CATECHISMO CATTOLICO DEL CARDINAL GASPARRI (1)

CATECHISMO CATTOLICO A CURA E STUDIO

DEL CARDINAL PIETRO GASPARRI

PRIMA VERSIONE ITALIANA APPROVATA DALL’AUTORE

1932

COI TIPI DELLA SOC. ED. (L A SCUOLA)

BRESCIA

Brixiæ, die 15 octobris 1931.

IMPRIMATUR + AEM. BONGIORNI, Vie. Gen.

INDULGENZE CONCESSE A COLORO CHE INSEGNANO E IMPARANO LA DOTTRINA CRISTIANA

1. Indulgenza plenaria a tutti e singoli i fedeli i quali, per circa mezz’ora e non meno di venti minuti, insegneranno o impareranno la dottrina cristiana almeno due volte al mese, da lucrarsi nello stesso mese due volte, in giorni di loro scelta; purché veramente pentiti, confessati e comunicati, visiteranno qualche chiesa o pubblico oratorio, e vi pregando secondo l’intenzione del Romano Pontefice.

2. Indulgenza parziale di 100 giorni, da acquistarsi almeno con cuore contrito, a tutti i fedeli ogni volta che per il detto spazio di tempo, insegneranno o impareranno la dottrina cristiana.

(Decreto di S. S. Pio XI, 13 Marzo 1930).

PROEMIO

Quello che fu già il voto dei Concilii Tridentino (Sess. XXV, De Reform., Decretum de indice librorum, catechismo etc.) e Vaticano (Cfr. in Appendice I: « Schema di costituzione d’un piccolo catechismo, riformato secondo le correzioni approvate dalla congregazione generale [del Concilio Vaticano].) è oggi vivissimo desiderio comune a tutti quanti si dedicano alla diffusione della dottrina cristiana, cioè che venga pubblicato un Catechismo da usarsi nella Chiesa Universale (affinché come uno è il Signore e una la Fede, così una sia la norma e l’ordinamento comune per impartire questa Fede e per educare il popolo cristiano ai suoi religiosi doveri » (Catechismus ad Parochos, Præf., re. 8).In questi ultimi tempi questa necessità si è resa tanto più grave quanto più è cresciuta l’opportunità e la facilità di mutare domicilio. Noi nelle nostre deboli forze abbiamo procurato di venire incontro a tale desiderio componendo i catechismi che ora diamo alle stampe.I Romani Pontefici, a dir vero, solleciti sempre di diffondere nella Chiesa Universale la conoscenza della dottrina cristiana, in conformità dei voti espressi dai Padri Tridentini curarono la compilazione e — dopo averlo approvato — la pubblicazione di un catechismo dal titolo « Catechismo per i parroci secondo il decreto del Concilio Tridentino » e più brevemente « Catechismo Romano »: con l’intento di offrire ai pastori di anime un compendio che servisse loro per un proficuo insegnamento della dottrina cristiana. Senza dubbio l’utilità di quel catechismo è, nell’insegnamento catechetico, grandissima ; però, come dice il titolo stesso, è destinato principalmente ai parroci e ai catechisti per istruire i fedeli, non per l’uso diretto dei fedeli stessi: senza dire che non espone tutti gli argomenti di un catechismo. Così pure i Romani Pontefici lodarono assai il catechismo che il Santo Cardinale Bellarmino, dottissimo teologo, compose per uso dei fanciulli: parecchi testi di catechismo rispettivamente adatti alle varie età approvò e prescrisse il Papa Pio X di santa memoria, soprattutto per le diocesi della provincia romana: anche molti Vescovi in Italia e alt estero vollero provvedute le loro diocesi di catechismo proprio. Nel comporre i  nostri non abbiamo trascurato nessuno dei catechismi sopra indicati, anzi abbiamo conservato quanto in essi ci parve opportuno. – (Nella Costit. In dominico agro, 14 giugno 1761, Clemente XIII avverte che questo catechismo « fu composto con non poca fatica e diligenza, riscotendo il consenso e le lodi di tutti » e che i Romani Pontefici vi esposero la dottrina « che è comune nella Chiesa e del tutto immune da ogni pericolo di errore ». E Pio XI nella lettera Unigenitus Dei Filius del 19 Marzo 1924: « in esso [cioè nel Catechismo romano] non sapresti se ammirare di più l’abbondante e sana dottrina, oppure l’eleganza dello stile latino » . Il Catechismo tratta del Simbolo, de’ Sacramenti, del Decalogo, dell’Orazione.) –  Le classi di persone che secondo la loro età e capacità hanno bisogno d’istruzione catechistica sono tre: i bambini che per la prima volta si ammettono alla Santa Comunione (Quelli di età maggiore e ancor ignoranti della dottrina cristiana, che desiderano ricevere i Santi Sacramenti della Chiesa, imparino subito, per non ritardare troppo la Comunione, il primo catechismo e così vengano ammessi alla prima Comunione, poi il secondo catechismo, quello dei fanciulli. Per le persone in punto di morte che, ignorando la dottrina cristiana, desiderano il conforto dei Sacramenti, v. nell’Appendice III): i fanciulli che come è loro dovere attendono allo studio del catechismo: gli adulti infine che desiderano una conoscenza più completa della dottrina cattolica: di qui un triplice catechismo. Questi tre catechismi vengono raccolti in un solo volume per comodo dei catechisti, ma in seguito per l’uso di coloro ai quali sono destinati possono e debbono separarsi, sopprimendo nel primo catechismo le note che sono per utilità di chi insegna.Per i bambini che si ammettono alla Prima Comunione il Pontefice Pio X per mezzo della Congregazione dei Sacramenti nel Decreto « Quam Singulari » del giorno 8 Agosto 1910 (Append. II) stabilì a quale età cominci l’obbligo della Confessione e della Comunione e quale istruzione religiosa si richieda perché essi possano e debbano ammettersi alla Prima Comunione (vedi il terzo catechismo per gli adulti d. 262, 264) : spesso però avviene che devono ammettersi alla Prima Comunione fanciulli di età maggiore. Per tutti questi proponiamo il breve schema del catechismo (L’abbiamo, con poche modificazioni, desunto dall’opuscolo: Il Decreto Quam singulari pubblicato di ordine del Sommo Pontefice Pio Pp. X dalla S. Congregazione dei Sacramenti il dì 8 Agosto 1910, pubblicato dal R. mo Mons. Domenico Jorio, segretario della medesima Congregazione. Nel comporre questo piccolo catechismo l’autore ebbe sott’occhio l’opuscolo:« Sulla età della prima Comunione dei fanciulli. – Breve commento del Decreto Quam singulari » del Card. Gennari, che ebbe il principale incarico nel compilare il Decreto stesso e perciò ben conosceva l’indole del Decreto.). L’Ordinario, secondo la sua prudenza e lo stesso catechista dietro consiglio dell’Ordinario o del Parroco potrà apportarvi lievi aggiunte purché non si protraggavi lungo la Prima Comunione né, se si tratta di bambini, si aggravi troppo la loro mente. Nemmeno è necessario che le parole di risposta alle domande sieno mandate a memoria purché se ne comprenda bene il senso (Card. Gennari, l. c.): il catechista da parte sua spieghi brevemente e chiaramente quei punti di dottrina contenuti nelle domande che abbiano bisogno di spiegazione servendosi magari di esempi e di figure. Nessuno però si ammetta alla Prima Comunione se non dopo avere promesso al parroco di continuare lo studio del catechismo, promessa che dovrà essere confermata dai genitori o da chi ne fa le veci (Il Parroco, per consiglio del suo Ordinario, può differire la prima Comunione, per il più breve tempo possibile, a queste due condizioni, se non erriamo: 1°) che il fanciullo, dopo la prima Comunione, non frequenterà il catechismo; 2°) che il medesimo, col differirgli la prima Comunione, frequenterà il catechismo durante il tempo della dilazione. Di fatti questa breve dilazione è minor male che una monca e imperfetta cognizione del catechismo; ora, fino a che non risulti diversa la sua intenzione, la Chiesa è da supporsi che permetterà, per il bene del fanciullo, quel minor male.). – Dopo la Prima Communione, al fanciullo che in luogo di allontanarsi dalla Mensa Eucaristica dovrà frequentarla secondo il consiglio del confessore (Dice il Decreto Quam singulari : « V. Una o più volte all’anno i parroci si dieno premura di annunciare e tenere la Comunione generale dei fanciulli e ammettervi non soltanto quelli della prima Comunione, ma pure gli altri che, col consenso de’ genitori e del confessore, com’è detto sopra, la prima Comunione già l’hanno ricevuta: e per tutti si premettano alcuni giorni d’istruzione e di preparazione »), incombe l’obbligo d’imparare a gradatamente il catechismo intero in proporzione della sua capacità come stabilisce la S. Cong. I. c. n. 11 e  questo obbligo che incombe ai fanciulli ricade anche e specialmente su coloro che ne devono aver cura. (Conf. il terzo catechismo per gli adulti, d. 263). Per catechismo « intero » non s’intenda un catechismo simile al nostro per gli adulti, o per le persone colte, ma uno più breve, dove però la dottrina sia svolta in modo da bastare alla formazione cristiana dei giovani. Nel secondo catechismo noi abbiamo creduto bene di proporre le domande e le risposte con le stesse parole che nel terzo catechismo per gli adulti, affinché il giovane che volesse una conoscenza più completa della dottrina cristiana possa poi ottenerla, usando il nostro terzo catechismo. L’Ordinario potrà, se lo crederà più adatto, seguire un altro metodo, ampliare o restringere il nostro e il catechista da parte sua aggiunga spiegazioni più diffuse del domma, racconti della storia sacra e brevi esortazioni: di tutto ciò troverà esempi nel nostro terzo catechismo. E poiché per apprendere bene il catechismo si richiede da parte dei giovani una notevole e non breve applicazione è necessario che lo studio sia graduale, come avverte la stessa S. Congregazione l.c., proporzionato cioè all’età e alla capacità. Sarà compito quindi dei Vescovi di fare sì che l’insegnamento sia opportunamente adattato alle diverse classi dei giovani e sarebbe desiderabile che tali istruzioni fossero uniformi in tutte le parrocchie di una medesima lingua e nazione (Per ottenere la frequenza de’ giovani al loro catechismo, in talune parrocchie si celebra la solenne rinnovazione delle promesse battesimali. Vale a dire che i fanciulli, per almeno due anni, frequentano la scuola del catechismo: compiuta l’istruzione e subito felicemente l’esame, dopo alcuni giorni d’insegnamento e di preparazione, rinnovano con grande solennità, in giorno stabilito e ricevuta la S. Comunione, le promesse del Battesimo alla presenza de’ genitori, o di chi ne fa le veci, quali mallevadori delle promesse. Altrove si suol fare pubblica e solenne distribuzione di premi ai giovani più assidui e più meritevoli.)

Finalmente lo scopo che avemmo in mente nel compilare il terzo catechismo fu di comprendervi soltanto le dottrine che o sono dalla Chiesa definite o dalla scuola cattolica accettate o conformi alla pratica generale dei fedeli alla quale la Chiesa mai abbia fatto opposizione: che queste dottrine fossero presentate col minore numero di parole possibile senza però cessare di essere di utile aiuto ai parroci e ai catechisti e di offrire agli adulti e alle persone colte la possibilità di conoscere a sufficienza la Religione Cattolica, lasciandone ai teologi la completa spiegazione. Inoltre, se non erriamo, noi crediamo che nelle scuole di religione così opportunamente istituite nei nostri collegi il nostro catechismo possa servire di norma e per l’ordine e per il metodo e per la precisione della frase. A proposito di questo catechismo maggiore bisognerà tenere presenti le seguenti osservazioni che più o meno possono adattarsi anche al secondo catechismo per i giovani. – Vi potrà essere bisogno di confutare determinati errori, propri di alcuni paesi o regioni o per illustrare meglio la dottrina cattolica sarà necessario svilupparne con speciale larghezza alcuni punti, o aggiungervene altri o citare brani della Sacra Scrittura o storici avvenimenti locali; si faccia pure tutto questo con il permesso dei Vescovi; però in modo tale che queste aggiunte appaiano ben distinte dal nostro schema. In esso non si propone che la disciplina comune. Se con il consenso della legittima autorità, in qualche regione o diocesi, questa disciplina fosse stata modificata, queste modificazioni si stampino in fondo alla pagina e il catechista le spieghi. Trattandosi però d’indulti affatto locali basterà la spiegazione data a viva voce dal parroco o dall’insegnante. – Se il nostro catechismo verrà adottato da Chiese orientali:

a) Ogni qualvolta nella domanda si tratterà della disciplina, come p. e. nel terzo catechismo per gli adulti Capo V Dei precetti della Chiesa, d. 242 e seguenti, nella risposta si propone quanto è in vigore nella Chiesa Occidentale: se da questa la disciplina orientale differisce sarà cura degli Ordinari sostituire alle nostre domande e risposte altre domande e altre risposte che rispondano alla disciplina della propria Chiesa;

b) Similmente nel catechismo si riportano alcune tra le più comuni preghiere in uso in Occidente: anche queste naturalmente verranno sostituite da altre preghiere più note in Oriente;

c) Lo stesso dicasi per il Simbolo della Fede. Nel nostro Catechismo si riporta e si spiega il cosiddetto Simbolo degli Apostoli, mentre nella maggior parte delle Chiese Orientali e nel catechismo e nella sacra liturgia è accettato il Simbolo Niceno-Costantinopolitano che anche noi recitiamo (aggiungendo la parola Filioque) nel sacrificio della Messa. Le Chiese Orientali quindi potranno ritenere nel catechismo il proprio Simbolo, purché professino come è di dovere la processione dello Spirito Santo dal Padre e dal Figlio. E poiché tra l’uno e l’altro non vi è, vi potrebbe essere, differenza alcuna sostanziale, la spiegazione può essere presa dal nostro catechismo;

d) Finalmente per tralasciare il resto, la materia e la forma di alcuni Sacramenti si propone con parole diverse e dalla Chiesa Latina e dalle Chiese Orientali. Nel nostro catechismo, nel testo si propone la materia e la torma così come è accettata dalla Chiesa Latina, nelle note si indicano la materia e la forma come sono in uso nella Chiesa Orientale. Gli Ordinari orientali però seguano l’ordine inverso, cioè nel testo pongano la loro dizione e nelle note la materia e la forma come sono formulate dalla Chiesa Latina. – Poiché l’insegnamento catechistico mira non soltanto ad illuminare la mente ma e soprattutto a spronare la volontà perché la vita e i costumi si conformino ai precetti della dottrina cristiana, un catechista che o non adattasse la spiegazione alla capacità degli alunni o non li esortasse in modo opportuno al ben vivere, mancherebbe certamente al suo compito. Quelle spiegazioni ed esortazioni quindi che a guisa di esempi vengono suggerite in fondo alla pagina, il catechista, se vuole, le sviluppi e con facilità ve ne aggiunga delle sue. Sempre in fine di pagina sono citati — oltre le testimonianza dei Concili Ecumenici, dei Romani Pontefici, dei Santi Padri, delle Sacre Congregazioni Romane, del Codice di Diritto Canonico — anche i passi della Sacra Scrittura che hanno relazione alla dottrina esposta nel testo affinché il Catechista si abitui a fare uso di essa che « èutile ad insegnare, a ragionare a correggere e ad educare nella santità » (S. Paolo, II a Timot., III, 16) e perché ogni giorno cresca nel popolo la conoscenza e la venerazione per la divina parola (Le testimonianze de’ Concilii Ecumenici, de’ RomaniPontefici, de’ Santi Padri e delle Sacre Congregazioni Romane,recate nei Catechismo, si trovano raccolte in fine dopo il Catechismo.E tali testimonianze, insieme colle citazioni, frequentia pie’ di pagina, dalla S. Scrittura, son la prova più sicura chela dottrina esposta nel Catechismo non è affatto nuova e di recenteinvenzione, ma è contenuta nella S. Scrittura e nel perpetuoinsegnamento della Chiesa.). – Infine desideriamo far conoscere che questo catechismo fu approvato da una commissione speciale di Consultori della S. Congregazione del Concilio presieduta dallo stesso Cardinale Prefetto: fu esaminato da Professori di Teologia nelle Università Cattoliche, da molti Eminentissimi Cardinali e da altre dotte persone: finalmente, nella compilazione del medesimo prestarono la loro utile opera parecchi Consultori e Professori nelle Facoltà Teologiche Romane  (I Collegi Romani, de’ quali i professori ci furono larghi e cortesi d’aiuto, sono i seguenti: Università Gregoriana S. J., Collegio Angelico 0. P., Seminario Romano maggiore, Istituto Pontificio per gli Studi Orientali e Collegio Urbano per la propagazione della Fede.). Se nondimeno per la nostra pochezza fossimo incorsi in qualche espressione contraria o comunque poco conforme alla dottrina e all’intenzione della Sede Apostolica, fino da questo momento vogliamo che sia ritrattata e soppressa.

PIETRO CARD. GASPARRI.

ORDINE DEI CAPITOLI DI DOTTRINA CRISTIANA NEL TERZO CATECHISMO PER GLI ADULTI

Il Capo I tratta del Segno della Santa Croce, che è come la tessera o segno distintivo del cristiano.

Il Capo II tratta della rivelazione divina, che è quasi l’ingresso o la porta del Catechismo, perché essa ci insegna in qual modo noi possiamo conoscere Iddio e le verità eterne. Siccome però per conseguire la eterna salute dell’anima (che è l’unica cosa necessaria, essendo il nostro ultimo fine) dobbiamo innanzi tutto credere, perciò il Capo III tratta del Simbolo degli Apostoli, nel quale sono contenute le principali verità della nostra fede. E poiché alla fede dobbiamo aggiungere le opere, perciò il Capo IV tratta del Decalogo, il Capo V Dei precetti della Chiesa, il Capo VI Dei consigli evangelici. – Siccome poi per compiere tutto ciò che è detto nei sei Capi superiori, è assolutamente necessaria la divina grazia, quindi il Capo VII tratta Della grazia. La qual grazia noi possiam principalmente ottenere per mezzo dell’orazione e dei Sacramenti, perciò il Capo VIII tratterà Dell’orazione ed il Capo IX Dei Sacramenti. Ma nella stessa giustificazione noi insieme alla remissione dei peccati otteniamo e le virtù infuse e i doni dello Spirito Santo, donde provengono poi le beatitudini evangeliche e i frutti dello Spirito Santo; quindi il Capo X tratta Delle virtù teologiche, delle virtù morali, dei doni dello Spirito Santo, delle beatitudini evangeliche e dei frutti dello Spirito Santo. Se non che noi, resistendo alla grazia che Dio liberalmente sempre ci concede, possiamo volontariamente violarne la legge e commetter peccato; perciò il Capo XI tratta Dei peccati. Finalmente il Capo XII tratta Dei Novissimi, poiché la meditazione dei medesimi giova moltissimo per evitare i peccati ed è consigliata dalla stessa Sacra Scrittura.

DELLA PRESENZA DI DIO (1)

DELLA PRESENZA DI DIO [1]

[A. Rodriguez: Esercizio di perfezione e di virtù cristiane; vol. II, ed. VII ster. TORINO, Marietti ed. 1917]

TRATTATO VI.

CAPO I .

Dell’eccellenza di questo esercizio e dei gran beni che sono in esso.

Quærite Dominum, et confìrmamini: quærite faciem ejus semper.

Ps. CIV, 4

Cercate Dio con fortezza e con perseveranza, dice il profeta David: cercate sempre la sua faccia.. La faccia del Signore dice S. Agostino che è la presenza del Signore (super Ps. CIV): e così cercare la faccia del Signore sempre, è camminar sempre alla sua presenza, volgendo il cuore a Lui con desiderio e con amore. Isichio nell’ultima Centuria [e lo apporta anche il glorioso S. Bonaventura] dice, che lo star sempre in questo esercizio della presenza di Dio, è cominciare ad esser di qua beati; perché la beatitudine dei Santi consiste in veder Dio perpetuamente, senza giammai perderlo di veduta. Or giacché in questa vita non possiamo veder Dio chiaramente, né come Egli è, perché questo è proprio dei Beati; almeno imitiamoli nel modo nostro e secondo quello che comporta la nostra fragilità, procurando di star sempre riguardando, riverendo e amando Dio. Di maniera che siccome Dio Signor nostro ci creò per avere a stare eternamente alla sua presenza nel cielo, ed ivi goderlo; cosi volle, che avessimo qui in terra un ritratto e un saggio di quella beatitudine, camminando sempre alla sua presenza, contemplandolo e riverendolo, sebbene all’oscuro: Videmus nunc per speculum in ænigmate: tunc autem facie ad faciem (I ad Cor. XIII): Adesso il veggiamo e contempliamo noi per mezzo della Fede come per mezzo di uno specchio; di poi lo vedremo alla scoperta e a faccia a faccia: Ista est meritum, illa præmium: Quella vista chiara, dice Isichio, è il premio e la gloria e beatitudine che aspettiamo; quest’altra oscura è merito per mezzo del quale abbiamo da arrivare a conseguir quella. Ma infine al modo nostro imitiamo i Beati, procurando di non perdere mai Dio di veduta nelle nostre operazioni, siccome gli Angeli santi i quali sono mandati per nostro aiuto, per nostra custodia e nostra difesa, s’occupano in tal maniera in questi ministeri in prò nostro che mai non perdono Dio di vista; come lo disse l’Angelo Raffaello a Tobia: Videbar quidem vobiscum manducare et bibere: sed ego cibo invisibili, et potu, qui ab hominibus videri non potest, utor (Tob. XII, 19): Pareva bene che io stessi mangiando e bevendo con voi altri; ma io uso un altro cibo invisibile ed un’altra bevanda che non può esser veduta dagli uomini. Stanno gli Angeli santi del continuo come nutrendosi e sostentandosi di Dio: Semper vìdent faciem Patris mei, qui in cœlis est (Matt. XVIII, 10): così noi altri sebbene mangiamo, beviamo, trattiamo e negoziamo cogli uomini, e pare che ci occupiamo e tratteniamo in questo; abbiamo nondimeno da procurare, che non sia questo il nostro cibo né il nostro trattenimento, ma un altro invisibile che gli uomini non veggono; cioè lo star sempre riguardando ed amando Dio e facendo la sua santissima volontà. – Grand’esercizio fu quello che praticarono quei Santi e Patriarchi dell’antica legge in ordine a questo punto del camminare sempre alla presenza di Dio: Providebam Dominum in conspeclu meo semper; quoniam a dextris est mihi ne commovear (Ps. XV, ). Non si contentava il reale Profeta di lodar Dio sette volte il giorno; ma sempre procurava di tenerlo presente. Era tanto continuo questo esercizio in quei Santi, che era anche comune linguaggio loro il pregiarsi di questo, soliti di spesso dire: Vivit Dominus, in cujus conspectu sto (III Re, XVII, 1; – IV. Reg. III, 14): Vive il Signore, alla cui presenza io sto. Sono grandi i beni e le utilità che risultano dal camminar sempre alla presenza di Dio, considerando, che egli ci sta guardando; e perciò lo procuravano tanto quei Santi, perché questo basta a fare, che uno sia molto ben regolato e molto composto in tutte le sue azioni. Dimmi un poco, qual è quel servo che dinanzi agli occhi del suo padrone non proceda con molta puntualità? ovvero qual servo si trova tanto sfacciato, che alla presenza del padrone non faccia quello che esso gli comanda, o ardisca di offenderlo sotto a’ suoi occhi? ovvero qual sarà quel ladro a cui basti l’animo di rubare, mentre vede, che il Giudice gli sta guardando alle mani? Ci sta guardando Dio, il quale è nostro giudice ed è onnipotente, che può far che la terra s’apra e che l’inferno inghiottisca chiunque lo fa sdegnare contro di sé, e alcune volte l’ha fatto. Or chi ardirà di muoverlo a sdegno? E così S. Agostino diceva: Quando io, Signore, considero attentamente, che mi state sempre guardando e vegliando sopra di me notte e giorno, con tanta cura, come se in cielo e in terra Voi non aveste altra creatura da governare che me solo: quando considero bene, che tutte le mie operazioni, pensieri e desideri, sono patenti e chiari dinanzi a Voi, mi riempio tutto di timore e mi copro di vergogna (c.(D. Aug. c. 14 soliloq.). Certo ci mette in grand’obbligo di viver giustamente e rettamente il considerare, che facciamo tutte le cose dinanzi agli occhi del Giudice che vede il tutto e a cui nessuna cosa si può celare. Se la presenza d’un uomo grave ci fa star composti, che farà la presenza di Dio? S. Girolamo sopra quello che Dio dice di Gerusalemme per mezzo del profeta Ezechiello, Meique oblita es (Ezech. XXII, 13), Ti sei dimenticata di me, dice: Memoria enim Dei excludit cuncta flagitia: La memoria di Dio esclude tutti i peccati. L’istesso dice sant’Ambrogio (D. Ambr. lib. de fide resurr. Tom. 4). E in un altro luogo dice S. Girolamo: Certe quando peccamus, si cogitaremus Deum videre, et esse prœsentem, numquam, quod ei dispiaceret, faceremus (4 (4) D. Hieron. Ìn Ezeeh. 8 circa illud, dicunt enim, non vldebit Dominus nos). È tanto efficace mezzo la memoria di Dio e il camminar alla presenza sua, che se considerassimo, che Dio è presente e che ci sta guardando, non ardiremmo mai di far cosa che gli dispiacesse. Alla peccatrice Taide bastò questo solo per lasciare l a sua mala vita e andarsene all’eremo a far penitenza, come abbiamo detto di sopra (tract. V.). Diceva il santo Giob: Nonne ipse considerai vias meas, et cunctos gressus meos dinumerat ((2) Job XXXI, 4)? Dio mi sta guardando come testimonio di veduta e mi va contando i passi; e chi ardirà mai di peccare né di far cosa malfatta? Per lo contrario tutto il disordine e tutta la ruina dei tristi nasce dal non ricordarsi, che Dio è presente e che gli sta guardando, secondo quello che tante volte replica la Scrittura divina in persona degli uomini cattivi: Et dixisli: Non est, qui videat me (Isa. XLVII, 10) — Non videbit novissima nostra (Jerem. XII, 4). E così lo notò san Girolamo sopra quel capo 22 di Ezechiello, ove il Profeta, riprendendo Gerusalemme di molti suoi vizi e peccati, viene a conchiudere, che la cagione di tutti essi era l’essersi dimenticata di Dio: e questa stessa cagione nota la Scrittura in molti altri luoghi, Siccome un cavallo senza freno si va a precipitare e una nave senza chi la governi si va a perdere; così levato via questo freno, l’uomo se ne va dietro a’ suoi appetiti e alle sue passioni disordinate: Non est Deus in conspectu ejus: inquinata? sunt via? illius in omni tempore (Psal. IX, 20), dice il profeta David: Non tiene Dio dinanzi a’ suoi occhi, non lo considera presente dinanzi a sé; e perciò le vie sue, cioè le sue operazioni, sono macchiate di colpa in ogni tempo. Il rimedio che il beato S. Basilio in molti luoghi dà contra tutte le tentazioni e’ travagli, e contra tutte le cose e occasioni che ci si possono presentare, è la presenza di Dio (p. Basil, in reg. brev. et in reg. fus. disput.). Onde se vuoi un mezzo breve e compendioso per acquistare la perfezione, il quale contenga e rinchiuda in sé la forza e l’efficacia di tutti gli altri mezzi, questo è desso, e per tale lo diede Dio ad Abramo: Ambula coram me, et esto perfectus (Gen. XVII, 1): Cammina alla mia presenza, e sarai perfetto.  – In questo, come in altri luoghi della sacra Scrittura, l’imperativo si piglia pel futuro, per significare l’infallibilità del successo. È cosa tanto certa, che sarai perfetto se andrai sempre riguardando Dio e se starai avvertito ch’egli ti sta guardando; che da quest’ora ti puoi tenere per tale. Perché, siccome le stelle dall’aspetto del sole che hanno presente, e in cui stanno rivolte, traggono lume per risplendere dentro e fuori di sé, e virtù per influire nella terra; così gli uomini giusti i quali sono come stelle nella Chiesa di Dio, dall’aspetto del medesimo Iddio, dal mirarlo presente, e dal volgere il loro pensiero e desiderio a Lui, traggono lume col quale nell’interiore che Dio vede risplendono con vere e sode virtù, e nell’esteriore che veggon gli uomini risplendono con ogni decenza e onestà; e ritraggono virtù e forza per edificare e santificar altri. Non è cosa nel mondo che esprima tanto propriamente la necessità che abbiamo di star sempre alla presenza di Dio, quanto questa. Guarda la dipendenza che ha la luna Dal sole, e la necessità che ha di star sempre rimpetto ad esso. La luna da sé non ha lume; ha solo quello che riceve dal sole, secondo l’aspetto col quale lo guarda; e opera nei corpi inferiori secondo il lume che riceve dal sole: e così i suoi effetti crescono te scemano secondo che ella stessa va crescendo e scemando: e quando si pone dinanzi alla luna qualche cosa che le impedisca l’aspetto e la vista del sole; subito nell’istesso punto si ecclissa e perde la sua luce, e con essa ancora gran parte dell’efficacia d’operare che aveva mediante il lume che riceveva dal sole. L’istesso accade nell’anima rispetto a Dio che è il suo sole. Perciò i Santi ci esortano a questo esercizio. S. Ambrogio e S. Bernardo trattando della continuazione e perseveranza che dee essere in noi intorno ad esso, dicono: Sicut nullum est momentum, quo homo non utatur vel fruatur Dei bonitate et misericordia; sic nullum debet esse momentum, quo eum præsentem non habeat in memoria (D. Ambr. lib. de dlgu. coni. bum. c. 2; D. Bernard, c. 8, medit.): Siccome non v’è punto né momento nel quale l’uomo non goda della bontà e misericordia di Dio; cosi non vi ha da esser punto né momento nel quale non abbia Dio presente nella sua memoria. E in un altro luogo dice S. Bernardo: In omni actu vel cogitatu suo sibi Deum adesse memoretur; et omne tempus, quo de ipso non cogitai, perdidisse se computet (D. Bern. in spec. mon.): In tutte le sue operazioni e in tutti i suoi pensieri ha da procurare il Religioso di ricordarsi, che ha Dio presente: e tutto il tempo che non pensa a Dio ha egli da tenerlo per perduto. Mai non si dimentica Dio di noi altri: sarà ben di ragione che noi altresì procuriamo di non mai dimenticarci di lui. S. Agostino sopra quelle parole del Salmo XXXI, Firmabo super te oculos meos, dice: Non a te auferam oculos meos; quia et tu non aufers a me oculos tuos (D. Aug. in Ps. XXXI, 8): Non leverò, o Signore, gli occhi miei da te; perché tu non levi mai i tuoi da me: sempre li terrò fermi e fissi in te, come faceva il Profeta: Oculi mei semper ad Dominum (Ps. XXIV, 15). S. Gregorio Nazianzeno diceva: Non tam sæpe respirare, quam Dei meminisse débemus (D. Greg. Naz. In I orat. Theol.): Tanto spesso e tanto frequente ha da esser il ricordarci di Dio, quanto il respirare, e anche più. Perché siccome ad ogni momento abbiamo necessità di respirare, per rinfrescare il cuore e per temperare il calor naturale, così abbiamo necessità di ricorrere in ogni momento a Dio coll’orazione, per raffrenare il disordinato ardore della concupiscenza che ci sta stimolando e incitando al peccare.

CAPO II.

In che cosa consiste quest’esercizio di camminar sempre alla presenza di Dio.

Per poter noi cavar maggior frutto da quest’esercizio, bisogna che dichiariamo in che cosa consiste. In due punti consiste, cioè in due atti, l’uno dell’intelletto e l’altro della volontà (Vide sapra tract. 5, c. 7). Il primo atto è dell’intelletto, poiché questo sempre si ricerca e si presuppone per qualsivoglia atto della volontà, siccome insegna la filosofia. La prima cosa dunque ha da essere il considerare coll’intelletto, che Dio è qui e in ogni luogo; che riempie tutto il mondo; e che sta tutto in tutto, e tutto in qualsivoglia parte di esso, e tutto in qualsivoglia creatura, per piccola che sia. Su questo si ha a fare un atto di fede, perché questa è una verità che la Fede ci propone per crederla: Non enim longe est ab unoquoque nostrum. In ipso enim vivirnus, et movemur, et sumus (Ex Act. XVII, 27, 28.), diceva l’apostolo san Paolo. Non avete da immaginarvi Dio come lontano da voi, o come fuori di voi; perché è dentro di voi. S. Agostino dice di se medesimo (D. Aug. lib. 10 Confess. e. 27): Signore, io cercava fuori di me quello ch’aveva dentro di me. Dentro di voi sta Egli. Più presente, più intimo e più intrinseco è Dio in me, che non sono io stesso. In Esso viviamo, ci moviamo, e abbiamo l’essere: Egli è quegli che dà vita a tutto quello che vive; e quegli che dà forza a tutto quello che opera; e quegli che dà l’essere a tutto quello che è. E s’Egli non istesse presente, mantenendo tutte le cose, tutte lascerebbero d’ essere e si ridurrebbero al niente. Considera dunque, che sei tutto pieno di Dio, e circondato da Dio, e che stai come nuotando in Dio. Quelle parole, Pieni sunt cœli et terra gloria tua (Ex Isa. VI, 3. Eccl. in Prœfat. Missæ), sono molto a proposito per questa considerazione: i cieli e la terra, o Signore, sono pieni della vostra gloria. Alcuni per attuarsi meglio in questo esercizio considerano tutto il mondo pieno di Dio, come in fatti Egli è: indi immaginano se stessi in mezzo di questo mare immenso di Dio, circondati da esso per ogni parte, in quel modo che starebbe una spugna in mezzo al mare, tutta inzuppata e piena d’acqua, e oltre di questo circondata d’acqua da tutte le bande. E non è questa cattiva similitudine rispetto al corto nostro intelletto; ma con tutto ciò ella stessa è assai debole e scarsa, e non arriva ad esprimere a sufficienza quel che diciamo; perché questa spugna in mezzo del mare se sale in alto trova fine; se cala al basso trova terra; se va da un canto all’altro trova lido; ma in Dio non troverai niuna di queste cose: Si ascenderò in cœlum,tu illie es : si descendero in infernum, ades. Si sumpsero pennas meas diluculo, et habitavero in extremis maris, etenim illuc manus tua deducet me, et tenebit me dextera tua (Psal. CXXXVIII, 8, 9, 10): S’io salirò in cielo, ivi sei tu, Signore; e se me ne calerò sino all’inferno, pur Li sei; e se prenderò alI e me ne passerò di là dal mare, colà mi condurrà e mi terrà la tua potente mano. Non vi è fine o termine in Dio, perché è immenso e infinito. Inoltre la spugna, per esser corpo, non può esser totalmente penetrata dall’acqua la quale è un altro corpo; ma noi altri siamo in tutto e per tutto penetrati da Dio il quale è puro spirito. Pur finalmente queste ed altre simili comparazioni, ancorché scarse e manchevoli, aiutano e sono a proposito per farci comprendere in qualche modo l’immensità infinita di Dio, e come Egli è presente e sta intimamente dentro di noi e in tutte le cose. [fondamentale al riguardo è l’opera di B. Froget, l’Inabitazione dello Spirito Santo in noi – ndr.]. E per questo le apporta S. Agostino (D. Aug. ep. 57 ad Dard. et lib. 7 Confessi, e. 5). » Ma è d’avvertire in questo esercizio, che per questa presenza di Dio non fa di bisogno il formarci entro di noi alcuna sensibile immagine o rappresentazione di Dio, a forza di fantasia, figurandoci, che Egli ci stia a lato, o da un’ altra banda determinata, né immaginarselo nella tale o tal altra forma o figura. Vi sono alcuni che s’immaginano di avere avanti di sé, ovvero al lato loro, Gesù Cristo nostro Redentore, che vada, o stia con essi, e gli stia sempre mirando in ciò che fanno: e in questa maniera stanno sempre alla presenza di Dio. Altri di questi s’immaginano Cristo crocifisso, che stia sempre loro dinanzi; altri se l’immaginano legato alla colonna: altri nell’orto in atto di far orazione e di sudar sangue; altri se l’immaginano in qualche altro passo della Passione, o in qualche mistero gaudioso della sua santissima Vita, secondo quello che suole più muovere ciascuno: ovvero per qualche tempo se l’immaginano in una azione e per qualche altro in un’altra. E ancora che questa sia cosa molto buona, se si sa fare; nondimeno, ordinariamente parlando, non è questo quello che più ci conviene e ci è più utile: perché tutte queste figure e immaginazioni di cose corporali straccano, e aggravano, e rompono assai la testa. Un S. Bernardo e un S. Bonaventura dovevano saper far questo d’altra maniera che noi, e vi trovavano gran facilità e quiete; e così se n’entravano in quei buchi delle Piaghe di Cristo e dentro al suo Costato, e quello era il loro ricovero, il loro rifugio e riposo, parendo loro d’udir quelle parole dello Sposo ne’ Cantici (Cant. II, 13,14): Surge, amica mea, speciosa mea, et veni, columba mea, in foraminibus petræ, in caverna maceriæ. Altre volte s’immaginavano il piè della croce piantato e conficcato nel loro cuore, e stavano ricevendo nella loro bocca con grandissima dolcezza quelle gocciole di sangue che stillavano e scorrevano come da aperti fonti dalle Piaghe del Salvatore. – Haurietis aquas in gaudio de fontibus Salvatoris (Isa. XII, 3). Facevano que’ Santi queste cose molto bene, e se ne stavano benissimo; ma se tu te ne vorrai stare tutto il giorno in queste considerazioni e con questa presenza di Dio, potrà essere, che, per un giorno e per un mese che tu lo faccia, perda tutto l’anno d’orazione; perché ti ci romperai il capo. Ben si vedrà quanta ragione abbiamo d’avvertire questa cosa; poiché anche per formarci la composizione del luogo, che è uno de’ preludi dell’orazione col quale ci facciamo presenti a quello che abbiamo da meditare, immaginandoci, che realmente quella cosa si faccia ed accada allora sotto i nostri occhi, avvertono quei che trattano dell’orazione, che non ha la persona da fissare né attuar molto l’immaginazione nella figura e rappresentazione di questo cose corporali che pensa; acciocché non si rompa la testa, e per guardarsi da altri inconvenienti d’illusioni che potrebbero occorrere. Ora se per un preambolo dell’orazione che si fa in così breve spazio di tempo, e stando uno quieto e posato, senza avere altra cosa che fare, vi bisogna tanta avvertenza e circospezione; che sarà volendosi tutto il giorno, e fra le altre occupazioni, ritenere questa composizione di luogo e queste materiali rappresentazioni? Quella presenza adunque di Dio della quale trattiamo adesso, esclude tutte queste immaginazioni e considerazioni, ed è molto lontana da esse; perché ora trattiamo della presenza di Dio in quanto Dio, il quale dico primieramente che non vi è bisogno di fingerselo presente, ma solamente di crederlo, perché questo è verissimo. Cristo nostro Redentore in quanto uomo sta in cielo e nel santissimo Sacramento dell’Altare; ma non istà in ogni luogo: onde quando c’immaginiamo presente Cristo in quanto uomo, questa è un’immaginazione che noi altri fingiamo; ma in quanto Dio è qui presente, e dentro di me, e in ogni luogo, e riempie ogni cosa; Spiritus Domìni replevit orbem terrarum (Sap. 1, 7). Non abbiamo dunque bisogno di fingere quello che non è; ma di attuarci in credere quello che è. Dico in secondo luogo, che l’umanità di Cristo si può bensì immaginare e figurare coll’immaginazione, perché ha corpo e figura; ma Dio, in quanto Dio, non ci può immaginare né figurare com’Egli è; perché non ha corpo né figura, essendo puro spirito. Né anche un Angelo né la nostra propria anima possiamo immaginarci come sien fatti, perché sono spiriti; quanto meno potremo immaginarci né formarci concetto alcuno del come sia fatto Dio? – In che modo dunque abbiamo noi da considerare Iddio presente? Dico, che solamente col fare un atto di fede, presupponendo, che Dio è qui presente, poiché la Fede ce lo dice, senza voler sapere come né in che modo ciò sia: siccome dice san Paolo che faceva Moisè, il quale invisibilem tamquam videns sustinuit (ad Hebr. 1): Essendo Dio invisibile, egli lo considerava e lo teneva presente come se lo vedesse, senza voler sapere né immaginarsi come Egli fosse fatto: come quando uno sta parlando col suo amico di notte, senza voler cercare com’Egli sia fatto né ricordarsi di questo, gode unicamente e dilettasi della conversazione e presenza dell’amico che sa esser ivi presente. In questa maniera abbiamo noi da considerare Dio presente: ci basti sapere, che il nostro amico è qui presente per godere della sua presenza. Non ti fermare a voler guardare come egli sia fatto, che non ci affronterai, essendo di notte adesso per noi altri: aspetta, che si faccia giorno, e quando apparirà la mattina dell’altra vita, allora egli si manifesterà, e potremo vederlo chiaramente com’Egli è fatto: Curri apparuerit, similes et erìmus; quoniam videbimus eum sicuti est (I. Jo. V.). Per questo Dio apparve a Mosè nella nuvola e nell’oscurità: non vuole, che tu lo vegga; ma solamente che creda, ch’egli è presente. Tutto questo che abbiamo detto appartiene al primo atto dell’intelletto che si ha da presupporre. Ma bisogna avvertire, che la principal parte di questo esercizio non consiste in questo; perché non si ha da occupare solamente l’intelletto, considerando Dio presente; ma s’ha da occupare anche la volontà, desiderando e amando Dio, e unendosi con esso: e in questi atti della volontà consiste principalmente quest’esercizio. Del che tratteremo nel capo seguente.

