IL CATECHISMO CATTOLICO DEL CARDINAL GASPARRI (15)

CATECHISMO CATTOLICO A CURA DEL CARDINAL PIETRO GASPARRI (15)

PRIMA VERSIONE ITALIANA APPROVATA DALL’AUTORE 1932 COI TIPI DELLA SOC. ED. (LA SCUOLA) BRESCIA

Brixiæ, die 15 octobris 1931.

IMPRIMATUR

+ AEM. BONGIORNI, Vie. Gen

III.

CATECHISMO PER GLI ADULTI DESIDEROSI DI APPROFONDIRSI NELLA CONOSCENZA DELLA DOTTRINA CATTOLICA.

Delle virtù.

D. 509. Che cos’è la virtù?

R. La virtù è un abito, ossia una disposizione costante che inclina l’uomo a fare il bene e ad evitare il male.

D. 510. Di quante specie è la virtù?

R. La virtù, quanto all’oggetto, è duplice, l’una teologica, l’altra morale.

SEZIONE l a . — Delle virtù teologiche.

Art. 1. — DELLE VIRTÙ TEOLOGICHE IN GENERALE.

D. 511. Che cos’è la virtù teologica?

R. La virtù teologica è una virtù il cui oggetto immediato è Dio in quanto fine soprannaturale, e che a tal fine direttamente ordina l’uomo (S. Tom., la 2æ, q. 62, a. 1, 2).

D. 512. Quante sono le virtù teologiche?

R. Le virtù teologiche sono tre: la fede, la speranza e la carità.

D. 513. Possono le virtù teologiche essere acquistate mediante atti naturali?

R. Le virtù teologiche non possono essere acquistate mediante atti puramente naturali, perché sono per natura loro soprannaturali, e tali perciò che soltanto Dio le può infondere insieme alla grazia santificante (Giov., VI, 44; XV, 5; Paolo: ad Rom., V, 5; 2a ad Cor., III , 5; ad Philipp., I , 29).

D. 514. Quand’è che vengono infuse nell’uomo le virtù teologiche?

R. Le virtù teologiche vengono infuse nell’uomo nell’atto stesso della giustificazione, acquisita in una con la remissione dei peccati, o mediante il sacramento del Battesimo, o mediante l’atto di contrizione col voto del Sacramento (Paolo: ad Rom., V, 2; V i l i , 24; Ia ad Cor., XIII, 13; Ia ad Thess., I, 3; ad Hebr., XI, 6; l a di Giov., IV, 15, 19; Conc. di Tr., sess. VI, c. 7; Clemente V : Const. De summa Trinitate, nel Conc. di Vienna; S. Policarpo. Epist. ad Philippenses, 3; S. Giov. Cris. : In Act. Apost., XL, 2; Cat. p. parr., p. II, c. II, n. 50, 51).

D. 515. Le virtù teologiche sono necessarie alla salvezza?

R. Le virtù teologiche sono assolutamente necessarie alla salvezza perché senza di esse né l’intelletto né la volontà possono rettamente indirizzarsi al fine soprannaturale

(Marco, XVI, 16; Giov., IV, 15-20; Atti, V i l i , 37; X , 43; Paolo: ad Rom., V, 2; VIII, 24; ad Hebr., XI, 6).

D. 516. Qual è fra le virtù teologiche la più eccellente?

R. La più eccellente fra le virtù teologiche è la carità, che è perfezione della legge, e tale che non cessa nemmeno in cielo (Matt., XXII, 35-40; Giov., XIII, 14; XIV, 21, 23; Paolo: ad Rom., XIII, 10; I a ad Cor., XIII, 1-13; ad Coloss., III, 14; Giac, II, 8; Benedetto XII: Const. Benedictus Deus, 29 giug. 1336; S. Clemente Rom.: Epist. ad Cor., I , 49; S. Tom., 2a 2æ, q. 23, a. 6, 7).

D. 517. Quand’è che siamo tenuti a emettere atti di fede, di speranza e di carità?

R. Spesso nella vita siamo tenuti a emettere, per lo meno implicitamente, atti di fede, di speranza e di carità, specie quando, raggiunto l’uso di ragione, si sia pervenuti ad una conoscenza sufficiente della-rivelazione divina, e sopratutto, poi, ogni qualvolta che il dovere da compiere o la tentazione da vincere esigono tali atti, come anche in pericolo di morte (Aless. VII: prop. 1 tra le condann., 24 sett. 1665; Inn. XI: prop, 6, 7, 16, 17 condann., 2 marzo 1679).

Art. 2. — DELLE VIRTÙ TEOLOGICHE IN PARTICOLARE.

A) – Della fede.

D. 518. Che cos’è la fede?

R. La fede è una virtù soprannaturale mediante la quale, con la divina grazia che ispira e aiuta, noi crediamo per vero quanto Dio ha rivelato e ci ha insegnato per mezzo della Chiesa; e ciò, non a motivo dell’intrinseca verità delle cose considerata col naturale lume di ragione, ma a motivo dell’autorità medesima di Dio rivelante, che non può né errare né ingannare (Paolo: Ia ad Cor., II, 5, 7-13; ad Hebr., XI, 1; ad Rom., X, 14-17; Conc. Vat.: Const. Dei Filius, cap. 3; S. Leone M.: Sermo XXVII, 1; S. Giov. Cris.: In Matth., LXXXII, 4).

D. 519. Dobbiamo noi credere tutte le verità rivelate?

R. Dobbiamo credere, per lo meno implicitamente, tutte le verità rivelate, per es. : Credo tutto ciò che Dio ha rivelato e che la Chiesa propone da credere, o più in breve: credo tutto ciò che crede la Santa Madre Chiesa; esplicitamente, poi, dobbiamo credere all’esistenza di Dio e al suo carattere di rimuneratore, come pure ai misteri della santissima Trinità, dell’Incarnazione e della Redenzione,

(Matt., XXVIII, 19; Giov, III, 15, 18, 36; XVII, 3; XX, 31; Paolo: ad Hebr., XI, 6; Inn. XI, prop. 22 e 64 tra le condann., col Dec. d. S. Congr. S. Uffizio, 2 marzo 1679 ; Decr. Del S. Uffizio 25 genn. 1703. — Credere queste verità è alla salvezza necessario di necessità — come suol dirsi — di mezzo, mentre credere le altre verità è necessario di necessità di precetto; ora, dicesi necessaria di necessità di mezzo quella cosa senza la quale, ne fosse pure incolpevole l’omissione, non si può raggiungere il fine; necessaria di necessità di precetto è, invece, quella cosa la cui incolpevole omissione non impedisce di raggiungere il fine. Da questi concetti risulta che quanto è necessario di necessità di mezzo, lo è ugualmente di necessità di precetto.).

D. 520. Può la fede essere contro la ragione?

R. Per quanto la fede sia al disopra della ragione, in nessun modo essa è contro la ragione, né tra fede e ragione può mai darsi un’opposizione vera e propria (Conc. Vat.: Const. Dei Filius).

D. 521. Perché tra fede e ragione non può mai darsi un’opposizione vera e propria?

R. Tra fede e ragione non può mai darsi un’opposizione vera e propria, perché quel Dio che rivela i misteri e infonde la fede, è quello medesimo che all’anima umana detta l’interno lume della ragione; ora Dio non può negare sé stesso, né il vero può mai contradire al vero (Conc. Vat, 1. c.; Pio IX: Encicl. Qui pluribus, 9 nov. 1846).

D. 522. Possono la fede e la ragione aiutarsi a vicenda?

R. La fede e la ragione possono aiutarsi a vicenda in quanto, mentre la retta ragione dimostra i fondamenti della fede, e rischiarata dalla luce di questa, coltiva la scienza delle cose divine; la fede, da parte sua, libera e difende la ragione dagli errori, non senza arricchirla anche di molteplici cognizioni (Conc. Lat., V, sess. VIII; Conc. Vat., 1. c.).

D. 523. Quand’è che dobbiamo esternamente professare la fede?

R. Dobbiamo esternamente professare la fede ogni qual volta il nostro silenzio, il nostro tergiversare o il nostro modo di agire, venissero ad equivalere ad un’implicita negazione della fede, ad un atto di disprezzo della religione, ad un’ingiuria contro Dio o ad uno scandalo per il prossimo (Paolo: ad Rom., X, 20; 2a ad Tim., II, 12; Cod. D. C , can. 1325.).

D. 524. In qual maniera manifestiamo noi la fede?

R. Noi manifestiamo la fede, confessandola con la parola e le opere, e qualora le circostanze lo esigessero, anche col sacrificio della vita (Paolo: ad Rom., X, 9, 10; ad Galat., V, 6; Giac, II, 18, 21.).

D. 525. Come si perde la fede?

R. La fede si perde con l’apostasia o l’eresia, quando, cioè, il battezzato venga a respingere sia tutte, sia alcune verità della fede, o a revocarle in dubbio con atto deliberato.

D. 526. Oltre gli apostati e gli eretici, vi sono altri che peccano contro la fede?

R. Oltre gli apostati e gli eretici peccano contro la fede:

1° il non battezzato che respinga la fede pur sufficientemente proposta al suo intelletto;

2° chiunque trascuri di procurarsi una istruzione religiosa sufficiente, proporzionatamente alla propria età e al proprio stato; »

3° chiunque professi errori dalla Chiesa proscritti e che più o meno si avvicinano all’eretica pravità;

4° chiunque volontariamente si esponga al pericolo di recedere dalla fede, per es. colui che senza la dovuta licenza e cautela legge libri dalla Chiesa proibiti, specie quando abbiano per autori apostati, eretici, scismatici, scritti con lo scopo di propugnare l’apostasia, l’eresia o lo scisma (Cod. D. C., san. 2318, § 1).

B) – Della speranza.

D. 527. Che cos’è la speranza?

R. La speranza è una virtù soprannaturale mediante la quale, in virtù dei meriti di Gesù Cristo, sicuri della bontà, onnipotenza e fedeltà di Dio, noi aspettiamo la vita eterna e quelle grazie necessarie a conseguirla che Dio ha promesso a coloro che compiranno opere buone (Giov, VI, 40; Paolo: ad Rom., V, 2; VIII, 24; 2a ad Cor., V, 2; ad Coloss., I, 23, 27; ad Tit., I, 2; ad Hebr., III, 6; Benedetto XII: Const. Benedictus Deus, 29 giug. 1336; S. Giov. Cris.: In Epist. ad Rom., XIV, 6.).

D. 528. In qual maniera manifestiamo noi la speranza?

R. Noi manifestiamo la speranza non solo con le labbra, ma anche con le opere, quando, intimamente animati dalla fiducia nelle divine promesse, pazientemente sopportiamo le asprezze e i dolori della vita e financo le persecuzioni (Paolo: ad Rom., VIII, 17, 18, 23-25; I a ad Cor., IX, 25; 2a ad Cor., I, 7; IV, 8-18; VII, 1).

D. 529. In qual maniera si perde la speranza?

R. Si perde la speranza sia col peccato di disperazione sia con quello di presunzione, sia con quegli stessi peccati che fanno perdere la fede (Gen., IV, 13; Matt., III, 9; XIX, 25, 26; XXVII, 5; Atti, I , 16-19, 26).

D. 530. Che cos’è la disperazione?

R. La disperazione è la volontaria e deliberata sfiducia di ottenere da Dio l’eterna beatitudine e i mezzi che vi conducono.

D. 531. Che cos’è la presunzione?

R. La presunzione è la temeraria fiducia di poter conseguire l’eterna beatitudine senza la grazia o senza le buone opere.

C) – Della carità.

D. 532. Che cos’è la carità?

R. La carità è una virtù soprannaturale con la quale amiamo al disopra di ogni cosa Dio per se stesso, e per amor di Dio noi medesimi e il prossimo (Matt, XXII, 37-39; l a di Giov, III, 17, 18; IV, 20, 21. — La presente definizione della carità può essere ulteriormente chiarita come segue. La carità vien detta virtù soprannaturale, perché con questa carità noi amiamo Dio in quanto conosciuto non solo mediante le forze naturali, ma mediante aiuti dallo stesso Dio infusi. Con la quale noi amiamo Dio: l’oggetto primario della carità è quindi Dio. Al disopra di ogni cosa: poiché la nostra volontà si porta verso il bene, e Dio essendo il bene al disopra di tutti i beni, al disopra di tutti Egli è amabile. Per se stesso: vale a dire a causa della sua intrinseca bontà; l’oggetto formale, ossia il motivo della carità è, quindi, la stessa infinita bontà di Dio. D’altra parte, dato che amare qualcuno per sé stesso è amore di benevolenza, che Dio a sua volta ci ama di tale amore di benevolenza, e che un mutuo amore di benevolenza è amicizia, ne consegue che la carità è una specie di amicizia dell’uomo con Dio (S. Tom, 2a 2æ, q. 23, a. I). E noi medesimi e il prossimo: quindi siamo noi stessi e il prossimo l’oggetto secondario della carità. Per amor di Dio: e difatti chi ama qualcuno di amore di benevolenza, estende il suo amore a coloro che costui ama; se noi, quindi, amiamo noi medesimi e il prossimo, gli è perché amiamo Dio, e che Dio ama noi e il prossimo; in virtù di quella stessa carità noi desideriamo per noi stessi ed il prossimo ciò che Dio medesimo ci desidera, cioè la grazia in questa vita presente e la gloria del Paradiso in quella futura.

D. 533. In qual maniera dobbiamo innanzi tutto provare il nostro amore a Dio?

R. Dobbiamo innanzi tutto provare il nostro amore a Dio con l’osservare i suoi comandamenti (Giov, XV, 15, 21, 23; l a di Giov, V, 3; S. Greg. M.: In Evangelia, II, 30, 1, 2).

D. 534. In qual maniera possiamo inoltre provare il nostro amore a Dio?

R. Possiamo inoltre provare il nostro amore a Dio con opere non comandate, ma a Dio accette, e chiamate supererogatorie.

D. 535. Come si perde la carità verso Dio?

R. Si perde la carità verso Dio col peccato mortale, qualunque esso sia; ma, perduta in seguito a peccato mortale la grazia, non perciò si vien sempre a perdere la fede e la speranza (Giac, II, 10, 11; l a di Giov, III, 6, 8, 9; Paolo: la ad Cor., XIII, 1-3; Giac, II, 14, 17, 24; la di Giov, III, 15-18: Conc. di Tr, sess. VI, cap. 15, can. 27, 28; S. Tom, 2a 2æ, q. 24. a. 12. ).

D. 536. In qual maniera dobbiamo noi amare noi stessi?

R. Dobbiamo amare noi stessi col cercare in ogni cosa la gloria di Dio e la nostra eterna salvezza.

D. 537. In qual maniera dobbiamo noi amare il prossimo?

R. Dobbiamo amare il prossimo con atti sia interni che esterni, cioè col perdonare le offese, coll’evitare d’inferirgli danno od ingiuria o scandalo, e infine col soccorrerlo secondo le nostre forze nelle sue necessità, soprattutto mediante le opere di misericordia spirituale e corporale (Inn. XI: prop. 10, 11 tra le condann. dalla Congr. d. S. Ufficio, 2 marzo 1679. )

D. 538. Quali sono le opere di misericordia spirituale?

R. Le opere di misericordia spirituale sono:

1° consigliare i dubbiosi;

2° insegnare agl’ignoranti;

3° ammonire i peccatori;

4° consolare gli afflitti;

5° perdonare le offese;

6° sopportare pazientemente le persone moleste;

7° pregare Iddio per i vivi e per i morti (II Macc, XII, 46; Matt, X, 10; Luca, X, 26 e segg.; Paolo: ad Rom., XII, 12-27; ad Galat., VI, 1, 2; ad Eph., IV, 1, 2, 32; VI, 18; ad Coloss., IV, 2; Ia ad Thess., V, 14-17; I a ad Tim., II, 1, 2; Giac, V, 19, 20).

D. 539. Quali sono le opere di misericordia corporale?

R. Le opere di misericordia corporale sono:

1° dar da mangiare agli affamati;

2° dar da bere agli assetati;

3° vestire gl’ignudi;

4° alloggiare i pellegrini;

5° visitare gl’infermi;

6° visitare i carcerati ;

7° seppellire i morti (Toh, IV, 1-12; XII, 12; Eccli, VII, 39; Is, LVIII, 7; Ezech, XVIII, 7, 16; Matt, XXV, 35-45; Paolo: ad Hebr., XIII, 2, 16; Giac, 1,27).

D. 540. La carità con la quale dobbiamo amare il prossimo abbraccia anche i nemici?

R. La carità con la quale dobbiamo amare il prossimo abbraccia anche i nemici, perché essi sono pure prossimi nostri e perché Dio stesso ci ha dato di questo amore e il comandamento e l’esempio (Matt, V, 44; Luca, VI, 27, 35; XXIII, 34; Atti, VII, 59; Paolo: ad Rom., XII, 20; Cat. p. parr, p. III, c. VI, n. 18 e segg.).

IL CATECHISMO CATTOLICO DEL CARDINAL GASPARRI (16)

LO SCUDO DELLA FEDE (136)

P. F. GHERUBINO DA SERRAVEZZA

Cappuccuno Missionario Apostolico

IL PROTESTANTISMO GIUDICATO E CONDANNATO DALLA BIBBIA E DAI PROTESTANTI (3)

FIRENZE DALLA TIPOGRAFIA CALASANZIANA 1861

DISCUSSIONE III.

PUNTO I.

L’Ecclesiastica Gerarchia: – istituita da Gesù Cristo pel governo spirituale visibile della sua Chiesa. – La Sacra Ordinazione dei Ministri del culto.

Prot. Se nelle cose riguardanti la Chiesa fosse contento il Papismo di propugnare la indefettibilità e visibilità, nulla avrei più che ridire contro di lui. Ma egli sostiene ed insegna che Gesù Cristo ha istituito nella sua Chiesa una ordinata Gerarchia dì Sacri Ministri composta di Vescovi, di Preti e di altri ministri inferiori, avente a Capo Supremo il Papa, e distinta e indipendente dal popolo, e nella quale tutta è riunita e ristretta la spirituale autorità sopra il medesimo popolo! Tale errore non può tollerarsi; essendo cosa certissima (come insegna la mia Riforma), che, secondo la divina istituzione, il popol fedele non ha sopra di sé altri governatori che lo Spirito Santo, dal quale ciascuno è guidato: che ogni cristiano, in virtù del battesimo, è vero sacerdote, e quindi, che tutta la spirituale potestà, per ciò che riguarda il pubblico culto, il necessario governo visibile etc. della Chiesa risiede esclusivamente nel popolo: e per conseguenza i Ministri del culto in particolare non essendo che di umana istituzione, poiché non sono che deputati del popolo, onde facciano le sue veci nel sacro Ministero, perché sia lecita e valida la loro elezione debbono essere istituiti dai Magistrati, o dai Principi, che sono i supremi rappresentanti del popolo, ai quali ha delegata tutta la ecclesiastica potestà.

Bibbia. Sta scritto: « Chiamò (Gesù) i suoi discepoli e scelse dodici di essi, a’ quali diede anche il nome di Apostoli. » (Luc. VI, 13). – E Gesù rispondendo, disse a lui: « E io dico a te che tu  sei Pietro, e sopra questa pietra edificherò la mia Chiesa…. e a te darò le chiavi del regno de’ cieli. » (Matt. XVI, 17, 18, 19). « Di poi scelse il Signore altri settantadue. » (Luc. X, 1). – « Badate a voi stessi e a tutto il gregge, di cui lo Spirito Santo vi ha costituiti Vescovi, per reggere la Chiesa di Dio. » (Act. XX, 28). E avendo ordinato per essi dei preti in ciascheduna Chiesa, gli raccomandarono al Signore. » (Act. XIV, 22). – « Similmente i Diaconi [sieno] pudici,… portino il ministero della fede in una coscienza pura. » (II Tim. III, 8, 9). – « Esso (Cristo) altri costituì Apostoli, altri profeti, altri Evangelisti, altri pastori e dottori nell’opera del ministero, etc. » (Efes. IV, 11). Ecco dunque  l’Ecclesiastica Gerarchia istituita evidentemente da Gesù Cristo, composta di Apostoli, di Vescovi, di Preti, di Diaconi, etc. e avente a capo supremo S. Pietro del quale il Papa è successore, distinta e indipendente da chicchessia. Onde guardati bene dal negarla, dal dire che sia di umana istituzione, o che tutti i fedeli elevati siano in virtù del battesimo alla dignità sacerdotale; poiché sta scritto: «Forse tutti Apostoli? Forse tutti profeti? Finse tutti dottori? etc. » (I Cor. XII, 29).

10. Prot. Di tutti i fedeli è scritto: « Voi stirpe eletta, regale sacerdozio, gente santa,… sacerdozio santo per offrire vittime spirituali, gradite a Dio per Gesù Cristo. » (I Piet. II, 5, 9)

Bibbia. Anche degli Ebrei sta scritto: «Voi sarete mio regno sacerdotale. » (Exod. XIX, 6) Dirai per questo che tutti gli Ebrei erano sacerdoti? – Pertanto è dato ai Cristiani (come fu dato agli Ebrei) questo glorioso titolo non perché tutti siano sacerdoti, ma 1.° Perché essi soltanto posseggono il vero sacerdozio. 2.° Perché tutti senza eccezione hanno un sacerdozio impropriamente detto; quello, cioè, di potere offrire a Dio, in virtù dei meriti di Gesù Cristo, sacrifici di lode, i propri affetti, sé stessi con merito di vita eterna, come insegna S. Paolo, dicendo: « Io pertanto vi scongiuro, o fratelli, i per la misericordia di Dio, che offriate i vostri corpi ostia viva, santa, piacevole a Dio, il razionale vostro culto. » (Rom. VIII, 1). Che però nel testo da te citato non si dice loro « per offrire la vittima » che è il nome proprio del gran Sacrifizio della Nuova Alleanza; ma si dice « per offrire vittime spirituali etc. » 3.° Finalmente, perché nella legge Cristiana non è ristretto il sacerdozio ad una sola tribù, ai discendenti di una sola famiglia, come presso gli Ebrei ma (eccettuate le donne) tutti possono essere innalzati a tal dignità, mediante la Sacra Ordinazione, la quale è assolutamente necessaria, secondo l’istituzione divina. Imperocché sta scritto: « Or mentre essi offrivano al Signore i sacri misteri, e digiunavano, disse loro lo Spirito Santo: separatemi Saulo e Barnaba per l’opera alla quale gli ho destinati. Allora dopo aver digiunato e orato, imposero loro le mani, e li licenziarono » (Act. XII, 2, 3) – « Non trascurare la grazia che è in te, la quale ti e stata data per la rivelazione, con l’imposizione delle mani del presbiterio? (I. Tim. IV, 14). – « Ti rammento di ravvivare la grazia di Dio che è in te mediante l’imposizione delle mie mani. » (II. Tim. 1, 61). – Da tutto questo è ben chiaro che la Sacra Ordinazione non solo è d’istituzione divina, ma è un vero Sacramento, poiché produce la grazia, ed è talmente necessaria, secondo le disposizioni divine, che neppure gli eletti immediatamente dallo Spirito Santo in sacerdoti possono senza di essa divenir tali, come è manifesto dal fatto di Saulo e di Barnaba; e che tale Ordinazione unicamente appartiene ai primari ministri della Santa Chiesa.

PUNTO II.

In forza della stessa divina istituzione, nella sola Ecclesiastica Gerarchia, e non in altri, tutta è riunita e ristretta l’ecclesiastica dignità, la spirituale autorità e giurisdizione tanto degli uni sopra gli altri Sacri Ministri, secondo i rispettivi loro gradi, quanto sopra tutti i fedeli, senza eccezione.

Bibbia. Stabilita la verità che non tutti i cristiani sono sacerdoti ma quelli soltanto che sono a tale uffizio specialmente ordinati o consacrati, vediamo adesso presso chi risieda la spirituale giurisdizione. Ascolta. « E appressandosi Gesù parlò loro agli Apostoli, dicendo: è stata data a me ogni potestà in cielo e in terra…. Andate, e istruite tutte le genti. » (Matt. XXVIII, 18,19). – « Come il Padre mandò me, anch’io mando voi. » (Giov. XX, 21) – « Chi assolta voi, ascolta me: e chi disprezza voi disprezza me. » (Luc. X, 16). « Ricevete lo Spirito Santo: Saran rimessi i peccati a chi li rimettetele, e saran ritenuti a chi li riterrete. » (Giov. XX, 22, 23). –  « In verità vi dico: Tatto quello che avrete legato sulla terra, sarà legato anche in cielo: e tutto quello che avrete sciolto sulla terra, sarà sciolto anche in cielo.1 » (Matt. XVIII, 18). Che te ne pare?

11. Prot. Gesù Cristo ha detto ancora: «Se il tuo fratello avrà peccato contro di te, va’ e correggilo tra te e lui solo… Se non ti ascolta prendi ancora teco una o due persone…. Che se non farà conto di esse, dillo alla Chiesa. E se non ascolta nemmeno la Chiesa, abbilo come per pagano e pubblicano. » (Ivi, V, 15 e seg.). Dunque alla Chiesa, cioè al corpo dei fedeli, appartiene la spirituale autorità e giurisdizione.

Bibbia. Tu erri, perché Gesù Cristo non parlava in questa circostanza ai fedeli in generale, ma ai soli Apostoli separatamente. Onde è chiaro che in questo luogo per nome Chiesa, non intese significare il corpo de’ fedeli, ma i soli pastori rappresentanti la Chiesa. E perché nessuno ne dubitasse, immediatamente soggiunse loro quelle già riferite parole: « Tutto quello che avrete legato sulla terra, etc. »

12. Prot. Disse pure Gesù: « Io pregherò il Padre, e vi darà un altro Paracleto, affinché rimanga con voi eternamente, lo Spirito di verità. » (Giov. XIV, 16, 17) Dunque la Chiesa è governata direttamente e immediatamente dallo Spirito Santo, né vi è bisogno di Ecclesiastica Gerarchia, né della sua potestà e giurisdizione pel governo della medesima.

