LO SCUDO DELLA FEDE (249)

LO SCUDO DELLA FEDE (249)

LA SANTA MADRE CHIESA NELLA SANTA MESSA (18)

SPIEGAZIONE STORICA, CRITICA, MORALE DELLA SANTA MESSA

Mons., BELASIO ANTONIO MARIA

Ed. QUINTA

TORINO, LIBRERIA SALESIANA EDITRICE, 1908

CAPO III

IL SACRIFICIO DIVINO

SECONDA PARTE DEL CANONE.

ART. VI

ORAZIONE VI DEL CANONE:

NOBIS QUOQUE PECCATORIBUS Etc.

Orazione.

Il sacerdote colla mano destra si percuote il petto e dice con voce poco alzata: « A noi pure peccatori, vostri servi, che speriamo nella moltitudine delle vostre miserazioni, degnatevi di donare qualche porzione e società coi vostri santi Apostoli e martiri (Alcuni autori osservano la differenza tra la invocazione fatta dei Santi nell’orazione Communicantes, e quella di questa orazione. Nella prima la Chiesa ha nominato gli Apostoli che fondarono la Religione, e quelli che la difesero col sangue; in questa mette innanzi i nomi dei Santi che la onorarono colle loro virtù nei differenti stati della. vita: quindi s. Giovanni, o il Battista, come il più santo degli uomini, a capo di tutti i Profeti, o Giovanni Apostolo, come vuole Innocenzo III, pel privilegio della verginità; Stefano, come il primo dei Diaconi, Mattia, che rappresenta gli Apostoli e che non fu nominato nell’altra commemorazione, perché non era ancor Apostolo nel tempo della Passione, e si nomina qui dopo Stefano, che lo ha preceduto nel martirio; Barnaba che rappresentamtutti i discepoli; Ignazio tutti i Vescovi; Alessandro tutti i successori di s. Pietro; Marcellino tutti i Sacerdoti; Pietro Esorcista, tutti i ministri minori; Felicita, Perpetua rappresentano le madri e tutte le sante donne; le altre vergini e martiri, gloria del loro sesso vengono rappresentate dalla fanciulla Agata, da Lucia, da Agnese, da Cecilia, da Anastasia. Così la Chiesa conforta tutti i fedeli, e fa loro osservare che in cielo il santo Padre celeste ha preparati molti seggi nell’eterna sua magione, Pigli conforto anche il minimo dei figliuoli; perché mentre l’uno si santifica coll’esercizio delle eroiche virtù, gli altri si santificheranno colla fedeltà nelle opere più minute; e tutti insieme renderanno quella bella varietà, di cui è decorata la Sposa del Signore. Questa è la dottrina insegnata da Gesù Cristo, che i minimi agli occhi del mondo sono talvolta i più grandi eroi agli occhi di Dio, che misura i suoi doni e pesa i meriti colla bilancia della sua giustizia. Sicché nel gran giorno delle rivelazioni vedremo forse, che chi ha convertito i regni, sono le preghiere di una femminetta, che, piangendo a piè dell’altare, diceva sovente col Sacerdote: Nobis quoque peccatoribus), con Giovanni, Stefano, Mattia, Barnaba, Ignazio, Alessandro, Marcellino, Pietro, Felicita, Perpetua, Agata, Lucia, Agnese, Cecilia, Anastasia, e tutti i vostri Santi: fra il consorzio dei quali ammetteteci, vi preghiamo, non estimando Voi il merito nostro; ma concedendoci il vostro perdono. (Qui giunge le mani e continua) Per Cristo Signor nostro. » « Per cui Voi, o Signore, sempre create tutti questi beni, (fa tre segni di croce sopra la SS. Ostia ed il SS. Calice nel dire): li + santificate: li + vivificate: li + benedite: e li donate a noi. » (scopre il Calice, genuflette, prende il Sacramento colla destra, tenendo colla sinistra il Calice, fa tre segni di croce coll’ Ostia SS. da un labbro all’altro del Calice, mostrandolo come nostro, dice: « Per + Esso, e con + Esso, ed in + Esso (fa due segni di croce tra il calice ed il proprio petto) a Voi Dio Padre onnipotente nell’unità dello Spirito + Santo (eleva per poco il SS. Calice colla SS. Ostia,) è ogni onore e gloria. (Ripone la SS. Ostia, copre il Calice, genuflette, sorge e dice:) Per tutti i secoli dei secoli. » al popolo risponde:) « Sia così! »

Esposizione dell’orazione Nobis quoque peccatoribus.

Alto silenzio! Si rappresenta l’ora dell’agonia di Gesù in croce. Allora fremeva la natura inorridita: era un tetro silenzio tutto d’intorno: oramai il deicidio era compiuto, e il popolo cominciava a sentirsi atterrito nel vedersi le mani bagnate del Sangue d’un innocente, del Sangue, ah! come lo mostravan quei segni, del Figliuol di Dio. Pur taluni briachi di rabbia insultavano ancor sotto alla croce a Gesù: ed Esso nell’atto di spirar l’anima santa fa quasi causa comune coi suoi nemici: e così come era, colle braccia allargate anche sopra di loro, rompe quel tristo silenzio coir questa preghiera divina: « Padre, perdonate a tutti, anche a questi, ché non sanno ben ciò che fanno! » Fatta questa preghiera, al ladro che gli gemeva allato in quell’ora, da Lui veniva assicurato il paradiso; ed i crocifissori si battevano il petto anch’essi! Con questo pensiero il Sacerdote, in ispirito crocifisso in Gesù Cristo, sta colle braccia prostese sopra tutti i fedeli; e pensando in quell’istante a tanti peccati, che gridano vendetta innanzi al trono di Dio, e fra quelli sentendo anche le sue proprie colpe, lascia cadere giù le braccia sull’altare; e a questo attaccandosi, come ferito nel cuore, alza la voce, si chiama con tutti in colpa e mette tale gemito: « siam peccatori! » Ma che? appunto pei peccatori grida misericordia questo Sangue effuso sull’altare da Gesù. Sangue propiziatore! Mentre il sangue di Abele giusto e di molti Profeti e santi chiama vendetta dalla terra, che ne fu bagnata; questo Sangue di Gesù fa sentire dall’altare accenti di propiziazione! Così mentre per noi grida sull’altare il Sangue di Gesù Cristo, pigliamo cuore e gridiamo noi pure qui d’intorno: « Anche a noi, o Signore, anche a noi peccatori degnatevi dare una parte di paradiso! » Una parte di paradiso adunque cogli Apostoli, coi Martiri, coi Confessori, colle Vergini, colle Madri sante, con tutti i Beati. Nomina qui i santi, i cui nomi sono nell’orazione. (Noi cercammo di esporre la ragione del nominare quelli particolarmente nella nota di sopra). Noi dobbiamo far con essi un vero commercio, una comunione di santi. Hanno essi tanti e così grandi meriti; e noi, per noi, mettiamo innanzi i meriti di Gesù. Perciò giunge le mani il Sacerdote, attaccandosi vivamente a Gesù, quasi dicesse ancora con maggior istanza: « Per Cristo Signor nostro vogliamo coi Santi e con Maria il paradiso, benché peccatori; perché appunto proprio pei peccatori si è sacrificato Gesù. » Qui adunque abbiam ragione di esclamare ancora: « Fortunati i peccatori convertiti quando hanno tale Redentore divino! » – Ora non possiamo a meno di fermarci a considerare la più miracolosa operazione di Dio, vogliam dire la ristorazione e rinnovazione della povera umanità, operata a piè della croce con tale prodigio della creazione assai più grande, come osserva l’Angelico (S. Th. 1, 2, q. 113, a. 9). Poiché, se per creare l’universo bastò la parola onnipotente di Dio; per redimere gli uomini dalla caduta e ristorarli dai veri mali, che sono i peccati, ci volle il Sangue di Dio medesimo. Questo Sangue poi gli restituisce all’innocenza ed alla santità con infinito vantaggio quando si convertono. Ben ora è da parlare colle lagrime, più che colle parole, osservando con s. Cipriano, come appiè della croce anche i malfattori hanno parte alle consolazioni degli innocenti. Appiè della Croce diffatti, si trovava Maria SS. ed il ladro condannato al patibolo, così sotto la croce l’uomo della colpa veniva ravvicinato alla creatura più innocente e più santa; tanto che Gesù or parla col ladro, come parla con Maria SS.; anzi col ladro con maggior pietà; perché, com’egli è più miserabile, cosi ha bisogno di più grande misericordia: e se dice a Maria: « Madre, ecco i vostri figli, ora che mi perdete per loro; » rivolto al ladro: « Figliuolo, gli dice, piglia cuore, oggi tu meco sarai in paradiso! » Così il rimorso, che senza la redenzione doveva terminare nella disperazione, distrutto il peccato sotto la croce di Gesù Cristo, anche il rimorso si cangia in dolore consolante, anzi si solleva a speranza di paradiso! Noi non crediamo di poter spiegare meglio questo pensiero di così grande conforto, che col mettere innanzi tradotta in atto tanta misericordia in un peccatore riottoso fino al punto di morte. Allora quando l’uomo indurito sente il nulla dell’umana impotenza, sopra l’abisso dell’inferno mette un grido di terrore e chiama aiuto!… Accorre il Sacerdote e trova l’anima sepolta in una invecchiata carnalità, dentro un cuore di macigno. Allora quest’operatore di prodigi di grazia, che sull’altare s’indentifica con Gesù Cristo, innalza il Crocifisso a lato del letto: e con Gesù dalla croce mostra al cielo le mani piene di Sangue; con Gesù grida al Padre: « Perdonate a questo meschino: esso ignorava ciò che faceva; e se in esso si è consumata l’umana perversità, noi abbiamo per esso consumato il sacrificio: Consumatum est. » Allora apre misticamente il Costato di Gesù Cristo, e dal Cuor di Gesù fa scendere col Sangue l’Acqua di grazia ristoratrice. – Poi con Gesù chinando come dalla croce il capo a lui sul letto, gli giura all’orecchio, che già in cielo si fa gaudio maggiore pel suo ritorno alla grazia, che non si faccia pel possesso di cento giusti. Si; si fa gaudio perché oggi il figliuolo perduto torna al Padre suo in cielo!… Il moribondo fidato a quel labbro sacramentale e nella serena confidenza con cui gli parla l’uomo di Dio, sul letticciuolo della morte vede brillarsi un raggio di luce celeste…; fino sulla sponda della bara respira un’aura di consolazione… e trova un po’ di riposo nell’agonia!… Poi con un moto di pentimento osa stendere le braccia rassegnate a Dio. Oh! ve’ che una lagrima insanguinata riga le guance riarse dalla morte! Il Sacerdote pronto la raccoglie, e la presenta nel calice di Gesù Cristo al Padre del gran perdono. Il perdono! consoliamoci è già concesso…. Ecco il Sacerdote sclama nella cameretta: « Pace a quelli che abitano in questa casa: è vero che noi non siamo degni: ma fa coraggio, o fratello, accogli il Figliuolo divino, che ti manda il Padre per condurti seco a vita eterna… » (Rit. Rom.). Oh… Oh! Chi è mai allora in quella camera paurosa? Allora là è Gesù crocifisso: e vi è il Sacerdote bagnato del suo Sangue nel Sacrificio: vi sono gli angeli che aspettano: vi sarà certo Maria che guarda dal cielo, e si abbassa appiè della croce col Figlio dei suoi dolori: vi è finalmente il peccatore giustificato, che spira in morte, o meglio! respira nella vita eterna, portatovi nel Costato di Gesù Cristo! L’ uomo non ha egli bisogno di questa fede? Noi benediciamo i bravi Sacerdoti che non risparmiano disagi per correre, forse con pericolo della vita, ad assistere i moribondi. Oh i santi uomini! essi imitano Gesù che pur nelle angosce della sua agonia, dimenticando i suoi tormenti assisteva il ladro morente, con divino amore.

L’ OFFERTA.

Esposizione del!’orazione: Per quem omnia etc.

« Pel Quale Voi sempre tutti questi beni create ecc. ecc. »

Gesù Redentore col distruggere il peccato ristora non solo e ricrea l’umana natura, ma riordina e rinnovella. la creazione, in cui venne il disordine per lo peccato. Il Sacerdote già consolato della riconciliazione dei peccatori, in questo sublime e santissimo istante cogli occhi della fede domina tutto il creato, e lo contempla nel Verbo divino, che tutto sostiene con la parola dell’onnipotenza. Dal Redentore divino vede come effondere si debba su tutte le creature l’influsso vivificante del suo Sangue ristoratore in sacrificio. Questa è l’opinione di molti Padri. Origene diceva (Uezio. Orig, lib. 2, cap. 2, q. 3, n. 20): il Sangue sparso sul Calvario non è stato utile solamente per gli uomini, ma anche agli Angeli, agli astri, ad ogni creatura. S. Gerolamo asseriva (Ep. 59, ad Avitum), che la croce del Salvatore aveva le cose che sono in terra, ed anche quelle che in cielo, pacificate. Al dolcissimo s. Francesco di Sales era di gran consolazione affermare che Gesù Cristo aveva sofferto per gli uomini e per gli Angioli (Lett. lib. 5, p. 38). Finalmente all’uopo nostro diceva s. Giovanni Grisostomo: « noi offriamo pel bene della terra, del mare e di tutto l’universo. » Perché noi saldiamo questo pensiero con tante autorità? Perché ci annoia fermarci in inutili e minute questioni di certi espositori dei riti così santi e di alti misteri significanti.  Su, su per man colla madre, e nella luce del suo tempio, giacché ci è dato vedere nell’intelligenza delle cose divine mentre andiam roteando su questo piccolo mondo, diciam con Origene ancora: l’altare era in Gerusalemme, e il Sangue della vittima bagnò l’universo. Perché piacque a Dio, dice s. Paolo (Colos. I, 20, Eph. I, 10), riconciliar tutte le cose per mezzo di Colui, che è il principio della vita, il primogenito dei morti, avendo pacificato pel Sangue sparso sulla croce quanto è in terra e quanto è in cielo. Basti! Noi adoriamo l’Agnello di Dio, che toglie i peccati del mondo, e cantiamo colla Chiesa: Terra, pontus, astra, mundus quo lavantur flumine (Inno del ven.). Oh si! la terra, il mare, le stelle, e l’universo tutto, si! tutto s’ha da purificare nel Sangue di Gesù Cristo, Redentore del cielo e della terra: e con tanta abbondanza di redenzione dinanzi, che farà il Sacerdote? Accenna Gesù misticamente crocifisso, e prega il Monarca dell’universo di rinnovar per Gesù tutta la creazione, cioè d’immergerla per Esso nella fiamma del vivificator suo Spirito, e riordinarla tutta a gloria del Creatore, a Sé; ed in essa a noi somministrare tutti i beni, secondo il disegno dell’eterna bontà nella misura della misericordia divina, di cui dà spettacolo sull’altare.

« Pel quale Gesù Voi tutti questi beni create ecc. ecc. »

Bene a ragione: perché è Gesù il Verbo onnipotente; e come per Esso sono fatte tutte le cose, e senza di Esso niente fu fatto; così per Esso solo devesi ristorare, e quasi ricreare la creazione. E lo farà volentieri secondo i segreti disegni di sua sapienza il Padre, che nel primo istante del tempo, nel creare l’universo, mirava già al Sacrificio, che il Verbo suo Figlio gli avrebbe offerto. Egli per questo con tanto amore lavorava la creta, che del suo soffio animava (Apoc. XIII); fino d’ allora pensava che vedrebbe sotto la specie di quei doni presentarsi in offerta l’Unigenito; e già divinamente se ne compiaceva. Bene osserva s. Tommaso, che nel nominare l’atto della creazione il Sacerdote non fa il segno di croce coll’atto di benedire, perché la benedizione di Dio a noi non viene dal primo atto della creazione, ma sì dalla redenzione operata dal mistero della croce (Tetul.) « Li santi+ficate, li vivi+ficate, li bene+dite e li donate a noi ecc. ecc. » Fa tre croci nel pronunciare queste parole. L’abbiamo già detto: la Redenzione è la ristorazione della creazione, che nel ministero della croce fu rinnovellata. « Li santificate » adunque vuol dire: « grande Iddio, per questo vostro Figlio tutte le creature riordinate a servire alla gloria di Voi,Creatore santissimo: così che fino un po’ di pane e un po’ di vino per Lui santificati non sono più dessi, ma diventano Corpo e Sangue suo; restandone solo le specie distinte e separate, a rappresentare la memoria della sua morte in croce: nel cui mistero tutte le cose riordinate e raddrizzate a servizio vostro; e in questo servizio ordinato consiste appunto la santità degli esseri tutti. » – « Li vivificate: » mentre il Verbo spira e mantien negli esseri la vita, qual mistero si opera qui? … I doni di Dio pel Redentore diventano alimento, che vivifica all’immortalità le nostre persone. « Li benedite e li date a noi; » per Gesù Redentore nostro si diffondono di fatto in tutte le creature le benedizioni, e massimamente in noi, a cui col dare il Figlio con bontà meravigliosa e al tutto divina, ci donate l’Autore, e la sorgente di tutte le benedizioni: il quale ricevendo noi degnamente, saremo da Lui santificati, vivificati e benedetti. Il Sacerdote continua l’azione; e pare a noi qui, che ci dica d’attaccarci a Gesù e di contemplare con tutta l’anima in Lui crocifisso il compimento del mistero ineffabile della Redenzione. Grande Iddio! E questo appunto l’istante, in cui si ricorda l’agonia di Gesù! Il Sacerdote si addentra nel mistero , e per farsi più presso, come Maria ss. sotto la croce, e cospergersi l’anima del Sangue di Gesù Cristo, scopre il calice! Alla vista di quel preziosissimo Sangue si prostra per terra adorandolo in compunzione. Con un cuor tutto pieno d’inesprimibili affetti, gettatosi fra le braccia di Dio, gli prende nel seno il Corpo del suo divin Figlio, e tenendolo sollevato sopra quel Sangue, a rappresentarlo così come era agonizzante in croce, fa con esso tre croci in segno delle tre ore di sua agonia (D. Thom. 2 p., q.83, a 5, et Bonav. in expos. Miss.). Vogliamo aggiungere ancora col Dottore angelico, come quelle tre croci ricordano anche le tre orazioni, piene di tanta pietà, che fece Gesù sulla croce. La prima in quella preghiera di carità al tutto divina, in cui diceva al Padre: « perdonate a questi; essi non san ciò che fanno. » La seconda quando disse con tanta tristezza: « Dio mio, Dio mio, m’avete adunque abbandonato? » La terza quando disse con maggior tenerezza: « nelle vostre mani, o Padre, raccomando lo Spirito mio! » Aggiungeremo altre spiegazioni seguenti. Eccoci adunque rappresentato qui innanzi agli occhi Gesù, per tutte quelle tre ore pendente in croce, che gronda vivo Sangue da tante lacerazioni. Segna ancor due croci fuor del calice, per indicare che da quel corpo esce il Sangue, e si separa l’anima nel momento della morte. Inoltre queste tre croci mettono dinanzi all’anima nostra da contemplare Gesù, che patì nel corpo pei flagelli, e per le ferite; patì nell’anima per la tristezza, pel tedio, per l’orrore: patì nell’onore per gli scherni e per le contumelie (S. Thom. 3 p. q. 49, a 5). Poi colle due croci fuori del calice si vuol significare (Merati, lib. I, p. I, pag. 571, et D. Thom. loc. cit.), che nel Redentore santissimo patì Dio impropriamente per l’unione ipostatica del vero Dio e del vero uomo nella sola Persona di Gesù Cristo.. – Patì adunque sì veramente Dio Figlio ma non il Padre e lo Spirito Santo: perciò fa le due croci fuori del calice, per significare che queste due Divine Persone non isparsero il sangue, perché non s’incarnarono. Diciamo ancora a consolazione delle anime devote, che quelle croci (D. Thom., 2 p., q. 85, a. 5.) danno a divedere, che la consacrazione del Corpo ss., e l’accettazione di questo Sacrificio e le grazie copiose che ne derivano, sono frutto della passione divina. Così si può trovar pascolo di tenera pietà nel considerare quelle tre croci fatte e questo punto. Insomma, tutte le create cose con noi debbono dar gloria a Dio. L’uomo, direm con Bossuet, impresta il suo cuore alle creature a lodar Dio umanamente; Gesù impresta il suo cuore a noi uomini a rendergli gloria e grazie divinamente.

Alza fra le mani il ss. Calice e sopra esso il ss. Corpo.

Esposizione di questa ultima Elevazione.

In quest’istante alza il Corpo ss. che là sulla croce pendeva svenato, alza anche di sotto nel calice il Sangue, che appunto sul Calvario grondava sotto la croce, e restava là sparso per terra! Il canone è per terminare. È questo forse il più tenero istante: popolo, popolo, e voi, anime buone, contemplate in silenzio il morente Gesù, che, come spirante misticamente, dall’altare vola in seno al Padre, e gli va a dire tante cose, proprio tutte per tutti noi! Deh! che dirà mai Gesù mostrandosi in quest’atto come una vittima svenata innanzi al Padre?… Padre santo, crediamo che grida col Cuore squarciato Gesù, questi meschinelli che mi ho intorno, sono figlioli del mio Sangue, mi costano tanti dolori, me li copro colle mie Piaghe, me li voglio salvi in paradiso!… » E noi qui con Gesù? Deh, che fortunato istante!… Ecco Gesù elevato dal Sacerdote che stringendo tra le mani la Santa Ostia par si tenga a Lui vivamente attaccato. Si è proprio Gesù che di mezzo a noi gettandosi in braccio al Padre, abbassa a noi l’amorevole sguardo per dirci: O figliuoli del mio Sangue, su qui con me, e sia pur grande l’altissimo Iddio, fate coraggio, insieme con me, colla mia parola istessa chiamatelo col nome di Padre…. e noi affrettiamoci di alzare le grida intorno a Gesù: « o Padre santo! Noi infelici abbiamo la testa tutta piena di cattivi pensieri; ma deh guardate Gesù; vi presenta la testa che fu coronata di spine per noi! Padre! abbiamo gli occhi e la bocca brutti di peccati; guardate il vostro Figlio; vi presenta gli occhi grommati di Sangue per le nostre cattive occhiate, la sua bocca pesta di pugni per le bestemmie, piena di Sangue per gli indegni discorsi! Padre, abbiamo le mani piene d’opere male: guardate Gesù; vi presenta l’una e l’altra mano squarciata e piena di Sangue per le cattive nostre azioni! Padre, abbiamo i piedi contaminati, perché andiamo colle persone pericolose nei luoghi cattivi, andiamo lontani dalla Chiesa, dai Sacramenti, ci andiamo a perdere; guardate il vostro Figlio, vi presenta l’uno e l’altro piede trafitto dai chiodi per noi! Ah Padre santo! Abbiamo il cuore guasto noi; ma Gesù ha qui il Cuore che geme Sangue, il Cuor che arde, e tien sempre viva questa ferita, fin che non ci abbia tutti con Lui ad ardere nell’eterno amore in paradiso » (Alla beata vergine Margarita Alacoque, quando Gesù in una apparizione ordinava che s’istituisse la festa del sacro Cuore suo (come si fece), compariva Egli col Cuor aperto dalla ferita e ardente di fiamme; e tale si vuole dipinto dalla pietà de’ fedeli, che sentono la verità del Mistero, e lo contemplano innamorati, lasciando i giansenisti a cinguettare!). Sarà questa sempre la più amabile preghiera. L’eterno Padre, contemplando sull’altare questo spettacolo del Figliuol suo, che in tanto abisso di umiltà, al cospetto della terra e del cielo, buttandosi sacrificato dinanzi alla Maestà sua divina, La glorifica di così infinita soddisfazione, abbraccia sull’altare il suo Gesù; e vedendosi fra le braccia il Figlio come svenato pei peccati degli uomini, che sono poi alla fine creature così da poco, stringendo fra le mani il Capo languente del suo Gesù: » Figliuol mio, Figliol mio! par che debba esclamare, è troppo ciò che tu fai pel Padre, restituendogli, anche quei figliolini che aveva perduto; » e bacia in volto tremante per amore il Figliuolo, in che si compiace eternamente. Qui è da richiamare alla mente, che nell’atto dell’offerta, nel calice col vino, che doveva diventare Sangue di Gesù, si mescolava un po’ d’acqua, per significare il popolo dei fedeli, che qui si hanno da unire con Gesù, come l’acqua si è col vino mischiata, confusa e insieme offerta. Ora adunque qui Gesù (come dalla croce spirava l’anima in braccio al Padre) si getta dall’altare in braccio al Padre, e gli porta seco in seno le anime dei redenti. Il Padre bacia in fronte il suo Figliuolo e in Lui abbraccia e bacia in fronte anche le povere nostre persone… Ma oimè che tentiam noi…. meschini! con così povere parole umane spiegare cose così sante e al tutto divine?… É meglio nel silenzio del labbro rapiti in cielo contemplare i beati con noi estatici a tanta bontà divina che provano gaudio di sempre nuova beatitudine nel vedere Gesù gettarsi dall’altare in seno al Padre, e dirgli con parola divina: « Padre, questi figliuoli noi vogliamo in beatitudine in paradiso! » – Ecco, ecco, tutti i beati adorano genuflessi, acclamano col loro cantico immortale all’Agnello divino, a Gesù Cristo, e per esso al Padre onnipotente nell’Eterno Amore, onore e gloria per tutti i secoli in paradiso (Apoc. III, 12). Per tutti i secoli in paradiso?… Ah non solo là in paradiso, ma il Sacerdote per dare avviso, che in quest’istante si compie invisibilmente tanto mistero, quanto appunto compie anch’esso il canone santo, alza la voce e ripete: « per tutti i secoli dei seccai, » invitando il popolo di terra a far eco al paradiso. Il popolo risponde: « Amen » Si sì, a Gesù Redentore, Primogenito dei morti, Principe dei re della terra, che così ci ha amati, e ci ha lavati dei nostri peccati col proprio Sangue; che fece noi regno e Sacerdoti suoi: a Dio suo Padre gloria ed impero per tutti i secoli dei secoli (Apoc. 1, 5, 6.). Deh! ammessi a partecipazione di tanto mistero, ascesi sul monte delle divine agonie, immersi nel lavacro del Sangue di Gesù Cristo, fermiamoci sulla sacra vetta un istante col cuore che scoppia, e con Gesù che si slancia in Paradiso, per la via del cielo, rispondiam colle lacrime: « Amen, Amen, sì verremo, sì veniamo a benedirlo là con parole che… ancor non conosciamo! »

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA (8) “da Felice III (IV) a …. Vigilio I”

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA DAGLI APOSTOLI A S.S. PIO XII (8)

HENRICUS DENZINGER

ET QUID FUNDITUS RETRACTAVIT AUXIT ORNAVIT

ADOLFUS SCHÖNMATZER S. J.

ENCHIRIDION SYMBOLORUM DEFINITIONUM ET DECLARATIONUM

De rebus fidei et morum

HERDER – ROMÆ – MCMLXXVI

Imprim.: Barcelona, José M. Guix, obispo auxiliar

(Da Felice III (IV) a …. Vigilio I)

FELICE III (IV): 12 luglio  526-22 settembre

370-397 – 2° Concilio di Orange, iniziato il 3 luglio 529.

a) Preambolo

370. – Siamo venuti a conoscenza del fatto che alcuni, nella loro semplicità, vogliano parlare di grazia e di libero arbitrio senza molta attenzione e in un modo che non corrisponde alla regola della fede cattolica. Perciò, secondo l’esortazione e la volontà della Sede Apostolica, ci è sembrato giusto e ragionevole produrre e sottoscrivere di nostra mano, perché siano osservati da tutti, quei pochi capitoli che ci sono stati tramandati dalla Sede Apostolica e che gli antichi Padri hanno raccolto dai libri della Sacra Scrittura, per insegnare a coloro che pensano diversamente da come devono…

b) Canoni

Il peccato originale

371 – Can. 1. Se qualcuno dice che con l’offesa derivante dalla prevaricazione di Adamo, l’uomo non fu interamente mutato nel corpo e nell’anima in uno stato peggiore, e se crede che il solo corpo fosse sottoposto alla corruzione mentre la libertà dell’anima rimase intatta, ingannato dall’errore di Pelagio, contraddice la Scrittura che dice: “L’anima che ha peccato perirà” (Ezechiele XVIII), 20 e: “Non sai che se ti dai a qualcuno come schiavo, per obbedirgli, sei schiavo di colui al quale obbedisci? “. (Rm VI: 16) e: “Si è schiavi di colui dal quale ci si è lasciati vincere” (2 Piet. II, 19.)

372 – Can. 2. Se qualcuno afferma che la prevaricazione di Adamo abbia danneggiato solo lui e non i suoi discendenti, o se dichiara che sia solo la morte corporea la pena del peccato, e non il peccato la morte dell’anima, che attraverso un solo uomo è passata in tutto il genere umano, attribuisce un’ingiustizia a Dio contraddicendo l’Apostolo che dice: “Per mezzo di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e così la morte è passata in tutti gli uomini, avendo tutti peccato in lui” (Rm V, 12) .

Della Grazia.

373 – Can.3 Se qualcuno dice che la grazia di Dio possa essere data su richiesta dell’uomo e che non sia la grazia stessa a farcela chiedere, contraddice il profeta Isaia o l’Apostolo che dice come lui: “Sono stato trovato da chi non mi cercava, mi sono reso visibile a chi non mi chiedeva” (Rm X,20; cfr. Is LXV, 1).

374 – Can. 4. Se qualcuno sostiene che Dio aspetta la nostra volontà per purificarci dal peccato, e se non ammette che anche la nostra volontà di purificazione è un effetto dell’infusione e dell’azione dello Spirito Santo in noi, resiste allo stesso Spirito Santo che dice attraverso Salomone: “La volontà è preparata dal Signore” (Pr VIII, 35 in LXX) e all’Apostolo nella sua salutare predicazione: “È Dio che opera in noi il volere e l’agire secondo il suo beneplacito” (cfr. Fil II, 13).

375 – Can. 5. Se qualcuno dice che l’aumento della fede, così come il suo inizio, e l’attrazione della fede con cui crediamo in Colui che giustifica gli empi e ci porta alla rigenerazione del santo Battesimo, non sia in noi un dono di grazia, cioè per ispirazione dello Spirito Santo, che raddrizza la nostra volontà portandola dall’infedeltà alla fede e dall’empietà alla pietà, ma che sia naturale per noi, si dimostra l’avversario dei dogmi apostolici, poiché San Paolo dice: “Confidiamo che Colui che ha iniziato in voi quest’opera buona la porti a compimento fino al giorno di Cristo Gesù”: “Per grazia siete stati salvati mediante la fede, e non da voi stessi: è il dono di Dio” (Ef II, 8). Chi dichiara naturale la fede con cui crediamo in Dio arriva a considerare, in un certo senso, come fedeli tutti coloro che sono estranei alla Chiesa di Cristo.

376 – Can. 6. Se qualcuno dice che la misericordia ci viene data da Dio quando, senza la grazia, crediamo, vogliamo, desideriamo, ci sforziamo, lavoriamo, preghiamo, vegliamo, studiamo, chiediamo, cerchiamo e bussiamo alla porta, e non confessa che la nostra fede, la nostra volontà e la nostra capacità di fare queste cose come dovremmo, avvengono in noi per infusione e ispirazione dello Spirito Santo; se subordina l’aiuto della grazia all’umiltà o all’obbedienza dell’uomo, e se non ammette che è il dono stesso della grazia a renderci obbedienti e umili, resiste all’Apostolo che dice: “Che cosa avete che non abbiate ricevuto? “1 Cor IV: 7 e: “È per grazia di Dio che sono quello che sono” 1Co XV, 10.

377 – Can. 7. Se qualcuno pretende di poter concepire, per così dire, con la sola forza della natura un buon pensiero riguardo alla salvezza della vita eterna o di sceglierlo o di dare assenso alla predicazione della salvezza del Vangelo, senza l’illuminazione e l’ispirazione dello Spirito Santo che dà a tutti la sua unzione quando aderiscono e credono alla verità, è ingannato da uno spirito di eresia e non comprende la parola che Dio ha pronunciato nel Vangelo: “Senza di me non potete fare nulla” (Gv XV,5), né le parole dell’Apostolo: “Non che noi stessi siamo in grado di concepire qualcosa che venga da noi stessi, ma ogni nostra capacità viene da Dio” (2 Cor III, 5).

378 – Can. 8. Se qualcuno sostiene che alcuni possono giungere alla grazia del battesimo per misericordia e altri per libero arbitrio, che è chiaro essere viziato in tutti coloro che sono nati dalla prevaricazione del primo uomo, dimostra di essere estraneo alla vera fede. Afferma infatti che questo libero arbitrio non è stato indebolito in tutti dal peccato del primo uomo, o almeno crede che sia stato solo danneggiato, così che tuttavia alcuni uomini possono ancora conquistare da soli, senza la rivelazione divina, il mistero della salvezza eterna. Quanto sia contraria questa dottrina, lo dimostra il Signore, il quale testimonia che non qualcuno, ma nessuno può venire a lui “se il Padre non lo ha attirato” (cfr. Gv VI, 44 ), come dice anche a Pietro: “Beato te, Simone, figlio di Giona, perché non te lo ha rivelato la carne e il sangue, ma il Padre mio che è nei cieli”. 1 Cor XII:3)

379 – Can. 9: “L’aiuto di Dio”. È per dono di Dio che noi pensiamo il bene e teniamo lontani i nostri passi dalla falsità e dall’iniquità; perché ogni volta che facciamo il bene, Dio opera in noi e con noi affinché possiamo operare.

380 Can. 10. L’aiuto di Dio. Anche i rigenerati e i santi devono sempre implorare l’aiuto di Dio per raggiungere il buon fine o per poter perseverare nel bene.

381 – 11. “Il carattere obbligatorio dei voti”. Nessuno consacrerebbe degnamente qualcosa a Dio se non avesse ricevuto da Lui ciò che consacra”, come sta scritto: “E ciò che abbiamo ricevuto dalle tue mani, te lo diamo” 1Cr XXIX,14.

382 – Can. 12″. Come Dio ci ama. Dio ci ama come saremo per suo dono, non come siamo per nostro merito.

383 – Can. 13. Il ripristino del libero arbitrio. Il libero arbitrio ferito nel primo uomo può essere ripristinato solo dalla grazia del Battesimo; “ciò che è andato perduto, lo può ripristinare solo Colui che poteva darlo”. La Verità stessa dice: “Quando il Figlio vi avrà liberati, allora sarete veramente liberi” (Gv VIII, 36).

384 – Can. 14. Nessun miserabile può essere liberato dalla sua miseria, per quanto grande essa sia, se non è prevenuto dalla misericordia di Dio”, come dice il Salmista: “Mi venga incontro la tua misericordia, Signore”, Sal LXXVIII, 8, e ancora: “Dio mio, la sua misericordia mi verrà incontro”, Sal LVIII,11.

385 – Can. 15. Rispetto allo stato in cui Dio lo aveva formato, Adamo era cambiato, ma in peggio, con la sua  iniquità. Rispetto allo stato in cui lo ha ridotto l’iniquità, l’uomo fedele è cambiato, ma in meglio, per la grazia di Dio. Il primo cambiamento è dovuto al primo peccatore, il secondo “cambiamento”, secondo il Salmista, “è dovuto alla destra dell’Altissimo” (cfr. Sal LXXVII, 11).

386 – Can. 16. Nessuno deve vantarsi di ciò che possiede come se non l’avesse ricevuto da un altro, o credere di averlo ricevuto solo perché una lettera è apparsa dall’esterno per essere letta, o ha suonato per essere ascoltata. Infatti, come dice l’Apostolo: “Se la giustizia viene dalla legge, Cristo è morto invano” Gal II, 21: “salendo in alto ha condotto in cattività i prigionieri, ha dato i suoi doni agli uomini” (cfr. Ef IV, 8 – Sal LXVIII, 19. Tutto ciò che si possiede, lo si riceve da lì; chi nega di averlo ricevuto da lì, in realtà non lo possiede o gli sarà tolto” Mt XXV, 29.

387 – Can. 17. Forza Cristiana. La forza dei pagani è prodotta dall’avidità terrena, ma la forza dei Cristiani è prodotta dalla grazia di Dio “riversata nei nostri cuori”, non dalla volontà del libero arbitrio che viene da noi, ma “dallo Spirito Santo che ci è stato dato” Rm V, 5.

388 – Can. 18: “La grazia non può essere impedita da alcun merito. Alle opere buone, se ci sono, è dovuta la ricompensa; ma la grazia, che non è dovuta, precede perché lo siano (ricompensate).

389 – Can. 19: “Nessuno può essere salvato se Dio non mostra misericordia. Anche se la natura umana fosse rimasta nell’integrità in cui è stata creata, non avrebbe potuto conservarla senza l’aiuto del suo Creatore; se dunque non può conservare, senza la grazia di Dio, la salvezza che ha ricevuto, come potrebbe, senza la grazia di Dio, riparare ciò che ha perduto?”.

390 – Can. 20. L’uomo non può fare il bene senza Dio. Dio fa nell’uomo molte cose buone che l’uomo non fa; ma l’uomo non fa nessuna cosa buona che Dio non gli abbia dato da fare.

391 – Can. 21. “Natura e grazia”. Come a coloro che, volendo essere giustificati dalla Legge, si allontanarono dalla grazia, l’Apostolo dice giustamente: “Se la giustizia viene dalla Legge, Cristo è morto invano” Ga II, 21, così a coloro che pensano che la grazia, che la fede in Cristo raccomanda e riceve, sia natura, si dice giustamente: se la giustizia viene dalla natura, “Cristo è morto invano”. Perché la Legge c’era già e non giustificava, e anche la natura c’era e non giustificava. Perciò Cristo non è morto invano, affinché la Legge fosse adempiuta da Colui che ha detto: “Non sono venuto a distruggere la Legge, ma a darle compimento” Mt V, 17, e affinché la natura perduta da Adamo fosse riparata da Colui che ha detto di essere venuto “a cercare e a salvare ciò che era perduto” Lc XIX, 10.

392 – Can. 22: “Ciò che è proprio dell’uomo. Nessuno ha nulla di proprio se non la menzogna e il peccato. Ma se qualcuno ha un po’ di verità e di rettitudine, ce l’ha da quella fonte divina verso la quale, persi nel deserto di questo mondo, dobbiamo sospirare, affinché, inumiditi per così dire da qualche goccia, non veniamo meno nel cammino”.

393 – Can. 23: “La volontà di Dio e dell’uomo”. Gli uomini fanno la loro volontà, non quella di Dio, quando fanno ciò che dispiace a Dio; ma quando fanno ciò che vogliono per servire la volontà divina, anche se fanno ciò che vogliono, è comunque la volontà di Colui che prepara e ordina ciò che vogliono.

394 – Can. 24: “I tralci della vite”. I tralci sono nella vite senza dare nulla alla vite, ma ricevendo da essa ciò che li sostiene: la vite, infatti, è nei tralci in modo tale da fornire loro il cibo necessario alla vita e non riceve nulla da loro. E quindi entrambi, avere Cristo che dimora in loro e dimorare in Cristo, sono utili ai discepoli, non a Cristo. Infatti, se un ramo è stato tagliato, un altro può spuntare dalla radice viva; ma colui che è stato tagliato non può vivere senza la radice” (cfr. Gv XV, 5-8).

395 – Can. 25. L’amore con cui amiamo Dio. Amare Dio è interamente un dono di Dio. Chi ama senza essere amato ha dato da amare. Siamo stati amati senza piacere, affinché diventassimo piacevoli. Perché ha riversato nei nostri cuori l’amore, lo Spirito del Padre e del Figlio, che noi amiamo allo stesso tempo del Padre e del Figlio.

c) Conclusione di Cesario di Arles.

Grazia, cooperazione umana e predestinazione

396 – Così, secondo le frasi della Sacra Scrittura e le definizioni degli antichi Padri, dobbiamo, con l’aiuto di Dio, predicare e credere che il peccato del primo uomo abbia talmente deviato e indebolito il libero arbitrio che da allora nessuno può amare Dio come dovrebbe, né credere o fare del bene a Dio, a meno che la grazia della misericordia divina non lo abbia impedito. Perciò crediamo che i giusti Abele e Noè e Abramo e Isacco e Giacobbe e tutta la moltitudine dei santi dell’antichità, non ricevettero questa fede ammirevole, di cui San Paolo li loda nella sua predicazione Eb XI, 1 (e seguenti), dalla bontà della natura data per la prima volta ad Adamo, ma dalla grazia di Dio. Questa grazia, sappiamo e crediamo, non si trova nel libero arbitrio di tutti coloro che desiderano essere battezzati, anche dopo la venuta del Signore, ma è conferita dalla liberalità di Cristo, secondo la parola più volte ripetuta che San Paolo predica: “Vi è stato dato non solo di credere in Cristo, ma anche di soffrire per causa sua” (Fil I, 29), e questo: “Dio, che ha iniziato in voi quest’opera buona, la porterà a compimento fino al giorno del Signore”, Fil I, 6, e questo: “Per grazia siete stati salvati mediante la fede, e questo non viene da voi stessi, ma è dono di Dio”, Ef 2,8, e ciò che l’Apostolo dice di se stesso: “1 Cor VII, 25 1 Cor 1; non dice: “perché ero”, ma “perché fossi”. E questo testo: “Che cosa avete che non abbiate ricevuto? “1Co IV, 7 e questo: “Ogni dono prezioso e ogni dono perfetto  scende dal Padre della luce” Giacomo I: 17, e questo: Nessuno possiede nulla che non gli sia stato dato dall’alto” Gv III, 27. Ci sono innumerevoli testimonianze nelle Sacre Scritture che potrebbero essere citate per dimostrare la grazia. La preoccupazione per la brevità ha fatto sì che venissero omessi; infatti, molti testi non saranno utili a coloro per i quali un numero ridotto di testi non è sufficiente.

397 – Crediamo anche, secondo la fede cattolica, che dopo aver ricevuto la grazia del Battesimo tutti i battezzati possono e devono compiere, con l’aiuto e la cooperazione di Cristo, tutto ciò che riguarda la salvezza della loro anima, se vogliono impegnarsi fedelmente in questo senso. Non solo non crediamo che alcuni uomini siano predestinati al male dalla potenza divina, ma se ci fosse qualcuno che credesse a un simile orrore, gli diciamo con tutta la nostra riprovazione: anatema! Confessiamo e crediamo anche per la nostra salvezza che in ogni opera buona non siamo noi a cominciare e ad essere poi aiutati dalla misericordia di Dio, ma è Lui, senza alcun buon merito da parte nostra, che per primo ci ispira la fede e l’amore, così che cerchiamo fedelmente il sacramento del Battesimo e dopo il Battesimo siamo in grado di fare con il suo aiuto ciò che gli piace. Per questo motivo dobbiamo credere molto chiaramente che la fede così ammirevole del ladrone chiamato dal Signore nella patria del paradiso (Lc XXIII, 43), quella del centurione Cornelio a cui fu inviato l’angelo del Signore (At X,3) e quella di Zaccheo che meritò di ricevere il Signore in persona, non fu un dono di natura, ma un dono della liberalità della grazia divina.

BONIFACIO II: 22 settembre

Lettera “Per filium nostrum” al Vescovo Cesaire di Arles, 25 25 gennaio 531

Conferma del 2° Consiglio di Orange

398 – (cap. 1)… Non abbiamo tardato a dare una risposta cattolica alla richiesta che avete composto con una lodevole preoccupazione per la fede. Riferisci, infatti, che alcuni dei Vescovi della Gallia concordano sul fatto che tutti gli altri beni provengano dalla grazia di Dio, ma che essi comprendono che la fede con cui crediamo in Cristo è di natura e non di grazia; e – cosa che è empio dire – sarebbe rimasta per gli uomini fin da Adamo in potere del libero arbitrio, e anche ora non ci sarebbe stata conferita. Chiedete che, per eliminare ogni ambiguità, confermiamo con l’autorità della Sede Apostolica questa professione di fede con la quale, al contrario, definite che la retta fede in Cristo e l’inizio di ogni buona volontà siano ispirati, secondo la verità cattolica, nei sensi di ciascuno dalla grazia preveniente di Dio.

399 – (cap. 2). E poiché è vero che molti Padri, e prima di tutti il Vescovo Agostino di benedetta memoria, ma anche i nostri predecessori, i Vescovi della Sede Apostolica, ne hanno trattato così ampiamente che d’ora in poi non ci dovrebbe essere più alcun dubbio sul fatto che anche la fede stessa ci venga dalla grazia, abbiamo pensato di poter fare a meno di una risposta articolata; tanto più che secondo le parole dell’Apostolo che avete citato e in cui dice: Se si dice: “Ho ottenuto misericordia credendo” (1 Cor VII,  25), e altrove: “Vi è stato dato non solo di credere in Cristo, ma anche di soffrire per causa sua” (Fil I, 29), è evidente che la fede con cui crediamo in Cristo, così come tutti i beni, siano concessi ad ogni uomo per dono di grazia dall’alto, e non per la forza della natura umana. E di questo ci rallegriamo che anche la vostra Fraternità, nel tenere un colloquio con alcuni Sacerdoti dei Galli, abbia pensato a questo secondo la fede cattolica: In particolare, per quanto riguarda i punti su cui hanno definito con consenso unanime, come da voi riferito, che la fede con cui crediamo in Cristo è conferita dalla grazia preveniente della Divinità; aggiungendo anche che secondo Dio non c’è assolutamente nulla di buono che qualcuno possa volere, o iniziare, o fare, o portare a compimento senza la grazia di Dio, dal momento che il nostro Salvatore dice: “Senza di me non potete fare nulla” Gv XV: 5. Infatti è certo e cattolico che per tutti i beni, di cui il più eminente è la fede, anche quando non vogliamo ancora, la misericordia di Dio ci prevede perché vogliamo, è in noi quando vogliamo, e addirittura ci segue perché restiamo nella fede, come dice il profeta Davide: “Il mio Dio, la sua misericordia mi precede” Sal LIX,11; e ancora: “La mia misericordia è con lui” Sal LXXXIX,25; e altrove: “La sua misericordia mi segue” Sal XXIII,6 . Allo stesso modo il beato Paolo dice: “Chi ha dato per primo, perché gli sia dato in cambio? Tutto infatti viene da Lui, per mezzo di Lui e in Lui”, Rm XI, 35ss.

400 – Siamo quindi molto sorpresi che coloro che pensano in modo opposto siano ancora oggi oppressi dai residui del vecchio errore, tanto da credere che veniamo a Cristo non per il bene di Dio, ma per il bene della natura; e dicono che il bene della natura stessa, che, come sappiamo, è stato corrotto dal peccato di Adamo, sia più autore della nostra fede di Cristo; e non capiscono che stanno contraddicendo la parola del Signore, che dice: Nessuno viene a me se non gli viene dato dal Padre mio”, Gv, VI, 44; ma che contraddicono anche il beato Paolo che grida ai Giudei: “Corriamo alla battaglia che ci è posta davanti, considerando Colui che è l’autore e il perfezionatore della fede, Gesù Cristo”, Eb XII,1 (e seguenti). Poiché è così, non possiamo trovare ciò che essi vogliono attribuire alla volontà umana, senza la grazia di Dio, per la fede in Cristo, poiché Cristo è l’Autore e il perfezionatore della fede. – (Cap. 3) Perciò… approviamo la vostra professione di fede scritta sopra come conforme alle regole cattoliche dei Padri.