DELLA PRESENZA DI DIO (2)

LO SCUDO DELLA FEDE (129)

Paolo SEGNERI S. J.:

L’INCREDULO SENZA SCUSA

(Tipogr. e libr. Salesiana, TORINO, 1884)

PARTE SECONDA

CAPO VIII.

Si segue a difendere da due altre imposture ereticali i miracoli della Chiesa, per finir di evincer li sussistenti.

I. Terribile è la passione. Fa questa ai ciechi sognare di aver mille occhi a conoscere le altrui fraudi, quando non ne hanno due soli a vedere le loro neppur vegliando. Privi però gli eretici di miracoli, vogliono ad ogni modo avvilire tutti quelli che accadono fra i cattolici, con criticarci, ora facili nell’ammetterli, ora finti nel raccontarli, che è quasi un di mostrarci tra noi di accordo a vendere una tal merce ed a comperarla per pochi soldi, sol perché ella non è merce legittima, ma falsata. – Ed io dico loro, che se non avessero perduto affatto ogni lume, vedrebbero chiaramente, come imposture si grosse convien che tornino finalmente in obbrobrio del calunniatore più assai che del calunniato. Finiamo dunque per cumulo di vittoria di abbattere parimente ambedue queste opposizioni: il che è agevolissimo, mentre ambedue non hanno altro di sodo, che la fronte de’ loro sostenitori.

I.

II. E per cominciar dalla prima: Che ardire è il loro, dire, che noi siamo facili più del giusto in ammettere ogni miracolo? Non nego io già; che il volgo, mal consapevole di quanto può la natura, non reputi talora per un effetto miracoloso quello che in sé non è, ma sol pare a lui perché non sa donde nasca. Nego bene, che di tal condizione sieno i miracoli, che vengono approvati per tali da’ pastori delle chiese e da’ prelati delle congregazioni stabilite ad esaminarli. Chi si persuade altrimenti, oltre alla malignità, scopre anche la sua ignoranza: mentre non sa quante difficoltà s’incontrino in una Roma prima di ottenere ad un sol prodigio la debita approvazione. Qual tribunale però troverà mai fede, se non la trova questo, sì rigido ad ogni prova, si spassionato, sì santo? Che se pure volessimo noi concedere alla perfidia de’ novatori, errato in qualche caso lor noto; chi però vorrà credere, che erri sempre? Si dia per vero, che il parlamento del regno, dopo anche molti processi, condanni a morte un che egli stimò reo, mentre era innocente; sarà per questo credibile che innocenti sian tutti gli uomini da lui condannati a morire? – Eppure un solo vero miracolo che fosse stato operato nella chiesa romana, a canonizzare la sicurezza de’ suoi oracoli, e la santità delle sue operazioni nello spazio di centosettanta anni in qua, cioè dappoi che uscì in campo Lutero per infamarla di adultera; basterebbe a manifestarla per Chiesa vera di Cristo, come un solo anello del re basta a manifestar la sua vera sposa senza che ella ne porti le dita cariche.

III. Senonchè questa medesima facilità al credere meraviglie che i novatori oppongon tanto ai Cattolici, denota evidentemente, che fra’ Cattolici a volta a volta ne accadano delle vere. Imperocché, donde mai nasce fra noi una tale facilità più che in altri popoli? Forse dall’ignoranza? Non già: attesoché, quanto sanno meno di Dio i popoli dementati dall’eresie, e quanto meno ne sanno anche gli ebrei, i tartari, i turchi ignoranti affatto! Eppure presso a costoro dov’è che trovisi questa facilità di credere successi miracolosi tra loro occorsi?

IV. Dirassi dai novatori, che il demonio stravolge con sì bell’arte la fantasia de’ Cattolici per farli riposar più tranquillamente ne’ loro errori? Ma non ha il demonio tanto maggior possanza su gli infedeli e su gl’idolatri, i quali riconoscono lui per Dio? Come però, per mantenerli in errore, non istravolge egli loro continuamente la fantasia di maniera simile? Conviene a forza che i novatori confessino, come in grembo alla Chiesa Romana sia la sorgente unica de’ miracoli, e che di ciò persuasi i cattolici dallo Spirito Santo, loro intimo illustratore, sentano in se medesimi quella pia propensione a crederli facilmente: propensione, la quale può fare, che essi talora nel giudicarne in privato piglino qualche abbaglio, come lo piglia chi da un principio vero, applicato male, cava una conclusione che non è vera: ma non può fare, che il piglino quando i miracoli con pubblica autorità si deducono al loro foro contenzioso,e quivi restano legittimamente dilucidati. Se in altri popoli una tal propensione non trova luogo, è perché tra loro mai di miracoli non si parla. Chi tiene dal partito di un re potente, che usci armato alla testa di un bravo esercito veterano, agevolmente riceve tosto per vere le prime nuove della vittoria conseguita da lui sotto alcuna piazza. Laddove chi tien del partito di un signore fallito al pari di credito o di danaro, per quanto il brami, non sa prestare tuttora fede alla fama che dice: Ha vinto. La buona causa che però i Cattolici dalla loro, è quella che sì gli inclina a tener per veri i miracoli che si odono narrar da questo o da quello: sapendo che innumerevoli son veri, e che la miniera onde nascono, che è la divina potenza, per quanto scavisi, nulla scema. Una simil credulità per certo fra gli eretici non può incorrersi. Ma perché? Perché di miracoli non v’è tanto fra loro, non dico di verità, ma di verisimiglianza, che basti alla falsità per farne una favola : Validior veritas, quam falsitas , disse colui (Ficinus), et falsitas fallit imagine veritatis. E con questo viene anche a sciogliersi ciò che in secondo luogo voleva opporsi, cioè, che i miracoli nostri siano belle finzioni inventate da quegli istorici che le contano.

II.

V. In prima, questa opposizione medesima facevano i gentili alla religione cristiana nei primi secoli, tacciandola di rea fede in tali racconti. Ciò dunque che i novatori, come Cristiani, risponderanno giustamente ai gentili in comun difesa, risponderemo ad essi novatori noi parimente, come Cattolici.

VI. Dipoi nelle sacre scritture si presuppone, che le operazioni miracolose rechino una testimonianza autorevole alla verità della fede, come tante voci di Dio, non imitabili da alcun altro: Contestante Deo signis et portentis (Ad Heb. 2). Dall’altro lato è certissimo, che non ognuno può essere spettatore di queste operazioni miracolose dovunque accadono. Adunque è certo altresì, che la fede umana ha da aver forza ad accreditarle di modo, che chi non le crede si giudichi inescusabile. Né appare donde fosse colpevole più Tommaso, che in non voler piegarsi alle attestazioni che della risurrezione di Cristo gli rendevan gli apostoli suoi colleghi, quando dìcevangli di averlo infino veduto cogli occhi loro: Vidimus Dominum. Mirino però i novatori di qual fallo essi vengono a farsi rei, ricusando di credere a tanti testimoni, per la virtù, per la scienza, e per la saviezza, degnissimi di ogni fede. Tra gli scrittori di prodigi tali si arruolano molti santi: Basilio, Crisostomo, Girolamo, Gregorio Magno, il Nazianzeno, il Nisseno, ed il Turonense, Atanasio, Agostino, Teodoreto, Beda, Bernardo, Bonaventura, Antonino e più altri de’ quali ha Dio fornito ogni secolo. Qual temerità sarà dunque ripudiar tutti questi come ingannati, o ancor come ingannatori, massimamente professandosi anch’essi in molti di que’ prodigi testimoni di veduta, come gli apostoli tutti a Tommaso incredulo? Forse che i novatori lasciano di apportar l’autorità dei dottori pur da lor lodati, dove la stimano favorevole, benché da lungi, a qualcuno dei loro errori?Anzi oh come studiosi ne vanno in busca? Se dunque l’accettano in un caso più per valida ad attestare, come poi vengono a rigettarla nell’altro? Approbans personam testis in uno actu, approbat eam in omni alio simili (L. si Quis testib. C. de test.)

VII. Appresso. non v’hané anche ragione di cavillare la narrazionedi altri scrittori meno santi, ma pure alienissimi dal mentire in materia di religione, dove ogni menzogna equivale ad un sacrilegio. Se gli scrittori, di cui si parla, fossero etnici, o fossero eretici, avremmo veramente qualche motivo di dubitare della loro fede, perché sì gli uni come gli altri non si fanno molta coscienza di dir bugie. Platone (L. 4. de rep.), fra gli etnici stimò laudevolissimo il giovare talora al volgo con una menzogna acconcia, quasi che ciò sia far da medico ben esperto, il quale inganna il fanciullo infermo con pillole confettate, ma per sanarlo. E gli eretici d’oggidì concordano, in affermare, che nessuna scelleratezza sia da temersi dov’è la fede, quasi che questa sugga, per dir così, dalle opere ree qualunque malignità, come dalle serpi il fulmine ogni veleno. Essi dunque a ragione dovranno esserci sospettissimi, quando riferiscano eventi superiori alle forze della natura, mentre, crederanno di far bene mentendo, o almeno crederanno di non far male. Ma non già si hanno a tener sospetti sì facilmente i Cattolici, presso cui è fallo degno di morte eterna il fingere miracoli non sussistenti, ed è caso anche grave d’inquisizione, cioè di un foro che non porta rispetto a veruna persona, a veruna penna per inclita ch’ella sia.

VIII. All’ultimo, chi accusa altri di falsario, è in debito di provarlo: Et actore non probante, reus absolvitur: massimamente quando la reità, non pur non è certa, ma né anche è probabile. Eppure quale argomento può rendere mai probabile la finzione di quei miracoli, non per altro odiosi agli eretici di oggidì, se non perché su’ capi loro riescono tanti folgori? ì Potevasi indovinare mai, che Lutero avrebbe conteso il purgatorio; che Calvino e che Carlostadio avrebbero negata la presenza di Cristo nell’eucaristia; che Zuinglio avrebbe riprovato fl. sacrifizio della messa; quando i Cattolici, tanti secoli prima, raccontaron miracoli attestatoli della verità da costoro oppugnati novellamente?

IX. Aggiungasi, che se tutti i nostri prodigi sono mere fole, non pub capirsi come in tanto spazio di tempo non vi sia stato veruno il quale si ponesse a volerle scoprire per quelle che erano, traendo al chiaro queste ree talpe sì sagaci a intanarsi. È possibile, che tutti i dottori cattolici che sono tanti, tutti i principi, tutti i prelati si lascino sopraffare da tanta stolidità, che non distinguano il falso dal vero, ma facciano una ragione medesima del vetro e del diamante, dove per altro è sì grande la inclinazione che han tutti gli uomini saggi a svelar gl’inganni? Tommaso Moncero (che fu il primo ad isvegliare nella Germania l’error degli anabattisti) si volle provare a fingere dei miracoli in confermazione di tale errore, egli riuscì così poco, che fu chiamato per soprannome il fingitor de’ miracoli da quei suoi popoli stessi che lo dannarono finalmente alle fiamme per altro capo lor più molesto, cioè per l’ubbidienza che da esso toglievasi ai magistrati. Eppure tutta quella Germania medesima approvò una volta per veri gl’innumerabili miracoli quivi fatti da un Bonifazio, confessando ella di avere lei sottoposto per essi l’altero collo al giogo di Cristo; tutta l’Inghilterra approvò quei di Agostino; tutta l’Ibernia quei di Patrizio; tutta la Dania quei di Remberto; e così più altre nazioni approvarono tutte al pari quelli dei loro apostoli, spediti là dal Romano Pontefice a predicarvi. Onde quando vogliasi rivocare punto in questione la verità di tali successi, gettinsi pure alle fiamme l’istorie tutte a conto d’inutili: mentre, come sappiamo per via d’istorie essersi le Gallie rendute già all’imperio romano, e rendute in virtù dell’armi di Cesare; così sappiamo per via d’istorie, essersi quelle nazioni rendute già alla Chiesa Romana, e rendute in virtù de’ miracoli quivi fatti da quei loro famosi conquistatori.

X. Senonchè mirate, come la soave provvidenza ha voluto a questi increduli stessi turar la bocca, con dire a ciascun di loro (come disse Cristo a Tommaso), che venga, e veda: Veni et vide. Ecco però, che a tal effetto ella ha voluti nella sua Chiesa Cattolica alcuni prodigi, non passeggeri, non pellegrini, ma ospiti permanenti, cosicché ciascuno a piacer suo può venire a certificarsi, sol che egli tolga l’incomodo di un viaggio, quale fanno tanti oggidì per ricreazione. Di tali prodigi v’è chi già compilonne un volume giusto (Sylv. Petrasancta). Ma per brevità io mi ristringo al solo regno di Napoli, che tutti alletta per altro anche di lontano coll’amenità del suo paradiso. Quivi, a convincere i pertinaci, ecco prontissimo il sangue di s. Giovanni e il sangue di s. Gennaro. Ambedue questi sangui già congelati, si liquefanno da se stessi, e sobbollono apertamente: quello di s. Giovanni, al leggersi l’Evangelio della sua decollazione: quello di s. Gennaro, nel comparire al cospetto della sua testa. Che sono però questi? Sono racconti istorici, o sono cose esposte al guardo di chi pur segue a ripetere: S’io non veggo, non crederò: Nisi videro, non credam? Gli eretici, che non sanno qui cosa si dire, vorrebbero ridurre sì strani effetti ai moti altissimi di simpatie naturali. Ma questa è la meraviglia che solamente ne’ paesi Cattolici si ritrovino cimpatie sì belle, e nulla n’abbiano i lor paesi infedeli. Tale è la pena giustamente dovuta all’incredulità ben proterva: dovere penar più per non indursi a credere, che per credere.

XI. E poi. siano pur simpatie que’ moti miracolosi pur ora detti: sono più secoli che l’ossa del glorioso s. Nicola, nuotano in Bari dentro un umore prodigiosissimo, che ne sgorga giornalmente in gran copia, e chiamasi manna dalla sanità ch’egli suol portare agl’infermi in diverse parti del mondo donde è richiesto. Dicano però i novatori come può avvenire a forza di simpatia, che ossa morte da tanto tempo, sudino ancora, e nuotando in mezzo a tant’acqua, mai non infracidiscano come l’altre, ma si conservino sempre nel primo fiore? Che accade ricorrere alle occulte ragioni? La cagione è manifestissima; e tale è la provvidenza divina, che con questi ed altri miracoli ancora stabili vuole illustrare la sua Chiesa sì chiaramente, che si discerne apertamente dall’altre che non son sue. Però faccian pure gli eretici quanto sanno co’ loro inchiostri più neri: mai non arriveranno a spegnere una scintilla di raggi sì luminosi, quali son quei ch’ella segue tuttora a vibrar dal volto.

IL CATECHISMO DELLA MAMMA (2)

Il CATECHISMO DELLA MAMMA [II]

LA RELIGIONE SPIEGATA AI BAMBINI DA L’ABATE DE SAINT-.JEAN

Nihil obstat

Ian. 1933

Can.cus DOCT. I. DAL SASSO Cens. Eccl.

Imprimatur:

Patavii, die l4 Ian. 1933

CAN. CUS DOCT. P . CARMIGNOTO Vic. Gen.

Tipografia del Seminario – 1933

QUARTA LEZIONE

SPIEGAZIONE

Gesù Salvatore

Il bambino. – Gesù Cristo, mamma, non era dunque il più forte, poiché si è lasciato uccidere dai cattivi Giudei?

La mamma. – Gesù Cristo, bimbo mio, era, sì, il più forte; Egli era Dio; Egli non avrebbe avuto che a dire una parola, una parola sola come quando creò il mondo, e questa parola avrebbe rovesciato tutti i cattivi Giudei.

Il bambino. – E perché non la disse questa parola?

La mamma. – Perché Gesù Cristo doveva soffrire e morire per noi; sì, per te, mio caro, per la tua mammina, per tutti gli uomini.

Il bambino. – Per noi, mamma?

La mamma. – Sì, mio caro, sono le nostre cattive azioni, voglio dire i nostri peccati, che obbligarono Gesù Cristo a venire sulla terra a soffrire e morire per noi.

Il bambino. – Vuoi dirmi un po’ in qual modo, mamma?

La mamma. – Lo farò, bimbo mio, ma sarà una storia un po’ lunga.

Il bambino. – Tu sai, mamma, che io preferisco le lunghe storie.

La mamma. – La mia lunga storia si chiama storia della REDENZIONE DEGLI UOMINI.

Il bambino – Ripetimi questa difficile parola, mamma.

La mamma. – Dico: Redenzione degli uomini; una storia dove gli uomini tutti sono SALVATI da Gesù Cristo il Figlio di Dio.

Il bambino. – Erano dunque perduti gli uomini, se Gesù Cristo è venuto a salvarli?

La mamma. – Sì, bimbo mio, noi eravamo tutti nello stato orribile di un uomo che sta per annegare. Gesù Cristo è venuto in nostro soccorso; Egli è il nostro Salvatore.

Il bambino. – Allora, mamma, tutti gli uomini sarebbero annegati, senza Gesù Cristo loro Salvatore?

La mamma. – Fu per meglio farti capire la storia della Redenzione che ho detto de l’uomo che annegava. Ecco dunque, mio caro, quello che avvenne. Quando Dio fece il primo primo padre e la prima madre di tutti

gli uomini, che noi chiamiamo Adamo ed Eva, Dio diede loro molta felicità. Essi vivevano in un luogo magnifico chiamato il paradiso terrestre e il loro corpo allora non poteva né soffrire, né morire. Avevano soprattutto la grazia che li faceva tanto cari a Dio.

Il bambino. – Come sarei stato felice io, mamma, se fossi stato al posto di Adamo ed Eva!

La mamma. – Essi perdettero però questa grande felicità per colpa loro.

Il bambino. – In che modo, mamma?

La mamma. — Dio volle sapere se Adamo ed Eva meritavano una felicità che essi dovevano soltanto alla sua bontà. Per conoscere l’obbedienza dei nostri primi genitori, Dio disse loro: « Voi non mangerete il frutto di quel tale albero ».

Il bambino. – Io non l’avrei mangiato quel frutto!

La mamma. – Adamo ed Eva, da principio, parlarono come te; ma il frutto proibito parve loro cosi bello che essi pensarono dovesse essere buono assai; e la nostra madre Eva ne mangiò per la prima e il nostro padre Adamo, per compiacere la sua compagna, a sua volta mangiò pure una parte del frutto.

Il bambino. – E che fece Dio allora?

La mamma. – Cacciò dal paradiso terrestre i nostri primi genitori.

Il bambino. – Ben fatto per loro!

La mamma. – In causa di questa disobbedienza, Adamo ed Eva separati da Dio, perdettero colla grazia tutta la loro felicità, conobbero il dolore, furono obbligati a lavorare penosamente e morirono come muoiono gli altri uomini.

Il bambino. – Come furono disgraziati! E Dio ha loro perdonato?

La mamma. – Dio promise di mandare sulla terra il suo Divin Figliolo a meritare a tutti gli uomini i1 perdono.

Il bambino. – Ma gli altri uomini non avevano mica mangiato il frutto proibito, Dio non aveva dunque niente da perdonare a loro, mamma?

La mamma. – La colpa dei nostri primi genitori aveva portato danno a tutti gli uomini, privandoci del paradiso, dove non avremmo mai potuto entrare.

Il bambino. – Perché, mamma, la porta del paradiso fu chiusa a tutti gli uomini?

La mamma. – Perché la colpa di Adamo aveva impresso su tutta l’umana famiglia una macchia che nessuno poteva cancellare. È quello che si chiama il peccato originale. E non si può entrare in paradiso con una macchia.

Il bambino. – Non ti sembra, mamma, che Dio sia stato molto severo?

La mamma. – Al contrario, figliuolo mio, Dio fu così buono che per cancellare codesta macchia e permettere a tutti gli uomini di entrare in paradiso, ha permesso al Figlio suo di sostenere egli stesso il castigo che Adamo aveva meritato per la sua disobbedienza.

Il bambino. – Allora, mamma, è Gesù che ha preso il posto di Adamo e il nostro?

La mamma. – Sì, figliuolo mio, Gesù stette davanti al Padre suo, come il colpevole.

Il bambino. – E quale fu il suo castigo?

La mamma. – Per meritarci il perdono del suo Padre e ottenerci alla fine della nostra vita la felicità di essere sempre con Dio, Gesù Cristo s’è fatto uomo.

Il bambino. – Lo so, mamma, questo è il mistero de l’Incarnazione.

La mamma. – Ed ora ecco, bimbo mio, il MISTERO DELLA REDENZIONE. Al fine di salvare tutti gli uomini, Gesù Cristo è morto per loro. Capisci ora tu, perché Gesù Cristo si è lasciato mettere a morte senza resistere, senza neppure un lamento, dai cattivi Giudei?

Il bambino. – Lo capisco, mamma, ma dimmi ancora come è morto questo Gesù così buono?

La mamma. – Lo hanno inchiodato sopra una croce fra due ladroni.

Il bambino. – Oh, come i chiodi devono aver fatto male alle sue mani e ai suoi piedi, mamma!

La mamma. – Un male ch’è impossibile ch’io ti dica, bimbo mio. Tu vedi quanto la nostra felicità è costata cara a Gesù!

II bambino. – Mamma, e che giorno è morto Gesù Cristo?

La mamma. – GESÙ CRISTO È MORTO IL VENERDÌ SANTO.

Il bambino. – E dove?

La mamma. – A GERUSALEMME, sopra un monte detto Calvario.

Il bambino. – E poi, mamma, che cosa avvenne?

La mamma. – Il terzo giorno dopo la sua morte, ossia il giorno di Pasqua, Gesù Cristo uscì vivo DAL SEPOLCRO dove il suo corpo era stato deposto.

Il bambino. – Lo si vide dunque ancora, Gesù Cristo?

La mamma. – Sì, mio caro, lo si vide ancora, si toccarono i suoi piedi e le sue mani, trafitti da grossi chiodi, e si mangiò e si bevette con Lui.

Il bambino. – E si può ancora vederlo?

La mamma. – No, bimbo mio, perché È RITORNATO AL CIELO, QUARANTA GIORNI DOPO LA SUA RISURREZIONE, IL GIORNO DELL’ASCENSIONE. Ed è nel paradiso, ossia nel cielo, che Egli ci aspetta.

Il bambino. – Dunque, mamma, Gesù Cristo non ritornerà più sulla terra?

La mamma. – Vi ritornerà alla fine del mondo, per giudicare tutti gli uomini.

Il bambino. – Perché gli uomini saranno giudicati?

La mamma. – Per sapere se essi avranno meritata la felicità del paradiso.

Il bambino. – Ma poiché Gesù Cristo è morto per guadagnare agli uomini il paradiso, gli uomini devono essere sicuri di entrarvi.

La mamma. – Vi sono degli uomini, bimbo mio, che per loro colpa possono di nuovo perdere tanta felicità.

Il bambino. – E come?

La mamma. – Facendo il male e morendo senza averne chiesto perdono a Dio.

Il bambino. – Che ne sarà di codesti uomini cattivi?

La mamma. – Essi saranno puniti, e questa volta il castigo durerà sempre. Questo castigo sarà l’INFERNO.

Il bambino. – E gli uomini buoni, avranno essi una ricompensa che durerà sempre?

La mamma. — Certamente, mio caro. Gli uomini buoni avranno la felicità di vedere Dio sempre e di amarlo sempre. Questo è il cielo.

QUARTA LEZIONE

RECITAZIONE

Gesù Salvatore

D. Perché il Figlio di Dio s’è fatto uomo?

R. Il Figlio di Dio s’è fatto uomo per salvarci.

D. Da che cosa ci ha salvati Gesù Cristo?

R. Dalla morte eterna meritata per il peccato dei nostri primi genitori.

D. Quali furono i nostri primi genitori?

R. I nostri primi genitori, ossia il primo uomo e la prima donna, furono Adamo ed Eva.

D. Come si chiama il peccato dei nostri primi genitori?

R. Si chiama il peccato originale.

D. In qual modo Gesù Cristo ci ha salvati?

R. Soffrendo e morendo per noi sulla croce.

D. Come chiamate il mistero del Figlio di Dio morto sulla Croce per salvare gli uomini?

R. Si chiama il mistero della Redenzione.

D. In che giorno è morto Gesù Cristo?

R. II Venerdì Santo.

D. Gesù Cristo è rimasto fra i morti?

R. – No, Gesù Cristo è risuscitato il terzo giorno dopo la sua morte, vale a dire il giorno di Pasqua.

D. – Che fece Gesù Cristo appena risuscitato?

R. – Durante quaranta giorni Gesù Cristo si mostrò ai suoi discepoli e li istruì.

D. – Che cosa fece in seguito?

R. – Salì al cielo.

D. – In che giorno Gesù Cristo è salito al cielo?

R. – Il giorno de l’Ascensione.

D. – Che cosa fece Gesù quando fu salito al cielo?

R. – Gesù Cristo mandò lo Spirito Santo ai suoi Apostoli.

D. – Che giorno?

R. – Il giorno di Pentecoste, il cinquantesimo giorno dopo Pasqua.

D. – Ritornerà Gesù Cristo sulla terra?

R. – Sì, Gesù Cristo ritornerà sulla terra alla fine del mondo.

D. – Perché?

R. – Per giudicare tutti gli uomini del bene e del male che essi avranno fatto.

QUINTA LEZIONE

SPIEGAZIONE

I comandamenti di Dio

Il bambino. – E il tuo bambino, mamma, credi tu che andrà in Paradiso?

La mamma. – Si, il mio bambino andrà in Paradiso se farà il bene.

Il bambino – Come lo si fa il bene, mamma?

La mamma. – Obbedendo come si conviene a Dio.

Il bambino. – E come si obbedisce a Dio?

La mamma. – Facendo tutto quello che Egli ci ha comandato.

Il bambino. – E che cosa ci ha comandato Dio?

La mamma. – Tu stai imparandolo ogni giorno, mattina e sera, quando reciti con me le tua preghierina. Ricordati, mio caro, dei DIECI COMANDAMENTI DI DIO.

Il bambino. – Dieci ve ne sono, mamma?

La mamma. – Sì, bimbo mio, tanto che i comandamenti di Dio si chiamano: il DECALOGO O le DIECI PAROLE. – Questi comandamenti, Dio li diede a Mosè, sul monte Sinai, fra lampi e tuoni. Mosè era il condottiero degli Ebrei. Egli riportò al suo popolo i dieci comandamenti di Dio scolpiti su tavole di pietra, che furono chiamate le Tavole della legge.

Il bambino. – Vuoi, mamma, spiegarmi i dieci comandamenti, perché io possa obbedire a Dio?

La mamma. – Ben volentieri, mio caro. Ti parlerò anzitutto dei tre primi comandamenti che riguardano Dio. Ascoltami.

Il bambino. – Sì, mamma.

La mamma. – Dio, col primo comandamento ci ordina di rimanere a lui fedeli, il che vuol dire di non dimenticarlo e non abbandonarlo.

Il bambino. – Che cosa si deve fare per rimanere fedeli a Dio?

La mamma. – Quattro cose, figliuolo mio:

1° CREDERE IN DIO, perché Egli non può ingannarsi, né ingannare noi.

2° SPERARE IN LUI, perché Egli mantiene tutte le sue promesse.

AMARLO CON TUTTO IL CUORE e sopra ogni cosa.

4° ADORARE LUI SOLO, perché Egli solo può essere riconosciuto come il padrone di tutte le cose.

Il bambino. – E può un bambino come me fare tutto questo, mamma?

La mamma. – Sì, bimbo mio, tu fai tutto questo mediante le tue preghiere quando reciti con tutto il cuore GLI ATTI di Fede, DI SPERANZA E DI CARITÀ.

Il bambino. – E poi, mamma?

La mamma. — Poi, col secondo comandamento Dio ci domanda di non giurare contro la verità e di non bestemmiare.

Il bambino. – Che cos’è giurare contro la verità?

La mamma. – È quando gli uomini dicono: Giuro davanti a Dio che la tal cosa è vera, ed invece tale cosa è falsa.

Il bambino. – Che cos’è bestemmiare?

La mamma. – È il dire parole ingiuriose contro Dio o contro la sua santa Religione.

Il bambino. – Chi le dice codeste parole ingiuriose?

La mamma. – Gli uomini maleducati, gli empi e quelli che si adirano. S’ingiuria sovente Dio nei momenti di collera. – Passiamo al terzo comandamento.

Il bambino. – Riguarda anche me questo comandamento, mamma?

La mamma. – Riguarda tutti gli uomini, come tutti i comandamenti di Dio. Ed è anche per tutti i bambini ragionevoli come il mio tesorino.

Il bambino. – E che cosa dice esso, mamma?

La mamma. – Ci ricorda che noi dobbiamo passare santamente la domenica.

Il bambino. – Che cosa si deve fare per passare santamente la domenica?

La mamma. – Bisogna andare alla Messa e non lavorare, quel giorno.

Il bambino. – Allora, mamma, io non devo in quel giorno fare il mio compito scritto?

La mamma. – Sono i lavori dei campi e di officina che Dio proibisce, lavori che si chiamano opere servili.

– Vengono adesso altri comandamenti di Dio che riguardano il prossimo.

Il bambino. – Che cos’è il prossimo, mamma?

La mamma. – Son tutti gli uomini, bimbo mio, anche i nostri nemici; intendo quelli che ci hanno fatto del male. Dio vuole che noi siamo buoni col prossimo. E prossimo sono primamente i nostri genitori, poi i nostri maestri. Dio dunque ha fatto questo comandamento per ricordare ai fanciulli i loro doveri verso i genitori e i maestri che li rappresentano.

Il bambino. – Che cosa dice, mamma, questo comandamento?

La mamma. – Il quarto comandamento di Dio ci ordina di obbedire ai nostri genitori e ai nostri maestri. Tu sai, mio caro, come si deve obbedire?

Il bambino. – Sì, mamma, prontamente e senza mormorare.

La mamma. – Siamo giunti al quinto comandamento.

Questo ci PROIBISCE DI UCCIDERE E OFFENDERE il prossimo.

Il bambino. – Ma se il prossimo, mamma, fosse stato cattivo con noi?

La mamma. – Il male che noi faremmo al prossimo non sanerebbe quello che a noi fosse stato fatto; non vi sarebbe che un male di più, quello fatto da noi. E poi, bimbo mio, noi dobbiamo perdonare, se vogliamo che Dio perdoni a noi.

Il bambino. – Allora, mamma, non si possono picchiare i compagni, quando i compagni hanno picchiato noi?

La mamma. – No, bimbo mio, e quando si è litigato non bisogna mai rifiutare di fare la pace coi compagni.

Il bambino. – Sì, mamma, perdonerò.

La mamma. – Sta bene, figliuolo mio; se tu vuoi conservarti un fanciullo onesto e meritarti con la fiducia dei genitori quella dei tuoi compagni, non dimenticare mai ciò che proibiscono il settimo e l’ottavo comandamento di Dio.

Il bambino. – Oh, dimmi dunque, che cosa proibiscono essi?

La mamma. – Il settimo comandamento proibisce di PRENDERE E RITENERE QUELLO CHE NON È  NOSTRO.

L’ottavo comandamento proibisce di mentire. Capisci, bambino mio?

Il bambino. – Sì, mamma, non bisogna essere né ladro, né bugiardo.

La mamma. – Poiché tu hai così bene inteso, non ho bisogno di spiegarti il decimo comandamento, il quale non fa che completare il settimo. Questo decimo comandamento ci proibisce perfino di desiderare quelle cose che non ci appartengono.

Il bambino. – Credo, mamma, che tu abbia dimenticato di parlarmi del sesto e del nono comandamento di Dio.

La mamma. – Questi due comandamenti ci proibiscono i pensieri e le azioni impure.

Il bambino. – E se si disobbedisse ai comandamenti di Dio, che cosa ne verrebbe, mamma?

La mamma. – Un peccato, bimbo mio. Tutte le disobbedienze ai comandamenti di Dio sono peccati. Ve ne sono di più gravi che si chiamano MORTALI e meritano l’inferno; e di meno gravi che si chiamano VENIALI, e fanno sì che il Signore ci ami meno.

Il bambino. – E che cosa si acquista quando si obbedisce come si deve, ai comandamenti di Dio?

La mamma. – Il Paradiso.

QUINTA LEZIONE

RECITAZIONE

I comandamenti di Dio

D. Che cosa dobbiamo fare per salvarci?

R. Bisogna obbedire ai comandamenti di Dio.

D. Quanti sono i comandamenti di Dio ?

R. I comandamenti di Dio sono dieci.

D. Recitateli:

Io sono il Signore Dio tuo:

Non avrai altro Dio fuori di me.

Non nominare il nome di Dio invano.

Ricordati di santificare le feste.

Onora il padre e la madre.

Non ammazzare.

Non commettere atti impuri.

Non rubare.

Non dire falsa testimonianza.

Non desiderare la donna d’altri.

Non desiderare la roba d’altri.

D. Che cosa ci ordina Dio col primo comandamento?

R. Dio ci ordina di rendere a Lui tutto quello che gli è dovuto.

D. Che cosa dobbiamo noi a Dio ?

R. Noi dobbiamo: 1° Credere in Lui; – 2° Sperare in Lui; – 3° Amarlo con tutto il cuore; – 4° Adorare lui solo.

D. Quali sono le virtù inerenti a tali atti?

R. Credere in Dio, è la virtù della Fede; sperare in Dio, è la virtù della Speranza; amare Dio con tutto il nostro cuore, è la virtù della Carità; adorare Lui solo, è la virtù della Religione.