Bibbia. Questo testo è fuor di proposito; perché è manifesto che quella divina promessa fu unicamente fatta agli Apostoli, co’ quali Gesù privatamente parlava; né altro riguarda che la divina assistenza promessa ai medesimi e ai loro successori nel governo visibile della Chiesa. Oltre di ciò sta scritto: « Attendete a voi stessi e a tutto il gregge; di cui lo Spirito Santo vi ha costituiti Vescovi per reggere la Chiesa di Dio. » (Act. XX, 28). Dunque lo Spirito Santo medesimo ti dà la più solenne smentita; mentre ti dichiara che Egli stesso ha costituiti i Vescovi al governo visibile della Chiesa. Hai capito? Ascoltami ancora. « A questo fine ti lasciai in Creta (dice S. Paolo a Tito) perché tu dia sesto a quel che rimane, e stabilisca de’ Preti per le città…. I Cretesi sempre bugiardi, etc:… per la qual cosa riprendili severamente. » « Esorta, riprendi con ogni autorità. Nessunoti sprezzi. » (ivi, II, 15)« Contro di un prete (a Timoteo) non ricevere accusa, se non su due o tre testimoni. Quelli che peccano riprendili alla presenza di tutti; affinché ne prendano timore anche gli altri. »  – (I Tim. V, 19, 20) – « Predissi e predico a que’ che prima peccarono, e a tutti gli altri, che se verrò di nuovo non perdonerò? » (II Cor. XIII, 2). – « Taluni han fatto naufragio intorno la fede: de’ quali e Imeneo e Alessandro, i quali ho conseguato a satana, affinché ìmparino a bestemmiare » (I Tim. I, 19, 20). – « I preti che governan bene, sian riputati degni di doppio onore. » (ivi, V, 17). – « Chiunque recede e non sta fermo nella dottrina di Cristo, non ha Dio…. Se alcuno viene a voi e non reca questa dottrina, non lo ricevete in casa, e non lo salutate » (II Giov. V, 9, 10). Ecco dunque tutta la potestà, autorità, giurisdizione spirituale data da Gesù Cristo unicamente, interamente e indipendentemente da chicchessia ai primari Pastori della sua Chiesa, dai quali è comunicata a’ loro subalterni Ministri da grado in grado fino al Capo Supremo o Papa, in cui tutta si riunisce e concentra, e da cui, per conseguenza, tutti assolutamente dipendono. Autorità e potestà di ministero, di ordine, di onore e giurisdizioni, elettiva e coattiva sino a poter recidere dal corpo della Chiesa i contumaci e proibire ai fedeli di comunicare con essi. Come dunque hai potuto sognare che tutto.ciò appartiene al popolo, ai magistrati, a’ Principi temporali?

Prot. S. Paolo dice: «Ogni anima sia soggetta alle potestà superiori; imperocché non vi è podestà se non da Dio. » (Rom. XIII, 1) Questo passo è decisivo, perché qui l’Apostolo parla de’ Principi temporali, e vuole che tutti ad essi obbediscano, e in tutto senza eccezione di cose o persone ecclesiastiche.

Bibbia. Erri grandemente, perché qui S. Paolo non parla s ai principi temporali, ma di ogni sorta di podestà, come è chiaro dal testo, e comanda che ciascuno sia soggetto, obbedisca ai suoi legittimi superiori. Passa di poi a parlare dei principi temporali, ma ben dichiara che la loro potestà non è che temporale, dicendo: « non indarno porta la spada: » né vi è pure una sillaba che indichi in essi la spirituale potestà. Finalmente San Paolo parla ivi di principi pagani idolatri, e tu vorresti che essi pure fossero Capi della Chiesa di Dio? Rispondi.

15. Prot. A dirvela sinceramente, la penso ancor io come voi.

« Cristo ha istituiti Apostoli, profeti, evangelisti, predicatori, dottori. Vescovi, preti e anziani. I Diaconi vegliavano su i poveri » (Calvino, lib. IV, Instit. cap. 3). La Chiesa di Gesù Cristo consiste nella successione de’ Vescovi, per mezzo dell’imposizione delle mani, e quest’ordine di successione deve persistere fino al termine de’ secoli, di ciò accertandoci quelle parole di Gesù Cristo in S. Matteo – XXVIII 20.- « Io sarò con voi per tutti i giorni sino alla consumazione de’ secoli ». Riguardo poi alla ordinazione de’ Sacerdoti, eccovi alcune delle mie leggi. L’ordinante insieme con tutti gli astanti, stendendo ambe le mani sopra il capo dell’ordinando, dice: Ricevi lo Spirito Santo pel ministero dell’opera, ossia del sacerdozio, che noi ti conferiamo colla imposizione delle mani: a chi rimetterai i peccati saranno rimessi, e a chi li riterrai saran ritenuti. In virtù della potestà a me data mediante il nome di Dio nella Chiesa, io ti consacro e ordino sacerdote della Chiesa Evangelica, predicatore del Vangelo di Gesù Cristo, e dispensatore de’ santi suoi Sacramenti, nel nome del Padre, del Figliuolo e dello Spirito Santo » (Fessler, Manuale Liturgico, – Vedi anche Kaisser, Theologia Biblica, seu Judaismus et Catholicismus 1814 e Merbeineke, Syst. Cathol. vol. III.). Da ciò ben vedete che se non mi conformo in tutto al Cattolicismo. pare ammetto ancor io che per divenir sacerdote è necessaria la Sacra Ordinazione, e che questa è d’istituzione divina, che in essa si riceve lo Spirito Santo, ossia che conferisce la grazia, e che per conseguenza è un vero Sacramento. Ora sentite il resto.

« Il Vangelo attribuisce a quelli che presiedono alle Chiese il « mandato d’insegnare il Vangelo, di rimettere i peccati, di amministrare i Sacramenti, ed oltre a ciò la giurisdizione, cioè il mandato di scomunicare coloro de’ quali noti sono i delitti, e nuovamente assolverli se si ravvedono; ed è manifesto che questa potestà è di diritta divino » (4 Confess. Smascald presso Wegscheider, Instit. tbeologic. Chris». § 18S, in Nota -L-). – « I riformatori attribuirono alla Chiesa stessa la potestà di eleggere e ordinare i Ministri, di mutare le cerimonie e i riti, siccome tutta l’ecclesiastica disciplina, in modo conforme a’ precetti del Vangelo, e le circostanze de’ tempi; la qual potestà in verun modo confonder si deve colla civile potestà » (5 Yegerfeider, Op. e luog, cit. in corp.). – Noi tutti facciamo professione di credere che il governo ecclesiastico è santo ed utile, per modo che divien necessario che vi siano dei Vescovi che sieno superiori ad altri ministri, ed un Pontefice presieda ai Vescovi » (Melantone. Professione di fede sua e degli Alemanni a Francesco I. Re di Francia, 1535. Art. I.) – « La Chiesa è un governo spirituale, e così regolare come quello dello Stato. Essa ha il potere delle chiavi: da questo potere diramano i diritti d’insegnamento, di predicazione, di remissione delle colpe e di scomunica…. Gesù Cristo ha detto in S. Matteo XVIII 45, 46.: – Colui che dopo due rimproveri fattigli dinanzi a due o tre testimoni non si sarà emendato, verrà tradotto dinanzi a l tribunale della Chiesa, da cui verrà pubblicamente rimproverato. Se il rimprovero rimarrà senza effetto, egli sarà espulso e scacciato dalla società dei fedeli. Se trattasi ili delitti converrà mostrarsi più severi. Paolo scomunicò ed abbandonò a satana un uomo che aveva turbato l’ordine di Dio. Allorché il popolo profana i Sacramenti bisogna che il pastore intervenga energicamente…. Udite come il Crisostomo si adiri contro i preti che non hanno voluto scacciare dalla tavola della Comunione i cattivi ricchi. Questo sangue vi sarà ridomandato. Se temete gli uomini, Iddio vi disprezzerà. Se temete Dio, gli uomini vi rispetteranno » (Calvino. Ved. Audin, Storia della vita di Calvino; Milano 1842. T. I, p. 238).  – « Poiché Dio è l’ordine, ne segue esservi di diritto divino un magistrato spirituale nella sua Chiesa. Dunque una tale autorità è legittima (Leibniz, presso Audin, Storia della vita di Lutero, Milabo 1842, tom. I , p. 20.). – Il diadema non potrebbe porre la fronte reale al coperto dei fulmini della Chiesa. Re, chinate le vostre fronti, ed umiliatevi dinanzi al Cristo Signore Re dei re. Non abbiatevi a male che la Chiesa vi giudichi… Dovete persino bramare che il prete non usi riguardo, perché troviate più tardi in Dio un giudice più compassionevole. (— 4 Calvino, presso Andin, Op. e luog. cit.). – Se osserviamo la Scrittura o i prischi esempj, chi può dubitare esser costume che nelle cause della fede i Vescovi giudichino gli imperatori cristiani, e non gli Imperatori giudichino i Vescovi? » (Calvino, Lib. 4, Instit. cap. 2, § 15). – I Magistrati sono certamente membri della Chiesa, abbiano ardente zelo di pietà, ma non siano Capi della Chiesa, perché non compete ad essi questo primato » (I Centuriatori Magdeburghesi, presso Duwal, pag. 537). – « Non facciano i magistrati regolamenti nella Chiesa, né istituiscano culti » (Melantone, in Exam. Ordinand.).

CATECHISMO CATTOLICO DEL CARDINAL GASPARRI (14)

CATECHISMO CATTOLICO A CURA DEL CARDINAL PIETRO GASPARRI (14)

PRIMA VERSIONE ITALIANA APPROVATA DALL’AUTORE 1932 COI TIPI DELLA SOC. ED. (LA SCUOLA) BRESCIA

Brixiæ, die 15 octobris 1931.

IMPRIMATUR

+ AEM. BONGIORNI, Vie. Gen

III.

CATECHISMO PER GLI ADULTI DESIDEROSI DI APPROFONDIRSI NELLA CONOSCENZA DELLA DOTTRINA CATTOLICA.

Art. 5. — DEL SACRAMENTO DELL’ESTREMA UNZIONE.

D. 469. Che cos’è il sacramento dell’Estrema Unzione?

R . Il sacramento dell’Estrema Unzione è un Sacramento istituito da Gesù Cristo, per conferire agli adulti ammalati in pericolo di vita certi aiuti spirituali di grandissima utilità nel pericolo di morte, e talvolta anche un giovamento nelle infermità corporali (Conc. II di Lione: Prof, fidei Mich. PaL.; Conc. di Fir.: Decr. prò Armenis; Conc. di Tr. ., sess. XIV: De Sacr. Extr. Unct.; Inn. III: Prof, fidei Waldensibus præscripta; Pio X: Decr. Lamentabili, 3 lugl. 1908, prop. 48 tra le condannate.).

D. 470. Quali sono, dunque, gli effetti dell’Esterna Unzione?

R . L’Estrema Unzione:

1° conferisce un aumento della grazia;

2° solleva l’animo dell’infermo e lo aiuta specialmente a superare le tentazioni dell’ultima agonia;

3° cancella i residui dei peccati e rimette le colpe veniali, e persino le mortali, qualora l’infermo, non avendone coscienza, sia per lo meno attrito e nell’impossibilità di confessarsi;

4° cura talvolta il morbo, qualora ciò sia espediente alla salute dell’anima (Giac., V, 14, 1 5; Conc. di Tr., sess. XIV, cap. 2, De Extr. Unct.; S. Cesario d’Arles: Sermo CCLXV, 3. — I residui dei peccati sono le debolezze dell’anima e le cattive abitudini che promanano dal peccato).

D. 471. Chi è il ministro ordinario di questo sacramento?

R. Ministro ordinario di questo sacramento è il parroco del luogo ove trovasi l’infermo; in caso, poi, di necessità, con l’autorizzazione per lo meno ragionevolmente presunta del parroco o dell’Ordinario del luogo, qualsiasi altro sacerdote può amministrare questo sacramento – (Cod. D. C. , can. 938, § 2. — Nella Chiesa orientale si usa conferire questo Sacramento da parecchi sacerdoti contemporaneamente.).

D. 472. Qual è la materia dell’Estrema Unzione?

R. La materia dell’Estrema Unzione è l’olio d’oliva benedetto dal Vescovo, o dal sacerdote che dalla Sede Apostolica abbia ricevuto facoltà di benedirlo; l’unzione fatta con l’olio predetto è la materia prossima.

D. 473. Qual’è la forma dell’Estrema Unzione?

R. La forma dell’Estrema Unzione è la preghiera che il ministro pronunzia nel fare l’unzione, seguendo i propri libri rituali approvati (Conc. di Tr., 1. c.).

D. 474. A chi vien conferito questo sacramento?

R. Questo sacramento vien conferito al fedele il quale, dopo raggiunto l’uso di ragione, per malattia o vecchiaia, versa in pericolo di morte.

D. 475. Quante volte questo sacramento può esser conferito?

R. Questo sacramento una volta soltanto può esser conferito nel medesimo pericolo di morte; se poi tale pericolo, una volta cessato, si ripresentasse, può di nuovo essere amministrato (Cod. D . C , can. 940, § 2).

D. 476. Questo sacramento può esser conferito ad un infermo che non sia in possesso della sue facoltà?

R. Questo sacramento può essere conferito anche all’infermo che, mentre era ancora in possesso delle sue facoltà, o ne fece richiesta per lo meno implicita, o tale richiesta avrebbe verisimilmente fatta; e ciò stesso quand’anche in seguito avesse perduti i sensi o l’uso della ragione. (Cod. D. C. , can. 943.).

D. 477. Che cosa deve fare l’ammalato prima di ricevere l’Estrema Unzione?

R. Prima di ricevere l’Estrema Unzione, l’ammalato deve: 1° confessare, se lo può, i suoi peccati, e se non lo può, fare almeno l’atto di contrizione;

2° emettere inoltre atti di fede, di speranza, di carità e di completa rassegnazione alla volontà di Dio.

D. 478. E’ questo sacramento necessario per la salvezza?

R. Questo sacramento non è di assoluta necessità per la salvezza, ma sarebbe colpa il tralasciarlo; non solo, ma bisogna mettere ogni cura e diligenza perché l’ammalato riceva questo sacramento al più presto, non appena si affacci il pericolo di morte e mentre è ancora in possesso delle sue facoltà.

(Cod. D. C. , can. 944. — Odioso e crudele è l’agire di colui che, pretestando motivi di affetto e di prudenza, con la sua opposizione o con la sua negligenza impedisce al sacerdote di amministrare per tempo i Sacramenti agli ammalati. Così facendo, o Cristiano, vieni a privare un tuo fratello dei supremi aiuti e conforti della Religione; forse gli precludi persino la possibilità e il modo di raggiungere l’eterna felicità. Qual conto spaventoso dovrai rendere a Dio!).

Art. 6. — DEL SACRAMENTO DELL’ORDINE.

D. 479. Che cos’è il sacramento dell’Ordine, ovvero della sacra ordinazione?

R. Il sacramento dell’Ordine, ovvero della sacra ordinazione è il sacramento istituito da Gesù Cristo per costituire nella Chiesa Vescovi, sacerdoti e ministri, ognuno con quella sua potestà e grazia che li renda capaci di debitamente esercitare le funzioni del proprio grado (Atti, VI, 6; XIII, 3; Paolo: 1a ad Tim., IV, 14; V, 22 2a ad Tim., I , 6; Conc. II di Lione: Prof, fidei Mich. Pal.; Conc. di Fir.: Decr. prò Armenis; Conc. di Tr., sess. XXIII,can. 3; Pio X: Decr. Lamentabili, prop. 50 tra le condannate.).

D. 480. Questi gradi sono fra sé uguali?

R. Questi gradi non sono fra sé uguali, bensì gli uni più importanti degli altri, venendo così a formare la sacra gerarchia dell’Ordine (Matt., XVI, 18, 19; XVIII, 18; Giov., XXI, 17; Atti, VI, 6; Paolo: I a ad Tim., III, 1-13; ad Tit., I , 5-9; Conc. di Tr., sess. XXIII, can. 2, 6, 7.).

D. 481. In quale più precisa circostanza istituì Gesù Cristo questo sacramento?

R. Gesù Cristo istituì questo sacramento più precisamente allor quando agli Apostoli ed ai loro successori nel sacerdozio conferì la potestà di offrire il sacrificio della Messa e quella di rimettere o ritenere i peccati (Matt., XVIII, 18; Luca, XXII, 19; Giov., XX, 23; Paolo: 1a ad Cor., XI, 23-25.).

D. 482. Qualè la dignità del sacerdozio?

R. La dignità del sacerdozio è la più alta di tutte, in quanto il sacerdote è il ministro di Cristo e il dispensatore dei misteri di Dio, il mediatore fra Dio e gli uomini, colui che ha potestà sul corpo di Cristo, tanto reale quanto mistico (Paolo: Ia ad Cor., IV, 1 ; 2a ad Cor., V, 20; VI, 4; 2a ad Tim., V, 17; ad Hebr., XIII, 17; Pio XI: Lett. Officiorum omnium, 1 ag. 1922. — Non sono quindi da ammettersi alla dignità del sacerdozio se non quelli che, chiamati da Dio e debitamente provati dai superiori, entrano nello stato ecclesiastico con l’unico intento di servire la causa della gloria di Dio e della salute delle anime: « E nessuno — dice S. Paolo, ad Hebr., V, 4 — si assume l’onore, se non sia chiamato da Dio, come Aronne ». Cat. p, parr., p. I , cap. VII, n. 3 e segg.).

D. 483. Qual è la materia e quale la forma della sacra ordinazione?

R. La materia della sacra ordinazione è l’imposizione delle mani o la consegna degl’istrumenti quale vien prescritta nei libri pontificali approvati; la forma, poi, consiste in quelle parole che il ministro pronunzia mentre impone le mani o consegna i detti strumenti.

D. 484. Come debbono condursi i fedeli nei confronti dei sacerdoti?

R. I fedeli debbono ai sacerdoti ogni onore e riverenza, e debbono altresì pregare Iddio che alla sua Chiesa conceda santi e degni ministri (Matt., IX, 38: X, 40; Luca, X, 2, 16; Giov., XIII, 20.).

D. 485. Peccano quei genitori che costringono i figli al sacerdozio o dal sacerdozio li distolgono?

R. Peccano, e quei genitori che costringono i figli al sacerdozio, in quanto si arrogano quel diritto che Dio a sé solo riserva, cioè di scegliere i suoi ministri a traverso il ministero del Vescovo; e quelli che dal sacerdozio li distolgono, in quanto resistono alla volontà divina, ingiustamente negano ai figli il diritto di seguire la divina vocazione, e se stessi e i figli privano di grazie numerose e specialissime (Giov., XV, 16.).

D. 486. Chi è il ministro della sacra ordinazione?

R. Ministro ordinario della sacra ordinazione è il proprio Vescovo dell’ordinando, oppure un Vescovo da quello delegato; ministro straordinario è quello cui il diritto stesso o uno speciale indulto apostolico concedono la facoltà di conferire taluni Ordini (Cod. D. C, can. 951).

Art. 7. — DEL SACRAMENTO DEL MATRIMONIO. (*)

(*) Nel Cod. di D . C , can. 1012 e segg., si troveranno più diffusamente svolte le prescrizioni canoniche qui rammentate circa le proprietà del Matrimonio, gl’impedimenti matrimoniali sia impedienti che dirimenti, il consenso matrimoniale e la forma della celebrazione del Matrimonio.

D. 487. Che cos’è il sacramento del Matrimonio?

R. Il sacramento del Matrimonio è lo stesso matrimonio validamente contratto fra battezzati, eretto da Gesù Cristo a dignità di sacramento, per mezzo del quale vien conferito ai coniugi tale grazia onde possano debitamente compiere i doveri inerenti ai loro rapporti tanto mutui quanto verso i figli (Paolo: ad Eph., V, 22-23; Conc. di Fir.: Decr. prò Armenis; Conc. di Tr., sess. VII, De Sacramentis, can. I, e sess. XXIV, De Sacram. Matr., can. 1; Leone VIII: Enc. Arcanum divinæ sapientiæ, 10 febbr. 1886; S. Cir. Aless. : In Joann. Evang., II, 1).

D. 488. Può sussistere fra Cristiani matrimonio valido che non sia sacramento?

R. Fra Cristiani non può sussistere matrimonio valido che non sia lo stesso fatto sacramento, poiché Gesù Cristo si degnò di elevare a dignità di sacramento il matrimonio medesimo (Leone XIII, 1 c.; Cod. D. C., can. 1012).

D. 489. Quali sono i ministri di questo sacramento?

R. I ministri di questo sacramento sono gli sposi medesimi nell’atto di contrarre il matrimonio.

D. 490. Qual è la materia e quale la forma del sacramento del Matrimonio?

R. La materia del sacramento del Matrimonio è la mutua tradizione del diritto sul corpo in ordine al fine del Matrimonio; la forma è la mutua accettazione di questo medesimo diritto.

D. 491. Quali sono le proprietà essenziali del Matrimonio?

R. Le proprietà essenziali del Matrimonio sono l’unità e l’indissolubilità, proprietà che nel Matrimonio cristiano, a ragione del sacramento, hanno speciale fermezza.

(Matt., V, 32; XIX, 3-9; Marco, X, 2-12; Luca, XVI, 18; Paolo: ad Rom., VII. 2. 3; 1a ad Cor., VI, 16; VII, 10, 11, 39; Leone XIII, 1. c.; S. Àgost.: De adulterinis conjugiis, I, 9; De nuptiis et concup., I, 10)

D. 492. In che cosa consiste l’unità del Matrimonio?

R. L’unità del Matrimonio consiste in ciò che il marito, vivente la moglie, non può avere altra moglie, né la moglie, vivente il marito, un altro marito (Matt., XIX, 4-6; Conc. di Tr., 1. c., can. 2; Innoc. III: Epist. ad Episc. Tiberiadensem.).

D. 493. In che cosa consiste l’indissolubilità del Matrimonio?

R. L’indissolubilità del Matrimonio consiste in ciò che il vincolo matrimoniale non può sciogliersi se non per morte. (Matt., XIX, 6; Marco, X, 11-12; Luca, XVI, 18; Paolo: ad Rom., VII, 3; J a ad Cor., VII, 10-11, 39; Conc. di Tr., 1. c., can. 6, 7; Pio IX: prop. 67 del Sillabo; Leone XIII, 1. c. —

Questa seconda proprietà del Matrimonio va brevemente spiegata come segue:

Il Matrimonio contratto tra fedeli:

1° Se rato e consumato, è indissolubile;

2° Se rato soltanto, vien sciolto, sia dal diritto medesimo per la solenne professione religiosa, sia previa dispensa concessa dalla Sede Apostolica, su richiesta di una almeno delle parti.

Il matrimonio contratto tra infedeli:

1° Se nessuna delle due parti ha ricevuto il Battesimo, è per natura indissolubile;

2° Se una solo di esse lo ha ricevuto, allora il matrimonio viene sciolto, sia dal diritto medesimo a favore della fede in forza del privilegio paolino, quando, cioè, la parte infedele si rifiuti alla conversione, al Battesimo e alla coabitazione pacifica e senza contumelia del Creatore con la parte battezzata, e questa abbia contratto nuove nozze; sia previa dispensa concessa dalla Sede Apostolica, su richiesta della parte battezzata;

3° Se l’una e l’altra hanno ricevuto il Battesimo (e perciò stesso il matrimonio è risultato rato):

a) Qualora il matrimonio sia stato consumato dopo il Battesimo, è indissolubile;

b) Qualora non sia stato consumato, né prima né dopo il Battesimo, viene sciolto, sia dal diritto medesimo per la solenne professione religiosa, sia previa dispensa concessa dalla Sede Apostolica, su richiesta di almeno una delle parti;

c) Qualora il matrimonio sia stato consumato prima del Battesimo e non dopo, può essere sciolto previa dispensa concessa dalla Sede Apostolica, su richiesta di almeno una delle parti.

Contratto tra una parte fedele ed una parte infedele con dispensa dall’impedimento della disparità di culto:

1° Il Matrimonio non viene sciolto in forza del privilegio paolino;

2° Il Matrimonio non consumato viene sciolto per la solenne professione religiosa, e per dispensa pontificia come sopra è stato detto.

3° Consumato può esser sciolto per dispensa pontificia su richiesta della parte fedele.

È poi evidente che per l’esercizio della pontificia potestà, si richiedono motivi giusti, gravi e urgenti, e che non vi sia scandalo.)

D. 494. Qual è il diritto che disciplina il matrimonio dei cristiani?

R. Il diritto che disciplina il matrimonio dei Cristiani è quello divino ed ecclesiastico, salva la competenza del potere civile in ordine agli effetti meramente civili.

D. 495. Quali sono gli effetti meramente civili del Matrimonio?

R. Gli effetti meramente civili del Matrimonio sono effetti separabili dalla sostanza del Matrimonio, come, per esempio: la misura in cui è dovuta la dote, i diritti di successione dei coniugi tra loro, dei figli rispetto ai genitori, e vice versa, ecc.

D. 496. Che cosa s’intende con l’espressione: impedimento matrimoniale?

R. Con l’espressione: impedimento matrimoniale s’intende quello che rende la celebrazione del Matrimonio, o semplicemente illecita (impedimento impediente), o anche invalida (impedimento dirimente).

D. 497. Chi è che può fissare o dichiarare per i battezzati gl’impedimenti matrimoniali?

R. Alla suprema autorità ecclesiastica spetta il diritto esclusivo tanto di determinare per i battezzati per mezzo di legge generale o particolare, gl’impedimenti impedienti o dirimenti il matrimonio, quanto di dichiarare i casi in cui il diritto divino lo impedisce o dirime (Conc. di Tr., Sess. XXIV, can. 4).

D. 498. Quali sono gl’impedimenti che semplicemente impediscono il Matrimonio?

R. Gl’impedimenti che semplicemente impediscono il Matrimonio, sono (2 Cod. D. C, , can. 1058-1066):

1° il voto semplice, sia di virginità, sia di perfetta castità, sia di non contrarre matrimonio, sia di ricevere gli Ordini sacri e di abbracciare lo stato religioso;

2° la mista religione;

3° la parentela legale proveniente dall’adozione, in quei paesi ove la legge civile la considera quale impedimento impediente il Matrimonio.

D. 499. Quali sono gl’impedimenti che dirimono il Matrimonio?

R. Gl’impedimenti che dirimono il Matrimonio, sono (Cod. D. C., can. 1067-1080).

1° l’età;

2° l’impotenza antecedente e perpetua;

3° il legame, ossia il vincolo di un matrimonio precedente;

4° la disparità di culto;

5° l’Ordine sacro;

6° la professione religiosa solenne;

7° il ratto;

8° il crimine;

9° la consanguineità;

10° l’affinità;

11° la pubblica onestà;

12° la cognazione spirituale proveniente dal Battesimo;

13° la cognazione legale proveniente dall’adozione in quei paesi ove la legge civile la considera quale impedimento dirimente del Matrimonio.

D. 500. Quali sono le condizioni requisite per validamente contrarre il Matrimonio fra Cristiani?

R. Per validamente contrarre il Matrimonio fra Cristiani le condizioni requisite sono, che gli sposi:

1° siano immuni da ogni impedimento dirimente;

2° liberamente diano il consenso;

3° contraggano le nozze in presenza del parroco, o dell’Ordinario del luogo, o di un sacerdote delegato dall’uno o dall’altro, e in presenza per lo meno di due testimoni.

D. 501. Il Matrimonio celebrato in questa forma consegue in Italia anche gli effetti civili?

R. Il Matrimonio celebrato in questa forma consegue in Italia anche gli effetti civili, perché lo Stato italiano riconosce tali effetti al sacramento del Matrimonio.

D. 502. Il Matrimonio così celebrato come consegue in Italia anche gli effetti civili?

R. Il Matrimonio così celebrato consegue in Italia anche gli effetti civili, mediante la sua regolare trascrizione nei registri dello stato civile, fatta a richiesta del parroco.

