UN PAPA È STATO ELETTO

26 OTTOBRE 1958: fumata BIANCA dalla Cappella Sistina.

UN PAPA È STATO ELETTO!!

[di P. S. D.]

Quella lunghissima fumata bianca del conclave del 1958!

            “Il fumo è bianco…non c’è alcun dubbio. Un Papa è stato eletto!” annunciò solennemente Radio Vaticana al termine del Conclave del 1958, quando centinaia di migliaia di persone erano incollate agli schermi o erano con gli occhi fissati verso il comignolo del camino da cui sarebbe uscita la fumata che avrebbe sancito l’elezione del nuovo Papa.

            Erano periodi molto difficili, con le due superpotenze che si fronteggiavano l’un l’altra nello scacchiere politico internazionale e con pressioni che da più parti e sempre più forti intralciavano le scelte del Papa in Vaticano.

            Era la fine di un’epoca e, con riferimento alla nomenclatura adottata da San Malachia nella sua Profezia sui Papi, al Pastor Angelicus, come lui aveva indicato Pio XII, il Papa il cui Pontificato aveva caratterizzato un lungo periodo di crisi per la pace mondiale, doveva far seguito un altro Pastor, quel Pastor et Nauta che la storia, quella che da sempre scrivono i vincitori del periodo, ci ha presentato come un Cardinale vestito di rosso fra decine di altri porporati, ma che i tempi odierni fanno sempre più chiaramente indicare come il vero successore di Pietro destinato a succedere a Pio XII.

            Dopo la morte di Papa Pacelli, avvenuta il 9 ottobre 1958, fu osservato un novendiato di pausa, al termine del quale ebbe luogo il Conclave in cui si apprestava ad essere eletto l’altro Pastor del secolo, quello caratterizzato dal più grave conflitto della storia: la guerra contro la Cristianità, che si stava preparando a vincere la più grande battaglia fra quelle che le era stato consentito di vincere.

            A raccogliere lo scettro del Pastor Angelicus doveva essere un altro Pastore delle greggi, quello che più di chiunque altro era in continuità con Pio XII: Giuseppe Siri, che lo stesso Papa Pacelli aveva indicato come Suo Successore. E a questo Successore San Malachia di Armagh aveva dato lo stesso nome conferito a Pio XII, Pastor, a cui aveva fatto seguire anche la parola Nauta, “marinaio”.

            Ed al Conclave per la designazione del successore del Pastor Angelicus avvenne un fatto inaudito, senza precedenti: due giorni dopo l’inizio del Conclave si sollevò dal camino allestito in Vaticano un fumo denso ed inequivocabilmente bianco, che continuò ad essere emesso verso il cielo per lunghi minuti in tutta la sua nitidezza: ben cinque minuti. Cinque minuti in cui una moltitudine di fedeli ebbe modo di vedere con i propri occhi quell’avvenimento così chiaro nel suo significato e così insolito nella sua imponenza e nella sua durata.

Chi ancora oggi osserva la fumata bianca del 1958 sul web non può che restare sbalordito davanti a quel fumo così candido e denso che sale a lungo verso il cielo, quasi una colonna fitta e impenetrabile che offre una suggestione fuori dal comune e veramente molto forte.

            Poco prima del Conclave del 1958, alcuni giornali dell’epoca avevano riportato le modalità dell’emissione del fumo bianco dal camino del Vaticano con un dettaglio che potremmo definire sospetto, quasi avessero voluto porre preventivamente l’accento sulle possibili spiegazioni delle anomalie che si sarebbero potute verificare di lì a pochi giorni in fase di fumata.

            All’interno di un dettagliato articolo sul Conclave che sarebbe stato indetto di lì a pochi giorni, in corrispondenza di una foto che mostra l’angolo della Cappella Sistina con la stufa già approntata per bruciare le schede dopo le votazioni, un giornale di larga diffusione pubblicato il 23 ottobre del 1958 riportava testualmente:

“Prima di ogni scrutinio, le schede vengono controllate per vedere se corrispondono al numero dei presenti (e in caso contrario vengono subito distrutte). Infine, gli scrutatori procedono alla lettura del risultato e al bruciamento delle schede. Se la votazione ha dato la maggioranza dei due terzi più uno, nella stufa della cappella viene bruciata paglia secca: la fumata bianca che ne deriva annuncerà al popolo, all’esterno, che un nuovo Papa è succeduto a Pietro. (…) Nel caso invece che lo scrutinio sia stato negativo, le schede bruciate con paglia umida daranno il fumo nero del risultato nullo.”

Pertanto, a produrre il fumo bianco o il fumo nero sono le schede bruciate e la paglia.

Nel caso del conclave in cui sia stato eletto un Papa si aggiunge paglia secca, mentre, nel caso in cui non vi sia un nuovo Pontefice, si aggiunge paglia umida, che brucia producendo un fumo di colore nero.

Sia la carta che la paglia sono combustibili: sia la prima che la seconda sono composte da cellulosa, sostanza che si presta ad essere bruciata, ma c’è in esse qualcosa che le rende differenti, in quanto a comportamento nei confronti del fuoco. Mentre la carta è formata da fibre cellulosiche che sono state purificate (la carta riciclata, oltre ad essere un’acquisizione relativamente recente, non è sicuramente quella che viene impiegata in sede di Conclave, e meno che meno in quello del 1958), la paglia reca altre sostanze oltre alla cellulosa (pigmenti, elementi chimici che sono contenuti nei pigmenti stessi, impurità di vario genere, interstizi fra i nodi che fanno da camera di combustione, ecc.). Il risultato è che il fumo derivante dall’abbruciamento della carta è più chiaro di quello derivante dall’abbruciamento della paglia, e probabilmente non solo: il fatto che la carta sia costituita da materiale cellulosico “puro” fa sì che il fumo derivante dalla bruciatura della carta sia più denso di quello derivante dalla fiamma appiccata alla paglia.

Il caratteristico colore intenso delle bruciature delle stoppie è visibile da lontano, e chiunque può rendersi conto del fatto che tale fumo non è mai bianco candido; inoltre, a meno che non siano vaste superfici a bruciare, esso non tende a formare una coltre densa, impenetrabile.

Nel caso della carta, invece, la cellulosa è strettamente appressata e la fiamma che vi viene appiccata si approvvigiona di una fonte di combustibile ingente, compatta.

A seconda che, in sede di Conclave, si voglia produrre un colore bianco o nero della fumata, il passaggio del periodico del 1958 che ho riportato sopra è chiaro: non si agisce sulla carta, ma si agisce sulla paglia, o meglio sulla quantità di umidità contenuta in essa.

Per l’altro parametro, ossia alla durata della fumata, esso è direttamente proporzionale alla quantità di combustibile che viene bruciato, ossia alla quantità della carta e della paglia. Non ha senso aggiungere molta paglia – che farebbe probabilmente un colore differente da quel bianco candido che è visibile nella fumata del 1958 -: quello che si vuole bruciare non è la paglia, ma le schede; e, se la paglia trova un giusto impiego, inumidita, nel conferire il colore scuro al fumo della “fumata nera”, non altrettanto si può dire per la fumata bianca, per ottenere la quale è sufficiente bruciare le carte delle schede.

Per le considerazioni fatte prima, quel colore bianco della fumata dipende probabilmente, in primo luogo, dalla carta, da cui dipendono pure in gran parte, probabilmente, il maggior chiarore e la maggiore densità del fumo. Con pochi dubbi, quindi, nella fumata del conclave del 1958 quella consistenza così densa dipese dalla carta, e quella sua durata così prolungata dalla quantità di combustibile (i numerosi fogli di carta che dovevano essere bruciati) impiegato.

Queste le supposizioni, che non c’è motivo di ritenere infondate.

Prendiamole per buone: come mai fu bruciata tanta carta in occasione di quel Conclave e non in altri? Nel corso di un Conclave non dovrebbe essere pressappoco sempre la stessa, in base al numero dei cardinali elettori – che si presume non debbano variare di moltissimo – la quantità di carta che viene bruciata?

Ci viene in aiuto ancora l’articolista del pezzo comparso su un periodico del 1958, che si cura di precisare:

Al termine del conclave tutto sarà bruciato: ogni cardinale è tenuto a dare alle fiamme anche i più insignificanti foglietti che gli siano serviti a prendere appunti o magari a tracciare ghirigori nell’attesa.

Ecco, quindi, chiarito l’arcano: al termine del Conclave del 1958, come al termine di tutti gli altri Conclavi, non furono bruciate solo le schede, ma anche qualsiasi foglio su cui era stata trascritta qualsiasi cosa, anche la più infima e irrilevante.

Considerata la durata e la densità della fumata levatasi al termine del Conclave, durato solo due giorni, del 1958, è lecito chiedersi quanta sia stata la quantità di carta che sia stata bruciata, e la risposta è: ingente! Ci si può chiedere a questo punto a cosa fosse servita tutta quella carta, e per rispondere a questa legittima domanda faccio riferimento all’articolo “Gregorio XVII: l’incredibile storia” pubblicato su questo sito ed a sviluppare i concetti contenuti in esso.

È infatti ben più che presumibile che fossero stati fatti circolare fra i Cardinali elettori dei fogli contenenti le “istruzioni” da seguire nel corso del Conclave per avere in contraccambio dei vantaggi speciali – leciti e soprattutto, molto probabilmente, illeciti – nel caso in cui tali richieste fossero state esaudite, o, al contrario, vendette la cui portata è difficile da immaginare, nel caso in cui tali richieste non fossero state esaudite.

Ci furono, con tutta evidenza, “cose” che furono fatte leggere a tutti e che portarono alla rinuncia forzata – cioè alla violenta “cacciata” – o impeditio secondo C. J. C. – del Papa (… dopo avergli fatto però accettare l’elezione), ed imposto il silenzio a tutti gli altri … il tutto supportato da abbondante materiale cartaceo “scottante” che doveva scomparire rapidamente senza lasciare tracce ad eventuali “curiosi” sospettosi od a posteri complottisti …

È possibile che fosse stato messo in preventivo che fosse Siri ad uscire Papa da quel Conclave, o forse ciò era stato addirittura favorito dagli stessi personaggi che volevano cambiare l’ordine costituito: in questo modo si sarebbe avuto il Papa vero la cui presenza permettesse al mondo di andare avanti (e, fra le altre cose, che potessero essere sviluppati e condotti a termine i progetti di dissoluzione della Chiesa “visibile”).

Comunque sia, le istruzioni di quello che sarebbe dovuto succedere dopo la prima fumata bianca erano state probabilmente date nel corso di quel Conclave, ed è questo, a mio avviso, l’unico elemento che permetta di spiegare come mai fu bruciata, unica volta nel corso del Papato, tanta carta da dare luogo ad una fumata così densa e bianca durata ben cinque minuti.

La combustione fu fatta durare fino a suo completamento: non doveva restare traccia, nessun residuo incombusto da cui si potesse capire anche la minima parte di ciò che era avvenuto, e così tutta la massa cartacea contenente istruzioni, promesse, minacce forse, chissà, anche simboli esoterici, fu lasciata nella stufa fino alla sua combustione completa, a dare quel fumo così bianco ed intenso ed impenetrabilmente denso che tante persone ebbero modo di vedere stazionare a lungo nell’aria, direttamente o attraverso il mezzo televisivo.

Quando poi si fu sicuri che il fuoco avesse distrutto ogni traccia, allora e solo allora fu gettata nella stufa della paglia inumidita: bisognava dare al mondo un segnale non chiaro, non preciso, non netto: che il Papa era stato eletto, cioè no, che si era trattato di un errore di valutazione e che il fumo uscito dalla Cappella Sistina in realtà era nero, come ebbe a dire la stessa Radio Vaticana poco tempo dopo il suo annuncio così categorico dell’elezione del Papa.

***

Pochi giorni dopo, all’ ”Habemus Papam” che sarebbe seguito nel corso dello stesso Conclave (benché questo fosse in realtà terminato due giorni prima), una coltre scura non si limitò ad uscire dalla Cappella Sistina, ma piombò, come dicono le cronache, su tutta Roma.

Il 28 ottobre 1958 il Cardinale protodiacono Nicola Canali pronunciò dalla loggia centrale della basilica vaticana quelle fatidiche parole indicando il nome prescelto da Angelo Roncalli, il quale aveva adottato lo stesso nome di Baldassarre Cossa, l’antipapa che aveva convocato un concilio eretico pochi anni dopo la sua non-elezione.

Come narrano le cronache, in quello stesso giorno di ottobre del 1958 l’oscurità calò di botto su Roma, benché fossero appena le 18,05 ed il sole in quel giorno dell’anno tramonti nella Capitale alle 18,13 (per lasciare dopo di sé circa mezz’ora di chiarore soffuso).

L’ora era giunta: quel nero che era uscito appena due giorni prima dalla stufa della Cappella Sistina in pochissimo tempo aveva coperto il Vaticano e la città in cui esso era situato, e da lì si preparava ad invadere tutto il mondo.

GREGORIO XVII: L’INCREDIBILE STORIA

INQUISIZIONE: LEGGENDE E FALSE ACCUSE DI SINISTROIDI FACINOROSI, IGNORANTI E IN MALA FEDE.

INQUISIZIONE

Speciale tribunale ecclesiastico per combattere e sopprimere l’eresia.

SOMMARIO : I. I. medievale. – II. I. spagnuola.

I. I. MEDIEVALE.

I. ORIGINE. – Missione essenziale dell’episcopato è non solo d’insegnare le verità della fede, ma anche di difenderle contro coloro che le attaccano. Ora, esso si dimostrò impotente a reprimere gli inquietanti progressi fatti nei secc. XI, XII e XIII soprattutto dai catari (chiamati in Italia patarini, nella Linguadoca albigesi, dal nome della regione in cui pullulavano) e dai valdesi. Il Papato perciò, a scongiurare il grave pericolo che minacciava la Cristianità, creò un tribunale speciale: l’Inquisizione. Ma procedette a tappe. – Dapprima Lucio III, a Verona, nel 1184, ponendo il principio di una procedura più sbrigativa che non quella dell’accusa pubblica, ereditata dalla legge romana, obbligò i Vescovi a visitare una o due volte all’anno, personalmente o mediante sostituti, le parrocchie contaminate dall’eresia per sentire, sotto il vincolo del giuramento, le testimonianze di persone degne di fede. Ad essi spettava inoltre la ricerca {inquisitio) d’ufficio dei colpevoli, la loro riconciliazione con la Chiesa o la loro punizione, qualora si rifiutassero di purificarsi, mediante giuramento, dall’accusa di eresia o diventassero recidivi. L’episcopato aveva giurisdizione anche sugli esenti, perché procedeva quale delegato della S. Sede (9, X, V, 7). Varie costituzioni emesse da Innocenzo III negli aa. 1205, 1206 e 1212 e il can. 3 del Concilio Ecumenico Lateranense (1215) completarono le prescrizioni di Lucio III (17-19, 21, X , V , 3; 13 X, V, 7). – Non bastando ancora l’episcopato a tale compito, la S. Sede affidò poteri temporanei a delegati, i più attivi dei quali furono, in Francia; Pietro de Castelnau, assassinato il 15 genn. 1208, e Romano, cardinale di S. Angelo; in Italia: il card. Ugolino. Terminata la crociata che abbatté la potenza degli albigesi in Linguadoca, Raimondo VII, conte di Tolosa, re Luigi I ed il legato romano firmarono il Trattato di Parigi del 12 apr. 1229 che assicurava alla Chiesa la cooperazione dello Stato (testo fotografato in J. Guiraud, Histoire de l’Inquisìtion au moyen àge, II, Parigi 1938, p. 8) . – Da parte sua l’imperatore Federico II promulgò costituzioni contro gli eretici nel 1220, 1224 e 1231 (J. – L. – A . Huillard-Bréholles, Historia diplomatica Frederici II [Parigi 1852], p. 4, 421 e 19, X, V, 7 ). Fu allora che Gregorio IX istituì per l’Europa, dal 1231 al 1234, dei tribunali d’I., presieduti da inquisitori permanenti, i quali esercitavano i loro poteri entro circoscrizioni determinate. A tale scopo egli scelse Francescani e Domenicani, designati a tale ufficio dai loro superiori gerarchici (L. Auvray, Registres de Grégoire IX [ivi 1890], pp. 339-41 e Th. Ripoll, Biillarium Ordinis Fratrum Prædic., I [Roma 1729], p. 47) o più tardi, dalla S. Sede stessa.

II. GLI INQUISITORI. – Domenicani e Francescani esplicarono contro gli eretici uno zelo ardente. In Italia si urtarono contro le autorità locali che li proteggevano, e contro i ghibellini che avevano fatto lega con essi. Pietro di Verona pagò con la vita l’esercizio delle sue funzioni di inquisitore nel Milanese e a Firenze (29 apr. 1252). Ma nonostante la resistenza, l’eresia catara volgeva al declino verso la fine del sec. XIII e all’inizio del XIV. Quanto ai valdesi, perseguitati dovunque, emigrarono nelle Alpi del Delfinato, poi, scacciati dai loro rifugi, passarono nel Piemonte, dove esistono tuttora. Nei secc. XIV e XV gli inquisitori perseguirono gli pseudo-apostoli, discepoli di fra’ Dolcino, e gli amanti degeneri della povertà francescana, conosciuti sotto il nome di beghini, spirituali e fraticelli. Dinanzi a loro comparivano anche gli Ebrei convertiti che apostatavano, i bestemmiatori, gli scomunicati, dopo un anno di insordescenza, i colpevoli di stregoneria, di divinazione, di sortilegi, di fatture, di invocazione del demonio, di delitti contro natura, di adulterio, di incesto, di concubinato, di usura e, infine, i violatori del riposo domenicale. – Nella loro qualità di giudici delegati della S. Sede, gli inquisitori godevano di poteri eccezionali, che li rendevano indipendenti dall’Ordinario, almeno per quanto riguardava l’esercizio del loro ufficio. Taluni commisero abusi, ma la colpa era più spesso dei loro dipendenti, come, ad es., i notai. La S. Sede punì senza pietà i colpevoli, ad es., Roberto le Bougre, che incorse nella prigione perpetua. Per porre fine a qualunque arbitrio, Clemente V decretò che l’uso della tortura, la promulgazione delle sentenze definitive, la sorveglianza delle prigioni fossero di competenza insieme dei Vescovi e degli inquisitori (1, 2, V, 3 in Clem.). In seguito Giovanni XXII obbligò i giudici dell’Inquisizione a comunicare le procedure agli Ordinari (J. – M . Vidal, Bullaire de l’Inquisìtion francaise au XIVe siècle, Parigi 1913, nn. 40, 55, 56).

III. LA PROCEDURA. – La procedura inquisitoriale è conosciuta nei suoi minimi particolari, grazie ai manuali redatti da Nicola Eymeric, Bernardo Gui e altri. Sospetti, denunce, accuse, la stessa voce pubblica, bastavano all’inquisitore per citare a comparire dinanzi a sé le persone compromesse, o farle trarre in arresto, sia dalle autorità civili, che dai propri dipendenti (sergenti, messaggeri, notai, carcerieri). L’interrogatorio doveva avere luogo in presenza di due testimoni. Un notaio – in sua mancanza due persone idonee – scriveva i processi verbali delle deposizioni o almeno la sostanza di esse. Esente da ogni giurisdizione, l’inquisitore, salvo eccezioni, si dispensava dall’osservare la procedura di diritto comune, per seguire a suo piacimento quella messa in onore da Clemente V e chiamata sommaria, passava oltre a ogni privilegio, ai procedimenti dilatori!, all’appello e all’applicazione del can. 37 del IV Concilio Lateranense che proibiva le citazioni a più di due giornate di cammino (dietæ) dal domicilio dell’incolpato. L’inquisitore aveva dunque un potere discrezionale. La colpevolezza era stabilita sia con la confessione degli interessati, sia con prove testimoniali. Come testimoni potevano essere uditi anche eretici e infamati, pur sottoponendo le loro deposizioni a un serio esame. Erano esclusi i nemici mortali dell’interessato. Due testimonianze di persone degne di fede erano sufficienti a stabilire la colpevolezza; le deposizioni dei testimoni erano comunicate agli imputati, ma i loro nomi erano tenuti nascosti per tema di rappresaglie. Per questo occorreva tuttavia, dopo Bonifacio VIII, che il pericolo fosse giudicato molto grave (20, V , 2 in 6°). – Esistevano vari mezzi per costringere l’imputato a confessare: il regime della prigione stretta, che comportava il digiuno, la privazione del sonno, la prigionia nelle segrete, i ceppi ai piedi e le catene ai polsi, e tormenti anche più crudeli. Se recalcitrava, il detenuto era sottoposto alla tortura, ossia al cavalletto, alla corda, ai carboni ardenti, o al supplizio dello stivaletto. Tuttavia bisognava evitare sempre la mutilazione e il pericolo di morte. – In forza della decretale Si adversus (11, X, V, 7) l’avvocato o il notaio che prestavano il concorso del loro ufficio a un eretico o a un fautore di eresia, si esponevano alla perdita dell’ufficio e incorrevano nell’infamia. Di conseguenza gli imputati restavano indifesi. Tutto al più si permetteva all’avvocato di consigliare il colpevole a confessare. Una volta raggiunta la prova del delitto di eresia, l’inquisitore riuniva una giuria composta di religiosi, di chierici secolari, di persone gravi, di giureconsulti, in numero rilevante, fino a raggiungere la quarantina. Ascoltato il loro parere, egli pronunciava la sentenza sia in pubblico, solennemente, nel cosiddetto « sermone generale », sia fuori di esso. Se l’eretico si ostinava a rifiutare la ritrattazione dei suoi errori o se ricadeva dopo averli abiurati (nel qual caso era giudicato recidivo) l’inquisitore lo abbandonava (relinquimus) — appositamente non adoperava il verbo tradimus — al braccio secolare, pregandolo di risparmiare al colpevole la mutilazione e la morte. In pratica però questa raccomandazione non aveva effetto; solo preservava il giudice dall’irregolarità, in cui sarebbe incorso con il partecipare a una sentenza capitale. Se la corte laica di giustizia non avesse dato alle fiamme l’impenitente o il recidivo, sarebbe stata passibile di scomunica, in quanto favoriva l’eresia (C. Douais, Practica Inquisitionis heretìce pravitatis, auctore Bernardo Guidonis, Parigi 1886, pp. 88 e 127). – Condotto al luogo del supplizio, se il condannato dichiarava di pentirsi e di rinnegare i suoi errori, il tribunale lo restituiva all’inquisitore, il quale lo sottometteva a un interrogatorio molto serrato al fine di evitare qualunque soperchieria. Il pentito doveva denunciare, verosimilmente senza alcuna costrizione fisica, i suoi complici e abiurare una per una le sue eresie. Per castigo era condannato alla prigione perpetua. Se la sua conversione in extremis appariva simulata, la sentenza primitiva riprendeva il suo effetto. Il recidivo che si convertiva all’ultima ora otteneva solo la grazia di ricevere i Sacramenti della Penitenza e dell’Eucaristia, prima di morire sul rogo: il delitto di eresia era paragonabile a un caso di lesa maestà divina. – Se il colpevole era chierico od aveva ricevuto gli Ordini, l’autorità ecclesiastica procedeva a degradarlo prima di abbandonarlo al potere civile. Sul fondamento delle costituzioni apostoliche, del Liber Sextus (18, V, 2, in 6°) e della legislazione imperiale, alcuni autori hanno immaginato che l’appello fosse permesso solo nel caso di una sentenza interlocutoria, ma escluso per le sentenze definitive, in particolare per le condanne che importavano il ricorso al braccio secolare. I regesti pontifici han dimostrato, almeno per quanto riguarda il sec. XIV, la falsità di tali affermazioni (v. J. – M. Vidal, Bulicare de l’Inquisìtion francaise, pp. LXXII – LXXX). Tra le pene inflitte agli eretici che abiuravano i loro errori, sembra che quella della reclusione fosse la più largamente adoperata dagli inquisitori. Il regime penitenziario variava a seconda dei casi e dei luoghi: la « prigione larga » escludeva i ferri e le segrete, penalità riservate ai condannati alla «prigione stretta» o alla « prigione strettissima ». – In qualunque caso però, i detenuti non ricevevano altro cibo che « il pane del dolore e l’acqua della tribolazione ».