D. Che cosa ci ordina Dio col secondo comandamento?

R. Ci ordina di non giurare contro la verità e di non bestemmiare il suo santo nome.

D. Che cosa ci ordina Dio col terzo comandamento?

R. Dio ci ordina di passare santamente la Domenica.

D. Che cosa si deve fare per santamente passare la Domenica?

R. Bisogna andare alla S. Messa e non lavorare quel giorno in opere servili.

D. Che cosa ci ordina Dio col quarto comandamento?

R. Dio ci ordina di rispettare i nostri genitori, di obbedir loro e venir loro in aiuto.

D. Non si devono rispettare altre persone?

R. Sì, i nostri superiori, i nostri maestri.

D. Che cosa ci ordina il quinto comandamento?

R. Dio ci ordina di rispettare la vita del prossimo, ossia di non ucciderlo, né fargli del male, né dir male di lui.

D. Che cos’è il prossimo?

R. Prossimo, sono tutti gli uomini.

D. I nostri nemici, sono anch’essi prossimo nostro?

R. Sì, e noi dobbiamo pregare per essi.

D. Che cosa ci ordina il sesto comandamento?

R. Il sesto comandamento ci ordina di essere puri di corpo e di spirito.

D. Che cosa ci ordina il settimo comandamento?

Col settimo comandamento, Dio ci ordina di non prendere né ritenere quello che non ci appartiene.

D. Che cosa ci ordina l’ottavo comandamento?

R. Dio ci ordina con l’ottavo comandamento, di non mentire.

D. Che cosa ci ordina il nono comandamento?

R. Dio ci ordina di non pensare a cose impure e di non desiderare di commettere impure azioni.

D. Che cosa ci ordina il decimo comandamento?

R. Col decimo comandamento Dio ci ordina di non desiderare quei beni che non ci appartengono.

IL PECCATO E I FINI ULTIMI

D. Qual male commette colui che disobbedisce ai comandamenti di Dio ?

R. Colui che disobbedisce ai comandamenti di Dio commette un peccato.

D. Vi sono più sorta di peccati?

R. Sì, perché vi sono più sorta di disobbedienze, di gravi e di leggere.

D. Come chiamate una grave disobbedienza ai comandamenti di Dio?

R. – Chiamo questa disobbedienza un peccato mortale.

D. — Come chiamate una disobbedienza leggera ai comandamenti di Dio?

R. – Chiamo questa disobbedienza un peccato veniale.

D. – Qual è il castigo meritato per il peccato mortale?

R. – È l’Inferno.

D. – Che cos’è l’Inferno?

R. – È la separazione eterna da Dio, con tormenti che non finiranno mai.

D. – Qual è il castigo meritato pel peccato veniale?

R. – È il Purgatorio.

D. – Che cos’è il Purgatorio?

R. – È la temporanea separazione da Dio, con delle sofferenze per purificare le anime dai resti del peccato.

D. – Conoscete voi altri peccati a l’infuori delle disobbedienze ai comandamenti di Dio?

R. – Vi sono sette altri peccati che si chiamano capitali, perché sono la sorgente di tutti gli altri peccati.

D. – Quali sono?

R. – 1° La superbia; 2° l’avarizia; 3° la lussuria; 4° l’ira; 5° la gola, 6° l’invidia; 7° l’accidia.

D. – Quale sarà la ricompensa di coloro che avranno obbedito ai comandamenti di Dio e che avranno fuggito il peccato?

R. – Il Cielo.

D. – Che cos’è il Cielo?

R. – È la vista e il possesso di Dio per sempre.

SESTA LEZIONE

SPIEGAZIONE

La grazia e i sette sacramenti

II bambino. – È molto difficile, mamma, di non disobbedire proprio mai ai comandamenti di Dio?

La mamma. – Questo sarebbe perfino impossibile, mio figliuolo, SENZA LA GRAZIA DI DIO.

Il bambino. – Che cos’è la grazia di Dio?

La mamma. – È l’aiuto di Dio. Noi non potremmo obbedire come si conviene a Dio, se Dio stesso non ci aiutasse ad obbedirgli.

Il bambino. – Ma se proprio lo si volesse, mamma, non credi tu che si potrebbe obbedirgli anche da soli?

La mamma. – Non sempre, bimbo mio. Noi siamo così deboli e la voglia di disobbedirgli è talvolta così grande, che per restar buoni noi abbiamo bisogno della forza di Dio.

Il bambino. – Allora, mamma, quando io sono cattivo è perché Dio non ha voluto aiutarmi ad essere buono?

La mamma. – No, mio caro; Dio non rifiuta mai di aiutarci, perché Egli non ci rifiuta mai le sue grazie. Ma Dio non può costringerci a fare il bene contro la nostra volontà.

Il bambino. – Ma si, mamma, poiché Dio è il più forte!

La mamma. – Dio è più forte de l’uomo, ma l’uomo è libero, egli può scegliere tra il bene ed il male. E Dio, caro bambino, ha voluto che l’obbedienza de l’uomo fosse libera per poterla ricompensare.

Il bambino. – E quando si è prescelto il male e si è rifiutato la grazia di Dio, Dio si disgusta con noi?

La mamma. – Iddio, mio caro, perdona sempre; ma quando si è commesso un peccato, la grazia si spegne ne l’anima nostra, come il fuoco sul focolare. Essa si spegne un poco se il peccato è veniale; si spegne completamente se il peccato è mortale.

Il bambino. – E non può più riaccendersi la grazia?

La mamma. – Sì, Iddio può ancora riaccendere la sua grazia nelle anime nostre, purché ci pentiamo dei nostri peccati secondo il modo che Egli ha stabilito, come ti spiegherò più tardi.

Il bambino. – La grazia, mamma, può anche crescere nell’anima nostra?

La mamma. – Sì, mio caro, con le preghiere, con le opere buone, e specialmente con l’uso dei SS. Sacramenti a ciò destinati. I Sacramenti racchiudono la GRAZIA e la riversano nelle anime nostre, come i piccoli canali portano l’acqua al fiume.

Il bambino. – Che cosa sono i Sacramenti?

La mamma. – Anziché dirtelo, preferisco darti una spiegazione; tu capirai meglio, bimbo mio. Stammi attento.

Il bambino. – Sì, mamma.

La mamma. – Quando sei ritornato dalla scuola, l’altro giorno, che cosa recavi sul petto?

Il bambino. – La croce d’onore.

La mamma. — Che cosa significa quella croce, bimbo mio?

Il bambino. – Che io avevo studiato bene e che ero stato molto buono.

La mamma. – La croce era dunque un SEGNO del tuo merito, voglio dire la prova del tuo lavoro e della tua bontà.

Il bambino. — Sì, mamma.

La mamma. — Vedi ora il fumo che esce dal camino?

Il bambino. — Lo vedo, ed è ben azzurro quest’oggi.

La mamma. – Dimmi, poiché lo vedi, che cosa ti indica quel fumo azzurrino?

Il bambino. – Mi indica che sul focolare arde il fuoco.

La mamma. – Benissimo, bimbo mio. Ora tu potrai forse capire che cosa sia un Sacramento. È un SEGNO SENSIBILE scelto da Gesù Cristo per darci la grazia.

Il bambino. – Che cos’è un segno sensibile?

La mamma. – È un segno che si può vedere, toccare, udire.

Il bambino. – E perché Gesù Cristo ha Egli scelto dei segni per darci la grazia?

La mamma. – Perché noi meglio intendessimo quello che ogni Sacramento produce nelle anime nostre. I Sacramenti sono un po’ come i rimedi del farmacista. Sono i rimedi di Dio; ve ne sono per tutte le malattie e per tutti i bisogni delle nostre anime.

Il bambino. – Dimostrami come, mammina.

La mamma. – È facilissimo, bimbo mio. Tu sai come l’acqua serve a lavare quello che è sudicio. Essa fu scelta da Gesù Cristo come segno sensibile del Sacramento che deve lavare l’anima nostra dal peccato originale. L’olio rende più forti e più flessibili le membra de l’uomo. Esso è il segno sensibile del Sacramento che dà la forza e la dolcezza alle anime nostre. Il pane è stato usato per un altro Sacramento, affine di dimostrarci che l’anima nostra ha bisogno di un nutrimento, come il nostro corpo. E cosi per ogni Sacramento.

Il bambino. – Ve ne sono dunque molti Sacramenti, mamma?

La mamma. – Sono sette, mio caro.

Il bambino. – Sai tu, mamma, come si chiamano?

La mamma. – Ecco il loro nome: Il Battesimo, la Cresima, l’Eucaristia, la Penitenza, l’Estrema Unzione, l’Ordine, il Matrimonio.

Il bambino. – Qual è, mamma, il Sacramento che, come tu mi hai detto, lava l’anima dal peccato originale?

La mamma. – Tu lo hai ricevuto, bimbo mio, appena nato, la prima volta che ti portarono alla chiesa; questo Sacramento si chiama il Battesimo.

II bambino. — Come hanno fatto, mamma, per darmi il Battesimo?

La mamma. – Il sacerdote ha versato l’acqua sulla tua fronte dicendo: Io ti battezzo nel nome del Padre e del Figliuolo e dello Spirito Santo. In quel momento tu sei divenuto CRISTIANO, un FIGLIOLINO DI DIO.

Il bambino. – Ma sono però sempre figliolino tuo, mamma?

La mamma. – Sì, mio caro, tu fosti e sarai sempre mio figlio. Ma nel farti battezzare io ti ho dato a Dio perché Egli ti protegga sulla terra e ti doni più tardi il suo Paradiso. Gesù stesso volle essere battezzato da Giovanni Battista per santificare le acque del nostro Battesimo.

Il bambino. – E il Sacramento per il quale si adopera l’olio, come lo chiami, mamma ?

La mamma. – Vi sono tre sacramenti dei quali l’olio è il segno sensibile. Vi è dapprima il Sacramento della Cresima che fa scendere in noi lo Spirito Santo, la terza Persona della SS. Trinità. E lo spirito Santo ci rende miti e forti insieme.

Il bambino. – E l’altro, mamma?

La mamma. – L’altro è il Sacramento della Estrema Unzione che si dà agli ammalati per aiutarli a morir bene, ed anche per guarirli, se così piace a Dio.

Il bambino. – E l’altro?

La mamma. – L’altro è quello che si riceve per divenire sacerdote. È il Sacramento de l’Ordine.

Il bambino. – Tu mi hai anche parlato, mamma, di un Sacramento del quale è segno il pane?

La mamma. – È il Sacramento che tu riceverai quando farai la tua prima comunione, è l’Eucaristia. – Tu hai veduto in chiesa la piccola ostia bianca che il sacerdote trae dal tabernacolo durante la Messa? Quando quell’ostia verrà sulle tue labbra, non dimenticare, bimbo mio, che il sacerdote l’avrà mutata in quello che è il corpo, il sangue, l’anima e la divinità di Gesù Cristo.

Il bambino. – Dì, mamma, non soffre Dio, quando lo si mangia?

La mamma. – No, mio caro, Gesù Cristo risuscitato non può più né soffrire, né morire.

Il bambino. – Di’ ancora, mamma, come può Dio venire nella piccola ostia?

La mamma. – Egli vi viene per la potenza che ha data al sacerdote. Questi rappresenta Gesù Cristo a l’altare; egli non ha che a ripetere le parole dette da Gesù Cristo la vigilia della sua morte: « QUESTO È IL MIO CORPO, QUESTO È IL MIO SANGUE ». E la piccola ostia bianca diventa il corpo e il sangue di Gesù Cristo. Questo è il pane del cielo offerto alle anime nostre per nutrirle.

Il bambino. – E quando le dice, il sacerdote, queste parole?

La mamma. – Durante la Messa, a l’elevazione, nel momento che il campanello suona e tutte le teste si chinano. Il campanello ci annuncia che il pane del Cielo, vale a dire Gesù Cristo, è sceso su l’altare per nutrire le anime nostre.

Il bambino. – E tutti, mamma, possono mangiare questo pane del cielo?

La mamma. – Sì, mio caro, tutti quelli che credono Gesù presente ne l’ostia e non hanno a rimproverarsi alcun peccato mortale, possono mangiare di questo pane, cioè comunicarsi.

Il bambino. – E quando si ha rimorso di un peccato mortale, che cosa si deve fare?

La mamma. – Si va in Chiesa, dal signor Parroco o da un altro sacerdote, gli si dice il nostro peccato o piuttosto tutti i nostri peccati. È quello che si chiama CONFESSARSI. E se noi siamo molto addolorati delle nostre colpe e ben decisi a non più commetterle, il sacerdote ci dà l’ASSOLUZIONE, che vuol dire il perdono di Dio. Noi allora avremo ricevuto il Sacramento di Penitenza. Hai capito, mio caro?

Il bambino. – Sì, mamma.

La mamma. – Avrei a parlarti ancora del settimo Sacramento, ma tu non sei in grado di riceverlo.

Il bambino. – Quale, mamma?

La mamma. – È il Sacramento del Matrimonio.

I I bambino. – Quando si riceve il Sacramento del Matrimonio?

La mamma. – Quando ci si sposa in chiesa.

Il bambino. – E quelli che non vanno a sposarsi in chiesa?

La mamma. – Possono essere sposati davanti al mondo, ma non sono sposati davanti a Dio.

Il bambino. – Dunque, mamma, quelli che non si sposano in chiesa, non amano Dio?

La mamma. – Senza dubbio, mio figliuolo.

SESTA LEZIONE

RECITAZIONE

La grazia e i sette sacramenti

PARTE PRIMA

Della grazia

D. Possiamo noi con le sole nostre forze obbedire come si conviene ai comandamenti di Dio?

R. No; noi non lo possiamo che con la grazia di Dio.

D. Che cos’è la grazia?

R. È il soccorso che Dio ci dà per aiutarci a fare il bene.

D. Chi ci ha meritato la grazia?

R. Nostro Signore Gesù Cristo.

D. Che cosa si deve fare per ricevere la grazia meritataci da Gesù Cristo?

R. Bisogna domandarla con la preghiera e renderci cari a Dio mediante le nostre buone opere.

D. Qual è la migliore delle preghiere?

R. È il Padre Nostro o l’Orazione Domenicale, la preghiera che ci ha insegnato Gesù Cristo stesso.

D. Qual è, dopo il Padre nostro, la preghiera più bella?

R. È l’Ave Maria o la Salutazione Angelica, la preghiera che noi indirizziamo alla Vergine Santa, nostra Madre del Cielo.

D. Che cosa chiamate voi opere buone?

R. Tutto quello che noi facciamo per venire in aiuto al prossimo e piacere a Dio.

D. Dio, non ci dà egli la grazia in altra maniera?

R. Sì, Egli ce la dà anche e sopra tutto per mezzo dei Sacramenti.

PARTE SECONDA

Dei Sacramenti

I.

IL BATTESIMO E LA CRESIMA

D. Che cosa sono i Sacramenti?

R. Sono segni sacri scelti da Nostro Signore Gesù Cristo per darci la grazia e renderci santi.

D. Quanti Sacramenti vi sono?

R. Vi sono sette Sacramenti: Battesimo, Cresima, Eucaristia, Penitenza, Estrema Unzione, Ordine e Matrimonio.

D. Che cos’è il Battesimo?

R. È il Sacramento che lava l’anima dal peccato originale.

D. Il Battesimo non opera null’altro in noi?

R. Esso ci fa Cristiani, ossia figli di Dio e della Chiesa.

D. Quando avete voi ricevuto il Battesimo?

R. Ho ricevuto il Battesimo il giorno che il sacerdote versò dell’acqua sulla mia fronte dicendo: Io ti battezzo nel nome del Padre e del Figliuolo e dello Spirito Santo.

D. Che cos’è la Cresima?

R. È un sacramento che ci dona lo Spirito Santo e che ci rende perfetti Cristiani.

II.

LA PENITENZA

D. Che cos’è il sacramento della Penitenza?

R. È il sacramento che cancella i peccati commessi dopo il nostro Battesimo.

D. Quando si riceve il sacramento della Penitenza?

R. Quando si va a confessarsi e il sacerdote ci dà l’assoluzione.

D. Che cos’è l’assoluzione?

R. È il perdono di Dio.

D. Che cosa si deve fare per ricevere be ne il perdono di Dio?

R. Si devono fare tre cose:

Detestare i propri peccati.

2° Accusarli al sacerdote senza tacerne neppur uno.

3° Dire le preghiere imposte dal sacerdote.

D. Quale preghiera si deve dire mentre il sacerdote ci dà l’assoluzione?

R. Si deve dire con tutto il cuore l’atto di contrizione.

D. Dite l’atto di contrizione.

R. Mio Dio, mi pento con tutto il cuore dei miei peccati. Mi pento per l’inferno che ho meritato e per il Paradiso che ho perduto. Ma molto più mi pento perché peccando ho offeso un Dio così buono, così grande come siete Voi. Vorrei prima esser morto che avervi offeso, e propongo fermamente di non peccare più per 1’avvenire e di fuggire le occasioni prossime di peccato.

III.

L’EUCARISTIA

Che cos’è l’Eucaristia?

È il sacramento che ci dà Nostro Signore Gesù Cristo.

D. Quando si riceve il Sacramento dell’Eucaristia?

R. Quando ci si comunica.

D. Che cosa vuol dire comunicarsi?

R. Ricevere il corpo, il sangue, l’anima e la divinità di Nostro Signore Gesù Cristo presente ne l’ostia.

D. Quando Nostro Signore Gesù Cristo discende ne l’Ostia?

R. Durante la Messa, quando il sacerdote cambia l’ostia nel corpo e nel sangue di Gesù Cristo.

D. Come il sacerdote cambia l’ostia nel corpo e nel sangue di Gesù Cristo?

R. Dicendo nel nome di Gesù Cristo : « Questo è il mio corpo, questo è il mio sangue».

D. Bisogna desiderare di comunicarsi?

R. Sì, noi dobbiamo desiderarlo con tutto il cuore.

D. Chi può comunicarsi?

R. Colui che crede che Gesù Cristo è presente ne l’ostia e sa di non essere in peccato mortale.

D. – Chi si comunicasse sapendo di essere in peccato mortale che colpa commetterebbe?

R. – Farebbe un sacrilegio, ch’è un enorme delitto.

D. – Si può mangiare, prima di comunicarsi?

R. – No, bisogna essere a digiuno, ossia non avere bevuto né mangiato niente dalla mezzanotte.

IV.

L’ESTREMA UNZIONE, L’ORDINE E IL MATRIMONIO

D. – Che cos’è l’Estrema Unzione?

R. – È il Sacramento che ricevono quelli che sono gravemente malati.

D. – Perché si dà questo Sacramento ai malati?

R. – Per aiutarli a morire santamente e anche per guarirli se così piacerà a Dio.

D. – Che cos’ è l’Ordine?

R. – È il Sacramento che si riceve per divenir ministri della Chiesa.

D. – Che cos’è il Matrimonio?

R. – È il Sacramento che santifica l’unione de l’uomo e della donna.

D. – Come il Matrimonio santifica l’unione de l’uomo e della donna?

R. – Dando loro la grazia di vivere insieme cristianamente e di educare i loro figli ne l’amore di Dio.

SETTIMA LEZIONE

SPIEGAZIONE

La Chiesa

Il bambino. – In qual libro, mamma, hai tu imparato le belle storie che mi hai raccontato intorno a Dio e al piccolo Gesù?

La mamma. – Nel catechismo, bimbo mo.

Il bambino. – Che cos’è il catechismo?

La mamma. – È un piccolo libro che parla come noi parliamo, con domande e risposte.

Il bambino. – E sono vere, mamma, le storie di quel piccolo libro?

La mamma. – Vere, mio caro, quanto è vero il mio amore per te.

Il bambino. – E chi l’ha fatto, il catechismo?

La mamma. – È stata la Chiesa, figlio mio.

Il bambino. – La Chiesa, mamma? La Chiesa?

La mamma. – Sì, la Chiesa; e ti dirò che cosa essa sia. È la grande famiglia religiosa della quale Gesù Cristo è il capo.

Il bambino. – E come fece la Chiesa per fare il catechismo?

La mamma. – È pur questa una bella storia che ti posso narrare, bimbo mio.

Il bambino. – Dì su, mamma.

La mamma. – Gesù Cristo scelse dodici uomini ai quali insegnò la sua religione.

Il bambino. – Come me l’insegni tu, mamma?

La mamma. – Sì, un po’ così, bambino mio. Di questi poveri uomini Gesù volle fare i predicatori della sua religione, ovvero i suoi Apostoli. Prima di lasciare la terra, Egli disse dunque ai dodici Apostoli: ” Andate a battezzare tutti gli uomini e insegnate loro tutto quello che Io ho insegnato a voi ,,.

Il bambino. – E lo fecero, mamma?

La mamma. – Sì, essi fecero tutto quello che il loro Maestro aveva comandato; essi portarono nel mondo la buona novella della religione di Gesù Cristo.

Il bambino. – Ma il piccolo catechismo, mamma?

La mamma. – Aspetta un poco. Eccomi al piccolo catechismo. Siccome i dodici Apostoli dovevano andare ciascuno per la propria via, prima di separarsi si misero d’accordo per predicare ovunque le medesime cose, voglio dire le medesime verità.

Il bambino. – E come fecero, mamma, per predicare ovunque le medesime cose?

La mamma. — Composero quella preghiera che tu reciti mattina e sera e si chiama il Simbolo degli Apostoli o il Credo. È il primo catechismo, quello che ha servito a comporre il catechismo che tu imparerai per la tua prima comunione.

Il bambino. – Ma se lo hanno fatto gli Apostoli, mamma, il primo catechismo, non fu più la Chiesa a farlo?

La mamma. – Gli Apostoli hanno fatto il primo catechismo e hanno diffusa, nello stesso tempo, la Chiesa istituita da Gesù Cristo.

Il bambino. – Raccontami anche questa storia, mamma!

La mamma. – Ti dissi, bimbo mio, che la Chiesa era la grande società religiosa della quale Gesù Cristo era il capo.

Il bambino. – No, tu m’hai detto: una grande famiglia religiosa.

La mamma. – Una grande famiglia religiosa o una società religiosa, è la stessa cosa. In una famiglia come in una società, vi sono quelli che comandano e quelli che obbediscono. Così è anche in casa nostra, lo sai.

Il bambino. — Sì, mamma; papà e mamma comandano, ed io obbedisco.

La mamma. – E così è anche nella Chiesa. Gesù Cristo è il padre, ossia il capo di famiglia; tutti quelli che credono in lui e obbediscono ai suoi comandamenti, sono suoi figli. Si chiamano i fedeli.

Il bambino. – Sì, mamma, i fedeli sono i figli della Chiesa.

La mamma. – Questa società i cui fedeli sono oggi in tutti i paesi del mondo, è Gesù Cristo che l’ha fondata e diffusa poi a mezzo dei suoi Apostoli e loro successori. È Lui che ha dato un capo alla Chiesa.

Il bambino. – Ma il capo, mamma, non era bell’e pronto, poiché era Gesù Cristo?

La mamma. – Senza dubbio, mio caro. Ma Gesù Cristo non doveva rimanere sempre sulla terra. Occorreva qualcuno che lo sostituisse.

Il bambino. – Un luogotenente, mamma?

La mamma. – Sì, bimbo mio, e questo luogotenente fu un Apostolo.

Il bambino. – Come si chiamava egli?

La mamma. – Si chiamava Pietro; e Gesù Cristo lo fece sotto i suoi ordini capo della Chiesa quando gli disse: “Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa „.

Il bambino. – E gli altri Apostoli, mamma, non furono dei capi?

La mamma. – Essi pure comandarono sotto gli ordini de l’Apostolo Pietro, come l’Apostolo Pietro comandava sotto gli ordini di Gesù Cristo.

Il bambino. – E quelli che dovevano obbedire, quelli che tu chiami i fedeli, chi li diede alla Chiesa, mamma?

La mamma. – Gli Apostoli, figliuolo mio. Tutti quelli che ebbero fiducia negli Apostoli, si strinsero intorno ad essi. Essi credettero tutto quello che credevano gli Apostoli, essi fecero tutto quello che gli Apostoli dissero loro di fare. Fu una famiglia modello, la Chiesa.

Il bambino. – E sono morti, gli Apostoli?

La mamma. — Sì, bimbo mio.

Il bambino. – Allora non c’è più Chiesa, poiché non c’è più nessuno che la comandi?

La mamma. – La Chiesa non muore, mio caro.

Il bambino. – Perché, mamma?

La mamma. – Perché Gesù Cristo deve sempre rimanere con essa, ossia sempre guidarla da l’alto del Cielo.

Il bambino. – So bene che Gesù Cristo non muore. Ma gli Apostoli sono morti. Furono essi sostituiti?

La mamma. – Sì, bimbo mio; essi ebbero i loro successori.

Il bambino. – Qual è il successore di S. Pietro?

La mamma. – È il Papa. Da Gesù Cristo in poi, sempre vi furono dei Papi e sempre ve ne saranno. Il Papa d’oggi si chiama Pio XI.

Il bambino. – E dov’è?

La mamma. – A Roma, dove tutti lo possono vedere.

Il bambino. – Ma tu non mi hai detto chi abbia sostituito gli Apostoli?

La mamma. – I successori degli Apostoli sono i Vescovi.

Il bambino. – E i primi figli della Chiesa, chi li ha sostituiti?

La mamma. – Tutti quelli che seguono la religione di Gesù Cristo e obbediscono ai capi che Egli ha posti sulla terra.

Il bambino. – E i sacerdoti, a chi obbediscono?

La mamma. – Essi obbediscono ai Vescovi dei quali sono i rappresentanti, come i Vescovi obbediscono al Papa. È per questo che noi dobbiamo ascoltare i sacerdoti quando ci parlano nel nome di Gesù Cristo, come i figli ascoltano il loro padre.

Il bambino. – Come si chiamano oggi i figli della Chiesa?

La mamma. – Si chiamano i CATTOLICI, bambino mio.

Il bambino. – Che cosa significa questo nome?

La mamma. – Il nome di cattolico vuol dire che si appartiene ad una religione fatta per tutti gli uomini e diffusa per tutto l’universo.

Il bambino. – Sono io cattolico, mamma?

La mamma. – Sì, bimbo mio; ma devo dirti che per essere buon cattolico bisogna credere tutto quello che la Chiesa c’insegna e fare tutto quello che essa ci dice di fare. Tu reciti, per esempio, nella tua preghiera, i cinque comandamenti della Chiesa; ebbene, quando sarai più istruito nella tua religione, dovrai obbedire a questi comandamenti.

Il bambino. – E quando si è morti, mamma, si appartiene ancora alla Chiesa?

La mamma. – Quando si muore, bambino mio, con dei peccati mortali dei quali non si è ottenuto il perdono, questi peccati ci conducono immediatamente in un luogo di supplizi che si chiama l’INFERNO e dove si rimane per sempre. Allora da se stessi ci si cancella dal libro della Chiesa.

Il bambino. – E se non si muore con peccati mortali?

La mamma. – Si può morire, mio caro, con dei peccati veniali e andar a soffrire in PURGATORIO per i propri peccati. Ma si resta in Purgatorio solo quel tanto che occorre per fare la propria penitenza. E si è sempre della Chiesa che prega per la nostra liberazione.

Il bambino. – E se quando si muore l’anima fosse candida candida…?

La mamma. – Si va subito in CIELO, mio caro. E in Cielo si ritrova ancora la Chiesa, non più nella prova e nella sofferenza, ma nella felicità e nella gloria.

Il bambino. – E quelli che vanno in Cielo, mamma, non dimenticano quelli che restano sulla terra?

La mamma. – No, bimbo mio. La Chiesa della terra, la Chiesa del Purgatorio e quella del Cielo, che sono come un corpo solo del quale Gesù Cristo è il capo, non possono dimenticarsi. La Chiesa della terra viene in aiuto con le sue preghiere e le sue buone opere alla Chiesa del Purgatorio, e la Chiesa del Cielo intercede le grazie a quella della terra. È questa unione del Purgatorio, del Cielo e della terra, che si chiama la Comunione dei Santi.

Il bambino. – Che cosa sono i Santi?

La mamma. – Quelli dei quali l’anima è senza macchia davanti a Dio, come quella del bambino appena battezzato.

Il bambino. – E quando si faccia una macchia ne l’anima, non si può più essere santo?

La mamma. – Bisogna lavare codesta macchia facendo penitenza, e allora ritorniamo quali Dio ci vuole.

Il bambino. – Si conoscono i Santi, mamma?

La mamma. – Tu troverai i loro nomi nel calendario, ma ve ne sono altri, e sono così numerosi che non si possono contare. Dio li conosce, e tanto basta.

Il bambino. – E d io, mammina, posso essere santo?

La mamma. – Sì, bimbo mio.

Il bambino. – Che cosa si deve fare?

La mamma. – Bisogna in primo luogo non somigliare ai fanciulli disobbedienti, bugiardi, invidiosi, cattivi, golosi, vani, pigri. E poi ricorda bene quest’ultima lezione.

Il bambino. – Quale, mamma?

La mamma. – Tutto quello che tu fai, bambino mio, fallo per piacere a Dio.

SETTIMA LEZIONE

RECITAZIONE

La Chiesa

D. – Che cos’è la Chiesa?

R. – È la società religiosa l’ondata da Gesù Cristo per continuare L’opera sua sulla terra.

D. – Quali sono i capi di questa società?

R. – Il Papa e i Vescovi.

D. – Chi è il Papa ?

R. È il successore di S. Pietro.

D. – Chi era S. Pietro?

R. – Un povero pescatore di Galilea che Gesù Cristo scelse per farlo capo dei suoi Apostoli e della sua Chiesa.

D. – Che cos’erano gli Apostoli?

R. – I primi predicatori della religione cristiana.

D. – Che cosa sono i Vescovi?

R. – Sono i successori degli Apostoli.

D. – Dove si trova la Chiesa?

R. – Essa è diffusa su tutta la terra.

D. – Si deve obbedire ai capi della Chiesa?

R. – Sì, noi dobbiamo obbedir loro, perché essi rappresentano Nostro Signore Gesù Cristo.

D. – Vi sono comandamenti della Chiesa?

R. – Sì, ve ne sono cinque.

D. – Quali sono?

R. – 1. Udir la Messa le domeniche e le altre feste comandate.

2. Non mangiar carne nei Venerdì e negli altri giorni proibiti, e digiunare nei giorni comandati.

3. Confessarsi almeno una volta all’anno e comunicarsi almeno a Pasqua.

4. Soccorrere la Chiesa nelle sue necessità, secondo le leggi e le usanze.

5. Non celebrare solennemente le nozze nei tempi proibiti.

D. — Che cosa ci ordinano i comandamenti della Chiesa?

R. – Il primo comandamento ci ordina di passare santamente i giorni di festa. – Il secondo, ci ordina di osservare il digiuno e l’astinenza nei giorni comandati dalla Chiesa, quando l’età ce ne fa un obbligo. – Il terzo, ci ordina di comunicarci almeno una volta a l’anno, a Pasqua. – Il quarto, ci ordina di fare elemosina e soccorrere la Chiesa nelle sue necessità. – Il quinto, di non celebrare nozze solenni nei giorni proibiti.

D. – La Chiesa, si trova essa soltanto sulla terra?

R. – Essa esiste anche nel Cielo, dove sono le anime dei santi, e nel Purgatorio, dove sono le anime di coloro che sono morti in grazia di Dio, ma che hanno ancora da scontare qualche pena per i loro peccati.

D. – I santi del cielo, le anime del Purgatorio, e i fedeli della terra, sono essi uniti fra loro?

R. – Sì, essi sono uniti fra loro coi vincoli della carità e della preghiera.

D. – Come chiamate voi questa unione?

R. – Io la chiamo la Comunione dei Santi.

D. – Quali sono in Cielo i compagni dei Santi?

R. – Gli angeli.

D. – Che cosa sono gli angeli?

R. – Sono spiriti.

D. – Che cosa fanno gli angeli in Cielo?

R. – Essi lodano Dio e gli obbediscono.

D. – Non vi sono degli Angeli che Dio ha incaricato di vegliare su di noi?

R. — Sì, e si chiamano gli Angeli custodi.

D. – Dove vanno coloro che seguono i consigli dei loro Angeli custodi?

R. – In Cielo, dove questi Angeli hanno ricevuto missione di condurli.

D. – Gli Angeli custodi come ci fanno sentire i loro buoni consigli?

R. Colle buone inspirazioni e mediante la voce della nostra coscienza.

D. Che cos’è la coscienza?

R. È la voce interiore che ci dice: Questo è bene, questo è male. Bisogna fare il bene, bisogna evitare il male.

D. Si deve obbedire alla propria coscienza?

R. Sempre.

* * *

PREGHIERE DEL BAMBINO

Nel nome del Padre, e del Figliuolo e dello Spirito Santo. Così sia.

Mio Dio, credo in Voi.

Spero in Voi.

Vi amo e vi adoro con tutto il mio cuore.

PADRE NOSTRO

Padre nostro, che sei nei cieli: sia santificato il tuo nome; venga il tuo regno: sia fatta la tua volontà, come in cielo così in terra. Dacci oggi il nostro pane quotidiano, e rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori, e non c’indurre in tentazione: ma liberaci dal male. Così sia.

AVE MARIA

Ave, o Maria, piena di grazia, il Signore è con te; tu sei benedetta fra le donne, e benedetto è il frutto del tuo seno, Gesù. Santa Maria, Madre di Dio, prega per noi peccatori, adesso e ne l’ora della nostra morte. Così sia.

CREDO

Io credo in Dio Padre onnipotente creatore del cielo e della terra; ed in Gesù Cristo, suo unico Figliuolo, nostro Signore; il quale fu concepito di Spirito Santo, nacque da Maria Vergine, patì sotto Ponzio Pilato, fu crocifisso morto e seppellito; discese all’inferno; il terzo giorno risuscitò da morte; salì al cielo, siede alla destra di Dio Padre onnipotente; di là ha da venire a giudicare i vivi e i morti. Credo nello Spirito Santo, la Santa Chiesa Cattolica, la comunione dei Santi, la remissione dei peccati, la risurrezione della carne, la vita eterna. Così sia.

A L’ANGELO CUSTODE

Angelo di Dio, che sei il mio custode, illumina custodisci, reggi e governa me, che ti fui affidato dalla pietà celeste. Così sia.

* * *

Mio Dio, vi dono il mio cuore, il mio spirito e la mia vita.

* * *

Nel nome del Padre, e del Figliuolo e dello Spirito Santo. Così sia.

IL CATECHISMO DELLA MAMMA (1)

IL CATECHISMO DELLA MAMMA [I.]

LA RELIGIONE SPIEGATA AI BAMBINI DA L’ABATE DE SAINT – JEAN

Nihil obstat Ian. 1933 – Can.cus DOCT. I. DAL SASSO Cens. Eccl.

Imprimatur: Patavii, die l4 Ian. 1933 CAN. COS DOCT. P . CARMIGNOTO – Vic. Gen.

Tipografia del Seminario – 1933

AL TUO FRANCESCO O MIO DILETTISSIMO TITO DEDICO LA TRADUZIONE DI QUESTO PREZIOSO LIBRICCINO PERCHÈ MEDIANTE LA CARA VOCE MATERNA ESSO LO AIUTI A CRESCERE QUALE TU LO VOLEVI E DA DIO LO IMPLORAVI. E DAL DI LA’ IL TUO SPIRITO POSSA GIOIRE DI LUI

6 Settembre 1932. – R. M.

Io sono la Via, la Verità e la Vita

AL LETTORE

Troppo a lungo si è presentata la verità religiosa al fanciullo sotto una forma astratta, arida e didattica che non poté che diminuire, per non dire annientare, il valore educativo del nostro insegnamento catechistico.

Il fanciullo imparando delle parole che egli sente per la prima volta e il senso delle quali non può penetrare la sua giovane intelligenza, ritiene con pena la lettera dei nostri catechismi, e questa non imprime o non imprime che molto imperfettamente la lezione cristiana che deve servire alla condotta della intera vita. Per essere pratica e portare dei frutti, questa lezione acquisterebbe pregio con l’entrare in un quadro vivente, il quadro pittoresco e semplice ad un tempo, dove si esplica ordinariamente la curiosità infantile.

La madre è, di tal fatto, la prima educatrice religiosa del fanciullo. Il suo linguaggio è istintivamente appropriato a l’intelligenza del piccolo essere che le deve la vita. Le impressioni e i sentimenti che la sua fede avrà depositati in quella giovane anima, vi lasceranno tracce profonde. Tali, per i neonati, le influenze di quel primo latte del quale la giovane madre li nutrisce.

Dal grande desiderio di facilitare a queste madri e ai loro figliuoli la comprensione delle verità cristiane, è sorto l’umile opuscolo che noi oggi offriamo al pubblico.

IL CATECHISMO DELLA MAMMA O LA RELIGIONE SPIEGATA AI BAMBINI parla un linguaggio del quale questi cari figliuoli conoscono le parole e che traduce tutte le questioni che può porre lo studio della religione cattolica a quell’età nella quale, dinanzi al mistero delle cose, si destano le prime curiosità.

Questo piccolo libro riassume in SETTE LEZIONI tutto l’insegnamento catechistico. Ciascuna delle lezioni è preceduta da un questionario complementare che riprende e fissa sotto una forma più impersonale e più precisa, il senso e i termini essenziali delle spiegazioni religiose fornite dalla madre al suo figliolino. La fantasia d’un libero insegnamento è cosi ricondotta, per via di conclusione, alle diritte linee de l’insegnamento didattico e di un insegnamento che segue le più strette direttive cattoliche. Noi crediamo a l’efficacia di questo metodo che indirizzandosi ad un tempo a l’intelligenza e alla memoria del bambino, ha di mira un duplice scopo: far capire e far imparare con facilità le lezioni della nostra santa religione. – La semplicità di questo piccolo libro ci ha fatto un dovere di eliminare dalle sue pagine infantili ogni traccia di astrusità e di sforzo.