D. 503. Gli sposi cattolici in Italia possono compiere anche il matrimonio civile?

R. Gli sposi cattolici in Italia non possono compiere il matrimonio civile né prima né dopo il Matrimonio religioso: che se lo osassero, anche con l’intenzione di celebrare in appresso il Matrimonio religioso, sono dalla Chiesa considerati come pubblici peccatori.

D. 504. Quali sono inoltre le condizioni requisite per lecitamente contrarre il matrimonio?

R. Le condizioni inoltre requisite per lecitamente contrarre il Matrimonio sono, che gli sposi:

1° siano in istato di grazia;

2° sufficientemente istruiti nella dottrina cristiana;

3° immuni da qualsiasi impedimento impediente;

4° osservino ogni altra prescrizione della Chiesa per la celebrazione del Matrimonio.

D. 505. Dispensa talvolta la Chiesa dall’impedimento della disparità di culto o della mista religione?

R. Solo per gravissimo motivo la Chiesa dispensa dall’impedimento della disparità di culto o della mista religione, permettendo i l Matrimonio fra Cattolico e non cattolico.

D. 506. Quando la Chiesa concede tale dispensa e permette detto Matrimonio, che cosa esige?

R. Quando la Chiesa concede tale dispensa e permette detto Matrimonio, dal coniuge acattolico essa esige una garanzia per cui venga eliminato ogni pericolo di perversione del coniuge cattolico; da entrambi poi i coniugi, essa esige inoltre che l’intera prole venga battezzata ed educata nel Cattolicesimo; inoltre il coniuge cattolico è tenuto a procurare prudentemente la conversione del coniuge acattolico.

D. 507. A qual giudice spettano le cause matrimoniali?

R. Qualora riguardino il vincolo, le cause matrimoniali fra battezzati spettano di diritto proprio ed esclusivo al giudice ecclesiastico, ferma rimanendo la competenza dell’autorità civile in quelle cause che riguardano i soli effetti civili (Conc. di Tr., sess. XXIV, can. 12: Cod. D. C., can. 1960 e 1961).

D. 508. Hanno l’obbligo i fedeli di rivelare all’autorità ecclesiastica gli impedimenti matrimoniali?

R. I fedeli hanno l’obbligo di rivelare all’autorità ecclesiastica gl’impedimenti matrimoniali, specie quando si fanno le pubblicazioni di matrimonio, dalla Chiesa espressamente stabilite affinché quegl’impedimenti siano conosciuti.

(Nello scegliere lo stato di vita, attendi innanzi tutto a Dio e all’anima tua. Se, dopo matura riflessione, riterrai il Matrimonio come a te più confacente, fatti un dovere di confidare questo tuo divisamento ai tuoi genitori, cui spetta il diritto e l’obbligo di aiutarti in così grave deliberazione coi loro opportuni consigli, anche se non possano né distoglierti dalle nozze quali che esse siano, né esigere che tu le contragga con persona che non ti vada a genio. Ciò fatto, con l’applicarti alla preghiera e alle opere buone, col vegliare soprattutto all’integrità dei costumi, preparati diligentemente al Matrimonio. Premessa la confessione sacramentale, accostati alla celebrazione del grande Sacramento, ed imprimigli quasi il sigillo di Dio degnamente ricevendo, assieme al coniuge, la santissima Eucaristia, affinché dalla fonte del Cuore divino scendano sul consorzio maritale più copiose le grazie. Abbi, poi, ognora presente nell’animo tuo, il proposito di santamente e inviolabilmente osservare i doveri e le leggi del Matrimonio ed educare nella religione e nei buoni costumi la prole che Dio ti avrà concesso).

CATECHISMO CATTOLICO DEL CARDINAL GASPARRI (13)

CATECHISMO CATTOLICO A CURA DEL CARDINAL PIETRO GASPARRI (13)

PRIMA VERSIONE ITALIANA APPROVATA DALL’AUTORE 1932 COI TIPI DELLA SOC. ED. (LA SCUOLA) BRESCIA

Brixiæ, die 15 octobris 1931.

IMPRIMATUR

+ AEM. BONGIORNI, Vie. Gen

III.

CATECHISMO PER GLI ADULTI DESIDEROSI DI APPROFONDIRSI NELLA CONOSCENZA DELLA DOTTRINA CATTOLICA.

Art. 3. — DELL’EUCARISTIA.

D. 371. Che cos’è l’Eucaristia?

R. L’Eucaristia, come chi dicesse buona grazia o azione di grazia, è un divinissimo dono del Redentoree un mistero della fede, nel quale, sotto le specie delpane e del vino, Gesù Cristo è personalmente contenuto,offerto e ricevuto, sacrificio insieme e Sacramento dellanuova Legge (Conc. Lat., II, can. 33; Conc. di Tr., sess. XIII, c. I)

A) Della presenza reale di Gesù Cristo nell’Eucaristia.

D. 372. Quand’è che Gesù Cristo istituì la santissima Eucaristia?

R. Gesù Cristo istituì la santissima Eucaristia nell’ultima cena, prima di patire, quando, preso il pane, rese grazie, lo distribuì ai suoi discepoli dicendo: « Prendete e mangiate,  questo è il mio corpo »; e preso il calice, lo dette loro dicendo : « Bevete, questo infatti è il mio sangue », aggiungendo: « Questo fate in memoria di me » (Matt., XXVI, 26-28; Marco, XIV, 22-24; Luca, XXII, 19, 20; Paolo: Ia ad Cor., XI, 23-25; Conc. di Tr., 1. c.)

D. 373. Cosa avvenne quando Gesù Cristo ebbe pronunziato sul pane e sul vino le parole della consacrazione?

R. Quando Gesù Cristo ebbe pronunziato sul pane e sul vino le parole della consacrazione, avvenne una mirabile e singolare conversione di tutta la sostanza del pane nel corpo, e di tutta la sostanza del vino nel sangue di Gesù Cristo, pur rimanendo le specie del pane e del vino.

(Conc. di T r., 1. c., cap. 4; S. Giustino: Apologia, I, 66; – S. Efrem: In hebdomadam sanctam, I V , 4, 6 ; S. Atanasio: Sermo ad baptizatos; S. Cirill. Geros.: Cathech., XXII et XXIII; S. Giov. Cris. : In Matth., LXXXII, 4; S. Giov. Damasceno: De fide ortodoxa, IV, 13).

D. 374. Come si chiama tale conversione?

R. Tale conversione si chiama transustanziazione.

(Conc. Lat., IV: De fide cattolica, c. I ; Conc. di Lione II: Prop, fidei Mich. Pal.; Conc. di Costanza, sess. VIII, prop. l e segg.; Conc. di Tr., 1. c. e can. 2; Bened. XII: Ex libello Jamdudum; Pio VI: Const. Auctorem fidei, prop. 29; Cat. p. parr., p. II, c. IV, n. 38.)

D. 375. Che cosa s’intende per specie del pane e del vino?

R. Per specie del pane e del vino s’intende la quantità, la figura, l’odore, il sapore, il colore e quanto nel pane e nel vino si presenta oggettivamente ai sensi.

D. 376. Che cosa volle Gesù Cristo nell’aggiungere quelle parole: Fate questo in memoria di me?

R. Nell’aggiungere quelle parole: Fate questo in memoria di me, Gesù Cristo volle costituire e costituì isuoi Apostoli sacerdoti del nuovo Testamento, e tantoad essi quanto ai loro successori nel sacerdozio comandòche similmente consacrassero, offrissero, e amministrassero il suo corpo e il suo sangue sotto le specie del pane. e del vino (Luca, XXII, 19; Paolo: I ad Cor., XI,24, 25; Conc. di Tr., sess. XXII, c. 1 e can. 2.).

D. 377. Quand’è che i sacerdoti esercitano tale potestà ed eseguiscono tale comandamento?

R. I sacerdoti esercitano tale potestà ed eseguiscono tale comandamento, quando, impersonando Gesù Cristo, celebrano il sacrificio della Messa.

D. 378. Che cosa dunque avviene quando il sacerdote pronunzia nella Messa sul pane e sul vino le parole della consacrazione?

R. Quando il sacerdote pronunzia nella Messa sul pane e sul vino le parole della consacrazione, sotto le specie del pane e del vino si rende realmente e sostanzialmente presente il corpo e il sangue di Nostro Signor Gesù Cristo, in un con la sua anima e la sua divinità.

D. 379. Dopo la consacrazione, sotto la specie del pane c’è solo il corpo di Cristo, e solo il suo sangue sotto la specie del vino?

R. Dopo la consacrazione, sotto la specie del pane non c’è soltanto il corpo di Cristo, né sotto la specie del vino soltanto il suo sangue, ma sotto ciascuna specie, e sotto le singole parti di ciascuna specie, è contenuto tutto e intero Gesù Cristo, Dio e Uomo (Giov., VI, 58; Paolo: I ad Cor., XI, 26, 27; Conc. di Tr., sess. XIII, c. 3, can. 3; Cat. p. parr., p. II, c. IV, n. 36).

D. 380. Gesù Cristo, nell’esistere sotto le specie sacramentali, cessa forse di stare in cielo?

R. Gesù Cristo, nell’esistere sotto le specie sacramentali, non cessa di stare in cielo, ma trovasi simultaneamente in cielo e sotto le specie sacramentali.

D. 381. Fino a quando Gesù Cristo rimane sotto le specie sacramentali?

R. Gesù Cristo rimane sotto le specie sacramentali non solo mentre vien ricevuto, ma fino a quando le specie non sieno corrotte.

D. 382. Qual è la materia adatta per consacrare la Santissima Eucaristia?

R. La materia adatta per consacrare la Santissima Eucaristia è il pane di grano e il vino di vite.

(A norma delle prescrizioni della Chiesa, deve in Occidente adoperarsi l’azimo, il pane fermentato, invece, nella maggior parte delle Chiese orientali; devesi inoltre prima della consacrazione mescolarsi un po’ d’acqua col vino. — Conc. di Fir.: Dec. prò Græcis, e Decr. prò Armenis; Conc. di Tr., sess. XXII, c. 7.).

D. 383. Quali sono le parole necessarie per consacrare l’Eucaristia?

R. Le parole necessarie per consacrare l’Eucaristia sono quelle medesime che Nostro Signor Gesù Cristo pronunziò nell’ultima cena sul pane e sul vino, e che il sacerdote, impersonando Gesù Cristo, ripete nella celebrazione della Messa.

(Conc. di Fir.: Decr. prò Armenis; Cat. p. parr., p. II, c. IV, n. 12 e segg. — Gesù Cristo Signor Nostro — come dice il Vangelo di S. Giovanni, XIII, 1 — nell’ultima cena, dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine, cioè, coll’istituire la santissima Eucaristia, dimostrò verso di loro il suo amore infinito. Bene quindi afferma il Concilio Tridentino, sess. XIII, cap. 2, che con l’istituzione della santissima Eucaristia il nostro Redentore « fece straboccare sugli uomini le ricchezze del suo divino amore, creando un ricordo delle sue meraviglie»; poiché, giustamente spiega un pio autore: con tutta la sua onnipotenza, Egli non poté dar di più; con tutta la sua sapienza, non seppe dar di più: con tutta la sua ricchezza, non ebbe a dar di più ». Piamente, dunque, o Cristiano, medita di frequente tanto pegno di divina carità, onde tal pensiero ti inciti a sempre più e meglio riamare Chi tanto amore ti dimostrò né cessa di dimostrarti.).

B) Del sacrificio della Messa.

D. 384. Che cos’è il sacrificio?

R. Il sacrificio è l’offerta di una cosa sensibile, mediante una qualche sua immutazione, fatta a Dio solo, in segno del supremo onore e della suprema riverenza che l’uomo deve a Dio come suo creatore, signore ed ultimo fine (S. Tom., 2a 2æ, q. 85, a. 1, 2, 3, 4).

D. 385. È  la Messa il vero e proprio sacrificio della nuova Legge?

R. La Messa è il vero e proprio sacrificio della nuova Legge, in quanto, mediante il ministero del sacerdote, Gesù Cristo vi offre incruentemente a Dio Padre, con mistica immolazione, il proprio corpo e il proprio sangue sotto le specie del pane e del vino (Sal., CIX, 4; Malach., I, 11; Luca, XXII, 19, 20; Paolo: 1a ad Cor., XI, 24, 25; ad Hebr., XIII, 10; Conc. Later., IV, c. I; Conc. di Tr., sess. XXII, c. I; S. Ireneo: Adversus hereses, IV, 17, 5).

D. 386. Perché Gesù Cristo ha istituito questo mirabile sacrificio?

R. Gesù Cristo ha istituito questo mirabile sacrificio per lasciare alla Chiesa un sacrificio quale la natura umana lo esige, cioè visibile, e tale poi, che non solo rappresentasse quell’altro cruento consumato una volta sulla croce, ma ne mantenesse la memoria sino alla fine dei secoli e ne applicasse infine la salutare virtù per la remissione dei peccati che ogni giorno commettiamo. (Luca, XXII, 19; Paolo: Ia ad Cor., XI, 24-26; Conc. di Tr., 1. e; S. Greg. Magn.: Dialog. IV, 58).

D. 387. In qual maniera la Messa rappresenta il sacrificio della Croce?

R. La Messa rappresenta il sacrificio della Croce in quanto la consacrazione del pane e del vino, fatta separatamente, rappresenta, in forza delle parole stesse, quella reale separazione del corpo dal sangue che Nostro Signor Gesù Cristo ebbe a patire nella morte cruenta della Croce.

(Conc. di Tr., sess. XIII, c. 3; S. Tom., p. 3a, q. 74, a. 1; Cat. p. parr., p. II, c. IV, n. 76. — In altri termini, nella consacrazione del pane, è il corpo di Cristo che si fa presente in virtù delle parole: Questo è il mio corpo, ed è il sangue di Cristo che si fa presente in virtù delle parole: Questo è il calice del mio sangue; senonché, nella consacrazione del pane si fa presente il sangue con l’anima, e il corpo con l’anima nella consacrazione del vino, in forza di quella naturale connessione e concomitanza, per cui le parti di Gesù Cristo Nostro Signore, risuscitato da morte per mai più morire, sono unite l’una con l’altra; quanto poi alla divinità, essa si fa presente in entrambe le consacrazioni a causa della sua mirabile unione ipostatica col corpo e con l’anima. Orbene, questa mistica separazione rappresenta quella separazione reale nella quale consiste lo stesso sacrificio della croce.

D. 388. E’ la Messa una semplice e nuda rappresentazione del sacrificio della Croce?

R. La Messa non è una semplice e nuda rappresentazione del sacrificio della Croce, ma è il sacrificio medesimo della Croce che vien rinnovato; identica infatti è la vittima, identico l’offerente, che oggi si offre per mezzo del ministero sacerdotale, mentre allora sulla Croce offrì se stesso; solo quindi varia il modo dell’offerta (Conc. di Tr., sess. XXII, c. 2; Cat. p. parr. 1. c. n. 76, 7).

D. 389. Come ci vengono applicati mediante il sacrificio della Messa, i frutti del sacrificio della Croce?

R. I frutti del sacrificio della Croce ci vengono applicati mediante il sacrificio della Messa nel senso che Dio, placato da tale immolazione, accorda quelle grazie che Gesù Cristo ci meritò a prezzo del suo sangue (Conc. di Tr., 1. c.; Cat. p. parr., p. II, c IV, n. 34).

D. 390. A qual fine viene offerto il sacrificio della Messa?

R. Il sacrificio della Messa viene offerto al fine:

1° di adorare Iddio, e perciò è latreutico;

2° di rendergli grazie per la grande gloria sua e per i benefizi di cui ci ha colmati, e perciò è eucaristico;

3° di ottenere altri benefizi ancora, e perciò è impetratorio;

4° di rendere Dio propizio, tanto ai vivi, a causa del peccato e delle pene al peccato dovute, quanto alle anime del Purgatorio, e perciò è propiziatorio (S. Cirill. Geros.: Catech. XXIII (myst. V), 10).

D. 391. A chi viene offerto il sacrificio della Messa?

R. Il sacrificio della Messa viene offerto esclusivamente a Dio, atteso che il dominio supremo, quale lo esprime il sacrificio, appartiene a Dio solo.

D. 392. Perché allora la Chiesa suol celebrare il sacrificio della Messa anche in onore e in memoria della beata Vergine Maria e dei Santi?

R. Quantunque la Chiesa soglia celebrare i l sacrificio della Messa anche in onore e in memoria della beata Vergine Maria e dei Santi, pur tuttavia, non a questi offre essa il sacrificio, ma a Dio solo, rendendo grazie per le loro vittorie e implorando il loro patrocinio presso Dio (Conc. di Tr., sess. XXII, can. 5).

D. 393. A beneficio di chi viene applicata la Messa?

R. Ogni e qualsiasi Messa, essendo il sacrificio della Chiesa Cattolica offerto dal pubblico ministro della Chiesa, viene applicata non ad esclusivo beneficio del celebrante, ma a comune beneficio dei fedeli sia vivi che defunti, e di quelli specialmente che il celebrante rammenta nella Messa (Conc. di Tr., sess. XXII, c. 6; Cat. p. parr., p. II, c. IV n. 79.).

D. 394. Può il sacerdote applicar la Messa per una persona particolare o per un fine determinato qualsiasi?

R. Il sacerdote può applicare la Messa per una persona particolare, sia vivente che defunta, o per un fine determinato qualsiasi; dal che segue che la Messa, a parità di condizioni, giova in modo speciale a quella tal persona o a conseguire quel tale fine (Pio VI: Const. Auctorem fidei, prop. 30 inter damnatas).

D. 395. Qual è la maniera migliore di assistere alla Messa?

R. La maniera migliore di assistere alla Messa è, per i fedeli presenti, quella di offrire a Dio la divina Vittima unitamente al sacerdote, di riandar col pensiero al sacrificio della Croce e di unirsi a Gesù Cristo, con la Comunione sacramentale, o per lo meno con quella spirituale (Non c’è nella religione cristiana atto per se stesso più santo, nessun altro che a Dio procuri maggior gloria, nessuno che giovi in misura così abbondante alla salvezza delle anime come questo sacrosanto sacrificio della Messa, in cui, tutto e intero, c’è quel frutto della Redenzione da Cristo compiuta sulla croce. A tale augusto e divino sacrificio assisti, quindi, di frequente, o cristiano, e atteggia allora l’animo tuo a quell’ardente pietà con la quale avresti assistito sul Calvario all’estrema agonia del Crocifisso).

C) Del Sacramento dell’Eucaristia.

D. 396. Che cos’è il sacramento dell’Eucaristia?

R . Il sacramento dell’Eucaristia è un sacramento istituito da Gesù, nel quale, sotto le specie del pane e del vino, Gesù Cristo in persona, autore della grazia, è veramente, realmente e sostanzialmente contenuto per il nutrimento spirituale dalle anime nostre (Giov., VI, 54-58; Cat. p. parr., p. II, c. IV, n. 7).

D. 397. Perché Gesù Cristo istituì il sacramento dell’Eucaristia?

R. Gesù Cristo istituì il sacramento dell’Eucaristia:

1° perché tanto ci amò da voler rimanere presente fra noi, onde poi essere da noi riamato ed onorato;

2° per unirsi a noi mediante la santa Comunione; e ciò per essere all’anima nostra, e celeste alimento, con cui difendere e sostentare la nostra vita spirituale, e nostro viatico per l’eternità alla fine della vita temporale.

(Giov., VI, 50 e segg.; Paolo: 2a ad Cor., X, 16, 17; Conc. di Tr., sess. XIII, c. 2; S. Ignazio M.: Epist. ad Magnesios, 20; S. Ireneo: Adv. haer., V, 2, 3; S. Giovanni Crisost.: In Joannem, XLVI, 3; e in Ia ad Cor., XXIV, 2; S. Tom., p. III q. 79, a. 4 e 6; Cat. p. parr., p. II, n. 70).

D. 398. Come si distingue l’Eucaristia sacramento dall’Eucaristia sacrificio?

R. L’Eucaristia sacramento si distingue dall’Eucaristia sacrificio:

1° in quanto il sacramento si compie con la consacrazione e permane, mentre la natura del sacrificio consiste nell’essere offerto; indi è che l’ostia divina conservata nella pisside o portata ad un ammalato ha carattere di sacramento, non di sacrificio;

2° in quanto il sacramento, a chi si comunica, reca argomento di merito e spirituali giovamenti, mentre il sacrificio non solo merita, ma anche soddisfa (Cat. p. parr.: 1. c., n. 71).

D. 399. Che cosa si richiede per degnamente ricevere l’Eucaristia?

R. Per degnamente ricevere l’Eucaristia, oltre il Battesimo e lo stato di grazia, il primo come in tutti i Sacramenti ricevuti dopo il Battesimo, il secondo come in tutti i Sacramenti dei vivi, si richiede ancora, sotto pena di grave peccato, il digiuno naturale (Paolo: 1a ad Cor., XI, 27-29; S. Giov. Crisost.: In Matth., LXXXII, 5).

D. 400. Che cosa deve fare chi sta per ricevere la santa Comunione e si sa colpevole di un peccato mortale?

R. Chi sta per ricevere la santa Comunione e si sa colpevole di un peccato mortale, per quanto pentito si possa ritenere, deve, prima di accostarsi alla sacra Mensa, fare la confessione sacramentale; che se il caso fosse tale da non tollerare alcun indugio, e non ci fosse confessore cui ricorrere, faccia un atto di contrizione perfetta (Conc. di Tr., sess. XIII, cap. 7; Cod. D. C , can. 856).

D. 401. Che cosa significa digiuno naturale?

R. Digiuno naturale significa nulla prendere per modo di cibo, o bevanda, o anche medicina, dalla mezzanotte fino al momento della Comunione (Cod. D. C., can. 858, § 2; Cat. p. parr., p. II, c. IV, n. 6. — « Chi debba ricevere la santa Comunione…. anche se diverso possa essere il computo in uso nel luogo, può attenersi al tempo del luogo, sia al tempo locale vero o medio, sia a quello legale, tanto regionale quanto ad un altro qualsiasi straordinario ». Cod. D. C , can. 33).

D. 402. Qual peccato commette chi non riceve a digiuno la santa Comunione?

R. Chi non riceve a digiuno la santa Comunione commette un grave peccato di sacrilegio.

D. 403. Quand’è che vien permessa la santa Comunione non osservato il digiuno naturale?

R. La santa Comunione vien permessa non osservato il digiuno naturale, quando urge il pericolo di morte, o necessità d’impedire qualche irriverenza verso il Sacramento (Cod. D. C, 1. c.).

D. 404. A quali infermi vien permessa la santa Comunione, non osservato il digiuno naturale?

R. A quegl’infermi che da un mese giacciono a letto senza certa speranza di prossima convalescenza, previo prudente consiglio del confessore, vien permessa la santa Comunione una o due volte per settimana, anche se in precedenza abbiano preso qualche medicina od altro, per modo di bevanda (Cod. D. C, 1. c., § 2.).

D. 405. Che cosa richiedesi perché la santa Comunione sia ricevuta, oltre che degnamente, anche devotamente?

R. Perché la santa Comunione sia ricevuta, oltre che degnamente, anche devotamente richiedesi che una diligente preparazione la preceda e un congruo ringraziamento la segua, secondo le forze, le condizioni e le incombenze di ognuno (S. Cong. d. Conc: Decr. De quotidiana SS. Eucharistiæ sumptione, 20 dic. 1905).

D. 406. In che cosa consiste la preparazione da farsi prima della santa Comunione?

R. La preparazione da farsi prima della santa Comunione consiste nel meditare attentamente e devotamente durante qualche tempo quanto stiamo per ricevere, e nell’esercitarci di tutto cuore in atti di fede, di speranza, di carità e di contrizione (S. Basil.: Regulæ, interrogano 172; Cat. p. parr., p. II, c. IV, n. 56 e segg.).

D. 407. In che cosa consiste il ringraziamento che segue la santa Comunione?

R. Il ringraziamento che segue la santa Comunione consiste nel meditare attentamente e devotamente durante qualche tempo quanto abbiamo ricevuto, e nell’emettere atti di fede, di speranza, di carità, di fermo proposito, di gratitudine e di domanda.

D. 408. Dopo la Comunione, che cosa dobbiamo principalmente chiedere a Gesù Cristo?

R. Dopo la Comunione dobbiamo chiedere a Gesù Cristo principalmente le grazie necessarie alla salvezza nostra e dei nostri prossimi, soprattutto la grazia della perseveranza finale, la vittoria della Chiesa sui suoi nemici e la pace eterna alle anime dei defunti.

D. 409. Quali effetti produce l’Eucaristia in chi devotamente la riceve?

R. L’Eucaristia, in chi degnamente e devotamente la riceve, produce gli effetti seguenti:

1° aumenta la grazia santificante e il fervore della carità;

2° rimette i peccati veniali;

3° contribuisce assai efficacemente alla finale perseveranza, sia col diminuire la concupiscenza, sia col preservare dai peccati mortali, sia col ringagliardire nell’esercizio delle opere buone (Giov. VI, 48 e segg.; Cat. p. parr., p. II, c. IV, n. 51 e segg.)

D. 410. Oltre il precetto della Comunione pasquale v’è, qualche altro obbligo di ricevere la Comunione?

R. Oltre il precetto della Comunione pasquale v’èl’obbligo di ricevere la Comunione in pericolo di morte, qualunque sia la causa donde tale pericolo possa provenire

(Cod. D. N., can. 864, § 1 e 2. — Chiunque abbia la responsabilità spirituale o corporale degl’infermi, badi a che il santo Viatico non venga loro troppo a lungo differito, e vigili perché gl’infermi, mentre sono ancora in possesso delle proprie facoltà, lo ricevano a conforto della loro anima.).

D. 411. Può, chi ha già ricevuto l’Eucaristia, riceverla una seconda volta lo stesso giorno?

R. Qualora chi ha già ricevuto l’Eucaristia venga a trovarsi in pericolo di vita, può — in forma di Viatico — riceverla una seconda volta lo stesso giorno; lo deve, poi, qualora questo sia l’unico modo d’impedire l’irriverenza al Sacramento (Cod. D. C , can. 857, 858).

D. 412. In qual maniera dobbiamo onorare Gesù Cristo presente nell’Eucaristia?

R. Dobbiamo onorare Gesù Cristo presente nell’Eucaristia:

1° adorandolo con somma riverenza;

2° riamando chi tanto ci amò;

3° pregandolo con ogni fiducia per ottenere le grazie.  

(Ogni qualvolta dunque entri in una Chiesa ove si conserva il santissimo Sacramento, poni attenzione che ti trovi al cospetto di Gesù Cristo medesimo, cioè di quello stesso Dio che gli angioli adorano tremando. Bada quindi a non commettervi la minima irriverenza. Egli giorno e notte vi dimora per amor tuo, come il più amoroso degli amici. Per cui sieno frequenti le tue visite a Lui, e per tanta carità rendigli grazie. Le sue mani sono ricolme di doni celesti, ed egli brama di largirteli; pregalo quindi fiduciosamente.).

Art. 4. — DEL SACRAMENTO DELLA PENITENZA.

