UN’ENCICLICA al giorno toglie il TRADIZIONALISTA ED IL MODERNISTA-APOSTATA di torno: “COMMISSUM DIVINITUS”.

 

S. S. Gregorio XVI

“Commissum divinitus”

Il Santo Padre Gregorio XVI, nel controbattere e rigettare con fermezza le conclusioni del convegno di Baden in Svizzera, ove le autorità civili dell’epoca avevano compiuto un primo tentativo di assalto alla Roccaforte Cattolica, volendo ad essa sottrarre le sue prerogative spirituali, religiose, dottrinali, finanche sacramentali, ed imporre “precetti” laici. Era evidentemente una delle tante prove che “coloro che odiano Dio e tutti gli uomini”, “la razza di vipere”, tentavano di organizzare utilizzando i tentacoli delle varie logge, già all’epoca operanti a pieno regime, ma non ancora infiltrate compiutamente come in tempi successivi, fino al conciliabolo vaticano secondo, quando esplosero con l’esilio del Santo Padre appena validamente eletto, Gregorio XVII, sostituito subito da una serie di apostati e marrani tuttora usurpanti. In ogni caso la lettera è per noi Cattolici molto interessante, perché ribadisce alcuni punti focali della Dottrina Cattolica, dalla proibizione dei matrimoni misti, all’indifferentismo religioso [attuale cavallo di battaglia degli apostati del “novus ordo”], dal primato del potere spirituale e divino su quello prosaico civile, alla costituzione gerarchica della Chiesa. Degni di essere sottolineati sono poi gli inviti, validi in eterno, ai Vescovi dell’epoca: “… impegnatevi a fondo e abbiate a cuore “non soltanto che i giusti perseverino sulla retta via, ma siano recuperati dall’errore anche coloro che sono stati irretiti dalla seduzione“, esortazione quanto mai applicabile agli attuali sedicenti tradizionalisti, sedotti da falsi pastori mercenari senza missione né giurisdizione, a seguire un Magistero alterato e “ad usum delphini”, contrario a tutta una serie di dogmi “scomodi” per essi. E per quanto riguarda la funzione centrale di Pietro, nella “unica” Chiesa di Cristo, ribadendone la condizione essenziale “sine qua non est salus” aggiunge: “ … Datevi da fare, diletti figli, perché tutti partecipino della stessa unità, non si lascino sviare in alcun modo da teorie vane e passeggere, evitino empie novità, restino saldi con ogni precauzione nella fede cattolica, stiano sempre sottomessi al potere e all’autorità della Chiesa, e a questa Cattedra che il potente Redentore di Giacobbe costruì su una colonna di ferro e un muro di bronzo contro i nemici della Religione, in modo tale che i cristiani ogni giorno di più rinsaldino la loro unità e comunione”. “Colonna di ferro e muro di bronzo”, ecco il Papa, il Santo Padre, definito dalle parole profetiche di Dio stesso date, per bocca di Geremia, al Successore di Pietro, il Vicario di Cristo, quello “vero”, unica garanzia di accesso all’Arca di salvezza che nel diluvio del mondo conduce ai Cieli ed alla felicità eterna, promessa a coloro che perseverano fino alla fine … altro che sedevacantismo, sedeprivazionismo, disobbedienza a proprio giudizio ed idiozie varie propinate da tanti cani sciolti! Che Dio ci liberi per l’intercessione della Beatissima Vergine Maria!

“COMMISSUM DIVINITUS humilitati Nostræ apostolici officii … “

“Il compito dell’ufficio apostolico, affidato da Dio alla Nostra umile persona, richiede di vigilare assiduamente e con forza per custodire il gregge del Signore, e di indirizzare in modo particolare gl’intenti e gli sforzi, per quel tanto che Ci è possibile, là dove sembra che la salvezza eterna delle pecore e la stessa Religione Cattolica siano messe in pericolo. – Siamo infatti a perfetta conoscenza, e ne siamo profondamente addolorati, che in codeste regioni gli avversari, con perfidia e non senza effettivi risultati, tramano in molte cose che vanno direttamente a danno esplicito del gregge cristiano e a detrimento della situazione della cattolicità. Il Nostro dolore è accresciuto dal fatto che costoro, per ingannare le persone semplici, sostengono di non voler per nulla intaccare l’integrità della fede, intenti soltanto a salvaguardare i diritti pertinenti al potere laicale. Si preoccupano però di stabilire e sancire tali presunti diritti con rivendicazioni di diritto pubblico del tutto false, sostenute da dottrine erronee e perverse, largamente insinuate e propagate. Di qui l’indizione di assemblee e consultazioni, con cui osano dichiarare e definire una normativa sicura, attraverso la quale il potere secolare può liberamente intervenire negli affari ecclesiastici. – Siete già a conoscenza,Venerabili Fratelli e diletti Figli, che Noi Ci siamo pronunciati su quanto è stato scandalosamente compiuto, o meglio perpetrato, nel mese di gennaio dello scorso anno nella città di Baden del Cantone di Argovia. Tutti questi avvenimenti hanno riempito voi stessi di profondissima angoscia e vi tengono tuttora ansiosi e perplessi. – Non vi possiamo nascondere che all’inizio non volevamo credere che dei laici fossero convenuti in un luogo stabilito [Baden] soltanto con l’intenzione di trattare di cose che interessano la Religione e che avessero voluto spingersi a deliberare, come fosse loro diritto, di varie cose esclusivamente spettanti alla potestà ecclesiastica, e di presentare le decisioni adottate, perché siano approvate con legge, a coloro che in codeste province federate detengono il potere. – Ma gli stessi atti del convegno sopra ricordato, da poco pubblicati a stampa in Gynopedio (Frauenfeld), documentarono a Noi come stavano realmente le cose; in essi sono riportati i nominativi dei presenti, dei deputati al convegno, gl’interventi proferiti da alcuni di loro in varie sessioni e, infine, integralmente le deliberazioni adottate colà. In verità, leggendo attentamente sia gl’interventi, sia queste deliberazioni, siamo rimasti inorriditi rendendoci conto che in essi erano contenuti principi che recano sconvolgimenti contro la Chiesa Cattolica; tali principi, proprio perché contrari espressamente alla sua dottrina e alla sua disciplina e, in più, apertamente indirizzati alla rovina delle anime, non possono in alcun modo essere sostenuti. – Senza dubbio, Colui che fece con profonda sapienza tutte le cose e le dispose secondo un preciso ordinamento, volle anche che nella sua Chiesa fosse presente un ordine gerarchico, così che alcuni avessero il compito di presiedere e comandare, e altri di essere sottomessi e ubbidire. Conseguentemente la Chiesa, dalla stessa istituzione divina, possiede non soltanto il potere di magistero per insegnare e definire i dati di fede e di costume e per interpretare le Sante Scritture senza alcun pericolo di errore, ma anche il potere di governo, allo scopo di mantenere e confermare nella dottrina della tradizione coloro che essa accolse nel suo grembo una volta per sempre; pertanto promuove le leggi in tutti quegli ambiti che riguardano la salvezza delle anime, l’esercizio del sacro ministero e il culto di Dio. – Chiunque si oppone a queste leggi si rende colpevole di un gravissimo crimine. In più, questo potere di insegnare e di comandare negli ambiti che riguardano la Religione sono stati assegnati da Cristo alla sua Sposa non soltanto in modo del tutto specifico ai pastori e ai presuli, al di fuori di ogni possibile ingerenza di magistrati del governo civile, ma in forme del tutto libere e in nulla dipendenti da qualsiasi potere terreno. – Infatti, non ai Principi di questo mondo, ma agli Apostoli e ai loro successori nel mandato, Cristo affidò il deposito della dottrina rivelata e a loro soltanto disse: “Chi ascolta voi, ascolta me; chi disprezza voi, disprezza me“. Gli stessi Apostoli, poi, non da un riconoscimento del potere civile, ma anche in difformità da esso, annunziarono il Vangelo, diffusero gl’insediamenti della Chiesa, stabilirono la disciplina. Anzi, quando i capi della Sinagoga osarono imporre agli Apostoli di non predicare, Pietro e Giovanni, difendendo la libertà del Vangelo, risposero: “Se sia giusto innanzi a Dio obbedire a voi più che a Lui, giudicatelo voi stessi“. Pertanto, solo colpendo la fede e violando apertamente la divina costituzione della Chiesa e la natura del suo governo, può avvenire che si imponga nei suoi confronti il potere del mondo o che la sua dottrina sia vincolata fino ad impedirle di produrre e promulgare le leggi attinenti al ministero sacro, al culto divino e al bene spirituale dei fedeli. – Questi diritti della Chiesa sono certi e immutabili sulla base dell’autorità di tutti gli antichi Padri e sono garantiti dalla tradizione. – Osio, vescovo di Cordova, scriveva all’imperatore Costantino: “Non immischiarti negli affari ecclesiastici, e in questa materia non inviare a noi degli ordini; al contrario, impara da noi quanto segue: A te Dio affidò l’impero e a noi affidò la Chiesa. Chi in qualsiasi modo sottrae l’impero a te, si mette contro l’ordine stabilito da Dio; ma anche tu sta’ attento a non diventare colpevole di un grande crimine, volendoti immischiare nelle cose della Chiesa“. – I Principi cristiani riconobbero tutto questo e ritennero che fosse per loro un vanto confessarlo apertamente. Tra essi l’imperatore Basilio il Grande così si espresse nell’ottavo Concilio: “Quanto a voi laici, sia nei riguardi di coloro che rivestono posizioni di potere, sia verso tutti gli altri a cui mi riferisco, non ho altre cose da dire se non che in nessun modo a voi è permesso trattare le cose ecclesiastiche. L’investigazione e la ricerca in questo ambito sono riservate ai Patriarchi, ai Pontefici e ai sacerdoti espressamente deputati all’ufficio di governo della Chiesa. Essi hanno il potere di santificare, legare e sciogliere, perché sono in possesso delle chiavi ecclesiastiche e celesti. A noi laici, bisognosi di essere guidati, santificati, giuridicamente legati e sciolti, non competono poteri ecclesiastici“. – Con criterio diametralmente opposto a tutto questo si è deliberato nell’assemblea di Baden, da cui furono emanati articoli che distruggono la giusta dottrina del potere ecclesiastico, e riducono la stessa Chiesa in una riprovevole e ingiusta schiavitù. La Chiesa sarebbe sottomessa al potere laico nel pubblicare i decreti dogmatici qualora si stabilisse che le leggi da lei emanate circa la disciplina rimarrebbero senza forza e senza effetto se non promulgate con il consenso dell’autorità secolare, con aggiunta l’intenzione di procedere penalmente contro coloro che si comportassero diversamente. Che altro? Alla stessa potestà civile si dà libera facoltà di approvare o di rigettare tutto ciò che i sinodi, che noi chiamiamo diocesani, hanno stabilito per le singole circostanze: di presiedere i Seminari; di confermare la loro disciplina interna fissata dai sacri Vescovi; di designare, dopo l’esame nelle singole materie scientifiche, i chierici agli uffici ecclesiastici; di disporre in ogni istituzione religiosa e morale del popolo; di regolare infine tutto ciò che riguarda quella che chiamano disciplina esterna della Chiesa, benché sia di natura e d’indole spirituale, e di ordinare il culto divino e la salute delle anime. – In verità, nulla appartiene più propriamente alla Chiesa, e Cristo nulla più strettamente ha voluto riservare ai suoi pastori che l’amministrazione dei Sacramenti da Lui istituiti. La ragione di questa riserva può essere giudicata soltanto da coloro che Egli stabilì come ministri della sua opera sulla terra. È del tutto ingiusto perciò che il potere civile rivendichi per sé qualcosa a proposito del santissimo esercizio della potestà ecclesiastica; è del tutto ingiusto che il potere civile stabilisca alcunché in tale esercizio o imponga obblighi ai ministri sacri; è del tutto ingiusto che il potere civile con le sue leggi si ponga contro le norme che stabiliscono il modo di amministrare i sacri misteri al popolo cristiano, sia quelle fissate negli scritti, sia quelle trasmesse a viva voce dalle origini della Chiesa fino ai nostri tempi. – San Gelasio, Nostro Predecessore, nella sua lettera all’imperatore Anastasio scriveva: “Hai pienamente conosciuto, o figlio clementissimo, ciò che ti è permesso, per la tua dignità, in quanto presidente della società umana; tuttavia sei devotamente sottomesso ai presuli nelle cose divine, e da loro richiedi le fonti della tua salvezza. Nel ricevere i Sacramenti celesti e nell’amministrazione degli stessi, da parte di chi ne ha legittima competenza, riconosci apertamente che tu devi essere sottomesso all’ordinamento della Religione, anziché Presiederlo. Hai riconosciuto perciò che in questo ambito tu dipendi dal giudizio dei presuli e che non puoi pretendere che essi si conformino al tuo Potere“. – Invece, cosa che appare del tutto incredibile e ha del fantasioso, nell’assemblea di Baden ci si è spinti tanto innanzi da attribuire il diritto e il compito di disporre la stessa amministrazione dei Sacramenti al potere secolare. Su questo preciso aspetto vertono gli articoli deliberati con temeraria arroganza a proposito del grande Sacramento del matrimonio da celebrare in Cristo e nella Chiesa. Da qui deriva un esplicito sostegno al decreto sulle nozze tra diverse confessioni religiose; da qui l’imposizione ai parroci cattolici di benedire queste nozze, prescindendo del tutto dalla diversità di confessione religiosa dei due coniugi; da qui infine minacce severe e punizioni verso coloro che contravvenissero a tali disposizioni. Tutte queste cose non sono soltanto e meritamente da rigettarsi per il fatto che il potere civile legiferi sulla celebrazione del Sacramento istituito da Dio, e per il fatto che osi imporre la propria autorità ai sacri Pastori in una materia così importante; ma sono anche da rifiutarsi con maggior forza per il fatto che favoriscono l’opinione del tutto assurda ed empia che va sotto il nome di indifferentismo, sul quale anzi sono necessariamente fondati. Pertanto tutte queste cose risultano assolutamente contrarie alla verità cattolica e alla dottrina della Chiesa, la quale detestò continuamente e sempre proibì i matrimoni misti, sia come scandalosa comunione in una cosa sacra, sia come grave pericolo di perversione del coniuge cattolico, né mai concesse la libera facoltà di contrarre matrimoni misti, se non a precise condizioni che tenessero lontano dai matrimoni le cause di difformità e di pericolo. – L’Apostolo Paolo, scrivendo agli Efesini, espone con molta chiarezza come Cristo conferì alla sua Chiesa il più alto potere in ordine al governo della Religione e alla conduzione della società cristiana, in nulla sottoposti al potere civile, a tutto vantaggio dell’unità interna. Ma come sarebbe possibile questa unità se non ci fosse un solo responsabile a presiedere su tutta la Chiesa, per difenderla e custodirla, per unire tutte le membra della Chiesa stessa nell’unica professione di fede e congiungerle nell’unico vincolo di carità e di comunione? – La sapienza del divino Legislatore mirava effettivamente a far sì che a un corpo sociale visibile corrispondesse un capo visibile, perché “con la sua istituzione fosse evitato ogni rischio di scisma“. Da questo deriva che tutti i Vescovi, che lo Spirito Santo ha deputato a reggere la Chiesa di Dio, per quanto abbiano una comune dignità e uguale potestà per ciò che riguarda i poteri di ordine, tuttavia non tutti hanno un unico livello gerarchico, né la stessa ampiezza di giurisdizione. In merito Ci riferiamo a quanto ha dichiarato San Leone Magno: “Se è vero che anche fra i beatissimi Apostoli vi fu una certa partecipazione paritaria al potere per quanto attiene alla dignità, essendo uguale per tutti l’elezione, tuttavia ad uno soltanto è stato affidato il potere di presiedere a tutti… perché il Signore dispose che il compito dell’annuncio del Vangelo, proprio della missione degli Apostoli, appartenesse in modo preminente al beato Pietro, al disopra di tutti gli Apostoli“. – Quello dunque che il Signore concesse unicamente a Pietro fra tutti gli Apostoli, quando gli affidò le chiavi del Regno dei cieli unitamente al mandato di pascere gli agnelli e le pecore e di confermare nella fede i fratelli, volle estenderlo anche ai successori di Pietro, che mise a capo della Chiesa con uguali diritti, per l’efficienza della Chiesa stessa, destinata ad esistere fino alla fine del mondo. – Questo fu sempre il parere concorde e fondato di tutti i cattolici; è un dogma di fede che il Romano Pontefice, successore del beato Pietro, Principe degli Apostoli, detiene nella Chiesa universale non solo un primato di onore, ma anche di potere e di giurisdizione; di conseguenza gli stessi Vescovi sono a lui sottomessi. In merito lo stesso San Leone prosegue: “È necessario che tutta la Chiesa diffusa nel mondo sia unita alla Santa Chiesa Romana, sede di Pietro, e converga al centro dell’unità cattolica e della comunione ecclesiastica. Colui che oserà distaccarsi dal fondamento di Pietro deve capire che si estrania dal mistero divino“. – San Girolamo aggiunge: “Chiunque mangerà l’agnello [pasquale] al di fuori di questa casa, si emargina dalla salvezza; se qualcuno non si trova in questa arca di Noè, è destinato a perire al momento del diluvio“. Come colui che non raccoglie con Cristo, disperde tutto, analogamente colui che non raccoglie con il suo Vicario non raccoglie alcunché. – Come può raccogliere con il Vicario di Cristo colui che distrugge la sua autorità sacra, calpesta i diritti di cui egli solo è in possesso in quanto capo della Chiesa e centro dell’unità: diritti da cui gli deriva il primato di ordine e giurisdizione unitamente al supremo potere, affidatogli da Dio, di pascere, reggere e governare la Chiesa universale? – In verità, lo affermiamo tra le lacrime, è proprio questo che si è osato compiere nell’assemblea di Baden. Soltanto un Romano Pontefice, e non un qualsiasi Vescovo, può per diritto innato e proprio mutare i giorni stabiliti come feste da celebrare o da assegnare al digiuno, o abrogare il precetto di partecipare alla Messa, come risulta apertamente definito nella costituzione “Auctorem fidei” contro i pistoiesi, promulgata da Pio VI, Nostro Predecessore di santa memoria, il 28 agosto 1794. Emerge invece il contrario negli articoli dell’assemblea di Baden, che appaiono anzi più pericolosi perché sugli stessi temi si è legiferato indiscriminatamente, riconoscendo in modo esplicito al potere civile il diritto di decidere. – Per contro, spetta soltanto ai Romani Pontefici il diritto particolare di esimere gli Ordini religiosi dalla giurisdizione dei Vescovi e di sottometterli direttamente a se stessi. Questo diritto è stato praticato da loro fin dai tempi più antichi, senza possibilità di smentita. Anche a questo diritto e in modo del tutto esplicito contravvengono gli articoli dell’assemblea di Baden. Infatti, senza menzionare il permesso da richiedere e da ottenere come condizione necessaria dalla Sede Apostolica, si è stabilito che dal potere secolare vengano adottate quelle decisioni con le quali, abolito l’impedimento per i Cenobii presenti in Svizzera, sono sottomesse all’autorità ordinaria dei Vescovi le famiglie religiose. – A tutto questo vanno aggiunte le norme stabilite riguardanti l’esercizio dei diritti dei Vescovi; cose tutte che, se considerate con profonda attenzione, appaiono chiaramente collegate a quei principi su cui sono stati stabiliti gli altri articoli nella medesima assemblea. In essi sembra di capire che la giurisdizione dei Vescovi, in cause fondate, non può e non deve essere vincolata dalla suprema autorità del Pontefice Romano, e talvolta deve essere circoscritta in determinati limiti. – Né possono essere sottaciute le cose trattate e proposte circa l’elezione della sede metropolitana, e a proposito dei territori di alcune Diocesi di costì da congiungersi ad altra Chiesa cattedrale posta fuori dei confini elvetici. Per quanto in questo caso si sia tenuto conto in parte dei diritti della Sede Apostolica, tuttavia non ci si è attenuti rettamente alle esigenze e alla natura del primato divino della stessa Sede; a Baden infatti si è deliberato di decidere intorno a problemi fondamentali, riguardanti le necessità spirituali del popolo cristiano, come se al potere civile fosse permesso, per diritto proprio, di agire del tutto liberamente. – Tralasciamo varie altre osservazioni, che sarebbe tedioso riferire in modo dettagliato; anche tali dati recano tuttavia non piccolo danno a questa santa Cattedra di Pietro e ne diminuiscono, violano e disprezzano la dignità e l’autorità. – Stando così i fatti, in un così grande ed esplicito perturbamento della sana dottrina e del diritto ecclesiastico, in un così pesante e grave discrimine della situazione dei cattolici in codeste regioni, da parte Nostra, appena conclusa l’assemblea di Baden, avremmo dovuto alzare la voce di protesta da questo santo monte e controbattere, respingere e condannare apertamente tutti gli articoli colà dibattuti. In verità, per nessuna ragione e neanche per un istante abbiamo avuto pareri diversi intorno alla malvagità di tali proposizioni, ma speravamo che non solo non venissero ratificate in seguito, ma fossero del tutto rigettate e rifiutate da coloro che costì detengono il potere nell’amministrazione civile. – Ma dal momento che la maggioranza di tali articoli non era stata sottoposta a libera votazione e, anzi, con profondo dolore abbiamo appreso che in qualche luogo erano state promulgate leggi con le quali gli stessi articoli vengono confermati e avvalorati con pubbliche sanzioni, abbiamo capito di non potere più a lungo soprassedere e non pronunciarci, dal momento che rivestiamo l’incarico di Maestro e dottore universale, per quanto immeritevole, a cui compete il dovere operoso di impedire che qualcuno, prendendo lo spunto dal Nostro atteggiamento, sia indotto miseramente in errore, ritenendo che i più volte ricordati articoli dell’assemblea di Baden non siano per nulla contrari alla dottrina e alla disciplina della Chiesa. – Affinché poi da parte di questa Santa Sede un problema di così grave importanza fosse deciso con la massima oculatezza, abbiamo voluto che gli stessi articoli fossero sottoposti ad un esame accuratissimo. Ascoltati in merito vari consigli, ricevuti i pareri dei Nostri Venerabili Fratelli Cardinali di Santa Romana Chiesa attraverso la Congregazione preposta al disbrigo degli affari ecclesiastici, e in più, da parte Nostra, ponderata la situazione sotto ogni aspetto con serietà e approfonditamente, con motu proprio e certa scienza nella pienezza del potere apostolico, riproviamo, condanniamo e giudichiamo come riprovevoli e da condannarsi in perpetuo i precitati articoli dell’assemblea di Baden; le asserzioni in essi contenute sono da ritenere false, temerarie, erronee, contrarie ai diritti della Santa Sede, sconvolgenti il governo della Chiesa e la sua divina costituzione in quanto emanazioni dei principi condannati; eretiche e scismatiche, mirano a sottoporre il ministero ecclesiastico al potere secolare. Tutto quello che ritenemmo necessario dichiarare, basandoci sulla missione del Nostro ufficio apostolico, vi diciamo con il più ampio affetto paterno: voi siete partecipi di quell’autorità della quale il Principe dei pastori affidò la pienezza a Noi, assolutamente immeritevoli. – Da quante angosce è oppresso il Nostro cuore, o Venerabili Fratelli, in mezzo ai tanti mali per i quali la Chiesa Cattolica geme oppressa quasi in ogni luogo, in questi tempi pieni di tribolazione! Da quanta tristezza siamo gravati, ve lo lasciamo immaginare, senza che sia necessario dichiararlo a tutti, soprattutto a causa dei fatti recenti costì accaduti, tramati con sfrontata audacia per la rovina della Chiesa. Non possiamo però nascondervi che un forte sollievo al Nostro dolore Ci è giunto apprendendo tutto quello che avete compiuto per difendere la causa cattolica e per curare la salvezza del gregge affidato alla vostra fede. Per questo benediciamo dal profondo dell’animo il Padre di ogni misericordia, Dio di ogni consolazione, che Ci consola in voi, associati con Noi nella prova. – In verità, pensiamo che non ce ne sia bisogno, ma dal momento che la gravità del pericolo lo richiede, non possiamo non spronare il vostro zelo costante verso la Religione; vi esortiamo con ogni ardore, perché quanto più aspro è l’impeto dei nemici, con tanta maggiore applicazione prendiate a cuore la causa di Dio e della Chiesa. A voi in modo tutto speciale compete erigervi come baluardo, affinché non si ponga alla fede cristiana un fondamento diverso da quello che fu posto all’inizio; il santissimo deposito della fede va custodito e difeso integro. Ma vi è un altro deposito che dovete strenuamente difendere e salvaguardare nella sua integrità: quello delle sacre leggi della Chiesa, attraverso le quali la Chiesa stessa stabilì la propria disciplina, e inoltre quello dei diritti di questa Sede Apostolica, con i quali la Sposa di Cristo si pone fieramente come un esercito schierato per la battaglia. – Operate dunque, Venerabili Fratelli, in conformità della posizione che ricoprite, della dignità di cui siete insigniti, del potere che avete ricevuto, del giuramento al quale vi siete legati nel solenne momento iniziale della vostra missione. Sfoderate la spada dello Spirito, che è la Parola di Dio; richiamate, esortate, rimproverate con ogni magnanimità e dottrina; per la Religione Cattolica, per il potere divino della Chiesa e per le sue leggi, per la Cattedra di Pietro, per la sua dignità e per i suoi diritti, impegnatevi a fondo e abbiate a cuore “non soltanto che i giusti perseverino sulla retta via, ma siano recuperati dall’errore anche coloro che sono stati irretiti dalla seduzione“. Perché si raggiunga l’esito tanto desiderato dagli sforzi e dalle fatiche intraprese dai Nostri Venerabili Fratelli nell’episcopato, facciamo appello anche a voi tutti, sacri ministri dipendenti dai Vescovi, pastori d’anime e predicatori della Parola divina. È vostro compito specifico essere in comunione d’intenti con i Vescovi; essere infiammati da uno stesso zelo, cooperare con un unico consenso degli animi, in modo che il popolo cristiano risulti del tutto preservato da ogni contagio dei mali incombenti e dal pericolo di errori. – Datevi da fare, diletti figli, perché tutti partecipino della stessa unità, non si lascino sviare in alcun modo da teorie vane e passeggere, evitino empie novità, restino saldi con ogni precauzione nella fede cattolica, stiano sempre sottomessi al potere e all’autorità della Chiesa, e a questa Cattedra che il potente Redentore di Giacobbe costruì su una colonna di ferro e un muro di bronzo contro i nemici della Religione, in modo tale che i cristiani ogni giorno di più rinsaldino la loro unità e comunione. – Tutti coloro, poi, che voi accoglierete per educarli alla legge di Cristo e della Chiesa, preoccupatevi di renderli nello stesso tempo sensibili al gravissimo obbligo di prestare obbedienza anche al potere civile e alle leggi da esso emanate riguardanti il bene della società, non soltanto per paura di essere puniti, ma anche per rispettare la voce della propria coscienza: non è mai lecito deviare vergognosamente dalla fedeltà dovuta ad essa. – Quando avrete cosi formato gli animi dei vostri fedeli attraverso il vostro apostolato, potrete provvedere nel migliore dei modi sia alla pace dei cittadini, sia al bene della Chiesa: le due entità non possono essere messe in contrasto. – Porti a compimento questi Nostri desideri il Dio di ogni benevolenza, da cui attendiamo ogni grazia e ogni dono; così dei frutti che aspettiamo ardentissimamente da codesta porzione del gregge cattolico, voglia essere auspice la Nostra Apostolica Benedizione che impartiamo con tutto il cuore a voi, Venerabili Fratelli e signori, da estendere anche al popolo fedele!”

Dato a Roma, presso San Pietro, il 17 maggio 1835, anno quinto del Nostro Pontificato.

 

 

UN’ENCICLICA al giorno toglie il MODERNISTA-APOSTATA di torno: “Magnæ Dei Matris”.

“Magnæ Dei Matris” è una delle numerose lettere encicliche che il Santo Padre leone XIII ha dedicato alla SS. Vergine ed al culto mariano sottolineando l’importanza imprescindibile, per la vita di un “vero” Cattolico, del Santo Rosario, quello autentico del Salterio mariano, dei 15 Misteri voluti dalla Vergine e richiesti a S. Domenico. È una enciclica alla quale noi Cattolici Romani “una cum” Gregorio, siamo particolarmente affezionati, sia per i contenuti di tenera devozione alla Madre nostra e del Cristo Gesù, sia perché Papa Pecci ricorda, verso la fine, il motto del nostro amato SS. Gregorio XVII, il “Papa in rosso”, impedito, umiliato ed esiliato, vissuto nel Getsemani per 31 anni, di felicissima memoria, il versetto del Salmo CXIII. “Non nobis, Domine, Non nobis, sed Nomini tuo da gloriam”. Gustiamoci queste delizie mariane e mettiamo in pratica, non solo per il mese di ottobre, ma sempre, le esortazione di S. S. Leone XIII.

Leone XIII

” Magnæ Dei Matris”

Lettera Enciclica

“Il Rosario Mariano”