Per quanto tenue ne sia la trama, il CATECHISMO DELLA MAMMA racchiude non di meno la somma di cognizioni sufficienti per avvicinarsi degnamente al Dio di paterna bontà che ricercava sulla terra la dolce compagnia dei bambini e assicurava che la loro purezza e la loro semplicità d’animo dovevano servire di modello ai più grandi, se essi volevano aver parte alle celesti ricompense. Piaccia a Dio che queste ricompense vengano un giorno a coronare lo sforzo di tutti coloro che lavorano ad estendere il suo regno fra gli uomini.

PRIMA LEZIONE

SPIEGAZIONE

– Dio –

II bambino. – Mamma, chi fa crescere le piante del giardino?

La mamma. – Colui che ha fatto le piante, bambino mio.

Il bambino. – E chi ha fatto le piante?

La mamma. – È il buon Dio che ha fatto le piante del giardino e TUTTE LE PIANTE del mondo.

Il bambino. – E gli uccellini che cantano sulle piante?

La mamma. – Dio, mio figliuolo, ha fatto gli uccellini e TUTTI GLI ANIMALI.

Il bambino. – E gli uomini, o mamma, anch’essi li ha fatti Dio?

La mamma. – Sì, TUTTI GLI UOMINI, mio caro, vengono da Dio. Egli ha fatto tutto quello che tu vedi sulla terra.

Il bambino. – E i lumicini che si vedono lassù quando viene la notte, chi li accende?

La mamma. – È sempre Dio che fa brillare nel cielo le stelle che tu chiami lumicini.

Il bambino. – Ha dunque fatte tutte le cose Iddio?

La mamma. – Tutte le cose, bimbo mio; Dio HA FATTO IL CIELO col sole per illuminare la terra durante il giorno; e con la luna e le stelle per illuminarla durante la notte.

Il bambino. – Di’ un po’, mamma; era molto difficile fare il cielo e la terra?

La mamma. – Tanto difficile che nessuno avrebbe potuto farli; soltanto Iddio lo ha potuto.

Il bambino. – E con che cosa ha Egli fatto tutto questo?

La mamma. – Dio ha fatto dal niente il cielo e la terra. Rifletti bene a questa parola: Dio ha fatto dal NIENTE: dal niente tutto quello che esiste nel cielo e sulla terra.

Il bambino. – Dimmi come fece, mamma.

L a mamma. – È semplicissimo, mio caro. Dio è onnipotente. Basta che Egli dica: Io VOGLIO, perché una cosa sia fatta.

Il bambino. – Allora, mamma, quando Dio volle fare le grandi piante del giardino, tutti i piccoli animali, tutti i lumicini del cielo e la grossa luna, ed anche il sole che fa rosse le ciliege, Dio non ha avuto che a dire questa piccola parola: Io voglio?

La mamma. – Sì, mio caro, e tutto fu fatto. Dio PUÒ FARE TUTTO QUELLO CHE VUOLE.

Il bambino. – Ha una bella fortuna, Lui!

La mamma. – Si deve dire: è potente, bambino mio. Ma della sua potenza fa sempre uso buono, perché  tutto quello che fa è ben fatto.

Il bambino. – Tu credi, mamma, che Egli non si sia mai sbagliato?

La mamma. – No, bimbo mio; tutto ne l’opera di Dio porta il segno di una sapienza che non può errare. Se l’acqua che tu bevi, l’aria che tu respiri, la terra su cui cammini fossero un po’ più o un po’ meno densi, non potresti né respirare, né bere, e gli operai non potrebbero costruire delle case, né i contadini coltivare la terra, né i marinai navigare.

Il bambino. – Come Dio è buono!

La mamma. – Sì, figliuolo mio; è buono Colui che ha fatto così bene le cose per la felicità degli uomini e di tutto quello che esiste sulla terra: per questo è chiamato Dio di bontà.

Il bambino. – Ma dov’è dunque Dio?

La mamma. – Egli È PRESENTE DA PER TUTTO,

II bambino. – Ma perché non lo si vede?

La mamma. – Non si vede Dio, perché è uno spirito.

Il bambino. – Che cos’è uno spirito, mamma?

La mamma. – È ciò che non ha corpo. Quindi non si può vederlo, né toccarlo, né udirlo. È come il tuo pensiero; tu non lo vedi, né io lo vedo; tu non lo tocchi, né io lo tocco; eppure il tuo pensiero esiste.

Il bambino. – Ma Dio, mamma, ci vede Egli?

La mamma. – Sì, Dio VEDE TUTTO, perché Egli è da per tutto. Egli sa tutto quello che s’è fatto mille anni fa e prima ancora; tutto quello che si farà tra mille anni e più in là; come tutto quello che oggi si fa.

Il bambino. – Ma se io nascondessi qualche cosa in un luogo e nessuno lo sapesse, lo saprebbe Dio?

La mamma. – Sì; Dio vede anche i più nascosti pensieri tuoi; quelli che la tua mamma non vede, li vede Lui.

Il bambino. – È dunque molto vecchio Dio, se vedeva già tutto più di mille anni addietro?

La mamma. – Dio è sempre stato e sempre sarà. Egli è eterno.

Il bambino. – E che cosa fa Dio da che ha finito il cielo e la terra?

La mamma. – Egli li governa, bambino mio.

Il bambino. – Che cos’è governare?

La mamma. – Far obbedire a gli ordini che si sono dati. Iddio è padrone di tutto quello che ha fatto; ha dato delle leggi, ossia degli ordini, al cielo e alla terra; e tutto quello che Dio ha loro detto di fare, il cielo e la terra lo hanno fatto sempre.

Il bambino. – Come sono obbedienti il cielo e la terra!

La mamma. – Tanto obbedienti, mio caro, che niente avviene in questo mondo senza la PROVVIDENZA, voglio dire senza 1′ordine e il permesso di Dio.

Il bambino. – Che cos’è la Provvidenza, mamma?

La mamma. – È la Sapienza di Dio che tutto guida. Questa Provvidenza, mio caro, è come l’occhio di una mamma sempre china su la culla del suo bambino.

Il bambino. – Per proteggere il suo piccolo, nevvero, mamma?

La mamma. – Sì, Dio veglia su tutte le sue creature, anche sui suoi più piccoli insetti.

Il bambino. – E quando il piede di un bambino cattivo schiaccia un insetto?

La mamma. – Dio non abbandona il piccolo insetto. Del suo povero corpicino schiacciato dal piede del fanciullo cattivo, Egli trae un bel fiore o forse un altro insetto più bello. Ma noi non sappiamo come ciò avvenga, perché non possiamo capire tutto quello che avviene in questo mondo.

Il bambino. – Perché, mamma?

La mamma. – Perché noi non vediamo che una piccola parte del quadro ove Dio disegna quanto avviene su la terra. Infatti sovente noi chiamiamo male ciò che è un bene. – Ma eccoti divenuto molto sapiente in un giorno, bambino mio.

Il bambino. – Ti sembra, mamma?

La mamma. – Sì, certo, mio caro, poiché oggi tu conosci DIO e la SUA PROVVIDENZA

PRIMA LEZIONE

RECITAZIONE

Dio

D. Chi ha fatto il cielo e la terra?

R. Dio.

D. Fu cosa molto difficile per Iddio?

R. No; Dio può fare tutto quello che vuole.

D. Dov’è Dio?

R. Dio è presente da per tutto.

D. Perché non lo si vede?

R. Perché Egli non ha corpo.

D. Dio ci vede?

R. Dio vede tutto e conosce anche i nostri più segreti pensieri.

D. È molto tempo che Dio esiste?

R. Dio, ha esistito sempre.

D. Che cosa fa Dio?

R. Governa il cielo e la terra.

D. Come governa il cielo e la terra?

R. Mediante la sua Provvidenza.

D. Che cos’ è la Provvidenza?

R. È la Sapienza di Dio che tutto dirige nel mondo.

D. Perché si dice che Dio è buono?

R. Perché Egli ha fatto tutto per il nostro bene.

***

SECONDA LEZIONE

SPIEGAZIONE

Un Dio in tre Persone

La mamma. – Vieni presto, bimbo mio, sulle ginocchia della tua mammina!

Il bambino. – Per che fare, mamma?

La mamma. – La tua preghierina, mio caro.

Il bambino. – Tu mi aiuterai nevvero, mamma?

La mamma. – Sì, mio caro, pregheremo Dio insieme, come lo facciamo ogni giorno. Dammi dunque la tua manina… No, non la mano sinistra, l’altra.

Il bambino. – La mano destra, mamma?

La mamma. – Sì, bambino mio, la mano destra che tu porterai alla fronte, indi al petto, poscia alla spalla sinistra e finalmente alla spalla destra. E che cosa si dice a Dio quando si fa il segno della croce?

Il bambino. – Nel nome del Padre e del Figliuolo e dello Spirito Santo.

La mamma. – Così sia, mio caro.

Il bambino. – Vi sono dunque tre dei, mamma, poiché si fa la preghiera al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo?

La mamma. – No, bimbo mio, non vi è che un solo Dio, ma Dio è in tre Persone, il Padre che è Dio, il Figlio che è Dio e lo Spirito Santo che è pure Dio.

Il bambino. – Ma, mamma, un Padre Dio, un Figlio Dio, uno Spirito Santo Dio, questo non fa tre dei?

La mamma. – No, mio caro, questo non fa che un solo Dio in tre Persone, ciò che non è la stessa cosa che un Dio in tre dei.

Il bambino. – Credi tu, mamma?

La mamma. – Sì, figliuolo mio, io credo che tre persone in Dio formano un Dio solo. Lo credo, perché è Dio stesso che ce l’ha detto ed Egli non può ingannarsi, ma è una cosa che non si può comprendere, voglio dire un mistero.

Il bambino. – Come lo chiami tu questo mistero?

La mamma. – Il MISTERO DI UN SOLO DIO IN TRE PERSONE, io lo chiamo, IL MISTERO DELLA SS. TRINITÀ.

Il bambino. – Vorrei ben capirlo, io, il mistero della Santissima Trinità!

La mamma. – Com’è dunque terribile il mio piccolo Toti! Ma la sua mammina non sa rifiutare nulla al suo tesorino. Tu vedi il sole, piccino?

Il bambino. – Sì, mamma, e illumina bene ed è ben caldo oggi, il sole.

La mamma. – Se esso illumina così bene, il sole, vuol dire che è luce, bimbo mio. Tu ben vedi la luce?

Il bambino. – Sì, mamma.

La mamma. – E questa luce è anche calore, ed è perché il sole è caldissimo, che il mio piccolo Totiha la fronte bagnata di sudore.

Il bambino. – Sì, mamma.

La mamma. – E nel sole vi è una cosa che si chiama materia, l a quale nel bruciare produce il calore e la luce, come la legna del bosco quando viene gettata nel fuoco.

Il bambino. – Sì, mamma.

La mamma. – Ebbene, bimbo mio, la materia, la luce ed il calore del sole, tu ben vedi che non fanno tre soli.

Il bambino. – No, mamma, ma uno solo.

La mamma. – Così, fanciullo mio, le tre Persone della Santissima Trinità non fanno che un solo Dio. Capisci tu un pochino, mio caro?

Il bambino. – Tu ben sai, mamma, che il tuo bambino capisce tutto quello che la sua mamma gli dice.

La mamma. – Poiché il mio caro piccolo è così intelligente, io voglio insegnargli un’altra cosa. Io ti ho detto, bimbo mio, che le tre persone della Santissima Trinità non fanno che un solo Dio. È per questo che le tre Persone divine sono sempre d’accordo per fare tutto quello che esse vogliono, e possono fare tutto quello che vogliono.

Il bambino. – Ma se il Figlio, mamma, volesse

prendere a suo Padre una cosa che Egli non ha, il Padre ed il Figlio sarebbero sempre d’accordo?

La mamma. – Tutto quello che il Padre possiede, mio caro, appartiene al Figlio, e allo Spirito Santo. LE TRE PERSONE SONO UGUALI IN OGNI COSA.

Il bambino. – Non nell’età, però, mamma? Il Padre è assai più vecchio di suo figlio, vero?

La mamma. – No, IL PADRE NON È PIÙ VECCHIO DEL FIGLIO E DELLO SPIRITO SANTO, le tre Persone divine non hanno età. Esse furono sempre, esse sono EGUALMENTE ETERNE. Pensa a questo, ripetendo con la tua mamma: Nel nome del Padre e del Figliuolo e dello Spirito Santo.

Il bambino. – Così sia.

SECONDA LEZIONE

RECITAZIONE

Un Dio in tre Persone

D. – Vi sono più dei?

R . – No, non vi è che un solo Dio, e non ve ne può essere che uno.

D. – Vi sono più Persone in Dio?

R . – Sì, in Dio vi sono tre Persone; il Padre,

il Figlio e lo Spirito Santo.

D. – Il Padre è Dio?

R . – Sì, il Padre è Dio.

D. – Il Figlio è Dio ?

R . – Sì, il Figlio è Dio.

D. – Lo Spirito Santo è Dio?

R . – Sì, lo Spirito Santo è Dio.

J D . – Sono dunque tre dei?

R . – No, queste tre Persone non sono che un solo Dio.

D. – Perché queste tre Persone non sono che un solo Dio?

R . – Perché esse non hanno che una sola e stessa natura, una sola e stessa divinità.

D. – Di queste tre Persone, ve ne ha una più antica o più potente delle altre?

R. No, queste tre Persone sono eguali in ogni cosa.

D. Si può capire che un solo Dio possa esistere in tre Persone ?

R. No, perché è un mistero.

D. Che cos’è un mistero?

R. È una verità divina che supera la nostra intelligenza.

D. Come chiamate voi il mistero di un solo Dio in tre Persone ?

R. Lo chiamo il mistero della SS. Trinità.

D. Qual è il segno che ci fa pensare al mistero della SS. Trinità?

R. È il segno della croce che si fa portando la mano destra alla fronte’, poi al petto, indi alla spalla sinistra e in fine alla spalla destra, dicendo: Nel nome del Padre e del Figliuolo e dello Spirito Santo. Così sia.

***

TERZA LEZIONE

SPIEGAZIONE

Dio fatto uomo

Il bambino. – Il piccolo Gesù, è Egli Dio, mamma?

La mamma. – Sì, mio caro, il piccolo Gesù è IL FIGLIO DI DIO CHE S’È FATTO UOMO, e tu sai che il Figlio di Dio è ….?

Il bambino. – La seconda Persona della Santissima Trinità.

La mamma. – Bene, bimbo mio.

Il bambino. – Ma se si è fatto uomo, mamma, il piccolo Gesù non è più Dio?

La mamma. – Nel farsi uomo, il Figlio di Dio fu chiamato Gesù ed è restato Dio.

Il bambino. – Ma allora, mamma, Egli è uomo e Dio ad un tempo?

La mamma. – Sì, GESÙ È NELLO STESSO TEMPO DIO E UOMO. Ma noi non possiamo capire come questo sia avvenuto, anche questo è un mistero.

Il bambino. – E come si chiama questo mistero?

La mamma. – Il MISTERO DEL FIGLIO DI DIO FATTO UOMO è il MISTERO DELL’INCARNAZIONE.

Il bambino. – Allora, mamma, non potresti farmelo capire un pochino, questo mistero?

La mamma. – Tu vuoi fare il soldato, Toti?

Il bambino. – Sì, mamma.

La mamma. – Quando sarai soldato, sarai tu ancora il figliuolo mio?

II bambino. – Certamente, mamma.

La mamma. — Ecco, carino, un’immagine di Gesù, Dio e uomo ad un tempo.

Il bambino. – È molto tempo, mamma, che il Figlio di Dio s’è fatto uomo?

La mamma. – Hai tu osservato qualche volta il calendario che sta appeso di là nello studio di papà?

Il bambino. – Sì, mamma.

La mamma. – Hai letto le grandi cifre che segnano l’anno nel quale viviamo?

Il bambino. – Sì, mamma; da capodanno, noi siamo nel 1933.

La mamma. – Ebbene, bimbo mio, quelle grandi cifre ci dicono ancora che mille novecento trentatrè anni fa, il bambino Gesù è venuto sulla terra.

Il bambino. — Vorresti raccontarmi, mamma, la storia del piccolo Gesù venuto sulla terra?

La mamma. – Nulla posso rifiutarti, mio caro figliuolo. Quando si dice che il piccolo Gesù, che si chiama pure Gesù Cristo, è venuto sulla terra, vuol dire che il Figlio di Dio s’è fatto uomo. Tu sai, mio caro, tutto quello che bisogna avere per essere un uomo.

Il bambino. – Non me ne ricordo più.

La mamma. – Per essere un uomo, bisogna avere un corpo ed un’anima.

Il bambino. – Io non la vedo la mia anima.

La mamma. – Tu non la puoi vedere, perché l’anima tua è uno spirito; ma quando tu pensi, è l’anima tua che pensa; quando tu vuoi una cosa, è l’anima tua che vuole; quando tu dici alla tua mamma: Io ti amo, è l’anima tua che ama.

Il bambino. — Sì, mamma; ma dimmi, somigliava agli altri uomini il piccolo Gesù?

La mamma. – Venendo sulla terra il piccolo Gesù aveva un corpo ed un’anima come il corpo e l’anima degli altri uomini.

Il bambino. – E chi ha fatto il suo corpo?

La mamma. – È LO SPIRITO SANTO CHE HA FATTO IL SUO CORPO COL SANGUE DELLA SANTISSIMA VERGINE; tu sai, mio caro, la Madre del piccolo Gesù.

 Il bambino. – Sì, mamma!

La mamma. – T u sai ancora che si va ad adorare piccolo Gesù nel presepio, il giorno di Natale. NATALE È IL GIORNO IN CUI È NATO GESÙ CRISTO, Colui che ha fatto il maggior bene agli uomini, da che il mondo esiste.

Il bambino. – Dov’è dunque nato il piccolo Gesù?

La mamma. — Egli è nato a BETLEMME, piccola città della Giudea, in UNA POVERA STALLA. Egli ha voluto nascere povero per dimostrarci che i poveri erano gli amici suoi preferiti.

Il bambino. – E dopo, mamma?

La mamma. – Gesù Cristo fu adorato dai Magi il GIORNO DELL’EPIFANIA, che è pure chiamato il giorno dei Re.

Il bambino – E dopo, mamma?

La mamma. — Dopo, mio caro, Gesù Cristo non ha più fatto parlare di sé, fino a che non ebbe raggiunto i trent’anni.

Il bambino. – Ma che cosa fece in tutto quel tempo?

La mamma. – Durante quei trent’ anni di VITA NASCOSTA, Gesù fu sottomesso ai suoi genitori.

Il bambino. – Alla Santissima Vergine, mamma?

La mamma. – Sì, bimbo mio, ed anche a S. Giuseppe che era il padre Suo nutrizio e il protettore della Vergine Santa.

Il bambino. – E quando, mamma, il piccolo Gesù ha fatto parlare di nuovo di sé?

La mamma. – Durante gli ultimi tre anni della sua vita.

Il bambino. – Che cosa ha predicato Gesù Cristo?

La mamma. – Egli ha predicato il regno di Dio.

Il bambino. – Che cos’ è il regno di Dio?

La mamma. – È il cielo dove Dio regna con gli Angeli e i santi, e qui in terra è la Chiesa.

Il bambino. – È molto difficile, mamma, andare in cielo?

La mamma. – Dio non domanda niente di difficile ai bambini per aprir loro il cielo: bisogna essere buoni, obbedire a Dio ed amarlo.

Il bambino. – E dove si possono leggere le parole di Gesù Cristo sul regno di Dio?

La mamma. – In un piccolo libro che si chiama il Vangelo, che vuol dire la buona novella.

Il bambino. – Che cosa racconta ancora il Vangelo, mammina?

La mamma. – Il Vangelo ci racconta che Gesù ha fatto molti miracoli.

Il bambino. – Che cosa sono i miracoli?

La mamma. – Gesù faceva udire i sordi, vedere i ciechi, camminare quelli che camminare più non potevano. Egli perfino risuscitava i morti.

Il bambino. – E il mondo, mamma, è stato buono con Gesù?

La mamma. – Il mondo, bimbo mio, intendo il popolo giudeo, ha messo a morte Gesù.

Il bambino. – Oh, i cattivi! …

TERZA LEZIONE

RECITAZIONE

Dio fatto uomo

D. Quale delle Persone della Santissima Trinità s’è fatta uomo?

R. È Dio il Figlio, la seconda Persona della Santissima Trinità.

D. Come il Figlio di Dio s’è fatto uomo?

R. Prendendo un corpo e un’anima simile alla nostra.

D. Dove il Figlio di Dio ha preso questo corpo e quest’anima?

R. Nel seno di una Vergine chiamata Maria, la quale è così divenuta la Madre di Dio.

D. Come poté farsi questo?

R. Per la potenza dello Spirito Santo, la terza Persona della Santissima Trinità.

D. Si può capire questa cosa?

R. No; è anche questo un mistero.

D. Come chiamate questo mistero del Figlio di Dio fatto uomo?

R. Lo chiamo il mistero de 1′Incarnazione.

D. Come si chiama il Figlio di Dio fatto uomo?

R. Il Figlio di Dio fatto uomo si chiama Gesù Cristo.

D. In che giorno è nato Gesù Cristo?

R. Il giorno di Natale.

D. Dov’è nato Gesù Cristo?

R. Gesù Cristo è nato a Betlemme, piccola città della Giudea, in una povera stalla.

D. Come chiamate il libro che ci racconta la vita di Gesù Cristo ?

R. Questo libro si chiama il Vangelo.

IL CATECHISMO DELLA MAMMA (2)

LO SCUDO DELLA FEDE (128)

Paolo SEGNERI S. J.:

L’INCREDULO SENZA SCUSA

(Tipogr. e libr. Salesiana, TORINO, 1884)

PARTE SECONDA

CAPO VII.

Si segue a difendere dalle imposture degli eretici i miracoli della Chiesa, con dimostrare come questi ancor le abbisognino.

I. Quei medici che non badano nelle cure se non ad un solo indizio, quanto son facili a formare i loro pronostici, tanto sono anche facili a dare in fallo. Mirate se non accade l’istesso de’ novatori! Dicono che essendo la fede propagata già quanto basta per l’universo, l’asserir più miracoli è vanità, come quei che non abbisognano: piuttosto doversi dire che dai primi secoli in qua sia nella Chiesa già seccata la vena delle meraviglie promesse, o almeno sia stentata e poco vegnente.

II. Ma primieramente, chi ha detto ai novatori, che Dio nella Chiesa, non operi, se non ciò che è di precisa necessità? Non ci ha la bontà divina provveduti con tale ridondanza di beni nell’ordine di natura, che poté dirsi aver lei pensato fino a tenerci in delizie? E perché dunque sarà poi stata sì scarsa nell’ordine della grazia? Questo è con un filo di pochi palmi, cioè colla miseria propria dell’uomo, volere scandagliare quel pelago della beneficenza divina che non ha fondo. Ma ove anche si volesse stare a un tal filo, non è nemmeno vero che i miracoli non siano necessari a’ dì nostri; anzi sono per molti capi (Dato, e non concesso, che i miracoli non tornino più necessari a’ dì nostri, ma che pure siano stati da Cristo compiuti a’ tempi suoi in argomento della divinità di sua religione, rimarrebbe purtuttavia in pie la tesi sostenuta dal nostro autore , che cioè la religione cristiana è l’unica vera e divina fra tutte le note).

III. Sono di necessità per la conversione di nuove genti alla fede, come è avvenuto-nelle Indie, dove un sol Francesco Saverio ne operò tanti, perché erano necessari a domar l’orgoglio di popoli sprezzatori di tutto ciò che non era frutto natio delle loro terre.

IV. Sono altresì di necessità fra i Cristiani, perché non cessando i lupi di vestirsi da agnelli per ingannare, debbesi anche alla religione cattolica questo nobile privilegio delle opere prodigiose, per discernere meglio la Chiesa, sposa di Cristo, da quelle sette, che Egli non ammette per sue.

V. Sono di necessità, affinché Dio mostri a tutto il genere umano la sua speciale assistenza sugli affari di noi mortali. Conciossiachè se scorressero molti secoli senza alcuna opera superiore a tutte le forze della natura, si condurrebbero gli uomini di leggieri a persuadersi che tutto avvenisse per impulso della natura medesima: sicché le cose umane andasser da sè, come un oriuolo una volta carico; né avessero altro moderatore distinto dal proprio peso.

VI. Sono di necessità a stabilire noi fedeli in più altre nostre credenze particolari, e a farci aderire immobili a quella pietra, contra cui tanti sono del continuo que’ flutti che si sollevano. Onde se sant’Agostino diceva che a detta pietra stava legato il suo naviglio coi canapi dei miracoli: Teneri se in ecclesia vinculis mìraculorum (S. Aug. 1. de util. cred. c. 17. et contra ep. fund. c. 4); chi non sa che quanto più sono i canapi, tanto tengono ancora più forte il burchio?

VII. Sono, di necessità a glorificare i santi, amici di Dio, che fu sempre vago di onorare in vita ed in morte con eccessi proporzionati alla magnificenza del suo potere (V. Alph. A Castr. V. Miracul.). Ond’è che non solo vuol fare dei miracoli in grazia d’essi, ma vuole che sian essi quei che li fanno a dispetto di chi non può sopportare un linguaggio tale, non avvertendo che tal fu il linguaggio di Cristo: Qui credit in me, opera, quæ ego facio, et ipse faciet. et maiora horum faciet (Io. XIV. 12): dove quantunque tutti al certo i miracoli da lui vengano, non dubitò dirli opere de’ suoi servi.

VIII. E finalmente sono di necessità, secondo la soavità della provvidenza, perché gli uomini, allettati da’ benefizi temporali, sperino con più fiducia gli eterni, e per gratitudine esercitino vari atti di pietà verso Dio (risvegliati dal loro sonno a forza di una luce viva e veemente, che dia loro su gli occhi fuor dell’usato), e gli esercitino verso ì santi, sì cari al cielo.

IX. Ben è vero che se alla Chiesa convenne un corso di prodigi continuo, non convenne però che questi l’allagassero sempre ad eguale altezza. Così nel principio della legge mosaica fu stabilita la sua prima credenza con moltissime meraviglie, che veramente non ristettero mai, ma seguirono in minor copia, finché si inaridirono totalmente dopo il ripudio che Dio finalmente fé della sinagoga, micidiale a Lui tanto barbara, non più de’ soli servi, ma del Figliuolo. Anche tra gli uomini noi veggiamo che non si rinnovano ad ogni tratto tutti quegli apparati i quali si adoperarono nelle nozze della reina, mentre a riconoscerla nel decorso per vera sposa del re basta la solennità che allor procedette, ed il corteggio che l’accompagna tuttora benché men grande. Parimente la vera Chiesa, sposa di Cristo, fu da principio messa in trono al cospetto dell’universo, con pompa non più veduta: ma questa pompa si è ita scemando assai ne’ seguenti secoli, mercecchè a sì degna sposa basta ora un accompagnamento più positivo a formar la corte.

X. E questa medesima è la ragione, per cui nella conversione del nuovo mondo, benché i miracoli non sieno mancati mai, non sieno però stati universalmente sì numerosi, come furono nei primi propagatori dell’Evangelio. La ragione è, perché gli antichi prodigi bastevolmente anche durano nella memoria de’ predicatori presenti, e nella conversione del mondo antico; il quale in luogo dì miracolosa patente spedisce al nuovo uomini di somma pietà, di somma dottrina, di somma delicatezza; fa che abbandonino lieti la bella Europa, e gli induce a varcar l’oceano fra mille rischi per puro zelo di giovare a que’ barbari sconosciuti e selvaggi. senza curar però dalle loro pesche sì rinomate altre perle più elette che le loro anime.

XI. Nel rimanente è manifestissimo, che secondo la ragion retta debbono tra noi ora i prodigi avvenir di rado, mentre ad una pianta già radicata, quale ora è la fede cattolica in tutto il mondo, non si confà quel medesimo inaffiamento che richiedevasi ad una pianta ancor tenerella. Oltre a che, se i miracoli fossero frutti di qualunque stagione, non sarebbero più miracoli, nè gioverebbero al fine da loro inteso, che è di eccitare la mente umana, vaga sempre più dell’insolito, che del grande.

XII. Questo medesimo diminuirebbe in gran parte il merito della fede, e soggetterebbe agevolmente molti anche dei Cristiani a quel rimprovero che il Salvatore fe’ agli ebrei quando disse: Nisi signa et prodigio, videritis, non creditis: dolendosi Egli de’ segni da loro chiesti, non perché a Lui fosse difficile il darli, ma perché i dati bastavano a dichiararlo più che uomo puro. Quindi la copia eccessiva de’ miracoli susseguenti sarebbe, per cosi dire, una ingiuria de’ precedenti, quasi che non fossero stati da sé bastanti a provare il vero; e il recarli di nuovo in tanto gran numero sarebbe non appagarsi di un giudizio autorevole già precorso, ma voler sempre richiamare a nuova lite quei punti che furono già decisi con più sentenze uscite dal cielo.

XIII. Pertanto questa maggiore parcità di miracoli che ora abbiamo, non reca alla Chiesa cattolica alcuna taccia. Ma quale taccia non reca alle nuove sette quella penuria totale che n’è tra loro? Tra loro sì che sarebbero necessari a tutto rigore. E per qual ragione? Eccola qui manifesta.

XIV. Già la Chiesa cattolica era in possesso, per più di quindici secoli, di essere la vera Chiesa di Cristo, stabilita sopra il fondamento degli Apostoli, e de’ profeti, confermata colla testimonianza d’innumerabili martiri, e specialmente dilatata per tutto colla celebrità di innumerabili meraviglie che l’erano andate innanzi facendo strada, quasi tanti araldi celesti. Quando un apostata, invidioso, impuro, ubbriaco, alza la prima bandiera di ribellione, e col seguito di alcuni popoli invaghiti di libertà, e di alcuni principi subornati dall’interesse, fa sapere a tutta la cristianità, che egli è inviato dal cielo per riformarla sì nel credere, come nell’operare. Ma piano. Ove è la patente di una spedizion tanto inaspettata? Noi siamo ammoniti in tempo dalle scritture, che avranno da venire falsi profeti i quali si vanteranno di essere mandati da Dio come pastori a bene delle anime, e di verità saran lupi scappati su dagli abissi per divorarle. Come saprà dunque il mondo, che il superbo Lutero non sia di questi? e che di questi parimente non sieno un Calvino, un Carlostadio, uno Zuinglio, ed altri lor pari, massimamente che tutti si contradicono, e per tutti si spacciano per maestri di verità spediti dall’alto? Non si possono di certo render sicuri del loro carico e delle loro commissioni, se non coll’assistenza di opere prodigiose che gli accompagnino quasi lettere pubbliche di credenza. Tale è stato sempre il tenore della provvidenza amorevole. Quando ella veramente ha volute, che ad alcuni pochi dalla moltitudine si dia fede in cose difficili, gli ha prima con doni soprannaturali accreditati di modo, che non si potessero rifiutar le loro asserzioni senza colpa dì grave temerità. Così confessa tra i novatori il medesimo Melantone. Ma senza curare la confessione di lui, così miriamo fatto già con Mosè, con Giosuè, con Gedeone e poi co’ profeti, indi con tutti gli apostoli ad uno ad uno. E se con Giovanni Battista fu necessario di alterar questa legge, con inviarlo senza raggi al volto di simili meraviglie fatte da lui (perché non fosse creduto il Messia promesso), si supplì a ciò bastevolmente con altre meraviglie fatte per lui nel suo nascimento, le quali furono tali, che, divolgatesi dentro tempo brevissimo dalla fama, renderono tutta attonita la Giudea nell’aspettazion di quel giorno che era per sorgere da crepuscoli ricchi di tanta luce: Quis putas puer iste erit? Dove io discorro di vantaggio così. La sola vita del precursore potea da sé bastare per dare alle sue parole un continuo peso di autorità incontrastabile, tanto doveva ella essere vita austera, pura, perfetta, e di costumi angelici più che umani. Eppure Iddio non fu pago, che la predicazione di lui stabilisse tutto il suo credito in un tal fondo. Volle, che oltre alla vita potesse anch’ella additare le sue meraviglie, se non compagne del nobile ministero, almeno foriere. Quanto più dunque si richiederanno queste meraviglie medesime per autenticare in persone di vita laida una predicazione sì mostruosa, che getta a terra ogni virtù immaginabile, che fa Dio autor del peccato, che altera sacramenti, che abbatte sacrifizi, che sprezza riti, che mette in deriso a’ popoli il purgatorio, che scioglie i sacerdoti dal celibato, che spoglia i santi di culto, che sconvolge tutto il sistema del Cristianesimo? Io dico, che se Lutero e i simili a lui fosser vivuti come tanti angeli in carne, il mondo non dovrebbe lor porgere alcuna fede, mentre essi portano una dottrina contraria al detto di tutti i padri, a’ decreti di tutti i pontefici, all’autorità di tutta la Chiesa cattolica, e agli avvisi lasciatici dal vangelo: Licet nos, aut angelus de cœlo evangeliget vobis præter quam quod evangelizavimus vobis, anathema sit (Galat. 1. 8). Come si dovrà dunque lor credere in una vita sì dissoluta, poiché in tal vita non pur essi non possono cavar fuori una vera sottoscrizion dell’Altissimo ai loro detti, ma né anche una contraffatta? Questo solo basta a scoprirli per quei che sono, cioè per usurpatori di autorità, non solamente insolita, ma insolente, non mai loro data dal cielo ad esercitare. Noi finalmente quando confessiamo ancora di non avere al presente tanti miracoli, diremo di non averli, perché gli abbiamo già avuti piuttosto in copia, che in carestia. Ma che potran dire quei che né gli hanno al presente, né gli ebber mai? Sicuramente non potran dire d’esser messaggi del cielo, mentre che non ne mostrano le patenti: Si quis adserat se cura secretis imperatoris mandatisvenire, illi non est credendum, nisi in his quæ scriptis probaverit (L. si quis adserat C. demand. principum). Ed eccovi come quei miracoli, i quali tra noi presentemente abbisognano, ma solo di convenienza, tra loro abbisognerebbero di rigore. Eppure ove sono?

LO SCUDO DELLA FEDE (127)

Paolo SEGNERI S. J.:

L’INCREDULO SENZA SCUSA

(Tipogr. e libr. Salesiana, TORINO, 1884)

PARTE SECONDA

CAPO VI.

Si passa a difendere dalle imposture degli eretici i miracoli della Chiesa, con provar prima, che questi bastino a dimostrarla per vera.

I . Quanto il male è più vicino al cuore, tanto è più difficile a superarsi. Lieve impresa sarà però stata l’abbattere quei nemici che stan fuori del Cristianesimo, rispetto a quei che stan dentro. Gli eretici, e massimamente i moderni, trovandosi mal armati si aiutano ad ischivare colla scherma que’ colpi, che non possono ribattere colla lena. Che più miracoli? dicono ad ogni tratto; sono tutte favole dei Cattolici odierni, indettati insieme a vendere le finzioni per poco prezzo, ed a comperarle. I miracoli d’oggidì, o non bastano a provare la verità della religione, o non abbisognano. Non abbisognano, perché già la fede è confermata abbondantemente dai miracoli di Cristo, e da quelli dei suoi santi e dei suoi seguaci, fioriti sui primi secoli. Onde tuttoció che vi si aggiungesse sarebbe d’avanzo a farla comparir discesa dal cielo. Non bastano poi, perché anche gl’ingannatori operarono gran portenti là nell’Egitto, e sono per operarne sino alla fine del mondo; a segno che l’anticristo è per tirar con essi in errore, se tanto gli sia possibile, ancor gli eletti. Però chi giudicherà che tali opere possano, senz’altro esame renderne certi della vera religione, mentre esse medesime sono bisognose d’esame anche rigoroso? Così discorrono questi audaci, peggiori degli ebrei stessi, a provar che i miracoli siano non solo simulati ma ancor superflui: che era la seconda eccezione di sopra addotta. Onde converrà che da tale eccezione ancor li salviamo, a disinganno di quei fedeli più semplici che facilmente tengono le menzogne degli emoli per oracoli, sol perché da questi le sentono proferir con volto di bronzo.

II. E per cominciare da ciò che si asseriva in ultimo luogo: Come hanno cuore i meschini di pronunziare con tanta audacia, che i miracoli non bastino a confermare infallibilmente la verità della religione? Questo è un disprezzare a viso aperto il rimprovero fatto già da Cristo a’ giudei, quando loro disse: Si non fecissem in eis opera, quæ nemo alius fecit, peccatum non haberent. Nunc autem excusationem non habent de peccato suo (Ioannes xv.). Sicuramente non avrebbe Egli potuto tacciare d’inescusabili que’ protervi, i quali non accettavano una dottrina confermata da Lui con tanti miracoli, se i miracoli non avessero forza di confermarla quasi gran sigillo reale. Come pero quegli stessi, i quali professalidi credere all’evangelio possono arrivare anche a dargli sì gran mentita?

III. Tra i miracoli che si narrano dalla gente, ve ne ha probabilmente molti di falsi. Passi per concesso. Ma ciò che prova? Anche fra i racconti che si leggono nelle istorie, ve n’ha certamente molti di favolosi. Dunque alle istorie dovrà negarsi ogni fede, e porsi in lite se al mondo sia stata mai la città di Troia, se Annibale combattesse alle Canne, se Augusto sconfiggesse Cleopatra, se Cesare movesse guerra alle Gallie? Anzi i miracoli falsi che corron frammescolati in tali racconti arguiscono che ne sieno molti diveri, senza cui i falsi non potrebbero avere spaccio; come è delle monete adulterate che mai non correrebbero in sulla piazza, se di simil genere non fossero innumerabili le sincere; massimamente che v’è anche fra i prodigi il suo paragone da farne prova assai certa.