D. 413. Che cos’è il sacramento della Penitenza?

R. Il sacramento della Penitenza è il sacramento istituito da Gesù Cristo per i fedeli che devono essere riconciliati con Dio medesimo, ogni volta che, dopo il Battesimo, siano caduti in peccato (Conc. di Tr., sess. XIV, c. I , can. 1).

D. 414. Quand’è che Gesù Cristo istituì questo Sacramento?

R. Gesù Cristo istituì questo Sacramento soprattutto il giorno in cui sui discepoli radunati dopo la risurrezione Egli soffiò, dicendo: «Ricevete lo Spirito Santo; a chiunque avrete rimesso i peccati, son questi rimessi, e a chiunque li avrete ritenuti, son questi ritenuti » (Giov., XX, 22, 23; Matt., XVI, 19; XVIII, 18; Conc. di Tr., sess. XIV, c. I; Pio X: Decr. Lamentabili, 3 lugl. 1907, prop. 42 tra le condannate; S. Giov. Cris.: De sacerdotio, III, 5.)

D. 415. In qual modo Gesù Cristo istituì questo Sacramento?

R. Gesù Cristo istituì questo Sacramento sotto forma di giudizio in cui, mentre il confessore fa da giudice, il penitente medesimo fa da accusatore e da testimone; quanto poi alla materia su cui verte il giudizio, essa consiste nei peccati commessi dopo il Battesimo e che il penitente confessa.

D. 416. Chi è il legittimo ministro del sacramento della Penitenza?

R. Il legittimo ministro del sacramento della Penitenza è il sacerdote debitamente approvato per udire le confessioni; e tutti indistintamente i fedeli sono perfettamente liberi di confessare i propri peccati a chi meglio credono dei confessori legittimamente approvati, fossero pure di rito diverso dal loro (Cod. D. C., can. 905.).

D. 417. Quali sono le parti di questo Sacramento?

R. Le parti di questo Sacramento sono, quasi sua materia, gli atti del penitente, cioè la contrizione, la confessione e la soddisfazione; sua forma poi è l’assoluzione del legittimo ministro (Conc. di Tr., sess. XIV, cap. 3, can. 4; Ritual. Rom.: De Sacram. Pœnit., tit. III, cap. I, n. 1; Cat. p. parr., p. I, c. V, n. 13).

D. 418. In qual modo nei tre atti del penitente vengono inclusi tanto l’esame di coscienza quanto il proposito di non più peccare?

R. Nei tre atti del penitente vengono inclusi tanto l’esame di coscienza quanto il proposito di non più peccare, in quanto l’esame di coscienza deve necessariamente precedere tutti quegli atti, e la contrizione, senza il proposito di non più peccare, non si può nemmeno concepire.

D. 419. Quali peccati sono materia necessaria di questo Sacramento?

R. Materia necessaria di questo Sacramento sono i peccati mortali commessi dopo il Battesimo e mai ancora direttamente rimessi in virtù delle chiavi.

D. 420. Perché tali peccati vengon detti materia necessaria di questo Sacramento?

R . Tali peccati vengon detti materia necessaria di questo Sacramento, perché vi è stretto obbligo di confessarli.

D. 421. Quali peccati costituiscono materia libera e sufficiente di questo Sacramento?

R. Costituiscono materia libera e sufficiente di questo Sacramento, i peccati commessi dopo il Battesimo, sia quelli veniali, sia quelli mortali già confessati dal penitente e direttamente rimessi dall’assoluzione sacramentale.

D. 422. Perché tali peccati vengon detti materia libera e sufficiente di questo Sacramento?

R. Tali peccati vengon detti materia libera e sufficiente di questo Sacramento, perché mentre è lecito, anzi giovevole di portarli al sacro tribunale, pur tuttavia nessuno è tenuto di farlo. (Matt., XVI, 19; XVIII, 18; Giov., XX, 22, 23; Conc.di Tr., sess. XIV, cap. 3, can. 7; Cod. D. C , can. 901, 902.)

A) Degli atti del penitente.

a) – Dell’esame di coscienza.

D. 423. Che cosa deve fare il penitente prima di accostarsi al tribunale della penitenza sacramentale?

R. Prima di accostarsi al tribunale della penitenza sacramentale, il penitente deve fare l’esame di coscienza.

D. 424. Che cos’è l’esame di coscienza?

R. L’esame di coscienza è un’accurata ricerca dei peccati commessi dopo l’ultima confessione debitamente fatta.

D. 425. Come va fatto l’esame di coscienza?

R. L’esame di coscienza va fatto nel modo seguente: il penitente, dopo implorato l’aiuto di Dio, richiami accuratamente alla memoria i peccati da lui commessi con i pensieri, le parole, le opere e le omissioni, contro i comandamenti di Dio e della Chiesa, e contro i doveri del proprio stato.

D. 426. In questo esame di coscienza che cosa dobbiamo più precisamente investigare?

R. In questo esame di coscienza dobbiamo investigare più precisamente il numero dei peccati, la loro specie e le circostanze che tale specie han potuto mutare.

D. 427. Quali circostanze mutano la specie e vanno necessariamente accusate?

R. Mutano le specie e vanno necessariamente accusate quelle circostanze per cui da veniale il peccato diventa mortale (per es.: una bugia gravemente dannosa per il prossimo), o quello già mortale diventa molteplice, (per es.: il furto di cosa sacra, o commesso in luogo sacro) (Cat. p. parr., p. II, c. V, n. 47).

b) – Della contrizione e del proposito.

D. 428. Che cos’è la contrizione dei peccati?

R. La contrizione dei peccati è intimo dolore e detestazione dei peccati commessi, col proposito di non più peccare.

(Salmo L, 3 e segg.; Ger., II, 19-21; Ezech., XVIII, 21-23, 27, 28; XXXIII, 14-16; Gioele, II, 12-18; Giov., V , 14; VIII, 11; Luca, XV, 17-24; Conc. di Tr., sess. XIV, cap. 4: S. Greg. M; in Evang., II, 34, 15; S. Agost.: Serm. 351, 12).

D. 429. Che cos’è il proposito di non più peccare?

R . Il proposito di non più peccare è una ferma volontà di non peccare, e di evitare, per quanto si può, le occasioni prossime di peccato.

D. 430. Quale dev’essere la contrizione dei peccati?

R. La contrizione dei peccati dev’essere interna, soprannaturale, somma, universale.

D. 431. Che cos’è la contrizione interna?

R. La contrizione interna è quella che non si contenta di manifestarsi con le labbra, ma nasce dal cuore.

D. 432. Che cos’è la contrizione soprannaturale?

R. La contrizione soprannaturale è quella che sotto l’influenza della grazia, s’ispira nel prodursi non da motivi umani, ma soprannaturali, vale a dire soprannaturalmente concepiti dalla fede.

D. 433. Che cos’è la contrizione somma?

R . La contrizione somma è quella per cui detestiamo il peccato sopra ogni altro male. (Tale qualità della contrizione si può brevemente chiarire con S. Tommaso, p. 3a , q. 3, a. I, nel modo seguente: La contrizione, ossia il dolore per i peccati commessi, dev’essere somma apprezziativamente, in quanto cioè la detestazione del peccato da parte del penitente è di tal natura che per nulla al m hiondo egli vorrebbe commetterlo, ossia offendere Dio; ma con ciò non si esige che quel dolore sia sommo intensivamente, in quanto cioè la sua veemenza venga a superare ogni altro dolore che possa verificarsi nell’uomo. Né giova istituire un paragone fra la contrizione come dolore del peccato, e gli altri dolori sensibili che si verificano in seguito a mali temporali.

D. 434. Che cos’è la contrizione universale?

R . La contrizione universale è quella che comprende nella detestazione tutti i peccati mortali commessi dopo il Battesimo e non direttamente rimessi mediante la potestà delle chiavi.

D. 435. E se il penitente altro non abbia da accusare se non peccati veniali oppure mortali già direttamente rimessi?

R . Se il penitente altro non abbia da accusare se non peccati veniali oppure mortali già direttamente rimessi, è sufficiente e necessario, che il suo atto di dolore contempli alcuni di quei peccati, o per lo meno uno di essi.

D. 436. Quante specie di contrizioni vi possono essere?

R. Vi possono essere due specie di contrizioni: l’una perfetta, che generalmente vien detta contrizione senz’altro; l’altra imperfetta, che con nome speciale si chiama attrizione (Conc. di T r . , sess. XIV, cap. 4.).

D. 437. Che cos’è la contrizione perfetta?

R. La contrizione perfetta è dolore e detestazione del peccato, concepita per motivo di carità, e precisamente perché viene offeso un Dio che in quanto sommo bene è degno di essere amato al disopra di ogni cosa (Cat. p. parr., p. II, c. V, n. 27).

D. 438. Qual effetto produce la contrizione perfetta?

R. La contrizione perfetta cancella immediatamente i peccati e riconcilia l’uomo con Dio anche fuori dei sacramento della Penitenza, non senza però quel voto del Sacramento, ch’è implicito nella contrizione stessa (Prov., VIII, 17; X, 12; Giov., XIV, 21, 23; la di Pietro, IV, 8; la di Giov., IV, 7; Conc. di Tr., 1. c. ; S. Pietro Crisol.: Sermo 94. — Si abitui il Cristiano ad emettere di frequente l’atto di contrizione perfetta quale lo trova al principio del presente Catechismo; se poi, per sua somma sventura, ha commesso qualche peccato mortale, allora soprattutto, si affretti a cancellarlo senza ritardo con la contrizione perfetta; dopo di che non tardi ad avvicinarsi alla confessione sacramentale. Così facendo, non sarà privo di frutto per l’eternità, quanto egli potrà operar di bene, né avrà da tremare per morte subitanea. Appunto perché lasciano questa vita perfettamente contriti molti conseguono la vita eterna, quelli cioè che la morte rapisce precisamente allora che non possono ricevere i Sacramenti).

D. 439. Che cos’è la contrizione imperfetta?

R . La contrizione imperfetta è quel dolore e detestazione soprannaturale del peccato che sorge comunemente dal considerare la turpitudine del peccato e dal timore dell’inferno e delle sue pene (Matt., X, 28; Luca, III, 7-9; XV, 17; Conc. di Tr., sess. XIV, 1. c. ; Leone X: prop. 6 tra le condann., 14 giug. 1520 ; Pio VI: Bolla Auctorem fidei, prop. 23, 25, 26; S. Greg. Nisseno: In Cant. Canticorum, hom. I).

D. 440. Qual contrizione è sufficiente per validamente ricevere il sacramento della Penitenza?

R. Per validamente ricevere il sacramento della Penitenza è sufficiente la contrizione imperfetta, per quanto sia da desiderarsi quella perfetta.

D. 441. Qual peccato commette chi, scientemente, si accosta senza contrizione alcuna al sacramento della Penitenza?

R. Chi scientemente si accosta al sacramento della Penitenza senza contrizione alcuna, non solo non ottiene la remissione dei peccati che ha confessati, ma commette un grave peccato di sacrilegio.

c) – Della Confessione.

D. 442. Che cos’è la confessione dei peccati?

R. La confessione dei peccati è l’accusa di questi, fatta al sacerdote legittimamente approvato, in vista di conseguire l’assoluzione sacramentale (S. Giov. Cris.: De Lazaro, 4; Omel. Quod frequenter sit conveniendum, 2).

D. 443. Perché Gesù Cristo ha voluto la confessione dei peccati quale mezzo alla loro remissione?

R. Gesù Cristo ha voluto la confessione dei peccati quale mezzo alla loro remissione, affinché il peccatore si umiliasse, e al sacerdote, come a giudice e medico, palesasse i propri mali, per aver da lui imposta la dovuta soddisfazione e additato l’opportuno rimedio (Giov., XX, 23; Matt., X V I , 19; XVIII, 18; Cat. p. parr., p. II, c. V, n. 37).

D. 444. Quale dev’essere la confessione per validamente ricevere il sacramento della Penitenza?

R. Per validamente ricevere il sacramento della Penitenza, la confessione dev’essere vocale, o per lo meno tale da supplire la vocale, e integrale.

D. 445. Quand’è che la confessione è integrale?

R. La confessione è integrale quando il penitente confessa, col numero, specie e circostanze che ne mutano la specie, tutti i peccati mortali non ancora direttamente rimessi, di cui ha coscienza dopo un accurato esame.

(Conc. di Tr., sess. XIII, c. V, can. 7; S. Greg. M.: In Evangelia, II, 26, 4-6; S. Cipriano: De lapsis, 28; S. Gerol.: In Matth., III, ad XVI, 19. — La confessione generale, quella cioè che abbraccia i peccati di tutta la vita, è necessaria, quando consti sicuramente dell’invalidità delle confessioni precedenti; è da consigliarsi, quando della suddetta invalidità si dubiti gravemente; è da permettersi, quando si ritenga che da tale confessione potrà il penitente trarre un notevole beneficio, soprattutto in certe circostanze più gravi della vita, come sarebbe alla fine degli esercizi spirituali, o all’approssimarsi di mortale pericolo….; è da vietarsi, in fine, negli altri casi come inutile e talvolta nociva, per es., quando si tratti di scrupolosi).

D. 446. Che cosa deve fare chi non ricorda il numero dei peccati mortali?

R. Chi non ricorda il numero dei peccati mortali, deve indicare quel numero che gli sembra più prossimo al vero, aggiungendo all’incirca.

D. 447. E se alcuno senza propria colpa omettesse di confessare un peccato mortale?

R. Se senza propria colpa alcuno omettesse di confessare un peccato mortale, il Sacramento è valido e penitente, quando lo ricorderà, è tenuto nella successiva confessione a confessare il peccato omesso (Aless. VII, prop. 11 tra le condann., 24 sett. 1665; Cat. p. parr., p. II, c. V, n. 49).

D. 448. Qual peccato commette chi volontariamente tace in confessione un peccato mortale?

R. Chi volontariamente tace in confessione un peccato mortale, non solo non trae alcun beneficio dalla confessione, ma commette inoltre un grave peccato di sacrilegio.

D. 449. Che cosa deve fare chi colpevolmente ha taciuto in confessione un peccato mortale, oppure ha confessato senza la debita contrizione peccati mortali non ancora rimessi?

R. Chi ha colpevolmente taciuto in confessione un peccato mortale, oppure ha confessato senza la debita contrizione peccati mortali non ancora rimessi, deve dire in quante confessioni ha ciò commesso, quante sacrileghe Comunioni ha fatte, ripetere tutti i peccati mortali sia taciuti sia accusati in quelle confessioni, nonché confessare tutti gli altri peccati mortali che ha potuto commettere in seguito.

D. 450. Quale, inoltre, dev’essere la confessione per lecitamente ricevere il sacramento della Penitenza?

R. Per lecitamente ricevere il sacramento della Penitenza, la confessione deve, inoltre, essere devota ed umile, nel senso che il penitente, con dire breve e chiaro non disgiunto da modestia e alieno da inutili digressioni, confessi umilmente i suoi peccati, senza scusarli, diminuirli od aggravarli, e accolga infine gli ammonimenti del confessore (Cat. p. parr., p. II, c. V, n. 50, 51.).

d) – Della Soddisfazione.

D. 451. Che cos’è la soddisfazione?

R. La soddisfazione è la pena imposta dal confessore al penitente per i peccati rivelati nella confessione; pena che in virtù dei meriti di Gesù Cristo applicati mediante il sacramentale giudizio, possiede una speciale efficacia in ordine alla pena temporale da sodisfare per i peccati.

D. 452. A qual fine il confessore impone la soddisfazione?

R. Il confessore, secondo quanto gli suggeriscono ragione e prudenza e tenuto conto della qualità dei delitti come delle possibilità del penitente, impone una soddisfazione salutare e conveniente, non solo a custodia della nuova vita e a medicina dell’infermità, ma anche a vendetta e castigo dei peccati passati (Conc. di Tr., sess. XIV, cap. 8, 9).

D. 453. Quand’è che il penitente deve eseguire la soddisfazione ingiuntagli dal confessore?

R. A meno che il confessore abbia fissato il tempo di tale esecuzione, abbia cura il penitente di eseguire quanto prima la soddisfazione ingiuntagli dal confessore.

D. 454. Che cosa deve fare il penitente quando non possa assolutamente eseguire la soddisfazione ingiuntagli dal confessore, o non lo possa senza gran difficoltà?

R. Quando il penitente non possa assolutamente eseguire la soddisfazione ingiuntagli dal confessore, o non lo possa senza grave difficoltà, egli deve umilmente informarne il confessore perché la commuti.

B) – Dell’assoluzione sacramentale.

D. 455. Che cos’è l’assoluzione sacramentale?

R. L’assoluzione sacramentale è quell’atto col quale il confessore, in nome di Gesù Cristo e mediante la debita pronunzia della forma, rimette i peccati al penitente debitamente confessato e contrito.

D. 456. Può il confessore rifiutare o differire l’assoluzione sacramentale?

R. Il confessore può, anzi deve, rifiutare l’assoluzione sacramentale solo quando prudentemente giudichi non trovarsi nel penitente le necessarie disposizioni; può d’altra parte, per giusti motivi, differirla talvolta, a tempo determinato, specie se vi acconsenta il penitente stesso allo scopo di sempre meglio disporsi.

(Cod. D. C., can. 886. — Nel Rituale Romano, tit. III, cap. I, n. 23 si legge: « Incapaci di ricevere l’assoluzione sono coloro che non manifestano alcun segno di dolore; coloro che o si rifiutano di deporre gli odi e le inimicizie, o di restituire, pur potendolo, la roba altrui, o di lasciare l’occasione prossima di peccato, o comunque di abbandonare i peccati e di emendare in meglio la loro vita, o che, infine, hanno dato pubblico scandalo, a meno che pubblicamente soddisfino e tolgano di mezzo lo scandalo; il confessore, poi, si guardi di assolvere coloro i cui peccati sono riservati ai superiori ».).

D. 457. Il confessore è tenuto al segreto sacramentale?

R. Il confessore è tenuto all’inviolabile segreto sacramentale; e non solo non può rivelare i peccati uditi in confessione, ma deve inoltre attentamente guardarsi che, o parola, o segno, od altra manifestazione qualsiasi da parte sua, per qualunque causa, possa comunque far individuare il peccatore; di più gli viene interdetto persino l’uso della scienza acquisita in confessione, con gravame del penitente, quand’anche fosse escluso ogni pericolo di rivelazione; né i superiori presentemente in carica, né i confessori che ricevessero in seguito la nomina a superiori, possono in alcun modo servirsi, nel governo esteriore, dell’eventuale conoscenza dei peccati ottenuta a mezzo della confessione.

(Conc. Lat., IV, 21; Cod. D. C. , can. 889, 890. — A salvaguardare la santità di questo Sacramento, la Chiesa commina pene gravissime, fissate nel Codice del D. C., contro la violazione del segreto sacramentale. La storia fa onorevole menzione di alcuni sacerdoti cattolici i quali, a costo di molteplici persecuzioni e persino della vita, seppero mantenere il segreto sacramentale: basti per tutti l’esempio di S. Giovanni Nepomuceno, caduto martire per questa causa medesima nel 1383, e perciò annoverato fra i Santi.)

D. 458. Oltre il confessore, vi sono altri vincolati dall’identico segreto?

R. Oltre il confessore, è vincolato dall’identico segreto chiunque abbia potuto in un modo qualsiasi risapere qualcosa dalla confessione sacramentale (Cod. D. C. , can. 889, 890, § 2).

C) – Dell’effetto del sacramento della Penitenza, e delle indulgenze.

D. 459. Quali sono gli effetti del sacramento della Penitenza, quando il penitente, debitamente disposto, abbia confessato i suoi peccati mortali non rimessi?

R. Quando il penitente, debitamente disposto, abbia confessato i suoi peccati mortali non rimessi, per mezzo di questo sacramento:

1° vien rimessa la colpa e la pena eterna, nonché, per lo meno parzialmente, la pena temporale dovuta ai peccati;

2° i meriti del penitente, resi inefficaci dal peccato mortale, rivivono, vale a dire ricuperano quell’efficacia che prima del peccato possedevano in ordine alla vita eterna (S. Tom., p. III q. 89, a. 5.);

3° vien concessa una grazia speciale per guardarsi dai peccati in avvenire.

D. 460. Quali sono gli effetti del sacramento della Penitenza quando il penitente debitamente disposto abbia confessato solo peccati veniali o mortali già rimessi?

R. Quando il penitente debitamente disposto abbia confessato solo peccati veniali, o mortali già rimessi, il sacramento della Penitenza rimette i peccati veniali, aumenta la grazia santificante, aiuta ad evitare i peccati in avvenire, e più efficacemente scioglie il debito della pena temporale contratto per i peccati.

D. 461. Con l’assoluzione sacramentale e l’eseguita soddisfazione imposta dal confessore, vien sempre rimessa tutta intera la pena temporale dovuta per i peccati?

R. Con l’assoluzione sacramentale e l’eseguita soddisfazione imposta dal confessore, non sempre vien rimessa tutta intera la pena temporale dovuta per i peccati; può tuttavia questa, essere estinta mediante altre soddisfazioni, e specialmente mediante le indulgenze (Conc. di Tr., sess. VI, cap. 14, can. 30; sess. XIV, cap. 8, can. 12).

D. 462. Che cosa s’intende per Indulgenza?

R. S’intende per Indulgenza la remissione, di fronte a Dio, della pena temporale dovuta per i peccati già cancellati nella colpa; e tale remissione la Chiesa concede fuori del sacramento della Penitenza.

 (Matt., XVI, 19; XVIII, 18; Paolo: 2a ad Cor., II, 6, 10; Conc. di Tr., sess. XXV, Decr. de Indul.; Clemente VI: Const. Unigenitus Dei Filius, 25 genn. 1343; Leone X, prop. 7 e segg. tra le condann., 15 giug. 1520; Pio VI: Bolla Auctorem Fidei, prop. 40; Pio XI: Bulla indictionis anni sancti 1925; Cod. D. C., can. 911-924).

D. 463. In qual modo mediante le Indulgenze, rimette la Chiesa la pena temporale dovuta per i peccati?

R. Mediante le Indulgenze, rimette la Chiesa la pena temporale dovuta per i peccati, coll’applicare sia ai vivi per modo di .assoluzione, sia ai defunti per modo di suffragio, le soddisfazioni infinite di Gesù Cristo e quelle sovrabbondanti della beata Maria Vergine e dei Santi, soddisfazioni che costituiscono il tesoro spirituale della Chiesa (Paolo: ad Rom., V, 19-21).

D. 464. Quali persone possono concedere Indulgenze?

R. Possono concedere Indulgenze, il Romano Pontefice, cui da Nostro Signor Gesù Cristo è stata commessa la dispensazione di tutto il tesoro spirituale della Chiesa, e le altre persone a ciò autorizzate sia dal Romano Pontefice, sia dallo stesso diritto, per es. i Vescovi (Cod. D. C , can. 912).

D. 465. Di quante specie è l’Indulgenza?

R. L’Indulgenza è di due specie; plenaria quando per essa tutta viene rimessa la pena temporale dovuta per i peccati; parziale, quando di questa pena temporale vien rimessa solo una parte.

D. 466. In qual senso s’intende concessa l’Indulgenza plenaria?

R. L’Indulgenza plenaria s’intende concessa nel senso che qualora non si potesse lucrare per intero, la si lucra tuttavia parzialmente, a seconda delle disposizioni (Cod. D. C., can. 926).

D. 467. Quali sono i requisiti per lucrare le Indulgenze?

R. I requisiti per lucrare le Indulgenze sono:

1° essere battezzato non colpito da scomunica (Cod. D. C , can. 925);

2° aver intenzione per lo meno generale di lucrarle;

3° eseguire puntualmente le opere comandate;

4° essere in istato di grazia, per lo meno al compiersi delle opere prescritte, e, se si tratta di lucrare per intero un’Indulgenza plenaria, aver la coscienza sgombra da qualunque peccato veniale.

D. 468. Chi acquistò le Indulgenze, a qual persona può applicarla?

R. A meno di una dichiarazione contraria, chi acquista le Indulgenze può applicare alle anime del Purgatorio tutte le Indulgenze concesse dal Romano Pontefice; non può applicarne alcuna alle persone viventi (Cod. D. C., can. 930).

LO SCUDO DELLA FEDE (135)

LO SCUDO DELLA FEDE (135)

P. F. GHERUBINO DA SERRAVEZZA

Cappuccuno Missionario Apostolico

IL PROTESTANTISMO GIUDICATO E CONDANNATO DALLA BIBBIA E DAI PROTESTANTI (2)

FIRENZE – DALLA TIPOGRAFIA CALASANZIANA 1861

DISCUSSIONE II.

La Chiesa di Gesù-Cristo non è, né può essere invisibile. Ella è composta di buoni e di cattivi.

5. Bibbia. Come mai non ti contraddici in queste tue confessioni sostenendo in pari tempo le tue prime asserzioni?

Prot. Ascoltatemi. È fuor di dubbio che la Chiesa di Gesù-Cristo è, per divina istituzione, invisibile: che mai vi fu Chiesa visibile, ma fu sempre e sarà sempre invisibile. » (Lutero, Lib. de abrogando Missa. priv. part. I. e Calvino, lib. 4, Inst.). Quindi nelle mie diverse asserzioni non mi contradico, perché quando asserisco che la Chiesa da lungo tempo ha cessato di esistere, intendo parlare della Chiesa visibile, e quando dico che perir non poteva, intendo parlare della invisibile; e per tal modo difendo la divina promessa e canso li errori del Cattolicismo.

Bibbia. Tu passi di errore in errore per trovare un tristo ripiego che a nulla ti giova. Imperocché se la Chiesa visibile ha cessato di esistere, dunque è falso che mai abbia esistito, è falso che sia, per divina istituzione INVISIBILE. Di più, se cessò di esistere per aver perduta, come tu dici, la vera fede (né poteva altrimenti perire), è manifesto che non poteva restarci Chiesa di sorta né visibile, né invisibile. Ma poi, dove hai trovato che la Cristiana Chiesa è per divina istituzione INVISIBILE? Gesù-Cristo parlando di essa la rassomiglia ad una città posta sopra di un monte che non può esser nascosta: – ad una lucerna posta sul candelabro, per far lume a quelli che entrano. (Luc. XI, 16). Tali proprietà convenir non possono ad una Chiesa invisibile. Inoltre, Egli dice ai Pastori della medesima: « Andate per tutto il mondo: predicate il Vangelo ad ogni creatura. » (Marc. XVI, 15) « Andate, istruite tutte le genti. » (Matt. XXVIII, 17). « Sarete a me testimoni in Gerusalemme, e in tutta la Giudea, e nella Samaria, e sino all’estremità della terra. » (Act. I.). Di più, Egli istituì il ministero gerarchico pel pubblico culto, pel di lei spirituale visibile governo. « Ed Egli (Gesù) altri costituì Apostoli, altri profeti, altri dottori  pel perfezionamento de’ santi, per l’opera del ministero, per la edificazione del corpo di Cristo; fino a tanto che ci riuniamo tutti nell’unità della fede, (ossia sino alla fine de’ secoli) e cognizione del Figliuolo di Dio » (Efes. IV, II, e seg.). Quindi comandò ai Fedeli di ricorrere in certi casi al tribunale della Chiesa, e di riguardare come un infedele, come uno scellerato chiunque alla medesima non obbedisce. « Se non ascolterà essi, dillo alla Chiesa: se poi non ascolta la Chiesa, abbilo come per un pagano e per un pubblicano. » (Matt. XVIII, 17) Come ricorrer potrebbesi, come obbedire o disobbedire ad una Chiesa invisibile? Potrebbe mai una tal Chiesa fare in ogni luogo testimonianza a Gesù Cristo, istruire, governare visibilmente i fedeli? Eh via! Ti dico di più, che dovendosi unire alla medesima chiunque vuol conseguire l’eterna salute, non solo il Divin Redentore la volle visibile, ma inoltre affinché a nessuno ignota fosse, nessuno nella scelta errar potesse, le assegnò certe distintive visibili Note che a Lei sola possono convenire. Tali sono:

I. L’Unità: «Un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo, un solo corpo, un solo spirito. » (Efes. IV, 4, 5) « Un solo ovile, un solo pastore. » (Giov. X, 16)

II. La Santità. « Voi stirpe eletta,,., gente santa. » (I Piet. II, 9). Che però la vera Chiesa, oltre le altre cose riguardanti la sua santità, deve esser madre di santi.

