, come Dio, egli è sempre per tutto: e ovunque sia il paradiso, tutti i beati vi sono da che son con Colui che è dappertutto » – S. Tommaso ragiona allo stesso modo di S. Agostino: « Subito dopo la sua morte, Nostro Signore discese all’inferno, e liberò i Santi che vi si trovavano, non già cavandoli fuori di là in quel momento, ma illuminandoli con lo splendore della sua gloria. E conveniva che l’anima sua rimanesse nel Limbo tutto quel tempo che il corpo suo doveva giacere nel sepolcro. La parola del Signore al Buon Ladrone: Oggi sarai meco in Paradiso, deve dunque intendersi, non di un paradiso terrestre e corporale, ma di un paradiso spirituale, ove son tutti quelli che godono della gloria divina. Così quanto al luogo, il Buon Ladrone discese al Limbo con nostro Signore, perché si verificasse la parola: Oggi sarai meco in Paradiso : ma quanto al premio, egli fu nel Paradiso, perché là egli ebbe la visione beatifica come gli altri Santi. » [p 3 p., q. 52, art. 4. Ad 4 et 3.].Ma fu egli il primo a goderne, innanzi a tutti i patriarchi e profeti, e a tutte le anime giuste ch’erano nel Limbo? S. Agostino, il Crisostomo, S. Eulogio, ed altri Padri ancora pare che lo credano, poiché dicono, che il Buon Ladrone fu il primo che entrasse nel cielo Se le parole di questi grandi Dottori debbono esser prese alla lettera, è forza concluderne che il Buon Ladrone godè della visione beatifica dal momento stesso, in cui Nostro Signore gli disse: Oggi sarai meco in Paradiso; altrimenti egli non ne avrebbe goduto che dopo gli abitanti del Limbo. Infatti, Nostro Signore essendo morto prima di lui, la sua anima discese al Limbo innanzi a quella di Disma, e vi recò il Paradiso, ossia la visione della gloria divina. Checché ne sia, appena spirato, il buon Ladrone si trovò in possesso, e possesso eterno di una felicità, di cui l’occhio umano non ha pur potuto veder l’ombra la più leggera in tutte le maggiori felicità della terra, e della quale non potrebbero i più magnifici racconti destare la minima idea, e che sopravanza tutto ciò che il suo cuore può desiderare di più grande in potenza, in bellezza, in soavità, ed in gloria. È ella questa tutta la ricompensa che per la sua fede conseguì il buon Ladrone? Lo vedremo nel seguente Capitolo.

CAPITOLO XXVII.

RICOMPENSA DEL BUON LADRONE

( Continuazione)

La risurrezione complemento della felicità. — I resuscitati del Calvario. — Apertura dei sepolcri. — Risurrezione. — In qual momento avvenne. — Insegnamento di Suarez. — Numero dei resuscitati e loro apparizioni. — Chi eran essi. — Sentimenti dei Padri.— Loro ascensione in corpo ed in anima. — Quella del Buon Ladrone.

La felicità dei Santi che sono ora nel cielo, è una felicità inalterabile e senza fine; ma può essere accresciuta. E lo sarà effettivamente quando avverrà la risurrezione della carne, allorché riunita l’anima al corpo glorificato, l’uomo diverrà nuovamente un essere perfetto. Questo aumento di felicità, la ragione ben lo comprende, e la teologia lo insegna. [S. Thom ., Suppl, p. 93. art. 1, corp.]. II Buon Ladrone attende ancor egli questo accrescimento di beatitudine? Tale si è la interessante questione che andiamo a discutere. Noi leggiamo nell’Evangelio: « Ma Gesù, gettato di nuovo un gran grido, rendé Io spirito. Ed ecco che il velo del Tempio si squarciò in due parti da sommo a imo: e la terra tremò, e le pietre si spezzarono, e i monumenti si aprirono: e molti corpi dei santi che si erano addormentati risuscitarono. E usciti dai monumenti, dopo la risurrezione di Lui entrarono nella città santa, e apparvero a molti. » S. Matth., XXVII, 50, 53.] Tutti questi prodigi erano la prova e la conseguenza del più grande di essi, la morte dell’Uomo-Dio su di una croce. Il velo del tempio si squarcia, perché il regno della legge Mosaica è finito. Le pietre si spezzano, la terra trema, si oscura il sole, e tutta la natura è sconvolta, perché fa manifesto, come può, il suo dolore per la morte del suo Creatore, ed annunzia l’estremo sconvolgimento, dal quale sarà preceduto il finale Giudizio. L’un dei due ladroni è convertito, riprovato 1’altro: figura profetica di quanto avverrà a tutto il genere umano. Si aprono i sepolcri, e la morte vinta rende le sue vittime, annunzio dell’universale redenzione e della futura risurrezione. Non è del nostro compito il trattenersi su ciascuno di questi miracoli: uno solo fra essi deve occuparci, ed è quello della risurrezione de’morti. Quando quei morti risuscitarono? a chi apparvero? Chi furono quei morti? E che fu poi di loro? Cosa certa è che Nostro Signore, il capo dell’ umanità, risuscitò il primo; quindi s. Paolo lo appella il primogenito dei morti, primogenitus ex mortuis. Veruna risurrezione pertanto ebbe luogo prima del giorno di Pasqua. S. Matteo lo dice in termini precisi : « Usciti dai monumenti dopo la risurrezione di Luì: Exeuntes de monumentis post resurrectionem suam. » Che così dovesse avvenire, si comprende facilmente. Perché quei santi personaggi erano richiamati alla vita? Per rendere testimonianza della risurrezione di Nostro Signore; ma non potevano essi renderla prima che questa si adempisse! [S. Hier., in Matth XXVII, 52 Se il Vangelo parla della risurrezione di quei morti, nel medesimo tempo in cui parla degli altri prodigi avvenuti alla morte del Salvatore, egli è perché il sacro storico nel suo rapido racconto riunisce tutti i fatti miracolosi, benché non tutti avessero luogo nel medesimo giorno. Non v’ha compendio di storia antica o moderna che non offra esempi di un simile modo di racconto. Del rimanente l’apertura dei sepolcri avvenne al momento stesso che Nostro Signore spirò: emisit spiritum. La Provvidenza lo permise per rendere più evidente la risurrezione di quei morti, che per la durata di due giorni, si poterono vedere giacenti senza vita nei loro sepolcri. [Suarez, De Myster. Christi, quaest. LIII, art. 3, n . 7. p . 802]. – Ora il giorno di Pasqua, immediatamente dopo che il novello Adamo fu uscito dal suo sepolcro vincitore della morte e dell’inferno, apparvero nelle vie e sulle piazze di Gerusalemme, in gran numero, quei risorti dicendo: « Il Cristo è risuscitato, e noi ha risuscitato con lui. Riconosceteci; non siamo già dei fantasmi. Vedete e toccate: il dubbio non e più possibile. Credete adunque in Lui; adoratelo come Figlio di Dio; amatelo come vostro Redentore, e piangete su quanto venne fatto contro di Lui. » Può bene immaginarsi quale impressione dové produrre, nei diversi quartieri della città, la presenza ed il linguaggio di tali testimoni! Abbiam detto nei diversi quartieri della città, ed il sacro testo ci autorizzava a dirlo. Venerunt in sanctam civitatem. E ci autorizza ancora ad aggiungere, che quegli strani ma irrecusabili testimoni furono veduti e sentiti, non già da alcune persone soltanto, ma da un gran numero: et apparuerunt multis. – Quindi è che, oltre gli Apostoli e i Discepoli, molti dei Giudei presenti in Gerusalemme furono favoriti di questa eloquente apparizione. Nacque negli uni la fede, in altri si raffermò, ed un tal fatto più stupendo di ogni altro prodigio, dà la spiegazione delle numerose conversioni che ebbero luogo il giorno della Pentecoste. [Cor. a Lap., in Matth XXVII, 53]. Numerosi furono i risuscitati, numerosi i testimoni oculari, ed auricolari della loro risurrezione ; tale è la verità evangelica. Ma chi erano mai quei morti tornati in vita? e san Disma fu egli di questo numero? Fra quei testimoni dell’altro mondo, la tradizione nomina una parte dei santi personaggi dell’Antico Testamento, che, sia per le circostanze della loro vita, sia per lo splendore delle loro virtù, avevano avuto più significanti rapporti con Nostro Signore. Tali sono fra gli altri Adamo ed Èva, Àbramo, Isacco, Giacobbe, Melchisedecco, Mosè, Giosuè, Giobbe, Giona, Samuele, Isaia e gli altri Profeti. [S. Athan., Orat. de Pass. Dom., Origen., in Matth. Tract. 33, Alphons. a Castro, verb. Adam; Cor. a Lap., in Gen., v. 5, et in Matth. xxvii, 53, etc., etc.]. – A questi testimoni dell’antica età, Padri e figure del Messia, si aggiunsero dei contemporanei della generazione deicida, come Zaccaria, padre di s. Giovanni Battista, il santo vecchio Simeone, s Giuseppe, il Buon Ladrone ed altri ancora. [Theoph. Raynald., Metamorphos., etc., p. 355]. Tale è il sentimento di s. Epifanio, fedele depositario delle tradizioni di Gerusalemme, e della Palestina sua patria. [In Ancorato, etc.].  Ed è facile comprenderne la giustezza. In attestato della sua divinità, l’augusta Vittima del Calvario aveva fatto appello a tutti gli elementi; tutti erano concorsi, e la loro testimonianza era palpabile. I morti pure dovevano accorrere, e la loro testimonianza non doveva esser meno irrefragabile. Non bastava perciò di venire a dire in Gerusalemme: io sono Adamo, io sono Àbramo, io son Noè, io son Mosè: ma bisognava provarlo. A tale effetto il miglior mezzo si era, che persone conosciute, già morte e sepolte da dieci o quindici anni al più, venissero pieni di vita e di sanità, a dire ai loro parenti e ai loro amici: io son Zaccaria, io son Simeone, io son Disma, io son vostro padre, vostro fratello. Guardatemi bene, io non v’inganno, né posso ingannarvi. Io e questi che voi vedete con me, siamo ciò che noi vi diciamo, testimoni, cioè, della divinità di Gesù di Nazareth, la cui potenza ci ha richiamati alla vita. In una tal condizione, la testimonianza non lasciava nulla a desiderare, e l’eterna sapienza aveva raggiunto il suo scopo. I gloriosi testimoni dei quali parliamo non fecero che passare, per sparire prontamente e di bel nuovo morire? Il sentimento dei più gravi Dottori, fondato sull’autorità dei Padri, si è che quei santi personaggi rimasero visibilmente sulla terra fino al giorno dell’Ascensione, mostrandosi, come Nostro Signore stesso, a coloro che ne erano degni, testibus præordinatis, e confermando colla loro miracolosa presenza la divinità di Nostro Signore, e della Chiesa che era per nascere dal Cenacolo. Il giorno dell’Ascensione, essi salirono al cielo in corpo ed anima, al seguito del divin Redentore, che li presentò all’eterno Padre ed agli Angeli, siccome trofei della sua vittoria, e primizie del genere umano rigenerato. I grandi teologi che sostengono questa opinione sì bella e sì consolante, sono fra gli altri il venerabile Beda, s. Anselmo, Rabano Mauro, Pascasio Ratberto, Druthmaro, Ruperto, Gaetano, Giansenio, Dionigi il Certosino, Maldonato, Cornelio a Lapide, ed il celebre Suarez. Noi dicemmo che essa è fondata sull’autorità dei Santi Padri e dei Dottori, ed ecco le parole di alcuno di essi. « Vi han sulla terra, dice s. Epifanio, delle reliquie dei Santi, tranne di quelli che risuscitarono e sono entrati nella santa città. » [Hæres. 35. in fine.Nella sua lettera Sinodale, riportata ed approvata dal sesto Concilio; s. Sofronio, Patriarca di Gerusalemme si esprime così: « Dopo tre giorni, Nostro Signore vien fuori dal sepolcro, e con lui fa venir fuori tutti i morti, e dalla corruzione li conduce all’immortalità per la sua risurrezione dalla morte. » – Prima di esso è più affermativo ancora Eusebio, « Il corpo di Nostro Signore è risorto, e molti corpi di santi ch’eran defunti, risuscitarono e con Nostro Signore entrarono nella vera città celeste. » S. Anselmo, citando il venerabile Beda, il quale afferma che questi santi sono entrati al Cielo con Nostro Signore dice: « Non bisogna prestar fede alcuna ai temerari, i quali pretendono che quei santi ridivenissero polvere. » Demostr. Evangeli lib. IV, c. XII.Parlando del Buon Ladrone in particolare, il P. Teofilo Rainaldo si esprime così: « Egli era molto conveniente che Nostro Signore avendo avuto il Buon Ladrone per compagno delle sue umiliazioni e della sua croce, lo avesse altresì della sua risurrezione, e della sua gloria nella integrità della sua rigenerata natura.Il Buon Ladrone pertanto tutto intero, e non diviso, sarà con Gesù Cristo tutto intero. Si aggiunga che nessuna reliquia si è mai trovata del Buon Ladrone. Or non è verisimile che Nostro Signore avesse lasciato in perpetuo sepolto nella terra un siffatto tesoro, se veramente la terra lo possedeva. » [Metamorphos., etc., c. VIII, p. 554].  Infine il grande Arcivescovo di Reims, s. Remigio, trattando ex professo una siffatta questione, conchiude in questi termini: « Dobbiamo dunque credere senza esitare, che coloro i quali risuscitarono con Nostro Signore Gesù Cristo, salirono al cielo con esso lui. » La ragione stessa ce ne persuade. Nella gloriosa ascensione di questi illustri risorti essa vede altissime convenienze. E non era naturale che Nostro Signore entrando nel cielo, mostrasse subito, in quei santi personaggi in corpo ed anima, il frutto della sua completa vittoria sulla morte? Non era d’uopo che quelle anime, già fatte beate, fossero unite ai loro corpi gloriosi ed immortali? Ed il luogo proprio dei corpi glorificati non è forse il cielo? Può mai immaginarsi che quelle anime già in possesso della visione beatifica, rimanessero riunite a dei corpi mortali e corruttibili, e quindi esposti a sopportare le intemperie delle stagioni, il caldo, il freddo, e tutte le altre infermità della vita presente, e di più i dolori di una novella morte? Se quei gran santi avessero dovuto morire una seconda volta, assai meglio sarebbe stato per essi non risuscitare. Finalmente non era secondo ragione e convenienza, che Nostro Signore regnando in corpo ed anima in cielo, la sua umanità avesse compagni consimili della sua gloria, che coi suoi occhi vedesse e con essi potesse confabulare, e come uomo non rimanesse solingo e senza alcuna consolazione propria di quella sua umana natura? Da tutto il fin qui detto concludiamo con Suarez, e Cornelio a Lapide, che la sentenza, la quale sostiene che in anima e corpo siano in cielo i molti risorti del Calvario, è la più ragionevole e la più vera, la meglio fondata in autorità, la più conforme alla natura delle cose, alla bontà divina, ed alle convenienze della gloria di Nostro Signor Gesù Cristo. [« Verius alii censent, » dice Corn., in Matth., XXVII, 53; e Suarez: « Quocirca, omnibus pensatis, hæc sententia videtur verisimilior. Nam et majori auctoritate nititur, et est magis consentanea tum rebus ipsis, tum divinæ misericurdiæ, et pietati, et gloriam Christi magìs illustrai. « Ubi supra, q. LIII, art. 3, p. 806]. – Fra gli illustri compagni del suo trionfo, uno ve ne ha che Nostro Signore mostrò, e mostrerà eternamente con singolare predilezione, ed è questi il suo ben amato Disma. Sentiamo ciò che ne dice il Crisostoino: « Non vi ha re che, entrando trionfante nella sua capitale, faccia sedere al suo fianco un pubblico ladro, o anche qualcuno dei suoi servitori. Ebbene! Nostro Signore l’ha fatto. Ritornando nella divina sua patria, Egli condusse seco un ladro : né fu questo per il paradiso un disonore, ma una gloria. « Gloria pel paradiso è di avere un re assai potente da render meritevole delle voluttà celesti un ladro. Similmente quando il Signore ammetteva nel regno suo pubblicani e meretrici non era un disonore ma una gloria per il paradiso. Con ciò egli mostrava quanto grande fosse quel re dei cieli, che poteva rendere i pubblicani, e le pubbliche peccatrici abbastanza stimabili da meritare un tanto favore ed una sì grande felicità. – « E come noi ammiriamo un medico, soprattutto allorché Io vediamo guarire malattie giudicate insanabili, e render sani infermi disperati; così è giusto di ammirare Nostro Signore, soprattutto allorquando guarisce e sana piaghe insanabili, e riduce un pubblicano o una meretrice ad una sì perfetta sanità da renderli degni di assidersi in cielo con gli Angeli. « Ma, direte voi, che ha mai fatto quel Ladrone per meritare di passar dal patibolo ai cielo? Volete ch’io vi dica in due sole parole i suoi meriti ? Mentre Pietro negava locato in basso, ei confessava in alto. – Non dimentichiamo dunque questo Buon Ladrone; non vogliamo arrossire di riguardare come dottore colui, che Nostro Signore non dubitò d’introdurre pel primo con sè nel paradiso.