IV. Pertanto a pigliare la cosa da’ suoi principii, convien distinguere due generi d’operazioni miracolose, alcune miracolose assolutamente, altre non assolutamente, ma sol respettivamente. Il primo di questi due gèneri contiene effetti, i quali eccedono tutta la virtù naturale, qual più, qual meno: e dissi avvedutamente qual più, qual meno: perché alcuni la eccedono per la sostanza del fatto, come è che il sole a mezzo del suo corso ritorni indietro: cosa a cui la natura non può

mai giungere. E questi sono i miracol del primo ordine (S. Th. 1. p. b 105. art. 8. et contra gentes 1. 3. c. 101). Altri la eccedono, non per la sostanza del fatto, ma per la qualità del soggetto, nel quale accadono, come sarebbe render la vita a un cadavere, o restituir la vista ad un cieco. Atteso che può bene la natura arrivare a tanto di dar la vita, o di dar la vista, ma ad un corpo bene organizzato nel sen materno, non a chi in tutto ne sia rimasto già privo. E questi sono i miracoli del secondo ordine. Altri eccedono finalmente la forza della natura sol quanto al modo, com’è guarire alcun malato in istante. E questi sono i miracoli del terzo ordine. Il secondo genere poi di operazioni meravigliose contiene effetti, i quali sono miracoli, non in sé, perché non eccedono tutta la virtù naturale, ma solo alcuna. Sono in riguardo a noi, perché eccedono bene la virtù nostra, ma non una virtù molto superiore alla nostra, qual è l’angelica (S. Th. 1. p. q. 110. a. 2. ad 2).

V. Ora se si favelli del primo genere di prodigi, cioè di quelli i quali sormontano tutta la virtù di natura, non solo particolare, qual è la umana, ma universale; certo è che questi possono bene avere gli angeli per ministri, insegnandoci san Gregorio (Hom. 34. in Evang. dial. 1. 2. c. 31) che v’è un coro di angeli deputato per eseguirli; ma non possono avere per loro autore altri che Dio solamente, di cui sta scritto: Qui facit mirabilia magna solus (Ps. CXXXV). E però non può dubitarsi che non sieno testimoni irrefragabili delle verità da loro asserite, mentre sono un linguaggio proprio di Dio che per essi parla. Quindi è che avendo Cristo, non pure operati molti miracoli di tal guisa, ma operatili por testificare la propria divinità, bastavano essi a condannare totalmente dì rea quella sinagoga che negò contumace di riconoscerla.

VI. Ma se si favelli di quei del secondo genere, cioè di quei che non son prodigi assoluti, ma rispettivi, perché non sormontano la virtù naturale, ma la nostrale: questi non contengono tosto prova infallibile, senza qualche loro maggior giustificazione: potendo essi aver per cagione, non pure Dio, ma ancora il demonio: come l’ebbero le meraviglie dei maghi là nell’Egitto: e come l’avranno anche più quelle meraviglie con cui l’anticristo farà stupire il mondo al fine dei tempi. Ma certamente la provvidenza celeste non permetterebbe agli spiriti infernali una tale autorità di ridurre in atto quella virtù strana, che essi hanno di lor natura, se non ci avesse provveduti ad un tempo di chiarissima luce da ravvisare le operazioni divine, dalle diaboliche, che è quanto dire, la verità dalle larve.

VII. Lasciamo però stare che i prodigi bugiardi dell’anticristo sono già predetti tanti secoli innanzi nelle scritture, onde questo solo ai fedeli dovrà bastare a non farne caso. Miriamo puramente con attenzione l’opera, gli operanti, il fine che s’intende nell’operare, e la via che tiensi. E questi ci serviranno di tante faci a scoprir gl’inganni.

VIII. Quanto all’opera, le meraviglie di Simon Mago, e di altri suoi pari, sono per lo più mere illusioni di sensi, che duran poco: Phantasmata statim cessantia, come le nominò Ireneo (L. 2. c. 58): le meraviglie dei santi hanno fondo sodo.

IX. Quelle de’ maghi non superano le forze dellanatura superiore, ma solo della inferiore, cioè le umane, com’era levarsi a volo nell’aria, fare apparire improvvisamente giardini, palazzi, prospettive, boscaglie di piante annose, tagliar per mezzo una cote con un rasoio (come fe’ quell’augure celebrato di Cicerone) (De divin. 1. 1), rinvenir tesori sepolti, risaper trattari segreti, far latrare altamente un cane di sasso,e altre simili ciurmerie, ordinate ad un mero pascolo di curiosità popolare. Laddove i miracoli de’ santi, oltre al vincere che fanno bene spesso assolutamente, o nella sostanza, o nel soggetto, o nel modo ogni poter naturale: sono sempre tutti rivolti al bene dei popoli o corporale, o spirituale che apportano, senza un’ombra di proprio lucro.

X. E questo medesimo ci fa discernere appieno gli operatori di simili meraviglie, ed il loro fine. Conciossiachè gli stregoni, come sono istrumenti degli spiriti maligni, così sono anche tutti ribelli al cielo, impuri nelle loro persone, infesti alle altrui. Le loro arti hanno per unica mira distoglier tutti dal culto del vero Dio: immergerli nel fango di orribili laidezze; affliggerli con turbini, con tempeste, con malattie; che però sono intitolati malefici. E se talora rendono per un poco la sanità, non però possono intitolarsi benefici, perché se la rendono, è per abbatterla appresso più gravemente, come fa chi si ritira indietro ad urtar più forte: o non avendo il demonio lor assistente, quella gran facoltà che talun si crede, di applicare le cagioni naturali a proprio talento; o se l’ha, non valendosene ad altro che a sfogar l’odio che sino da’ primi secoli porta all’uomo: laddove i santi, uniti a Dio per amore, sono ancora a lui sempre somigliantissimi nel beneficare il genere umano, o con sottrarlo da’ pericoli, o con sollevarlo da’ pianti, o con renderlo colmo d’ogni virtù più gradita a Dio.

XI. Parimente il modo di operare è un distintivo grandissimo di tali opere. I fattucchieri operano le loro meraviglie con molto tempo, con molto contrasto, con molti circoli, con molte parole superstiziose, o anche sacrileghe. E i santi le operano col mezzo dell’orazione, coll’applicazione di cose sacre, di croci, di corone, di reliquie di uomini cari al cielo, o anche le operano con un assoluto comando, quali luogotenenti di quel Dio, che è padrone della natura. Né imitano gli stregoni, i quali primi si umiliano con mille prieghi vili a’ demoni, come a lor superiori, perché  vengano ad aiutarli ; e poi, venuti che sono, comandano loro già come ad inferiori con fasto sommo. I santi invocano Dio, comandano alla natura soggetta a Dio.

XII. In ogni caso è certissimo che venendo al confronto un operatore di vere meraviglie in virtù divine, con un operatore di finte in virtù diaboliche, le vero vinceran sempre le finte, come i prodigi di Mosè vinsero quelli di tutti gli stregoni di Egitto. Né poteva avvenire in diversa guisa: mentre avendo la provvidenza ordinato che i miracoli vagliano a manifestare la vera fede, era d’uopo, che vi fosse anche un tal carattere proprio a distinguere i veri dagli apparenti con sicurezza: né poteva ella permettere, salve le leggi di buon governo, che gli spiriti dell’inferno abusassero tutte le loro forre ad esterminio della verità da loro combattuta. Poco pregiudica alla repubblica che vi sieno perle finte, metalli finti, marmi finti. Il pregiudizio sarebbe quando la finzione fosse impossibile a ravvisarsi. Ma ciò non accade mai, perché la falsità può emulare la verità, ma non può agguagliarla. Così, che seguano de’ miracoli falsi per opera de’ demoni, non è gran male; anzi spesso è bene, perché ridonda in gloria tanto maggiore di quei fedeli che li scoprono, come gli apostoli scopersero quelli del reo Simone, dementator di Samaria (Act. VIII). Il male sarebbe, ove fossero indiscernibili. Ma questo non pub avvenire, mercecchè se l’angelo delle tenebre non ha da uguagliare mai l’Angelo della luce, convien che sempre vi sia modo altresì da raffigurarlo, per quanto si trasfiguri (Il criterio per sincerare i miracoli veri ed effettivi dagli apparenti ed illusori, va attinto dal concetto medesimo del miracolo, superiormente stabilito. Vero miracolo è quello, che trascende la virtù di qualunque forza creata, ossia che è divino nella sua origine, santo nel suo fine).

XIII. E con ciò rimane già provato abbastanza che l’uno e l’altro genere di miracoli, osieno quei che trascendono la virtù naturale in qualunque grado, o sian quei che solo trascendono la nostrale, sono una sottoscrizione dell’Altissimo così propria, che non può venire falsificata mai tanto da tutte le arti degli incantatori, ministri di satanasso, che al fine non si ravvisi. E posto ciò, chi dirà che i miracoli non bastino a comprovare la verità della nostra fede, su delle altrui, mentre in esse ne appare così gran numero, in altre niuno? Deus miràbilibus operibus loquitur, dice santo Agostino (Ep. 45. q. 6). Potete però voi giudicar che la verità non sia piuttosto dove Dio parla in tanti modi a scoprirla, che dove tace?

LO SCUDO DELLA FEDE (126)

Paolo SEGNERI S. J.:

L’INCREDULO SENZA SCUSA

Tipogr. e libr. Salesiana, TORINO, 1884

PARTE SECONDA

CAPO V.

Si difende dalle imposture la verità dei miracoli propri della Religione cristiana,incominciando da quei di Cristo, calunniati dai Giudei.

I. Quella volpe, che, non arrivando alla pergola, sprezzò l’uva con infamarla di agresta, non era favola, era figura perfetta, se fosse stata ordinata a vaticinare quello che poi dovevano far le sette invidiose al nome di Cristiano. Veggon ben queste da un lato, che lo verità della Religione, superando la capacità della nostra mente, non possono per via di ragione umana persuadersi abbastanza; conviene accreditarle per via di ragion divina, quali sono i miracoli. E però si sforzano quanto possono di arrivare a sì alta pergola anch’esse, con provarsi a fare, in confermazion de’ loro errori, qualche opera prodigiosa. Ma perché  gli sforzi son vani (non permettendo la provvidenza, che mai si giunga a contraffare tal opera tutta sua), si rivolgono le meschine a tacciare l’uva di agresta, con divulgare che i miracoli da noi Cristiani arrecati, non vaglion nulla, o sono simulati, o sono superflui, e conseguentemente non sono pienamente efficaci aprovare il vero.

II. Dunque nostro debito è qui di manifestare contra i giudei, e dipoi contra tutti assieme gli eretici, quanto sieno ingiuste queste due eccezioni solenni, da loro date a’ testimoni maggiori d’ogni eccezione, quali sono i miracoli propri nostri.

I.

III. I Giudei, tanto solleciti in voltare le spalle al vero, quanto dovrebbero essere ad abbracciarlo, oppongono, che i miracoli di Gesù, registrati in quattro vangeli, non son da credersi, perché non hanno altro istorico che li narri, fuora de’ nostri, e i nostri tutti sono al pari sospetti, mentre essi furono o divoti, o discepoli di quell’uomo, cui sì nuovi miracoli sono ascritti.

IV. Ma dico in prima: chi dunque dovea narrarli? Forse i gentili, i quali dedicavano i loro libri a principi sì arrabbiati in perseguitare la religione di Cristo poc’anzi nata? Non potea scrittore veruno riferir di lui meraviglie non più sentite, prima di crederle; né potea crederle, senza prima risolversi a non temere gli orrendi scempi destinati a chi le credesse. Ma di tal cuore non erano certamente i profani istorici.

V. Anzi solamente per ciò, perché erano profani, non parea giusto che la provvidenza divina gli eleggesse per testimoni di opere così eccelse. Conciossiachè qual fede in esse meritavan da’ posteri quelle penne che erano tanto apertamente venali, adulatrici, amplificatrici, bugiarde in più altre cose, da loro riferite a capriccio?

VI. Dall’altro lato, con che coscienza si allegano per sospetti gli evangelisti? È vero, che in giudizio vacilla l’attestazione de’ famigliari: ma non già quando si tratti di cose tali, che non potevano o sapersi, o spiarsi, fuorché da loro. In tal caso, i famigliari, anziché esclusi dal giudice, sono ammessi, ed ammessi gli unici, come testimoni oculari, e però più degni.

VII. Inoltre appare chiarissimo, non avere gli Evangelisti scritto adulando ed amplificando, all’usanza di quegli istorici che adattano i racconti ai loro interessi, cambiandosi come i polipi al novello colore di quello scoglio che li nutrica. Imperocché, se tali fossero stati non altro avrebbero raccontato di Cristo, che le sue operazioni meravigliose, dissimulando ad arte la   povertà, i patimenti, gli obbrobri che sempre lo accompagnarono unitamente fino al patibolo. Eppure gli evangelisti han fatto l’opposito, dando sulle loro tele pennellate smorte ai chiarori del loro Maestro, cariche all’ombre. De’ prodigi, chi di lor lasciò l’uno, chi lasciò l’altro: niuno lasciò di riferire, più diffusamente di ogni altra cosa, la morte, a primo aspetto sì indegna da lui sofferta, con aggiungere ai torti fattigli dai nemici fino gli strapazzi usatigli da’ discepoli, o traditori, o infedeli, o incostanti. Certamente, se le penne degli evangelisti non avessero unicamente mirato alla verità, non avrebbono almeno di se medesimi notificati ai posteri sì gran falli, né scrivendo al tempo stesso da luoghi così disgiunti, senzaché l’uno sapesse punto dell’altro, avrebbero concordato a narrare il tutto con tanta uniformità di deposizioni.

VIII. Di poi qual prò gli avrebbe indotti ad ingannare il genere umano con vane fole, sperando di farle credere? Chiunque mentisce, mentisce comunemente, o per timore di qualche male, o per ansia di qualche bene. Ma qual bene ambivano sulla terra i seguaci del Redentore, o di qual male temevano, mentre abbandonavano le ricchezze, e cercavano la povertà; abborrivano le ricreazioni, e correvano ai patimenti; sdegnavano l’aura popolare, e gioivano tra gli scherni? Che se poi morirono sì coraggiosi affin di testificare, che quanto avevano scritto era verità; qual timore di morte poteva prima avvilire le loro penne a lasciar da sé spremere una menzogna?

IX. Eppure ciò prova solo, che gli Evangelisti non volessero fingere quei miracoli; laddove io passo innanzi, e dico di più, che quando avesser voluto, non gli avrebbero neanche potuti fingere. Conciossiaché, chi furono gli Evangelisti? non furon uomini poveri di sapere? Come dunque eglino, se avesser finti i miracoli, gli avrebbero giammai finti con sì bell’arte? Maometto il quale, sprovveduto di ogni lettera, pur volle fìngerli, che non disse a spropositato, o di sciocco, non che di vile? Poco men dunque avrebbero fatto anch’essi gli Evangelisti, o almanco non avrebbero mai saputo vestir que’ fatti di circostanze sì decorose e sì degne, come essi fecero. Può mai da un fondaco di lanaiuoli venire una roba d’oro? tanto più, che ciascuno di quei miracoli fu indirizzato da Cristo a dar, con tale occasione, dottrine eccelse. E queste, come da favoleggiatori sì rozzi si sarebbero quivi potute inserire tutte, anzi intessere sì aggiustate, che neppure un filo vi sia di semplicità? dalla statua si giudica il suo scultore: né può chi mai non toccò scarpelli a’ suoi giorni, fare un colosso simile a quel di Rodi, senza mai dar botta in fallo.

X. Si aggiunga che essi non iscrissero cose accadute avanti il diluvio, che pure tanto giustamente si credono da’ Giudei, avvegnaché le narrasse un solo Mosè. Scrissero cose intervenute addì loro, e così addì parimente di quegli stessi a cui le scrivevano. Quale artifizio potevano dunque avere gli Evangelisti a persuaderle fin a’ loro stessi paesani, s’erano false? Non sarebbero in poco tratto stati anzi tutti convinti di mentitori? Se non furono veri i tanti prodigi vantati in Cristo, dell’acqua mutata in vino, de’ malati che risanò, dei morti che risuscitò, degli energumeni da Lui prosciolti ad un cenno, del pane aumentato, delle procelle abbonacciate, del velo squarciatosi da se stesso, de’ sassi spezzati, dei sepolcri spalancati, del sole tutto oscurato sì stranamente nel giorno della sua vergognosa crocifissione: come tra i Giudei non sollevossi per lo meno un Daniele a scoprire sì alte imposture con lingua intrepida, o come non comparve alcun Matatia, zelatore magnanimo della legge, a ficcare, se non la spada, almeno la penna in gola a menzogne le più sfacciate che mai veruno avesse date fuori ad obbrobrio della lor gente? Eppur i Giudei, non solo non opposero libri a libri, per confutare quanto gli Evangeli affermavano dì stupendo nel Redentore dannato innocentemente a morir da ladro; ma essi medesimi a più migliaia, concorsero ad approvarlo, a tenere indi quel crocifisso per Dio, e a non lasciarsi da Lui staccare neppure da quante funi vennero però loro avventate al collo, per trarli in carcere, e per trascinarli alle croci (Act. II.4. etc.).

XI. E poi, se quelle erano non verità, ma novelle, come le credettero i greci tanto superbi, i parti, i medi, i mesopotami, gli arabi, gli elamiti, gli egizi, e sopra tutti i romani, così alieni dal credere meraviglie? Erano pur tra questi molti filosofi, quali saggi, quali sofistici, che non si gloriavano d’altro, che di mettere al vaglio le novità per vaghezza di ributtarle. Come però il mondo tutto, dentro sì breve tempo, ne venne a credere tante prodigiosissime, e ancor le crede? Forse uno stuolo cencioso di giudei raminghi, che non han né patria, né sacerdoti, né sacrifizi, né fede, né sperienza, né scienza di alcuna guisa, salva quella di usureggiare, potrà dare eccezione a tanti gran principi, a tante città, a tanti cleri, a tante università, che riveriscono quelle storie medesime contraddette dal giudaismo, e le tengono per divine? E perché crede il giudaismo i miracoli di Mosè, di Elia, di Eliseo, se non perché n’è rimasta fra loro tutti una fama così costante, che non poteva derivare se non da testimoni veridici di veduta? Come poi dunque in egual affare essi adoperano più d’un peso, né vogliono colle bilance medesime regolare le credenze loro e le nostre? Quod quisque iuris in alterum statuit, ipse eodem iure uti debet, grida la legge (Extra de constit.c. cum omnes et 1. hoc edictum ff. quod quisque iuris). Anche tra noi è rimasta una fama simile, e fama si invitta, e fama sì invariata dopo il tratto di diciassette secoli ornai trascorsi, che non può avere sua fonte, fuorché nel vero, che è la vena sempre mancante all’istessa altezza.

XII. Si provino un poco gli ebrei presenti a far credere al mondo un solo miracolo operato da alcun de’ loro rabbini novellamente, come gli evangelisti fecero al mondo crederne tanti e tanti, operati addì loro dal Redentore. Strana cosa dunque, che questa arte di fingere meraviglie, sì persuasibili a tutti, si sia perduta; ma a dire il vero, tal arte non vi fu mai. I Giudei ancora, quando le lor meraviglie furono vere, le fecero tosto credere, tuttoché tanto giungessero inaudite, di sole fermo, di mari aperti, di manne amministrate, di piazze smantellate a forza di suono. Se non ne possono al presente far credere neppur una, che segno è? E segno manifestissimo che non l’hanno.

XIII. Finalmente qual cosa da’ lor profeti fu prenunziata più apertamente, che lo stuolo foltissimo de’ miracoli, i quali dovevano accompagnar la venuta del gran Messia? Come se ne sono essi dunque dimenticati? Che se pur vogliono ostinatamente travolgere le scritture su ciò concordi, che diran poi, mentre i maestri medesimi del loro talmud non seppero negare tali miracoli in Gesù Cristo (In tit. Ahedazora ap. Crotium 1. 2. n. 5. in Anot. c. Elbachera ap. Salm. c. 6. tr. 2); né con essi negar li seppero i nemici più giurati che mai sortisse la religion cristiana, senza neppure escluderne un Maometto nel suo alcocorano, non invidioso a Gesù di sì giusta gloria? (Il giudaismo s i compenetra così intimamente col cristianesimo ne’ suoi punti più sostanziali, che ai Giudei non è concesso dalla logica di impugnare i miracoli di Cristo senza rompere in brutta contraddizione).

XIV. E vero dunque (ciò che da principio fu opposto), che i nostri storici furono i primi a narrare gli inauditi miracoli da Lui fatti, perché ciò era più proprio; ma non è vero che gli storici esterni non ne abbiano poi lasciata menzione espressa, come di cosa assai nota. Egesippo (Apud Salm. t. 6. tr. 2) nel libro quinto, riferisce due lettere di Pilato a Tiberio Cesare, in cui mostrasi ripentito dell’ingiustissima condannazione di Cristo, egli dà parte de’ gran miracoli da Lui già fatti in vita, e del maggiore che fece poi risuscitando da morte; ciò che venne tenuto sì fuor di dubbio, che l’istesso Tiberio tentò d’introdur Cristo nel Campidoglio fra la turba degli altri dei; e perché il senato per disposizione divina nol consentì (non convenendo al Dio vero l’andare in riga con dii di stucco, o di sasso), non volle l’imperadore che i Cristiani ricevessero almanco verun contrasto, ma fossero lasciati river in pace, come si eseguì finché a ch’ei visse (Tert., in apol. Euseb. 1. 1. hist. Ec. c. 2).

XV. Ma che? Nostre forse eran le Sibille? Eppure le Sibille non altro fanno, che predicare le operazioni mirabili del futuro Messia, tutte ad una ad una avveratesi in Gesù Cristo, delineato tanto prima sì al vivo ne’ loro versi (Ap. Lact. 1. 4. inst. c. 15).

XVI. Molto meno era nostro Giuseppe Giudeo. E pure è tanto chiaro l’onore da lui renduto al nostro Gesù. che sarebbe solo bastevole a colmar di rossore la sua nazione, se in lei non fosse il volto, conforme al cuore già divenuto di smalto. Eodem tempore, dice egli (Ioseph. 1. 18. Ant. c. 4 ), fuit Jesu vir sapiens, si tamen virum eum fas est dicere. Erat enim mirabilim operum patrator, et doctor eorum qui libenter vera suscipiunt. E poco appresso, riferita che n’ebbe la morte atroce, così soggiugne: Apparuit enim eis tertia die vivus, ita ut divinitus de eo vates hoc et alia multa miranda prædixerant. Ecco dunque che i Giudei non volendo credere ai nostri, sono costretti a non dovere né anche credere a se medesimi, o per lo meno a calpestare quegli stessi scrittori i quali hanno in pregio sopra qualunque altro. Ma così va; Si contuderis stultum in pila non auferetur ab eo stultitia eius(Anche se tu pestassi lo stolto nel mortaio tra i grani con il pestello, non scuoteresti da lui la sua stoltezza. – Prov. II. 23). Quanto vuoti di senno,tanto ostinati, somigliano ad un pallone, chepiù che vien percosso, meno si acquieta.

II.

XVII. Convinti però della verità delle narrazioni, si rivolgono ad intorbidare il fondo di quelle meraviglie sì strepitose di cui non possono divertire la piena. Affermano che i miracoli di Cristo sono da Lui stati operati per arte magica. E che però, se non sono finti nel fatto, sono finti nella virtù (Quest’obbiezione si risolve da sé, sol che si rifletta, che il miracolo è tal fatto sovrannaturale, che da Dio solo ripete la sua cagione efficiente. Un miracolo, operato per arte magica o per forza naturale, senza il concorso diretto di Dio, non è un miracolo). Ma qualemopposizione più sconsigliata.

XVIII. Primieramente una somigliante calunnia ebbero da Apuleio i miracoli di Mosè, e l’ebber da Plinio. Ciò però che i Giudei risponderanno contro di questi in difesa del loro legislatore, risponderemo contro di loro noi, in difesa del nostro.

XIX. Dipoi, come fu mago Cristo, se la sua legge sì severamente proibisce, con tutte le altre scelleratezze, anche questa maggior dell’altre?

XX. Aggiungasi, che le maraviglie de’ magi sono indirizzate comunemente a danno di altrui, avendo per fine o vendette, o violenze, o furori di amore insano, più reo di ogni odio. Laddove i miracoli di Gesù furono sempre rivolti a beneficare i corpi, e più ancora l’anime, tirando ognuno all’amore dell’ onestà.

XXI. Più, l’onor del Padre celeste fu sempre il bersaglio di tutte le sue operazioni meravigliose: che perciò ricusò di operarle senza profitto nella patria incredula; o di operarle per vanità davanti ad un re curioso, anche quando l’operarle potea fin toglierlo dalla morte di croce. Chi mai però vide negli stregoni uno zelo simile, mentre essi sono la ribaldaglia del mondo. e come tali esiliati da tutti i popoli, puniti da tutte le leggi con pene orrende? »

XXII. Finalmente ciò che possono i magi si stende a poco, cioè a molto meno di ciò che possono gli spiriti maligni loro padroni, ai quali né anche permette Dio troppo ampia la sfera del noiare e del nuocere sulla terra. Come però avrebbe potuto coll’aiuto di tali spiriti effettuare Cristo cose tanto superiori alle loro forze, quali erano risuscitare i morti, e tra questi risuscitare in ultimo ancora sé? Come sarebbero mai state così durevoli le sanità da lui restituite agl’infermi se fossero state opere prestigiose e non sussistenti? Come avrebbe Egli insegnate dottrine sì salubri, sì sante, sì celestiali, se fosse stato un uomo indiavolato?

XXIII. I diavoli, quando han concorso ad opere di stupore, vi hanno concorso affine di promuovere singolarmente il culto dei falsi dei, cioè di se stessi, ambiziosissimi, sin dalla origine loro, d’innalzarsi a onori divini. E come dunque potean essi concorrere di buon grado a quelle di Cristo, mentre Cristo era tutto intento ad abbattere il loro culto, e a rimettere quello del vero Dio, con intenzione d’inviare gli Apostoli suoi seguaci per l’universo, alla distruzion general dell’idolatria? Si Satanas in seipsum divisus est, quomodo stabit regnum eius?

XXIV. Si vede bene, che i presenti Giudei son figliuoli peggiori de’ lor padri, mentre non temono di apporre a Cristo una taccia che gli antichi giudici stessi del sinedrio non ardirono di appiccargli (Tit. de Sinedrio et tit. de Sabach, apud Grotium 1.5. n. 5). Questi (se noi stiamo alla fede de’ talmudisti) dovevano essere tutti esperimentati nelle arti magiche per convincere quei che n’erano rei. Come però, per fondamento delle altre accuse da loro date a Gesù, non posero in campo questa dei sortilegi da lui tuttora operati? Misero lui, se glie l’avessero mai potuta attaccare, se non per vera almeno per verisimile, come una volta ma senza frutto tentarono i farisei, quando dissero al popolo ammiratore della possanza da lui già posseduta sopra l’inferno: In principe dæmoniorum eiicit dæmonia(per il principe dei demòni, Egli scaccia i demòni – Luc.XI. 15).

XXV. Sarebbe un non finir mai, se si volessero ad una ad una arrecare tutte le prove, per cui si dimostrano degni di ogni credenza i miracoli del Redentore, indegnissimi di veruna i centrasti che loro si fanno. E però, a ridurre quasi un’iliade in un guscio, possiamo dire che i prodigi di Cristo furono da lui effettuati in così gran numero, al cospetto di tanta gente, in luoghi sì diversi, con modi sì pii, con mano sì poderosa, con imperio di tanta sovranità, non più scorta al mondo, con tanta gloria di Dio, con tanto aiuto de’ popoli, con tanto accrescimento della pietà; e che di più vennero tramandati a notizia con uno stile tanto innocente, da penne si schiette, da persone sì sante, da testimoni cosi bene informati d’ogni minuzia, che il negarli non è solamente un chiudersi gli occhi, è cavarseli dalle casse, per farsi cieco in odio del giorno. Non accade pertanto che gli ebrei sperino colle loro lingue malevole di oscurarli. Sarà loro più facile il sollevarsi contra il sole, ed estinguerlo con un soffio.

L’ANIMA DELL’APOSTOLATO (12)

R. P. CHAUTARD D. G. B .

L’ANIMA DELL’APOSTOLATO (12)

TRADUZIONE del Sac. GIULIO ALBERA, S. D. B. 8a EDIZIONE

SOCIETÀ EDITRICE INTERNAZIONALE

TORINO MILANO GENOVA PADOVA PARMA ROMA NAPOLI BARI CATANIA PALERMO

VISTO: Nulla osta alla stampa.

Torino: 22 giugno 1922.

Can. CARLO FRANCO – Rev. Arciv.

VISTO: Imprimatur.

C. FRANCESCO DUVINA – Provic. gen.

PARTE QUINTA

Alcuni principi ed avvisi per la vita interiore

4.

Vantaggi della vita liturgica

a) Favorisce la permanenza del soprannaturale in tutte le mie azioni

Quanta difficoltà provo, mio Dio, per agire ordinariamente per un motivo soprannaturale! Con il concorso di Satana e delle creature, il mio amor proprio sottrae l’anima mia e le mie facoltà alla dipendenza di Gesù vivente in me.  Quante volte in una giornata quella purezza d’intenzione la quale sola può rendere meritorie le mie azioni e fecondo il mio apostolato, è viziata dalla mancanza di vigilanza o di fedeltà! Soltanto con uno sforzo continuo io posso ottenere, con l’aiuto di Dio, che la maggior parte delle mie azioni abbiano la grazia per principio vivificante che le diriga verso Dio come verso il loro fine.  Per tale sforzo la meditazione mi è indispensabile: ma quale differenza quando esso si compie nella vita liturgica! La meditazione e la vita liturgica sono due sorelle che si aiutano a vicenda. La meditazione che precede la mia Messa e la mia recita del Breviario, mi slancia nel soprannaturale. La vita liturgica mi dà il mezzo di vivere della mia meditazione durante la giornata (Faccio bene la mia meditazione per celebrare bene la Messa, e celebro bene la Messa e recito devotamente il Breviario, per far bene la meditazione il giorno seguente – P. Olivaint).  

*

Alla vostra scuola, o santa Chiesa, come mi è facile prendere l’abitudine di dare al mio Creatore e Padre il culto che gli è dovuto! Voi che siete la Sposa di Colui che è l’Adorazione, il Ringraziamento, la Riparazione e la Meditazione per eccellenza, mi comunicate, per mezzo della liturgia, quella sete che aveva Gesù, di glorificare suo Padre. Dare gloria a Dio è il fine principale che vi siete proposto con lo stabilire la liturgia. È dunque chiaro che se io vivo della vita liturgica, sarò tutto imbevuto della virtù della Religione, perché tutta quanta la liturgia è la pratica continua e pubblica di questa virtù, la più eccellente dopo le virtù teologali.  La manifestazione della dipendenza da Dio di tutte le mie facoltà, la pietà, la vigilanza, il combattimento spirituale, si possono certamente sviluppare se mi valgo dei lumi della fede; ma quanto bisogno ha l’uomo di essere aiutato da tutte le sue facoltà, per fissare la sua mente nei beni eterni, per rendere il suo cuore entusiasta e avido di profittarne, per eccitare la volontà a chiederli frequentemente e a cercarli senza tregua!  – La liturgia investe tutto il mio essere: con un complesso di cerimonie, di genuflessioni, d’inchini, di simboli, di canti, di parole, che si rivolgono agli occhi, alle orecchie, alla sensibilità, alla fantasia, all’intelletto, al cuore, essa mi orienta tutto verso Dio; mi ricorda che in me tutto, os, lingua, mens, sensus, vigor, si deve rivolgere a Dio.  – Tutto quello con cui la Chiesa mi rappresenta i diritti di Dio e i suoi titoli al mio culto di omaggio filiale e di appartenenza totale, sviluppa in me la virtù della religione e perciò lo spirito soprannaturale.  Nella liturgia tutto mi parla di Dio, delle sue perfezioni, dei suoi benefizi; tutto mi porta a Dio; tutto mi mostra la sua Provvidenza che continuamente, per mezzo di prove, di aiuti, di avvertimenti, d’incoraggiamenti, di promesse, di lumi e persino di minacce, offre all’anima mia i mezzi per santificarmi. La liturgia mi fa pure parlare continuamente a Dio ed esprimere la mia religione nelle forme più diverse.  Se con il desiderio di approfittarne, io mi applico a questa formazione liturgica, dopo i ripetuti esercizi che ogni giorno ne richiedono le mie funzioni di ecclesiastico, come mai la virtù della religione non metterebbe in me più profonde radici! Como sarà possibile che io non giunga a un’abitudine, a uno stato di anima, perciò alla vera vita interiore? La liturgia è una scuola di Presenza di Dio e della presenza del nostro Dio quale lo manifestò l’Incarnazione, o meglio, una scuola di Presenza di Gesù e di Carità. L’amore si nutre con la conoscenza dell’amabilità dell’essere amato con le prove d’amore che ci ha date, ma soprattutto, dice san Tommaso, con la sua presenza. La liturgia ci riproduce, ci spiega e ci applica le diverse manifestazioni della vita di Gesù Cristo in mezzo a noi. Essa ci mantiene in un’atmosfera soprannaturale e divina, continuando, per così dire, la vita di Nostro Signore, mostrandoci in tutti i misteri l’amabilità e la tenerezza del suo Cuore. Voi stesso, o Gesù, per mezzo della liturgia continuate la vostra gran lezione e la vostra grande manifestazione di amore. Io vi vedo sempre più, non alla maniera dello storico, cioè velato dai secoli, e neppure come spesso vi vede il teologo attraverso ardue speculazioni: Voi siete proprio vicino a me; Voi siete sempre l’Emanuele, il Dio con noi, con la vostra Chiesa, e perciò con me! Voi siete uno con cui vive ciascun membro della vostra Chiesa, e che la liturgia mi fa vedere in ogni circostanza al primo posto come esemplare e fine del mio amore. – Con il ciclo delle feste, con le lezioni tratte dal vostro Vangelo e dagli scritti dei vostri Apostoli, con i raggi meravigliosi di cui essa fa risplendere i vostri Sacramenti e soprattutto la vostra Eucaristia, la Chiesa vi farà vivere in mezzo a noi e ci fa udire i palpiti del vostro Cuore. Credere che Gesù vive in me e che vuole agire in me se io non mi oppongo: che leva potente di vita soprannaturale mi dà la meditazione che m’inculca questa verità! Ma lungo la giornata, con i mezzi diversi e sensibili che offre la liturgia, il nutrirmi frequentemente del dogma della grazia, di Gesù che prega, che opera con ciascuno dei membri di cui egli è la vita, che supplica per loro, e perciò anche per me, vorrà dire mantenermi sotto l’influsso del soprannaturale, farmi vivere di unione con Gesù e stabilirmi nel suo amore. Tutte le forme dell’amore, amore di compiacenza, di benevolenza, di preferenza e di speranza, risplendono nelle bellissime collette, nei salmi, nelle cerimonie, nelle preghiere, e penetrano l’anima mia. Come renderà forte e generosa la mia vita interiore questa maniera di rappresentarmi Gesù vivente e sempre presente! E quando per vivere del soprannaturale io dovrò fare un atto di distacco o di rinuncia, dovrò adempiere un obbligo difficile, dovrò sopportare un dolore o un’ingiustizia, come perderanno il loro aspetto doloroso e ripugnante il combattimento spirituale, la virtù o la prova, se invece di vedere la croce nuda, vi vedrò appeso Voi, o mio Salvatore, e vi udrò chiedermi, mostrandomi le vostre ferite, quel sacrifìcio come prova di amore! Un altro prezioso appoggio mi dà la liturgia ripetendomi che il mio amore non si esercita da solo: io non sono solo nella lotta contro la natura che continuamente cerca di vincolarmi; la Chiesa che s’interessa della mia incorporazione in Gesù Cristo, mi segue maternamente, mi fa parte di tutti i meriti dei milioni di anime con le quali io sono in comunione e che parlano con lo stesso linguaggio ufficiale di amore che parlo io, e mi riconforta con rassicurarmi che il Paradiso e il Purgatorio sono con me per incoraggiarmi e per assistermi.

*

Perché l’anima non cessi di dirigere le sue azioni verso Dio, nulla giova di più che il pensiero dell’eternità. Nella liturgia tutto mi ricorda Novissima mea; ad ogni passo si incontrano le espressioni Vita æterna, Cœlum, Infernum, Mors, Sæculum sæculi e simili. I suffragi e gli uffici per i defunti, le sepolture, mi mettono sotto gli occhi la morte, il giudizio, le ricompense e i castighi eterni, il valore del tempo e le purificazioni indispensabili, o qui o in purgatorio, per entrare in Cielo.  Le feste dei Santi mi parlano della gloria di coloro che mi hanno preceduto su questa terra, e mi mostrano la corona che mi è riservata se camminerò sulle loro orme e se seguirò i loro esempi. Con queste lezioni la Chiesa mi dice continuamente: 0 anima cara, pensa all’eternità, se vuoi essere fedele alla tua divisa: Dio in tutto, sempre e dappertutto. O divina liturgia, io dovrei parlare di tutte le virtù, se volessi ricordare tutti i benefici di cui vi sono debitore. In grazia dei testi scritturali che continuamente fate passare sotto i miei occhi, in grazia dei riti e dei simboli che mi spiegano i divini misteri, l’anima mia si trova costantemente sollevata da terra e rivolta ora verso le virtù teologali, ora verso il timore di Dio, l’orrore del peccato e dello spirito mondano, il distacco, la compunzione, la fiducia o la gioia spirituale.

b) Mi aiuta validamente a conformare la mia vita interiore con quella di Gesù Cristo

Tre sentimenti predominano nel vostro Cuore, o divin Maestro, una dipendenza completa dal Padre, e per conseguenza “un’umiltà perfetta, una carità ardente e universale per gli uomini, e lo spirito di sacrificio.