399. (cap. 2). E poiché è vero che molti Padri, e prima di tutti il vescovo Agostino di benedetta memoria, ma anche i nostri predecessori, i vescovi della Sede Apostolica, ne hanno trattato così ampiamente che d’ora in poi non ci dovrebbe essere più alcun dubbio sul fatto che anche la fede stessa ci viene dalla grazia, abbiamo pensato di poter fare a meno di una risposta articolata; tanto più che secondo le parole dell’Apostolo che avete citato e in cui dice: Se si dice: “Ho ottenuto misericordia credendo” (1 Cor 7, 25), e altrove: “Vi è stato dato non solo di credere in Cristo, ma anche di soffrire per causa sua” (Fil 1, 29), è evidente che la fede con cui crediamo in Cristo, così come tutti i beni, sono concessi a ogni uomo per dono di grazia dall’alto, e non per la forza della natura umana. E di questo ci rallegriamo che anche la vostra Fraternità, nel tenere un colloquio con alcuni sacerdoti dei Galli, abbia pensato a questo secondo la fede cattolica: In particolare, per quanto riguarda i punti su cui hanno definito con consenso unanime, come lei ha riferito, che la fede con cui crediamo in Cristo è conferita dalla grazia preveniente della Divinità; aggiungendo anche che secondo Dio non c’è assolutamente nulla di buono che qualcuno possa volere, o iniziare, o fare, o portare a compimento senza la grazia di Dio, dal momento che il nostro Salvatore dice: “Senza di me non potete fare nulla” Gv 15:5 . Infatti è certo e cattolico che per tutti i beni, di cui il più eminente è la fede, anche quando non vogliamo ancora, la misericordia di Dio ci prevede perché vogliamo, è in noi quando vogliamo, e addirittura ci segue perché restiamo nella fede, come dice il profeta Davide: “Il mio Dio, la sua misericordia mi precede” Sal 59,11; e ancora: “La mia misericordia è con lui” Sal 89,25; e altrove: “La sua misericordia mi segue” Sal 23,6 . Allo stesso modo il beato Paolo dice: “Chi ha dato per primo, perché gli sia dato in cambio? Tutto infatti viene da lui, per mezzo di lui e in lui”, Rm 11,35ss.

400 -. Siamo quindi molto sorpresi che coloro che pensano in modo opposto siano ancora oggi oppressi dai residui del vecchio errore, tanto da credere che veniamo a Cristo non per il bene di Dio, ma per il bene della natura; e dicono che il bene della natura stessa, che, come sappiamo, è stato corrotto dal peccato di Adamo, è più autore della nostra fede di Cristo; e non capiscono che stanno contraddicendo la parola del Signore, che dice Nessuno viene a me se non gli viene dato dal Padre mio”, Gv 6,44; ma che contraddicono anche il beato Paolo che grida agli Ebrei: “Corriamo alla battaglia che ci è posta davanti, considerando colui che è l’autore e il perfezionatore della fede, Gesù Cristo”, Eb 12,1 (e seguenti). Poiché è così, non possiamo trovare ciò che essi vogliono attribuire alla volontà umana, senza la grazia di Dio, per la fede in Cristo, poiché Cristo è l’autore e il perfezionatore della fede. – (Cap. 3) Perciò… approviamo la vostra professione di fede scritta sopra come conforme alle regole cattoliche dei padri.

GIOVANNI II: (2 gennaio533-8 maggio 535)

Lettera “Olim quidem” ai senatori di Costantinopoli, marzo 534

Questioni cristologiche della Comunicazione di espressioni idiomatiche

401 – (l’imperatore Giustiniano) riferisce che sono sorte controversie riguardo alle seguenti tre questioni: (I) se Cristo nostro Dio possa essere detto “uno della Trinità”, cioè una Persona santa delle tre Persone della Santa Trinità. (II) Se Cristo Dio, impassibile secondo la Divinità, abbia sofferto nella carne. (III) Se Maria, sempre vergine, debba essere propriamente e realmente chiamata Madre di nostro Signore e Dio Cristo…

[L’espressione “uno della Trinità ha sofferto“]. Che Cristo sia veramente uno della Santa Trinità, cioè una Persona o sostanza santa, che i greci chiamano ipostasi, delle tre Persone della Santa Trinità, lo dimostriamo chiaramente con queste testimonianze (citate tra l’altro Gn III, 22 1Co VIII, 6; la professione di fede nicena Can.125-126).

[Cristo, “Dio che ha sofferto nella carne“]. Ma che Dio abbia sofferto nella carne, vogliamo confermarlo con queste testimonianze Dt. XXVIII, 66;  Gv XIV, 6 Mal III, 8 Act. III,15 Act XX, 28 1Co II, 8; Cirillo di Alessandria, Anatema 12 Can. 263; Leone I, Tom. à Flavien. Can. 290- 295; tra gli altri).

[Il titolo “Madre di Dio”]. Insegniamo che è giusto che Maria, gloriosa, santa e sempre Vergine, sia chiamata dai Cattolici, in senso proprio e vero, Madre di Dio e Madre di Dio, Verbo incarnato in Lei. Infatti, in senso proprio e vero, è lo stesso, incarnato in questi ultimi tempi, che si è degnato di nascere dalla santa e gloriosa Vergine sua Madre. Pertanto, poiché il Figlio di Dio si è incarnato in Lei in senso proprio ed è nato da Lei, confessiamo che in senso proprio ed effettivo è Dio che si è incarnato ed è nato da Lei. In “senso proprio”, affinché non si creda che il Signore Gesù abbia ricevuto il nome di Dio come titolo di onore o di favore, come pensava Nestorio nella sua stoltezza. In senso proprio, affinché non si creda che Egli abbia assunto in qualche modo una carne immaginaria o irreale, come affermava Eutiche nella sua empietà.

402 – (Riassunto della cristologia) Con ciò si dimostra chiaramente ciò che l’imperatore si aspettava, ciò a cui la Chiesa romana è legata e che tiene in onore, cioè che Cristo nostro Signore, come abbiamo spesso detto, sia uno della santa Trinità, che debba deve essere riconosciuto come di due nature, cioè completo nella divinità e nell’umanità, la carne non esistendo prima per essere unita dopo al Verbo, ma ricevendo in Dio stesso il Verbo il principio che la fa esistere. Poiché la carne del Verbo ha avuto inizio dal corpo della Madre, le proprietà e la verità di ciascuna delle nature, cioè della divinità e dell’umanità, sono state salvate (cfr. 293), confessiamo in modo cattolico il Figlio di Dio, nostro Signore Gesù Cristo, mettendo da parte ogni ulteriore cambiamento e confusione. Infatti, riconosciamo le nature in Lui solo considerando e confessando le differenze di divinità e umanità. Ma parlando di due nature non riconosciamo due persone in Cristo, per cui sembra che operiamo una divisione dell’unione e che ci sia – lungi da noi – una quaternità e non una trinità. – una quaternità e non una trinità, come pensa Nestorio nella sua follia; né confondiamo queste nature unite quando confessiamo l’unica persona di Cristo, come pensa Eutiche nella sua empietà. Ma come la Chiesa romana ha finora ricevuto e venerato il Tomus di Papa Leone e tutte le sue lettere, e i quattro concili di Nicea, Costantinopoli, il primo di Efeso e quello di Calcedonia, così noi li seguiamo, li abbracciamo e li osserviamo.

AGAPETO I: (13maggio 535-22 aprile 536)

SILVERIO: 1 (8)? Giugno 536-11 novembre 537

VIGILIO: (11 novembre 537-7 giugno 555)

Su istigazione dell’imperatrice Teodora, papa Silvestro fu deposto e il 29 marzo Vigilio fu dichiarato suo successore. Solo dopo le dimissioni di Silvestro, l’11 novembre, Vigilio fu legittimato.

Editto dell’imperatore Giustiniano al patriarca Menas di Costantinopoli, pubblicato al Concilio di Costantinopoli nel 543.

Anatemi contro Origene.

403 – 1: Se qualcuno dice o pensa che le anime degli uomini preesistano, nel senso che prima erano spiriti e potenze sante che, stanche della contemplazione di Dio, si siano trasformate in uno stato inferiore; che per questo motivo, essendosi raffreddate nell’amore di Dio e quindi essendo chiamate anime, siano state mandate nei corpi per la loro punizione, sia anatema!

404. – 2: Se qualcuno dice o sostiene che l’anima del Signore esisteva ed era unita al Dio-Verbo prima che si incarnasse e nascesse dalla Vergine, sia anatema!

405. – 3: Se qualcuno dice o sostiene che il corpo di nostro Signore Gesù Cristo fu formato per la prima volta nel grembo della Beata Vergine, e che in seguito Dio Verbo e l’anima, già esistenti, si unirono ad esso, sia anatema!

406 – 4: Se qualcuno dice o sostiene che il Verbo di Dio si è fatto simile a tutti gli ordini celesti, diventando un cherubino per i cherubini e un serafino per i serafini, diventando simile a tutte le potenze superiori, sia anatema!

407 – 5: Se qualcuno dice o sostiene che nella risurrezione i corpi degli uomini risorgeranno in forma di sfera, e non confessa che noi risorgiamo in piedi, sia anatema.

408 – 6 Se qualcuno dice o sostiene che il cielo, il sole, la luna, le stelle e le acque che sono sopra i cieli sono forze animate e ragionevoli (materiali), sia anatema!

409 – 7. Se qualcuno dice o sostiene che Cristo Signore, nell’età futura, sarà crocifisso per i demoni, come per gli uomini, sia anatema!

410 – 8. Se qualcuno dice o sostiene che la potenza di Dio è limitata, o che ha creato quanto poteva abbracciare e pensare, o che le creature sono co-eterne a Dio, sia anatema!

411 – 9. Se qualcuno dice o pensa che la punizione dei demoni e degli empi sia temporanea, e che avrà fine dopo un certo tempo, o se c’è una restaurazione dei demoni e degli empi, che sia anatema!

Lettera “Dum in sanctae” a tutto il popolo di Dio, (5 febbraio 552).

Il Papa, che si era rifugiato a Calcedonia per sfuggire all’imperatore, utilizza queste lettere per opporsi alle attività monofisite dell’imperatore.

Professione di fede di Papa Vigilio

412 – Sappiano dunque tutti che noi predichiamo, sosteniamo e proclamiamo quella fede che fu trasmessa dagli Apostoli e mantenuta inviolata dai loro successori, che il venerabile sinodo dei 318 padri di Nicea accolse con la luce dello Spirito Santo e diede la forma di un simbolo, e che fu poi pubblicata dagli altri tre santi sinodi, cioè quelli di Costantinopoli… di Efeso… di Calcedonia.

413 – Così nostro Signore, contro la ferocia di errori di questo tipo, ha armato dal cielo il ministero pastorale che aveva affidato al beato apostolo Pietro con una triplice ingiunzione, dicendo: “Pasci i miei agnelli”. E giustamente la cura di nutrirli fu affidata a colui la cui eccellente professione di fede fu lodata dalla bocca del Signore… con l’ammirevole brevità di una domanda e di una risposta confessò che uno e lo stesso (Cristo) è Figlio dell’uomo e Figlio di Dio: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente”. Mt XVI, 16, esprimendo con ciò il mistero della santissima Incarnazione, poiché nell’unità della Persona e conservando la proprietà delle due nature era allo stesso tempo uomo e Dio, e rimase ciò che prese al tempo della sua sempre Vergine Madre e ciò che è prima dei secoli nascendo dal Padre. Ma unendosi alla carne, senza confusione, senza divisione, senza cambiamento e sostanzialmente, è venuto Dio Verbo, il nostro Emmanuele, atteso grazie all’annuncio della Legge e dei profeti. “Il Verbo dunque si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi”, Gv 1,14, tutto in ciò che è suo, tutto in ciò che è nostro, prendendo carne dal grembo materno con un’anima razionale e intellettuale… Si è fatto iniziare in umanità per renderci coeredi della sua eternità; si è degnato di condividere la sorte della nostra natura perché noi partecipassimo alla sua immortalità; si è fatto povero pur essendo ricco perché noi fossimo arricchiti dalla sua povertà (cfr. 2 Cor VIII, 9); ha cancellato il registro accusatorio dei nostri peccati e ha perdonato tutto ciò che è nostro (cfr. Col II, 13s). … affinché il “mediatore di Dio e degli uomini, l’uomo Cristo Gesù” 1 Tm II, 5 liberi dalla maledizione in cui il primo uomo, terreno, era tenuto prigioniero nei legami della morte, essendo il secondo uomo, celeste 1 Cor XV, 47 che schiaccia la morte con la morte.

414 – Il Figlio di Dio ha sofferto per noi, è stato crocifisso nella carne, è morto nella carne ed è risorto il terzo giorno, affinché, rimanendo la natura divina impassibile e mantenendo la verità della nostra carne, potessimo professare sia le sofferenze che i miracoli dell’unico e medesimo Signore, il nostro Dio Gesù Cristo, affinché, considerando la glorificazione del nostro Capo, ciò che il corpo di tutta la Chiesa ha percepito come primizia dai morti nel nostro Capo, cioè in Cristo Dio e Signore, lo attenda anche in coloro che sono sue membra alla venuta della gloria futura. Il nostro stesso Redentore siede dunque alla destra del Padre, uno e medesimo senza confusione delle due nature, senza divisione della persona, e rimanendo, crediamo, in due nature e in due nature, e da lì verrà a giudicare i vivi e i morti.

415 –  Ma il Padre è con questo stesso Figlio unigenito e con lo Spirito Santo una sola cosa nella Divinità e di natura uguale e senza distinzione. La pienezza di questa fede il Signore l’ha comandata agli Apostoli dopo la resurrezione, dicendo: “Andate e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo” Mt XXVIII, 19. Ha detto “nel nome”, non ha detto “nei nomi”, affinché in coloro nei quali c’è una sola potenza, una sola forza, una sola divinità, una sola eternità, una sola gloria, una sola onnipotenza, una sola beatitudine, una sola operazione ed una sola natura, rimanga l’integrità di un solo nome. Infatti, nulla nella Divinità è diverso, poiché solo la proprietà manifesta delle Persone è designata dalla distinzione. Tutto ciò che la Trinità è, dunque, rimane una divinità consustanziale e senza differenze.

Costituzione (1), Inter innumeras sollicitudines sui “Tre Capitoli“, all’imperatore Giustiniano, 14 maggio 553.

Condanna degli errori del nestorianesimo in merito a l’umanità di Cristo.

416 – 1. Se qualcuno, salvata l’inconvertibilità della natura divina, non confessa che il Verbo si è fatto carne e che fin dal suo concepimento nel grembo della Vergine ha unito secondo l’ipostasi i principi della natura umana, ma dice che Dio Verbo era come con un uomo già esistente, in modo che così non si creda che la santa Vergine sia veramente la Madre di Dio, ma che questo appellativo sia solo verbale, sia anatema!

2. Se qualcuno nega che l’unità delle nature in Cristo sia fatta secondo l’ipostasi, ma dice invece che Dio Verbo abiti in un uomo che ha un’esistenza separata come in uno dei giusti, e quindi non confessa l’unità delle nature secondo l’ipostasi, per cui Dio Verbo è rimasto e rimane, insieme alla carne che ha assunto, una sola ipostasi o persona, sia anatema!

418 – (3) Se qualcuno nell’unico Cristo divide le parole del Vangelo e degli apostoli, così da introdurre una divisione delle nature che sono unite in lui, sia anatema.

419 – 4. Se qualcuno dice che l’unico Gesù Cristo, vero Figlio di Dio e vero Figlio dell’uomo, ignorava il futuro o il giorno dell’ultimo giudizio, e che poteva conoscere solo ciò che la divinità che abita in lui come in un altro gli rivelava, sia anatema!

420 – 5. Se qualcuno, in riferimento al passo dell’Apostolo in Eb V,7ss, in cui si dice che Cristo conobbe per esperienza cosa significava obbedire e presentò, con un grande grido e lacrime, preghiere e suppliche a Colui che poteva salvarlo dalla morte, attribuisce questo passo a Cristo come spogliato della sua divinità, divenuta perfetta attraverso gli sforzi della virtù, così che sembra introdurre così due Cristi o due Figli; E se non crede che un solo e medesimo Cristo, Figlio di Dio e Figlio dell’uomo, in due nature e in due nature inseparabili e indivise, debba essere confessato e adorato, sia anatema.

2° Concilio di Costantinopoli (5° ecumenico) 5 maggio-2 giugno 553

421-438. 8a sessione, 2 giugno 553: canoni.

Anatemi contro i tre capitoli.

421 – 1. Se qualcuno non confessa una sola natura o sostanza del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, una sola potenza e una sola forza, una sola Trinità consustanziale, una sola Divinità adorata in tre ipostasi o persone, sia anatema. Perché c’è un solo Dio e Padre, del quale sono tutte le cose, un solo Spirito Santo, nel quale sono tutte le cose.

422. – 2. Se qualcuno non confessa che ci sono due generazioni di Dio Verbo, una prima dei secoli, dal Padre, senza tempo e incorporea, e l’altra negli ultimi giorni, dallo stesso Verbo che è disceso dal cielo e si è incarnato dalla santa e gloriosa Madre di Dio sempre vergine ed è stato generato da lei, sia anatema.

423 – 3. Se qualcuno dice che un altro è il Verbo di Dio che ha fatto miracoli e un altro il Cristo che ha sofferto, o dice che il Dio-Parola è unito al Cristo nato da una donna Ga 4:4 , o che egli è in lui come un altro in un altro; Ma che non sia lo stesso Signore nostro Gesù Cristo, il Verbo di Dio incarnato e fatto uomo, lo stesso autore di miracoli e soggetto di sofferenze che ha volontariamente sopportato nella carne, sia anatema.

424 – 4. Se qualcuno dice che l’unione di Dio Verbo con l’uomo è avvenuta per grazia o per operazione o per uguaglianza di onore, o per autorità, o per trasferimento, relazione o potere; o per benevolenza, come se Dio Verbo si fosse compiaciuto nell’uomo che aveva della sua stoltezza; Oppure secondo l’omonimia per cui i nestoriani, chiamando il Dio-Verbo Gesù e Cristo e nominando l’uomo preso a parte Cristo e Figlio, parlando evidentemente di due persone, fingono di parlare di una sola persona e di un solo Cristo dal punto di vista dell’appellativo, dell’onore, della dignità e dell’adorazione; ma se non si confessa che l’unione di Dio Verbo con la carne animata da un’anima ragionevole e pensante è avvenuta secondo la composizione, cioè secondo l’ipostasi, come hanno insegnato i santi Padri; e se per questo motivo non confessa la sua unica ipostasi, che è il Signore Gesù Cristo, uno della santa Trinità, che sia anatema.

425 – Infatti, questa unione è stata intesa in molti modi; alcuni, seguaci dell’empietà di Apollinare ed Eutiche, sostenendo la scomparsa degli elementi che si sono uniti, propugnano un’unione per confusione; altri, pensando come Teodoro e Nestorio, favorendo la divisione, introducono un’unione di relazione; tuttavia la santa Chiesa di Dio, respingendo l’empietà delle due eresie, confessa l’unione del Dio-Verbo con la carne secondo la composizione, cioè secondo l’ipostasi. Infatti, l’unione per composizione nel mistero di Cristo non solo conserva senza confusione gli elementi uniti, ma non ne ammette nemmeno la divisione.

426 – (Can. 5) Se qualcuno ammette l’unica ipostasi di nostro Signore Gesù Cristo come se implicasse il significato di più ipostasi, e con questo mezzo cerca di introdurre nel mistero di Cristo due ipostasi o due persone, e dopo aver introdotto due persone, parla di una sola persona, secondo la dignità, l’onore o il culto, come scrissero Teodoro e Nestorio nella loro follia; E se calunnia il santo concilio di Calcedonia, come se avesse usato l’espressione “una sola ipostasi” in questo senso empio; e se non confessa che il Verbo di Dio è stato unito alla carne secondo l’ipostasi, e che quindi non c’è che una sola ipostasi o persona, e che è in questo senso che il santo concilio di Calcedonia ha confessato una sola ipostasi di nostro Signore Gesù Cristo, che costui sia anatema. La Santissima Trinità, infatti, non ha ricevuto l’aggiunta di una persona o di un’ipostasi, nemmeno dopo l’incarnazione dell’unico membro della Santissima Trinità, il Verbo di Dio.

427 – (Can. 6). Se qualcuno dice che è in un senso improprio e falso che la santa, gloriosa e sempre vergine Maria è la Madre di Dio, o che lo è per trasferimento, come se un semplice uomo fosse stato generato da lei, ma non nel senso che il Verbo di Dio si è incarnato; ma la generazione dell’uomo da Maria è secondo loro attribuita per transfert a Dio Verbo come unito all’uomo che è nato, e se calunnia il santo Concilio di Calcedonia dicendo che esso dichiara la Vergine Madre di Dio nel senso empio immaginato da Teodoro; O se qualcuno la chiama madre dell’uomo o madre di Cristo, come se Cristo non fosse Dio, ma non confessa che è propriamente e veramente Madre di Dio, perché Dio Verbo, generato dal Padre prima dei secoli, si è incarnato da lei negli ultimi giorni, e fu con questo sentimento religioso che il santo concilio di Calcedonia la confessò Madre di Dio, costui sia anatema.

428 – (Can. 7) Se qualcuno dice “in due nature”, non confessa che nella divinità e nell’umanità si riconosce il nostro unico Signore Gesù Cristo, per significare con ciò la differenza delle nature da cui l’unione ineffabile è stata realizzata senza confusione, senza che il Verbo si sia trasformato nella natura della carne, né che la carne sia passata nella natura del Verbo (perché ciascuno rimane ciò che è per natura, anche dopo la realtà dell’unione secondo l’ipostasi), ma se prende tale espressione, a proposito del mistero di Cristo, nel senso di una divisione in parti, o se, confessando il numero delle nature nel nostro unico Signore, Gesù Cristo, Dio Verbo incarnato, non si limita alla mera considerazione concettuale della differenza dei principi di cui è costituito, differenza che non viene eliminata dall’unione (perché l’uno è dei due e i due dall’uno), ma se usa il numero a tal punto da avere nature separate, ognuna con la propria ipostasi, tale uomo sia anatema!

429 (Can. 8). Se qualcuno, confessando che l’unione della divinità e dell’umanità è stata fatta da due nature, o parlando di una sola natura incarnata di Dio Verbo, non prende queste formule nel senso in cui le hanno insegnate i santi Padri, cioè che, essendo stata fatta l’unione secondo l’ipostasi dalla natura divina e dalla natura umana, ne è risultato un solo Cristo; ma se per mezzo di queste espressioni intende introdurre un’unica natura o sostanza della Divinità e della carne di Cristo, che tale uomo sia anatema!

430. Infatti, quando diciamo che il Verbo unigenito fu unito secondo l’ipostasi, non diciamo che avvenne una sorta di fusione reciproca delle nature; pensiamo che il Verbo fosse unito alla carne, ciascuna delle nature rimanendo piuttosto quella che era. Perciò uno è Cristo, Dio e uomo, lo stesso, consustanziale al Padre secondo la sua divinità, consustanziale a noi secondo la sua umanità. La Chiesa di Dio, infatti, respinge e anatemizza anche coloro che dividono o tagliano in parti il mistero della divina economia di Cristo e coloro che vi introducono confusione.

431 (Can. 9). Se qualcuno dice che Cristo è adorato in due nature, da cui introduce due culti, uno proprio di Dio Verbo, l’altro proprio dell’uomo; o se qualcuno, con l’intenzione di sopprimere la carne o confondere la divinità e l’umanità, si forma l’idea mostruosa di una sola natura o sostanza dei principi uniti, e così adora Cristo: ma se non adora con un’unica adorazione Dio Verbo incarnato con la propria carne, come la Chiesa ha ricevuto fin dall’inizio, tale uomo sia anatema!

432 – (Can. 10). Se qualcuno non confesserà che Colui che è stato crocifisso nella carne, il Signore nostro Gesù Cristo, è vero Dio, Signore della gloria, e uno della santa Trinità, costui sia anatema!

433 – (Can. 11). Se qualcuno non anatemizza Ario, Eunomio, Macedonio, Apollinare, Nestorio, Eutiche e Origene, e i loro empi scritti, e tutti gli altri eretici condannati e anatemizzati dalla santa Chiesa cattolica e apostolica e dai quattro santi Concili sopra menzionati, come pure tutti coloro che hanno tenuto o tengono opinioni simili a quelle dei suddetti eretici, e hanno persistito nella loro empietà fino alla morte, costui sia anatema!

434. (Can. 12). Se qualcuno difende l’empio Teodoro di Mopsuestia, che afferma che un altro è il Dio-Parola e un altro il Cristo, il quale, turbato dalle passioni dell’anima e dai desideri della carne, si liberò a poco a poco dalle attrattive inferiori e così, reso migliore dal progresso delle sue opere e divenuto del tutto irreprensibile con la sua condotta, fu battezzato come un semplice uomo nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo; e, con il battesimo, è stato ritenuto degno di ricevere la grazia dello Spirito Santo e l’adozione filiale; e, come un’immagine regale, è adorato nella persona del Verbo Dio; e dopo la sua resurrezione è diventato immutabile nei suoi pensieri e totalmente irreprensibile. Lo stesso empio Teodoro disse che l’unione del Dio-Parola con Cristo era dello stesso ordine di quella di cui parla l’Apostolo per l’uomo e la donna: “Saranno due in una sola carne” Ef 5,31 . E oltre alle sue altre innumerevoli bestemmie, osò dire che dopo la risurrezione, quando il Signore soffiò sui suoi discepoli dicendo: “E quest’uomo dice anche che la confessione di Tommaso, quando toccò le mani e il costato del Signore dopo la Risurrezione, il “Mio Signore e mio Dio”, Gv 20,28, Tommaso non lo disse di Cristo, ma che stupito per la meraviglia della Risurrezione, Tommaso lodò Dio che aveva risuscitato Cristo.

435. Nella sua interpretazione degli Atti degli Apostoli, lo stesso Teodoro paragona Cristo a Platone, Mani, Epicuro e Marcione; come ognuno di loro, dice, dopo aver inventato la propria dottrina, fece chiamare i suoi seguaci platonici, manichei, epicurei e marcioniti, così, dopo che anche Cristo ha inventato una dottrina, i cristiani sono chiamati come lui. Se dunque qualcuno difende il suddetto empissimo Teodoro e i suoi empi scritti, nei quali ha diffuso le bestemmie menzionate e innumerevoli altre contro il nostro grande Dio e Salvatore Gesù Cristo, e non anatematizza lui e i suoi empi scritti e coloro che lo accolgono, lo difendono o dicono che le sue esposizioni sono ortodosse, e coloro che hanno scritto a suo favore e in  coloro che hanno scritto a favore di lui e dei suoi empi scritti, e coloro che hanno o potrebbero avere opinioni simili e sono rimasti fino alla fine in tale eresia, siano anatema.

436 – (Can. 13). Se qualcuno difende le opere empie di Teodoreto contro la vera fede, contro il primo e santo Concilio di Efeso, contro San Cirillo e i suoi dodici capitoli (vedi 252-263); di tutto ciò che ha scritto a favore dell’empio Teodoro, di Nestorio e di altri che hanno le stesse opinioni dei suddetti Teodoro e Nestorio, e che accolgono loro e la loro empietà; e se per loro chiama empi i Dottori della Chiesa che sostengono che l’unione di Dio Verbo è stata fatta secondo l’ipostasi; e se non anatematizza gli scritti empi menzionati, coloro che hanno tenuto o hanno le stesse opinioni di loro, tutti coloro che hanno scritto contro la fede ortodossa o contro San Cirillo e i suoi dodici capitoli, e che sono finiti in tale empietà, che tale uomo sia anatema!

437 – (Can. 14). Se qualcuno difende la lettera che si dice sia stata scritta da Ibas a Maris il Persiano, in cui si nega che il Dio-Verbo incarnato da Maria, la santa e sempre vergine Madre di Dio, si sia fatto uomo; in cui si dichiara che fosse un semplice uomo ad essere generato da Lei, un uomo che chiamano Tempio, come se uno fosse il Dio-Verbo e l’altro l’uomo; dove San Cirillo, l’araldo della vera fede dei cristiani ortodossi, è accusato di essere eretico e di aver scritto gli stessi errori dell’empio Apollinare; dove il primo santo Concilio di Efeso è rimproverato di aver deposto Nestorio senza giudizio e senza indagine. La stessa empia lettera definisce empi e contrari alla retta fede i dodici capitoli di San Cirillo 252-263 e giustifica Teodoro e Nestorio e le loro empie dottrine e scritti. Se dunque qualcuno difende la lettera citata e non anatemizza la lettera e coloro che la difendono e dicono che è ortodossa, almeno in parte, coloro che hanno scritto o scrivono in suo favore o in favore delle empietà che essa contiene in nome dei santi Padri e del santo Concilio di Calcedonia e che rimangono fino alla fine in questi errori, costui sia anatema!

438 – Dopo aver così confessato tutti questi punti che abbiamo ricevuto dalla Sacra Scrittura, dall’insegnamento dei santi Padri e dalle definizioni dell’unica e medesima fede fatte dai quattro santi Concili sopra menzionati; dopo aver condannato gli eretici e la loro empietà, e anche l’empietà di coloro che hanno giustificato o stanno giustificando i tre capitoli sopra menzionati, e che hanno perseverato o continuano a perseverare nel loro stesso errore; se qualcuno si impegna a trasmettere, insegnare o scrivere ciò che è in opposizione alle dichiarazioni che abbiamo formulato, se è un Vescovo o iscritto al clero, poiché agirebbe in modo incompatibile con lo stato sacerdotale ed ecclesiastico, sarà privato dell’episcopato o dell’ufficio clericale; se è un monaco o un laico, sarà anatemizzato.

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA (da Pelagio I a Bonifacio V) (9)

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA (7) “Da Simplicio a Giovanni I”

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA DAGLI APOSTOLI A S.S. PIO XII (7)

HENRICUS DENZINGER

ET QUID FUNDITUS RETRACTAVIT AUXIT ORNAVIT

ADOLFUS SCHÖNMATZER S. J.

ENCHIRIDION SYMBOLORUM DEFINITIONUM ET DECLARATIONUM

De rebus fidei et morum

HERDER – ROMÆ – MCMLXXVI

Imprim.: Barcelona, José M. Guix, obispo auxiliar

(Da Simplicio a Giovanni I)

SIMPLICIO: 3 marzo 468-10 marzo 483

Concilio di Arles, 473: lettera di sottomissione del Sacerdote Lucido.

Grazia e predestinazione

330 – La vostra correzione è la salvezza di tutti e la vostra decisione un rimedio. Perciò considero un rimedio sovrano scagionarmi accusando i miei errori passati e tornare all’innocenza con una salutare confessione. Pertanto, secondo i recenti statuti del venerabile Concilio, condanno con voi quell’opinione che dice che l’opera di obbedienza umana non debba essere unita alla grazia divina;

331 – Chi dice che dopo la caduta del primo uomo il libero arbitrio della sua volontà fu totalmente distrutto;

332 – Chi dice che Cristo nostro Signore e Salvatore non abbia sofferto la morte per la salvezza di tutti;

333 – Chi dice che la prescienza di Dio spinga violentemente l’uomo alla morte o che coloro che si perdono si perdano per volontà di Dio;

334 – Chi dice che, dopo aver ricevuto giustamente il Battesimo, chiunque abbia peccato muore in Adamo;

335 – Chi dice che alcuni siano destinati alla morte, altri siano predestinati alla vita;

336 – Chi dice che da Adamo fino a Cristo, nessuno dei Gentili sia stato salvato dalla prima grazia di Dio, cioè dalla legge di natura, in vista della venuta di Cristo, perché in tutti loro il libero arbitrio sia stato perso nel primo padre;

337 – Chi dice che i Patriarchi ed i Profeti o il più grande dei Santi, anche prima del tempo della Redenzione, vivevano nelle dimore del Paradiso;

338 – Chi dice che non c’è né fuoco né inferno…

339 – Tutto questo lo condanno come empio e assolutamente sacrilego. Sostengo la grazia di Dio in quanto tengo insieme lo sforzo dell’uomo e l’azione della grazia, e dichiaro che la libertà della volontà umana non è distrutta, ma attenuata e indebolita, affinché chi si salva sia in pericolo e chi perisce sia salvato.

340. – Allo stesso modo Cristo, nostro Dio e Salvatore, nell’abbondanza della sua bontà, ha pagato il riscatto della morte per tutti, e vuole anche che nessuno perisca, Egli che è il Salvatore di tutti gli uomini, specialmente dei credenti, ricco di tutti quelli che lo invocano Rm X, 12. E poiché in questioni così importanti la coscienza debba essere soddisfatta, ricordo di aver detto prima che Cristo è venuto solo per coloro che sapeva in anticipo che avrebbero creduto (si fa riferimento a Mt XX, 28 Mt XXVI, 28 Eb IX, 27). Ma ora, per l’autorità delle sante testimonianze che si trovano in abbondanza nel campo delle Sacre Scritture e che sono rivelate dalla dottrina degli antichi, confesso volentieri che Cristo è venuto anche per coloro che si sono persi, perché si sono persi contro la sua volontà. E non è opportuno che le ricchezze della bontà infinita e dei benefici divini siano limitate solo a coloro che sono manifestamente salvati. Infatti, se diciamo che Cristo ha portato rimedio solo a coloro che si sono salvati, daremo l’impressione di assolvere coloro che non si sono salvati, che, come sappiamo, devono essere puniti per aver disprezzato la Redenzione.

341 – Affermo anche che, nel corso dei tempi e nell’ordine dei secoli, alcuni siano stati salvati dalla Legge della grazia, altri dalla Legge di Mosè, altri ancora dalla Legge naturale che Dio ha iscritto nei cuori di tutti (cfr. Rm II, 15) nella speranza della venuta di Cristo, ma che fin dall’inizio del mondo nessuno è stato liberato dalla schiavitù originaria se non per intercessione del sacro sangue.

342 – Confesso anche che le fiamme e i fuochi eterni dell’inferno siano preparati per i peccati mortali; infatti, alle colpe umane che permangono fino alla fine, segue giustamente il giudizio divino in cui incorrono coloro che non hanno creduto a questo con tutto il cuore. Io, presbitero Lucido, ho sottoscritto di mio pugno questa lettera, e ciò che è assicurato in essa lo affermo, e ciò che è condannato lo condanno.

Lettera “Quantum presbyterorum” al vescovo Acace di Costantinopoli – Costantinopoli, 10 gennaio 476

L’autorità dei Vescovi romani e dei Concili ecumenici

343 – (Par. 3, Cap. 2). Poiché esiste la dottrina dei nostri predecessori di santa memoria, contro la quale non è lecito contestare, e poiché chiunque pensi rettamente non abbia bisogno di ulteriori spiegazioni, ma tutto sia chiaro e perfetto per istruire chi è stato sedotto dagli eretici o per insegnare a chi deve essere piantato nella vigna del Signore, implorate la fede del principe misericordioso e fate in modo che respinga la proposta di tenere un sinodo. ..(6(3)) Chiedo quindi, caro fratello, che si resista in tutti i modi ai tentativi di canaglie di tenere un sinodo, che non è mai stato convocato se non quando è sorto qualcosa di nuovo nelle menti distorte o quando è apparso qualcosa di dubbio nella spiegazione dei dogmi: In modo che per coloro che si occupano di loro per il bene comune, se c’è qualche oscurità, l’autorità della deliberazione dei sacerdoti possa venire a fare luce, come l’empietà di Ario prima, poi quella di Nestorio, e infine quella di Dioscoro ed Eutiche, li ha costretti a fare. E si deve inculcare che è esecrabile – da cui la misericordia di Cristo nostro Dio e Salvatore ci preserverebbe – riabilitare i condannati contro i giudizi dei sacerdoti del Signore di tutto il mondo e dei due principi regnanti…

FELICE II: 13 marzo 483-1 marzo 492

Lettera “Quoniam pietas” all’imperatore Zenone, 1° agosto 484.

La libertà della Chiesa

345 –  Poiché anche presso le nazioni barbare, che ignorano il nome di Dio, la libertà di ogni legazione è sempre considerata sacrosanta dal diritto delle nazioni, anche per l’attuazione di imprese puramente umane, tutti sanno che a maggior ragione essa avrebbe dovuto essere pienamente salvaguardata da un imperatore romano e cristiano, soprattutto in materia religiosa. … Ma penso che la vostra pietà, pronta a sottomettersi alle proprie leggi piuttosto che a contrastarle, dovrebbe allo stesso modo obbedire ai decreti celesti, senza dimenticare che la sua supremazia sulle cose umane non possa estendersi alle cose divine, che deve ricevere, senza alcun dubbio, dalle mani dei dispensatori stabiliti da Dio. Penso che sia certamente utile per voi lasciare che la Chiesa Cattolica viva secondo le sue leggi durante il vostro principato, e non permettere a nessuno di ostacolare la sua libertà, che vi ha dato il potere reale. È certo, infatti, che la prosperità dei vostri affari vi impone, quando si tratta degli interessi di Dio, di sforzarvi, come Lui ha voluto, di sottomettere la vostra volontà ai Sacerdoti di Cristo e di non farla prevalere su di essi: d’altra parte, dovete imparare i sacri misteri da coloro che ne sono responsabili, e non insegnarli; dovete cedere all’organizzazione della Chiesa, e non prescrivere ad essa regole di diritto umano, né vogliate regnare sulle sue decisioni, alle quali Dio ha voluto, con il giogo della devozione religiosa, sottoporre la vostra clemenza. Si teme infatti che, violando le disposizioni del cielo, si arrivi a disprezzare colui che ne è l’Autore.

GELASIO I: 1 marzo 492-21 novembre 496-347

Lettera “Famuli vestræ pietatis” all’imperatore Anastasio I 494.

Il duplice potere supremo sulla terra

(2) Due sono i principi da cui questo mondo è principalmente governato: l’autorità sacra dei Pontefici e il potere regale; e dei due il peso dei Sacerdoti è tanto più pesante in quanto devono rendere conto alla giustizia divina di coloro che sono i re stessi. Tu lo sai, figlio misericordioso: sebbene la tua dignità ti ponga al di sopra del genere umano, nondimeno chini il capo a coloro che sono preposti alle cose divine, e ti aspetti da loro i mezzi per salvarti; e per ricevere i misteri celesti e dispensarli come dovrebbero essere dispensati, devi, lo sai, secondo la regola della Religione, sottometterti piuttosto che dirigere. Pertanto, in tutto questo dipendete dal loro giudizio e non dovete volerli ridurre alla vostra volontà. Se, infatti, per quanto riguarda le regole dell’ordine pubblico, i capi religiosi ammettono che l’impero vi è stato dato per disposizione dall’alto, e obbediscono essi stessi alle vostre leggi, non volendo, almeno negli affari di questo mondo, apparire contrari a… una decisione esclusa, con quali sentimenti non dovreste, vi prego, obbedire a coloro che sono incaricati della dispensazione dei venerabili misteri? Pertanto, come non è lieve la minaccia per i Pontefici che non si sono espressi per il culto di Dio, come avrebbero dovuto, così non è lieve il pericolo – che non esiste – corso da coloro che, quando dovrebbero obbedire, disprezzano. E se è normale che i cuori dei fedeli si sottomettano a tutti i Sacerdoti in generale che adempiono correttamente ai loro doveri divini, quanto più dovrebbe esserci unanimità intorno alla persona incaricata di questa Sede, alla quale la suprema divinità ha voluto dare la preminenza su tutti i Sacerdoti, e che la pietà universale della Chiesa ha nel frattempo costantemente celebrato? (3) È qui che la vostra pietà si rende conto chiaramente che nessuno, con nessun pretesto umano, potrà mai elevarsi al di sopra della posizione privilegiata di colui che la voce di Cristo ha posto al di sopra di tutti, che la venerabile Chiesa ha sempre riconosciuto e tiene devotamente al primo posto. Le decisioni del giudizio divino possono essere impedite da presunzioni umane, ma non possono essere superate da alcun potere di nessuno.

348 – Concilio di Roma: Atti dell’Assoluzione di Miseno, 13 maggio 495

Il potere della Chiesa di perdonare i peccati.

Poiché è volontà di Dio onnipotente e misericordioso che a nessuna anima che lo desideri sia negato il sollievo dalla misericordia della Chiesa, non c’è dubbio che è per effetto di una disposizione di Dio stesso e di un pentimento ispirato da Dio che l’accoglienza (di Miseno) avviene nel momento in cui una necessità improrogabile ne impone la concessione, tanto più che nostro Signore ha comandato al beato Pietro prima che agli altri: “Tutto ciò che legherete sulla terra sarà legato in cielo, e tutto ciò che scioglierete sulla terra sarà sciolto in cielo”; Poiché è stato anche stabilito che nulla sia  escluso da queste parole, tutti indistintamente possono essere vincolati dal ministero della dispensazione apostolica, e tutti di conseguenza possono anche essere assolti da esso, soprattutto se con ciò si vuole dare a tutti un esempio di vera misericordia apostolica, in modo che tutti coloro che sono stati condannati, se si rassegnano e si allontanano dall’errore … non dubitano che con l’assoluzione saranno liberati dalla loro condanna… Pertanto, per quanto è in potere dell’uomo e con il permesso del Signore, desideriamo offrire rimedi a coloro che li desiderano, lasciando al giudizio divino tutto ciò che non è in nostro potere. E non potranno rimproverarci di aver perdonato l’offesa di una trasgressione ai vivi – cosa che la Chiesa può fare grazie alla generosità di Dio – mentre chiedono che concediamo il perdono anche ai morti – cosa che chiaramente non è in nostro potere. Infatti, poiché è detto: “Ciò che legherai sulla terra”, coloro che è accertato che non sono più sulla terra, Egli li ha riservati al proprio giudizio e non a quello degli uomini; e la Chiesa non ha l’audacia di rivendicare per sé ciò che vede che non sia stato concesso agli stessi beati Apostoli; perché altro è il caso di coloro che sono ancora in vita, altro quello dei morti.

349 – Trattato “Ne forte” sul vincolo dell’anatema, 495.

La remissione dei peccati

(5) Il Signore ha detto che chi pecca contro lo Spirito Santo non sarà perdonato né qui sulla terra né nell’età futura, Mt XII: 32 . Ma per quanti, che hanno peccato contro lo Spirito Santo come vari eretici… e che sono tornati alla fede cattolica, vediamo che hanno ricevuto il perdono quaggiù per la loro bestemmia e che anche per il futuro hanno concepito la speranza di ottenere misericordia? Per tutto questo, il giudizio del Signore non è privo di verità e non sarà in alcun modo considerato annullato, perché per coloro che continuano ad essere tali, si mantiene senza poter essere annullato, mentre non può essere applicato a coloro che sono diventati altri, poiché non è stato pronunciato su di loro. Così anche le parole del beato apostolo Giovanni hanno la loro logica: C’è un peccato che porta alla morte: non dico che si debba pregare per questo; e c’è un peccato che non porta alla morte: dico che si deve pregare per quello. C’è un peccato che porta alla morte per chi rimane in quel peccato; c’è un peccato che non porta alla morte per chi lo abbandona. Non c’è infatti peccato per il quale la Chiesa non preghi di essere perdonata, o dal quale non possa assolvere coloro che se ne allontanano, o che non possa perdonare a coloro che fanno penitenza per il potere datole da Dio – colei alla quale è stato detto:  (cfr. Gv XX, 23); “Tutto ciò che scioglierete sulla terra sarà sciolto anche in cielo” Mt XVIII, 18. In questo sono inclusi tutti i peccati, non importa quanto grandi o di quale natura, ma resta vera la sentenza in cui si dice che chi continua a perseverare in essi non sarà mai sciolto, ma lo saranno quelli che saranno sciolti in seguito.

Decretum Gelasianum, ovvero Lettera decretale sui libri da ricevere e da non ricevere, (data incerta).

La preminenza della Sede romana

350 – Dopo (tutte queste) Scritture profetiche, evangeliche e apostoliche (che abbiamo citato sopra) e sulle quali la Chiesa cattolica, per grazia di Dio, è fondata, abbiamo ritenuto necessario sottolineare anche questo, Che se la Chiesa cattolica, diffusa in tutto l’universo, è l’unica camera nuziale di Cristo, tuttavia la santa Chiesa romana non è anteposta alle altre Chiese dagli editti dei sinodi, ma ha ricevuto il primato dalla parola evangelica del Signore e Salvatore che dice: Vi darò le chiavi del regno dei cieli e tutto ciò che legherete sulla terra sarà legato in cielo e tutto ciò che scioglierete sulla terra sarà sciolto in cielo. A questo si aggiunse anche la compagnia del beatissimo Apostolo Paolo, il vaso di elezione: non in un altro momento, come dicono stoltamente gli eretici, ma nello stesso tempo, nello stesso giorno, con una morte gloriosa insieme a Pietro, fu incoronato in battaglia, nella città di Roma, sotto l’imperatore Nerone: E allo stesso modo consacrarono a Cristo la suddetta Chiesa romana, e con la loro presenza e il loro venerabile trionfo la anteposero a tutte le altre città del mondo intero.

351 – La prima sede dell’apostolo Pietro è dunque la Chiesa romana, che non ha macchia né ruga o altro, Ef V, 27. La seconda sede, invece, fu consacrata ad Alessandria nel nome del beato Pietro dal discepolo ed evangelista Marco… La terza sede del beato apostolo Pietro è tenuta in onore ad Antiochia, poiché egli visse lì prima di venire a Roma e lì apparve per la prima volta il nome “Cristiani” per la nuova razza (cfr. At 11,26).

L’autorità dei Concili ecumenici

352 – E sebbene nessuno possa porre un fondamento diverso da quello che è stato posto, che è Gesù Cristo (cfr. 1 Cor III, 11), la santa Chiesa, cioè la Chiesa romana, non proibisce che per la sua edificazione, oltre alle Scritture dell’Antico e del Nuovo Testamento, che riceviamo secondo la regola, si ricevano anche questi altri scritti, cioè il santo sinodo di Nicea. (il santo sinodo di Costantinopoli… in cui l’eretico Macedonio ricevette la meritata condanna); il santo sinodo di Efeso…; il santo sinodo di Calcedonia… (Ma anche altri sinodi, se ve ne sono, che sono stati tenuti dai santi padri fino al presente, e che noi abbiamo stabilito siano osservati e ricevuti in aggiunta all’autorità di questi quattro).

Libri che devono essere ricevuti.