8 settembre 1892

“Tutte le volte che ci è data l’occasione di accrescere nel popolo Cristiano il culto e l’amore verso la gloriosa Madre di Dio, la Nostra gioia e la Nostra soddisfazione sono al colmo. E ciò perché non solo la cosa è di per sé stessa importantissima e feconda di buoni frutti, ma si armonizza anche nel modo migliore con i sentimenti più intimi del Nostro cuore. Succhiata, in verità, col latte materno, la Nostra pietà verso Maria è poi sempre venuta crescendo e rassodandosi in Noi, con il passare degli anni. E ciò perché la Nostra intelligenza sempre più chiaramente comprendeva quanto fosse degna di amore e di lode colei che Dio stesso amò per il primo ,e con tale affetto da innalzarla al disopra di tutte le creature, arricchirla dei più magnifici doni, e sceglierla, infine, per sua Madre. D’altra parte, le numerose e fulgide prove della sua bontà e benevolenza verso di Noi – prove che Noi non possiamo ricordare senza la più profonda gratitudine e senza versare lacrime di commozione – aumentarono sempre più in Noi questa pietà e più ardentemente la infiammarono. Poiché, in mezzo alle molte, svariate e terribili vicissitudini, che abbiamo attraversato, abbiamo fatto sempre ricorso a Lei e a Lei abbiamo sempre rivolto il Nostro sguardo, E dopo aver deposte nel suo seno tutte le Nostre speranze e i Nostri timori, le gioie e le tristezze, fu Nostra costante premura di supplicarla, perché volesse, in ogni occasione, assisterci come una madre tenerissima, e ottenerci, in cambio, il singolare favore di poterle testimoniare il Nostro affetto devoto e filiale. – Quando poi, per misterioso disegno di Dio, fummo chiamati alla Cattedra di San Pietro, a rappresentare nella Chiesa la stessa persona di Gesù Cristo, atterriti per il peso enorme di quest’ufficio, e non facendo alcun affidamento sulle Nostre proprie forze, con affetto ancor più intenso sollecitammo la divina assistenza, mediante la materna protezione della Vergine. E il Nostro cuore esulta nel proclamare che, nel corso di tutta la Nostra vita, ma specialmente nell’esercizio del Nostro Supremo Apostolato, la Nostra speranza non mancò mai di essere coronata o dal desiderato successo o, almeno, da un dolce conforto, Dopo tale esperienza, la Nostra speranza si leva ora più fiduciosa, mentre chiediamo, col suo favore e per la sua intercessione, grazie ancor più copiose e più importanti, per la salvezza del gregge cristiano e per la maggior gloria della Chiesa. – È dunque giusto e opportuno, venerabili fratelli, che Noi rivolgiamo a tutti i Nostri figli parole di incitamento – alle quali voi aggiungerete la vostra esortazione – affinché essi vogliano celebrare il prossimo mese di ottobre, sacro all’augusta Signora e Regina “del rosario”, con raddoppiato fervore, pari alle aumentate necessità dei tempi. – È ormai a tutti notissimo con quanti e quali mezzi di corruzione la malizia del mondo iniquamente si sforzi di indebolire e di estirpare interamente dai cuori la fede cristiana e l’osservanza della divina legge, che alimenta questa fede e la fa fruttificare. E già dappertutto il campo del Signore, come sconvolto da un terribile contagio, quasi inselvatichisce, per l’ignoranza della religione, per l’errore e per i vizi, E ciò che è ancor più doloroso, è che coloro che ne avrebbero il potere, anzi ne avrebbero il sacro dovere, lungi dal porre un freno o dall’infliggere giuste pene a una perversità così arrogante e colpevole, sembra invece, molto spesso, che a tale audacia diano incentivo, o per la loro inerzia, o col loro appoggio. Ben a ragione perciò ci si deve rattristare che a pubbliche scuole sia stata deliberatamente data una tale organizzazione che consente che il nome di Dio vi sia taciuto o vi sia oltraggiato; ci si deve rattristare della licenza, ognor più sfacciata, di stampare o di predicare ogni sorta di oltraggi contro Cristo Dio e la chiesa. Né è meno deplorevole quel conseguente languore e intiepidimento della pratica cristiana, che, se non è un’aperta apostasia dalla fede, è certo prossima a divenirlo; perché la pratica della vita non è ormai più aderente alla fede. Chi consideri questo pervertimento e questa rovina degli interessi più vitali, certo non si meraviglierà, se da per tutto le nazioni vanno gemendo sotto il peso dei divini castighi, e sono costernate dal timore di calamità ancora più gravi. – Orbene, per placare l’offesa maestà di Dio e per procurare a coloro che tanto soffrono il necessario rimedio, non vi è certamente mezzo migliore della preghiera devota e perseverante, purché congiunta con lo spirito e la pratica della vita cristiana. Per raggiungere poi insieme questi due scopi, Noi riteniamo che il mezzo più indicato sia il “Rosario Mariano”. – La sua potentissima efficacia è stata sperimentata ed esaltata fino dalla sua ben nota origine; come insigni documenti attestano, e Noi stessi abbiamo, più di una volta, ricordato. Allorché la setta degli Albigesi – in apparenza paladina dell’integrità della fede e dei costumi, ma in realtà sua perturbatrice e pessima corrompitrice – era per molti popoli causa di grande rovina, la chiesa combatté contro di essa e contro le sue infami fazioni, non con milizie o con armi, ma principalmente con la forza del santo rosario, che il patriarca s. Domenico propagò, per ispirazione della stessa Madre di Dio. Così, gloriosamente vittoriosa di tutti gli ostacoli, la chiesa, sia in quella come in altre simili tempeste, provvide sempre con splendido successo alla salute dei suoi figli. Perciò, nella presente situazione, che Noi deploriamo come luttuosa per la religione e pericolosissima per la società, è necessario che tutti insieme – con pietà uguale a quella degli antenati – preghiamo e scongiuriamo la gran Madre di Dio, perché, secondo i comuni voti, possiamo rallegrarci di aver sperimentato un’eguale efficacia del suo rosario. – E veramente quando ricorriamo a Maria, noi ricorriamo alla Madre della misericordia; la quale è cosi ben disposta verso di noi, che in qualsiasi nostra necessità, soprattutto in quelle spirituali, ella subito, spontaneamente, senza neppure essere invocata, viene in nostro soccorso, e ci fa parte di quel tesoro di grazia, di cui fin dal principio ricevette da Dio la pienezza, perché potesse divenire sua degna Madre, È questa sovrabbondanza di grazia – il più eminente degli altri suoi innumerevoli privilegi – che eleva la Vergine molto al di sopra di tutti di uomini e di tutti gli angeli, e ravvicina, più di ogni altra creatura, a Cristo; “È cosa grande in qualunque santo il possedere tanta grazia che basti alla salvezza di molti; ma se ne avesse tanta da bastare alla salute di tutti gli uomini del mondo, questo sarebbe il massimo; e ciò si verifica in Cristo e nella beata Vergine”. È dunque difficile dire quanto torni gradito a Maria il nostro ossequio, quando noi la salutiamo con la lode dell’Angelo, e ripetiamo poi lo stesso elogio, quasi formandone una devota corona, Perché ogni volta noi quasi ridestiamo in lei il ricordo della sua sublime dignità e della redenzione del genere umano, da Dio iniziata per suo mezzo: per conseguenza noi le ricordiamo pure quel divino e indissolubile vincolo, con cui ella è unita alle gioie e ai dolori, alle umiliazioni e ai trionfi di Cristo, nel guidare e nell’assistere gli uomini verso la salvezza eterna. Gesù Cristo volle, nella sua bontà, assomigliarsi a noi e dirsi e mostrarsi figlio dell’uomo, e perciò nostro fratello, affinché più luminosa ci apparisse la sua misericordia verso di noi: “Egli dovette in tutto essere fatto simile ai suoi fratelli, per diventare misericordioso” (Eb II,17). Così Maria. per il fatto che fu scelta quale Madre di Gesù, nostro Signore – che è insieme nostro fratello – ebbe, fra tutte le madri, la singolare missione di manifestare e di spargere sopra noi la sua misericordia. Inoltre, come siamo debitori a Cristo di averci resi in certo modo partecipi del suo proprio diritto di chiamare e di avere Dio per padre, così gli siamo ugualmente debitori di averci amorevolmente resi partecipi del suo diritto di chiamare e di avere Maria per Madre, E poiché, per natura, nome di madre è fra tutti il più dolce, e nel nome di madre è posto il termine di confronto di ogni amore tenero e sollecito, tutte le anime pie sentono – sebbene la loro lingua non riesca ad esprimerlo – che un’immensa fiamma di amore condiscendente e operoso divampa in Maria, che, non per natura, ma per volere di Cristo, ci è Madre, Ella perciò vede e penetra, molto meglio di ogni altra madre, tutte le nostre cose: le necessità della nostra vita; i pericoli pubblici e privati, che ci minacciano; le difficoltà e i mali, nei quali ci dibattiamo; e soprattutto l’aspra, lotta, che dobbiamo sostenere per la salute dell’anima, contro nemici violentissimi. E in queste, come in tutte le altre angustie della vita, più di ogni altro può e desidera portare ai suoi carissimi figli, consolazioni, forza, aiuto di ogni genere. Ricorriamo quindi fiduciosi e insistenti a Maria, Supplichiamola per quei vincoli materni con cui è sì strettamente congiunta a Gesù e a noi. E invochiamo con la massima devozione il potente suo aiuto, servendoci di quella formula di preghiera, che ella stessa ci ha indicato e che le è tanto gradita. Allora potremo a ragione riposarci con cuore tranquillo e lieto sotto la protezione della più tenera fra le madri. – Oltre al pregio, che il rosario trae dalla natura stessa della preghiera, esso contiene una maniera facile per far penetrare e inculcare negli animi i dogmi principali della fede cristiana; il che costituisce certamente un altro insigne titolo di raccomandazione. – Infatti è soprattutto per la fede che l’uomo direttamente e sicuramente s’avvicina a Dio e impara ad adorare, con la mente e col cuore, l’immensa maestà di quest’unico Dio, la sua autorità sopra ogni cosa, la sua somma potenza, la sua sapienza, e la sua provvidenza: “poiché, chi si accosta a Dio, deve credere che egli esiste, e che egli è rimuneratore di quelli che lo cercano” (Eb XI,6), Ma poiché l’eterno Figlio di Dio assunse la natura umana, visse in mezzo a noi, e continua ad esserci via, verità e vita, è perciò necessario che la nostra fede abbracci anche i profondi misteri dell’augusta Trinità delle divine persone e del Figlio unigenito del Padre, fatto uomo: “E la vita eterna è questa, che conoscano te, solo vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo” (Gv 1 XVII,3). In verità Dio ci ha dato un beneficio inestimabile, quando ci ha donato questa santa fede; perché, per suo mezzo, non solo ci innalziamo al di sopra di tutte le cose umane, fino a divenire quasi contemplatori e partecipi della natura divina, ma acquistiamo altresì un titolo di un merito immenso alle eterne ricompense. Così che si alimenta e si rinsalda in noi la speranza che potremo un giorno contemplare Iddio, non già attraverso le pallide immagini delle cose create, ma nel suo pieno splendore, e potremo in eterno godere di lui, nostro sommo bene. Ma il cristiano è talmente preso dalle diverse preoccupazioni della vita, e così facilmente inclinato alle vanità di questo mondo che, senza un frequente e salutare richiamo, dimenticherà a poco a poco le cose più importanti e più necessarie, e così la sua fede si illanguidirà e perfino si estinguerà. Per preservare i suoi figli da questo troppo grave pericolo dell’ignoranza, la Chiesa non trascura nessuno dei mezzi, che la sua vigilanza e la sua sollecitudine le suggeriscono; e il Rosario in onore di Maria non è certo l’ultimo che essa adopera per sostenere la fede. Esso, infatti, con la sua meravigliosa ed efficace preghiera, ordinatamente ripetuta, ci porta al ricordo e alla contemplazione dei principali misteri della nostra religione; di quelli, in primo luogo, per cui “il Verbo si è fatto carne”, e Maria, Vergine intatta e Madre, gli prestò con santa gioia i suoi materni uffici. Vengono poi le amarezze, i tormenti, la morte di Cristo, prezzo della salvezza del genere umano. Infine sono i suoi misteri gloriosi: il trionfo sulla morte, l’ascensione in Cielo, la discesa dello Spirito Santo, lo splendore raggiante di Maria, assunta al cielo, e, da ultimo, con la gloria della Madre e del Figlio, la gloria eterna di tutti i santi. – E’ questa ordinata successione di ineffabili misteri, nel rosario, è spesso e insistentemente richiamata alla memoria del fedeli, e quasi spiegata davanti ai loro occhi; in modo che coloro che recitano bene il rosario, ne hanno l’anima inondata di una dolcezza sempre nuova, e provano la medesima impressione ed emozione che proverebbero se sentissero la voce stessa della loro dolcissima Madre, nell’atto di spiegare loro questi misteri e d’impartire loro salutari esortazioni. – Non potrà quindi sembrare eccessiva la Nostra affermazione, se diciamo che la fede non deve affatto temere i pericoli dell’ignoranza e dei nefasti errori in quei luoghi, in quelle famiglie e presso quei popoli, dove si mantiene nel primitivo onore la pratica del Rosario. – Ma c’è un’altra utilità, non meno importante, che la Chiesa attende dal rosario per i suoi figli: quella, cioè, di impegnarli a conformare la loro vita e i loro costumi alle norme e ai precetti della santa fede. È nota a tutti la divina affermazione che “la fede senza le opere è inefficace” (Gc II, 20); perché la fede trae vita dalla carità, e la carità si manifesta in una fioritura di azioni sante. Il cristiano, perciò, non trarrà certo alcun profitto dalla sua fede per l’acquisto dell’eternità, se a questa sua fede non avrà ispirato la sua condotta. “Che giova, fratelli miei, se uno dice di aver fede, ma non ha le opere? Potrà forse salvarlo la fede?” (Gc II,14), Anzi, questi cristiani saranno da Cristo Giudice ben più aspramente rimproverati che non quei miseri che non conoscono né la fede né la morale cristiana; perché questi ultimi non credono in un modo e vivono in un altro, come quelli a torto fanno, ma, essendo privi della luce dell’evangelo, hanno una certa attenuante, o certo la loro colpa è meno grave. – Ora la contemplazione dei misteri, proposti nel Rosario, giova a far sbocciare dalla nostra fede abbondante e lieta messe di frutti, perché Stimola meravigliosamente l’anima a propositi di virtù. Orbene, quale sublime e splendido esempio ci offre, sotto tutti i rapporti, l’opera di salvezza compiuta da nostro Signore Gesù Cristo! Il grande, onnipotente Iddio, spinto da un eccesso di amore verso di noi, si abbassa sino alla condizione del più misero uomo: si trattiene con noi come uno di noi; conversa fraternamente, ammaestra gli individui e le folle in ogni ordine di giustizia; Maestro eminente per la sua parola, Dio per la sua autorità. Si mostra prodigo di benefici verso tutti, guarisce coloro che soffrono di malattie corporali, e con paterna misericordia porta sollievo alle malattie più gravi dell’anima; in modo particolare Egli si rivolge a coloro che sono abbattuti dal dolore, o sono oppressi dal peso delle loro inquietudini, e li invita; “Venite a me, voi tutti che siete affaticati e oppressi, e io vi consolerò” (Mt XI,28). Quando poi riposiamo nelle sue braccia, egli ci ispira qualcosa di quel mistico fuoco che ha portato agli uomini, ci infonde amorevolmente qualche cosa della mansuetudine e dell’umiltà del suo animo e desidera che, per la pratica di queste virtù, noi diventiamo partecipi della vera e stabile pace, di cui egli è l’autore. “Imparate da me, che sono mansueto e umile di cuore; e voi troverete riposo alle anime vostre” (Mt XI,29). Tuttavia in compenso di tanta luce di sapienza celeste e dell’abbondanza di così eccezionali benefici, che avrebbero dovuto guadagnargli la riconoscenza degli uomini, egli subì l’odio e gli insulti più atroci; eppure quando confitto in croce, versa tutto il suo sangue, non ha desiderio più ardente di questo: per mezzo della sua morte, rigenerare gli uomini alla vita. – Non è assolutamente possibile che uno consideri e contempli attentamente queste bellissime testimonianze di amore del nostro Redentore, senza ardere di viva riconoscenza per lui. Anzi la fede, se sarà fede autentica, avrà allora tale potere che, illuminando la mente dell’uomo, e commovendo il suo cuore, quasi lo trascinerà a seguire le orme di Cristo, attraverso tutti gli ostacoli; fino a farlo prorompere in quella protesta degna di Paolo; “Chi ci separerà dall’amore di Cristo? la tribolazione, o l’angoscia, o la fame, o la nudità, o il pericolo, o la persecuzione, o la spada?” (Rm 8,35) “…Non vivo più io; ma vive in me Cristo” (Gal II,20), – Ma perché noi, atterriti dalla consapevolezza della nostra naturale fragilità, non veniamo meno di fronte agli esempi veramente sublimi di Cristo, Dio e Uomo, insieme coi suoi misteri si offrono alla nostra contemplazione i misteri della sua Madre santissima. Ella discende, è vero, dalla stirpe regale di Davide; ma della ricchezza e dello splendore dei suoi antenati non le resta più nulla; trascorre una vita oscura, in un’umile città, e in una casa ancor più umile; tanto più contenta della sua solitudine e della sua povertà, in quanto può con cuore più libero elevarsi a Dio, e unirsi totalmente al suo sommo e desideratissimo bene. Ma il Signore è con Lei, e la ricolma e la fa beata della sua grazia. Ed è proprio lei che il celeste messaggero designa come la Donna, da cui, per virtù dello Spirito Santo, dovrà venire fra noi uomini l’atteso Salvatore delle genti, Quanto più Ella ammira la sublime altezza della sua dignità, e ne rende grazie all’onnipotente e misericordiosa bontà di Dio, tanto più si umilia e si reputa spoglia di ogni virtù. E mentre ne diviene la Madre, senza esitazione si proclama e si protesta sua ancella. E come ha santamente promesso, santamente e prontamente stabilisce fin da allora una perpetua comunanza di vita, col suo Figlio Gesù, sia nella gioia come nel pianto. Così ella raggiungerà tale altezza di gloria, quale nessun uomo ne Angelo potrà mai raggiungere, perché nessuno potrà esserle mai paragonato per virtù e per meriti, Così a lei spetterà la corona del cielo e della terra, perché diventerà l’invitta Regina dei martiri. Così nella celeste città di Dio, ella sederà in eterno coronata, presso il suo Figlio, perché costantemente durante tutta la sua vita, ma in modo particolare sul Calvario, berrà con lui il calice traboccante di amarezza. – Ecco dunque che la bontà e la Provvidenza divina ci ha dato in Maria un modello di ogni virtù, tutto fatto per noi, perché, considerandola e contemplandola, le nostre anime non restano già abbagliate dai fulgori della Divinità, ma, attratte dai vincoli intimi di una comune natura, con maggior fiducia si sforzeranno di imitarla. Se sorretti dal suo valido aiuto, noi ci applicheremo con tutte le nostre forze a questa opera, riusciremo certamente a riprodurre in noi almeno qualche tratto di così grande virtù e santità; e, dopo aver imitato la sua ammirabile conformità ai divini voleri, potremo raggiungerla in cielo. – Sebbene il nostro terrestre pellegrinaggio sia aspro e irto di difficoltà, camminiamo intrepidi e coraggiosi verso la meta. E nelle nostre pene, nelle nostre fatiche, non cessiamo di stendere a Maria le nostre mani supplichevoli, dicendo con la Chiesa: “A te sospiriamo gementi e piangenti in questa valle di lacrime… Deh! volgi a noi quei tuoi occhi misericordiosi. Dacci una vita pura, preparaci una via sicura, perché possiamo godere in eterno della vita di Gesù“. Ed essa che, pur senza averla mai sperimentata, conosce la debolezza e la corruzione della nostra natura, Ella che è la migliore e la più sollecita di tutte le madri, oh come verrà propizia e premurosa in nostro aiuto! E con quale tenerezza ci consolerà! Con quale forza ci sosterrà! Percorrendo la via, consacrata dal sangue di Cristo e dalle lacrime di Maria, arriveremo anche noi, sicuramente e facilmente, alla partecipazione della loro gloria beata. – Poiché dunque nel Rosario di Maria vergine sono così bene così bene utilmente riuniti un’eccellente formula di preghiera, un mezzo efficace per conservare la fede e un ideale insigne di virtù perfetta, è ben giusto che i veri cristiani lo abbiano spesso fra le loro mani, lo recitino e lo meditino piamente. – In modo particolare Noi rivolgiamo questa esortazione alla “Confraternita della Sacra Famiglia”, che di recente abbiamo raccomandato e approvato, Se infatti il fondamento di questa confraternita è il mistero del lungo periodo di vita silenziosa e nascosta di Cristo Signore, fra le mura della casa di Nazareth, perché le famiglie cristiane si sforzino costantemente di modellarsi sull’esempio della santa Famiglia, divinamente costituita, appare subito evidente la sua connessione particolare col rosario: specialmente coi misteri gaudiosi, che si chiudono appunto quando Gesù, dopo aver mostrato la sua sapienza nel tempio, “venne”, con Maria e Giuseppe “a Nazaret ed era ad essi sottomesso“; quasi preparando così gli altri misteri, coi quali avrebbe più da vicino compiuta l’opera di ammaestramento e di redenzione degli uomini, Da ciò tutti gli associati comprendano quale diligenza debbano dimostrare nel coltivare e propagare la devozione del Rosario. – Per parte Nostra, convalidiamo e confermiamo i favori delle sacre indulgenze concesse negli anni precedenti, a coloro che, a norma delle prescrizioni stabilite, compiranno bene la pia pratica del mese d’ottobre, Contiamo poi molto, venerabili fratelli, sulla vostra autorità e sul vostro zelo, affinché, anche quest’anno, sia ardente fra il popolo cattolico il fervore e la santa emulazione nell’onorare col rosario la Vergine, Aiuto dei cristiani. – Ed ora ci piace concludere la Nostra esortazione, tornando al motivo iniziale. Vogliamo, cioè, di nuovo e più chiaramente attestare la Nostra riconoscenza per i benefici ricevuti dalla Vergine santissima e la Nostra gioia e speranza in Lei. E poi al popolo cristiano, devotamente prostrato davanti agli altari di Maria, Noi chiediamo di pregare per la Chiesa, agitata da così avverse e tempestose vicende, e di pregare nello stesso tempo anche per Noi, che in età così avanzata, stanchi dalle fatiche, alle prese con le più gravi difficoltà, e privi di ogni umano soccorso, della Chiesa stessa reggiamo il timone. Sì, la Nostra speranza in Maria, Madre potente e tenerissima, si fa in Noi ogni giorno più sicura e più consolatrice, E mentre Noi ascriviamo alla sua intercessione tutti i numerosi e segnalati benefici che Dio ci ha concessi, con particolare riconoscenza le ascriviamo quello di poter, fra non molto, raggiungere il cinquantesimo anniversario della Nostra ordinazione episcopale, È davvero un grande beneficio, a ben considerarlo, un così lungo periodo di ministero pastorale; ma lo è soprattutto quello che abbiamo potuto dedicare, in mezzo a preoccupazioni quotidiane, a guidare tutto il gregge cristiano. Durante questo tempo, nella Nostra vita, come in quella di tutti gli uomini, come pure nei misteri di Cristo e della sua Madre, non sono mancati né motivi di gioia, né – più spesso – gravi motivi di dolore, né, qualche volta, motivi di lieto compiacimento, in Cristo. Cose tutte che Noi, con spirito di umiltà davanti a Dio e con gratitudine, ci siamo adoperati di volgere al bene e all’onore della Chiesa. Ed ora, poiché il resto della vita non sarà diverso, se nuove gioie risplenderanno, se nuovi dolori sopravverranno, se qualche raggio di gloria brillerà, Noi persevereremo nelle stesse intenzioni e negli stessi sentimenti. E null’altro invocando da Dio, se non la gloria celeste, ripeteremo con gioia le parole di David: “Sia benedetto il nome del Signore; “non a noi, Signore, non a noi, ma al tuo nome dà gloria” (Sal CXII,2; CXIII). Dai Nostri figli poi, così devoti e così affezionati, piuttosto che felicitazioni e lodi, Noi ardentemente aspettiamo che innalzino a Dio vivissimi ringraziamenti, preghiere e voti. Saremo lietissimi, se ci otterranno che quel tanto di vita e di forze che ci resta, quel che abbiamo di autorità e di prestigio, lo possiamo spendere unicamente per il bene della chiesa; e prima di tutto a ricondurle in seno e riconciliarle i nemici e i traviati, che la Nostra voce da tanto tempo invita. Che tutti i Nostri dilettissimi figli dalla Nostra prossima letizia giubilare, se a Dio piacerà donarcela, possano raccogliere abbondanti frutti di giustizia, di pace, di prosperità, di santità, di ogni bene. È ciò che con paterno amore sollecitiamo da Dio, mentre ricordiamo loro questi suoi ammonimenti; “Ascoltatemi … e germogliate come rosa piantata in riva alle acque. Come incenso mandate profumo soave. Fate fiori come il giglio, e spandete odore e ricopritevi di amene fronde. E cantate un cantico di lode, e benedite il Signore per tutte le opere sue. Date gloria al suo nome, e lodatelo col suono delle vostre labbra e coi canti delle labbra e con le cetre… Con tutto il cuore e la voce inneggiate e benedite il nome del Signore” (Eccli XXXIX,17-20,41). – Se queste esortazioni e questi voti incontreranno lo scherno degli uomini perversi, che “bestemmiano tutto ciò che ignorano”, Dio perdoni benignamente questi infelici, Da parte Nostra, lo preghiamo, per l’intercessione della Regina del santissimo Rosario, a voler favorire esortazioni e voti con la sua grazia. Voi poi, venerabili fratelli, in auspicio di tale grazia e come pegno della Nostra benevolenza, ricevete intanto l’apostolica benedizione, che con vivo affetto nel Signore impartiamo a ciascuno di voi, al vostro clero e al vostro popolo.

Roma, presso S. Pietro, 8 settembre 1892, anno XV del Nostro pontificato.

 

UN’ENCICLICA AL GIORNO TOGLIE IL MOSERNISTA APOSTATA DI TORNO: FULGENS CORONA

Oggi ci occuperemo di una lettera enciclica nella quale è esposto il nettare della teologia mariana, scandalo dei modernisti attuali che, al massimo, hanno un atteggiamento indifferente verso la questione. Il Santo Padre Pio XII, che aveva già definito in modo infallibile il dogma l’Assunzione in cielo della Beata Vergine Santissima, vuole che la Chiesa Universale tributi alla Madre sua, alla Madre di Dio, alla Madre del Cristo, con un Anno Mariano, gli onori dovuti ad una figura sì eccelsa, all’Acquedotto di tutte le grazie, secondo la perfetta definizione di San Bernardo. Notevoli sono i passaggi nei quali il Sommo Pontefice indica al mondo i rimedi semplici, ma indispensabili, per ottenere la pace sociale ed il benessere reale dei popoli. È proprio ciò che occorre meditare in un mondo intossicato dal massonismo imperante in ogni ambito, compresa la falsa chiesa dell’uomo gestita dagli antipapi vicari di satana, operante tra i popoli oramai scristianizzati e paganizzati, con il suo braccio devastante, che è il “modernismo ecumenico” anticristiano di foggia luciferina. Abbeveriamoci a questa fonte di santità, ed invochiamo, con la preghiera finale, composta per l’anno mariano dal Papa, la Vergine Santa affinché ci preservi da questa generazione che senza alcun dubbio, è la peggiore che la terra abbia mai visto e sostenuto.

PIO XII

LETTERA ENCICLICA

FULGENS CORONA

INDIZIONE DELL’ ANNO MARIANO

“La fulgida corona di gloria, con la quale il Signore cinse la fronte purissima della Vergine Madre di Dio, ci sembra maggiormente risplendere mentre rievochiamo il giorno in cui, cento anni or sono, il Nostro predecessore di felice memoria, Pio IX, circondato da un’imponente schiera di cardinali e di vescovi, dichiarò, proclamò e solennemente definì con autorità infallibile «che è stata rivelata da Dio, ed è quindi da credersi con fede ferma e costante da ogni fedele la dottrina la quale insegna che la beatissima Vergine Maria, nel primo istante del suo concepimento, per singolare grazia e privilegio di Dio onnipotente, in previsione dei meriti di Gesù Cristo salvatore del genere umano, fu preservata immune da ogni macchia di peccato originale». – Tutta la cattolicità accolse con esultanza la sentenza del pontefice che essa già da lungo tempo ardentemente attendeva; e la devozione dei fedeli per la santa Vergine, che fa rifiorire al più alto grado i costumi dei Cristiani, così risvegliata, trasse nuovo vigore, come pure di nuovo ardore si alimentarono gli studi che posero con maggior chiarezza nella debita luce la dignità e la santità della Madre di Dio. – Sembra che la stessa beata Vergine Maria abbia voluto in maniera prodigiosa quasi confermare tra il plauso di tutta la Chiesa la sentenza pronunziata dal Vicario del suo divin Figlio in terra. Infatti non erano ancor trascorsi quattro anni, quando la santa Vergine, nelle vicinanze di un paese della Francia situato ai piedi dei monti Pirenei, apparve nella grotta di Massabielle ad una fanciulla semplice e innocente, in aspetto giovanile e affabile, vestita di candido abito e candido mantello, cinta di una fascia azzurra; e alla fanciulla che con insistenza chiedeva il nome di Colei che si era degnata di apparirle, elevando gli occhi al cielo e con soave sorriso rispose; «Io sono l’Immacolata Concezione». – L’avvenimento, come era ovvio, venne rettamente interpretato dai fedeli, i quali, affluendo numerosissimi da ogni parte del mondo in pio pellegrinaggio alla grotta di Lourdes, ravvivarono la propria fede, stimolarono la pietà e si sforzarono di conformare la loro vita ai precetti cristiani; ivi pure non di rado ottennero miracoli tali da suscitare l’ammirazione di tutti e dimostrare che la sola religione cattolica è stata data e confermata da Dio. – Ciò naturalmente ben intesero in particolar modo i Pontefici Romani, che arricchirono di privilegi spirituali e con doni della loro munificenza il meraviglioso tempio eretto dopo pochi anni dalla pietà del clero e del popolo.

I

Invero, nella citata lettera apostolica, con cui il Nostro predecessore stabilì che questo punto della dottrina cristiana dovesse ritenersi fermamente e fedelmente da tutti i credenti, altro non fece se non raccogliere fedelmente e consacrare con la sua autorità, la voce dei Santi Padri e di tutta la Chiesa, la quale a cominciare dai primi tempi aveva come spaziato lungo il corso dei secoli. – Anzitutto il fondamento di tale dottrina si trova già nella sacra Scrittura, dove Dio Creatore di tutte le cose, dopo la lamentevole caduta di Adamo, si rivolge al serpente tentatore e seduttore con queste parole, che non pochi santi Padri e Dottori della Chiesa e moltissimi autorevoli interpreti riferiscono alla vergine Madre di Dio: «Porrò inimicizia fra te e la donna, fra il seme tuo e il seme di lei ...» (Gn III, 15). Se dunque in qualche momento la beata Vergine Maria fosse rimasta priva della divina grazia, in quanto inquinata nel suo concepimento dalla macchia ereditaria del peccato, almeno per quell’istante, benché brevissimo, non avrebbe avuto luogo fra Lei e il serpente quella perpetua inimicizia, di cui fino alla solenne definizione dell’Immacolata Concezione si parla già fin dalla più antica tradizione; ma invece ci sarebbe stato un certo asservimento. – Inoltre, poiché la Santissima Vergine viene salutata «piena di grazia» (Lc 1, 28), cioè kecharitōménē, e «benedetta fra le donne» (Lc 1,42), tali parole, come sempre ha ritenuto la Tradizione Cattolica, chiaramente indicano che «con questo singolare e solenne saluto, mai prima d’allora udito; viene designato essere stata la Madre di Dio sede di tutte le grazie divine, adorna di tutti i carismi dello Spirito Divino, anzi di essi tesoro quasi infinito e abisso inesauribile, di modo che mai fu soggetta alla maledizione». – Tale dottrina nei primi tempi della Chiesa fu insegnata abbastanza chiaramente e senza alcun contrasto dai Santi Padri, i quali affermarono essere stata la beata Vergine giglio fra le spine, terra del tutto intatta, immacolata, sempre benedetta, libera da ogni contagio del peccato, legno incorruttibile, fonte sempre limpida, figlia unica e sola non di morte ma di vita, germe di grazia e non di ira, per ogni verso illibata, santa e lontanissima da ogni macchia di peccato, più bella della bellezza, più santa della santità, sola santa, da superare tutti in santità, all’infuori di Dio, e per natura più bella, più graziosa e più santa degli stessi cherubini e serafini e di tutte le schiere degli angeli. – Considerate diligentemente, come si conviene, queste lodi della beata Vergine Maria, chi oserebbe dubitare che Colei, la quale fu più pura degli angeli e pura in qualunque tempo non sia rimasta monda in qualsiasi anche minimo istante, da ogni macchia di peccato? Ben a ragione dunque sant’Efrem si rivolge al divin Figlio di Lei con queste parole: «Tu e la tua Madre, voi soli in verità siete per ogni verso e integralmente belli. Non vi è in te, o Signore, e neppure nella Madre tua macchia alcuna». Da queste parole si rileva con evidenza che fra tutti i santi e le sante, di una solamente può dirsi, allorché si tratta di qualsivoglia macchia di peccato, non potersi neppure porre il quesito; e parimenti che questo singolarissimo privilegio, a nessuno mai concesso, Ella per questo motivo lo ottenne dal Signore perché venne innalzata alla dignità di Madre di Dio. Tale eccelso officio, che fu solennemente riconosciuto e sancito nel Concilio di Efeso contro l’eresia nestoriana e di cui non sembra potervi essere altro maggiore, postula la pienezza della grazia divina e l’anima immune da qualsiasi peccato, perché esige la più alta dignità e santità dopo quella di Cristo. Anzi da questo sublime officio di Madre di Dio, come da arcana fonte limpidissima, sembrano derivare tutti quei privilegi e tutte quelle grazie che adornarono in modo e misura straordinaria la sua anima e la sua vita. Come ben dice l’Aquinate: «Poiché la beata Vergine è Madre di Dio, dal bene infinito che è Dio trae una certa dignità infinita». E un illustre scrittore sviluppa e spiega lo stesso pensiero con le seguenti parole: «La beata Vergine … è Madre di Dio; perciò è così pura e così santa da non potersi concepire purità maggiore dopo quella di Dio».Del resto, se noi approfondiamo l’argomento, e soprattutto se consideriamo l’infiammato e soave amore con cui Dio certamente amò e ama la Madre del suo unigenito Figlio, come potremmo soltanto sospettare che Ella sia stata anche per un brevissimo istante soggetta al peccato e priva della divina grazia? Poteva senza dubbio Dio, in previsione dei meriti del Redentore, adornarla di questo singolarissimo privilegio; che non l’abbia fatto, non è neppur possibile pensarlo. Conveniva infatti che tale fosse la Madre del Redentore, da essere il più possibile degna di Lui. D’altronde non sarebbe stata degna, se macchiata della colpa originale, anche solo nel primo istante della sua concezione fosse stata soggetta al triste dominio di satana. – Né si può dire che per questo venga diminuita la Redenzione di Cristo, quasi che essa non si estenda all’intera progenie di Adamo, e che perciò venga detratto qualcosa dall’officio e dalla dignità del divino Redentore. Se infatti consideriamo a fondo e diligentemente la cosa, è facile vedere come Cristo Signore abbia in verità redento la divina sua Madre in un modo più perfetto essendo Ella stata da Dio preservata immune da qualsiasi macchia ereditaria di peccato, in previsione dei meriti di Lui. Perciò l’infinita dignità di Gesù Cristo e l’universalità della sua redenzione non vengono attenuate o diminuite da questo punto di dottrina, ma anzi accresciute in sommo grado. – Sono pertanto ingiusti la critica e il rimprovero che anche per questo motivo non pochi acattolici e protestanti fanno alla nostra devozione per la Santa Vergine, come se togliessimo qualche cosa al culto dovuto a Dio solo e a Gesù Cristo. È vero invece che l’amore e la venerazione che noi dedichiamo alla nostra Madre celeste ridonda tutto senza dubbio in gloria del suo divin Figlio, non soltanto perché tutte le grazie e tutti i doni, anche eccelsi, da Lui derivano come da prima fonte, ma anche perché «i genitori sono la gloria dei figli» (Pro XVII, 6). – Fin dai più remoti tempi della Chiesa, questo punto di dottrina venne sempre più in luce e sempre più si affermò, sia presso i sacri pastori, sia nella convinzione e nell’animo dei fedeli. Lo attestano, come dicemmo, gli scritti dei Santi Padri, i Concili e gli atti dei Romani Pontefici; lo testimoniano infine le antichissime liturgie, nei cui libri, anche i più antichi, tale festa si considera come tramandata dai Padri. – Inoltre, perfino presso tutte le comunità dei Cristiani orientali, che già da lungo tempo si separarono dall’unità della Chiesa Cattolica, non sono mancati e non mancano coloro che, pur essendo animati da pregiudizi e da contrastanti opinioni, hanno accolto questa dottrina e ogni anno celebrano la festa della Vergine Immacolata. Ciò non accadrebbe certo, se essi non avessero ricevuto tale verità fin dai tempi antichi, prima cioè che i medesimi si fossero staccati dall’unico ovile. – Ci piace dunque, al compiersi di un secolo da quando il pontefice Pio IX d’immortale memoria definì solennemente questo singolare privilegio della vergine Madre di Dio, riassumere e concludere il nostro assunto con queste parole, con cui lo stesso Pontefice afferma tale dottrina essere stata «per giudizio dei padri, affidata alla sacra Scrittura, tramandata da tante e così gravi testimonianze dei medesimi, espressa e celebrata da tanti illustri monumenti della veneranda antichità, proposta infine e confermata dal più alto e autorevole giudizio della Chiesa, di modo che nulla è più caro e più dolce ai sacri Pastori e a tutti i fedeli «che onorare, venerare, invocare e predicare con fervore e affetto la Vergine Madre di Dio concepita senza macchia originale». – Ci sembra poi che tale preziosissima gemma, onde si arricchì cento anni fa il sacro diadema della beata Vergine Maria, oggi splenda di luce più fulgente essendo toccata a Noi, nell’anno giubilare 1950, per disposizione della divina Provvidenza, la felice sorte di definire – ed è ancor vivo nel Nostro cuore il gradito ricordo – che l’alma Genitrice di Dio è stata Assunta in cielo in anima e corpo; e potemmo così corrispondere ai voti del popolo cristiano, che furono formulati in maniera particolare già quando fu solennemente sancito l’immacolato concepimento della Vergine. Allora, infatti, come scrivemmo nella lettera apostolica Munificentissimus Deus, «i cuori dei fedeli furono mossi da una più vivida speranza che anche il dogma dell’Assunzione corporea della Vergine in cielo venisse al più presto definito dal supremo Magistero ecclesiastico». – Così Ci sembra che in maniera più profonda ed efficace tutti i fedeli possano volgere la mente e il cuore al mistero stesso dell’Immacolata Concezione della Vergine. Infatti per lo strettissimo rapporto che lega questi due misteri, dopo esser stata solennemente promulgata e posta nella debita luce l’Assunzione della Vergine in cielo – che costituisce quasi la corona e il complemento dell’altro privilegio mariano – ne è venuto che con maggior pienezza e splendore si è manifestata la sapientissima armonia di quel piano divino con il quale Dio ha voluto che la Vergine Maria fosse monda da ogni macchia originale. – A motivo di questi insigni privilegi concessi alla Vergine, tanto l’alba del suo pellegrinaggio terreno, quanto il tramonto s’illuminarono di fulgidissima luce; alla perfetta innocenza dell’anima di Lei, immune da qualsiasi macchia, corrisponde in maniera consona e meravigliosa la più ampia glorificazione del suo corpo virgineo; ed Ella, come fu congiunta al suo Figlio unigenito nella lotta contro il serpente infernale, così insieme con Lui partecipò al glorioso trionfo sul peccato e sulle sue tristi conseguenze.