GIORNO DEI MORTI

GIORNO DEI MORTI

[J. J. Gaume: “Il Catechismo di perseveranza”, VI ed., Vol. 4; Torino 1881]

Giorno dei morti, – Sue armonie, sua origine, suoi fondamenti nella tradizione. — Sua istituzione. — Tenerezza della Chiesa. — Lamenti de’ defunti. — Esequie cristiane.

I. Festa dei morti. — Nel giorno degli Ognissanti la Chiesa è tutta intenta a scuotere le fibre del nostro cuore; e ben si scorge che mira a compiere un importante disegno e ad ottenere un grande effetto, vale a dire il disgusto della terra, la brama del cielo, la compassione reciproca, la carità universale fra i suoi figli. Se nel mattino di quella giornata memorabile la magnificenza delle sue cerimonie, l’allegrezza dei suoi inni presentano l’espressione di una gioia senza amarezza, la sera, ai suoi cantici si mescolano lunghi sospiri ed un palese colore di mestizia. Ed infatti ecco la scena, già in parte cambiata, prendere tutt’altro aspetto. Ai canti della gioia, ai sospiri dell’esilio succedono lugubri suoni; neri ornamenti, simboli di duolo surrogano i piviali arabescati d’oro; ecco che noi più non vediamo nel santo tempio fuorché un monumento funebre dipinto con immagini di scheletri, di teschi, di ossa. Che cosa significa tal mutazione? È una nuova festa, la Festa dei morti. Madre affettuosa, la Chiesa vuole che oggi sia una festa di famiglia; ella si presenta ai nostri occhi nelle sue tre differenti situazioni: trionfante nel cielo; esiliata sopra la terra; gemente in mezzo alle fiamme espiatrici. E i cantici del cielo, e i sospiri della terra, e i gemiti del purgatorio, in questo giorno si alternano, si mischiano, si rispondono a coro, ci fanno sovvenire che misteriosi vincoli legano in un sol corpo i figli di Cristo: che le tre Chiese come tre sorelle, si danno la destra, s’incoraggiano, si consolano, si confortano fino al giorno in cui, abbracciate fra loro nel cielo, formeranno una sol Chiesa eternamente trionfante. – Quale splendida armonia! Ma eccone un’altra che è impossibile di non osservare. Oh! quanto è bene scelto quel giorno per celebrare la Festa dei morti! Quegli uccelli che emigrano, quei giorni che si raccorciano, quelle foglie che cadono ai nostri piedi per lieve trastullo dei venti, quel cielo oramai cupo, quelle nuvole grigiastre foriere delle brezze, tutto questo spettacolo di decadenza e di morte non è egli straordinariamente acconcio a riempiere l’anima nostra dei gravi pensieri cui la Chiesa vuole inspirarci? Né ciò è tutto. Al paro di tutte le altre, e fors’anche più di tutte le altre, la Festa dei morti ristringe i vincoli di famiglia. Si vedeva in passato e si vedono tuttora per le campagne, fratelli, sorelle, parenti, vicini radunarsi nel cimitero, pregare, piangere sulle sepolture degli avi, e far elemosine per implorare riposo ai loro cari defunti. [Nel giorno d’Ognissanti si leggerà con infinito diletto il cap. XLVIII del lib. III dell’imitazione di Cristo; ovvero il cap. XXXV de’ Soliloqui di sant’Agostino, De desiderio et siti animas ad Deum.]E se nel corso dell’anno è sorta fra taluno qualche ombra di discordia, in questo giorno ella si dilegua più agevolmente, poiché davvero siamo inclinati ad amarci quando preghiamo e piangiamo insieme. Anche testé in alcuni paesi un uomo, detto della veglia, percorreva nella notte le strade della città, e fermandosi ogni venti passi, e facendo suonare la sua squilla, gridava: Svegliatevi, voi che dormite, pregate per i defunti. Perché sono state dismesse queste commoventi usanze? Dacché noi abbiamo obliato i nostri morti, siamo divenuti indifferenti verso i vivi; l’egoismo ha inaridito il cuor nostro, quell’egoismo che avvilisce l’uomo, annienta la famiglia e sconvolge la società.