III. La Cattolicità. « Andate istruite tutte le genti. » (Matt. XXVIII, 19)

IV. L’Apostolicità, e quanto alla successione dei Pastori, « Così sta scritto che il Cristo patisse,… e che si predicasse nel nome suo, dando voi principio da Gerusalemme. » (Luc. XXII, 46, 47). E quanto alla dottrina. « Se alcuno evangelizzerà a voi oltre quello che avete (da noi) appreso, sia anatema. » (Gal. I, 9) 6. Prot. La vera Chiesa è composta di soli eletti, anzi di soli predestinati, siccome sta scritto: « Cristo amò la Chiesa e diede per lei se stesso, affine di santificarla colla lavanda dell’acqua mediante la parola di vita, per farsi comparire davanti la Chiesa vestita di gloria senza macchia, senza grinza, od altra cosa, ma che sia santa e, immacolata. » (Efes. V, 25-27). « Molti sono diventati anticristi: … Sono usciti di tra noi, non erano dei nostri; perché, se fossero stati de’ nostri, sarebbero certamente restati con noi. » (I Giov. II, 18, 19). Ora è certo che i giusti, i predestinati non sono conosciuti che da Dio, siccome è scritto: « Conosce il Signore quelli che sono di lui (II ad Tim. II: » dunque la vera Chiesa è assolutamente invisibile.

Bibbia. Perché ti ostini a sostenere l’errore? Il primo testo nella sua prima parte fa contro di te; perché, se « Cristo amò la Chiesa, affine di santificarla; dunque (trattandosi della santità di tutti i suoi membri) essa già esiste, è formata prima di essere santa; dunque non è composta di soli giusti. La seconda parte non è a proposito; perché riguarda la Chiesa trionfante, come è chiaro da nelle parole: « la Chiesa vestita di gloria. » etc. Il secondo fa parimente contro di te; poiché quelli anticristi uscir non potevano dalla Chiesa, se in qualche modo non le fossero appartenuti. Ma, se vuoi capire come le appartenevano e non eran suoi, richiamati alla mente le citate parole di S. Paolo, cioè che la Chiesa « ha un solo corpo e un solo spirito; » dalle quali conoscerai che la Chiesa è composta di corpo e di spirito, ossia di anima e di corpo. Ora per appartenere al suo corpo basta aver ricevuto la fede e il battesimo, siccome sta scritto: « Quelli adunque che ricevettero la parola di lui furono battezzati, e si aggiunsero (alla Chiesa) in quel giorno circa tre mila anime. » (Act. II. 41). Per appartener poi anche all’anima, oltre le fede e il battesimo, è necessaria là carità, ossia è necessario essere in grazia di Dio, come dichiara 1’Apostolo: « Se uno non ha lo spirito di Cristo, questi non è di lui.  » (Rom. VIII, 9) Il terzo testo non fa al caso nostro, perché  non riguarda propriamente la Chiesa, ma la divina prescienza. Pertanto Gesù-Cristo, parlando della sua Chiesa, la dice simile ad una rete gettata in mare, che raccoglie ogni sorta di pesci buoni e cattivi: ad un ovile che contiene agnelli e capretti, (Matt. XIII, 47) a dieci vergini, delle quali cinque prudenti, e cinque stolte, (Matt. XXV, 35) ad un convito nuziale, in cui ricevuti sono buoni e cattivi: etc. (Matt, V. 1, 2). Né qui si arresta, ma uscendo dalle parabole, formalmente dichiara che nella sua Chiesa, « Molti sono i chiamati, ma pochi gli eletti. » (Matt. XX, 10). S. Paolo comandò che l’incestuoso di Corinto fosse espulso dalla Chiesa; il che far non poteva se non avesse appartenuto alla Chiesa. « Io ho già giudicato che colui il quale ha attentato tal cosa…. sia dato a satana. » (I Cor. V, 3, 5) È dunque fuor di questione che la Chiesa è composta di buoni e di cattivi: che i buoni, predestinati o no, appartengono al corpo e all’anima della Chiesa, finché sono in grazia di Dio, e i cattivi, predestinati o no, non appartengono che al di lei corpo finché vivono in peccato mortale: che, quanto al corpo, nessun battezzato cessa di appartenerle, finché non se ne separa, o non ne viene separato per via di scomunica.

Prot. Mi do per vinto, la penso ancor io come voi. Ascoltatemi. « Che la Chiesa sia composta di anima e di corpo, non vi è chi lo contrasti: di ciò andiamo perfettamente d’accordo col Cattolicesimo. L’anima della Chiesa è la fede e la carità. Per appartenere all’anima della Chiesa è necessario essere in grazia di Dio: appartenere al corpo basta far professione del Cristianesimo. Quindi gli iniqui sono membra della Chiesa, membra morte senza vita.», (M. Jurieu, System. p. 10. Vedi Bossuet.) « E verità incontrastabile che la vera Chiesa è mescolata con scellerati in una medesima confessione, come il buon grano con l’oglio nel medesimo campo, come i buoni pesci coi cattivi nella medesima rete. » (Il Pastor Claudio. Vedi Bossuet in Avvertimenti) Ascoltatemi ancora. « Noi confessiamo che la Chiesa, della quale parla Gesù Cristo, in quel passo: Tu sei Pietro, e sopra questa pietra edificherò la mia Chiesa (Matt. XV) è una Chiesa confessante, una Chiesa che pubblica la sua fede, una Chiesa, per conseguenza esteriore e visibile » (Jurieu, System. P. 215, Vedi Bossuet, luog. citato) – « La Chiesa, di cui in quel passo si parla, è in effetto una Chiesa confessante, una Chiesa che pubblica la fede, una Chiesa a cui Gesù Cristo ha dato un Ministero esteriore, una Chiesa che usa del ministero delle Chiavi, che lega e scioglie: una Chiesa per conseguenza, che ha un esteriore, una visibilità. Questo ecclesiastico Ministero durerà senza interruzione sino alla generale risurrezione. Imperocché Gesù Cristo ha promesso di essere con la Chiesa, di battezzare con la Chiesa, d’insegnare con la Chiesa, sino alla fine del mondo. » (Il pastor Claudio, presso Bossuet, Op. cit.). « Le promesse di Dio sono immutabili. Non si parli della Chiesa come di un’idea di Platone, ma si mostri una Chiesa che si vede e che si ascolta e che è visibile in questa vita. Iddio ha voluto che il ministero del Vangelo sia pubblico. Egli punto non vuole che la predicazione sia rinchiusa nelle tenebre, ma che sia estesa a tutto il genere umano. Egli ha voluto che vi sieno delle assemblee, nelle quali essa risuoni, e dove sia lodato ed invocati il suo Nome. » (Confess. Sassonie. Cap. de Ecles.). – « La Chiesa non è soltanto la società de’ predestinati, la quale giammai sussisterà, ma è il Corpo risibile in cui si trovano i Predestinati. Onesto è quel corpo visibile che sussisterà eternamente » (Il pastor Claudio presso il medesimo Bossuet, Op. cit. ). Cioè sino alla fine del mondo..  – « In questo corpo visibile ed esterno è rinchiusa l’anima della Chiesa, cioè i fedeli (giusti), i veri santi. Qualunque sia il senso che si dà a questo articolo (del Simbolo) Credo la Santa Chiesa, non può esso intendersi che di una Chiesa visibile » (Juriet, op. cit. p. 216). – « Gli eletti, i santi ne formano la parte più nobile…. ma non debbono eglino esser considerati come facenti un corpo a parte della Chiesa, ma come la sua parte più bella…. È incontrastabile che, sebbene la vera Chiesa abbia con sé mescolati i malvagi nella medesima confessione di fede, Ella però non lascia punto di esser visibile in tale mescolamento…. Noi non sappiamo per cosa certa quali siano in particolare i veri fedeli, e quali gli ipocriti; ma certamente sappiamo che vi ha dei veri fedeli come vi ha degli ipocriti; il che basta per fare la visibilità della vera Chiesa. » (Pastor Claudio presso Bossuet, op. cit.). Questo è quanto credo, e sempre ne fui persuaso.

S. Bibbia. Ottimamente. Ma se ne fosti sempre persuaso, perché impugnare con tanto ardore e raggiri la visibilità della Chiesa?

Prot. « Ciò che ha spinto alcuni Dottori Riformati (alcuni?) nell’imbarazzo, in cui si sono ingaggiati, di negare che sia stata perpetua la visibilità della Chiesa, è stato che eglino credettero che confessando essere stata la Chiesa sempre visibile, avrebbero avuto della pena a rispondere alla questione che ci faceva sovente la Chiesa Romana, dicendo: Dov’era la vostra Chiesa cìnquant’anni fa?… Se la Chiesa è sempre stata visibile, la vostra Chiesa Calvinista e Luterana non è per certo la vera Chiesa, perché essa non era allora visibile. » (Jurieu, op. cit. p. 226) Ditemi in grazia: come uscir potevasi da tal labirinto? – « A tal punto non si poteva in altro modo rispondere che dando il nome di vera Chiesa ad una Chiesa composta di soli eletti, la quale non è distinta da nota alcuna visibile. Ma, se gli uomini non hanno altro sussidio che questo per discernere la vera Chiesa: questa non sarà più che un ente immaginario, e sarà parimente impossibile conoscere se appartenesse alla vera Chiesa S. Stefano, oppure i suoi carnefici. (Il Pastore Grandwich, in Diar. Evang. Prot. Di Berlino). – « Quindi l’attacco principale fu diretto da quel momento contro la Chiesa visibile, ed imitando i Catari, l’appellarono la prostituta di Babilonia, la piena di lutti i vizi. Al Papa diedero il nome di Capo dell’errore ed ai Prelati quello di Scribi, di Farisei, di assassini! » (Hurter presso il Perrone). Avete capito?

DELLA CONFORMITÀ ALLA VOLONTÀ DI DIO (15)

DELLA CONFORMITÀ ALLA VOLONTÀ DI DIO (15)

[A. Rodriguez: Esercizio di perfezione e di virtù cristiane; vol. II, ed. VII ster. TORINO, Marietti ed. 1917]

TRATTATO VIII.

CAPO XXXIII.

Quanto quest’esercizio venga raccomandato e replicato nella divina Scrittura.

Dall’esser questo esercizio tanto raccomandato e tante volte replicato nella divina Scrittura, si può molto bene comprenderne il valore e la eccellenza, e quanto sia grato a Dio; e insieme potremo da questo stesso prender materia per esercitarlo e per trattenerci più in esso. Il reale profeta David ne’ suoi Salmi ad ogni passo c’invita a questo esercizio, dicendo: Lætamini in Domino, et esultate, justi, et gloriamini, omnes recti corde (PS. XXXI, 11): — Exultate, justi, in Domino (Ib. XXXII, 1): —Delectare in Domino, et dabit Ubi petitiones cordis tui (Ib. XXXVI, 4): Rallegratevi, giusti, nel Signore, e dilettatevi in esso. Gioite e compiacetevi de’ suoi infiniti beni, e vi darà quel che gli domanderete; o per dir meglio, quel che desidererete e di cui avrete di bisogno: perché quest’è un’orazione nella quale senza domandare domandate, e Dio esaudisce il desiderio del vostro cuore, perché gli piace grandemente quest’orazione. E l’apostolo S. Paolo scrivendo a’ Filippensi dice: Rallegratevi sempre nel Signore: Gaudete in Domino semper (ad. Phil. IV, 4). E parendogli, che questo non fosse consiglio da darlo una volta sola, torna a replicarlo: Iterum dico, gaudete: Un’altra volta vi dico, che vi rallegriate. Questo è il giubilo che ebbe la Vergine santissima quando disse nel suo cantico: Et exultavit spiritus meus in Deo salutari meo (Luc. 1, 47. 1):Giubilò lo spirito mio in Dio, mia salute. Quest’allegrezza e giubilo, ebbe anche Cristo nostro Redentore là dove di lui dice il sacro Evangelio, che Exultavit Spiritu sancto (Ib. X, 21): Si rallegrò nello Spirito santo.E il profeta David dice, che era tanto grande l’allegrezza e il giubilo che sentiva l’anima sua al considerare quanto grande fosse il bene e la gloria di Dio, e quanto egli fosse degno che tutti si rallegrassero del bene infinito che ha, che per la grande abbondanza ne ridondava l’allegrezza anche nelcorpo, e la carne istessa si accendeva in amor di Dio. Cor meum et caro mea exultaverunt in Deum vivum (Ps. LXXXIII, 9, 10): Il mio cuore e la mia carne si sono rallegrati inDio vivo. E in un altro luogo dice: Anima mea exullabit in Domino: et delectabitur super salutari suo. Omnia ossa mea dicent: Domine, quis similis libi (Ib., XXXIV, 9,10)? L’anima mia si rallegrerà nel Signore, esi diletterà in Dio, autore della sua salute;e tutte le ossa mie diranno : Signore, chi è come voi? E per esser cosa tanto divinae celeste quest’amore, la Chiesa diretta dallo Spirito santo, nel principio delle Ore Canoniche,cominciando il Mattutino ci eccita coll’Invitatorio ad amare in questo modo il Signore, rallegrandoci e godendo de’ suoi beni infiniti; ed è preso dal Salmo nonagesimoquarto: Venite, exultemus Domino: jubilemus Deo salutari nostro. Prceoccupemus faciem ejus in confessione, et in psalmis jubilemus ei: Venite, rallegriamoci col Signore, e cantiamo cantici di lodea Dio salute nostra; perciocché egli è grande sopra tutti, ed è suo il mare e la terra,e ogni cosa è opera delle sue mani: Quoniam Deus magnus Dominus, et Rex magnus super omnes Deos, etc. Quoniam ipsius est mare, et ipse fecit illud, et aridam fundaverunt manus ejus etc. (Ps. XLIV, 1 et 2). E per l’istessa ragione e all’istesso effetto ci mette la Chiesa nel fine di tutti i Salmi quel verso: Gloria Patri, et Filio, et Spiritui sancto; Sicut erat in principio, et nunc, et semper, et in sæcula sæculorum. Amen. Questo è quell’entrar nel gaudio di Dio che dice Cristo nostro Redentore, come si legge nell’Evangelio: Intra in gaudium Domini tui (Matth. XXV, 21). Partecipare di quell’allegrezza indefinita di Dio, e starci rallegrando e godendo insieme coll’istesso Dio della sua gloria, bellezza e ricchezza infinita.Per poterci affezionar più a quest’esercizio,e procurare di star sempre in questa allegrezza e festa, ci aiuterà assai il considerare quanto buono, quanto bello e quanto glorioso è Dio. Egli ha tutte queste cose in così sommo grado, che solo a vederlo, fa beati quelli che lo veggono: e se quei che stanno nell’inferno vedessero Dio, cesserebbero in essi tutte le pene e l’inferno si convertirebbe loro in paradiso: Hæc est autem vita æterna; ut cognoscant te solum Deum verum, dice l’istesso Cristo,come abbiamo nel Vangelo di S. Giovanni (Giov. XVII, 3). In questo consiste la gloria de’ Santi,in veder Dio; questo è quello che li fa beati; e non per un giorno né per un anno,ma eternamente, che mai non si sazieranno di star riguardando Dio, ma sempre sarà loro nuovo quel gaudio, secondo quello che dice S. Giovanni nell’Apocalisse: Et cantabunt quasi Canticum novum (Apoc. XIV, 3). Pare che con questo si dichiari assai bene la bontà, la bellezza e la perfezione infinita di Dio: e pure vi è molto più che aggiungere, e. molto assai: poiché è Dio tanto bello e tanto glorioso, che Egli medesimo, col solo vedere se stesso, è beato. La gloria e la beatitudine di Dio è il vedere e l’amare se stesso (D. Thom. 1 p.. q. 26, art. 8). Guarda, se abbiamo ragione di rallegrarci e di gioire in una bontà e bellezza, e in una gloria tanto grande, che rallegra tutta quella Città di Dio e fa beati tutti quei cittadini; e anche l’istesso Dio conoscendo e amando se stesso, è beato.

CAPO XXXIV.

Come ci potremo stendere in questo esercizio.

Possiamo anche umanarci più in questo esercizio, esercitando questo stesso amore colla sacratissima Umanità di Cristo Signor nostro, considerando la sua dignità e perfezione grande, e compiacendoci e gustando di questa, rallegrandoci e tripudiando, perché  questa benedettissima Umanità stia tanto sublimata e unita colla Persona divina; che stia tanto piena e colma di grazia e di gloria, che sia istrumento della Divinità per operar cose sì alte, come sono la santificazione e glorificazione di tutti gli eletti, e tutti i doni e le grazie soprannaturali che si comunicano agli uomini; e finalmente rallegrandoci e godendo di tutto quello che appartiene alla perfezione e gloria della gloriosissima anima e del santissimo corpo di Cristo nostro Redentore; e trattenendoci in questo con isviscerato amore e allegrezza, nel modo che i Santi considerano che si dovette rallegrare e gioire la santissima Regina degli Angeli il giorno della Risurrezione, quando vide il suo benedetto Figliuolo sì trionfante e glorioso: e come dice la divina Scrittura del patriarca Giacobbe, che quando udì dire, che il suo figliuolo viveva ed era padrone di tutta la terra d’Egitto, si rallegrò tanto, che se gli ravvivò lo spirito, e disse: A me basta che mio figliuolo Giuseppe sia vivo; non desidero altra cosa che vederlo, e con questo morirò contento (Gen, XLV, 28). –  Questo medesimo esercizio possiamo praticare in riguardo della beatissima Vergine nostra Signora e degli altri Santi: e sarà molto buona divozione nelle loro festività impiegar qualche parte dell’orazione in questo esercizio; perché sarà uno de’ maggiori ossequi e tributi che possiamo render loro; essendo che il maggior amore che loro possiamo portare, è volere e desiderar loro il maggior bene che possono avere, e rallegrarci e compiacerci della gloria loro tanto grande, e star ivi congratulandocene con esso loro: e così la Chiesa ci propone questo esercizio nella festa dell’Assunzione della santissima Vergine: Hodie Maria Virgo cælos ascendit: gaudete, quia cum Christo regnat in æternum. E comincia l’Introito della Messa in questa Festività, e in molte altre, invitandoci a quest’esercizio e animandoci ad esso coll’esempio degli Angeli che fanno il medesimo: Gaudeamus omnes in Domino, diem festum celebrantes sub honore B. V., de cujus Assumptione gaudent Angeli, et collaudant Filium Dei. – V’è anche un altro bene e utilità grande nella pratica di questo esercizio rispetto ai Santi, specialmente rispetto alla santissima Umanità di Cristo Signor nostro, ed è, che con questo vien poi la persona ad ascendere a poco a poco e ad avere introduzione negli altri esercizi che riguardano la Divinità; perché, come dice l’istesso Cristo, egli è la strada e la porta per entrare dal Padre (Jo. XIV 6, et X, 7). – Ancora in quest’esercizio che si pratica in riguardo a Dio in quanto Dio vi sono i suoi gradi e ci possiamo umanar più in esso, discendendo a cose di qua; perché sebben è vero, che Dio non può crescere in sé, per essere infinito, onde non possiamo desiderargli in se stesso alcun bene che Egli non l’abbia; nondimeno può Dio crescere esteriormente nelle creature, cioè esser più conosciuto, più amato e più glorificato da esse: e così possiamo ancora esercitar quest’amore, desiderando a Dio questo bene esteriore. Considerando dunque l’anima nell’orazione, quanto Dio è degno d’esser amato e servito dalle creature, abbiamo da starcene desiderando, che tutte le anime create e da crearsi lo conoscano, l’amino, lo lodino e lo glorifichino in tutte le cose. O Signore, chi potesse convertire quanti infedeli e peccatori sono nel mondo, e far che nessuno vi offendesse, e che tutti vi ubbidissero, e s’impiegassero in vostro servigio adesso e in perpetuo! Sanctificetur nomen tuum (Matt. XI, 9): — Et omnis terra adoret te, et psallat TIbi: Psalmum dicant nomini tuo (Ps. LXV, 4). E qui possiamo starcene pensando a mille maniere di servigi e di ossequi che le creature potrebbero rendere a Dio, e starli desiderando. Di qui ha da discendere ognuno a desiderare e procurare di fare la volontà di Dio E quello che è sua maggior gloria in quel che appartiene a se stesso; procurando di far sempre tutto quello che conoscerà esser la volontà di Dio e maggior gloria sua, ad imitazione di quello che Cristo nostro Redentore disse di sé: Quia ego, quæ placita sunt ei, facio semper (Giov. VIII, 29): Io fo sempre quel che piace al mio Padre. Perché, come dice l’Evangelista S. Giovanni, Qui dicit se nosse Deum, et mandata ejus non custodit, mendax est, ei in hoc veritas non est (1 Giov. II, 4): Chi dice, che conosce e ama Dio, e non fa la volontà sua né osserva i suoi comandamenti, non dice la verità, mente: (ib. 5): Ma chi gli osserva e fa la volontà di Dio, ha perfetta carità e amore del medesimo Dio. Di maniera che per amar Dio e per aver intera conformità alla divina volontà sua, non basta che l’uomo si compiaccia dei beni di Dio, e desideri che tutte le altre creature l’amino e lo glorifichino; ma bisogna ancora, che l’istesso uomo si offerisca e si dedichi tutto all’adempimento della volontà di Dio: perché, come può uno dire con verità che desidera la maggior gloria di Dio, se in quello che egli può e che sta in sua mano non la procura? E questo è quell’amore che l’anima esercita quando nell’orazione sta formando proponimenti e desideri veri d’adempire la volontà di Dio in questa e in quell’altra cosa, e in quante altre ne occorreranno; che questo è l’esercizio nel quale ordinariamente siam soliti d’esercitarci nell’orazione. – Con questo abbiamo aperto un gran campo per poterci, mentre facciamo orazione, trattenere molto tempo in quest’esercizio; e abbiamo dichiarata l’utilità e la perfezione grande che vi è in esso. Altro non resta, se non che mettiamo le mani all’opra e che cominciamo a provarci qui in terra in quelle cose nelle quali ci avremo da esercitar poi eternamente e con tanto vantaggio ed eccellenza nel cielo: Cujus ignis est in Sion, et caminus ejus in Jerusalem (Isa. XXXI, 9): Di qua si ha da cominciar ad accendere in noi questo fuoco dell’amor di Dio; ma le vampe più accese, l’altezza e la perfezione di esso, saranno in quella celeste Gerusalemme, che è la gloria eterna.

FINE DEL TRATTATO VIII

CATECHISMO CATTOLICO DEL CARDINAL GASPARRI (12)

CATECHISMO CATTOLICO A CURA DEL CARDINAL PIETRO GASPARRI (12)

PRIMA VERSIONE ITALIANA APPROVATA DALL’AUTORE 1932 COI TIPI DELLA SOC. ED. (LA SCUOLA) BRESCIA

Brixiæ, die 15 octobris 1931.

IMPRIMATUR

+ AEM. BONGIORNI, Vie. Gen

III.

CATECHISMO PER GLI ADULTI DESIDEROSI DI APPROFONDIRSI NELLA CONOSCENZA DELLA DOTTRINA CATTOLICA.

CAPO IX.

Dei Sacramenti.

SEZIONE la. — Dei Sacramenti in generale.

D. 325. Che cosa s’intende col nome di Sacramento della nuova Legge?

R. Col nome di Sacramento della nuova Legge s’intende un segno sensibile, istituito da Gesù Cristo a significare la grazia, e a conferirla a coloro che degnamente ricevono il Sacramento.

(Conc. di Fir., Decret. prò Armenis; Conc. di Tr., sess. VII, can. I, 6; Pio X, Decr. Lamentabili, 4 lugl. 1907, prop. 39, 40, 41 tra le condannate; Cat. p. parr., p. II, c. I , n.).

D. 326. Di quali e quanti elementi constano i Sacramenti?

R. I Sacramenti constano di tre elementi: delle cose come materia, delle parole come forma, e della persona del ministro, il quale conferisce il Sacramento, per lo meno con l’intenzione di fare ciò che fa la Chiesa: che se di questi elementi uno solo venisse a mancare, verrebbe a mancare pure il Sacramento. (Conc. di Fir., 1. c.; Conc. di Tr., 1. c, can. 11.

— Ne consegue che codesti elementi dei Sacramenti, non meno che i Sacramenti stessi, sono d’istituzione divina. Né a ciò si oppongono quelle differenze che, annuente la Chiesa, si riscontrano nell’amministrazione di certi sacramenti presso Chiese diverse, oppure in diversi momenti storici della Chiesa medesima. Una differenza meramente accidentale non è, certo, in contrasto con l’istituzione divina, atteso che questa si riferisce evidentemente alla sola sostanza della materia e al significato della forma. Ma qualora si tratti di più sensibile differenza, potrai spiegarla col dire che Nostro Signore Gesù Cristo, nell’istituire questo o quel Sacramento, non definì in particolare la materia e la forma di esso, ma volle, senza meglio specificarlo, un qualche segno atto ad esprimere il significato di quei medesimi Sacramenti, lasciando la Chiesa libera di scegliere cose e parole)

D. 327. Quanti e quali sono i Sacramenti della nuova Legge?

R. I Sacramenti della nuova Legge sono sette, vale a dire: il Battesimo, la Cresima, l’Eucaristia, la Penitenza, l’Estrema Unzione, l’Ordine, il Matrimonio.

D. 328. Perché Gesù Cristo ha istituito questi sette Sacramenti, non uno di più non uno di meno?

R. Gesù Cristo ha istituito questi sette Sacramenti non uno di più non uno di meno, perché ai fini della Chiesa solo questi sono necessari e sufficienti.