IV. I PENITENTI. — A volte, i prigionieri ottenevano la libertà provvisoria o definitiva. Si imponeva loro, però, di portare, sulle vesti, segni d’infamia: pezzi di stoffa gialla o rossa, di forme diverse, che li esponevano a ogni sorta di vessazioni, di affronti, di incommodità, che rendevano loro la vita difficile. Infatti, i buoni Cristiani si rifiutavano di avere relazioni con essi ; di dare i propri figli in matrimonio ai loro figli e alle loro figlie. Insulti e persecuzioni non venivano risparmiati. I calunniatori e i falsi testimoni erano duramente puniti: per due giorni consecutivi, dal levar del sole fino a nona, e nelle quattro domeniche successive, erano issati su una scala, a mani legate e capo scoperto, vestiti di un camice senza cintura, davanti alle porte delle chiese, perché  la folla li coprisse di ingiurie. Altre volte, gli inquisitori imponevano ai penitenti pellegrinaggi più o meno lontani. I pellegrinaggi maggiori erano a S. Giacomo di Compostella, a Roma, a S. Tommaso di Canterbury, ai SS. Tre Re Magi di Colonia. Al loro ritorno i pellegrini presentavano dei certificati in attestazione del viaggio compiuto e delle visite obbligatorie ai santuari. Ai pellegrinaggi e ai segni d’infamia si accompagnava ordinariamente la fustigazione pubblica. In determinati giorni di festa o di domenica, il penitente assisteva alla Messa parrocchiale, presentandosi al celebrante, con un cero in una mano, delle verghe nell’altra, e riceveva la flagellazione. La cerimonia poteva anche aver luogo durante le processioni. Il fustigato annunciava al popolo riunito, che egli aveva meritato la sua sorte, perché aveva commesso dei misfatti contro gli inquisitori e il tribunale dell’Inquisizione. Sui penitenti gravavano poi altri doveri, come assistere alla predica e alla Messa cantata, astenersi dalle opere servili nei giorni proibiti, ricevere i Sacramenti della Penitenza e dell’Eucaristia, nelle date stabilite, digiunare, ecc. Le pene inflitte ai colpevoli erano dalla Chiesa stimate, più che punizioni, penitenze utili alla salvezza dei penitenti, tornati alla vera fede cristiana. Così, la prima domenica del mese, il curato spiegava le lettere penitenziali in possesso di un penitente e gli ricordava gli obblighi a cui era tenuto.

V. IL FINANZIAMENTO. – La ricerca e la cattura degli eretici o di coloro che li favorivano, implicava gravi spese. Per compensarle, gli inquisitori imponevano delle multe, sia a titolo principale sia a compenso di pene gravi commutate in pene più lievi. Il resto degli utili era devoluto ad opere pie, quali la costruzione o la manutenzione di chiese, di ponti, di fontane, l’acquisto di paramenti sacri, di vasi sacri destinati agli edifici del culto. – La confisca totale cadeva sui beni degli eretici ostinati e dei recidivi, anche se penitenti, che erano stati rimessi al braccio secolare, come pure sui beni di coloro che erano stati condannati alla prigione perpetua. In Francia un funzionario reale detto « receveur des encours », percepiva il ricavato delle confische, il che gli consentiva di assumersi le spese del tribunale dell’Inquisizione, che incombevano al re. In Italia i redditi del tribunale dell’Inquisizione, si dividevano in tre parti, fra le città, gli ufficiali laici, e il tribunale stesso.

VI. CONSEGUENZE DELLE CONDANNE. – La macchia di eresia non cessava con la morte: secondo le disposizioni delle Decretali (12, X, III, 28 e 8, X, V, 7) la presenza del corpo di un eretico profanava il cimitero dov’era sepolto e l’inquisitore ordinava che le ossa venissero riesumate e calcinate sul rogo. Alcune costituzioni apostoliche e un editto di Federico II prescrivevano la distruzione totale delle case in cui dei catari, detti « perfetti » o « perfette », erano stati arrestati, o s’erano nascosti, o avevano predicato o amministrato il consolamentum, sorta di sacramento che sostituiva quelli della Chiesa. In realtà gli inquisitori applicarono tali decreti solo alle case in cui morivano persone che avevano ricevuto il consolamentum in punto di morte, a saputa del proprietario, o in cui erano state elevate al grado di « perfetti ». – Infine, alcune inabilità civili ed ecclesiastiche colpivano ipso facto tutti gli eretici riconciliati con la Chiesa, fino alla seconda generazione in linea paterna e fino alla prima in linea materna; i chierici divenivano inabili a possedere dignità e benefici ecclesiastici; i laici non potevano esercitare pubblici uffici né compiere determinati atti della vita civile (L. Tanon, Histoire des Tribunaux de l’Inquisìtion en France, Parigi 1893, pp. 539-45). Gli inquisitori accordavano spesso remissioni e commutazione di pene, ma sempre rivedibili.

VII. IL NUMERO. – Quale fu il numero di eretici e di recidivi che subirono il supplizio del fuoco? La documentazione insufficiente impedisce di determinarlo con esattezza. Si hanno indicazioni precise solo sull’attività, nel sec. XIV, del tribunale di Pamiers dove, su 64 persone condannate, 5 furono consegnate al braccio secolare, e su quella dell’inquisitore Bernardo Gui nel Tolosano, dove su 930 persone 42 perirono sul rogo (cf. J. – M. Vidal, Le tribunal d’Inquisition de Pamiers, Tolosa 1906, p. 329; C. Douais, Documents pour servir à l’histoire de l’Inquisìtion dans le Languedoc, I , Parigi 1900, p. ccv). – I moderni hanno giudicato severamente l’istituzione dell’Inquisizione, e l’hanno tacciata di essere contraria alla libertà di coscienza. Ma dimenticano che in passato si ignorava questa libertà e che l’eresia incuteva orrore nei ben pensanti, che erano certamente la grande maggioranza anche nei paesi più infetti di eresia. Non va inoltre dimenticato che in alcuni paesi il Tribunale dell’Inquisizione, durò pochissimo ed ebbe importanza assai relativa: così nell’Italia meridionale, nei regni spagnoli durante i secc. XIII e XIV e nella Germania. A Roma stessa sparì ben presto: il processo contro Lutero nel 1518 fu condotto dall’Uditore generale della Camera Apostolica.

BIBL.; Fonti; Ph. Limborch, Historìa Inquisitionis, Amsterdam 1692; Th.Ripoll, Bullarium O.F.P., Roma 1729; J.H.Sbaralea, Bullarium Franciscanum, Roma 1765; P. Frédéricq, Corpus documentorum Inquisitionis hæreticæ pravitatis Neerlandicæ, 5 voll., Gand 1889; J. Dollinger, Beitràge zur Sektengeschichte des Mittelalters, Munster 1890; C. Douais, Documents pour servir à l’histoire de l’Inquisìtion dans le Languedoc, 2 voll., Parigi 1893. — Manuali degli Inquisitori: Bernardo di Como, Lucerna inquisitorum hæreticæ pravitatis, Milano 1566; N. Eymeric, Directorium inquisitorum cum commentariis F. Pegnæ, Roma 1578; Davide d’Augusta, De inquisitione hæreticorum, in Abhandlungen der historischen Klasse der Kònìglichen bayerischen Akademìe der Wissenschaft, 14, parte 2″ (1878), pp. 204-35; B. Gui, Practica Inquisitionis hæreticæ pravitatis, ed. C. Douais, Parigi 1886; nuova ed. parziale G. Mollat e G. Drioux, 2 voll., ivi 1926-27; A. Dondaine, Le manuel de l’Inquisiteur {1230-1330), in Archivum Fratrum Prædicatorum, 17 (1947), pp. 85-194; T . Kaeppeli, Un processo contro i valdesi di Piemonte nel 1335, in Rivista della storia della Chiesa in Italia, 1 (1947), pp. 285-91. – Studi; Una bibliografia, ma incompleta, è stata data da E . Vacandard, in DThC, VII (1923) coll. 2067-68 e da J. Guiraud, Histoire de l’Inquisìtion au moyen age, Parigi 1935, I , pp. XI – XLVIII. I libri scritti di recente, a parte quello del Guiraud, non hanno rinnovato l’argomento. Il libro classico di H . C. Lea, A history of the Inquisition of the Middle Ages, 3 voll., Nuova York 1887, vers. frane, di S. Reinach, Parigi 1900-1902, ha perso un po’ del suo valore; vale però meglio il libro di A. S. Turbeville, Medioeval heresy and the Inquisition, Londra 1920. Per l’Italia vedi F. Tocco, L’eresia nel medioevo, Firenze 1884; L . Fumi, Eretici e ribelli nell’Umbria: studio d’un decennio (1320-30), Todi 1916; G. Biscaro, Inquisitori ed eretici lombardi (1292-1318), in Miscellanea di storia italiana, 3a serie, 19 (1922), pp. 445-557; A. Mercati, Frate Bartolo d’Assisi michelista e la sua ritrattazione, in Archivum Franciscanum historicum, 20 (1927), pp. 260-304; G. Biscaro, Inquisitori ed eretici a Firenze (1319-34), in Studi medievali, 8 (1929), pp. 347-75; id., Eretici ed inquisitori nella Marca Trevisana (1280 1308), in Archivio veneto, 5a serie, 11(1932), pp. 148-80; G. Cornaggia Medici, La visitatio plebana. Caratteri della procedura inquisitoria vescovile con speciale riguardo alle fonti della Chiesa milanese, Milano 1935; P. Barino da Milano, L’istituzione dell’I, monastico-papale a Venezia nel sec. XIII, in Collectanea franciscana, 5 (1935), pp. 177-212; id. – Per una storia dell’Inquisizione, medievale, in Scuola cattolica, 67 (1939), PP. 589-96; F. Bock, Die Beteilung an den Inquisìtìonsprozessen unter Johanns XXII., in Archivum Fratrum Prædicatorum, 6 (1936), pp. 312-333; id., Studien zu den politischen Inquisìtìonsprozessen Johanns XXII., in Quellen und Forschungen, 26 (1936), p. 21-142, 27 (1937), pp. 109-34; C. Della Veneria, L’Inquisizione medievale, e il processo inquisitorio, Milano 1939; P. Barino da Milano, Le eresie popolari del sec. XI nell’Europa occidentale, in Studi gregoriani 1 (1947), pp. 43-89; R. Morghen, Osservazioni critiche su alcune questioni fondamentali riguardanti le origini ed i caratteri propri delle eresie medievali, in Miscellanea storica in memoria di Pietro Fedele,  Roma 1946, pp. 97-151.

II. INQUISIZIONE SPAGNOLA.

I. ISTITUZIONE. – Gli Ebrei, numerosi Spagna, vi avevano raggiunto una posizionepreponderante grazie alla loro abilità commerciale. La loro arroganza, il loro lusso e le loro ricchezze, oltre la pratica dell’usura, eccitarono contro di essi l’esasperazione pubblica, che prorompeva di quando in quando in feroci rappresaglie e massacri. Ripetute predicazioni, particolarmente per opera di S. Vincenzo Ferreri, e severi editti nel 1412-13 ne indussero molti a passare al Cristianesimo. Ma troppo spesso tali conversioni erano provocate dall’interesse o dalla paura senza condurre a mutazione di costumi o di occupazioni; molti di questi conversos, o marranos, come furono chiamati, praticavano di nascosto riti giudaici, altri ritornavano addirittura al giudaismo particolarmente in punto di morte; sicché furono ritenuti dagli Spagnoli peggiori di coloro che non s’erano convertiti. – Per provvedere a questo stato di cose e al riordinamento religioso della Spagna, cedendo alle istanze di autorevoli personaggi dell’alto clero e del laicato, i sovrani Ferdinando ed Isabella chiesero a Sisto IV il ripristino della Inquisizione.

II. ORGANIZZAZIONE. – Con bolla del primo novembre 1478 l’Iquisizione  fu infatti ripristinata. Essa però assumeva un più deciso carattere nazionale perché, pur ricevendo i loro poteri dal Papa, gli inquisitori erano nominati su proposta dei sovrani che potevano rimuoverli o  sostituirli quando non facessero al caso loro. Anche nelle confische che colpivano i rei, i sovrani avevano la loro parte. I tre primi inquisitori furono nominati nel 1480; il Papa ne aggiunse altri sette, e per dareuniformità e disciplina al loro procedere, i due sovrani, accanto agli altri consigli della corona, istituirono il Consejo de la Suprema y General Inquisicion (detto più brevemente la Suprema) con giurisdizione su tutto ciò che interessava la fede. A capo di questo consiglio fu posto un inquisitore generale con pieno potere sui giudici dei singoli tribunali sottoposti. Gli inquisitori iniziarono la loro attività a Siviglia, città popolata di convertiti, donde molti esularono. Un editto del 2 genn. 1481 impose a chi dava loro asilo di consegnarli all’Inquisizione. Un secondo editto, detto di grazia, prometteva il perdono ai penitenti; allo scadere della dilazione accordata, la denuncia dei colpevoli o sospetti di apostasia diventò obbligatoria e per scovare i falsi cristiani fu compilato un memento in 37 articoli in cui si indicavano le loro osservanze caratteristiche. – Molte lamentele, portate fino a Roma, contro il modo di procedere degli inquisitori, decisero Sisto IV a togliere la nomina di questi alla corona e a creare in Castiglia una corte d’appello per i processi di eresia (25 maggio 1483); ma il tentativo non riuscì. Il Papa nominò  allora inquisitore generale il Torquemada il quale esercitò le sue funzioni dapprima in Castiglia (1483) e poi in Aragona (1484), quindi nel resto della Spagna (3 apr. 1487). Egli compose, per i suoi sottoposti un codice che, integrato con aggiunte successive, fu pubblicato a Madrid nel 1576 sotto il titolo di Compilacion de las istructiones del officio de la Sancta Inquisicion. Non  era opera originale, perché condensava la dottrina esposta da Bernardo Gui nella Practica Inquisitionis e da Nicolò  Eymerich nel Directorium Inquisitorum. Vi apportava solo delle precisazioni di dettagli e delle direttive occasionali. – In Aragona l’Inquisizione trovò una forte opposizione. I conversos di Saragozza ordirono un complotto contro i due inquisitori Pedro Arbues de Epila e Yuglar.  a notte del 14 sett. 1485, Pedro fu ucciso da un colpo di spada. La sua morte (17 sett.), suscitò a Saragozza la rivolta della popolazione contro i conversos. La repressione fu severa e i congiurati perirono tutti sul rogo. Nel 1492 tutti gli Ebrei, che non accettarono di farsi cristiani, furono costretti a lasciare la Spagna, causa i disordini e le cospirazioni che andavano fomentando; da allora in poi non si ebbero giudaizzanti che saltuariamente, sebbene venissero guardati con sospetto o con disprezzo quei Cristiani che traevano origine dagli Ebrei convertiti. – Quello che era successo ai marranos avvenne anche per i Mori rimasti in Spagna dopo la conquista di Granata (1492), ai quali nel 1498 fu imposto di farsi Cristiani o di andarsene. Si creò così una classe di convertiti (moriscos) solo superficialmente e contro di loro si volse l’attività della Inquisizione. – Gli errori degli alumbrados nei secc. XVI-XVII, tennero pure occupata l’Inquisizione, al giudizio della quale del resto furono assoggettati reati di diritto comune, che ben poco avevano a che fare con l’eresia; e ciò avuto riguardo al migliore funzionamento della sua procedura in confronto agli altri tribunali, alla sua segretezza ed alla maggiore integrità dei giudici. Essa non dimenticò la tradizione medievale ch’era di condurre i rei a penitenza per sottrarli soprattutto alla consegna al braccio secolare ed alle relative conseguenze; non sfuggì però ai pregiudizi dei tempi nell’applicazione delle pene corporali e nel solenne apparato dell’auto da fé (atto di fede). È certo che con l’allargarsi dei poteri dell’Inquisizione in Spagna ne ebbero a scapitare i tribunali vescovili, ai quali venne a mancare quasi del tutto il potere coercitivo. Anzi sarebbe stato proposito della Suprema assoggettare a sé i Vescovi stessi (v. CARRANZA); ma a ciò Roma non volle consentire. Numerosi del resto furono gli attriti con l’autorità Papale che interveniva per moderare lo zelo degli inquisitori, impedire le esorbitanze senza riuscire sempre a correggerne lo spirito aspro di indipendenza e la condotta inflessibile e dura. Sono ben noti i tentativi del re Filippo II per introdurre l’Inquisizione nei suoi domini di Napoli e di Milano e nei Paesi Bassi, incontrando la risoluta resistenza degli abitanti. In Spagna l’Inquisizione, soppressa una prima volta dal dominio francese nel 1809, fu ristabilita nel 1814 e soppressa poi definitivamente nel 1821.

BIBL.: Durante le sue ultime vicende gli archivi dell’Inquisizione, come avvenne anche altrove, andarono distrutti, mettendo così in serio imbarazzo chi voglia descriverne imparzialmente i caratteri e le vicende. Nella storiografia del periodo romantico ebbe larga parte la tendenziosità anticlericale e l’immaginazione romanzesca. Così non si può accettare ad occhi chiusi quanto ne scrisse il più noto storico : Y . A. Llorente, Anales de la Inquisición de Espana, Madrid 1812; id., Memoria histórìca, ivi 1812; id., Historia crìtica de la Inquisición de Espana, ivi 1822 (l’autore fu segretario generale del S. Uffizio e attinse abbondantemente negli archivi); H. Ch. Lea, The Moriscos of Spain. Their conversion and expulsion, Filadelfia 1901; id., A hystory of the Inquisition of Spain, 4 voll., Nuova York 1906-1907; E. Schàfer, Beitràge zur Geschìchte des spanischen Protestantismus und der Inquisition in XVI. Jahrhundert, 3 voll., Giitersloh 1902 (cf. R. De Schepper, in Rev. hist. ecclés., 10 [1909], pp. 138-45); F. Tocco, Henry Charles Lea e la storia dell’Inquisizione, spagnola, in Archivio storico italiano, 5 (1911), pp. 265-303; Ch. Moeller, Les bùchers et les auto-da-fé, in Rev. hist. ecclés., 14 (1913) P- 720-51; 15(1914) pp. 50-69; Pastor, II, p. 593 sgg.; R. Sabatini, Torjuemada et l’Inquisìtion espagnole, trad. francese dall’inglese, Parigi 1937 (opera insufficiente e a volte tendenziosa).

Guglielmo Mollat

Evidentemente I FACINOROSI MASSONIZZANTI, i comunistoidi mondialisti, i modernisti apostati – cattolici falsi ed ipocriti – non ricordano le inquisizioni degli ariani, dei musulmani, degi protestanti luterani, calvinisti, anglicani, dei regimi comunisti in tutto il mondo, – Europa Orientale, Messico, Cuba, Cina, Corea, Indocina – ove l’inquisizione non era regolata dai tribunali, ma da scimitarre, mannaie, roghi pubblici, gulag e fucilazioni, per non parlare dell’acqua tofana o dei bambini di Trento – Simonino -, Marostica – Lorenzino – etc. Si vede che la memoria è corta e superselettiva per coprire ben altri e veri crimini contro l’umanità!

[Nota di ExsurgatDeus]

QUÆ ENIM PARTECIPATIO CHRISTI AD BELIAL?

Al S. Giuseppe de Merode di Roma, via la maschera (… non la mascherina): onore a satana e festeggiamo halloween! Senza vergogna i modernisti spudorati gestiti dalla sinagoga vaticana per ammaestrare le nuove generazioni al satanismo … quæ enim partecipatio… (2 ad Cor. VI, 15) … 

Eccoci in una classe dei bambini delle elementari, mascherina e distanziamento, giacca e cravatta. Entra la maestra, laica consacrata (… a chi?) delle prestigiose Scuole un tempo cattoliche istituite da S. Giovanni Battista de la Salle, fiore all’occhiello dei Fratelli delle scuole in Italia:

– Bambini, oggi facciamo una bella paginetta sulla festa di Halloween, mi raccomando un bel disegno a tutta pagina, facciamo onore al festeggiato.

– Il bambino in giacca e cravatta perplesso ribatte: Ma non è questa la scuola di San Giuseppe? Non abbiamo fatto la preghiera a Gesù? … E che c’entra la festa di Halloween con San Giuseppe?

Se fosse stato più grandicello avrebbe probabilmente dette le stesse parole che S. Paolo scriveva ai fedeli di Corinto … quæ enim partecipatio Christi ad Beliaal? Cosa centra, cosa ha a che vedere Cristo con Beliaal?

La maestra, un po’ infastidita non risponde e procede col programma previsto. Anzi – dice – adesso vedremo pure un bel filmato sulla festa … evidentemente è il materiale didattico da mostrare, speriamo non imposto o concordato coi capi.

Il bambino, con gli occhioni sgranati, ben deciso ribatte senza rispetto umano: Io non lo guarderò e farò qualche altra attività, ma questa festa del demonio io non la voglio guardare.

Anche gli altri bambini più “rispettosi”, avvertono la situazione imbarazzante e mugugnano. La maestra capisce l’antifona e cambia atteggiamento … Ma ci sarà da fidarsi domani?  

Le nuove generazioni bisogna plasmarle fin da piccole, il ferro si batte quando è molle e non resiste. Oggi Halloween, a quando il catechismo olandese ed il Khamasutra? In puero spes …. Il motto dell’Istituto … In prospettiva cristiana … dovrebbe essere. Ma oggi qual è la Spes? La spes cristiana o la spes modernista ecumenica che accanto a Cristo mette i Beliaal alla pari, alla Vergine  santa sull’altare sostituisce il Buddha ascitico, a S. Giuseppe oppone gli empi Lutero e Calvino ed il sozzo Enrico VIII, alla Chiesa Cattolica pareggia indifferentemente la sinagoga talmudica e la moschea del Corano ebionitico baciato come libro di pace? Oggi Halloween e domani Tutti i Santi … questo povero bimbo ne avrà da vedere di cose strane, … gli si dirà così, ed il contrario di così … tanto è la stessa cosa gli diranno, siam tutti salvi, c’è misericordia per tutti: siamo gnostici-panteisti, mica stupidi e ottusi Cristiani che credono all’inferno, al peccato che dà morte all’anima, alla redenzione, alla grazia e ai meriti da conquistare per la vita eterna! A questi educatori modernisti però, il Cristo ha dato già la sua sentenza inappellabile:

qui autem scandalizaverit unum de pusillis istis, qui in me credunt, expedit ei ut suspendatur mola asinaria in collo ejus, et demergatur in profundum maris.

…. chi scandalizzerà uno di questi piccoli che credono in me, è meglio che si leghi una pietra da macina al collo e si sprofondi nel mare …

(Matt. XVIII, 6)

3 MAGGIO: S.S. GREGORIO XVIII, 29 ANNI CON LA CROCE DI CRISTO SULLE SPALLE!

Il 3 maggio del 1991, in un Conclave a porte chiuse, veniva eletto dai Cardinali nominati in segreto da Gregorio XVII, al Soglio pontificio, S.S. Gregorio XVIII, successore dello stesso S.S. Gregorio XVII, G. Siri. Il giorno non fu scelto a caso dallo Spirito Santo: è questo infatti il giorno in cui la Chiesa Cattolica festeggia l’Invenzione della Croce di Nostro Signore Gesù Cristo. Conosciamo la storia di S. Elena, recatasi a Gerusalemme con questa precisa intenzione, del Vescovo Macario che per distinguere tra le tre croci ritrovate in profondità nel terreno del luogo della crocefissione, escogitò un mirabile espediente, facendo avvicinare le croci, una per volta ad una donna mortalmente malata. La Croce sulla quale era morta l’umanità di Cristo, risanò all’istante la donna. Ma cosa vuole indicare lo Spirito con questo giorno scelto per l’elezione del Vicario di Cristo? La  Croce ritrovata, viene posta sulle spalle del nuovo Vicario di Cristo che dovrà così ripercorrere la salita sul Calvario fino alla crocifissione ed alla morte su quella stessa croce, per rinnovare la Passione di Cristo nella sua Chiesa nella persona proprio del suo Vicario. Come scriveva il Cardinal Manning nel secolo XIX, la Chiesa deve ripetere in tutto la vita terrena del suo Capo divino. Ecco che dopo il “tradimento di Giuda”, l’Apostasia dei più alti rappresentanti ecclesiastici, la passione nel Gestsemani di Gregorio XVII, costretto ad una cripto-prigionia sorvegliatissima per 31 anni, arrivava il momento della salita sul Golgota e dell’immolazione sulla Croce. Questo è stato il compito affidato al Pontificato di Gregorio XVIII, sottolineato ancora più dal ricordo che il Martirologio Romano fa in questo giorno di S. Alessandro I Pontefice e martire, ucciso dopo innumerevoli strazi. Alla morte in Croce, seguirà – come a Gerusalemme – la sepoltura nel sepolcro di Gesù, e la sua Chiesa sarà dichiarata morta e sepolta da tutti gli empi e dagli ipocriti marrani della terra. Ma … dopo tre giorni (di buio?), il Cristo Salvatore risorgerà vittorioso in maniera improvvisa ed inattesa dai suoi nemici, ancora una volta riprenderà la sua corona di gloria strappandola al “signore dell’universo-lucifero” – nel frattempo spacciatosi per Dio e postosi su tutti gli altari e sulla “usurpata” Cattedra di Pietro per essere adorato –; … e la Chiesa Cattolica, come Sposa immacolata di Cristo senza ruga né macchia di infamia o di errore, nuovamente risplenderà come Maestra dei popoli e Luce nelle tenebre per gli erranti accecati, ivi sarà ripristinato il culto divino apostolico autentico dei Padri e dei Pontefici di tutti i tempi con la restaurazione del Sacrificio perenne. Al Pusillus grex cattolico, mai come in questa giornata, si raccomanda preghiera e penitenza per il Santo Padre Gregorio XVIII, perché il Signore gli dia la forza e la grazia necessaria per affrontare la passione del Calvario, le sofferenze ad essa collegata, onde rinnovare, almeno in spirito, la morte sulla Croce di Gesù Cristo Nostro Signore. Che la Vergine Maria, assista ancora una volta ai piedi della Croce, come già fece con il Figlio suo e di Dio, questo figlio da Lei generato nello Spirito Santo, ed aiuti tutti noi in questa prova finale della nostra fede divina in Cristo l’uomo-Dio, nostro Salvatore.