Origine di questa festa. — Ma è tempo di parlare dell’istituzione della Festa de’ morti. Fino dalia sua origine la Chiesa ha pregato per tutti i suoi figli quando morivano. Le sue preghiere erano supplicazioni per quelli che ne avevano bisogno e rendimento di grazie per i martiri. Si rinnovava il sacrificio e le supplicazioni nel giorno della loro morte. Tertulliano lo accenna chiaramente : « Noi celebriamo , ei dice, l’anniversario della natività de’martiri ». E più innanzi: « Secondo la tradizione degli antichi, noi offriamo il sacrificio per i defunti nell’anniversario della loro morte ». Gli altri Padri ci offrono le medesime testimonianze La Chiesa inoltre, sempre buona e sempre affettuosa per i suoi figli, aveva fin dal principio due maniere di pregare e di offrire il sacrifizio per i morti. L’una per ciascuno di essi e per qualcuno in particolare, l’altra per tutti i morti in generale, affinché la sua carità abbracciasse quelli che non avevano né congiunti né amici che potessero adempiere a quel dovere di pietà a loro riguardo ». [Tertull., Exhort. ad Cast. — Aug., Conf., lib, IX, c. ultim.] Essa praticava così anche prima di sant’Agostino. « È antichissimo, dice questo Padre, e universalmente praticato in tutta la Chiesa l’uso di pregare per tutti quelli che sono morti nella comunione del corpo e del sangue di Gesù Cristo » [De cura prò mort., cap. 4]. – Non vediamo per altro che vi sia stata una festa particolare per raccomandare a Dio tutti i defunti; vediamo bensì i fondamenti sui quali può essere stata instituita; perché se fino dalla sua origine la Chiesa, secondo la testimonianza dei Padri, ha pregato e sacrificato per i morti in particolare e per tutti in generale, se in tutte le liturgie e in tutte le Messe dell’anno è stato pregato per tutti i morti in comune, non è forse evidente che su questi fondamenti si poté instituire una festa speciale, per adempiere con maggior cura ed applicazione questo dovere verso i defunti? – Così avvenne infatti, e sarà vanto esimio e gloria eterna della Franca-Contea, conosciuta allora col nome di Borgogna, l’aver dato nascimento a questa pia istituzione. – Uscito da una delle famiglie più nobili della Borgogna , il beato Bernone, abate di Beaume-les-Messieurs, vicino a Lons-le-Saulnier, aveva fondato la Badia di Cluni. Questa illustre Congregazione, che aveva ereditato la pietà del fondatore verso i defunti, fu sollecita di adottare la commemorazione generale dei trapassati, che rese stabile e perpetua con decreto dell’anno 998. Ecco le parole del Capitolo generale di Cluni: « E stato ordinato dal nostro beato padre, Oddone, di consenso e ad istanza di tutti i monaci di Cluni, che siccome in tutte le chiese si celebra la festa degli Ognissanti nel primo giorno di novembre, così presso noi sarà celebrata solennemente in questa maniera la commemorazione di tutti i fedeli defunti. Il giorno della festa di tutti i santi, dopo il capitolo, il decano e i cellerari faranno una elemosina di pane e di vino a tutti quelli che si presenteranno: dopo il vespro saranno suonate tutte le campane, e sarà cantato il Notturno dei morti. La Messa sarà solenne, e saranno cibati dodici poveri. Noi vogliamo che questo decreto sia osservato a perpetuità, tanto in questo luogo come in tutti quelli che ne dipendono; e chiunque osserverà come noi questa istituzione parteciperà alle nostre buone intenzioni ». [“Venerabilis pater Odilo per omnia monasteria sua constituit generale decretum, ut sicut primo die mensis novembris, iuxta universalis Ecclesiæ regulam, omnium Sanctorum solemnitas agitur; ita sequenti die in psalmis et eleemosynis et præcipue Missarum solemniis, omnium in Christo quiescentium memoria celebretur.” S. Petr. Dam, in Vita B. Odil. — Baron., an. 1048, n. 6; et in Not. ad Martyrol., 2 novemb. — Helyot, etc.]. Tale è il decreto di Cluni. La devota pratica s’introdusse ben presto in altre chiese, e quella di Besanzone fu la prima ad adottarla. Era, possiamo dire in certa maniera, una sua sostanza, un suo patrimonio, che le tornava, consacrato dal suffragio dei santi amici di Dio. Indi a non molto la commemorazione generale de’ morti, fatta nel giorno successivo agli Ognissanti, era comune a tutta la Chiesa cattolica.Terminiamo quello che ci rimane a dire intorno all’origine di questa festa con un’osservazione capacissima a far risplendere l’immensa carità della Chiesa nostra madre. La Commemorazione generale dei defunti non è che un supplemento a tutte le altre feste, uffizi e sacrifici dell’anno; ed essa ha questo di comune non solo con la festa di tutti i Santi, ma anche con quella della Trinità e del santo Sacramento. Infatti in tutte le feste, in tutti gli uffizi o sacrifizi dell’anno si presta un culto supremo alla Trinità per mezzo dell’adorabile sacrificio dell’Eucaristia, in cui Gesù Cristo è immolante ed immolato con tutti i suoi santi che vi sono nominati, almeno in generale. Quindi anche le feste particolari della Trinità, del santo Sacramento e degli Ognissanti non sono state instituite che come supplemento della festa generale per risvegliare l’attenzione e il fervore con cui dobbiamo celebrarla in tutto l’anno. Ciò pure avviene rispetto alla Commemorazione generale dei morti. La Chiesa l’ha instituita per supplire alle preghiere e ai sacrifici che si fanno per essi ogni giorno, e per avvertirci che dobbiamo adempiere ai nostri doveri verso di loro con singolare pietà ed attenzione.Non ripeteremo qui la spiegazione di tutti i motivi che abbiamo di pregare per i morti; ma ci contenteremo di sottoporre alla meditazione de’ cristiani i seguenti.

III. Pianto dei defunti. — La gloria di Dio, la carità, la giustizia, il nostro interesse medesimo, ecco i potenti motivi che abbiamo di pregare per i defunti. Oh potessimo noi soddisfare all’obbligo che la natura e la Religione c’impongono d’accordo, in modo da impor silenzio a quella voce lamentevole, a quella voce accusatrice che sorge dal purgatorio e ferisce costantemente l’orecchio del cristiano che vi presta attenzione: Hominem non habeo! hominem non habeo! « Non ho un uomo; non ho un uomo ! » [Ioan., V 7] Il primo che fece udire queste parole dolenti fu il paralitico di cui si parla nel Vangelo. Rattratto in tutte le membra, quell’infelice era da trent’anni inchiodato sulle sponde della probatica piscina. Sempre esposto alla vista della folla immensa che la curiosità o il desiderio della guarigione conduceva in quel luogo celebre, il suo male era conosciuto da tutta la Giudea. E in quella moltitudine vi erano senza dubbio dei congiunti, dei conoscenti, degli amici di quel disgraziato, se i disgraziati aver potessero amici. Che chiedeva egli per esser guarito? Il semplice impulso d’una mano caritatevole che lo gettasse entro la piscina nel momento in cui l’Angelo del Signore veniva ad agitare l’onda salubre. E tuttavia egli aspettava invano quel meschino servigio, invano lo implorava da trentotto anni. Non è forse questa per fede vostra la viva immagine delle anime del purgatorio? – Ritenute dalla divina giustizia in orribili patimenti, esse aspettano con impazienza, esse implorano con alte grida l’aiuto della mano caritatevole, che spezzerà le loro catene e le introdurrà in quella città eterna, ove non si conosce il dolore. Quei giusti che soffrono sono nostri fratelli: tutto ci richiama la loro memoria: e i luoghi che percorriamo, e le case che abitiamo, e i beni di cui godiamo, e il nome stesso che portiamo, e quelle lugubri cerimonie alle quali assistiamo, e quelle tombe che possiamo vedere ogni giorno! E nondimeno quei cari defunti non sono sovvenuti. Chiedete loro perché soffrano gli uni da vent’anni, gli altri forse da trenta o quaranta. La loro risposta sarà quella del paralitico: Ohimè, non ho alcuno per me: hominem non habeo! Ho ben lasciato sulla terra dei parenti, ma mi accorgo di non avervi lasciato un amico; ho ben lasciato sopra la terra una moglie, ma conosco ch’ella ha presto asciugato le lacrime, che il mio nome non è più sulle sue labbra, che la mia memoria non vive più nel suo cuore: hominem non habeo. Ho ben lasciato sulla terra dei figli che ho colmati delle più affettuose premure, che ho nutriti, che ho educati a costo dei miei sudori, ma vedo che il loro padre più nulla è per essi: hominem non habeo; non ho alcuno per me! E pure è ben poco quello ch’io chiedo: qualche preghiera, qualche elemosina, elemosina, null’altro; e le chiedo invano Non ho alcuno per me; schiavi dei piaceri e degli interessi, tutti hanno obliato i loro morti, i loro morti più cari! Nomine non habeo; non ho alcuno per me! Deh! questa voce accusatrice, questo lamento straziante, giunga a commuovere il nostro cuore e a procurare gloria a Dio. riposo ai morti, e a noi la ricompensa della misericordia! Beati i misericordiosi, perché otterranno misericordia.