UMILTÀ PERFETTA. — Al vostro entrare nel mondo, avete detto: Padre, eccomi per fare la vostra volontà (Ingrediens mundum dicit: Hostium et oblationem noluisti… Tunc dixi: Ecce renio… ut faciam, Deus, voluntatem tuam (Ebr. X, 5, 7). Voi spesse volte ricordate che tutta la vostra vita intima si riassume nel desiderio continuo di fare in tutto il beneplacito del Padre (Ego quæ placita sunt ei facio semper (Giov. VIII, 29). — Meus cìbus est ut faciam voluntatem eius qui misit me – Giov. IV, 34). — Descendi de cœlo non ut faciam voluntatem meam, sed voluntatem eius qui misit me – Giov. VI, 38). Voi siete la stessa obbedienza, o Gesù, obbediente fino alla morte e alla morte di croce – Factus obediens usque ad mortem, mortem autem crucis – Filipp., II, 5); anche al presente Voi obbedite ai vostri sacerdoti e alla loro voce scendete dal Cielo: Obediente Domino voci hominis (GIOSUÈ, X, 14). A quale scuola mi mette la liturgia, per farmi imitare la vostra obbedienza, se il mio cuore sa piegarsi ai più piccoli riti con il desiderio di formarsi allo spirito di dipendenza da Dio, di domare, senza indebolirlo, questo «io» avido di libertà, e di rendere docili il mio giudizio e la mia volontà sempre portati a non imitare, o Gesù, lo spirito fondamentale che Voi siete venuto a insegnarci con i vostri esempi, cioè il Culto della Volontà divina! Ogni volta che sforzo la mia personalità a sopprimersi, per obbedire alla Chiesa come a Voi medesimo, per agire in suo nome e per unirmi con lei, e perciò per unirmi con Voi, che prezioso esercizio io faccio, e quali effetti produrrà la fedeltà alle più minute prescrizioni delle rubriche, quando si tratterà di piegare la mia superbia in circostanze più difficili! (Qui fidelis est in minimo, et in malori fldelis est – Luc. XVI, 10). – Ma vi è di più: ricordandomi la certezza della vostra vita in me e la necessità della vostra grazia per trarre frutto anche da un solo pensiero, la liturgia combatte la presunzione che potrebbe tutto distruggere nella mia vita interiore. Il Per Dominum nostrum Jesum Christum, che è la conclusione di quasi tutte le preghiere liturgiche, mi ricorderebbe, qualora lo potessi dimenticare, che da solo io non posso nulla, assolutamente nulla, se non peccare o fare atti senza nessun merito. Tutto mi penetra della necessità di ricorrere con frequenza a Voi; tutto mi ripete che Voi esigete da me questo ricorso supplichevole, affinché la mia vita non si smarrisca in illusioni ingannatrici. La Chiesa, per mezzo della liturgia, insiste con sollecitudine per persuadere i suoi figli della necessità della supplica; della liturgia essa fa davvero la SCUOLA DELLA PREGHIERA e perciò dell’umiltà. Con le sue formule, con i Sacramenti e i Sacramentali, m’insegna che ogni cosa mi viene dal vostro prezioso Sangue e che il gran mezzo di raccoglierne i frutti è di unirmi con una preghiera umile, al vostro desiderio di applicarceli. Fate che io mi giovi di queste lezioni continue, o Gesù, per accrescere il sentimento vivissimo della mia piccolezza e per convincermi che nell’Ostia che è il vostro Corpo mistico, io non sono che un’umile particella, e nell’immenso concerto di lodi che Voi dirigete, io non sono che una debole voce. In grazia della liturgia, possa io vedere sempre meglio che per mezzo dell’umiltà io posso rendere questa voce sempre più pura e questa particella sempre più bianca.

CARITÀ UNIVERSALE. — Il vostro Cuore, o Gesù, ha esteso a tutti gli uomini la sua missione redentrice. A quel Sitio che voi morendo avete lanciato al mondo e che continuate a far sentire dall’Altare e dal Tabernacolo e persino dal seno della vostra gloria, deve rispondere nell’anima anche del semplice cristiano un vivo desiderio di spendersi per i fratelli, una sete ardente della salvezza di tutti gli uomini e della diffusione del Vangelo, un grande zelo per favorire le vocazioni ecclesiastiche e religiose, e vive preghiere affinchè i cristiani comprendano l’estensione dei loro doveri, e le anime la necessità, per loro, della vita interiore.  – Ma tali desideri molto più devono accendere l’anima dei vostri ministri ai quali i riti ricordano che Voi avete loro dato nel vostro Corpo mistico un posto eletto, affinché vi INCORPORINO quante più anime è possibile; siano corredentori, mediatori che devono piangere inter vestibulum et altare (GIOELE II. 17. 1). i peccati del mondo e santificarsi non soltanto per sè, ma anche per poter santificare gli altri, per formare, istruire e guidare le anime e per far circolare in esse la vostra Vita: Ego sanctifico meipsum ut sint et ipsi sanctificati! (Giov. XVII, 19). O santa Chiesa del Redentore, Madre di tutti i miei fratelli vostri figli, come potrò vivere della vostra liturgia, senza partecipare agli slanci del Cuore del vostro divino Sposo per la salute delle sue creature e per la liberazione delle anime che gemono nel Purgatorio? Certamente io godo di una parte privilegiata dei frutti della Messa che celebro e del Breviario che recito; ma Voi intendete che la parte principale vada anzitutto al complesso delle anime di cui siete sollecito: In primis quae tibi offerimus prò Ecclesia tua sancia catholica (Canone della Messa). Voi adoperate mille mezzi per dilatare il mio cuore e per conformare la mia vita interiore con quella di Gesù. O cara vita liturgica, accrescete il mio amore filiale alla santa Chiesa e al Padre comune dei fedeli; rendetemi più devoto e più sottomesso ni miei Superiori gerarchici e più unito a tutte le loro sollecitudini; aiutatemi a non dimenticare che Gesù vive in ciascuno di quelli con cui mi trovo ogni giorno a contatto, e che voi li portate, come li porta Lui, nel vostro cuore; fate che io irradii su loro l’indulgenza, la tolleranza, la pazienza, la cortesia, in modo che rispecchi la mansuetudine del dolcissimo Salvatore. Mantenete in me il sentimento che non posso andare in Paradiso se non per mezzo della Croce, che le mie lodi, le mie adorazioni, i miei sacrifici e gli altri miei atti non hanno valore per il Paradiso se non per il Sangue di Gesù, e che con tutti i Cristiani debbo guadagnarmi questo Paradiso, poiché con tutti gli eletti ne dovrò godere e con essi dovrò continuare, per mezzo di Gesù e per tutta l’eternità, il concerto di lodi a cui sono associato sulla terra.

SPIRITO DI SACRIFICIO. — 0 Gesù, Voi sapendo che l’umanità non si poteva salvare se non per mezzo del sacrificio, avete fatto di tutta la vostra vita terrena una continua immolazione.  Ed io, identificato con Voi, Sacerdote con Voi quando celebro la Messa, o divino Crocifisso, voglio essere OSTIA con Voi. In Voi tutto gravita intorno alla Croce: in me tutto graviterà intorno alla mia Messa; essa sarà il centro e il sole delle mie giornate, come il vostro Sacrificio è l’atto centrale della liturgia  Questa, richiamandomi continuamente, per mezzo dell’Altare e del Tabernacolo, il pensiero del Calvario, sarà per me una Scuola di spirito di sacrificio. Con farmi partecipare ai sentimenti della vostra Chiesa, mi comunicherà i vostri, o Gesù, e così si avvererà in me la parola di san Paolo: Hoc sentite in vobis quod et in Christo Jesu (Filipp. II, 5), e quella che mi fu detta quando fui ordinato sacerdote: Imitamini quod tractatis (Pontificale Romano). – Il Messale, il Rituale e il Breviario mi ricordano nei modi più svariati, non fosse altro che con i segni di croce, che il sacrificio è divenuto, dopo il peccato, la legge dell’umanità e che ha valore soltanto se è unito al vostro. Vi renderò dunque ostia per ostia, o mio divin Redentore; vi farò di me stesso un’immolazione totale FUSA con la vostra immolazione compiuta una volta sul Calvario e rinnovata più volte in ogni minuto secondo dalle Messe che si celebrano in tutto il mondo. La liturgia mi renderà facile questa offerta di me stesso e mi farà contribuire maggiormente a compiere per il vostro corpo che è la Chiesa, quello che manca alla vostra Passione (Adimpleo quæ desunt passionem Christi prò corpore eius quod est Ecclesia – Coloss. I, 24). Porterò anch’io la parte mia a questa grande ostia fatta con i sacrifici di tutti i Cristiani (Tota ipsa redempta Civitas, hoc est congregatìo societasque sanctorum, universale Sacrificium offertur Deo per Sacerdotem magnum, qui etiam obtulit in Passione prò nobis, ut tanti capiti» corpus essemus… Cum itaque noe hortatus esset Apostolus ut exhibeamus corpora nostra hostlam vi venterò… hoc est Sacrificium Christianorum: multi unum corpus in Christo. Quod etiam Sacramento Altaris, fid elibus noto, frequentat Ecclesia, ubi el demonstratur quod in ea re quam oflert, ipsa offeratur – S. AGOST., De Civ. Dei, lib. X, cap. VI); e questa ostia salirà verso il Cielo per espiare i peccati del mondo e per far discendere sulla Chiesa militante e purgante i frutti della vostra Redenzione.  Avrò cosi la vera vita liturgica; infatti il rivestirmi di Voi, o Gesù, o Gesù crocifisso, l’unirmi praticamente al vostro Sacrificio facendo olocausto di me stesso con l’Abneget semetipsum, non è forse questo, o mio Salvatore, il fine a cui mi vuole condurre la vostra Chiesa instillandomi i vostri sentimenti con le sue preghiere e con le sue sante cerimonie introducendo nel mio cuore quello che in Voi predominava su tutto: lo Spirito di sacrificio? In tal modo diventerò una di quelle pietre viventi e scelte che, levigate dalla prova, Scalpri salubris ictibus et tunsione plurima Fabri polita malico (S. AGOST., De Civ. Dei, lib. X, cap. VI). 2), sono destinate alla fabbrica della Gerusalemme celeste.

c) La vita liturgica mi fa vivere della vita del Cielo

Conversatio nostra in cœlis est (Filipp. III, 20. 3), dice san Paolo; e dove potrei io imparare più facilmente a praticare questo programma, che nella Liturgia! Questa liturgia della terra non è forse l’imitazione della Liturgia celeste che l’Apostolo prediletto descrive nella sua Apocalisse? Quando canto e recito l’Ufficio, non faccio altro che compiere le stesse funzioni di cui gli Angeli si onorano dinanzi al Trono dell’Eterno. Anzi la dossologia di ciascun salmo, di ciascun inno, la conclusione di ciascuna orazione mi getta in adorazione dinanzi alla SS. Trinità. Le innumerevoli feste dei Santi mi fanno vivere come nell’intimità dei miei fratelli del Paradiso, i quali mi proteggono e pregano per me. Le feste di Maria santissima mi ricordano  che ho lassù una Madre tanto buona e tanto potente la quale non avrà riposo finché non mi veda al sicuro ai suoi piedi, nel Regno di suo Figlio. Sarebbe mai possibile che tutte queste feste che i misteri del mio dolce Salvatore, il Natale, la Pasqua, l’Ascensione soprattutto non mi dessero quella NOSTALGIA DEL PARADISO che san Gregorio considera come un pegno di predestinazione?

d) Pratica della vita liturgica

Buon Maestro, Voi vi siete degnato di farmi comprendere che cosa è la vita liturgica: potrei io addurre come pretesto le esigenze del mio ministero, per sottrarmi allo sforzo che mi chiedete per praticarla? Certamente voi mi rispondereste che il compiere secondo i vostri desideri le funzioni liturgiche, non richiede più tempo che il compierle macchinalmente; mi ricordereste l’esempio di tanti vostri servi, tra gli altri del beato P. Perboyre (Vedi la sua Vita, lib. III, cap. 8 e 9, Parigi, 1890),i quali pure essendo da voi caricati di occupazioni continue e assorbenti in un grado veramente intenso, erano tuttavia anime eminentemente di vita liturgica.

PREPARAZIONE REMOTA:

Fate, o buon Salvatore, che il mio desiderio di vita liturgica si esplichi in un grande SPIRITO DI FEDE per tutto ciò che si riferisce al culto divino. I vostri Angeli e i vostri Santi vi vedono a faccia a faccia e nulla può distogliere la loro attenzione dalle auguste Funzioni che sono uno degli elementi della loro gioia inenarrabile; ma io, sottoposto ancora a tutte le debolezze della natura umana, come mi potrò mantenere alla vostra presenza quando vi parlo con la Chiesa, se non sviluppate in me il dono della Fede che ricevetti nel Battesimo? Non vorrò mai, mi pare, considerare le funzioni liturgiche come un lavoro ingrato da sbrigare al più presto che si possa, o da subire perché vi sono annessi dei lucri; non oserò mai, spero, parlare al Dio tre volte Santo o compiere i suoi riti con una LIBERTÀ DI TRATTO che mi vergognerei di adoperare con il più umile dei servitori: non vorrò mai dare scandalo con quello che deve dare edificazione. Eppure posso io prevedere fin dove arriverei, se cominciassi a non più vigilare sopra me stesso riguardo lo spirito di fede? – Mio Dio, se io fossi già su questo pendìo, degnatevi di fermarmi; o meglio datemi una Fede così viva che, compreso dell’importanza che hanno davvero ai vostri occhi gli atti liturgici, mi rallegri al sentire che la loro sublimità entusiasma la mia volontà sempre di più.  Avrei io il minimo spirito di fede, se non avessi nessuno zelo per conoscere e per osservare le RUBRICHE? Ipensieri più belli sulla Liturgia non potrebbero scusare la mia negligenza dinanzi a Voi o mio Dio. Poco importa che io non senta nessuna attrattiva naturale per tale lavoro: basta che vi piaccia la mia obbedienza e che io sappia ch’essa mi sarà di gran profitto. Nei miei ritiri spirituali non mancherò mai di esaminarmi su questo punto riguardo al Messale, al Rituale e al Breviario. La vostra Chiesa, o Gesù, si serve principalmente delle ricchezze dei SALMI per il suo culto; se io ho lo spirito liturgico, l’anima mia nelle parti del Salterio saprà vedere Voi figurato soprattutto nella vostra vita dolorosa. Saprà che quella parola intima, quei sentimenti che il vostro Cuore rivolgeva a Dio durante la vostra vita mortale, si incontrano in molte delle composizioni profetiche che avete ispirato al Salmista.  Essa vi troverà meravigliosamente compendiati profeticamente i principali insegnamenti del vostro Vangelo. – Sotto gli stessi veli intenderò la voce della Chiesa la quale continua la vostra vita di prove e manifesta a Dio, nei suoi dolori e nei suoi trionfi, dei sentimenti imitati da quelli del suo Sposo divino, sentimenti che può pure fare suoi, nelle sue tentazioni, nei rovesci, nelle lotte, nelle tristezze, negli scoraggiamenti, nelle delusioni, come pure nelle sue vittorie e nelle sue consolazioni, ogni anima in cui si può manifestare la vostra vita.  Riservando alla Sacra Scrittura una parte delle mie letture, svilupperò il mio gusto per la liturgia e faciliterò la mia attenzione alle parole (Plus lucratur qui orat et intelligit quam qui tantum lingua orat. Nam qui intelligit reficitur quantum ad intellectum et quantum ad affectum (S. Tom., in I Cor., XIV, 14).  La riflessione mi farà scoprire in ogni composizione liturgica un’idea centrale intorno alla quale si svolgono i diversi insegnamenti.  In tal modo, o anima mia, quali armi ti preparerai contro la mobilità della tua fantasia, soprattutto se saprai imparare dai SIMBOLI! La Chiesa li adopera per parlare ai sensi con un linguaggio che li colpisce con rendere sensibili le verità rappresentate. Agnoscite quod agitis, essa mi disse quando fui ordinato sacerdote. Alle cerimonie, ai lini, agli oggetti, ai paramenti sacri, a tutto la Chiesa mia madre dà una voce significativa; ora come potrei illuminare l’intelligenza e toccare il cuore dei fedeli che la Chiesa vuole impressionare con questo linguaggio ingenuo e grandioso a un tempo, se io stesso non posseggo la chiave di tale predicazione?

PREPARAZIONE PROSSIMA:

Ante orationem præpara animam tuam (Prima della preghiera prepara la tua anima – Eccli. XVIII, 23). Subito prima della Messa e ad ogni ripresa del Breviario, farò un atto calmo, ma energico, di raccoglimento per distogliermi da tutto ciò che non si riferisce a Dio e per fissare la mia attenzione verso di Lui: Colui al quale sto per parlare, è Dio!  Ma Egli è pure mio Padre: a quel timore riverenziale che anche la Regina degli Angeli conserva quando parla al suo divin Figliuolo, unirò l’ingenuità semplice che dà anche al vecchio che si rivolge alla Maestà infinita, UN’ANIMA DI FANCIULLO. Questo atteggiamento semplice e ingenuo dinanzi al Padre mio rispecchierà ingenuamente la mia convinzione di essere unito a Gesù Cristo e di rappresentare la Chiesa nonostante la mia indegnità, e la certezza di avere per compagni nella mia preghiera gli spiriti della milizia celeste: In conspectu An-gelorum psallam tibi (Canterò a te in presenza degli angeli – Salmo CXXXVII).  Per te, o anima mia, non è più il momento di ragionare nè di meditare, ma devi ritornare un’anima di fanciullo. Giunta all’età della ragione, tu accettavi con espressione di una verità assoluta tutto ciò che ti diceva tua madre; così devi con la stessa semplicità e ingenuità accettare dalla tua Madre la Chiesa tutto ciò che ti presterà come alimento della tua fede.  Tale ringiovanimento dell’anima è indispensabile: quanto più mi farò un’anima di fanciullo, tanto più approfitterò dei tesori della Liturgia e mi lascerò colpire dalla poesia che ne emana, e nella stessa misura progredirà in me lo spirito liturgico.  Facilmente allora l’anima mia entrerà in adorazione e vi rimarrà durante la funzione (cerimonia, Breviario, Messa, sacramento ecc.) a cui prendo parte come membro o come ambasciatore della Chiesa o come Ministro di Dio. Dal mio modo di entrare in adorazione dipendono in gran parte non soltanto il profitto e il merito dell’atto liturgico ma anche le consolazioni che Dio annette al suo perfetto compimento e che devono sostenermi nelle mie fatiche apostoliche. Voglio dunque Adorare; con uno slancio della volontà voglio unirmi, per rendere a Dio questo omaggio, alle adorazioni dell’Uomo-Dio: sarà uno slancio del cuore più che sforzo della mente. Lo voglio con la grazia vostra, o Gesù, e questa grazia la chiederò, per esempio, per il Breviario, con il Deus in adiutorium, e per la Messa, con l’Introibo recitati con calma.

Voglio: ed è questo volere filiale e affettuoso, forte e umile, unito con un vivo desiderio del vostro aiuto, quello che Voi esigete da me. Se ottengo che la mia intelligenza presenti alla mia fede qualche bell’orizzonte, o che la mia sensibilità le offra qualche buon sentimento, la mia volontà se ne gioverà per adorare più facilmente; ma non dimenticherò questo principio, che l’unione con Dio risiede, in ultima analisi, nella parte superiore dell’anima, nella volontà, e anche quando non avrà che tenebre e aridità, questa facoltà, arida e fredda in se stessa, prenderà il suo slancio appoggiandosi sulla sola Fede.

L’ATTO DELLA FUNZIONE LITURGICA:

Il compiere bene le funzioni liturgiche è un dono della vostra munificenza, o mio Dio: Omnipotens et misericors Deus de cuius munere venit ut tibi a fidelibus tuis digne et laudabiliter serviatur (Orazione della domenica XII dopo Pentecoste.). Degnatevi di concedermi questo dono, o Signore; io voglio rimanere adoratore durante l’atto liturgico. Questa parola riassume tutti i metodi. La mia volontà ha gettato il mio cuore e lo mantiene dinanzi alla maestà di Dio, ed io compendio tutto il suo lavoro nelle tre parole digne, attente, devote… della preghiera Aperi, le quali esprimono esattamente quale dev’essere l’atteggiamento del mio corpo, della mia intelligenza e del mio cuore.

DIGNE. Con un contegno rispettoso, con la pronuncia esatta delle parole e con maggiore lentezza nelle parti principali, con l’accurata osservanza delle rubriche, con il tono della voce e con la maniera di fare i segni di croce, le genuflessioni ecc., il mio corpo manifesterà non soltanto che so a chi parlo, quello che dico e quale APOSTOLATO posso alle volte esercitare, ma anche che il mio cuore è quello che agisce. – (O apostolato o scandalo: per molte anime che vedono la religione attraverso un vago intellettualismo o ritualismo, la predica di un prete mediocre è spesso assai meno efficace che l’apostolato del vero sacerdote la cui gran fede, la compunzione, la pietà risplende nell’occasione di un battesimo, di una sepoltura e soprattutto di una Messa; parole e cerimonie sono dardi capaci di muovere quei cuori. La liturgia cosi vissuta riflette loro il mistero come certo, l’Invisibile come esistente e li invita a invocare quel Gesù quasi sconosciuto a loro, ma col quale sentono che quel prete è in intima comunicazione. Vi sarà invece o un’attenuazione o la perdita della fede, quando le anime disgustate dicono: « Non è davvero possibile che quel prete creda in Dio e lo tema, dal momento che celebra, battezza, dice preghiere e fa cerimonie in tale maniera! Che responsabilità! E chi oserebbe sostenere che simili scandali non saranno oggetto di un giudizio rigoroso? Quale influenza può avere sui fedeli cosi la manifestazione del timore riverenziale, come la libertà di tratto nelle sacre funzioni! – Quando ero studente dell’Università e fuori di ogni influsso clericale, ebbi per caso l’occasione di vedere, senza che egli se ne accorgesse, un sacerdote a dire il Breviario. Il suo contegno rispettoso e devoto fu per me una rivelazione, e sentii un forte bisogno di pregare, e di pregare cercando d’imitare quel prete. La Chiesa mi sembrava concreta in quel degno ministro in comunicazione con Dio. – « Invece, mi diceva ultimamente un’anima schietta, vedendo a qual punto il mio parroco strapazzava la sua Messa, rimasi turbato e mi persuasi che egli non doveva aver fede. D’allora in poi non potei più pregare e neppure credere, e una specie di disgusto prodotto dal timore di vedere ancora quel prete a dire la Messa, mi tenne, da quel momento, lontano dalla chiesa). – Nelle corti dei re della terra, persino i semplici servitori stimano grandi i più umili impieghi e senza saperlo prendono un aspetto maestoso e solenne. Non giungerò io ad acquistare quella nobiltà che si manifesterà nell’atteggiamento dell’anima mia e nella dignità del mio contegno, nell’esercizio delle mie funzioni, io che faccio parte della guardia d’onore del Re dei re e del Dio d’infinita maestà?

ATTENTE. La mia mente sarà tutta intesa a raccogliere nelle parole e nelle cerimonie quanto potrà nutrire il mio cuore. Talora la mia attenzione sarà al senso letterale dei testi; sia che segua ciascuna frase, sia che, pure continuando la mia recita, mediti a lungo un’espressione che mi abbia colpito fino a che senta il bisogno di scoprire in un altro fiore il miele della divozione, io mi attengo in tutti e due i casi al precetto: Mens concordet voci (Il pensiero sia d’accordo con la voce (Rególa di san Bernardo).Talora la mia intelligenza si occuperà del mistero del giorno o dell’idea principale del tempo liturgico. Ma la sua parte sarà secondaria in confronto con quella della volontà della quale essa non sarà che la provveditrice, per aiutarla a mantenersi in adorazione o a ritornarvi. Tutte le volte che verranno le distrazioni, io voglio, senza dispetto, senza durezza, senza asprezza, ma soavemente come tutto ciò che si fa con il vostro aiuto, o Gesù, e fortemente, come fa chi vuol essere generosamente fedele a tale aiuto, voglio ritornare all’atto adoratore.

DEVOTE. Questo è il punto capitale: tutto deve concorrere per fare dell’ufficio e di ogni funzione liturgica un esercizio di pietà, e perciò un atto del cuore.

La precipitazione è la morte della divozione. Parlando del Breviario, e tanto più si deve dire della Messa, san Francesco di Sales dà questa massima come un principio. M’impongo dunque l’obbligo di dedicare circa mezz’ora alla mia MESSA, affinché non soltanto il Canone, ma anche tutte le altre parti siano recitate devotamente. Allontanerò senza pietà tutti i PRETESTI di fare in fretta questa azione principale della mia giornata. Se l’abitudine mi fa troncare certe parole o cerimonie, mi applicherò, anche esagerando per qualche tempo, ad andare molto adagio in tali parti difettose (Volendo mettere in caricatura una persona che parla con volubilità e che non sa quello che sì dice, un letterato dello scorso secolo, famoso cosi per la sua empietà come per il realismo delle sue descrizioni, non trova un miglior termine di paragone che il prete il quale strapazza la Messa).Con le dovute proporzioni, estenderò questa risoluzione a tutte le altre mie funzioni liturgiche: sacramenti, benedizioni, sepolture ecc. Riguardo al Breviario, avrò cura di prevedere io quale momento lo reciterò, e venuto il tempo, mi obbligherò a qualunque costo a tralasciare ogni cosa. A qualunque costo voglio che la recita del Breviario, sia una vera preghiera del cuore. Oh! sì, conservate in me, o divin Mediatore, l’orrore per la precipitazione quando io tengo il vostro posto o agisco in nome della Chiesa. Fatemi ben persuaso che la precipitazione paralizza il gran Sacramentale che è la liturgia e non le lascia mantenere quello spirito di orazione, senza del quale, con tutta l’apparenza di sacerdote zelantissimo, io potrei essere agli occhi vostri nulla più che un tiepido, o meno ancora. Scolpite nella mia coscienza questa parola così capace di farmi tremare: Maledictus qui facit opus Dei fraudulenter (Maledetto chi compie l’opera di Dio con negligenza (GER. XLVIII, 10).  Talora con uno slancio del cuore abbraccerò in una sintesi di fede il senso generale del mistero ricordato dal Ciclo liturgico e di esso nutrirò l’anima mia. Talora sarà un atto lungamente gustato, atto di fede o di speranza, di desiderio o di pentimento, di offerta o di amore. – Altre volte mi basterà un solo SGUARDO, uno sguardo intimo e prolungato su un mistero, su una perfezione di Dio, su uno dei vostri titoli, o Gesù, sulla vostra Chiesa, sul mio nulla, sulle mie miserie, sui miei bisogni, o sulla mia dignità di cristiano, di sacerdote, di religioso. Sarà uno sguardo ben diverso dall’atto dell’intelligenza durante uno studio teologico; uno sguardo che accresce la fede, ma più ancora l’amore; uno sguardo che è certamente un pallido riflesso della visione beatifica, ma che intanto già effettua quaggiù la vostra promessa alle anime pure e fervorose: Beati mundo corde, quoniam ipsi Deum videbunt (Beati quelli che hanno il cuore puro, perché vedranno Dio (MATT. V, 8).

*

Così ogni cerimonia sarà per me un sollievo e un riposo, un vero respiro dell’anima mia che correva pericolo di essere soffocata dalle occupazioni. O santa liturgia, quale balsamo porterete all’anima mia con le vostre «funzioni»! Queste, ben lungi dall’essere una virtù onerosa, saranno per me una delle maggiori consolazioni della mia vita. Né potrebbe essere altrimenti, poiché sempre chiamato da voi alla dignità di figlio e di ambasciatore della Chiesa, di membro e di Ministro di Gesù Cristo, mi rivestirò sempre più di Colui che è la gioia degli Eletti. Con la mia unione con Lui, imparerò a giovarmi delle croci di questa vita mortale per seminare le messi della mia eterna felicità e, con la mia vita liturgica, più efficace di qualunque apostolato, sentirò di trascinare dietro di me altre anime nella vita della salute e della santità.

5.

La custodia del cuore è il sostegno della vita interiore ed è perciò essenziale per l’apostolato.

RISOLUZIONE DELLA CUSTODIA DEL CUORE:

Io voglio, o Gesù, che il mio cuore sia abitualmente sollecito a PRESERVARSI da ogni macchia e ad UNIRSI SEMPRE PIÙ al vostro Cuore in tutte le mie occupazioni, conversazioni, ricreazioni ecc. L’elemento negativo, ma indispensabile, di questa risoluzione mi fa ripudiare ogni macchia nel motivo e nell’esecuzione dell’azione (Come si acquista la purezza d’intenzione? — Si acquista con una grande attenzione sopra noi stessi, nel cominciare e soprattutto nel progresso delle nostre azioni. Perché quest’attenzione è necessaria nel cominciare le nostre azioni? — Perché se queste azioni sono gradite, utili, conformi al gusto naturale, questo vi tende subito da sé, per la sola attrattiva del piacere o dell’interesse. Ora quale attenzione e qual dominio bisogna avere sopra se stesso, per non permettere che la volontà sia subito trascinata dall’impressione dei motivi naturali che l’accarezzano, la sollecitano e la incantano! Perché avete detto che quest’attenzione è soprattutto necessaria nel progresso delle nostre azioni? — Perché quando si avesse avuta la forza di rinunciare da principio all’attrattiva seducente del sensi o dell’amor proprio, per seguire in tutto soltanto le vedute della fede, e con intenzioni pure; se poi si dimentica di osservarsi da vicino, il godimento attuale o del piacere che si prova o dell’interesse che trova nel corso di certe azioni, viene sempre a fare nuove impressioni e il cuore s’infiacchisce a poco a poco, la natura, benché mortificata dalle prime rinunce, si risveglia e riprende il suo predominio; ben presto l’amor proprio insinua subdolamente e quasi senza che ce ne avvediamo, le sue mire interessate, mettendole al posto dei buoni motivi con cui le nostre azioni erano state incominciate: per questo avviene, non so in quanti casi, ciò che dice san Paolo, cioè che dopo di aver incominciato con lo spirito ai va a finire con la carne, ossia con mire basse, terrene o interessate – P. Caussade). – L’elemento positivo spinge la mia ambizione a voler intensificare la fede, la speranza e l’amore che sono l’anima dell’azione. Questa risoluzione sarà la vera misura del valore pratico delle altre precedenti, perché in essa si riassume la vita interiore nell’esercizio del mio apostolato. La meditazione e la vita liturgica mi fanno riprendere lo slancio per unirmi a Dio ma è la Custodia del cuore quella che permetterà al viaggiatore di trarre profitto del nutrimento preso prima di mettersi in cammino o durante le fermate, per conservare sempre il buon passo della partenza.  So già in che cosa consiste la Custodia del cuore. Con essa si avvera MANETE in me et ego in vóbis (Giov. XV, 4); con essa la mia unione indiretta con Dio, per mezzo delle sue opere, cioè per mezzo delle relazioni che, secondo la sua volontà, ho con le creature, diventa la continuazione della mia unione diretta con Lui per mezzo della meditazione, della vita liturgica e dei Sacramenti. In tutti e due i casi l’unione deriva dalla fede e dalla carità e si compie sotto l’influsso della grazia. Nell’unione diretta siete Voi medesimo e Voi solo, o mio Dio, che io ho di mira; nell’unione indiretta invece mi applico ad altri oggetti. Ma siccome lo faccio per obbedire a Voi, quegli oggetti a cui dò la mia attenzione diventano mezzi voluti da Voi per unirmi a Voi: vi lascio, ma per ritrovarvi. Siete sempre Voi quello che io cerco e con lo stesso cuore, ma nella vostra volontà. E questa divina volontà è l’unico faro che la Custodia del cuore mi fa fissare per dirigere la mia attività al vostro servizio: nell’un caso e nell’altro posso dunque dire: Mihi adhærere Deo bonum est (Salmo LXII, 28).  È dunque un ERRORE il credere che per unirmi a Voi, o mio Dio, io debba rimandare l’azione o aspettare che essa sia terminata; è errore il supporre che certi lavori, per la stessa loro natura o per il tempo in cui si fanno, possano dominarmi e impacciare la mia libertà al punto che mi riesca impossibile unirmi a Voi. No, Voi volete che io sia libero; non volete che razione mi domini; Voi volete che io ne sia il padrone e non lo schiavo. E per questo fine mi offrite la vostra grazia, se io sono fedele alla Custodia del cuore. Dunque dal momento in cui il senso soprannaturale pratico mi ha fatto vedere, con i molteplici avvenimenti, con le circostanze e con i particolari disposti dalla vostra Provvidenza, che quella data azione è voluta da Voi, è mio dovere non sottraimene come pure non compiacermene. Io devo intraprenderla e continuarla, ma unicamente per fare la vostra volontà, perché l’amor proprio ne guasterebbe il valore e ne diminuirebbe il merito (Nel bene, dice il P. Desurmont, si trova nascosto un piacere, un onore, una gloria, un non so che di cui la natura è sommamente ghiotta, spesso più ghiotta che del male stesso; e l’anima non diffida abbastanza di questo pericolo. Il Signore, per la sua bontà verso di noi e per gelosia della sua gloria, si è dichiarato, per conto suo, indifferente a tutti i beni particolari e ci dice che una sola cosa gli piace, la sua volontà. Per conseguenza una cosa da nulla conforme alla sua volontà meriterà il Cielo, e anche i miracoli, operati senza di essa, resteranno senza ricompensa – Le relipieux résolu).

a) Necessità della custodia del cuore

Mio Dio, Voi siete la Santità e quaggiù non ammettete nella vostra intimità un’anima se non nella misura in cui essa si applica a distruggere o ad evitare tutto ciò che per lei potrebbe essere una macchia.  Pigrizia spirituale nell’innalzare il mio cuore a Voi; affetto disordinato verso le creature; asprezze e impazienze; rancore, capricci, mollezza, ricerca delle comodità; facilità nel parlare senza giusto motivo dei difetti altrui; dissipazione, curiosità che non mira per nulla alla gloria di Dio; pettegolezzi; ciarle, giudizi vani o temerari sul prossimo; vana compiacenza di me stesso; disprezzo per gli altri, critiche sulla loro condotta; ricerca della stima e della lode nei motivi che mi fanno agire; ostentazione di ciò che torna a mio vantaggio; presunzione, testardaggine, gelosia, mancanza di rispetto verso l’autorità, mormorazioni; immortificazioni nel mangiare e nel bere ecc., che FORMICAIO DI PECCATI VENIALI o almeno d’imperfezioni volontarie può se non vigilo, invadermi e privarmi delle grazie abbondanti che mi avevate preparate da tutta l’eternità! Se la mia meditazione e la mia vita liturgica non mi portano progressivamente a tenere l’anima mia sveglia anche contro le colpe di pura fragilità, a rialzarmi prontamente quando la mia volontà incomincia a piegare e anche a impormi in tali casi una penitenza, io posso PARALIZZARE, O Gesù, la vostra azione sopra di me. – Messe, Comunioni, Confessioni, altre pratiche di pietà, protezione speciale della divina Provvidenza in vista della mia eterna salvezza, sollecitudine del mio Angelo custode e persino la vostra materna vigilanza su di me, o Madre Immacolata, tutto può essere paralizzato e reso sterile per colpa mia.  Se la mia volontà è cattiva o non buona abbastanza per impormi quella violenza alla quale Voi, o Gesù, alludete dicendo: Violenti rapiunt illud (MATT. X I , 12), Satana cercherà continuamente di sorprendere il mio cuore. Non illuderti, o anima mia! Certe tue cadute che tu chiami di pura fragilità, sono forse di natura diversa agli occhi di Dio, se non pratichi la Custodia del cuore e se non miri a praticare questo programma: Voglio arrivare a dare a Gesù il motivo di ogni mia azione.  Che terribili e lunghe espiazioni io mi preparo per il Purgatorio, se non custodisco il mio cuore!  E senza questa risoluzione che pericolo corro e quale responsabilità incontro! Il pendio è tanto sdrucciolevole da portarmi al peccato mortale!

b) La presenza di Dio è la base della custodia del cuore

O santa Trinità, se, come spero, sono in stato di grazia, voi abitate nel mio cuore con tutta la vostra gloria, con tutte le vostre perfezioni infinite, tale insomma quale siete in Cielo benché nascosta sotto il velo della fede. Non vi è istante in cui non abbiate gli occhi sopra di me, per discernere le mie azioni. La vostra misericordia e la vostra giustizia operano continuamente in me. Per punirmi delle mie ingiurie, ora mi ritirate le vostre grazie speciali oppure cessate di disporre maternamente gli avvenimenti che dovevano riuscire a mio vantaggio, ora invece mi colmate di nuovi benefici!  Se la vostra dimora in me fosse ai miei occhi l’avvenimento più importante e il più degno della mia attenzione, starei io così di frequente e così a lungo senza pensarvi? Non derivano forse dalla disattenzione a questo fatto fondamentale della mia esistenza, gli insuccessi che finora seguirono i miei tentativi di Custodia del cuore! – Le giaculatorie, succedendosi regolarmente lungo la giornata, mi avrebbero dovuto ricordare questa dimora amorosa di Dio in me. E tu, o anima mia, hai finora fatto abbastanza per intercalare la tua vita con qualche giaculatoria, ALMENO UNA VOLTA OGNI ORA! Della tua meditazione quotidiana e della tua vita liturgica hai fatto abbastanza profitto per rientrare di quando in quando almeno per alcuni secondi al santuario intimo del tuo cuore, per adorarvi la Bellezza infinita, l’Immensità, l’Onnipotenza, la Santità, la Vita, l’Amore, insomma il Bene sommo e perfetto che si degna di risiedervi e che è il tuo Principio e il tuo Fine? Le comunioni spirituali che posto occupano nella mia giornata! Eppure sono ogni momento a mia disposizione, non solo per ricordarmi che abita in me la SS. Trinità, ma anche per intensificare tale dimora con una nuova infusione del Sangue redentore nell’anima mia.Che conto ho fatto finora di tanti tesori messi sulla mia strada! Mi sarebbe bastato abbassarmi a raccogliere questi diamanti per ornarne il mio diadema. Quanto sono lontano da quelle anime che, pure continuando i loro lavori e le loro conversazioni, ritornano migliaia di volte al giorno al loro Ospite divino! Esse si sono fatta quest’abitudine, e il loro cuore è fisso là dove sta il loro tesoro.