LETTERA AL PICCOLO GREGGE DI SAN ATANASIO

Sant’Atanasio scrisse la seguente lettera – durante la terribile persecuzione ariana – per incoraggiare il suo piccolo gregge di residui Cattolici (intransigenti) ancora perseveranti nella Fede. La lettera è ancora più applicabile oggi, durante questo terribile periodo di Apostasia: che fu intenzionalmente lanciato dalla Sinagoga di satana tramite il “colpo di stato” del Trono Papale al Conclave del 1958 [“… e le porte dell’inferno non prevarranno contro di essa “].

Lettera di Sant’Atanasio al suo “pusillus grex ” (IV secolo d.C.)

“Voi siete coloro che son beati … che rimanete nella Chiesa per la vostra fede

“Che Dio vi consoli! … Ciò che vi rattrista … è il fatto che altri abbiano occupato le chiese con la violenza, mentre in questo periodo voi ne siete fuori. È un dato di fatto che essi abbiano gli edifici, — ma voi avete la Fede Apostolica. Possono [gli ariani allora, oggi i modernisti della setta del “Novus Ordo”–ndr.-] occupare le nostre chiese, ma sono al di fuori della vera Fede. Voi rimanete fuori dai luoghi di culto, ma in voi abita la vera Fede. Consideriamo dunque: cosa è più importante, il luogo o la Fede? La vera Fede, ovviamente! Chi ha perso e chi ha vinto nella lotta: colui che possiede gli edifici o colui che possiede la fede?

È vero, gli edifici sono buoni quando la Fede Apostolica viene lì predicata; essi sono santi se tutto avviene lì in modo santo …

Voi siete veramente beati; voi che rimanete nella Chiesa per la vostra Fede, che vi tenete saldamente legati alle fondamenta della Fede che è discesa a voi dalla Tradizione Apostolica. E se una gelosia feroce ha provato a scuoterla in diverse occasioni, non ci è punto riuscita. Questi sono coloro che si sono staccati da essa nell’attuale crisi.

Nessuno mai, prevarrà contro la vostra Fede, amati Fratelli. E crediamo che Dio ci restituirà un giorno le nostre chiese.

Quindi, più violentemente essi cercano di occupare i luoghi di culto, più si separano dalla Chiesa. Sostengono di rappresentare la Chiesa; ma in realtà sono coloro che da sè si stanno espellendo e si stanno smarrendo.

Anche se i Cattolici fedeli alla Tradizione (cioè al vero Papa – ndr.-) sono ridotti ad una manciata, sono essi la “vera” Chiesa di Gesù Cristo “.

(Coll. Selecta SS. Eccl. Patrum, Caillau e Guillou, Vol. 32, pp. 411-412)

APPARIZIONE A LA SALETTE 1846 (III)

LA SALETTE (III)

[Some account of the APPARITION OF THE BLESSED VIRGIN Of LA SALETTE London 1853]

Non sarà necessario il produrre estratti di altre numerose lettere e pubblicazioni apparse in Francia e altrove su questo evento; non resta che accertare se la verità del racconto dei bambini sia stata in qualche modo sostenuta da un’interposizione soprannaturale, cioè se siano stati fatti o meno dei miracoli. Di miracoli nell’ordine della grazia sarebbe facile citarne molti; come l’improvvisa conversione di peccatori incalliti e infedeli dopo aver visitato la montagna o dopo aver preso, contro la loro volontà, alcune gocce d’acqua dalla misteriosa sorgente. Una grande conversione c’è, e si manifesta a tutti: la completa riforma portata avanti in tutto il cantone e nel quartiere di Corps dalle parole di due bambini, che sono state più efficaci degli appelli infuocati di pastori zelanti e di missionari evangelici. Sì, tutto il Paese si è convertito; e le loro preghiere e le penitenze, insieme a quelle delle centinaia di migliaia di forestieri che hanno visitato il luogo, indubbiamente hanno evitato la punizione di cui la Santa Vergine ha minacciato il “suo popolo” nel caso non si fosse pentito. Di miracoli nell’ordine della natura, compiuti con l’uso dell’acqua di La Salette, accompagnati da una novena, i commissari ecclesiastici di Grenoble ne hanno ricevuto così tanti resoconti debitamente autenticati dalla testimonianza di medici, che è utile un esame molto rapido per fugare ogni dubbio su questo punto. Tra i tanti riportati nell’opuscolo di M. Rousselot, che non sono altro che una selezione tra i tanti di cui egli sia venuto a conoscenza, se ne noteranno qui solo due o tre, che si caratterizzano per la particolarità di portare con sé tutti i segni di autenticità richiesti.

I – Guarigione della Suora Saint Charles, del Convento di San Giuseppe, nella città di Avignone. Di seguito si riporta la dichiarazione della Superiora del convento : – « La suora Saint Charles è entrata nella nostra casa a diciassette anni e mezzo; la sua costituzione era molto delicata: poco dopo la professione la sua salute ha ceduto del tutto; e prima della fine del noviziato si era ridotta in uno stato gravissimo con dolori allo stomaco, frequenti vomiti sanguinolenti, dissenteria, febbre bassa e continua, che la tennero per più di otto anni sul letto di dolore. Durante questo periodo le è stato più volte somministrato ed ha ricevuto il Viatico. Tutti i medici che l’avevano visitata avevano dichiarato il suo stato senza speranza alcuna. Poteva ella alzarsi dal letto solo molto raramente, e solo per un tempo molto breve; non assisteva al santo Sacrificio della Messa più di cinque o sei volte all’anno al massimo; e poi lo sforzo che faceva era accompagnato da una tale stanchezza tanto da ridursi ad un grado estremo. Più di una volta è stato necessario portarla via in uno stato di completa incoscienza; per cui questo favore le è stato accordato solo in considerazione del suo ardente desiderio, e non per affliggerla troppo. Nel mese di dicembre 1846, i suoi sintomi si aggravarono molto; e noi ripetutamente ci aspettavamo di perderla ad ogni momento. Lo stato infiammatorio si diffuse alla gola e alla bocca; ingoiava con grande difficoltà. Quest’affezione presentava tutti i sintomi di un’ulcera: ne derivava un odore così corrotto da essere quasi insopportabile; un’abbondante espettorazione mista a sangue contribuiva ancora di più ad indebolirla e a rendere il suo stato deplorevole. Da questo periodo fino al 16 aprile non ha potuto assaggiare né pane né alcunché di solido; viveva alimentandosi solo di brodo, o di latte ed acqua, che poteva assumere solo in piccolissima quantità, anche se era costretta a bere spesso; perché, se non lo faceva, la sua gola collassava. Il 14 febbraio 1847 ricevette l’Estrema Unzione, ed il Viatico le fu somministrato due o tre volte nelle settimane successive. Tale era la condizione della sorella quando si cominciò a parlare dei miracoli provocati dall’uso dell’acqua di La Salette. Riconosco, a mia confusione, di non aver dato credito a tutte queste voci; ma avendo sentito parlare della guarigione di una suora del “Sacro Cuore”, ho sentito nascere in me una convinzione, e ho proposto una Novena alla nostra povera inferma. Per quanto grande fosse il desiderio che avevo della sua guarigione, avevo ancora di più in vista la gloria della Santa Vergine, la confermazione della sua apparizione ai due pastorelli e la conversione dei peccatori. Fu per questi motivi che tra le nostre sorelle malate, che allora erano molto numerose, scelsi la suora Saint Charles come colei che, essendo la più conosciuta in conseguenza della lunga durata della sua malattia, poteva meglio servire al fine che mi proponevo. Le comunicai la mia idea: lei mi sembrò, la prima volta, molto indifferente, e mi dichiarò che non aveva alcun desiderio di recuperare la sua salute, che le avrebbe solo impedito di tornare nell’eternità, e che preferiva morire, o rimanere nello stato in cui si trovava fino a quando sarebbe piaciuto a Dio. Le feci la stessa proposta più volte; ma trovandola sempre nelle stesse disposizioni, pensai che avrei dovuto usare la mia autorità. Ottenuta una piccola quantità d’acqua da La Salette, le dissi che non avrebbe dovuto considerare tanto se stessa quanto la gloria di Dio, e la maggior devozione verso la Santa Vergine, che ne sarebbe risultata da una guarigione, o da una straordinaria opera in suo favore. Le ordinai allora di unirsi alla Novena che la comunità avrebbe fatto per lei, e di prendere l’acqua che le avevo portato. Fu convinta fin dall’inizio che se avesse fatto questa Novena sarebbe stata guarita, e si sottomise nel farlo in obbedienza. Le feci anche indicare le preghiere e gli esercizi da seguire durante la Novena. Ogni giorno una delle suore si recava alla santa Comunione in spirito di riparazione per i peccati principali che la Vergine aveva indicato ai pastorelli, e con l’intenzione di ottenere la conversione dei bestemmiatori e dei profanatori della domenica. Abbiamo anche digiunato tre volte con la stessa intenzione; e ogni giorno abbiamo recitato la “Salve Regina”, tre Ave, con le invocazioni “O Maria concepita senza peccato etc. “, e “Mater admirabilis“. La Santa Vergine sembrava mettere la nostra fiducia a dura prova, perché la nostra povera sorella era sempre molto malata e sofferente. Il giovedì, al settimo giorno della Novena, ebbe uno svenimento, seguito da un’abbondante espettorazione di materia purulenta mescolata al sangue. Questo incidente ci ha molto allarmato. Vedendola in questo stato, le ho detto: « Penso che la Santa Vergine ti curerà portandoti in cielo ». Ella rispose: « Le mie malattie non indeboliscono la mia coscienza, e siccome ho solo altri tre giorni per soffrire, prego la mia buona Madre di non risparmiarmi; e ho grandi speranze di poter andare sabato alla santa Messa e di potermi comunicare ». In una parola, ha fatto tutti i preparativi necessari per farlo, e ha implorato che le venissero portati i suoi vestiti ed il suo velo, di cui non aveva fatto uso per molto tempo. Il venerdì 16 aprile, dopo aver trascorso una notte molto brutta, sputava ancora sangue al mattino. Monsignor de Prilly, Vescovo di Chalons, doveva celebrare la Messa nella nostra cappella alle sette. Per ottenere le indulgenze legate alla Messa del prelato, ho proposto per un giorno la Comunione generale, che doveva essere il sabato, per la fine della Novena. Questo cambiamento affliggeva molto la sorella Saint Charles, che era molto addolorata per non essere riuscita a unirsi quel giorno alla comunità, ed aveva paura di rimanere sola alla sua Comunione del mattino, che sarebbe stato, secondo lei, il giorno della sua guarigione. Mentre noi assistevamo alla Messa, lei faceva i suoi progetti e proponeva di chiedere al nostro confessore un’altra Comunione generale, per potersi presentare alla santa Mensa con tutte le sue sorelle ed essere più certamente accetta a Dio. La sua mente era abbastanza piena di quest’idea, quando all’improvviso si rese conto che era avvenuto in lei un totale cambiamento. Tutti i suoi mali cessarono improvvisamente, « … come se una mano invisibile li avesse portati via »: questa era la sua stessa espressione; non riconosceva più se stessa e non poteva credere a ciò che aveva vissuto. Si mise alla prova in vari modi, per essere sicura di non soffrire di un’illusione; e percependo di aver recuperato completamente le forze, non esitò a credere di aver ricevuto la grazia che le era stata chiesta e gridò: « Sono guarita! ». La sorella Saint Joseph, che era a letto nella stessa stanza, non capiva quello che diceva, e pensava, al contrario, che stesse peggiorando; era tanto più allarmata, perché in quel momento era sola e troppo malata per andare ad aiutarla. La sorella Saint Charles, sentendola piangere, si alzò dal letto e andò a consolarla. Lo stesso fece con la portinaia, che si prendeva cura del convento durante la Messa, e fu terribilmente spaventata nel sentire qualcuno correre nella stanza in cui aveva lasciato a letto, solo persone malate. Arrivò di corsa, senza fiato, e si sentì male. La suora Saint Charles la calmò, le diede qualcosa da bere, così come alla suora Saint Joseph, e assicurò loro che fosse guarita. Erano appena arrivati al Vangelo della Messa. La suora si è vestita di fretta e si è recata all’anticapella, dove ha ascoltato il resto della Messa in ginocchio e senza alcun sostegno. Quando lasciammo il coro, venne ad incontrarmi per abbracciarmi. Le ho detto che doveva tornare, per ringraziare la sua Benefattrice celeste. Mi rispose che lo aveva già fatto, avendo ascoltato gran parte della Messa e avendo recitato il “Te Deum“, ma che desiderava molto qualcosa da mangiare, perché aveva un grande appetito. Ho affrettato il passo e le ho detto di seguirmi, per provare le sue forze; lei ha camminato in fretta, ed è scesa le scale con la stessa velocità con cui l’ho fatto io. Le diedi un pezzo di biscotto, che mangiò quasi con avidità. In seguito entrò nella sala della comunità per abbracciare le suore, che rimasero stupefatte da questo avvenimento meraviglioso, e per ricevere la benedizione di Monsignor de Prilly. Questo santo prelato la esortò a ringraziare Dio e la sua beata Madre e ad essere molto fedele ai doveri del nostro santo stato. La mattina, ora, si pone in ginocchio in preghiera per un’ora, dopo di che si reca al lavoro, stira la biancheria per un tempo considerevole, segue subito tutte le osservanze della casa e si reca al refettorio, dove mangia la cena ordinaria della comunità. Lo stesso giorno, ricordando che le avevano preparato del brodo di carne, che non le era ormai più necessario, mi chiese il permesso di portarlo ad una povera ammalata che era tra le nostre mura e che noi assistevamo. Per andare da lei, era necessario salire una lunga e scomoda scala; la sorella lo fece con grande facilità. La fama di questo evento, che si diffuse presto all’esterno in città, attirò nel nostro convento una moltitudine di persone, che vollero accertarsi di persona della verità di un fatto così straordinario. Le nostre sale sono state affollate per molti giorni; e la fatica che tante visite devono aver causato alla suora, non è stata che una piccola ulteriore prova della sua forza. Lei ha sostenuto tutto questo in un modo che ci ha stupito, e non ne è stata affatto affranta, anche se è stata costretta a parlare quasi tutto il giorno. Soprattutto i medici non potevano credere ai loro occhi. Uno di loro, che veniva molto spesso, e che aveva seguito tutto l’andamento della malattia della sorella, mi aveva spesso detto: « Nel momento in cui meno te lo aspetti, la vedrai morire, perché non so cosa possa essere che la tenga ancora in vita ». Le ho parlato della novena che stavamo facendo, e gli avevo chiesto se avesse potuto fare un’attestazione nel caso in cui le nostre preghiere fossero state accettate. « Se sarà guarita – rispose – ti darò mille attestati, perché per lei tutto è inutile ». Mi affrettai ad informarlo di tutto ciò che era accaduto; e gli permisi di raccontare da se stesso, nella sua attestazione, di quale sia stata la sua sorpresa, la sua meraviglia, e le prove alle quali ha sottoposto la sorella per essere certamente sicuro della guarigione. Poiché la suora Saint Charles aveva potuto unirsi alla Novena solo in parte, aveva promesso di digiunare per tre giorni, nel caso fosse guarita; ha adempiuto al suo voto pochi giorni dopo, senza provare la benché minima stanchezza. Aveva anche fatto i digiuni dei giorni della quatempora e del giubileo, che avvenivano nello stesso periodo. Sono passati ormai quindici mesi da quando questa guarigione si è verificata; e da allora la suora Saint Charles continua a seguire gli esercizi della comunità, si alza alle cinque del mattino, e gode di uno stato di salute perfetto, considerando la delicatezza abituale della sua costituzione. Desidero che questo rapporto possa contribuire alla gloria di Dio, all’incremento della fede, e possa essere un eterno monumento della nostra gratitudine verso la nostra gloriosa Benefattrice, che ha concesso alla nostra comunità una prova così toccante della sua potente protezione. È con questa convinzione che firmo questo testimonianza, certificando che in essa non c’è nulla che non sia conforme alla più esatta verità.

J. PINEAU, Superiora delle Sorelle di San Giuseppe ».

A questa lettera si aggiungono gli attestati di due medici che erano stati costantemente presenti nella malattia della sorella Saint Charles, e che di conseguenza conoscevano bene da tempo il suo caso. L’uno fornisce un dettagliato resoconto scientifico del suo disturbo, e dichiara che la sua guarigione è contraria alle leggi della natura. L’attestazione dell’altro è così formulata: « Il sottoscritto dottore in medicina, primario onorario dell’ospedale di Avignone, dopo trentasei anni di servizio attivo, dichiara che la guarigione imprevista ed inattesa da una condizione considerata, secondo le leggi della medicina, mortale, nella persona della suora Saint Charles, sopra citata, ad uno stato di perfetta salute di tutti i suoi organi e di tutte le loro funzioni, è stata operata istantaneamente, senza l’intervento di alcuna applicazione dell’arte, e che quindi è di natura prodigiosa. Rooms, D.M. ». – Durante la vacanza nella sede di Avignone, causata dalla morte dell’Arcivescovo, i tre Vicari generali che poi hanno diretto gli affari della diocesi, su richiesta del Vescovo di Grenoble circa il loro parere sul tema della guarigione della suora Saint Charles, hanno risposto come segue: « -1). La guarigione di questa suora, tanto completa quanto improvvisa, fu operata il 16 aprile 1847, ottavo giorno di una novena che la comunità stava facendo in onore di Nostra Signora di La Salette, per ottenere questa grazia. -2) I due medici che avevano curato la suora durante la sua malattia, e che da allora hanno reso rapporto della sua guarigione, sono degni di ogni credito. – 3) Il defunto Arcivescovo di Avignone era pienamente convinto che la sorella fosse stata guarita per miracolo. – 4). La suora Saint Charles continua a godere di buona salute e segue le regole ordinarie della comunità. Avignone, 23 giugno 1848 ».

II. Ad Avallon, nella diocesi di Sens, si è verificato un caso clamoroso di guarigione, dopo una novena fatta a Nostra Signora di La Salette, che da allora è stata autorevolmente dichiarata miracolosa dal Vescovo.

Il medico che l’ha assistita ha redatto una lunga e dettagliata dichiarazione rispetto alla sua malattia e alla successiva guarigione. Le sue dichiarazioni conclusive sono le seguenti:

« – 1). Per diciassette anni A. Bollenat rimetteva tutto i cibi solidi che ingoiava, e poteva solo con difficoltà digerire qualche cucchiaio di latte o di zuppa di carne. Negli ultimi tre mesi precedenti il 21 novembre, non ha praticamente ingerito nulla.

– 2). Per tre anni A. Bollenat non aveva mai potuto camminare; era rimasta seduta, riuscendo a malapena a fare qualche leggero movimento delle estremità inferiori.

– 3). Per dieci anni A. Bollenat non era stata mai n grado di sdraiarsi sul fianco sinistro; era stata anche quasi completamente privata del sonno.

– 4). Per diciannove anni i dolori allo stomaco, che erano alla fine diventati insopportabili, non erano mai cessati.

– 5). Da diciassette anni si apprezzava un enorme tumore sul fianco, e per molto tempo non avevo usato nessun tipo di rimedio né per guarire questo tumore né per fermarne lo sviluppo.

 – 6). Il 19 novembre 1847, Antoinette Bollenat presentava tutti i segni di morte imminente.

1. Il 21 novembre, alle sei di sera, senza alcuna transizione, senza che si manifestasse alcuna crisi, mangiò e digerì una zuppa solida, verdura e frutta.

2. Il 21 novembre A. Bollenat si è alzata dal letto, si è vestita ed ha camminato nella sua stanza.

3. Il 21 novembre A. Bollenat si è sdraiata sul fianco sinistro dormendo tutta la notte.

4. Dal 21 novembre non è residuato alcun dolore interno in nessuna parte del corpo.

5. Il 21 novembre il tumore è completamente scomparso; non c’è stata alcuna crisi, né alcuna fuoriuscita di materia liquida di alcun tipo dal tumore, né internamente né esternamente.

6. Il 21 novembre e i giorni successivi l’ho vista piena di salute.

Gagniard, D.M. »

Le autorità ecclesiastiche della diocesi hanno preso conoscenza di questo caso; e dopo un minuzioso esame, l’Arcivescovo ha rilasciato una dichiarazione sul caso in oggetto, in cui dice: « Dopo aver esaminato le prove dei vari testimoni e del medico curante; dopo aver esaminato la relazione presentata dalla Commissione incaricata di esaminare il caso; dopo aver ascoltato il parere del Consiglio Episcopale, e dopo aver invocato il santo Nome di Dio, dichiariamo, a gloria di Dio, e ad onore della Santissima Vergine, per l’edificazione dei Fedeli, che la guarigione di Antonietta Bollenat, avvenuta il 21 novembre 1847. dopo un Novena alla Santissima Vergine Madre di Dio, invocata sotto il nome di “Nostra Signora di La Salette”, presenta tutte le condizioni e tutti i caratteri di una guarigione miracolosa, e costituisce un miracolo del terzo ordine.

Dato a Sens, sotto la nostra mano, con il sigillo delle nostre braccia, e il contro sigillo del nostro Vicario generale e segretario privato, il 4 marzo dell’anno di grazia 1849. (Firmato)  MELLON, Arcivescovo di Sens. »

III. Nel grande seminario della diocesi di Verdun è avvenuta un’altra sorprendente guarigione nella persona di uno degli studenti.