IV. Cerimonie del dì dei defunti. — Egli è questo il luogo opportuno d’intrattenerci alquanto circa le esequie cristiane. La Chiesa che consacra la nostra culla e che circonda di una protezione sì augusta e sì rispettabile il bambino che entra nella valle delle sventure, è egualmente sollecita di render l’uomo rispettabile, allorché, giunto al termine del suo viaggio, egli scende nel sepolcro per subirvi la sentenza che lo condanna a ridivenir polvere. E primieramente v’ha una cosa che mi colpisce nelle nostre cerimonie. Vedo da un lato dei parenti, degli amici, dei fanciulli piangenti, odo il funebre suono della campana, non vedo nel tempio fuorché immagini lugubri, e da un altro lato odo la Chiesa che canta, e canta senza riposo. Quale contraddizione! Come mai può una madre cantare sulla morte del proprio figlio? E non è la Chiesa la più affettuosa delle madri? Ah! si, la Chiesa ci ama di un amore tanto più vivo quanto è più nobile! Proviamoci a comprenderne il cuore. Depositaria delle promesse d’immortalità, essa le proclama altamente in presenza della morte: se vi è lamento nella sua voce, vi scorgi eziandio della gioia. Essa piange, ma più fortunata dell’affettuosa Rachele essa consola sé stessa, e consola noi pure, perché sa che i suoi figli le saranno restituiti. Perciò nelle lacrime dei parenti io ravviso le lacrime della natura; nei canti della Chiesa io ravviso la fede. L’una si rattrista dicendo: Io devo morire; l’altra la conforta rispondendo: tu resusciterai! – Quando dunque l’anima del cristiano si è separata dal corpo, la campana invita i cristiani a pregare per il loro fratello; e al fine di eccitare il loro fervore, il suono lugubre vien rinnovato ad intervalli fino al punto in cui è consegnato alla terra ciò che appartiene alla terra. Prima di trasportare il corpo, il sacerdote, nel gettare acqua benedetta sopra la bara, dice: Requiem æternam. « Signore, concedetegli un eterno riposo; e la luce che giammai si estingue splenda sempre a’suoi occhi». Poi si recita il De profundis a voci alterne. Infatti vi ha due voci in quei lugubri cantici: voce dell’anima inquieta e turbata che teme i giudizi di Dio, e voce dell’anima che sente rinascere la sua speranza alla vista della Redenzione del Signore, che scancella tutte le iniquità d’Israele. Il trasporto del cadavere si fa processionalmente; la croce, arca di speranza e pegno di risurrezione, precede il convoglio, e il defunto è tradotto alla Chiesa ove comincia e finisce la sua carriera cristiana. Quale ravvicinamento tra la cuna e la tomba, tra il battesimo e la sepoltura! – In mezzo all’apparato funebre che circonda il cadavere si vedono splendere delle faci; sono esse il simbolo della fede e della carità del defunto, son esse il confortevole emblema del suo ritorno futuro ad una vita migliore, il pegno che la tristezza cristiana sarà cangiata in giubilo. Cosi la vita presente e la vita avvenire, il tempo e l’eternità si riuniscono intorno alla bara, l’uno con le sue lacrime e con le sue speranze deluse, l’altra con le sue contentezze e con le sue promesse immortali. Incomincia la Messa, e ben presto la voce grave dei cantori fa rimbombare le sacre volte dell’inno Dies iræ. Nulla più imponente e più idoneo a ghiacciare di spavento, come quel cantico della morte e dell’ultimo giudizio; la Chiesa lo fa cantare tanto per istruzione dei vivi, quanto per sollievo de’morti. La morte con i suoi sepolcri e la fredda sua polvere, il giudizio con i suoi segni formidabili e con i suoi rigori ci si presentano a vicenda all’immaginazione. Quindi per sollevare alquanto l’anima costernata, un’ultima parola, una parola di speranza, viene a colpire l’orecchio, e vi discende nel cuore svegliando il sentimento che deve dominarla. Eccola: « Per redimermi voi avete sofferto la croce. Ah! non resti senza frutto uno spasimo sì grande. Giusto giudice, terribile vindice del peccato, perdonatemi prima di citarmi al vostro tribunale. Io gemo come un colpevole, io arrossisco alla memoria dei miei delitti. Mio Dio, pietà di un colpevole che vi supplica! Misericordioso Gesù, date il riposo ai defunti». – L’autore di questo splendido inno si crede comunemente il cardinale Malabranca, della famiglia Orsini, che viveva nel secolo XIII. – Dopo la Messa il coro va a situarsi per l’Assoluzione intorno alla bara, e si canta il responsorio Libera me, etc. Liberatemi, o Signore, ecc. In questa lugubre e affettuosa preghiera è il morto che parla, e pare di udir Giona che esclama verso Dio dal fondo dell’abisso e dalle viscere del mostro nel quale era sepolto vivo: «Liberatemi, o Signore, liberatemi, e la profonda voragine non si rinchiuda sopra di me». Poi ad un tratto il grido della speranza si fa udire: Io so, prosegue il morto per l’organo dell’immortale sua madre, io so che il mio Redentore è vivente, e ch’io uscirò nel giorno finale da questa terra. Il celebrante dice: «Signore abbiate pietà di noi ». Il coro: «Cristo, abbiate pietà di noi». Il sacerdote: « Signore, abbiate pietà di noi». Poi intona il Pater che recita a voce bassa. In questo tempo ei fa il giro della bara e l’asperge d’acqua benedetta, che è un’ultima purificazione pel morto; poscia lo incensa, e quell’incenso rammenta sì la preghiera della Chiesa pel defunto suo figlio, sì il buon odore di quelle virtù che quel cristiano ha praticate, e che lo fanno salire al cielo, insieme col fumo degli incensi. Sarà egli così di voi, che leggete queste pagine? Che cosa lascia sperare la vostra vita? È giunto il momento d’incamminarsi al cimitero. Addio, Chiesa santa, ove io ricevei il battesimo; addio, sacro pulpito, da cui scesero sopra di me, a guisa di rugiada benefica, le parole di salute: addio, tribunale di misericordia, ove ho ricevuto tante volte, insieme col perdono dei miei falli, eterni consigli e inenarrabili conforti; addio, santa mensa, ove il mio Dio mi nutrì con la sua carne immortale: addio, parenti, amici, figli, addio a tutti fino alla risurrezione generale. Ecco quanto dice questo avviarsi della Chiesa verso il cimitero. Quindi le lacrime, le strida dei congiunti si raddoppiano in quel momento solenne. Che fa allora la Religione? Con voce dolce (per poco non dissi lieta) ella dà il segnale della partenza cantando quelle parole sì consolanti: Deducant te angeli, etc. « Gli angeli ti conducano al paradiso; vengano i martiri ad incontrarti e t’introducano nella immortale Gerusalemme: il coro degli Angeli ti accolga e ti faccia partecipare col povero Lazzaro al riposo e all’eterna felicità. [Rituale Romano] – Così mentre la natura piangente non scorge al termine del cammino che un cimitero con la spaventosa sequela di decomposizione e di putrefazione, la Religione raggiante d’immortalità ci mostra il paradiso, con le sue gioie e la sua felicita; sicché sulla fossa ella pronunzi un’altra parola di conforto. Il sacerdote dice nel gettare un poco di terra sopra la bara: La polvere ritorni alla terra dalla quale è uscita, e l’anima ritorni a Dio, che l’ha creata; riposi ella in pace, cosi sia. – Dopo un’ultima aspersione di acqua benedetta, la sepoltura viene rinchiusa, e la croce, che le sta sopra, indica che ivi è il corpo d’un cristiano che ha vissuto pieno di speranza, e che aspetta con fiducia il giorno della Risurrezione generale. Idea consolante! Sii benedetta, o santa Religione! In questa fossa sormontata da una croce, il cristiano somiglia al viaggiatore, che stanco si riposa dolcemente all’ombra d’un albero, aspettando l’ora di riprendere il suo cammino.

Preghiera.

O mio Dio, che siete tutto amore, io vi ringrazio della tenerezza, che avete inspirata alla Chiesa per i defunti; concedeteci la grazia che facciamo per loro tutto ciò che vorremmo un giorno che fosse fatto per noi. – Mi propongo di amar Dio sopra tutte le cose ed il prossimo, come me stesso per amor di Dio, e in prova di questo amore:

io consacrerò tutti i lunedì a pregare per i morti.

Mons. J.- J. GAUME: STORIA DEL BUON LADRONE (14), cap. XXV

CAPITOLO XXV.

IMITATORI DEL BUON LADRONE IN ORIENTE.

I sette ladroni nell’isola di Cipro. — Convertiti da due discepoli di S. Paolo.— Prigionieri com’essi. — Divenuti gloriosi martiri. — Loro nomi. — La grande cortigiana di Antiochia. — Suo prestigio. — Suo lusso. — Storia particolareggiata della sua conversione. — Suo battesimo. — Suo vero nome. — Sua penitenza.— Sua morte in Egitto. — David brigante ed assassino, convertito subitamente, e divenuto un fervente solitario ed un taumaturgo. — Un altro ladrone solidamente convertito. — Santità della sua vita. — Eroismo della sua morte. — Conversione collettiva. — Incoraggiamento al secolo XIX. — I Niniviti. — Quello che erano. — Estensione e magnificenza della loro città riconosciute per la recente scoperta delle sue rovine.