II

Occorre tuttavia che questa celebrazione centenaria non solo riaccenda negli animi di tutti la Fede Xattolica e la devozione ardente verso la Santa Vergine, ma sia altresì di stimolo per conformare, il più possibile, i costumi dei Cristiani sull’esempio della Vergine Maria. Come tutte le madri provano soavissimi sentimenti quando scorgono che il volto dei propri figli riproduce per qualche particolare somiglianza le loro fattezze, così Maria, Madre nostra dolcissima, non può avere maggiore desiderio né più grande gioia nel veder riprodotti nei pensieri nelle parole e nelle azioni di coloro che Ella accolse come figli sotto la croce del suo Unigenito, i lineamenti e le virtù della sua anima. – Ma perché la pietà non rimanga vuota parola, né diventi immagine fallace della Religione, né sentimento debole e caduco di un istante, ma sia sincera, vera, efficace, essa deve indubbiamente sospingere noi tutti, secondo la condizione di ciascuno, al raggiungimento della virtù. È necessario anzitutto che essa sproni noi tutti a quell’innocenza e integrità di costumi, che rifugge e aborre anche dalla più piccola macchia di peccato: poiché commemoriamo il mistero della santissima Vergine, la cui Concezione fu Immacolata e immune da qualsiasi colpa originale. – La beatissima vergine Maria, la quale nell’intero corso della sua vita – sia nel gaudio da cui fu soavemente inondata, sia nella tribolazione e negli atroci dolori, per cui primeggia Regina dei martiri – mai si allontanò, neppure minimamente, dai precetti e dagli esempi del suo divino Figliuolo, Ci sembra che ripeta a tutti e a ciascuno di noi quelle parole che pronunciò durante le nozze di Cana, quasi additando Gesù Cristo ai servi del convito: «Fate tutto quello che egli vi dirà» (Gv 2, 5). Sembra che a noi tutti oggi Ella ripeta quella stessa esortazione, in un senso ancora più vasto, poiché è di assoluta evidenza che la radice di tutti i mali da cui sono con tanta veemenza e asprezza tribolati gli uomini, angustiati i popoli e le nazioni, hanno principalmente origine dal fatto che molti «abbandonate le sorgenti di acqua viva, si sono scavate cisterne sconnesse, che non possono contenere le acque» (Ger 2, 13) e hanno disertato da Colui che solo è «via, verità e vita» (Gv 14, 6). Se dunque si è errato, bisogna ritornare sulla diritta via; se le tenebre dell’errore hanno avvolto le menti, senza indugio devono essere dissipate dalla luce della verità; se quella morte, che è la vera morte, si è impadronita degli animi, bisognerà con vivo efficace desiderio accostarsi alla vita: a quella celeste vita, che non conosce tramonto perché ha origine da Cristo Gesù; se con animo fiducioso e fedele lo seguiremo in questa terra di esilio, certamente, insieme con Lui godremo nei cieli la beatitudine eterna. – Questo ci insegna e a queste cose ci esorta la beata Vergine Maria, Madre nostra dolcissima, la quale ci ama di autentico amore, certamente più di tutte le madri terrene. Come ben sapete, venerabili fratelli, di queste esortazioni e inviti a un ritorno a Cristo e a una diligente ed efficace conformità ai suoi insegnamenti hanno gran bisogno gli uomini d’oggi, in un momento in cui tanti si sforzano di svellere radicalmente dagli animi la fede di Cristo, o con mascherate e astute insidie, o anche con una propaganda e un’esaltazione aperta e ostinata dei loro errori da essi propalati così impudentemente, come se fossero gloria del progresso e dello splendore di questo secolo. Ma rigettata la nostra santa Religione, negati i divini voleri che sanciscono il bene e il male, appare evidente che quasi a nulla giovano le leggi e quasi a nulla è ridotta la pubblica autorità; si ha di conseguenza che gli uomini, perduta con queste dottrine fallaci la speranza e l’attesa dei beni immortali, è naturale che cerchino smodatamente i beni terreni, avidamente desiderino quelli altrui e talora, quando l’occasione e la possibilità si offrono loro, se ne impadroniscano anche con la violenza. Di qui prorompono gli odi, le invidie, le rivalità e le discordie tra cittadini; di qui nasce la perturbazione della vita pubblica e privata, e gradatamente si scalzano quelle fondamenta dello stato che mal potrebbero essere sostenute e rafforzate dall’autorità delle leggi civili e dei governanti; di qui infine la diffusa decadenza dei costumi a motivo dei licenziosi spettacoli, dei libri, dei giornali e di tanti delitti. – Non neghiamo che in questo campo l’autorità dello Stato possa far molto; tuttavia il risanamento di tante sciagure è da ricercarsi in rimedi più profondi. È necessario chiamare in aiuto una forza maggiore di quella umana, che penetri negli animi e li rinnovi con la divina grazia rendendoli col suo ausilio migliori. – Solamente allora sarà lecito sperare che torni a fiorire ovunque la vita cristiana; che i veri principi sui quali si fonda la società si consolidino il più possibile; che intervenga in mezzo alle varie classi sociali una mutua, retta e sincera esumazione delle cose, unita con la giustizia e la carità, e che una buona volta tacciano gli odi, le cui faville dànno esca a nuove miserie e molto spesso spingono gli animi esacerbati al versamento di sangue; che, infine, attenuati e placati i contrasti che si agitano tra le classi alte e basse della società, con imparzialità si compongano e armonicamente coesistano i giusti diritti di ambo le parti, con il vicendevole consenso e il dovuto rispetto, per il comune vantaggio. – Ciò senza dubbio soltanto è reso possibile a fondo e con saldezza dagli insegnamenti della morale cristiana – purché realmente messi in pratica – alla cui attiva e fruttuosa osservanza ci sprona tutti la Vergine Madre. Tenendo nella dovuta considerazione queste cose, venerabili fratelli, invitiamo voi tutti e singoli con la presente lettera enciclica a fare in modo che secondo il vostro ufficio rivolgiate al clero e al popolo a voi affidato un’esortazione per la celebrazione dell’Anno Mariano che indiciamo ovunque, dal prossimo mese di dicembre sino allo stesso mese dell’anno seguente, nel compiersi cioè del primo centenario da quando la Vergine Madre di Dio rifulse di una nuova gemma, tra il plauso del popolo Cristiano, allorché, come dicemmo, il Nostro predecessore di immortale memoria, Pio IX decretò e sancì solennemente la sua Immacolata Concezione. Confidiamo pienamente che questa celebrazione mariana possa dare quei frutti desideratissimi e salutari che tutti vivamente aspettiamo. – Per raggiungere più facilmente e più efficacemente lo scopo, desideriamo che in ciascuna diocesi siano tenuti al riguardo opportuni discorsi e conferenze, per maggiormente chiarire alle menti questo punto della dottrina cristiana: di modo che la fede del popolo si accresca, arda ogni giorno più la devozione verso la Santa Vergine e tutti seguano con operoso volere le vestigia della nostra Madre celeste. – E poiché in tutte le città, paesi e villaggi, ovunque fiorisce il Cristianesimo, vi è sempre una qualche cappella, o altare almeno, dove rifulge l’immagine della beata Vergine Maria esposta alla venerazione del popolo cristiano, Noi desideriamo, venerabili fratelli, che i fedeli vi si rechino con la maggior frequenza possibile e innalzino, con un sol cuore e una sola voce, pubbliche preghiere alla soavissima Madre nostra. – Dove poi vi è un tempio in cui la Vergine è maggiormente venerata – il che avviene in quasi tutte le diocesi – in determinati giorni dell’anno vi concorrano pie moltitudini di pellegrini con solenni manifestazioni pubbliche della comune fede e del comune amore verso la Vergine Santissima. Ciò senza dubbio si farà soprattutto alla grotta di Lourdes, dove la Vergine Immacolata è venerata con tanta fervida pietà. – Ma preceda tutti con l’esempio quest’alma città, la quale fin dai primi tempi del Cristianesimo ha avuto un particolare culto alla Madre celeste e propria Patrona. Vi sono qui non poche chiese, come è noto, in cui Ella è proposta alla pietà dei romani; ma fra tutte, senza dubbio, eccelle la Basilica Liberiana, ove ancora rifulge il mosaico del Nostro predecessore di venerata memoria Sisto III, monumento insigne della divina Maternità di Maria Vergine, e dove benignamente arride l’immagine della «Salvezza del popolo romano». Là dunque specialmente accorrano i cittadini a pregare, e davanti a quella sacra immagine tutti elevino i loro voti, chiedendo soprattutto che l’Urbe, centro dell’orbe cattolico, sia altresì a tutti maestra di fede, di devozione, di santità. «Infatti – Ci rivolgiamo a voi figli di Roma con le stesse parole del Nostro predecessore di s. m. Leone Magno benché tutte le chiese diffuse sulla terra debbano fiorire per ogni genere di virtù, a voi tuttavia si addice sopra tutti gli altri popoli primeggiare nel merito della pietà, a voi che, fondati sulla stessa base della rocca apostolica, foste con tutti gli altri redenti da nostro Signor Gesù Cristo e, a preferenza di tutti gli altri, istruiti dal beato apostolo Pietro». – Molte grazie tutti debbono implorare nelle presenti circostanze dall’aiuto della beata Vergine, dal suo patrocinio, dalla sua potenza mediatrice. Chiedano innanzi tutto – come abbiamo già detto – che i propri costumi, con il soccorso della divina grazia, sempre più si uniformino agli insegnamenti cristiani, perché la fede senza le opere è morta (cf. Gc II, 20.26), e perché nessuno può fare convenientemente casa alcuna per il pubblico bene, se prima egli stesso non rifulga come esempio di virtù agli altri. – Chiedano con insistenza che la generosa e balda gioventù cresca sana e pura, né lasci contaminare dall’aria corrotta del secolo e infiacchire nei vizi il bel fiore della propria età; che sappia governare con retta guida le inclinazioni sregolate e l’impulsività ardente e, rifuggendo da ogni insidia, non si rivolga alle cose cattive e dannose, ma elevi il cuore a tutto ciò che è bello, santo, amabile, eccelso. – Chiedano, pregando in comune, che l’età virile e matura si distingua su tutte per onestà e cristiana fortezza; che la società domestica rifulga di un’inviolata fedeltà, sia fiorente per la sana e religiosa educazione dei figli e si rafforzi nella concordia e nel vicendevole aiuto. – Implorino finalmente che i vegliardi si rallegrino dei frutti di una vita spesa nel bene, così che avvicinandosi il termine della vita non abbiano nulla da temere, non siano afflitti da rimorsi o da angosce di coscienza, né abbiano motivo alcuno di arrossire, ma fermamente confidino di ricevere presto il premio della loro lunga fatica. – Chiedano, inoltre, nella preghiera alla divina Madre, il pane per gli affamati, la giustizia per gli oppressi, la patria per i profughi e gli esuli, una casa ospitale per i senza tetto, la debita libertà per coloro che ingiustamente furono gettati in carcere o nei campi di concentramento; il desideratissimo ritorno in patria per coloro che sono ancora prigionieri nonostante che da tanti anni sia terminata la guerra e internamente sospirano e gemono; per coloro che sono ciechi nel corpo o nell’anima la letizia della fulgida luce; e per tutti quelli che sono divisi fra loro dall’odio, dall’invidia, dalla discordia, che ottengano pregando la carità fraterna, l’unione degli animi e quell’operosa tranquillità che è fondata sulla verità, sulla giustizia, sulle relazioni amichevoli. – Desideriamo in modo speciale, o venerabili fratelli, che con le ardenti preghiere che saranno elevate a Dio nella prossima celebrazione dell’Anno Mariano, si chieda supplichevolmente che, sotto l’auspicio della Madre del divin Redentore e Madre nostra dolcissima, la Chiesa Cattolica possa finalmente ovunque godere della libertà che le compete e che essa, come insegna la storia, adoperò sempre a vantaggio dei popoli e mai a loro rovina, sempre per raggiungere la concordia dei cittadini, delle nazioni, delle genti, e mai per dividere gli animi. – Tutti sanno in quali tribolazioni viva, in alcuni luoghi, la Chiesa e da quali menzogne, calunnie, spoliazioni sia travagliata; tutti sanno come in alcune regioni i Vescovi siano miseramente dispersi, incarcerati senza motivo, o talmente ostacolati da non potere esercitare liberamente, come si conviene, il loro pastorale ministero; tutti sanno infine che in quei luoghi non si possono avere scuole proprie, né pubblicamente per mezzo della stampa si può insegnare, difendere, propagare la dottrina cristiana ed educare convenientemente la gioventù secondo i suoi insegnamenti. Quelle esortazioni, pertanto, che a tale riguardo spesso, quando si è presentata l’occasione, vi abbiamo indirizzato, insistentemente ve le ripetiamo per mezzo della presente lettera enciclica, nella piena fiducia che in questo Anno Mariano dovunque siano innalzate supplichevoli preghiere alla potentissima Vergine Madre di Dio e soave Madre nostra, affinché quei sacri diritti che competono alla Chiesa e che sono richiesti dallo stesso rispetto della libertà e della civiltà, siano riconosciuti apertamente e sinceramente da tutti, con sommo vantaggio di ognuno e incremento della comune concordia. – Questa nostra parola, che Ci è dettata da un fervido senso di carità, desideriamo giunga anzitutto a coloro che, costretti al silenzio e circondati da ogni genere di insidie, vedono con animo addolorato la loro comunità cristiana afflitta, turbata e priva di ogni umano aiuto. Anche questi dilettissimi fratelli e figli Nostri, in strettissima congiunzione con Noi e con gli altri fedeli, interpongano presso il Padre delle misericordie e Dio di ogni consolazione (cf. 2 Cor 1, 3), il potentissimo patrocinio della vergine Madre di Dio e Madre nostra, e chiedano a Lei celeste aiuto e divine consolazioni. Mentre perseverano con indomabile animo nella fede dei padri, facciano proprie in questi gravi frangenti le seguenti parole del Dottore Mellifluo, quasi distintivo di cristiana fortezza: «Staremo in piedi e combatteremo sino alla morte, se sarà necessario, per nostra madre (la Chiesa), con le armi che ci saranno consentite: non con gli scudi e le spade, ma con la preghiera e le lacrime a Dio». – Anche coloro che sono separati da Noi per l’antico scisma e che del resto Noi amiamo con animo paterno, li invitiamo a unirsi a queste comuni preghiere e a queste suppliche, poiché ben sappiamo che essi hanno in somma venerazione la grande Madre di Gesù Cristo e ne celebrano la Concezione Immacolata. La medesima beata vergine Maria riguardi tutti quei cristiani, congiunti almeno dai vincoli della carità, che rivolgono a lei supplichevoli gli occhi, gli animi, le preghiere, impetrando quella luce che illumina le menti di uno splendore soprannaturale, e chiedendo quella unità per la quale finalmente si faccia un solo ovile sotto un solo pastore (cf. Gv X, 16). – A queste preghiere comuni siano associate pie opere di penitenza; l’amore alla preghiera, infatti, fa sì che «l’animo sia sostenuto, si prepari alle cose ardue, si innalzi alle cose divine; la penitenza ci fa ottenere il dominio su noi stessi, specialmente sul corpo, il quale per il peccato originale è fortemente ribelle alla ragione e alla legge evangelica. È evidente che queste virtù sono strettamente congiunte tra loro, e vicendevolmente si sostengono e mirano insieme all’identico scopo di distaccare l’uomo, nato per il cielo, dalle cose caduche, e di sollevarlo quasi a un celeste commercio con Dio». – Siccome però ancora non ha brillato sui popoli e nelle anime una pace solida, sincera, tranquilla, si sforzino tutti i fedeli piamente pregando di raggiungerla e consolidarla felicemente e pienamente; in modo che, come la beata Vergine ci donò il Principe della pace (cf. Is IX, 6), ella stessa con il suo patrocinio e con la sua tutela congiunga gli uomini tra loro in amichevole concordia. Solo allora essi potranno godere quel tanto di serena prosperità che è possibile ottenere nel breve corso della vita, quando tra loro non saranno separati da invidie, lacerati miseramente da discordie, né sospinti violentemente a lottare tra loro con minacce e fraudolenti consigli; ma, fraternamente uniti, si scambieranno tra loro il bacio di quella pace che è «tranquilla libertà» e che, sotto la guida della giustizia e l’aiuto della carità, fa delle diverse classi dei cittadini e delle diverse genti e nazioni una sola famiglia unita, come si conviene, e concorde. – Il divin Redentore, auspice e mediatrice l’amorevolissima Madre sua, voglia nella maniera più larga e consolante portare a compimento questi Nostri ardentissimi voti, ai quali, come pienamente confidiamo, corrisponderanno i voti non solo di tutti i Nostri figli ma anche di tutti coloro ai quali stanno a cuore gli interessi della civiltà cristiana, e il progresso civile. – Intanto sia propiziatrice dei divini favori, e testimonianza del Nostro affetto paterno, la benedizione apostolica che a voi tutti e singoli, venerabili fratelli, insieme al clero e ai fedeli a voi affidati, impartiamo con effusione di cuore. – Roma, presso San Pietro, l’8 settembre, festa della natività di Maria ss.ma, nell’anno 1953, XV del Nostro pontificato. PIO PP. XII

PREGHIERA DI PIO XII

PER L’ANNO MARIANO

« Rapiti dal fulgore della vostra celeste bellezza e sospinti dalle angosce del secolo, ci gettiamo tra le vostre braccia, o immacolata Madre di Gesù e Madre, nostra, Maria, fiduciosi di trovare nel vostro Cuore amatissimo l’appagamento delle nostre fervide aspirazioni e il porto sicuro fra le tempeste che da ogni parte ci stringono. – « Benché avviliti dalle colpe e sopraffatti da infinite miserie, ammiriamo e cantiamo l’impareggiabile ricchezza di eccelsi doni, di cui Iddio vi ha ricolmata al di sopra dì ogni altra pura creatura, dal primo istante del vostro concepimento fino al giorno, in cui, Assunta in cielo, vi hai incoronata Regina dello universo. – « O fonte limpida dì fede, irrorate con le eterne verità le nostre mentì! O Giglio fragrante di ogni Santità, avvincete i nostri cuori col vostro celestiale profumo! O Trionfatrice del male e della morte, ispirateci profondo orrore al peccato, che rende l’anima detestabile a Dio e schiava dell’inferno! « Ascoltate, o prediletta di Dio, l’ardente grido che da ogni cuore fedele s’innalza in quest’Anno a voi dedicato. Chinatevi sulle doloranti nostre piaghe. – Mutate le menti ai malvagi, asciugate le lacrime degli afflitti e degli oppressi, confortate i poveri e gli umili, spegnete gli odi, addolcite gli aspri costumi, custodite il fiore della purezza nei giovani, proteggete la Chiesa Santa, fate che gli uomini tutti sentano il fascino della cristiana bontà. Nel vostro nome, che risuona nei cieli armonia, essi si ravvisino fratelli, e le nazioni membri dì una sola famiglia, su cui risplenda il sole di una universale e sincera pace.  – « Accogliete, o Madre dolcissima, le umili nostre suppliche e otteneteci soprattutto che possiamo un giorno ripetere dinanzi al vostro trono, beati con voi, l’inno che sì leva oggi sulla terra intorno ai vostri altari: Tutta bella sei, o Maria! Tu gloria, Tu letizia, Tu onore del nostro popolo! Così sia ».

Festa della Presentazione di Maria Santissima: 21 Novembre 1953.

PIUS PP. X II

 

TESI A CONFRONTO: l’una cattolica e l’altra eretico-manichea.

TESI A CONFRONTO:

[La XVI Tesi DEL TOMISMO

e la Tesi c.d. Cassiciacum]

Il Magistero della Chiesa, con la Lettera al Generale dei Francescani del 13 dicembre del 1885 di Leone XIII, il quale in essa applica i princìpi dell’enciclica sulla rinascita del tomismo Æterni Patris (del 1879) al caso concreto dell’insegnamento della dottrina tomistica anche presso tutti gli altri ordini religiosi (con particolare riferimento ai figli di S. Francesco) e al clero secolare, recita: «L’allontanarsi dalla dottrina del Dottore Angelico è cosa contraria alla Nostra volontà, e, assieme, è cosa piena di pericoli. […]. Coloro i quali desiderano di essere veramente filosofi, e i religiosi sopra tutti ne hanno il dovere, debbono collocare le basi e i fondamenti della loro dottrina in S. Tommaso d’Aquino.

– Con la promulgazione del motu proprio “Doctoris Angelici” del 29 giugno del 1914 San Pio X imponeva come testo scolastico la Summa Theologiæ di San Tommaso alle facoltà teologiche, sotto pena d’invalidarne i gradi accademici. Papa Sarto richiamava l’obbligo di insegnare i princìpi fondamentali e le tesi più salienti del tomismo (“principia et pronuntiata majora”). – San Pio X incaricò nell’inverno del 1914 il padre gesuita Guido Mattiussi di “precisare il pensiero di S. Tommaso sulle questioni più gravi in materia filosofica, e di condensarle in pochi enunciati chiari ed inequivocabili”. Partecipò al lavoro anche Mons. Giuseppe Biagioli, professore di teologia dogmatica presso il Seminario di Fiesole. Nell’estate del 1914 il card. Lorenzelli, Prefetto della ‘S. Congregazione degli Studi’, presentò le XXIV Tesi compilate da Mattiussi e Biagioli a San Pio X, che le approvò il 27 luglio del 1914. Benedetto XV impose a p. Mattiussi di scrivere su La Civiltà Cattolica un ‘Commento delle XXIV Tesi’, che fu poi pubblicato a Roma dall’Editrice Gregoriana nel 1917.

Il 7 marzo 1916 la ‘S. Congregazione degli Studi’ a nome del papa Benedetto XV stabilì che “Tutte le XXIV Tesi filosofiche esprimono la genuina dottrina di San Tommaso e son proposte come sicure (tutæ) norme direttive”. Tuttavia «il Papa, pur insistendo “doversi proporre tutte le Tesi della dottrina di san Tommaso quali sicure regole direttive”, non imponeva il dovere di abbracciarle con assenso interno. Evidentemente Benedetto XV non voleva dare alle XXIV Tesi un valore dogmatico, ma un valore di alta importanza disciplinare […], come la dottrina preferita dalla Chiesa». Il Magistero ecclesiastico con papa Benedetto XV, il 7 marzo 1917, decise che «le XXIV Tesi dovessero essere proposte come regole sicure di direzione intellettuale. […] Nel 1917 il ‘CIC’ nel canone 1366 § 2 diceva: “Il metodo, i princìpi e la dottrina di S. Tommaso devono esser seguiti santamente o con rispetto religioso”. Tra le fonti indicate il ‘Codice’ addita il ‘Decreto di approvazione delle XXIV Tesi’». Sempre papa Giacomo Della Chiesa nell’Enciclica “Fausto appetente die” (29 giugno 1921) insegna: «La Chiesa ha stabilito che la dottrina di S. Tommaso è anche la sua propria dottrina (“Thomæ doctrinam Ecclesia suam propriam esse edixit”)». Pio XI nell’enciclica “Studiorum ducem” (1923) ha ribadito e riconfermato l’insegnamento delle encicliche di Leone XIII, S. Pio X e Benedetto XV. Per cui se per un atto di estrema bontà la Chiesa permette o tollera che si insegni lo scotismo e il suarezismo, è certo che la sua dottrina è quella di S. Tommaso: “Ecclesia edixit doctrinam Thomæ esse suam” (Benedetto XV, “Fausto appetente die”, 1921). La Chiesa – come abbiamo visto – ha voluto che si raccogliessero in una specie di ‘Sillabo’ le Tesi genuine della filosofia tomistica. ‘Le XXIV Tesi del Tomismo’ composte da p. Guido Mattiussi e approvate dal Magistero ecclesiastico (S. Pio X e Benedetto XV) contengono l’essenza della dottrina tomistica genuina.

Partendo da queste premesse magisteriali, ci accingiamo ad esaminare la XVI tesi del tomismo, per confrontarla con la tesi abbondantemente eretica, la c. d. Tesi di Cassiciacum, di un preteso teologo francese, addirittura un domenicano, dello stesso ordine di S. Tommaso quindi, Guerard Des Lauriers, un falso vescovo senza giurisdizione, oscillante tra setta lefebvriana e setta sedevacantista, pertanto personaggio sacrilego e blasfemo nei suoi scritti e nei suoi atti, ed iniziatore della setta eretica dei sedeprivazionisti, setta che sostiene e puntella il “novus ordo”, raccogliendo i pesciolini sfuggiti alla rete del Vaticano II, e alle canne da pesca dei lefebvriani e dei sedevacantisti apocalittici! – Coloro che fossero interessati a conoscere le altre tesi contenute nel lavoro di Matteussi e Biagioli, base filosofica della teologia cattolica, [lo raccomandiamo a tutti i Cattolici] non devono far altro che cercarsele nei siti internet finto-cattolici o nelle librerie specializzate. Diamo allora inizio all’esame della tesi XVI:

Tesi XVI del tomismo:

L’unione dell’anima con il corpo

«L’anima razionale è unita al corpo in maniera tale da esserne l’unica forma sostanziale. È per essa che l’uomo è uomo, animato, vivente, corpo, sostanza e ente. Quindi l’anima dà al corpo ogni grado essenziale di perfezione; inoltre comunica al corpo l’atto d’essere per il quale essa stessa è ciò che è ed esiste».

– L’anima umana è la forma sostanziale del corpo. Ora la forma sostanziale di un composto è unica poiché una sola sostanza – per il principio evidente di ‘identità’ e ‘non contraddizione’ – non può essere, nello stesso tempo e sotto lo stesso rapporto, una sostanza ed un’altra essenzialmente diversa. Per esempio, l’oro non può essere, nello stesso tempo e sotto lo stesso rapporto, oro e ferro avendo contemporaneamente la forma sostanziale di oro e di ferro.

San Tommaso spiega: “L’anima è ciò per cui il corpo umano possiede l’essere in atto e ciò è proprio della forma, che dà l’essere. Perciò l’anima umana è forma del corpo” (De Anima, 1, resp.; ivi, 1, ad 7). L’Angelico porta due argomenti a dimostrazione di questa affermazione: 1°) l’unione dell’anima col corpo non può essere accidentale (come vorrebbe lo spiritualismo esagerato di Platone e Cartesio), perché, quando l’anima si separa dal corpo, in quest’ultimo non rimane più nulla di umano se non l’apparenza. Il cadavere non ancora putrefatto sembra ancora un corpo umano, ma non lo è più in quanto non è vivo e non è un corpo organico. Perciò se l’anima fosse unita solo accidentalmente al corpo, come un marinaio alla nave o un cavaliere al cavallo, non darebbe la specie al corpo e alle di lui parti; infatti il cavaliere non dà la natura specifica al cavallo, altrimenti il cavallo dovrebbe essere di specie umana; invece l’anima informa e specifica il corpo e le sue parti; ne è prova il fatto che, separandosi l’anima dal corpo per la morte dell’uomo, le singole parti mantengono il loro nome che indica la loro specie solo in maniera equivoca. Per esempio, la parola ‘occhio’, parlando di un morto, è un concetto equivoco poiché l’occhio del morto non è un organo che può vedere, ma è materia in putrefazione; così pure la parola ‘corpo’ riferita ad un morto è un concetto equivoco poiché il corpo non è vivente, ma è una materia cadaverica in putrefazione. – 2°) Inoltre l’unione del corpo giova all’anima sia nell’essere che nell’agire: “L’anima è unita al corpo per la sua perfezione sostanziale, ossia per formare con lui una sostanza umana completa, perché la sola anima senza il corpo non sarebbe un uomo ma un fantasma, ed anche per la perfezione accidentale dell’azione. Per esempio, la conoscenza intellettiva dell’anima è acquisita attraverso i sensi e ‘niente si trova nell’intelletto se prima non è passato attraverso la conoscenza sensibile’; infatti questo modo di agire è connaturale all’uomo, che è un composto di anima e corpo” (De Anima, 1, ad 7).

– Tutto ciò (ossia il legame con la materia delle azioni più squisitamente spirituali dell’anima, come il conoscere) non compromette la spiritualità intrinseca dell’anima razionale, poiché essa non dipende soggettivamente dal corpo, ossia il corpo non è l’organo o la facoltà attraverso cui l’anima conosce intellettualmente, ma l’anima dipende dal corpo solo oggettivamente, ossia l’anima si serve del corpo come di un oggetto dal quale astrae psicologicamente le idee universali a partire dalle immagini sensibili, che si trovano nel cervello. È la conoscenza sensibile che dipende soggettivamente dal corpo ossia è situata negli organi corporei come facoltà di conoscenza sensibile. Per esempio, la vista si trova nell’occhio o nella sua pupilla e retina, che sono corporee, il tatto nella pelle, l’udito nei timpani, l’immaginazione e la memoria nel cervello; invece l’intelletto e la volontà sono soggettivamente facoltà spirituali che risiedono nell’anima razionale e che si servono degli organi sensibili come di oggetti materiali a partire dai quali le facoltà spirituali astraggono le idee universali. S. Tommaso scrive che le operazioni dell’anima razionale “richiedono il corpo non come strumento, organo o facoltà, ma solo come oggetto. Infatti la conoscenza intellettiva non si attua mediante un organo corporeo quale causa efficiente strumentale, ma si serve di un oggetto sensibile o corporeo” (In I De Anima, lect. II, n. 19). Inoltre “l’intellezione è un’operazione dell’anima spirituale e razionale, perché non nasce dall’anima per mezzo di un organo corporeo come causa efficiente – per esempio, l’immaginare nasce remotamente dall’anima che si serve del cervello come di uno strumento o causa efficiente prossima dell’immaginazione, come pure la vista nasce dall’anima mediante l’occhio – mentre il legame dell’anima razionale con il corpo riguarda l’oggetto; infatti le immagini sensibili, che sono gli oggetti dai quali l’intelletto astrae le idee spirituali universali, non possono sussistere senza il concorso degli organi corporei ” (De Anima 1, ad 12).

La specie umana è il composto di anima e corpo nel quale si sviluppano assieme le potenze vegetative e sensitive, che risiedono nell’organismo corporeo (l’uomo mangia, cresce, vede, sente, immagina e ricorda), e le potenze spirituali (l’uomo ragiona e vuole liberamente) che si trovano nell’anima razionale. Ora l’esperienza ci mostra che almeno nell’operazione intellettuale, la quale è propriamente umana, le potenze organiche e spirituali cooperano con l’intelligenza (“nulla si trova nell’intelletto se prima non è passato attraverso i sensi”, dicono gli scolastici), mentre se corpo e anima non formassero una sola sostanza dovrebbero restare estranei l’uno all’altra. Invece l’intellezione è un’azione spirituale, ma il corpo vi concorre come strumento oggettivo e non efficiente dell’anima e dell’intelligenza, che è una facoltà spirituale, la quale si trova nell’anima razionale, come già abbiamo intravisto sopra e vedremo meglio nelle Tesi successive riguardanti la conoscenza. L’Aquinate scrive: “L’anima pur potendo sussistere per se stessa, non forma da sé una specie o una sostanza completa, ma entra nella specie umana come forma. Così l’anima è sia la forma del corpo sia una sostanza” (De Anima, 1, resp.).

– L’uomo è una sola persona, che non è la sola anima né il solo corpo, ma l’unione sostanziale di anima e di corpo. L’uomo non è solo anima e il corpo non è la “prigione dell’anima” come voleva Platone, altrimenti l’uomo sarebbe un fantasma; parimenti l’uomo non è solo corpo, come vorrebbero i materialisti, altrimenti sarebbe un cadavere senza vita. Il comune modo di parlare testimonia questa verità, infatti diciamo: “io conosco, io voglio, io sento, io soffro, io cammino, io vedo”, come pure diciamo: “la mia anima o intelligenza conosce, il mio corpo cammina”, ossia la parola “io”, che indica tutto l’uomo, designa sia la parte spirituale sia quella materiale di noi stessi, secondo il buon senso e il senso comune di tutti gli uomini dotati di sana ragione.

– La materia e la forma si uniscono come la potenza e l’atto per costituire un solo soggetto o una sola sostanza completa. La materia di per sé è incompleta, è un co-principio sostanziale e deve essere completata da una forma per dar luogo ad un corpo completo, così pure la potenza o capacità di essere se non riceve l’atto non arriverà mai all’essere: solo se attuata essa sarà un ente completo in atto d’essere e non più una capacità soltanto in divenire. La potenza sta all’atto, come la materia alla forma. Ora l’atto e la forma attuano ed informano la potenza e la materia come il più perfetto completa il meno perfetto. Quindi l’anima informa e perfeziona il corpo, dandogli l’essere e la specie; per esempio l’anima razionale dà la specie umana  al corpo e poi l’essere, mentre la specie animale è data dall’anima sensibile e la specie vegetale è data dall’anima vegetativa.

– L’anima razionale è ciò per cui l’uomo è uomo, è animato, è vivente, è corpo, è sostanza ed è ente. Infatti 1) la natura specifica dell’uomo è la razionalità: “L’uomo è animale (genere) razionale (differenza specifica)” (Aristotele). Senza l’anima razionale avremmo al massimo un animale bruto, provvisto solo di anima vegetativa. Quindi l’anima razionale è ciò che rende l’uomo tale. 2) L’anima razionale dà la vita o l’animazione al corpo, poiché essa è “principio di vita”. Un puro corpo senza anima è un cadavere inanimato e non un corpo organico. 3)  L’anima è un co-principio sostanziale, che assieme al corpo forma la sostanza completa umana: la sola anima o il solo corpo non sono un uomo, ma la loro unione sostanziale forma l’uomo. Quindi senza corpo non c’è l’uomo, ma un angelo o un fantasma, e senza anima c’è solo un cadavere. 4) Infine l’ente è composto di essenza ed essere; ora l’essenza umana è composta dal corpo più l’anima razionale come forma sostanziale del corpo, ma l’essenza è in atto primo all’essere come atto ultimo. Quindi l’anima razionale informa il corpo e poi l’essere come atto ultimo completa l’essenza e la fa uscire fuori dalla sua causa e quindi la fa esistere (ex-sistere). Perciò l’uomo è un ente composto di corpo, anima, essenza ed essere ed è un ente esistente e vivo in atto. Perciò l’anima dà al corpo l’atto di essere per il quale essa stessa è ciò che è ed esiste. Abbiamo già visto che l’uomo è un ente composto di essenza (anima e corpo), la quale è ultimata dall’actus essendi come atto ultimo o perfezione di ogni forma, di ogni essenza, di ogni perfezione. Così il corpo, informato dall’anima, costituisce l’essenza umana la quale deve essere ultimata dall’atto di essere e l’ente umano potrà così esistere e vivere realmente. Perciò anche l’anima, spiega S. Tommaso,  è composta di essenza ed atto d’essere e di conseguenza di potenza e atto, perché “la sostanza dell’anima non è il suo essere, ma si rapporta ad esso come la potenza all’atto” (De Anima 1, ad 6).

– L’anima dà al corpo tutti i gradi di perfezione essenziale, ossia il corpo dell’uomo essendo informato dall’anima razionale riceve da questa le perfezioni proprie della specie umana, che sono la vita razionale, intelligente e libera, l’immortalità o resurrezione per riunirsi all’anima dopo la morte.

Dalla tesi risulta evidente che la forma e la materia devono essere unite in modo complementare in ogni essere vivente. Queste due condizioni, la formale e la materiale sono solo teoricamente separate, onde permetterne uno studio particolareggiato. È come per un chimico esaminare separatamente il rame e lo stagno, per comprendere meglio la composizione del bronzo. Ma se dal bronzo togliamo il rame, avremo solo stagno, evidentemente ben diverso dal bronzo, che potrebbe diventare bronzo se fuso al rame, ma intanto stagno è, e stagno rimane. Trattasi evidentemente di una “svista” gnostica ereditata da Platone e dalla scuola alessandrina dei filosofi neo-platonici, e poi da tutte le filosofie manicheiste, fino al recente modernismo-massonico, di cui evidentemente il nostro finto-vescovo è un esponente “sottile” e forse occulto.

La tesi del non-vescovo eretico-manicheo:

La tesi Cassiciacum, dal nome latino di Cassago Brianza, ove Sant’Agostino [… quando conservava ancora in parte la sua forma mentis neo-platonica, successivamente rigettata … chissà su questo riferimento a S. Agostino pre-cristiano, non acora pienamente convertito, non voglia essere un segnale di riconoscimento …]  si ritirò in preghiera e meditazione prima di ricevere il Battesimo, sostiene invece che può esserci un Papa solo materiale, cioè un corpo putrefatto, senza anima, senza la “fiammella divina” che però potrebbe arrivare da un momento all’altra appena il “cadavere ambulante” rifiuti il Vaticano II e le sue idiozie ed imbecillità dottrinali. Evidentemente siamo in un ambito gnostico-neoplatonico, del corpo “carcere” che imprigiona una “fiammella” emanante dal pleroma, che può trasmigrare per tornare e raggiungere infine il pleroma originario stesso!

Come sarebbe allora possibile che, in una prospettiva teologico-dottrinale, si possa concepire il ruolo del “papa” unicamente formale o materiale? Questo è manicheismo puro, altro che Albigesi! La figura del Papa non può sussistere se manca una delle due componenti essenziali, così come per ogni uomo, addirittura anche per ogni bestia. Cosa significa un “papa materiale”? A cosa possiamo paragonarlo? Ad uno zombi senza anima, un vampiro, un cadavere ambulante, un involucro, un carapace, una conchiglia vuota, un avatar? Ed invece un papa solo formale a cosa somiglierebbe? Ad uno spirito senza corpo, senza membra e strutture che gli permettano di agire ed operare! Ecco che allontanarsi dalla retta teologia, produce conseguenze devastanti, o … ridicole se preferite, se questo non comportasse la morte eterna di anime riscattate da Cristo con il suo Sangue preziosissimo versato sulla croce.