« Il Vescovo gli ordinò di redigere un resoconto del suo caso, della sua malattia e della sua guarigione. In esso egli racconta come – secondo il parere dei suoi medici – tutta la sua costituzione era stata completamente debilitata, in parte a causa dei terribili attacchi nervosi e dei dolori a tutte le articolazioni di cui aveva sofferto, in parte a causa delle medicine che aveva assunto per alleviarli. Era stato costretto due volte a lasciare il seminario e, dopo aver ottenuto a casa qualche piccolo miglioramento delle sue sofferenze, vi era tornato per la terza volta. Egli continua: « Sono tornato il giorno stabilito; ma nuove e più terribili prove mi aspettavano in seminario. Dal 7 marzo le mie pene, invece di diminuire, aumentavano rapidamente, e mi costringevano continuamente a trattenere grida disperate, e solo il pensiero di Maria le ha fermate. Infatti questo mi faceva ricordare vivamente le sofferenze di suo Figlio, ed io mi nascondevo nelle sue ferite. Poi mi ha visto il medico al quale mostrai come fosse ridotta la mia gamba, in uno stato di atrofia e rigida come una sbarra di ferro; gli provai che non potevo fare un passo senza la più crudele delle sofferenze, e che il dolore saliva fino alle mie reni, e attraverso la spina dorsale fino alla testa. Mi disse, per tutta consolazione: « Ebbene, amico mio, dobbiamo aspettare il caldo; allora userò bagni alcalini aromatici; poi, se questo non dovesse servire a nulla, faremo qualcos’altro; e se anche questo dovesse fallire, allora … addio, mio caro. Quindi sono andato dal mio direttore per consolarmi nelle mie pene; perché la consolazione mi era necessaria. Sono stato felice di sentirgli esprimere un’idea che avevo a lungo meditato, ma che ero deciso a non menzionare per primo: egli ha proposto una Novena alla Madonna di La Salette. Il giorno dopo scrissi alla confraternita di Nostra Signora delle Vittorie a Parigi, di cui ero membro, per implorare le loro preghiere. Il primo aprile, domenica delle Palme, la nostra Novena è iniziata con l’offerta del santo Sacrificio, che molti Sacerdoti della città mi hanno applicato. Molte Comunioni sono state offerte secondo la mia intenzione da molte persone caritatevoli delle diverse comunità di Verdun, che hanno invocato specialmente Nostra Signora di La Salette. Nel frattempo le mie sofferenze continuavano esattamente come prima. Quel giorno, come in quelli precedenti, per rispettare la regola, andai a passare il tempo libero nel luogo dove si recava il resto della comunità. Scesi le scale con estremo dolore, sostenuto sulle braccia da un compagno di studi, al quale devo un debito di eterna gratitudine per la sua gentilezza nei miei confronti. Dopo un quarto d’ora di dolorosissimo esercizio fisico, provai una stanchezza in tutto il corpo. Ho dovuto fare grandi sforzi per rimontare la scala. Sono andato in cappella e vi sono rimasto solo cinque o sei minuti. Non era lì che Dio mi aspettava, ma in quella povera cella in cui avevo tanto sofferto. Finalmente ci arrivai, e mi gettai davanti all’immagine di Maria, alla quale tanto spesso avevo rivolto gli occhi. Pieno di fiducia in Maria, afferrai la sua immagine e caddi in ginocchio senza accorgermene. Per molto tempo mi era stato impossibile piegare la mia gamba irrigidita. Poi, afferrando il mio piccolo flacone di acqua di La Salette, l’ho premuto sulle labbra e, contemplando l’immagine di Maria, ho gridato: « O Maria! O Madre mia! sì, tu mi guarirai, e io mi consacro a te ». Poi sono caduto in uno stato di totale insensibilità, non pensavo più a nulla, non ricordo cosa abbia detto; ero come schiacciato sotto l’azione divina, che però non ho sentito. – Questo stato durò per circa sei o otto minuti; e dopo, riprendendomi da questo tipo di insensibilità, e senza sentire il cambiamento che era avvenuto in me, mi precipitai giù per una lunga scalinata per dire ancora una volta al mio compagno di studi: « Siate di buona coscienza, sarò guarito ». Più tardi, questo eccellente amico, che mi aveva curato così bene durante la mia malattia, mi assicurò che il mio passo e la mia espressione di condiscendenza lo avevano stranamente sorpreso; che non capiva le mie parole, e che diceva in tono basso a se stesso: « Sarai guarito? Ma lo sei già! ». Continuai senza preoccuparmi di lui, ma poco dopo incontrai un altro studente, che mi afferrò e gridò: « Sei guarito! ». Solo allora ho percepito il cambiamento che si era avvenuto in me. Mi resi conto della mia felicità, e andai in giro a proclamare la mia guarigione, non come se fosse in procinto, ma come se fosse realmente già accaduta. Io non ero lontano dalla cappella dove poco prima non avevo potuto pregare: ora mi sentivo irresistibilmente spinto lì. Durante il quarto d’ora che passai ai piedi dell’altare in ginocchio, senza sentire il minimo dolore, non so cosa dissi, né quale preghiera abbia rivolto al mio Salvatore. Andai prima dal mio direttore, che mi strinse tra le sue braccia, poi dal superiore, che si rifiutò di credermi, finché non udì la parola « La Salette ». Andai poi in refettorio così in fretta, che due compagni non riuscirono a stare al passo con me. Il mio stomaco, debilitato da tante malattie e sofferenze, ricevette senza disgusto e digerì facilmente il mio cibo, cosa che poi continuò a fare. All’uscita dal refettorio, ero circondato dalla comunità, che mi ha fatto dare tutte le prove della completa guarigione. Corsi, piegai la gamba, colpii violentemente il piede contro il terreno e feci tutto quello che mi chiesero durante tutta la ricreazione, che passai tra i miei compagni di scuola come se non fossi mai stato malato. Il giorno dopo, un’ora di cammino non mi ha affaticato minimamente. Quello stesso giorno, tre persone hanno esaminato la mia gamba e si sono convinte che aveva recuperato la vitalità che essa aveva perso. Posso affermare che prima della mia guarigione era almeno di due terzi più piccola dell’altra.

Manrm, chierico negli Ordini minori. Gran Seminario di Verdun, 26 luglio 1849 ».

Questa relazione, quando fu presentata al medico, fu da lui dichiarata esatta in tutti i suoi dettagli.  – Il superiore e i professori del seminario hanno fatto una dichiarazione sul caso, nella quale concludono dicendo: « Questa guarigione ha prodotto l’impressione più vivida in tutto il seminario, frequentato da più di cento studenti. I seminaristi la considerano un prodigio, la cui natura miracolosa si ammette senza dubbio. Noi stessi, dopo aver esaminato e ponderato attentamente le circostanze di questo evento, non vediamo come possa essere spiegato da cause puramente naturali ». Il Vescovo di Verdun, nella costatazione ufficiale della guarigione, dice: « Abbiamo visto senza sorpresa che gli studenti del nostro seminario attribuiscono all’unanimità la guarigione ad un intervento soprannaturale della Santa Vergine. >X< LOUIS, vescovo di Verdun.

Dato a Verdun, presso il Palazzo episcopale, agosto 1849 ».

IV. L’ultimo miracolo di cui si darà notizia è la guarigione di un ufficiale di stanza a Calais, avvenuta dopo una novena fatta a Nostra Signora di La Salette. M. Delattaignant, agente di dogana di Calais, quarantadue anni, ha deposto come segue: « Nel mese di maggio del 1848 ho scoperto che non riuscivo più a dormire regolarmente; nel mese di giugno non riuscivo a dormire affatto, uno stato che durò fino al lunedì della settimana di Pasqua del 1849. Ero in un continuo stato di sofferenza, senza conoscerne la causa. Mi consultai con i medici, che mi dissanguarono, e mi ordinarono delle correnti d’aria rinfrescanti, ma senza risultati soddisfacenti. L’idea del suicidio era continuamente presente nella mia mente, e mi pesava. Ero in un tale stato di agitazione nervosa, che a volte non avevo alcun potere sulle mie membra. Non volevo vedere nessuno. Quando si parlava di pazienza e di rassegnazione alla volontà di Dio, mi sentivo esasperato, convinto che non potevo guarire, che ero disgustato dalla vita, e più volte ho aperto il coltello per pugnalarmi, cosa che non facevo se non pensando a mia moglie e ai miei figli. Forse devo la mia conservazione alle mie preghiere, che non ho mai smesso di fare. Uno dei miei amici cominciò a farmi visita per incoraggiarmi ad avere fiducia in Dio, « Dio – dissi io – nella mia esasperazione, c’è un Dio buono? Se ci fosse, non mi farebbe soffrire così » Poi ho cominciato a piangere. Avevo perso del tutto la memoria e riuscivo a malapena a svolgere i compiti del mio ufficio. Non scrissi più alla mia famiglia. Le mie facoltà morali erano scomparse. Non avevo più alcun affetto nemmeno per mia moglie e per i miei figli. Se qualcuno mi avesse offerto una fortuna considerevole o un rango elevato, ai miei occhi non sarebbe stato assolutamente nulla. Tutto il mio essere era annientato. Di dolore fisico non ne sentivo nessuno in una parte più che in un’altra; ma il mio corpo svolgeva le sue funzioni con difficoltà. Il mio stomaco era molto dilatato. Avevo un appetito straordinario e insaziabile; niente mi faceva male, e mangiavo come quattro persone. Un giorno, mentre mangiavo, mi è venuta una tale crisi che ho lasciato l’impronta dei miei denti sul cucchiaio. Sono rimasto trentasei ore senza mangiare, senza riuscire a spiegarmi il perché, sperando così di morire di fame. Su suggerimento di un pio ecclesiastico ho fatto una novena alla Madonna di La Salette, ma senza alcun risultato. Poi ne iniziai un’altra; mia moglie e i miei figli fecero la Comunione per la mia intenzione. Alla fine di questa novena, il lunedì della settimana di Pasqua, ho assistito in modo meccanico alla Messa, e quel giorno sono caduto in un tale stato di irritazione che avrei voluto distruggermi; mia moglie si è gettata tra le mie braccia, abbiamo pianto insieme, e da quel momento sono guarito. Da allora non ho più avuto un solo momento di tristezza o di insonnia. Sto bene secondo i miei desideri. La mia memoria e le mie facoltà morali sono ritornate. La mia guarigione è stata istantanea, e senza alcuna transizione. Non attribuisco la mia guarigione a nessun rimedio umano; poiché, a parte alcune correnti d’aria rinfrescanti, per diversi mesi ho rifiutato ogni presidio medico. Ringrazio Dio e la sua benedetta Madre per la mia guarigione.

DELATTAIGNANTE.

Calais, 2 giugno 1849. »

La verità di questa deposizione è certificata da trentasei firme, tutte apposte in forma legale davanti al sindaco di Calais, con il sigillo della città. Tra queste firme ci sono quelle di sette sacerdoti. – Sarebbe facile moltiplicare la citazione di un gran numero di esempi di guarigioni miracolose tanto notevoli quanto quelle sopra menzionate. Questo, tuttavia, non sarà oramai più considerato necessario; la questione dell’apparizione non è più un argomento aperto di discussione da dimostrare con delle prove. La Chiesa si è pronunciata su di essa; e tutto ciò di cui il lettore avrà ora bisogno sarà un resoconto del modo in cui questo autorevole riconoscimento della sua verità sia stato fatto. Il primo maggio 1852, il Vescovo di Grenoble pubblicò una lettera pastorale in cui, dopo averne dichiarato l’accettazione universale in Francia, Belgio, Inghilterra, Germania e Italia, accordata ad una precedente lettera da lui inviata il 19 settembre dell’anno precedente, in cui dichiarava la verità dell’apparizione, annunciava che era allora suo dovere comunicare allo stesso modo l’erezione di una chiesa e di un presbiterio a Salette, e fissare per il 25 maggio la posa della prima pietra. Questo evento si svolse infatti il giorno stabilito. Nel seguente estratto del numero dell’Università del 1° giugno 1852, c’è il rapporto che ne fa il giornale locale del dipartimento: « Ieri si è svolta la cerimonia di posa della prima pietra del Santuario di La Salette. È stata una magnifica solennità, anche se il tempo è stato piuttosto poco clemente. Alla vigilia un gran numero di pellegrini è arrivato sulla scena dell’Apparizione e vi ha trascorso la notte. All’una del mattino c’erano già 2000 comunicanti; non c’erano abbastanza Sacerdoti per soddisfare il desiderio dei fedeli. Ma quando arrivò il giorno, lo spettacolo era ancora più imponente. Da tutte le parti arrivarono pellegrini che apparivano come se fossero usciti dalla montagna stessa. Nulla poteva essere, allo stesso tempo, più grandioso e più pittoresco di queste processioni, che arrivavano con striscioni esposti e canti di inni pii. Il numero di stranieri che erano concorsi a questa cerimonia è stato stimato essere più di 15.000 persone. L’entusiasmo più vivo si manifestava tra la moltitudine quando si vide arrivare il Vescovo di Grenoble, che, nonostante la sua veneranda età, non aveva esitato ad intraprendere le fatiche dolorose di un tale viaggio onde presiedere a questa cerimonia. Tutta la compagnia riunita si recò ad incontrare il venerabile prelato, e lo accolse con espressioni di profondo rispetto e di gioia; mille voci si levarono ad accoglierlo. È stato un momento molto toccante. Il volto di Mons. de Bruillard ha tradito le profonde emozioni della sua anima. In seguito la cerimonia è iniziata in mezzo alla profonda attenzione di tutti. Il ricordo di questa santa e imponente cerimonia non sarà mai cancellato dalla memoria di chi ne è stato testimone. Non è l’unica chiesa che sta per essere eretta sotto il patrocinio di Nostra Signora di La Salette: una in Bretagna e un’altra in Belgio sono già state annunciate essere in corso di costruzione.

Pensiamo di aver detto abbastanza per fornire al lettore una chiara documentazione delle circostanze dell’apparizione stessa, e anche delle prove scientifiche a sostegno della sua credibilità. Dal suo riconoscimento pubblico da parte del Vescovo di Grenoble, non è più necessario accumulare ulteriori prove a suo favore. Per più di cinque anni l’apparizione è stata oggetto di ogni tipo di obiezione, non solo da parte degli scrittori francesi, ma anche da parte di coloro che erano più ansiosi di crederlo vero, ma che pensavano fosse loro dovere cedere a nient’altro che ad una certezza. – Tutte le opposizioni, però, ora tacciono; è ormai un fatto approvato dalla Chiesa, che la Santa Vergine abbia scelto questi due pastorelli come portatori di un messaggio al « suo popolo », minacciandoli di vendicarsi di suo Figlio se non si pentiranno; ed è anche la convinzione di tutti, che il Vescovo nella sua lettera pastorale riconosca che le preghiere, le penitenze, e la vita riformata, che sono così largamente derivate da questo evento, siano state il mezzo per arrestare al braccio di nostro Signore e scongiurare il castigo minacciato ». In effetti, non è quasi possibile considerare le prove attraverso le quali la Francia sia passata dall’anno dell’Apparizione, il 1846, senza notare gli elementi di disordine e di confusione che sono stati ovunque percepibili, e senza al tempo stesso riconoscere chiaramente la .presenza di qualche misteriosa influenza, che fino ad ora ha calmato la formidabile eccitazione e ha trasformato tutto in bene. La Madre di Dio è la “Mater misericordiæ”, la Madre della misericordia; le sue interposizioni visibili, di cui si registrano diversi casi nella storia ecclesiastica, non sono mai state considerate come presagio di sventure, ma piuttosto come significative di un tempo prossimo di accettazione; ed è in tale luce che la sua gloriosa apparizione a La Salette è stata finora considerata dai fedeli. 

FINE.

[Ribadiamo qui, che la Congregazione dell’Indice non si è mai sognata di negare la veridicità dell’apparizione mariana de La Salette, come farfugliano ancora i satanisti modernisti o scismatici attuali, ma che la condanna riguardava solo un libricino in lingua francese che riportava in modo improprio i fatti dell’apparizione. Eccone ancora il testo:

DAMNATUR OPUSCULUM: « L’APPARITION DE LA TRÈS SAINTE VIERGE DE LA SALETTE ».

DECRETUM

Feria IV, die 9 maii 1923

In generali consessu Supremæ Sacræ Congregationis S. Officii Emi. ac R.mi Domini Cardinales fidei et moribus tutandis præpositi proscripserunt atque damnaverunt opusculum: L’apparition de la très Sainte Vierge sur la sainte montagne de la Salette le samedi 19 septembre 1845. – Simple réimpression du texte intégral publié par Melanie, etc. Société Saint-Augustin, Paris-Rome-Bruges, 1922; mandantes ad quo spectat ut exemplaria damnati opusculi e manibus fidelium retrahere curent.

Et eadem feria ac die Sanctissimus D. ST. D. Pius divina providentia

Papa XI, in solita audientia R. P. D. Assessori S. Officii impertita, relatam sibi Emorum Patrum resolutionem approbavit.

Datum Romæ, ex ædibus S. Officii, die 10 maii 1923.

Aloisius Castellano,

Supremæ S. C. S. Officii Notarius.]

L’APPARIZIONE A LA SALETTE 1846 (II)

LA SALETTE (II)

[Some account of the APPARITION OF THE BLESSED VIRGIN Of LA SALETTE London 1853]

Qui non faremo altro che alludere alle numerose lettere che di tanto in tanto sono apparse scritte da ecclesiastici e da altre illustri personalità che avevano visitato quella che ora cominciava ad essere chiamata la “Montagna Santa”.