c) La divozione a Maria Santissima facilita la custodia del cuore

O Madre mia immacolata, la parola di vostro Figlio sul Calvario vi costituì Madre mia, affinché voi mi aiutaste a conservare il mio cuore unito, per mezzo di Gesù, alla SS. Trinità. Io voglio che le invocazioni sempre più frequenti che vi rivolgerò, mirino soprattutto a questa custodia del mio cuore, affinché ne siano purificate le tendenze, le intenzioni, gli affetti e i voleri. Non voglio più nascondermi alla vostra dolce voce. «Fermati, figlio mio, correggi il tuo cuore; no, non è vero che in questo momento tu cerchi la gloria di Dio! ». Quante volte nelle mie dissipazioni o nelle mie occupazioni mal regolate mi avete rivolto questo invito materno! E quante volte, purtroppo, io non Io volli udire! Madre mia, d’ora innanzi ascolterò questo RICHIAMO DEL VOSTRO CUORE, e la mia fedeltà gli risponderà con un proposito energico e risoluto; esso potrà durare soltanto un baleno, ma basterà perché io mi faccia una di queste domande: Per chi è questa azione? Come agirebbe Gesù al posto mio? Questa interrogazione intima, divenuta abitudine, costituisce la Custodia del cuore. Essa mi permetterà, nei più minuti particolari, di tenere le mie facoltà e le loro tendenze in una dipendenza abituale sempre più perfetta da Dio che vive in me.

d) Come s’impara la custodia del cuore

Io gemo al vedere che per lunghi intervalli il mio lavoro resta fuori dalla presenza di Dio; gemo nel constatare che, durante questo tempo di vita tutta esteriore, molte colpe mi sfuggono; qualunque sia lo stato dell’anima mia o mescolanza di fervore e d’imperfezioni, o tepidezza manifesta, voglio incominciare da oggi a rimediarvi, esercitandomi nella Custodia del cuore. – Al mattino durante la meditazione determinerò, MA RISOLUTAMENTE E CON TUTTA PRECISIONE, UN MOMENTO DEL MIO LAVORO, nel quale mi sforzerò, pure attendendo alacremente all’opera voluta da Dio, di vivere di vita interiore PIÙ PERFETTA CHE SIA POSSIBILE, di Custodia del cuore, cioè di vigilanza sotto il vostro sguardo o Gesù, e di ricorso a Voi come se avessi fatto il voto di fare sempre ciò che è più perfetto. Incomincerò con cinque minuti, o anche meno, mattino e sera (È praticamente quello che Bossuet chiama « il momento di solitudine affettuosa che bisogna a ogni costo procurarsi durante la giornata » — È quello che con tanta insistenza consigliava san Francesco di Sales sotto il nome di ritiro spirituale. – In questo esercizio del ritiro spirituale e delle giaculatorie sta la grande opera della divozione. Questo esercizio può supplire al difetto di ogni altra orazione, ma la mancanza di questo non può quasi essere riparata da nessun altro mezzo. Senza di questo non si saprebbe fare che male la vita attiva… e il lavoro non è che un impedimento – Introd. alla Vita divotap. 2, c. III); mirerò più alla perfezione di questo esercizio che non alla sua durata; mi sforzerò di farlo sempre meglio e di agire in mezzo al lavoro, ANCHE e SOPRATTUTTO se è assorbente, come agirebbe un santo, con la purezza d’intenzione, con la custodia del mio cuore e di tutte le mie facoltà, con una condotta generosa, insomma, come avrebbe agito Gesù medesimo se avesse dovuto fare lo stesso lavoro.  Questo sarà un tirocinio di vita interiore pratica; sarà una protesta contro la mia abitudine di dissipazione e di evagatio mentis. Voglio Dio; voglio il suo regno; voglio che questo regno duri in me quando è giunto il tempo delle occupazioni esteriori. Non voglio più che l’anima mia sia come un corridoio aperto a tutti i venti e che si metta nell’impossibilità di vivere unita a Dio e di essere vigilante, supplichevole e generosa. In quel breve istante il mio occhio resterà senza sforzo, ma esattamente, fisso sui diversi motivi dell’anima mia la quale non si perdonerà nulla. La mia volontà sarà essa pure ardentemente decisa di non risparmiare nulla per vivere perfettamente, durante quel breve intervallo. Il mio cuore da parte sua sarà risoluto di ricorrere con frequenza al Signore, per mantenersi in quel SAGGIO DI SANTITÀ. Questo esercizio sarà cordiale, allegro e fatto con espansione di anima. Certamente mi saranno necessarie vigilanza e mortificazione, per mantenermi alla presenza di Dio e per rifiutare alle mie facoltà e ai miei sensi tutto ciò che risente della natura; ma non mi accontenterò di questa parte negativa: mirerò soprattutto a informare questo esercizio con quella intensità di amore che, facendomi praticare con somma cura l’Age quod agis (Fa ciò che fai, cioè applicati interamente all’azione presente), prima con la purezza d’intenzione e poi con un ardore, con una impersonalità e una generosità sempre crescenti, dia alle mie opere tutta la loro perfezione e il loro valore. – La sera, all’esame generale, o all’esame particolare se prendo come argomento questo esercizio, farò una rigorosa analisi di quello che furono quei minuti di custodia del cuore più stretta, incondizionata e presso Gesù. M’infliggerò una piccola penitenza, anche solo la privazione di un po’ di vino o di frutta senza che altri se ne accorga, o una breve preghiera con le braccia in croce, o alcuni colpi di riga o di altro oggetto duro sulla punta delle dita, se constaterò di non essere stato abbastanza supplichevole o abbastanza amante durante quell’esercizio di custodia del cuore, cioè di vita attiva interiore congiunta con la vita attiva. Che splendidi risultati darà questo esercizio! Che bella scuola di Custodia del cuore! Quante nuove viste su peccati e imperfezioni di cui non sospettavo neppure l’esistenza! Quei momenti benedetti a poco a poco irradieranno VIRTUALMENTE su coloro che li seguiranno. Tuttavia non li prolungherò se non quando avrò prima quasi esaurito quello che potevo intravvedere dell’orizzonte di santità, di perfezione nell’esecuzione e d’intensità di amore. Si ravviverà la mia sete di non più stare a pochi minuti e con il vostro aiuto, o Gesù, arriverò a rendermi familiare questo esercizio salutare e a prendere un’abitudine che renderà pura l’anima mia e mi farà vivere sempre con Voi.

e) Condizioni della custodia del cuore

Queste sono: una vigilanza forte, calma, dolce e sincera; una gran diffidenza di me e delle creature; il rinnovamento frequente della mia risoluzione; i continui ricominciamenti pieni di fiducia nella misericordia di Gesù, verso l’anima che lotta davvero per giungere alla custodia del cuore; la certezza sempre crescente che NON COMBATTO DA SOLO, ma unito con Gesù vivente in me, con Maria mia Madre, con il mio Angelo custode e con i Santi; la convinzione che queste potenze alleate mi assistono ogni momento, purché io cerchi questa custodia del cuore e non mi allontani dalla loro assistenza, e finalmente un ricorso cordiale e frequente a tutti questi soccorsi divini, affinché mi aiutino a fare quod Deus vult e a farlo quomodo vult e quia Deus vult (Quello che Dio vuole, come lo vuole e perché lo vuole.). Oh! quanto sarà trasformata la mia vita, o Gesù, se custodirò  il mio cuore unito a Voi! La mia intelligenza potrà essere assorta nell’azione presente,  ma io voglio giungere a effettuare in me quello che potei constatare nelle anime sommamente occupate il cui cuore tuttavia non cessava di RESPIRARE IN VOI. Se ben comprendo che cosa è la Custodia del cuore, ben lungi dal diminuire la libertà di azione necessaria alle mie facoltà per compiere tutti i doveri del mio stato, il respiro dell’anima mia nell’atmosfera di amore che siete Voi, o Gesù, non farà altro che aumentarla e renderà la mia vita luminosa, allegra, forte e serena.  Invece di essere schiavo delle passioni e delle impressioni, io diventerò sempre più libero, e di questa mia libertà così perfezionata io potrò, o mio Dio, farvi frequentemente un omaggio di dipendenza, di riparazione e di amore, in unione con Gesù il quale continuamente nella sua vita mortale praticò questo spirito di dipendenza che ora è trasformato in una gloria infinita ed eterna: Propter quod exaltavit illum (Filipp. II, 9).

6.

Per l’apostolo è necessaria un’ardente divozione a Maria Immacolata

Come membro dell’Ordine Cistercense, così strettamente consacrato a Maria, come figlio di san Bernardo, impareggiabile apostolo dell’Europa per mezzo secolo, come potrei dimenticare che il santo Abate di Chiaravalle attribuiva a Maria tutti i suoi progressi nell’unione con Gesù e tutti i trionfi del suo apostolato!  Tutti sanno che cosa fu presso i popoli e i regnanti, in mezzo ai Concili e sul cuore dei Pontefici, l’apostolato di colui che è il figlio più illustre del Patriarca san Benedetto.  Tutti esaltano la santità, l’ingegno, la scienza profonda dei Libri santi e l’unzione penetrante degli scritti dell’ultimo dei Padri della Chiesa.  Ma quello che più di tutto riassume l’ammirazione dei secoli per il santo Dottore, è il titolo di Cytharista Mariæ che gli fu dato. «Cantore di Maria», egli non fu superato da nessuno di quelli che celebrarono le glorie della madre di Dio. San Bernardino da Siena e san Francesco di Sales, come Bossuet, sant’Alfonso, il santo Grignon de Montfort e altri, attingono a larga mano dai tesori di san Bernardo, quando vogliono parlare di Lei e trovare argomenti per stabilire questa verità che il santo Dottore mette in rilievo: tutto ci viene da Maria.  «Vediamo, o fratelli, con quali sentimenti di divozione Dio volle che noi onorassimo Maria, Egli che mise in Lei la pienezza di ogni bene. Se vi è in noi qualche speranza, qualche grazia, qualche pegno di salvezza, riconosciamo che tutto questo si riversa su noi da Colei che è ricolma di delizie… Togliete questo sole che illumina il mondo, e non vi sarà più giorno: togliete Maria, questa stella del mare, del nostro grande e vasto mare, che cosa rimane se non una profonda oscurità, un’ombra di morte e di fitte tenebre? Dunque dal più intimo del nostro cuore, dal fondo stesso delle nostre viscere e con tutti i nostri voti noi dobbiamo onorare Maria Vergine, perché questa è la volontà di Colui il quale dispose che noi avessimo tutto da Lei» (Serm. in Nativ. B. M. V. alias de Aquæductu, S. Bernardo). Appoggiato a questa dottrina, non esiterò a stabilire che l’apostolo, qualunque cosa faccia per la sua salvezza e per il suo progresso spirituale e per la fecondità del suo apostolato, corre rischio di costruire sulla sabbia, se la sua attività non si appoggia su una specialissima divozione a Maria.

a) PER LA VITA INTERIORE PERSONALE. L’apostolo non è abbastanza divoto verso sua Madre, se la sua fiducia in lei è priva di entusiasmo, se il culto che le dà, è quasi tutto esterno. Come suo Figlio, Maria intuetur cor, guarda soltanto i cuori e non ci giudica suoi veri figli se non dalla forza con cui il nostro amore risponde al suo.  Il cuore dell’apostolo dev’essere un cuore fermamente convinto delle grandezze, dei privilegi e delle funzioni di Colei che è ad un tempo la Madre di Dio e la Madre degli uomini. Dev’essere un cuore penetrato di questa verità, che la lotta contro i difetti, l’acquisto delle virtù, il regno di Gesù Cristo nelle anime, e perciò la sicurezza della salute e la santificazione, sono in proporzione con il grado della divozione a Maria. (Nessuno mai non si è salvato se non per mezzo di Voi, o Madre di Dio; nessuno mai non riceve il dono di Dio se non per mezzo di Voi, o piena di grazie (S. Germano). La santità cresce in proporzione della divozione verso Maria SS. P. Faber). Dev’essere un cuore compreso dì questo pensiero, che nella vita interiore tutto è più facile, più sicuro, più soave e più rapido, quando si opera con Maria (Con Maria, si fa più progresso nell’amore di Gesù in un mese, che non in anni interi vivendo meno uniti a questa buona Madre – B. Grignon de Montfort). Dev’essere un cuore riboccante di fiducia filiale, qualunque cosa accada, verso Colei di cui conosce per esperienza le delicatezze, le premure, le tenerezze, le misericordie e le generosità (« Filioli, hæc mea maxima fiducia est, haec tota ratio spei meæ: Figliuoli, essa è la base della mia fiducia, è tutta la ragione della mia speranza » – S. Bernardo). Dev’essere un cuore sempre più infiammato di amore verso Colei che egli non separa da nessuna delle sue gioie, che unisce a tutte le sue pene e per la quale passano tutti i suoi affetti. Tutti questi sentimenti rispecchiano assai bene il cuore di san Bernardo, modello dell’uomo di azione. Chi non conosce le parole che sgorgano dall’anima di questo santo Abate quando, spiegando ai suoi monaci il Vangelo Missus est, esclamava:  « O tu che nel flusso e nel riflusso di questo mondo ti accorgi che vai vagando in mezzo alle tempeste e alle burrasche, più che non cammini sulla terra, tieni fisso lo sguardo su questa stella per non perire nell’uragano. Se si scatenano i venti delle tentazioni, se urti contro gli scogli delle tribolazioni, guarda la stella, invoca Maria. Se sei agitato dalle onde della superbia, dell’ambizione, della maldicenza, dell’invidia, guarda la stella, invoca Maria. Se l’ira o l’avarizia e le passioni assalgono la fragile barchetta dell’anima tua, alza gli occhi a Maria. Se oppresso dall’enormità delle tue colpe, confuso per le laide piaghe della tua coscienza, atterrito dall’orrore del giudizio, incominci ad essere assorbito nell’abisso della tristezza e della disperazione, pensa a Maria. Nei pericoli, nelle angosce, nei dubbi, pensa a Maria, invoca Maria. Maria non sia mai lontana dalle tue labbra, non mai lontana dal tuo cuore; e per ottenere il suffragio della sua preghiera, non dimenticare l’esempio della sua vita. Seguendo lei, non ti smarrisci; pregandola, non disperi; contemplandola, non sbagli. Con il suo appoggio, non cadi; sotto la sua protezione, non temi; sotto la sua guida, non ti stanchi; se Essa ti è propizia, arriverai al porto».  Costretto a non dilungarmi troppo, eppure volendo offrire ai miei confratelli nell’apostolato come un compendio dei consigli di san Bernardo per arrivare ad essere veri figli di Maria, credo di non poter fare nulla di meglio che invitarli fraternamente a leggere con attenzione il prezioso e sodo volume La vie spirituelle à l’école du Bienheureux Grignon de Montfori, scritto dal P. Lhoumeau (Libreria Oudin. — Il P. Lhoumeau è il Superiore generale della Congregazione fondata dal B. Grignon de Montfort). – Con gli scritti di sant’Alfonso e i commentari del P . Desurmont, con quelli del P. Faber e del P. Giraud de la Salette, nessun libro, meglio di quello del P. Lhoumeau, riflette i sentimenti di san Bernardo che egli infatti cita a ogni passo. Soda base teologica, unzione, praticità, non manca nulla per ottenere il risultato che cercava continuamente il santo abate di Chiara-valle, di formare cioè il cuore dei suoi figli a immagine del suo e di dare loro quella che fu la caratteristica degli scrittori Cistercensi, il bisogno del Ricorso abituale a Maria e la Vita di unione con Lei.  Terminerò con la consolante parola che l’illustre Cistercense santa Geltrude, che Dom Guéranger chiama «Gertrude la Grande», udì dalle labbra della stessa Vergine santissima: «Non bisogna chiamare mio Figlio unico, ma piuttosto il mio primogenito, il mio dolcissimo Gesù; io concepii Lui il primo nel mio seno, ma dopo di Lui, o meglio per mezzo di Lui, io vi ho tutti concepiti perché siate suoi fratelli e miei figli, adottandovi nelle viscere della mia carità materna». Nelle opere di questa santa Patrona delle Trappiste, tutto rispecchia lo spirito del suo Padre san Bernardo, in ciò che riguarda la vita di unione con Maria.

b) PER LA FECONDITÀ, DELL’APOSTOLATO. Sia che l’uomo di azione debba togliere le anime dal peccato, sia che debba far fiorire in loro le virtù, sempre deve avere come primo scopo, a esempio di san Paolo, quello di far nascere Gesù Cristo in queste anime. Ora Dio, dice Bossuet, avendoci voluto dare una volta Gesù Cristo per mezzo della santa Vergine, non muta più il suo disegno: Maria diede alla luce il Capo, e così pure deve dare alla luce le membra. – Segregare Maria dall’apostolato sarebbe un non riconoscere una delle parti essenziali del Disegno divino. «Tutti i predestinati, dice sant’Agostino, sono in questo mondo nascosti nel seno della Vergine santissima, dove sono custoditi, nutriti, conservati e allevati da questa buona Madre, fino a che Essa li darà alla luce della gloria, dopo la loro morte». – Dopo l’Incarnazione, conchiude giustamente san Bernardino da Siena, Maria acquistò una specie di giurisdizione su ogni missione temporale dello Spirito Santo, di modo che nessuna creatura riceve grazie se non per mano di Lei. Ma anche il devoto di Maria diventa a sua volta onnipotente sul Cuore di sua Madre; e allora quale apostolo potrebbe dubitare dell’efficacia del suo apostolato se con la sua divozione dispone dell’Onnipotenza di Maria sul Sangue redentore! Perciò noi vediamo tutti i grandi apostoli animati da una devozione straordinaria verso Maria. Quando vogliono trarre un’anima dal peccato, che ardore di persuasione essi hanno, essendo identificati, per l’orrore del male e per l’amore della virtù, con Colei che chiamò se stessa l’Immacolata Concezione! – Alla voce di Maria il Precursore riconobbe la presenza di Gesù ed esultò nel seno di sua madre. Quali parole non darà Maria ai suoi veri tigli, per aprire a Gesù i cuori che prima gli erano chiusi!  Quali parole non sanno trovare gli intimi della Madre di Misericordia, per impedire che la disperazione s’impadronisca delle anime che per molto tempo abusarono delle grazie! – Se si tratta di un disgraziato che non conosce Maria, la sicurezza con cui l’uomo di azione la presenta come vera Madre e Rifugio dei peccatori, aprirà agli occhi di quel misero nuovi orizzonti. Il santo Curato d’Ars trovava alle volte dei peccatori che, accecati dall’illusione, si appoggiavano a qualche pratica esteriore di divozione a Maria, per starsene tranquilli, per peccare a loro agio e per non temere le fiamme eterne. Allora la sua parola diventava irresistibile sia per dimostrare al colpevole la mostruosità di una presunzione così ingiuriosa alla Madre di Misericordia, sia per fargli adoperare quell’atto di divozione per implorare la grazia di liberarsi dalle strette del serpente infernale. – In un caso simile, un uomo di azione poco devoto di Maria con le sue parole recise e fredde non riuscirà ad altro che a far abbandonare al povero naufrago l’ultimo frantume che sarebbe potuto divenire per lui una tavola di salvezza. Maria vivente in un cuore di apostolo è la stessa eloquenza materna assicurata all’operaio evangelico, per commuovere le anime con le quali ogni mezzo fu vano. Sembrerebbe che, con ammirabile delicatezza, il Signore abbia voluto riservare alla mediazione di sua Madre le conquiste più difficili dell’apostolato e non le conceda che a quelli che vivono in intimità con Lei. Per Te ad nìhilum redegit inimico nostros.  Il vero figlio di Maria non sarà mai a corto di argomenti, di mezzi e di espedienti quando, nei casi quasi disperati, dovrà fortificare i deboli e consolare gl’inconsolabili. Il Decreto che aggiunge alle Litanie l’invocazione Maier boni consilii, si appoggia sui titoli di Cœlestium gratiarum thesaurariae di Consolatrix universalis che Maria si merita. «Madre del buon consiglio», essa dà ai suoi veri devoti soltanto, come a Cana, il segreto per ottenere il Vino della forza e della gioia, per distribuirlo agli altri. Ma soprattutto quando alle anime bisogna parlare dell’amore di Dio, la «Rapitrice dei cuori», Raptrix cordium, secondo l’espressione di san Bernardo, la Sposa dell’Amore sostanziale mette sulle labbra dei suoi intimi parole di fuoco che accendono l’amore di Gesù e con esso fanno germogliare tutte le virtù. – Noi come apostoli dobbiamo amare appassionatamente Colei che Pio IX chiama Virgo Sacerdos e la cui dignità sorpassa del tutto quella dei Sacerdoti e dei Pontefici. E questo amore ci dà il diritto di non considerare mai come perduta un’opera se l’abbiamo incominciata con Maria e se vogliamo continuarla con Lei. Maria infatti è la base e la corona di tutto ciò che interessa il regno di Dio per mezzo di Gesù Cristo. Ma non dobbiamo poi credere che lavoriamo con Lei, se ci limitiamo a innalzarle altari o a far cantare lodi in suo onore: quella che Ella vuole da noi è una divozione la quale ci permetta di affermare con sincerità, che noi viviamo abitualmente uniti con Lei, che ricorriamo ai suoi consigli, che i nostri affetti passano per il suo Cuore e che le nostre domande sono molte volte fatte per mezzo di Lei. Ma quello che Maria più di tutto si aspetta dalla nostra divozione, è l’imitazione di tutte le virtù che ammiriamo in Lei, e l’abbandono incondizionato, nelle sue mani, affinché ci rivesta di Gesù Cristo. A questa condizione del Ricorso abituale a Maria, noi imiteremo quel generale del Popolo di Dio, il quale, prima di marciare contro il nemico, diceva a Debora: «Se tu vieni con me, andrò; se non vieni, non andrò», e faremo davvero tutte le nostre opere con Lei. Non solo essa entrerà nelle decisioni più importanti, ma anche in tutti i casi imprevisti e persino nei particolari dell’esecuzione. – Uniti a Colei il cui titolo di Nostra Signora del Sacro Cuore riassume per noi tutti i titoli, non correremo mai il pericolo di corrompere le nostre opere lasciando che esse si oppongano alla nostra vita interiore, diventino un pericolo per l’anima nostra e possano servire più alla nostra gloria che alla gloria di Dio. Noi anzi arriveremo appunto per mezzo dell’azione alla vita interiore, e così all’unione sempre più intima con Colei che ci deve assicurare il possesso di Gesù suo Figlio, per tutta l’eternità.

EPILOGO Presso il trono di Maria Immacolata depongo questo umile lavoro.  L’ideale perfetto dell’apostolato mi piace meditarlo nel Cuore della SS. Vergine, quale ce lo mostra un’incisione bizantina del VI secolo. Maria porta nel suo seno il Verbo incarnato, circondato da un cerchio di luce. Come l’Eterno Padre, essa conserra sempre in se stessa il Verbo che diede al mondo. Secondo l’espressione di Rohault de Fleury, «il Salvatore risplende in mezzo del seno di Lei come un’Eucaristia i cui veli siano squarciati»; Gesù vive in Lei; egli è il suo cuore, il suo respiro, il suo centro e la sua vita: vera immagine della vita interiore. Ma il divino Adolescente esercita l’apostolato: il suo atteggiamento, il rotolo del suo Vangelo che tiene nella sinistra, il gesto della mano destra, il suo sguardo, tutto indica che Egli sta insegnando. La Vergine si unisce alla sua parola; l’espressione del suo viso sembra dire che anch’essa vuole parlare; i suoi occhi così aperti sembrano andare cercando anime alle quali possa comunicare suo Figlio: bella immagine della vita attiva della predicazione e dell’insegnamento. Le sue mani distese come quelle delle Oranti delle catacombe, o del sacerdote che offre l’Ostia santa, ricordano che con la preghiera prima di tutto e con l’unione al sacrificio di Gesù, la nostra vita interiore sarà intensa e il nostro apostolato fecondo. Essa vive di Gesù, per mezzo di Gesù, della sua vita, del suo amore, dell’unione al suo sacrificio, e Gesù parla in Lei e per mezzo di Lei. Gesù è la sua vita, e Maria è la portatrice del Verbo, il suo portavoce, l’ostensorio di Gesù. Così l’anima dedicata all’azione per eccellenza, all’apostolato, deve vivere di Dio per poter efficacemente parlare di Lui, e la vita attiva, lo ripeterò ancora una volta, non dev’essere altro che l’effusione della vita interiore.

FINE

L’ANIMA DELL’APOSTOLATO (11)

R. P. CHAUTARD D. G. B .

L’ANIMA DELL’APOSTOLATO (11)

TRADUZIONE del Sac. GIULIO ALBERA, S. D. B. 8a EDIZIONE

SOCIETÀ EDITRICE INTERNAZIONALE TORINO MILANO GENOVA PADOVA PARMA ROMA NAPOLI BARI CATANIA PALERMO

VISTO: Nulla osta alla stampa.

Torino: 22 giugno 1922.

Can. CARLO FRANCO – Rev. Arciv.

VISTO: Imprimatur.

C. FRANCESCO DUVINA – Provic. gen.

PARTE QUINTA

Alcuni principi ed avvisi per la vita interiore

3.

La vita liturgica, sorgente di vita interiore e perciò di apostolato

RISOLUZIONE DI VITA LITURGICA:

Con la mia Messa, con il mio Breviario e con le mie funzioni liturgiche, come MEMBRO O AMBASCIATORE della Chiesa, voglio  unirmi sempre più alla sua vita, e così rivestirmi di più di Gesù e di Gesù crocifisso, soprattutto se sono suo MINISTRO.

a) Che cosa è la liturgia?

O Gesù, siete Voi quello che io adoro come centro della liturgia; siete Voi che date l’unità a questa liturgia che posso definire il culto pubblico o ufficiale della Chiesa, oppure L’INSIEME DEI MEZZI CHE LÀ CHIESA RACCHIUDE SOPRATTUTTO NEL  MESSALE, NEL SITUALE, NEL BREVIARIO, E DEI QUALI SI SERVE PER ESPRIMERE LA SUA RELIGIONE VERSO L’ADORABILE TRINITÀ, COME PURE PER ISTRUIRE E PER SANTIFICARE LE ANIME.  Nel seno stesso dell’adorabile Trinità, tu, o anima mia, devi contemplare Veterna Liturgia con cui le tre Persone si cantano a vicenda la vita divina e la santità infinita in quell’inno ineffabile della generazione del Verbo e della processione dello Spirito Santo. Sicut erat in principio…  Dio volle essere lodato anche esternamente: creò gli Angeli, e il cielo echeggia delle loro acclamazioni: Sanctus, Sanctus, Sanctus; creò il mondo visibile, e questo fa risplendere la sua potenza: Cæli enarrant gloriam Dei.  Comparve Adamo e cominciò in nome della creazione l’inno di lode, eco dell’eterna Liturgia; Abele, Noè, Melchisedech, Abramo, Mosè,il Popolo di Dio, Davide e tutti i Santi dell’antica Legge lo cantarono a gara. La Pasqua israelitica, i sacrifici e gli olocausti, il culto solenne a Jehovah nel suo tempio, gli davano una forma ufficiale, ma era un inno imperfetto, soprattutto per conseguenza della caduta: Non est speciosa laus in ore peccatoris (La lode non è bella in bocca al peccatore – Eccli. XV, 9).  Tutto, nel culto mosaico, preparava la liturgia cristiana di cui Voi, o Gesù, siete il centro e la vita.  Voi, Voi solo siete l’inno perfetto, perché siete la vera gloria del Padre; nessuno può glorificare degnamente il Padre se non per mezzo di Voi: Per lpsum, et cum Ipso, et in Ipso est tibi Deo Patri… omnis honor et gloria (Per mezzo di Lui, con Lui e in Lui a Te, o Dio Padre… viene tutto l’onore e la gloria – Canone della Messa).

2). Voi siete il TRATTO DI UNIONE tra la liturgia della terra e la liturgia del cielo alla quale associate più direttamente i vostri eletti. La vostra incarnazione è venuta a unire in modo sostanziale e vivente l’umanità e la creazione intera alla liturgia divina. È un Dio che loda Dio: lode piena e perfetta che tocca il suo apogeo nel Sacrificio del Calvario. – Prima di lasciare questo mondo, o Salvatore divino, avete istituito il Sacrificio della nuova Legge per rinnovare la vostra immolazione: questa è la sorgente da cui tutto deriva. Avete inoltre istituito i Sacramenti per comunicare ai fedeli i frutti del vostro sacrificio.  Ma Voi avete lasciato alla vostra Chiesa la cura di circondare questo sacrificio e questi sacramenti con simboli, cerimonie, esortazioni, preghiere ecc., affinché essa onori di più il mistero della Redenzione, lo faccia meglio comprendere ai fedeli e li aiuti a trarne migliore profitto ed ecciti nelle loro anime un rispetto misto di timore. A questa stessa Chiesa avete pure dato la missione di continuare fino alla fine dei secoli, con l’Ufficio divino, con la preparazione e il ringraziamento della Messa, la preghiera e la lode che il vostro Cuore non cessò mai di far salire al Padre durante la vostra vita mortale, e che gli offre ancora incessantemente dal santo Tabernacolo e negli splendori della gloria celeste. La Chiesa, con l’amore di sposa che nutre per voi, e con la sollecitudine di madre che ha per noi, ha soddisfatto al suo doppio compito, e cosi si sono formate le meravigliose raccolte che racchiudono tutti i tesori della liturgia. La Chiesa unisce la sua lode a quella che gli Angeli e i suoi figli eletti rendono a Dio in Cielo e in tal modo prelude a quella che sarà la sua occupazione eterna. Questa lode e questa preghiera della Chiesa, unendosi a quella dell’Uomo-Dio, si divinizza, e la liturgia della terra si fonde con quella delle Gerarchie celesti nel Cuore di Gesù, per far eco a quella lode eterna che scaturisce dal focolare di amore infinito, che è la santissima Trinità.

b) Che cosa è la vita liturgica?

Signore, Voi da me esigete strettamente soltanto la fedele osservanza dei riti e la pronuncia esatta delle parole, con l’intenzione generale di lodare Dio o di fare ciò che vuole la Chiesa. Ma non vi è dubbio che voi desiderate che la mia buona volontà vi offra di più. Voi volete che la mia mente e il mio cuore approfittino delle ricchezze nascoste nella liturgia, per unirsi più intimamente alla vostra Chiesa e per arrivare a unirsi più strettamente a Voi. Mosso dall’esempio dei vostri servi più fedeli, io voglio, o buon Maestro, sedermi con premura al sontuoso banchetto a cui la Chiesa m’invita, certo di trovare nell’ufficio divino, nelle formule, nelle cerimonie, nelle collette, nelle epistole, nei vangeli ecc., che accompagnano l’augusto sacrificio della Messa e l’amministrazione dei Sacramenti, un nutrimento sano e abbondante per lo sviluppo della mia vita interiore.  Alcune riflessioni sull’idea principale che unisce gli elementi liturgici e sui frutti a cui si riconoscerà il mio progresso, mi preserveranno dall’illusione. Ciascuno dei sacri riti si può paragonare a una pietra preziosa, ma uno a qual punto si innalzerà il valore e lo splendore di quelle che si riferiscono alla Messa e all’Ufficio, se so incastonarle in quel meraviglioso complesso di cose che è il Ciclo liturgico (La Chiesa ispirata da Dio e istruita dai santi Apostoli, dispose l’anno in maniera che vi si trova, con la vita, con i misteri, con la predicazione e la dottrina di Gesù Cristo, il vero frutto di tutte queste cose nelle ammirabili virtù dei suoi servi e negli esempi dei suoi Santi, e finalmente un misterioso riassunto dell’Antico e del Nuovo Testamento e di tutta la storia ecclesiastica. Cosi tutte le stagioni sono fruttifere per 1 cristiani, tutto vi è pieno di Gesù Cristo. In questa varietà che si riduce tutta all’imita tanto raccomandata da Gesù Cristo, l’anima innocente e pia trova, con i piaceri celesti, un sodo nutrimento o un continuo  rinnovamento del suo fervore (BOSSUET, Discorso funebre di Maria Teresa d’Austria).  – L’anima mia, mantenuta per un intero periodo sotto l’influenza di un Mistero, nutrita di ciò che la Scrittura e la Tradizione hanno di più istruttivo e di più affettuoso a quel riguardo, rivolta costantemente verso lo stesso ordine d’idee, deve necessariamente subirel’influenza di tale attenzione e trovare, nei sentimenti che la Chiesa le suggerisce, un alimento sostanzioso e saporito per approfittare della grazia speciale che Dio riserva a ciascun periodo, a ciascuna festa di questo Ciclo.  Il Mistero mi penetra non solo come una verità astratta che si assimila con la meditazione, ma prende tutto il mio essere muovendo anche le mie facoltà sensibili, per eccitare il mio cuore e per decidere la mia volontà. Non è più soltanto un ricordo del passato, un semplice anniversario, ma è un fatto che ha il carattere di un avvenimento presente di cui la Chiesa fa un’applicazione attuale e al quale essa partecipa realmente. – Nel tempo del Natale, per esempio, festeggiando presso l’Altare la venuta di Gesù Bambino, l’anima mia può ripetere: Hodie Christus, natus est, hodie Salvator appartiti, hodie in terra canunt Angeli… (Oggi è nato il Cristo, oggi è apparso il Salvatore, oggi gli Angeli cantano sulla terra – Uffizio del Natale).  – In ogni periodo del Cielo liturgico, il Messale e il Breviario mi scoprono un nuovo raggio dell’amore di Colui che per noi è ad un tempo Re, Dottore, Medico, Consolatore, Salvatore e Amico. All’Altare, come a Betlemme, a Nazaret, sulle rive del lago di Tiberiade, Gesù si rivela Luce, Amabilità, Tenerezza, Misericordia. Egli soprattutto si rivela I’AMORE PERSONIFICATO, perché è il DOLORE PERSONIFICATO, l’Agonizzante del Getsemani e il Riparatore del Calvario.  Così la liturgia dà alla vita eucaristica il suo pieno sviluppo, e la vostra Incarnazione che ha avvicinato Dio a noi, o Gesù, mostrandolo visibilmente in Voi, continua a renderci lo stesso servizio in ciascuno dei misteri che festeggiamo nel ciclo liturgico.  In questo modo, o Gesù, io partecipo per mezzo della liturgia alla vita della Chiesa e alla vostra; con lei assisto ogni anno a tutti i misteri della vostra vita nascosta, pubblica, dolorosa e gloriosa, e con essa ne raccolgo i frutti. Inoltre le feste periodiche di Maria e dei Santi che meglio imitarono la vostra vita interiore, mettendomi i loro esempi sotto gli occhi, mi portano un aumento di luce e di forza per riprodurre in me le vostre virtù e per inculcare nelle anime dei fedeli lo spirito del vostro Vangelo. – Come potrei io nel mio apostolato adempiere il voto di san Pio X, come potrebbero i fedeli per mezzo mio entrare nella partecipazione attiva dei santi Misteri e della Preghiera pubblica e solenne della Chiesa, il che, come dice lo stesso Pontefice, è la SORGENTE PRIMA E INDISPENSABILE del verospirito cristiano (Motu proprio di san Pio X, del novembre 1903), se io stesso passo accanto ai tesori della liturgia senza neppure sospettarne le meraviglie?

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Per dare maggior unità alla mia vita spirituale e per unirmi di più alla vita della Chiesa, cercherò di connettere alla liturgia, per quanto è possibile, gli altri miei esercizi di pietà. Per esempio sceglierò preferibilmente un argomento di meditazione in relazione con il periodo o con la festa del Ciclo liturgico; nelle mie visite al SS. Sacramento mi tratterrò più volentieri, secondo il tempo dell’anno, con Gesù Bambino, con Gesù sofferente, con Gesù glorioso, con Gesù vivente nella sua Chiesa ecc. Le letture private sul mistero o sulla vita del Santo di cui si venera la memoria, daranno anch’esse il loro concorso a questo disegno di spiritualità liturgica.