I sedeprivazionisti italiani presentano così la questione: “… La grande difficoltà che si para innanzi a quei cattolici che si oppongono al Concilio Vaticano II e alle sue riforme è quella dell’autorità papale, vale a dire in qual modo si possa giustificare il rifiuto della “nuova religione” quando essa è proclamata, almeno apparentemente, dall’autorità suprema. – La soluzione proposta dalla Fraternità di San Pio X [anche questa grossolanamente eretica –ndr.- ] è la seguente: i papi del Vaticano II sono veri papi ma non si deve obbedire loro quando ci ordinano di credere il falso o di compiere il male. Tuttavia, questa soluzione benché si possa applicare senza problemi agli ordini del papa che agisce in quanto persona privata, implica una defezione della Chiesa se si tratta del magistero ordinario universale o delle leggi generali, che sono verità infallibili. In altre parole, un vero Papa, in virtù dell’assistenza dello Spirito Santo, non può in nome della Chiesa, insegnarci cose false o ordinarci di compiere il male. Quindi, l’unica soluzione che mantenga l’indefettibilità della Chiesa consiste nell’affermare che quei “papi” che promulgano e diffondono la defezione dalla fede del Vaticano II e della “nuova religione” in generale non godono dell’autorità papale [una falsa conclusione addotta come necessità … il tipico espediente del lestofante!-ndr.-]. Tuttavia, tra tutti coloro che sostengono questa tesi alcuni affermano che detti papi sono totalmente privi della dignità pontificia, altri affermano che ne sono privi soltanto parzialmente, e cioè formaliter (formalmente) e non materialiter (materialmente)…”. In altre parole, un “tizio” diventa Papa materialmente se eletto da un conclave di Cardinali, ma può non esserlo formalmente per difetto di intenzione, perché non vuole procurare il “bene” della Chiesa Cattolica. Pertanto è autorizzato a dire stupidaggini, ad avallare e proclamare eresie, a canonizzare bestie, asini e porci, ma rimane comunque il Vicario di Cristo e può conferire la carica di cardinale per l’elezione di un successivo beota, che a sua volta sarebbe un papa materiale, finché, [ … Attenzione, questa non è da perdere … c’è da ridere!] … rinsavito abbandona le balordaggini del Vaticano II e quelle da lui stesso e dai suoi predecessori enunciate, ritorna “cattolico” ed acquisisce la carica “completa”, ristabilendo la pienezza del Papato!”. Se un cabarettista sapesse di questa cosa, potrebbe fare grande fortuna in tutti i teatri dell’orbe! Più avanti, a sostegno della “tesi cassiciacum” si riporta il parere di illustri teologi, e tra i teologi chiamati a sostegno della tesi del Des Lauriers troviamo citato DOMENICO PALMIERI, S.J. (Tractatus de Romano Pontifice, Prati Giachetti 1891.). Ascoltiamo bene: La successione materiale è una pura e semplice serie di Pastori o Vescovi che si succedono ininterrottamente risalendo fino agli Apostoli o a uno degli Apostoli dai quali abbia preso inizio: la successione formale è questa serie che in più gode dell’autorità trasmessa ai singoli successori dagli Apostoli, che per questa autorità sono costituiti successori formalmente. Poiché dunque ciascuno dei successori riceve l’autorità proveniente dagli Apostoli da coloro o da colui che ha ricevuto la medesima autorità in atto e può comunicarla ad altri, avviene in questo modo che l’autorità permanga formalmente mediante la successione. Tutte e due le successioni sono necessarie, né l’una può esistere senza l’altra; la prima tuttavia è più riconoscibile, la seconda invece la si conosce quando si conosce la vera Chiesa. – Quindi c’è da chiedersi. Ma questi “ci sono o ci fanno”, se pongono come base dei loro ragionamenti questi chiari enunciati: “… l’una non può esistere senza l’altra”? Quindi un papa materiale non può esistere assolutamente secondo il Palmieri. E più avanti leggiamo ancora:

“… Questa è la successione formale. Senza dubbio, perché qualcuno abbia l’autorità nella Chiesa, è richiesta la missione (Rom, X, 15, Coll. I Tim, V, 22, 7; Tim II, 2; Tit I, 5): ma non può inviare se non colui che ottiene in atto l’autorità Apostolica e può trasmetterla. Quindi, è da lui che si deve ricevere l’autorità; quindi, un successore deve succedere formalmente. Coloro dunque che succedono in tal modo sono i soli che possano veramente essere detti successori degli Apostoli; perché essi soli ottengono quell’autorità che gli Apostoli ricevettero da Cristo (pagg. 286-288). È questo è ancor più vero per il Papa che non può essere mai solo materiale, senza Autorità divina!

Viene scomodato, proprio in netto contrasto con la fanta-tesi, anche il grande Santo teologo: SAN ROBERTO BELLARMINO S.J. (De Romano Pontefice I. 2, c. 17.). Ecco il passaggio citato:

“Bisogna osservare che nel Pontefice “coesistono tre elementi: Il Pontificato stesso (precisamente il primato), che è una certa forma: la persona che è il soggetto del Pontificato (o primato) e l’unione dell’uno con l’altro. Di questi elementi, il primo, cioè il Pontificato stesso proviene soltanto da Cristo; la persona invece in quanto tale procede senza dubbio dalle sue cause naturali, ma in quanto eletta e designata al Pontificato procede dagli elettori; spetta a loro designare la persona: ma l’unione stessa procede da Cristo, mediante (o presupponendo) l’atto umano degli elettori… Si dice quindi in verità che gli elettori creano il Pontefice e sono la causa per cui un tale sia Pontefice… tuttavia non sono gli elettori che danno l’autorità né sono causa dell’autorità. Come nella generazione degli uomini l’anima è infusa soltanto da Dio e tuttavia, poiché il padre che genera disponendo la materia è causa dell’unione dell’anima col corpo, si dice che è un uomo che genera un altro uomo ma non si dice che l’uomo crea l’anima dell’uomo”. Evidentemente il termine “coesistono” in francese o in inglese non esiste per i nostri “tesisti” [… e compratevi un vocabolario, via!], per cui possono allegramente dire che nel Papato possono NON-COESISTERE le componenti essenziali, che possono essere spaiate e viaggiare da sole, così come un uomo può vivere senza l’anima ed essere comunque un uomo-materiale! Qui veramente è tutta da ridere!

Lo stesso D. Sanborn, strenuo difensore della tesi Cassiciacum del Des Lauriers [anch’egli un finto vescovo senza giurisdizione, come il Des Lauriers stesso], recentemente autoproclamatosi “rettore” di uno pseudo-seminario americano [mai autorizzato da chicchessia, ente autonomo eretico-finto-cattolico], riassumendo la dottrina chiarissima [a tutti, ma … evidentemente non a lui e ai c.d. Tesisti] dice [“Il Papato materiale” 1996]:

III) Non c’è successione apostolica legittima se non è formale.

La successione materiale, sia per elezione legale sia per presa di possesso con la forza o al di fuori della legge, non è sufficiente perché vi sia una successione apostolica legittima, perché l’autorità è la forma con la quale qualcuno è costituito vero successore degli Apostoli. L’elezione legale non è sufficiente perché qualcuno sia costituito e sia ritenuto vero successore degli Apostoli formalmente”. – Ed proprio questo il caso specifico degli antipapi che si sono insediati con la forza sul trono di Pietro, usurpando il legittimo Papato di Gregorio XVII il 26 ottobre del 1958 … e del suo attuale successore. Quindi anche D. Sanborn, non volendo, riconosce che l’elezione legale [figuriamoci quella illegale!] non è sufficiente perché qualcuno sia costituito e ritenuto vero successore degli Apostoli [in questo caso parliamo addirittura del Principe degli Apostoli] formalmente. Questo dovrebbe far comprendere immediatamente che mancando la forma, la materia non costituisce diritto al Papato, soprattutto quando poi addirittura il vero Papa c’è! Ecco come cose semplicissime si stravolgono e si invertono completamente, tanto da giustificare, con argomenti che lo escludono totalmente, la possibilità di una carica pontificale reale. Questo dovrebbe pure immediatamente far capire, anche al più ignorante dei teologi e allo più sprovveduto dei fedeli comuni, che una carica materiale nel Papato è cosa assurda ed inconcepibile, cosa per cui, seguendo l’assicurazione evangelica: “Io sarò con voi [materialmente e formalmente] fino all’ultimo giorno”, c’è da concludere che un vero Papa, materiale e formale c’è sicuramente, è necessità teologica assoluta di fede divina, se non vogliamo bestemmiare accusando il Signore di aver promesso una cosa non vera, accusandoLo cioè di essere un bugiardo ingannatore! Ecco allora l’eresia formal-materialista tradursi in: 1) peccato contro la fede, 2) bestemmia contro il Cristo ingannatore, 3) accusa di inganno e mistificazione contro la Chiesa Corpo mistico infallibile di Cristo; 4) peccato contro lo Spirito Santo; 5) porta spalancata sull’inferno!

Le conseguenze dell’allontanamento dalla metafisica tomistica:

Allontanarsi dalla metafisica dell’essere come actus ultimus omnium essentiarum comporta un grave pericolo di conclusioni disastrose. «Il più piccolo errore intorno alle prime nozioni di essere ecc., produce conseguenze incalcolabili, come ricordava San Pio X, citando queste parole di S. Tommaso: “Parvus error in principio, magnus est in fine”. – Si capisce allora perché San Pio X insegna nella Pascendi (8 settembre 1907) e nel Giuramento anti-modernista Sacrorum Antistitum (1° settembre 1910): “Ammoniamo i maestri di filosofia e teologia che facciano bene attenzione a ciò: allontanarsi anche solo un po’ dall’Aquinate, specialmente in metafisica, comporta un grave pericolo”. – Qui ci siamo non solo allontanati, ma all’aquinate gli abbiamo rivolto le spalle prendendo da subito una direzione opposta. Le conseguenze disastrose, ovviamente sono legate al gravissimo problema della salvezza eterna dell’anima. Che Dio ci salvi!

Domine, salva nos!”

L’amore di questo mondo è il nemico di Dio.

Rus Cassiciacum

Una breve analisi dell’eresia “material-formalista”

[un Sacerdote Cattolico]

“Adulteri, nescitis quia amicitia hujus mundi inimica est Dei? quicumque ergo voluerit amicus esse saeculi hujus, inimicus Dei constituitur” – [o gente adultera! Non sapete che amare il mondo è odiare Dio? Chi dunque vuole essere amico del mondo si rende nemico di Dio] (Giac. IV- 4). –

“Nolite diligere mundum, neque ea quæ in mundo sunt. Si quis diligit mundum, non est caritas Patris in eo” – [Non amate né il mondo, né le cose del mondo! Se uno ama il mondo, l’amore del Padre non è in lui] (1 Giov. II: 15)

Il tema di questa breve analisi è l’attività di cospirazione anticattolica dei “material-formalisti”. In questo caso il termine biblico “adulteri” può essere applicato in senso figurativo o spirituale. – Innanzitutto sarà bene spendere poche parole sui c. d. “Lefebvriani” e sui “Sedevacantisti”, le cui dottrine “eretiche” sono molto facili da capire e non hanno bisogno di molte spiegazioni. A) – I “lefebvriani” asseriscono che la “chiesa” del Vaticano II sia la “vera chiesa” temporaneamente in crisi, che tutti gli antipapi di questa “chiesa” sono veri Papi che “a volte” insegnano errori ed eresie, e tutti i Cattolici hanno il “diritto” di resistere ai “Papi” quando i “papi” insegnano errori e eresie. Tutti i “sacramenti” gestiti dai “sacerdoti” della “chiesa” del Vaticano II sono riconosciuti validi dai “Lefebvriani”. B) – I “sedevacantisti” affermano invece che la “chiesa” del Vaticano II sia una falsa “chiesa” che non ha il Papa, per cui la Chiesa Cattolica stessa si trovi in un periodo di Sede Vacante che dal 1958 perdura fino ai giorni nostri. I “sedevacantisti” non hanno una risposta sul come la Chiesa Cattolica possa ripristinare il vero Papato. I “sacramenti” dell’Ordine, dell’Eucaristia, della Confessione, dell’Unzione e della Confermazione, che vengono amministrati dai “sacerdoti” della “chiesa” del Vaticano II, non sono riconosciuti validi dai “sedevacantisti”.

E veniamo ai “material-formalisti“, che sono i propagatori della eresia più sottile, subdola e malvagia, che deve essere pertanto spiegata. – Uno dei propagandisti molto attivi del “material-formalismo” è Donald Sanborn, autoproclamatosi rettore del “Seminario della Santissima Trinità” in Florida, fondato autonomamente con l’aiuto di generose donazioni dei seguaci della sua eresia, buona parte ex “lefebvriani”. Anche se il personaggio in causa definisce il suo seminario: “cattolico”, di fatto questa “scuola” è sulla falsa riga dei numerosi seminari fasulli del Vaticano II. Lo riteniamo essere il propagandista più attivo dell’eresia “material-formalista” poiché insegna ai suoi seminaristi ed ai laici suoi “fedeli”, ad essere “amici di questo mondo” insieme ai “papi” del Vaticano II. – L’eresia diffusa da Donald Sanborn è conosciuta come “Material-formalismo” (“Sedeprivazionismo” è un altro nome dell’eresia in causa). L’idea principale dell’eresia è che tutti gli antipapi della “chiesa” del Vaticano II siano eletti legalmente e che ogni antipapa sia un “papa materiale”, che “conserva l’autorità di nominare gli elettori (cardinali) al Papato, per il motivo stesso che i cardinali hanno il potere di eleggere”. D. Sanborn insegna che, secondo la tesi “material-formalista”, il Novus Ordo mantiene il potere di nominare le persone che ricevono così il potere di designazione nella Chiesa”. – Questa tesi eretica non è in realtà sua. L’autore di questa falsa tesi, [antimotistica in contraddizione evidente con la XVI Tesi del tomismo -ndr. -] è il teologo domenicano francese Fr. Michel Louis Guerard des Lauriers (1898 – 27 febbraio 1988), un sacerdote validamente consacrato il 29 luglio del 1931. – Dopo il “concilio” Vaticano II, p. Guerard des Lauriers diviene professore e docente al seminario San Pio X di Marcel Lefebvre a Ecône, in Svizzera [pseudo-seminario mai autorizzato secondo le leggi della Chiesa da alcuna autorità che ne avesse facoltà, neanche la fasulla! –ndr.-]. È a questo punto che il domenicano ha dato alla luce, con parto distocico, la sua “creatura”: la sua tesi [c.d. tesi di Cassiciacum, il cui pomposo nome latino è quello della località, oggi Cassago Brianza, in cui Sant’Agostino d’Ippona nel 387 si ritirò in ben altra meditazione e preghiera prima di ricevere il Battesimo –ndr. -], secondo la quale il soglio di Pietro sarebbe stato vacante perché l’antipapa Paolo VI era colpevole di eresia. A causa di questa concezione, Marcel Lefebvre rimosse Guerard des Lauriers dal suo insegnamento nel seminario della “fraternità” fin dal 1977. – Fr. Guerard des Lautiers morì ad Etiolles, Francia, nel 1988 all’età di 90 anni. – Guerard des Lauriers credeva tra l’altro che i nuovi riti dell’ordinazione e della consacrazione episcopale (quelli recentemente promulgati nel “Pontificale Romanum” del 18 giugno 1968) approvati dall’antipapa Paolo VI fossero dubbiosamente validi o addirittura totalmente invalidi: pertanto era necessario intervenire per garantire una “valida” successione apostolica di vescovi per la conservazione della Chiesa Cattolica Romana (latina). Avviò quindi confronti e discussioni con il dottor Eberhard Heller e il dottor Hiller, attivisti sedevacantisti tedeschi che all’epoca ospitavano il vescovo Pierre Martin Ngo Dinh Thuc (1897-1984); il p. Guerard des Lauriers accettò di abbandonare il suo “material-formalismo” e di aderire ai principi teorici del “sedevacantismo”, e in tale sede fu convenuto pure che il vescovo emerito Ngo Dinh Thuc lo avrebbe consacrato vescovo [senza giurisdizione, naturalmente –ndr.-]. – Il 7 maggio 1981, p. Guerard des Lauriers venne infatti consacrato vescovo dal vescovo Ngo Dinh Thuc a Tolone, in Francia. Ma poco dopo la consacrazione, p. Guerard des Lauriers rispolvera il suo “Sedeprivazionismo”, iniziando una feroce polemica con i “Sedevacantisti”, non escludendo neanche il vescovo Ngo Dinh Thuc.

Brevemente sulle “allegre” consacrazioni amministrate dal vescovo Ngo Dinh Thuc.

Alcune tra queste consacrazioni possono essere trattate come dubbiosamente valide o addirittura non valide, perché il vescovo Ngo Dinh Thuc ha affermato egli stesso che, almeno in dieci “consacrazioni”, ha ritenuto l’intenzione sacramentale, cioè ha eseguito una “parodia” sacramentale senza intenzione che invalida il Sacramento stesso. In molti casi era in uno stato di amnesia nel “consacrare” un vescovo tanto che poco dopo, e per diverse ore dopo, non si ricordava di quello che aveva fatto e di ciò che aveva detto, né chi fosse stato il recente “consacrato”. Qualcuno dice che soffrisse di una demenza senile o, allegoricamente, che fosse come “inebriato”, “folle” o “in un’aura soporosa”. Questo significa che probabilmente il vescovo Ngo Dinh Thuc abbia simulato la “consacrazione” di p. Michel Louis Guerard des Lauriers, e che comunque, della stessa, si possano avere sospetti legittimi e seri dubbi. – Dopo una panoramica dei casi delle “consacrazioni”, amministrate dal vescovo Ngo Dinh Thuc, ritorniamo alla eretica tesi del “Material-formalismo”. Secondo la tesi del Des Lauriers, gli antipapi Giovanni XXIII, Paolo VI, Giovanni Paolo I, Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Francesco erano o sono “papi difettosi” in quanto, a causa della supposta adesione alla “eresia modernista”, il loro consenso nel diventare Papa è difettoso e, pur essendo “potenzialmente” Papi, non hanno raggiunto la “pienezza del papato”. – Questa falsa idea si può anche descrivere in altro modo dicendo che: ogni antipapa del Vaticano II sia diventato “papa materialmente”, ma non formalmente (“papa materialiter non formaliter”).

Due conseguenze di questa tesi eretica

 Secondo la tesi Cassiciacum, [mai nemmeno lontanamente ipotizzata dal Magistero Cattolico –ndr-] ne deriva che:

1.- Non esiste una Sede Vacante reale, in quanto un “uomo” ha assunto il ruolo di “papa materiale”;

2. – Che il “papa materiale” (Giovanni XXIII, Paolo VI, Giovanni Paolo I, Giovanni Paolo II, Benedetto XVI o Francesco), recedendo dal modernismo e tornando alla fede cattolica, possa completare il processo di “maturazione” raggiungendo la “pienezza del papato”. – Oltre al p. Michel Guerard des Lauriers, i “tradizionalisti” fasulli che difendono questa visione sono: i “vescovi” Robert McKenna (deceduto) e Donald Sanborn negli Stati Uniti e Francesco Ricossa in Italia con il suo “Istituto Mater Boni Consilii”, il cui “vescovo” Jan Stuyver Geert “operante” nelle Fiandre, è una “emanazione” del McKenna, a sua volta consacrato (?!?), guarda caso, proprio dal Des Lauriers. – Ma torniamo all’”insegnamento” di Donald Sanborn, che rimane in contatto con l’Istituto Mater Bonii Consilii in Italia e visita l’”Istituto” abitualmente. L’araldo della tesi in questione, è stato [non-] ordinato da Marcel Lefebvre, il cui sacerdozio deriva dalla “linea” di un alto membro dell’associazione Massonica, p. Achille Lienart. – Fr. Achille Lienart, nato a Lille, in Francia (7 febbraio 1884), ordinato sacerdote validamente (29 giugno 1907) entrò, come tutti sanno, nella loggia di Cambrai (1912), diventando “visitatore” in massoneria – 18° grado Rosa+croce (1919), quindi 30° grado “cavaliere Kadosh” [grado di consapevolezza luciferina –ndt-], e poi “consacrato” Vescovo (8 dicembre 1928). – Secondo l’infallibile bolla “Cum ex Apostolatus Officio” (1) di papa Paolo IV, p. Achille Lienart, a partire dal 15 ottobre 1912, essendo membro di una notissima associazione che opera contro la Chiesa, non era idoneo ad essere elevato ad alcun ufficio ecclesiastico, oltre che scomunicato “ipso facto” latæ sententiæ.

[. (1) – … 6: “Aggiungiamo che, se mai dovesse accadere in qualche tempo che un vescovo, anche se agisce in qualità di arcivescovo o di patriarca o primate od un cardinale di Romana Chiesa, come detto, od un legato, oppure lo stesso Romano Pontefice, che prima della sua promozione a cardinale od alla sua elevazione a Romano Pontefice, avesse deviato dalla fede cattolica o fosse caduto in qualche eresia (o fosse incorso in uno scisma o abbia questo suscitato), sia nulla, non valida e senza alcun valore, la sua promozione od elevazione, anche se avvenuta con la concordanza e l’unanime consenso di tutti i cardinali; neppure si potrà dire che essa è convalidata col ricevimento della carica, della consacrazione o del possesso o quasi possesso susseguente del governo e dell’amministrazione, ovvero per l’intronizzazione o adorazione dello stesso Romano Pontefice o per l’obbedienza a lui prestata da tutti e per il decorso di qualsiasi durata di tempo nel detto esercizio della sua carica, né essa potrebbe in alcuna sua parte essere ritenuta legittima, e si giudichi aver attribuito od attribuire una facoltà nulla, per amministrare a tali persone promosse come vescovi od arcivescovi o patriarchi o primati od assunte come cardinali o come Romano Pontefice, in cose spirituali o temporali; ma difettino di qualsiasi forza tutte e ciascuna di qualsivoglia loro parola, azione, opera di amministrazione o ad esse conseguenti, non possano conferire nessuna fermezza di diritto, e le persone stesse che fossero state così promosse od elevate, siano per il fatto stesso e senza bisogno di una ulteriore dichiarazione, private di ogni dignità, posto, onore, titolo, autorità, carica e potere ...” (Paolo IV: Bolla Papale “Cum ex Apostolatus Officio”,1559, confermata in toto da una bolla successiva di S. Pio V, INTER MULTIPLICES CURAS del 21.12.1566).

 Ma continuiamo l’analisi dell’insegnamento di Donald Sanborn. – Leggiamo un “illuminante” estratto dell’articolo dello stesso Donald Sanborn: “SPIEGAZIONE DELLA TESI DEL VESCOVO GUÉRARD DES LAURIERS”, che si può trovare sul sito del suo non-cattolico “Most Holy Trinity Seminary” [Seminario della Santissima Trinità].

– “III” … I papi “del “Novus Ordo” hanno una successione materiale, e credo che alcuno possa negare che i “papi” del “Novus Ordo” siano almeno nella stessa condizione dei Vescovi scismatici greci nella prospettiva Apostolica. Il nucleo della questione è: se la nomina di esponenti del “Novus Ordus” ai posti di autorità sia legale e legittima o meno. Tutti direbbero che non sono in condizioni migliori rispetto agli scismatici greci, cioè che essi hanno una successione materiale, ma senza possedere una designazione legittima. I material-formalisti dicono che essi materialmente hanno una successione, ma non una designazione legale e legittima.

D. – Come possiamo avere veri cardinali, se Ratzinger non è il Papa? Non sarebbero essi dei cardinali fasulli?

R. – Possono essere cardinali fasulli, ma non sono elettori falsi. Ratzinger ha l’autorità di nominare elettori al Papato per la stessa ragione che i Cardinali stessi hanno il potere di eleggere. Tutto questo riguarda l’ordine di designazione e non l’ordine di giurisdizione. Ma è il potere di competenza (potere delle regole) che rende Papa un Papa, e non il potere della designazione. La tesi sostiene che il Novus Ordo mantiene il potere di designare le persone per ricevere il potere di competenza nella Chiesa. È una realtà sfortunata, ma è la realtà.

D. – Qual è la soluzione per il problema della Chiesa che la tesi offre?

R. – Ci sono molte soluzioni possibili. .- 1) Ratzinger si converte alla fede cattolica, ripudia il Vaticano II e le sue riforme, e riceve la giurisdizione per governare e diventa così il Papa.

(2) Alcuni cardinali (anche uno sarebbe sufficiente) si convertono, rifiutano il Vaticano II e dichiarano pubblicamente la “vacanza” della sede, chiedendo la convocazione di un nuovo conclave. Questo atto rimuoverà da Ratzinger il titolo ottenuto con elezioni valide. È anche probabile che l’ipotesi 2) si possa applicare ai Vescovi diocesani del “Novus Ordo”, che accederebbero alla vera giurisdizione rifiutando il Vaticano II. È anche vero, secondo la tesi, che queste possibilità sussisterebbero indefinitamente, anche oltre la morte di Ratzinger “.

Questa menzogna molto perniciosa che Donald Sanborn insegna ai suoi seguaci, è nascosta nella sua falsa formula: “Tutto questo riguarda l’ordine di designazione e non l’ordine di giurisdizione, ma è proprio il potere di competenza (potere di regolare) che rende Papa un Papa, e non il potere della designazione”. – Non c’è bisogno di essere un grande teologo per capire che il potere di designazione è parte integrante del potere di giurisdizione. Solo una persona che possiede la pienezza del potere, cioè il potere di competenza, ha anche il potere di designare, perché il potere di designare è parte integrante del potere di regolare. Una persona che non possiede il potere di competenza (potere delle regole) non ha il potere di designazione. – In altre parole, Donald Sanborn mette nella mente dei suoi seguaci l’idea eretica che gli antipapi della “chiesa” del Vaticano II posseggano il potere di giurisdizione perché possiedono il potere della designazione. – Anche la seguente frase di Donald Sanborn è completamente falsa: “Non credo che alcuno possa negare che i” papi “di Novus Ordo si trovino almeno nella stessa condizione dei vescovi scismatici greci nella prospettiva Apostolica». Anche se non pensa che qualcuno lo possa negare, io lo nego totalmente! I vescovi scismatici greci sono almeno validi, anche se illegittimi, perché consacrati, ma i “papi” del “Novus Ordo” sono eretici e scismatici “non consacrati”, e quindi non possono essere “nella stessa condizione dei vescovi scismatici greci”. – Dopo aver letto queste “perle” di Donald Sanborn, si può giungere alla conclusione unica che, in modo molto sofisticato, D. Sanborn insegni a tutti di essere “amico di questo mondo” condizione per cui “si diventa nemico di Dio”.

Vediamo un altro brillante “insegnamento” di Donald Sanborn, quando “critica” l’Amoris Lætitia di Bergoglio. Egli afferma che i “cardinali conservatori” del Vaticano II che hanno protestato contro l’Amoris Lætitia di Bergoglio, possano diventare “salvatori della Chiesa Cattolica”. [Seminary Newsletter, December 2016″]. – Sulla base del citato “insegnamento” di Donald Sanborn, l’antipapa George M. Bergoglio (il sedicente “Francesco”) sarebbe stato il vero papa fino alla pubblicazione dell’Amoris Lætitia. Dall’”insegnamento” di Donald Sanborn quindi, si può concludere che: tranne che in Amoris Lætitia, tutti gli “insegnamenti” di Bergoglio siano assolutamente cattolici e che “… non sia Bergoglio il problema, bensì il Vaticano II stesso”, – che Bergoglio stesso e tutti i “cardinali” siano validamente ordinati e consacrati “vescovi” e che i “cardinali” abbiano solo il compito “di scegliere un uomo che abbia l’intenzione di rifiutare il Vaticano II e le sue riforme” e tutto sarà Ok [il tutto finisce a … tarallucci e vino! ndt.]

Ma leggiamo ancora alcune “preziose” citazioni dalla “DIREZIONE TEOLOGICA DELL’ISTITUTTO CATTOLICO ROMANO”, recentemente fondato da Donald Sanborn: “Inoltre ritengo che i membri della gerarchia di Novus Ordo costituiscano solo la materia gerarchica cattolica, vale a dire che sono in possesso di designazioni legalmente valide per ricevere la giurisdizione, anche se rimangono privati di questa giurisdizione fino a quando non neghino l’apostasia Del Vaticano II e delle sue riforme”. – “Ritengo che i promulgatori modernisti del Vaticano II e delle sue riforme siano spogliati di qualsiasi autorità ecclesiastica a motivo della loro intenzione di comminare alla Chiesa cattolica romana la trasformazione sostanziale delle sue dottrine, della liturgia e delle discipline essenziali, e coloro che sono eletti o nominati nelle posizioni di autorità, per quanto legittime, debbano essere considerati falsi papi e falsi vescovi “. Le citazioni sono tratte dal sito del “Seminario della Santissima Trinità” di Donald Sanborn (APRILE 2017 SUPPLEMENTO de: “L’Istituto Cattolico Romano”). – Si può vedere che Donald Sanborn riconosce che la “gerarchia” del “Novus Ordo”, “sia in possesso di nomine legalmente valide per ricevere la giurisdizione” e che … la “gerarchia” del “Novus Ordo” eletta o designata in posizioni di autorità, sia tuttavia legittima”. – Allo stesso tempo si può notare che c’è una proposta molto strana e illogica – 1) “la gerarchia eletta o nominata in posizioni di autorità, è tuttavia legittima”, 2) ” … debbano essere considerati falsi papi e falsi vescovi”. – Chi sono legittimamente eletti e nominati in posizioni di autorità? E se legittimamente eletti e nominati in posizioni di autorità, perché devono essere considerati falsi papi e falsi vescovi? È un insegnamento molto strano, illogico e non cattolico “. – Quindi, la definizione dell’attività di Donald Sanborn scaturisce dal suo “insegnamento”: egli è un propagandista del Vaticano II, la cui “vocazione” è quella di mantenere le persone legate a cerimonie esterne tradizionali, all’interno del falso sistema anti-cattolico del Vaticano II. Curiose poi sono le sue parole: “È una realtà sfortunata, ma è la realtà”. Lo stesso si può dire proprio di tutti i rappresentanti del “formalismo materiale”.

Alcune conclusioni:

1) Innanzitutto, i “formal-materialisti” (o “Sedeprivazionisti” o “Tesisti”) non riconoscono né la Chiesa cattolica, la Chiesa di Cristo, né il Vicario di Cristo perché al contrario ritengono vera la gerarchia materiale del “Novus Ordo”. I “papi” del Vaticano II, “legittimamente” eletti dai cardinali “falsi” diventano “papi materiali” [e per questo fatto stesso sono dunque fuori della Chiesa cattolica]. Questo significa oltretutto che “i material-formalisti” e tutte le loro strutture sono parte integrante della falsa chiesa del Vaticano II.

2) L’insegnamento di “material-formalisti”: “Se il “papa materiale” (Giovanni XXIII, Paolo VI, Giovanni Paolo I, Giovanni Paolo II, Benedetto XVI o Francesco) ripudia il modernismo e torna alla fede cattolica, raggiunge la “pienezza del papato”, è una asserzione che “rimane in totale contraddizione con la Fede cristiano-Cattolica“. Essi propongono pertanto una “soluzione” molto facile per gli antipapi onde sfuggire alla loro punizione e conducono così milioni di anime all’inferno per mezzo di insegnamenti eretici ed attività sacrileghe.

Ci sono qui da considerare due sottopunti:

2-a) Se si parla della cosiddetta “gerarchia” del Novus Ordo alla luce del Sacramento del Sacerdozio, la gerarchia del Novus Ordo può essere solo formata da “laici in gonnella”, perché essendo stati insediati secondo il “nuovo rito” invalido promulgato dall’antipapa Paolo VI nel 1968, non possono costituire una gerarchia neanche materialmente. Se qualcuno di loro ancora fosse stato validamente ordinato e consacrato secondo il rito romano valido, sarebbe oramai già deceduto, o in età pensionabile di estrema vecchiaia, e quindi non più appartenente in modo attivo alla gerarchia del Novus Ordo.

2-b) Nostro Signore Gesù Cristo dice: “È impossibile che gli scandali non debbano arrivare: ma guai a colui attraverso il quale questi avvengono. È meglio per lui che gli sia messa al collo una pietra da mulino e venga gettato nel mare, piuttosto che scandalizzare uno di questi piccoli” (S. Luca XVII: 1-2). Quindi tutti quegli antipapi e la gerarchia del “Novus Ordo” che hanno scandalizzato centinaia di milioni di piccoli e non si sono pentiti per questo, andranno direttamente all’inferno. Se gli antipapi Giovanni XXIII, Paolo VI, Giovanni Paolo I, Giovanni Paolo II non si sono pentiti prima della loro morte, hanno già raggiunto l’inferno; ma gli antipapi Benedetto XVI e Francesco hanno ancora la possibilità di evitare tale punizione e la dannazione eterna, ma in ogni caso non hanno alcuna possibilità di essere Papi. Entrambi hanno la possibilità della conversione e della penitenza ridotti allo stato laicale, fino alla loro morte. Dopo la morte: Giudizio, Inferno o il cielo attraverso il Purgatorio.

3) Riconoscendo “papi materiali”, infatti, antipapi e demolitori della Fede Cattolica e della morale, tutti i “material-formalisti” (“sedeprivazionisti” o “tesisti”), sia propagandisti che seguaci ordinari, sono caricati di tutti i peccati degli antipapi e di tutte le conseguenze dei loro peccati.

E allora cosa fare?

.1) Se i propagandisti ed i seguaci della eresia “material-formalista” vogliono essere salvati e non vogliono andare all’inferno insieme agli antipapi come ribelli impenitenti contro Cristo stesso, contro i Vicari di Cristo e la Chiesa Cattolica fondata da Cristo, devono “resettare”, cancellare le loro idee eretiche, onde arrestare tutto il sostegno verbale e spirituale ai “papi materiali” del Vaticano II ed alla gerarchia del “Novus Ordo” ed aderire alla Chiesa Cattolica. Devono poi riconoscere e prestare obbedienza al Papa Gregorio XVIII, il vero Successore di Papa Gregorio XVII e di San Pietro Apostolo. Praticamente devono rivolgersi ai sacerdoti ed ai Vescovi validamente ordinati e consacrati in unione con il Papa Gregorio XVIII e, per quanto possibile, ricevere i Sacramenti della Confessione, della Santa Eucarestia, della Confermazione. Se sospettano che il loro battesimo sia invalido o dubbiosamente valido, devono ricevere un Battesimo valido, o incondizionatamente o nella forma condizionata.

Secondo l’insegnamento infallibile della Sacra Scrittura e della Santa Tradizione non esistono altre opzioni!

Un Sacerdote Cattolico.

 

UN’ENCICLICA al giorno toglie il MODERNISTA e l’APOSTATA di torno: “Cum primum”.

In questa enciclica il Santo Padre Clemente XIII deplora l’operato di tanti chierici rosi dalla bramosia del possesso di beni materiali che cercano avidamente non curandosi dello scandalo della corruzione e degli abusi perpetrati, per cui diventano oltretutto “litigiosi e pronti a confondere tutto, per non perdere un vile profitto”. Qualcuno potrebbe pensare che questa lettera sia stata scritta proprio oggi, ma in realtà la situazione si delineava già all’epoca tra i chierici della Chiesa Cattolica. Oggi questo problema non esiste per la Chesa, perché i residui rappresentanti della Gerarchia Cattolica vivono esiliati “in sotterranei”, anfratti, grotte, catacombe, mentre tutti gli abusi e le corruzioni, comprese quelle ben più gravi della sodomia e della pedofilia sono appannaggio della – 1) falsa chiesa conciliare, quindi ben fuori dalla Chiesa Cattolica, l’unica fondata da Cristo nella quale c’è salvezza, oggi “in eclissi”, come ben profetato dalla Vergine Maria alle apparizioni approvate di La Salette, e – 2) delle false chiesuole e posticci istituti, pittoreschi monasteri, fratellanze paramassoniche e marrane, che puntellano la precedente nel convogliare le anime, ingannate con le eresie del a) “papa eretico ed ecumenico”, b) il “papa a mezzo servizio”, per adesso materiale, ma in attesa di maturazione “formale” stagionale, c) il “papa in vacanza”, verso il fuoco eterno. La situazione dell’epoca richiedeva interventi umani, come quelli avanzati da Clemente XIII che ribadiva le sanzioni dei Santi Padri di “felice memoria” a lui antecedenti; la situazione di attuale corruzione spirituale a tutti i livelli richiede “solo” l’intervento divino! Intervento al quale sfuggire unicamente rifugiandosi nell’Arca della Chiesa Cattolica, oggi piccola e fragile barchetta evitata da tutti i clandestini della ecumenica “organizzazione delle religioni unite”, tutti saliti sulle comode e luccicanti navi da crociere del baphomet-lucifero! Che Dio ci salvi!