D. 329. In qual modo questi sette Sacramenti sono necessari e sufficienti ai fini della Chiesa?

R. Questi sette Sacramenti sono necessari e sufficienti ai fini della Chiesa in quanto, mentre i primi cinque sono ordinati alla perfezione spirituale dell’individuo preso in se stesso, gli ultimi due provvedono al regime di tutta la Chiesa e alla moltiplicazione dei fedeli (Conc. di Fir., 1. C. ; Cat. p. parr., p. II, c. I, n. 20).

D. 330. Che genere di grazia ci conferiscono i Sacramenti?

R. I Sacramenti ci conferiscono la grazia santificante e il suo incremento, e la grazia sacramentale, ossia il diritto a quegli aiuti speciali mediante i quali si possa raggiungere il fine rispettivo di ciascun Sacramento (S. Tom., p. III q. 62, a. 2.).

D. 331. In qual modo i Sacramenti conferiscono la grazia?

R. A chiunque non ponga ostacoli, i Sacramenti conferiscono la grazia per virtù insita in essi dal divino Istitutore, cioè, secondo l’espressione comune, ex opere operato (Conc. di Tr., 1. c., can. 7, 8; S. Agost.: Epist. 98, 2; e In Joannem, tratt. 80, 3.).

D. 332. Chi è che pone ostacolo?

R. Pone ostacolo chiunque si avvicina ai Sacramenti senza le necessarie disposizioni per ricevere la grazia.

D. 333. Può il ministro con la sua malvagità impedire l’efficacia dei Sacramenti?

R. Il ministro non può con la sua malvagità impedire l’efficacia dei Sacramenti, perché in quella sacra funzione egli impersona Cristo e non sè stesso (Cat. p. parr., p. II, c. I, n. 25).

D. 334. Quali sono i Sacramenti dei morti e quali quelli dei vivi?

R. I Sacramenti dei morti sono il Battesimo e la Penitenza; gli altri sono Sacramenti dei vivi.

D. 335. Perché il Battesimo e la Penitenza vengon detti Sacramenti dei morti, e Sacramenti dei vivi gli altri?

R. Il Battesimo e la Penitenza vengon detti Sacramenti dei morti, perché istituiti principalissimamente infavore di chi, a cagion del peccato, è privo della vita soprannaturale,cioè della grazia santificante; Sacramenti dei vivi vengon detti gli altri, perché solo a chi già vive divita soprannaturale è lecito di riceverli.

D. 336. Qual peccato commette chi si accosta ai Sacramenti dei vivi con la coscienza gravata da peccato mortale?

R. Chi si accosta ai Sacramenti dei vivi con la coscienza gravata da peccato mortale, non solo non riceve la grazia, ma commette inoltre il grave peccato del sacrilegio.

D. 337. Non si può forse conseguire la grazia santificante, ossia la riconciliazione con Dio. anche prima di ricevere un Sacramento dei morti?

R. Anche prima di ricevere un Sacramento dei morti si può conseguire la grazia santificante, ossia la riconciliazione con Dio, mediante un atto di contrizione perfetta; ma anche in tal caso la riconciliazione non va attribuita ad una contrizione che non includa, come include di fatti, il voto del Battesimo o della Penitenza (Conc. di Tr., sess. XIV, cap. 4).

D. 338. Che cos’è questo voto del Battesimo?

R. Questo voto del Battesimo è una vera, seria e ferma volontà di ricevere il Sacramento.

D. 339. Quali sono i Sacramenti che una volta soltanto possono riceversi?

R. I Sacramenti che una volta soltanto possono riceversi sono il Battesimo, la Cresima e l’Ordine, perché imprimono nell’anima un carattere indelebile.

D. 340. Che cos’è il carattere sacramentale?

R. Il carattere sacramentale è quel segno spirituale che rimane impresso nell’anima anche nell’altra vita, per ignominia nei dannati, per gloria in coloro che saranno salvi (S. Agost.: Contro epistolam Parmeniani, II, 28; Cod. D. C, can. 132.).

D. 341. Qual è la funzione del carattere sacramentale?

R. La funzione del carattere sacramentale è duplice: distinguere un soggetto dall’altro mediante una certa nota, e renderci atti a ricevere o a compiere qualcosa di sacro (Conc. di Fir., 1. c.; Conc. di Tr., sess. VII De Sacramentis, can. 9; Inn. III: Lett. Majores Ecclesiæ causas; Cat. p.parr., p. II, c. I , n. 30 e segg.),

342. Qual carattere viene impresso nei tre Sacramenti suddetti?

R. Nel Battesimo viene impresso il carattere per cui si diventa membri del corpo mistico di Cristo, cioè della Chiesa, e atti a ricevere gli altri Sacramenti;

nella Cresima, il carattere per cui si diventa soldati di Cristo, per pubblicamente professare la sua fede;

nell’Ordine, il carattere per cui si diventa ministri di Cristo, col potere di fare e di amministrare i Sacramenti (Cat. p. parr., p. II, c. I , n. 31),

D. 343. Perché nel Battesimo e nella Cresima vengono assegnati dei padrini?

R. Nel Battesimo e nella Cresima vengono assegnati dei padrini acciocché questi ritengano come a sé raccomandato il battezzato o il cresimato, e curino seriamente la sua educazione cristiana, soprattutto se mancano i genitori, o pur non mancando, trascurano a questo riguardo i loro doveri.

(Cod. D. C., can. 762 e segg. — Nell’amministrazione del Battesimo e della Cresima, la Chiesa orientale non usa padrini.).

D. 344. Il valido Sacramento del Battesimo e della Cresima dà origine a qualche parentela?

R. Il Sacramento valido del Battesimo dà origine alla parentela spirituale fra il battezzato e il battezzante, come tra il battezzato e il padrino; il Sacramento valido della Cresima dà origine alla parentela spirituale tra il cresimato e il padrino (Cod. D. C., can. 768, 769, 1079.).

D. 345. È uguale la necessità di tutti i Sacramenti?

R. Non è uguale la necessità di tutti i Sacramenti, atteso che il Battesimo è necessario a tutti; la Penitenza a coloro che, dopo il Battesimo, sono caduti in peccato mortale; l’Ordine alla Chiesa intera, e non ai singoli fedeli; il Matrimonio infine, alla collettività degli uomini, per costituire la famiglia cristiana (Cat. p. parr., p. II, c. I, n. 22.).

D. 346. Qual è fra i Sacramenti il più eccellente di tutti?

R. Il più eccellente fra tutti i Sacramenti è la Santissima Eucaristia, nella quale non solo la grazia è contenuta, ma è contenuto veramente, realmente e sostanzialmente l’autore medesimo della grazia Gesù Cristo Nostro Signore (S. Tom., p. 3, q. 65, a. 3).

D. 347. Che cosa s’intende con la parola Sacramentali?

R. Con la parola Sacramentalis’intendono quelle cose od azioni di cui la Chiesa, imitando in certo qual modo i Sacramenti, suole servirsi per conseguire, con la propria impetrazione, effetti soprattutto spirituali; tali sono, per esempio, gli esorcismi e le pie consacrazioni e benedizioni delle persone o delle cose (Cod. D. C, can. 1144 e segg.).

SEZIONE 2a . — Dei singoli Sacramenti.

Art. 1. — DEL SACRAMENTO DEL BATTESIMO.

D. 348. Che cos’è il sacramento del Battesimo?

R. Il sacramento del Battesimo è un Sacramento istituito da Gesù Cristo sotto forma di abluzione, mediante il quale il battezzato diventa membro del mistico Corpo di Cristo, cioè della Chiesa, ottiene la remissione del peccato originale nonché di tutti i peccati attuali, ove ce ne siano, insieme all’intera pena ad essi dovuta, e diventa capace di ricevere gli altri Sacramenti (Marco, VI, 16; Atti, II, 38; Paolo: ad Rom., VI, 3-6; 1a ad Cor., VI, 11; ad Coloss., II, 11-13; ad Tit., III , 6; Ia di Pietro, III, 21; Pio X: Decr. Lamentabili, 3 Lugl. 1907, prop. 42 tra le condannate; S. Bas.: Homilia, 13, 5)

D. 349. Qual è la materia e quale la forma del Battesimo?

R. La materia remota del Battesimo è l’acqua naturale, quella prossima è l’abluzione del corpo con la detta acqua; la forma, poi, consiste nelle parole: « Io ti battezzo nel nome del Padre, e del Figliuolo, e dello Spirito Santo » (Matt., XXVIII, 19; Giov., III, 5; Atti, XIII, 36; Paolo: ad Eph., V, 26; ad Hebr., X, 22; Conc. di Vien: Const. de Trinitate et fide; Conc. di Fir.: Decretum prò Armenis; Conc. Di Tr., sess. VII, can. 2; Inn. III: Epist. Non ut apponeres, 1 marzo 1206; Didachè, VII, 1. — Nella Chiesa orientale le parole sono queste: « È battezzato (o sia battezzato) il servo di Cristo nel nome del Padre, e del Figliuolo e dello Spirito Santo ». Perchépoi si verifichi l’abluzione del corpo, è necessario che l’acquatocchi il corpo, e soprattutto il capo, e scorra con abbondanzasufficiente onde si possa veramente dire che l’individuo èstato lavato).

D. 350. Cosa dunque voglion dire le Sacre Lettere là dove riferiscono che gli Apostoli battezzavano nel nomedi Cristo?

R. Là dove riferiscono che gli Apostoli battezzavano nel nome di Cristo, le Sacre Lettere voglion dire che gli Apostoli conferivano non il Battesimo istituito da Giovanni, ma quello istituito da Gesù Cristo, sempre però con quella stessa forma che il nostro Salvatore e Signore in persona aveva prescritto di adoperare (Cat. p. parr., p. I, c. II, n. 16).

D. 351. Chi è il ministro del Battesimo?

R. Ministro ordinario del Battesimo è il sacerdote, ma il conferirlo è ministero riservato al parroco o ad altro sacerdote autorizzato dal parroco medesimo o dall’Ordinario del luogo; ministro straordinario è il diacono, sempre con l’autorizzazione da concedersi solo per grave motivo, dall’Ordinario del luogo o del parroco.

D. 352. In caso di necessità chi è che può conferire il Battesimo?

R. In caso di necessità chiunque può conferire il Battesimo, senza solennità; se vi è tuttavia un sacerdote, venga questo preferito al diacono, il diacono al suddiacono, il chierico al laico, l’uomo alla donna, salvo che motivi di riservatezza consiglino alla donna piuttosto che all’uomo di conferire il Battesimo, o che la donna meglio conosca la forma e la maniera di battezzare (Conc. Lat., I, V c. I; Conc. di Fir.: Decr. prò Armenis; S. Agost.: Contra epist. Parmeniani, II, 29; Cod. D. C., can. 738, 741, 742.).

D. 353. In qual maniera può essere praticata l’abluzione rispetto alla validità del Battesimo?

R. Rispetto alla validità del Battesimo l’abluzione può esser praticata o per immersione nell’acqua, o per infusione dell’acqua, o per aspersione, secondo il rito approvato dalla Chiesa propria del battezzando ( 3 (3 ) Cod. D. C , can. 758; Cat. p. parr., p. I, c. II, n. 17 e segg. — Il Battesimo per aspersione è caduto in disuso, perché l’aspersione lascia facile adito al dubbio se vi sia stata o meno la necessaria abluzione del corpo. Indi è che si suol ribattezzare sotto condizione l’individuo battezzato per aspersione. Nontralasci il catechista di esporre come va conferito il battesimo in caso di necessità.).

D. 354. Qnand’è che bisogna battezzare i bambini?

R. I bambini vanno battezzati sollecitamente; e gravemente peccano i genitori e gli altri cui incombe la cura dei pargoli, quando li lascino morire senza Battesimo, o quando lo ritardino troppo a lungo senza grave motivo (Conc. di Fir.: Decr. prò Jacobitis; Pio X, 1. C., prop. 43 tra le condannate; Cod. D. C, can. 770.).

D. 355. In qual maniera deve l’adulto avvicinarsi al Battesimo?

R. L’adulto deve avvicinarsi al Battesimo, cosciente e volente, debitamente istruito e disposto; è inoltre necessario che dei suoi peccati mortali — se ne ha — egli concepisca il dovuto dolore, almeno per attrizione (Atti, II, 38; Rit. Rom., tit. I, c. III, n. 1; Cod. D. C., can. 752, § 1; Cat. p. parr., 1. c., n. 10; S. Tom., in 4 d. 6, q. I, a. 5, ad 5.um.).

D. 356. Che cosa avviene se l’adulto riceve il Battesimo con la coscienza gravata da peccato mortale, di cui non abbia nemmeno l’attrizione?

R. Se l’adulto riceve il Battesimo con la coscienza gravata da peccato mortale di cui non abbia nemmeno l’attrizione, il Battesimo è valido e viene impresso il carattere, ma il battezzato commette un grave peccato di sacrilegio, nè ottiene la grazia se non quando, in virtù dello stesso Battesimo, avrà ottenuto mediante la contrizione o l’attrizione la remissione del suo peccato (S. Tom., p. 3% q. 69, a. 10; S. Alfonso: Theol. mor., lib. IV, tract. I , c. III, n. 87).

D. 357. A qual dovere è tenuto il battezzato?

R. I battezzato è tenuto al dovere di professare la fede di Cristo nella Chiesa cattolica e di osservare i Comandamenti di Cristo e della Chiesa Cattolica (Paolo: ad Rom., VI, 3-13; ad Galat., III, 27; ad Coloss., II, 22; Conc. di Tr., 1. C., can. 7).

D. 358. Il Battesimo è a tutti necessario per la salvezza?

R. Il Battesimo è a tutti necessario per la salvezza, avendo Gesù Cristo detto: « Se uno non è rinato dall’acqua e dallo Spirito Santo, non può entrare nel Regno di Dio.(Giov., III, 5; Conc. di Cartag., can. 2; Conc. di Fir., 1. c.; Conc. di Tr., 1. C., can. 5; S. Cirill. Geros., Cathechesis, III, 10.)

D. 359. Qual sorte avrà l’anima di chi muore senza Battesimo col solo peccato originale?

R. L’anima di chi muore senza Battesimo col solo peccato originale non godrà, a causa del peccato originale, della visione beatifica di Dio, ma sarà esente dalle altre pene che puniscono i peccati personali (Inn. III: Epist. Majores ad Archiep. Arelatensem; Pio VI: Const. Auctorem fidei, prop. 26; Pio I X : Epist. ad Episc. Italiæ, 10 ag. 1836; S. Tom., in 2, d. 33, q. 2, a. 1 e 2; e De malo, q. 5, a. 2 e 3. — Il luogo o lo stato di queste anime suol chiamarsi Limbo, ben diverso tuttavia questo da quello dei Santi Padri, di cui si è accennato nella D. 106.).

D. 360. Ve qualcosa che possa supplire le veci del Battesimo?

R. Può supplire le veci del Battesimo il martirio, e l’atto di carità verso Dio, atto nel quale sono necessariamente contenuti e la perfetta contrizione dei peccati e il voto del Battesimo; tuttavia solo il Battesimo con l’acqua imprime il carattere e conferisce la capacità di ricevere gli altri Sacramenti (Matt., X, 32; XVI, 25; Marco, VIII, 35; Luca, IX, 24; XII, 8; Giov., XIV, 21, 23; Inn. II: Epist. Apostolicam Sedem ad Episc. Cremon.; S. Fulgenzio: De fide, 41; S. Tom., p. III q. 68, a. 2 ; e q. 69, a. 4, ad 2.um. — Indi è che il martirio suol chiamarsi, Battesimo di sangue, e l’atto di carità, Battesimo di desiderio.).

D. 361. In che cosa consiste il martirio che può supplire le veci del Battesimo?

R. Il martirio che può supplire le veci del Battesimo consiste nella morte ingiustamente inflitta e dall’adulto accettata per amore di Gesù Cristo, come testimonianza della fede o della virtù cristiana (S. Tom., 2a 2æ, q. 124, a. 1).

D. 362. Perché si impone al battezzato il nome di qualche Santo?

R. S’impone al battezzato il nome di qualche Santo affinché si valga del suo speciale patrocinio ed abbia nella sua vita un modello di virtù (Cod. D. C. , can. 761. — Non dimenticare quanto hai promesso a Dio nel Battesimo, e la ragione per cui il sacerdote, nel passarti la candida veste, ti ha indirizzato queste parole di esortazione: « Ricevi la candida veste, da portarsi da te immacolata al Tribunale di Nostro Signor Gesù Cristo, onde tu abbi la vita eterna »).

Art. 2. — DEL SACRAMENTO DELLA CRESIMA.

D. 363. Che cos’è il sacramento della Cresima?

R. Il sacramento della Cresima è un Sacramento istituito da Nostro Signor Gesù Cristo per conferire quella grazia speciale e quei doni dello Spirito Santo mediante i quali il cresimato riceve la forza di professare la fede con le parole e con le opere, come perfetto soldato di Cristo (Atti, VIII, 14-17; XIV, 5, 6; Conc. di Lione II: Prop. fidei Mich. Pal.; Conc. di Fir.: Decret. prò Armenis; Conc. DiTr.: sess. VII, De confirmatione, can. 1, 2, 3; Inn. III : Epist. ad Basilium Arch. Trinovitant., 25 febbr. 1204; Pio X: Decr. Lamentabili, 3 lugl. 1907, prop. 4 inter damnatas; S. Cirill. Geros.: Catechesis XXI (myst. III), 3; S. Cir. Aless. : In Joel, 32; S. Tom., p. 3a , q. 72, a. 7; Cat. p. parr., p. I I , c. III, n. 20.).

D. 364. Qual è la materia della Cresima?

R. La materia remota della Cresima è il crisma, ossia quell’olio di oliva commisto a balsamo e benedetto dal Vescovo, col quale il cresimando viene unto sulla fronte in forma di croce, mediante imposizione della mano del ministro; ed è precisamente questa unzione la materia prossima(i1 Cat. p. parr. 1. C. , n. 24)

D. 365. Qual è la forma della Cresima?

R. La forma della Cresima consiste nelle parole che il ministro proferisce nell’applicare la materia: « Io ti segno col segno della croce, ti confermo col crisma della salvezza, nel nome del Padre e del Figliuolo e dello Spirito Santo » (Cod. D. C., can. 780, 781. — Nella Chiesa orientale anche il semplice sacerdote benedice il crisma e amministra il Sacramento, senza l’imposizione delle mani, con la seguente formula: Segnacolo del dono dello Spirito Santo. ).

D. 366. Chi è il ministro della Cresima?

R. Il ministro ordinario della Cresima è il Vescovo; il ministro straordinario, il sacerdote cui sia stata legittimamente concessa questa facoltà (Cod. D. C. , can. 782.).

D. 367. Oltre il Battesimo e lo stato di grazia, che cosa è richiesto in chi riceve la Cresima?

R. Oltre il Battesimo e lo stato di grazia, è richiesto in chi riceve la Cresima, qualora abbia l’uso della ragione, la conoscenza dei principali misteri della fede e delle altre verità che riguardano questo Sacramento.

D. 368. Che avviene se uno si accosta alla Cresima con la coscienza gravata da peccato mortale?

R. Se uno si accosta alla Cresima con la coscienza gravata da peccato mortale commette un sacrilegio, pur restando valido il Sacramento; il cresimato poi solo allora riceverà la grazia quando avrà ottenuto la remissione dei peccati, o per l’attrizione nel sacramento della Penitenza, o per la contrizione insieme al voto di quello stesso Sacramento (La presente risposta vale anche per i Sacramenti dell’Estrema Unzione, dell’Ordine e del Matrimonio; quanto al Sacramento della Penitenza, vedi D. 445 e segg.).

D. 369. A quale età viene amministrata la Cresima?

R. Quantunque l’amministrazione della Cresima venga giustamente differita dalla Chiesa latina al settimo anno incirca di età, pur tuttavia può esser conferita anche prima, se il bambino trovasi in pericolo di morte, o creda il ministro essere ciò espediente per giusti e gravi motivi (Cod. D. C , can. 488. — Presso gli orientali la Cresima viene amministrata generalmente nello stesso Battesimo.)

D. 370. La Cresima è assolutamente necessaria per la salvezza?

R. La Cresima non è assolutamente necessaria per la salvezza; non ètuttavia lecito di tralasciarla, perché èun mezzo per conseguir la salvezza con maggior facilità e pienezza (Cat. p. parr., p. II, c. III, n. 16, 17. — Ricordati che sei soldato di Cristo e che devi difendere la sua causa. Disprezzata quindi ogni paura e deposto ogni falso timore, liberamente professa la tua fede colle parole e coi fatti, e tienti onorato di soffrire per tale causa contumelie e persecuzioni).

DELLA CONFORMITÀ ALLA VOLONTÀ DI DIO (14)

DELLA CONFORMITÀ ALLA VOLONTÀ DI DIO (14)

[A. Rodriguez: Esercizio di perfezione e di virtù c ristiane; vol. II, ed. VII ster. TORINO, Marietti ed. 1917]

TRATTATO VIII.

CAPO XXXI.

Della conformità alla volontà di Dio che abbiamo d’avere circa i beni della gloria.

Non solamente dobbiamo conformarci alla volontà di Dio circa i beni di grazia, ma anche circa i beni di gloria. Il vero Servo di Dio ha da essere tanto alieno dal suo interesse, ancora in queste cose, che si deve rallegrar più, che si faccia e adempisca la volontà di Dio, di quello che si potesse mai rallegrare per qualunque suo altro maggiore vantaggio. Questa è una molto gran perfezione, al dir di quel Santo (Thomas a Kemp. lib. 3, c. 25, a. 4), il rassegnarsi alla divina volontà, senza cercare il proprio interesse né nel poco, né nel molto, né nella vita temporale, né nell’eterna: e la ragione si è, perché, come egli aggiunge in un altro luogo, La tua volontà, o Signore, e l’amor del tuo onore dev’essere anteposto ad ogni cosa; e questo a chi ti ama dev’esser di maggior consolazione e piacere, che quanti benefizi egli abbia ricevuti, o possa ricevere. Questa è la contentezza e l’allegrezza de’ Beati. Più si rallegrano i Santi in cielo dell’adempimento della volontà di Dio, che della grandezza della gloria loro (Tract. 3. C. 14). Stanno tanto trasformati in Dio e tanto uniti alla sua volontà, che la gloria che hanno e la buona sorte che è toccata loro non la vogliono tanto per l’utilità che ad essi ne proviene e per la contentezza che ne ricevono, quanto perché Dio così gusta e perché quella è la sua divina volontà. E quindi è, che ciascuno sta tanto contento ed allegro con quel grado di gloria che ha, che non desidera di vantaggio, né gli rincresce che l’altro abbia di più; poiché dal vedere uno Dio, resta talmente in Lui trasformato, che lascia di più nulla volere colla privata sua volontà, e comincia a volere colla volontà sola di Dio: e siccome vede, che quello è il gusto e il beneplacito di Dio, così quello stesso è anche il gusto e beneplacito suo. Questa perfezione veggiamo che risplendeva in que’ gran santi, un Mosè ed un S. Paolo, che per la salute delle anime e per la maggior gloria di Dio pare che si dimenticassero e non facessero conto alcuno della propria lor gloria: Aut dimitte eis hanc noxam; aut si non facis, dele me de libro tuo, quem scripsisti (Exod. XXXII, 31, 32), diceva Mosè a Dio: Signore, o perdona al popolo, o scancellami dal tuo libro: e S. Paolo (Ad. Rom. IX,3): Optabam ego ipse anathema esse a Christo prò fratribus meis. Dal quale impararono poi un S. Martino (S. Mart. in ejus Vita et Eccl. In Off.) e altri Santi che protestavansi con Dio: Si adhuc sum necessarius populo tuo, non recuso laborem. Posponevano il loro riposo, e contentavansi di buona voglia, che venisse loro differita quella gloria ch’era già vicina, e s’offerivano di nuovo alla fatica pel maggior servigio e gloria di Dio. Questo è fare la volontà di Dio qui in terra come si fa in cielo; che dimenticati d’ogni nostro interesse, mettiamo ogni nostro gusto nello adempimento della volontà di Dio; e che stimiamo e facciamo più conto del gusto di Dio, che di ogni nostra utilità e del posseder i cieli e la terra. – Da questo potrà ben vedersi la perfezione che ricerca quest’esercizio della conformità alla volontà di Dio. Se dall’interesse de’ beni spirituali, e ancora de’ beni eterni, e dell’istessa gloria, abbiamo da distorgli occhi per metterli nel gusto e nella volontà di Dio; che cosa s’avrà poi da fare circa gl’interessi e i beni temporali ed umani? Dal che s’intenderà ancora quanto è lontano da questa perfezione colui che ha difficoltà nel conformarsi alla volontà di Dio in quelle cose che dicevamo .da principio; nell’esser io posto in questo, o in quell’altro luogo, in questo, o in quell’altro ufficio; nell’esser sano, o infermo; nell’esser da altri dispregiato, o stimato. Stiamo ora dicendo, che abbiamo da stimar più la volontà e il gusto di Dio, che quante eccellenze possono essere ne’ beni spirituali, e ancora negli eterni; e tu, più che alla volontà di Dio vuoi mirare a queste cose basse e transitorie, le quali rispetto alle altre sopraccennate sono come immondezze. A colui che desidera tanto il gusto di Dio e l’adempimento della volontà di lui, che di buona voglia rinunzia alla propria gloria e si contenta di un luogo più basso in essa, non perché gli manchi desiderio d’affaticarsi e di far opere di gran merito, ma solamente per voler più tosto il gusto e beneplacito di Dio, riusciranno molto facili tutte quest’altre cose: poiché rinunzia quella cosa somma che può rinunziare per amor di Dio. Questo è il più che uno possa cedere per conformarsi alla volontà di Dio: se Dio vuole ch’io muoia subito e abbia manco gloria, più tosto voglio questo, che morir di qua a venti o trent’anni, ancorché allora io avessi da avere molto maggior gloria: e per lo contrario ancorch’io avessi certezza della gloria morendo adesso, se Dio vuole ch’io stia in questo carcere e in questo esilio molti anni, patendo e travagliando, più tosto voglio questo, che andar subito alla gloria: perché il gusto di Dio e l’adempimento della volontà sua è il gusto mio e la mia gloria. Tu es Gloria mea, et exaltans caput meum (Psal. III, 4). Si racconta del nostro S. P. Ignazio un esempio ben raro a questo proposito (Lib. 5, cap. 2 Vitæ S. Ignat.). Stando egli un giorno col padre maestro Lainez e con altri, domandò in certo proposito: Ditemi un poco, maestro Lainez, che cosa vi pare che fareste se Dio Signor nostro vi proponesse questo partito, e dicesse: Se tu vuoi morir subito, io ti caverò dalla prigione di questo corpo e ti darò la gloria eterna; ma se vuoi ancora vivere, non ti assicuro di quello che sarà di te: resterai alla tua ventura: se vivrai e persevererai nelle virtù, io ti darò il premio; se mancherai e lascerai di far bene, come io ti troverò, così ti giudicherò. Se il Signore dicesse questo, e voi credeste, che restando per qualche tempo in questa vita, poteste far qualche cosa che ridondasse in grande e singolar gloria della Divina Maestà Sua; che cosa eleggereste? che cosa rispondereste? Il padre Lainez rispose: Io, Padre, confesso a Vostra Reverenza, che eleggerei l’andarmene subito a goder Dio e l’assicurar la mia salute con liberarmi da tutti i pericoli in cosa che importa tanto. Allora il nostro S. Padre disse : Io certamente non farei così: ma se giudicassi, che restando in questa vita potessi far qualche cosa di gran servigio e gloria del Signore, lo supplicherei che mi lasciasse in vita sin a tanto che l’avessi fatta; e metterei gli occhi in essa, e non in me, senza aver riguardo al mio pericolo, o alla mia sicurezza. Né pareva a lui che con tal elezione se ne potesse restar in forse la sua salute, anzi che sarebbe quindi stata questa per lui e più certa e più vantaggiosa, per essersi egli fidato di Dio per quel tempo di più che eletto si fosse di stare in questo mondo per interesse della sua gloria. Perciocché qual è quel Re, o Principe nel mondo, il quale offrendo qualche gran grazia ad alcuno de’ suoi servitori, e non volendo quegli accettar di goderla subito, per potergli far prima qualche notabil servigio, non si tenesse obbligato a mantenere, anzi di più ad aumentare quella grazia ad un tal servitore; poiché egli se ne privò per amor suo e per poterlo meglio servire? Ora se questo fanno gli uomini, i quali sogliono essere sconoscenti e ingrati; che cosa abbiamo da sperar noi dal Signore che talmente ci previene colla sua grazia e ci fa tanti favori? come potremmo mai temere che ci abbandonasse e ci lasciasse cadere, per aver noi differita la nostra beatitudine ed aver rinunziato di godere più presto lui per amore di lui? Non si può credere né temere tal cosa da un tal Signore.