353 – Così come le opere del beato martire Cipriano, Arcivescovo di Cartagine. Anche le opere… (Vengono citati allo stesso modo Gregorio di Nazianzo, Basilio il Grande, Atanasio di Alessandria, Giovanni Crisostomo, Teofilo di Alessandria, Cirillo di Alessandria, Ilario di Poitiers, Ambrogio, Agostino, Girolamo, Prospero di Aquitania). Allo stesso modo la lettera del beato Papa Leone a Flaviano, Vescovo di Costantinopoli; chiunque, riguardo al suo testo, ne contesti anche un solo punto e non la riceva con riverenza in tutte le sue parti, sia anatema. Allo stesso modo decidiamo che devono essere lette le opere e i trattati di tutti i Padri ortodossi… che non si sono allontanati in alcun modo dalla comunione della Chiesa romana. Allo stesso modo vanno accolte con venerazione le lettere decretali che i beati Papi hanno scritto in vari tempi dalla città di Roma per consigliare i vari Padri. Anche le azioni dei Santi martiri… Ma secondo un’antica consuetudine e una particolare prudenza, non vengono letti nella santa Chiesa romana, perché i nomi di coloro che li hanno scritti sono del tutto sconosciuti e sono considerati dai non credenti e dagli ignoranti come superflui o meno appropriati di quanto non fosse la realtà dei fatti… Per questo motivo…, affinché non ci sia nemmeno la minima occasione di scherno, non vengono letti nella santa Chiesa Romana. Tuttavia, con la suddetta Chiesa, veneriamo con piena devozione tutti i martiri e le loro gloriose battaglie, che sono meglio conosciute da Dio che dagli uomini. Allo stesso modo riceviamo con piena venerazione le vite di Paolo, Antonio, Ilarione e di tutti gli eremiti, ma solo quelle composte dal beatissimo Girolamo. (Il resto dell’enumerazione contiene il seguente avvertimento): se questo arriva nelle mani dei Cattolici, sia preceduto da questa frase del beato Apostolo Paolo: “Esaminate ogni cosa, ritenete ciò che è buono”. Allo stesso modo, Ruffin, un uomo religioso, pubblicò molti libri di un’opera ecclesiastica e interpretò anche alcune Scritture. Ma poiché il venerabile Girolamo lo ha biasimato in alcune cose, riguardo al libero arbitrio, noi pensiamo ciò che sappiamo che pensava il suddetto beato Girolamo, e questo vale non solo per Ruffin, ma anche per tutti coloro che questo uomo più volte citato biasima nel suo zelo per Dio e nella pietà della fede. – Allo stesso modo riceviamo come degne di lettura alcune opere di Origene che il beatissimo Girolamo non respinge. Ma tutto il resto, a nostro avviso, deve essere respinto insieme al suo autore.

Libri che non devono essere ricevuti

354 – Il resto, che è stato composto o proclamato da eretici o scismatici, la Chiesa cattolica e apostolica non lo riceve in alcun modo. (Segue un lungo elenco di Apocrifi, sia in senso stretto, cioè scritti pseudocanonici, sia in senso lato, scritti carichi di eresia). Tutto questo e ciò che vi è di simile, che gli eresiarchi insegnarono o scrissero… i cui nomi non sono stati affatto conservati, dichiariamo non solo respinto ma anche eliminato da tutta la Chiesa romana, Cattolica e Apostolica, e condannato per sempre, insieme ai loro autori e lettori, con il vincolo indissolubile dell’anatema.

355 – Trattato. “Necessarium quoque” contro Eutiche e Nestorio. (data incerta).

Le due nature in Cristo

(Cap. 4) È vero che il Signore Gesù Cristo è una cosa sola, l’uomo interamente Dio e allo stesso tempo Dio interamente uomo, e tutto ciò che appartiene all’uomo, l’uomo-Dio lo fa suo, e tutto ciò che appartiene a Dio, l’uomo-Dio lo possiede; tuttavia, affinché questo sacramento rimanga e non sia annullato da nessun lato, Egli rimane come tutto l’uomo ciò che è Dio, così che come tutto Dio rimane ciò che è l’uomo…

ANASTASO II: 24 novembre 496-17

356 – Lettera “Exordium pontificatus mei” all’imperatore Anastasio I, fine del 496.

La validità dei sacramenti conferiti dagli scismatici.                                 

(Cap. 7) Secondo la consuetudine della Chiesa cattolica, la vostra santissima serenità vorrà gentilmente riconoscere che nessuno di coloro che Acace battezzò o ordinò Sacerdoti o leviti secondo i canoni subisce alcun danno a causa del nome di Acace, così che forse la grazia del sacramento impartita da un uomo iniquo sembrerebbe meno sicura. Infatti, anche se il Battesimo… è stato conferito da un adultero o da un ladro, esso giunge come un dono intatto a chi lo riceve, perché la voce che ha parlato attraverso la colomba esclude ogni macchia di contaminazione umana quando dice: “È lui che battezza…”. “Lc. III,16. Infatti, se i raggi di questo sole visibile, anche passando attraverso i luoghi più ripugnanti, non sono macchiati da alcuna contaminazione da contatto, molto più la potenza di questo sole che ha fatto il sole visibile sarà limitata dall’indegnità del ministro…

(Cap. 9, altri 8) Perciò anche lui… amministrando male buone cose, ha solo danneggiato se stesso. Perché il sacramento inviolabile che è stato dato da lui ha conservato per gli altri la perfezione della sua virtù.

Lettera “In prolixitate epistolæ” al Vescovo Laurentius di Lignido (Illiria),

Professione di fede

357 – Confessiamo dunque che il Signore nostro Gesù Cristo, Figlio unigenito di Dio, è nato dal Padre secondo la divinità senza inizio prima di tutti i secoli, ma che in questi ultimi tempi è stato fatto carne dalla santa Vergine Maria ed è diventato un uomo completo per mezzo di un’anima razionale e dell’accoglienza di un corpo, consustanziale al Padre secondo la divinità e consustanziale a noi secondo l’umanità. Perché delle due nature complete è stata fatta l’unità in modo ineffabile. Per questo confessiamo l’unico Cristo come Figlio di Dio e Figlio dell’uomo, l’Unigenito del Padre e il primogenito dai morti; sappiamo infatti che Egli è il Creatore di tutte le cose, e che dopo il consenso della santa Vergine, quando disse all’angelo: “Ecco la serva del Signore, avvenga per me secondo la tua parola” (Lc 1,38), si è degnato di costruire per sé in modo ineffabile un tempio e di unirlo a sé; e che questo corpo non lo ha fatto venire dal cielo dalla sua sostanza, ma dalla pasta della nostra sostanza, cioè dalla Vergine. Prendendola e unendola a sé, Dio, il Verbo, non si è trasformato in carne, né è apparso come un essere immaginario, ma ha conservato la sua essenza immutabilmente e senza cambiamenti, e ha unito a sé le primizie della nostra natura. In principio, Dio Verbo, nella sua grande bontà, si è degnato di unire a sé queste primizie della nostra natura, Lui che non si è mostrato mescolato, ma uno e identico in entrambe le nature, come è scritto: “Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere” Gv II, 19. Perché Cristo è distrutto secondo la sostanza che ha preso, e risuscita il suo stesso tempio distrutto, e questo secondo la sostanza divina secondo la quale è anche il Creatore di tutte le cose.

358 – Ma mai, dopo la resurrezione della nostra natura, che è unita a Lui, Egli si è separato dal suo tempio, né può separarsene a causa della sua ineffabile bontà; al contrario, il Signore Gesù Cristo stesso è al tempo stesso passibile ed impassibile, passibile secondo l’umanità, impassibile secondo la divinità. Dio, il Verbo, ha dunque ricostruito il suo tempio e in Lui ha realizzato la resurrezione e il rinnovamento della nostra natura. E questo il Signore Cristo lo mostrò ai suoi discepoli, dopo essere risorto dai morti, dicendo: “Toccatemi e vedrete, perché uno spirito non ha carne e ossa come me” Lc XXIV,39 . Non ha detto “come voi dite che io sia”, ma “ho”, affinché si possa considerare chi possiede e chi è posseduto, e vedere che non si tratta di un miscuglio o di un cambiamento o di una trasformazione, ma di un’unità che è stata fatta. Per questo motivo mostrò anche i segni dei chiodi e la ferita inferta dalla lancia, e mangiò con i discepoli per mostrare in tutto e per tutto come in Lui la nostra natura sia risorta e rinnovata; E poiché secondo la sostanza della beata Divinità Egli è immutabile, inalterabile, impassibile, immortale, non ha bisogno di nulla, ha compiuto tutte le sofferenze e ha permesso che fossero inflitte al suo tempio, che ha innalzato con la sua stessa forza; e con la stessa perfezione del suo tempio ha operato il rinnovamento della nostra natura.

359 – Ma coloro che affermano che Cristo è un uomo apparente, o che Dio è passibile, o che è stato trasformato in carne, o che non aveva un corpo unito a sé, o che lo ha fatto scendere dal cielo, o che è stato una visione, o che, chiamando Dio Verbo mortale, dicono che aveva bisogno di essere risuscitato dal Padre o che abbia assunto un corpo senza anima o un uomo senza spirito, o che le due sostanze di Cristo siano state mescolate per formare una sola sostanza, e che non confessano che nostro Signore Gesù Cristo è due nature senza confusione ma una sola persona, e quindi un solo Cristo e allo stesso modo un solo Figlio, questi la Chiesa cattolica e apostolica anatemizza.

Lettera “Bonum atque iucundum” ai Vescovi della Gallia, 23 agosto 498

L’origine dell’anima e il peccato originale

360 – (Cap. 1, § 2) (Alcuni eretici affermano che) come gli trasmettono i corpi da un’escrezione materiale, così i genitori danno al genere umano il soffio dell’anima… (§ 4). Come possono dunque pensare, contro l’affermazione divina che le anime degli uomini siano state fatte ad immagine di Dio, con una comprensione troppo carnale, che l’anima sia comunicata dall’unione degli esseri umani, quando l’azione di Colui che ha fatto questo fin dall’inizio non cessa ancora, come Egli stesso ha detto: “Il Padre mio opera ancora e Io opero” (cfr. Gv V, 17) … (§ 5) Perché devono capire anche ciò che è scritto: “Colui che vive in eterno ha creato tutte le cose insieme” (Eccli. XVIII:1). Se poi, prima che la Scrittura abbia disposto, secondo le specie particolari, l’ordine e la ragione in ciascuna delle creature, Egli agisce “potenzialmente”, il che non può essere negato, e “come causa in un’opera che si compie nel corso del tempo”, farebbero bene ad accettare una sana dottrina: colui che infonde le anime, Colui che “chiama ciò che non è perché sia” (cfr. Rm IV, 17).

361 – (Cap. 4, § 13) Se forse pensano di parlare piamente e bene credendo di poter dire che le anime siano trasmesse dai genitori in quanto sono profondamente immerse nel peccato, devono, nel fare una saggia separazione, distinguere questo, cioè che i genitori non possono trasmettere altro che il frutto della loro malvagia temerarietà, cioè la colpa e la pena del peccato, che si vede chiaramente nella prole che deriva da questa trasmissione: gli uomini nascono cattivi e deformi. Solo in questo, come si vede chiaramente, non c’entra Dio che, volendo evitare di vederli cadere in una fatale disgrazia, gliel’ha vietata con il terrore della morte e gliel’ha preannunciata. Pertanto, quando parliamo di trasmissione, vediamo chiaramente ciò che viene trasmesso dai genitori e ciò che, dall’inizio alla fine, Dio ha fatto e continua a fare.

SIMMACO: 22 novembre 498-19 – Luglio 514

362 – Lettera “Ad augustæ memoriæ” all’imperatore Anastasio I,tra 506 e 512.

Il doppio potere supremo sulla terra

(8) Confrontiamo, dunque, la dignità dell’imperatore con quella del Pontefice: esse differiscono proprio nella misura in cui il primo si occupa delle cose umane, il secondo di quelle di Dio. Tu, imperatore, sei battezzato dal Pontefice, ricevi la Comunione dalla sua mano, implori le sue preghiere, speri nella sua benedizione e gli chiedi la tua penitenza. In breve, voi avete l’amministrazione delle cose umane e lui vi rende partecipi dei doni di Dio. In modo che la sua dignità sia almeno pari, per non dire superiore. Che il mondo sia testimone di questa procedura, sotto lo sguardo di Dio e dei suoi Angeli; sì, facciamone uno spettacolo al mondo intero, affinché i Sacerdoti trovino in essa un esempio di vita irreprensibile e gli imperatori quello di una pia moderazione. Infatti, è soprattutto ai nostri due uffici che appartiene l’amministrazione del genere umano, e non ci deve essere nulla in essi che possa offendere la divinità, soprattutto perché entrambi gli uffici sembrano essere perpetui, e quindi ci deve essere una sollecitudine per il genere umano da entrambe le parti. Ti prego, o imperatore, di ricordarti che sei un uomo, affinché tu possa usare questo potere che ti è stato concesso da Dio; perché, anche se questo è avvenuto secondo il giudizio degli uomini, deve tuttavia essere esaminato secondo il giudizio di Dio. Forse direte che è scritto che dobbiamo essere soggetti ad ogni autorità (vedere Tito III:1). Ma per noi riconosciamo, mettendole al loro posto, le autorità umane, purché non mettano la loro volontà contro Dio. Inoltre, se tutto il potere viene da Dio, ciò è ancora più vero per colui al quale è stata affidata la responsabilità degli affari divini. Rispettate Dio in noi e noi rispettiamo Dio in voi.

ORMISDA: 20 luglio 514-6 agosto 523

“Libellus fidei” di Papa Hormisdas, inviato a Costantinopoli11 agosto 515

Professione di fede contro gli errori cristologici.

363 – (1) La prima condizione di salvezza è quella di attenersi alla regola della retta fede e di non allontanarsi in alcun modo dai decreti dei Padri. E poiché non si può prescindere dalla parola di nostro Signore Gesù Cristo, che dice: “Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa” (Mt XVI, 18), quanto detto è provato dai fatti; infatti la Religione cattolica è sempre stata mantenuta senza macchia dalla Sede Apostolica.

364 – (2) Non volendo quindi separarci in alcun modo da questa speranza e da questa fede, e seguendo in tutto ciò che i Padri hanno decretato, anatematizziamo tutti gli eretici, e in particolare l’eretico Nestorio, che un tempo era vescovo della città di Costantinopoli, condannato nel concilio di Efeso da Celestino, Papa della città di Roma, e da san Cirillo, Vescovo della città di Alessandria; Con questi ultimi anatematizziamo anche Eutiche e Dioscoro di Alessandria, che sono stati condannati nel santo sinodo di Calcedonia, che noi seguiamo e abbracciamo (che, secondo il santo concilio di Nicea, ha proclamato la fede apostolica) (3) A questi aggiungiamo (aborriamo anche) il parricida Timoteo, detto Ælure, e il suo discepolo e seguace in tutto Pietro Alessandrino; E allo stesso modo condanniamo (anche) e anatematizziamo Acacio, già vescovo di Costantinopoli, condannato dalla Sede Apostolica, loro complice e sostenitore, e coloro che sono rimasti in comunione con loro; poiché (Acacio), essendosi unito alla loro comunione, meritava la stessa sentenza di condanna. Allo stesso modo condanniamo Pietro di Antiochia con tutti coloro che lo seguirono e i seguaci di quelli sopra citati.

365. – (4) (Ma) pertanto riceviamo e approviamo tutte le lettere del beato Papa Leone, che ha scritto riguardo alla Religione cristiana. Come abbiamo detto sopra, seguendo in tutto la Sede Apostolica e predicando tutto ciò che essa ha decretato, spero (dunque) di meritare di entrare nella comunione con voi che la Sede Apostolica predica, nella quale comunione risiede, completa vera (e perfetta) la solidità della Religione cristiana; promettiamo (prometto) anche che (in futuro) i nomi di coloro che sono separati dalla comunione della Chiesa cattolica, cioè che non sono in accordo con la Sede Apostolica, non saranno letti durante i santi misteri. (Ma se tentassi di deviare in qualche modo dalla mia professione di fede, confesso che, secondo il mio giudizio, sarei complice di coloro che ho condannato) (5) Questa professione di fede l’ho sottoscritta di mio pugno e l’ho trasmessa (inviata) a te, Ormisda, il santo e venerabile Papa della città di Roma…

366 – Lettera “Sicut ratione” al Vescovo africano Possessore, 13 agosto 520

Autorità sulla dottrina della grazia

(Cap. 5) Ciò che la Chiesa romana, cioè cattolica, segue e osserva riguardo al libero arbitrio e alla grazia di Dio, si può senza dubbio trovare abbondantemente in vari libri del beato Agostino, specialmente (in quelli indirizzati) a Ilario e a Prospero; ma ci sono anche negli archivi ecclesiastici capitoli relativi alla questione, che invieremo se mancano e se li ritenete necessari, anche se chi considera attentamente le parole dell’Apostolo sa chiaramente cosa deve seguire.

Inter ea quæ” all’imperatore Giustino. 26 marzo 521.

La Trinità divina

367 – (Cap. 7) Infatti, se la Trinità è Dio, cioè Padre, Figlio e Spirito Santo, e tuttavia Dio è uno, in particolare, poiché il Legislatore dice: “Ascolta Israele, il Signore tuo Dio è un solo Dio” Dt VI, 4, chi ha un’altra concezione che divide necessariamente la Divinità in più o in particolari imputa la passione all’essenza della stessa Trinità; e. … questo significa o, alla maniera dell’empio paganesimo, introdurre diversi dei, o trasferire una sofferenza sensibile a quella natura che è esente da ogni sofferenza. (Cap. 8) Una è la santa Trinità; non si moltiplica per numero, non cresce per aumento, non può essere compresa dall’intelletto e ciò che Dio è non può essere disgiunto per separazione. Chi, dunque, potrebbe tentare di fare un’empia divisione di quel mistero della sostanza eterna e impenetrabile che nessuna natura, nemmeno di creature invisibili, può esplorare, e ridurre l’arcano del mistero divino ad un calcolo simile a quello umano? Adoriamo il Padre e il Figlio e lo Spirito Santo, la sostanza distintamente indistinta, incomprensibile e indicibile della Trinità; e anche se la ragione ammette un certo numero di Persone, l’unità non lo ammette per l’essenza; e come conserviamo le proprietà della natura divina, così vogliamo conservare anche ciò che è proprio di ciascuna delle Persone, affinché l’unicità della divinità non sia negata alle Persone, né l’unità della natura divina non sia negata alle Persone, né ciò che è proprio dei nomi è trasferito all’essenza. (Cap. (9) Grande e incomprensibile è il mistero della Trinità: Dio Padre, Dio Figlio, Dio Spirito Santo, una Trinità indivisa; eppure sappiamo che è proprio del Padre generare il Figlio, che è proprio del Figlio di Dio nascere dal Padre uguale al Padre, e sappiamo anche qual è il proprio dello Spirito Santo.

L’incarnazione del Verbo divino

368. – (Cap. 10) Ora, è proprio del Figlio di Dio che… negli ultimi tempi il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi (cfr. Gv 1,14), essendo le due nature unite senza alcuna confusione nel grembo della Vergine Maria, Madre di Dio, cosicché egli, che prima del tempo era Figlio di Dio, divenne Figlio dell’uomo e nacque nel tempo alla maniera degli uomini, aprendo, nascendo, il grembo della madre e, in virtù della divinità, non ferendo la verginità della madre. (Cap. 11) È pienamente degno della nascita di Dio, il mistero che Colui che lo fece concepire senza seme, preservò la nascita da ogni alterazione, conservando ciò che era dal Padre e mostrando ciò che ricevette dalla madre. …

369. (Cap. 12) Perché lo stesso è Dio e uomo, non, come dicono quelli che non credono, con l’introduzione di una quarta persona, ma lo stesso Figlio di Dio è Dio e uomo, lo stesso è potenza e debolezza, umiltà e maestà, che redime ed è stato venduto, legato alla croce e che concede il regno dei cieli, tale nella nostra debolezza da poter essere messo a morte, tale nella sua potenza da non poter essere distrutto dalla morte. (È stato sepolto perché ha voluto nascere come uomo e, poiché era come il Padre, è risorto: ferito e salvatore di chi soffre, uno tra i morti e datore di vita ai morenti, scendendo agli inferi e non lasciando il seno del Padre. Perciò anche quell’anima che ha lasciato a causa della condizione comune, l’ha presto ripresa in virtù della sua singolare forza e del suo mirabile potere.

GIOVANNI I: 13 agosto 523-18 maggio 526.

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA (8) “da Felice III (IV) a …. Vigilio I”

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA (6) “Da s. LEONE Magno a Ilario”.

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA DAGLI APOSTOLI A S.S. PIO XII (6)

HENRICUS DENZINGER

ET QUID FUNDITUS RETRACTAVIT AUXIT ORNAVIT

ADOLFUS SCHÖNMATZER S. J.

ENCHIRIDION SYMBOLORUM DEFINITIONUM ET DECLARATIONUM

De rebus fidei et morum

HERDER – ROMÆ – MCMLXXVI

Imprim.: Barcelona, José M. Guix, obispo auxiliar

(Da S. Leone Magno a Ilario)

LEONE I IL GRANDE: 29 settembre 440-10 novembre

Lettera Ut nobis gratulationem ai Vescovi della Campania, Piceno e Tuscia; 10 ottobre 443.

Usura

280 – (Cap. 3). Ci è sembrato anche di non dover passare sotto silenzio il fatto che alcuni, avvinti dal desiderio di un vergognoso guadagno, si abbandonino a rapporti usurari e vogliono arricchirsi prestando ad interesse; e questo, non dico per coloro che sono insediati in un ufficio clericale, ma anche per i laici che vogliono essere chiamati Cristiani, lo deploriamo molto. Decretiamo che coloro che ne sono colpevoli siano puniti più severamente, in modo da eliminare ogni occasione di peccato.

281 – (Cap. 4) Abbiamo anche ritenuto necessario ricordare che nessun chierico debba tentare di praticare il prestito ad interesse, né a nome di un altro né a nome proprio: non è infatti opportuno commettere una perdita per se stessi a beneficio di un altro. Dobbiamo considerare e praticare solo quel prestito di interesse che consiste nel fatto che ciò che concediamo qui con misericordia, possiamo riceverlo di nuovo dal Signore che concederà abbondantemente ciò che rimarrà per sempre.

Lettera “Quanta fraternitati” al Vescovo Anastasio di Tessal., nel 446

La gerarchia ecclesiastica e la monarchia.

282 – (Cap. 11)… La congiunzione di tutto il corpo produce un’unica e medesima salute, un’unica e medesima bellezza; e questa congiunzione richiede l’unanimità di tutto il corpo, e in particolare la concordia dei Sacerdoti. Sebbene abbiano una dignità comune, il rango non è lo stesso, perché anche tra i beati Apostoli c’era una certa differenza di potere in un onore simile; e se l’elezione di tutti era la stessa, ad uno solo fu dato di essere al di sopra degli altri. Da questo modello nacque anche una distinzione tra i Vescovi, e con una saggia disposizione si stabilì che non tutti dovessero rivendicare tutto per sé, ma che in ogni provincia ci fosse qualcuno la cui opinione dovesse essere tenuta al primo posto tra i fratelli, e che allo stesso modo alcuni, istituiti in città più importanti, dovessero avere una maggiore sollecitudine; attraverso di loro l’ufficio universale della Chiesa doveva convergere verso l’unica sede di Pietro, e nulla doveva essere separato dal suo capo.

Lettera “Quam laudabiliter” al Vescovo Turribio di Astur., 21 447 luglio.

Gli errori dei priscillianisti in generale.

283 – (L’empietà dei Priscilliani) nacque persino nelle tenebre del paganesimo, cosicché, attraverso le pratiche segrete ed empie delle arti magiche ed i vani inganni degli astrologi, fondarono la fede della religione e la regola della morale sul potere dei demoni e sull’effetto degli astri. Se si permettesse di credere e di insegnare questo, la ricompensa non sarebbe più dovuta alle virtù, né la punizione ai vizi, e tutti gli ordinamenti, non solo delle leggi umane ma anche dei comandamenti divini, si dissolverebbero; perché non ci potrebbe più essere alcun giudizio, né sulle azioni buone né su quelle cattive, se una necessità del destino spingesse il movimento della mente da una parte o dall’altra, e se tutto ciò che viene fatto dagli uomini non fosse degli uomini ma delle stelle. … I nostri Padri … hanno agito giustamente e con fermezza affinché questa empia follia venisse scacciata da tutta la Chiesa: anche i principi del mondo aborrivano a tal punto questa sacrilega follia, che hanno abbattuto il suo autore (Priscilliano) con la spada delle leggi pubbliche, insieme alla maggior parte dei suoi seguaci. Infatti, vedevano che il vincolo del matrimonio sarebbe stato completamente annullato, e che anche la legge divina ed umana sarebbe stata sovvertita, se a tali uomini fosse stato permesso di vivere con tale professione in qualsiasi luogo. Per lungo tempo questa severità ha giovato alla mitezza ecclesiastica che, pur accontentandosi del giudizio dei Sacerdoti ed evitando punizioni cruente, è comunque aiutata dai severi decreti dei principi.

284 – La Trinità divina, contro i modalisti.

(Cap. 1) Perciò, nel primo capitolo, si mostra quale empia opinione abbiano della Trinità divina coloro che affermano che le Persone del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo siano una sola e medesima Persona, come se lo stesso Dio fosse chiamato a volte Padre, a volte Figlio, a volte Spirito Santo; non ci sarebbe uno che genera, un altro che è generato, un altro che procede da entrambi; ma questo tipo di bestemmia non riguarda una sola Persona, ma tre. Questo tipo di bestemmia deriva loro dall’opinione di Sabellio, i cui seguaci sono giustamente chiamati Patripassiani; infatti, se il Figlio è colui che è il Padre, la croce del Figlio è la passione del Padre, e tutto ciò che il Figlio ha sopportato in forma di schiavo per obbedire al Padre, il Padre in persona lo ha sperimentato pienamente in se stesso. Questa affermazione è indubbiamente contraria alla fede cattolica, che professa così fortemente l’identità della sostanza della Trinità divina da credere che il Padre e il Figlio e lo Spirito Santo siano indivisi senza confusione, siano eterni senza essere soggetti al tempo, siano uguali senza differenza, perché non è una sola e stessa persona, ma una sola e stessa Essenza, che realizza l’unità nella Trinità…

La natura dell’anima umana.

285 – (Cap. 5) In un quinto capitolo viene riportata la loro concezione che l’anima dell’uomo sia di sostanza divina e che la natura della nostra condizione sia indistinguibile dalla natura del suo Creatore. Questa empietà… la fede cattolica la condanna: perché sa che non c’è creatura così sublime e così eminente, per la quale Dio sia la sua stessa natura. Perché ciò che è di sé è ciò che Egli stesso è, e questo non è altro che il Figlio e lo Spirito Santo. Oltre a quest’unica, consustanziale, eterna ed immutabile divinità dell’altissima Trinità, non c’è assolutamente nulla tra le creature che sia stato creato dal nulla al suo inizio. Nessuno degli uomini è la Verità, nessuno la Sapienza, nessuno la Giustizia; ma molti hanno una parte nella verità, nella saggezza e nella giustizia. Ma Dio da solo non ha bisogno di partecipare a nulla: tutto ciò che di Lui è giustamente creduto, in qualsiasi modo, non è qualità ma essenza. A Colui che è immutabile, nulla si aggiunge e nulla si toglie, perché a Colui che è eterno, l’essere appartiene sempre a se stesso. Perciò rinnova tutto rimanendo in se stesso, e non ha ricevuto nulla che non abbia dato Egli stesso.

La natura del diavolo.

286 –  (Cap. 6) La sesta osservazione riguarda la loro affermazione che il diavolo non è mai stato buono, e che la sua natura non è opera di Dio, ma che è emerso dal caos e dalle tenebre, perché non ha un creatore, ma è lui stesso il principio e la sostanza di tutto il male; ma la vera fede. … professa che la sostanza di tutte le creature, spirituali o corporee, è il bene, e che il male non ha natura perché Dio, che è il creatore dell’universo, non ha fatto altro che il bene. Quindi il diavolo sarebbe buono se fosse rimasto nello stato in cui è stato creato. Ma avendo abusato della sua eccellenza naturale e “non rimanendo nella verità” (Gv 8,44) non è passato in una sostanza contraria, ma si è separato dal bene sovrano al quale doveva rimanere unito, proprio come coloro che affermano questo precipitano da ciò che è vero a ciò che è falso, e attaccano la natura per ciò che hanno intenzionalmente commesso, e sono condannati a causa della loro volontaria perversità. Il male sarà in loro stessi e il male stesso non sarà la sostanza, ma la punizione per la sostanza.

Lettera “Lectis dilectionis tuæ” al Vescovo Flaviano di Costantinopoli (“Tomus (I) Leonis”), 13 giugno 449.

L’incarnazione del Verbo di Dio

290 – (Cap. 2) Ignorando, quindi, ciò che dovrebbe pensare sull’Incarnazione del Verbo di Dio…, avrebbe dovuto almeno ascoltare attentamente la confessione comune e unanime, con la quale l’universalità dei fedeli professa di credere in “Dio Padre onnipotente e in Gesù Cristo suo unico Figlio, nostro Signore, nato dallo Spirito Santo e da Maria Vergine” (Confessione apostolica di fede), cfr. Can. 12… Quando si crede in un Dio e Padre onnipotente, si dimostra che suo Figlio è co-eterno a Lui, non differendo in nulla dal Padre, poiché è nato Dio da Dio, Onnipotente da Onnipotente, co-eterno dall’Eterno, non posteriore nel tempo, non inferiore nella potenza, non dissimile nella gloria, non separato nell’essenza.

291 – Ma questo stesso Figlio unigenito ed eterno di un Padre eterno è nato dallo Spirito Santo e dalla Vergine Maria, una nascita nel tempo che non ha diminuito o aggiunto nulla alla nascita divina ed eterna, ma è stata interamente impiegata per rifare l’uomo, che era stato ingannato, affinché vincesse la morte e distruggesse con la propria potenza il diavolo che deteneva l’impero della morte. Non potremmo infatti prevalere contro l’autore del peccato e della morte, se Lui, che né il peccato ha potuto contaminare né la morte trattenere, non avesse assunto la nostra natura e l’avesse fatta sua. Sì, è stato dunque concepito dallo Spirito Santo nel grembo della Vergine Madre, che lo ha dato alla luce, la cui verginità è stata salvata così come è stata salvata quando lo ha concepito.

292 – O forse egli (Eutiche) pensava che il nostro Signore Gesù Cristo non fosse della nostra natura per il motivo che l’Angelo inviato alla beata Maria disse: “Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti adombrerà, e perciò l’Essere santo che nascerà da te sarà chiamato Figlio di Dio” Lc 1,35, in modo che, essendo il concepimento della Vergine un’operazione divina, la carne dell’essere concepito non fosse della natura di colui che ha concepito? Ma non dobbiamo intendere questa generazione singolarmente meravigliosa e meravigliosamente singolare nel senso che ciò che è proprio della specie sia stato messo da parte dalla novità della sua creazione. La fecondità della Vergine è un dono dello Spirito Santo, ma dal suo corpo è stato tratto un corpo reale. E la Sapienza che costruisce una casa Pr 9,1: il Verbo si è fatto carne e ha abitato in mezzo a noi Gv 1,14, cioè in quella carne che ha preso dall’uomo e che ha animato con il soffio della vita razionale.

293 – (Cap. 3) Così, con le proprietà delle due nature unite in una sola Persona, l’umiltà è stata assunta dalla maestà, la debolezza dalla forza, la mortalità dall’eternità e, per pagare il debito della nostra condizione, la natura inviolabile è stata unita alla passibile: affinché, come convenisse alla nostra guarigione, un solo e medesimo “mediatore tra Dio e gli uomini, l’uomo Cristo Gesù” (1 Tim 2,5), fosse da un lato capace di morire e dall’altro incapace di farlo. È dunque nella natura intatta di un vero uomo che nasce il vero Dio, completo in ciò che gli è proprio, completo in ciò che ci è proprio. Per “ciò che ci è proprio” intendiamo la condizione in cui il Creatore ci ha stabilito all’inizio e che Egli ha assunto per ristabilirla; perché di ciò che l’ingannatore ha portato e l’uomo ingannato ha accettato, non c’è traccia nel Salvatore… Ha assunto la forma del servo senza macchia di peccato, arricchendo l’umano senza diminuire il divino, perché questo annientamento con cui l’invisibile è stato reso visibile, era un’inclinazione della Sua misericordia, non una carenza della Sua potenza.

294 – (Cap. 4) Ecco dunque che il Figlio di Dio entra in queste parti più basse del mondo, scendendo dal trono celeste senza lasciare la gloria del Padre, generato in un nuovo ordine, con una nuova nascita. Un ordine nuovo perché invisibile in ciò che è suo, si è reso visibile in ciò che è nostro; infinito ha voluto essere contenuto; sussistente prima di ogni tempo, ha cominciato ad esistere nel tempo; Signore dell’universo, ha velato l’immensità della sua maestà nell’ombra, ha preso la forma di un servo; Dio impassibile, non ha disdegnato di essere un uomo passibile, immortale, il sottomettersi alle leggi della morte. Generato da una nuova nascita, perché la verginità inviolata, senza conoscere la concupiscenza, ha fornito la materia della carne. Dalla Madre del Signore è stata assunta la natura, non la colpa, e nel Signore Gesù Cristo generato dal grembo di una Vergine, la nascita meravigliosa non rende la sua natura diversa dalla nostra. Perché Colui che è vero Dio è, allo stesso modo, vero uomo. In questa unità non c’è menzogna, poiché l’umiltà dell’uomo e l’elevazione della divinità si avvolgono a vicenda. Perché come Dio non viene cambiato dalla misericordia, così l’uomo non viene assorbito dalla dignità. Ciascuna delle due forme, infatti, svolge il proprio compito in comunione con l’altra: il Verbo fa ciò che è del Verbo, la carne fa ciò che è della carne. Uno dei due brilla di miracoli, l’altro soccombe agli oltraggi. E come il Verbo non cessa di essere uguale nella gloria al Padre, così la carne non si sottrae alla natura della nostra razza.

295 – … Non è un atto della stessa natura dire: “Io e il Padre siamo uno”. Gv X, 30 e di dire: “Il Padre è più grande di me” Gv XIV, 28. Infatti, sebbene nel Signore Gesù Cristo la Persona di Dio e quella dell’uomo siano una sola, una cosa è che i rimproveri siano comuni all’uno e all’altro, e un’altra cosa è che la gloria sia comune a loro. Perché da ciò che è nostro Egli ritiene l’umanità inferiore al Padre, dal Padre ritiene la divinità uguale al Padre.

Lettera “Licet per nostros” a Giuliano di Cos, 13 giugno 449.

L’incarnazione del Figlio di Dio

296 – (cap. 1)… In voi e in noi c’è una sola istruzione e una sola dottrina dello Spirito Santo, e se qualcuno non la riceve, non è membro del corpo di Cristo, né può gloriarsi di quel Capo in cui, come afferma, la sua natura non esiste… …

297 – (cap. 2)… Ciò che appartiene alla divinità, la carne non l’ha diminuito, e ciò che appartiene all’umanità, la divinità non l’ha abolito. Lo stesso infatti era eterno per mezzo del Padre e temporale per mezzo della Madre, inviolabile nella sua potenza, passibile nella nostra umanità; nella divinità della Trinità era di una sola e medesima natura con il Padre e lo Spirito Santo, ma assumendo l’uomo non era di una sola sostanza, ma di una sola e medesima Persona, così che lo stesso era ricco nella povertà, onnipotente nell’abbattimento, impassibile nel supplizio, immortale nella morte. Il Verbo, infatti, non è stato mutato in carne o anima da nessuna parte di sé, poiché la natura semplice e immutabile della Divinità è sempre intera nella sua essenza, e non conosce diminuzione o aumento di sé, e rende la natura assunta così benedetta da rimanere glorificata in ciò che glorifica. Perché dovrebbe sembrare improprio o impossibile che il Verbo e la carne e l’anima siano l’unico Gesù Cristo o l’unico Figlio di Dio e dell’uomo, quando la carne e l’anima, le cui nature sono dissimili, formano una sola persona anche nell’incarnazione del Verbo? Perciò né il Verbo è stato mutato in carne, né la carne in Verbo, ma entrambi rimangono in uno, ed uno è in entrambi, non diviso dalla diversità, non confuso dalla mescolanza, né l’uno dal Padre, né l’altro dalla Madre, ma lo stesso altrimenti dal Padre prima di ogni inizio, altrimenti dalla Madre fino alla fine dei secoli, affinché fosse “il mediatore di Dio e degli uomini, l’uomo Cristo Gesù”. (1 Tm 2,5) perché “la pienezza della Divinità abiti in lui corporalmente” (Col 2,9) , perché è una promozione di colui che è stato assunto, non di colui che assume, se “Dio lo ha esaltato…” (Fil II: 9-11)

298 – (cap. 3)… Penso che quando egli (Eutiche) dice questo (cioè che prima dell’Incarnazione c’erano due nature in Cristo, ma dopo l’Incarnazione una sola), sia convinto che l’anima che il Salvatore ha preso abitasse in cielo prima di nascere dalla Vergine Maria, e che il Verbo l’abbia unita a sé nel grembo materno. Ma questo le menti e le orecchie cattoliche non possono sopportarlo, perché il Signore, quando è venuto dal cielo, non ha mostrato nulla che facesse parte della nostra condizione. Non ha preso un’anima che esisteva prima, né una carne che non era stata del corpo della Madre: perché la nostra natura non è stata assunta in modo tale da essere creata prima per essere assunta dopo, ma in modo tale da essere creata dall’assunzione stessa. Da qui ciò che è stato giustamente condannato in Origene (cfr. 209), che affermava che le anime, prima di essere inserite nel corpo, non solo avrebbero avuto vita, ma avrebbero anche emanato da esso varie attività, deve necessariamente essere punito anche in questo, a meno che non preferisca rinunciare alla sua opinione.

299 – Infatti, sebbene la natività di nostro Signore secondo la carne abbia alcune caratteristiche peculiari, per le quali supera gli inizi della condizione umana, sia perché Egli solo è stato concepito e nato senza concupiscenza (dallo Spirito Santo) dalla Vergine inviolata, o perché uscì dal grembo della Madre in modo tale che sia la fecondità che la verginità rimasero, la sua carne non era di natura diversa dalla nostra, e non fu in un inizio diverso da quello degli altri uomini che l’anima fu soffiata in Lui: un’anima che non è più eccellente per una differenza di genere, ma per l’eminenza della virtù. Infatti, non aveva nulla che si opponesse alla sua carne, e nessuna discordia di desideri dava luogo a conflitti di volontà; i sensi del corpo erano rafforzati senza la legge del peccato e, sotto la guida della Divinità e dello Spirito, la verità di ciò che sentiva non era tentata dalla seduzione e non si sottraeva all’insulto. Il vero uomo è stato unito al vero Dio, e non è stato fatto scendere dal cielo secondo un’anima preesistente, né è stato creato dal nulla secondo la carne, perché ha la stessa Persona nella divinità del Verbo, e possiede nel corpo e nell’anima la natura comune a noi. Non sarebbe infatti il Mediatore di Dio e dell’uomo se non fosse una cosa sola, sia Dio che uomo, e in verità in entrambi.

CONCILIO DI CALCEDONIA(IV Ecumenico)

(8 ottobre – inizio novembre 451)

5a sessione, 22 ottobre 451: professione di fede di Calcedonia.

Le due nature in Cristo

300 – (preambolo alla definizione. In seguito alle professioni di fede di Nicea e Costantinopoli) Ora, dunque, per una completa conoscenza e conferma della religione, sarebbe bastato questo saggio e salutare Simbolo della grazia divina, che dà un insegnamento perfetto sul Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, ed espone l’Incarnazione del Salvatore a coloro che lo ricevono con fede. Ma ecco che coloro che cercano di respingere la predicazione della verità con le loro eresie hanno dato vita a novità:  alcuni hanno osato rifiutare il termine Madre di Dio in relazione alla Madonna; altri introducono confusione e mescolanza e stoltamente immaginano che la carne e la divinità siano una sola natura e mostruosamente dicono che, a causa della confusione, la natura divina del Figlio è passibile per questo motivo, volendo chiudere loro la porta a qualsiasi macchinazione contro la verità, il santo e grande concilio ecumenico, ora presente, insegnando l’incrollabile dottrina predicata fin dall’inizio, ha definito che soprattutto la confessione di fede dei 318 padri deve rimanere intatta. E ratifica l’insegnamento sulla sostanza dello Spirito dato dai 150 padri che si riunirono in seguito nella città imperiale a causa di coloro che combattevano contro lo Spirito Santo; un insegnamento che questi padri fecero conoscere a tutti, non perché volessero aggiungere qualcosa che mancava alle proposizioni precedenti, ma perché volevano chiarire con la testimonianza delle Scritture il loro pensiero sullo Spirito Santo contro coloro che cercavano di rifiutare la sua signoria. D’altra parte, a causa di coloro che tentano di sfigurare il mistero dell’economia e che, nella loro impudente stoltezza, dicono che colui che la Beata Vergine Maria ha portato in grembo è un semplice uomo, il concilio ha ricevuto le lettere sinodali del beato Cirillo, che era pastore della Chiesa di Alessandria, a Nestorio e ai vescovi d’Oriente, come molto adatte a confutare le follie di Nestorio… A queste lettere ha giustamente unito, per la conferma delle dottrine ortodosse, la lettera che il beato e santissimo arcivescovo Leone, che presiede alla grandissima e antichissima Roma, scrisse al defunto arcivescovo Flaviano per la soppressione della perversità di Eutiche Can. 290-295, in quanto questa lettera si accorda con la confessione del grande Pietro ed è lì come una sorta di colonna comune contro coloro che hanno opinioni false. Si oppone a coloro che cercano di dividere il mistero dell’economia in una dualità di figli; allontana dall’assemblea dei Sacerdoti coloro che osano dire che la divinità del Figlio unigenito sia passabile; insorge contro coloro che immaginano, riguardo alle due nature di Cristo, una mescolanza o una confusione; Scaccia coloro che nel loro delirio affermano che la forma schiava che Cristo ha ricevuto per sé da noi è celeste o di qualche altra sostanza; e anatemizza coloro che inventano la favola di due nature del Signore prima dell’unione, ma ne immaginano una sola dopo l’unione.

301 – (Definizione) Seguendo i santi Padri, dunque, tutti noi insegniamo unanimemente che confessiamo un solo e medesimo Figlio, il Signore nostro Gesù Cristo, lo stesso perfetto nella divinità e lo stesso perfetto nell’umanità, lo stesso veramente Dio e veramente uomo (composto da) un’anima ragionevole ed un corpo, consustanziale con il Padre nella divinità e lo stesso consustanziale con noi nell’umanità, in tutto simile a noi tranne che nel peccato (cfr. Eb IV, 15), prima dei secoli generato dal Padre nella divinità e negli ultimi giorni lo stesso (generato) per il nostro bene e la nostra salvezza dalla Vergine Maria, Madre di Dio nell’umanità …

302 – un solo e medesimo Cristo, Figlio, Signore, unigenito, riconosciuto in due nature, senza confusione, senza mutamento, senza divisione e senza separazione, la differenza delle nature non essendo in alcun modo abolita a causa dell’unione, le proprietà dell’una e dell’altra natura essendo piuttosto mantenute e contribuendo ad una sola Persona e ad una sola ipostasi, un solo Cristo che non si scinde né si divide in due persone, ma un solo e medesimo Figlio, l’Unigenito, Dio Verbo, il Signore Gesù Cristo, come i profeti hanno da tempo insegnato di Lui, come Gesù Cristo stesso ci ha insegnato e come il Credo dei padri ci ha trasmesso.

303 – (Sanzione) Tutto ciò essendo stato da noi formulato con la più scrupolosa accuratezza e diligenza, il Santo Concilio Ecumenico ha definito che a nessuno è permesso di professare, scrivere o comporre un’altra confessione di fede, né di pensare o insegnare diversamente…

7a sessione: canoni.

Simonia

304 – Can. 2. Se un Vescovo facesse un’ordinazione a pagamento e mettesse in vendita la grazia invendibile, e ordinasse a pagamento un Vescovo, un Vescovo corale, un sacerdote, un diacono, o uno qualsiasi di quelli annoverati tra il clero, o nominato per denaro un economo, un avvocato, un amministratore, o in generale un qualsiasi funzionario, spinto dalla propria vergognosa avidità, che chi intraprende una cosa del genere si espone, se il fatto viene provato, a perdere il proprio grado; e chi è stato ordinato non tragga profitto dall’ordinazione o dalla promozione ottenuta per mestiere, ma perda la dignità o la carica acquisita per denaro. Se, inoltre, dovesse risultare che qualcuno si sia intromesso in questi profitti vergognosi e proibiti, sia pure privato del proprio grado, se è un chierico, e, se è un laico o un monaco, sia colpito da anatema.

305 – Matrimonio misto e ricezione del Battesimo nell’eresia

Can 14. Poiché in alcune eparchie è stato permesso a lettori e cantori di sposarsi, il santo concilio ha deciso che non sia permesso a nessuno di loro di sposare una donna eretica. Coloro che hanno avuto figli da tali matrimoni, se hanno già fatto battezzare la loro prole tra gli eretici, devono portarli nella comunione della Chiesa Cattolica; se questi figli non sono ancora battezzati, non possono farli battezzare tra gli eretici, né possono darli in sposa ad un eretico, ad un ebreo o ad un pagano, a meno che naturalmente la persona che deve essere sposata con l’ortodosso non prometta di passare alla fede ortodossa. Se qualcuno trasgredisce questa decisione del santo concilio, sia sottoposto alle sanzioni canoniche.

306 – Lettera sinodale a papa Leone I, inizio novembre 451

La preminenza della Sede romana … Che cosa, infatti, dà più gioia della fede? Questa fede il Salvatore stesso ce l’ha trasmessa fin dai tempi antichi, dicendo: “Andate e insegnate a tutte le nazioni…”. “Mt XXVIII,19; tu stesso l’hai conservata come una catena d’oro che, al comando di colui che comanda, viene a noi, essendo per tutti l’interprete della voce del beato Pietro, e dando a tutti la benedizione della sua fede. Così anche noi, servendoci di voi come guida feconda per questo bene, abbiamo mostrato ai figli della Chiesa il patrimonio della verità… facendo conoscere con un solo cuore e una sola mente la confessione della fede. E noi eravamo in un unico coro, deliziandoci, come in un banchetto reale, del cibo spirituale che Cristo, attraverso i vostri scritti, ha preparato per gli ospiti del banchetto, e ci sembrava di vedere lo Sposo celeste come ospite tra noi. Infatti, se dove due o tre sono riuniti nel suo nome egli è presente, come dice, in mezzo a loro, Mt 18,20, quale familiarità non ha mostrato allora ai cinquecentoventi sacerdoti che hanno posto la conoscenza della confessione della fede più in alto della loro patria e delle loro fatiche? Essi che, come il capo fa per le membra, tu hai condotto in coloro che tenevano il tuo posto facendo conoscere i tuoi eccellenti consigli…

Lettera “Sollicitudinis quidem tuæ” al Vescovo Teodoro di Fréjus. 11 giugno 452

308 Il sacramento della penitenza.

(Cap. 2). La misericordia di Dio, nelle sue molteplici forme, ha rimediato così bene alle colpe umane, che non è solo con la grazia del Battesimo, ma anche con il rimedio della Penitenza, che viene restituita la speranza della vita eterna, così che coloro che hanno contaminato i doni della rigenerazione, se si riconoscono colpevoli, possono ottenere la remissione delle loro colpe; le disposizioni della bontà divina sono fatte in modo tale che il perdono di Dio possa essere ottenuto solo con la supplica dei Sacerdoti. “Il Mediatore di Dio e degli uomini, l’uomo Gesù Cristo”, Mt. 1, ha trasmesso ai responsabili della Chiesa il potere di concedere la penitenza ai peccatori pentiti e, quando questi si siano purificati con una salutare soddisfazione, di ammetterli alla comunione dei Sacramenti aprendo loro la porta della riconciliazione…

309 – (Cap. 4) A coloro che in caso di necessità e di pericolo imminente implorano l’aiuto della penitenza e di una rapida riconciliazione, non si deve negare né l’espiazione né la riconciliazione, perché non spetta a noi porre limiti o ritardi alla misericordia di Dio, presso il quale nessuna vera conversione attende a lungo il perdono.