Una testimonianza di grande valore, tuttavia, dobbiamo rendere “a tutto tondo”, sia a motivo del carattere eminente del suo autore, sia per il modo accuratamente efficace e privo di pregiudizi in cui l’intero argomento è trattato. L’attuale Vescovo di Orleans, allora già molto noto nella Chiesa francese, Mgr. M. Dupanloup, scrive così ad un amico che aveva sollecitato la sua opinione sulla questione dell’apparizione: « Mio caro amico, ho seguito il suo consiglio e ho fatto una visita a La Salette. Sono appena tornato dal mio viaggio. Credo che sia vostro desiderio che vi comunichi, in tutta semplicità, il risultato delle osservazioni che ho fatto e delle impressioni che ne ho ricevuto. Innanzitutto, devo riconoscere che ho intrapreso questo pellegrinaggio senza alcuna inclinazione favorevole; non che voglia in alcun modo sminuire il merito dovuto alle numerose pubblicazioni apparse sull’argomento e che avevo attentamente studiato; ma tutto il tono di entusiasmo e di vivacità con cui quelle opere sono state scritte, mi aveva ispirato dei pregiudizi contro il fatto che fossero destinate a conservarsi. Ho passato quasi tre giorni tra Corps e La Salette: le impressioni personali che vi ho ricevuto sono state, devo dirlo, senza alcun fascino, quasi senza emozione. Sono tornato così come sono andato, senza provare alcun attaccamento alla scena; direi quasi senza interesse, almeno senza quell’interesse che nasce dall’entusiasmo. Eppure, più mi allontano dal luogo, e più mi metto a riflettere su tutto ciò che ho visto e sentito là, e più forte è la convinzione che la riflessione produce in me, e che mi assale in qualche modo contro la mia volontà. Non mi posso astenere dal dire a me stesso continuamente: « Non può essere che la fonte di Dio sia qui ». Tre circostanze in particolare sembrano offrire forti segni di verità: in primo luogo, la semplicità di carattere che i bambini hanno sempre mantenuto. In secondo luogo, le numerose risposte, assolutamente al di sopra della loro età e capacità, che hanno mostrato nei diversi interrogatori subiti. In terzo luogo, la fedeltà con cui hanno mantenuto i segreti che dicono siano stati loro conferiti. – Primo: L’immutata semplicità di carattere dei bambini. Ho visto questi due bambini. Il primo incontro che ho avuto con loro, ha suscitato in me un’impressione sgradevole; il ragazzino in particolare mi è stato fortemente sgradevole. Ho visto molti bambini nella mia vita, e ne ho incontrato pochi, quasi nessuno, che mi abbiano così poco attratto. Le sue maniere, i suoi movimenti, il suo sguardo, tutto il suo aspetto è ripugnante, almeno ai miei occhi. Una cosa che forse ha rafforzato la brutta impressione che mi ha dato è stata quella di avere una singolare somiglianza con uno dei ragazzi più sgradevoli e peggiori che abbia mai dovuto educare. Parlando così dell’idea che mi sono fatto di questo ragazzino, non pretendo di attaccare in nessun modo le impressioni più favorevoli che ha lasciato sugli altri. Voglio solo esprimere i miei sentimenti. Almeno, se la mia testimonianza sarà finalmente favorevole a questi bambini, sarà senza sospetti; certamente non sarà stato nulla di per sé a sedurmi. C’è una grande maleducazione in Maximin; il suo continuo svagare è davvero fuori dal comune; ha un’indole singolarmente leggera e fantasiosa, ma accompagnata da una tale maleducazione e finanche da occasionale violenza, che il primo giorno in cui l’ho visto non solo ero rattristato, ma anche così scoraggiato, che mi sono detto: « Perché sono venuto fin qui per vedere un bambino così? che follia ho mai commesso! » Ho avuto tantissimi problemi per impedirmi dall’intrattenere i sospetti più gravi. Quanto alla bambina, anche lei mi è apparsa a suo modo repellente. Il suo modo di fare, però, è, direi, migliore di quello del ragazzino; i diciotto mesi che ha passato con le Suore della Provvidenza al Corps, dicono, l’hanno un po’ formata. Nonostante ciò, però, mi è sembrata ancora una personcina imbronciata, sciatta, silenziosa, che non diceva mai niente, e quando rispondeva, si esprimeva semplicemente a monologhi: “sì” e “no”. Se dice qualcosa di più, nelle sue risposte c’è sempre una certa rigidità e una timidezza che deriva dall’essere imbronciata, e che non mette affatto a proprio agio. In una parola, dopo aver visto più volte ognuno di questi bambini, non ho trovato in loro nessun’attrattiva particolare legata alla loro età; non hanno, o almeno non sembrano averne, nessuna di quella pietà e di quel candore infantile che tocca e attira ed ispira fiducia. Il ragazzino in particolare l’ho osservato a lungo e spesso, soprattutto il giorno in cui è salito con me a La Salette. In quell’occasione abbiamo passato circa quattordici ore insieme. Egli venne a trovarmi alla locanda alle cinque del mattino; mi accompagnò alla montagna dell’Apparizione, e non ci separammo fino alle sette di sera. Sicuramente ho avuto tutto il tempo di guardarlo bene, di studiarlo attentamente e di esaminarlo a mio piacimento. E ho fatto del mio meglio per farlo. Non c’è stato un momento, devo dire, in cui non sia stato oggetto del mio più attento esame e, anzi, di una profonda diffidenza. Non c’è stato un solo momento in cui mi sia stato simpatico; ed è stato solo nel pomeriggio, quando si stava facendo tardi, che per gradi, per così dire mio malgrado, un’impressione favorevole si è impadronita di me. Quasi senza esserne consapevole, e contrariamente ai miei sentimenti personali, mentre osservavo e ascoltavo tutto ciò che vedevo e sentivo, ero costretto a esclamare: « Nonostante tutto sia così ripugnante in questi bambini, tutto ciò che dicono, tutto ciò che vedo e sento, è spiegabile solo sulla base della supposizione della verità della loro storia ». A Grenoble ero stato informato del modo in cui i bambini mi avrebbero recitato gli episodi della loro narrazione. Mi è stato detto che l’hanno vissuto come una lezione. Si aggiunse che si poteva trovare per loro una qualche attenuante, perché durante diciotto mesi avevano ripetuto la stessa storia così tante migliaia di volte, che non era da ipotizzare che sia diventata per loro una mera routine. Ero disposto a scusarli su questo punto, purché la routine e la recitazione non fossero assolutamente ridicole; ma l’impressione che avevo in mente era ben diversa da quella che avevo previsto. Anche se i bambini non mi piacevano affatto prima che raccontassero la loro storia, e continuavano ad essere ugualmente poco attraenti ai miei occhi anche dopo, devo riconoscere che hanno affrontato la recita con una semplicità, una gravità, una serietà ed un certo rispetto religioso, che, in contrasto con il tono volgare e abitualmente scortese del ragazzino ed il carattere solitamente cupo della bambina, mi hanno colpito particolarmente. Devo aggiungere pure che questo stupore si è costantemente rinnovato nell’arco di questi due giorni, soprattutto per quanto riguarda il ragazzino, che è passato, come ho già detto, un’intera giornata con me. L’ho poi messo perfettamente a suo agio, e gli ho permesso di prendersi tutte le libertà che gli sono piaciute; tutti i suoi difetti, tutte le sue maleducazioni, poi sono apparsi in modo molto discreto. Eppure, ogni volta che questo bambino maleducato è stato sollecitato, anche di soppiatto, a parlare del grande evento, c’è stato in lui uno strano, profondo ed istantaneo cambiamento; e lo stesso è stato per la giovane ragazza. Il ragazzino conserva ancora il suo sgradevole aspetto esteriore, ma ciò che era eccessivo nella sua maleducazione è ormai del tutto perduto. Diventano all’improvviso così gravi e seri; assumono, per così dire, involontariamente, qualcosa di così singolarmente semplice e ingenuo, così pieno di rispetto di se stessi, oltre che per il soggetto di cui parlano, da ispirare in chi li ascolta, e quasi impone loro, come una soggezione religiosa per le cose che raccontano, ed una sorta di rispetto per le loro persone. Ho vissuto costantemente e molto vivamente queste impressioni, senza perdere per un attimo, in prima persona, il mio sentimento di avversione per i bambini. Farò qui un’osservazione riferita a quanto ho appena detto. Quando parlano del grande evento di cui professano essere stati testimoni, o quando ci si rivolge a loro con riferimento ad esso, questo singolare rispetto per ciò che dicono si spinge così lontano, che quando accade che diano una di queste risposte, veramente stupefacenti e perfettamente inaspettate, che confondono i loro interlocutori, tagliano corto a tutte le domande indiscrete, e risolvono semplicemente, profondamente, e completamente, le più grandi difficoltà, e non assumono alcuna aria di trionfo. I loro esaminatori sono sbalorditi, ma essi da parte loro, rimangono inalterati. Sulle loro labbra non passa mai anche per un solo istante il benché minimo sorriso. Inoltre, essi non rispondono mai alle domande che vengono loro rivolte, se non nel modo più semplice e breve possibile. La loro semplicità è a volte rozzaa, ma l’esattezza e la precisione delle loro risposte lascia sempre senza parole. Appena la conversazione accenna al “grande evento”, sembrano non avere più nessuno dei difetti ordinari della loro età; soprattutto si può osservare come in quei momenti non siano affatto chiacchieroni e ciarlieri. In altre occasioni Maximin parla molto; quando è a suo agio, è un pettegolare continuo. Durante le quattordici ore che abbiamo trascorse insieme, mi ha dato una prova continua di questa sua qualità; mi ha parlato di tutto con una grande cascata di parole, facendomi domande senza ritegno, finanche ad essere il primo a darmi la sua opinione, e contraddicendo la mia. Ma rispetto all’evento di cui parla, rispetto alle sue impressioni, alle sue paure o alle sue speranze per il futuro, e tutto ciò che ha un riferimento all’Apparizione, non è più lo stesso bambino. Su questo punto non prende mai l’iniziativa nella conversazione, né commette alcuna pur minima colpa contro il buon costume. Non si addentra nel dettaglio mai più di quanto sia necessario per rispondere alla domanda che gli viene rivolta, alla quale risponde con grande precisione. Quando si è esaminato il segreto che gli è stato chiesto di custodire, ed abbia risposto agli interrogatori ai quali è stato sottoposto, tiene la lingua a freno. – Si è ansiosi, si desidera che si parli, che si fornisca qualche dettaglio, che si entri in qualche dichiarazione sui propri sentimenti in quel momento e dopo l’evento: non aggiunge una parola al di là della risposta necessaria. Presto riprende il filo della conversazione che la sua storia ha interrotto, parla con grande libertà di qualsiasi altro argomento, o se ne va. È certo che non hanno né l’uno né l’altra desiderio di parlare dell’evento che li ha resi così famosi. Da quanto ho potuto imparare sul posto, non parlano mai inutilmente dell’argomento con nessuno, né con i loro compagni, né con le Suore della Provvidenza che li educano, né con gli estranei. Quando vengono interrogati, rispondono; se si tratta della storia dell’evento che viene loro chiesto, lo ricordano semplicemente; se viene proposta una difficoltà, ne danno una soluzione chiara; non aggiungono nulla di superfluo, e allo stesso tempo non dicono null’altro. Non si rifiutano mai di rispondere alle domande che vengono loro poste, ma è impossibile far loro perdere di vista per un solo istante, in ciò che dicono, il giusto criterio di correttezza. Potete porre loro tutte le domande indiscrete che volete, non c’è mai alcuna indiscrezione nelle loro risposte. In effetti, la discrezione, la più difficile di tutte le virtù, è (solo su questo argomento) naturale per loro in misura inaudita. Spremendoli quanto si voglia, si trova in essi qualcosa di invincibile, che non riescono a spiegare nemmeno a se stessi, che abbatte tutti gli attacchi, e si fa beffe involontariamente e con sicurezza delle tentazioni più forti e difficili. Chi conosce bene i bambini e ne abbia studiato la natura, così leggera, instabile, vanitosa, chiacchierona, indiscreta, curiosa, e farà gli stessi esperimenti che ho fatto io, condividerà la mia meraviglia e il mio stupore, e si chiederà, se sia beffato  dai due bambini, o ci sia in gioco qualche potere superiore e divino. Aggiungo che negli ultimi due anni i due bambini ed i loro genitori sono rimasti poveri come prima. – Questo è un dato di fatto che ho verificato sufficientemente per mia soddisfazione, e che è più facile da dimostrare al di là di ogni dubbio. Qui riporto un’osservazione che ho già fatto, e cioè che i due bambini, e più in particolare Maximin, di cui ho visto molto più dell’altra, sembrano aver conservato, nonostante l’onore che hanno ricevuto e la celebrità che gli si attribuisce, una semplicità e, dirò, uno spirito di umiltà così profondo, che queste qualità appaiono loro del tutto naturali, e non si possono chiamare virtù acquisite. Sembra come se sia impossibile per loro essere diversi da quelli che sono; e tutto questo con una sorta di indifferente candore, che è abbastanza sorprendente quando li si vede da vicino e si riflette sui loro comportamenti. Il fatto è che non capiscono gli onori che hanno ricevuto e sembrano non avere la più pallida idea dell’interesse che susciti il loro nome. Hanno visto migliaia di pellegrini, 60.000 in un giorno, venuti in seguito alla loro storia sulla montagna di La Salette. E per questo non si sono dati delle arie, né alcuna importanza, né hanno mostrato alcuna presunzione nelle loro parole e nei loro atteggiamenti. Considerano tutto questo senza alcuno stupore, senza un riguardo, senza alcun riferimento a se stessi. E, in una parola, se quello che dicono è vero, guardano alla loro missione nella stessa luce in cui la Vergine stessa l’ha considerata. Ella non ha professato di far loro un onore; ha professato solo di scegliere per sé alcuni testimoni che dovevano essere al di sopra di ogni sospetto, con una semplicità così profonda, così completa, e così straordinaria, che nulla poteva esserle paragonabile, e che non poteva essere spiegata o compresa per mezzo di cause naturali; ed è riuscita perfettamente nella sua scelta. Questo è il primo segno di verità che scopro in questi bambini. – 2) Il secondo segno appare dalle numerose risposte, complessivamente al di sopra della loro età e capacità, che hanno dato liberamente nei diversi interrogatori a cui sono stati sottoposti. Va infatti osservato che mai, in una corte di giustizia, i colpevoli siano stati così tormentati con domande sul reato di cui sono accusati, come questi due poveri bambini contadini indagati per due anni sulla questione della visione che raccontano. Difficoltà spesso premeditate, a volte lungamente ed insidiosamente pianificate, hanno sempre ricevuto da loro risposte pronte, precise e chiarissime. È palpabile che sarebbero assolutamente incapaci di tale presenza di spirito se ciò che dicono non fosse vero. Sono stati condotti come malfattori nel luogo stesso dell’Apparizione, o dell’impostura, [se è impostura], e non sono mai stati sconcertati dalla presenza delle persone più illustri, né spaventati dalle minacce e dagli abusi, né sedotti dalle minacce e dai soprusi, né convinti dalle persuasioni e dalle carezze, né affaticati dagli esami più lunghi; inoltre, il ripetersi frequente di tutte queste prove non li ha mai indotti a contraddire né se stessi né l’altro. Non è possibile che due esseri umani abbiano l’aria di essere complici di una frode; e se fossero davvero tali, devono avere un genio come non si è mai conosciuto finora, per poter essere così costantemente uniformi nel loro racconto, e in accordo con se stessi e tra di loro, durante i due anni che hanno assistito, senza interruzione, a questo strano e rigoroso processo. A tutta questa coerenza si aggiunge il contrasto che deriva dalla loro maleducazione, dall’impazienza e da un certo broncio dell’umorismo, e nello stesso tempo, quando l’Apparizione è l’oggetto della conversazione, si passa ad una dolcezza di comportamento, ad una calma ed una presenza di spirito del tutto imperturbabili, e sono al servizio, con impenetrabile discrezione a tutti, genitori, compagni, conoscenti, a tutti coloro che hanno sempre conversato con loro. Vi darò ora alcune delle domande e delle risposte che mi vengono fornite, sia dai miei ricordi personali, sia dalle relazioni redatte in debita forma e depositate a Grenoble, di cui posso garantire l’autenticità. D. A Mélanie. La Signora, allora, le ha dato un segreto e le ha proibito di raccontarlo. Bene, benissimo; ma mi dica almeno se questo segreto si riferisce a lei o a qualcun altro.

Melanie. Chiunque sia la persona a cui si riferisce, Ella ci ha proibito di raccontarlo. D. Il tuo segreto è qualcosa che devi fare?

Melanie. Che sia qualcosa che debba fare o meno, non sono affari di nessuno: ci ha proibito di dirlo.

D. Non sei forse consapevole che Dio non ha rivelato il tuo segreto ad una santa suora ma ho preferito affidarlo a te?, … assicurarmi che tu dica la verità.

Melanie. Se questa suora lo conosce, può dirlo a voi. Io non lo dirò.

D. Devi però dire il tuo segreto al tuo confessore, al quale non devi nascondere nulla. Maximin. Il mio segreto non è un peccato; in confessione si è obbligati a dire solo i propri peccati.

D. E se dovessi dire il tuo segreto o morire?

Maximin (con fermezza). Morirei. Non lo direi.  

D. Se il Papa ti chiedesse il tuo segreto, tu saresti obbligato a dirglielo; perché il Papa è più grande della Santa Vergine.

Maximin. Il Papa è più grande della Beata Vergine! Se il Papa fa bene il suo dovere, sarà un santo, ma sarà sempre meno della Beata Vergine.

D. Ma forse è stato il diavolo a darti il tuo segreto?

Maximin. No, perché il diavolo non porta il crocifisso, e il diavolo non proibisce la bestemmia.

Melanie (alla stessa domanda). Il diavolo sa parlare bene, ma non credo che possa raccontare segreti del genere. Non proibirebbe di imprecare, non porterebbe una croce e non ordinerebbe alla gente di andare a Messa.

D. Non voglio chiederle il suo segreto. Ma questo segreto riguarda, senza dubbio, la gloria di Dio e la salvezza delle anime. Deve essere conosciuto dopo la sua morte; e questo è ciò che le consiglio di fare: scriva il suo segreto in una lettera, che lei stesso sigillerà, e farà recapitare nell’ufficio del Vescovo. Dopo la morte del Vescovo e di te stesso la lettera sarà letta, e così avrai mantenuto il tuo segreto.

Maximin. Ma qualcuno potrebbe essere tentato di togliere il sigillo alla mia lettera. Inoltre, non conosco coloro che entrano in questo ufficio. Allora dite: “Mettetegli la mano prima sulla bocca e poi sul cuore: Il mio migliore ufficio è qui”.

D. a Maximin: Tu desideri essere sacerdote: bene, dimmi il tuo segreto e io mi occuperò di te. Scriverò al Vescovo, che ti farà compiere i tuoi studi gratuitamente. R. Maximin. Se per essere sacerdote è necessario che io dica il mio segreto, vuol dire che non lo sarò mai.

D. a Melanie. Lei non capiva il francese e non andava a scuola; come poteva allora ricordare cosa le dicesse la Signora in quella lingua? L’ha detto tante volte?

R. Melanie. Oh, no; l’ha detto solo una volta, e io me lo ricordo perfettamente. E poi, anche quando non l’ho capito esattamente io stessa nel ripetere quello che ci ha detto, chi capiva il francese lo capiva; è stato sufficiente, anche quando non l’ho capito io stessa.

D. a Maximin La Signora l’ha ingannata, aveva previsto una carestia, eppure il raccolto è buono ovunque.

R. Maximin. Che importa a me? Mi ha detto così; sono affari suoi. A questa domanda i bambini hanno risposto in altre occasioni: « Ma forse hanno fatto penitenza? »

D. Sa che la signora che ha visto è al sicuro nella prigione di Grenoble?

R. Maximin. Era senz’altro un uomo intelligente quella che l’ha rapita.

D. La signora che ha visto non era che una nuvola luminosa e splendente.

R. Maximin. Ma una nuvola non parla.

D. Un sacerdote. Lei è un piccolo bugiardo, e non le faccio la morale.

R Maximin. Che cosa importa a me! Mi è stato chiesto di dirti questo, non di fartelo credere.

D. Un altro sacerdote. Guarda tu, io non ti credo, tu sei un bugiardo!

R. Maximin (con vivacità). Allora perché sei venuto fino a qui per interrogarmi?

D. Un prete. La signora è scomparsa in una nuvola.

R. Melanie. Ma non c’era nessuna nuvola.

D. Il curato insiste. Ma è molto facile circondarsi di una nuvola e scomparire.

R. Melanie (con vivacità). Potete allora, signore, circondarvi di una nuvola e scomparire?

D. Un Sacerdote. Non sei stanco di dover dire ogni giorno sempre la stessa cosa?

R. Maximin. E lei, signore, si stanca forse di dover dire Messa ogni giorno?

Risposte ancora più sorprendenti sono state date da loro spesso. M. Repellin, sacerdote, scriveva il 19 novembre 1847: « Ho chiesto alla bambina se la persona meravigliosa che aveva visto non fosse uno spirito maligno che voleva seminare il disordine nella Chiesa ». Mi rispose, come ha risposto agli altri: « Ma, signore, il diavolo non porta la croce ». Continuai: « Ma, figlia mia, il diavolo portò nostro Signore sulla cima del tempio e sulla cima di un’alta montagna, e così poteva ben portare la sua croce ». No, signore – disse lei, con una certa sicurezza, – No! Dio non avrebbe permesso che la sua croce fosse portata in quel modo: è sulla croce che è morto ».  Ma Egli stesso ha sofferto per esservi trasportato!. Ma è stato con la croce che ha salvato il mondo. La sicurezza di questa bambina, e il significato profondo di questa risposta, di cui probabilmente non ha percepito la bellezza, mi ha chiuso la bocca. In un’altra occasione si spiegò ancora più acutamente. Le dissero che il diavolo aveva portato il Signore in persona. « Sì – disse lei – ma Lui non era ancora glorificato ».

D. Il tuo Angelo custode conosce il tuo segreto?

R. Mélanie « Sì, signore ». C’è qualcuno, allora, che lo sa? « Ma il mio Angelo custode non è uno del popolo ».

Uno dei miei amici, due giorni prima del mio viaggio a La Salette, disse a Maximin: « Tutti noi che andiamo a La Salette, tutti dobbiamo obbedienza al Papa ». Ebbene, se il Papa ti dicesse: « Figlio mio, non devi credere a nulla, tu cosa gli diresti? » Il bambino rispose, con la massima dolcezza e rispetto: « Gli direi: vedrà! ». Queste sono alcune delle innumerevoli risposte di questi bambini. Non so se li giudicherete come me, ma sono sicuramente, a dir poco, molto sorprendenti; e questo stupore aumenterà dopo aver considerato le osservazioni che ho fatto su questi bambini e che ora vi presenterò. – 3). Non ho potuto fare a meno di riconoscere, nella fedeltà con cui hanno mantenuto il segreto che essi professano di aver ricevuto, un segno caratteristico della verità, e che sono due: possedere ciascuno un segreto, e questo da quasi due anni. Ognuno di loro ha un segreto distinto, l’uno non si è mai vantato di conoscere quello dell’altro. I loro genitori, i loro padroni, i loro curatori, i loro compagni, le migliaia di pellegrini, li hanno interrogati su questo segreto, e hanno chiesto loro di rivelarlo in qualche modo: a questo scopo sono stati fatti sforzi inesplorati; ma né motivi di amicizia, né interesse personale, né promesse, né minacce, né l’autorità civile o ecclesiastica, nulla ha potuto in alcun modo influenzarli su questo punto; e ora, dopo due anni di sforzi continui, non si sa nulla, assolutamente nulla. Io stesso ho fatto i più grandi tentativi di penetrare in questo segreto. Alcune singolari circostanze mi hanno reso capace di portare avanti i miei attacchi più di altri; per un momento ho persino pensato di esserci riuscito. È andata così: « Avevo portato, come ho detto, il piccolo Maximin sulla montagna con me. Nonostante la ripugnanza che questo ragazzo mi ispirava, non avevo mai cercato di essere gentile e amabile con lui, e avevo fatto tutti i tentativi in mio potere per cercare di aprirgli e di conquistare il suo cuore. Non ci ero riuscito molto bene. Ma arrivando in cima alla montagna, qualcuno che era lì gli ha dato due fotografie, una delle quali rappresentava la lotta del 24 febbraio per le strade di Parigi. In mezzo ai combattenti c’era un prete che aspettava i feriti. Il ragazzino pensò di vedere una certa somiglianza tra questo ecclesiastico e me; e sebbene gli dissi che si era completamente sbagliato, si convinse che ero io la persona rappresentata, e da quel momento mi mostrò un’amicizia più vivace e più aperta. D’allora in poi apparve del tutto a suo agio, e mi si mostrò molto familiare. Ne ho approfittato con entusiasmo, siamo diventati i migliori amici del mondo, senza però che lui smettesse di essere, allo stesso tempo, perfettamente sgradevole per me. Ora lui mi pendeva dal braccio, e non la smetteva per tutto il giorno; così scendemmo insieme dalla montagna. Gli preparai la colazione e cenammo insieme. Parlava di tutto con la massima cura e libertà, della Repubblica, degli alberi, della libertà, etc. etc.. Quando ho riportato la conversazione all’unico argomento che mi interessava, ha risposto, come ho detto, brevemente e semplicemente; tutto ciò che si riferiva all’apparizione della Beata Vergine era sempre come qualcosa di diverso nella nostra conversazione. Si è fermato subito pur nel completo fluire torrenziale delle sue chiacchiere. La sostanza, l’espressione, il tono, la voce, la precisione di ciò che poi mi ha detto, sono diventati all’improvviso singolarmente gravi e religiosi. Poi è passato ben presto a qualche altro argomento con tutta la libertà della conversazione familiare e vivace. Allora ripresi i miei sforzi e le più abili insinuazioni per approfittare di questa libertà ed apertura, e per fargli parlare di ciò che mi interessava, e più in particolare del suo segreto, senza che lui percepisse il mio intento ed il mio oggetto. Ho deciso di vedere chiaro in quest’anima, di coglierla in fallo, e di trarre la verità dal profondo del suo cuore, che lo fosse o no. Ma devo confessare che dal mattino tutti i miei tentativi erano stati sventati: nel momento in cui ho pensato di aver ottenuto qualcosa e di aver raggiunto il mio fine, tutte le mie speranze sono svanite; tutto ciò che pensavo di avere in mano è sfuggito all’improvviso, e una risposta del bambino mi ha rimandato nella mia incertezza. Questa riserva mi appariva così ordinaria in un bambino, dirò in qualsiasi essere umano, che senza fargli alcuna violenza morale, sarebbe stata ripugnante per la mia coscienza, volevo andare il più lontano possibile, e fare qualche ultimo sforzo per conquistarlo con qualcosa, e ottenere il suo segreto di sorpresa. Era il possesso di questo singolare segreto che mi stava particolarmente a cuore. Per sfondare con lui su questo punto, non ho risparmiato nessuna seduzione che mi sembrasse possibile. Dopo molti sforzi e tentativi assolutamente vani, una circostanza mi ha offerto un’opportunità che per un attimo ho pensato potesse avere successo. Avevo portato con me una borsa da viaggio, il cui lucchetto si apriva e si chiudeva con un trucchetto, che non richiedeva l’uso di una chiave. Siccome questo ragazzino è molto curioso, tocca tutto, guarda tutto, e sempre nel modo più puntiglioso, non ha mancato di esaminare la mia borsa da viaggio; e vedendomi aprirla senza chiave, mi ha chiesto come abbia fatto. Gli ho risposto che era un segreto. Mi ha pressato molto urgentemente per rivelarglielo. La parola segreto mi aveva ricordato il suo stesso mistero; e per approfittare della circostanza, gli dissi: « Figlio mio, questo è il mio segreto; tu non sei stato disposto a rivelarmi il tuo e io non ti dirò il mio ». Questo è stato detto per metà sul serio e per metà per scherzo. « Non è la stessa cosa – disse egli subito – perché a me è stato proibito di dire il mio segreto e a te non è stato proibito di dire il tuo ». La risposta era giusta. Mi considerai scoperto; e fingendo di non aver capito perfettamente, gli dissi con lo stesso tono: « Poiché non sei stato disposto a dirmi il tuo segreto, io non ti dirò il mio ». Lui ha insistito; ho fatto quello che potevo per eccitare la sua bramosia e la sua curiosità; ho aperto e chiuso il mio misterioso lucchetto senza che lui potesse capire il mio segreto. Mi spinsi al punto di tenerlo impaziente, smanioso e in attesa, per molte ore. Dieci volte in questo periodo il ragazzino è tornato impetuosamente alla carica. « Molto bene – gli dissi – ma dimmi anche il suo segreto ». A queste parole di tentazione, nel bambino riapparve nel suo carattere religioso, e tutta la sua curiosità sembrò svanire. Qualche tempo dopo, mi fece di nuovo pressione. Gli diedi la stessa risposta, e trovai sempre la stessa resistenza da parte sua. Vedendolo così, gli dissi finalmente: « Ma, figlio mio, visto che vuoi che ti dica il mio segreto, dimmi almeno qualcosa del tuo ». Non ti chiedo di raccontarmelo del tutto, ma dimmi, almeno, quello che puoi dirmi; dimmi, almeno, che sia una buona o cattiva notizia e non mi dirai il tuo segreto ». « Non posso », era l’unica risposta. Solo che, dato che eravamo così amici, ho notato che c’era un’espressione di rammarico nel suo rifiuto. Alla fine mi sono arreso e gli ho rivelato il segreto del mio lucchetto. Era incantato, saltava di gioia, apriva e chiudeva la borsa molte volte. « Vedete – gli dissi – io vi ho detto il mio segreto e voi non mi avete detto il vostro ». È apparso dispiaciuto per questo nuovo attacco, e per il tipo di rimprovero espresso nelle mie parole. Ora ho pensato che non avrei dovuto fare altri tentativi; e sono rimasto convinto, come tutti coloro che conoscono l’indiscrezione umana, e più in particolare quella dei bambini, che questo ragazzino aveva appena vinto una delle tentazioni morali più violente che si possano immaginare. Ben presto, però, ho ripreso la questione con un tono ancora più serio, e gli ho fatto subire un nuovo assalto. È andata così: Gli avevo dato delle foto che avevo scattato in cima alla montagna. Avevo solo un cappello di paglia molto brutto; ne comprai un altro per lui quando tornammo a Corps. Oltre a questo, mi offrii di dargli tutto quello che desiderava; mi chiese una camicetta, gli dissi di andare a comprarne una, che gli costava 48 dollari, e che pagai. Andò a mostrare le foto, la camicetta e il cappello a suo padre, e tornò per dirmi che suo padre era stato molto contento. Mi aveva già parlato con un certo affetto delle disgrazie e dei problemi di suo padre. Approfittai anche della recente morte di sua madre; e sebbene mi rimproverassi interiormente di aver fatto subire al ragazzo tali tentazioni, gli dissi: « Ma, figlio mio, se tu raccontassi solo quello che puoi dire sul tuo segreto, la gente farebbe molto per tuo padre ». Andai ancora più lontano, e gli dissi: « Io stesso – mio caro bambino – potrei procurargli molte cose, e riuscire a far sì che egli viva a casa con te in pace e felicità, senza volere nulla ». Perché sei così ostinato a rifiutarti di dire quello che puoi dire sul tuo segreto, quando questo solleverebbe tuo padre dai suoi problemi e lo consolerebbe? » In verità, la tentazione era forte. Il bambino mi ha creduto pienamente, ed io ero disposto a fare per lui tutto quello che gli avevo promesso. Lo vide chiaramente; ma rispose a tono basso: « No, signore, non posso ». Bisogna riconoscere che se avesse inventato una favola, non sarebbe stato difficile per lui fingere, e raccontarmi un segreto o altro in linea con la sua storia, quando i grandi vantaggi che ne sarebbero derivati sarebbero stati per lui, se me l’avesse raccontata. Non mi considerai però completamente sconfitto; e spinsi la tentazione ancora più in là, forse troppo in là, ma certamente fino al limite massimo. Giudicherete voi stessi, e forse darete la colpa a me. Avevo addosso, per cause accidentali, una grossa somma in oro. Mentre si aggirava per la mia stanza, guardando i miei bagagli e rovistando dappertutto, la mia borsa e quest’oro attirarono la sua attenzione; lo afferrò avidamente, tirò fuori i denari sul tavolo, e cominciò a contarne i pezzi, dividendoli in più lotti; poi si divertì a sistemare e riordinare continuamente questi piccoli cumuli d’oro. Quando l’ho visto così completamente preso dalla vista e dalla manipolazione di questi soldi, ho pensato che fosse giunto il momento di metterlo alla prova, e di mettere alla prova la sua veracità in modo infallibile. Gli dissi in tono amichevole: « Ebbene – figlio mio – tu mi dirai quello che potrai dirmi del tuo segreto, ed io ti darò tutto questo oro a te e a tuo padre. Te lo darei tutto, e subito: e non pensare che io lo voglia, perché non ho più soldi con cui continuare il mio viaggio ». Sono stato testimone di un fenomeno morale molto singolare, e ne sono ancora colpito mentre ve lo racconto. Il bambino era completamente assorbito da quest’oro: si dilettava a guardarlo, a toccarlo e a contarlo. All’improvviso, alle mie parole, si rattristò, abbandonò bruscamente la tavola e la tentazione e mi disse: « Signore, non posso ». Ho insistito: « Eppure c’è un modo per rendere felice tuo padre e te stesso ». Mi rispose ancora una volta: « No, non posso! »; e in un modo e con un tono così fermo, anche se molto semplice, che mi sentii sconfitto. Tuttavia, per non apparire così, aggiunsi, con un tono di scontento, disprezzo e ironia, « Ma forse non racconterai il tuo segreto perché non ne hai da raccontare: è tutto uno scherzo ». Non sembrava offeso da queste parole, ed anzi mi ha risposto in modo vivace: « Oh, ne ho solo uno infatti, ma non posso dirlo ». « Chi te l’ha proibito? » « La Beata Vergine ». Ho rinunciato allora a una gara senza speranza. Sentivo che il bambino aveva più dignità morale di me. Misi, con amicizia e rispetto, la mia mano sulla sua testa, e facendo il segno della croce sulla sua fronte, gli dissi: « Adieu, caro bambino: Spero che la Santa Vergine perdonerà il modo in cui ti ho pressato. Sii fedele per tutta la vita alla grazia che hai ricevuto ». E pochi istanti dopo ci siamo separati, per non rivederci più. – A simili interrogatori ed offerte la bambina ha risposto: « Oh, ne abbiamo abbastanza: non c’è bisogno di essere così ricchi ». Questo è il terzo segno di verità che ho osservato in questi bambini. E ora, cosa pensare di tutto questo? È verità, errore o impostura? Tutto questo non può essere spiegato ragionevolmente se non con una delle quattro seguenti supposizioni:  – 1). O si deve ammettere la verità soprannaturale dell’apparizione, la storia e il segreto dei bambini. Ma questo è molto grave, e porta con sé gravi conseguenze. Se ci dovesse essere un inganno, che un giorno dovesse essere scoperto, praticato da questi bambini o da altri, di quanti cuori religiosi non sarà stata ferita la sincerità? – 2). Oppure sono stati ingannati, e sono ancora vittime di qualche allucinazione. Ma chi ha fatto il viaggio a La Salette, e ha esaminato tutto, non esiterà ad affermare che questa supposizione è assolutamente ridicola e inammissibile. – 3). Oppure i bambini sono gli inventori di questa favola, che hanno imbastito essi stessi, e che sostengono da soli per due anni contro tutti, senza mai contraddirsi. Da parte mia, non posso ammettere neanche per un momento questa terza supposizione. La favola mi sembrerebbe più sorprendente della verità. – 4). O supponiamo, finalmente, che ci sia stato un qualche escamotage, un impostore nascosto dietro ai bambini, e che questi si siano prestati ad interpretare il personaggio che egli ha preparato per loro, e che ogni giorno insegna loro a rinnovare. Senza andare in fondo a questa domanda, come ha fatto M. Rousselot, risponderò solo che tutto ciò che precede ripugna a questa supposizione. L’inventore mi sembrerebbe, allo stesso tempo, molto abile a scegliere come attori e testimoni di un’impostura così straordinaria questi bambini, e molto abile ad insegnare loro come sostenere una tale parte per due anni davanti a due o trecentomila spettatori successivi, osservatori, investigatori, interrogatori di ogni genere, senza che questi bambini non si siano mai impegnati in nulla in nessun momento, senza che nessuno abbia scoperto questo impostore dietro le quinte, senza una sola indiscrezione da parte dei bambini che potesse far sospettare di qualcuno, e senza che nessun segno di frode si sia mai manifestato fino a questo momento. Non c’è nulla, quindi, da sostenere se non la prima supposizione, cioè la verità soprannaturale dell’insieme; che è, peraltro, molto fortemente confermata. 1) Dal carattere che i bambini hanno mantenuto immutato. 2). Dalle risposte, del tutto ben oltre la loro età e capacità, che hanno dato nei diversi interrogatori a cui sono stati sottoposti. 3). Dalla straordinaria fedeltà con cui mantengono il segreto che dicono sia stato loro confidato. Se fossi obbligato a pronunciarmi su questa rivelazione e a dire “sì” o “no”, e dovessi essere giudicato su questo argomento dalla rigorosa sincerità della mia coscienza, direi “sì” piuttosto che “no”. La prudenza umana e cristiana mi costringerebbe a dire “sì” piuttosto che “no”; e non credo di dover temere di essere condannato dal giudizio di Dio come colpevole di imprudenza e di precipitazione. Sempre tuo, DUPANLOUP. Gap, 11 giugno 1848. – La lettera che è stata appena consegnata è forse la prova più conclusiva che sia apparsa sul tema dell’Apparizione. Fu scritta da un personaggio noto in tutta la Francia per la sua grande capacità e sobrietà di giudizio, che si recò sul posto deciso a mettere alla prova la storia semplicemente secondo le regole della prudenza umana, con pregiudizi nei confronti dei bambini, che rimasero indifferenti, e con la volontà di formarsi un’opinione unicamente da ciò che egli stesso avrebbe potuto vedere e sentire. Egli afferma il suo credo senza alcun tipo di entusiasmo; ed è stato attento ad usare, nel dare il suo giudizio, i termini più sobri. –