Diciamo addio all’Europa, e torniamo ai luoghi donde ebbe principio il nostro viaggio. Nel passare per l’isola di Cipro penetriamo nelle sue prigioni. Osservate nel fondo di quella segreta due illustri discepoli di s. Paolo, Giasone e Sosipatro, prigionieri di Gesù Cristo. Stanno insieme con essi sette ladroni arrestati poc’anzi nelle montagne. Volete voi saperne i nomi? Essi son degni di essere conosciuti, dappoiché non più si trovano scritti negli annali del delitto, ma son nei fasti della gloria. Eglino erano chiamati Faustino Saturino, Gennaro, Marsalio, Eufrasio, Iascicolo e Mammio. Imitatori del Buon Ladrone nella sua vita di brigantaggio, noi li vedremo divenire imitatori della sua conversione. È affatto proprio de’ santi, animati dallo spirito del Salvatore, l’aver pietà dei peccatori, e, può dirsi, pietà proporzionata alla morale miseria di costoro. Giasone e Sosipatro sono incatenati, ma la parola di Dio non lo è già. Eglino la rivolgono ai loro compagni di pena: essa è ascoltata, compresa e gradita. I novelli Disma non indugiano a domandare il battesimo, Io ricevono, e poco stante muoiono coi loro evangelisti, ma non come ladri, sebbene come confessori e martiri. Annualmente il 29 aprile la Chiesa solennizza nel suo Martirologio questo novello trionfo della misericordia [Martyrol. Rom., 29 Aprile..] – Or eccoci tornati in Antiochia capitale della Siria. Una conversione non meno miracolosa ci attende. Lasciamo ad un testimonio oculare il compito di esporne il fatto e le circostanze. « Una discussione importante aveva riuniti molti vescovi in Antiochia, e di questo numero era Nono, il mio santo vescovo. Egli era un uomo ammirabile, vissuto da perfetto solitario nel monastero di Tabenne. Essendo i prelati assisi innanzi alla porta del tempio, pregarono Nono, il mio santo pastore, di tener loro un qualche spirituale discorso. Egli accingevasi a secondare il lor desiderio, allorché vedemmo passare a cavallo la più rinomata commediante di Antiochia, in grandissima pompa e sì riccamente vestita, che sembrava un ammasso di oro, di perle, e di pietre preziose; poiché non contenta che le sue vesti ne fossero ornate a dovizia, pur anco i calzari n’eran coperti. Ella veniva accompagnata da gran numero di giovani e di fanciulle riccamente vestiti, dei quali alcuni la precedevano, ed altri la seguivano. « Sì grande era la sua bellezza, che gli uomini del secolo non potevano saziarsi dal guardarla; sebbene ella non avesse fatto altro che passare, tutto all’intorno olezzava di soave fragranza, per le odorose essenze delle quali ella era profumata. Tutti quei vescovi al vederla passare con tal corredo di seduzioni, senza un velo sul capo né sulle spalle affatto scoperte, con un contegno sì poco modesto, gemerono in lor cuore senz’aprir bocca, e come dalla vista di un gran peccato, volsero altrove lo sguardo. – « Non così il santo vescovo Nono; egli la considerò lungamente, e quando fu passata, volgendosi ai vescovi ch’eran seduti con esso lui, disse loro: Non avete voi trovato un gran piacere nel contemplare la singolare bellezza di quella donna? Né rispondendo nessuno di essi a tale domanda, egli piegò il capo sulle sue ginocchia, e sciogliendosi in lacrime, ripeté ancora a quei suoi compagni: Non provaste voi un gran diletto nel contemplare la singolare bellezza di quella donna? E non ottenendo alcuna risposta, soggiunse: Io dal canto mio ne ebbi una grandissima compiacenza, perché Iddio la porrà un giorno dinanzi al suo formidabile trono, per servirsene a giudicare noi stessi. Imperocché, miei cari fratelli, quante ore credete che abbia ella impiegate ad abbigliarsi per piacere al mondo? E noi quanta cura e sollecitudine mettiamo a purificare le anime nostre, ed a farle belle di virtù per piacere a Dio? « Ciò detto, ei mi prese per mano, ed essendo giunti insieme al suo alloggio, nel quale pur io avevo una cella, egli entrò nella sua stanza, e prosteso a terra esclamò, picchiandosi il petto: O Gesù, mio Signore e mio Maestro, abbiate pietà di me povero peccatore, che in tutta la mia vita non ebbi mai tanta premura di abbellire l’anima mia, quanta n’ebbe in un sol giorno quella donna di mondo per adornare il suo corpo. « Il giorno dopo ch’era domenica, tutti i vescovi furono presenti per assistere alla messa solenne. Dopo il Vangelo l’Arcivescovo d’Antiochia prendendo il libro degli Evangeli lo presentò al vescovo Nono, pregandolo a voler istruire il popolo. Prendendo allora la parola, fece egli un discorso pieno di quella divina sapienza ch’era in lui, e che nulla aveva di affettato, di sottile, né di superfluo. Con semplici e naturali parole egli così al vivo rappresentò il giudizio finale, che tutti gli uditori ne furono estremamente commossi. « La provvidenza volle che la famosa cortigiana, della quale parlava poc’anzi, si trovasse presente a quel commovente discorso; e non avendo essa avuto mai alcun sentimento dei suoi peccati, il timor di Dio giudice fece una tale impressione sul suo cuore, che incominciò a sospirare, e quindi ruppe in un gran pianto senza ch’ella potesse in alcun modo frenarlo. Nell’uscir dalla chiesa, disse a due dei suoi domestici: Rimanete qui, ed allorquando il santo vescovo Nono uscirà dalla chiesa, seguitelo per sapere ove egli alloggi, e venite a dirmelo. I domestici di lei seguirono i nostri passi fino alla nostra abitazione. « Informata che fu della nostra dimora dessa inviò subito al santo vescovo alcune tavolette nelle quali erano scritte queste parole: Al santo discepolo di Gesù Cristo una povera peccatrice discepola del demonio. Io ho appreso che il Dio che voi adorate, è disceso dal cielo sulla terra, non per amore dei giusti, ma per salvare i peccatori. Avendo poi saputo dai cristiani quale e quanta sia la vostra santità, e che da gran tempo servite un sì buon Signore, io vi scongiuro di mostrare come voi siete suo vero discepolo, non tenendo a vile il vivissimo desiderio che ho di avvicinarmi ad esso. Il santo vescovo le rispose, che Iddio conosceva le di lei disposizioni, e che qualora fossero sincere, ella poteva liberamente venire a lui, poiché egli la riceverebbe in presenza degli altri vescovi, e non altrimenti. Questa risposta la ricolmò di tal gioia, che dopo di averla letta e riletta, difilato venne a trovarci nella nostra abitazione. – « Nono al momento radunò i suoi fratelli vescovi, ed ordinò che si lasciasse libera di avanzarsi. Appena entrata, si gettò ai suoi piedi ed abbracciandoli disse: Io ti scongiuro d’imitar Gesù Cristo tuo Maestro facendomi risentire gli effetti della tua bontà. Fammi cristiana, poiché io sono un’abisso di peccati, una voragine di ogni specie d’iniquità. Io ti domando il battesimo, « I santi canoni, le rispose Nono, proibiscono di battezzare una cortigiana, a meno ch’essa non presenti dei ragguardevoli personaggi, che rispondano del suo fermo proposito di non più ricadere negli stessi peccati. « Allora ella strinse più tenacemente i piedi del santo, li bagnò di lacrime, ed avendoli rasciutti con le sue chiome gli disse: Se tu rimetti ad altro tempo il mio Battesimo, benché macchiata di tanti peccati, attribuirò a te quanti ne potrò commettere in avvenire, e tu renderai conto dell’anima mia a Dio. Se differisci di pormi oggi nelle braccia della sua misericordia, io fo voti perché tu lo rinneghi, e venga ad adorare gli idoli. – Tutti i vescovi e sacerdoti presenti, udendo così parlare una gran peccatrice, s’interposero chiedendo premurosamente che si battezzasse. Allora il santo vescovo le disse: Come ti chiami? Ella rispose: Il mio vero nome è Pelagia, ma gli abitanti di Antiochia mi chiamano Perla, a motivo della gran quantità di perle e di altre gemme, di che divenni ricca per i miei peccati; perché io era la bottega più splendida e più magnifica che avesse il demonio. – Pelagia fu battezzata, e rientrata in sua casa, mandò al mio santo vescovo quanto essa aveva di prezioso, gemme, oro, argenti e sontuose vesti, acciò le disponesse come più gli fosse in piacere. L’ottavo giorno dopo il suo Battesimo, ella si levò la notte segretamente, si coprì di un cilizio e di un logoro mantello che il vescovo le aveva dato, abbandonò Antiochia per non più ritornarvi, e andò a chiudersi in un tugurio a Gerusalemme, sulla Montagna degli Olivi, poco lungi dal luogo ove Nostro Signore fece, sudando sangue, la sua ultima preghiera nell’orto. Ivi ella restò quattro anni, separata affatto dal mondo, e vi morì in fine della morte dei predestinati » [Vedi la sua vita scritta da Giacomo Diacono, nelle Vite dei Padri del deserto, t. I, p. 566 e seg.]