310 – (Cap. 5) Ogni Cristiano, dunque, deve sottomettersi al giudizio della sua coscienza, per non rimandare di giorno in giorno la sua conversione a Dio, per non fissare il momento della soddisfazione alla fine della sua vita… e, quando potrebbe meritare il perdono con una soddisfazione più completa, per non scegliere l’angoscia di un tempo in cui la confessione del penitente e la riconciliazione procurata dal Sacerdote non avranno che un piccolo posto. Tuttavia, come ho detto, dobbiamo aiutare queste persone nella loro angoscia non negando loro né la penitenza né la grazia della Comunione quando, pur essendo prive dell’aiuto della voce, lo chiedano con segni inequivocabili. Ma se la violenza della malattia pesa tanto fortemente su di essi tanto che non siano capaci di manifestare in presenza del prete, ciò che essi domandavano poco prima, le testimonianze dei dei fedeli presenti dovranno lor servire a ricevere nello stesso tempo il beneficio della penitenza e quello della riconciliazione … – Per aiutare i fedeli che hanno sofferto per la mancanza di fede, le testimonianze dei fedeli presenti dovrebbero aiutarli a ricevere sia la benedizione della Penitenza che quella della Riconciliazione alla presenza del Sacerdote.

Lettera “Regressus ad nos” al Vescovo Nicetas di Aquileia, 21 Marzo 458.

Il secondo matrimonio delle vedove putative.

311 – (cap. 1) Poiché dite che, a causa della sconfitta in guerra e dei gravissimi attacchi del nemico, alcuni matrimoni furono spezzati, cosicché, dopo che gli uomini furono presi in prigionia, le loro mogli rimasero abbandonate e, pensando che i loro mariti fossero stati uccisi o credendo che non sarebbero mai state liberate dalla loro servitù, e poiché ora, con l’aiuto di Dio, lo stato delle cose è cambiato in meglio, alcuni di quelli che si pensava fossero morti sono tornati, la vostra carità esita evidentemente a ragione su ciò che dobbiamo ordinare riguardo alle donne che si sono unite ad altri uomini. Ma poiché sappiamo che è scritto che la donna è unita all’uomo da Dio (cfr. Pr 19, 14 ), e che conosciamo anche il comandamento secondo cui ciò che Dio ha unito, l’uomo non deve separarlo Mt XIX, 6, è necessario che crediamo che le unioni del matrimonio legittimo debbano essere ristabilite, e che dopo che i mali inflitti dal nemico sono stati rimossi, a ciascuno sia restituito ciò a cui aveva di diritto; e che ognuno riceva ciò che gli spetti, con tutto il suo zelo.

312 – (Cap. 2) Non si deve però considerare colpevole e intruso nei diritti altrui chi ha fatto la parte di un marito che si pensava avesse cessato di esistere. In questo modo molte cose che appartenevano a coloro che erano stati portati in cattività possono essere passate nei diritti di altri, e tuttavia è pienamente conforme alla giustizia che vengano restituite loro al ritorno. E se questo viene osservato per quanto riguarda i beni o addirittura le case o i possedimenti, non è forse ancora più necessario, nel ristabilire i matrimoni, fare in modo che ciò che è stato turbato dalla fatalità della guerra venga ristabilito dal rimedio della pace?

313 – (Cap. 3) E quindi, se gli uomini che sono tornati dopo una lunga prigionia perseverano a tal punto nell’amore per le loro mogli da desiderare che tornino all’unione con loro, è necessario rinunciare a ciò che la necessità ha portato, e considerarlo esente da colpe, e ripristinare ciò che la fedeltà richiede.

314 – (Cap. 4) Ma se alcune donne sono così prese dai loro mariti successivi che preferiscono rimanere legate a loro piuttosto che tornare alla comunità legittima, devono essere giustamente biasimate e private della comunione ecclesiastica, perché invece di una cosa scusabile hanno scelto la contaminazione di un’offesa, mostrando di aver gradito nella loro incontinenza ciò che un giusto perdono avrebbe potuto espiare…

Il carattere non ripetibile del Battesimo.

315 – (Cap. 6) Quanto a coloro… che il timore ha indotto o l’errore ha indotto a ripetere il Battesimo, e che ora riconoscono di aver agito contro il Sacramento della fede cattolica, devono osservare la regola di entrare in comunità con noi solo con il rimedio della penitenza, e di ricevere l’unità della comunione solo con l’imposizione delle mani del Vescovo…

316 – (Cap. 7) Infatti coloro che hanno ricevuto il battesimo degli eretici, mentre prima non erano stati battezzati, devono essere confermati solo con l’invocazione dello Spirito Santo e l’imposizione delle mani, perché hanno ricevuto solo la forma del battesimo senza la virtù della santificazione. E questa regola, come sapete, prescriviamo di osservarla in tutte le Chiese, cioè che il bagno ricevuto una volta non deve essere violato da alcuna reiterazione, poiché l’Apostolo dice: “Un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo”, Ef IV, 5. La loro abluzione non deve essere alterata da alcuna reiterazione, ma, come abbiamo detto, deve essere invocata solo la santificazione dello Spirito Santo, affinché ciò che nessuno riceve dagli eretici, lo riceva dai Sacerdoti cattolici.

Lettera “Promisisse me memini” all’imperatore. Leone I, 17 agosto 458.

Le due nature in Cristo

317 – (cap. 6) Anche se c’è dunque nell’unico Signore Gesù Cristo, vero Figlio di Dio e vero Figlio dell’uomo, una sola Persona del Verbo e della carne che, senza separazione o divisione, compie azioni comuni, è necessario, tuttavia, che le qualità delle operazioni stesse siano ben comprese, e si può vedere con fede sincera a che cosa si elevI l’umiltà della carne e a che cosa si abbassi la sublimità della divinità, che cosa non fa la carne senza il Verbo e che cosa non realizza il Verbo senza la carne. .. Sebbene fin dall’inizio, quando il Verbo si fece carne nel grembo della Vergine, non ci fu mai alcuna divisione tra le due forme, e durante la crescita del corpo le azioni furono sempre quelle di un’unica Persona, ciò che fu fatto senza separazione non lo confondiamo con una mescolanza, ma percepiamo dalla qualità delle opere ciò che appartiene a ciascuna forma…

318 – (Cap. 8) Sebbene il Signore Gesù Cristo sia uno, e in Lui una sola e medesima Persona sia quella della vera divinità e dell’umanità, riconosciamo tuttavia che l’esaltazione con la quale, come dice il Dottore delle Genti, Dio lo ha esaltato e gli ha dato un Nome che è al di sopra di ogni nome (cfr. Fil II, 9 ss.), si riferisce a quella forma che doveva essere arricchita dall’aggiunta di una così grande glorificazione. Nella forma di Dio, infatti, il Figlio era uguale al Padre, e tra il generato e l’Unigenito non c’era alcuna distinzione di essenza, né alcuna differenza di maestà; e con il mistero dell’Incarnazione il Verbo non aveva perso nulla di ciò che doveva essergli restituito da questo dono del Padre. Ma la forma del servo, con cui l’impassibile Divinità ha compiuto il sacramento della sua grande misericordia, è l’abbassamento umano che è stato innalzato nella gloria della potenza divina, mentre fin dal concepimento della Vergine la Divinità e l’umanità erano state legate in una tale unità che le cose divine non erano fatte senza l’uomo, né le cose umane senza Dio.

319-320. Lettera “Frequenter quidem” al Vescovo Neo di Ravenna; Ravenna, 24 ottobre 458.

Battesimo discutibile e conferito da eretici.

319 (1)… Da informazioni fornite da alcuni fratelli abbiamo appreso che alcuni prigionieri che tornano liberi alle loro case – e che erano caduti in cattività in un’età in cui non potevano avere una conoscenza sicura di nulla – chiedono il rimedio del Battesimo, ma non possono ricordarlo, a causa dell’ignoranza dovuta alla loro infanzia, se hanno ricevuto il mistero di questo Battesimo e dei Sacramenti, e che per questo motivo, a causa di questa memoria nascosta, le loro anime sono in pericolo perché, con il pretesto della precauzione, la grazia non viene concessa perché si pensa che sia già stata concessa. Poiché per questo motivo il timore di alcuni fratelli, non senza ragione, ha esitato a concedere a tali persone i sacramenti del mistero del Signore, abbiamo ricevuto, come abbiamo detto, questa richiesta formale… Innanzitutto, dobbiamo stare attenti a non danneggiare le anime da rigenerare aggrappandoci all’apparenza della prudenza. Infatti, chi sarà così attaccato alle sue supposizioni da affermare come vero ciò che – non essendoci più prove – è supposto solo a causa di un’opinione dubbia? Pertanto, se colui che desidera la rigenerazione non ricorda di essere stato battezzato, né un altro può testimoniarlo, perché non sa se sia stato santificato, non c’è nulla che permetta al peccato di insinuarsi, perché su questo punto della sua coscienza né colui che è santificato né colui che santifica è colpevole. Certamente sappiamo che è un crimine inescusabile quando qualcuno, secondo le pratiche degli eretici condannate dai santi Padri, è costretto a sottoporsi due volte al Battesimo che è stato concesso una sola volta a coloro che devono essere rigenerati; perché questo è contrario alla dottrina cattolica che ci proclama una sola divinità nella Trinità, una sola confessione nella fede, un solo sacramento nel Battesimo Ef. IV, 5. Ma in questo caso non c’è nulla da temere, perché non si può incorrere nella decadenza del diritto di voto. reiterazione quando non si sa affatto se sia stato fatto…

320. – (2) Ma se si dovesse accertare che qualcuno sia stato battezzato da eretici, il Sacramento della rigenerazione non deve essere in alcun modo ripetuto per lui, e gli deve essere conferito solo ciò che gli mancava: che con l’imposizione delle mani del Vescovo ottenga il potere dello Spirito Santo.

321-322. Lettera “Epistolas fraternitatis” al Vescovo Rusticus di Narbonne, 458

Il carattere obbligatorio dei voti religiosi.

321 – (Domanda 14) La risoluzione di un monaco, presa per sua decisione o volontà, non può essere abbandonata senza peccato. Infatti, ciò che una persona promette a Dio, deve anche adempiere, Dt XXIII, 21 Sal L, 14. Perciò chi ha rinunciato alla promessa di solitudine e si è dato al servizio armato o al matrimonio deve purificarsi soddisfacendo la penitenza pubblica, perché se il servizio armato può essere privo di male e il matrimonio onesto, è una trasgressione aver rinunciato alla scelta di ciò che è meglio.

322 – (Domanda 15) Se le ragazze, che non siano state costrette da un comandamento dei genitori, ma che abbiano preso per libera decisione la risoluzione e l’abito della verginità, scelgono poi il matrimonio, peccano, anche se non vi è ancora stata aggiunta alcuna consacrazione.

Lettera “Magna indignatione” a tutti i vescovi della Campania, ecc., 6 marzo 459.

323 La confessione segreta (Cap. 2) Ordino che questa audacia contraria alla regola apostolica, commessa da alcuni, come ho appreso di recente, per usurpazione illecita, debba assolutamente essere eliminata. Per la penitenza che i fedeli chiedono, non si legga pubblicamente uno scritto in cui sono dettagliati i loro peccati, poiché è sufficiente indicare ai soli Sacerdoti con una confessione segreta la colpa delle coscienze. Senza dubbio appare lodevole questa fede totale che, per timore di Dio, non teme di arrossire davanti agli uomini; tuttavia – poiché i peccati di tutti coloro che chiedono penitenza non sono tali da temere che vengano resi pubblici – tale usanza impopolare sarà abolita, cosicché molti non saranno trattenuti dai rimedi della penitenza finché arrossiranno o temeranno che le loro azioni vengano rivelate ai loro nemici e per le quali, secondo le disposizioni della legge, potranno essere puniti. Infatti, è sufficiente che questa confessione sia fatta prima davanti a Dio e poi anche davanti al Sacerdote, che si presenta come intercessore per i peccati dei penitenti. Infine, molti possono essere portati alla penitenza se la coscienza di chi confessa il proprio peccato non viene resa pubblica alle orecchie del popolo.

Statuta Ecclesiae Antiqua, metà o fine del V secolo.

L’esame di fede prima dell’ordinazione episcopale

325 – Colui che deve essere ordinato Vescovo deve essere esaminato prima per vedere se… se è prudente nella comprensione delle Scritture, se ha esperienza dei dogmi della Chiesa e, soprattutto, se afferma con parole semplici gli insegnamenti della fede, cioè confermando che il Padre e il Figlio e lo Spirito Santo siano un solo Dio e insegnando che tutta la Divinità nella Trinità è della stessa essenza, sostanza, eternità e onnipotenza; se confessa che ciascuna delle Persone nella Trinità è pienamente Dio e tutte e tre le Persone sono un solo Dio; se crede che l’incarnazione divina è avvenuta non nel Padre né nello Spirito Santo, ma solo nel Figlio, in modo che egli, che nella Divinità era il Figlio di Dio Padre, divenne nell’uomo il Figlio Di sua madre, vero Dio dal Padre e vero uomo dalla madre, prendendo carne dal grembo e un’anima umana ragionevole; in Lui sono presenti entrambe le nature, quella di uomo e quella di Dio, ed Egli è una sola Persona, un solo Figlio, un solo Cristo, un solo Signore, il Creatore di tutto ciò che è, con il Padre e lo Spirito Santo l’Autore e il Signore e il Creatore (colui che governa) di tutte le creature; che ha sofferto le vere sofferenze della carne, che è morto alla vera morte del corpo, ed è risorto con la vera risurrezione della carne e la vera ripresa dell’anima, nella quale verrà a giudicare i vivi e i morti. Bisogna anche chiedergli se creda che l’autore e il Dio del Nuovo e dell’Antico Testamento, cioè della Legge, dei Profeti e degli Apostoli, sia uno solo; se crede che il diavolo non sia diventato cattivo a causa della sua condizione, ma liberamente. – Dobbiamo anche chiedergli se crede nella risurrezione di questa carne che portiamo e non di un’altra; se crede in un giudizio a venire e che ognuno riceverà la punizione o la gloria per ciò che ha fatto in questa carne; se non disapprovi il matrimonio; se non condanni il nuovo matrimonio; se non biasimi il consumo di carni; se riceva nella comunione i peccatori riconciliati; se creda che nel Battesimo tutti i peccati, cioè sia quelli contratti in origine sia quelli commessi volontariamente, siano perdonati; se al di fuori della Chiesa Cattolica nessuno si salva. Quando, dopo essere stato esaminato su tutti questi punti, sarà risultato pienamente istruito, allora, con il consenso del clero e dei laici, e riuniti tutti i Vescovi della provincia, … sia ordinato Vescovo.

L’imposizione delle mani, il segno esterno dell’ordinazione.

326 – Ricapitolazione dell’ordinazione di coloro che hanno un ufficio nella Chiesa: Can. 90 (2). Quando un Vescovo viene ordinato, due Vescovi pongano e tengano il libro dei Vangeli sul suo collo (testa), e mentre uno dice la benedizione su di lui, tutti gli altri Vescovi presenti devono toccargli la testa con le mani.

327Can. 91 (3). Quando un presbitero viene ordinato, mentre il vescovo lo benedice e tiene le mani sul suo capo, anche tutti gli altri presbiteri presenti devono tenere le mani sul suo capo accanto a quelle del vescovo.

328Can. 92 (4). Quando un diacono viene ordinato, solo il vescovo che lo benedice deve porre le mani sul suo capo, perché non è sacro al sacerdozio ma al ministero.

329Can. 93 (5). Quando viene ordinato un suddiacono, poiché non riceve l’imposizione delle mani, riceverà dalla mano del Vescovo la patena e il calice vuoti. Ma riceverà dalla mano dell’arcidiacono l’anfora con l’acqua, il bacile e il manutergio.

ILARIO: 19 novembre 461-29 febbraio 46.

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA (7) “Da Simplicio a Giovanni I”

LO SCUDO DELLA FEDE (248)

LO SCUDO DELLA FEDE (248)

LA SANTA MADRE CHIESA NELLA SANTA MESSA (17)

SPIEGAZIONE STORICA, CRITICA, MORALE DELLA SANTA MESSA

Mons., BELASIO ANTONIO MARIA

Ed. QUINTA

TORINO, LIBRERIA SALESIANA EDITRICE, 1908

CAPO III

IL SACRIFICIO DIVINO

SECONDA PARTE DEL CANONE.

ART. IV.

ORAZIONE IV: UNDE ET MEMORES.

O LA MEDITAZIONE DELLA PASSIONE DI G. C.

« Per lo che anche memori noi, vostri servi, e con noi pure il vostro popolo santo, della tanto beata Passione del medesimo Signor nostro Gesù Cristo, ed anche della sua Risurrezione, come pure della gloriosa sua Ascensione nei cieli, offriamo alla preclara Maestà vostra di questi vostri doni a noi dati (Qui giunge le mani e fa tre segni di croce, sopra l’ostia, e sopra il calice insieme) quest’Ostia + pura, ostia santa, ostia + immacolata: (poi fa un segno di croce sopra l’ostia, ed un altro sopra il calice dicendo) pane + santo di vita eterna, e calice + di salute perpetua. »

Esposizione dell’Orazione: Unde et memores,

« Per il che memori anche noi, vostri servi, e con noi pure il vostro popolo santo, della così beata Passione ecc. ecc. » Più che di esposizione, or fa bisogno di tenera pietà a sfogo di divozione. Oh, buon Dio! ecco qui come sul Calvario, misticamente sacrificato Gesù ! (Osserva il S. P. Ben. XIV che in qualche chiesa di Francia, come anche dei Cartusiani, Domenicani e Carmelitani, ed anche nella Messa di rito Ambrosiano, sì usa qui dal Sacerdote nel celebrare alzar le braccia e tenerle allargate per rappresentare la figura di Gesù Cristo crocifisso. – Lib. 2, De sac. Miss. cap. 16, n. 4) Ma tuttavia invece di un popolo furioso, che lo insulti, Egli ha d’intorno noi, poveri servi suoi, e questo buon popolo di eletti, per essere in Lui sacrificato (Ephes. 14.). Deh! stringiamoci intorno coll’anima sopra di Lui per contemplare i suoi patimenti. Il sacerdote prega in secreto… Alto silenzio… I patimenti di Dio vogliono lagrime e non parole!… sfoghiamoci in secrete parole calde del Sangue di Gesù!…. Ah! i pensieri al Calvario ,in questo momento: ed il cuor nostro tutto qui sul Petto a Gesù. Il Calvario…. contempliamo il Calvario!…. Quest’orrido monte…. il patibolo rizzato sopra esso, la croce!… e sopra la croce chi muore!.. Tra quella turba di furibondi, tra quei carnefici ubriachi di rabbia, fra due malfattori in patibolo… Chi è… chi è quel morente insanguinato, e tutto lacero di piaghe?… Santa fede!,…. In questo patibolo è 1’Uomo-Dio. Deh! Copriamoci colle mani il volto e gridiam spaventati: tristi a noi, tristi a noi, che siamo uomini! se gli uomini hanno potuto essere tanto empi da bagnarsi le mani nel Sangue del figlio di Dio, e mettere in croce il Salvator del mondo! – Trema paurosa la terra, il sole s’oscura. Appaiono smorte le stelle in quel tenebrore come pallide fiaccole ai funerali dell’Uomo-Dio. Si squarcia il velo del tempio, si spezzan le rupi, sì spalancano i sepolcri, e l’aere negro pare che pianga inorridito anche esso!… E che? l’iniquità avrà dunque da trionfare sulla terra? E la giustizia sarà oppressa nel suo Giusto, che la rappresenta? Così contro di Dio l’ha da vincere il male che lo avversa? Ahi! Che fino l’Uomo-Dio pare che non possa più reggere sotto il peso dei delitti dell’umanità sciagurata! E grida dalla croce; « O Padre, o Padre, forse perché ho presa la forma dell’uom peccatore, mi avete adunque abbandonato! »…. Alto silenzio Gesù agonizza; e tra le angosce dell’agonia mette un più forte grido esclamando: Consummatum est, la malizia degli uomini, e la giustizia di Dio, tutto è consumato! Ripetiamolo noi, che ne abbiamo ragione: « Sì, sì, tutto è consumato, se il Redentore trionfante resta per noi in sacrificio: consummatum est! » Come da Gesù boccheggiante nell’agonia,così da Gesù sacrificato s’alza pur questo grido;« consummatum est: il Sacrificio di Dio è consumato! »…. Questo grido si ripete per tutta la terra: questo grido si ripete per tutti i mondi del firmamento…. e fino negli abissi d’inferno col fremito del terrore si ripete « consummatum est! » … A questo grido. dal più alto dei cieli il grand’Angelo, che sta a guardia della Giustizia di Dio, in atto di fulminare chi l’oltraggia, abbassa il terribile sguardo sull’altare, come là sulla croce, e vedendo Gesù sacrificato… rompe e getta la spada del suo furore, e grida anche esso esultante: « consummatum est! » – Adoriamo atterriti e compunti… Grande Iddio!.. Dall’eterna gloria il Padre in cielo…. qui sull’altare con noi il Figlio… e l’Amore eterno, il celeste Amore tra il Padre e il Figlio, s’abbraccia sull’altare, come là sul patibolo, a Gesù Cristo, e prende la calda onda del Sangue di Gesù, la getta sul viso e sul cuore degli uomini, gridando: « O redenti, i vostri peccati li paga di sua vita Gesù! » Diciamoci adunque noi: « Memori… della così beata Passione vostra ecc. » Qui noi nella nostra contemplazione posiamogli il capo sul Petto: e come a Lui morente in croce, ripassandogli ad una ad una le Piaghe, sfoghiamogli in silenzio nel seno parole piene di pianto. « Oh la veramente beata passione del nostro Signore, per noi è una vera beatitudine! In essa, stracciata la scritta, dov’erano registrati i nostri peccati, l’avete confitta coi chiodi a questa croce, e da questa scorrono giù i larghi gorghi del vostro preziosissimo Sangue, a cancellare i caratteri di dannazione. » « Come pure memori della Risurrezione vostra, ma anche della gloriosa vostra Ascensione nei cieli ecc. ecc. » Vero Principe di pace, trionfatore dellamorte, Voi avete rotta questa terribile barriera, cheseparava il cielo dalla terra, e gli uomini tenevalontani come nemici, da Dio. Dall’altare della crocepenetraste negli abissi della regione della morte; spezzaste le porte dell’inferno, rovesciaste il trono del demonio, e lo incatenaste ai piedi del vostro altare. Allo splendor della vostra gloria le anime dei Santi in tenebre sepolte si destarono; Voi, rotte le catene ai vinti di morte (Io. Chrys. Hom. 24 ad Cor,), li tiraste fuori ad accompagnarvi nel trionfo della vostra risurrezione, e con quella legione di trionfanti saliste al Paradiso. Ora noi esclameremo con ragione: « o morte, o morte, dove è la tua vittoria? Guarda Gesù che muore e risorge, che sale al cielo, e lassù nel cielo porta nelle sue piaghe il pegno della risurrezione per tutti: guarda Gesù sotto queste specie in sacrificio, glorioso capo dei risorgenti, che con noi s’incorpora. È per portarci seco a vita eterna in Paradiso! » « Noi intanto, o eterno Padre, alla vostra preclara Maestà di questi doni, in che ci avete dato il Figliuol vostro, offriamo in sacrificio un’Ostia + pura, un’Ostia + Santa, un’Ostia + immacolata. Dio delle misericordie! ecco che il Figliuol divino è divenuto Pane Santo di vita eterna e Calice + di salute perpetua! » Qui fa le cinque croci, per mettere sotto gli occhi dirò così le cinque Piaghe di Gesù Cristo; le fa colla destra in atto di benedire, per derivar dalla croce e dalle Piaghe la benedizione delle anime nostre (S. Thom. 3 p., q. 8, a. 5. Suarez 3 P., t. 3, q. 83. a. 5, et Ben. XIV, loc. cit. Bossuet, Tract. de Miss. cap. 14.). Il sommo pontefice Benedetto XIV osserva, che ogni volta che si nomina Corpo e Sangue di Gesù Cristo, si fa sempre accompagnandoli col segno di croce, per significare che sotto la specie dell’ostia è il medesimo Corpo, che fu in croce lacerato e pendente; e nel calice il medesimo Sangue, che si versò pei peccati del mondo. Osserva ancora (Microl. cap. 14, et Nat. Alex. De sac. Euch.), che nella Messa il segno di croce si fa o una volta sola, o tre, o cinque: una volta, per indicare l’unità dell’essenza di Dio; tre, per indicare la SS. Trinità; cinque per indicare le cinque Piaghe di Gesù Cristo e la santa sua Passione. – Il sacerdote stende le mani e prosegue:

L’Orazione: Supra quæ etc.

« Sopra le quali cose con propizio e sereno volto degnatevi di riguardare, e di aver per accetti, come accetti aveste i doni del vostro servo giusto Abele, i sacrifici del patriarca nostro Abramo, e ciò, che vi offrì il sommo sacerdote Melchisedecco: santo sacrificio, Ostia immacolata. »

Esposizione dell’Orazione: Supra quæ etc.

Qui il sacerdote ritto in mezzo all’altare torna a stendere le mani; torna, per dir così, a mettere le sue mani sulle Mani piagate di Gesù Cristo, il capo sul Capo di lui coronato di spine, il petto sul suo Petto squarciato, e così con Gesù Cristo identificandosi, sta colle mani innalzate a fidanza di aver a fare con un Dio placato, e lo prega di degnarsi di guardare sull’altare con volto propizio e sereno. Anzi vorremmo dire, che con una certa aria di trionfo ricorda gli antichi sacrifici, che del Sacrificio presente furono le principali figure, per dire a Dio: « eh! se vi furon grate quelle offerte, ben vi deve essere carissimo questo nostro Sacrificio, santo per essenza, e sì veramente Vittima immacolata. » Perché, se gli offriva Abele ciò che di meglio per lui si poteva, se Abramo, ciò che di più caro aveva, se Melchisedecco ciò che gli fosse di più misterioso inspirato; s’era innocente Abele, obbediente Abramo, Melchisedecco santo; ed in questi fu significato Gesù; et in his signatus Christus: qui su quell’altare con questa Vittima in mano, noi abbiam ben ragione di aspettarci, che Dio, sì! ci debba fare buon viso: e dimenticando tutti i nostri torti per ricordarsi della sola sua bontà, accogliere volentieri anche dalle mani nostre questo gran Dono. – Osserva s. Bonaventura (In exposit. Miss), che qui si ricordano specialmente quei tre santi dell’antico Testamento, perché rappresentano in figura più propriamente Gesù nella Passione sua, e nella ss. Eucaristia. Ricordasi Abele ( Gen. IV, 4.), perché Abele fece offerta dei primogeniti del suo gregge, e Gesù offrì se stesso primogenito tra i molti fratelli (Rom VIII, 29), lasciandosi uccidere immacolato agnello ed innocente. Perciò lo vide appena Giovanni Battista, e dovette esclamare: « Ecco l’agnello di Dio. » Di più Abele innocente venne trucidato dal fratello Caino; e Cristo dai Giudei, suoi mali confratelli secondo la carne fu tradito e mandato a morte. – Ricordasi Abramo, perché Abramo obbedì a Dio fino ad immolargli il figlio: e Gesù si fece obbediente al Padre fino alla morte, e nelle mani del Padre diede l’anima sua. – Ricordasi Melchisedecco, perchè Melchisedecco comparisce nella storia Sacerdote senza che se ne conosca il padre, senza stirpe, senza antecessori nel sacerdozio, senza principio di giorni, senza fine di vita (Heb.); anch’egli mediatore tra Dio e gli uomini, partecipando in certo modo della Divinità, essendo ineffabile la sua generazione, partecipando della umanità per la sua qualità di re; così rappresenta al vivo Gesù uomo, Dio, pontefice eterno, re dell’universo. E come quell’antico, offrendo il pane ed il vino, dedicava il mistero del sacrificio cristiano e benediceva quindi ad Abramo ed a tutti i suoi: così per supplire all’imbecillità del sacerdozio antiquato, pure sotto le specie del pane e del vino, Gesù offre il suo Corpo ed il suo Sangue santissimo, ed apre sull’altare la sorgente di tutte le celesti benedizioni, per condurre a perfezione la santificazione degli eletti (Cyp. Ep. ad Caec. S. Leo. sess. serm. 9, in Anniv. Conc. Trid, sess. 22, cap. 1, De sac. Miss. Hier. Ep. ad Marcel. Aug. De Civ. Dei, lib. 6, cap. 22.). Con fiducia adunque presentiamoci al trono di grazie, per supplicare l’Eterno di volere consumare la nostra santificazione per virtù del sacrificio santo immacolato; prostrandoci 0uniti al Sacerdote con Gesù, che ora entra nel santuario non manufatto col suo divin Corpo e Sangue, cioè in cielo, per comparire innanzi a Dio alla nostra testa ad impetrarci misericordia (Heb, 6.). Il Sacerdote profondamente inchinato pone le mani giunte sopra l’altare e prosegue l’orazione:

Supplices te rogamus.

« Supplichevoli vi preghiamo, onnipotente Iddio, comandate Voi, che queste offerte si presentino per man del vostro Angelo santo sul sublime vostro altare al cospetto della vostra Maestà divina: affinché tutti noi che (qui bacia l’altare) di questa partecipazione dell’altare avrem ricevuto (fa segni di sopra il Corpo ed il Sangue) il sacrosanto Corpo e Sangue + del Figlio vostro (segna se stesso di croce) veniam riempiti di ogni celeste benedizione e grazia: Per il medesimo Cristo Signor nostro. Così sia. »

Esposizione dell’orazione suddetta.

In quest’orazione, dice s. Bonaventura (Bonav. in Epos. Miss.), sono così profonde ed inscrutabili parole, che il beato Gregorio ne parlò come di cose ineffabili, da non si poter spiegare. Ora che diremo mai noi, se quei Santi appena ardivano di meditarle? Noi ci contenteremo di tener dietro a quei Padri, e ai sommi Pontefici Innocenzo III e Benedetto XIV, che teniamo sempre per guida, per poter comprendere qualche cosa. Ecco intanto le principali spiegazioni, che quelli ci danno, e che ci parvero spiranti più soave pietà. – L’orazione dice: « Vi preghiamo supplichevoli, che comandiate, che quest’offerta si presenti per mano del vostro Angelo santo sul sublime altar vostro, al cospetto della vostra Maestà divina ecc. ecc. » Queste parole spiega il sommo Pontefice Innocenzo III (Inn. III, 5, Myst. Miss.) in questo senso: « Vi preghiamo, che comandiate che questi fedeli colle suppliche che mettono innanzi sull’altare, insieme col sacrificio divino, per mano del vostro Angelo santo, cioè pel ministero degli Angeli, sul sublime altare vostro presentati, vengano alla divina vostra Maestà. » Siccome gli Angeli presentano a Dio in cielo i voti e gemiti, e le opere buone che noi facciamo qui in terra (infatti diceva l’Angelo a Tobia: quando pregavi colle lacrime, io offrivo la tua orazione al Signore): così noi preghiamo, che nel presentare la grand’offerta, l’Angelo del Signore come per mano seco ci conduca innanzi, per essere anche noi insieme con lui presentati. Il vero credente sa di non essere mai abbandonato a se stesso nel suo cammino; perché un Angelo buono è sempre al suo fianco, che lo veglia; celeste amico, che lo difende dall’angelo reo, e che gli è così affezionato, che peregrina volentieri con lui nella terra d’esilio per ricondurlo seco alla patria. Questo Angelo, quando ha seco il suo caro affidato a trattar con Dio sopra l’altare, in questo istante più desiderato per compiere la sua missione, deve ben adoperarsi, per introdurlo al cospetto di Dio, e farlo accogliere con bontà dal suo Signore in cielo. Dice pure s. Ireneo (Iren. lib. 4, cap. 24.); vi è in cielo un altare, e colà si depongono le nostre suppliche e le nostre offerte. Altare sublime, invisibile dice anche Agostino (S. Aug. psal. 26, enar. 2, et in psal, 42), a cui nessuno si appressa coll’animo, se non il giusto, che all’altare in terra s’accosta sicuro. Non vi è adunque dubbio, (così s. Gregorio con s. Bonaventura) che nell’ora stessa dell’immolazione alla voce del Sacerdote s’aprano i cieli. Qui intervengono i cori degli Angeli (Ad eccitare maggior rispetto e tutta la più fervorosa divozione nel tempo della santa Messa, diciamo con S. Lorenzo Giustiniano – Serm. de Corp. Chr. -, che in quest’ora si aprono i cieli, che ammirano gli Sngeli, lodano i Santi, esultano i giusti, sì vanno a visitare i prigioni e si sciolgono gli incatenati, piange l’inferno, esulta le beata Chiesa, gli Angeli (S. Gio. Gris. De sac. lib. cap. 6.) fanno corona. Di fatto s. Giovanni Grisostomo, S. Nilo abate, s. Gregorio Magno, s. Filippo Benizio, il beato Gioachino Servita, e tanti altri videro proprio gli Angeli in venerazione intorno all’altare nell’ora del sacrificio), sicché le somme cose del cielo colle umili di quaggiù si confondono mirabilmente; ed avviene appunto in quest’istante, che in cielo si presenta pel ministero degli Angeli il Corpo di Gesù, che sull’altar nostro si offerisce (S. Bonav. in Exs. Miss.). Osserva poi s. Tommaso, che il Sacerdote non chiede già che si portino in cielo le specie sacramentali; ma sì col Corpo di Gesù reale sull’altare e sotto î mistici veli, che in paradiso è in gloria, anche il Corpo mistico, vale a dire il Sacerdote ed il popolo colle loro suppliche, pel ministero degli Angeli vengano in cielo presentati (3 p., q. 83, a.4). Seppure per l’Angelo non si volesse eziandio intendere lo stesso divin Redentore Gesù; ché ci conforterebbe l’autorità di S. Tommaso, e d’ Innocenzo III (Ben. XIV de sac. Miss. lib. 2, Cap. 16, n. 25.); perché Gesù Cristo è l’Angelo dei misterioso consiglio di Dio, da lui nell’Incarnazione sua rivelato; è l’Angelo del nuovo Testamento, che suggellò col proprio Sangue; ed Angelo mediatore tra Dio e gli uomini, ai quali dispensa le grazie che loro ha meritate. – Passiamo ora ad osservare il modo, con cui il Sacerdote recita questa orazione. Così vicino al Santissimo, egli s’inchina profondamente; ossia cade sotto il peso delle sue miserie, e inabissato nel suo nulla, egli confessa che Dio è troppo grande in bontà. Bacia l’altare per significare la riconciliazione che si fa sull’altare tra gli uomini e Dio, ed il desiderio di unirsi a Dio per Gesù Cristo. Fa tre segni di croce: uno sopra il SS. Corpo, per ricordare il sudore di Sangue, di che Egli fu tutto bagnato nella sua Passione; l’altro sopra il calice, per ricordare le gocce di Sangue, che grondavano giù dalla croce; il terzo sopra se stesso per ricordare che Gesù cadde colla faccia per terra; offrendosi a morire come l’uomo dei peccati (Inn. III, lib. 5 Miss. cap. 5.). Questa spiegazione è d’Innocenzo III, il quale dice anche che le due prime croci significano i vincoli ed i flagelli di Gesù Cristo; l’altra croce, che il Sacerdote fa sopra se stesso, significa l’oltraggio di quei satelliti, che gli sputarono sul volto santissimo. S. Tommaso poi pensa, che le croci esprimano l’estensione del Corpo colle braccia inchiodate sulla croce, e lo spargimento del Sangue, ed il frutto della Passione (3 pars, q. 83, a. 5,  Natal. Alex. Theol. lib. 2) : e questo frutto pare che vogliano esprimere le parole che si pronunciano nel fare i segni, in cui si dice: « tutti che avremo il Corpo, il + Sangue ricevuto, veniam riempiuti d’ogni benedizione, e grazie celesti. » Esposte così le interpretazioni che ci parvero più belle e spiranti divozione maggiore, ritorniamo a considerare il rito, per riceverne le inspirazioni della pietà. Il sacerdote nell’inchinarsi profondamente, colle mani giunte sull’altare, dice: « vi preghiamo supplichevoli ecc. » Per placare lo sdegnodi Dio il profeta Gioele (Ioel. 2) gridava agli Israeliti: « Date colle trombe il segno solenne, radunate le turbe, e convocate il popolo, menate per mano i pargoletti, padri e madri, portate anche i bimbi sul petto: sorgete, o sposi, da’ vostri talami, traete innanzi a Dio. Qui tra il vestibolo e l’altare i Sacerdoti ministri di Dio grideranno piangendo: perdonate, o Signore, perdonate al popol vostro e non lo mandate in perdizione! » Ma che cosa era mai in quell’altare, da potere placare Iddio ed intenerirlo a pietà? Era da tanto un animale svenato? E come si poteva sperare, che si compiacesse Iddio di quella carne morta? E che vi era mai là, che degno fosse dello sguardo suo divino? Ecco, ecco ciò che era in quella vittima sacrificata: era l’immagine del Sacrificio che il Figliuol suo già gli offriva in cielo fin dal principio del mondo (Apoc. XIII, 8), e che gli offre ora, e gli offrirà, finché dura il tempo, negli altari cattolici. Eh! bisogna bene che un avanzo di quella fede sia rimasto in fondo al cuore dell’umanità; poiché ne troviamo in tutte le storie, e nei poemi (in cui si manifestano le credenze e gli usi delle nazioni e barbare e colte di tutte le età dell’universo) una solenne, imponente espressione nel riparare che fanno sempre i tementi agli altari, per trovarvi un asilo nelle grandi sciagure. Questo abbracciarsi alle are, quando altrimenti non si possa ottener pietà, egli è forse un ricordare anche ai potenti e ai prepotenti il gran Padre comune, per ottenere grazie a Suo riguardo? È come un appello, che fanno gli oppressi alla giustizia di Dio? Oppure un’intimazione solenne ai soverchiatori di rispettare nei deboli il diritto di Dio, col minacciarli che alla fine pur Egli farebbe giustizia con i potenti potentemente? Noi quando, vediam dappertutto negli istanti più paurosi cercarsi uno scampo appiè dell’altare; noi, più che un istinto della umana natura, crediamo sia come una ispirazione della speranza dell’umanità, nata dalla credenza almeno confusa, che sull’altare un dì si sarebbe trovato dagli uomini il loro Salvatore. Noi fortunati adunque, che l’abbiamo in Gesù! Non altro ci resta, che di abbracciarci a quest’ora e gridare: « O Signore, tutto ci è dato a sperare da Voi per Gesù Cristo, che vi offriamo in questi misteri! » – È pur vero, che tutto che abbiamo di buono, è una partecipazione dei doni di Dio: e chi vuol tutto il bene di che abbisogna, solo per Gesù Cristo egli può sperare d’ottenerlo. Per questo il Sacerdote si inchina profondamente, bacia l’altare, si segna di croce. Cioè si getta per terra appiè di Gesù: e le benedizioni vuole assorbire alla Fonte della vita eterna in seno a Dio!…. Per questo mira a baciare dentro del Cuor di Gesù, in cui abita la pienezza della Divinità….. e vuol con questo bacio sommergerci tutti nel sommo Bene, che alimenta le anime di vita eterna!… Fa il segno di croce, per mettere sopra se stesso e sopra tutti i figliuoli del Sangue divino le piaghe di Gesù, e coprirsi coi suoi meriti: come Giacobbe, che quando stava per correre in braccio al vecchio padre Isacco, cercò con ogni argomento di rendersi simile al primogenito, affine di ottenere per se stesso le paterne Benedizioni; e si coprì colla pelle dell’agnello. Profondità di misteri!… Benedetto il Padre della misericordia, che rivela agli umili i tesori della sua bontà!….. In questo abisso di Divinità più noi ci addentriamo tremanti, più vediamo in fondo una mistica luce, che rivela i secreti di Dio!… Insomma ci pare di comprenderlo!… La prima e l’ultima parola di Dio sul nostro destino è questa, di unirci nella perfezione e beatitudine di sua vita eterna: tutti i prodigi dell’alleanza, tutti i veli dei riti sacramentali non altro sono che forieri e preparazioni. Dio vuol cogli uomini consumare la sua carità in un amplesso divino….. eterno (la Comunione)! Il dogma finisce qui…. e vuol l’amore!…. Su, su con Gesù, ad amarlo di un amore, a cui non basta il cuore umano…. All’altare adunque, all’ altare, al Convito dell’amore divino! Qui il Sacrificio piglia la forma di un Convitto. L’altare è la mensa, Gesù è il Capo della famiglia dei rigenerati. Oh meraviglia! oh consolazione! Il bagliore della prima rivelazione, di cui rimase un crepuscolo, un avanzo e quasi una luce fosforica in tutte le nazioni del mondo, diventa sì, come abbiamo già detto, qui splendore di luce prodigiosa, che opprime il pensiero di sua lucidità…. Intendiamo, intendiamo ora, perché in tutti i sacrifici anche le nazioni idolatre, offerta la vittima, sogliono quasi sempre partecipare di essa, mangiando della carne immolata (Vedi Dei sacrifici religiosi di tutte le nazioni, Card. Tadini, De Maistre, ecc.); quasi che la vittima mangiata dovesse derivare negli uomini la benedizione della Divinità, inviscerandosi essi colle vittime a lei devote (Mirate Israele carnale, dice s. Paolo; non è egli vero che quelli che mangiano, hanno comunione coll’altare? – Corint X, 18). Adunque qual relazione passa tra il sacrificio ed il cibo? E la mensa che ha da far coll’altare? Chi insegnò a praticar di conserva riti così disparati al genere umano? Risponderemo, che il cuore della povera umanità presentiva già e praticava ciò che la mente non conosceva per bene, per manco di fede. Risponderemo chiaramente, che la Chiesa cattolica, nella pienezza del tempo, squarcia il velo del mistero, e ci lascia vedere nell’ombra del santuario, come vuole Iddio il suo amore negli uomini accontentare! Appressiamoci con umiltà! Oh! che cosa è ciò; chi ci è dato di scorgere?….. Oh gran mistero! Il mistero di carità! E chi avrebbe mai potuto immaginare bontà così infinita? Nessuno, nessuno mortale certamente, e per poco neppur gli Angeli del cielo; perché nessuna mente creata può misurare i tesori del Cuor di Dio! Profondamente e bene avendo osservato il filosofo Leibniz, che l’uomo è un composto di tempo coll’eternità; e che l’eternità entra nella sua composizione per la verità; e siccome la verità discende da Colui che illumina ogni uomo che viene in questo mondo, così dal solo Verbo di Dio, vero pane mistico dell’anima nostra, e sposo della nostra intelligenza, questo alimento si poteva aspettare: il quale solo diventa possibile per un ingegno di carità al tutto divina nel Sacrificio della santa Messa. Onde, se non ci fosse dato questo tesoro di bontà celestiale, anche riconciliati con Dio, non avremmo sacrificio, che corrispondesse ai bisogni della nostra umanità. Per esso solo il Verbo del Dio della bontà si comunica a noi, fatto vero pane di vita dell’anima affamata del primo vero, fatto vera celeste bevanda alle anime assetate del primo amore. Deh! contempliamo più addentro meraviglie misteriose! Ecco il Corpo e il Sangue di Gesù sotto le specie distinte e separate, le quali rappresentano che il Sangue fu dal Corpo diviso a ricordanza della sua morte; eccoli sotto le specie di pane e di vino, i quali sono emblemi della vita; e fanno intendere che la vita nostra è redenta mercé della sua morte. Ancora: ecco nella Messa vi è sacrificio a segnale di redenzione. Nell’antico culto l’oblazione andava dal sacrificio separata: nel culto cristiano sono mischiati insieme, perché nel gran Sacrificio tutto è consumato in Gesù, divenuto causa di eterna salute ai fedeli; e quivi è l’alimento della vita eterna. Qui è tutto quello che per gl’immensi bisogni dell’animo si voleva: e che solo dal cielo si poteva aspettare. – Ecco il Figlio di Dio non solo ha perdonato agli uomini, che gli eran nemici, ma gli ha redenti proprio sangue; non solo redenti, ma santificati: non solo santificati, ma seco li vuole uniti e sull’altare stringerli a Sé. Stiamo a contemplare che voglia mai fare ancora di più! Adoriamo….. Dio siede a capo alla mensa, e nella frazione del pane si dà a conoscere per padre ai suoi figliuoli (dice s. Bernardo). O Angioli del paradiso! Il cielo che è vostro, non avrà più delizie, che siano da desiderare per noi, a cui si comunica Iddio. Per noi sarà cielo, e sovrabbondar di gaudio più che celeste (De mit. Chr. lib. 4.), qui dove possiam nell’infinito Bene inabissarci e riporre in sicurezza la nostra povera umanità in seno a Dio. Conchiudiamo: in mezzo a tante miserie umane, dovendo esser fatti partecipi di così divini misteri, era ben conveniente invocare gli Angioli in quest’orazione. Essi intervennero quando incominciò l’opera della Redenzione nella grotta di Betlem nella beata notte, in che Maria SS. donava al mondo Gesù; ed intorno al Bambino sulla paglia giacente cantavano: Gloria in excelsis Deo. Deh! quegli Angeli benedetti intervengano anche in questo istante, in cui Gesù si compie veramente il mistero di redenzione. E se allora cantavano da parte di Dio: « pace agli uomini di buona volontà, » ora cantino a nome degli uomini: « Onore, benedizione a Dio (Apoc. cap. V) per tanto amore divino. » – Intanto noi, su via, al convito, al convito divino , corriamo a parteciparvi tutti. Deh! sono proprio qui tutti i fratelli?….. Ahi, Padre santo, ve ne mancano tanti! vi mancano quei cari, che, dato 1’ultimo addio, si partirono per l’eternità, e a Voi non giunsero ancora; poi vi mancano (lo diciamo piangendo) i peccatori! quindi si passa a pregare per i fratelli defunti e pei peccatori per avere anche essi al banchetto delle nozze eterne.

ART. V.

ORAZIONE V: MEMENTO DEI TRAPASSATI.

« Ricordatevi, o Signore, dei vostri servi e delle vostre ancelle N. N., che ci precedettero col segno della fede, e dormono nel sonno della pace » (giunge le mani, prega alquanto per quei defunti, pei quali intende pregare; di poi stese le mani, prosegue): « vi preghiamo perché concediate ad essi, o Signore, ed a tutti quelli che riposano in Cristo, il luogo di refrigerio, di luce e di pace, (giunge le mani e china il capo). Pel medesimo Cristo Signor nostro. Così sia. »

Esposizione del Memento dei defunti.