[2. – Continua]

https://www.exsurgatdeus.org/2020/03/26/apparizione-a-la-salette-1846-iii/

L’APPARIZIONE A LA SALETTE 1846 (I)

Oggi Iniziamo la pubblicazione di un opuscolo che riguarda l’Apparizione della Vergine Maria a La Salette. Vogliamo però innanzitutto tranquillizzare i nostri lettori e smascherare le vergognose contestazioni di parte dei modernisti e pseudo tradizionalisti non-preti lefebvriani (è di questi giorni il raglio di una bestia-asino della fraternità non-sacerdotale di Sion, di uno degli eredi del cavaliere kadosh Lienart e del suo degno “compariello” LEFEBVRE, sul loro bestiario: la tradizione (anti) cattolica), circa il riconoscimento canonico della apparizione stessa. Questi ultimi faziosi [non possiamo infatti ritenerli semplicemente degli ignoranti non informati dei fatti, ma dobbiamo indicarli obbligatoriamente come servi di satana], citano un decreto del Santo Uffizio del 1923 – Pio XI  regnante – che renderebbe falsa l’apparizione stessa, approvata da numerosissimi Vescovi e dalla stessa Autorità massima, nella persona di Pio IX. Il decreto della Congregazione del Santo Uffizio, poneva all’indice un opuscolo edito in Francia che riportava un presunto segreto di Melania, senza imprimatur imposto a garanzia. Riportiamo il testo del decreto, che ognuno può leggere consultando gli Atti della Sede Apostolica, vol. 15 del 1923, p. 287 e seg.:

DAMNATUR OPUSCULUM: « L’APPARITION DE LA TRÈS SAINTE VIERGE DE LA SALETTE ».

DECRETUM

Feria IV, die 9 maii 1923

In generali consessu Supremæ Sacræ Congregationis S. Officii Emi. ac R.mi Domini Cardinales fidei et moribus tutandis præpositi proscripserunt atque damnaverunt opusculum: L’apparition de la très Sainte Vierge sur la sainte montagne de la Salette le samedi 19 septembre 1845. – Simple réimpression du texte intégral publié par Melanie, etc. Société Saint-Augustin, Paris-Rome-Bruges, 1922; mandantes ad quo spectat ut exemplaria damnati opusculi e manibus fidelium retrahere curent.

Et eadem feria ac die Sanctissimus D. ST. D. Pius divina providentia

Papa XI, in solita audientia R. P. D. Assessori S. Officii impertita, relatam sibi Emorum Patrum resolutionem approbavit.

Datum Romæ, ex ædibus S. Officii, die 10 maii 1923.

Aloisius Castellano,

Supremæ S. C. S. Officii Notarius.

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Da questa banale costatazione, si evince che ad essere condannato è semplicemente questo opuscolo francese del 1922, che riportava evidentemente notizie e commenti non autorizzati da un’Autorità competente, e non  – come amano ripetere gli adoratori modernisti del demonio – la veridicità dell’apparizione con relativo segreto direttamente consegnato peraltro nelle mani di S. S. PIO IX . Tanto, per smontare le assurde faziosità ed imbecillità riportate da satanisti che spargono la zizzania della condanna da parte della Chiesa dell’apparizione della Vergine a La Salette, apparizione che evidentemente vogliono contrastare perché da essa vergognosamente smascherati. Noi consigliamo loro di pentirsi sinceramente, lasciare i falsi culti da essi praticati [modernismo della chiesa dell’uomo, sedevacantismi vari, fraternità paramassoniche non autorizzate prive di giurisdizioni e missione, tesisti, etc. etc. ] e tornare alla vera Religione Cattolica, che solo può loro assicurare la salvezza. Chiediamo allo Spirito Santo il dono della Pietà per potere impetrare il perdono per essi per le falsità che seminano.  

Il libricino che ci accingiamo a pubblicare, dall’originale inglese del 1853, è fornito di tutte le autorizzazioni richieste con la testimonianza del Vescovo di Grenoble e la personale costatazione, all’epoca dei fatti, di Mgr. Dupanloup, notissimo prelato francese, poi Vescovo di Orleans.

LA SALETTE (I)

[Some account of the

APPARITION OF THE BLESSED VIRGIN Of LA SALETTE

London 1853]

Le pagine seguenti sono intese come una nuova edizione di un piccolo libro che è stato pubblicato qualche tempo fa, contenente un breve resoconto dell’Apparizione della Beata Vergine riportata da due pastorelli a La Salette in Francia. La precedente edizione è andata esaurite; e, in conseguenza della crescente importanza attribuita all’evento miracoloso in questione, è sembrato bene preparare per la stampa un’altra narrazione più completa. La sostanza della presente pubblicazione è stata tratta dai “Rapporti” sull’argomento di M. Rousselot, Canonico di Grenoble e Vicario generale onorario della diocesi, che fu redatto e presentato al Vescovo di Grenoble, a seguito delle indagini della Commissione ecclesiastica che era stata nominata per esaminare la questione dell’Apparizione. Coloro che sono interessati a notizie più esaurienti di quelle che si troveranno qui, sono pregati di consultare le due opere di M. Rousselot, in cui viene prodotto ogni tipo di documento che l’incredulità possa richiedere per cui tutte le ragionevoli obiezioni vengono respinte; mentre è esposta con chiarezza e semplicità l’unanime adesione che è stata data alla veridicità della storia da tutta la popolazione religiosa della Francia. Nel corso dello scorso anno, i bambini hanno confidato i loro segreti al Papa e il Santo Padre non ha esitato ad esprimere la sua convinzione privata sulla veridicità del loro racconto; e così è stata generale la devozione dei Fedeli a Nostra Signora di La Salette, al punto tale che il Vescovo della diocesi, dopo aver meditato a lungo sul suo dovere di scoraggiarlo, ha concesso poi la sua autorevole autorizzazione; e il 25 maggio di quest’anno, nonostante la sua veneranda età, si fece condurre sulle altezze alpine dove l’evento si era verificato, posando la prima pietra di una chiesa e di un grande edificio destinato all’accoglienza di una comunità di sacerdoti, colà stabiliti per servire l’altare e per fornire assistenza spirituale ai pellegrini che arrivando ogni giorno la richiedano. Di seguito verranno fornite alcune spiegazioni di queste circostanze, come anche una parte delle prove che sono state prodotte a sostegno della verità dell’Apparizione. – Prima di dare un resoconto dell’Apparizione stessa, sarà bene descrivere in poche parole la località in cui si dice sia avvenuta, e dire anche qualcosa sul carattere generale e le abitudini dei due bambini sulla cui autorità si basa il tutto.

Il villaggio di La Salette è situato tra le montagne, a circa quattro miglia dalla cittadina di Corps, che si trova in basso sulla strada alta tra Grenoble e Gap. La scena dell’Apparizione è ancora più in alto, e a circa quattro miglia dalla chiesa di La Salette. Situata in mezzo ad una cerchia di montagne, questa contrada non è praticabile dalle carrozze; la salita deve essere fatta a piedi o a cavallo attraverso un sentiero, che è facile fino a quando si estende il terreno coltivato, ma dopo questo punto diventa sempre più ripido e difficile, anche se non pericoloso, fino ad arrivare sull’ampio pianoro della montagna chiamata Sous les Baisses. Questo spazio pianeggiante, formato da tre montagne che si innalzano dalla stessa base, e che non si separano subito in eminenze separate, ma si elevano insieme, per così dire, per un lungo tratto in salita, si estende da nord a sud, ed è ricoperto di vegetazione; come lo sono anche le tre montagne stesse, che, dopo la loro separazione e fino alle loro cime, non offrono alla vista altro che un’estensione di rada erba verde. Non si vede un sasso, né il più piccolo albero o cespuglio, tutto intorno. In questa ampia pianura tra le colline c’è un piccolo dirupo, formato da due strisce di terreno in salita che passano da nord e da sud, in fondo al quale scorre il piccolo ruscello chiamato Sézia. È nella cavità di questo burrone, sulla riva destra del ruscello, e nel punto in cui ora sgorga la celebre fontana, che la “bella Signora” è stata vista, secondo il racconto. È a circa due o tre gradoni più in basso, sullo stesso lato, che Ella parlava ai bambini; ma è dopo aver attraversato il ruscello, e aver fatto venticinque o trenta gradini in salita all’opposto, che è scomparsa, a poco a poco, dagli occhi dei bambini che l’avevano seguita, e che erano a meno di tre passi da Lei quando si è levata in aria. Nel corso del tempo, quando l’evento aveva cominciato ad attrarre l’attenzione, attirando ogni giorno folle di visitatori sul luogo, sono state erette quattordici croci lungo il percorso che “la Signora” ha attraversato, come indicato dai bambini. Davanti a queste croci è sorta tra i visitatori l’usanza di fare “la via crucis”; e su alcune di esse sono stati di volta in volta sospesi diversi oggetti, come fiori, ghirlande, stampelle, catene d’oro, gioielli, anelli, orecchini, etc., “ex voto” doni di devozione o di gratitudine per i favori ricevuti. I due lati del piccolo burrone erano, prima dell’evento, ricoperti di erba verde come il resto del terreno circostante. Tutta quest’erba, però, è stata da tempo consumata, perché non solo il luogo è stato calpestato dai piedi di innumerevoli pellegrini, ma viene continuamente raschiato e l’erba strappata da coloro che sono ansiosi di portare via come reliquie i fili dell’erba stessa, una zolla di terreno, o qualche pezzo di pietra. Le croci stesse non sono state risparmiate, e vengono quotidianamente tagliuzzate e sgretolate da coloro che vogliono portarne via alcuni pezzi. La fontana, che prima era intermittente e, qualche tempo prima dell’Apparizione abbastanza asciutta, da quel giorno non ha più smesso di presentare continuamente il suo flusso. I pellegrini ritengono che la sua acqua gelida, anche se bevuta in grande quantità e da coloro che sudano più abbondantemente, non produca mai effetti negativi; ed è stata cercata con avidità, portata via e distribuita in quasi tutti i paesi d’Europa. Quanto al mucchio di pietre su cui i bambini hanno visto per la prima volta “la Signora” seduta, esso è letteralmente sparito. La gente della zona ed i pellegrini ne hanno portati via i sassi come monumenti commemorativi: quella pietra, però, sulla quale, secondo la testimonianza, “Ella” si è posata direttamente, è entrata in possesso del curato di La Salette, che la conserva con rispetto. Dagli stessi bambini, è stato pubblicato nell’anno 1848 il seguente resoconto, nel “Rapporto” di M. Rousselot. –

Peter Maximin Giraud è nato a Corps, il 27 agosto 1835, da genitori poveri, che si guadagnano da vivere col sudore della fronte. Suo padre è un carrettiere. Maximin è di piccola statura, con un viso paffuto e giocondo; la sua espressione è dolce, e guarda senza paura e senza arrossire i volti di chi lo interroga. Non può rimanere un istante senza muovere le braccia e le mani. Gesticola quando parla, e a volte è così animoso che colpisce con la mano qualsiasi oggetto si trovi vicino a lui, soprattutto quando il suo interlocutore non sembra essere d’accordo con ciò che dice. Non si arrabbia mai, anche quando viene considerato un bugiardo, come nei lunghi esami che ha dovuto subire. A volte però, esausto dalla stanchezza e stanco di vedere che ogni parola che dice è inutile, si mostra impaziente; … almeno alcuni dicono di averlo osservato così. – Ma, in verità, in queste occasioni i poveri bambini erano stati molestati da una moltitudine di minuscole e cavillose obiezioni, che avrebbero messo in imbarazzo e persino provocato le persone più ragionevoli. Inoltre, quando Maximin ha raccontato la sua storia, e ha risposto alle principali difficoltà che gli erano state contestate, naturalmente desiderava andarsene, e tornare ai suoi giochi.  Prima dell’evento non era mai andato a scuola; non sapeva né leggere né scrivere, e non aveva alcuna educazione. Quando veniva portato in chiesa, spesso se ne scappava per andare a giocare con i suoi piccoli compagni; così, privo di ogni insegnamento religioso, non poteva essere ammesso tra i bambini che il curato stava preparando per la prima Comunione. Suo padre dice di aver avuto grandi difficoltà ad insegnargli a dire il “Pater Noster” e l’ “Ave Maria”, e che ci sono voluti tre o quattro anni prima che li imparasse. Fu solo nell’anno 1848, il 7 maggio, più di un anno e mezzo dopo l’evento, che lui e Mélanie furono ammessi a fare la prima Comunione con gli altri bambini della parrocchia di Corps. Anche se Maximin ha i difetti propri della sua età, sembra essere sempre stato sincero e aperto. Peter Selme, il suo padrone di lavoro a La Salette, alla domanda di M. Rousselot e della commissione episcopale, quando gli chiesero cosa avesse notato nel ragazzo durante i pochi giorni in cui era stato al suo servizio, rispose: « Maximin era un bambino innocente, senza malizia e senza alcun pregiudizio. Prima che partisse per condurre le nostre mucche sulla montagna gli facemmo mangiare un po’ di zuppa; poi gli mettemmo nella sua camiciola e nel sacchetto una scorta di cibo per la giornata. Ebbene, lo abbiamo sorpreso quando ancora in viaggio, aveva già mangiato tutte le sue provviste, avendole condivise in gran parte con il cane; e quando gli abbiamo detto: « Ma cosa mangerai durante il giorno? », ha risposto: « Ma io non ho fame! » Il ragazzo sembra essere semplice e sincero. Riconosce con grande ingenuità la miseria della sua condizione precedente e la mancanza delle sue occupazioni. Quando gli è stato chiesto: « Dove vivevi e cosa facevi prima di andare a servizio da Peter Selme? », ha risposto: « Vivevo con i miei genitori, e andavo a raccogliere letame sulla strada principale ». Si spinge ancora più in là; dichiara i suoi difetti e le sue cattive inclinazioni; così quando M. Rousselot gli disse: « Maximin, mi è stato detto che prima dell’apparizione a La Salette eri un po’ un fanfarone », il ragazzo, con un sorriso e con aria di candore, rispose: « Quello che ti hanno detto è vero; ho detto delle bugie, ed imprecavo mentre lanciavo sassi alle mie mucche quando si allontanavano dal sentiero ». Dall’evento del 19 settembre, Maximin va a scuola nel convento delle Suore della Provvidenza. Passa la giornata qui e vi prende i suoi pasti. La Superiora delle Suore, persona di forte senso, si è fatta carico, con il consenso del Vescovo, della sua educazione. Alla domanda della Commissione su ciò che aveva osservato negli ultimi dieci mesi nel bambino, ha risposto: « Maximin sembra avere solo capacità ordinarie. Gli insegniamo a leggere e scrivere e ad imparare il Catechismo. È tollerante ed obbediente, ma instabile, ama il gioco, è sempre in movimento. Non ci parla mai della vicenda di La Salette; e noi abbiamo evitato di menzionarla per paura di dargli un’idea della sua importanza. Mai, dopo i frequenti e lunghi interrogatori a cui ha dovuto sottoporsi, non ha mai detto a nessuno, né a noi né ai suoi compagni di scuola, come fossero gli esaminatori e quali domande gli  avessero poste. Dopo le sue numerose passeggiate a La Salette con i visitatori, torna a casa in modo semplice e naturale, come se non avesse alcun interesse per la vicenda. Non ha voluto ricevere il denaro che alcuni pellegrini gli hanno offerto; ma quando, in alcune occasioni, è stato costretto ad accettarlo, me l’ha dato fedelmente e non ha chiesto se fosse stato speso per sé o per i suoi genitori. Quanto agli oggetti di pietà, come libri, croci, rosari, medaglie, quadri, che gli vengono regalati, non ne tiene conto: a volte li regala ai primi dei suoi piccoli compagni che incontra; spesso li perde o li smarrisce per la sua naturale incostanza caratteriale. Non è pio per natura; tuttavia va volentieri a Messa, e fa le sue preghiere con buon sentimento quando gli venga ricordato questo dovere. In una parola, il bambino non sembra per nulla impressionato dall’essere stato per dieci mesi oggetto della curiosità e dell’attenzione di una moltitudine così grande di persone; non lo colpisce il fatto che sia la causa primaria del prodigioso movimento di gente estranea a La Salette ». Qualche tempo dopo la Superiora ha detto, davanti alla Commissione nel palazzo vescovile di Grenoble: « Maximin, anche se nell’ultimo anno è stata impiegato quasi tutti i giorni per servir Messa, non ha ancora imparato a farlo bene; né Mélanie può dire perfettamente a memoria gli atti di fede, di speranza e di carità, anche se glieli ho fatti ripetere ad entrambi due volte al giorno ». –