S. S. Clemente XIII

“Cum primum”

[17 settembre 1759]

“1. Dal momento in cui, per incomprensibile volontà del Pastore eterno fummo collocati sulla Cattedra di San Pietro e accettammo la cura del gregge del Signore, abbiamo udito che molti, ferventi di zelo ecclesiastico, particolarmente pastori di anime e annunziatori della Parola di Dio, percorrono Città e Regioni predicando pentimento al popolo ed emendazione dei costumi. Da parte loro nel compimento del loro ufficio, fu generale il lamento per gli abusi e le corruzioni riscontrati. Con tutte le loro forze essi cercarono di consolidare le tendenze riformatrici e dissero di aver dovuto frequentemente rimproverare l’avarizia e il desiderio di possedere proprio di certi ecclesiastici. Poiché questo vizio è chiamato dallo Spirito Santo radice di ogni male, non stupisce che tutti coloro che ne sono stati posseduti una volta siano indotti comunque a più orribili delitti. Il vizio li rende pigri nell’affrontare gl’impegni della loro vocazione; li avvicina ai desideri secolari; li destina a faccende ed occupazioni mondane, alle quali peraltro rinunziarono pubblicamente quando professarono, nel momento della loro iniziazione sacra, di eleggere Dio quale unico partecipe della loro eredità. Per questo diventano necessariamente anche litigiosi e pronti a confondere tutto, per non perdere un vile profitto, sia sperato, sia già posseduto. Perciò non si vergognano di abbassarsi a qualsiasi depravato impegno e ministero, con disonore della loro dignità. – A causa di questo, capita che molti laici condannano non soltanto coloro che così si comportano, ma spesso tutto il ceto degli ecclesiastici; anzi, con spirito amaro ed ostile, guardano verso questo gruppo di persone delle quali sono costretti a sopportare discordie e controversie per affari terrestri, o dalle quali vedono sottratti mezzi onesti, con cui avrebbero potuto provvedere al sostentamento di se stessi e dei loro parenti.

2. Da queste relazioni, che giudichiamo sufficientemente fondate sulla verità (e dalle quali pensiamo che siano anche indicati alcuni religiosi che talvolta si preoccupano dei profitti temporali delle proprie Comunità e si lasciano trasportare oltre i limiti della moderazione Ecclesiastica) abbiamo compreso che con la Nostra Apostolica autorità, di cui immeritatamente disponiamo, dobbiamo preoccuparci di togliere di mezzo questo tipo di corruzione, dalla quale derivano scandalo ed altri danni al popolo fedele.

3. Veramente, già dalle origini della Chiesa fino al nostro tempo, niente si legge in modo più chiaro e più severo, nei decreti dei Concili o nelle Costituzioni dei Pontefici Romani Nostri predecessori, niente appare più frequentemente o più insistentemente inculcato dai Santi Padri e dai Pastori della Chiesa, che i ministri della Chiesa, sia preti secolari, sia monaci, si debbano astenere dal desiderio di guadagni temporali e tenere lontani dalla sollecitudine di occupazioni mondane. Sono state sancite non solo censure di carattere spirituale, ma anche gravissime pene temporali contro coloro che presumessero di indebolire o violare le regole canoniche in questa materia. – Considerate attentamente tutte queste cose, giudicammo che nient’altro Ci rimanesse, Venerabili Fratelli, se non, dopo avervi informati della costante nostra volontà e della mente dei Nostri Predecessori, aderendo in tutto allo spirito della Chiesa, esortarvi con paterne e fraterne insistenze perché cerchiate di esigere e riusciate ad ottenere la dovuta osservanza delle sacre leggi da tutti gli Ecclesiastici soggetti sia alla vostra ordinaria che delegata giurisdizione, a norma dei sacri Canoni e dei decreti della Sede Apostolica, e rispettivamente degli Statuti Sinodali di ciascuna diocesi.

4. Perché più chiaramente sia manifesto lo zelo Nostro e della Apostolica Sede per la religiosa osservanza delle suddette leggi, ed insieme venga sottratta ogni forza a qualsiasi uso, stile o consuetudine in senso contrario (elementi che, salva la legittima proprietà dei vocaboli, devono essere chiamati piuttosto corruzioni o abusi), mediante i quali gli Ecclesiastici cercassero di proteggere o scusare la loro criminosa interferenza in attività o cure secolari, Noi, per mezzo di questo Documento, approviamo, confermiamo e rinnoviamo tutte e singole le leggi Canoniche e le Costituzioni dei Romani Pontefici Nostri Predecessori contro i Chierici negoziatori e che si immischiano in affari secolari, specialmente quelle emanate da Pio IV, Urbano VIII e Clemente IX, fino all’ultima che la santa memoria del Predecessore Nostro Benedetto XIV divulgò il 25 febbraio 1741, anno primo del suo Pontificato, con tutte parimenti le singole pene e censure per loro mezzo comminate, come se tutti i Decreti in esse contenuti e le loro sanzioni penali fossero inseriti parola per parole in questo Nostro presente Documento. Decretiamo e dichiariamo che a tutte le suddette leggi e pene sono sottoposte, e devono essere ritenute sottoposte, tutte e singole le persone Ecclesiastiche, non solo del Clero secolare, ma anche di quello regolare, di qualsiasi Ordine, Congregazione, Società e Istituto, benché munite di amplissimi e singolari Indulti, Privilegi ed Esenzioni, e dei quali sarebbe necessario fosse fatta anche espressa e particolare menzione: in modo che chiunque abbia a mancare contro simili leggi, incorra nelle pene ivi contenute, e specificamente in quelle di particolare pertinenza, secondo la distinzione dei casi ed il modo di procedere prescritto altre volte dal Concilio di Trento o dall’Apostolica Sede, quando debbano essere multate e punite le azioni. Ciò nonostante qualsiasi uso, stile o consuetudine contrari, anche immemorabili, che siano stati introdotti in qualsiasi Luogo, Diocesi o Regione; in forza delle presenti lettere noi li condanniamo, proscriviamo e con tutte le forze li rendiamo nulli, come usi da condannare e corruzioni da proscrivere.

5. Quindi, Venerabili Fratelli, esortiamo e scongiuriamo Voi tutti nel Signore perché vigilando per l’integrità della Disciplina Ecclesiastica e per la salute delle Anime, indaghiate con zelo circa il modo di comportarsi di tutti i Chierici, soggetti di diritto all’Ordinario od al Delegato; se eventualmente troverete che qualcuno, infetto di tale macchia di avarizia, abbia mancato contro i Canoni e le Costituzioni Apostoliche, a tenore dei medesimi Canoni e Costituzioni, non tralasciate di procedere contro di loro con ogni severità ed anche d’ufficio.

6. In questo, pertanto, dovete badare sommamente a due cose: anzitutto cioè di non permettere che la vostra diligenza sia elusa dalle subdole arti dei delinquenti. Capita infatti spesso che coloro che non ignorano le prescrizioni delle leggi, concordano così fraudolentemente il loro operato, che per quanto la loro mancanza venga portata in giudizio possano sostenere di non aver commesso nulla contro le leggi stesse. Infatti, interposta un’altra persona che pensi a se stessa ed alla propria cupidigia, o col nome altrui iscritto nell’albo e nei libri contabili, sosterranno che l’azienda, o l’appalto di cui si tratta, non appartiene affatto a loro. Ora invece, sapendo entro quali limiti sia contenuta la censura piuttosto severa delle leggi, cercheranno di comportarsi in modo che, qualora siano rimproverati dal Superiore di traffici lucrosi, possano difendersi dicendo che sono stati principalmente indotti a percepire il guadagno non da turpe avidità, ma perché, provvidenzialmente preoccupati di evitare un danno, hanno ricavato insperato profitto per casuale beneficio del tempo. Diranno anche talvolta di prendersi cura dei beni non propri, ma appartenenti a parenti o congiunti per vincolo di sangue e di amicizia: beni ai quali sono annesse negoziazioni compiute per il sostentamento di tali persone, per dovere di carità ed a titolo di direzione.

7. Benché poi, per esperienza acquisita nell’affrontare gl’impegni dell’attività propria del Vescovo, siamo sufficientemente edotti su quanto sia difficile emettere un giudizio in certi casi, nei quali la buona o cattiva fede di colui che è accusato di illecita negoziazione gioca la parte più forte, non per questo dovete pensare che la vostra diligenza sarà priva di ogni effetto, quando almeno gli Ecclesiastici avvertono che voi non siete affatto conniventi riguardo alla violazione di questo importantissimo capitolo della Disciplina Ecclesiastica. Ricaverete infatti grande frutto dal fatto stesso che testimonierete più frequentemente che la vostra e la mente della Chiesa aborriscono dalle loro oscure trame; ai medesimi poi, offrendosi l’opportunità, denuncerete gravemente che Dio non può essere preso in giro (Lui che scruta le reni e i cuori!) e che a nulla serviranno un giorno davanti al suo Supremo Tribunale i cavilli con i quali cercano ora di ingannare il Presule della Chiesa ed evitare le pene inflitte dalle leggi. Del resto non sarà del tutto impossibile conoscere la verità latente della situazione e scoprire il crimine occulto, se con la dovuta cura e la solerzia si scrutano i costumi degli uomini, quali appaiono da tutto il loro tenore di vita, le circostanze delle situazioni e dei casi, che inducono più probabilmente ad accettare o rigettare le scuse addotte. Questo lo potremmo facilmente dimostrare con esempi, se non avessimo fiducia nel Signore, nella saggezza e nell’esperienza delle Vostre Fraternità, come è giusto.

8. Seconda cosa che egualmente dovete evitare, è di non lasciare in alcuna maniera che prevalgano presso di Voi le false interpretazioni delle leggi Canoniche: false interpretazioni dalle quali viene indebolito il loro vigore o deriva un’indulgenza estesa oltre il lecito, contro la mente e lo spirito della Chiesa; interpretazioni derivate da private opinioni e senza il consenso del legittimo Superiore, adattate secondo l’opportunità ai singoli casi di ciascuno, quando la mercatura dei Chierici Regolari o Secolari viene esaminata essendo voi Giudici. Se infatti si tratta della stessa natura del contratto, che in qualche Diocesi suole essere fatta da Ecclesiastici, se cioè da loro debba essere ritenuto lecito o interdetto, non sarà giusto prendere come norma di giudizio o la frequenza degli atti stessi, sulla natura dei quali si inquisisce, o l’opinione stessa dei contraenti; ma per togliere i dubbi, e reprimere la licenza e l’audacia degli opinanti, sarà via sicurissima quella di ricorrere a questa Sede Apostolica, la quale non tralascerà di decidere, come per molte altre simili questioni, per mezzo soprattutto della Congregazione dei Cardinali interpreti del Concilio di Trento, indicando anche per il futuro che cosa si debba pensare dei quesiti presentati: verranno date idonee risposte, dalle quali si potrà ricavare la norma di agire e di giudicare.

9. A proposito di questi argomenti, abbiamo appreso che si attende una dichiarazione esplicita Nostra e della Santa Sede, se sia lecito ai Chierici contrarre Cambio attivo. Benché riteniamo che quasi nessun’altra cosa sia in forma minore soggetto di dubbio, tuttavia per troncare ogni occasione di discussione, in forza della presente lettera dichiariamo e definiamo che il Cambio attivo, per la sua stessa natura, è un atto di vera e propria negoziazione: perciò si deve ritenere vietato a tutti gli Ecclesiastici, sia che venga esercitato in nome proprio come per interposta persona; chiunque perciò del Clero Secolare o Regolare avrà esercitato Cambio attivo, incorre in tutte le pene e censure che sono comminate contro i Chierici negozianti.

10. Se qualche Ecclesiastico, per scusare se stesso per il fatto che è immischiato in affari secolari, adduce la necessità dell’indigenza, non proprio sua (dal momento che a ciascun Chierico il titolo canonico dell’ordinazione deve fornire almeno un sufficiente congruo patrimonio con il quale sostentarsi; mancando poi questo, egli deve provvedere alle proprie necessità con mezzi più onesti e conformi alla sua professione), ma dei Parenti, o delle Sorelle e di altre Persone, alle quali sia tenuto, per debito di dovere naturale, portare aiuto: vogliamo anzitutto e decidiamo che tale scusa non sia accettata mai dal Superiore Ecclesiastico, e che al medesimo Chierico non sia dato credito; in base al prescritto della legge Canonica, sia punito a modo di colpa, se non avrà comunicato in precedenza le predette necessità alla Apostolica Sede (se dimora in Italia o nelle isole adiacenti) o all’Ordinario del luogo (se abita in regioni più remote) ed in considerazione di ciò avrà ottenuto opportuna dispensa dalla medesima Sede Apostolica o dall’Ordinario, e la facoltà di aiutare col suo lavoro le persone suddette.

11. Infine, per quanto riguarda i compiti di questa Nostra Curia, facciamo sapere che è Nostra intenzione e volontà che simili dispense e facoltà non vengano mai concesse, se non a condizione che si basino sulla verità del motivo addotto e non consti che le predette indigenze non si possano risolvere in nessuna altra maniera. Anche in questo caso non sia mai concesso agli Ecclesiastici di trattare alcun genere di negoziazione la cui amministrazione risulti sconveniente con la stato ed il carattere Clericale; anzi, negli stessi Rescritti e Lettere di indulti siano indicate e prescritte ai Chierici le vie più oneste, per mezzo delle quali il Chierico, rispettando la giusta moderazione e nei limiti della vera indigenza, possa portare aiuto ai consanguinei poveri. Anche gli Ordinari, per quanto loro compete, dovranno rispettare tali norme nel concedere dispense e facoltà. Tenendo inoltre presente che ciò che da loro, o dall’Apostolica Sede, talvolta viene riconosciuto a certi singoli Chierici come indulto, concorrendo giuste cause (per esempio, come i fondi delle Chiese, da curare e gestire per una determinata pensione annuale convenuta) non sia rivendicato senza giusta causa dagli altri Ecclesiastici, come cosa concessa generalmente a tutti.

12. Per altro decretiamo che anche le facoltà ottenute come detto siano ritenute sempre, per quanto riguarda il tempo, soggette a revoca, così che siano considerate irrite e revocate “ipso iure”, ogni qualvolta vengano a cessare le annesse indigenze dei Congiunti, o si presenti altra via legittima di provvedere loro opportunamente. Circa l’esecuzione e l’osservanza di tutto ciò, vogliamo che gli Ordinari locali se ne facciano carico con vigile coscienza: e di fatto così stabiliamo.

13. Per la verità, non si deve attribuire unicamente alla mercatura l’abbassamento della Dignità Ecclesiastica che si vede ai nostri giorni. Ci sono altri specifici abusi, a causa dei quali gli uomini Ecclesiastici riducono più frequentemente il proprio decoro e la stima del loro ceto e ordine, perché sanno di non poter contestare apertamente la lettera dei Sacri Canoni e delle Costituzioni emanate dalla Sede Apostolica: pertanto confidano di non incorrere affatto nelle censure e pene ivi contenute. Moltissimi infatti, come venimmo a conoscere dalla relazione dei suddetti, nella stessa amministrazione dei loro beni, nella cultura, nella divisione degli animali, dei frutti e delle altre cose che derivano o sono alimentate nei fondi loro o della Chiesa, o nel procurare le cose che sono necessarie per il proprio uso o per sostenere i predetti fondi, manifestano se stessi talmente immersi in atti di indecenza, talmente dediti totalmente alle cure e sollecitudini di questo secolo, e si mostrano anelanti di lucri temporali, che, pur essendo giustamente ritenuti innalzati per la prestanza della sacra dignità sopra la situazione della condizione umana, abbassano se stessi tra le persone dello stato più abbietto; coloro che dovrebbero essere e apparire figli della luce, sembrano superare i figli del secolo per ansia di terrena avidità. Le relazioni dicevano che costoro si recavano a tutti i mercati e luoghi di commercio in atteggiamento più o meno laicale, e presentavano un esempio assolutamente inferiore a quello Clericale di moderazione, di modestia, di ecclesiastico decoro e gravità.

14. A costoro Noi apertamente dichiariamo che, da parte Nostra, non è minimamente interdetto ciò che a loro è riconosciuto come permesso per la retta e provvida amministrazione del Patrimonio Ecclesiastico, per quanto riguarda la natura stessa dell’atto, oppure è loro raccomandato anche dai Santi Padri e dai Fondatori delle Leggi Ecclesiastiche. In verità come esistono moltissime altre cose che, pur non essendo proibite ai Chierici per la sostanza della cosa, tuttavia a loro ne è permesso l’uso soltanto sotto determinati aspetti e modalità, al punto che a coloro che avranno superato la modalità prescritta, e violato la formalità stabilita della disciplina ecclesiastica, vengono inflitte dai sacri Canoni pene temporali ed anche spirituali censure. Di simili obblighi si trovano innumerevoli esempi nelle leggi generali del diritto Canonico ed anche in speciali statuti delle Diocesi, che prescrivono molti doveri circa la vita, l’onestà, il vestito e la tonsura dei Chierici; così è necessario che voi, Venerabili Fratelli, osservando il modo di agire, conforme a quanto detto prima, di tutti gli Ecclesiastici che si trovano nelle vostre Diocesi, se vi accorgerete che da loro piuttosto frequentemente è accettato ciò che è sconveniente per lo stato clericale, non solo li ammaestriate con opportune istruzioni, di modo che, riflettendo sulla nobiltà della dignità loro conferita, ricordino non essere loro lecito deturparla con atti indecorosi, e neppure togliere dall’animo dei laici la giusta stima e il rispetto verso l’Ordine ecclesiastico, che moltissimo giova anche alle spirituali utilità dei popoli; e perché memori di essere chiamati alla eredità del Signore, cerchino e sviluppino non le cose proprie, ma quelle di Gesù Cristo. Ma per quanto conoscerete essere necessario, con opportuni Decreti già vigenti o con Editti più severi da preparare, vogliate affrontare simile turpitudine e cupidigia dei Chierici; vogliate correggere e punire le colpe dei delinquenti, tenuto conto dello scandalo maggiore o minore, ora rimproverando, ora castigando con salutari penitenze, ora infine con la spada sguainata delle pene ed anche delle censure. Ciò a titolo d’esempio per gli altri.

15. E pari, se non maggiore, sollecitudine del vostro zelo e costanza richiede un altro tipo di corruzione, che abbiamo saputo inficiare molti Ecclesiastici, trascinati alle preoccupazioni del secolo perché sottratti ai servizi della Chiesa. Vi sono infatti degli Ecclesiastici che non ricusano di prestare – per una ricompensa temporale ed abbastanza vile – la loro attività e opera, che per legge di carità dovrebbero dedicare integralmente al culto divino ed in utilità del prossimo: si abbandonano a compiti abietti e servili a favore dei Laici, talvolta anche per amministrare e curare i loro affari. In tale faccenda è difficile giudicare se sia da compiangere maggiormente la cecità di coloro che calpestano, essi stessi, la dignità del loro grado, o piuttosto da riprendere la presunzione dei Laici che disprezzano talmente i Ministri del Santuario, dai quali dovrebbero chiedere testimonianze di vita e sussidi di salute eterna, da non vergognarsi di utilizzarli come addetti ad affari domestici per compiti servili.

16. In verità, più profondamente preoccupa il Nostro animo il pensiero che tale malanno derivi forse da un altro abuso non meno detestabile: che cioè ad alcuni, che temerariamente aspirano allo stato clericale, non capiti talvolta di ingannare il loro Ordinario con documenti falsi e corrotti, e assicuratisi un patrimonio i cui frutti non appartengono a nessuno o non sono di loro competenza, siano promossi agli Ordini Sacri senza un reddito sufficiente per l’onesto sostentamento della loro vita. – Perciò nessuno di voi si meravigli, Venerabili Fratelli, se, approfittando dell’occasione, Vi esortiamo e ammoniamo fortemente, tutti e singoli, perché vi dimostriate più cauti e oculati in questa materia, perché a nessuno dei vostri sudditi sia dato di accostarsi alla Sacra Ordinazione senza che dal Beneficio Ecclesiastico, o dalla Pensione Ecclesiastica o dal Patrimonio da lui stesso preparato (secondo i casi permessi dal diritto, rimossa ogni collusione e frode) percepisca realmente quel reddito annuo che è riconosciuto dagli Statuti sinodali di ciascuna Diocesi o da una legittima, determinata consuetudine.

17. Non tollerate poi che i Chierici ed i Sacerdoti addetti nelle case dei Laici a simili compiti, che sono sconvenienti con la loro dignità e professione, siano trasferiti dal culto divino e dall’esercizio della propria perfezione all’esercizio di lavori servili e ad attività secolari, benché si sforzino talvolta di nascondere il tipo di servizio intrapreso con l’apparenza di modalità più oneste. Non permettete che avviliscano tranquilli nel loro disonore, oppure forse, caparbi, si vantino impunemente della loro defezione dall’ambito della Chiesa, ma con ogni attenzione della vostra sollecitudine pastorale e, per quanto sia necessario, con tutta l’autorità della giurisdizione ordinaria o delegata, rispettando ciò che deve essere rispettato, procurate di richiamarli alle istituzioni della vita Ecclesiastica ed agli impegni della Milizia Clericale.

18. Queste sono le cose, Venerabili Fratelli, che giudicammo opportuno suggerire alla vostra sollecitudine e fermamente raccomandare in forza dell’impegno del Nostro Ministero Apostolico, per difendere e rivendicare l’onestà e la dignità dell’Ordine Ecclesiastico. In questo affare, che dipende sommamente da particolari circostanze di azioni, è necessario che Voi siate assolutamente protagonisti, per il fatto che Voi potete meglio conoscere e giudicare più sicuramente le azioni dei vostri sudditi e le relative circostanze, le necessità delle regioni, i costumi delle persone, tutto ciò che presso uomini prudenti e probi abbia l’apparenza di onesto o di indecoroso e debba essere stabilito nei singoli luoghi. Perché poi Vi sia dato, in questo genere di cose, maggiore libertà di correggere e riformare tutto ciò che è disordinato, permettiamo che sia determinato dal vostro prudente giudizio qualsiasi indulto di dispensa o facoltà (circa quanto precedentemente detto) finora concesso da qualsiasi Ufficio della Curia Romana; e vogliamo che in seguito non ne sia concesso alcuno se non dopo aver sentito prima le Vostre relazioni e i Vostri voti, con aggiunte al medesimo indulto quelle formule e condizioni, mediante le quali sia lasciato a Voi l’intero potere di dare informazioni sulla loro esecuzione e sull’esito, in modo che a nessun Ecclesiastico sia lecito, con un pretesto, assumere alcun lavoro o servizio meno onesto, o ritenerlo e prolungarlo contro la Vostra proibizione. – Frattanto, confidando nel Vostro zelo pastorale, impartiamo di cuore alle Fraternità Vostre l’Apostolica Benedizione.”

Dato a Roma, presso Santa Maria Maggiore, il 17 settembre 1759, nell’anno secondo del Nostro Pontificato.

 

Un’ENCICLICA AL GIORNO, TOGLIE IL MODERNISTA APOSTATA DI TORNO: “ANNUM SACRUM”

Nella domenica infra l’ottava della Festa del Sacro Cuore di Gesù, ci è sembrato opportuno rileggere la lettera enciclica di S. S. Leone XIII “Annum sacrum” con la preghiera di Consacrazione dell’umanità al Sacro Cuore di Gesù, una preghiera da inserire nel nostro bagaglio di devozioni abituali.

Leone XIII

“Annum sacrum”

Lettera Enciclica

La consacrazione dell’umanità al sacro Cuore di Gesù

25 maggio 1899

Con nostra lettera apostolica abbiamo recentemente promulgato, come ben sapete, l’anno santo, che, secondo la tradizione, dovrà essere tra poco celebrato in quest’alma città di Roma. Oggi, nella speranza e nell’intenzione di rendere più santa questa grande solennità religiosa, proponiamo e raccomandiamo un altro atto veramente solenne. E abbiamo tutte le ragioni, se esso sarà compiuto da tutti con sincerità di cuore e con unanime e spontanea volontà, di attenderci frutti straordinari e duraturi a vantaggio della religione cristiana e di tutto il genere umano. – Più volte, sull’esempio dei nostri predecessori Innocenzo XII, Benedetto XIII, Clemente XIII, Pio VI, Pio VII, Pio IX, ci siamo adoperati di promuovere e di mettere in sempre più viva luce quella eccellentissima forma di religiosa pietà, che è il culto del sacratissimo Cuore di Gesù. Tale era lo scopo principale del nostro decreto del 28 giugno 1889, col quale abbiamo innalzato a rito di prima classe la festa del Sacro Cuore. Ora però pensiamo a una forma di ancor più splendido omaggio, che sia come il culmine e il coronamento di tutti gli onori, che sono stati tributati finora a questo Cuore sacratissimo e abbiamo fiducia che sia di sommo gradimento al nostro redentore Gesù Cristo. La cosa, in verità, non è nuova. Venticinque anni fa infatti, all’approssimarsi del II centenario diretto a commemorare la missione che la beata Margherita Maria Alacoque aveva ricevuto dall’alto, di propagare il culto del divin Cuore, da ogni parte, non solo da privati, ma anche da vescovi, pervennero numerose lettere a Pio IX, con le quali si chiedeva che si degnasse di consacrare il genere umano all’augustissimo Cuore di Gesù. Si preferì, in quelle circostanze, rimandare la cosa per una decisione più matura; nel frattempo si dava facoltà alle città, che lo desideravano, di consacrarsi con la formula prescritta. Sopraggiunti ora nuovi motivi, giudichiamo maturo il tempo di realizzare quel progetto. – Questa universale e solenne testimonianza di onore e di pietà è pienamente dovuta a Gesù Cristo proprio perché re e signore di tutte le cose. La sua autorità infatti non si estende solo ai popoli che professano la fede Cattolica e a coloro che, validamente battezzati, appartengono di diritto alla Chiesa (anche se errori dottrinali li tengono lontani da essa o dissensi hanno infranto i vincoli della carità), ma abbraccia anche tutti coloro che sono privi della fede cristiana. Ecco perché tutta l’umanità è realmente sotto il potere di Gesù Cristo. Infatti Colui che è il Figlio unigenito del Padre e ha in comune con Lui la stessa natura, “irradiazione della sua gloria e impronta della sua sostanza” (Eb 1,3), ha necessariamente tutto in comune con il Padre e quindi il pieno potere su tutte le cose. Questa è la ragione perché il Figlio di Dio, per bocca del profeta, può affermare: “Sono stato costituito sovrano su Sion, suo monte santo. Il Signore mi ha detto: Tu sei mio Figlio; io oggi ti ho generato. Chiedi a me e ti darò in possesso le genti e in dominio i confini della terra” (Sal II,6-8). Con queste parole egli dichiara di aver ricevuto da Dio il potere non solo su tutta la chiesa, raffigurata in Sion, ma anche su tutto il resto della terra, fin dove si estendono i suoi confini. Il fondamento poi di questo potere universale è chiaramente espresso in quelle parole: “Tu sei mio Figlio”. Per il fatto stesso di essere il figlio del re di tutte le cose, è anche erede del suo potere universale. Per questo il salmista continua con le parole: “Ti darò in possesso le genti”. Simili a queste sono le parole dell’apostolo Paolo: “L’ha costituito erede di tutte le cose” (Eb 1,2). – Si deve tener presente soprattutto ciò che Gesù Cristo, non attraverso i suoi apostoli e profeti, ma con le stesse sue parole ha affermato del suo potere. Al governatore romano che gli chiedeva: “Dunque tu sei re”, egli, senza esitazione, rispose: “Tu lo dici; io sono re” (Gv XVIII,37). La vastità poi del suo potere e l’ampiezza senza limiti del suo regno sono chiaramente confermate dalle parole rivolte agli apostoli: “Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra” (Mt XXVIII,18). Se a Cristo è stato concesso ogni potere, ne segue necessariamente che il suo dominio deve essere sovrano, assoluto, non soggetto ad alcuno, tanto che non ne può esistere un altro ne uguale ne simile. E siccome questo potere gli è stato dato e in cielo e in terra, devono stare a lui soggetti il cielo e la terra. Di fatto egli esercitò questo suo proprio e individuale diritto quando ordinò agli apostoli di predicare la sua dottrina, di radunare, per mezzo del battesimo, tutti gli uomini nell’unico corpo della chiesa, e di imporre delle leggi, alle quali nessuno può sottrarsi senza mettere in pericolo la propria salvezza eterna. – E non è tutto. Cristo non ha il potere di comandare soltanto per diritto di nascita, essendo il Figlio unigenito di Dio, ma anche per diritto acquisito. Egli infatti ci ha liberato “dal potere delle tenebre” (Col 1,13) e “ha dato se stesso in riscatto per tutti” (1Tm II,6). E perciò per lui non soltanto i Cattolici e quanti hanno ricevuto il Battesimo, ma anche tutti e singoli gli uomini sono diventati “un popolo che egli si è conquistato” (1Pt II,9). A questo proposito sant’Agostino osserva giustamente: “Volete sapere che cosa ha comprato? Fate attenzione a ciò che ha dato e capirete che cosa ha comprato. Il sangue di Cristo: ecco il prezzo. Che cosa può valere tanto? Che cosa se non il mondo intero? Per tutto ha dato tutto”. – San Tommaso, trattando della questione, indica perché e come gli infedeli sono soggetti al potere e alla giurisdizione di Gesù Cristo. Posto infatti il quesito se il suo potere di giudice si estenda o no a tutti gli uomini, risponde che, siccome “il potere di giudice è una conseguenza del potere regale”, si deve concludere che “quanto alla potestà, tutto è soggetto a Gesù Cristo. anche se non tutto gli è soggetto quanto all’esercizio del suo potere”. Questa potestà e questo dominio sugli uomini lo esercita per mezzo della verità, della giustizia, ma soprattutto per mezzo della carità. – Tuttavia Gesù, per sua bontà, a questo suo duplice titolo di potere e di dominio, permette che noi aggiungiamo, da parte nostra, il titolo di una volontaria consacrazione. Gesù Cristo, come Dio e Redentore, è senza dubbio in pieno e perfetto possesso di tutto ciò che esiste, mentre noi siamo tanto poveri e indigenti da non aver nulla da potergli offrire come cosa veramente nostra. Tuttavia, nella sua infinita bontà e amore, non solo non ricusa che gli offriamo e consacriamo ciò che è suo, come se fosse bene nostro, ma anzi lo desidera e lo domanda: “Figlio, dammi il tuo cuore” (Pro XXIII,26). Possiamo dunque con la nostra buona volontà e le buone disposizioni dell’animo fare a lui un dono gradito. Consacrandoci infatti a lui, non solo riconosciamo e accettiamo apertamente e con gioia il suo dominio, ma coi fatti affermiamo che, se quel che offriamo fosse veramente nostro, glielo offriremmo lo stesso di tutto cuore. In più lo preghiamo che non gli dispiaccia di ricevere da noi ciò che, in realtà, è pienamente suo. Così va inteso l’atto di cui parliamo e questa è la portata delle nostre parole. – Poiché il sacro Cuore è il simbolo e l’immagine trasparente dell’infinita carità di Gesù Cristo, che ci sprona a rendergli amore per amore, è quanto mai conveniente consacrarsi al suo augustissimo Cuore, che non significa altro che donarsi e unirsi a Gesù Cristo. Ogni atto di onore, di omaggio e di pietà infatti tributati al divin Cuore, in realtà è rivolto allo stesso Cristo. – Sollecitiamo pertanto ed esortiamo tutti coloro che conoscono e amano il divin Cuore a compiere spontaneamente questo atto di consacrazione. Inoltre desideriamo vivamente che esso si compia da tutti nel medesimo giorno, affinché i sentimenti di tante migliaia di cuori, che fanno la stessa offerta, salgano tutti, nello stesso tempo, al trono di Dio. – Ma come potremo dimenticare quella stragrande moltitudine di persone, per le quali non è ancora brillata la luce della verità cristiana? Noi teniamo il posto di Colui che è venuto a salvare ciò che era perduto e diede il suo sangue per la salvezza di tutti gli uomini. Ecco perché la nostra sollecitudine è continuamente rivolta a coloro che giacciono ancora nell’ombra di morte e mandiamo dovunque missionari di Cristo per istruirli e condurli alla vera vita. Ora, commossi per la loro sorte, li raccomandiamo vivamente al sacratissimo Cuore di Gesù e, per quanto sta in noi, a Lui li consacriamo. – In tal modo questa consacrazione che esortiamo a compiere, potrà giovare a tutti. Con questo atto, infatti, coloro che già conoscono e amano Gesù Cristo, sperimenteranno facilmente un aumento di fede e di amore. Coloro che, pur conoscendo Cristo trascurano l’osservanza della sua legge e dei suoi precetti, avranno modo di attingere da quel divin Cuore la fiamma dell’amore. Per coloro infine che sono più degli altri infelici, perché avvolti ancora nelle tenebre del paganesimo, chiederemo tutti insieme l’aiuto del cielo, affinché Gesù Cristo, che li tiene già soggetti “quanto al potere”, li possa anche avere sottomessi “quanto all’esercizio di tale potere”. E preghiamo anche che ciò si compia non solo nel mondo futuro, “quando Egli eseguirà pienamente su tutti la sua volontà, salvando gli uni e castigando gli altri”, ma anche in questa vita terrena con il dono della fede e della santificazione, in modo che, con la pratica di queste virtù, possano onorare debitamente Dio e tendere così alla felicità del cielo. – Tale consacrazione ci fa anche sperare per i popoli un’era migliore; può infatti stabilire o rinsaldare quei vincoli, che, per legge di natura, uniscono le nazioni a Dio. – In questi ultimi tempi si è fatto di tutto per innalzare un muro di divisione tra la Chiesa e la società civile. Nelle costituzioni e nel governo degli stati, non si tiene in alcun conto l’autorità del diritto sacro e divino, nell’intento di escludere ogni influsso della Religione nella convivenza civile. In tal modo si intende strappare la fede in Cristo e, se fosse possibile, bandire lo stesso Dio dalla terra. Con tanta orgogliosa tracotanza di animi, c’è forse da meravigliarsi che gran parte dell’umanità sia stata travolta da tale disordine e sia in preda a tanto grave turbamento da non lasciare vivere più nessuno senza timori e pericoli? Non c’è dubbio che, con il disprezzo della Religione, vengono scalzate le più solide basi dell’incolumità pubblica. Giusto e meritato castigo di Dio ai ribelli che, abbandonati alle loro passioni e schiavi delle loro stesse cupidigie, finiscono vittime del loro stesso libertinaggio. – Di qui scaturisce quella colluvie di mali, che da tempo ci minacciano e ci spingono con forza a ricercare l’aiuto in colui che solo ha la forza di allontanarli. E chi potrà essere questi se non Gesù Cristo, l’unigenito Figlio di Dio? “Non vi è infatti altro nome dato agli uomini sotto il cielo, nel quale sia stabilito che possiamo essere salvati” (At IV,12). A lui si deve ricorrere, che è “la via, la verità e la vita” (Gv XIV,6). Si è andati fuori strada? bisogna ritornare sulla giusta via. Le tenebre hanno oscurato le menti? è necessario dissiparle con lo splendore della verità. La morte ha trionfato? bisogna attaccarsi alla vita. – Solo così potremo sanare tante ferite. Solo allora il diritto potrà riacquistare l’autentica autorità; solo così tornerà a risplendere la pace, cadranno le spade e sfuggiranno di mano le armi. Ma ciò avverrà solo se tutti gli uomini riconosceranno liberamente il potere di Cristo e a lui si sottometteranno; e ogni lingua proclamerà “che Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre” (Fil II,11). – Quando la Chiesa nascente si trovava oppressa dal giogo dei Cesari, a un giovane imperatore apparve in cielo una Croce auspice e nello stesso tempo autrice della splendida vittoria che immediatamente seguì. Ecco che oggi si offre ai nostri sguardi un altro divinissimo e augurale segno: il Cuore sacratissimo di Gesù, sormontato dalla croce e splendente, tra le fiamme, di vivissima luce. In Lui sono da collocare tutte le nostre speranze; da lui dobbiamo implorare e attendere la salvezza. – Infine non vogliamo passare sotto silenzio un motivo, questa volta personale, ma giusto e importante, che ci ha spinto a questa consacrazione: l’averci Dio, autore di tutti i beni, scampato non molto tempo addietro da pericolosa infermità. Questo sommo onore al Cuore sacratissimo di Gesù, da Noi promosso, vogliamo che rimanga memoria e pubblico segno di gratitudine di tanto beneficio. – Ordiniamo perciò che, nei giorni 9, 10 e 11 del prossimo mese di giugno, nella chiesa principale di ogni città o paese, alla recita delle altre preghiere si aggiungano ogni giorno anche litanie del sacro Cuore da Noi approvate. Nell’ultimo giorno poi si reciti, venerabili fratelli, la formula di consacrazione, che vi mandiamo con la presente lettera. – Come pegno di favori divini e testimonianza della nostra benevolenza, a voi, al clero e al popolo affidato alle vostre cure, impartiamo di cuore, nel Signore, l’apostolica benedizione.