CAPO XXXII.

Della conformità, unione ed amor perfetto con Dio: e come in questo abbiamo da esercitarci.

Per poter meglio vedere la perfezione ed eccellenza grande che rinchiude in sè questo esercizio della conformità alla volontà di Dio, e per poter sapere sin dove possiamo arrivare con esso, per conclusione di questo Trattato diremo qualche cosa dell’esercizio più alto che mettono i Santi e i Maestri della vita spirituale, dell’amor di Dio, il quale par che venga qui a proposito: perché uno de’ principali effetti dell’amore, come dice S. Dionigio Areopagita (D. Dionys. c. 4 de Div. Nom.), è fare, che le volontà degli amanti siano una soia,  cioè a dire, che abbiano un istesso volere

e un istesso non volere: e così quanto uno sarà più unito e più conforme alla volontà di Dio, avrà tanto maggiore amor di Dio; e quanto maggiore amor di Dio avrà, e quanto maggiore sarà quest’amore, tanto più sarà egli unito e conforme alla volontà di Dio. Per dichiarar meglio questa cosa bisogna che ascendiamo in cielo colla considerazione, e veggiamo come stanno colà i Beati amando e conformandosi alla volontà di Dio, con avere un’istessa volontà ed un istesso volere con lui; perché quanto più ci avvicineremo a questo, tanto più sarà perfetto il nostro esercizio. Il glorioso apostolo ed evangelista S. Giovanni nella sua prima Epistola Canonica dice , che la vista di Dio fa i Beati simili a lui: Quoniam cum apparuerit, similes ei erimus, quoniam videbimus eum sicuti est (I. Jo. III, 2.): perocché subito che veggono Dio, restano di tal maniera uniti e trasformati in Dio, che hanno una medesima volontà e un medesimo volere con Lui. Or veggiamo un poco qual è il volere e la volontà e l’amor di Dio, acciocché così possiamo vedere qual è il volere e la volontà de’ Beati; e da questo poi possiamo ricorrere qual ha da essere il volere, l’amore e la volontà nostra perfetta. Il volere e la volontà di Dio, e l’amor suo sommo e perfettissimo, è il compiacimento e l’amore della sua medesima gloria e del suo essere sommamente perfetto e glorioso. Ora questo medesimo è il volere, la volontà e l’amor de’ Beati; di maniera che l’amor de’ Santi e Beati e un amore e un volere con cui amano e vogliono con tutte le loro forze che Dio sia quegli che è, e sia in sé tanto buono, tanto glorioso e tanto degno d’onore, quanto è: e come veggono in Dio tutto quello ch’essi desiderano, ne siegue in essi quel frutto dello Spirito santo che dice l’Apostolo, Fructus autem Spiritus est gaudium (Gal, V, 22), che è un gaudio ineffabile di veder quello che tanto amano, così pieno di beni e di tesori in se stesso. Con quel che veggiamo di qua possiamo congetturar qualche cosa di questo divino gaudio che in ciò provano i Beati. Guarda quant’è grande l’allegrezza che prova di qua un buon figliuolo per vedere il suo padre, ch’egli grandemente ama, onorato e ben voluto da tutti, savio, ricco, potente e molto stimato e amato dal Re. Veramente vi sono figliuoli tanto buoni che diranno, che non v’è cosa alla quale si possa paragonare 1’allegrezza che sentono al vedere il proprio padre in tanta stima. Ora se quest’allegrezza è tanto grande di qua ove l’amore è tanto debole e i beni tanto bassi e limitati; qual sarà l’allegrezza de’ Santi, veggendo il lor vero Signore, Creatore e Padre celeste, in cui sono tanto trasformati per amore, veggendolo, dico, tanto buono, tanto santo, tanto pieno di bellezza, e in tal modo infinitamente potente, che dal suo solo volere ogni cosa creata ha essere e bellezza, e senza di esso non si può muover una fronda nell’albero? E così S. Paolo dice, che questo è un gaudio tanto grande, che né occhio l’ha mai veduto né orecchio udito, né può cadere in cuore umano (I. ad Cor. II, 9). Questo è quel fiume fecondante che vide S. Giovanni nell’Apocalisse (c. XXII, 1 – Ps. XLV, 5) uscir dalla Sedia di Dio e dall’Agnello, che rallegra la Città di Dio, del quale bevono i Beati in cielo, e inebbriati di quest’amore cantano quel perpetuo Alleluja che dice ivi S. Giovanni, glorificando e benedicendo Dio: Alleluja, quoniam regnavit Dominus Deus noster omnipotens. Gaudeamus, et exultemus, et demus glorìam ei (Apoc. XIX, 6 et 7). Stanno rallegrandosi e facendo festa della grandezza della gloria di Dio, e congratulandosene seco con gran giubilo e gaudio.- Benedictio, et claritas, et sapientia, et gratiarum actio, honor, et virtus, et fortitudo Deo nostro, in sæcula sæculorum, Amen (Ibid. VII, 12).Questo è l’amor de1 Santi verso Dio nel cielo e l’unione e conformità che hanno alla sua divina volontà, parlando secondo la piccolezza del nostro intelletto. Questo dunque è quello che noi altri dobbiamo procurare d’imitare di qua in quel modo che ci può esser possibile, acciocché si faccia la volontà di Dio in terra come si fa in cielo. Inspice, et fac secundum exemplarquod tibi in monte monstratum est, disseDio a Mosè quando gli comandò che facesse il Tabernacolo (Exod. XXV, 40): Avverti di far tutte le cose secondo il disegno che t’ho mostrato nel monte. Così noi altri abbiamo da far qui ogni cosa ad imitazione di quel tanto che si fa colà in quel sovrano monte della gloria; e così abbiamo da star amando e volendo quel che stanno amando e volendo i Beati nel cielo, e quel che sta amando e volendo l’istesso Dio, che è l’istessa sua gloria e il suo essere sommamente perfetto e glorioso. Acciocché meglio possa ognuno far questo, metteremo qui brevemente la pratica di quest’esercizio (M. Avil. Tom. 1, epist.; P. Franciscus Anas p. 2 profectus spirit. Tract. 5, c. 3, 4; P. Luduv. de Puente tom. 2 suarum medìt. p. e.). Quando stai nell’orazione considera coll’intelletto l’essere infinito di Dio, la sua eternità, la sua onnipotenza, l’infinita sua sapienza, bellezza, gloria e beatitudine; e colla volontà statti rallegrando, godendo, compiacendo e gustando che Dio sia quel che Egli è; che sia Dio; che da se stesso abbia l’essere e il bene infinito che ha; che non abbia bisogno di nessuno e tutti abbiano necessità di Lui; che sia onnipotente, e tanto buono, tanto santo, e tanto pieno di gloria, quanto Egli è in se stesso: e così dicasi di tutte le altre perfezioni e de’ beni infiniti che sono in Dio. Questo dicono S. Tommaso (D. Thom. 2 2, q. 28, art. 5 ad a et art. 2) e i Teologi che è il maggiore e più perfetto atto d’amor di Dio ; e così ancora è il più alto e più eccellente esercizio di conformità alla volontà di Dio. Perciocché non vi è maggiore né più perfetto amor di Dio che quello che l’istesso Dio porta a se stesso, che è della medesima sua gloria e del suo essere sommamente perfetto e glorioso: né vi può esser volontà migliore di questa. Dunque tanto migliore e più perfetto sarà l’amor nostro, quanto più s’assomiglierà a questo amore col quale Dio ama se stesso; e tanto maggiore e più perfetta sarà la nostra unione e conformità alla divina volontà sua. Di più dicono colà i Filosofi, che amar uno è volergli e desiderargli bene: Amare est velle alicui bonum (Arist. Reth. lib. 2, c. 4). Dal che viene in conseguenza, che quanto maggior bene desideriamo ad uno, tanto maggiormente lo amiamo. Ora il maggior bene che possiamo volere e desiderare a Dio, è quello ch’Egli ha, cioè il suo infinito Essere, la sua Bontà, Sapienza, Onnipotenza e Gloria infinita. Quando amiamo qualche creatura, non solo ci compiacciamo del bene che già ella ha, ma possiamo inoltre desiderarle qualche bene che ancora non ha; perché ogni creatura è sempre capace di maggior bene e di crescere in esso; ma a Dio non possiamo desiderargli in se medesimo bene alcuno ch’Egli non abbia, perché è totalmente infinito; onde non può aver in sé maggior potenza, né maggior gloria, né maggior sapienza, né maggior bontà di quella che ha. E così il rallegrarci, il gioire, il compiacerci, il gustare, che Dio abbia questi beni che ha, e che sia tanto buono quanto Egli è, tanto ricco, tanto potente, tanto infinito e tanto glorioso, è il maggior bene che gli possiamo volere, e conseguentemente il maggior amore che gli possiamo portare. Di maniera che siccome i Santi che stanno in cielo, e l’Umanità santissima di Cristo nostro Redentore, e la gloriosissima Vergine Signora nostra, e tutti i Cori degli Angeli si stanno rallegrando di vedere Dio tanto bello e tanto ricolmo di beni, ed è tanto grande l’allegrezza e il giubilo che in ciò provano, che non si soddisfano se non con prorompere nelle lodi di questo Signore, e non si saziano di starlo lodando e benedicendo eternamente, come dice il Profeta: Beati, qui habitant in domo tua, Domine: in sæcula sæculorum laudabunt te (Ps. LXXXIII, 5): così noi abbiamo da unir i nostri cuori e da elevare le nostre voci colle loro, come ce l’insegna la Chiesa nostra Madre: Cum quibus, et nostras voces, ut admitti jubeas, deprecamur, supplici confessione dicentes: Sanctus, Sanctus, Sanctus, Dominus Deus Sabaoth. Pieni sunt cœli et terra gloria tua (Eccl. in Præfat. Miss.). Sempre, o quanto più spesso potremo, abbiamo da stare lodando e glorificando Dio, rallegrandoci e gioendo del bene, della gloria e del dominio che Egli ha, dandogliene il buon prò, e congratulandocene seco; e in questa maniera ci rassomiglieremo di qua, nel modo a noi possibile, ai Beati e all’istesso Dio; e avremo il più alto amore e la più perfetta conformità alla volontà di Dio che possiamo avere.

DELLA CONFORMITÀ ALLA VOLONTÀ DI DIO (15)

CATECHISMO CATTOLICO DEL CARDINAL GASPARRI (11)

CATECHISMO CATTOLICO A CURA DEL CARDINAL PIETRO GASPARRI (11)

PRIMA VERSIONE ITALIANA APPROVATA DALL’AUTORE 1932 – COI TIPI DELLA SOC. ED. (LA SCUOLA) BRESCIA

Brixiæ, die 15 octobris 1931.

IMPRIMATUR

+ AEM. BONGIORNI, Vie. Gen

III.

CATECHISMO PER GLI ADULTI DESIDEROSI DI APPROFONDIRSI NELLA CONOSCENZA DELLA DOTTRINA CATTOLICA.

CAPO. VII.

Della grazia.

D. 278. Che cos’è la grazia?

R. La grazia è un dono soprannaturale gratuitamente concesso da Dio alla creatura razionale al fine di conseguire la vita eterna (È soprannaturale ciò che supera la natura. Il soprannaturale è di due specie: il primo supera la natura per il modo in cui si produce, mentre in sé è d’ordine naturale, per es.: la vita resa ad un morto; il secondo invece, anche in sé e per essenza, trascende ogni e qualsiasi ordine di natura, in quanto partecipa all’intima vita di Dio; per es.: la grazia santificante, le virtù infuse e i loro atti, e la stessa vita eterna, vale a dire la visione intuitiva di Dio e l’amor beatifico di Dio).

D. 279. Di quante specie è la grazia?

R. La grazia è: una abituale, chiamata anche santificante, ossia quella che giustifica, quella che rende grato; l’altra attuale.

D. 280. Che cos’è la grazia abituale?

R. La grazia abituale è una qualità soprannaturale inerente all’anima, mediante la quale l’uomo diventa partecipe della divina natura, tempio dello Spirito Santo, amico di Dio e suo figlio adottivo, erede della gloria celeste e, quindi, in condizione di porre atti meritori di vita eterna (Sap., VII, 14; Giov., I , 12, 13; III, 5; XV, 4, 14; Paolo, ad Rom., V, 5; VIII, 14-17; I a ad Cor., IV, 7; XII, 3; ad Eph., II, 8 e segg.; 2a di Pietro, I, 4; Ia di Giov., III, 1; Conc. di Tr., Sess. VI De justificatione, can. 11; S. Cir. Al..: In Joann., I, 9. ).

D. 281. La grazia abituale è necessaria per conseguire la vita eterna?

R. A tutti gli uomini, compresi i bambini, la grazia abituale è assolutamente necessaria per conseguire la vita eterna.

D. 282. Che cosa meritiamo con le buone opere da noi compiute, giustificati mercé la grazia di Dio e i meriti di Gesù Cristo?

R. Con le buone opere da noi compiute, giustificati mercé la grazia di Dio e i meriti di Gesù Cristo, noi meritiamo un aumento di grazia, il raggiungimento della vita eterna (purché moriamo nella grazia di Dio), e un aumento di gloria (Conc. d’Orange II, can. 18; Conc. di Tr., 1. e , c. 32.).

D. 283. Come si perde la grazia abituale?

R. La grazia abituale si perde con qualsiasi peccato mortale (Paolo: ad Rom., V I , 23; la ad Cor., VI, 9 e segg.; Giac, I, 15; Ia di Giov., III, 18; Conc. di Tr., 1. C. , can. 27; S. Basil.: Sermo asceticus, I.).

D. 284. In che modo si ricupera la grazia abituale?

R. La grazia abituale si ricupera col cessare dai peccati mortali, e col mettere in uso i mezzi stabiliti da Nostro Signor Gesù Cristo per conseguire la giustificazione(Vedi intorno a questi mezzi la D. 178).

D. 285. In istato di peccato mortale possono farsi alcune opere buone?

R. In istato di peccato mortale possono farsi alcune opere buone, non meritorie però della vita eterna, e pur tali, tuttavia, che con l’aiuto della grazia attuale, il peccatore vien per esse disposto alla giustificazione.(Eccli., XXI, 1; Ezech., XVIII, 30; Dan., IV, 24; Paolo ad Rom., II, 14; Conc. di Tr., 1. C. ; S. Agost.: De spiritu et litterà, 48.).

D. 286. Che cos’è la grazia attuale?

R. La grazia attuale è un aiuto soprannaturale di Dio, a mezzo del quale Dio illumina la nostra mente e muove la nostra volontà onde fare il bene ed evitare il male, in ordine alla vita eterna.

(2  S. Efrem.: De Epiphania, X, 14; S. Cirillo Aless.: De adoratione in spiritu et veritate, I . — Solo la grazia interna sidivide in abituale ed attuale: tuttavia, sotto il nome genericodi grazia si può intendere, e spesso s’intende, qualunque donoda Dio gratuitamente concesso agli uomini in vista dell’eternasalvezza; tali sono le stesse grazie esterne, quali una buonaeducazione, i Sacramenti, il magistero della Chiesa, la sacrapredicazione, la lettura dei buoni libri, gli ammonimenti, lepene; anzi, le stesse malattie e quelli che sogliamo chiamaremali e gl’incomodi della vita, e persino la morte, possono talvoltachiamarsi grazie attuali, in quanto Dio che li vuole o permette, sempre li vuole o permette per la nostra salvezza. È dellamassima importanza che il Cristiano consideri tutti gli eventi della propria vita sotto questo punto di vista soprannaturale)

D. 287. La grazia attuale ci è necessaria?

R. La grazia attuale ci è assolutamente necessaria al fine di operare il bene e di fuggire il male, in ordine alla vita eterna; essendo infatti, questa di ordine soprannaturale, nulla possiamo, con le sole forze naturali, pensare, volere e compiere di quanto è necessario per conseguirla (Paolo: 2a ad Cor., III, 5; ad Philipp., II, 13; Conc d’Orange, II, can. II e segg.; Conc. di Tr., sess. VI De justificatione, can. 1-3; S. Greg. Naz.: Oratio, XXXVII, 13; S. Giov. Cris.: In Genesim, XXV, 7).

D. 288. Concede Iddio a tutti le grazie di cui si abbisogna per la vita eterna?

R. Dio, che tutti gli uomini vuole salvi, a tutti concede le grazie di cui abbisognano per conseguire la vita eterna; senonchè, trattandosi di adulti, è necessario, per raggiungerla, che essi liberamente cooperino con Dio, il quale, col suo aiuto, previene, inspirandole, le loro buone opere e continua ad assisterne il compimento. (Ezech., XXXIII, 11; Giov., I , 9; Paolo: la ad Tim., II, 14; IV, 10; 2a di Pietro, III, 9; Conc. di Tr., 1. c., c. 11; Inn. X, 31 magg. 1653, contra errores Jansenii, prop. la; S . Giov. Cris.: In epist. ad Hebr., XVI, 4.)

D. 289. Quali sono i mezzi principali per conseguire la grazia di Dio?

R. I mezzi principali per conseguire la grazia di Dio sono: la preghiera mediante la quale la grazia s’impetra, e i Sacramenti che la contengono e la conferiscono.

CAPO VIII

Della preghiera.

SEZIONE l a. — Della preghiera in generale.

D. 290. Che cos’è la preghiera?

R. La preghiera è una pia elevazione dell’anima a Dio, intesa ad adorarlo, a ringraziarlo per i benefici ricevuti, ad impetrare il perdono dei peccati e a chiedere quanto crediamo utile o necessario per noi stessi o per gli altri.

D. 291. È necessario per noi di pregare?

R. È necessario per noi di pregare, perché tale è la volontà di Dio, e perché gli aiuti di cui abbiamo continuamente bisogno, Dio, generalmente, suole concederli solo a chi li richiede (2 Eccli., XVIII, 22; Matt., VII, 7, 8; Luca, XI, 9-13; XVIII, 1; Paolo: ad Rom., XII, 12; ad Eph., VI, 18; ad Coloss., IV, 2; la ad Thess., V, 17; S . Giov. Cris.: In Genesim, XXX, 5; Cat. p. parr., p. IV, c. 1, n. 2. — Come il respirare è necessarioalla vita del corpo, così il pregare è necessario alla vita dell’anima: chi è solito pregare si acquista la salvezza; chi non è solito pregare si procura la dannazione. Spesso adunque, o cristiano, implora Dio con la bocca, e più spesso ancora col cuore: adopera con pietà le formule di orazione per la mattina e la sera: e nelle tentazioni, come nelle difficoltà della vita, indirizza a Dio le tue suppliche, tenendo sempre profondamente scolpito nell’animo quel principio: rettamente sa vivere, chi rettamente sa pregare.)

D. 292. Quante specie di preghiera vi sono?

R. Vi sono due specie di preghiera: quella mentale nella quale colla mente e col cuore parliamo con Dio emeditiamo le eterne verità; quella vocale, che, accompagnatadall’attenzione della mente e dalla devozione delcuore, si effonde dalle labbra.

D. 293. Quante forme può avere la preghiera vocale?

R. La preghiera vocale può avere due forme: quella privata, quando vien fatta dall’individuo o dalla famiglia, per sé o per altri, senza l’intervento dei ministri della Chiesa; quella pubblica, quando vien fatta a mezzo dei ministri della Chiesa e in nome della Chiesa; che se la Chiesa la inserisce nei suoi libri, prende il nome di liturgica.

D. 294. Quali debbono essere nella preghiera i principali oggetti delle nostre domande?

R. I principali oggetti delle nostre domande nella preghiera debbono essere: la gloria di Dio, l’eterna salvezza nostra e degli altri, e i mezzi necessari ed opportuni a conseguirla (Matt., VI, 9-13; XXI, 22; XXVI, 41)

D. 295. Ci è lecito di chiedere anche i beni temporali?

R. Ci è lecito di chiedere anche i beni temporali, sempre però in conformità della volontà divina, in quanto, cioè, siano per giovare alla gloria di Dio, ovvero giovino in qualche modo a noi o ad altri per raggiungere la vita eterna, o per lo meno in nulla ostacolino l’una e l’altra Qf1 (Matt., VIII, 2, 6, 25; IX, 18; XV, 22; XVII, 11; Marco, I , 40-42; VII, 32; S. Tom., 2a 2æ, q. 83, a. 6; Cat. p. parr., p. IV, c. IV, n. 1 e segg.)

D. 296. A chi viene indirizzata la preghiera?

R. Ogni preghiera viene indirizzata a Dio, l’unico e solo che possa darci quanto chiediamo; affinché, però, intercedano per noi presso Dio, imploriamo anche i Santi tutti, specialmente la Beata Vergine Maria, e le stesse anime trattenute in purgatorio (Tob., XII, 12; Giob., XLII, ‘ 8; II Macc, XV, 14; Apoc, V, 8; VIII, 3).

D. 297. In qual modo va fatta la preghiera perché sia efficace?

R. Perchè sia efficace la preghiera va fatta nel nome di Gesù Cristo, sui meriti del quale si basa, e con pietà, fede, speranza, umiltà e perseveranza (Tob., VII, 8; Eccli., XXXV, 21; Matt., VI, 5, 6; VII, 7-11; XVII, 20; XX, 22; Marco, XI, 24; Giov., XVI, 23, 24; Giac , I, 5, 6; IV, 16-18; S. Agost.: Trac. 102 in Joannem; S. Tom., 2a 2ae, q. 83, a. 4).

D. 298. Perché non sempre otteniamo quanto chiediamo con la preghiera?

R. Non sempre otteniamo quanto chiediamo con la preghiera, perché o non chiediamo rettamente, o perché quanto chiediamo non è giovevole; nel qual caso non è da dubitarsi che Dio ci accorderà a suo tempo altre grazie, anche maggiori di quelle richieste (Catech. p. parr., p. IV, c. II, n. 4).

D. 299. Qual è la preghiera di tutte la più perfetta?

R. La preghiera di tutte la più perfetta è l’orazione domenicale, vale a dire il Pater noster, alla quale si suole aggiungere la salutazione angelica, ossia l’Ave Maria.

SEZIONE 2a .

Dell’orazione domenicale e della Salutazione angelica.

Art. 1. — DELL’ORAZIONE DOMENICALE.

D. 300. Perchè il Pater noster si chiama orazione domenicale?

R. Il Pater noster si chiama orazione domenicale perché fu Nostro Signor Gesù Cristo in persona ad insegnarcela(Matt., VI, 9-13; Luca, VI, 2-4).

D. 301. Perché l’orazione domenicale è di tutte la più perfetta?

R. L’orazione domenicale è di tutte la più perfetta perché contiene tutto quanto dobbiamo chiedere sia che si riferisca a Dio (nelle tre prime domande), sia che si riferisca a noi stessi e al nostro prossimo (nelle rimanenti)

(« L’orazione domenicale è perfettissima perché, secondo dice S. Agostino (Epist. 130, al. 121, ad Probanti, c. 12): A voler rettamente e acconciamente pregare, null’altro possiamo dire che non sia contenuto in questa orazione domenicale. « Essendo, infatti, la preghiera in certo qual modo l’interprete del nostro desiderio presso Dio, ne consegue che nel nostro pregare solo quelle cose rettamente chiediamo che rettamente possiamo desiderare. Ora, nell’orazione domenicale, non solo tutto chiediamo di quanto rettamente possiamo desiderare, ma lo chiediamo anche nell’ordine preciso in cui va desiderato; indi è che questa preghiera non solo insegna a domandare, ma fissa al nostro affetto tutta la scala dei valori desiderabili ». S. Tom., 2a 2æ, q. 83, a. 9. — È dovere quindi di ogni Cristiano di recitare spesso l’orazione domenicale, con dignità, attenzione e devozione.).

D. 302. Chi invochiamo con le parole: Padre nostro?

R. Con le parole: Padre nostro, noi invochiamo Dio quale tenerissimo padre, per esprimere a suo riguardo il nostro amore e la nostra fiducia, e conciliarci la sua benevolenza e la sua misericordia.

D. 303. Perché chiamiamo Dio Padre nostro?

R. Chiamiamo Dio Padre nostro, non solo perché ci ha creati, ci conserva e governa, ma soprattutto perché  mediante la sua grazia fa di noi i suoi figli adottivi. (Deut., XXXII, 6; Giov., XVI, 26, 27; Paolo: ad Rom., VIII, 15-17; la ad Cor., I, 9; 1a di Giov., III, 1-3; Cat. p. parr.,p. I, c. II, n. 9)

D. 304. Perché diciamo: Padre nostro, piuttosto che: Padre mio?

R. Diciamo: Padre nostro, piuttosto che: Padre mio, perché per il dono dell’adozione divina tutti i fedeli sonofratelli in Cristo; indi è che deve ognuno fraternamenteamare gli altri, e pregare per essi, oltre che per sé  stesso (Cat. p. parr., p. IV, c. IX, n. 14 e segg.).

D. 305. Che cosa intendiamo esprimere con le parole: Che sei nei cieli?

R. Con le parole: Che sei nei cieli, noi veniamo incitati a contemplare l’infinita potenza e maestà di Dio quale rifulge soprattutto nell’opera dei cieli, e nel medesimo tempo veniamo a ricordare che i beni celesti, e quanto va con essi congiunto, noi dobbiamo chiederli soprattutto a Dio (Cat. p. parr.. p. IV. c. IX, n. 19, 20).