Anche la ragazzina, Francoise Mélanie Matthieu, è nata a Corps, il 7 novembre 1831, da genitori molto poveri. Da giovanissima è stata messa a servizio per guadagnarsi da vivere occupandosi delle mucche. Raramente andava in chiesa, perché i suoi padroni la tenevano occupata nei giorni di domenica e nei giorni di festa come negli altri giorni della settimana. Non aveva quasi nessuna conoscenza della Religione, e la sua debole memoria non riusciva a farle ricordare due righe di Catechismo, tanto che non era stata ammessa alla prima Comunione. Al momento dell’apparizione aveva quasi quindici anni, ma non era ben nutrita, non era forte e non si era sviluppata in proporzione alla sua età. La sua espressione è dolce e gradevole. C’è una grande aria di modestia nel suo portamento e nell’aspetto. Anche se piuttosto timida, non è angosciata o imbarazzata in presenza di estranei. Nove mesi prima del 19 settembre, era al servizio di Baptiste Pra, proprietario di un piccolo terreno in una delle frazioni in cui è divisa La Salette. Questa persona, interrogata sul carattere di Mélanie, la descriveva come di una timidezza eccessiva, e così incurante, che quando dalla montagna tornava a casa di sera, bagnata dalla pioggia, non chiedeva nemmeno di cambiarsi i vestiti. A volte, per la disattenzione del suo carattere, dormiva nella stalla, altre volte, se non fosse stata vista, avrebbe passato la notte all’aria aperta. » Baptiste Pra ha anche deposto che prima del giorno dell’apparizione riportata, Mélanie fosse oziosa, disobbediente e imbronciata, per cui non sempre rispondeva a chi le parlava; ma che da quell’evento era poi diventata attiva e obbediente, e più attenta alle sue preghiere. Erano questi i due bambini che si ritiene che la Santa Vergine abbia scelto per essere portatori di un messaggio di avvertimento al “suo popolo”, ed essere depositari di alcuni misteriosi segreti. Mélanie era già residente, come abbiamo detto, da nove mesi nella parrocchia di La Salette, in qualità di custode delle mucche di Baptiste Pra. Maximin era lì solo da quattro giorni e mezzo prima del sabato 19 settembre. Era venuto per una settimana solo per sostituire il ragazzo che faceva l’allevatore di Peter Selme, e che in quel momento era malato. Peter Selme era stato a Corps per implorarne il padre perché facesse quel servizio, e il giorno di lunedì era andato lui stesso a prenderlo. Anche se nati nella stessa città di Corps, non sembra che i bambini si conoscessero tra loro; o perché i loro genitori vivevano a due estremità opposte di essa, o perché Mélanie, prima di andare al servizio di Baptiste Pra, aveva vissuto due anni come serva a Quet, e altri due a Saint-Luc. Durante i quattro giorni e mezzo che Maximin aveva trascorso a La Salette, sembra che non si sia incontrato con Mélanie fino al venerdì, il giorno precedente l’apparizione. Il suo datore di lavoro ne dà conto in questi giorni, in una dichiarazione redatta, su sua dettatura, da M. Dumanoir, dottore in giurisprudenza, e giudice del Tribunale di Montelimart, che ha fatto molti viaggi a La Salette, vi ha passato un po’ di tempo, e ha preso sul posto informazioni più precise su tutte le questioni relative all’argomento. Peter Selme dice: « Sono andato a prendere Maximin lunedì, e l’ho portato a casa con me; lui è venuto e nei giorni successivi si è preso cura delle mie quattro mucche nel campo che ho sul declivio meridionale del monte Aux Baisses. Questo declivio è suddiviso in proprietà private; il comune di La Salette ha il diritto di pascolo sull’ampio pianoro che si trova nel declivio nord, e sul quale si sono svolti gli eventi di cui parlano Mélanie e Maximin. Temendo che il ragazzino non fosse attento alle mucche, che potevano facilmente cadere in alcuni dei numerosi burroni della montagna, mi sono recato al lavoro in questo campo il lunedì, il martedì, mercoledì e venerdì della stessa settimana. Dichiaro che in questi giorni non l’ho perso d’occhio neanche per un istante, mi è stato facile vederlo in qualsiasi parte del campo si trovasse, perché non c’è un’elevazione che possa nasconderlo. Aggiungo solo che il lunedì l’ho portato al largo di cui ho parlato, per indicargli una piccola sorgente in un piccolo burrone a cui doveva portare le mucche a bere. Le portava lì ogni giorno a mezzogiorno, e tornava subito a mettersi sotto il mio sguardo. Il venerdì l’ho visto giocare con Mélanie, che guardava le mucche di Baptiste Pra, il cui campo è accanto al mio. Non li ho mai viste insieme al villaggio. Sabato 19 settembre sono andato come al solito nel mio campo con il piccolo Maximin. Verso le undici e mezza gli ho detto di portare le mucche alla fontana. Il bambino ha detto: « Vado a chiamare Melanie e ci andiamo insieme ». Quel giorno non è tornato come al solito dopo aver portato le mie mucche a bere: non l’ho visto fino a sera, quando è tornato a casa. – Gli ho detto allora, « Perché – Maximin – come mai non sei tornato nel mio campo questo pomeriggio ». « Oh – mi ha detto lui – ma non sai cosa è successo! ». « Che cosa è successo? » – dissi io – e lui rispose: « Abbiamo trovato vicino al ruscello una bella Signora, che ci ha intrattenuto a lungo, ed ha parlato con Melanie e me. All’inizio avevo paura e non osavo andare a prendere il mio pane, che era vicino a Lei; ma Lei mi ha detto: « Non abbiate paura, figli miei, avvicinatevi; sono qui per darvi una grande notizia », … e poi mi fu ripetuta la storia esattamente come la racconta attualmente ». La dichiarazione continua dicendo: « Durante i quattro giorni e mezzo in cui il ragazzino ha tenuto le mie mucche, non l’ho mai perso di vista, e non ho visto nessuno, prete o laico, avvicinarsi a lui. Mélanie è andata più volte a tenere le sue mucche nel campo del suo padrone mentre Maximin era con me. L’ho vista in piedi da sola; e se qualcuno fosse venuto a parlarle, io l’avrei visto, perché il mio campo e quello di Baptiste Pra sono uno accanto all’altro, sullo stesso versante della montagna, e presentano una superficie piana, in modo che chiunque sia in piedi possa vederli entrambi ». – La conoscenza, quindi, tra i due bambini, non essendo niente di più di quanto abbiamo descritto, è stato semplicemente dovuta al caso della loro similitudine di occupazione che, la mattina del 19 settembre 1846, li ha portati insieme sulla montagna, sul cui ampio crinale si trovava il pascolo del loro bestiame. Avevano sotto la loro responsabilità quattro mucche a testa, oltre ad una capra appartenente al padre di Massimino: la giornata era perfetta, il cielo era limpido e il sole autunnale, chiaro e limpido. Verso mezzogiorno, che i pastori conoscevano grazie al tintinnio dell’Angelus, presero la loro piccola scorta di cibarie e andarono a bere alla fontana che sgorga nella cavità del burrone. Terminato il pasto, scesero al ruscello che scorre lungo il fondo e, dopo averlo attraversato, depositarono i loro sacchetti di provviste vicino alla bocca di un’altra sorgente intermittente, che all’epoca era asciutta; e dopo aver fatto qualche passo, si sdraiarono, contrariamente alla loro usanza, a pochi passi l’uno dall’altro, e si addormentarono. – La storia continua con le parole di Mélanie. « Mi svegliai la prima volta e non riuscii a vedere le mucche. Svegliai Maximin, e gli dissi: “Vieni presto, Maximin, andiamo dietro alle nostre mucche”. Abbiamo attraversato il ruscello, percorso la piccola salita davanti a noi, e abbiamo visto le nostre mucche sdraiate sull’erba dall’altra parte: non erano lontane. Ci siamo girati e siamo scesi a prendere i sacchetti che avevamo lasciato vicino al ruscello. Io vi giunsi per prima; e quando ero a circa cinque o sei passi dal ruscello, ho visto una luce splendente, come il sole, e ancora più luminosa, ma non dello stesso colore; e dissi a Maximin: « Vieni presto, guarda quella luminosità laggiù »; e Maximin scese, dicendomi: « Dov’è? » Indicai con il mio dito la piccola fontana; e quando la vide, egli si fermò. Poi vedemmo una Signora nella luminosità: era seduta e aveva la testa tra le mani. Avevamo paura. Lasciai cadere il mio bastone. Allora Maximin mi disse: « Tieni il tuo bastone; se ci fa qualcosa, gli darò un bel colpo ». Allora questa Signora si alzò volgendosi a destra, incrociò le braccia e ci disse: « Venite, figli miei, non abbiate paura; sono qui per annunciarvi una grande notizia ». Poi abbiamo superato il ruscello, e Lei si è fatta avanti nel punto in cui avevamo dormito. Era in mezzo a noi. Piangeva per tutto il tempo in cui ha parlato: Ho visto chiaramente le lacrime scorrere sul suo viso. Diceva: « Se il mio popolo non si sottomette, sarò costretta a lasciare cadere la mano di mio Figlio. Essa è così forte e così pesante che non riesco più a trattenerla ». Quanto tempo sono stata in pena  per voi? Se desidero che mio Figlio non vi abbandoni, devo pregarlo incessantemente. E voi, voi non rendete conto di questo. « Potete pregare e fare tutto quello che volete, mai potrete ricompensarmi per quello che ho fatto per voi. Vi ho dato sei giorni per il lavoro; il settimo l’ho riservato a me stesso; e voi non lo osservate affatto. » [Fin dalla prima volta che è stata fatta ai bambini l’osservazione che questo cambiamento nella prima persona non era in accordo grammaticale con il resto delle parole della Signora, essi si accontentarono di rispondere che lo dicevano come lo avevano sentito. In verità, questo cambiamento nella prima persona è tanto più impressionante, e ricorda l’ « Io, il Signore » nella bocca di Mosè.] Questo è ciò che tanto pesa sulla mano di mio Figlio. Gli uomini bestemmiano mentre guidano i loro carri, e mettono il Nome di mio Figlio nei loro giuramenti. Queste sono le due cose che appesantiscono il braccio di mio Figlio. Se il raccolto fallisce, è a causa dei vostri peccati: ve l’ho fatto vedere l’anno scorso per le patate; non ci avete badato; al contrario, quando avete trovato le patate rovinate, avete bestemmiato e avete messo il Nome di mio Figlio nei vostri giuramenti: la malattia continuerà, e quest’anno a Natale non ci saranno più “patate”. Io non capivo cosa significasse “pommes de terre”; “Stavo per chiedere a Maximin cosa significasse appunto “pommes de terre”, e la Signora ha detto: “Ah, figli miei, non capite; parlerò in modo diverso”; e poi ha continuato nel “patois”, [dialetto locale]: « Se le patate sono viziate, è colpa vostra: ve l’ho fatto vedere l’anno scorso, e non avete voluto occuparvene; al contrario, quando avete trovato le “patate” … [A Corps, e in molte parti del Dauphiny, le patate sono chiamate “truffes”] viziate, avete bestemmiato, e avete messo il Nome di mio Figlio nei vostri giuramenti. La malattia durerà, cosicché quest’anno a Natale non ci saranno patate. Se avrete del mais, non è detto che lo vediate: tutto ciò che seminerete sarà divorato dagli animali, o, se crescerà, cadrà in polvere quando lo trebbierete. Ci sarà una grande carestia. Prima della carestia, i bambini sotto i sette anni avranno convulsioni e moriranno tra le braccia di chi li tiene; gli altri faranno penitenza con la fame. Le noci diventeranno cattive, l’uva marcirà. Se gli uomini si convertiranno, le pietre e i sassi saranno trasformati in cumuli di grano e le patate saranno seminate su tutto il terreno. Siete regolari nel dire le vostre preghiere, figli miei? » Rispondemmo, tutti e due: « Non molto, signora ». Dovete essere molto assidui, sia al mattino che alla sera: quando non potete fare di più, dite solo un Pater e un Ave; ma quando avete tempo, dite di più. Nessuno va a Messa se non qualche anziana signora: il resto lavora la domenica per tutta l’estate, e d’inverno, quando non sanno cos’altro fare, i ragazzi ci vanno, ma solo per prendere in giro la Religione. Durante la Quaresima vanno come i cani ai negozi dei macellai. Non hai visto il mais viziato, figlia mia? Maximin rispose: « Oh no, signora ». Non sapevo a chi di noi due avesse fatto questa domanda, e ho risposto molto gentilmente: « No, signora; non ne ho visto mai ». « Tu devi averne visto un po’, tu figlio mio – (e si è rivolta a Maximin), una volta al campo chiamato “l’angolo”, con tuo padre. Il proprietario del terreno ha detto a tuo padre di andare a vedere il suo mais guasto. Tu sei andato a vederlo. Hai preso in mano due o tre spighe, le hai strofinate e tutte sono cadute in polvere; poi sei tornato a casa. Quando eri a circa mezz’ora di distanza da Corps, tuo padre ti diede un pezzo di pane e ti disse: “Prendi questo, figlio mio, quest’anno hai ancora del pane da mangiare”. Non so chi ne avrà da mangiare l’anno prossimo, se il grano continua così”, rispose Maximin: « Oh sì, signora, ora mi ricordo, ma prima non me lo ricordavo ». Dopo di che la Signora ci disse in francese: « Bene, figli miei, lo farete sapere a tutto il mio popolo ». Attraversò il ruscello e ci disse una seconda volta: « Bene, figli miei, lo farete sapere a tutto il mio popolo! ». Poi è salita nel punto in cui eravamo andati a cercare le nostre mucche. I suoi piedi non toccavano terra: scivolò lungo le punte dei fili d’erba. L’abbiamo seguita. Io andavo davanti alla signora, e Maximin un po’ di lato, a due o tre passi distante da Lei. E poi questa bella Signora si alzò un po’ in aria (Mélanie qui indicava con la mano l’altezza da terra che voleva esprimere, – circa due o tre piedi) – Quando Maximin raccontò a casa, a Corps, quello che gli era successo sulla collina, la sua famiglia non gli credette; ma quando menzionò l’incidente raccontato sopra, suo padre scoppiò in lacrime, e si convinse che qualche essere soprannaturale aveva parlato a suo figlio. – Poi Ella guardò in alto verso il cielo, poi in basso verso la terra; poi non si vedeva più la sua testa, poi non si vedevano più le sue braccia e poi non si vedevano più i suoi piedi. Non vedevamo altro che una luminosità nell’aria; e presto anche la luminosità sparì. E io dissi a Maximin: « Forse è una grande Santa »; e Maximin mi disse: « Se avessimo saputo che era una grande Santa, le avremmo detto di portarci con lei »; e io gli dissi: « Oh, vorrei che fosse ancora qui! » Poi Maximin ha tirato fuori la mano per catturare un po’ di luminosità; ma non ne è rimasto nulla. E abbiamo guardato a lungo per vedere se potevamo vederla ancora; ed io ho detto: « Non si lascerà vedere, … così non vedremo dove va ». Dopo di che siamo andati ad occuparci delle nostre mucche. – D. C’è un segreto? R. Sì, signore. Ma ci ha detto di non dirlo. D. Di cosa ha parlato? R. Se vi dico di cosa si tratta, scoprirete di cosa si tratta. D. Quando vi ha detto questo segreto? R. Dopo aver parlato delle noci e dell’uva; ma prima che me lo dicesse, mi sembrava che avesse parlato con Maximin; e non ho sentito nulla di quello che gli ha detto. D. Ti ha detto il tuo segreto in francese? R. No, signore; in patois. D. Com’era vestita? R. Aveva delle scarpe bianche, con vicino delle rose ».  [Maximin nel suo racconto aggiunge, « … e per prendere i fiori che erano vicino ai suoi piedi » ]. Le rose erano di tutti i colori. I suoi calzini erano gialli; il suo grembiule giallo; e il suo vestito bianco, con perle dappertutto. Aveva un fazzoletto bianco con rose intorno; un cappello alto, un po’ piegato davanti; una corona intorno al cappello con delle rose. Aveva una catena molto piccola, alla quale era attaccato un crocifisso; a destra c’erano delle pinzette, a sinistra un martello; alle estremità della croce c’era un’altra grande catena, che cadeva come le rose intorno al suo fazzoletto. Il suo viso era bianco e lungo. Non potei guardarla per molto tempo, perché ci abbagliò ». Il resoconto che abbiamo dato sopra è più esatto di quello che è apparso finora, esso dà, parola per parola, ciò che i bambini hanno detto il primo giorno dopo l’evento, e ciò che hanno poi ripetuto tanto spesso. Lo dicono ora come una lezione a loro familiare; ma i padroni di lavoro dei due bambini, i loro genitori, il sindaco di La Salette, gli abitanti di Corps e di La Salette, così come un gran numero di ecclesiastici e di persone illustri, estranei al paese, che hanno visitato il luogo subito dopo l’evento, dopo che i bambini hanno dato fin dall’inizio esattamente la stessa versione dei fatti, se non con la stessa volubilità e facilità, almeno senza la minima variazione nella sostanza, o anche nelle espressioni, sia che siano stati interrogati separatamente o insieme. Nell’opuscolo di M. Rousselot la narrazione di Maximin è data anche così come è stata tratta da lui stesso al suo esame davanti alla Commissione episcopale. Ci sono alcune differenze verbali tra essa e quella di Mélanie; ma tutto il racconto è talmente simile nella sostanza, e anche nella fraseologia, che non è sembrato necessario aggiungerlo all’altro. Rispetto ai segreti che sono stati loro conferiti, essi hanno mantenuto dal primo giorno ad oggi un silenzio impenetrabile, tranne che nel caso del Papa, al quale hanno spontaneamente svelato il loro mistero. Quando “la Signora” ha dato il segreto all’uno, l’altro non ha sentito e ha visto solo le sue labbra muoversi. Il segreto fu dato prima a Maximin, poi a Mélanie; ma l’una non sapeva che l’altro avesse ricevuto un segreto. Solo dopo la fine della visione, Maximin aveva detto a Mélanie: « Si è fermata a lungo senza parlare; ho visto solo le sue labbra muoversi; cosa diceva? Mélanie risponde: « Mi ha detto una cosa, ma non posso dirtela, perché mi ha detto di non farlo ». Maximin rispose subito: « Oh, sono così contenta, Mélanie; anche a me ha detto qualcosa, ma non devo dirla neanche a te ». Fu così che compresero che ognuno di loro era in possesso di un segreto. Questo è forse il luogo per affermare ciò che si sa sulla trasmissione dei loro segreti al Papa. ~ Nell’ultimo anno 1851 i bambini, alla presenza di alcune persone nominate dal Vescovo di Grenoble, scrissero ciascuno su un foglio di carta, che fu piegato e sigillato dallo scrivente, i segreti loro affidati. Il Vescovo diede poi ordine a M. Rousselot e ad un altro sacerdote di portare questi pacchetti sigillati a Roma, e di consegnarli nelle mani del Santo Padre. Questo fu fatto. Sua Santità ruppe per primo il sigillo dell’uno e lo lesse senza fare commenti. Dopo averlo letto, disse: « Non è solo la Francia che ha peccato, ma anche la Germania, l’Italia, tutta l’Europa”. Quando M. Rousselot andò a congedarsi dal Cardinale Lambruschini, il Cardinale disse: « Conosco il segreto; il Santo Padre me lo ha confessato ». Per continuare la narrazione: i bambini rimasero sulla collina fino al momento di condurre le loro mucche a casa, cosa che fecero come al solito; e, dopo averle sistemate nelle loro stalle, cominciarono, secondo le istruzioni che avevano ricevuto dalla “Signora”, per annunciare nel villaggio gli eventi del giorno. « Sabato – dice Baptiste Pra, nella sua dichiarazione – sono venuti entrambi insieme per dirmi cosa avevano visto e sentito sulla collina. Durante questo e i primi giorni non ho dato credito alla storia, e spesso ho esortato Mélanie ad accettare il denaro che le era stato offerto a condizione che mantenesse il silenzio sull’argomento. Lei insisteva nel rifiutarsi di farlo, ed era altrettanto insensibile alle minacce e alle promesse di ricompensa. – Il sindaco di La Salette, tra gli altri, impiegò invano ogni sorta di mezzo per far contraddire la bambina. Non ci riuscì. Le offrì allora del denaro; lei lo rifiutò, e in risposta alle sue minacce disse che avrebbe sempre ripetuto ovunque ciò che la Vergine le aveva detto. Il sindaco l’ha interrogata per un’ora intera durante la domenica 20 settembre. La domenica i bambini sono stati portati al curato, al quale hanno raccontato la loro storia. Era un brav’uomo anziano, di grande semplicità, che sembra aver loro creduto subito, e aver pianto con tenerezza alla loro recita. Si spinse fino a menzionarlo dal pulpito lo stesso giorno, anche se dalla commozione dei suoi sentimenti fu con grande difficoltà che riuscì a parlare dell’argomento. Dieci giorni dopo fu trasferito dal Vescovo ad un’altra parrocchia, e al suo posto fu nominato un sacerdote più giovane. Durante la Domenica tutta la parrocchia era in movimento sul posto. Naturalmente non avevano modo di giudicare se la storia dei bambini fosse vera o falsa; ma una cosa colpì subito tutti coloro che conoscevano la località, cioè che la fontana, che il giorno prima e per qualche tempo era stata asciutta, ora mandava un getto pieno di acqua purissima, non avendo nulla del sapore salmastro del ruscello che ivi scorreva. Questa sorgente continua da allora a zampillare; ed è grazie all’uso dell’acqua che ne scorre, che tanti miracoli meravigliosi sono stati fatti per il miracolo dell’Apparizione. Fu nel corso di questo stesso giorno che il sindaco di La Salette, il cui compito era quello di reprimere un tale scandalo se la storia fosse stata un inganno, sottopose Mélanie ad un’ora di interrogatorio. Le offrì una grossa somma di denaro, la minacciò con il giudizio di Dio, e in definitiva con la prigione, a meno che non dicesse chi fosse stato a spingerla a questo, e non tenesse la lingua a freno. Qualche giorno dopo l’invio a Corps di Maximin, li fece passare entrambi attraverso lo stesso controinterrogatorio, utilizzando gli stessi mezzi, duri o persuasivi, per indurli a scoprire la frode. Egli stesso ha redatto una dichiarazione in tal senso, e dice che i bambini gli rispondevano sempre: « Non possiamo fare a meno di raccontare ciò che abbiamo visto e ciò che abbiamo sentito; ci è stato ordinato di raccontarlo ». Si aggiunga che il resoconto che hanno dato allora era lo stesso in ogni particolare di quello che danno attualmente ». Maximin era stato portato a casa da suo padre a Corps dal suo datore, Peter Selme, durante questa domenica mattina, poiché la settimana per la quale era stato ingaggiato era scaduta. Mélanie è rimasta al servizio del suo datore di lavoro fino a quasi Natale. Nel frattempo la fama di questo evento si stava estendendo in tutte le direzioni e veniva rafforzata dalla notizia che vari miracoli erano stati fatti sul posto, e anche a distanza, grazie all’uso dell’acqua della sorgente; si stava portando sulla scena dell’Apparizione un numero di visitatori, che ogni giorno aumentava. Infine, l’autorità civile, per conto del figlio del magistrato del distretto, ritenne necessario prendere conoscenza della vicenda; e il 22 maggio 1847, otto mesi dopo l’evento, i bambini furono convocati separatamente, e poi insieme, perché essendo ora davanti a un tribunale di giustizia, dicessero l’esatta verità. Furono poi interrogati a parte, uno dopo l’altro, e poi insieme, e minacciati seriamente di punizione in caso di contraddizioni nelle loro dichiarazioni. Il loro resoconto non variava in alcun modo da quello che avevano redatto la prima sera, e che hanno poi dato ad ogni interrogante. Un rapporto di questo esame è stato redatto sul posto, trasmesso all’avvocato del re a Grenoble, e presentato formalmente all’ufficio della corte d’appello di quella città. Il magistrato di Corps, nella sua lettera all’avvocato del re, dice: « Questo resoconto non differisce in alcun modo da quello che hanno dato ai loro padroni la sera del 19 settembre, dopo il loro ritorno dalla collina. Se c’è una differenza, è nelle parole; ma la sostanza è la stessa ».

[1 – Continua]

https://www.exsurgatdeus.org/2020/03/24/lapparizione-a-la-salette-1846-ii/

CORONA

Si parla tanto di Corona, oggi, più o meno proposito. Ma vediamo nel gergo cabbalistico cosa voglia significare Corona, in modo da renderci conto del perchè sia stato scelto questo tipo di fantomatico virus tra le migliaia che la virologia conosce (o meglio suppone esistere.). Capiremo così pure come sia stata scelta non una immaginaria variante nazionale, pure di moda nei mesi scorsi, bensì la cosiddetta delta … Δ lettera greca che rappresenta … guarda caso, un triangolo a punta in sù … un simbolo strano … o no? Manca l’occhio di Horus, ma è sottinteso … Grembiulini, smettetela, il vostro gioco è chiaro ormai: Dio vi sta usando come bastoni a nostro meritato castigo di apostati, ma dopo il castigo, il bastone viene buttato nel fuoco e distrutto … la storia non vi insegna proprio nulla?

CORONA

[L. MEURIN:  LA FRAMMASSONERIA; trad. A. Acquarone, Siena Uff. Bibliot. del Clero, 1895]

LIBRO I

CAPITOLO III.

IL KETHER-MALKHUTH, LA CORONA DEL REGNO.

1. Origine dei Séfìroth Corona e Regno.

Ma donde viene la Corona che noi vediamo interpolata tra l’Ensoph e la Sapienza, tra la sostanza eterna e le tre persone divine?