. – Tale si fu la conversione di questa donna la cui salute pareva disperata. O santa Pelagia, illustre fra tutte le penitenti, ottenete a tutte quelle che avessero avuto la sventura d’imitarvi nel traviamento, la grazia di divenire pur esse monumenti dell’infinita misericordia di Dio! Per un altro genere di peccatori, rivolgiamo la stessa preghiera ai gloriosi penitenti, dei quali ora passiamo a raccontare la storia. – Vivea nel sesto secolo dell’ era nostra, poco lungi dalla città d’Ermopoli in Egitto, un famoso masnadiere per nome David. Spiando incessantemente il passaggio dei viandanti, ei spogliava gli uni, uccideva gli altri, e si bruttava di tanti altri delitti, che nessuno poteva pareggiarlo in crudeltà. Un giorno ch’egli commetteva un audacissimo furto alla testa della sua banda composta di più che trenta assassini, fu d’improvviso colpito da tale un pentimento dei suoi peccati, che abbandonò i suoi compagni, e si diresse al più vicino Monastero. Bussato che ebbe alla porta, il portinaio gli domandò che mai volesse; ed ei rispose: « Voglio farmi eremita. » Quegli andò subito a prevenirne l’Abate, che al momento discese, e vedendo quest’uomo già inoltrato negli anni, il venerabile Abate gli disse: « Tu non potresti rimaner qui; perché le nostre austerità sono sì grandi che alla età tua, non ti sarebbe possibile sopportarle. » « Padre mio, rispose il brigante, ricevimi, te ne scongiuro; non v’ha cosa alcuna ch’io non sia risoluto di fare. » L’ abate continuò a negare per le addotte ragioni. « Ebbene, riprese il ladro, io te lo dichiaro, Padre mio; io sono David, il capo dei briganti che qui vengo per piangere i tanti miei peccati, e ti protesto per il Signore Iddio, che abita nei cieli, che se tu mi respingi, ed io abbia a tornare a vivere come finora ho vissuto, risponderai innanzi a Lui di tutti i delitti che continuerò a commettere. » L’abate commosso ad un tale discorso, lo fece entrare e gli fece indossare l’Abito di eremita. – Questo soldato giovine ad un tempo e vecchio, incominciò immantinente a combattere con tal coraggio nella spirituale milizia, che presto superò in austerità e vigilanza tutti i Solitari compagni, benché fossero settanta di numero. La obbedienza, l’umilia, l’astinenza del novello Disma eran per tutti un continuo soggetto di edificazione. Un giorno ch’era seduto nella sua cella, gli apparve un Angelo e gli disse: « David, Iddio ti ha rimesso tutti i tuoi peccati. » « Il numero dei miei peccati, rispose David, sorpassa quello delle arene del mare! Io non posso credere che in sì breve tempo il Signore mi abbia perdonato. » L’Angelo riprese: « Per aver ricusato di credere che egli avrebbe un figliuolo, Zaccaria fu privato dell’uso della favella; e tu pure ne sarai privo in punizione della tua incredulità. » David cadendo prostrato a terra gli disse: « Quando io passava la mia vita a spargere il sangue umano, ed a commettere tanti altri enormi delitti, avevo libero l’uso della parola, e vorresti tu togliermelo ora, ch’io desidero unicamente di servire Dio, e di pubblicare le lodi della sua misericordia? » — « Quando bisognerà cantare le lodi del Signore, rispose il celeste Messaggero, tu riavrai libera la parola. Fuori di ciò, non sarà più in poter tuo di profferire un sol accento. » Così fu, e 1’umile David proseguì a vivere santamente, operò miracoli, e morì come il suo glorioso modello il beato Disma. [Joan, Mose., c. XXXVII]. – A questa veramente ammirabile conversione, che mostrandoci il subitaneo procedere e la piena efficacia della divina Misericordia, e sì propria a bandire ogni inquietudine dall’animo dei peccatori veramente contriti, se ne aggiunge un’altra, nella quale l’eroismo del pentimento va fino al sublime. – Un gran ladrone, toccato dalla grazia, andò a trovare l’Abate Zosimo di Cilicia, e pregollo in nome di Dio, a volerlo accogliere nel suo Monastero per ritrarlo dal commettere gli assassinii e i delitti d’ogni natura, dei quali si era egli fatta lunga ed imperiosa abitudine. Dopo di avergli diretta una calorosa esortazione, il buon vecchio lo accolse e lo vestì dell’abito di Solitario. Dopo qualche tempo, l’Abate gli disse: « Sentimi, figlio mio, a te non conviene di rimanere qui fra noi. Se la giustizia viene a sapere ove sei, ben presto cadrai nelle sue mani. Or vieni con me, ed io ti condurrò al monastero dell’Abate Doroteo, che è tra Gaza e Majuma. » – Ciò detto, quel venerabile superiore lo prese per mano e lo condusse all’indicato Monastero, ove restò per nove anni, e pieno del primitivo fervore edificò tutti i religiosi per la costante osservanza della Regola. Imparò tutto il Salterio e tutte le preci che bisognava sapere nella pratica della vita monastica. Alla fine poi del nono anno tornò a visitare l’Abate Zosimo, e gli disse: « Padre mio, ti prego di lasciarmi smettere quest’abito santo che tu mi desti, e di rendermi quello ch’io avevo quando venni qui. » Tali parole afflissero profondamente il santo vecchio, che lo richiese del motivo di una tale risoluzione; e quegli rispose: « Io ho passato nove anni in perfetto riposo nel monastero, al quale tu mi conducesti, digiunando il più che mi fu possibile, e vivendo nella continenza, nell’ubbidienza, e nel timor di Dio; il che mi fa sperare che il Signore, per la sua infinita misericordia mi abbia rimesso una gran parte dei miei peccati. Cionondimeno, o ch’io vegli, o che dorma, o che sia nella Chiesa, o al refettorio, e paranco nell’accostarmi alla santa Comunione, io vedo sempre e dappertutto un giovinetto che una volta uccisi, e che sempre mi ripete: Perché bagnasti tu del mio sangue le tue mani? e non mi dà un sol momento di tregua. Ed è perciò, Padre mio, che voglio andarmene, per correre ad espiare con la mia morte un sì gran delitto, avendo ucciso senz’alcun motivo quel giovine. » Dopo questa dichiarazione ei riprese il suo vecchio abito, si diresse a Diospoli; e nello stesso giorno venne arrestato per via, ed il dì seguente ebbe troncata la lesta. [Joan. Mose., c XLVI] Le conversioni che abbiamo fin qui ricordate, ed altre molte che ad esse potrebbero aggiungersi, son fatti individuali capaci d’incoraggiare questo, o quel peccatore in particolare. Ma per determinare il nostro secolo stesso a convertirsi, rimane che per noi gli si mostri la subitanea conversione di un intero popolo. Col provargli che nulla è impossibile alla divina Misericordia, un simile esempio risponderà a tutte le obbiezioni della sua mente e del suo cuore. Cosi lo scoraggiamento farà luogo alla fiducia, la stupida indifferenza al ravvedimento, ed il gran figlio prodigo dirà: « Io mi alzerò per andare dal Padre mio » Morire dopo di aver inteso una tale parola, sarebbe un morir di gioia. – Nell’antico Oriente esisteva un impero, famoso per la sua potenza, per le sue ricchezze, pel suo lusso, per la colossale sua idolatria e per tutti i vizi che sono la conseguenza inevitabile del sensualismo e del culto dei demoni. La capitale di quell’impero singolarmente si distingueva per la corruzione degli innumerevoli suoi abitanti. – Egli è provato dal fatto che i grandi centri di popolazione furono sempre e sono tuttavia grandi focolari di corruzione, fisica e morale. Quale pertanto doveva essere la depravazione della città, di cui vogliamo parlare! – Nella cinta delle sue mura ch’eran alte cento piedi, e di tale larghezza da potervi correr sopra tre carri di fronte, e fiancheggiate da mille e cinquecento torri, alte due cento piedi, Ninive chiudeva in un sì sterminato ambito la popolazione di tutto un regno. Tre giornate di marcia bastavano appena per attraversarla. – In mezzo al tumulto di questa immensa città ubriaca di voluttà e sozza di abominazione, il cui grido di vendetta era giunto al cielo, risuona ad un tratto la voce di un uomo sconosciuto. Quest’uomo è un Profeta, e la sua voce diceva: « Ancora quaranta giorni, e Ninive sarà distrutta. » A questa minaccia, confermata dai miracoli, il Re per primo rientra in se stesso. Egli scende dal suo trono e si umilia, e tutto il popolo ne imita l’esempio. La dissipata, l’orgogliosa, la splendida e voluttuosa Ninive si copre di cenere e di cilizio: prega, digiuna, piange e si pente: Essa è salva. – L’esempio di Ninive è un immortale insegnamento lasciato alle nazioni colpevoli. Se esso mostra con quale estrema facilità Iddio apra ad esse le sue braccia paterne, indica loro altresì qual sia l’unico mezzo di ottenere misericordia. Così per i popoli, come per gli individui, il pentimento è la prima condizione del perdono. Invece di ostinarsi nella ribellione, e di correre ansiosamente in cerca di mezzi impossibili per trarsi fuora dai mali passi, nei quali si è gettato, il secolo decimonono rivolga i suoi sguardi a Ninive, ed al buon Ladrone, due grandi colpevoli, così di subito convertiti e contenti della loro conversione. Sull’esempio del Re di Ninive, rientrino in se stessi i Re d’Europa, e piangano le loro iniquità: che i popoli imitino i Re, e da ogni petto prorompa il grido salutare: « Smarrimmo la via di verità: Ergo erravimus: » e tutte le questioni sociali saranno risolute all’istante. La società sconvolta si raffermerà sulle sue basi fondamentali, la rivoluzione sarà vinta, e per quanto lo permettano le condizioni della vita presente, la pace regnerà sulla terra. – Pentirsi o perire: tale è l’alternativa alla quale il secolo decimo nono [analoga considerazione vale anche per il secolo presente, il XXI –ndr.-] non può più sfuggire. In luogo di sceglier la morte, perché non preferirebbe egli la vita? Né il numero, né l’enormità dei suoi colpevoli eccessi debbono sgomentarlo. « Allorquando si vedono, dice un Padre della Chiesa, aprirsi le porte del Cielo e spalancarsi innanzi ad un gran ladro, chi mai potrebbe disperare » Fatti animo adunque e sappi volere, gli diremo col Bocca d’oro dell’Oriente. Il male non è dell’essenza di tua natura; dotato come sei di libero arbitrio, lo puoi vincere. Certamente, le tue iniquità sono grandi. Tu sei un secolo dedito al denaro; ma puoi divenire un evangelista. Tu sei un secolo di bestemmie; ma puoi divenire un apostolo. Tu sei un secolo di rapine e di furti; ma puoi rubare il cielo. Tu sei un secolo di pratiche diaboliche; ma puoi adorare il vero Dio. Non v’han catene che non si rompano, non v’han delitti che non si cancellino con la penitenza. Morendo il Redentore del mondo scelse per convertirlo, tutto ciò che vi ha di più reo, affine di non lasciare, fino alla fine dei secoli, alcun sotterfugio allo scoraggiamento. In questo modo egli da te prese commiato [S. Chrysost., Ve Chananæa, n. 2, Opp., t. III, 518.]