« Ricordatevi, o Signore, dei vostri servi e delle vostre ancelle ecc. ecc. » Quanta tenerezza vi è nel pregare pei fratelli defunti, in questo così prezioso momento! I fedeli sull’altare del sacrificio, che ora sì prepara a banchetto, trovandosi, per così dire, tra le braccia di Dio, di seno a Lui guardano nel mondo delle invisibili cose, e là in mezzo a quella regione dell’infinito vedono col pensiero le anime dei cari, che loro dissero addio, e se n’andarono colla speranza del Paradiso. Esse ci precedono in via; e noi possiamo pensare, che per potervi giungere avranno ancora da patir tanto, perché, povere anime! Lasciandoci qui tutto quello che possedevano, partirono per l’eternità, forse con ancora non pochi debiti colla giustizia: di Dio; e là non possono guadagnarsi meriti per soddisfarvi. Dunque, per loro altro non resta, che scontarli coi patimenti. Siamo nondimeno fortunati noi di potere per Gesù mantenere un pietoso commercio tra essi, che partirono, e noi che dobbiamo raggiungerli: e fino in cielo, dove si sublima il mistero che celebriamo, possiamo dare per esse una bella soddisfazione, col presentare anche per loro la redenzione. Qui lo facciamo dicendo: « Ricordatevi, o Padre, che l’offriamo anche per quelli, che non sono più qui, ma son pure vostri servi e vostre ancelle. » « Essi ci precedettero col segno della fede ecc. » Oh! le cose del tempo come sfumano a nulla, quando l’uomo s’addentra nell’eternità. Qui per muovere Dio in lor favore, non si mettono innanzi i titoli pomposi delle loro dignità, non il posto insigne da loro occupato nel mondo, non le cariche adempiute, né i larghi possedimenti. La morte adegua ogni disuguaglianza, e l’orgoglio del maggior potentato non può ottener dalla religione una preghiera per poco diversa da quella, che s’innalza spontaneamente anche pel più tapino. Anzi sovente per questo meschinello la è più conveniente; perché  per la maggior umiltà questi fu servo migliore, e porta più brillante il carattere dell’uom crocifisso. In verità per ogni ragione di tenerli raccomandati vale l’essere stati servi di Dio e nel Battesimo crocesignati in Gesù Cristo. Dice poi, che « dormono in sonno di pace ecc. ecc. » Questa è delicata preghiera di anima, che in tenera pietà si delizia in Dio soavemente! la quale temendo quasi di dire parola men grata al cuore di Dio, col parlare di patimenti in questa ora di consolazione celeste, esprime il loro stato con un’immagine la più amabile: « buone anime, dice, che spirando nel bacio del vostro perdono, s’addormentarono nella pace dei giusti. » Pare anzi che rivolgasi anche alle anime per confortarle, quasi voglia dir loro sospirando: « consolatevi pure, o anime benedette, perché non avete niente da invidiare a noi, che siamo ancora in battaglia. Voi almeno tra quelle vostre pene godete un fondo d’inalterabile pace nell’aspettazion del Paradiso, che non potete perdere più. » Qui il Sacerdote giunge le mani, e fa alquanto orazione per quei defunti, per cui ha intenzione di pregare particolarmente. Pregando tiene gli occhi fissi nel SS. Sacramento, e con quello sguardo s’intende del cuore con Gesù. Sa ben Gesù le persone, la cui memoria deve toccarlo più vivamente: certo i parenti, i benefattori, e tutti secondo l’ordine della preghiera, che abbiamo esposto: non dimenticando coloro che trattarono con maggior tenerezza Gesù nel Sacramento, e i devoti di Maria SS., perché ben deve tornar grato al Signore il sentirseli raccomandare. Anticamente il suddiacono leggeva nei dittici, che erano tavolette formate a tal fine, i nomi dei Vescovi defunti, per rammentarli sotto voce al Vescovo celebrante. Poi prega per Gesù la requie eterna a tutti. Tutti i popoli dell’universo sentirono di avere nel cuore un’intima relazione coi loro defunti. Essi celebravano solenni le esequie sulle loro salme; usavano, per consolare le anime pie, preghiere e riti d’espiazione sopra gli avanzi che avevano in terra lasciati: gli onoravano di tombe, che fanno sovente meravigliar della potenza dell’amor verso i morti. Sulle tombe ponevano fiori, o spargevano lagrime, facevano offerte, e si sedevano sopra esse silenziosi, per trovarsi soli coi trapassati: quasi avessero speranza nella quiete dei sepolcri di parlare colle anime e ricevere da loro ispirazioni, e confortarle a vicenda colle preghiere. Il Cristianesimo qui come altrove, con la luce della dottrina della santa fede rischiara le idee intorno al dogma, ch’era già come rivelato e ricevuto nel fondo dell’umana natura. Il Cristianesimo ha poi consolato il cuore umano colla dottrina divina del suffragio.

Il Suffragio.

Qual conforto pel cattolico, che sopravvive alla morte di una cara persona! Egli vede il Sacerdote assisterla nel passaggio all’eternità fino al punto, in cui l’anima diletta spira con un bacio nel Costato in Gesù Crocifisso; e mentre bagna di calde lacrime il freddo cadavere, vede ritornare, mandato dalla Chiesa alla porta di sua casa, ancora il Sacerdote del Dio vivente a raccogliere e portar nel santuario le povere spoglie, fossero pur anche del più miserabile. Mentre per le vie della città procede il feretro, seguito dai dolenti che piangono appresso, l’uom di Dio, raccolto in preghiera colla croce innalzata la quale è il vessillo della nostra speranza, lo precede, come per rappresentare l’immortalità, che cammina innanzi alla morte. Il popolo s’inchina riverente al morto, che forse in vita ha disprezzato. Corriamo appresso anche noi, per vedere come saremo nella morte dalla religione trattati. Ecco: Essa apre i suoi templi a quella carne dalla morte avvilita; e mentre nessuna religione umana le dichiarava guerra, quando era in fior di bellezza nel vigor dei sensi; la divina Religione cattolica, che la volle trattare come un ribelle nel suo rigoglio, ora che è caduta a terra, la riceve in seno, e siam per dire, la riscalda coll’alito della sua carità, e la depone in mezzo della chiesa innanzi all’altare. Sopra quella testa cadente rizza la croce; poi le gira intorno scuotendo l’incensiere del santo profumo, e in atto di rispetto verso di questa povera carne, che pur fu tempio vivo dello Spirito Santo pei divini Sacramenti ricevuti, e per temperare ogni avanzo di mal odore di peccato. Allora si fa innanzi un ministro, e legge in nome di Dio una sua Lettera ai dolenti: « Fratelli, non vogliate contristarvi tanto… anzi consolatevi del transito di sì cara persona. Vi do parola: ella è un dormiente della speranza » (I ad Thess. IV, nella Messa pei defunti in Die obitus,). Ma ecco in mezzo ad una nube d’incenso, fra i gemiti del dolore ed i cantici dell’immortalità, il Sacerdote dell’Altissimo, che innalza tra le mani incontaminate, oh religione beatissima!… il Corpo del Dio vivente; e par che gridi sopra il cadavere: « Dormi in pace nella terra benedetta: ma guarda pegno di resurrezione! (Jo. VI, Evangelo nella Messa pei defunti e nell’Epistola della Messa in Die obitus. I Thess. cap. 4). Questo è il Corpo di Gesù, che verrà nel gran dì a rapirti dalle braccia fredde della morte, come sua porzione, che vuolsi portare a vivere seco nella magione celeste. » Meraviglia! Era sopra il feretro il cadavere di Pasquale Baylon: e alla santa elevazione due volte apriva gli occhi al cospetto del popolo, quasi per confortarsi di questa cara speranza dell’immortalità, innanzi a quel Corpo con cui aveva palpitato tanto d’amore nella sua vita devota. Così noi vediamo, per la fede del santo suffragio tra la muta oscurità dei sepolcri scendere un raggio di luce celeste, che noi ed i trapassati rallegra della speranza di poterci consolare a vicenda ed a vicenda aiutare; e mentre dal profondo di tutte le tombe (Ps. CXXIX) ci pare ch’esca il cupo gemito: « Signore! se guardate le iniquità, chi potrà reggere a Voi dinanzi?…; » la Chiesa in tutte le Messe, in ogni parte della terra, nel Memento risponde: « consolatevi, consolatevi, oh! i miei poveri figli, ché appresso al Signore è copiosa la redenzione: » e mette innanzi pel prezzo il Sangue e i meriti di Gesù Cristo, e quelli di Maria, la divina Madre di tutti, e quelli dei santi; poi anche le opere buone dei viventi loro fratelli: e trova in tanta abbondanza la ragione del suffragio da poter esclamare: « Donate, o Signore, a loro la requie eterna; vedano la luce del cielo nella pace del paradiso: » requiem æternam dona eis, Domine, et lux perpetua luceat eis. Ecco il suffragio, e la ragione di esso. Quanto è mai bello dunque sapere per dogma difede, che le orazioni e le opere buone dei fratelli viventi sollecitano la liberazione delle anime purganti.Oh! il meraviglioso commercio tra il figliuolo che vive in terra e il padre che di qui passò all’altro mondo! tra la figliuola e la madre! tra losposo e la sposa! tra la vita e la morte! Amabile dottrina! La virtù mia, la mia preghiera, la miaofferta nel Sacrificio, così meschino mortale come sono, diventa un bene comune per tutti i Cristiani, pei vivi non solo, ma eziandio pei morti. I nostri ricchi possono dividere il ben, che loro avanza col povero; e per sentire più viva la contentezza della carità, sanno che Dio rimerita la buona azione anche col farne gustare refrigerio al padre o alla madre, cui vorrebbero rendere merito di tutto il beneche hanno da loro. Il povero e l’afflitto possonodire, portando la croce di Gesù Cristo: « questi nostri patimenti, uniti insieme coi patimenti del nostro Redentore benedetto, danno sollievo alle anime dei nostri cari. » Così per questa ammiranda comunicazione di una porzione della Chiesa coll’altracoadunate in Gesù Cristo, la Religione fa chei fedeli godano quasi in comune con Dio del granprivilegio di concedere altrui la beatitudine eterna: mentre d’altra parte possono essere sicuri, che Iddiorimunera in vita e nell’eternità la loro misericordia usata ai morti.Poi anche quelle anime benedette, a cui essi affrettano il Paradiso, vorranno tutta impegnare laloro sollecitudine per ottenere grazie ai pietosi loro liberatori.Dica ogni cuor ben fatto, se quei Cristiani che, per manco di umiltà, nella Dieta di Augusta protestarono di non voler più ricevere i dogmi della fede dall’insegnamento della Chiesa cattolica, e si arrogarono il diritto di potere ciascuno a suo modo foggiarsi una credenza col proprio giudizio privato, gloriandosi per questo di essere protestanti; dica, se non è vero, che abbiano fatto un gran male al cuor umano, anche solo col rifiutare la così tenera dottrina del suffragio delle anime dei trapassati. E si danno poi vanto di riformare la Chiesa, perché staccandosi dal seno di lei, non ebbero più parte alle tenerezze materne! Eppure la buona madre sa ciò che fa bene al cuor dell’uomo, e glielo porge colla sua dottrina, con cui indovina, interpreta e soddisfa i suoi secreti bisogni. E questo bisogno è un altro argomento della verità della sua dottrina medesima. Quanto invece è muto senza affetto quell’avanzo di religione, che non ha niente da dire sul conto dei nostri morti! Essa non ci lascerebbe neppure la dolce consolazione di poter pregare piangendo per un’anima amata! Eppure il cuor lo vuole, e l’anima sa di poter comunicare colle anime, che son fuori di questo carcere del corpo: e si sente che l’amor non si spegne nel vedere l’amato a morire! Anzi, a dispetto di loro protesta, anche i protestanti lo sentono e ne dànno segno col tradurre in atto questo sentimento, cui dicono di non voler credere! Noi abbiamo visitato i lor cimiteri; e alla vista di quelle tombe pietose, di quegli emblemi di mite speranza, in cui i vivi s’esprimono coi loro estinti, abbiam dovuto dire: « anch’essi hanno bisogno di pregare, come insegna la Chiesa cattolica. »

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA (5) “Da San Bonifacio I a Sisto II”

TUTTO IL DENZINGER SENTENZ

A PER SENTENZA

DAGLI APOSTOLI A S.S. PIO XII (5)

HENRICUS DENZINGER

ET QUID FUNDITUS RETRACTAVIT AUXIT ORNAVIT

ADOLFUS SCHÖNMATZER S. J.

ENCHIRIDION SYMBOLORUM DEFINITIONUM ET DECLARATIONUM

De rebus fidei et morum

HERDER – ROMÆ – MCMLXXVI

Imprim.: Barcelona, José M. Guix, obispo auxiliar

(Da Bonifacio I a Sisto III)

S. BONIFACIO I: 29 dicembre 418-4 settembre 422

Lettera “Retro maioribus” al Vescovo Rufo di Tessaglia, 11 Marzo 422.

La preminenza della Sede romana

232 – (cap. 2)… Abbiamo inviato al sinodo (di Corinto)… direttive scritte affinché tutti i fratelli comprendano che ciò che abbiamo giudicato non debba essere discusso di nuovo. Infatti, non è mai stato permesso di trattare nuovamente ciò che sia stato deciso dalla Sede Apostolica.

Lettera “Institutio” ai Vescovi della Tessaglia, 11 marzo 422.

La preminenza della Sede romana

233 – (cap. 1). L’istituzione della Chiesa universale nascente ha preso le mosse dal titolo d’onore del Beato Pietro, in cui consiste il suo governo e la sua incoronazione. Dalla sua fonte, infatti, scaturì la disciplina in tutte le Chiese, quando la venerazione della Religione stava già crescendo. I precetti del Concilio di Nicea non attestano altro; infatti non osava porre nulla al di sopra di lui, perché vedeva che nulla poteva essere posto al di sopra del suo rango, e infine sapeva che tutto gli era stato concesso dalla parola del Signore. Questa (Chiesa romana) è dunque con certezza per tutte le Chiese sparse nel mondo come capo dei suoi membri; se qualcuno si separa da essa, sia allontanato dalla Religione cristiana, poiché ha cessato di far parte di questa stessa assemblea.

Lettera “Manet beatum” a Rufo e agli altri Vescovi di Macedonia, ecc., 11 mar.

La preminenza della Sede romana

234 – Il beato Apostolo Pietro, per parola del Signore, ha ricevuto da Lui la premura per l’intera Chiesa, che, come sapete, è stata fondata su di lui secondo la testimonianza del Vangelo. E mai una posizione d’onore può essere libera da preoccupazioni, poiché è sicuro che tutto dipenda dalla sua riflessione. … Non accada ai Sacerdoti del Signore che qualcuno di loro cada nella colpa di tentare qualcosa con una nuova usurpazione e diventi nemico delle decisioni degli anziani, quando sa di avere per rivale soprattutto colui al quale il nostro Cristo ha affidato il Sommo Sacerdozio; e chi si alzerà a rimproverarlo non sarà un abitante del regno dei cieli. A te”, dice, “darò le chiavi del Regno dei cieli”, Mt XVI, 19 nel quale nessuno entrerà senza il favore del portiere.

235 – Poiché il luogo lo richiede, vi prego di fare un censimento delle determinazioni dei canoni, e troverete quale sia la seconda sede dopo la Chiesa romana, e quale la terza. … Nessuno ha mai alzato la mano con coraggio contro l’eminenza apostolica il cui giudizio non può essere rivisto, nessuno si è opposto se non voleva essere giudicato. Le cosiddette grandi Chiese osservano le dignità per mezzo dei canoni: quelle di Alessandria e di Antiochia (vedi il primo Concilio di Nicea, can. 6); perché hanno conoscenza della legge della Chiesa. Osservano, dico, le decisioni degli anziani, concedendo la loro buona grazia in ogni cosa, mentre ricevono in cambio quella grazia: quella che sanno di dovere a Noi nel Signore che è la nostra pace. Ma poiché la questione lo richiede, si dimostrerà con i documenti che le Chiese d’Oriente, soprattutto nelle grandi questioni che richiedevano un dibattito più ampio, abbiano sempre consultato la Sede romana e chiesto il suo aiuto ogni volta che fosse necessario. (Seguono esempi di appelli e richieste nel caso di Atanasio e Pietro di Alessandria, della Chiesa di Antiochia, di Nettario di Costantinopoli e degli Orientali separati al tempo di Innocenzo I).

S. CELESTINO I: 10 Settembre 422 – 27 luglio 432

Lettera “Cuperemus quidem” ai Vescovi delle province di Vienne e Narbonne, 26 luglio 428.

Riconciliazione in articulo mortis (al momento della morte).

236 – (2) Abbiamo sentito dire che la Penitenza fosse negata ai moribondi e che i desideri di coloro che, al momento della morte, desideravano che la loro anima fosse aiutata da questo rimedio, non venissero esauditi. Siamo inorriditi, lo confessiamo, dall’empietà di coloro che osano mettere in dubbio la bontà di Dio. Come se Dio non potesse aiutare tutti i peccatori che si rivolgono a Lui in qualsiasi momento, e come se non potesse liberare l’uomo che barcolla sotto il peso dei suoi peccati, dal fardello da cui desideri liberarsi. Vi chiedo: qual sia il senso di tutto questo, se non quello di portare una nuova morte a colui che sta per morire, e di uccidere la sua anima, comportandosi in modo tale che non possa più essere purificata? Dio è sempre pronto a perdonare; invita alla penitenza e dichiara: “Al peccatore, qualunque sia il giorno in cui si converte, non sarà più imputato il suo peccato” Ez. XXXIII,16 … Poiché è Dio che scruta i cuori, non dobbiamo mai rifiutare la penitenza a chi la chiede…

Lettera “Apostolici verba” ai Vescovi della Gallia. Maggio 431.

L’autorità di Agostino.

237 – Cap. 2. Agostino, uomo di santa memoria per la sua vita ed i suoi meriti, lo abbiamo sempre avuto in comunione con noi, e mai nemmeno la voce di un sospetto lo abbia raggiunto; e ricordiamo che avesse ai suoi tempi una così grande cultura, che già prima i miei predecessori lo considerassero sempre tra i migliori maestri.

Capitoli della Pseudo-Celestina o “Indiculus“.

La Grazia.

238 – Poiché ci sono alcuni che si gloriano del nome di Cattolici, ma per malvagità o ignoranza rimangono nelle idee condannate degli eretici, osano opporsi ai pii argomentatori, e mentre condannano senza esitazione Pelagio e Celestio, accusano falsamente i nostri maestri di essere andati oltre la misura necessaria, e dichiarano di voler solo seguire e riconoscere ciò che la Santissima Sede del Beato Apostolo Pietro abbia stabilito, dal ministero dei suoi Vescovi, sancito ed insegnato contro i nemici della grazia di Dio, era necessario indagare esattamente il giudizio dei capi della Chiesa romana sull’eresia sorta ai loro tempi e le idee che ritenevano necessario avere sulla grazia di Dio contro i dannosissimi difensori del libero arbitrio. Abbiamo anche accluso alcune sentenze dei Concili africani: quelle che i Vescovi apostolici hanno certamente fatto proprie approvandole. Affinché coloro che dubitino di qualche aspetto possano essere istruiti in modo più completo, pubblichiamo, in un breve riassunto (Indiculus), le costituzioni dei santi Padri. Chi non è troppo incline alla contestazione potrà riconoscere che il risultato di tutte queste discussioni sia racchiuso nelle brevi frasi delle legittime autorità, e che non gli resti alcun motivo di contraddizione, se crede e confessi con i Cattolici:

239 – Cap. 1. Nella prevaricazione di Adamo, tutti gli uomini hanno perso la loro potenza naturale e la loro innocenza, e nessuno può, per libera scelta, risalire dall’abisso di questa rovina, a meno che la grazia di Dio misericordioso non lo sollevi, come dichiara Papa Innocenzo, di felice memoria, nella sua epistola al Concilio di Cartagine: “Una volta vittima del proprio arbitrio, usando i propri beni in modo sconsiderato, l’uomo cade negli abissi della prevaricazione, dove sprofonda, e non trova nulla che gli permetta di uscirne. Ingannato per sempre dalla sua libertà, rimarrebbe schiacciato sotto il peso di questa rovina se non fosse per la grazia di Cristo, che nel bagno del Battesimo ha lavato ogni peccato passato con la purificazione di una nuova nascita.

240Cap. 2. Nessuno è buono di per sé, a meno che Colui che è il solo buono non lo renda partecipe di se stesso. Questo ci viene dichiarato nella stessa lettera con la sentenza dello stesso Papa: “Possiamo d’ora in poi aspettarci qualcosa di buono da spiriti che pensano di dovere la loro bontà a se stessi, senza guardare a Colui dal quale ricevono quotidianamente la grazia, confidando di poterla ottenere senza di Lui? “

241Cap. 3. Nessuno, anche se rinnovato dalla grazia del Battesimo, è in grado di vincere le insidie del diavolo, né di vincere le concupiscenze della carne, se non riceve dall’aiuto quotidiano di Dio la perseveranza nella vita buona. Ciò è confermato dalla dottrina dello stesso Pastore in queste stesse pagine, dove dice: “Anche se Dio ha riscattato l’uomo dai suoi peccati passati, perché sa che ci saranno mezzi per renderlo giusto, anche dopo queste colpe, dando ogni giorno quei rimedi senza i quali, se non ci affidiamo con fiducia ad essi, non potremo in alcun modo superare i nostri errori umani. Perché è necessario che, come siamo vittoriosi con il suo aiuto, così senza il suo aiuto siamo sconfitti.

242Cap. 4. Che nessuno usi il suo libero arbitrio se non per mezzo di Cristo, lo stesso maestro lo dichiarò nella lettera inviata al Concilio di Milevi 219: “Attenzione, infine, alla dottrina perversa di menti molto perverse, che la sua stessa libertà ha così ingannato il primo uomo che, mentre egli usava il suo freno più dolcemente, la sua presunzione lo fece cadere nella prevaricazione”. Non avrebbe potuto esserne liberato se, con l’intenzione di rigenerarlo, la venuta di Cristo non avesse ripristinato lo stato della prima libertà.

243Cap. 5. Tutti gli sforzi, tutte le opere e tutti i meriti dei Santi devono essere elevati alla gloria e alla lode di Dio. Nessuno lo soddisfa se non con ciò che Egli stesso ha dato. È verso questa idea che ci indirizza l’autorità decisiva di Papa Zosimo, di felice memoria, quando, scrivendo ai Vescovi di tutto l’universo, dice: “Per noi, è per una mozione divina (tutti i beni devono infatti essere riferiti al loro Autore, da cui provengono) che abbiamo consegnato tutto alla coscienza dei nostri fratelli e colleghi Vescovi. I Vescovi d’Africa veneravano talmente queste parole, in cui brillava la luce di una verità molto sincera, che scrissero al loro autore come segue: “Questa frase nelle lettere che vi siete preoccupati di inviare a tutte le province, dicendo: “Per noi è per moto divino, ecc. ” …  abbiamo pensato che lo dicesse per colpire rapidamente, come di sfuggita, con la spada sguainata della verità, coloro che esaltano la libertà del libero arbitrio contro l’aiuto di Dio. Che cosa ha fatto con questo libero arbitrio se non riferire tutto alla nostra umile coscienza? E tuttavia avete visto con sincerità e saggezza che lo avete fatto per moto divino e lo avete detto con verità e coraggio. Pertanto, poiché “la volontà è preparata dal Signore”, (Pr. VIII, 35 LXX; cfr. Can. 374), egli stesso tocca il cuore dei suoi figli con le sue ispirazioni paterne, in modo che essi facciano del bene. “Tutti coloro che sono animati dallo Spirito di Dio sono figli di Dio” (Rm. VIII,14); quindi, non pensiamo che manchi il nostro libero arbitrio e non dubitiamo che, in ognuno dei buoni movimenti della volontà umana, sia prevalente l’aiuto dello Spirito Santo”.

244Cap. 6. Dio agisce nel cuore degli uomini e nella stessa libera volontà, così che un pensiero santo, un’intenzione pia ed ogni movimento di volontà buona vengono da Dio: possiamo fare del bene grazie a Lui, senza il quale non possiamo fare nulla Gv. XV, 5. Lo stesso dottore Zosimo ci ha insegnato a dire questo quando ha parlato ai Vescovi di tutto l’universo dell’aiuto della grazia divina: “C’è un momento – ha detto – in cui non abbiamo bisogno del suo aiuto? In ogni atto, in ogni situazione, in ogni pensiero, in ogni movimento, dobbiamo invocare il nostro aiutante ed il nostro protettore. È un vanto per la natura umana vantarsi di qualcosa, quando l’Apostolo proclama: “Noi non combattiamo contro avversari di carne e di sangue, ma contro i principati e le potenze dell’aria, contro gli spiriti maligni degli spazi celesti” Ef. VI, 12. E come dice lui stesso: “Misero che sono! Chi mi libererà da questo corpo che mi condanna alla morte? La grazia di Dio attraverso il nostro Signore Gesù Cristo. E ancora: “È per grazia di Dio che sono quello che sono, e la sua grazia verso di me non è stata infruttuosa, ma ho faticato più di tutti loro: non io, ma la grazia di Dio che è con me” 1 Co XV, 10.

245Cap. 7. Accettiamo anche come proprietà propria, per così dire, della Sede Apostolica, ciò che sia stato deciso nei decreti del Concilio di Cartagine (418) nel suo terzo capitolo: “Chiunque dica che la grazia di Dio, che giustifica l’uomo per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo, sia solo per la remissione dei peccati già commessi, ma non per aiutarlo a non peccare più, sia anatema!”. E ancora nel quarto capitolo: “Chiunque dica che la grazia di Dio per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo ci aiuti a non peccare più nel senso che ci rivela e ci apre la comprensione dei comandamenti, in modo che sappiamo ciò che dobbiamo desiderare e ciò che dobbiamo evitare, ma non ci dà in alcun modo l’amore e la forza di fare anche ciò che abbiamo riconosciuto come nostro dovere, sia anatema!”. Poiché l’Apostolo dice: “La conoscenza gonfia, ma la carità edifica”, -1 Cor VIII, 1- è molto empio pensare che abbiamo la grazia di Cristo per la conoscenza che gonfia e non per la carità che edifica, poiché è anche un dono di Dio sapere ciò che dobbiamo fare e avere l’amore per farlo. Così la carità che edifica impedisce alla conoscenza di gonfiarci. Come è scritto di Dio: “Egli insegna all’uomo la sapienza”, Sal XCIV, 10, così è scritto: “La carità viene da Dio”, 1Gv IV, 7. E così pure nel quinto capitolo: “Chiunque dica che la grazia della giustificazione ci venga data proprio per poter fare più facilmente con essa ciò che dobbiamo fare con il nostro libero arbitrio, in modo che, se la grazia non fosse data, potremmo tuttavia, anche se con minore facilità, osservare i comandamenti di Dio senza di essa, sia anatema!”. Quando parla del frutto dei Comandamenti, il Signore non dice: “Senza di me potete farlo più facilmente”, ma: “Senza di me non potete fare nulla” 1Gv XV, 5.

246Cap. 8. Oltre a queste decisioni inviolabili della Santissima Sede Apostolica con le quali i nostri santi Padri, respingendo l’orgoglio di questa novità malvagia, hanno insegnato che i comandamenti della buona volontà, l’aumento degli sforzi lodevoli e la perseveranza in essi fino alla fine, sono da attribuire alla grazia di Cristo, consideriamo anche i misteri delle preghiere dette dai Sacerdoti. Queste sono stati tramandate dagli Apostoli e vengono celebrate uniformemente in tutto il mondo e in tutta la Chiesa cattolica, affinché la legge della preghiera sia la legge della fede. Quando coloro che presiedono le assemblee sacre svolgono la missione loro affidata, presentano la causa del genere umano alla clemenza divina e, con tutta la Chiesa che geme, chiedono e pregano che sia data la fede agli increduli, che gli idolatri siano liberati dagli errori che li lasciano senza Dio, che scompaia il velo che copre il cuore dei Giudei, che il velo che copre i cuori dei Giudei scompaia e la luce della verità risplenda su di loro; che gli eretici si pentano ed accettino la fede cattolica; che gli scismatici ricevano lo spirito di una rinnovata carità; che a coloro che sono caduti siano dati i rimedi della penitenza; che infine il palazzo della misericordia celeste sia aperto ai catecumeni condotti ai Sacramenti della rigenerazione. Queste richieste non sono rivolte a Dio in modo formale o vano: i fatti lo dimostrano. Dio, infatti, si degna di trarre molte vittime da ogni tipo di errore; “strappate al potere delle tenebre, le introduce nel regno del suo Figlio diletto” Col. I:13, e “da vasi d’ira” le rende “vasi di misericordia” Rm. IX: 22-23. Tutto questo è così fortemente sentito come opera di Dio che continui ringraziamenti e lodi della Sua gloria sono rivolti a Dio che fa queste cose, per aver illuminato e corretto questi uomini.

247Cap. 9. Contempliamo anche con occhio diligente ciò che la santa Chiesa fa uniformemente per i battezzati di tutto il mondo. Quando i bambini o gli adolescenti si accostano al Sacramento della rigenerazione, non entrano nella fonte della vita finché lo spirito immondo non sia stato espulso da loro attraverso gli esorcismi e le esalazioni dei sacerdoti; affinché sia veramente messo in luce come “il principe di questo mondo viene scacciato” (Gv XII,31), come “prima l’uomo forte viene legato” (Mt XII, 29), e poi “gli vengono tolti i beni” (Mc III, 27), che passano in possesso del vincitore, che “ha fatto prigionieri i prigionieri” (Ef IV, 8) e che “fa doni agli uomini” (Sal LXVII,19).

248 – Queste regole della Chiesa e queste prove fondate sull’autorità divina ci hanno talmente confermato, con l’aiuto del Signore, che professiamo che Dio sia l’Autore di tutti i buoni movimenti e le buone azioni, di tutti gli sforzi e di tutte le virtù che, fin dagli inizi della fede, ci fanno tendere verso Dio. Non dubitiamo che la sua grazia anticipi tutti i meriti dell’uomo. Attraverso di Lui cominciamo a “volere” e a “fare” del bene Ph. II:13. Questo aiuto e questa assistenza da parte di Dio non tolgono il libero arbitrio, ma lo liberano, in modo che dalle tenebre diventi luce, dalla perversione diventi diritto, dal languore diventi salute, dall’imprudenza diventi saggezza. Perché è così grande la bontà di Dio verso tutti gli uomini che vuole che i nostri meriti siano suoi doni e che ci dia una ricompensa eterna per ciò che ci ha elargito. Egli opera in noi per volere e fare ciò che vuole, e non permette che ciò che ci ha dato rimanga inattivo in noi, affinché lo usiamo, non lo trascuriamo, affinché siamo anche noi cooperatori della grazia di Dio. Se vediamo che qualcosa langue in noi a causa della nostra viltà, rivolgiamoci a Colui che guarisce tutte le nostre lingue e riscatta la nostra vita dalla morte, Sal. CII, 3-4, al quale diciamo ogni giorno: “Non ci indurre in tentazione, ma liberaci del male” Mt. VI:13.

249 – Cap. 10. Per quanto riguarda i punti più profondi e difficili delle questioni che si pongono, e che sono stati trattati nella misura più ampia da coloro che hanno resistito agli eretici, non osiamo disprezzarli, né riteniamo necessario citarli, per confessare la grazia di Dio. Non osiamo disprezzarli, né riteniamo necessario farvi riferimento, perché per confessare la grazia di Dio, alla cui opera misericordiosa non può sfuggire assolutamente nulla, riteniamo sufficiente ciò che questi scritti ci hanno insegnato, secondo le norme della Sede Apostolica già citate, tanto che non consideriamo più come cattolico ciò che sembrerebbe contrario alle sentenze sopra stabilite.

CONCILIO DI EFESO (3° ecumenico)

22 giugno – Settembre 431

Prima sessione dei Cirilliani, 22 giugno 431.

a) 2a lettera di Cirillo di Alessandria a Nestorio

L’incarnazione del Figlio di Dio

250 – Non diciamo infatti che la natura del Verbo con una trasformazione si sia fatta carne, né che si sia trasformata in un uomo completo, composto di anima e corpo, ma piuttosto questo: il Verbo, avendo unito secondo l’ipostasi una carne animata da un’anima ragionevole, si è fatto uomo in modo indicibile ed incomprensibile ed ha ricevuto il titolo di Figlio dell’uomo, non per semplice volontà o piacere, né perché ne avrebbe assunto solo il carattere; e diciamo che le nature sono diverse quando sono riunite in una vera unità, e che dalle due è nato un solo Cristo ed un solo Figlio, non perché la differenza delle nature sia stata abolita dall’unione, ma piuttosto perché la divinità e l’umanità hanno formato per noi l’unico Signore Cristo e Figlio con la loro ineffabile ed indicibile compresenza nell’unità. Così, sebbene Egli sussista prima dei secoli e sia stato generato dal Padre, si dice anche che sia stato generato secondo la carne da una donna, non che la sua natura divina abbia cominciato ad essere nella santa Vergine, né che abbia avuto necessariamente bisogno di una seconda nascita attraverso di Lei dopo quella che aveva ricevuto dal Padre, È infatti una leggerezza e un’ignoranza dire che Colui che esiste prima dei secoli ed è co-eterno con il Padre, abbia bisogno di una seconda generazione per esistere, ma poiché fu per noi e per la nostra salvezza che si unì secondo l’ipostasi dell’umanità e nacque dalla Donna, si dice che fosse generato da Lei secondo la carne.

251 (questo numero è suddiviso in sottocapitoli: 251a; 251b; 251c; 251d; 251e) –

Infatti, non è stato un uomo comune quello che è stato generato per primo dalla Beata Vergine e sul quale è poi disceso il Verbo, ma è per essere stato unito alla sua umanità fin dal grembo materno che si dice che abbia subìto la generazione carnale, in quanto si è appropriato della generazione della sua stessa carne. Così diciamo che abbia sofferto ed è risorto, non che il Dio-Verbo abbia sofferto nella sua natura i colpi, i fori dei chiodi e le altre ferite (perché la divinità è impassibile, essendo incorporea); ma poiché il corpo che è diventato suo abbia sofferto tutto questo, diciamo ancora che è stato Lui (il Verbo) a soffrire per noi: l’Impassibile era nel corpo che soffriva. Ed è allo stesso modo che pensiamo alla sua morte. Perché il Verbo di Dio è per natura immortale, incorruttibile, vivificante e vivificato. Ma ancora, poiché il suo stesso corpo, per grazia di Dio, ha gustato la morte per ogni uomo, come dice Paolo (Eb. II, 9), diciamo che egli ha sofferto la morte per noi: non perché abbia sperimentato la morte per quanto riguarda la propria natura (sarebbe folle dirlo o pensarlo), ma perché, come ho appena detto, la sua carne ha gustato la morte. Così, essendo la sua carne risorta, si parla di risurrezione del Verbo, non perché il Verbo sia caduto nella corruzione, anzi, ma ancora perché la sua carne è stata risuscitata. il corpo è risorto. … Così essi (i santi padri) si sono permessi di chiamare la santa Vergine Madre di Dio, non perché la natura del Verbo o la sua divinità abbia ricevuto l’inizio della sua esistenza dalla santa Vergine, ma perché da lei è stato generato il suo santo corpo animato da un’anima ragionevole, un corpo al quale il Verbo è stato unito secondo l’ipostasi e per questo si dice che è stato generato secondo la carne.

b) 2. Lettera di Nestorio a Cirillo

L’unione delle nature in Cristo

251a – (Cap. 3) Io (noi) credo dunque, dicono i santi padri, nel Signore nostro Gesù Cristo, suo Figlio, suo unigenito. Osservate come essi abbiano dapprima posto come basi “Signore”, “Gesù”, “Cristo”, “Unigenito”, “Figlio”, nomi comuni alla divinità e all’umanità, per poi costruire la tradizione dell’Incarnazione, della Risurrezione e della Passione; Il loro scopo era, una volta stabiliti alcuni nomi significativi comuni all’una e all’altra natura, che ciò che si riferisce alla figliolanza e alla signoria non venisse diviso, e che nell’unicità della figliolanza ciò che si riferisce alle nature non rischiasse di scomparire per confusione.

251b – (Cap. 4) Questo, infatti, aveva insegnato loro Paolo, il quale, accennando all’Incarnazione divina e in procinto di aggiungere la Passione, inizia mettendo questo nome di Cristo comune alle nature, come ho detto poco fa, e poi aggiunge il discorso relativo alle due nature. Che cosa dice in effetti: “Abbiate tra voi gli stessi sentimenti che erano in Cristo Gesù. Egli, che esisteva in forma di Dio, non custodì gelosamente il rango che lo rendeva uguale a Dio, ma (per non citare tutto nei dettagli) si fece obbediente fino alla morte e alla morte di croce” (Fil. II, 5 – Fil. 8). Così, mentre si accingeva a menzionare la morte, affinché non si traesse la conclusione che il Verbo di Dio sia passibile, pone questo nome di Cristo, come appellativo che indica la sostanza impassibile e passibile in una sola Persona, impassibile per la divinità, passabile per la natura corporea.

251c – (Cap. 5) Anche se potrei dire molto su questo argomento, e prima di tutto che in relazione all’economia questi santi Padri non hanno nemmeno menzionato la generazione ma l’Incarnazione, sento che la mia promessa di brevità nel mio preambolo mi trattiene dal discorso e mi porta al secondo punto della Vostra Carità. Lì ho lodato la divisione delle nature secondo la ragione dell’umanità e della divinità e la loro congiunzione in una sola Persona; e anche che voi dite che Dio Verbo non ha avuto bisogno di una seconda generazione dalla Donna e che confessate che la divinità non è suscettibile di sofferenza. Tutto questo è ortodosso perché vero e contrario alle false opinioni di tutte le eresie sulle nature del Signore. Se il resto contiene una saggezza nascosta, incomprensibile per le orecchie dei lettori, spetta alla vostra penetrazione conoscerla: a me, almeno, è sembrato, in ogni caso, ribaltare quanto detto sopra. Infatti, Colui che in precedenza era stato proclamato impassibile e non suscettibile di una seconda generazione, fu nuovamente presentato, non so come, come passibile e creato ex novo, come se le qualità inerenti al Dio-Verbo fossero state distrutte dal congiungimento con il Tempio, o che fosse una cosa da poco agli occhi degli uomini che il Tempio senza peccato, inseparabile dalla natura divina, dovesse subire la generazione e la morte per amore dei peccatori, o che la voce del Signore che gridava ai Giudei non fosse creduta: “Distruggete questo Tempio e lo farò risorgere in tre giorni” Gv. II, 19 e non: “Distruggete la mia divinità e sarà risorta in tre giorni”.

251d – (Cap. 6)… In ogni luogo della divina Scrittura, quando si parla dell’economia del Signore, la generazione e la Passione che vengono presentate non sono quelle della divinità, ma dell’umanità di Cristo, così che la santa Vergine deve essere chiamata con una denominazione più esatta Madre di Cristo e non Madre di Dio. Ascoltate anche le parole del Vangelo che proclamano: “Nel Libro della genealogia di Gesù Cristo, si dice: figlio di Davide, figlio di Abramo” Mt I,1 È chiaro, dunque, che il Dio-Verbo non era figlio di Davide. Vi prego di considerare un’altra testimonianza: “Giacobbe generò Giuseppe, sposo di Maria, dalla quale fu generato Gesù, che essi chiamano il Cristo”. Mt I, 16 Esaminate un’altra voce che ci testimonia: “Questa fu la generazione di Gesù Cristo”. Poiché Maria, sua madre, era promessa sposa di Giuseppe, rimase incinta per opera dello Spirito Santo” Mt I, 18. Chi potrebbe supporre che la divinità del Figlio unigenito sia una creatura dello Spirito? E che dire di questa parola: “La Madre di Gesù era lì” Gv. II,1. E ancora: “Con Maria, madre di Gesù” At, 1,14, e “Ciò che fu generato in lei fu dallo Spirito Santo” Mt I, 20 e: “Prendi il bambino e sua madre e fuggite in Egitto” Mt. II,13; ed a proposito del suo Figlio, che è nato dalla stirpe di Davide secondo la carne” Rm. 1,3 e ancora a proposito della Passione: “Dio, avendo mandato il suo Figlio a somiglianza di carne di peccato e a causa del peccato, ha condannato il peccato nella carne” Rm. VIII, 3 e ancora: “Cristo è morto per i nostri peccati” 1Co XV, 3 e: “Cristo ha sofferto nella sua carne” 1Pt IV, 1 e: “Non è questa la mia divinità, ma il mio corpo spezzato per voi” 1Co XI, 24.

251e – (Cap. 7) E poiché un’infinità di altre voci testimoniano al genere umano che la divinità del Figlio non è da considerarsi recente o passibile di sofferenza corporea, ma piuttosto la carne unita alla natura della divinità (per cui Cristo si definisce Signore di Davide e suo figlio: “Qual è la vostra opinione”, dice, “del Cristo? Di chi è figlio? Gli dicono: “di Davide”. Gesù rispose loro: “Come mai Davide, sotto l’azione dello Spirito, lo chiama Signore, dicendo: “Il Signore disse al mio Signore”: Mt XXII, 42-44 (nel pensiero che Egli è interamente figlio di Davide secondo la carne, ma Signore di Davide secondo la divinità), è bene e conforme alla tradizione evangelica confessare che il corpo è il Tempio della divinità del Figlio e un Tempio unito secondo una congiunzione suprema e divina, così che la natura della divinità si appropria di ciò che appartiene a questo Tempio; Ma in nome di questa appropriazione, attribuire al Verbo anche le proprietà della carne congiunta, cioè la generazione, la sofferenza e la mortalità, è il fatto, fratelli, di un pensiero o traviato dai Greci, o ammalato della follia di Apollinare, di Ario e delle altre eresie, o piuttosto è qualcosa di più grave di queste. Perché necessariamente chi si lascia trascinare dalla parola “appropriazione” dovrà rendere il Verbo Dio partecipe dell’appropriazione, perché di appropriazione si tratta, renderlo partecipe della crescita progressiva e del timore al momento della Passione ed il metterlo nel bisogno dell’assistenza di un Angelo. E passo sotto silenzio la circoncisione, il sacrificio, il sudore, la fame, tutte cose che, attaccate alla carne, sono adorabili come avvenute a causa nostra, ma che, se attribuite alla Divinità, sono false e ci causano, come calunniatori, una giusta condanna.

c) Anatemi di Cirillo di Alessandria, allegati alla lettera del Concilio di Alessandria, a Nestorio (III lettera di Cirillo a Nestorio).

L’unione delle nature in Cristo

252 (1) Se qualcuno non confessa che l’Emmanuele sia Dio in verità e che per questo la Beata Vergine sia la Madre di Dio (perché ha partorito il Verbo di Dio fatto carne dalla carne), sia anatema!

253 (2) – Se qualcuno non confessa che il Verbo, che procede da Dio Padre, sia stato unito secondo l’ipostasi alla carne, e che è un solo Cristo con la sua stessa carne, cioè lo stesso Dio e lo stesso uomo, sia anatema!

254 (3) – Se qualcuno, a proposito dell’unico Cristo, divide le ipostasi dopo l’unione, combinandole secondo la mera congiunzione della divinità, della sovranità o della potenza, e non piuttosto con la riunione secondo un’unione fisica, sia anatema!

255 (4) – Se qualcuno divide in due persone o ipostasi le parole contenute nei Vangeli e negli scritti degli Apostoli, sia quelle pronunciate dai Santi a proposito di Cristo, sia quelle pronunciate da Lui a proposito di se stesso, e ne attribuisce alcune a Lui come ad un uomo considerato separatamente dal Verbo da Dio, e altre al solo Verbo da Dio Padre perché sono appropriate a Dio, sia anatema!

256 (5) – Se qualcuno osi dire che Cristo sia un uomo teoforico e non piuttosto Dio in verità come Figlio unigenito e per natura, poiché il Verbo si è fatto carne e ha comunicato in sangue e carne come noi, sia anatema!

257 (6) – Se qualcuno dice che il Verbo del Padre Dio sia il Dio o il Maestro di Cristo e non confessi piuttosto che lo stesso è sia Dio che uomo, poiché il Verbo si è fatto carne secondo le Scritture, sia anatema!

258 (7) – Se qualcuno dice che Gesù, in quanto uomo, sia stato mosso dal Dio-Verbo e che la gloria del Figlio unigenito sia stata attribuita a Lui come ad un altro che sussiste a parte Lui, sia anatema!

259 (8) – Se qualcuno osi dire che l’uomo assunto debba essere co-adorante e co-glorificato con Dio Verbo e che debba essere chiamato Dio come un altro con un altro (perché ogni volta l’aggiunta della parola “con” costringerà a concepire la cosa in questo modo) e non onora invece l’Emmanuele con un’unica adorazione e non gli rivolga un’unica glorificazione, secondo che il Verbo si è fatto carne, sia anatema!

260 (9) Se qualcuno dice che l’unico Signore Gesù Cristo sia stato glorificato dallo Spirito, come se avesse usato un potere estraneo che gli è venuto dallo Spirito, e che abbia ricevuto da Lui il potere di agire contro gli spiriti immondi e di compiere i suoi segni divini tra gli uomini, e non dica piuttosto che questo Spirito, con cui ha operato i segni divini, fosse il suo proprio, sia anatema!

261 (10) – La Sacra Scrittura dice che Cristo sia stato il Sommo Sacerdote e l’Apostolo della nostra confessione di fede (cfr. Eb. III,1) e che si è offerto per noi come aroma profumato a Dio e al Padre. Se poi qualcuno dice che il nostro Sommo Sacerdote e Apostolo non fosse il Verbo stesso da Dio quando si è fatto carne ed uomo come noi, ma che fosse un altro propriamente distinto da Lui, un uomo nato da donna; o se qualcuno dice che abbia presentato l’offerta per sé e non piuttosto per noi soltanto (perché chi non conosceva il peccato non poteva avere bisogno dell’offerta), sia anatema!

262 (11) –  Se qualcuno non confessa che la carne del Signore sia vivificante e che sia la carne stessa del Verbo venuto da Dio Padre, ma sostiene che sia quella di un altro, distinto da lui e unito a lui secondo la dignità, o che abbia ricevuto solo l’abitazione divina; e se invece non confessa che è vivificante, come abbiamo detto, perché è la carne stessa del Verbo, che ha il potere di vivificare ogni cosa, sia anatema!

263 (12) – Se qualcuno non confessa che il Verbo di Dio abbia sofferto nella carne, sia stato crocifisso nella carne, abbia gustato la morte nella carne e sia il primogenito dai morti, in quanto è vita e vivifica come Dio, sia anatema!

Sentenza del Concilio contro Nestorio.