Roma, presso San Pietro, il 25 maggio 1899, anno XXII del nostro pontificato

Formula di consacrazione da recitarsi al sacratissimo Cuore di Gesù

 “Iesu dolcissime, Redemptor humani generis, respice nos ad altare tuum humillime provolutos. Tui sumus, tui esse volumus; quo autem Tibi coniuncti firmius esse possimus, en hodie Sacratissimo Cordi tuo se quisque nostrum sponte dedicat. – Te quidem multi novere numquam. Te, spretis mundatis tuis, multi repudiarunt. Miserere utrorumque, benignissime Iesu: atque ad sanctum Cor tuum rape universos. Rex esto, Domine, nec fidelium tantum qui nullo tempore discessere a Te, sed etiam prodigo rum filiorum qui Te reliquerunt fac has, ut domum paternam cito repetant, ne miseria et fame pereant. Rex esto eorum, quos aut opinionum error deceptos habet, aut discordia separatos, eosque ad portum veritatis atque ad unitatem fidei revoca, ut brevi fiat unum ovile et unus pastor. Rex esto denique eorum omnium, qui in vetere gentium superstitione versantur, eosque e tenebris vindicare ne renuas in Dei lumen et regnum. Largire, Domine, Ecclesiæ tuæ securam cum incolumitate libertatem; largire cunctis gentibus tranquillitatem ordinis: perfice, ut ab utroque terræ vertice una resonet vox: Sit laus divino Cordi, per quod nobis parta solus: ipsi gloria et honor in sæcula. Amen”.  

 [“O Gesù dolcissimo, o redentore del genere umano, riguardate a noi umilmente prostesi dinanzi al vostro altare. – Noi siamo vostri, e vostri vogliamo essere; e per poter vivere a voi più strettamente congiunti, ecco che ognuno di noi oggi si consacra al vostro sacratissimo Cuore. Molti purtroppo non vi conobbero mai; molti, disprezzando i vostri comandamenti, vi ripudiarono. – O benignissimo Gesù, abbiate misericordia e degli uni e degli altri; e tutti quanti attirate al vostro Cuore santissimo. – O Signore, siate il re non solo dei fedeli che non si allontanarono mai da voi, ma anche di quei figli prodighi che vi abbandonarono; fate che questi quanto prima ritornino alla casa paterna, per non morire di miseria e di fame. – Siate il Re di coloro che vivono nell’inganno dell’errore o per discordia da voi separati: richiamateli al porto della verità e all’unità della fede, affinché in breve si faccia un solo ovile sotto un solo pastore. – Siate il Re finalmente di tutti quelli che sono avvolti nelle superstizioni del gentilesimo, e non ricusate di trarli dalle tenebre al lume e al regno di Dio. – Largite, o Signore, incolumità e libertà sicura alla vostra Chiesa, largite a tutti i popoli la tranquillità dell’ordine: fate che da un capo all’altro della terra risuoni quest’unica voce: sia lode a quel Cuore divino da cui venne la nostra salute; a Lui si canti gloria e onore nei secoli. Così sia].

 

CANONIZZAZIONE (4)

V. ELENCO DELLE C. PREPARATE DALLA S. CONGREGAZIONE

DEI RITI, DA CLEMENTE VIII ( 1594) FINO A Pio XII

(seguono in ultimo le c. già fissate definitivamente per l’Anno Santo 1950 fino a tutto giugno 1949. Da notare che alle volte le bolle di c. non sono state pubblicate contemporaneamente all’atto della c. solenne; l’elenco dà unicamente le date delle c. solenni).

Clemente VIII, il 14 apr. 1594, s. Giacinto Odrovaz (15 ag. 1257); il 29 apr. 1600, s. Raimondo di Penafort (6 genn. 1275).

Paolo V, il 29 maggio 1608, s. Francesca dei Ponziani (9 marzo 1440); il I° nov. 1610, s. Carlo Borromeo (3 nov. 1584).

Gregorio XV celebrò, il 12 marzo 1622, per la prima volta nella storia, la c. di un gruppo di cinque santi s. Teresa di Gesù (15 ott. 1582), s. Filippo Neri (26 maggio 1595), s. Ignazio di Loyola (31 luglio 1556), s. Francesco Saverio (2 dic. 1552), s. Isidoro agricoltore (maggio 1130).

Urbano VIII, il 25 maggio 1625, s. Elisabetta regina del Portogallo (4 luglio 1336); il 24 apr. 1629, s. Andrea Corsini (6 genn. 1373).

Dopo l’interruzione di quasi trent’anni: Alessandro VII; il l ° nov. 1658, s. Tommaso da Villanova (8 sett. 1555); il 19 apr. 1665, s. Francesco di Sales (28 dic. 1622).

Clemente IX, il 28 apr. 1669, s. Pietro d’Alcàntara (18 ott. 1562) e s. Maria Maddalena de’ Pazzi (25 luglio 1607).

Clemente X, seconda c. cumulativa d i cinque santi, il 12 apr. 1671 : s. Rosa da Lima (24 ag. 1617), s. Luigi Bertràn (9 ott. 1581), s. Gaetano da Thiene (7 ag. 1547), s. Francesco Borgia (30 sett. 1572), s. Filippo Benizi (22 ag. 1585).

Alessandro VIII, altra c. di cinque santi il 16 ott. 1690: s. Lorenzo Giustiniani (8 genn. 1455), s. Giovanni da S. Facondo (11 giugno 1479), s. Pasquale Baylon (17 maggio 1592), s. Giovanni di Dio (8 marzo 1550), s. Giovanni da Capistrano (23 ott. 1456).

Clemente XI, il 22 maggio 1712, s. Pio V (l° maggio 1572), s. Andrea Avellino (10 nov. 1608), s. Felice da Cantalice (18 maggio 1587), s. Caterina Vigri da Bologna (9 marzo 1463).

Benedetto XIII, il 10 dic. 1726, s. Turibio Alfonso di Mogrovejo (23 marzo 1606), s. Giacomo della Marca (28 nov. 1476), s. Agnese Segni da Montepulciano (20 apr. 1317); il 27 dic. 1726, s. Pellegrino Laziosi (1° maggio 1345), s. Giovanni della Croce (de Yepes; 14 dic. 1591), s. Francesco Solano (14 luglio 1610); il 31 dic. 1726, s. Luigi Gonzaga (21 giugno 1591) e s. Stanislao Kostka (15 ag. 1568); il 16 maggio 1728, s. Margherita da Cortona (22 febbr. 1297); il 19 marzo 1729, s. Giovanni (Nepomuceno) Welflin da Pomuk (16 maggio 1393) .

Clemente XII, il 16 giugno 1736, s. Vincenzo de’ Paoli ( Depaul; 27 sett. 1660), s. Giovanni Francesco Regis (31 dic. 1640), s. Caterina Fieschi-Adorno, da Genova (15 sett. 1510), s. Giuliana Falconieri (19 giugno 1340).

Benedetto XIV, terza c. quintupla, il 29 giugno 1746: s. Fedele da Sigmaringa (Marco Roy; 24 apr. 1622). s. Camillo de Lellis (14 luglio 1614), s. Pietro Regalado (13 maggio 1456), s. Giuseppe da Leonessa (4 febbr. 1612), s. Caterina de’ Ricci (2 febbr. 1590).

Clemente XIII fece la prima c. di sei santi insieme il 16 luglio 1767: s. Giovanni Vacenga da Kanty (24/25 dic. 1473), S. Giuseppe da Copertino (18/19 sett. 1663), s. Giuseppe Calasanzio (25 ag. 1648), s. Girolamo Emiliani (8 febbr. 1537), s. Serafino da Montegranaro (12 ott. 1604) s. Giovanna Francesca Frémiot di Chantal (13 dic. 1641). Segue una parentesi di 40 anni.

Pio VII fa un’altra c. d i 3 santi, il 24 maggio 1807: s. Francesco Caracciolo (4 giugno 1608), s. Benedetto da S. Filadelfo, il « Moro » (4 apr. 1589), s. Angela Merici (27 genn. 1540), s. Coletta Boilet (6 marzo 1447), s. Giacinta Marescotti (30 genn. 1640). Segue altra parentesi di 35 anni. Gregorio XVI, il 26 maggio 1839, procede ad altra c. quintuplice: s. Alfonso M. de’ Liguori (1 ag. 1787). s. Francesco di Gerolamo (11 maggio 1716), s. Giovanni Giuseppe della Croce ( Carlo Gaetano; 5 marzo 1734), s. Pacifico da S. Severino (24 sett. 1721), s. Veronica Orsola Giuliani (9 luglio 1727).

Pio IX, l’8 giugno 1862: 26 martiri giapponesi (6 francescani, 3 gesuiti, 17 laici: 5 febbr. 1597) e s. Michele de Santi (10 apr. 1725); il 29 giugno 1867, c. solenne per il centenario della morte di s. Pietro: s. Giosafat Kuncewif (12 nov. 1623) e s. Pietro da Arbué; (17 sett. 1485), martiri; i 19 martiri di Gorkum (11 francescani, un domenicano, tre premonstratensi, un canonico di s. Agostino, quattro sacerdoti secolari, un laico: 9 luglio 1572), s. Paolo della Croce (Paolo Francesco Danei; 18 ott. 1775), s. Leonardo da Porto Maurizio 26 nov. 1751), s. Maria Francesca delle Cinque Piaghe (Anna Maria Gallo; 6 ott. 1791), s. Germana Cousin (1601 senz’altra indicazione; la festa fu fissata al 15 giugno). –

Leone XIII, l’8 dic. 1881, s. Giovanni Battista de Rossi (23 maggio 1764), s. Lorenzo da Brindisi (Cesare de Rossi; 22 luglio 1619), s. Benedetto Giuseppe Labre (16 apr. 1783), s. Chiara da Montefalco (18 ag. 1308); il 15 genn. 1888, i Sette fondatori dell’Ordine dei Servi di Maria, s. Pietro Claver (8 sett. 1654), s. Giovanni Berchmans (13 ag. 1621), s. Alfonso Rodriguez (31 ott. 1617); il 27 maggio 1897, s. Antonio M . Zaccaria (5 luglio 1539), s. Pietro Fourier (9 die. 1640); i l 24 maggio 1900, s. Giovanni Battista de la Salle (7 apr. 1719), s. Rita da Cascia (22 maggio 1457).

Pio X, l’11 dic. 1904, s. Alessandro Sauli (11 ott. 1592), s. Gerardo Maiella (15 ott. 1755); il 20 maggio 1909, s. Giuseppe Oriol (22 marzo 1702), s. Clemente M. Hofbauer (15 marzo 1820).

Benedetto XV, il 13 maggio 1920, s. Gabriele dell’Addolorata (Francesco Possenti; 27 febbr. 1862) e s. Margherita Maria Alacoque (17 ott. 1690), il 16 seguente s. Giovanna d’Arco (30 maggio 1431).

Pio XI celebrò 15 c. Nell’anno santo 1925: il 17 maggio 1925, s. Teresa del Bambino Gesù (Ter. Martin; 21 dic. 1897); il 21, s. Pietro Canisio ( Kanis, Kanijs; 21 dic. 1597); il 24, s. Maria Maddalena Postel (16 luglio 1846), s. Maddalena Sofia Barat (24 maggio 1865); il 31, s. Giovanni Eudes (19 ag. 1680), s. Giovanni Batt. M. Vianney (4 ag. 1859). Il 22 giugno 1930, s. Lucia Filippini (25 marzo 1732), s. Caterina Thomas (5 apr. 1374); il 29, gli otto martiri gesuiti « canadesi », s. Giovanni di Brébeuf e compagni (1642-49), s. Roberto Bellarmino (17 sett. 1621), s. Teofilo da Corte (19 maggio 1740). Durante l’Anno Santo della Redenzione 1933-34 vi furono sei c. Il 4 giugno 1933, s. Andrea Uberto Fournet (13 maggio 1834); 1′ 8 dic., s. Maria Bernarda Soubirous (16 apr. 1879); il 14 genn. 1934, s. Giovanna Antida Thouret (24 ag. 1826); il 4 marzo, s. Maria Michela del S.mo Sacramento (Desmaisières; 24 ag. 1865); l’11, s. Luisa de Marillac, vedova Le Gras (15 marzo 1660); il 19, s. Giuseppe Benedetto Cottolengo (30 apr. 1842), s. Pompilio M. Pirrotti (15 luglio 1766), s. Teresa Margherita del S. Cuore di Gesù (Anna M. Redi; 7 marzo 1770); il l° apr. 1934, s. Giovanni Bosco (31 genn. 1888); il 20 maggio, s. Corrado da Parzham ( Giov. Ev. Birndorfer; 21 apr. 1894). Il 19 maggio 1935, s. Giovanni Fisher (22 giugno 1535) e s. Tommaso More (6 luglio 1335); il 17 apr. 1938, s. Andrea Bobòla (16 maggio 1657), s. Giovanni Leonardi (9 ott. 1609), s. Salvatore da Orta (18 marzo 1567).

Pio XII, il 3 maggio 1940, s. Gemma Galgani (11 apr. 1903), s. Maria di s. Eufrasia Pelletier (24 apr. 1868) il 7 luglio 1946, s. Francesca Sav. Cabrini (22 dic. 1917): il 15 maggio 1947, s. Nicola di Flue (21 marzo 1487); il 22 giugno, s. Giovanni de Britto (4 febbr. 1693), s. Bernardino Realino (2 luglio 1616), s. Giuseppe Cafasso (23 giugno 1860); il 6 luglio, s. Michele Garicoìts (14 maggio 1863) e s. Elisabetta Bichier des Ages (26 ag. 1838); il 20 luglio, s. Luigi Maria Grignion di Montfort (28 apr. 1716); il 27 luglio, s. Caterina Labouré (31 dic. 1876); il 15 maggio 1949, s. Giovanna di Lestonnac (2 febbr. 1640); il 12 giugno, s. Maria Giuseppa Rossello (7 dic. 1880) ; il 22 maggio 1950, s. Bartolomea Capitanio (26 luglio 1833) e s. Vincenza Gerosa (28 giugno 1847); il 28 maggio 1950, s. Giovanna di Valois (4 febbr. 1505). [12 giugno 54 Domenico Savio, Gaspare del Bufalo, Pietro Chanel, Giuseppe Pignatelli, Maria Crocifissa Do Rosa, Pio X. – ndr. -]

LA C. EQUIPOLLENTE. – Il termine giuridico c. equipollente è una creazione, come pare, di Prospero Lambertini (Benedetto XIV) e precisamente introdotta nella sua nota opera circa la beatificazione e la c. Nella beatificazione si soleva, al suo tempo, distinguere una beatificazione formale, in tutta regola secondo la procedura canonica, e una beatificazione equipollente. Tale distinzione nacque ai tempi di Urbano VIII; in forza dei suoi decreti, quando preesisteva sotto determinate condizioni giuridiche un culto liturgico, era possibile ottenerne dalla S. Sede la ricognizione, equivalente, negli effetti pratici, ad una beatificazione formale: indi la denominazione beatificazione «equipollente ». Ora, il Lambertini, raccogliendo l’immenso materiale per la sua opera, riscontrò un certo parallelismo alle beatificazioni formale ed equipollente anche nel campo della c. Egli dovette registrare dei casi ove l’effetto finale era identico a quello raggiunto in forza di una c. formale, senza che vi fossero mai stati né la procedura canonica, né l’atto stesso di “una c. formale. Tutti questi casi il Lambertini li raccolse sotto la denominazione « c. equipollente ». Ne parlò lungamente nel 1. I, cap. 41 e intravvide una duplice specie di c. equipollente: 1) Molti santi infatti, come i martiri dell’antichità, i SS. Padri e dottori antichi, molti santi medioevali godono in tutta la Chiesa di culto universale, e su loro non fu mai fatto un processo, mai emanata una sentenza; tutto fu l’effetto di uno sviluppo storico; secondo il Lambertini, abbiamo qui una c. equipollente ed egli non omette, per scrupolo giuridico, di notare che certamente non manca, in questi casi, il consenso dei Sommi Pontefici, almeno tacito. Ci sono poi altri santi, martiri, confessori, vergini, che in tutta la Chiesa vengono comunemente considerati santi, ma la loro festa viene celebrata soltanto in determinate regioni, come, ad es., Genoveffa, Sigismondo, Rocco e innumerevoli altri. Anche qui esiste il consenso della Chiesa, mentre la festa effettiva rimane circoscritta. Anche qui manca la procedura canonica e la formale c., ma l’effetto è uguale; basta ricordare che anche per i santi formalmente canonizzati, oltre l’atto della c., ci vuole un secondo atto, con cui il Papa impone anche la festa alla Chiesa universale. Dunque siamo sempre nell’ambito della c. equipollente.

2) Il Lambertini costituisce però un secondo gruppo di santi, per i quali constata l’atto pontificio dell’imposizione della festa a tutta la Chiesa, senza però alcuna procedura precedente canonica né un atto di c. formale. Sono i santi inseriti per atto pontifìcio nel calendario universale. Siccome poi un calendario della Chiesa universale, in senso stretto, esiste soltanto dai tempi di S. Pio V (v. CALENDARIO DELLA CHIESA UNIVERSALE), la c. equipollente in quest’ultimo senso si riscontra in tutti i casi, in cui un Papa inserisce la festa di un santo, non mai canonizzato formalmente, nel detto calendario. Il Lambertini, fra l’altro, adduce come esempi i ss. Romualdo, Norberto, Brunone, Pietro Nolasco, Raimondo Nonnato, Giovanni de Matha e Felice di Valois, Stefano d’Ungheria, Venceslao, Gregorio VII ecc. Dopo i tempi di Benedetto XIV la lista di tali casi si potrebbe di molto allungare (ss. Pietro Damiani, Beda il Venerabile, Cirillo di Gerusalemme e Cirillo di Alessandria, s. Scolastica, Ireneo, Bonifacio apostolo della Germania, Agostino apostolo dell’Inghilterra ecc.). – Infatti i liturgisti e i canonisti hanno accettato questo modo di vedere del Lambertini, e fino ai nostri tempi passarono come esempi della c. equipollente soprattutto i casi dell’inserzione di santi non formalmente canonizzati nel calendario della Chiesa universale. Senonché lo stesso Lambertini, nella stessa opera, 1. IV, parte 2 a, cap. 6, si diffonde largamente circa la concessione di Messa ed Ufficio in onore di santi non canonizzati; qui presenta come esempi, fra altri, anche Norberto, Brunone, Pietro Nolasco, Giovanni di Matha e Felice di Valois, Stefano d’Ungheria, tutti già presentati come esempi della c. equipollente; ora qui non parla più di c. equipollente, ma di cosa completamente differente. I casi citati dunque sono o non sono c. equipollenti? Almeno la cosa non appare troppo chiara, e l’autore ha alquanto complicato le cose. – Ma i tempi recentissimi ci portarono finalmente due atti pontifici, dichiarati espressamente come c. equipollenti, cioè le c. equipollenti di s. Alberto Magno, sotto Pio XI (16 dic. 1931: AAS, 24 [1932], pp. 1-17) e di s. Margherita d’Ungheria sotto Pio XII (19 nov. 1943: AAS, 36 [1943], pp. 33-40) . In entrambi i casi precedette uno studio storico-critico della sezione storica della S. Congregazione dei Riti e le susseguenti discussioni dei consultori storici e soprattutto della Congregazione ordinaria. Mancò quindi la procedura normale; non furono chiesti miracoli; ma il Sommo Pontefice procedette, di sua piena autorità, alla proclamazione dei due personaggi come santi, e da venerarsi come tali in tutta la Chiesa. Per s. Alberto Magno la festa fu imposta contemporaneamente a tutta la Chiesa, dato anche che egli era stato dichiarato, nello stesso atto pontificio, Dottore della Chiesa universale; la festa invece di s. Margherita non fu imposta a tutta la Chiesa. In entrambi gli atti pontifici è chiaramente detto che l’atto stesso vuol essere una vera e piena c. equipollente. – Da questo momento si delinea, per la c. equipollente, una duplice accezione: nel senso del Lambertini, cioè come estensione o imposizione della festa di un santo non formalmente canonizzato, e che oggi dev’essere chiamata c. equipollente in senso improprio o largo; e nel senso dei due atti pontifici ora citati, cioè la vera e propria c. equipollente nel senso stretto. – Quando furono elaborati gli schemi per il CIC, era stato preparato anche uno schema per la c. equipollente, ma poi fu ritirato per lasciare ai Sommi Pontefici la piena libertà di procedere in questo campo. Quindi una definizione giuridica precisa o una norma per la procedura “ad casum” non esiste. Certo è però che un personaggio da proporsi al Papa per una c. equipollente dovrà presentare alcuni elementi inderogabili, come, ad es., l’autenticità della persona stessa, la prova storica delle virtù o la certezza del martirio, l’esistenza di veri miracoli operati dalla persona dopo la sua morte, l’esistenza di un vero e proprio culto liturgico antico, la sua origine, la sua continuazione, e un certo rilievo della persona stessa, elementi storicamente provati nei due casi finora esistenti della c. equipollente vera e propria.

VII. C. E CHIESA. – La c. costituisce, nella vita della Chiesa Cattolica, un elemento essenziale, in quanto che attesta la santità della Chiesa stessa attraverso la storia, proprietà o nota distintiva della vera Chiesa di Cristo, confessata nel simbolo niceno-costantinopolitano. Questa santità dev’essere esternamente controllabile, e Chiesa deve poter mostrare al mondo la santità delle sue membra in modo tangibile. Non si tratta qui soltanto della santità comune alla quale sono chiamati tutti i cristiani, ma soprattutto della santità esimia, alla quale possono arrivare ed arrivano di fatto molti cristiani. La nota della santità esimia non mancò mai alla Chiesa cattolica, ma trattandosi di un elemento esterno, la Chiesa deve avere il modo e la facoltà di dichiarare, in forma dottrinale, che questa o quella persona è veramente santa, vale a dire, che esprime, nella sua vita, l’ideale evangelico, previssuto e chiesto da Cristo. Questa dichiarazione ufficiale è appunto la c. – Per la vita della Chiesa quindi è necessario che non le manchi mai la nota della santità, ma non è necessario per la Chiesa che venga canonizzato questa o quella persona. Del numero dei santi che vissero e vivranno nella Chiesa, solo pochi sono e saranno quelli che, per disposizione positiva della Provvidenza, arriveranno al riconoscimento esplicito della santità nella c. Questa è anche la ragione per cui la Chiesa, come tale, non prende l’iniziativa per introdurre una causa, ma lascia ciò alla Provvidenza, la quale si serve ai suoi scopi dei mezzi e delle vie ordinarie. – Talvolta però la storia di una causa rivela molto chiaramente disposizioni particolari di Dio; vedi, ad es., la rapidità straordinaria con cui si svolse la causa del frate cappuccino Corrado da Parzham (la causa più rapidamente condotta a termine nei tempi recenti: introduzione 1914, c. 1934). – L’oggetto immediato e diretto della definizione papale, nella c., è solo il fatto che l’anima della persona santa gode certamente la gloria celeste; ciò però non è un fatto, incluso direttamente nel tesoro della rivelazione soprannaturale, chiusa dopo la morte dell’ultimo apostolo; quindi il Papa non lo può definire come oggetto di fede divina, ma solo come oggetto di fede ecclesiastica. – Il Concilio Vaticano, nella sua esposizione dell’infallibilità del Papa, non nomina espressamente la c. dei santi come oggetto dell’infallibilità pontificia. È però dottrina comune dei teologi che il Papa nella c. è veramente infallibile, trattandosi di un atto importantissimo attinente alla vita morale della Chiesa universale, in quanto che il santo non viene soltanto proposto alla venerazione perché gode la gloria celeste, ma anche perché modello delle virtù e della santità reale della Chiesa. – Ora, sarebbe intollerabile se il Papa in una tale dichiarazione che implica tutta la Chiesa, non fosse infallibile. Questa dottrina risulta da non poche bolle di c., anche del medioevo, dalle deduzioni dei canonisti, sin dal medioevo, e dei teologi sin da s. Tommaso d’Aquino. Benedetto XIV insegna che è certamente eretico e temerario insegnare il contrario.

 [Nota: Come abbiamo potuto vedere, la Canonizzazione è una faccenda estremamente seria e complessa, che nel tempo ha assunto, data l’importanza capitale della questione, caratteri rigorosissimi. Ogni elemento viene setacciato con cura e valutato attentamente da commissioni che si succedono per gradi, inserito in un mosaico perfettissimo in cui ogni tessèra deve trovare la sua giusta collocazione. Questo fa ben comprendere come il Santo Padre abbia una grande responsabilità spirituale nel proporre alla Chiesa Universale un culto ed un esempio di virtù eroiche da additare ai fedeli. Pertanto, come più volte è stato riportato, massimamente dal Santo Padre Benedetto XIV [P. Lambertini], una autorità assoluta in materia. … “sarebbe intollerabile se il Papa in una tale dichiarazione che implica tutta la Chiesa, non fosse infallibile … ed è certamente eretico e temerario insegnare il contrario!” Se ci imbattiamo invece in canonizzazioni strane, di soggetti notoriamente empi, eretici, anticristiani, tendenti al protestantesimo, all’indifferentismo religioso ed all’ecumenismo multietnico, garantiti da miracoli ridicoli, da raffreddori guariti in estate o simili, questo non vuol dire che il Papa sia fallibile in materia di canonizzazione e la Chiesa la tana di aspidi velenose: significa semplicemente che chi ha sottoscritto la santità di un soggetto notoriamente “dannato”, almeno secondo il giudizio dei sacri canoni, del Magistero e dei catechismi della Santa Madre Chiesa, semplicemente non è un Papa, bensì un impostore fasullo. Praticamente l’ultima canonizzazione fu quella del 27 aprile 1958 di S. Teresa di Gesù Jornet y Ibars1843-1897- alla quale sono succedute invalidamente, [perché gestite da antipapi marrani modernisti apostati e scismatici della falsa chiesa dell’uomo, da Roncalli fino ad oggi, che non hanno alcuna autorità … o forse ce l’hanno nelle logge degli Illuminati ?!?] una caterva di pseudo-beati e pseudo-santi che sono da considerare come “mai canonizzati”; tra essi chiaramente ci saranno anche delle sante persone degne di attenzione e di venerazione, ma canonicamente non sono assolutamente da considerarsi tali, né possono costituire oggetto di venerazione o di culto da parte dei Cattolici. È probabile che quando la Chiesa Cattolica sarà emersa dall’eclissi attuale, alcuni di essi saranno validamente canonizzati da un “vero” Papa liberamente e validamente eletto, ma al momento il loro culto è sacrilego e blasfemo, perché non conforme alle leggi della Chiesa Cattolica (anzi “imposto” fuori dalla “vera” Chiesa Cattolica) e soprattutto perché avallato da servi della sinagoga di satana: falsi religiosi, falsi cardinali e veri antipapi].

 

CANONIZZAZIONE (3)

 [LA C. PAPALE O UNIVERSALE]

b) Periodo secondo : fino a Sisto V. Gregorio X ordina l’inquisitio per il processo di s. Margherita d’Ungheria (18 genn. 1270) a tre prelati ungheresi. Nel 1271 il processo era chiuso, ma a Roma giudicato insufficiente (il processo è andato perduto); pertanto Innocenzo V commise a due italiani esperti della Curia di istituire un secondo processo (1276) con gli « interrogatoria » mandati da Roma. Il processo è conservato, ma non ebbe poi seguito. Soltanto recentemente (1943) Margherita è stata canonizzata equipollentemente da Pio XII (v. appresso c. equipollente). – Onorio IV poco prima della sua morte (3 apr. 1287) nel convento di S. Sabina a Roma, ricevuta la notizia della morte di Ambrogio Sansedoni, domenicano senese (20 marzo 1287), circondato da fama di santità e di miracoli straordinari, ordinò subito a quattro domenicani di recarsi a Siena per iniziare le dovute indagini. I commissari, sopravvenuta la morte del Papa, continuarono, pur senza forma di processo, a riunire il materiale in proposito. Ma tutto si fermò lì. Quando poi nel 1442-1443 Eugenio IV fu sollecitato di procedere alla c., promise di farlo a Roma. Intanto, il 16 apr. 1443, concesse alla provincia romana dei Domenicani di solennizzare la festa di Ambrogio « velut si sanctus esset canonizatus »: ma una c. formale non ebbe mai luogo. – Bonifacio VIII, nel luglio 1297, a Orvieto, canonizzò s. Luigi IX, re di Francia (25 ag. 1270). Questa c. ha un certo sapore politico, perché fatta dal Papa in seguito alla sua rappacificazione con Filippo IV, re di Francia. – Clemente V, il 5 maggio 1313, canonizzò, in Avignone, s. Pietro de Murrone, Celestino V papa (19 maggio 1296). – Giovanni XXII, il 7 apr. 1317, canonizzò s. Ludovico vescovo di Tolosa (19 ag. 1297); il 17 apr. 1320, s. Tommaso Canteloup, vescovo di Herford (3 ott. 1282); c., il 18 luglio 1323, s. Tommaso d’Aquino (7 marzo 1274), sempre in Avignone. – Clemente VI, ancora in Avignone, i l 26 giugno 1347, canonizzò s. Ivo Hélory (19 maggio 1303) e, il 19 sett. 1351, s. Roberto de Furlande, abate di Chaise-Dieu (17 apr. 1067). – Urbano V, il 15 apr. 1369, canonizzò, in Avignone, s. Elzeario de Sabran, conte di Ariano (27 sett. 1323). La bolla di c. fu pubblicata da Gregorio XI il 15 genn. 1371. Era l’ultima c. fuori Roma. – Sotto Gregorio XI è degno di nota il caso di Carlo di Blois, conte di Bretagna, caduto nella battaglia di Auray il 29 sett. 1364. Il processo di c. fu costruito regolarmente ad Angers nel 1374 e spedito ad Avignone. Il Papa, secondo la relazione dell’ambasciatore veneziano, già in procinto di partire per Roma, decise di far la solenne c. a Marsiglia il giorno precedente la sua partenza che realmente avvenne il 2 ott. 1376: ma nessuna fonte ci attesta l’avvenuta c. La c. di s. Caterina, figlia di s. Brigida, posta da diversi autori al 1378, sotto Urbano VI, manca di ogni fondamento storico; la sua festa, permessa da Sisto IV, fu fissata da Leone X, il 21 marzo 1512, al 25 giugno, « donec ad eius canonizationem deveniatur ». Alla stessa epoca era viva in Francia la fama del taumaturgo Pietro, conte di Lussemburgo (2 ag. 1387). L’antipapa Clemente VII (Roberto di Ginevra), che l’aveva creato cardinale vescovo di Metz, commise a tre cardinali una prima indagine e, nel Concistoro del 16 giugno 1389, Pietro d’Ailly, a nome di Carlo VI, ne perorò la causa. Nominata nuovamente una commissione di cardinali, nel 1390 fu costruito il processo in base a non meno di 280 articoli, ma, dati i tempi turbinosi, tutto si fermò lì. Nel 1433 Eugenio IV riprese la causa, e il Concilio di Basilea nel 1435 istituì una nuova commissione, ma ancora una volta senza esito. Finalmente papa Clemente VII, il 7 apr. 1527, dopo iterate istanze, emanò una bolla in cui permise che il predetto Pietro e Luigi Aleman potessero esser venerati come « .. donec… ad canonizationem deventum fuerit ». Ma la c. non fu mai fatta. – Bonifacio IX, il 7 ott. 1391, canonizzò s. Brigida (23 luglio 1373), nella cappella del palazzo Vaticano, e il giorno seguente, domenica, ne celebrò la Messa solenne. – Martino V canonizzò, il 26 marzo 1425, s. Sebaldo eremita (19 ag., sec. VII o VIII). Egli ordinò anche l’inquisizione per Edvige, regina di Polonia (17 luglio 1399); nel 1426 Alberto Jastrzembiec, arcivescovo di Gnesna, nella sua qualità di visitatore apostolico del regno di Polonia, istituì di nuovo una sottocommissione per raccogliere testimonianze sulla regina; nel 1450 il cancelliere regio Giovanni Dlugos notò rassegnato che non c’era più speranza per la causa. – Eugenio IV celebrò, il 1 febbr. 1447, la c. di s. Nicola da Tolentino (10 sett. 1306), e, poiché il novello Santo apparteneva all’Ordine degli Eremiti agostiniani, terminata la funzione in s. Pietro, il Papa si recò in grandiosa processione alla chiesa di s. Agostino per celebrarvi la Messa. – Niccolò V, il 24 maggio 1450, canonizzò s. Bernardino dagli Albizeschi, da Siena (20 maggio 1444). – Callisto III, il 1 genn. del 1456, canonizzò s. Osmundo, vescovo di Salisbury (4 dic. 1099); il 29 giugno 1456 s. Vincenzo Ferreri (5 apr. 1419). La pubblicazione della bolla avvenne, sotto Pio II, il 1 ott. 1458. Il 15 ott. 1457 canonizzò s. Alberto da Trapani, carmelitano (7 ag. i307); la pubblicazione della bolla fu fatta da Sisto IV, il 31 maggio 1476. Pio II, il 29 giugno 1461, canonizzò s. Caterina Benincasa, da Siena (29 apr. 1380). – Paolo II nel 1466 ordinò il processo per s. Emma di Gurk (29 luglio 1045). In una lettera all’imperatore Federico III (1467) affermò che intendeva procedere alla c., ma solo nel 1938 si ebbe l’approvazione del culto col titolo di « santa ». Paolo II intervenne anche nella causa di s. Andrea Corsini (6 genn. 1373), caso quanto mai interessante per la storia della c. Andrea fu subito venerato a Firenze, e a lui si attribuì, nella guerra di Firenze contro Milano del 1440, la salvezza della città. Nell’anniversario della liberazione si espose solennemente il corpo. Il Papa visitò il suo sepolcro e acconsentì senz’altro a tutte le manifestazioni di venerazione ormai regolari. Paolo II finalmente, ad istanza di Firenze, formò la commissione di tre cardinali, allora necessaria per iniziare il processo di c. La causa fu ripresa sotto Clemente VIII e Paolo V, ma soltanto sotto Urbano VIII, nel 1629, si poté procedere alla formale c. Si vedrà come Urbano VIII stroncò una volta per sempre certe affermazioni di culto che certo apparivano non del tutto scevre di inconvenienti. – Sisto IV. E da notare il caso particolare dei protomartiri francescani del Marocco, Bernardo, Pietro, Ottone, Accursio e Adiuto (16 genn. 1220). Il Papa aveva concesso « vivæ vocis oraculo » di celebrarne la festa nelle chiese dell’Ordine francescano; ma levatesi varie opposizioni, il Papa emanò un breve i l7 ag. 1481, nel quale dichiarò espressamente che i frati Minori « ubicumque et solemniter ac publice » potevano celebrare questa festa. Questa concessione rientra quindi perfettamente nelle concessioni papali di un culto limitato, ma con tutte le prerogative di un culto di santi canonizzati: una c. « minore », se si vuole, ma sempre una c. Il 14 maggio 1482 canonizzò s. Bonaventura (14 luglio 1274). – Innocenzo VIII canonizzò solennemente, i l6 genn. 1485, s. Leopoldo III, duca d’Austria, della famiglia dei Babenberg (15 nov. 1136). – A Giulio II (1508) si ascrive un caso simile a quello di Sisto IV, per i martiri camaldolesi Benedetto, Giovanni, Matteo, Isacco e Cristiano (10 nov. 1003, presso Poznan). Però la notizia è una invenzione del sec. XVII. Il 15 dic. 1512 egli approvò il culto da secoli prestato a Notgero di S. Gallo, detto il Balbo, (6 apr. 912) per il monasterò di S. Gallo e per la diocesi di Costanza, con la clausola però « quod… propterea canonizatus aut alias approbatus non censeatur », dunque esclude positivamente l’effetto di una c. formale, a differenza di simili concessioni precedenti già ricordate. La c. formale già talmente radicata come atto supremo del Papa, che bisognava prevenire possibili malintesi derivanti da concessioni di grado minore. – Leone X, il 1 maggio 1519, canonizzò s. Francesco di Paola (2 apr. 1507) e, nel 1521, s. Casimiro, figlio di Casimiro IV il Grande, re di Polonia (4 marzo 1484). – Adriano VI, il 31 maggio 1523, canonizzò, primo caso di questo genere, in un’unica c. due santi insieme: s. Antonino, arcivescovo di Firenze (2 maggio 1459) e s. Bennone, vescovo di Meissen (16 giugno 1105 o 1107); la bolla però fu promulgata da Clemente VII il 26 nov. 1523. – Paolo III nel 1537 commise al nunzio di Sicilia di istituire il processo di c. di Guglielmo Cuffitella, eremita a Scicli (4 apr. 1411). Esaminatolo, il 26 febbr. 1538, il Papa permise per il momento il culto già esistente, ma con la clausola : « quod dictus Guglielmus, propter præmissa, canonizatus non censeatur»; la c. formale, non venne mai. Questi e simili casi sono i primi indizi di quella che in seguito doveva essere la beatificazione. – Sisto V canonizzò, il 2 luglio 1588, s. Diego da Alcalà (13 nov. 1463) ed è l’ultima c. secondo lo stile antico. La Congregazione dei Riti, istituita appena da qualche mese, non poté infatti intervenirvi in alcun modo. Durante il secondo periodo delle c. papali, si constata subito una decisa e completa affermazione di tali c. come unica forma legittima per la costituzione di un culto universale. Ma tuttavia, anche se nelle bolle pontificie generalmente la festa del nuovo santo viene prescritta in termini categorici, in realtà poche di quelle feste sono entrate nell’uso venerale della Chiesa; i culti rimasero circoscritti, de facto, a territori più o meno limitati. Qualche volta invece anche nelle stesse bolle papali tale limitazione viene espressamente stabilita, senza per questo derogare alla qualità di « santi » dei relativi canonizzati. Qualche volta però l’intervento papale è avvenuto, con espressa esclusione dell’effetto completo della c.; sono i primi indizi della futura beatificazione formale distinta dalla c. – La procedura e il rito della c. in questo periodo ci è noto in primo luogo attraverso alcune precise descrizioni. G. Gaetani Stefaneschi, nipote di Bonifacio VIII, cardinale nel 1295, m. nel 1341, lasciò una relazione sulla c. di s. Celestino V e di s. Tommaso Canteloup, in prosa; una seconda su s. Celestino, in versi, e una terza su s. Luigi di Tolosa, inserita nell’Ordo Romanus XIV (capp. 111 e 115). – Nella procedura canonica appare una novità che però in seguito non fu mantenuta, cioè tutta una serie di concistori per lo studio del processo, e la scelta di 7 o 8 prelati della Curia incaricati di esporre, il giorno della c., il contenuto del processo in forma di predica al popolo. Interessante la notizia che il Papa, nell’ultimo concistoro, nominava due cardinali, generalmente religiosi, con incarico di preparare i testi liturgici, uno le lezioni, l’altro le antifone, i responsori e l’Oremus. Appare poi un personaggio nuovo: il procuratore della causa della c., ordinariamente l’ambasciatore di uno Stato cattolico. Questi dovrà domandare al Papa a volersi degnare di ascoltare i prelati che peroreranno la causa del canonizzando; seguono le prediche dei 7 o 8 prelati al popolo; il Papa, dopo il canto del Confiteor, dà l’assoluzione e pubblica l’indulgenza. In un secondo tempo poi, in chiesa, il Papa stesso tiene il sermone e chiede che si preghi. Intonato il Veni Creator, si continua, dopo il canto, a pregare in silenzio; poi il Papa pronunzia la formula della c., canta il Te Deum, con l’Oremus del nuovo santo. Segue il Confiteor, con l’indulgenza di 7 anni e 7 quarantene, e la Messa solenne. – Ca. cento anni dopo lo Stefaneschi, il patriarca di Grado, Pietro Amely (Petrus Amelii; m. nel 1403), nel 1395 stese una relazione sulla c. di s. Brigida, inserita nell’Ordo Romanus XV (cap. 153). Da questa relazione si conoscono altre novità introdotte: dopo la proclamazione della c., i procuratori chiedono al Papa di rogare il pubblico istrumento dell’atto. Mentre si canta il Te Deum, vengono distribuite torce di peso diverso, secondo il grado della persona cui sono destinate, e si fa una grandiosa processione verso il palazzo Vaticano. Nella cappella si chiude la funzione con l’Oremus e l’indulgenza. Finalmente, durante la Messa, un’altra novità, la quale costituisce ancora oggi per il pubblico una delle più curiose attrattive della c. Dopo il Vangelo i tre cardinali commissari della causa escono dalla sacrestia di S. Pietro con le oblazioni: il primo porta due grandi torce dorate, il secondo due pani, coperti con panni recanti gli stemmi dei tre cardinali e di s. Brigida, il terzo due barilotti dorati, pieni di vino e con gli stessi stemmi. Seguono cinque procuratori e l’avvocato della causa, e ciascuno offre un canestrello verde con due colombe bianche e due tortore. Nel caso di s. Brigida, il Papa, per riguardo alla Santa tanto venerata, concesse l’indulgenza in forma di giubileo, cioè un’indulgenza plenaria. Importante la notizia dell’Amely che la causa ebbe tre cardinali commissari; da altre fonti successive sappiamo che essi furono scelti dai tre ordini: dei vescovi, preti e diaconi. I cardinali commissari, alla loro volta, avevano nominato sottocommissari (vescovi, abati o altri dignitari) con le facoltà necessarie per la costruzione del processo apostolico. Durante il sec. xv, l’esame dei processi di c., la rubricazione ecc., passò agli uditori di Rota, nominati sin dai tempi di Innocenzo III, per lo studio e la trattazione di certe cause. Dopo Bonifacio VIII gli uditori che formano già un collegio ben determinato, furono incaricati di esaminare i processi di c. Nella c. di s. Bonaventura appare per la prima volta la notizia del canto delle litanie dei santi. Per la c. di s. Francesco di Paola il noto cerimoniere pontificio Paris de Grassis rivide tutto il cerimoniale, nelle forme ormai tradizionali, rimasto in uso, nelle grandi linee, fino ad oggi.