 

Mons. J.- J. GAUME: STORIA DEL BUON LADRONE (13), cap. XXIV

CAPITOLO XXIV.

IMITATORI DEL BUON LADRONE IN OCCIDENTE.

I ladri delle Alpi. — Arresto di S. Martino, sangue freddo del Taumaturgo, suo discorso ad uno dei ladri, conversione subitanea e durevole di costui. — Margherita da Cortona. — Sua origine. — Causa della sua subitanea conversione. — Eroismo della sua virtù. — I due giustiziati della città di Siena.— Loro bestemmie. — S. Caterina. — Conversione istantanea. — Morte edificante. — Il brigante di Napoli.— Sua crudeltà, suo arresto, sua disperazione.— Convertito con l’esempio del Buon Ladrone. — Delicatezza di coscienza. — Assalti del demonio. — Vittoria completa. — Un vecchio peccatore datosi al diavolo. — Bruttato di ogni sorta di delitti. — Convertito da S. Brigida.— Altro a lui somigliante nella persona di Andrea Naddini ricco borghese di Siena. — Giocatore e bestemmiatore. — Convertito da S. Caterina da Siena.— Mandrino.— Sua vita.— Sua conversione.— Sua morte.

Tra gli insigni favori di Dio, bisogna pure annoverar quello d’imbattersi con un santo nel cammin della vita: da un simile avventuroso incontro è dipesa la salute, vale a dire la eterna felicità di una moltitudine di anime, ed anche di molti gran peccatori. L’umile villaggio di Ars può esso pure farne testimonianza, e nel fatto che noi siamo per riferire, come in quelli che esporremo in seguito, brilla luminosamente questa consolante verità. – II gran taumaturgo delle Gallie, s. Martino, portavasi da Poitiers in Pannonia, per rivedere i suoi parenti, e traversando le gole delle Alpi, s’imbatté in una comitiva di briganti. Miracolosamente sfuggito alla scure di uno di quei malviventi, capitò nelle mani di un altro per essere spogliato. Costui strascinò il santo nel fondo della sua caverna, e gli disse : « Chi sei tu che non temi di venire a morire per mano dei ladri? » Martino rispose: « Io sono cristiano, e non solo non temo la morte, ma non fui mai così tranquillo come in questo momento, perché son sicuro che Iddio vien sempre in aiuto dei suoi servi nelle loro necessità. Per te piuttosto io temo la morte eterna, sorte inevitabile di un assassino tuo pari, a meno che non ti converta, e sull’esempio del Ladrone del santo Evangelio, tu non faccia dimenticare le tue passate iniquità con una vita di sincera, benché tarda penitenza. » E per incoraggiarlo, il santo gli promise, quando volesse profittare dei suoi consigli, di ottenergli questa grazia dalla divina misericordia. La parola del coraggioso vescovo fu come una spada che trapassò il cuore dell’assassino, e prendendo per mano il santo, ei lo ricondusse sano e salvo sulla sua strada, e non se ne separò, se non dopo di avere con la più viva insistenza strappata la assicurazione del promesso beneficio. L’uomo di Dio tenne la parola, e per l’efficacia delle sue preghiere, non solo quel masnadiere lasciò il suo scellerato genere di vita, ma abbracciò con ardore la carriera della penitenza, nella quale perseverò fino alla morte [Sulp. Sever., Vita B. Mart., c. IV]. Traversiamo ora le Alpi con s. Martino, e mentre egli segue la sua via per le terre Lombarde, prendiamo noi la via della Toscana. Eccoci al piccolo villaggio di Laviano. Vedete voi quella giovine sì svelta, vanitosa e dotata della più rara bellezza? Malcontenta della sua matrigna ama piuttosto di frequentare le strade del villaggio, che starsi raccolta nelle domestiche mura. A un signore di Montepulciano, ricco proprietario di quella contrada, diede nell’occhio la incauta giovine; e la vanità da un lato, e dall’altro la passione si posero facilmente d’accordo. La giovane Margherita non è più padrona di se: ella già trovasi nella città di Montepulciano, ed abita nel magnifico palazzo del seduttore. Formati appena, tutti i suoi capricci son soddisfatti; le più ricche stoffe sono il suo corredo; nelle sue chiome brillano le gemme più preziose; ella vince nel lusso tutte le grandi dame della città. Ovunque siano feste, si è certi d’incontrarla. Scandalo pubblico, e scandalo di ogni giorno, ella passa nove anni in così reo disordine. Che sarebbe stato mai di lei se la divina misericordia non l’avesse ad un tratto arrestata sul cammino dell’inferno? Un giorno, nel quale a tutt’altro pensava fuorché a mutar vita, il suo drudo parte per la campagna. Venuta la notte non si vede tornare. Margherita n’è inquieta. L’indomani ella si pone alla finestra per spiare se venga colui ch’essa attende. Invece del suo diletto, ella vede il di lui cane che a lenti passi, abbassata la testa, sen viene, e fermasi sull’uscio, rompendo in dolorosi guai. Margherita discende, il fido animale ne prende coi denti la veste, e le fa segno di seguirlo. Esso la conduce così alla distanza di qualche miglio dalla città, e giunto ad un boschetto, fermandosi a raspar la terra, scopre il cadavere sanguinoso del suo sventurato amante, che caduto vittima di un assassino quivi era stato a fior di terra sepolto. – A tale spettacolo, Margherita cade a terra svenuta, e tornata in sé, versa amarissime lacrime, e sotto la impressione della grazia, fa sul momento la irrevocabile risoluzione di cambiar vita. Reduce alla città, ella abbandona le sue ricche vesti, dispone ogni cosa per lasciare ben ordinata la casa, e coperta di una vecchia e nera tonaca abbandona quella città, ch’aveva sì lungamente scandalizzata. Il suo primo atto di ravvedimento si fu di andare a gettarsi ai piedi del suo povero padre, e di domandargli perdono con un torrente di lacrime. Questo primo passo non le bastò; per riparare i suoi cattivi esempi, volle essa farne un altro ben più penoso al suo amor proprio. Nella prossima domenica, mentre tutto il popolo di Laviano era nella Chiesa, ella entrò nel luogo santo, ed ascesa coi piedi nudi, il capo raso, ed una corda al collo presso all’altare, prostrata umilmente, non profferisce una sola parola, ma inonda di lacrime il pavimento del Santuario. Terminata poi la sacra funzione, ella si accosta ad una pia signora che altra volta aveva frequentata. Genuflessa a lei dinanzi, alla presenza di tutto il popolo che non l’aveva riconosciuta, Margherita pronunzia queste parole interrotte da singhiozzi: « Signora, ecco a vostri piedi una scellerata peccatrice che ha disonorato la sua famiglia e la sua patria. Confesso di aver indegnamente disprezzato i vostri consigli, e vi scongiuro di dimenticare i mici trascorsi, dei quali sono profondamente pentita. Deh, perdonate le colpevoli follie dei miei giovani anni, com’io supplico umilmente tutti quelli che sono qui presenti di perdonarmi gli scandali che loro ho dati, e li scongiuro di ottenermi da Dio con le loro preghiere un dolore sempre maggiore, perché io faccia una vera ed esemplare penitenza dei miei innumerabili peccati. » –  Tacque e rimase in ginocchio. Gli spettatori tutti ne erano inteneriti e commossi; e tanta è la potenza dell’umiltà per riabilitare un’anima, che la pietà e una specie di venerazione presero nel cuore di tutti il luogo di ogni altro sentimento. Le istanze della dama non valsero a far rilevare Margherita da quell’umile posizione. Silenziosa, immobile, ella prolungò quell’atto eroico fino a che rimase alcuno in quella Chiesa. – Rilevatasi appena, abbandonò Laviano per non tornarvi più, e si recò nella città di Cortona. Ivi tutta sola, in un meschino tugurio, per lunghi anni visse di lacrime, di austerità e di elemosine, e in ultimo di abbondanti consolazioni, di quelle consolazioni, delle quali il buon Pastore si piace di colmare le pecorelle smarrite che tornano all’ ovile; né mai si avverò meglio questa sentenza: il pentimento essere fratello dell’innocenza. Non solamente Margherita divenne una gran santa, ma il fu a segno di operar miracoli; ed il suo corpo conservato intatto già da tre secoli, continua sempre, come quello della pura vergine Teresa, a spandere una celeste fragranza [Vita etc., di F. Marchese, passim.] – Scendiamo ora a Siena, poco lontana da Laviano. In questa città ci attendono due nuovi imitatori di Disma; due vecchi peccatori condannati a supplizi eccezionali per la enormità dei loro misfatti. Già si conducevano al supplizio, e legati su di una carretta, il carnefice lacerava loro le carni con dei pettini arroventati. Nessuno aveva potuto indurli a confessarsi; e simili ai ladroni del Calvario, non cessavano di bestemmiare Dio e quanto vi ha di più santo. La perla del suo secolo, la giovane santa Caterina da Siena era allora presso una sua amica, l’abitazione della quale si trovava sul passaggio di quegli sciagurati. Avvicinandosi a quella, li scorse l’amica di Caterina, e la scongiurò di domandare al Signore la salvezza di quei disperati. Si pose tosto in orazione la Santa, e domandò al divino Maestro di poterli in ispirito accompagnare fino al luogo del supplizio. I suoi voti vennero esauditi. Giunto alla porta della città il tristo corteggio, il misericordioso Salvatore, tutto coperto di piaghe e di sangue, apparve ai due ostinati, chiamandoli al pentimento e promettendo loro il perdono. Mutati in un momento come Disma, chiedono con istanza un confessore, e dando segni di profondo dolore confessarono a quello i loro peccati. Da quel momento le loro bestemmie, come quelle del Buon Ladrone, si cambiarono in benedizioni al Dio delle misericordie, e come Disma, non hanno alcuna ripugnanza di riconoscere che son ben meritevoli della punizione cui vanno incontro, e di ogni più crudele tormento. Tutto il popolo è stupefatto di un cambiamento sì subitaneo ed inaspettato. Gli stessi carnefici rimettono della loro fierezza, e più non osano moltiplicar le ferite a coloro che veggono a tal segno ravveduti e pentiti. Vanno essi pertanto alla morte come ad un festino, ripieni di fiducia, che quel momentaneo supplizio gli metterà tosto al possesso di una felicità compiuta e senza termine [Vita s. Cather. Senen. Ap. Sur. 29. Aprii, p. 939. edit.]