Condanna del nestorianesimo

264 – Poiché l’onorabile Nestorio, tra l’altro, non ha voluto né obbedire al nostro invito, né ricevere i Vescovi santissimi e reverendissimi che gli abbiamo inviato, siamo stati costretti ad esaminare le empietà che ha pronunciato, come risulta dalle sue lettere, dagli scritti che sono stati letti e dalle dichiarazioni che ha pronunciato recentemente in questa metropoli, e di cui abbiamo testimonianze, lo abbiamo colto nell’atto di pensare e predicare empiamente, costretti sia dai canoni che dalla lettera del nostro santissimo Padre e collega nel ministero Celestino, Vescovo della Chiesa di Roma, siamo giunti, non senza molte lacrime, a questa triste sentenza contro di lui: Nostro Signore Gesù Cristo, da lui bestemmiato, ha deciso con questo santissimo Concilio che il detto Nestorio sia d’ora in poi spogliato della dignità episcopale e separato dall’intero corpo sacerdotale.

VI sessione dei Cirilliani, 22 luglio 431.

L’attaccamento alla professione di fede nicena.

265 – Il santo Concilio ha deciso che a nessuno sia permesso professare, o scrivere, o comporre una confessione di fede diversa da quella definita dai santi Padri riuniti a Nicea con lo Spirito Santo. …

266 – Se qualcuno, Vescovi, chierici o laici, si convincesse di accettare, condividere o insegnare le dottrine contenute nell’esposizione del presbitero Carisio sull’incarnazione dell’unigenito Figlio di Dio, o quelle di Nestorio, che sono dannose e distorte, cada sotto la sentenza di questo santo Concilio ecumenico.

VII sessione dei Cirilli, 31 agosto (?) 431; lettera sinodale.

Condanna del pelagianesimo.

267 – (Can. 1) Il metropolita di un’eparchia che si separa da questo santo Concilio ecumenico… o che ha condiviso le opinioni di Celestio o le condividerà in futuro, non può più agire in alcun modo contro i Vescovi dell’eparchia, mentre d’ora in poi è escluso dal Concilio da ogni comunione ecclesiastica e sospeso da ogni attività.

268 – (Can. 4). Se alcuni chierici si sono separati e hanno osato condividere privatamente o pubblicamente le opinioni di Nestorio o di Celestio, è stato giudicato che anche loro siano stati deposti dal santo Concilio.

XISTIUS (SISTO) III: 31 luglio 432 – 19 Agosto 440

Formula di unione tra Cirillo di Alessandria e i Vescovi della Chiesa di Antiochia, primavera 433.

Le due nature in Cristo

271 – Ciò che pensiamo e diciamo riguardo alla Vergine Madre di Dio e al modo dell’incarnazione dell’unigenito Figlio di Dio, lo diremo brevemente e per quanto è necessario, non per aggiungere qualcosa, ma per assicurarvi pienamente di ciò, come lo abbiamo ritenuto fin dall’inizio, avendolo ricevuto dalle divine Scritture e dalla tradizione dei Santi Padri, senza aggiungere nulla alla fede esposta dai santi Padri di Nicea. Come abbiamo già detto, questo è sufficiente per la conoscenza della vera fede e per la confutazione di ogni errore eretico. Parleremo quindi senza l’audacia di avvicinarci a ciò che è inaccessibile, ma, confessando la nostra debolezza, chiuderemo la bocca a chi vuole attaccarci perché scrutiamo ciò che è al di sopra dell’uomo.

272 – Confessiamo dunque il Signore nostro Gesù Cristo, unigenito Figlio di Dio, perfetto Dio e perfetto uomo, fatto di un’anima ragionevole e di un corpo, generato dal Padre prima dei secoli nella sua divinità, ed alla fine dei giorni lo stesso per noi e per la nostra salvezza, nato dalla Vergine Maria nella sua umanità; lo stesso consustanziale al Padre nella sua divinità e consustanziale a noi nella sua umanità. Poiché delle due nature è stata fatta l’unione, noi confessiamo un solo Cristo, un solo Figlio, un solo Signore. E per questa nozione di unione indissolubile, confessiamo che la santa Vergine è la Madre di Dio, perché il Verbo di Dio si è fatto carne ed uomo, e fin dal momento del concepimento ha unito a sé il Tempio che ha preso da Lei.

273 – Per quanto riguarda le espressioni dei Vangeli e degli Apostoli sul Signore, sappiamo che i teologi ne applicano alcune indifferentemente, perché si riferiscono all’unica Persona, ma distinguono le altre perché si riferiscono alle due nature, e attribuiscono alla divinità di Cristo quelle che sono appropriate a Dio, ed alla sua umanità quelle che segnano il suo abbassamento.

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA (6) “Da s. LEONE Magno a Ilario”.

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA (4). “Da San Siricio e San Zosimo”.

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA

DAGLI APOSTOLI A S.S. PIO XII (4)

HENRICUS DENZINGER

ET QUID FUNDITUS RETRACTAVIT AUXIT ORNAVIT

ADOLFUS SCHÖNMATZER S. J.

ENCHIRIDION SYMBOLORUM DEFINITIONUM ET DECLARATIONUM

De rebus fidei et morum

HERDER – ROMÆ – MCMLXXVI

Imprim.: Barcelona, José M. Guix, obispo auxiliar

(da S. Siricio a S. Zosimo)

S. SIRICIO: dicembre 384 (12 gennaio 385?)-26 novembre 399

Lettera “Directa ad decessorem” al Vescovo Himere di Tarragona, 10 febbraio 385.

Preminenza e autorità dottrinale del Vescovo di Roma.

181 – (Introduzione, par. 1)… Non rifiutiamo alla vostra richiesta una risposta adeguata, poiché, in considerazione del Nostro ufficio, non siamo liberi di nascondere o dissimulare alcunché, dato che lo zelo per la Religione cristiana incombe su di Noi più che su chiunque altro. Portiamo i pesi di tutti coloro che lavorano, e ancora di più, li porta in Noi il beato Apostolo Pietro, che crediamo fiduciosamente ci protegga e ci custodisca in ogni cosa come erede del suo ministero…

182 – (Cap. 15, par. 20) Ora incoraggiamo sempre di nuovo il proposito della vostra fraternità di osservare i canoni e di mantenere i decreti emanati, in modo che ciò che abbiamo scritto in risposta alla vostra richiesta, possiate farlo conoscere a tutti i nostri Vescovi coadiutori, e non solo a quelli della vostra provincia; ma ciò che è stato da Noi stabilito secondo un’ordinanza salutare deve essere inviato anche, insieme alla vostra lettera, a tutti i Vescovi di Cartagine, Betia, Lusitania e Galizia. E sebbene nessun Sacerdote del Signore sia libero di ignorare le decisioni della Sede Apostolica o le venerabili determinazioni dei canoni, può tuttavia essere molto utile e – vista l’anzianità del vostro sacerdozio – molto glorioso per la vostra carità, che quanto vi è stato scritto in termini generali sia portato a conoscenza di tutti i nostri confratelli grazie alla vostra preoccupazione per l’unanimità: Affinché ciò che è stato decretato da Noi, non in modo avventato ma con circospezione, con grande prudenza e lunga riflessione, rimanga inviolato, e che in futuro si chiuda la via delle scuse, che non può più essere aperta a nessuno prima di Noi.

Battesimo degli eretici.

 183 – (Cap. 1, par. 2) (Hai fatto conoscere)… che molti di coloro che sono stati battezzati dagli empi ariani si stanno affrettando verso la Chiesa cattolica, e che alcuni dei nostri fratelli vogliono battezzarli di nuovo: questo non è permesso, perché l’Apostolo lo proibisce (cfr. Ef IV., 5; Eb VI.,4), i canoni vi si oppongono, e lo proibiscono anche i decreti generali inviati alle province dal mio predecessore Liberio, di felice memoria, dopo l’annullamento del concilio di Rimini. Noi li accogliamo nella comunità dei Cattolici con i Novaziani e gli altri eretici, come è stato deciso nel sinodo, con la sola invocazione dello Spirito septiforme e con l’imposizione delle mani del Vescovo – che viene osservata ugualmente da tutto l’Oriente e dall’Occidente; anche voi non dovete più deviare da questa strada, se non volete essere separati dalla comunità con noi con una sentenza sinodale.

La necessità del Battesimo.

184 – (Cap. 2, par. 3) Senza tuttavia voler diminuire la sacra riverenza che si annette alla Pasqua, Noi prescriviamo che il Battesimo sia amministrato senza indugio ai neonati che, a causa della loro età, non sono ancora in grado di parlare, o alle persone che si trovano in qualsiasi necessità di ricevere il santo Battesimo, per non danneggiare le nostre anime se, come risultato della nostra negazione della fonte di salvezza a coloro che la desiderano, alcuni moribondi perdessero il Regno e la loro vita. Chiunque sia minacciato da un naufragio, da un’invasione nemica o da una malattia mortale, sia ammesso, non appena lo chieda, al beneficio della rigenerazione richiesta. L’errore finora commesso in questa materia deve bastare; ora tutti i Sacerdoti si attengano alla regola suddetta, se non vogliono essere strappati dalla solidità della Roccia apostolica su cui Cristo ha costruito tutta la Chiesa.

Il celibato dei chierici.

185 – (cap. 7, par. 8). Abbiamo infatti appreso che molti Sacerdoti e leviti di Cristo, molto tempo dopo la loro consacrazione, hanno procreato figli sia dal proprio matrimonio che da un commercio vergognoso, e che difendono il loro misfatto con il pretesto che nell’Antico Testamento si legge che il permesso di generare è concesso ai sacerdoti e ai ministri. (Contro questa argomentazione il Romano Pontefice obietta:) (Paragrafo 9) Perché ai sacerdoti fu imposto di abitare lontano dalle loro case nel tempio anche nell’anno del loro turno di servizio? Per questo motivo non dovevano avere rapporti carnali, nemmeno con le loro mogli, in modo da risplendere per la purezza della loro coscienza e offrire così un sacrificio gradito a Dio. (Par 10) Perciò, dopo averci illuminato con la sua venuta, il Signore Gesù attesta a sua volta nel Vangelo di essere venuto a compiere la Legge e non ad abolirla (Mt V.,17). E per questo ha voluto che la forma della Chiesa, di cui è lo Sposo, risplendesse dello splendore della castità, in modo da poterla trovare… “senza macchia né ruga” (Ef V,27) nel giorno del Giudizio, quando tornerà. – Per la legge indissolubile di queste disposizioni siamo tutti tenuti, Sacerdoti e leviti, a consacrare il nostro cuore ed il nostro corpo alla sobrietà e alla castità fin dal giorno della nostra ordinazione, per poter piacere al Signore nostro Dio nei sacrifici che offriamo quotidianamente.

3° Concilio di Cartagine, 28 agosto 397

Il Canone delle Sacre Scritture.

186 – (Si decise) che nulla al di fuori delle Scritture canoniche dovesse essere letto nella Chiesa sotto il nome di Scritture divine. Ora, le Scritture canoniche sono: Genesi, Esodo, Levitico, Numeri, Deuteronomio, Nave di Gesù, Giudici, Ruth, quattro libri dei Re, due libri delle Cronache, Giobbe, il Salterio di Davide, cinque libri di Salomone, dodici libri dei Profeti, Isaia, Geremia, Daniele, Ezechiele, Tobia, Giuditta, Ester, due libri di Esdra, due libri dei Maccabei. Per quanto riguarda il Nuovo Testamento: quattro libri dei Vangeli, un libro degli Atti degli Apostoli, tredici epistole dell’apostolo Paolo, dello stesso agli Ebrei, due di Pietro, tre di Giovanni (cfr. Can. 179), una di Giacomo, una di Giuda, l’Apocalisse di Giovanni (è aggiunta in un manoscritto:)… per la conferma di questo canone bisogna consultare la Chiesa d’oltremare.

ANASTASO I: 27 novembre 399-402 (19 dicembre 401)?

1° Consiglio di Toledo, Settembre 400 (405?)

a) Capitolo

La consacrazione del crisma e il suo ministro.

187 -207

187 – Can. 20. (1) Sebbene sia quasi universalmente osservato che nessuno oltre al Vescovo consacra il crisma, perché si dice che in alcuni luoghi o province i presbiteri consacrano il crisma, tuttavia si è deciso che da oggi in poi nessuno oltre al Vescovo consacrerà il crisma e lo distribuirà alle diocesi, e questo nel modo seguente: da ogni chiesa diaconi o suddiaconi siano inviati al Vescovo prima del giorno di Pasqua, in modo che il crisma consacrato e distribuito dal Vescovo possa essere smaltito il giorno di Pasqua. (2) Il Vescovo ha indubbiamente il diritto di consacrare il crisma in qualsiasi momento, ma non si deve fare assolutamente nulla all’insaputa del Vescovo; e si è stabilito che il diacono non compia la crismazione, ma che la compia il presbitero in assenza del Vescovo, e in sua presenza se il Vescovo lo abbia incaricato.

b) il “Symbolum Toletanum” (a. 400) “e la sua forma più lunga come “Libellus in modum symboli” del  Vescovo Pastor di Palencia (477).

Professione di fede contro gli errori dei priscillianisti.

188 – Noi crediamo nell’unico vero Dio, il Padre e il Figlio e lo Spirito Santo, Creatore di tutte le cose visibili e invisibili, per mezzo del quale sono state fatte tutte le cose in cielo e in terra. Questo è l’unico Dio e questa è l’unica Trinità del nome divino (della sostanza divina). (Ma) il Padre non è il Figlio stesso, ma ha un Figlio che non è il Padre. Il Figlio non è il Padre, ma è il Figlio di Dio della natura del Padre. E lo Spirito è il Paraclito, che non è né il Padre stesso né il Figlio, ma procede dal Padre (e dal Figlio). Il Padre è dunque non generato, il Figlio è generato, il Paraclito non è generato ma procede dal Padre (e dal Figlio). È il Padre, la cui voce è stata udita dal cielo: Questo è il mio Figlio diletto, nel quale mi sono compiaciuto; ascoltatelo, (Mt XVII,5; 2P I,17 cfr. Mt III,17. È il Figlio che dice: “Sono uscito dal Padre e sono venuto nel mondo da Dio” (cfr. Gv XVI, 28). È il Paraclito stesso (lo Spirito Paraclito) di cui il Figlio dice: se non vado al Padre, il Paraclito non verrà a voi (Gv XVI, 7). Questa Trinità, distinta in Persone, è una sola sostanza, virtù, potenza, maestà (unita dalla sua virtù e potenza e maestà), indivisibile e senza differenze; al di fuori di essa (crediamo) non c’è natura divina, né di un Angelo, né di uno spirito, né di una potenza che possa essere ritenuta Dio.

189. – Questo Figlio di Dio, dunque, Dio, nato dal Padre prima di ogni inizio, fu santificato nel grembo della beata Vergine Maria (il grembo della Vergine Maria), e da Lei generato senza seme di uomo, assunse una vera umanità (cioè due nature, quella della Divinità e quella dello Spirito Santo), e cioè della Divinità e della carne, erano interamente unite in una sola persona) cioè il Signore Gesù Cristo (e) non aveva un corpo magico o fatto di una mera forma (di un fantasma), ma intero (e vero). E aveva fame e sete, provava dolore e piangeva, e sentiva ogni ferita del corpo (sopportava ogni insulto del corpo). Infine, fu crocifisso (dai Giudei), morì e fu sepolto, (e) il terzo giorno risuscitò; poi conversò con i (suoi) discepoli e nel quarantesimo giorno (dopo la risurrezione) salì al cielo. Questo Figlio dell’uomo è chiamato anche “Figlio di Dio”, ma il Figlio di Dio è chiamato “Dio”, non “Figlio dell’uomo” (ma il Figlio di Dio, Dio, è chiamato Figlio dell’uomo).

190 – Ma noi crediamo nella risurrezione della carne umana (che ci sarà una risurrezione per la carne umana). Ma l’anima dell’uomo non è una sostanza divina o una parte di Dio, bensì una creatura non caduta per volontà divina (noi la chiamiamo creatura creata dalla volontà divina).

191 – (1). Ma se qualcuno dice e/o crede che questo mondo e tutte le sue disposizioni non siano state fatte da Dio onnipotente, sia anatema.

192 – (2). Se qualcuno dice e/o crede che Dio Padre sia lo stesso del Figlio o del Paraclito, sia anatema.

193 – (3). Se un uomo… crede che Dio Figlio (Figlio di Dio) sia lo stesso del Padre o del Paraclito, sia anatema.

194 – (4). Se qualcuno… crede che lo Spirito Paraclito sia il Padre o il Figlio, sia anatema.

195 – (5). se qualcuno… se crede che l’uomo Gesù Cristo non sia stato assunto dal Figlio di Dio (che solo la carne, senza anima, sia stata assunta dal Figlio di Dio), sia anatema.

196 – (6). Se qualcuno… crede che il Figlio di Dio abbia sofferto come Dio (Cristo non può nascere), sia anatema.

197 – (7). Se qualcuno… crede che l’uomo Gesù Cristo fosse un uomo impassibile (la divinità di Cristo era soggetta a cambiamenti e sofferenze), sia anatema.

198 – (8). Se qualcuno… crede che altro sia il Dio dell’antica Legge, altro il Dio dei Vangeli, sia anatema.

199 – (9). Se qualcuno… crede che il mondo sia stato fatto da un altro Dio rispetto a (e non da) quello di cui è scritto: In principio Dio fece il cielo e la terra (cfr. Gen 1,1), sia anatema.

200 – (10). Se qualcuno… crede che i corpi umani non risorgeranno dopo la morte, sia anatema.

201 – (11). Se qualcuno… crede che l’anima umana sia una porzione di Dio o della sostanza di Dio, sia anatema.

202 – (12). Se qualcuno crede che, oltre alle Scritture che la Chiesa cattolica ha ricevuto, altre debbano essere ritenute autorevoli, o se le venera, sia anatema.

203 – (13). Se qualcuno… crede che in Cristo ci sia una sola natura della Divinità e della carne, sia anatema.

204 – (14). Se qualcuno… crede che ci sia qualcosa che possa estendersi al di fuori della Trinità divina, che sia anatema.

205 – (15). Se qualcuno crede che si debba credere all’astrologia o alla matematica (sic!), sia anatema (cfr. Can. 460).

206 – (16). Se qualcuno… crede che i matrimoni ritenuti leciti secondo la Legge divina siano abominevoli, sia anatema.

207 – (17). Se qualcuno… ritiene che non sia solo per la mortificazione del corpo che uno si astenga dalla carne degli uccelli o delle bestie che vengono date in pasto, sia anatema.

208 – (18). Se qualcuno aderisce agli errori della setta di Priscilliano, o li professa, in modo che nel Battesimo di salvezza faccia qualcos’altro, contro la sede di San Pietro, sia anatema.

Lettera “Dat mihi” al vescovo Venerius di Milano, 401 ca.

La questione dell’ortodossia di Papa Liberio.

209. Una grande gioia mi è data dal fatto, che è opera di Cristo, che l’Italia vittoriosa nell’intero universo, infiammato dallo zelo e dalla foga divina, mantenne intatta la fede tramandata dagli Apostoli e stabilita dagli antichi, e questo al tempo, è vero, in cui Costanzo di divina memoria regnava vittorioso sull’universo, e che la fazione ariana non potesse insinuare alcuna eresia e introdurre così le sue contaminazioni, perché il nostro Dio, crediamo, si è preoccupato che questa fede santa e immacolata non venisse alterata dalla bestemmia di uomini infami: quella fede che era stata esaminata e definita nella riunione del sinodo di Nicea da uomini santi e da Vescovi già riuniti nel resto dei santi. Per questo accettarono di buon grado l’esilio coloro che allora si mostrarono santi Vescovi, cioè Dionigi, per questo servo di Dio, uomo istruito dall’insegnamento divino, e quelli di santa memoria che seguirono il suo esempio, Liberio, il Vescovo della Chiesa romana, Eusebio di Vercelli, Ilario di Gallia, per non parlare dei molti che possono aver preferito essere fissati sulla croce piuttosto che bestemmiare Dio Cristo come esortava l’eresia ariana, o chiamare il Figlio di Dio, Dio Cristo, una creatura del Signore.

(Segue la condanna dei libri di Origene di Alessandria tradotti in latino da Ruffin, v. 353 )

S. INNOCENZO I: 21 (22?)

Dicembre 402 – 12 marzo 417

Lettera “Etsi tibi” al vescovo Victricium di Rouen, 15 febbraio 404.

Battesimo degli eretici

211 – (Cap. 8, Par. 11) (È bene vedere)… che coloro che provengano dai Novaziani o dai Montanisti siano ricevuti solo con l’imposizione delle mani; infatti, sebbene siano stati battezzati da eretici, sono stati comunque battezzati nel Nome di Cristo.

Lettera “Consulenti tibi” al Vescovo Esuperio di Tolosa, 20 Febbraio 405

Riconciliazione in articulo mortis (al momento della morte).

212 – (Cap. 2)… Ci si è chiesti come ci si debba comportare nei confronti di coloro che, dopo il Battesimo, si siano abbandonati senza sosta alla voluttà carnale e che, alla fine della loro vita, chiedono sia la Penitenza che la riconciliazione nella Comunione. Per loro la prescrizione antica è più severa; quella più recente è più mite, come misura di misericordia. Infatti, secondo l’antica consuetudine, si richiedeva che venisse concessa loro la Penitenza, ma che venisse rifiutata la Comunione. Infatti, in quei tempi lontani in cui le persecuzioni erano frequenti, la Comunione veniva giustamente rifiutata, per evitare che, a causa di una pace ottenuta troppo facilmente, i fedeli, sicuri della loro riconciliazione, si lasciassero trascinare ancora di più nell’apostasia; ma si concedeva loro la Penitenza per non rifiutare tutto, e la durezza dei tempi rendeva più difficile il perdono. Ma dopo che Nostro Signore aveva riportato la pace nelle sue Chiese ed il terrore era passato, si decise di concedere la Comunione ai moribondi – che sarebbe stata come un viatico, grazie alla misericordia divina, per coloro che stavano per morire, per non dare l’impressione di seguire la durezza e il rigore dell’eretico Novaziano, che negava la possibilità del perdono. La Comunione sarà quindi concessa con la Penitenza in extremis: in questo modo gli uomini di cui abbiamo parlato, almeno nei loro ultimi momenti, e con il consenso di nostro Signore, saranno salvati dalla dannazione eterna.

Il Canone delle Sacre Scritture e i Libri Apocrifi

213 – (Cap. 7) I libri accolti nel canone sono indicati in una breve appendice. Questo è ciò che volevate fosse indicato: cinque libri di Mosè, cioè Genesi, Esodo, Levitico, Numeri, Deuteronomio, e uno di Giosuè, uno di Giudici, quattro libri dei Re, allo stesso tempo Ruth, sedici libri dei Profeti, cinque libri di Salomone, il Salterio. Allo stesso modo i libri di storia: un libro di Giobbe, uno di Tobia, uno di Ester, uno di Giuditta, due di Maccabei, due di Esdra, due di Cronache. Così come quelli del Nuovo Testamento: quattro Vangeli, 14 epistole dell’Apostolo Paolo, tre epistole di Giovanni, due epistole di Pietro, (un’epistola di Giuda), un’epistola di Giacomo, gli Atti degli Apostoli, l’Apocalisse di Giovanni. Quanto al resto, che appare o sotto il nome di Matteo o sotto quello di Giacomo il Minore, o sotto quello di Pietro e Giovanni, scritto da un certo Leucio, (o sotto il nome di Andrea, scritto dai filosofi Xenocharide e Leonida) o sotto il nome di Tommaso, e se ci sono altri scritti, non solo devono essere respinti, ma, come sapete, condannati.

Lettera “Magna me gratulatio”. a Rufo e ad altri Vescovi della Macedonia, 13 dic. 414.

La forma del Battesimo

214 – (Si spiega perché, secondo i canoni 8 e 19 di Nicea Can.127-128, i paulisti che tornano alla Chiesa, debbano essere ribattezzati ma non i Novaziani:)

(Cap. 5, § 10) Che ci sia una distinzione tra queste due eresie, la ragione lo chiarisce, perché i paulisti non battezzano affatto nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, mentre i Novaziani battezzano in questi stessi Nomi temibili e venerabili, e con loro l’unità della potenza divina, cioè del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, non è mai stata messa in discussione.

Lettera “Si instituta ecclesiastica” al Vescovo Decenzio di Gubbio, 19 marzo 41

Il Ministro della Cresima.

215. (Cap. 3, §. 6) Per quanto riguarda la cresima dei bambini, si sa che non debba essere fatta da altri che dal Vescovo. Infatti, i presbiteri, pur essendo Sacerdoti di secondo grado, non hanno il grado supremo del pontificato. Che questo pontificato spetti solo ai Vescovi, affinché possano consegnare o trasmettere lo Spirito Paraclito, è attestato non solo dalla consuetudine della Chiesa, ma anche da quel passo degli Atti degli Apostoli che riferisce che Pietro e Giovanni furono inviati a trasmettere lo Spirito Santo a coloro che erano già stati battezzati (cfr. At. VIII, 14-17). Infatti, ai presbiteri è permesso, quando battezzano senza il Vescovo o in presenza del Vescovo, di ungere i battezzati con il crisma, che però è stato consacrato dal Vescovo; ma non di segnare la fronte con lo stesso olio, cosa che spetta solo ai Vescovi quando impartiscono lo Spirito Paraclito. Le parole, tuttavia, non posso dirle, per non sembrare che io stia rivelando (il mistero) piuttosto che rispondere ad una richiesta.

Unzione degli infermi

216. – (Cap. 8, §. II) Poiché la vostra carità desiderava consultarsi su questo come sul resto, mio figlio, il diacono Celestino, ha aggiunto nella sua lettera che la vostra carità ha menzionato ciò che è scritto nell’epistola di San Giacomo: “C’è qualcuno tra voi che è malato? Si chiamino i presbiteri della Chiesa e si faccia che preghino su di lui, dopo averlo unto con olio nel nome del Signore. La preghiera di fede salverà il paziente e il Signore lo farà risorgere. Se ha commesso dei peccati, gli saranno perdonati”, Giacomo V: 14-15. Non c’è dubbio che sia necessario sentirlo e capirlo dai fedeli ammalati che possano essere unti con l’olio santo del crisma, che viene fatto dal Vescovo, e che è permesso non solo ai Sacerdoti, ma anche a tutti i Cristiani di usare per l’unzione, nelle loro necessità personali, o in quelle dei loro parenti.  D’altra parte, questa aggiunta ci sembra superflua: ci si chiede se il Vescovo possa fare ciò che è certamente permesso ai presbiteri. Infatti, il motivo per cui vengono menzionati i presbiteri è che i Vescovi, impediti da altre occupazioni, non possano recarsi da tutti i malati. Ma se un Vescovo ha la possibilità di farlo, e se giudica che qualcuno meriti di essere visitato da lui, può benedirlo e ungerlo con il crisma senza difficoltà, poiché è lui a fare il crisma. Non può essere unta sui penitenti, perché è dell’ordine del sacramento. Per coloro ai quali sono stati negati gli altri sacramenti, come possiamo pensare di concedere loro uno di questi?

In requirendis, ai Vescovi del Concilio di Cartagine, 27 gennaio 417.

La preminenza della Sede di Roma.

217 – (Cap. 1) Nel consultarci sulle cose divine … fedeli agli esempi dell’antica tradizione, … avete affermato il vigore del vostro spirito religioso in modo veritiero, non meno ora quando chiedete consiglio che prima quando vi pronunciavate, che approvavate di rimettervi al nostro giudizio, sapendo ciò che è dovuto alla Sede Apostolica, poiché tutti Noi che siamo stabiliti in questo luogo desideriamo seguire l’Apostolo da cui deriva l’episcopato e tutta l’autorità di questo nome. È seguendo lui che abbiamo imparato a condannare ciò che è malvagio e ad approvare ciò che è lodevole, come avete stimato nella vigilanza del vostro ufficio sacerdotale, affinché le ordinanze dei Padri non siano calpestate”; i Padri, infatti, con un pensiero più divino che umano, avevano stabilito che qualsiasi affare da trattare, anche nelle province più remote e appartate, non dovesse essere considerato concluso finché non fosse stato portato a conoscenza di questa Sede, affinché confermi con tutta la sua autorità le giuste sentenze e affinché le altre Chiese – come le acque che sgorgano dalla loro fonte originaria e scorrono in tutte le regioni del mondo in torrenti puri dalla sorgente incorrotta – ricevano da lui ciò che dovranno prescrivere e sappiano chi devono purificare e chi, macchiato di ineffabile sporcizia, non riceverà l’acqua degna di corpi puri.

Lettera “Inter ceteras Ecclesiæ Romanæ” a Silvanus e gli altri padri del Concilio di Mileto, 27 gennaio 417.

La preminenza della Sede romana.

218 – (Cap. 2) Con diligenza, dunque, e come è giusto, avete consultato l’arcano dell’ufficio apostolico – l’ufficio, dico, di colui al quale appartiene “oltre alle cose esteriori, la cura di tutte le Chiese” 2 Co XI: 28 – riguardo alla posizione da assumere nelle questioni dubbie, e in questo vi siete conformati a quella che è l’antica regola, che, come sapete, è sempre stata osservata con Me dall’intero universo… Perché lo avete confermato anche voi con la vostra azione, se non perché sapete che le risposte arrivano sempre dalla fonte apostolica in tutte le province, per coloro che le richiedono? Soprattutto ogni volta che si discute di una questione di fede, penso che tutti i nostri fratelli e Vescovi debbano riferirsi a Pietro, cioè al garante del suo nome e del suo ufficio, come ha fatto ora la vostra Carità, per chiedere cosa possa essere di beneficio per tutte le Chiese insieme nel mondo intero. Devono anzi diventare più prudenti, quando vedono che, secondo la relazione del doppio sinodo, gli inventori del male sono separati dalla comunione dalle determinazioni del nostro giudizio.

La necessità del battesimo.

219 – (cap. 5) … che i bambini piccoli possano, anche senza la grazia del Battesimo, godere dei premi della vita eterna, è insensato al massimo grado. Se infatti non mangiano la carne del Figlio dell’uomo e non bevono il suo sangue, non avranno la vita in loro (cfr. Gv VI, 53). Coloro che sostengono che questi bambini la avranno senza essere nati, mi sembra che vogliano rendere vano il Battesimo stesso, predicando che essi hanno ciò che la fede professa possa essere loro conferito solo dal Battesimo. Se poi, come vogliono, non c’è alcuna conseguenza negativa nel non nascere di nuovo, devono anche professare che le acque sante della nuova nascita sono inutili. Ma la verità può superare rapidamente la dottrina errata di questi uomini vani con le parole del Signore nel Vangelo: “Lasciate che i bambini piccoli vengano a me e non impediteli, perché a loro appartiene il regno dei cieli” (cfr. Mt XIX,14 Mc X,14 Lc XVIII,16).

S. ZOSIMO: 18 marzo 417-26 Dicembre 418

Lettera “Quamvis Patrum” al Concilio di Cartagine, 21 marzo 418.

L’autorità dottrinale del Vescovo di Roma.

221 – (N. 1) Sebbene la tradizione dei Padri abbia riconosciuto alla Sede Apostolica un’autorità tale che nessuno ha osato mettere in discussione il suo giudizio, e l’abbia sempre osservata con canoni e regole, e con le sue leggi la disciplina ecclesiastica finora in vigore si manifesta nel nome di Pietro, da cui essa stessa discende, la riverenza che le è propria: … (3) Sebbene, dunque, Pietro sia l’origine di tale autorità, e i successivi decreti di tutti gli anziani confermino che la Chiesa romana sia stabilita da tutte le leggi e le consuetudini umane e divine – e voi non lo ignorate, ma lo avete appreso, cari fratelli, e come Sacerdoti dovete sapere che Noi dirigiamo la Sede di essa e deteniamo anche il potere in suo nome: (4) e mentre avremmo un’autorità tale che nessuno potrebbe più contestare la nostra decisione, non abbiamo comunque fatto nulla che non avremmo portato d’ufficio a vostra conoscenza con la nostra lettera; concedendo questo alla fratellanza e consultandoci insieme, non perché non avremmo saputo cosa si dovesse fare, o che avremmo fatto qualcosa che sarebbe dispiaciuto perché sarebbe andato contro l’utilità della Chiesa, ma abbiamo voluto trattare con voi insieme con lui (Celestino che è accusato).

XV° (o XVI°) Concilio di Cartagine, iniziato il 1° maggio 418.

Il peccato originale.

222Can. 1. Fu deciso da tutti i Vescovi riuniti nel santo concilio di Cartagine: Chiunque dica che Adamo, il primo uomo, fosse creato mortale in modo tale che, sia che peccasse o meno, dovesse morire corporalmente, cioè che lasciare il corpo non sarebbe stata una conseguenza del peccato, ma una necessità della natura, sia anatema.

223Can. 2. È stato deciso allo stesso modo: chi nega che i bambini debbano essere battezzati, o dice che siano battezzati per la remissione dei peccati, ma che non abbiano nulla del peccato originale di Adamo che il bagno di rigenerazione dovrebbe espiare, con il risultato che per loro la formula del Battesimo “per la remissione dei peccati” non abbia un significato vero ma falso, sia anatema! Non si possono infatti intendere in altro modo le parole dell’Apostolo: “Per mezzo di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e la morte per mezzo del peccato, e così la morte è entrata in tutti gli uomini, avendo tutti peccato in lui” (Rm. V, 12), se non nel modo in cui la Chiesa cattolica, diffusa in tutto il mondo, l’ha sempre intesa. Infatti, è a causa di questa regola di fede che anche i neonati, che non sono ancora in grado di commettere alcun peccato proprio, sono tuttavia veramente battezzati per la remissione dei peccati, affinché la rigenerazione purifichi in loro ciò che la generazione ha portato.

224Can. 3. È stato deciso allo stesso modo: chi dice che il Signore ha detto: “Nella casa del Padre mio ci sono molte dimore” (Gv XIV, 2) per far intendere che c’è un certo luogo nel regno dei cieli, in mezzo o altrove, dove vivono beati i bambini che hanno lasciato questa vita senza il Battesimo, senza il quale non possono entrare nel Regno dei cieli, che è la vita eterna, sia anatema! Poiché il Signore dice: “Se uno non nasce da acqua e da Spirito Santo, non entrerà nel regno dei cieli” (Gv. III, 5), quale Cattolico dubiterà di essere un compagno del diavolo chi non ha meritato di essere un coerede di Cristo? Perché colui che non è a destra sarà senza dubbio collocato a sinistra.

La Grazia.

225Can. 3. È stato deciso allo stesso modo: chi dice che la grazia di Dio, che giustifica l’uomo per mezzo del Signore Gesù Cristo, sia solo per la remissione dei peccati già commessi, ma non per aiutarlo a non commetterne più, sia anatema!

226Can. 4. Allo stesso modo: chi dice che questa stessa grazia di Dio per mezzo del nostro Signore Gesù Cristo ci aiuti a non peccare più nel senso che ci rivela e ci apre la comprensione dei comandamenti, in modo che sappiamo ciò che dobbiamo desiderare e ciò che dobbiamo evitare, ma non ci dà in alcun modo l’amore e la forza di fare anche ciò che abbiamo riconosciuto come nostro dovere, sia anatema! Poiché l’Apostolo dice: “La conoscenza gonfia, ma la carità edifica” (1 Cor. VIII, 1), è molto empio pensare che abbiamo la grazia di Cristo per la conoscenza che gonfia e non per la carità che edifica, poiché è anche un dono di Dio sapere ciò che dobbiamo fare e avere l’amore per farlo. Quindi la carità che edifica impedisce alla conoscenza di renderci troppo grandi. Come è scritto di Dio: “Egli insegna all’uomo la conoscenza”, Sal XCIII, 10, così è scritto: “L’amore è da Dio”, 1Gv. IV, 7.

227 – Can. 5. 11. È stato deciso allo stesso modo: chi dice che la grazia della giustificazione ci viene data proprio per poter compiere più facilmente con essa ciò che dobbiamo fare con il nostro libero arbitrio, in modo che, se non ci venisse data la grazia, potremmo comunque, anche se con meno facilità, osservare senza di essa i comandamenti di Dio, sia anatema! Quando parla del frutto dei comandamenti, il Signore non dice: “Senza di me potete farlo con maggiore difficoltà”, ma: “Senza di me non potete fare nulla” Gv XV, 5.

228 Can. 6. È stato deciso allo stesso modo: l’Apostolo Giovanni dice: “Se diciamo di non avere peccato, inganniamo noi stessi e la verità non è in noi”. 1Gv I, 8. Chiunque pensi che questo sia il modo in cui deve essere inteso: è umiltà dire che abbiamo peccato, ma non perché è la verità, sia anatema! Infatti l’Apostolo aggiunge subito: “Se confessiamo i nostri peccati, Egli è fedele e giusto da perdonare i nostri peccati e da purificarci da ogni iniquità” 1Gv I,9. Questo passaggio rende sufficientemente chiaro che ciò non è detto solo in umiltà, ma anche in verità. Infatti, l’Apostolo poteva dire: “Se diciamo: “Non abbiamo peccato”, ci vantiamo e l’umiltà non è in noi”, ma dicendo: “Inganniamo noi stessi e la verità non è in noi”, dimostra a sufficienza che chi si dichiari senza peccato non dice la verità, ma la falsità.

229 – Can. 7. È stato deciso allo stesso modo: chi dice che nel Padre Nostro i santi dicono: “Rimetti a noi i nostri debiti”, Mt. VI, 12 non per se stessi, poiché non hanno più bisogno di fare questa richiesta, ma per altri del loro popolo che sono peccatori, potendosi ritenere giusto, sia anatema! Santo e giusto, infatti, era l’Apostolo San Giacomo, quando diceva: “Tutti pecchiamo in molte cose” Giacomo III, 2. Sal CXLII, 2; e nella preghiera del sapientissimo Salomone: “Non c’è uomo che non abbia peccato” 1Re VIII, 46 e nel libro del santo Giobbe: “Egli sospende l’attività degli uomini, affinché ciascuno riconosca la propria debolezza” Giobbe XXXVII, 7; anche il santo e giusto Daniele, quando disse al plurale: “Abbiamo peccato e commesso iniquità”, e altre parole che confessa con verità e umiltà; affinché non si pensi, come alcuni credono, che non stia parlando dei propri peccati, ma piuttosto di quelli del suo popolo, aggiunge: “Quando…”. … ho pregato e confessato i miei peccati e i peccati del mio popolo” al Signore mio Dio, non intendeva “i nostri peccati”, ma “i peccati del suo popolo” e “i suoi”, perché, come profeta, vedeva in anticipo che ci sarebbero stati uomini che lo avrebbero capito molto male.

230Can. 8. È stato deciso allo stesso modo: Queste parole del Padre Nostro, in cui diciamo: “Rimetti a noi i nostri debiti” Mt VI, 12, tutti coloro che vogliono che i santi le dicano per umiltà e non in verità, siano anatema! Chi allora ammetterebbe che chi prega, non solo agli uomini, ma al Signore stesso mente, dichiarando con le labbra di voler essere perdonato e dicendo in cuor suo di non avere debiti da rimettere?

Epistula tractoria alle Chiese orientali, tra il giugno e l’agosto del 418.

Il peccato originale.

231 – Il Signore è fedele nelle sue parole Sal CXLIV, 13, e il suo Battesimo, nella sua realtà e nelle sue parole, cioè in ciò che si fa, nella confessione di fede e nella vera remissione dei peccati, contiene la stessa pienezza per ogni sesso, ogni età ed ogni condizione dell’uomo. Nessuno, infatti, diventa libero se non è schiavo del peccato, e nessuno può dirsi salvato se non chi un tempo fosse stato veramente prigioniero del peccato, come sta scritto: “Se il Figlio vi ha liberati, sarete liberi davvero”. Gv. VIII: 36. Perché per mezzo di Lui siamo rinati spiritualmente, per mezzo di Lui siamo crocifissi al mondo. Con la sua morte è stato strappato quel decreto di morte (cfr. Col. II, 14) che era stato contratto con la propagazione e che era stato introdotto da Adamo per tutti noi e trasmesso a ogni anima – un decreto a cui tutti coloro che nascono, senza eccezione, sono soggetti prima di essere liberati dal Battesimo.

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA (5) “Da San Bonifacio I a Sisto II”

TU SEI PIETRO (2)

Monsignor Tihamér Tóth

VESCOVO DI VESZPRÉM

“Tu sei Pietro”

STORIA E ATTUALITÀ DEL PONTEFICE ROMANO (II)

1956

CENSURA ECLESIASTICA

Nihil obstat: Dr. Vicente Serrano Censore

IMPRIMATUR: † JOSE MARIA. Ob. Ausiliario e Vicario Generale

Madrid, 2 marzo 1956

Capitolo II

L’INFALLIBILITÀ DEL PAPA

Abbiamo appena studiato nell’ultimo capitolo il triplice scopo del Papato, come Gesù Cristo abbia conferito a San Pietro e a tutti i suoi successori il supremo potere della Chiesa; il supremo potere magisteriale, di governo e sacerdotale; cioè come abbia posto nelle mani del Pontefice di Roma i destini della Chiesa. Ma, per questa missione, al di là delle forze dell’uomo, il Papa ha bisogno di aiuto soprannaturale e sovrumano. Infatti, se il Papa non avesse l’assistenza dello Spirito Santo, se, nell’indicare alla Chiesa di Cristo, le vie del dogma e della morale, potrebbe sbagliare, allora sarebbe impossibile evitare che nel corpo della Chiesa si aprano piaghe, che un giorno o l’altro ne causerebbero la morte. Ma Cristo dice che la sua Chiesa deve rimanere fino alla fine del mondo. Né “le porte dell’inferno” prevarranno contro di essa. La Chiesa di Gesù Cristo sussisterà finché sulla terra vivrà un uomo a cui Egli potrà comunicare i tesori della redenzione. Pertanto, se la Chiesa di Cristo non è destinata a finire, né a sbagliare, lo stesso si deve dire del suo Capo. Se il timoniere fallisce o viene ingannato, la nave perirà tra gli scogli. Il timoniere della Chiesa, che è il Papa, il successore di Pietro, deve essere infallibile in materia di morale e di fede.

L’infallibilità del Papa! Ecco un dogma che troppo spesso è esposto agli attacchi di uomini frivoli. “Che cosa avete fatto del Papa? – ci dicono: – volete elevarlo al rango di un Dio? È una cosa inaudita, affermare che un uomo sia infallibile!…”. Tuttavia, chi medita su questo con serenità, anziché scandalizzarsi del fatto che Gesù Cristo abbia concesso l’infallibilità al Papa in materia di fede e di morale, proverà gratitudine e persino orgoglio. – Contro questo scandalo farisaico di uomini frivoli, vogliamo spiegare i seguenti tre punti: I. L’infallibilità del Papa è davvero un dono di Gesù Cristo; II. Corrisponde al fine della Chiesa; e III. Che che non rientra nel concetto di infallibilità.

I. L’infallibilità è un dono di Cristo

Il dogma dell’infallibilità significa che quando il Papa, il supremo maestro della cristianità, parla ufficialmente a tutta la Chiesa, imponendo il suo giudizio su questioni di fede e di morale, non può sbagliare. Tale attributo è così intimamente legato alla missione del Papato che, se mancasse, sentiremmo la mancanza di una forza essenziale tra le energie che devono certamente trionfare sulle porte dell’inferno. Ma noi sappiamo, perché Gesù Cristo lo ha detto, che questa forza esiste.

A) È già di grande interesse il passo registrato nel Vangelo sul primo incontro di Gesù Cristo con Pietro. Questo evento avvenne all’inizio dell’attività pubblica del Redentore. Il Signore si mosse incontro a Giovanni Battista, e quando quest’ultimo lo vide, esclamò con entusiasmo: “Ecco l’Agnello di Dio” (Gv I, 36). Con il Battista c’erano due dei suoi discepoli, Andrea e Giovanni, che sarebbero poi diventati Apostoli e che poterono vedere il Signore, e ne furono entusiasti. Andrea, fuori di sé, corse a portare a suo fratello, Simon Pietro, questa notizia: “Abbiamo trovato il Messia”. (Gv I,41). Pietro si commosse alle sue parole. “Cosa? Avete trovato il Messia? Dov’è?”… e Pietro andò con suo fratello a trovare Gesù. C’è qualcosa di molto interessante in questo racconto evangelico. Quando i due discepoli del Battista, Andrea e Giovanni, andarono a trovare Gesù, il Vangelo non riporta nulla di speciale. Eppure è certo che Gesù fissasse con profondo amore gli occhi puri e vergini di San Giovanni, il cui sguardo si sarebbe posato un giorno sul suo Corpo divino appeso alla croce. Guardava anche con profondo amore negli occhi di Andrea, pieni di ardore ed entusiasmo, e che un giorno sarebbero stati chiusi per sempre nel supplizio della croce per amore del suo Maestro. Tuttavia, nel Vangelo non si dice nulla di questi sguardi profondi di Gesù. Ma ora, quando è Simone a venire a trovarlo, il il Vangelo afferma esplicitamente: “Intuitus autem eum Jesus“: “Gesù fissò i suoi occhi su di lui”. Le parole del testo latino, come quelle del testo greco, significano uno sguardo penetrante che arriva al profondo dell’anima. Non è “aspexit“, né “vidit“, ma “intuitus“. Il Signore guardò in profondità nell’anima di anima di Simone e gli diede un nuovo nome: “Tu sei Simone, figlio di Giona: Sarai chiamato Cefa, che significa Pietro, o pietra” (Gv I, 42). Cristo dà a Simone un nome nuovo! E quando Dio dà un nome, dà le qualità necessarie per realizzarlo. Noi uomini non siamo in grado di fare una cosa del genere. Possiamo chiamare una persona Bianca una persona che non lo sarà mai; Rosa, e non essere bella; Costanza, senza avere nemmeno lontanamente questa qualità. Questo non accade con Dio. Se ha dato ad Abram il nome di Abramo, ha realizzato in lui il significato di questo nome: che diventasse il padre di tutti i credenti, il padre del popolo di Israele. E se Egli volle dare a Simone il nome di “Pietro”, cioè “Pietra”, allora gli ha dato la forza necessaria per essere una pietra, una roccia. Può forse essere scosso il fondamento della pietra? Se le fondamenta fossero deboli, l’edificio crollerebbe.

Intuitus eum Jesus“, il Signore “fissò i suoi occhi su Pietro”, più di quanto non facesse Michelangelo quando fissò lo sguardo sull’enorme blocco di marmo da cui trasse il suo “Mosè”. Questo sguardo profondo e penetrante di Gesù Cristo è stato il primo colpo di martello che ha dato alla statua di questo Mosè del Nuovo Testamento.. Pietro, infatti, doveva essere come Mosè, colui che, senza deviare dalla retta via, avrebbe condotto il popolo della Nuova Legge attraverso i deserti della vita. Si dice che quando Michelangelo terminò la sua magnifica statua e la vide così sublime, si infuriò e, prendendo il suo martello, colpì il ginocchio della statua, dicendo: “Parché non parli, Mose?”, “Parla, Mosè!”. La magnifica statua, nonostante la sua apparente vita, non riusciva a parlare. Il Signore ha veramente trionfato nel suo “Mosè”. Ha detto a Pietro: “Parla, Pietro!”, e attraverso di lui è andato via via dicendo: “Parla, Lino!”, “Parla, Clemente!”, “Parla, Benedetto!”, “Parla, Pio!”…, e loro parlano ed insegnano e mostrano la via, e sono infallibili, perché sono ancora la “pietra”, la salda roccia della Chiesa.