c) Periodo terzo. – Evoluzione della procedura e della trattazione delle cause da parte della S. Congregazione dei Riti. Nel generale riordinamento della Curia voluto da Sisto V nel 1588, con il quale furono istituite 15 Congregazioni cardinalizie, la S. Congregazione dei Riti occupa il quinto posto. A questa il Papa affidò, fra l’altro, anche il compito: « diligentem quoque curam adhibeant cardinales circa sanctorum canonizationem ». Con questa semplice frase, venne affidato ufficialmente e stabilmente alla nuova Congregazione tutta la preparazione delle cause dei santi fino alla loro piena maturazione, quando cioè potevano essere presentate al Papa nei soliti concistori, per l’ultimo esame formale. Fino a questo momento lo studio immediato dei processi inviati nell’Urbe era stato affidato agli uditori di Rota; però gli uditori non funzionarono, nelle cause dei santi, come collegio, ma isolatamente. Un organo permanente, che sorvegliasse e accompagnasse ogni causa attraverso le varie fasi fino al termine, mancava. Accadde non di rado che un processo, portato in Curia e deposto nella casa di uno dei tre soliti cardinali commissari, per la morte di uno, andasse smarrito. Anche i processi venivano costruiti con criteri molto disparati. Ora, Sisto V, affidando tutta la materia della c. alla nuova Congregazione dei Riti, gettò le fondamenta per la formazione definitiva di quella procedura che gode giustamente in tutto il mondo la meritata fama. Era troppo evidente che agli inizi la Congregazione avesse bisogno di trovare la giusta strada, di raccogliere esperienze, di formarsi una prassi stabile, di trovare soluzioni, norme, applicazioni generiche in tanta varietà di materia. Questo periodo di orientamento e di stabilizzazione durò dal 1588 fino a tutto il pontificato di Urbano VIII (1623 – 44). Spetta a lui il merito di aver indirizzata la procedura canonica della c. a quella austerità e sicurezza che vige ancora. Nel 1642 egli fece pubblicare in un volumetto di 63 pagine tutti i decreti e i successivi schiarimenti emanati durante il suo lungo governo in materia di c.; porta il titolo: Urbani VIII O. M. Decreta servando in canonizatione et beatificatone sanctorum. Accedunt Instructiones declarationes quas Emi et Rmi S. R. E. Cardinal præsulesque romanæ Curiæ ad id muneris congregate ex eiusdem Summi Pontificis mandato condiderunt. – Si apre con due decreti della S. Inquisizione (13 marzo e 2 ott. 1625), fondamentali in materia di culto. Fino a quel momento erano nati continuamente nuovi culti. I grandi santi della Riforma cattolica, come s. Ignazio, s. Filippo Neri, s. Francesco Saverio, s. Teresa, suscitarono quasi subito una spontanea venerazione popolare che presto si trasformò in vero culto, anzi molto esteso, prima che la Chiesa si fosse pronunziata in merito alla loro santità. Urbano VIII vietò d’un colpo ogni culto ecclesiastico nuovo; anzi, d’allora in poi l’esistenza di un tale culto recente doveva costituire un impedimento alla procedura canonica. Così non pochi culti più o meno recenti furono allora troncati, altri si spensero da sé. Con ciò cessò qualunque spinta indisciplinata e pericolosa verso la c. Per simili ragioni gli stessi decreti vietarono la pubblicazione di libri o scritti sulla vita, sui miracoli, sul martirio, su rivelazioni ecc. di persone, morte in concetto di santità, senza previa approvazione ecclesiastica e senza debite proteste dell’autore di non voler in alcun modo prevenire il giudizio della Chiesa in questa materia. Per la stessa ragione fu vietato anche di porre alle sepolture di tali persone qualsiasi segno di culto religioso. In un supplemento ai sopraddetti decreti, fu permesso solo di accettare e di conservare, ma in luogo appartato e segreto, gli « ex-voto », affinché servissero, eventualmente, come attestato di fama di santità e di miracoli in una futura trattazione della causa. Considerato però il fatto che un culto già esistente poteva avere anche le sue ragioni giuridiche, fu stabilito che culti formati « per communem Ecclesiæ consensum, vel immemorabilis temporis scientia, ac tolerantia Sedis Apostolicæ, vel Ordinami », non venissero pregiudicati. Segue il celebre breve Cælestis Hierusalem cives (5 luglio 1634), nel quale si inculcano le prescrizioni dell’Inquisizione dell’anno 1625, aggiungendo poi ulteriori norme molto incisive per la procedura canonica della c.Anzitutto vengono proibite informazioni private sulla vita, virtù, miracoli o martirio di un servo di Dio, raccolte da qualsiasi autorità, per servire ad una futura c.Invece per prima cosa doveva esserci un processo canonico particolare sull’obbedienza prestata ai decreti urbaniani del non cultu; per culti formati legittimamente, come sopra fu detto, viene introdotto invece come normale lo spazio di 100 anni prima dell’anno 1634. Ogni interpretazione dei decreti urbaniani è riservata alla Santa Sede. Seguono le formule per le varie proteste degli autori, di cui sopra; si stabilisce, in conseguenza ai decreti stessi, una duplice via canonica di c., per viam cultus e per viam non cultus; l’ultima è d’ora in poi la via ordinaria, l’altra la via di eccezione: casus exceptus [a decretis urbanianis], distinzione basilare che vige ancor oggi. Urbano VIII stabilisce poi anche l’ordine progressivo degli atti fondamentali. Tre volte l’anno (genn. maggio, sett.) si terranno Congregazioni « coram Sanctissimo » (l’odierna Congregazione generale), in presenza dei cardinali dei Riti, del protonotario della Congregazione, del sacrista del Papa, del promotore della Fede, del segretario, degli uditori di Rota di turno per le cause in discussione. Quindici giorni prima delle Congregazioni papali si terranno Congregazioni particolari (le odierne Congregazioni preparatorie) nella casa del cardinale più anziano, per preparare la materia per la Congregazione papale; il cardinal proponente dovrà riferire sul merito della causa. La Congregazione papale tratterà la validità dei processi, le virtù e i miracoli. Nel caso che una Congregazione generale non bastasse ad esaurire l’argomento stabilito, si continuerà nelle susseguenti Congregazioni ordinarie e si riferirà al Papa. Le Congregazioni ordinarie invece saranno competenti, nelle cause dei santi, in tutto ciò che si riferisce all’ubbidienza ai decreti urbaniani, all’apertura dei processi, la deputazione, surrogazione ecc. dei giudici e cose simili, a patto che tutto venga riferito al Papa. Viene poi imposto il segreto di ufficio (p. 24) con le varie formule del relativo giuramento. Un altro punto che causò molti ritardi e non fu sempre ben interpretato, fu la prescrizione di Urbano VIII secondo cui (p. 27) non si poteva in alcun modo procedere « ad effectum canonizationis seu beatificationis, aut declarationis martyrii, nisi lapsis 50 annis ab obitu illius »; e anche dopo i 50 anni soltanto con un espresso permesso del Papa. Si permetteva però la costruzione dei processi ordinari, sia di quelli « in genere », come di quelli « in specie, ne pereant testes », anche prima del cinquantennio, ma i detti processi dovevano essere sigillati e conservati chiusi. Misura questa molto severa, ma sapientissima; la fama di santità, nata attorno ad un personaggio morto da poco, doveva subire, per dire così, la prova della sua consistenza reale. Nelle pp. 28-56 viene rapidamente descritta la procedura canonica relativa alle cause: lettere postulatorie da parte di prìncipi e personalità cospicue come base, la « signatura Commissionis » e la formula del relativo decreto; il giudizio sopra l’ubbidienza ai decreti urbaniani circa il non cultu, la concessione delle « litteræ remissioriales » per la formazione del processo ordinario « in genere » e la formula delle remissioriali; dopo un sommario giudizio, fatto « coram Sanctissimo », si concedono nuove lettere remissioriali per il processo ordinario « in specie ». Qualora capitasse di istruirlo nella stessa Roma, dovrà essere a ciò delegato il cardinal vicario, il quale, a sua volta, deputerà un dignitario dimorante in Roma, aiutato dal protonotario della Congregazione dei Riti, uso ancora in vigore. Agli uditori, il Papa raccomanda soprattutto di bene indagare sulla morte del servo di Dio e le sue circostanze, sull’origine della fama di santità, e circa eventuali scritti lasciati da lui, i quali, nel caso, devono essere raccolti ed esaminati per vedere se contengano nulla che possa ostacolare la causa. Da qui nacque la procedura particolare ancora vigente intorno agli scritti dei servi di Dio, altro punto molto importante che richiedeva una sistemazione. Finalmente viene stabilito che, dopo tutti gli esami dei processi, e dopo lo studio di tutta la procedura percorsa da una causa, prima di procedere alla c., si debba tenere una Congregazione particolare davanti al Papa, per deliberare, tutto valutato e considerato, « an sit procedendum ad canonizationem » ; è la Congregazione che oggi si chiama « super tuto ». – Le ultime pagine del libretto urbaniano contengono i testi di lettere circolari ai nunzi, patriarchi, arcivescovi, vescovi, prelati minori ecc. con un formale rinnovato divieto di assumere, nelle cause dei santi, informazioni private, extragiuridiche. Si ordina poi che gli originali dei processi si conservino sigillati nelle relative curie, mentre a Roma si devono inviare copie autenticate, il « transumptum ». Finalmente il Papa dichiara che, quando la S. Sede ha posta la mano ad una causa, essa è sottratta ad ogni ingerenza degli Ordinari qualora non ricevano una particolare autorizzazione da parte della Congregazione. Chiude il libro una serie di minute prescrizioni per gli uditori, il promotore della Fede, gli avvocati, ecc. – Questa raccolta del 1642 costituisce la «magna charta » in materia di c. , perfezionata in seguito in vari punti; nella sostanza però è ancor oggi il fondamento della procedura canonica della c.. – Dopo l’unica c. celebrata da Urbano VIII nel 1625, in seguito alle severe norme da lui emanate, si ebbe una stasi fino a Alessandro VII (1658); bisognava adattare la prassi alle norme e mettere tutta la procedura in nuova e più organica efficienza. A ciò servirono varie ulteriori prescrizioni delle quali presentiamo soltanto le più importanti. Fino a Innocenzo X (successore di Urbano VIII), i processi furono consegnati agli uditori di Rota che li studiarono « in casa »; ma ormai la Congregazione dei Riti prese nelle proprie mani il detto esame, soprattutto attraverso l’ufficio del promotore della Fede e del sottopromotore. Dal tempo di Alessandro VIII la serie delle « Congregationes » si è completata con una « Congregatio ante præparatoria »; le prime annotate nei protocolli della Congregazione dei Riti sono del 1691, sia per le virtù, come per i miracoli. D’ora innanzi si avrà quindi: 1° Congr. antepraep., in presenza dei consultori e dei prelati della Congregazione dei Riti, nella casa del cardinal ponente, allo scopo di procurargli la necessaria conoscenza della causa stessa; 2° la Congr. praepar., in Vaticano (allora anche al Quirinale), in presenza di tutti i cardinali della Congregazione dei Riti, dei consultori e prelati, per l’informazione dei cardinali; e, finalmente, 3° la Congr. generalis, in presenza del Papa, per informarlo sul merito della causa. Queste tre Congregazioni hanno luogo sia per la discussione delle virtù o martirio, come dei miracoli, e tale serie si chiude con un’ultima Congregazione generale, « super tuto », che apre la via o alla beatificazione, o alla c., secondo il grado dell’avanzamento della causa stessa. Con ciò i consultori della Congregazione furono posti sempre più in vista. Essi, insieme al promotore e sottopromotore della Fede, in una gara vicendevole di esami e di discussioni intorno ai punti deboli delle cause, esposti appunto dal promotore, specie di procuratore o pubblico ministero per garantire da parte della « Fede », ossia della Chiesa, l’incolumità del diritto e degli interessi morali e dottrinali, portarono la causa, mediante una continua e progressiva chiarificazione, allo stadio di perfetta maturazione per la definitiva sentenza della c. In seguito alla prassi introdotta da Urbano VIII, ed entro il suo secolo, si creò la piena separazione fra beatificazione e c.. Alessandro VII (2 ott. 1655) prescrisse che nelle lettere remissoriali, rilasciate agli Ordinari, fosse espresso un preciso termine di validità, oltrepassato il quale sarebbe stata necessaria una rinnovazione esplicita del mandato. Innocenzo XI (15 ott. 1675) emanò una serie di nuovi decreti, dopo lunga preparazione (Decreta novissima… servando in causis beatificationis et canonizationis sanctorum) con non pochi perfezionamenti. Va citata, fra l’altro, l’istituzione, nei processi, di « testes ex officio », da scegliersi dai giudici, indipendentemente dai postulatori, per garantire meglio la veracità delle cose. Furono introdotte severe misure per garantire l’assoluta segretezza degli interrogatòri, con chiusura e sigillo dopo ogni seduta, e con rinnovato giuramento in ogni apertura. Notevole l’introduzione di uno spazio di 10 anni fra la consegna di un processo alla Congregazione e la segnatura della Commissione, ulteriore inasprimento del cinquantennio urbaniano. – Seguono particolareggiate norme per le incombenze specifiche del sottopromotore, e prescrizioni circa gli avvocati delle cause. Lo stesso Innocenzo XI, con un decreto del 18 apr. 1682, diede anche una nuova e più chiara fisionomia alla segnatura della Commissione. Ormai l’originaria idea si era completamente trasformata. D’ora in poi la detta segnatura avrà per ragione il passaggio di una causa dalle mani dell’Ordinario alla S. Sede, e ciò in seguito ad un giudizio preliminare circa la fama di santità in generale, circa i miracoli o il fatto del martirio, per stabilire se la causa merita di essere presa in considerazione dalla Sede Apostolica. Pertanto questo atto prese il nuovo termine di Introductio causæ e fu giuridicamente fissato mediante un apposito decreto. Da questa determinazione invalse l’uso di conferire alle persone, di cui la causa era stata introdotta, il titolo onorifico di « venerabilis ». Però nel 1913 (26 ag.) Pio X, per ragioni di maggiore sicurezza, stabilì che tale titolo in futuro sarebbe riservato solo ai servi di Dio di cui era stata dichiarata l’eroicità delle virtù o il martirio: determinazione che entrò poi anche di diritto nel CIC. – Clemente XII (11 maggio 1733) represse vari e non indifferenti abusi e interferenze, determinò la incompatibilità fra gli incarichi di consultori, avvocati, postulatori ecc. ed escluse i consultori religiosi dalla votazione in una causa di un religioso della propria Congregazione. – Benedetto XIV (23 apr. 1741), in seguito soprattutto alla causa di Giovanna Francesca di Chantal, causa che si basò non tanto sopra testi oculari, ma sopra testi di informazione di seconda mano, e sopra documenti storici, stabilì che in tali cause, si esigessero non due, come ormai era di regola, ma tre o anche quattro miracoli, prima di poter procedere alla beatificazione, ordinanza che passò anche nel CIC. In questo stesso spazio di tempo, fra Urbano VIII e Benedetto XIV, si era venuto anche a determinare con maggiore precisione un elemento fondamentale per il giudizio sulla santità di una persona, il concetto cioè della « virtù eroica ». Certamente, anche nel medioevo si richiedeva, come attestano le bolle di c. di quell’epoca e le opere dei canonisti, una « excellentia virtutum », una « multiplex excellentia vitæ ». Ma mancava, per così dire, una specie di misura della santità, conforme alle possibilità umane di misurare cose soprannaturali. Tale misura fu trovata appunto nel concetto dell’eroicità delle virtù che proveniva dall’etica aristotelica; la letteratura ascetico-mistica e teologica l’aveva applicate alle virtù cristiane, il Collegio dei Salmanticensi in supplica a Clemente VIII per la c. di Teresa del Gesù ( 2 febbr. 1602) introdusse la prima volta il concetto dell’eroicità delle virtù nelle cause dei santi. – Anche gli uditori della Rota incominciarono (verso il 1614-16) a seguire questa idea nelle loro relazioni e la riassumono senz’altro, nella forma, rimasta classica: « itaque ad hunc effectum (cioè: per virtutes heroicæ in canonizandis requiruntur ». Urbano VIII nei suoi molteplici decreti non usa questo termine, invece ne parla nelle lettere apostoliche per la concessione, « ad interim », del titolo di beato a Gaetano da Thiene (1629) e a Giovanni di Dio (1630). L’eroicità delle virtù infatti non è altro che uno stato di perfezione o di santità che permette all’uomo che la possiede una certa facilità permanente di porre atti di virtù in grado superiore, e in forme abituale e normale. Ciò presuppone una completa trasformazione dell’interno dell’anima, la restaurazione, per quanto possibile, dell’uomo allo stato d’innocenza, sotto l’influsso dei doni dello Spirito Santo. – Ora, a noi non è dato fare una diretta introspezione nelle anime, ma possiamo dedurne, dagli atti esterni, lo stato interno. Qui sta il fondamento pratico, concreto del giudizio sull’eroicità delle virtù: i testimoni interrogati nei processi forniscono il materiale, cioè il racconto di una quantità di fatti ed episodi della vita del servo di Dio, il confronto dei quali permette una conclusione valida circa il movente interno da cui essi scaturiscono. Per queste ragioni l’idea dell’eroicità delle virtù entrò rapidamente nella trattazione delle cause di c. e tutta l’indagine svolta attraverso le tre ormai rituali adunanze, antepreparatoria, preparatoria e generale, converge ad appurare l’esistenza, nel soggetto, della virtù « in gradu heroico ». Nella stessa seconda meta del sec. XVII, anche la discussione ed elaborazioni teologica di questo concetto raggiunge l’apice: il trattato di Brancati da Lauria De virtute heroica (1668) è rimasto classico; il Lappi (1671) ne dedusse le conseguenze per le cause dei santi, e Benedetto XIV, nella sua opera monumentale sulla c., riunì tutti gli elementi opportuni sull’argomento in modo definitivo. Da questa evoluzione deriva anche il fatto che la conclusione giuridica, dopo la discussione sull’eroicità delle virtù, acquistò rapidamente un valore superiore; essa costituisce, infatti, un vero giudizio formale del Sommo Pontefice sulla realtà delle virtù eroiche nel soggetto, di cui si propone la causa, ed apre la via alla glorificazione suprema, quando viene appoggiata da miracoli, operati da Dio ad intercessione del servo di Dio. – In un primo tempo, dopo la discussione sulle virtù di un servo di Dio, quando il giudizio fosse stato favorevole e quando il Papa avesse dato il suo consenso, la cosa si notava semplicemente fra gli atti della Congregazione dei Riti; ma ben presto la decisione pontificia su questo punto si presentò in tutta la sua importanza fondamentale per una causa: quindi intorno ad essa si sviluppò un certo cerimoniale. – All’epoca di Clemente XI (1700-21) era già di uso che il Papa differisse alquanto la sua decisione, e solo dopo un certo intervallo di preghiera e di riflessione, in una prossima occasione festiva, aprisse la sua « mente » in presenza del segretario e del promotore generale della Fede, a ciò chiamati, e ordinasse la pubblicazione fra gli atti. Benedetto XIV qualche volta ne dettò personalmente il testo « verbum ad verbum ». La tipografia camerale ne curava poi la stampa e il testo veniva affisso alle porte delle chiese di Roma. Dopo il 1760 il testo di questi decreti divenne meno formalistico, e prese un tono più solenne, iniziandosi spesso con una citazione biblica. La lettura di questi decreti fu resa ancor più solenne, in quanto il Papa li fece leggere in pubblico, dopo una cappella papale o una visita pontificia in una delle chiese di Roma. Dal 1870 in poi la lettura si fece generalmente nella sala del Concistoro, in presenza di uno stuolo di invitati e di rappresentanze degli interessati alla causa; in queste occasioni il Papa soleva anche pronunziare un discorso. Celebri quelli di Pio XI. Ma dopo la sua malattia (1938) quest’uso cessò e non fu più ripreso e ora la lettura ha luogo in forma privata, in presenza del cardinal ponente, del segretario, del promotore generale e del postulatore della causa. Da notare che anche i decreti sull’introduzione della causa, sui miracoli e sopra il « Tuto » solevansi (almeno dopo il 1800) leggere con simili solennità. Ma attualmente anche questi decreti vengono pubblicati in forma privata. – Fra i vari decreti più recenti circa le cause di beatificazione e di c. rammentiamo solo quello di Pio X (26 ag. 1913: AAS, 5 [1913], pp. 436- 38) , con il quale restrinse l’uso del titolo venerabile ai servi di Dio, dei quali è stata riconosciuta la eroicità delle virtù o il fatto del martirio; prescrisse, nelle cause recenti, che venissero uditi nei processi anche tutti i testimoni contrari, “poena nullitatis”; e stabilì finalmente sagge norme per garantire meglio, nelle cause antiche, la raccolta e la disanima dei documenti. Finalmente con il motu proprio « Già da qualche tempo », Pio XI, in data 6 febbr. 1930, istituì, nella Congregazione dei Riti, la Sezione storica, organo stabile, incaricato di tutto ciò che concerne la preparazione delle cause antiche, e, comunque, di tutto ciò che ha attinenza alla storia e alla critica storica in rapporto agli affari da trattarsi nella Congregazione (revisione di lezioni storiche, revisione di libri liturgici, e simili). In tutto questo periodo il luogo dì celebrazione delle c. è la basilica Vaticana; tale uso è invalso sin dal ritorno dei papi da Avignone. Bonifacio IX, a causa di una sua indisposizione, celebrò la c. di s. Brigida nella cappella interna del palazzo pontificio vaticano, però il giorno seguente scese alla basilica Vaticana per la Messa solenne. Alessandro VII, quando prescrisse la solenne beatificazione, come atto conclusivo della prima fase verso la c., la volle in S. Pietro: « ut ibi fieret beatificatio, ubi fit canonizatio ». Benedetto XIII, quando consacrò solennemente la basilica del Laterano (1729), per risparmiare le spese, essendo la basilica magnificamente addobbata, vi celebrò la c. di s. Giovanni Nepomuceno e la beatificazione di s. Fedele da Sigmaringa (19 e 24 marzo). Anche Clemente XII, grande mecenate della detta basilica, vi celebrò l’unica c. del suo pontificato (1736) e la beatificazione di s. Giuseppe da Leonessa. – Benedetto XIV (13 dic. 1741) emanò una costituzione, nella quale stabilì che la c. e la beatificazione, qualora il Papa fosse presente a Roma, si celebrassero esclusivamente nella basilica Vaticana. Però le c. degli anni 1881 e 1888, sotto Leone XIII, causa gli avvenimenti politici del 1870 e degli anni seguenti, si celebrarono alla meglio nell’Aula delle benedizioni, sopra l’atrio di S. Pietro; solo nel 1897 si tornò alla basilica. Da notare ancora il caso che in una sola c. venissero canonizzati più santi. Sotto Gregorio XV, avverandosi il primo caso di una quintuplice c., fu deliberato e concluso di serbare l’ordine dell’antichità, cioè la data di morte, preferendo solo s. Ignazio di Loyola, come fondatore, al suo figlio spirituale, s. Francesco Saverio, onde si ebbe l’ordine seguente: Isidoro l’agricoltore, Ignazio, Francesco, Teresa d’Avila e Filippo Neri. Ma sotto Clemente X si chiese un parere al celebre canonista G. B. De Luca, il quale propose l’ordine gerarchico, principio accettato con il decreto del 6 dic. 1670: « servandum esse ordinem hierarchiæ ecclesiasticæ; et si plures sint eodem ordine, praeferatur dies mortis ». Finalmente, sotto Clemente XII (decreto del 17 apr. 1737), fu accordata la precedenza, entro lo stesso ordine gerarchico, ad un fondatore religioso. Tutti però precede un martire, essendo il martirio la testimonianza più eccelsa per il Cristo. – Giovano ora alcune notizie intorno ad alcuni particolari aspetti della celebrazione della c. La processione solenne che precede il Papa, quando discende dalle stanze pontificie in S. Pietro, è in qualche modo assai antica, dovendosi il Papa ricevere solennemente al suo arrivo già nel medioevo. Ma da quando le c. si celebrarono costantemente in S. Pietro, il Papa fu accompagnato da tutta la corte e la famiglia pontificia. Di ciò siamo certi già sin dal sec. XV. La processione per la c. di s. Giacinto si aprì con il cantico dell’Ave Maris Stella, uso rimasto fino ad oggi. L’uso di portare uno stendardo con l’immagine del novello santo, risale alla c. di s. Stanislao, vescovo e martire (1253), ed è attribuito addirittura ad un miracolo; si narra cioè che fosse apparsa improvvisamente, davanti al corteo, l’immagine del santo, il che indusse in seguito all’uso di un enorme stendardo, come si usa ancora. L’esposizione di un altro stendardo pendente dalla facciata di S. Pietro, risale almeno alla costruzione del nuovo S. Pietro. – La triplice postulazione rivolta al Papa per la c. appare nella sua forma piena sin dal 1482 (c. di s. Bonaventura). Il procuratore della causa, alla fine del medioevo e, fino a ca. il sec. XVIII, sempre l’ambasciatore di una potenza cattolica, assistito da un avvocato concistoriale, si rivolgeva al Papa, domandando instanter che volesse canonizzare il servo di Dio in parola. Vi rispondeva il segretario ai prìncipi e si intonavano le litanie dei santi. Gli stessi ripetevano la domanda instantius, rispondeva di nuovo il detto segretario e si intonava il Veni Creator Spiritus; finalmente, dopo la terza domanda instantissime, il Papa proferiva la definizione dopo la quale l’avvocato, per l’ambasciatore, chiedeva che ne venisse steso l’atto. Chiudeva tutto il Te Deum. Questo solenne rito fu mantenuto fino ai nostri giorni, quando, per abbreviare la lunghissima cerimonia, le litanie dei santi furono anticipate all’ingresso della processione, mentre le tre istanze sono state riunite in una sola, seguita dal Veni Creator e dalla definizione. Ancora ai tempi di Clemente XI la formula stessa della c. variava alquanto. Lo stesso Clemente XI, il quale amava molto predicare al popolo, tenne anche l’omelia dopo la c., uso che prima di lui non era sempre osservato, ma che divenne dopo di lui di regola. – Le oblazioni, cerimonia fra le più singolari e caratteristiche della c. , nella forma attuale, rimontano, come fu già detto, almeno a quella di s. Brigida (1391). Benedetto XIII, chiestone un parere dal b. card. Tommasi, soppresse l’uso delle oblazione degli animali; però Benedetto XIV lo restituì senz’altro e rimase in vigore fino ad oggi. Quanto alla sua origine, gli autori che asseriscono che lo stesso cerimoniere pontificio Pietro Amely, di cui ci resta la descrizione, ne fosse stato l’inventore, sono tratti in inganno da una frettolosa lettura; l’Amely dice solo che l’apparecchio fastoso della cappella pontificia per tale celebrazione era di sua invenzione; il rito stesso delle oblazioni, compreso quella degli animali, pare che sia più antico; ma ci mancano notizie. Le oblazioni delle candele, dei pani e del vino sono prese dal rituale della dedicazione delle chiese o della consacrazione dei vescovi. Le più o meno dotte deduzioni di autori antichi e moderni, circa il significato dell’oblazione degli animali sono senza fondamento reale. – Un’ultima parola circa l’addobbo sfarzoso usato nelle c. Già le varie notizie e descrizioni contenute nell’Ordo Rom., XIV e XV, nei diari di Paris de Grassis, nel cerimoniale romano di Marcello, ricordano unanimemente la ricchezza dell’addobbo e dell’illuminazione usata nelle c. Nella nuova basilica Vaticana, con la sua vastità, che si presta così magnificamente alle cerimonie pontificie, il disegno degli addobbi fu affidato ben presto agli artisti più rinomati. Basta consultare le incisioni inserite negli atti stampati delle c., per ammirare la varietà e la grandiosità di tali apparecchi, i quali, talvolta, cambiarono addirittura l’aspetto della basilica. Fra gli artisti più noti di cui si conservano i disegni, rammentiamo il Bernini, il Borromini, Carlo Fontana, il Vanvitelli, il Valadier, il Poletti e il Vespigniani. Da mezzo secolo non si varia più tale disegno. L’introduzione della illuminazione elettrica ha portato a fissare il numero dei lampadari e la loro disposizione (dicesi che ci siano ca. centomila lumi).

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CANONIZZAZIONE (2)

LA C. PAPALE O UNIVERSALE. – Il trapasso dalla prassi della c. vescovile alla c. papale è quasi impercettibile agli inizi. Questa, in un primo tempo, appare piuttosto casuale, e certamente non era intesa come un atto supremo e valevole per la Chiesa universale. Ma è chiaro che una c. fatta dal Papa aveva una maggiore autorità; e perciò in un secondo tempo le richieste di autorizzazioni papali di culto crebbero sempre più. Ma la procedura è la stessa come nella c. vescovile, e nella maggioranza dei casi il Papa si limita a dare il suo consenso, mentre fuori, sul luogo, si procede in seguito alla solita solenne elevazione ed inaugurazione del culto. I viaggi dei pontefici nei secc. XI e XIII diedero occasione ai Papi di procedere a tali elevazioni in persona. Insensibilmente la c. papale prese maggiore consistenza e valore canonico; si formò una procedura più rigida, e finalmente essa divenne la c. esclusiva e unicamente legittima. – Si può distinguere quindi un triplice periodo nello sviluppo della c. papale: a) fino a quando la decretale Audivimus (1170) di Alessandro III venne inserita nelle Decretali di Gregorio IX (1234); b) fino a Sisto V, che affidò alla S. Congregazione dei Riti il compito di preparare la c. papale; e) il periodo della c. papale secondo la prassi di detta Congregazione.