D. 306. Che cosa chiediamo con la prima domanda: sia santificato il tuo Nome?

R. Con la prima domanda : Sia santificato il tuo nome, noi chiediamo che il santo Nome di Dio venga atutti reso noto, e che da tutti sia celebrato, col cuore, conle labbra e con le opere buone (Sal. CXII, 1-3; Paolo: ad Philipp., II, 9-11).

D. 307. Che cosa chiediamo con la seconda domanda: Venga il tuo regno?

R. Con la seconda domanda: Venga il tuo regno, noi chiediamo che con la sua grazia Dio regni su noie tutti gli uomini, che con la sua legge regni quaggiù sullasocietà e sulle nazioni, onde possiamo poi esser resi partecipiin cielo della sua gloria eterna.(Paolo: ad Rom., XIV, 17; Ia ad Cor., VI, 9,10; XV, 50; ad Gal., V, 19-21; ad Eph., V, 5; Cat. p. parr. p. IV, c. XI, n. 1 e segg.)-

D. 308. In qual modo possiamo noi cooperare all’avvento del regno di Dio sulla terra?

R. Noi possiamo e dobbiamo cooperare all’avvento del regno di Dio sulla terra, tanto con l’osservare la legge di Cristo e coltivare in noi la vita soprannaturale della grazia, quanto con l’aiutare, mediante la preghiera e le opere, l’opera stessa della Chiesa, il cui scopo è che la vita, sia privata che domestica e pubblica, si conformi alla legge divina, che tutti gli erranti tornino all’unità della Chiesa medesima e che la luce del Vangelo sia portata a quei popoli che ancora siedono nelle tenebre e nell’ombra della morte.

D. 309. Che cosa chiediamo con la terza domanda: Sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra?

R. Con la terza domanda: Sia fatta la tua volontà come in cielo cosi in terra, noi chiediamo che, a somiglianzadei beati tutti del cielo come delle anime delPurgatorio, anche gli uomini sulla terra facciano la volontàdi Dio, con tutto amore, sempre e in ogni cosa.

D. 310. Che cosa chiediamo con la quarta domanda: Dacci oggi il nostro pane quotidiano?

R. Con la quarta domanda: Dacci oggi il nostro pane quotidiano, noi chiediamo che Dio ci elargisca sia ilpane spirituale, vale a dire quanto ènecessario alla vitaspirituale dell’anima, segnatamente il pane eucaristico,sia il pane corporale, vale a dire quanto è  richiesto alsostentamento del corpo.

D. 311. Che cosa chiediamo con la quinta domanda: E rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ainostri debitori?

R. Con la quinta domanda: E rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori, noi chiediamoa Dio che quei peccati da noi commessi contro diLui e quelle pene da noi meritate per i nostri peccati,Egli ce li condoni, come noi stessi condoniamo ai nostrioffensori le offese da loro arrecateci (Matt., VI, 14, 15; XVIII, 35; Marco, XI, 25, 26; Luca, XI, 4).

D. 312. Che cosa chiediamo con la sesta domanda: E non c’indurre in tentazione?

R. Con la sesta domanda: E non c’indurre in tentazione, noi a Dio ricorriamo, consci della nostra debolezza,per pregarlo di liberarci dalle tentazioni, o per lomeno di concederci l’aiuto della sua grazia onde superarequelle tentazioni stesse.

D. 313. Perché permette Iddio che noi siamo tentati?

R. Dio permette che noi siamo tentati, per farci riconoscere la nostra debolezza, perché la nostra fedeltà venga messa alla prova, e infine perché col superare le tentazioni mercé la sua grazia, ci esercitiamo nella virtù e acquistiamo i meriti della vita eterna; mai però Iddio permette che veniamo tentati oltre il limite da noi sostenibile, con l’aiuto della sua grazia (Tob., XII, 13; Sap., III, 5; Paolo: Ia ad Cor., X, 13; Giac., I, 2, 14; 2a di Pietro, II, 9; Conc. di Tr., sess. VI, De justif., c. 11).

D. 314. Quali sono i rimedi più efficaci contro le tentazioni?

R. I rimedi più efficaci contro le tentazioni sono: la fuga delle occasioni, la meditazione dei Novissimi e l’uso frequente dei Sacramenti; nel momento stesso poi della tentazione: il segno della croce, l’umile invocazione dell’Angelo custode e soprattutto quella dei santissimi nomi di Gesù e della beata Vergine Maria (Prov., XVIII, 10; Matt., XVII, 20; XXVI, 41).

D. 315. Che cosa chiediamo con la settima domanda: Ma liberaci dal male?

R. Con la settima domanda: Ma liberaci dal male, noi chiediamo in primissimo luogo che Dio ci liberi dalmale spirituale, cioè dal peccato e, quindi, dal demonioche al peccato ci spinge, e in secondo luogo da ogni altromale, per lo meno da quelli che possono offrirci l’occasionedi peccare.

D. 316. Che cosa significa la parola Amen in fine dell’ultima domanda?

R. La parola Amen in fine dell’ultima domanda, significa: così sia, quanto sopra chiedemmo; il che sta anche a dimostrare la nostra fiducia nelle promesse di Dio.

Art. 2. — DELLA SALUTAZIONE ANGELICA.

D. 317. Perché all’orazione domenicale si suole aggiungere la salutazione angelica?

R. All’orazione domenicale si suole aggiungere la salutazione angelica allo scopo di impetrare più facilmente da Dio, mediante l’intercessione della beata Vergine Maria, quanto imploriamo nell’orazione domenicale.

D. 318. Di chi sono le parole: Ave, [Maria] piena di grazia, il Signore è teco, tu sei benedetta fra le donne?

R. Le parole: Ave, [Maria] piena di grazia, il Signore è teco, tu sei benedetta fra le donne, sono dell’ArcangeloGabriele annunziatile alla beata Vergine Maria il misterodell’Incarnazione; e perciò questa preghiera viendetta: salutazione angelica (Luca, I, 28).

D. 319. Che cosa facciamo quando recitiamo la salutazione angelica?

R. Quando recitiamo la salutazione angelica ci congratuliamo con la beata Vergine Maria per i singolari doni e privilegi di cui Dio l’ha colmata di preferenza a tutte le altre creature, e glorifichiamo Dio medesimo di aver tanto fatto per ella.

D. 320. Di chi sono e cosa significano le parole: Benedetto il frutto del ventre tuo?

R. Le parole: Benedetto il frutto del ventre tuo, sono di Santa Elisabetta quando riceveva, ospite in casa sua, la beata Vergine Maria, e significano che Cristo Signore, figlio della beata Vergine Maria, è su tutte le cose benedetto nei secoli (Luca, I, 28).

D. 321. Di chi sono le parole: Santa Maria, Madre di Dio, prega per noi peccatori adesso e nell’ora della nostra morte, e che cosa domandiamo con esse?

R. Le parole: Santa Maria, Madre di Dio, prega per noi peccatori adesso e nell’ora della nostra morte, sonostate aggiunte dalla Chiesa, e con esse chiediamo il patrociniodella beata Vergine Maria in tutte le nostre necessità,e specialmente nell’ora della nostra morte.

(La Chiesa orientale non ha questa seconda parte della salutazione angelica, ma alle parole angeliche aggiunge un’altra preghiera).

D. 322, La beata Vergine Maria, madre di Dio, è essa anche madre nostra?

R. La beata Vergine Maria, madre di Dio, è anche madre nostra in virtù di quell’adozione per la quale siamo fratelli del Figliuol suo; e ciò Gesù Cristo medesimo volle confermare nel morir sulla croce, quando alla beata Vergine Maria diede per figli tutti gli uomini, nella persona di S. Giovanni, dicendo: Donna, ecco il tuo figlio, Maria, aggiungendo: Ecco la madre tua (Giov.. XIX, 26, 27; Paolo: ad Rom., VIII, 29; Leone XIII: Enc. Adjutricem populi, 5 sett. 1895; Pio X: Enc. Ad illum diem, 2 feb. 1904; Benedetto XV: Epist. ad Sodal. Nostræ Dominæ a bona morte, 22 marzo 1918; Pio XI: Enc. Rerum Ecclesiæ, 28 febbr. 1926).

D. 323. Qual giovamento ottengono coloro che con tenera pietà onorano la beata Vergine Maria?

R. Coloro che con tenera pietà onorano la beata Vergine Maria ottengono questo giovamento importantissimo di essere dalla medesima riamati e protetti con particolare amore materno (S. Bernardo (Omelia II sul Missus est) inculca la pietà verso la beata Vergine Maria con le seguenti parole: « Nei pericoli, nelle angustie, nelle incertezze, pensa Maria, invoca Maria….; seguendola, non ti smarrisci; pregandola, non disperi; se ti sostiene, non ti abbatti; se ti protegge, non hai che temere; se ti guida, non ti stanchi; se ti è propizia, raggiungi la meta ». Tutte cose che potranno facilmente trovare la loro conferma negli esempi di cui v’è abbondanza nei libri di pietà.).

D. 324. Qual è la devozione più raccomandata dalla Chiesa verso la beata Vergine Maria?

R. La devozione più raccomandata dalla Chiesa verso la beata Vergine Maria è la recita del Santo Rosario.

DELLA CONFORMITÀ ALLA VOLONTÀ DI DIO (13)

DELLA CONFORMITÀ ALLA VOLONTÀ DI DIO (13)

[A. Rodriguez: Esercizio di perfezione e di virtù cristiane; vol. II, ed. VII ster. TORINO, Marietti ed. 1917]

TRATTATO VIII.

CAPO XXIX.

Si conferma quel che si è detto con alcuni esempi.

Nelle Cronache dell’Ordine di S. Domenico si racconta (Fr. Hernandus de Castil. 1 p., lib. 1, c. 60 Histor, Ordio. Praedicat.), che un Padre de’ primi dell’Ordine dopo essere stato nella Religione alcuni anni con grand’esempio di vita e con gran purità d’anima, non sentiva alcuna sorta di consolazione né di gusto negli esercizi della Religione, né meditando, né orando, né contemplando, né leggendo: e come sempre sentiva dire del favore che Dio faceva agli altri, e de’ sentimenti spirituali che quegli avevano, stava mezzo disperato; e come tale una notte, nell’orazione dinanzi ad un Crocefisso si pose a dire piangendo amaramente questi spropositi: Signore, io ho sempre creduto, che in bontà e in mansuetudine superi tutte le tue creature. Eccomi qui, che ti ho servito molti anni, e ho sopportate in grazia tua molte tribolazioni, e di buona voglia mi son sacrificato a te solo; e se la quarta parte del tempo che ho impiegato in servizio tuo l’avessi impiegata in servire un qualche tiranno, m’avrebbe egli mostrato oramai qualche segno di benevolenza, almeno con una buona parola, o con una buona ciera, o con un riso, e tu, Signore, non mi hai fatto carezza alcuna, né da te ho ricevuto pur il minor favore di quanti sii solito di fare agli altri; ed essendo tu l’istessa dolcezza, sei verso di me più duro che cento tiranni. Che cosa è questa, Signore? Perché vuoi che la cosa passi così? Stando egli in questo sentì subitamente un fracasso così grande, come se tutta la chiesa se ne fosse venuta in terra; e sopra di essa sentiva un sì formidabil rumore, come se migliaia di cani fossero stati facendo in pezzi il solaro e scompaginando i travi; del che spaventato, e tremando di paura, voltato il capo per veder quel che potesse essere, si vide alle spalle la più brutta e orribil visione del mondo, di un demonio che con una verga di ferro che tenea in mano gli diede si gran percossa nel corpo, che cadutone per terra non potè più alzarsi; gli bastò però l’animo d’andarsi strascinando sino ad un altare che era ivi vicino; senza potersi maneggiare per lo dolore, come se a furia di percosse gli avessero scongiunte le ossa. Quando i Frati si levarono per dir Prima, e lo trovarono come morto, senza saper la cagione di cosi subitaneo e mortai accidente, lo portarono all’infermeria, nella quale per tre settimane intere che vi stette con dolori grandissimi mandava fuori tanto grande e tanto fetente e stomachevole puzza, che in nessun modo potevano i Religiosi entrare a governarlo e servirlo, se non turandosi prima il naso e premunendosi con molti altri rimedi. Passato questo tempo riprese qualche poco di forze, e giunto a potersi tenere in piedi, volle risanarsi della sua pazza presunzione e superbia: e ritornato al luogo ove aveva commessa la colpa, cercò in quello il rimedio di essa, facendo con molte lagrime ed umiltà la sua orazione ben differente dalla passata. Confessava la sua colpa, si riconosceva indegno di bene alcuno, e molto meritevole di pena e di castigo. E il Signore lo consolò con una voce del cielo che gli disse: Se vuoi consolazioni e gusti, ti conviene esser umile, riconoscer la tua viltà, e persuaderti d’esser più vile che il fango, e meno stimabile che i vermi che calpesti co’ piedi. – E con questo rimase tanto avvertito ed instrutto, che per l’avvenire fu un perfettissimo Religioso. – Del nostro S. P. Ignazio leggiamo un altro esempio assai differente. Si narra nella Vita di lui (Lib. 5, c. 1 Vita F. N. S. Ignat.), che considerando i suoi mancamenti, e piangendoli, diceva di desiderare, che per castigo di essi il Signore gli togliesse a volta a volta il favore della sua consolazione, acciocché egli come riscosso da questa tirata di briglia imparasse a procedere con maggior sollecitudine e cautela nel suo servigio: ma che era tanto grande la misericordia di Dio e la moltitudine della soavità e dolcezza della sua grazia verso di lui, che quanto più egli mancava e più desiderava d’essere in tal maniera castigato, tanto era il Signore più benigno e con tanto maggior abbondanza spargeva sopra di lui i tesori della sua infinita liberalità. Onde diceva, che credeva non vi fosse uomo nel mondo in cui in ugual grado concorressero queste due cose come in lui, cioè mancar tanto con Dio, e ricever tante e così continue grazie da Dio. – Il Blosio racconta (Blos. c. 10 mon spir.) di un Servo di Dio, che il Signore gli faceva singolari favori, dandogli grandi illustrazioni e comunicandogli cose meravigliose nell’orazione: ed egli colla sua grande umiltà e desiderio di piacer più a Dio gli domandò, che quando così gli fosse più piaciuto gli avesse tolta quella grazia. Esaudì Dio la sua orazione, e gliela tolse per lo spazio di cinque anni, lasciandogli patir in essi molte tentazioni, aridità ed angustie: e mentre egli una volta stava piangendo amaramente, gli apparvero due Angeli per volerlo consolare, a’ quali rispose: Io non domando consolazione, perché mi basta per consolarmi, che s’adempisca in me la volontà di Dio. – Il medesimo Blosio narra (Idem ibid. c. 4), che Cristo nostro Redentore disse un dì a santa Brigida: Figliuola, che cosa è quella che ti turba e ti mette in fastidio? e ch’essa gli rispose: L’esser afflitta da pensieri vani, inutili e cattivi, e il non poterli scacciar via; e m’angustia grandemente il tuo spaventevole giudicio: e che allora il Signore le disse: Questa è convenevol giustizia; che siccome tempo fa ti dilettavi delle vanità del mondo contra la volontà mia; così ora ti siano molesti e penosi vari e perversi pensieri che ti vengono contra la tua. Hai però da temere il mio giudicio moderatamente e con discrezione, confidando sempre fermamente in me, che sono il tuo Dio: perché devi tenere per cosa certissima, che i cattivi pensieri a’ quali l’uomo resiste, e li ributta, sono purgatorio e corona dell’anima. Se non puoi impedirli, sopportali con pazienza e fa resistenza ad essi colla volontà: e quantunque non dii loro il consentimento, ad ogni modo abbi timore, che non ne nasca in te qualche superbia, e così tu venga a cadere: perché chiunque sta in piedi, è sostenuto solamente dalla mia grazia. – Il Taulero dice così (e l’apporta il Blosio (Taulerus apud Blos, oonsol. pusill.) nella consolazione de’ pusillanimi: Molti quando sono angustiati da qualche tribolazione mi soglion dire: Padre, son maltrattato; le cose non vanno bene per me, perché sono angustiato da diverse tribolazioni e da malinconia; e io rispondo a chi mi dice questo, che anzi le cose vanno bene per lui, e che gli è fatta gran grazia. Allora dicono essi: Signor no; anzi credo, che questo m’avviene per le mie colpe. Al che io replico: Avvenga questo per i tuoi peccati, o no; credi, che questa croce te l’ha data Dio; e ringraziandonelo, sopportala con pazienza e rassegnati tutto in lui. Dicono ancora: Io mi consumo interiormente per la grande aridità e tenebre; e io gli dico: Figliuol caro, sopporta con pazienza, e ti sarà fatta maggior grazia che se avessi molta e gran divozione sensibile. – Si racconta di un gran Servo di Dio che diceva così: Sono quarant’anni ch’io servo il Signore ed attendo all’orazione, e non ho mai avuti in essa gusti né consolazioni; ma in quel giorno che la fo, sento di poi in me gran lena per gli esercizi di virtù; e quando manco in questo, mi sento tanto infiacchito, che non posso alzar le ali per cosa alcuna di buono.

CAPO XXX.

Della conformità alla volontà di Dio che abbiamo d’avere circa la distribuzione delle altre virtù e doni soprannaturali.

Siccome abbiamo da essere conformi alla volontà di Dio, comunque Egli ci tratti nell’orazione; così ancora abbiamo da esser conformi alla medesima, comunque Egli ci tratti in tutte le altre virtù e doni suoi, e in tutte le altre prerogative spirituali. Buonissimo è il desiderio di tutte le virtù, il sospirar per esse, e il procurarle; ma talmente abbiamo da desiderar sempre d’esser migliori e di crescere e camminar avanti nella virtù, che ci diamo pace se non arriveremo a quello che desideriamo, e che ci conformiamo alla volontà di Dio, contentandoci di essa. Se Dio non vuole dare a te una castità angelica, ma vuole che in ciò tu patisca tentazioni gravi, è meglio che tu abbi pazienza e che ti conformi alla volontà di Dio in tale tentazione e travaglio, che non t’inquieti e ti lamenti di non avere quella purità angelica. Se Dio non ti vuol dare così profonda umiltà come ad un S. Francesco, né tanta mansuetudine quanta a Mosè e a Davide, né tanta pazienza quanta a Giob, ma vuole che tu senta movimenti e appetiti contrari; è bene che ti confonda e ti umilii, e che da ciò impari ad aver bassa stima di te; ma non è bene che t’inquieti e che ti vada lamentando e angosciando, per non farti Dio tanto paziente quanto Giob, né tanto umile quanto S. Francesco. Bisogna che ci conformiamo alla volontà di Dio anche in queste cose, perché altrimenti non avremo mai pace. Dice molto bene il padre maestro Avila (M. Avil. c. 23, Audi filia): Io non credo che vi sia stato alcuno tra’ Santi in questo mondo, che non abbia desiderato d’esser migliore di quello ch’era; ma questo non toglieva loro la pace, perché non lo desideravano per propria cupidigia la quale non dice mai basta; ma lo desideravano per amor di Dio, della cui distribuzione si tenevan contenti, ancorché avesse dato lor meno, riputando per contrassegno di vero amore il contentarsi più tosto di quello che Dio dava loro, che il desiderare d’aver molto, con tutto che l’amor proprio faccia dire, che ciò si desidera per servir maggiormente a Dio. Ma mi dirà alcuno, che par che questa sia un volerci dire, che non dobbiamo dunque riscaldarci tanto nel desiderare d’essere più virtuosi e migliori; ma che abbiamo da lasciar fare ogni cosa a Dio, sì quanto all’anima, come quanto al corpo: e così pare che questo sia un darci ansa di diventar tiepidi e lenti, e di non curarci niente di crescere e di camminar avanti. Notisi molto bene questo punto, perché è di grande importanza. È tanto buona questa replica e obbiezione, che questo solo è da temersi in questa materia. Non vi è dottrina quanto si voglia buona della quale non possa uno servirsi male, se non sa applicarla e usarla come si conviene: e così sarà di questa, tanto in quel che riguarda alle orazioni, quanto in quel che riguarda alle altre virtù e doni spirituali; per lo che sarà necessario, che la dichiariamo e l’intendiamo bene. Io non dico, che non abbiamo da desiderare d’esser ogni giorno più santi, e da procurar d’imitare sempre i migliori, e da esser in ciò diligenti e ferventi; che per questo siamo venuti alla Religione; e se non faremo questo, non saremo buoni Religiosi: ma dico, che in ciò abbiamo a procedere a proporzione, come nelle cose esteriori e che appartengono al corpo. In queste, come dicono i Santi, gli uomini hanno bensì ad essere diligenti, ma non ansiosi né soverchiamente solleciti; che questo, dicono essi, viene proibito da Cristo nostro Redentore con quelle parole registrate nell’Evangelio: Dico vobis: Ne solliciti sitis animæ vestræ, quid manducetis, neque corpori vestro, quid induamini (Matth. VI, 25); colle quali parole riprende la soverchia sollecitudine, l’ansia e l’affetto smoderato per queste cose; ma la cura competente e le diligenze necessarie nel procacciarle, non le proibisce né le condanna; anzi ce le comanda e ce le diede per penitenza, laddove disse al nostro primo Padre: In sudore vultus tui vesceris pane (2; Gen. III, 19): Bisogna che gli uominimettano la loro fatica e diligenza nel procurarsida mangiare; il far altrimenti sarebbe un tentar Dio. Ora allo stesso modo si ha da procedere nelle cose spirituali enel procurar le virtù ed i doni di Dio. Bisogna che siamo molto diligenti e solleciti in questo; ma non in maniera tale, che ci tolga la pace e la conformità alla volontà di Dio. Fa tu quello che puoi dal canto tuo: ma se con tutto ciò vedi che non giungi a conseguire tutto quello che vorresti, non hai per questo da lasciarti precipitare in una impazienza la quale sia maggior male che non è il mancamento di quella cosa di cui ti lagni: ed hai a far questo con tutto che ti paia che il mancamento di una tal cosa in te provenga dalla tua tiepidezza; che è quello che suol attristar molti. Procura tu di far moralmente le tue diligenze: e se non le farai tutte, e cadrai in qualche mancamento, non ti spaventare per questo, né ti perdere d’animo, che poco più, poco meno, così accade a tutti. Sei uomo, e non angelo; debole, e non santificato né confermato in grazia. Iddio conosce assai bene la nostra debolezza e miseria: Quoniam ipse cognovit figmentum nostrum (Psal. CII, 13); e non vuole che ci disperiamo per questo, perché ci veggiamo cadere in qualche difetto, ma che ci pentiamo subito ed umiliamo, e che subito ci leviamo su e domandiamo a Lui forza maggiore, procurando di mantenerci in quiete interiormente ed esteriormente (2 p., tract. 6, c. 3 per tot 2); che meglio è, che ti alzi su presto e con allegrezza la quale raddoppia le forze per servir Dio, che sul pretesto di andare piangendo i tuoi mancamenti nel servigio di Dio, venga così a dispiacere più a Lui, col servirlo male col cuore, con replicare altre cadute, e con altri tristi effetti che da ciò sogliono nascere. – Solamente è da temersi qui il pericolo che abbiamo di sopra accennato (Vide supra cap. 24 et seq.), che subentri in noi la tiepidezza, e che lasciamo di far quello che è dal canto nostro, sotto colore di dire: Dio me l’ha da dare; ogni cosa ha da venire dalla mano di Dio; io non posso più che tanto. E dall’istesso pericolo abbiamo da guardarci in quel che dicevamo dell’orazione, che né anche qui subentri la pigrizia sotto lo stesso colore: ma serrata questa porticella, e facendo tu moralmente quanto è dal canto tuo, piace più a Dio la pazienza e l’umiltà nelle debolezze, che coteste angustie e tristezze soverchie che hanno alcuni, per parer loro che non crescano tanto in virtù e perfezione, o che non si possano introdurre tanto nell’orazione, quanto essi vorrebbero. Perché questo dono dell’orazione e della perfezione non s’acquista per mezzo di tristezze, né col fare, come suol dirsi, a’ pugni; ma Dio lo dà a chi Egli vuole, come vuole e quando vuole; ed è cosa certa, che non hanno da essere tutti uguali quelli che hanno d’andare in cielo. Né abbiamo da disperarci noi altri, perché non siamo de’ migliori, né forse de’ mediocri; ma ci dobbiamo conformare alla volontà di Dio in ogni cosa, e ringraziare il Signore della speranza dataci d’averci a salvare per misericordia sua: e se non arriveremo ad essere senza mancamenti, ringraziamo Dio dell’averci Egli data la cognizione de’ mancamenti nostri; e giacché non andiamo in cielo per mezzo dell’altezza delle virtù, come ci vanno alcuni, contentiamoci d’andarvi per mezzo della cognizione e della penitenza de’ nostri peccati, come ci vanno molti altri. Dice S. Girolamo (D. Hier. in prologo Calcato): Offeriscano altri nel tempio del Signore, ciascuno secondo la possibilità sua, chi oro, chi argento e pietre preziose, chi sete, chi porpore e chi broccati; a me basta l’offerire nel tempio peli di capre e peli d’animali. Offeriscano dunque gli altri a Dio le loro virtù e opere eroiche ed eccellenti, e le loro alte ed elevate contemplazioni; che a me basta offerirgli la mia viltà, conoscendomi e confessandomi peccatore, imperfetto e cattivo, e presentandomi nel cospetto della Maestà sua come povero e bisognoso: e ci torna conto rallegrare in questo il nostro cuore, e renderlo gradito a Dio; acciocché non ci levi inoltre, come ad ingrati, quello che ci ha dato. S. Bonaventura, Gersone e altri (D. Bonav. op. de prof. Relig. lib l, c. 33; Gers. tract. De monte contempl.; Fr..barth.de Mart. Archiep. Brachar. in suo comp. p. 2, c. 15), aggiungono qui un punto col quale si conferma bene quel che s’è detto, e dicono, che molte persone servono più a Dio col non avere la virtù e il raccoglimento, e col desiderarli, che se gli avessero: perché con questo vivono in umiltà, e vanno con sollecitudine e diligenza procurando di camminar avanti e di giungere al termine sospirato, e perciò ricorrono spesso a Dio; e con quell’altro forse s’insuperbirebbero, e si trascurerebbero, e sarebbero tiepidi nel servizio di Dio, per parer loro d’aver già quello che faceva loro di bisogno, e non si animerebbero ad affaticarsi per conseguire qualche cosa di più. Questo ho detto acciocché facciamo noi altri moralmente quanto è dal canto nostro, e andiamo con diligenza e sollecitudine procurando la perfezione; e allora ci contentiamo di quello che dal Signore ci sarà dato, e non istiamo attristati e angosciati per quel che non possiamo conseguire, né sta in man nostra: perché questo, come dice molto bene il P. M. Avila (M. Avila, tom. 2 ep. f. 32), non sarebbe altro che star penando, perché non ci sono date ale da poter volare per l’aria.

DELLA CONFORMITÀ ALLA VOLONTÀ DI DIO (14)