B) Dopo il suo primo incontro con Gesù, Pietro deve avere probabilmente riflettuto molto sulle intenzioni del Signore nel dargli un nome così inaspettato. Cristo non ha voluto dargli la spiegazione. Lasciò che l’anima dell’Apostolo maturasse. Aspettò due anni. E un giorno, quando i due anni erano passati, in una conversazione nei pressi di Cesarea, Gesù chiese ai suoi discepoli cosa pensassero di Lui gli uomini. Essi risposero: “Alcuni pensano che tu sia Elia; altri dicono che tu sia Giovanni Battista, o forse qualche altro profeta”. “E voi chi dite che io sia? Pietro rispose a nome di tutti e la risposta di Pietro fu premiata da queste parole del Signore: “E io ti dico che tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa ed a te darò le chiavi del regno dei cieli; e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato in cielo, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto   anche in cielo” (Mt XVI,18-19). Allora Pietro comprese il nome che aveva ricevuto due anni prima dalle labbra del Signore. Ed anche noi ne comprendiamo ora il nesso: Tu sei Simone; sarai chiamato Cefa”; “Tu sei Gioacchino Pecci; sarai chiamato Leone XIII”;  “Tu sei Giuseppe Sarto; sarai chiamato Pio X”;  Tu sei Della Chiesa; sarai chiamato Benedetto XV”; “Tu sei Achille Ratti; sarai chiamato Pio XI”; “Tu sei Eugenio Pacelli; sarai chiamato Pio XII”. “Tu sei Giuseppe Siri, sarai chiamato Gregorio XVII” – ndr. – E “… le porte degli inferi non prevarranno contro la Chiesa, di cui tu sarai la pietra angolare“. “Se tu potessi sbagliare, certamente prevarrebbero; ma non prevarranno perché voi non sbaglierete!”. E “tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato anche in cielo“. Se potessi errare, se tu insegnassi una falsa dottrina, se vincoli gli uomini con comandi sbagliati, allora non sbaglierai. Se tu vincolassi gli uomini con comandi sbagliati, allora Dio stesso ratificherebbe un errore; ma tu non sbaglierai!”. E “tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto anche nei cieli“. Se si potesse errare e sciogliere erroneamente in materia di fede e di morale, allora Dio stesso dovrebbe ratificare il tuo errore; ma tu non devi sbagliare!”.

C) A questo si aggiungono le parole che il Signore rivolse a San Pietro dopo la Risurrezione. la Risurrezione: “Pasci i miei agnelli” (Gv. XXI,15). Pasci le mie pecore” (Gv. XXI, 17). È la solenne investitura del supremo potere pastorale. Nutrire significa guidare. Pascere“, cioè “condurle sulla retta via; le affido a te, perché non vadano fuori strada”. – Se tu potesssi condurli sulla cattiva strada, essi andrebbero si smarrirebbero; ma tu non devi smarrirti!”. Se il pastore si smarrisce, che ne sarà delle pecore? Se il Se il Papa dovesse sbagliare nel suo insegnamento su questioni di fede e di morale, come potrebbero realizzarsi le parole di San Paolo, che ci assicura che la Chiesa è “colonna e sostegno della verità”? (I Tim III, 5).

D) Se c’è ancora qualche dubbio sul fatto che Cristo abbia voluto o meno conferire l’infallibilità al Papa, esso sarebbe completamente dissipato da altre parole chiare e categoriche del Signore: “Simone, Simone…” – disse Cristo, guardando Pietro – Quale sarà la nuova promessa che inizia così? Gli farà una nuova promessa, quella di non essere mai esposto alla tentazione? O di una vita sempre trionfante e gioiosa in questo mondo? No, niente del genere, perché gli dice: “Simone, Simone, ecco che satana viene a cercarti per per vagliarti come il grano” (Lc. XXII, 31). – No, il Signore non ha voluto esonerare nemmeno gli Apostoli dalle fatiche e dalle tentazioni. Ma almeno gli prometterà, visto che lo ha reso una roccia solida, che, anche se verranno le tentazioni, non peccherà mai? No, perché gli dice: “Quando ti sarai convertito, conferma i tuoi fratelli”. Cosa significa questo se non che anche voi cadrete? Qual è, allora, la promessa fatta a Pietro? “Simone, Simone, ecco che satana ti insegue per vagliarti come il grano. Ma io ho pregato per te, affinché la tua fede non perisca; e tu, quando ti sarai convertito, rafforza i tuoi fratelli” (Lc XXII, 31-32). Che la vostra fede rimanga così retta e vera che, anche se tu stesso dovessi cadere, tu sia in grado di confermare questa fede retta e vera. E che cos’è, in fin dei conti questa, se non la promessa chiara e definitiva dell’infallibilità papale, fatta da Gesù Cristo a San Pietro, il primo dei Papi?

L’infallibilità deriva anche dal fine stesso della Chiesa.

Esaminando la missione affidata dal Signore alla sua Chiesa, dobbiamo affermare che questa stessa missione e il fine della Chiesa, come sono stati definiti da Gesù Cristo, richiedano l’infallibilità del Papa, ed esigano: A) la purezza della fede; B) l’unità della stessa.

.A) La purezza della fede esige l’infallibilità del Papa. A cosa sarebbe servito che Cristo fosse vissuto sulla terra, ci avesse insegnato la conoscenza di Dio ed il suo culto, che fosse morto per noi ed ottenesse per noi la grazia redentrice, se i suoi insegnamenti divini potessero essere adulterati nel corso dei secoli, togliendo ciò che meglio piacesse, cioè se non avesse concesso a Pietro ed ai suoi successori il dono di preservarli da ogni errore in materia di fede e di morale? La purezza della fede esige che il Magistero vivente della Chiesa ed il suo Capo siano esenti dalla possibilità dall’errore in materia di fede e di morale e che, nel definire qualcosa come insegnamento di Cristo, non ci debba essere la minima ombra di incertezza. Il mondo cattolico sa bene che Pietro ed i suoi (veri – ndr.) successori sono maestri infallibili della fede. Pertanto, ogni volta che sia stato messo in dubbio se qualche punto fosse o meno in accordo con la dottrina del Vangelo, i più eccelsi studiosi e dottori della Chiesa si sono rivolti a Roma. Questo accadde a Corinto, anche durante la vita di San Giovanni Apostolo. I fedeli non andavano da San Giovanni Apostolo, che viveva nei pressi di Efeso, per decidere sulla questione, ma al successore di San Pietro, che aveva sede a Roma, molto più lontano. Si rivolsero al Vescovo romano San Clemente. Sapevano infatti che il Maestro divino aveva pregato affinché Pietro e i suoi successori fossero liberi da ogni errore nello spiegare e propagare la loro dottrina.

B) L’unità della fede richiede anche l’infallibilità del Papa. Se Cristo ha voluto che la sua dottrina durasse fino alla fine del mondo, era necessario stabilire questo Magistero infallibile. Infatti, a cosa sarebbe servita tutta la ,Scritture senza un’autorità ufficiale che le spiegasse? Lo si vede bene, anzi dolorosamente, nella lotta delle trecento confessioni che esistono oggi, (Oggi pare che siano arrivate a più di sedicimila – ndr. -) tutte basate sulle Sacre Scritture per la loro dottrina, e tutte espongono lo stesso passo della Bibbia in modi diversi. Per preservare l’unità della fede, è assolutamente necessario che ci sia un giudice infallibile! Ma chi sarà questo giudice infallibile? Un Vescovo? No. Ci sono stati Vescovi esaltati che hanno sbagliato e sono stati ammoniti dal Papa. L’intero corpo di tutti i Vescovi? No, perché se i singoli non sono infallibili, l’insieme non può certo essere infallibile. D’altra parte, va da sé che non era consigliabile che la Chiesa fosse fondata in questo modo, anche per ragioni puramente pratiche. Come sarebbe stato possibile convocare i Vescovi di tutto il mondo tutte le volte fosse necessario il loro giudizio inappellabile di fronte all’errore o alla contumacia di un singolo? Rimane, allora, come unica e suprema istanza, quella del Papa, infallibile ed inappellabile. Quale gioia e quale serenità pensare che sia il Papa infallibile che abbia nelle sue mani il governo della Chiesa! Di solito non pensiamo ad una cosa del genere; ci siamo abituati a navigare tranquillamente nella nave della Chiesa nel suo cammino verso la vita eterna, senza ricordare, solo di tanto in tanto, la riconoscenza e l’immensa gratitudine che dobbiamo al vigoroso timoniere che con tanta attenzione e tanto amore la guida. Possiamo ben affermare questo, quando anche il padre della filosofia positivista,  Auguste Comte, ha detto: “L’infallibilità del Papa, che con tanta bile si è rinfacciata al Cattolicesimo, significa un altissimo grado di progresso in campo intellettuale e sociale” (A. COMTE: Corso di Filosofia positiva, V. LV Lezione).

Cosa non significa l’infallibilità del Papa

Mi dispiace che alcuni vogliano interrompermi a questo punto per le obiezioni che hanno sentito o letto sull’infallibilità del Papa. Difficilmente potremmo enumerare il gran numero di errori che sono stati propagati riguardo a questo dogma, e il numero di persone che hanno grandi difficoltà ad accettarlo, perché immaginano, racchiuse in questo dogma, molte cose assurde che la Chiesa non ha mai insegnato. Sentiamo cosa dicono molti su questa questione:

A) “Tutto quello che viene detto è vero. Deve essere così. Non ne dubito. Ma non posso credere che il Papa sia infallibile in tutto…“. Dove la Chiesa insegna che il Papa sia infallibile in tutto? È infallibile solo in materia di fede e di morale; e anche in queste materie non è infallibile quando esprime la sua opinione come uomo privato, ma solo quando impone un dogma a tutta la Chiesa, in modo ufficiale, come Capo della cristianità. Allora, e solo allora, è infallibile. Supponiamo, ad esempio, che venga eletto Papa un grande matematico, e un giorno un grande professore di matematica venga da lui e gli dica: “Santo Padre! Santo Padre! Per anni sono stato tormentato da questo problema, che finalmente credo di aver risolto. Vostra Santità vorrebbe esaminarlo e dirmi se la soluzione è corretta? la soluzione?”. Il Papa lo esamina e dice, dopo qualche istante: “È tutto corretto”. La soluzione è davvero giusta perché il “Papa infallibile” l’ha dichiarata tale? Tutt’altro, perché? Perché Gesù Cristo non ha conferito questo tipo di infallibilità. E perché non gliel’ha conferita? Perché essa non riguarda la salute degli uomini, né è necessaria per la salvezza. – Un altro esempio. Pio XI, prima di essere eletto Papa, era un dotto bibliotecario della grande Biblioteca Ambrosiana di Milano. Supponiamo che uno storico si sia rivolto a lui con un antico manoscritto: “Santo Padre, ho avuto la fortuna di trovare questo manoscritto, di straordinaria importanza. Ma non so con certezza se sia autentico o falsificato”. Il Papa lo esamina e dopo qualche minuto dice: “Il documento è autentico”. Lo è davvero perché il Papa lo ha dichiarato tale? Lo è davvero perché il Papa lo ha dichiarato tale? Assolutamente no. Perché? Perché Cristo non gli ha concesso questa infallibilità. Se il Papa non sa contare bene, questo non ha alcuna influenza sulla salvezza dei fedeli. Se si sbaglia in qualche punto della storia, non ha importanza. Ma ha un’influenza sulle questioni di fede e di morale; in queste non può sbagliare. E tuttavia, anche in queste, bisogna aggiungere: non può sbagliare quando, come capo della Chiesa, pronuncia una sentenza di carattere vincolante e generale.

B) Un’altra obiezione. Alcuni non ritengono giusto che, in base alla sua infallibilità, il Papa possa essere elevato a una gloria più che umana. Egli cessa quasi di essere un uomo; e per di più, dicono, “è sicuro della propria salvezza eterna, perché se è infallibile, non può più peccare!”. Queste accusenon possono essere sostenute.

a) La dignità sovrumana del Papa? Alla cerimonia di incoronazione il Papa entra effettivamente nella Basilica di San Pietro con un corteo sfolgorante. Ma il maestro di cerimonie ferma la processione e, dando fuoco a un fascio di stracci, si rivolge al Papa con queste parole: “Padre santissimo, da questa parte Padre santissimo, così passa la gloria del mondo”. Passerà anche la vostra … Eppure tu sei infallibile, ma le due cose non sono in contraddizione.

b) Il Papa cessa di essere un uomo? Il martedì di carnevale, si celebrano le famose feste italiane. Il giorno dopo le chiese sono piene di fedeli che si fanno imporre le ceneri. Nella cappella del Vaticano un Sacerdote vestito di bianco è inginocchiato davanti all’altare; un altro Sacerdote scende da esso; il Papa riceve le ceneri sulla fronte, china il capo; le ceneri scivolano sulla sua tonaca bianca…. e poi la Chiesa pronuncia su di lui le stesse parole che pronuncia su milioni di fedeli: “Ricordati, o uomo, che sei polvere e in polvere tornerai. Anche tu, Santissimo Padre, dovrai tornare alla polvere…. Eppure sei infallibile!

c) Che il Papa non possa peccare? Nemmeno questo significa infallibilità. Non può sbagliare nell’insegnamento della fede e della morale; ma può deviare e inciampare nella propria vita morale. Le debolezze della natura umana sussistono anche nei Papi; anch’essi possono peccare, e purtroppo la storia ha registrato alcune tristi cadute. Cristo, che ha avuto un Giuda tra i suoi Apostoli, non ha deciso che tutti i Papi fossero santi. Sì, ce n’erano di ferventi e santi, più che in ogni famiglia reale; ma – purtroppo – c’erano anche dei peccatori. E non c’è Papa che osi avvicinarsi all’altare senza prima pronunciare, come gli altri celebranti: “Per mia colpa, per mia colpa, per mia colpa, grandissima colpa”. – Un giorno alla settimana, quando il sole manda i suoi ultimi raggi attraverso le finestre del Vaticano, un prete vestito di bianco si alza e si siede alla scrivania. Attraversa i corridoi silenziosi e bussa ad una porta. Lì si trova un altro prete semplice e modesto che lo serve. “Desidero confessarmi”, dice il primo e si inginocchia nel confessionale.. Dopo qualche minuto, sul Papa, che si inginocchia, sul Papa che si è confessato, si sentono le parole dell’assoluzione: ego te absolvo. Quindi anche il Papa si confessa? Sì, il Papa infallibile può essere un peccatore? Sì: può esserlo, perché infallibilità non significa impeccabilità. Quindi non facciamo del Papa un “essere sovrumano”; il Papa non cessa di essere “uomo mortale, debole e fragile”, anche se crediamo e confessiamo che ciò che insegna, Cristo lo insegna; che ciò che proibisce, Cristo lo proibisce; e ciò che comanda, Cristo comanda. Crediamo che ciò che egli lega sulla terra sarà legato anche in cielo, e ciò che egli scioglie sulla terra sarà sciolto anche in cielo.

* * *

Mirabili sono le vie della Provvidenza. Quanti errori, quante eresie ci sono già state, quante eresie ci sono state nella Chiesa per mille e novecento anni! Perché per così dire, ogni secolo ha avuto la sua eresia; ed è da notare che anche alcuni Vescovi di Gerusalemme, Efeso, Alessandria, Antiochia – chiese di origine apostolica – caddero nell’eresia. – L’unico che non ha mai vacillato è stato il Vescovo di Roma! Anche se la storia solleva la sua voce di accusa contro la vita privata di qualche Papa, perché ci sono stati davvero alcuni tra i 263 che non hanno adempiuto al loro alto ufficio con la dovuta dignità, non è ancora stato provato che qualcuno di loro abbia errato nell’insegnamento della fede. Possono aver sbagliato nella loro vita, ma nella fede mai. – Ecco perché tutti i Cattolici ascoltano con spirito di obbedienza la voce di Roma; sappiamo che quando il Santo Padre parla, ci parla il maestro infallibile, che insegna a tutti, fedeli, Sacerdoti, Vescovi. Sappiamo che, nell’insegnare a tutti noi una dottrina di fede, è protetto dalla preghiera di Cristo, il divino Fondatore della Chiesa, ed è assistito dallo Spirito Santo, cosicché nei suoi insegnamenti può dire solo ciò che sia fondato sulla rivelazione divina e non possa mai sbagliare. Navigando da Napoli verso l’isola di Capri, in mezzo ad un mare agitato, c’è uno scoglio che si erge come se volesse lanciarsi verso l’alto. Questo scoglio è lì da migliaia di anni, in mezzo alla schiuma del mare, una mareggiata continua. Un nugolo di piccole imbarcazioni lo circonda, senza nemmeno curarsene. Navi cariche e fieri piroscafi gli passano vicino senza farci caso. Quando l’ho visto per la prima volta, mi è venuto in mente: è l’immagine della Chiesa. Il mare della vita agita e sballotta le piccole navi; sono le persone modeste, che vivono intorno alla Chiesa, indifferenti a tutto. Inoltre, passano anche i grandi trasporti e le navi cariche di ricche mercanzie: sono i capitalisti ed i ricchi di questo mondo, gli orgogliosi ed i magnifici senza notare l’antica roccia. Ma gli anni passano, i secoli passano… E quando le onde hanno finito di giocare con i poveri resti frantumati dei fieri piroscafi, invano assaltano l’antico scoglio, che è ancora in piedi e ha sulla sua cima il faro eretto da Cristo. Il Papa romano, il Papa infallibile, continua a mostrare ai popoli del mondo il faro della fede e della morale ai popoli del mondo.

TU SEI PIETRO (3)

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA (3) “Da S. Marco I a S. Damaso”.

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA (III)

DAGLI APOSTOLI A S.S. PIO XII (3)

HENRICUS DENZINGER

ET QUID FUNDITUS RETRACTAVIT AUXIT ORNAVIT

ADOLFUS SCHÖNMATZER S. J.

ENCHIRIDION SYMBOLORUM DEFINITIONUM ET DECLARATIONUM

De rebus fidei et morum

HERDER – ROMÆ – MCMLXXVI

Imprim.: Barcelona, José M. Guix, obispo auxiliar

(Da S. Marco a S. Damaso)

S. MARCO: 18 gennaio – 7 ottobre 336

GIULIO I: 6 febbraio 337-12 aprile 352

Lettera agli Antiocheni, 341.

Il primato del Romano Pontefice

132 – (22) Se infatti, come dite, ci fosse stata una colpa da parte loro, la questione avrebbe dovuto essere giudicata secondo i canoni della Chiesa e non come è stata fatta. Avrebbe dovuto scrivere a tutti noi, in modo che ciò che era giusto fosse deciso da tutti. Si trattava di Vescovi e di Chiese che non sono Chiese qualsiasi, ma Chiese governate dagli stessi apostoli. Sulla Chiesa di Alessandria, perché  perché non ci è stato scritto? Non sapete che era consuetudine scriverci per primi, e da lì proclamare ciò che era giusto. Se il Vescovo di Alessandria era sospettato, la Chiesa di qui avrebbe dovuto essere informata.

133 – 135 – Concilio di Serdico, 343 ca.

Ordine delle Chiese. Il Primato del Romano Pontefice

133 – (Rec. latina) Can. 3a Il Vescovo Ossio dice: anche questo (…si dovrebbe aggiungere…): che nessun Vescovo viaggi da una provincia all’altra in cui ci sono vescovi, a meno che non sia invitato dai suoi confratelli, affinché non sembri che abbiamo chiuso la porta della carità. Anche questo deve essere previsto: se in una provincia un Vescovo dovesse avere una disputa con un altro vescovo, suo fratello, nessuno dei due chieda aiuto ai vescovi di un’altra provincia. Ma se un vescovo è stato condannato in una causa e pensa che la sua causa sia buona per essere riprovata, onoriamo la memoria del santissimo apostolo Pietro: coloro che hanno esaminato la causa, o i vescovi che risiedono nella provincia vicina, scrivano al Vescovo di Roma; e se egli giudica che il processo debba essere rivisto, che sia rivisto e che dia dei giudici. Se, invece, ritiene che la causa sia tale da non far ripetere ciò che è stato fatto, ciò che ha deciso sarà confermato. Questo fa piacere a tutti? Il sinodo ha risposto: sì.

(recensione greca) 3. Il Vescovo Ossio dice: Bisogna aggiungere anche questo: che nessun vescovo si rechi dalla sua provincia in un’altra provincia in cui ci sono vescovi, a meno che non sia invitato dai suoi confratelli, affinché non sembri che chiudiamo le porte della carità. Allo stesso modo, si deve fare in modo che se in una provincia un vescovo dovesse avere una disputa con il suo confratello e con il suo co-vescovo, nessuno di loro debba chiedere aiuto ai Vescovi di un’altra provincia per arbitrare. Ma se risulta che uno dei Vescovi è stato condannato in una causa, e se pensa che la sua causa non sia cattiva ma buona per essere giudicata di nuovo, facciamo in modo, se piace alla Vostra Carità, di onorare la memoria dell’Apostolo Pietro: coloro che hanno pronunciato la sentenza scrivano a (Giulio) il Vescovo di Roma, in modo che i vescovi vicini della provincia, se necessario, possano rinnovare la sentenza, e lui deve nominare degli arbitri. Ma se non è possibile dimostrare che la causa è tale da richiedere una rinnovazione del procedimento, la sentenza emessa non deve essere sospesa, ma quella emessa deve rimanere tale e quale.

134. (rec. latina) (Isid. 5) Il Vescovo Gaudenzio dice: se vi conviene, dovete aggiungere a questa decisione che avete preso e che è piena di santità: Se un vescovo è stato deposto dai Vescovi giudicanti che risiedono nelle vicinanze e ha dichiarato di dover trattare la questione nella città di Roma, dopo l’appello di colui che è stato considerato deposto, un altro vescovo non deve assolutamente essere ordinato al suo posto nella stessa cattedra fino a quando la causa non sia stata decisa da una sentenza del Vescovo di Roma.

(rec. greca) Il Vescovo Gaudenzio dice: Se vi sembra bene, è necessario aggiungere a questa decisione che avete preso e che è piena di pura carità: se un Vescovo è stato deposto dal giudizio dei Vescovi che risiedono nelle vicinanze, ed egli dichiara che è di nuovo suo dovere difendersi, non se ne stabilisca un altro nella cattedra finché il vescovo dei Romani non abbia deciso e preso una disposizione.

135 – (rec. latina) ( Can. 3b ) (Isid.) Il Vescovo Ossio dice: Oppure gli è piaciuto che se un Vescovo è stato accusato e i Vescovi della regione riuniti lo hanno giudicato e spogliato del suo rango, e se risulta che si è appellato e si è rifugiato presso il Vescovo beato della Chiesa romana, e se quest’ultimo ha voluto essere ascoltato e ha ritenuto giusto rinnovare l’esame, si degni di scrivere ai Vescovi che si trovano nella provincia adiacente al suo confine, affinché esaminino attentamente ogni cosa e decidano secondo ciò che sembrerà loro fedele alla fede. Ma se qualcuno chiede che la causa sia ascoltata di nuovo, e con la sua petizione decide che il Vescovo di Roma invii un presbitero a latere, sarà in potere del Vescovo decidere ciò che vuole o ciò che ritiene necessario; se decide che fosse necessario inviare presbiteri che giudicassero contemporaneamente ai Vescovi con l’autorità di colui che li ha inviati, sarà lasciato alla sua convenienza. Ma se ritiene che i Vescovi siano sufficienti a porre fine alla questione, farà come ha giudicato nel suo sapientissimo consiglio.

(Recensione greca) 5. Il Vescovo Ossio dice: Gli è piaciuto che se un Vescovo è stato denunciato e se i Vescovi della regione riuniti lo hanno privato del suo rango e se come accusato si è rifugiato presso il beato Vescovo della Chiesa dei Romani, e se quest’ultimo è disposto ad ascoltarlo e ritiene giusto rinnovare l’esame del caso, si degni di scrivere a quei Vescovi che sono adiacenti alla provincia, affinché esaminino tutto con coscienza e attenzione, e pronuncino un giudizio secondo ciò che sembrerà loro fedele alla fede. Ma se qualcuno chiede che la sua causa sia ascoltata di nuovo, e risulta che con la sua petizione abbia deciso che il Vescovo di Roma debba mandare dei presbiteri a latere, sarà in potere del Vescovo se gli sembra giusto; e se decide che sia necessario mandarli a giudicare contemporaneamente ai Vescovi con l’autorità di colui che li ha mandati, decida anche questo. Ma se ritiene che i Vescovi siano sufficienti per esaminare la questione e giudicare il Vescovo, deve fare ciò che sembra giusto nel suo saggio consiglio. I Vescovi hanno risposto: sì a ciò che è stato detto.

Lettera del concilio di Serdicus. Quod semper” a Papa Giulio I,

ca. 343.

IL Primato del Romano Pontefice

La preminenza della Sede romana

136 – Ciò che apparirà migliore e più adatto è questo: che da tutte le varie province i Sacerdoti del Signore riferiscano al capo, cioè alla sede dell’Apostolo Pietro.

LIBERIO: 17 maggio 352-24 settembre 366

Condanna di Atanasio e professioni di fede

138 a) Lettera “Studens paci” ai Vescovi d’Oriente.

Per la pace e la concordia tra le Chiese, avendo ricevuto la lettera scritta dalla Vostra Carità al vescovo Giulio di benedetta memoria riguardo alla persona di Atanasio e agli altri, e seguendo la tradizione dei predecessori Ho inviato i presbiteri della città di Roma, Lucio, Paolo ed Eliano, ad Alessandria, in deputazione, al suddetto Atanasio, affinché venga a Roma per far stabilire in sua presenza ciò che corrisponde alla disciplina della Chiesa. Gli feci anche inviare dai suddetti presbiteri una lettera in cui si diceva che se non fosse venuto, doveva sapere che sarebbe stato escluso dalla comunione con la Chiesa romana. Al loro ritorno, i presbiteri riferirono che egli si rifiutava di venire. Infine ho dato seguito alla lettera della Vostra Carità, che ci avete indirizzato riguardo al detto Atanasio, e questa lettera, che ho composto in vista dell’unanimità con voi, deve farvi sapere che sono in pace con tutti voi e con tutti i Vescovi della Chiesa cattolica, ma che il detto Atanasio è escluso dalla comunione con me, cioè dalla comunione con la Chiesa romana, e dallo scambio di lettere ecclesiastiche.

b) 1a professione di fede di Sirmium (351) sottoscritta da Liberus in 357.

139 – Noi crediamo in un solo Dio, il Padre onnipotente, che ha creato e fatto tutte le cose, dal quale prende nome ogni paternità, in cielo e in terra (cfr. Ef 3, 15); e nel suo Figlio unigenito, il Signore nostro Gesù Cristo, generato dal Padre prima di tutti i secoli, Dio da Dio, luce da luce, per mezzo del quale sono state fatte tutte le cose, in cielo e in terra, quelle visibili e quelle invisibili; egli è Verbo e Sapienza, vera luce e vita; che si è fatto uomo per noi negli ultimi giorni, e nacque dalla Beata Vergine, e fu crocifisso, e morì e fu sepolto; e risuscitato dai morti il terzo giorno, assunto in cielo e assiso alla destra del Padre; che verrà alla fine dei tempi per giudicare i vivi e i morti e dare a ciascuno secondo le sue opere; il suo Regno è senza fine e dura nei secoli dei secoli; perché siederà alla destra del Padre, non solo in questa età, ma anche in quella futura; e nello Spirito Santo, cioè nel Paraclito, che promise di inviare agli apostoli dopo la sua ascensione al cielo, e che inviò per insegnare ed esortarli in ogni cosa. E per mezzo di Lui siano santificate anche le anime di coloro che credono sinceramente in Lui.

140 –  (1) Ma coloro che dicono che il Figlio è venuto dal nulla, o da un’altra ipostasi, e non da Dio, che c’è stato un tempo o una durata in cui non era, la santa Chiesa cattolica li ritiene estranei a lei. 2. Ancora una volta diciamo: se qualcuno dice che il Padre e il Figlio sono due dèi, sia anatema. 3. E se qualcuno dice che Cristo, in quanto Figlio di Dio, è Dio prima di tutti i tempi, ma non confessa di aver aiutato Dio nella creazione di tutte le cose, sia anatema. 4. Se qualcuno osa dire che l’Immacolato o una sua parte è nato da Maria, sia anatema. 5. Se qualcuno dice che il Figlio è prima di Maria secondo la prescienza e non che, generato dal Padre prima dei secoli, è con Dio e che per mezzo di lui sono state fatte tutte le cose, sia anatema. 6. Se qualcuno dice che la sostanza di Dio si espande o si contrae, sia anatema. 7. Se qualcuno dice che la sostanza di Dio dilatata fa il Figlio, o chiama la dilatazione della sua sostanza Figlio, sia anatema. 8. Se qualcuno chiama il Figlio di Dio la Parola interiore o professata, sia anatema. 9. Se qualcuno dice che il Figlio di Maria è solo un uomo, sia anatema. 10. Se qualcuno, nominando Colui che è da Maria Dio e uomo, intende con questo il Dio increato, sia anatema. 11. 11. Se qualcuno, con le parole: “Io sono Dio, il primo, e sono dopo tutti questi, e all’infuori di me non c’è Dio”, Is 44,6, pronunciate per la distruzione degli idoli e di coloro che non sono dèi, lo concepisce alla maniera dei Giudei, escludendo l’unigenito di Dio prima dei secoli, sia anatema. 12. Se qualcuno sente dire “il Verbo si è fatto carne” (Gv 1,14) e pensa che il Verbo sia stato cambiato in carne, o dice che ha preso carne sottoponendosi ad un cambiamento, sia anatema. 13. Se qualcuno sente che l’unigenito Figlio di Dio è stato crocifisso e dice che la Divinità abbia subito corruzione, o sofferenza, o cambiamento, o diminuzione, o annientamento, sia anatema. 14. Se qualcuno dice che la parola “Facciamo l’uomo” (Gen. 1,26) non sia stata pronunciata dal Padre al Figlio, ma che Dio abbia parlato a se stesso, sia anatema. 15. Se qualcuno dice che non fu il Figlio ad essere visto da Abramo in Gen 18,1-22, ma il Dio increato o una sua parte, sia anatema. 16. Se qualcuno dice che non sia stato il Figlio a lottare con Giacobbe come uomo (Gen XXXII, 25-31), ma il Dio increato o una sua parte, sia anatema. 17. Se qualcuno non comprende le parole “Il Signore fece piovere fuoco dal Signore” Gen 19,24 dal Padre e dal Figlio, ma dice che egli stesso fece piovere da se stesso, sia anatema. 18. Se qualcuno sente dire che il Padre è il Signore e il Figlio è il Signore e che il Padre e il Figlio sono il Signore e, quando il Signore ha fatto piovere dal Signore, parla di due dèi, sia anatema. Infatti, non poniamo il Figlio allo stesso livello del Padre, ma diciamo che è subordinato al Padre. Il Figlio, infatti, non è sceso su Sodoma senza la volontà del Padre, né ha fatto piovere da sé, ma dal Signore, cioè per istigazione del Padre; e non siede alla destra di se stesso, ma sente il Padre che dice: “Siedi alla mia destra” Sal CIX, 1. 19. Se qualcuno dice che il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo siano una sola persona, sia anatema. 20. Se qualcuno che chiama lo Spirito Santo Paraclito, dice che sia il Dio increato, sia anatema. 21. Se qualcuno non dice, come ci ha insegnato il Signore, che il Paraclito è altro dal Figlio, perché dice: “E il Padre vi manderà un altro Paraclito, che io chiederò” Gv XIV,16, sia anatema. 22. Se qualcuno dice che lo Spirito Santo sia parte del Padre e del Figlio, sia anatema. 23. Se qualcuno chiama il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo tre dèi, sia anatema. 24. Se qualcuno dice che il Figlio di Dio è stato fatto secondo la volontà di Dio come una delle creature, sia anatema. 25. Se qualcuno dice che il Figlio sia stato generato contro la volontà del Padre, sia anatema. Il Padre, infatti, non ha generato il Figlio per necessità di natura, senza volerlo; ma appena l’ha voluto, ha mostrato di averlo generato da sé, fuori dal tempo ed immutabile. 26. Se qualcuno chiama il Figlio increato e senza principio, parlando così di due esseri increati e facendo due dèi, sia anatema. Perché il capo, che è il principio di tutto, è il Figlio; e il capo, che è il principio di Cristo, è Dio; in questo modo portiamo tutte le cose divine attraverso il Figlio all’unico principio di tutto che è senza inizio. 27. E ancora, esprimiamo con cura il significato della dottrina cristiana e diciamo: “Se qualcuno non dice che Cristo Dio, il Figlio di Dio, sia stato prima di tutti i tempi cooperatore con il Padre nella creazione di tutte le cose, ma dice che quando è nato da Maria sia stato chiamato Cristo e Figlio ed abbia ricevuto l’inizio dell’essere divino, sia anatema”.

c) Lettera “Pro deifico” ai Vescovi orientali, primavera 357.

141 – (Lettera di Liberio:) Per il timore che è opera di Dio: la vostra santa fede è nota a Dio e agli uomini di buona volontà Lc II,14. Come dice la Legge: giudicate con giustizia, figli di uomini Sal LVII, 2 Non ho difeso Atanasio, ma poiché il Vescovo Giulio, mio predecessore di felice memoria, lo aveva accolto, temevo di essere considerato in qualche modo inadempiente. Ma non appena ho riconosciuto, quando è piaciuto a Dio, che lo avevate giustamente condannato, mi sono subito trovato d’accordo con i vostri giudizi. Allo stesso modo feci portare all’imperatore Costanzo una lettera di nostro fratello Fortunato su di lui, cioè sulla sua condanna. Poiché Atanasio è quindi escluso dalla comunione con tutti noi e le sue lettere non devono più essere ricevute da me, dico che sono in pace e all’unanimità con tutti voi e con tutti i Vescovi dell’Oriente, cioè di tutte le province. (2) Affinché sappiate ancora meglio che nella mia lettera esprimo la vera fede: perché il mio signore e fratello Demofilo si è degnato nella sua benevolenza di esporre la vostra fede cattolica, che è stata discussa, esposta ed accettata a Sirmio da molti fratelli e Vescovi (è con questa eresia ariana, ho notato, non con l’apostata, Liberato ciò che segue: ) da parte di tutti i presenti, l’ho accettato volentieri (Sant’Ilario lo anatematizza: che io anatematizzi anche te, Liberus e le tue consorti), non l’ho contraddetto in alcun modo e ho aderito ad esso; lo seguo e lo mantengo (una seconda volta anatema, e una terza volta, traditore Liberus). Ho quindi ritenuto mio dovere pregare Vostra Santità, visto che ora mi vedete d’accordo con voi in tutto, di degnarsi di lavorare insieme affinché io possa essere liberato dall’esilio e tornare alla sede affidatami da Dio.

d) Lettera “Quia scio” a Ursazio, Valente e Germinio, 357.

142 – Poiché so che siete figli della pace e che amate la concordia e l’unanimità, per questo motivo, non per costrizione – Dio mi è testimone – ma per amore della pace e della concordia, che è preferibile al martirio, mi rivolgo a voi con questa lettera, cari fratelli nel Signore. La vostra prudenza sappia che Atanasio, che era vescovo della Chiesa di Alessandria (fu condannato da me) prima, secondo la lettera dei vescovi d’Oriente (che scrivo) alla corte del santo imperatore (che) fu anche escluso dalla comunione con la Chiesa romana, come testimonia l’intero presbiterio della Chiesa romana. Questo è l’unico motivo per cui sono apparso solo in ritardo nell’inviare una lettera su di lui ai nostri fratelli e coetanei orientali, affinché i miei legati, che avevo inviato dalla città di Roma alla corte, e i Vescovi che erano stati deportati, e noi stessi con loro, potessero essere richiamati, se possibile, dall’esilio. (2) Ma voglio anche che sappiate che ho chiesto a frate Fortunato (di trasmettere) al misericordiosissimo imperatore la lettera (che ho fatto ai vescovi d’Oriente, affinché anche loro sappiano che con loro sono separato dalla comunione con Atanasio. Credo che per amore della pace la sua pietà lo riceverà con gratitudine… Che la Vostra Carità riconosca che l’ho fatto da un cuore gentile e innocente. Mi rivolgo quindi a voi con questa lettera e vi prego, per Dio onnipotente e per Cristo Gesù suo Figlio, nostro Dio e Signore, di degnarvi di presentarvi (al clementissimo imperatore) Costanzo Augusto e di pregarlo che, per la pace e la concordia in cui la sua pietà trova sempre la sua gioia, si compiaccia di farmi tornare alla Chiesa affidatami da Dio, affinché durante la sua vita la Chiesa romana non soffra alcun tormento.

143. – (2) Ho ritenuto necessario informare Vostra Santità che ho preso le distanze dalla persona di Atanasio in merito a questa disputa, e che ho inviato una lettera ai nostri fratelli e Vescovi d’Oriente su di lui. Perciò, dato che anche noi, secondo la volontà di Dio, siamo in pace con tutti, vorrà gentilmente visitare tutti i vescovi della Campania e farli conoscere. Con una tua lettera, manda una loro lettera al misericordiosissimo imperatore per l’unanimità e la pace con noi, così che anch’io possa essere libero dalla tristezza. … Siamo in pace con tutti i Vescovi orientali e con voi. …

S. DAMASO I: 1 OTTOBRE 366 – 11 DICEMBRE 384

Frammenti di lettere a Vescovi orientali intorno al 374.

La Trinità Divina

144 – Per questo motivo, fratelli, questa Gerico, che è figura della voluttà del tempo, si sta sgretolando sotto il clamore e non si innalza più, perché tutti noi con una sola bocca diciamo che la Trinità è di una sola potenza, di una sola maestà, di una sola divinità, di una sola ousia, così che diciamo che c’è una sola potenza inseparabile, e tuttavia tre Persone, che non ritornano a se stesse e non si riducono,… ma rimangono sempre; e anche che non ci sono diversi gradi di potenza, né diversi tempi di origine, che il Verbo non è così professato da scartare la generazione, né così imperfetto che la sua Persona mancherebbe della natura del Padre o della pienezza della Divinità; E anche che il Figlio non è dissimile nell’opera, né dissimile nella potenza, né dissimile sotto alcun aspetto, né che deriva la sua esistenza da altrove, ma che è nato da Dio, non come un falso Dio, ma è stato generato vero Dio da vero Dio, vera luce dalla vera luce, in modo che non sia né diminuito né dissimile, perché l’unigenito ha lo splendore della luce eterna Sap VII, 26, perché nell’ordine della natura la luce non può essere senza luminosità, né la luminosità senza luce; Egli è anche l’immagine del Padre, perché chi ha visto Lui ha visto anche il Padre Gv XIV,9 ; lo stesso, per la nostra redenzione, è uscito dalla Vergine per nascere come uomo completo per l’uomo completo che aveva peccato. Per questo motivo affermiamo che il Figlio di Dio ha preso anche l’uomo completo.

145 – Professiamo anche che lo Spirito Santo è increato e di una sola maestà, una sola ousia, una sola potenza con Dio Padre e con il Signore nostro Gesù Cristo. E non merita l’insulto di essere una creatura, lui che è stato mandato a creare, come ci ha assicurato il santo profeta quando ha detto: “Manda il tuo Spirito e saranno creati” Sal 103,30 . Poi un altro disse la stessa cosa: “Lo Spirito divino che mi ha fatto” (cfr. Giobbe XXXIII: 4). Non si deve infatti separare nella divinità colui che è unito nell’operazione e nella remissione dei peccati.

L’incarnazione, contro gli apollinaristi

146 – Siamo certamente sorpresi che si dica di alcuni dei nostri che, sebbene sembrino avere una comprensione ortodossa della Trinità, non pensIno tuttavia in modo corretto… riguardo al sacramento della nostra salvezza. Si dice infatti che il nostro Signore e Salvatore abbia tratto dalla Vergine Maria un uomo incompleto, cioè privo di spirito. Ahimè, quanto è vicina questa concezione agli ariani! I secondi dicono che la divinità è incompleta nel Figlio di Dio, i primi affermano in modo ingannevole che l’umanità è incompleta nel Figlio dell’uomo. Ma se è stato preso un uomo incompleto, la nostra salvezza è incompleta, perché non è l’uomo intero che è stato salvato. E perché è stata pronunciata questa parola del Signore: “Il Figlio dell’uomo è venuto a salvare ciò che era perduto” (Mt XVIII, 11)? L’uomo intero, cioè in anima e corpo, in spirito e in tutta la natura della sua sostanza. Ma se è stato salvato senza lo spirito, allora sembrerà, contro la fede del Vangelo, che non è stato salvato tutto ciò che era perduto; e in un altro luogo il Salvatore stesso dice: siete arrabbiati con Me perché ho guarito l’uomo intero (cfr. Gv 7:23). Del resto è proprio nello spirito dell’uomo che si verificano la colpa originale e la totalità della perdizione. Perché se il senso che fa scegliere all’uomo il bene e il male non fosse dapprima perito, non sarebbe morto: come possiamo allora ammettere che quello che si riconosce aver peccato per primo non si sia salvato del tutto? Quanto a noi, che sappiamo di essere stati salvati completamente e perfettamente, secondo la professione di fede della Chiesa cattolica, professiamo che Dio ha assunto lo stato di un uomo perfetto.

Lo Spirito Santo e l’incarnazione del Verbo

147 –  Come in tutto manteniamo inviolabile la fede di Nicea, senza deviarne le parole o distorcerne il significato, e crediamo nella Trinità di una sola e medesima essenza co-eterna, e non separiamo in alcun modo lo Spirito Santo, ma lo veneriamo con il Padre e il Figlio, perfetto in ogni cosa, in potenza, in onore, in maestà e in divinità, così confidiamo che la pienezza del Verbo di Dio, non pronunciato ma nato, non che dimora nel Padre, di modo che non sia, ma perfetto e sussistente dall’eternità all’eternità, abbia preso e salvato il peccatore completo, cioè nella sua totalità.

Lettera “Per filium meum” al Vescovo Paolino di Antiochia, 375.

L’incarnazione del Verbo divino

148 – … Bisogna confessare che la Sapienza stessa, il Verbo, il Figlio di Dio, ha assunto corpo, anima e spirito, cioè tutto Adamo e, per parlare più espressamente, tutto il nostro vecchio uomo tranne il peccato. Come nel confessare che Egli prese un corpo umano non vi aggiungiamo le passioni viziose degli uomini, così nel dire che Egli prese l’anima e lo spirito dell’uomo non diciamo che fu soggetto al peccato dei pensieri umani. Ma se qualcuno afferma che il Verbo ha preso il posto dello spirito umano nella carne del Signore, la Chiesa cattolica lo anatematizza, così come coloro che confessano due figli nel Salvatore, uno prima dell’incarnazione e l’altro dopo che ha preso carne dalla Vergine, e che non confessano lo stesso Figlio di Dio prima e dopo.

Lettera “Oti te apostolike cathedra” ai Vescovi d’Oriente, 375 ca.

Condanna dell’apollinarismo

149 – Dovete sapere, dunque, che molto tempo fa abbiamo condannato l’infame Timoteo, il discepolo di Apollinare l’Eretico, insieme alla sua empia dottrina, e non crediamo affatto che ciò che ha lasciato possa avere una qualche influenza in futuro… Cristo, il Figlio di Dio nostro Signore, con la propria Passione, ha donato la salvezza in tutta la sua pienezza al genere umano, per liberare da ogni peccato tutto l’uomo invischiato nei peccati. Se, dunque, qualcuno dice di aver avuto una parte minore nella divinità o nell’umanità, dimostra di essere pieno di spirito del diavolo, come figlio della Gehenna. Perché allora mi chiede di nuovo della condanna di Timoteo? Anche qui è condannato dalla Sede Apostolica… insieme al suo maestro Apollinare…

1° Concilio di Costantinopoli (2° Concilio ecumenico)

Maggio-30 luglio 381

Professione di fede di Costantinopoli.

150 – (Versione greca) Noi crediamo in un solo Dio Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra, di tutte le cose visibili e invisibili, e in un solo Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, unigenito, generato dal Padre prima di tutti i secoli, luce della luce, Dio vero da Dio vero, generato non fatto, consustanziale al Padre, per mezzo del quale sono state fatte tutte le cose; che per noi e per la nostra salvezza è disceso dal cielo, si è incarnato per opera dello Spirito Santo e della Vergine Maria e si è fatto uomo; è stato crocifisso per noi sotto Ponzio Pilato, ha sofferto ed è stato sepolto, è risorto il terzo giorno secondo le Scritture ed è salito al cielo; siede alla destra del Padre e tornerà nella gloria per giudicare i vivi e i morti: E nello Spirito Santo, che è Signore e dà la vita, che procede dal Padre, che con il Padre e il Figlio è coadiuvato e co-glorificato, che ha parlato per mezzo dei profeti: in una sola Chiesa santa, cattolica e apostolica. Confessiamo un unico battesimo per la remissione dei peccati; aspettiamo la risurrezione dei morti e la vita del mondo a venire. Amen.

(Versione latina) Credo in un solo Dio, il Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra, di tutte le cose visibili e invisibili. E in un solo Signore Gesù Cristo, unigenito Figlio di Dio, nato dal Padre prima di tutti i secoli, Dio da Dio, luce da luce, Dio vero da Dio vero, generato non fatto, consustanziale al Padre, per mezzo del quale sono state fatte tutte le cose; il quale, per causa nostra e per la nostra salvezza, è disceso dal cielo, si è incarnato dallo Spirito Santo della Vergine Maria e si è fatto uomo; è stato anche crocifisso per noi sotto Ponzio Pilato, ha sofferto ed è stato sepolto, è risorto il terzo giorno secondo le Scritture ed è salito al cielo; siede alla destra del Padre e tornerà nella gloria per giudicare i vivi e i morti; e il suo Regno non avrà fine. E nello Spirito Santo, che è Signore e donatore di vita, che procede dal Padre e dal Figlio, che con il Padre e il Figlio è ugualmente co-adorato e co-glorificato, che ha parlato per mezzo dei profeti. E in un’unica Chiesa santa, cattolica e apostolica. Confesso un solo battesimo per la remissione dei peccati. Attendiamo con ansia la resurrezione dei morti e la vita del mondo a venire. Amen

Canoni, 9 luglio 381.

Condanna di varie eresie

151 – 1. di non abrogare la fede dei 318 Padri riuniti a Nicea in Bitinia, ma di mantenerla in vigore; e di anatematizzare ogni eresia: specialmente quella degli Eunomiani, cioè degli Anomei, quella degli Ariani o Eudossiani, quella dei Semi-Ariani o Pneumatomatici, quella dei Sabelliani, quella dei Marcelliani, quella dei Fotiniani e quella degli Apollinaristi.

2. Che i Vescovi di una diocesi non interferiscano nelle Chiese a loro estranee, né portino disordine nelle Chiese, ma che, secondo i canoni, il Vescovo di Alessandria amministri solo gli affari dell’Egitto, i Vescovi dell’Oriente solo quelli della diocesi orientale, mantenendo le prerogative riconosciute dai canoni di Nicea alla Chiesa di Antiochia; che i Vescovi della diocesi d’Asia amministrino solo gli affari dell’Asia, quelli del Ponto solo quelli del Ponto e quelli della Tracia solo quelli della Tracia. Se non sono chiamati, i Vescovi non si allontanino dalla loro diocesi per imporre le mani o per esercitare altre funzioni ecclesiastiche. Se osserviamo questo canone, è chiaro che il sinodo dell’eparchia è competente nella sua eparchia, secondo le determinazioni di Nicea. Per quanto riguarda le Chiese di Dio che si trovano tra i popoli barbari, è opportuno che siano amministrate secondo la consuetudine messa in atto dai Padri.