  1. a)Periodo primo: fino al tempo di Gregorio IX. — Da notare che le date fra parentesi che seguono i nomi dei singoli santi sono quelle della loro morte. Il primo Papa, intervenuto in una autorizzazione di culto fuori di Roma, sarebbe stato Innocenzo I (401-17), al quale sarebbero stati trasmessi gli atti del martirio di s. Vigilio di Trento (26 giugno 405), « ut sacris martyrum memorialibus inserantur »; ma l’autenticità degli atti, o almeno di questa notizia è discussa. Certo invece è che la definitiva traslazione del corpo di s. Severino, m. nel 482 nel Norico e trasportato dai suoi discepoli a Monte Feltre, da qui al Castellum Lucullanum [Pizzofalcone] presso Napoli), fu fatta « tunc sancti Gelasii dedis romanæ pontificis auctoritate » Æugippius, Vita Severini [ed. P. Knòll: CSEL, I X ] 65). Più o meno malsicure sono le notizie seguenti: Bonifacio IV (608-15), secondo un falso, avrebbe approvato « sua auctoritate » la vita di s. Mauro abate (15 genn. 584); Leone III, dietro istanza di Carlomagno, in occasione della sua visita a Verdun avrebbe elevato il corpo di s. Suitberto (1 marzo 713). A Papa Zaccaria (741-52) si attribuisce il permesso dell’elevazione dei martiri Chiliano, Colomanno e Totnano (8 giugno 689) a Würzburg; Adriano I (772-95) avrebbe approvato il culto di s. Albano, protomartire della Britannia (sotto Diocleziano), di ciò richiesto dal re Offa. Giovanni VIII (872-82) avrebbe elevato personalmente i corpi dei ss. Agricola, Silvestro, Desiderio, vescovi di Chalon-sur-Saòne del sec. Più sicura è la notizia che il vescovo Ugo di Würzburg procedette, il 14 ott. 983, all’elevazione del corpo di s. Burcardo (2 febbr. 754) « permisso Benedicti papæ » (Benedetto VII [974-83]). Giovanni XV (985-96) finalmente avrebbe autorizzato l’elevazione del corpo di s. Ladoaldo (687 o 688), celebrata a Gand 19 marzo 982 (la cronologia è però errata!). – Tralasciando altre simili notizie, difficili ad accertarsi, si passa alla prima, sicura c. papale di cui esiste ancora il documento pontificio, quella di s. Udalrico vescovo di Augusta (4 luglio 973), eseguita da Giovanni XV il 31 genn. 993, durante il Sinodo celebrato al Laterano. Tra i prelati era presente anche il vescovo di Augusta, il quale chiese ed ottenne di leggere davanti all’assemblea la vita ed i miracoli di Udalrico, e ne ebbe generale applauso. Il Papa, sotto la stessa data, ne stese un atto, esponendo l’accaduto e dichiarando degno di venerazione Udalrico. Il tutto rientra perfettamente nella cornice generale della procedura allora in uso, solo che l’attore fu il Papa. Comunque, si è soliti considerare questo atto come la prima c. papale « formale » nel senso presente della parola. A Gregorio V si attribuisce la c. di s. Adalberto, vescovo di Praga e martire (23 apr. 997), fatta lo stesso anno; certo è che egli eresse e dedicò a lui, che era stato suo amico, una chiesa sull’isola tiberina (poi S. Bartolomeo).– Benedetto VIIl permise, dietro istanza del conte Bonifacio, la costruzione di una chiesa in onore di s. Simeone monaco a Polirone presso Mantova (26 ott. 1016). Il Papa rispose: « Tractate eum ut sanctum ». Questa sarebbe la c. più rapida, avvenuta uno o due mesi dopo la morte del servo di Dio. – Giovanni XIX permise, ca. il 1024, l’elevazione di s. Abelardo, abate di Corbie (2 genn. 826) e due anni dopo quella di s. Bononio, abate di Lucedio (30 ag. 1026). – Benedetto IX concesse, verso il 1032, l’elevazione di s. Romualdo (16 giugno 1027). Molto più importante è l’altro suo intervento che, sotto tutti gli aspetti, costituisce storicamente il vero primo e perfetto atto di c. papale, cioè la c. di s. Simeone, recluso a Treviri (1 giugno 1035). Nella lettera al popolo tedesco il Papa espone, come gli fossero pervenute più volte notizie sulla vita e i miracoli del Santo, e come Poppone, vescovo di Treviri, gli avesse chiesto direttamente « ut quod nobis visum fuisset de celebratione eiusdem sanctissimi viri, salubri definizione nostræ apostolicæ auctoritatis statueremus atque decerneremus ». In una solenne adunanza « fraternitatis romani nostri cleri », in occasione del Natale (1041) il Papa, di comune consenso, decise: « eundem virum Simeonem… ab omnibus populis, tribubus et linguis sanctum procul dubio esse nominandum », stabilendo di celebrare la sua festa annualmente e di inserire il suo nome nel martirologio. È evidente, quanto differisca questo atto dai semplici permessi papali di elevazioni precedenti, soprattutto per l’espressa intenzione di una definizione di portata universale e obbligatoria per tutta la Chiesa. Però i tempi non erano ancora maturi per simili decisioni, e la c. di s. Simeone, in effetti, non superò i limiti delle solite c. vescovili. Notevole pure il caso di s. Wiborada, reclusa a s. Gallo (2 maggio 926). L’abate Hitto ne fece celebrare le solenni vigilie e celebrò la Messa sopra la sua tomba il giorno della deposizione; in seguito, come narra Eccheardo, « in sanctam eam levari iam bis nostris temporibus per duos papas decretatum est, et sub Norberto tandem impletum ». L’abate Norberto infatti, appoggiato dall’imperatore Enrico III, ottenne nel 1047 (5 genn.) da Clemente II, « ut canonizaret et prò sancta haberi præciperet et anniversarium diem ipsius solemnizandum institueret ». Come si vede, due precedenti concessioni papali non ebbero seguito, e solo una terza riuscì; da ciò si deduca il reale valore delle concessioni papali di elevazione. – Importante invece per la storia della c. papale è il pontificato di s. Leone IX, al quale i frequenti viaggi diedero occasione di celebrare personalmente varie elevazioni solenni. All’inizio del 1049, in occasione del consueto Sinodo Lateranense, dopo la lettura della vita, permise more solito l’elevazione di s. Deodato, vescovo di Nevers (19 giugno 679). Nell’estate dello stesso anno, nel Sinodo tenuto a Magonza, permise ugualmente il culto di s. Gervasio, vescovo di Liegi. Il 3 dic. successivo l’arcivescovo Ugone di Besançon, per speciale incarico del Papa, procedette solennemente alla elevazione dei corpi degli abati s. Romarico di Luxeuil (ca. 635) e Amato di Remiremont (ca. 625), nonché di Adelfo, Vescovo di Metz, dedicando ad essi la ricostruita chiesa di Remiremont. Molto interessante il caso di s. Gerardo, vescovo di Toul, predecessore del Papa su questa sede (23 apr. 994). Lo stesso Papa ne prese l’iniziativa; nel Sinodo Lateranense, 2 maggio 1050, presentò il caso all’assemblea, parlò della vita e dei miracoli del Santo, e, col generale applauso, decretò : « ut ex hoc sanctus habeatur… ubique terrarum, sicuti ceteri sancti », annunziando che egli in persona ne farebbe l’elevazione; ciò che fece realmente il 21 ott. dello stesso anno a Toul. Qui ci troviamo di nuovo di fronte ad una c. formale papale nel senso della piena autorità pontificia; infatti il Papa indirizzò una lettera « cunctis Ecclesiæ catholicæ filiis », firmata da tutti i componenti il sinodo romano. Incomincia così a delinearsi una distinzione fra la definizione pontificia e l’atto della elevazione, che fino allora, soprattutto nelle c. vescovili, era stato considerato come l’atto fondamentale. A Toul il Papa fece anche l’elevazione di un vescovo Romano di Toul, di cui però non si trova il nome negli elenchi autentici di questa sede. Durante il suo grande viaggio attraverso la Germania, il Papa, presente l’imperatore Enrico III, celebrò personalmente a Ratisbona (8 ott. 1052) l’elevazione dei vescovi s. Erardo (sec. VIII) e s. Wolfango (31 ott. 994). Benedetto XIV, nella sua nota grande opera sulla c. accolse anche come attendibile la notizia della elevazione, fatta da Leone IX a Padova, nel 1053, dei ss. Bellino, Fidenzio e Massimo, o, come altri vogliono, Giuliano, Massimo, Felicita e tre innocenti; ma la cosa è molto malsicura, come alcune altre notizie di questo genere, spiegabili facilmente dall’attività notevole di s. Leone IX nel campo della c.. Alessandro II, nel 1067 di passaggio per Milano, avrebbe celebrato l’elevazione di s. Arialdo, martire (27 giugno 1066), ma la notizia non è del tutto sicura. Nel 1070 permise l’elevazione di s. Teobaldo, eremita a Salanigo (30 giugno 1066), e diede al vescovo di Burgos la facoltà di procedere alla solenne elevazione dell’abate Ifiigo di Ona (1 giugno 1057). Gregorio VII permise (1073) l’elevazione solenne delle spoglie di s. Pascasio Radberto, abate di Corbie (26 apr. 860) da parte del vescovo Wito; nel 1083, su istanza del re Ladislao, concesse l’elevazione solenne dei ss. Gerardo Sagreda, vescovo di Czanàd, apostolo dei magiari (24 sett. 1046), Stefano, primo re d’Ungheria (15 ag. 1038) e suo figlio Emmerico (2 sett. 1031). – Urbano II permise l’elevazione di s. Godeleva, martire a Chistelles (6 giugno 1070); passando per Milano nel 1095 avrebbe fatto personalmente l’elevazione di s. Erlembaldo martire (10 apr. 1076). Nel Sinodo Romano del 1098 fu letta la vita del pellegrino s. Nicola di Trani (2 giugno 1094) e l’arcivescovo Bisanzio della stessa città chiese l’inserzione del suo nome nel catalogo dei santi: il Papa incaricò lo stesso Bisanzio di procedere a quanto era stato deciso, tornato che fosse a Trani. Il Martirologio romano dà anche s. Attilano, vescovo di Zamora (5 ott. 1009), come canonizzato dallo stesso Urbano II. – Pasquale II nel 1100 canonizzò s. Angilberto, abate di St-Riquier (18 marzo 814), autorizzandone 1’elevazione. Autorizzò pure l’elevazione del corpo di s. Canuto, re di Danimarca (10 luglio 1086), avvenuta il 19 apr. 1101. Il 4 giugno 1109, a Segni, dopo la solita lettura della vita, permise ai vescovi della regione di venerare come santo, Pietro vescovo di Anagni (4 ag. 1105). – Callisto II, eletto a Cluny il 2 febbr. 1119, il giorno dell’Epifania del 1120 procedette all’elevazione di s. Ugone, abate di Cluny (28 apr. 1109), da lui conosciuto. Nello stesso anno incaricò il card, di Palestrina, suo legato al Sinodo di Beauvais, di procedere all’elevazione di s. Arnolfo, vescovo di Soissons (14 ag. 1087). Quanto poi ad una presunta c. di s. Corrado, vescovo di Costanza (26 nov. 976), il Papa l’avrebbe declinata col riferirsi ad un concilio generale. Da notare il caso di s. Gerardo, vescovo di Potenza (30 ott. 1119). Il successore Manfredo, che riferisce il fatto, si recò a Roma con una delegazione del popolo per chiederne la c. Portato il caso in concistoro, Callisto lesse la vita del defunto e viva voce pronunziò la c., senza ulteriore documento; ma per attestarne l’autenticità ordinò ai vescovi presenti Pietro di Acerenza, Guido di Gravina, Leone di Marsico e insieme al card. di Palestrina, Guglielmo di recarsi a Potenza per proclamare l’avvenuta c. e la concessione di una indulgenza di 40 giorni. Tutto ciò dové avvenire tra i primi mesi del 1123 o 1124. La concessione di una indulgenza in occasione delle c. divenne ordinaria solo ca. un secolo dopo. – Innocenzo II, presente al Concilio plenario di Reims, il 29 ott. 1131, dopo la solita lettura della vita e dei miracoli, permise alla Chiesa di Hildesheim la venerazione del proprio vescovo s. Godeardo (4 maggio 1038, il 22 apr. 1134, dopo i preparativi del Concilio di Pistoia, il Papa, premessa la lettura della vita e dei miracoli, autorizzò la venerazione di s. Ugone, abate di Chaise-Dieu, vescovo di Grenoble (1 apr. 1132). Identica procedura al Concilio Lateranense del 1139, 19 apr., per s. Sturmio, abate di Fulda (17 dic. 779). – Eugenio III, in una solenne adunanza del clero in Trastevere, il 4 marzo 1146, procedette alla c. di s. Enrico imperatore (13 luglio 1024). Nella sua lettera di Papa ricorda di aver dato incarico a due cardinali legati in Germania, di prendere informazioni a Bamberga, ove era sepolto nella cattedrale di quel vescovado da lui fondato. – Ad Alessandro III si ascrive comunemente la riserva del diritto esclusivo della c. al solo Sommo Pontefice. La cosa è però ben diversa. Il 6 luglio 1170, Alessandro diresse a Canuto I, re di Svezia, al clero e al popolo svedese la lunga lettera Æterna et incommutabilis (Jaffé-Wattenbach, II, 13546: PL, 200, coll. 1259-61); verso la fine d’essa lettera il Papa viene a parlare di un caso particolare: « denique quiddam audivimus… », cioè di un tale che, ucciso in stato di ubriachezza, era stato venerato da alcuni come santo martire. A questo proposito il Papa insegna che : « etiamsi signa et miracula per eum plutima fierent, non liceret vobis prò sancto absque auctoritate Romanæ Ecclesiæ eum publice venerari ». Si trattava dunque di un caso particolare per il quale il Papa dava una sua direttiva, come i sommi pontefici solevano darne in tanti altri casi. Ma appena un decennio più tardi, certo dopo il 1179, un canonista inglese, solerte raccoglitore di decisioni pontificie, inserì nella sua collezione, detta « Cottoniana prima », anche l’« Audivimus » della lettera Æterna et incommutabilis con qualche accomodamento nel testo. Attraverso alcune altre raccolte di questo tipo, ma sempre di carattere privato, il testo finì, ca. il 1206 nella collezione privata di maestro Alano, inglese, professore di diritto a Bologna. Finalmente s. Raimondo di Peñafort, incaricato da Gregorio IX dell’edizione ufficiale delle Decretali, vi inserì anche l’« Audivimus » di Alessandro III, cosicché quel testo, in forza di tale inserzione (5 sett. 1234), divenne legge universale. L’ultima e definitiva fortuna dell’ « Audivimus » si ebbe nelle interpretazioni successive dei grandi canonisti, soprattutto di Sinibaldo Fieschi (Innocenzo IV) e di Enrico Bartolomei da Susa detto il «Cardinale ostiense », il quale nella sua Summa Aurea (1253) e nei suoi Commentaria (dopo il 1268) interpretò l’« Audivimus » nel senso di legge fondamentale del diritto pontificio della c. Questo punto importantissimo della storia della c. è stato soltanto recentemente messo in giusto rilievo per merito di S. Kuttner, La réserve papale du droit de Canonisation, in Revue historique du droit français et étranger, (nuova serie, 17 [1938], pp. 172-228; estratto, Parigi 1938). – Le c. di Alessandro III non differiscono del resto, affatto dalle precedenti; solo mezzo secolo più tardi le c. papali acquistano uno splendore e una risonanza universale tale che le elaborazioni canonisti che potevano innestare nel testo dell’ « Audivimus », in se stesso molto scarno, l’idea di una legge universale di riserva del diritto della c. al solo Sommo Pontefice. – La prima c. di Alessandro III fu quella di s. Edoardo confessore, re d’Inghilterra (4 genn. 1066), fatta ad Anagni (7 febbr. 1161) dove, in presenza della sua corte, dopo l’esame del « liber miraculorum », viste le lettere del predecessore Innocenzo al riguardo, procedette alla proclamazione richiesta; la lettera fu indirizzata a tutta l’Inghilterra il 7 nov. 1161. – Seguono due c. simili: a Tours il 9 giugno 1163, il Papa commise a Tommaso, arcivescovo di Canterbury, il futuro martire, di procedere, dopo la lettura e la vita e dei miracoli fatta in apposito concilio, alla c. di s. Anselmo di Canterbury (21 apr. 1109). Da Sens, ove risiedeva, nel 1164 il Papa diede analogo mandato per l’elevazione di s. Elena di Skòvde, martire svedese (ca.1160). Per incidenza è da notare nel dic. 1165 la c. di Carlomagno (28 genn. 814) compiuta da Pasquale III, l’antipapa che Federico Barbarossa imperatore aveva contrapposto ad Alessandro III. Pasquale commise a Rinaldo di Dassel, arcivescovo di Colonia, il noto cancelliere imperiale, di procedere alla solenne elevazione di Carlo. E l’unico caso di una c. compiuta da un antipapa, che non esce dall’ambito delle c. «locali». – Nel 1169, a Benevento (8 nov.) segue la c. di s. Canuto, Knud Lavard, martire danese (7 genn. 1131). Importantissima invece la c. di s. Tommaso Becket arcivescovo di Canterbury (29 dic. 1170). Il fatto del suo martirio produsse un’enorme impressione in tutta l’Europa; il Papa, nel 1173, emanò da Segni due lettere di uguale tenore, di cui una diretta a tutti i prelati della Chiesa. Dice di aver conosciuto personalmente Tommaso, e di voler aspettare la relazione di due suoi cardinali legati, specialmente sui miracoli. Finalmente « in capite ieiunii » (21 febbr. 1173), presenti moltissimi ecclesiastici e laici « præfatum archiepiscopum solemniter canonizavimus ». È la prima che in un documento pontificio appare questo preciso termine. Ugualmente importante è la c. di s. Bernardo di Chiaravalle (20 ag. 1153). Il Papa, dopo iterate istanze dei Cistercensi, nella festa della Cattedra di s. Pietro (18 genn. 1174), ad Anagni, presente un largo stuolo di prelati, fatta leggere la vita di Bernardo decretò : « Beatorum Apostolorum Petri et Pauli meritis confisi, sanctorum cathalogo duximus adscribendum ». E la prima volta che si viene a conoscenza di una formula che si riferisce all’autorità apostolica, adoperata in questo atto. – Lucio II nel 1181, nella solita forma, concesse l’elevazione di s. Brunone, vescovo di Segni (18 luglio 1123). – Clemente III canonizzò, il 21 marzo 1189, s. Stefano di Thiers, eremita, fondatore della Congregazione di Grammont (8 nov. 1124). Molto interessante la c. di Ottone, vescovo di Bamberga, apostolo dei Pomerani (30 luglio 1139). In due lettere apostoliche, del 29 apr. e 1 maggio 1189, dirette a particolari prelati tedeschi, il Papa dichiarava di aver incaricato i due vescovi, di Merseburg e di Eichstadt, due abati e un canonico perché dopo una diligente inquisizione sulla vita e sui miracoli, con autorità apostolica lo dichiarassero canonizzato, « ipsum canonizatum, auctoritate freti apostolica, solemniter et publice nuntietis ». E una autentica c. per delega papale. Simile la c. di s. Malachia O’ Morgair, arcivescovo di Armagh (m. a Chiaravalle il 2 nov. 1148), fatta in base alla vita scritta da s. Bernardo e a molteplici altre informazioni, il 6 maggio 1190. – Celestino III, il 4 marzo 1192, su ripetute istanze del vescovo di Gubbio, dopo molte relazioni in proposito « de communi fratrum Consilio », e « Beatorum Petri et Pauli Apostolorum auctoritate », canonizzò s. Ubaldo, vescovo di Gubbio (14 maggio 1136), comandando di celebrarne la festa « apud vos ». Di simile tenore la lettera apostolica per la c. di s. Bernardo (meglio Bernward), vescovo di Hildesheim (26 ott. 1023), fatta in Roma a s. Pietro l’8 genn. 1192. Identica la c. di s. Giovanni Gualberto (13 luglio 1073) in data 24 ott. 1193. Del 27 apr. 1197 è la c. di s. Geraldo, abate di Sauve-Majeur presso Bordeaux(5 apr. 1105). Allo stesso Celestino si ascrive anche la c. di s. Bernardo degli Uberti, cardinale vescovo di Parma, vallombrosano (4 die. 1133), ma Clemente XI nel 1714 rifiutò di estenderne la festa a tutta la Chiesa perché non si era in grado di provare storicamente l’avvenuta c. formale. Più sicura appare la c. di s. Rodosindo, vescovo, di Dumnium in Galizia (1° marzo 977), fatta probabilmente nel 1196. Innocenzo III, il 12 genn. 1199, canonizzò s. Omobono di Cremona (13 nov. 1197), e nella sua lettera il Papa diede per la prima volta, in un documento ufficiale, un breve sunto della vita del Santo e dei miracoli, attestando ch’esso era stato composto su testimonianze giurate. Il 3 apr. 1200 canonizzò s. Cunegonda, imperatrice, moglie di s. Enrico (3 marzo 1040). Del 1202 è la c. di s. Gilberto, abate di Sempringham (4 febbr. 1189). Molto interessante il caso di s. Guglielmo, eremita di Malavalle, presso Grosseto (10 febbr. 1157). Già Alessandro II aveva ordinato, su istanza del vescovo di Grosseto, che nella sua diocesi fosse celebrata la solenne ufficiatura per detto Santo « ad interim », senza procedere all’atto della c. espressa. Innocenzo (1202, 8 maggio), dopo iterate istanze, rinnova il permesso di continuare a celebrare la festa. Benedetto XIV nega in questo fatto il carattere della c.: nondimeno crediamo che ancora si tratti di una c. locale. Il 14 maggio 1203, a Ferentino, canonizzò s. Vulstano, vescovo di Worcester (19 genn. 1095). Il Papa aveva incaricato una commissione di due vescovi e di due abati di recarsi a Worcester, di indire un digiuno di tre giorni e di procedere poi all’esame dei miracoli. Si tenne conto di una vita scritta cento anni prima in vecchio inglese, autenticata e sigillata. Il tutto fu portato a Roma per l’esame. In base a ciò il Papa celebrò la c. e pubblicò anche l’orazione del nuovo Santo. I l 2 luglio 1204 fu fatta l’elevazione del corpo di s. Procopio, abate di Sàzawa, da parte del card. Guido di S. Maria in Trastevere, in base all’ordine del Papa « ut corpus beati viri solemnizatum canonizetur ». – Onorio III, i l 17 maggio 1218, a S. Pietro in Vaticano, canonizzò s. Guglielmo, arcivescovo di Bourges, poi monaco e abate cistercense (10 genn. 1209). Il 18 febbr. 1220 da Viterbo annunziò a tutto il popolo cristiano la c. di s. Ugone, certosino, vescovo di Lincoln (il 7 nov. 1200), dopo l’ormai solita «commissio inquisitionis» In data 8 genn. 1222 si ebbe la concessione ai monaci cistercensi di Molesme di venerare « tamquam sanctum » il loro abate s. Roberto (14 apr. 1111) . Il 21 genn. 1224 al Laterano procedette alla c. di s. Guglielmo, abate cistercense di Roskilde in Danimarca (6 apr. 1203). Un caso di speciale interesse è la c. di s. Lorenzo O’Toole, arcivescovo di Dublino (14 nov. 1181), celebrata a Rieti l’11 dic. 1225. Al suo sepolcro, a Rouen, si erano verificati molti miracoli: pertanto il Papa ordinò all’arcivescovo di detta città di fare la solita inchiesta insieme con altri ecclesiastici, i quali raccolsero le debite testimonianze. Ma quanto alla vita del Santo, i commissari trasmisero la loro commissione all’arcivescovo di Dublino il quale, trattenuto alla corte inglese, delegò altri suoi dignitari, i quali fecero a Dublino l’inchiesta indicata e, sigillata, la trasmisero a Rouen, da dove tutto il materiale passò a Roma per la verifica e la decisione. In questo fatto si ha il primo caso di quello che oggi si chiama « processo rogatoriale ». E del 18 marzo 1226 nel Concilio Lateranense la c. di s. Guglielmo Fitzherbert, arcivescovo di York (8 giugno 1154)1 dopo le solite istanze ed inquisizioni. Ad Onorio III si attribuisce anche la c. di Ugone, abate cistercense di Bonnevaux (1 apr. 1191) e di Giovanni eremita, priore di S. Maria di Gualdo. Le inquisizioni ormai necessarie furono fatte per il primo il 2 die. 1221 e per il secondo il 3 giugno precedente, ma nessun documento ci resta che attesti l’avvenuta c. Un altro caso simile è quello di Giovanni Cacciafronte, abate benedettino di Vicenza, ucciso il 16 marzo 1183. Onorio indisse la «commissio inquisitionis», si fece anche un processo a Cremona, dove era nato, ma non si andò più avanti. – Gregorio IX. Universale eco suscitò la c. di s. Francesco di Assisi (4 ott. 1226); il Papa la proclamò a Perugia e l’annunziò con due lettere, una al clero, l’altra al popolo universo (16 luglio 1228 e 21 febbr. 1229); la cerimonia relativa fu fatta dal Papa ad Assisi ai primi di luglio 1228. Nella piazza davanti alla chiesa egli tenne il sermone, e, portata in chiesa la salma, al canto del Te Deum, celebrò la Messa del novello Santo. La formula di questa c. ci è conservata, ed è certamente la più antica che si conosca. La festa del Santo fu imposta a tutta la Chiesa e subito universalmente accettata. Sebbene il Papa fosse stato suo amico volle nondimeno che fosse istituito il solito processo di inchiesta sulla vita ed i miracoli (il primo processo di c. completamente conservato e pubblicato) e che tutto procedesse secondo l’uso ormai tradizionale. Lo stesso si deve dire della c. di s. Antonio di Padova (13 giugno 1231) fatta a Spoleto il 1° giugno 1232 e pubblicata con tre lettere nelle quali il Papa accenna alla « commissio inquisitionis ». Il 18 giugno 1232 al Laterano fu canonizzato un santo antico, con culto plurisecolare : s. Virgilio, vescovo di Salisburgo (27 sett. 780), con la concessione di una indulgenza per la festa e l’ottava. Caso interessante questo, perché conferma il valore che era venuto acquistando l’istituto della c. papale. Segue la c. di s. Domenico di Guzman (6 agosto 1221), fatta a Rieti il 3 luglio 1234 con la festa estesa alla Chiesa universale e con l’indulgenza di un anno. – Altra e. di un personaggio, celebre in tutto il mondo cristiano di allora, è quella di s. Elisabetta di Turingia (19 nov. 1231), fatta nella chiesa dei Domenicani a Perugia il 27 maggio 1235. La lettera papale è del 1° giugno successivo, ed anche questa volta la festa fu estesa alla Chiesa universale « districte præcipiendo »,, ma senza effetto reale. Sotto Gregorio IX fu istituito anche il processo per Odone di Novara, abate certosino (14 genn. 1230). Si conosce la « commissio inquisitionis » in data 10 dic. 1240 e il relativo processo; ma tutto si fermò, forse per la morte del Papa. Non si può tacere finalmente, perché anche molto istruttivo, il caso di s. Ildegarda, badessa benedettina (17 sett. 1233). La sua fama in vita era già universalmente nota e, dopo morta, si parlò di un numero grande di miracoli avvenuti per sua intercessione. Gregorio IX nominò la commissione e, il 16 dic. 1233, indisse il processo che fu mandato a Roma sigillato. Trovate insufficienti le deposizioni, si ordinò un nuovo esame di testi, di cui non ci è pervenuta notizia. Innocenzo IV poi, nel 1243, rinnovò la commissione ma senza effetto pratico. Dopo nuove insistenze, Giovanni XXII, nel 1317, diede nuove lettere di commissione, ma la cosa era divenuta sempre più difficile per la mancanza di testimonianze orali e per le esigenze sempre maggiori richieste nei processi. Così la celebre Santa non è stata mai canonizzata formalmente. Un caso simile è quello di s. Brunone, vescovo di Wùrzburg (27 maggio 1045). Gregorio IX emanò per lui la solita commissione, il 1 maggio 1238, ma il processo portato a Roma non fu giudicato soddisfacente. Innocenzo IV pertanto ordinò una nuova inquisizione (Lione, 5 Nov. 1245), ma una c. formale non ebbe mai luogo. Indubbiamente Gregorio IX, esimio canonista, diede alla c. papale un’importanza nuova. – Dopo il brevissimo governo di Celestino IV, seguì sul trono papale la grande figura di Sinibaldo Fieschi, Innocenzo IV (1243-54). Già professore di diritto a Bologna, da Papa scrisse l’Apparatus super V libros decretalium, commentario che ebbe subito larghissima diffusione e fama, sebbene egli dichiarasse espressamente di averlo scritto da uomo privato. Le osservazioni e definizioni del Fieschi circa la c. divennero perciò la base di tutti i canonisti successivi. Egli stabilì definitivamente l’« Audivimus » di Alessandro III come leggere della c. papale, di cui diede anche la prima precisa definizione, divenuta classica fra i canonisti. Essa consiste nel « canonice et regulariter statuere quod aliquis sanctus honoretur pro sancto », cioè con tutte le prerogative di un culto pubblico e universale. In questa universalità appunto riconosce Innocenzo IV la radice della riserva pontificia della c: «Solus Papa potest canonizare sanctos », poiché solo il Papa esercita una giurisdizione universale sopra tutta la Chiesa. Ma per pervenire alla c., occorrono le prove giuridiche « de fide et excellentia vitæ et miraculis ». Egli stesso canonizzò, il 16 dic. 1246 a Lione, il vescovo di Canterbury, s. Edmondo Rich, orginario di Abington (16 nov. 1240), e nella Pasqua del 1247, ancora a Lione, s. Guglielmo Pinchon, vescovo di St-Brieuc (20 luglio di anno incerto tra il 1234 e il 1241). Più grandiosa riuscì la c. di s. Pietro Martire (6 apr. 1252), la cui cerimonia fu celebrata a Perugia nel piazzale davanti la chiesa dei Domenicani nella Pasqua del 1253. Il Papa pubblicò due lettere di tenore generale, una da Perugia il 24 marzo 1253, l’altra da Anagni l’8 ag. 1254. Importante è l’asserto del Papa di avere proceduto alla c. « post inquisitionem sollertem, studiosam examinationem, discussionem solemnem… auctoritate beatorum Petri et Pauli Apostolorum ac nostra ». Seguì ad Assisi, l’8 sett. 1253, la c. di s. Stanislao, vescovo di Cracovia, martire (8 maggio 1079). Tutta la celebrazione solenne si svolse completamente nella grande basilica di S. Francesco. D’ora innanzi la c. si svolgerà interamente come rito liturgico. In seguito poi alla commissione, data da Innocenzo IV, furono costruiti, tra il 1251 e 1254, i processi per Giovanni Buono (23 ott. 1249), eremita, ma, per cause a noi ignote, la c. non si fece mai. – Alessandro IV celebrò un’altra c. celebre, quella di s. Chiara di Assisi, che egli stesso aveva assistita in morte (12 ag. 1253). La solennità si svolse ad Anagni nel secondo anniversario della sua morte, 12 ag. 1255. – Urbano IV canonizzò a Viterbo il 22 genn. 1262 s. Riccardo de Wych, vescovo di Chichester (3 apr. 1253). Come il Papa dice nella lettera sulla causa: l’Inquisitio era stata ordinata da Innocenzo IV e « diligenti examine discussa » prima dal cardinale vescovo di Frascati, Ottone di Chateauroux, e finalmente « per nos et per fratres » vale dire dai cardinali. Si vede come la procedura diventava sempre più severa. –Clemente IV procedette alla c. di s. Edvige, granduchessa della Slesia (15 ott. 1243), fatta a Viterbo il 26 marzo 1267. – Questo periodo si chiude con la grande figura del card. Ostiense, di cui si è già parlato. La sua Summa aurea e soprattutto il suo Commentarium restituiscono il termine di uno sviluppo plurisecolare. Dalla metà del sec. XIII si può datare il secondo periodo della storia della c. dei santi, de facto e de iure ormai riservata alla S. Sede. Con questa riserva però non cessò il sorgere di nuovi culti liturgici locali, senza che arrivassero mai alla c. – Come s’è visto, dai primi, sporadici interventi di alcuni Papi, più casuali che altro, si pervenne insensibilmente ad attribuire alla c. papale un valore più elevato ed esclusivo. Mentre agli inizi si trattò prevalentemente di permessi o di commissioni pontificie per procedere all’elevazione di un santo, questo elemento, fin allora di importanza capitale, passò in seconda linea; incominciò a prevalere la semplice e formale dichiarazione pontificia della c. fatta. Così la procedura, agli inizi assai rudimentale, acquistò una vera consistenza giuridica assumendo i vari elementi della procedura canonica, sviluppatasi per i vari processi curiali. – Agli inizi bastò la lettura di una vita e dei miracoli davanti al Papa e ad un sinodo o qualche altra solenne riunione del clero, per provocare, di comune consenso degli astanti, il permesso papale all’elevazione. Ma nelle rispettive lettere pontificie ben presto si rileva la tendenza di dare più risalto all’atto papale conferendogli un valore universale. L’esame poi dei miracoli, attinente in qualche modo ad una definizione di un intervento divino, portò all’idea trattarsi, nelle c., di « negotium maius Ecclesiae », spettante al Papa e alla sua Curia. La sola lettura di una semplice vita non bastò più; la S. Sede prese l’iniziativa e chiese da parte sua più ampie informazioni. Nel 1146 a proposito di Eugenio III, , per s. Enrico, si sa per la prima volta che il Papa si servì a questo scopo dei suoi legati. Nel 1189 con Clemente III, appare la prima volta il termine « commissio », cioè l’espresso incarico dato dal Papa a determinate persone per l’inquisitio sulla vita e sui miracoli. – Sotto Innocenzo III (per s. Omobono) si viene per la prima volta informati che l’inquisizione si basò sopra testimonianze giurate. Rapidamente si introducono nella procedura preparatoria alla c. tutte le cautele giuridiche allora in uso per gli altri processi, esposti, ad es., magistralmente dal noto Guglielmo Durando, vescovo di Mende, nel suo Speculum iuris, uscito nel 1272 e nel 1287. Anche nel processo per la c. appariscono il giuramento detto «de calumnia», gli «interrogatoria», gli «articuli», preparati d’ufficio alla Curia papale e trasmessi, insieme con la « commissio », ai commissari. Le sigillazioni degli atti dopo ogni seduta rimontano a questa stessa età. Nello stesso modo poi, come gli altri processi, anche quelli per la c. furono affidati ai chierici della Curia, in genere ai cappellani papali, per la revisione e la rubricazione; seguiva un esame preliminare da parte di un cardinale e, finalmente, la proposizione in concistoro. Anche la celebrazione liturgica della c. ebbe in questo periodo la sua evoluzione sostanziale. Agli inizi si trattò di un semplice atto giuridico, di una sentenza del Papa, proferita in sinodo, senza ulteriori celebrazioni liturgiche. Queste, cioè la solenne elevazione con Messa ecc., avvenivano nel luogo ove riposavano le spoglie del santo. Solo nel 1131 con Innocenzo II (c. di s. Godeardo), si viene a sapere che la proclamazione della c. si chiuse con il canto del «Te Deum laudamus». Nel 1192 (con la c. di s. Ubaldo) ci è conservata la prima notizia che Celestino III, in seguito alla c., celebrò anche la Messa in onore del novello Santo. Da alcuni cenni contenuti nelle varie lettere pontificie per le c., si può dedurre che si era sviluppata una certa formula rituale per la proclamazione di un santo; si inserirono i nomi degli Apostoli Pietro e Paolo (primo accenno nel 1174, sotto Alessandro III, per s. Bernardo); nel 1228 (per s. Francesco), si è conservata la formula completa: « Ad laudem et gloriam omnipotentis Dei, Patris et Filii et Spiritus Sancti, et gloriosæ Virginis Mariæ, et beatorum Apostolorum Petri et Pauli, et ad honorem Ecclesiæ Romanæ ». Sotto Onorio III (1218), incominciano le prime concessioni di indulgenze in occasione della c., 40 giorni (per s. Guglielmo di Bourges). Gregorio IX concedette, nel 1228, per s. Antonio, la prima volta un anno di indulgenza. Per s. Elisabetta (1235), l’indulgenza è salita a un anno e 40 giorni. Dal 1228 (s. Francesco) divenne regola che il Papa facesse al popolo un sermone, poi leggesse o facesse leggere i miracoli, e pronunciasse finalmente la formula della c., chiudendo la celebrazione con la Messa. Inoltre si sa che in quell’epoca generalmente fu d’uso già il canto del « Veni S. Spiritus » per implorare l’aiuto divino, affinché « Deus non permittat ipsum (papam) errare in hoc negotio », così l’Ostiense.

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