. – Par superfluo il far qui notare i tratti di rassomiglianza che passano tra la conversione di questi due malfattori e quella del Buon Ladrone: e potremo conchiudere che la misericordia di Nostro Signore è eternamente la stessa. E poiché siamo in Italia, facciamo una corsa fino a Napoli, e la nostra conclusione vi si troverà confermata da un fatto non meno memorabile. L’anno 1558 fu condotto nelle prigioni di quella città un famoso brigante. Quest’uomo era già da ventotto anni il terrore del paese. Carico di ogni delitto, esso era alla testa di una banda di masnadieri che poneva agli agguati sulla pubblica via, e venuto il momento, la guidava in persona all’assalto dei passeggeri, ai quali non si contentava di rubare la borsa, ma gioiva di toglier puranco la vita con raffinamento di crudeltà. – Conosciutosi appena il suo arresto, alcune sante persone della città di Napoli si posero all’impegno di strappare a satana una simile preda. L’impresa era tanto più difficile, dacché lo sciagurato era caduto nel più profondo abisso della disperazione. Per ritrarvelo, non si rinvenne che un mezzo, e si fu quello di porgli innanzi gli occhi l’esempio del Buon Ladrone. Al pensiero del suo simile perdonato in sul punto di morire ei sente rinascere in cuor suo la speranza. Uno dei più zelanti religiosi di s. Camillo de Lellis, il P. Girolamo Uccello, insiste su quel consolante esempio, visita del continuo il condannato, e diviene 1’invidiabile strumento della sua conversione. « Padre, gli disse un giorno quel feroce brigante, io voglio confessarmi, sono già trentotto anni che non l’ho fatto. » – « Io son qui tutto per voi, risponde il santo religioso. » Alla richiesta del penitente, egli presta pazientemente l’orecchio per quattro giorni consecutivi all’ accusa di scelleratezze, delle quali un sol uomo non pare poter esser capace; e di tempo in tempo, il novello Disma chiede di prender fiato non tanto per riposarsi, quanto per ricercare nella sua memoria ciò che può essergli sfuggito. Fatta la sua confessione colla maggior diligenza ed un’eguale pietà, egli si sente tutto pieno di speranza, e sull’esempio del Buon Ladrone impiega in atti di pietà e di religione il poco tempo che gli resta di vita. Per finire di purificarlo, il demonio, di cui sì lungamente era stato lo schiavo obbediente, gli apparve sotto forma visibile, e duramente lo percosse, come altravolta ebbe fatto a s. Antonio, e lo tormentò con un tremito convulsivo dì tutta la persona. La calma finalmente gli fu resa, sopravvenne la morte; ed il brigante del Lazio divenne il fortunato ladro del paradiso: Paradisum feliciter prædatus. [Annal. Cleric. Regai. Ministr. infirm. n. 22. an. 1558]. – Dall’oriente prendemmo le mosse per la ricerca dei miracoli della divina misericordia, ed è pur là che noi vogliamo terminare. Ma prima di abbandonare l’Occidente, citiamo ancora alcuni esempi della rapidità, con la quale la tenerezza del nostro Padre celeste opera sopra i più grandi peccatori, qualunque sia la specie delle loro iniquità. – La illustre principessa di Svezia, Santa Brigida, riferisce il seguente fatto. « Eravi un uomo di mondo, grande per la sua prosapia, che era fra le più illustri della terra, ma più grande ancora per le sue ricchezze e per i suoi vizi. All’età di sessanta anni mai erasi egli confessato, né accostato mai alla mensa eucaristica. Colpito da una mortale infermità, egli era per esser sepolto nell’inferno. Io il feci avvertire dal mio confessore del prossimo gravissimo pericolo ch’egli correva, e sulle prime egli finse di aver perduta la parola: poi disse che non aveva bisogno di confessarsi, avendolo già fatto con assai frequenza. Con questa bugiarda risposta lo sciagurato deluse per due o tre volte la pia sollecitudine del sacerdote. Allora, profondamente commossa dal misero stato di quell’uomo, apertamente gli feci dire per parte di Nostro Signore: Voi siete posseduto da sette demoni, ed ecco perché avete vissuto nell’abitudine dei sette peccati mortali. In questo stesso momento, satana è nel vostro cuore in luogo di Dio, e bentosto esso farà di voi la sua vittima per tutta l’eternità. – Non vi è tempo a perdere; pentitevi al più presto, e Dio vi perdonerà. « L’avvertimento commuove quel cuore di bronzo, e ne fa scaturire una fontana di lacrime. Quale speranza, domandò egli al sacerdote, può mai restare ad un miserabile mio pari? Quando i vostri peccati, rispose il ministro di Dio, fossero infinitamente più enormi e più numerosi, io ve ne prometto con giuramento ed in nome di Dio il sicuro perdono, purché dal vostro canto non più indugiate a fare ciò che è debito vostro di fare. « Confortato da questa promessa, l’infermo piangendo e singhiozzando rispose così: Io ho disperato della mia salute, perché mi son dato al demonio: Homagium feci Diabolo, che mi ha parlato un grandissimo numero di volte. Per questo motivo giunto all’età di sessanta anni mai mi son confessato né comunicato; e quando gli altri sì comunicavano, io allegava dei pretesti per astenermene. Ora, Padre mio, ve lo confesso, io non ricordo di aver mai versato lacrime, come quelle che verso in questo momento. – « Avendo così parlato, ei si confessò ben quattro volte in quel medesimo giorno, e purificato da questa ripetuta confessione, ricevé con grande amore il corpo santissimo di Gesù; e sei giorni appresso spirò dolcemente l’anima pieno di fermissima confidenza nella misericordia di Dio. » 1, S. Brìgid. Revel. lib . VI. c. XCVII; Blosius, In monile, c . II.] – Nel nostro secolo d’invasione satanica, quante volte un sacerdote, che abbia fatto lungo esercizio del suo ministero, non si trova esposto all’incontro di simili casi? Intendiamo parlare di peccatori che muoiono impenitenti, per essersi dati a delle pratiche infernali, o per avere indirettamente dato al demonio la padronanza della loro anima, abbandonandosi senza ritegno a tutte le concupiscenze. Arrivano essi al termine della vita, senza alcuna speranza, duri di cuore al pari del marmo, freddi come il ghiaccio, e talvolta con la bestemmia sul labbro. Faccia Iddio che il precedente esempio e quello che segue, siano per essi, come per il sacerdote, una ragione per non mai disperare. – L’anno di Nostro Signore 1370 viveva in Siena un borghese chiamato Andrea Naddini. Ricco di beni temporali, ma povero di virtù, pieno di vizi e coperto di delitti, passava egli la sua vita a giuocare ed a bestemmiar Dio ed i santi che detestava. All’età di quarant’anni venne assalito da mortale infermità che ben presto lo ridusse agli estremi. Buon numero di religiosi e di pie donne vennero a visitarlo, ed il suo parroco fece quanto era mai possibile per indurlo a ricevere i Sacramenti. Ma l’infelice che da moltissimi anni non aveva neppur messo piede in una chiesa, e che era abituato a disprezzare preti e frati, respinse, come un vero disperato, qualunque esortazione. – Fra Tommaso Domenicano, confessore di s. Caterina, informato di quanto avveniva nella casa dell’infermo, va a trovare quell’ammirabile eroina, e le raccomandò di pregare col più gran fervore per quell’anima vicina a perdersi. La Santa si pose tosto a piangere e supplicare; ma Nostro Signore le disse: « I peccati di quel bestemmiatore son giunti fino al cielo. Senza parlare degli altri, egli ha spinto la sua empietà fino a gettar al fuoco un quadro, nel quale Io con mia Madre ed alcuni santi era rappresentato. Le fiamme dell’inferno sono un conveniente castigo per un tal sacrilegio. » Afflitta, ma non scoraggiata Caterina, divorata com’era dalla sete della salvezza delle anime, non cessò dal piangere sulla sorte di quel peccatore; raddoppiò le preghiere inondando di lacrime i piedi del suo Crocifisso. Quegli ch’era venuto dal cielo in terra per salvare tutto ciò ch’era perduto, Gesù lasciasi piegare da tanta e sì amorosa insistenza: apparisce ad Andrea coricato sul suo letto di morte, lo esorta a confessare i suoi peccati, e gli promette, se il facesse, di perdonargli tutto. A quelle parole, il moribondo ritrova tutte le sue forze, e con voce sonora esclama: « Io vedo Nostro Signor Gesù Cristo, Egli vuol ch’io mi confessi. Si corra dunque a cercarmi un sacerdote. » Indicibile è la gioia degli astanti, e si corre alla ricerca del santo ministro; giunto il quale, Andrea si confessa, amaramente piangendo; detta poi il suo testamento, e subito dopo felicemente varca il terribile passaggio dal tempo all’eternità. [Vita s. Catri. Sin., ubi supra.]. Anche una volta, questo esempio dimostra quanto grande è la grazia che ci dà Iddio, allorché sul cammino della vita ci fa incontrare un santo. Preghiamo pertanto il Padre delle misericordie d’inviare presso ai peccatori moribondi qualcuno dei suoi amici privilegiati, che preghino espressamente per essi. – Prima di abbandonar l’Occidente, abbiamo da ricordare un ultimo fatto. Crederemmo di meritarci rimprovero se lo passassimo sotto silenzio, mentre anch’esso prova con la più consolante chiarezza la inesauribile bontà di Dio verso i più grandi peccatori, e la rapidità con cui la sua grazia agisce sui cuori più induriti e ribelli. – Tutti sanno chi fosse Mandrino, uno dei più famosi briganti dei tempi moderni; ma da pochi per quanto crediamo è conosciuta la sua morte. Nato nel 1714 a Saint-Etienne-Saint-Geoire villaggio del Delfìnato da un padre disertore, che dai suoi più giovani anni lo addestrò al furto, Luigi Mandrino bentosto sorpassò il suo maestro. – Ai venti anni, egli era già a capo di una masnada di banditi. In sulle prime fu fabbricante di moneta falsa, poi contrabbandiere in grande, poi ladro brigante, quindi incendiario, e finalmente assassino. Con la sua banda composta di quaranta in cinquanta uomini a cavallo, ei viveva or nelle caverne, ora sulle montagne e fra le rovine di abbandonati castelli. Nel corso di quindici anni riempì la Francia intera del grido delle sue gesta; portò il terrore, l’assassinio, il saccheggio in molte delle nostre province, rubando fin le casse dello stato, lottando spesso con la forza armata e sfuggendo a tutte le sue persecuzioni. Una tal vita doveva aver pure il suo termine. Tradito da uno dei suoi, Mandrino fu arrestato di notte tempo, e legato da capo a piedi fu condotto, anzi trascinato a Valenza, ov’egli giunse il 10 di maggio 1755. La fama del suo arresto attirò un gran concorso di popolo. Da ogni parte si veniva per vedere questo famoso brigante, nel quale si pensavano alcuni di trovar qualche cosa di grande, quasiché esser vi potesse della grandezza nel delitto. Vero si è che Mandrino era grande della persona, di gagliardìa non comune, e dotato di una gran presenza di spirito, e d’ingegno fertile in ripieghi ed espedienti. A tutto questo egli aggiungeva un’audacia che non conosceva ostacoli, e non indietreggiava innanzi a qualsivoglia pericolo. Non si richiese gran tempo per la istruzione del suo processo, essendo ogni cosa ben nota e provata. Sin dalle prime, gli fu presentato un confessore, ch’egli rifiutò. La malvagità dominava ancora in quell’anima di ferro. Andò poi a visitarlo un Gesuita che gli fece travedere la sua prossima fine. L’ora della misericordia era suonata; e il Dio delle misericordie che aveva convertito Disma sulla croce, convertiva Mandrino sulla rota del supplizio. Quell’uomo sì feroce divenne docile, senza che cessasse di essere fiero. Era però entrato nel suo cuore il rimorso; confessò i suoi delitti e pianse. – Il 26 maggio montò sul palco, che riguardò senza orgoglio e senza debolezza. Volgendosi al popolo, sollevò gli occhi e le mani al cielo, e disse: « Or ecco la fiacche tu mi preparavi, maledetta passione dell’oro. Io vissi nel delitto, e muoio nell’obbrobrio. Io versai il sangue innocente, e vado ora a versare il mio. Possa il mio nome infausto essere dimenticato insieme con i miei delitti, e possa espiar questi col mio dolore ed il mio supplizio » – Dopo queste parole, Mandrino non trattenne il pianto, e fece piangere tutti gli astanti. Egli rese umili grazie al suo confessore, abbracciò il suo carnefice, e si adagiò sul letto doloroso del supplizio che l’aspettava. « Ah! gridò egli versando amare lacrime, qual momento è questo, mio Dio, e come avrei dovuto prevederlo! » Gli furono rotte le braccia, le gambe, le cosce e le reni. Egli morì cogli occhi rivolti ai cielo. [Régley, Vie de Mandrin, p. 145, in 12. Chambéry, 1755].