3. Il Vescovo di Costantinopoli deve avere il primato d’onore dopo il Vescovo di Roma, perché quella città è la nuova Roma.

4. Il Vescovo di Costantinopoli deve avere il primato d’onore dopo il Vescovo di Roma. Riguardo a Massimo il Cinico e ai disordini che, a causa sua, si sono verificati a Costantinopoli, (dichiariamo) che Massimo non è mai stato e non è un vescovo, né coloro che egli ha ordinato erano di alcun grado del clero; tutto ciò che è stato fatto nei suoi confronti o che egli stesso ha fatto non ha alcun valore.

Concilio di Roma. 382.

a) Il “Tomus Damasi” o professione di fede al Vescovo Paulin di Antiochia, 152

Trinità e incarnazione

152 Perché dopo il Concilio di Nicea è sorto questo errore e alcuni hanno osato dire con bocca sacrilega che lo Spirito Santo è stato fatto dal Figlio:

153 (1) Anatemizziamo coloro che non proclamano liberamente che Egli ha una sola potenza, una sola sostanza con il Padre e il Figlio.

154. (2) Anatemizziamo anche coloro che seguono l’errore di Sabellius, dicendo che il Padre è lo stesso del Figlio.

155. (3) Anatemizziamo Ario ed Eunomio, che, sebbene differiscano nelle parole, sono uguali nell’empietà e dicono che il Figlio e lo Spirito Santo sono creature.

156. (4) Anatemizziamo i Macedoniani che, provenendo dalla radice di Ario, non hanno cambiato la perfidia ma solo il nome.

157. (5) Anatemizziamo Fotino, che rinnova l’eresia di Ebione e professa che il Signore Gesù Cristo è solo di Maria.

158. (6) Anatemizziamo coloro che affermano due Figli, uno esistente prima dei secoli e l’altro dopo l’assunzione della carne della Vergine.

159. (7) Anatemizziamo coloro che dicono che il Verbo di Dio abitò nella carne umana al posto di un’anima spirituale ragionevole, perché il Figlio e Verbo di Dio non era nel suo corpo al posto di un’anima spirituale ragionevole, ma era la nostra anima (ragionevole e spirituale) che egli prese e salvò senza peccato.

160. (8) Anatemizziamo coloro che dicono che il Verbo, il Figlio di Dio, è un’estensione o una contrazione, separato dal Padre, senza sostanza, e che avrà una fine.

161 (9) Anche coloro che sono passati da una chiesa all’altra riteniamo che siano esclusi dalla comunione con noi finché non siano tornati nelle città in cui erano stati fondati. E se uno, quando un altro se n’è andato, è stato ordinato al suo posto mentre era in vita, colui che ha lasciato la sua città sarà senza dignità sacerdotale fino al momento in cui il suo successore riposerà nel Signore.

162. Se qualcuno non dice che il Padre è sempre, che il Figlio è sempre, che lo Spirito Santo è sempre, è un eretico.

163. Se qualcuno non dice che il Figlio è nato dal Padre, cioè dalla sua sostanza divina, è un eretico.

164. Se qualcuno non dice che il Figlio di Dio è vero Dio, come suo Padre è vero Dio, e che può fare tutte le cose, conosce tutte le cose ed è uguale al Padre, è un eretico.

165. Se qualcuno dice che il Figlio, quando era sulla terra nella carne, non era con il Padre nei cieli, è un eretico.

166 (14) Se qualcuno dice che nella sofferenza della croce è stato Dio a sentire il dolore, e non la carne e l’anima di cui Cristo, Figlio di Dio, si è rivestito – la forma di schiavo che ha assunto, come dice la Scrittura (cfr. Fil 2,7 ) – è in errore.

167 (15) Se qualcuno non dice che Egli siede alla destra del Padre nella carne, nella quale verrà a giudicare i vivi e i morti, è un eretico.

168. Se qualcuno non dice che lo Spirito Santo è veramente e propriamente del Padre come il Figlio, che è della sostanza divina e vero Dio, è un eretico.

169. Se qualcuno non dice che lo Spirito Santo è Onnipotente, che è Onnisciente, che è ovunque, come il Figlio e il Padre, è un eretico.

170. Se qualcuno dice che lo Spirito Santo è una creatura o che è stato fatto dal Figlio, è un eretico.

171. Se qualcuno non dice che il Padre ha fatto tutte le cose, cioè quelle visibili e invisibili, per mezzo del Figlio e dello Spirito Santo, è un eretico.

172. Se qualcuno non dice che il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo hanno una sola divinità, una sola potenza, una sola maestà, una sola forza, una sola gloria, una sola sovranità, un solo regno, è un eretico, una sola volontà e una sola verità è un eretico.

173. (21) Se qualcuno non dice che le tre Persone del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo sono vere, che sono uguali, sempre viventi, che contengono tutte le cose visibili e invisibili, che hanno potere su tutte le cose, che giudicano tutte le cose, che vivificano tutte le cose, che creano tutte le cose e conservano tutte le cose, è un eretico.

174. (22) Se qualcuno non dice che lo Spirito Santo deve essere adorato da ogni creatura come il Figlio e il Padre, è un eretico.

175. (23) Se qualcuno pensa bene del Padre e del Figlio, ma non pensa bene dello Spirito, è un eretico, perché tutti gli eretici che pensano male del Figlio di Dio e dello Spirito Santo si trovano nell’empietà dei Giudei e dei pagani.

176. (24) Se qualcuno, dicendo che il Padre è Dio, il Figlio è Dio e lo Spirito Santo è Dio, divide, e quindi significa dei, e non Dio, a causa dell’unica divinità e potenza, che crediamo e sappiamo appartenere al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo; Se esclude il Figlio o lo Spirito Santo, ritenendo che solo il Padre debba essere chiamato Dio, e quindi crede in un unico Dio, è un eretico in tutti questi punti; è persino un ebreo. Perché il nome di dèi è stato ordinato e dato da Dio a tutti gli Angeli e ai Santi. Ma nel caso del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, la loro unica ed eguale divinità rende l’appellativo non di dèi, ma di Dio, che ci viene mostrato e indicato per credere. Perché noi siamo battezzati solo nel Padre, nel Figlio e nello Spirito Santo, e non nel nome di Arcangeli o Angeli, come gli eretici o i giudei o anche i pagani stolti.

177. Questa è la salvezza dei Cristiani: credendo nella Trinità, cioè nel Padre e nel Figlio e nello Spirito Santo, e battezzati in essa, dobbiamo credere fermamente che essa sia una sola vera Divinità e potenza, maestà e sostanza.

b) “Decretum Damasi,” De explanatione fidei.

Lo Spirito Santo

178 – Prima di tutto dobbiamo occuparci dello Spirito settiforme che riposa su Cristo. Lo Spirito di sapienza: Cristo è potenza di Dio e sapienza di Dio 1 Cor I,24 Lo Spirito di intelletto: Io vi darò comprensione e vi istruirò sulla via da seguire Sal 31,8. Lo Spirito del consiglio: e il suo nome sarà chiamato messaggero del grande consiglio (Is IX,6 – LXX). Lo Spirito di fortezza: come sopra, la forza di Dio e la sapienza di Dio 1Co 1,24 Lo Spirito della scienza: a causa dell’eminenza della conoscenza di Cristo Gesù (Ef III,19 Fil III,8), colui che è stato mandato. Lo Spirito di verità: Io sono la via, la vita e la verità (Gv XIV,6). Lo Spirito di timore (di Dio): L’inizio della saggezza è il timore di Dio: Sal. CX,10 Pr. IX,10. La distribuzione dei nomi di Cristo è però multiforme: Signore, perché è Spirito; Verbo, perché è Dio; Figlio, perché è l’unico nato dal Padre;… Lo Spirito Santo non è lo Spirito del solo Padre o del solo Figlio, ma lo Spirito del Padre e del Figlio, perché sta scritto: “Se uno ama il mondo, lo Spirito del Padre non è in lui” (cfr. 1Gv II,15; Rm VIII,9); e sta scritto: “Chi non ha in sé lo Spirito del Padre, non ha nessuno in sé”: È da questa nomina del Padre e del Figlio che si riconosce lo Spirito Santo”, di cui il Figlio stesso dice nel Vangelo: lo Spirito Santo procede dal Padre (Gv XV,26) e: riceverà ciò che è mio e ve lo annuncerà (Gv XVI,14).

Il Canone della Sacra Scrittura

179 – Dobbiamo ora parlare delle Scritture divine, di ciò che la Chiesa cattolica universale riceve e di ciò che deve evitare. Cominciamo con l’ordine dell’Antico Testamento. Genesi, un libro; Esodo, un libro; Levitico, un libro; Numeri, un libro; Deuteronomio, un libro; Giosuè, un libro; Giudici, un libro; Rut, un libro; Re, quattro libri; Paralipomena, due libri; 150 Salmi (Salterio), un libro; Salomone, tre libri; Proverbi, un libro; Ecclesiaste, un libro; Cantico di Salomone, un libro; Sapienza, un libro; Ecclesiastico, un libro. Poi l’ordine dei profeti. Isaia, un libro; Geremia, un libro, con Cinoth, cioè le sue Lamentazioni; Ezechiele, un libro; Daniele, un libro; Osea, un libro; Amos, un libro; Michea, un libro; Gioele, un libro; Abdia, un libro; Giona, un libro; Nahum, un libro; Abacuc, un libro; Sofonia, un libro; Aggeo, un libro; Zaccaria, un libro; Malachia, un libro. Poi l’ordine delle storie. Giobbe, un libro; Tobit, un libro; Esdra, due libri; Ester, un libro; Giuditta, un libro; Maccabei, due libri. Poi l’ordine delle Scritture del Nuovo ed Eterno Testamento, che la Chiesa Santa e Cattolica (romana) riceve (e venera). Vangeli (quattro libri): un libro secondo Matteo; un libro secondo Marco; un libro secondo Luca; un libro secondo Giovanni (anche gli Atti degli Apostoli, un libro). Le epistole di Paolo, quattordici: una ai Romani; due ai Corinzi; una agli Efesini; due ai Tessalonicesi; una ai Galati; una ai Filippesi; una ai Colossesi; due a Timoteo; una a Tito; una a Filemone; una agli Ebrei. Allo stesso modo l’Apocalisse, primo libro. E gli Atti degli Apostoli, un libro (vedi sopra). Poi le epistole canoniche, in numero di sette: due dell’apostolo Pietro; una dell’apostolo Giacomo; una dell’apostolo Giovanni; due dell’altro Giovanni, il presbitero; una dell’Apostolo Giuda, lo Zelota. Fine del canone del Nuovo Testamento.

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA (4). “Da San Siricio e San Zosimo”.

LO SCUDO DELLA FEDE (247)

LO SCUDO DELLA FEDE (247)

LA SANTA MADRE CHIESA NELLA SANTA MESSA (16)

SPIEGAZIONE STORICA, CRITICA, MORALE DELLA SANTA MESSA

Mons., BELASIO ANTONIO MARIA

Ed. QUINTA

TORINO, LIBRERIA SALESIANA EDITRICE, 1908

CAPO III

IL SACRIFICIO DIVINO

SECONDA PARTE DEL CANONE.

CAPITOLO II

Ora il Sacerdote ricorda l’atto dell’istituzione dell’Eucaristia fatta da Gesù Cristo, per immedesimarsi con Lui, ed eseguire la Consacrazione.

Deh! colla più profonda umiltà teniamo appresso alla Chiesa, che sublima il suo Sacerdote alla tremenda azione santissima, l’identifica con Gesù; e in questo momento ravvicina i tempi, come un istante presente nella sua Divinità: e lo mette ad operare con Gesù; o meglio Gesù l’assume come strumento, e rinnova per lui il Sacrificio di Se Stesso. « Il Quale il giorno prima di cominciare la sua passione, … etc. etc. ». Egli, dice s. Giovanni Crisostomo (Hom. 82 in Matth.), istituisce il Sacramento dell’Eucaristia la vigilia della sua passione, nel tempo della Pasqua dei Giudei, per aggiungere una nuova testimonianza a tutte quelle, con cui aveva già fatto conoscere, che Egli era quel desso, che aveva prestabilito l’antica Legge, la quale in tutto di Lui era figura, ed adombrava questo suo gran Sacrificio. Ora alla figura sostituisce la realtà. Istituisce l’Eucaristia la sera, per indicare, che, compiuti i tempi, allora l’antica Legge toccava la sua consumazione: e cessare poi dovevano gli antichi sacrifici. « Prese il pane ecc. » Il pane, che è il sostentamento, e simbolo della vita, sì trova pressoché in tutte le case formato di frumento. Il frumento, come osservano i naturalisti, è una biada, che accompagna gli uomini, dove si stabiliscono per vivere in società; perché a far germogliare il frumento, fa d’uopo che gli uomini si fermino a coltivare il terreno, che l’ha da produrre: e mentre si matura con ogni clima colla maggiore facilità, e si lascia coltivare pressoché in ogni regione, non nasce ciò spontaneo in nessun luogo. È adunque il pan di frumento l’offerta più conveniente per la religione, che deve tutto abbracciar l’universo, perché trova il mezzo da far dappertutto la sua oblazione: ed è il segno dell’umana famiglia costituita in società. Il pane composto di molti granelli bene significa, siccome osserva s. Agostino (Tract. 24, in Ioan. et S. Thom. 3 part., q. 64, art. 1), l’aggregamento dei fedeli, che uniti insieme col glutine della carità, compongono il corpo della Chiesa, di cui il Redentore è Capo: dappoiché, dice s. Paolo (1 Corin. X, 17.), in un solo pane, un solo corpo siamo noi molti. E questo pane dovendo essere la Comunicazione del Corpo del Signore (1 Cor. X, 16.); « per esso non saranno più molti corpi, ma sì un solo, dice s. Giovanni Grisostomo; e siccome il pane è un composto di molti grani talmente uniti e mescolati, che non appaiono più, né si possono mai distinguere gli uni dagli altri; così l’unione, che ci identifica con Gesù Cristo, è tale, che vi è un solo corpo nutrito e mantenuto dallo stesso pane. Ecco lo spirito del formidabile Sacrificio, a cui ci dobbiamo approssimar colle disposizioni di una carità viva, che unisca tutti i cuori in un solo sentimento di mutuo amore. Così dove sarà il Corpo, quivi si raduneranno le aquile » (Matt. XXIV, 28). Fin qui il medesimo s. Giovanni (Hom. 3, in Ep. ad Eph.). E accennava questo pensiero s. Ignazio Vescovo di Antiochia, quando in mezzo all’anfiteatro in Roma, li per essere divorato dalle fiere, udendo leoni e fiere a ruggire pel fremito di gettarglisi sopra a sbranarlo ; « Son frumento di Cristo, (esclamava il sant’uomo già incorporato in Gesù) da essere stritolato in morte, per divenire pane mondo » ((5) Hier, De scrip. Eccl.). « Nelle sante e venerabili sue Mani ecc. » Son sante quelle Mani divine, e a ciò che toccano comunicano la santità. Elia, rapito in cielo, lasciava cadere il mantello, che lo aveva coperto, e con esso comunicava doppio spirito al discepolo suo Eliseo. Questi posavasi colla persona sul cadavere del figliuol della Vedova, e nel toccar colle membra sue sante le fredde membra del morto, lo faceva balzare in piedi pieno di vita. Era la virtù di Dio, che operava prodigi per loro. Ora le Mani stesse di Dio toccano il pane, e lo transustanziano, lo fanno divenire Corpo di Gesù Cristo. Chiamansi venerabili quelle Mani divine, forse per dire quanto debbano essere da ogni macchia purgate e venerabili le mani dei Sacerdoti, che Gesù assume e rende potenti ad operare un tanto tremendo Mistero (Io Chry. De sacerd. lib. 3. C. Bona, tract. ascet. 5, § 9): esse che debbono presentare all’altare Gesù, come colle mani sue immacolate la Regina degli Angeli presentava al cielo appena nato sul purissimo seno il Bambino Gesù.

« Sollevati gli occhi a Voi, Dio, Padre onnipotente ecc. » E che faceva Gesù cogli occhi elevati al Padre suo celeste? Forse chiedeva venia a Lui, quasi con quello sguardo dicesse : « perdonate, o Padre, se Io dono così a loro tutta nostra Divinità; Padre, li amo troppo! » Forse volava dell’anima in seno al Padre, per versare dal Padre sui figli i tesori del gran Monarca della bontà….. Ah! Sarà meglio adorare, che pretendere di farci interpreti dello sguardo divino, con cui Gesù così bene s’intende col Padre suo!…

« Rendendovi grazie ecc. » Rende grazie, perché il Padre lo esaudisce, e lo fa padrone di tutta la Divinità; grazie, perché gli ha dato un corpo da potere in sacrificio offrirgli fino alla consumazione dei secoli; grazie, perché in quel mistero di carità divina, onnipotente, il Padre gli concede di trasfondersi in noi, a cui volle farsi fratello, e di unirci a Lui come sue membra, per averci seco in beatitudine. Rende grazia anche a nome di tutta l’umanità, che di ringraziar Dio ha debito infinito, e principal dovere (Io. Chry. Hom. 21, in Matt. c. 27). « Benedisse ecc. » Dal primo Adamo venne a noi il mal germe del peccato, quinci da lui la cagione della maledizione. Da Gesù, Adamo novello, Ristoratore dell’umanità, a noi discendono tutte le benedizioni. Così fu adempita la promessa fatta ad Abramo, che saran benedette in lui, cioè nel Figliuolo che dovrebbe nascere dalla sua stirpe, tutte le genti (Gen.). Vi fa sopra il segno di croce; perché sulla croce nel Corpo di Gesù si aprì la sorgente delle benedizioni, che discendono in terra, e la fonte delle acque salienti a vita eterna. « Lo spezzò ecc. » In quell’atto si mise innanzi, e parve dire: « eccomi, sono tutto per tutti, e dandomivi in questo modo, ciascuno di voi può del sacrificio, che di Me faccio, fare per sé particolare applicazione, e partecipare a volontà. » Imperocché, dice s. Paolo (I. Cor 7), il pane che noi frangiamo, non è forse partecipazione del Corpo del Signore? « E diede ai suoi discepoli. » Quando aveva promesso di dare il suo Corpo a cibo, ed il suo Sangue a bevanda, molti di loro, che lo seguivano come discepoli anch’essi fino a quel punto, nello ascoltare quella inaudita sua promessa, stettero sopra pensiero: anzi si misero a mormorare fra loro: « e come può costui darci da mangiare la propria carne » (Joan. VI.)? e questionando gli volsero le spalle dicendo: « è troppo duro questo Suo parlare, e chi può udirlo dire così? » Ma Gesù che voleva proprio dare la sua Carne ed il suo Sangue, non li chiamò già indietro, né corse appresso a dir loro: « calmatevi, voi non mi avete ben compreso; non è già, che Io voglia darvi proprio il mio Corpo e il mio Sangue; mai no, ma vi darò (come vorrebbero fargli dire i protestanti) un pane, che sarà figura del mio Corpo, e vino che sarà immagine del mio Sangue. » Questo non disse, no, anzi per ribadire e confermare il già detto: « Sì veramente, disse loro, la mia Carne è proprio cibo, il mio Sangue è proprio bevanda, e se non mangerete della Carne del Figliuol dell’uomo, né berrete del di Lui Sangue, non avrete vita in voi. Chi mangia la mia Carne, e beve il mio Sangue, ha la vita eterna, ed io lo risusciterò nell’ultimo dei dì » (Mons. Martini, Nuov. Test. nel luog. cit.). E che mai poteva di più semplice dire o di più chiaro, per esprimere, che il suo Corpo ed il suo Sangue voleva dare realmente? E di più ancora rivolto a quegli che gli restarono intorno, (per far loro intendere, che li avrebbe ritenuti per discepoli solo a condizione che gli avessero creduto, volerci dare tutto Se stesso con un miracolo d’amore onnipotente) disse loro: « volete andarvene anche voi? » quasi dicesse: Se volete andare, lo potete; ma chi mi si vuol restar discepolo, ha da credere, che Io voglia dar tutto Me stesso in cibo e bevanda spirituale. Così da quelli che volevano restargli discepoli esigeva, che con un po’ d’umiltà s’affidassero in Lui, ritenendo sicuro, che nei tesori della Divinità troverebbe un argomento, un ingegno da compenetrarci colla sua Persona Divina, come il cibo s’identifica col corpo nostro; senza offendere ì sensi nostri, grossi, per servirci di essi nel portar giudizio in fatto d’amor di Dio. In quella cena pertanto gli restavano intorno quei soli, che fidandosi a Lui, gli tennero appresso fino a quell’ora. Eran adunque ì soli fedeli. Abbiam detto i fedeli?.. Deh! come dunque poté trovarsi fra loro anche un Giuda? Ah! a questo pensiero chiniamo gli occhi a terra, battiamoci il petto, esclamiamo confusi: « povera umanità, quanto sei miserabile, e degna della più grande compassione. Se in quell’istante in cui il Figliuol di Dio operava il più gran miracolo della bontà divina verso gli uomini, hai potuto mandare appresso Gesù anche un Giuda a rappresentarti.

CAPITOLO III

ATTO DELLA CONSECRAZIONE DEL SS. CORPO.

Raccogliamo le potenze del nostro spirito, sublimiamoci nella Divinità, in ogni luogo presente, che alimenta con atto del suo volere la nostra esistenza… Dio medesimo ha fatto il comando, e promise l’opera sua al Sacerdote che sta per eseguirlo, assicurandolo che quel pane « sarà suo Corpo, e quel vino diverrà suo Sangue. » Qui l’uomo assunto ministro dell’immortal Sacerdozio del Verbo, diventa dito di Dio, e strumento in mano di Lui, che gli trasfonde la sua virtù divina. Ora, se l’uomo sì debole, pur coi soli doni naturali, quando investe di sua virtù un piccolo materiale istrumento, fa uscire da quello i miracoli dell’arte: sicché tocca, per esempio, i sassi collo scalpello, e spira in quelli, diresti, vita e pensiero; muove il pennello, e su di una morta tela fa discendere celestiali bellezze, tutta vita ideale; mette mano nelle viscere dei monti, e fila metalli, gli organizza, e compone macchine d’incalcolabile potenza che, diresti, partecipano del suo pensiero: posa il braccio sopra una leva e accumula macigni, e spirandovi dentro il pensiero della fede erge sublimi edifizi, che fanno un magnifico invito a discendere al Sovrano del cielo: che non potrà fare, se Iddio lo sceglie instrumento nel sacerdozio, e lo investe di sua virtù? (Ecco in breve il ragionamento di s. Tommaso (L. 3, q. 64, a.5): I ministri operano nei Sacramenti come istromenti…. l’istrumento non opera secondo la forma e virtù propria, ma secondo la virtù di chi l’adopera. Chi opera per virtù altrui non assimila l’oggetto, su cui opera se stesso; ma al principale operante (contra gentes, cap. 77). Se il Verbo, per cui tutto fu fatto, e che tutte porta le cose con la parola della sua potenza, in lui spira ed opera con questa sua creatrice parola? Adoriamo, adoriamo! niente è più terribile, niente è più misterioso di questo che si fa in questo momento! Parla Gesù…

La verità della parola di Gesù Cristo.

Parla Gesù….. Tacete, o figli degli uomini, voi siete bugiardi: ma Gesù dice sempre la verità, e sa per bene mantenere la sua parola. Sono 1800 anni, che Gesù ai discepoli, che ammiravano quella immensa mole del tempio di Gerusalemme diceva: che quella saldissima montagna di marmo sarebbe distrutta così, da non rimanervi pietra sopra pietra. Sono 1800 anni, che il tempio è là distrutto. Bene, Giuliano imperatore apostata, e perciò perfido nemico del Signore, per dar la mentita a Gesù stimolava tutti gli Ebrei del mondo a ricostruire il tempio, e li aiutava di forze: gli Ebrei da tutte parti accorrevano, i ricchi offrivano tesori, le donne offrivano i loro gioielli, tutti il loro aiuto; e già scavandosi le fondamenta sì rimovevano fin le ultime pietre del vecchio tempio; ma, sbucando le fiamme da quegli scavi, abbandonarono atterriti l’impresa, che non ardirono tentare mai più. Così quella distruzione è là che prova, che passano i secoli, ma Gesù dice sempre la verità. Sono 1800 anni, che Gesù, piangendo sopra Gerusalemme, diceva: che rimarrà distrutta quella città sino all’ultima pietra, ed appropriandosi la profezia di Daniele, che parla di Lui, Egli accennava, che, distrutta la città, atterrato il tempio, disfatto il regno, gli Ebrei rimarrebbero dispersi in mezzo alle nazioni dell’universo; e che quel popolo non sarebbe più il popolo del Signore, fino alla fine dei secoli, da quando avrebbero ucciso il Cristo, il Messia, esso Gesù. Or ecco il gran fatto in faccia a tutti i popoli dell’universo. Sono 1800 anni, che gli Ebrei l’ebbero ucciso, e restano d’allora dispersi in mezzo alle nazioni del mondo. Stirpe singolare! mentre vediamo nelle storie tutte, che i popoli conquistatori si fondano coi conquistati così da formare una sola nazione; solamente gli Ebrei dispersi in mezzo alle genti, restano sempre da quelle distinti. Miracolo d’esempio di una nazione, che non forma un popolo, eppure resta sempre, frammischiato in mezzo agli altri popoli, li senza confondersi, per provare al mondo, che Gesù dice sempre la verità. Bene, l’imperatore Adriano volendo rifabbricare Gerusalemme, per darle il suo nome di Elia, faceva trasportare gli avanzi della distrutta città, così che toglieva dell’antico fino le rovine. Sono 1800 anni, che dura sempre la desolazione predetta dove era Gerusalemme, e prova che Gesù dice sempre la verità. Lo prova un miracolo, che è il miracolo d’ogni dì, a dispetto dell’incredulità che non vuole miracoli. Eccolo, e sfidiamo tutti gl’increduli a negare questo fatto. In questi dì il gran Turco, padrone della Giudea, è in disperazione di miserie; cerca danari a condizione qualunque: venderebbe qualunque provincia a rifornire le esauste finanze. Gli Ebrei i sono i più ricchi del mondo: un piccol angol della Giudea, un po’ di tempio in Gerusalemme, simbolo della loro nazionalità, è il loro sospiro da diciotto secoli: dei governi d’Europa poi, i più guarderebbero indifferenti: alcuni godrebbero perfidamente, come gli Ebrei, che si provasse non esser vera la parola di Gesù Cristo. Su, su, noi abbiamo ragione di dire senza paura, (come diceva Voltaire a Federico re di Prussia egli colla speranza di smentire Gesù) con un piccolo contratto si potrebbe provare, che non è vera la parola di Gesù. Su, si passi in vendita un palmo di terreno in Giudea: i mezzi non mancano, nessuno l’impedisce. Non è vero, che si vorrebbe vendere, e si desidera comperare ardentemente? Venditori, e compratori crederebbero di fare la loro fortuna con questo contratto: e perché a dispetto di tutte le convenienze, non si vende questo palmo di terra? Chi spiega il mistero? Se non lo sanno i politici, noi lo diremo loro: è perché i nemici di Gesù Cristo, sono 1800 anni, — sono obbligati a provare essi stessi a loro dispetto, che Gesù dice sempre la verità. E Gesù poi sa per bene mantenere la sua parola. Invero sono 1800 anni, che Gesù diceva agli Apostoli, e a Pietro capo di loro, che li farebbe pescatori d’uomini per tutti i tempi: sono 1800 anni, che i loro successori seguitano sempre a raccogliere gli uomini nella rete di Pietro. Sono 1800 anni, che Gesù diceva, che la sua dottrina si diffonderebbe nel mondo universo. Sono 1800 anni, che la sua dottrina è predicata per tutto. I grandi conquistatori delle nazioni sono lasciati indietro da questi conquistatori delle anime: e se si scoprono nuovi mondi, prima di tutti gli avventurieri, Gesù vi manda i suoi a predicare la sua dottrina. Sono 1800 anni, che Gesù diceva, che i suoi fedeli gli renderebbero dinanzi ai potenti della terra testimonianza alla sua parola, n’andasse pure la vita. Sono 1800 anni, e Gesù tiene milioni e milioni di fidi, che danno la vita, per mantenere la sua parola. – Sono 1800 anni, che Gesù diceva a quel povero pescatore dei laghetti della Giudea : « Pietro tu sei la pietra, e sopra questa pietra edificherò la mia Chiesa, e le porte d’inferno non prevarranno mai contro di essa. » Sono 1800 anni, che il Papa successore di Pietro, sta. Sono 1800 anni, che chi si batte contro questa pietra, ne resta infranto; da 1800 anni fino a quest’istante, da Simon Mago accorso in Roma, fino a Garibaldi in Mentana (ché è poi sempre questa pietra, che sì vorrebbe abbattere negli ottantatré, se non erriamo, attacchi ai Pontefici), vengono tutti gli ostinati nemici del Papa a rompersi il capo contro questa pietra; che li schiaccia tutti, per provare che Gesù sa mantenere la sua parola. – Sono già più di 1800 anni, che Gesù fin prima di nascere diceva, come dice ora, come dirà sempre, la verità. Vi è una profezia che abbiamo in bocca ogni di noi tutti, e prova la verità del Figliuol di Dio Gesù. Visitava una poverina di donna, sposata ad un artigiano, una sua parente; ed Elisabetta, vedendosela apparire sull’uscio, esclamava: « onde a me questa fortuna, che la madre del Signor mio venga a me! » e quella donnicciola esclama: « Magnificat anima mea Dominum. Quia respexit humilitatem ancillæ suæ: ecce enim ex hoc Beatam Me dicent omnes generationes….; ecco che tutte le generazioni mi chiameranno beata. » Avrebbero detto gl’increduli: Sogna la donnicciola! chi ha da curarsi di lei meschinella?…. Tacete, o increduli, voi siete bugiardi; ma questa Donnicciola ha in seno Gesù, che dice sempre la verità. Eccovi, eccovi, che sono 1800 anni, che Maria Santissima è chiamata beata. Dal più gran tempio del mondo il Pontefice Sommo, fino alla contadinella intorno al tabernacoletto ornato di carta e di fiori del campo innanzi alla statuina di gesso, tutti a gara la chiamano beata: e tutte le regine, e tutti i re, e tutti gli uomini grandi di tutto universo, di tutti i tempi, insieme uniti non hanno tanti monumenti, quanti ne ha sola la donnicciola di Nazaret: perché quella donnicciola è la Beatissima Vergine Maria, Madre di Gesù, che dice sempre la verità. Siamo stati lunghi nelle ripetizioni: ma i fatti si vogliono ripetere ancora di più, a prova delle verità della parola di Gesù Cristo. Parla adunque Gesù! Egli è Figliuol di Dio: e parla sempre la verità. Tremate increduli! Voi potete star senza credere, come potete morire senza speranze….. Ma Gesù ha la potenza di farsi credere alla più alta ragione di diciotto secoli (perché l’umanità cristiana, che crede da diciotto secoli, è la più alta ragione che mai sia apparsa nel mondo, innanzi a cui cadono a nulla gli increduli !…..) A terra, a terra tutti in silenzio: adoriamo. Il Sacerdote annuncia ciò che dice Gesù: « Questo è il mio Corpo. » Lo dice Iddio; e se lo dice Iddio, chi può dubitare? E può mai la parola di Dio mancare d’effetto?… Onnipotente e veracissima è la sua parola, e fallacissimo il nostro senso (Io. Chrys. Hom. 24. in 1 Cor.). Momento solenne!.. Non vi è niente di più grande, né di più augusto di quanto ci è dato a scorgere in così terribil momento! Dice s. Giovanni Grisostomo (Io. Chrys. De pœnit.); l’altare è eretto, i misteri s’apprestano: l’Agnello di Dio viene ad immolarsi per noi: il Sacerdote si affanna: il fuoco sacro acceso sull’ara spande intorno la sua luce: i cherubini sono qui presenti, i serafini accorrono, gli spiriti celesti coprono le loro fronti colle ali tremanti, legioni d’Angeli si uniscono al Sacerdote, per intercedere; il cielo si è aperto (Io. Chrys. Hom. 82 in Matt.)… Adoriamo Gesù, vero Dio e vero Uomo, qui realmente presente… Questo è il Corpo di Gesù Cristo. Sì, questo è quello stesso Corpo, che fu trafitto dai chiodi, lacerato dalle verghe dei carnefici, su cui la morte fu impotente; è quello stesso di cui il sole, vedendolo morire in croce, non poté sostenere l’aspetto, e ne stornò i raggi; quello stesso, il cui ultimo sospiro esalato lacerò il velo del tempio, spezzò le rupi, fece tremare la terra: squarciato nel costato, fece scaturire la vita (Io. Chr Hom. 24.). E dunque qui proprio il Signor crocifisso?…. Ma chi potrà reggere così d’appresso alla Divinità sacrificata? Cadiamo a terra… picchiamoci il petto… e lasciando correre riverenti e timorosi sull’altare lo sguardo, guardiamo il Sacerdote: pover’uomo! Egli sa, quanto è orrenda cosa cader nelle mani del Dio vivente (Heb. X, 31)! Depone tremante Gesù sull’altare, e smarrito va ripetendo in cuor suo con Pietro: « Signore, Signore, allontanatevi da me, che sono uom peccatore! » Si getta per terra in ginocchio, cioè cade a nulla nell’abisso della miseria, sorge, e solleva esterrefatto tra il cielo e la terra la Vittima Divina!

Eleva fra le mani il SS. Corpo di G. C.

Che vuol dire questo sollevare il Corpo di Gesù Cristo?… Oh Dio! noi siamo smarriti qui e nella perturbazione della povera anima nostra toglieremo in prestito i pensieri del serafico Bonaventura (Part. 3 in Expos. Mîss. c. 4. et §§ sequent.). Che vuol dire alzar l’Ostia Santissima? Vuol dire levare il volto al cielo con fra le mani il Corpo di Gesù Cristo, e gridare con coraggio: « Padre celeste, abbiam peccato; ma deh! guardate chi vi offriamo, guardate in faccia Gesù Figlio vostro…., e negateci, se potete, negateci di perdonare….. » Che vuol dire alzar l’Ostia? Vuol dire: « Padre Santo, guardate il Vostro Unigenito qui divenuto nostro fratello: deh! mandate per Lui, nostro Capo in noi tutti, sue membra, la vostra benedizione. » Che vuol dire alzar l’Ostia? Vuol dire: « Il paradiso è nostro: il prezzo è qui: è questo Divino Redentore!…. » Che vuol dire alzar l’Ostia? « O cielo, o terra, o mondi del firmamento, adoratelo in silenzio meravigliati, e date lode all’onnipotente bontà di Dio! I cieli non lo possono capire, e noi l’abbiamo qui prigioniero d’amore fra le mani! Eh no? non lo lasceremo andare, finché non ci abbia benedetti!…» Che vuol dire alzar l’Ostia! Vuol dire: « Combattenti sotto il vessillo del Crocifisso, coraggio, coraggio; intuonate l’inno della vittoria; eccovi il gran duce già vi precede al trionfo; e voi poveri affitti, levate il capo, eccovi glorioso Gesù, tenetegli dietro colla vostra croce: ancor pochi passi e lo raggiungerete in paradiso…. »

Che vuol dire alzar l’Ostia ? Vuol dire: « Principi della celeste Gerusalemme, alzate le porte eternali, ché viene il Re della gloria, il Signor forte e potente, il Signor delle virtù, il trionfator della morte, e gli tiene appresso l’esercito dei crocesignati: o Beati, guardate giù, e nel veder questo Re divino, che sollevandosi di terra procede verso del cielo colla legione dei trionfanti, venerate la terra, che, bagnata del Sangue di Dio medesimo, diventa la via del paradiso…. »

Atto della consacrazione del Sangue SS.

« In simile modo, poiché ebbe cenato Gesu, prendendo anche questo calice preclaro nelle sante e venerabili sue mani. » Ecco Gesù col calice del suo Sangue nelle mani sue! O Profeta David, quando col cuore così pieno di gratitudine nell’estasi dell’ispirazione esclamavi: « E che mai potrò retribuire al mio Signore per tutto, che Egli mi vuole donare? Prenderò il Calice della salute, ed invocherò il nome del Signore ; » era egli di questo ministero d’amore che ti parlava all’anima rapita lo Spirito Santo? Deh! Se tu vedessi in questo istante Gesù con questo calice del suo Sangue nelle mani Sue, ben torneresti ad esclamare: « Quanto è preziosa la morte dei giusti, che avranno la sorte di versare insieme col Sangue del Redentore Divino ìl proprio sangue in sacrificio a Dio! »

« Lo benedisse, e lo diede ai suoi discepoli dicendo: PRENDETE, BEVETE TUTTI, QUESTO È IL CALICE DEL MIO SANGUE DEL TESTAMENTO NUOVO ED ETERNO. » Ecco Gesù col calice del suo Sangue nelle mani sue. Anche il pontefice dell’antica legge, dopo mille cerimonie e preparamenti, una volta all’anno si presentava sulla porta del Santo dei Santi, terribile luogo, coperto di un velo impenetrabile ed inaccessibile ad ogni altro mortale; ma nel presentarsi portava in mano il Sangue della vittima e, con esso innanzi, la temuta porta ardiva d’aprire, perché quel sangue ricordava l’antico patto di Dio e la promessa divina di un patto nuovo. Ora ecco Gesù, che col calice del suo Sangue salda il patto nuovo di eterna alleanza, e col suo Sangue in mano apre a tutti il paradiso.

« Sangue del testamento nuovo ecc. ecc. » Questo è il Sangue della nuova alleanza: poiché siccome l’antico Testamento venne confermato col sangue delle vittime, così il nuovo è suggellato col Sangue di Gesù Cristo (S. Ioan. Chrys. Hom. 82.). Questo Sangue impronta nelle anime la regale immagine del Signore, vi produce un carattere di bellezza e nobiltà, le rafforza e ne è la vita…… questo Sangue fuga il demonio, chiama gli spiriti beati, egli è del Sovrano del celeste impero. Fin qui il Grisostomo (Hom. 47).

« Sangue del testamento eterno. » Sì veramente, perché eterno è il Pontefice, immortale la Vittima, che lo conferma e lo santifica.

« Mistero di fede ecc. » Qui noi esclameremo: « beati coloro, che non vedono cogli occhi (Io. XX, 29), ma credono all’Essenziale Verità. » Beati noi, che abbiamo conosciuto e creduto alla carità, che Dio ha per noi (IV, 16). Bello è ricordare il fatto di san Luigi IX, re di Francia, che chiamato, affinché accorresse a veder Gesù Cristo in apparizione miracolosa nel SS. Sacramento sopra l’altare; mentre lo pressavano che andasse ad ammirare quel miracolo, che confermava così altamente la real presenza di Gesù Cristo: « non fia, non fia, » si dice che rispondesse; « io non verrò, per confermarmi nella verità della fede col testimonio degl’occhi miei. No: perché potrebbero questi occhi prendere abbaglio; ma nella fede mia son certo d’essere infallibile, come è infallibile Iddio, in cui si affida totalmente la nostra credenza. » « Mistero di fede.» ed è veramente, perché essendo da tante figure promesso, da tanti sacrifici figurato, era l’oggetto misterioso, che non ancor pienamente rivelato, esercitava la fede degli antichi Padri (s. Tommaso): ed è il più gran mistero, che colla onnipotenza della fede assoggetta gli intelletti dei fedeli in umiltà: e, a dispetto di tutte le difficoltà, obbliga gli uomini della più potente ragione a credere come fanciulli impiccioliti davanti alla maestà di questo Vero Divino!

« Che sarà sparso per voi e per molti ecc. ecc. » Per voi, o discepoli, e per molti, cioè pei fedeli che verranno poi infino alla consumazione del tempo; per voi, O eletti del popolo di Dio, e per molti, che da tutte le nazioni del mondo saranno chiamati al banchetto divino. Perché questo Sangue sparso sull’albero della croce ha lavato i peccati di tutto il mondo (Io. Chrys. Hom. 46.).

« In remissione dei peccati. » Dichiara l’oggetto per cui s’incamminava a morte (Id. 82). Quando le enormità dei delitti provocano lo sdegno di Dio gli angioli della divina vendetta (dice s. Giovanni Grisostomo) volano dinanzi al trono di Lui col vaso del suo furore, gridando: « Signore! da quell’atomo di fango, contaminato da tanti peccati, abbiamo da sperdere noi tanta lordura di peccatori? » Ah! siano ora benedizioni e grazie a Gesù Salvatore, che si presenta invece col calice del suo Sangue in mano, e grida: « Perdonate, o Padre, i meschinelli miei su questa terra! » Coraggio! Coraggio! stiamo a fidanza ad aspettare proprio in questi giorni misericordia, e corriamo sotto il calice di Gesù. Buon Dio! qual furor di ribelli contro il Signore, e il sommo Pontefice che lo rappresenta! Quando quei furibondi di Ebrei stavano contro Mosè ed Aronne ad offrire un incenso sacrilego; a sterminarli cadeva un torrente di fuoco dell’ira di Dio, e scorreva già tra le tende, e si apriva una voragine a divorare i fuggenti: Aronne pontefice prese il fuoco sacro nel turibolo d’oro, e si frappose tra i morti e i vivi, come gridando: « fuoco dello sdegno di Dio, rispetta il fuoco Sacro » ed il fuoco sterminatore ristette! « Chiuditi, o voragine, e non ingoiare il povero popolo; » e la voragine si chiuse! Ora, se il furore dello sdegno di Dio già rompe il freno, noi, col Sommo Pontefice alla testa pigliamo ben altro che il fuoco Sacro del turibolo d’oro; pigliamoci sul cuore nostro Gesù col Cuor, che arde e versa Sangue sull’altare e gridiamo fidenti: « fuoco dello sdegno di Dio, rispetta Gesù che ci protegge: corriamo fin sopra l’inferno e gridiamo: « chiuditi, o inferno, e cessi la perdizione! » Sì, sì.

Il sacerdote eleva il Calice.

Che vuol dire alzare il Calice? Vuol dire (così s. Giovanni Grisostomo – De pœnit.): « L’Agnello Divino è svenato! il Calice gronda di caldo Sangue! Su, su, accorrete intorno all’altare, e gridate: Sangue di Gesù Cristo piovete sui nostri cuori, bagnate le anime nostre, ristorateci tutti in Voi a vita eterna! » Vuol dire: Ecco Gesù che gronda Sangue: e come là sul Calvario il Corpo di Gesù pendeva dissanguato dalla croce, il Sangue era versato per terra: così ora qui sull’altare, mostrando sotto le due specie del pane e del vino, da una parte il suo Corpo, il suo Sangue dall’altra, misticamente l’un dall’altro diviso, cade come una vittima svenata, versa il suo Sangue innanzi al trono di Dio, e trova in cielo la redenzione (Hebr. VII, I2). Vuol dire: Ecco sopra di noi Gesù, che colle mani piene di Sangue ci apre sul capo il paradiso. Vuol dire: Ecco Gesù, che così come in croce sollevato fra il cielo e la terra, e colle braccia allargate, abbraccia il Padre, abbraccia gli uomini, ed oh! così gli uomini per Gesù si trovano in braccio a Dio! Deh! Gettiamoci tutti piangenti appiè di Gesù Cristo col cuore che palpita troppo, e col pensiero smarrito in così immensa divina bontà. Ma che dice ancora il Sacerdote? Egli racconta che Gesù ha detto  per noi una tenerissima parola.

CAPITOLO IV.

HÆC QUOTIESCUMQUE Ecc. Ecc.

Orazione.

Dice Gesù ancora per bocca del sacerdote: « Ogni qualvolta compiretequesti misteri, ciò farete in memoria di me. »

Esposizione.

On! le tenerissime parole, che finiscono veramente di versare del tutto in Seno agli uomini il Cuore di Gesù. Adunque consumata la grand’opera della sua carità, e ridotto sull’altare in azione di vittima Sacrificata, egli pare che giri lo sguardo intorno e cerchi subito i figliuoli delle sue viscere, pei quali ha versato il Sangue in Sacrificio. Or bene anche noi qui vorremmo dare qualche sfogo alla piena dei nostri affetti. Eh già l’amore è audace interprete dei più secreti misteri, ed anche Gesù benedetto ci ha da perdonare, Se eziandio noi rapiti in santo amore vorremmo farci interpreti del suo Cuore, e col linguaggio di un’anima innamorata dire che anche Egli in quell’istante, in quell’eccesso di averci dato tutto Se Medesimo, non ne potendo più, abbia detto: « Là, là, farete sempre questo anche voi: vi do la facoltà e la parola mia da poter voi stessi trasmutare il pane ed il vino nel mio Corpo e nel mio Sangue! Così resterò sempre con voi. Sì figliuoli miei cari, che mi costate tanti dolori, fate sempre questo in memoria di me. » – Gesù è qui proprio col suo Corpo; proprio col suo Sangue; e benché sia vivo e glorioso in Persona sotto ciascuna delle due specie, però qui sull’altare presenta ora il suo Corpo come fosse solo sotto le specie del pane; ed il suo Sangue come fosse solo lì sotto le specie del vino per mettersi tra il Divin Padre e noi, come era là sul Calvario. Pare che ci dica: « Figliuoli miei, lasciate fare oltre, so ben Io quel che debbo fare per muover a compassione il Padre nostro e poi tutto ottenere per voi. Mi metterò davanti a Lui, come era sul Calvario! Là il mio Corpo morto pendeva dalla croce svenato tutto ammaccato e lacero di piaghe, ed il mio Sangue caldo era tutto sparso sotto sui sassi. Ora qui dunque voi, state dietro di me, parlerò Io per voi con parole piene di Sangue, e tratterò i vostri interessi col mio Cuore squarciato in seno a Lui: Steterim in conspectu Ejus : loquerer pro eis bona (Jer. 18). Poi mostrerete queste piaghe all’Eterno Padre; e qual grazia vi potrà negare, che buona sia per voi, quando gliela chiederete con questo pegno? » E a chi esitasse pel sentimento della propria indegnità, fa il più tenero e consolante rimprovero e prende anzi le difese del Padre suo. « Il Padre mio (Io. 16; Luc. 11.), torna a dir Egli, non vedete, quanto è buono con voi il Padre mio, che ha voluto fino dare per voi la vita del proprio Figliuol suo? Proprio filio suo non pepercit! E tutto questo per salvar voi, quando gli eravate ribelli e nemici; ora che non vorrà fare per voi, che gli siete figli del mio Sangue riconciliati? » Deh! rispondiamogli almeno col cuore: « O nostro buon Gesù, noi accettiamo l’invito; ed il comando vostro è la maggior nostra consolazione. » Deh! sclameremo con s. Giovanni Crisostomo, possiamo pensare, che Gesù Cristo ha sofferto per noi, senza che tale memoria non imprima fortemente nel nostro cuore il desiderio di diventar migliori ? (Hom. 27).