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O Maestro adorabile, preservatemi dalle CONTRAFFAZIONI DELLA VITA LITURGICA: esse sono nocive alla vita interiore specialmente perché indeboliscono la lotta spirituale. Preservatemi da una pietà la quale faccia consistere questa vita liturgica soltanto in piaceri poetici o in uno studio attraente di archeologia sacra, oppure che inclini verso il quietismo e ai suoi prodotti, cioè all’indebolimento di tutto ciò che è il movente della vita interiore: timore, speranza, desiderio della salvezza e della perfezione, lotta contro i difetti e fatica per l’acquisto della virtù. – Datemi la convinzione che in questo secolo di occupazioni assorbenti e pericolose, la vita liturgica, per quanto perfetta, non può dispensare dalla meditazione del mattino.  Allontanate da me il sentimentalismo e la pietà malintesa che fanno consistere la vita liturgica nelle impressioni e nelle commozioni, e lasciano la volontà schiava della fantasia e della sensibilità. Certamente Voi non esigete che io rimanga insensibile a tutto ciò che la liturgia contiene di bello e di poetico: tutt’altro; con i suoi canti e con le sue cerimonie, la vostra Chiesa si rivolge appunto alle facoltà sensitive con lo scopo di toccare più a fondo l’anima dei suoi figli, di presentare meglio alla loro volontà i veri beni e di innalzarli più sicuramente, più facilmente e più completamente verso Dio.  Posso dunque gustare tutta l’inalterabile e salutare freschezza che si trova nei Dogmi e che la liturgia mette in rilievo, posso lasciarmi commuovere dinanzi al maestoso spettacolo di una Messa solenne, gustare le preghiere dell’assoluzione o i riti commoventi del Battesimo, dell’Estrema unzione, delle sepolture ecc.  Ma non devo dimenticare mai che tutto ciò che mi offre la liturgia è soltanto un mezzo per giungere all’unico fine della vita interiore che è di far morire l’uomo vecchio affinché voi, o Gesù, possiate vivere e regnare al posto suo.  Avrò dunque la vera vita liturgica, quando penetrato di spirito liturgico MI GIOVERÒ DELLA MESSA, DELLE PREGHIERE E DEÌ RITI UFFICIALI PER AUMENTARE LA MIA UNIONE CON LA CHIESA, PER PROGREDIRE COSÌ NELLA PARTECIPAZIONE DELLA VITA INTERIORE DI GESÙ CRISTO E PERCIÒ DELLE SUE VIRTÙ, E PER MEGLIO RISPECCHIARLE AGLI OCCHI DEI FEDELI.

c) Spirito liturgico

Questa vita liturgica, o Gesù suppone una speciale attrattiva per tutto ciò che si riferisce al culto. A certuni Voi avete dato gratuitamente tale attrattiva; altri invece sono meno privilegiati, ma se ve la chiedono e se si valgono dello studio e della riflessione, la otterranno.  La meditazione che farò più tardi sui vantaggi della vita liturgica, accrescerà la mia sete di acquistarla a qualunque costo. Per intanto fermo la mia mente sui caratteri che distinguono questa vita e che le danno così un posto importante nella spiritualità.

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Unirsi al vostro Sacrificio, o Gesù, anche da lontano, insieme con la Chiesa, per mezzo del pensiero e dell’intenzione; fondere la propria preghiera con la Preghiera ufficiale e continua della vostra Chiesa, è già cosa ben grande! Il cuore del semplice battezzato vola così più sicuramente verso Dio, portato dalle vostre lodi, dalle vostre adorazioni, dai vostri ringraziamenti, dalle vostre riparazioni e dalle vostre domande (Unirsi alla preghiera altrui può condurre a un alto grado di orazione, come lo prova quel contadino che si era offerto a portare i bagagli a sant’Ignazio e al suoi compagni. Vedendo egli che i Padri, appena giunti all’albergo, cercavano un posto tranquillo per raccogliersi dinanzi a Dio, faceva altrettanto e s’inginocchiava come loro. Interrogato un giorno che cosa facesse quando si ritirava a quel modo, rispose: « Non faccio altro che dire, Signore: quelli sono santi, e io sono il loro somaro; quello che fanno loro lo voglio fere anch’io; ecco che cosa offro allora al Signore » (RODRIGUEZ, Eserc, di perfez. ecc., parte I, tr. 5, cap. XIX). Se quell’uomo con il solo mezzo di tale esercizio continuo si avanzò molto nell’orazione e nella spiritualità, tanto più anche l’illetterato, unendosi alla vita liturgica della Chiesa, ne può trarre gran profitto. – Un frate converso di Chiaravalle custodiva le pecore durante la notte dell’Assunta e si uni come meglio potè, soprattutto con la recita dell’ave Maria, al Mattutino che i monaci cantavano in coro e i cui echi lontani arrivavano fino a lui. Il Signore rivelò a san Bernardo, che quella devozione così umile e semplice era tanto piaciuta a Maria Santissima, che la preteriva a quella dei monaci, pure tanto fervorosi (Exordium magnimi Ord. Cisterc., Distinc, 4* c. XIII). – Prendere una parte attiva, sono le precise parole di san Pio X, e cooperare ai santi Misteri e alla Preghiera pubblica e solenne con un’assistenza pia e illuminata, con l’avidità di profittare delle feste e delle cerimonie, o meglio ancora servendo alla Messa, rispondendo alle sue preghiere, o concorrendo alla recita o al canto degli uffici, non è forse il mezzo di entrare in comunicazione più diretta col pensiero della vostra Chiesa e di attingere alla sua sorgente prima e indispensabile il vero spirito cristiano? (Mota proprio di S. Pio X, del 22 novembre 1903). – Ma, o santa Chiesa, il presentarsi ogni giorno, in virtù dell’ordinazione o della professione religiosa, insieme con gli Angeli e con gli Eletti, come vostro Ambasciatore titolato, dinanzi al trono di Dio per esprimere la Preghiera ufficiale, che nobile missione! Ma avrò una dignità incomparabilmente più sublime ancora e superiore a qualunque espressione, quando, Ministro consacrato, io divento un altro Voi «tesso, o mio divin Redentore, con l’amministrazione dei Sacramenti e soprattutto con la celebrazione del santo Sacrificio!

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PRINCIPIO: Essendo MEMBRO DELLA CHIESA, devo essere convinto che quando, COME CRISTIANO (Il Sacerdote, e anche il Pontefice, come il semplice fedele, riveste soltanto il carattere di Cristiano quando, senza esercitare nessuna funzione, assiste a una cerimonia e ne sa trarre profitto), prendo parte a una cerimonia liturgica, sono unito a tutta la Chiesa, non soltanto per la Comunione dei Santi, ma in virtù di cooperazione reale e attiva a un atto di religione che la Chiesa, Corpo mistico di Gesù Cristo, offre a Dio come società. E, per mezzo di questa unione, la Chiesa maternamente facilita la formazione dell’anima mia alle virtù cristiane (Comprenderemo meglio l’efficacia della liturgia per farci vivere della grazia e per facilitarci la vita interiore, se ricorderemo che ogni preghiera ufficiale, ogni cerimonia istituita dalla Chiesa, possiede una potenza d’impetrazione di per sé efficacissima. Qui la potenza che si adopera per ottenere ima data grazia non è soltanto un atto individuale, la preghiera isolata di un’anima anche ottimamente disposta, ma è anche l’atto della Chiesa che supplica con noi, è la voce della Sposa diletta, che rallegra sempre il cuore di Dio e che sempre viene in qualche modo esaudita.  Per riassumere questo in due parole, diremo che la potenza d’impetrazione della preghiera liturgica è composta di due elementi: l’Opus operanti dell’anima che si vale del gran Sacramentale della liturgia, e l’Opus operanti Ecclesiæ. I due atti, quello dell’anima e quello della Chiesa, sono come due forze che si combinano e che vanno con uno stesso slancio verso Dio). – La vostra Chiesa, o Gesù, forma una società perfetta i cui membri strettamente uniti tra loro sono destinati a comporre una Società ancora più perfetta e più santa, la società degli Eletti. Come Cristiano, io sono membro di questo Corpo di cui Voi siete il Capo e la Vita, e così Voi mi considerate, o divin Salvatore; io vi procuro una gioia speciale quando presentandomi a Voi, vi considero come mio Capo e considero me stesso come una pecorella di quell’Ovile di cui Voi siete l’unico Pastore e che racchiude nella sua unità tutti i miei fratelli della Chiesa militante, purgante e trionfante. – Questa dottrina che dilata l’anima mia e allarga la mia spiritualità, mi è insegnata dal vostro Apostolo il quale dice: Come in un solo corpo noi abbiamo diverse membra, così noi tutti siamo un solo corpo nel Cristo, membra gli uni degli altri (Sicut enim in uno corpore multa membra habemus… ita multi unum sumus un Christo, singuli autem alter alterius membra (Rom. XII, 4, 5). Come il corpo è uno, dice altrove, pure avendo più membra, e come le membra, pure essendo parecchie, formano un solo corpo, lo stesso è del Cristo (Sicut enim corpus unum est, et membra habet multa, omnia autem membra corporls cum sint multa unum tamen corpus sunt: Ita et Christus (1 Cor. XII. 3). – Tale è l’unità della vostra Chiesa indivisibile nel suo tutto e nelle sue parti, tutta intera nel tutto e tutta intera in ciascuna parte (Unusquisque fidelium quasi quædam minor vi de tur esse Ecclesia, dum salvo unitatis arcanæ mysterio, etiam cuncta Redemptlonis humanae unus homo suscipit Sacramenta (S. PIER DAMIANI, Opusc. XI, c. X), unita nello Spirito Santo, unita a Voi, o Gesù, e per tale unione introdotta nell’unica ed eterna Società del Padre, del Figliuolo e dello Spirito Santo (S. Pier Damiani, citato da D. GRÉA: La sainte Liturgie, p. 51). La Chiesa è l’assemblea dei fedeli che sotto il governo della stessa autorità sono uniti con la stessa fede e con la stessa carità e tendono allo stesso fine, cioè all’INCORPORAZIONE CON GESÙ CRISTO, con gli stessi mezzi i quali si riassumono nella grazia i cui canali sono la preghiera e i sacramenti. – La gran preghiera, il canale preferito della grazia, è la preghiera liturgica, la preghiera della Chiesa stessa, più potente che la preghiera dei privati e anche delle pie associazioni, per quanto potenti e raccomandate dal Vangelo siano la preghiera solitaria e la preghiera associata (S. IGNAZIO. Epist. ad Eph., n. 5. Sant’Alfonso Liquori preferiva un’orazione del Breviario a cento preghiere private). Incorporato alla vera Chiesa, figlio di Dio e membro di Gesù Cristo per il Battesimo, io acquisto il diritto di partecipare agli altri Sacramenti, ai divini Uffici, ai frutti della Messa, alle indulgenze e alle preghiere della Chiesa. Io posso godere di tutte le grazie e di tutti i meriti dei miei fratelli. – Dal Battesimo io sono stato segnato con un carattere indelebile il quale mi delega al culto di Dio secondo il rito della religione cristiana (Charactere sacramentali insignitur homo ut ad cultum Dei deputatus secundum ritum christianae religìonis (Card. BILLOT, De Eccl. Sacram., t. I, tesi 2 ). Per la consacrazione battesimale, io divento membro del regno di Dio e faccio parte della stirpe eletta, del sacerdozio regale, del popolo santo (Vos autem genus electum, regale sacerdotium, gens sancta, populus acqulsitionis (1 PIET. Il, 9). Perciò come Cristiano io partecipo al sacro ministero, benché alla lontana e indirettamente, con le mie preghiere, con la mia parte di offerta, con il mio concorso al sacrificio della Messa e alle funzioni liturgiche, moltiplicando, con la pratica delle virtù, come raccomanda san Pietro, i sacrifici spirituali, facendo ogni cosa per piacere a Dio e per unirci a lui, facendo del mio corpo un’ostia viva, santa e grata a Dio (Sacerdotium sanctum, offerre spirituales hostias, acceptabiles Deo per Jesum Christum (I PIET. II, 5). — In questo senso sant’Ambrogio dice: Omnes filli Ecclesiæ sacerdotes sunt; ungimur enim in sacerdotium sanctum, offerentes nosmetipsos Deo hostias spirituales – In Lucam, lib. IV, n. 33) . — Sicut omnes Christiani dicimus, propter myaticum Chrisma, sic omnes sacerdotes, quoniam membra sunt unius Sacerdotis (S. AGOSTINO, De Civ. Dei, lib. XX, c. X).Questo appunto mi fate comprendere, o santa Chiesa, quando per bocca del sacerdote dite ai fedeli: Orate, fratres, ut meum ac vestrum sacrificium æceptabiìe fiat… Il sacerdote dice ancora nel Canone: Ricordatevi, Signore, di quelli che sono qui presenti… per i quali vi offriamo o i quali vi offrono questo sacrificio di lode. E poco dopo: Ricevete, o Signore, benignamente, ve ne preghiamo, questa offerta che vi facciamo, io vostro servo e tutta la vostra famiglia (Memento, Domine… et omnium eircumstantium… prò quibus tibi offerimus vel qui tibi offerant hoc sacrificium laudis. — Hanc igitur oblationem servitutis nostrae sed et cunctæ famìliæ tuæ, quæsumus, Domine, ut placatus accipias (Canone della Messa). — « Noi offriamo tutti insieme con il sacerdote, acconsentiamo a tutto ciò che egli fa e a quello che dice ». E che cosa dice:« Pregate, fratelli, perché il mio e vostro sacrificio sia accetto al Signore ». E che cosa rispondete voi? « Il Signore lo riceva dalle vostre mani! Che cosa? « Il mio e vostro sacrificio ». E che cosa dice ancora il sacerdote? « Ricordatevi dei vostri servi per i quali vi offriamo ». È tutto qui? — Egli aggiunge: « Oppure che vi offrono questo sacrificio ». « Offriamo dunque con lui; offriamo Gesù Cristo; offriamo noi medesimi con tutta la sua Chiesa cattolica sparsa su tutta la terra ».). – La santa Liturgia difatti è talmente l’opera comune di tutta la Chiesa, cioè del sacerdote e del popolo, che il mistero di questa unità vi è sempre realmente presente per la forza indistruttibile della Comunione dei Santi proposta alla nostra fede nel Simbolo degli Apostoli. L’ufficio divino e la santa Messa che è la parte principale della Liturgia, non si possono celebrare senza che vi si associ e vi sia misteriosamente presente tutta la Chiesa  (S. Pier Damiani citato da D. GRÉA: La sainte Liturgie» p. 5). Perciò nella Liturgia ogni cosa si fa in comune, a nome di tutti e a vantaggio di tutti: tutte le preghiere si dicono in plurale. – Da quello stretto vincolo che unisce tra loro tutti i membri con la stessa fede e con la partecipazione agli stessi sacramenti, nasce nelle anime la carità fraterna, segno distintivo di coloro che vogliono essere gli imitatori di Gesù Cristo e seguirlo: Si conoscerà che siete miei discepoli dall’amore che avrete gli uni per gli altri (Giov. XIII, 35). Questo vincolo tra i membri della Chiesa si stringe tanto più, quanto più questi partecipano, per la Comunione dei Santi, alla grazia e alla carità del Capo il quale comunica loro la vita soprannaturale e divina.  Queste verità sono il fondamento della vita liturgica e questa alla sua volta mi ci porta continuamente. O santa Chiesa di Dio, quale amore per voi accende nel mio cuore questo pensiero: io sono vostro membro, sono membro di Gesù Cristo! Che amore m’ispira per tutti i cristiani, poiché tutti sono miei fratelli e tutti insieme formiamo una sola cosa in Gesù Cristo! Quale amore per il mio divin Capo Gesù Cristo! Nessuna delle cose che vi riguardano mi potrebbe lasciare indifferente; mi rattristo se siete perseguitata, mi rallegro al racconto delle vostre conquiste e dei vostri trionfi. Che gioia al pensare che, santificando me stesso, contribuisco ad accrescere la vostra bellezza e lavoro alla santificazione di tutti i figli della Chiesa miei fratelli e anche alla salvezza della gran famiglia umana! O santa Chiesa di Dio, io voglio, per quanto dipende da me, che voi siate più bella e più santa e più numerosa, poiché lo splendore del vostro complesso risulta dalla perfezione di ciascuno dei vostri figli fusi insieme in quella solidarietà intima che fu l’idea fondamentale della preghiera di Gesù dopo l’ultima Cena e il vero testamento del suo Cuore: Ut sint unum!… Ut sint eonsummati in unum! (Giov. XVII, 21, 23). Quale stima sento in me per la vostra Preghiera liturgica, o santa Chiesa Madre mia! Siccome io sono uno dei vostri membri, quella è pure la mia preghiera, specialmente quando vi assisto o vi coopero; tutto ciò che voi avete è mio, e tutto ciò che è mio appartiene a voi. – Una goccia d’acqua non è nulla, ma unita al mare partecipa della sua potenza ed immensità; cosi è della mia preghiera unita alla vostra. Agli occhi di Dio, per il quale tutto è presente e il cui sguardo abbraccia insieme il passato, il presente e l’avvenire, essa fa una cosa sola con quel concerto universale di lodi che voi fate salire da quando siete incominciata e che continuerete a far salire al trono dell’Eterno fino alla fine dei secoli. Voi volete, o Gesù, che la mia pietà sia, sotto certi riguardi, utilitaria, bisognosa e interessata; ma con l’ordine delle domande del Pater, mi avete insegnato come desiderate che la mia pietà sia PRIMA DI TUTTO consacrata a lodare Dio (Creatus est homo ad hunc flnem, ut Dominimi Deura suum laudet, ac revereatur elque serviens tandem salvus fiat (S. IGNAZIO, Eserc. Spirit.). — Il nostro fine è il servizio di Nostro Signore e soltanto per servirlo meglio, dobbiamo correggerci dei nostri difetti e acquistare le virtù; la santità non è che un mezzo di servizio migliore – Ven. P. Eymard)e che ben lungi dall’essere egoista, gretta e isolata, mi faccia abbracciare nelle mie suppliche tutti i bisogni dei miei fratelli. Facilitatemi, con la vita liturgica, quella pietà nobile e generosa che, senza danno per il mio combattimento spirituale, dà a Dio, e largamente, la lode; quella pietà caritatevole, fraterna e cattolica che abbraccia tutte le anime e s’interessa di tutte le sollecitudini della Chiesa. O santa Chiesa, è vostra missione il generare continuamente nuovi figli al vostro divino Sposo e di allevarli in mensuram ætatis plenitudinis Christi (Efes. IV, 13); voi dunque avete ricevuto in abbondanza tutti i mezzi necessari a tale fine. L’importanza che voi date alla liturgia, dimostra la sua efficacia per iniziarmi alla lode divina e per sviluppare il mio progresso spirituale. Durante la sua vita pubblica, Gesù parlava come chi abbia autorità (Sicut potestatem habens (MATT. VII, 20): così pure parlate anche voi, o santa Chiesa Madre mia. Depositaria del tesoro della verità, voi avete la coscienza della vostra missione; dispensatrice del Sangue divino, voi conoscete tutti i mezzi di santificazione che il divin Salvatore vi ha affidati. Voi non vi rivolgete già alla mia ragione per dirmi: Esamina e studia; fate invece appello alla mia fede dicendomi: Abbi fiducia in me: non sono forse tua Madre? E che cosa desidero di più che il vederti crescere ogni giorno nella somiglianza con il tuo divino Modello? Ora chi conosce Gesù Cristo meglio di me che sono la sua Sposa? Dove dunque troverai meglio lo spirito del tuo Redentore, che nella liturgia la quale è l’espressione autentica dei miei pensieri e dei miei sentimenti? Sì, o Madre santa e amata, io mi lascerò guidare e formare da voi, con la semplicità e la fiducia di un fanciullo, dicendo a me stesso: Io prego con mia Madre; sono le parole sue quelle che mi mette sulle labbra per penetrarmi del suo spirito e per trasmettere nel mio cuore i suoi sentimenti. – Con voi dunque, o santa Chiesa, con voi mi rallegrerò: gaudeamus, exsultemus; con voi gemerò: ploremus; con voi loderò: confitemini Domino; con voi implorerò misericordia: miserere; con voi spererò: speravi, sperato; con voi amerò: diligam. Con ardore mi unirò alle domande che fate nelle vostre splendide orazioni, affinchè le salutari commozioni che fate produrre dalle parole e dai riti sacri penetrino più profondamente nel mio cuore, lo rendano più docile alle ispirazioni dello Spirito Santo e possano fondere la mia volontà con quella di Dio.

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2° PRINCIPIO: Quando in una funzione liturgica io agisco come Rappresentante della Chiesa (Sono cosi delegati della Chiesa i Chierici, i Religiosi obbligati al Breviario, anche quando lo recitano privatamente; cosi pure, nelle loro chiese canonicamente erette, coloro che sono tenuti all’Ufficio del coro e alle Messe capitolari o conventuali, e anche coloro che, senza aver ricevuto gli Ordini, ne compiono le funzioni per tolleranza della Chiesa, come per esempio quelli che servono alla Messa),Dio desidera che gli esprima la mia virtù della religione con avere coscienza del MANDATO UFFICIALE di cui sono onorato e che così, sempre più unito alla vita della Chiesa, progredisca in tutte le virtù. Io dunque, o Gesù, quale rappresentante della vostra Chiesa affinché a nome suo e di tutti i suoi figli offra continuamente a Dio, per mezzo di Voi, il sacrificio della lode e della supplica, sono, secondo la bella espressione di san Bernardino da Siena, persona publica totius Ecclesiæ (Sermo XX).  In ogni funzione liturgica deve dunque avvenire nella mia persona una specie di sdoppiamento simile a quello che avviene in un ambasciatore che nella sua vita privata è semplicemente cittadino privato, ma quando, rivestito delle insegne della sua carica, parla o agisce in nome del suo Principe, diventa nello stesso istante il rappresentante e, sotto un certo aspetto, la persona stessa del suo Sovrano. Così è di me quando compio le mie «funzioni» liturgiche: al mio essere individuale si aggiunge una dignità che mi riveste di un mandato pubblico, e allora posso e devo considerarmi come il delegato ufficiale della Chiesa tutta quanta. Se prego, se recito il mio ufficio anche privatamente, non agisco più soltanto a nome mio; le formule che adopero non sono scelte da me, ma è la Chiesa che le mette sulle mie labbra (Sacerdos personam induit Ecclesiæ, verba illius gerit, vocem assumit (GULLEL. PARIS, De Sacram. Ordinis). È dunque la Chiesa che prega per bocca mia, che parla e agisce per mezzo del suo ambasciatore. Allora sono davvero, secondo la bella espressione di san Pier Damiani, LA CHIESA TUTTA QUANTA (Per unitatem Fidei, Sacerdos Ecclesia tota est et ejus vices gerit (S. PIER DAMIANI, Opusc. X, cap. X). — Quid mirum si Sacerdos quilibet… vicem Ecclesiæ solus expleat… eum per unitati intimæ Sacramentum, tota spiritualiter sìt Ecclesia (S. PIER DAMIANI, l. c.). Per mezzo mio la Chiesa si unisce alla divina religione di Gesù Cristo e rivolge alla SS. Trinità l’adorazione, il ringraziamento, la riparazione e la supplica.  Perciò, se ho un po’ di coscienza della mia dignità, come potrò, per esempio, incominciare il mio Breviario, senza che avvenga nel mio essere un’azione misteriosa che m’innalzi sopra me stesso, sopra il corso naturale dei miei pensieri, per gettarmi interamente nella convinzione che io sono come un mediatore tra il cielo e la terra? (Medius stat Sacerdos inter Deum et humanam naturam; illinc venientia beneficia ad nos deferens et nostras petitiones illuc perferens – S. Giov. CRISOST., Hom. V, n. 1, in illud: Vidi Dominum). Che disgrazia se dimenticassi queste verità! I Santi ne erano penetrati (Perché il sacerdote quando recita il Breviario, anche da solo, dice: Dominus vobiscum? E perché risponde: Et cum spiritu tuo, invece di: Et cum spiritu meo? No, dice san Pier Damiani, il sacerdote non è solo; quando celebra o prega, ha dinanzi a sè tutta la Chiesa misteriosamente presente ed egli la saluta dicendo: Dominus vobiscum; poi, come rappresentante della Chiesa, a nome di lei risponde: Et cum spiritu tuo – Vedi S. PIER DAMIANI, J, Dom. vob., c. 6, 10 ecc.). Qui riproduciamo i suoi pensieri); ne vivevano. Dio aspetta da me che io me ne ricordi quando compio una funzione. La Chiesa con la vita liturgica mi aiuta continuamente a non dimenticare che io sono suo Rappresentante, e Dio esige che a questo titolo corrisponda nella pratica una vita esemplare (Laudate Dominum; sed laudate de vobis, id est ut non sola lingua et vox vestra laudet Deum, sed et conscientia vestra, vita vostra, facta vestra – S. AGOSTINO, Enarrat, in Psalm. In Psalm. CXLVIII, n. 2). — Come gli uomini vogliono da voi la santità quando vi presentate loro come ambasciatori di Dio presso di loro, così Dio la esige quando vi presentate a lui come intercessori degli uomini presso di lui. Un intercessore è un messaggero della miseria umana mandato alla giustizia divina; ora, dice san Tommaso, a un messaggero sono necessarie due condizioni perché sia favorevolmente accolto: la prima è che egli sia un degno rappresentante del popolo che lo manda; la seconda è che egli sia amico del principe a cui è mandato. Un sacerdote che non gode stima per santità, come potrebbe essere degno rappresentante del popolo cristiano, se non è neppure l’espressione completa delle virtù cristiane? E come sarebbe egli amico di Dio, se non è neppure suo servo fedele? — E se è così di un mediatore indifferente, tanto più sarà per un mediatore colpevole, perché chi potrebbe dire allora le anomalie della sua funesta condizione? « Pregate per me, Padre, voi che siete amico di Dio », gli dicono le anime buone; ma qual è l’efficacia di quella mediazione piamente richiesta? Plus placet Deo latratus canum quam oratio talium clericorum (S. AGOSTINO, Serm. 37). P. CAUSETTE, Manrèze du Prètre, 1° Jour,  2 discours). O mio Dio, penetratemi di una stima profonda per questa missione che la Chiesa mi affida; quale stimolo troverei in essa contro la mia viltà nel combattimento spirituale! Ma datemi anche il sentimento della mia grandezza come cristiano e concedetemi verso la vostra Chiesa un’anima di fanciullo, affinché possa profittare largamente dei tesori della vita interiore accumulati nella santa liturgia.

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PRINCIPIO: Come SACERDOTE, quando consacro l’Eucaristia oamministro i Sacramenti, devo ravvivare la mia convinzione che sono MINISTRO DI GESÙ CRISTO, perciò ALTER CHRISTUS; e devo tenere per certo che dipende da me il trovare nell’esercizio delle mie funzioni grazie speciali per acquistare le virtù richieste dal mio Sacerdozio (Quello che diciamo del sacerdote, si applica pure, fatte le debite proporzioni, al diacono e al suddiacono). I vostri fedeli, o Gesù, formano un corpo solo, ma in questo Corpo non tutte le membra hanno le stesse attribuzioni (Omnia autem membra non eumdem actum habent – Rom. XII, 4); divisiones gratiarum sunt (1 Cor. XII, 4).  Avendo voluto lasciare visibilmente il vostro Sacrificio alla Chiesa, Voi le avete affidato un Sacerdozio il cui fine principale è di continuare la vostra immolazione sull’altare, poi di distribuire il vostro Sangue per mezzo dei Sacramenti e di santificare il vostro Corpo mistico infondendogli la vostra Vita divina. Voi, Sommo Sacerdote, avete stabilito da tutta l’eternità di eleggermi e di consacrarmi vostro ministro per esercitare per mezzo mio il vostro Sacerdozio (Ipse est principalis Sacerdos qui, in omnibus et per omnes Sacerdos novi Testamenti, offert. Ideo enim quìa erat Sacerdos in æterum instituit Apostolos Sacerdotes ut per ipsos suum Sacerdotium exsequeretur – DE LUGO, De Euchar., disp. XIX, sect. VI, n. 86); mi avete comunicato. I vostri poteri per compiere con la mia cooperazione (Dei adiutores sumus (I Cor. III, 9) un’opera più grande che la creazione dell’universo, il miracolo della Transustanziazione e per restare, con tale meraviglia, l’Ostia e la Religione della vostra Chiesa. Come comprendo le espressioni entusiastiche dei santi Padri per dire la grandezza della dignità sacerdotale! Le loro parole mi obbligano logicamente a considerarmi, in virtù della comunicazione del vostro Sacerdozio, come un altro Voi stesso: Sacerdos alter Christus. – Vi è infatti un’identificazione tra Voi e me, perchè la vostra Persona e la mia sono così unite, che queste parole sono: Eoe est Corpus meum, Hic est ealix Sanguinis mei, voi le fate vostre quando io le pronuncio. Io vi impresto le mie labbra per poter dire senza menzogna: Mio Corpo, Mio Sangue (Ipse est (Christus) qui sanctiflcat et immolat… Cum videris Sacerdotem offerentem ne ut Sacerdotem esse putes, sed Christi znanum invisibiliter extentam… Sacerdos linguam suam commodat (Giov. Cris., Hom. 86 in Joan. n. 4). Basta che io voglia consacrare, perché vogliate anche Voi; la vostra volontà è fusa con la mia. Nell’atto più grande che possiate fare quaggiù, la vostra anima è legata alla mia anima; io v’impresto quello che è più mio, la mia volontà, e la vostra subito si fonde con la mia. Siete talmente Voi che agite per mezzo mio, che se io osassi dire sulla materia del Sacrificio: Questo è il Corpo di Gesù Cristo, invece di dire: Questo è il mio Corpo, la consacrazione sarebbe invalida. L’Eucaristia siete Voi stesso, o Gesù, sotto le apparenze di pane e ogni Messa viene a rimettere sotto i miei occhi la verità che il sacerdote siete Voi, o Sacerdote unico, sotto l’apparenza di un uomo che avete eletto per vostro Ministro (Nil aliud Sacrifex est quam Christi simulacrum – PETR. BLES., Tract. ryth. de Euch. cap. VII). Alter Christus! Io sono chiamato a far rivivere queste parole ogni volta che amministro gli altri Sacramenti. Voi soltanto potete dire come Redentore: Ego te baptizo, Ego te ab-solvoy ed esercitare così un potere divino come quello di creare. Anch’io pronuncio queste parole, e gli Angeli vi stanno più attenti che non al Fiat che fecondò il nulla (Maius opus est ex impio iustum facere quam creare cœlum et terram – S. Agostino),perché esse sono capaci, oh meraviglia! di formare Dio in un’anima e di produrre un figlio di Dio, partecipe della vita intima della Divinità. – In ogni funzione sacerdotale, io credo di udire Voi che mi dite: Come mai, figlio mio, potresti supporre che avendoti fatto Alter Christus con questi poteri divini, io tolleri che nella tua condotta abituale tu sia un « Senza Cristo», oppure anche un « Contro Cristo »? –Come! nell’esercizio di queste funzioni tu operavi facendo una sola cosa con me; e un momento dopo satana prenderebbe il mio posto per fare di te, col peccato, una specie di Anticristo, oppure ti addormenterebbe al punto di farti deliberatamente dimenticare l’obbligo che hai di imitarmi e di lavorare per rivestirti di me, secondo l’espressione del mio Apostolo? – Absit! Tu puoi fare assegnamento sulla mia misericordia quando si tratta della sola fragilità umana nelle tue colpe quotidiane subito detestate e riparate; ma accettare freddamente un vero programma d’infedeltà e ritornare senza rimorsi alle tue funzioni sublimi, sarebbe certamente eccitare la mia collera. Corre un abisso tra le tue funzioni e quelle dei sacerdoti dell’antica Legge; eppure se i miei profeti minacciavano Sion per causa dei peccati del popolo o dei suoi governanti, odi qual era il risultato della prevaricazione dei sacerdoti: Complevit Dominus furorem suum, effudit iram indignationis suæ; et succenditignem in Sion, et devoravit fondamenta eius… propter iniquitates sacerdotum eius (Thren. IV, 11, 13).  – Perciò con quanto rigore la mia Chiesa interdice al sacerdote di salire all’altare o di amministrare i Sacramenti, se sulla sua coscienza rimane una sola colpa mortale!  Per mia ispirazione essa va anche più avanti: con i suoi riti ti mette nell’alternativa della pietà o dell’impostura. Devi deciderti a vivere della vita interiore, oppure esprimermi dal principio alla fine della Messa, ciò che non pensi, e domandarmi ciò che non desideri; spirito di compunzione e purificazione dalle minime colpe, perciò custodia del cuore; spirito di adorazione, perciò di raccoglimento; spirito di fede, di speranza, di amore, e perciò direzione soprannaturale della condotta esterna e delle opere, tutto questo è collegato intimamente alle parole e alle cerimonie sacre. Riconosco, o Gesù, che il vestire i paramenti sacri senza essere risoluto a sforzarsi di conseguire le virtù di cui sono simboli, sarebbe una specie di ipocrisia. Voglio che d’ora innanzi genuflessioni, segni e formule non siano mai un vano simulacro che nasconda il vuoto, la freddezza, l’indifferenza, aggiungendo alle mie colpe quella di rappresentare una parte bugiarda dinanzi all’Eterno. – Possa io essere compreso da un santo timore quando mi accosto ai vostri santi Misteri e indosso le vesti liturgiche. Le preghiere con cui accompagno tale atto, le formule così piene di unzione e di forza, del Messale e del Rituale, m’invitino a scrutare il mio cuore perché possa giudicare se esso è davvero d’accordo con il vostro, o Gesù, con un desiderio sincero ed efficace di imitarvi con la vita interiore. Bando ai sotterfugi, o anima mia, che mi farebbe credere che basti essere Alter Ghristus soltanto durante le sacre funzioni e che poi, purché non sia un Contro Cristo, mi potrei dispensare dal lavorare per rivestirmi di Gesù Cristo!  Non solo Ambasciatore di Gesù Cristo crocifisso, ma ancora altro Cristo crocifisso, come pretenderei di accovacciarmi in una pietà comoda e accontentarmi di virtù casalinghe! Cercherei invano di persuadermi che il claustrale sia tenuto più di me a sforzarsi di imitare Gesù Cristo e di acquistare la vita interiore: questo è un ERRORE PROFONDO, basato sulla fusione. Per tendere alla santità, il religioso si obbliga a servirsi di certi mezzi, cioè di voti di obbedienza e di povertà e della pratica della Regola. Come sacerdote io non sono obbligato a questi mezzi, ma sono obbligato a cercare e a conseguire  lo stesso une, e PER ASSAI PIÙ TITOLI che non l’anima consacrata che non abbia la missione di dispensare il Sangue divino. – Dunque guai a me se mi lasciassi cullare in un’illusione certamente colpevole, poiché per dissiparla basta che consulti l’insegnamento della Chiesa e dei suoi Santi; illusione la cui falsità mi apparirebbe alle soglie dell’eternità. Guai a me se non sapessi approfittare delle mie funzioni per conoscere le vostre ESIGENZE, O se restassi sordo alla voce che mi fanno udire gli oggetti sacri che mi circondano, l’altare, il confessionale, il fonte battesimale, i vasi, i lini e i paramenti sacri. Imitamini quod tractatis (Pontificale romano). Mundamini qui fertis vasa Domini (Is. LII, 12). Incensum et panes offerunt Deo, et ideo sancti erunt (Levit XXI, 6). – Se io fossi sordo a tali inviti, o Gesù, sarei tanto menò scusabile perché ciascuna delle mie funzioni è l’occasione di una grazia attuale che voi mi offrite per modellare l’anima mia a vostra immagine e somiglianza. È la Chiesa che domanda questa grazia; è il suo cuore geloso di corrispondere ai vostri desideri, che si cura di me come della pupilla dell’occhio; è lei che prima della mia ordinazione mi mostrava le gravi conseguenze della mia identificazione con Voi. – Impone, Domine, capiti meo galeam salutis, ad… Præcinge me cingulo puritatis… Ut indulgere digneris omnia peccata mea. Fac me tuis semper inhærere mandatis et a te numquam separati permittas ecc. Non sono più io solo a fare tali domande per me, ma sono tutti i veri fedeli, tutte le anime fervorose a voi consacrate, tutti i membri della gerarchia ecclesiastica, che della mia povera preghiera fanno la loro preghiera. Il loro grido s’innalza al vostro trono, e Voi udite la voce della vostra Sposa; e quando i vostri ministri, risolati di volere la vita interiore, mettono il loro cuore d’accordo con le loro funzioni, Voi esaudite sempre queste suppliche che per essi fa la Chiesa. Invece di escludermi con una negligenza volontaria, dai suffragi che offro al Padre vostro per l’assemblea dei fedeli quando celebro la Messa o amministro i Sacramenti, voglio trarre profitto da tali grazie, o Gesù. A ciascuno dei miei atti sacerdotali io aprirò largamente il mio cuore alla vostra azione; voi gl’infonderete allora i lumi, le consolazioni, la forza che, nonostante gli ostacoli, mi permetteranno di identificare con i vostri i miei giudizi, i miei affetti, i miei voleri, come il Sacerdozio m’identifica con Voi, Sacerdote eterno, quando per mezzo mio Voi vi fate Vittima sull’altare, o Redentore delle anime.

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Riassumiamo in poche parole i tre princìpi dello spirito liturgico:

CUM ECCLESIA. Quando mi unisco come semplice cristiano alla Chiesa, questa unione m’invita a penetrarmi degli stessi sentimenti di essa.

ECCLESIA. Quando io sono la stessa Chiesa perché agisco come suo Ambasciatore dinanzi al Trono di Dio, sono ancora più fortemente incitato a fare mie le sue aspirazioni per essere meno indegno di rivolgermi alla Maestà santissima di Dio e per esercitare con la Preghiera ufficiale un Apostolato più fecondo.

CHRISTUS. Ma quando per la partecipazione al Sacerdozio di Gesù Cristo io sono Alter Christus, quali parole potranno esprimere i vostri inviti, o Gesù, perché io prenda sempre di più la vostra divina somiglianza e così vi manifesti ai fedeli e li trascini a seguirvi con l’apostolato dell’esempio?

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