Per approfondire tale questione importante, abbiamo consultato la Bibbia ebraica. Ora, nel libro d’Ester abbiamo trovato il Kéther-Malkhuth. Il re Assuero domandò che fosse condotta dinanzi a lui e ai principi del regno, la regina Vasthi col suo diadema reale. La regina vi si rifiutò. Allora la bella Ebrea Ester fu eletta invece di Vasthi disobbediente e detronizzata. Essa fu coronata da Assuero stesso del diadema reale tolto a Vasthi, e Mardocheo, suo zio, fu onorato e decorato del diadema reale che perdeva Amanno per aver voluto distruggere tutta la razza ebrea. – In questi passi il diadema reale è chiamato Kéther-Malkhuth. Dopo la caduta della regina Vasthi, dopo quella del primo ministro Amanno, e dopo l’innalzamento dell’Ebrea Ester al trono, e di Mardocheo al primo posto nel regno del re Assuero, gli Ebrei sterminarono i loro nemici, il tredicesimo e il quattordicesimo del mese d’Adar; essi istituirono una festa perpetua che dovea essere celebrata il quattordicesimo e il quindicesimo del mese di Adar. Eccoci sulle tracce dell’origine del primo e decimo Séfìroth Kéiher e Malkhuth: l’Uomo archetipo è l’Ebreo, con la Corona in testa e il regno ai suoi piedi. Non è questo uno dei più grandi misteri della Cabala? Non troverem noi il penultimo secreto della frammassoneria?

2. Applicazione politica del Kéther-Malkhuth.

Dopo aver scritto queste linee, abbiamo trovato nel libro di Drumont, Testamento di un Antisemita, p. 142, la conferma seguente del nostro esposto. Negli Archivi Israeliti del 16 ottobre 1890, l’Ebreo Singer interpella direttamente il signor di Bismarck e gli dice senza altro preambolo: « Io vi prego a rileggere il magnifico libro di Ester, dove troverete la storia tipica di Amanno e di Mardocheo. Amanno, l’onnipotente ministro, siete voi, mio signore; Assuero, è Guglielmo, e Mardocheo, è il socialismo alemanno, inaugurato dagli Ebrei Lassalle e Marx, e continuato dal mio omonimo e correligionario Singer. Voi avete voluto abbassare e annientare Mardocheo, e siete voi, il grande cancelliere, che siete divenuto sua vittima! »

Quale imprudenza da parte di questo Ebreo Singer! Egli chiama l’attenzione del mondo su questo libro di Ester dove appare il suo correligionario Mardocheo coronato dal Kéther-Malkhuth, di cui i Rosa-Croce del 18° grado, quegli obbedienti cavalieri degli Ebrei, portano l’immagine attaccata al gioiello sui loro petti leali! « Il timore della potenza degli Ebrei, dice la santa Scrittura (Esth. C. IX), avea invaso generalmente tutti i popoli. Gli Ebrei fecero adunque una grande carneficina dei loro nemici; e massacrandoli, resero loro il male che questi usi erano preparati a fare ad essi. » In Susa stessa, uccisero cinquecento uomini, senza contare i dieci figliuoli di Amanno. Si riferì tosto al re Assuero il numero di quelli che erano stati uccisi in Susa. « Il re disse alla regina Ester: Quanto grande, pensate voi, debba essere la carneficina che fanno i Giudei in tutte le province? Che domandate voi di più? e che cosa volete ch’io ordini ancora? — La regina gli rispose: Io supplico il re di ordinare che i Giudei abbiano il potere di fare ancora domani in Susa ciò che fecero oggi, e che siano appesi i dieci figliuoli di Amanno. Il re comandò che ciò si facesse, e tosto l’editto fu affisso in Susa, e i figliuoli di Amanno furono appesi; e al domani, i Giudei uccisero ancora in Susa trecento uomini. E intutte le province uccisero i loro nemici in sì gran numero che settantacinque mila uomini furono compresi in quella strage. » Quella supplica della bella Ebrea ci svela tutto il carattere crudele della sua razza quando essa ha la vittoria in mano,

Guai ai popoli padroneggiati dagli Ebrei!

Ecco come gli Ebrei intendono le parole di Davide: « Le lodi di Dio saranno sempre nella loro bocca, essi avranno nelle loro mani delle spade a due tagli per vendicarsi delle nazioni e punire i popoli, per legare i loro re e incatenarne i piedi, e i grandi di essi, mettendo loro i ferri alle mani (Ps. CXLIX). » – La festa che essi chiamano Purim, il 14 febbraio, gli Ebrei la celebrano in memoria della loro liberazione dalla tirannia di Amanno, per coraggio di Esther e di Mardocheo. « Gli Ebrei s’impegnano allora di rubare tutti i Cristiani che possono, principalmente i fanciulli. In quella notte, non ne immolano che uno solo fìngendo di uccidere Amanno. E mentre il corpo del fanciullo sacrificato è sospeso, essi scherzano intorno, fingendo di farlo ad Amanno. Col sangue raccolto, il rabbino fa certi pani impastati col miele, di forma triangolare, destinati non agli Ebrei, ma ai Cristiani loro amici (E. Desportes, le Mystere du sang, p. 311). » Gli Ebrei danno ai loro propri figliuoli giunti all’età di tredici anni una corona in segno di forza (ibid. p. 258). » La Corona in testa e il Regno ai suoi piedi, ecco l’ideale dell’Ebreo praticamente e perseverantemente perseguitato dacché Iehovah ha eletto la posterità di Abramo come suo popolo di predilezione. – Adam Kadmon, l’Uomo primordiale, è l’archetipo dell’Ebreo. L’Ebreo è l’Uomo per eccellenza. Tutta la fraseologia si bene conosciuta sull’Uomo e l’Umanità, la loro liberazione, la loro libertà, i loro diritti, ecc…, devono intendersi in primo luogo degli Ebrei; poi, per comunicazione, degli affiliati degli Ebrei, cioè dei frammassoni; perché soltanto nella frammassoneria si forma l’Uomo, e solo all’undicesimo grado l’uomo diviene perfetto, in guisa da poter rispondere alla domanda:

« Siete voi Sublime Cavaliere Eletto?

Risposta: — Il mio nome è Emmarek, uomo vero in ogni occasione (P. Rosen, p. 251). » Emmarek, in ebraico, vuol dire: Io sono purificato. « Fuor del popolo ebreo e degli individui giudaizzati per mezzo dei misteri massonici, non havvi Uomini veri, le altre nazioni non sono che una varietà d’animali (Talmud, v. Pontigny, le Juif selon le Talmud). » Questa è la dottrina del Talmud che per l’Ebreo è la teologia morale, come sua sorella, la Cabala, è la teologia dommatica. Ma come noi già lo dicemmo, se i frammassoni sono ingannati dagli Ebrei, gli Ebrei lo sono dal nemico dell’uman genere. Non vediam noi il tentatore nascosto sotto questo « diadema reale » Kéther-Malkhuth, come un tempo sotto la forma del serpente?

Il pomo del paradiso è cambiato in corona.

Non sentiam noi le parole del tentatore, ripetute più tardi a Gesù, mostrandogli tutti i regni del mondo e la loro gloria: « Tutte queste cose, io ti darò, se tu prostrato mi adorerai (S, Matteo, cap. IV, 8-9)?

L’Ebreo non ha risposto, come Gesù: « Ritirati, satana, perchè è scritto: « Tu adorerai il Signore Dio tuo, e servirai a lui solo (ibid. v. 10). »

Noi lo vedremo: si adora veramente Lucifero nelle logge massoniche. Libero agli Ebrei di adorare il diadema reale come il loro vitello d’oro:

satana, sotto il nome di Kéther, ha preso posto al di sopra della santissima Trinità.

Vediamo a questo punto, quali i siano i gradi della massoneria “dominati” dalla Corona, cioè – per ogni undicina – il decimo, il ventunesimo e l’apice: il trendaduesimo grado.

X Grado

La 1a Sephirah. La Corona. —

L’Illustre Eletto dei Quindici.

Il senso cabalistico del numero Quindici ci è già noto. La « Corona », Lucifero, vuol vedere la sua generazione (cinque) stabilita nei tre mondi, nell’universo. Al 10° grado, la frammassoneria deve rappresentare il primo dei dieci Séphirot, la Corona, nell’uno o nell’altro dei sensi che abbiamo indicati. La Corona è il simbolo della dominazione suprema, della vittoria completa su tutti i loro nemici. – A ben comprendere questo 10° grado, bisogna ricordare l’istruzione del Presidente del 33° grado: « Questi tre assassini infami sono: la Legge, la Proprietà, la Religione… Di questi tre nemici infami, è la Religione che deve essere il pensiero costante dei nostri assalti nichilisti, perché un popolo non ha mai sopravvissuto alla sua Religione, e perché con l’uccidere la Religione avremo nelle nostre mani e la Legge e la Proprietà; perché solo col stabilire sui cadaveri di questi assassini, la religione massonica la legge massonica, la Proprietà massonica, noi potremo rigenerare la Società (Paolo Rosen, p. 297.). » – Il rappresentante perfetto del potere supremo di Lucifero sì farà iniziare all’11° grado. Prima di divenire un tale rappresentante, egli deve meritare la sua corona, uccidendo, dopo Abibala che simboleggia la Religione, Sterkin e Oterfut, gli altri due assassini d’Hiram, che simboleggiano la Legge (i Re) e la Proprietà. – Il 9° grado è destinato a simboleggiare la distruzione della Religione; il 10°, quella della Legge e della Proprietà. Il recipiendario vi riceverà la civica corona degli Eletti della razza d’Eblis, quando avrà apportato le due altre teste: egli sarà acclamato e glorificato: « Gloria a lui! Riconoscenza eterna al vendicatore d’Hiram! » (P. 223). –  La tappezzeria della sala del 9° grado era screziata di fiamme rosse: la rabbia vendicatrice che immerge la mano nel sangue. Nel 10° grado queste fiamme saranno sostituite da lacrime rosse e bianche, lacrime di rabbia sanguinaria e lacrime di gioia e di vittoria. Nell’11° grado queste lacrime faranno posto a cuori infiammati, simboli dell’unione cordiale dei Sublimi Cavalieri Eletti, rappresentanti della Potenza Suprema. Si accende da prima una fiaccola di cinque bracci verso 1’Oriente, da dove parte la luce: la generazione « nel cielo »; poi un’altra al sud: la generazione « nell’aria di mezzo »; e infine una terza all’occidente: la generazione « sulla terra ». Il Tempio, l’Universo, è illuminato da quindici lumi. – Il recipiendario, dopo aver prestato il suo giuramento, porta le teste degli altri due assassini; con la mano destra, quella di Sterkin, con la sinistra, quella di Oterful. La testa di Sterkin, traversata da un pugnale sotto la mascella, simboleggia la decapitazione dei monarchi, quella di Oterfut, la rovina della Proprietà. Il re Maaca di Geth, nel cui territorio i due assassini si erano nascosti, è un personaggio biblico, e del fatto che gli schiavi di Semel eransi rifugiati nel suo territorio se ne fa parola nella Bibbia (III Re., 11, 39.); ma non v’è alcuna relazione tra questi fatti e la leggenda massonica. Quell’uso di nomi e di passi dell’Antico Testamento è una prova che il sistema massonico è un’ invenzione ebrea, e naturalmente a profitto degli Ebrei. Questa osservazione si trova confermata dal significato dei nomi seguenti: Ben-Dicar, figlio del pugnalamento, nome della caverna di rifugio dei due scellerati, Zerbaei, fuoco divorante di Dio, ed Eligam fremito di Dio, nomi dei due primi dei quindici Maestri che li scoprirono, e Herar, detenzione, nome della prigione dove essi furono chiusi. Finalmente le tre teste degli assassini d’Hiram sono un segno della vittoria finale dell’iniziato; egli ha meritato la sua corona, si è mostrato degno di essere posto tra i valenti avversari della Religione, della Legge e della Proprietà; tra i degni emuli di satana, che egli stesso si è imposto una Corona, per compensarsi della corona perduta il giorno nefasto in cui tre auguste persone « infami assassini », lo hanno condannato alla perdita della gloria celeste.

XXI Grado

21. La 1. Séphirah. La Corona. —

Il Cavaliere Prussiano Noachita

Questo grado rappresenta la Corona, il Kéther ebreo, e deve farci scorgere la speranza del « Popolo eletto » di essere un giorno coronato del diadema reale sul quadrato intero dell’universo, come un tempo Ester e Mardocheo su tutto il regno persiano, o come il Re frammassone Federico sulla Prussia. Questa è ancora una volta la riunione del potere spirituale e del potere temporale nella stessa mano, con l’estensione dell’augusto regno d’Israele sul mondo abitato da tutti i discendenti di Noè. – Il Noachita è un termine del Talmud e significa il Non-Ebreo (A. Pontigny, Le Juif selon le Talmud, p. 167). Il Motto de Passe, Phaleg, è pronunciato tre volte con tono lugubre, sia perché quell’uomo non è riuscito a compiere la Torre di Babele, sia perché gli Ebrei sono tristi di essere ancora tanto lontani dall’effettuazione della lor grand’Opera, la dominazionesull’universo.Sem, il fratello primogenito di Jafet, generò Arphazad, il nonno di Heber. « Heber ebbe due figli: uno si chiama Phaleg perché la terra fu divisa ai suoi tempi in nazioni e in lingue diverse; e il suo fratello chiamasi Jectan (Genesi. X. 25.). » Questo è tutto ciò che la cronaca santa riferisce su Phaleg. Essa non dice in nessun luogo ch’egli sia stato 1’architetto della Torre di Babele, e contraddice l’affermazione ch’ei fosse della stirpe di Cham. – Il « Grande Capitolo » dei Cavalieri Prussiani si tiene in una vasta sala illuminata solamente da una grande finestra per cui penetra la luna piena. Ogni altra luce è proibita. La sala deve essere decorata nello stile medioevale, e tutti gli assistenti hanno una maschera. – L’opinione volgare sulla Santa Vehme è che questo tribunale misterioso tenesse le sue sedute nelle tenebre della notte, sotto volte tetre, sedendo i membri coperti di maschere (Wetzer, Dictionnaire, Vehme. Conf. Clavet. Hist. de la Framm. p. 356.1).Il Fratello Cavaliere Prussiano porta all’occhiello una piccola luna d’argento. La Batteria è di tre colpi lenti; essa significa il Motto sacro: Sem, Cham, e Jafet. La marcia è: tre passi di Maestro. La leggenda racconta bene l’inganno di un membro della aristocrazia e di un vescovo, ma è difficile conchiuderne che lo scopo di questo grado sia di attaccare il clero e l’aristocrazia. Questo scopo è troppo subordinato per indicare il vero senso di questo grado eminente, che è, per così dire, la corona dei nove gradi precedenti. La Santa Vehme, rappresentando la giudicatura secreta massonica, non forma che una parte della leggenda di questo grado, e certamente la parte accessoria.La parte principale e la più secreta pare essere contenuta nel Gioiello: un triangolo d’oro, traversato da una freccia di argento avente la punta voltata in basso (p. 402). Che cosa può significare questo gioiello? Il triangolo dei tre Séphiroth superiori, di cui la Corona è la punta in alto, è facile a spiegarsi; ma la freccia (« La freccia è, come la spada, la lancia, l’arco, il giavellotto ecc., un simbolo del Fuoco filosofico). Le frecce di Apollo (Sterminatore) uccidono Tifo. » Ragon, Orthodoxie maçonnique p. 550, 556.) non si trova, per quanto sappiamo, tra i simboli numerosi di cui la Cabala fa uso. Nella Santa Scrittura, essa significa sempre la distruzione. Qui noi crediamo dover riferire questo simbolo alla soggezione dei re e dei popoli, perché è là il mezzo di conquistare la corona delle corone. Parlando di Ciro, Isaia, dice in nome del Signore le parole seguenti, che in questo grado Lucifero e gli Ebrei cabalisti applicano ai loro Ciri moderni, i Federico di Prussia, i Cavalieri Prussiani, i loro Fratelli, gli Ebrei Re: « Chi ha fatto uscire il giusto dall’Oriente e chi l’ha chiamato ordinandogli di seguirlo? Egli ha atterrato i popoli dinanzi a lui e lo ha reso il maestro dei re; egli ha fatto cadere sotto la sua spada i suoi nemici come la polvere, e li ha fatti fuggire davanti al suo arco come paglia portata dal vento… Ma tu, Israele, mio servo; tu, Giacobbe, che io ho eletto; tu, stirpe di Abramo che fosti mio amico, nella quale io ti ho preso per trarti dall’estremità del mondo… non temere perché io sono con te… Io lo chiamerò dal settentrione, ed egli verrà dall’ Oriente; egli riconoscerà la grandezza del mio nome; egli tratterà i grandi del mondo come il fango, e li calpesterà come lo stovigliaio calpesta l’argilla (Isaia, XLI, 2, 9, 55.)». La freccia che scende dalla punta del triangolo, dalla Corona, significa la stessa cosa che il segno del grado; prender le tre prime dita (Sem, Cham e Jafet) che il Fratello vi mostra. – Il Cesaro-papismo esercitato dagli Ebrei su tutte le nazioni è l’idea del 21° grado, idea degna di un Cavaliere Prussiano! Questo Principe regnerà in nome di Lucifero, e con lui, su tutti i popoli della terra nati da Sem, Cam e Jafet.

XXXII Grado

32. La 1a Sèphiraph. La Corona. —

Il Principe del Reale Secreto, Cavaliere di S. Andrea e Fedelissimo Custode del Sacro Tesoro.

La Sèphiraph Corona che deve presiedere al 32° grado, vi si è « impenetrabilmente nascosta ». Tuttavia noi l’abbiamo trovata sopra le due teste dell’Aquila onnipotente. Leo Taxil non dà la spiegazione del Campo dei Principi, di cui ha parlato alla pagina 443. Essa trovasi nel Rituale di questo grado pubblicato dal Fratello Ragon. Là, alla pagina 32, ei dice: « Il vessillo G, che è quello dei Grandi Maestri della Chiave, è verde chiaro. Esso porta un’Aquila a due teste, coronata, avente una collana d’oro, una spada nell’artiglio destro e un cuore sanguinante nella sinistra. » Così si vede giustificata sino alla fine la nostra ipotesi che la Cabala ebrea è la midolla della frammassoneria. Il 32° è il grado ebreo per eccellenza. Invece di Principe del Real Secreto, si dovrebbe dire: Principe dell’Esiglio; perché questo grado è l’apparato del salmo 136: « Sulle rive dei fiumi di Babilonia, ivi sedemmo, e piangemmo ricordandoci di Sionne. Ai salici appendemmo i nostri strumenti di musica. Come canteremo noi il Cantico del Signore in una terra straniera? Se io mi dimenticherò di te, o Gerusalemme, sia messa in oblio la mia destra. Si attacchi la mia lingua alle mie fauci, se non avrò più memoria di te!…. Figliuola infelice di Babilonia! beato colui che farà a te quello che tu hai fatto a noi! Beato colui che prenderà e infrangerà sulle pietre i tuoi figliuoli! » Dolore, odio e rabbia! – I frammassoni non ebrei sono ben obbligati di mettersi in duolo per Israele esiliato, e di versar lagrime per le disgrazie degli Ebrei loro maestri! – La prima grande disgrazia nazionale fu l’esilio di Babilonia. La tappezzeria della Loggia è nera, colore di duolo, seminata di lagrime, di scheletri, di teste di morte e di tibie incrociate. Il Motto sacro è la parola latina Salix, salice: « Ai salici noi appendemmo le nostre lire! » La seconda grave sventura fu l’incendio pel Tempio, sotto Tito, il nove del mese Ab; ancora oggidì, questo giorno è per gli Ebrei un giorno di digiuno; da ciò il secondo Motto sacro la parola latina Noni, il nove. I due fratelli pronunciano allora insieme il terzo Motto sacro, la parola greca Tengu, affliggiamoci! — L’idea generale del campamento è la marcia verso la Terra Santa per riconquistarla e per ricostruire il Tempio di Gerusalemme. L’abate Chabauty (Les Juifs nos maitres. Parigi, Palme 1882.) ha dimostrato la perennità di un governo unico presso gli Ebrei dispersi: « È storicamente incontestabile, ei dice, che dalla loro dispersione sino all’undecimo secolo, gli Ebrei hanno avuto un centro visibile e conosciuto di unità e di direzione. » Teodoro Reinach lo afferma nella sua Storia degli Israeliti. Dopo la rovina di Gerusalemme, questo centro si trovò lungo tempo ora a Japhné, ora a Tiberiade; esso era rappresentato dai Patriarchi della Giudea (20° grado) che godevano di una grande autorità. « Essi decidevano i casi di coscienza e gli affari importanti della nazione; dirigevano la Sinagoga come capi superiori; stabilivano le imposte, avevano degli ufficiali detti apostoli che portavano i loro ordini agli Ebrei delle provincie più remote e ne riscotevano il tributo. Le loro ricchezze divennero immense. Questi Patriarchi agivano in una maniera palese o nascosta, secondo le disposizioni degli imperatori romani a riguardo degli Ebrei. Essi scomparvero sotto Teodoro. Superiori a questi Patriarchi erano i Principi della Schiavitù, che risiedettero lungo tempo a Babilonia. Gli scrittori ebrei mettono una grande differenza tra i Patriarchi della Giudea e i Principi dell’Esilio. I primi, dicono essi, non erano che luogotenenti dei secondi. I Principi della Schiavitù avevano la qualità e l’autorità assoluta dei capi supremi di tutta la dispersione d’Israele. Secondo la tradizione dei dottori, essi sarebbero stati istituiti per tenere il posto degli antichi re, ed essi hanno il diritto di esercitare il loro impero sugli Ebrei di tutti i paesi del mondo. – « I Califfi d’Oriente, spaventati della loro potenza, suscitarono loro delle terribili persecuzioni, e a partire dall’undecimo secolo, la storia cessa dal fare memoria di questi capi d’Israele. » – Scomparvero essi completamente, o trasportarono altrove la sede della loro potenza? Questa seconda ipotesi è molto più verosimile, vista la lettera degli Ebrei d’Arles a quelli di Costantinopoli, e la risposta degli Ebrei di Costantinopoli a quelli di Arles e della Provenza, con la data del 1489, di cui facemmo più sopra memoria. L’abate Chabauty ne deduce l’evidenza che a Costantinopoli risiedeva il loro Capo Supremo, non solamente religioso, ma eziandio politico: « Là era la testa della nazione. » – Questo Principe di Costantinopoli era il successore dei Principi Dell’Esilio di Babilonia. Egli trovavasi là nel centro della dispersione, e godeva di una piena autorità; « egli comandava da padrone ed era puntualmente obbedito (C. Desportes, Le Mistere du sang. p. 335). » Non ci meravigliamo adunque che alla testa di quella Istituzione affatto ebrea che chiamasi la frammassoneria, noi troviamo il Principe dell’Esilio vero, nascosto sotto il nome di Principe del Reale Secreto, coll’epiteto: Fedelissimo Custode del Tesoro Sacro (Ragon. Rituel du 31° e 32° degrè, p.. 9). – Tutti si persuadano bene che la Società secreta della frammassoneria è il piano di guerra il più nascosto e il più destro della Sinagoga decaduta, avente per iscopo la soggiogazione di tutte le nazioni della terra a profitto della stirpe eletta degli Ebrei. Chiunque dà il nome a quella società coopera alla Grande Opera degli Israeliti di porre il Kether-Malkhuth del mondo sulla fronte dell’Ebreo. Perché il maestro del 32° grado prende egli il titolo di Sovrano dei Sovrani, se con questo titolo i Capi supremi non vogliono designare il Diadema Reale sulla testa di Ester e di Mardocheo di tutti i regni della terra? – Perché questo « Sovrano dei Sovrani » chiamasi Grande Principe, se non perché il vero Principe dell’Esilio deve celarsi sotto il costume regale e lo scettro dei Fratelli del 32° grado? Perché porta egli ancora il titolo di Illustre Commendatore in capo, se non perché il Principe dell’Esilio deve essere alla testa della Supremazia esecutiva dell’Ordine? Il toccamento non è altro che l’Unione dei « Templari « di tutti i paesi per conquistare il mondo intero sotto la direzione suprema degli Ebrei. Ecco i Motti de Passe: A dice: Phagal-Khol, egli ha annientato tutto, B risponde: Pharas-Khol, egli ha spezzato tutto! A ripiglia: Nekam-Makkah, Vendetta! Carneficina! A e B: Schaddaì, l’Onnipotente. Queste parole esprimono bene quell’idea «Beato colui che prenderà e infrangerà i tuoi figli sulla pietra! ». – Noi ci siamo domandati perché le due teste dell’aquila non sono più apertamente coronate in questo grado che corrisponde alla Sephirah Corona. Sul cordone si vede bene l’Aquila a due teste, ma non si dice e non si vede ch’esse portino la corona. La ragione sembra essere che la corona non è chiamata a unire insieme i due poteri, il temporale e lo spirituale, che al 33° grado; il 32° rappresenta solo il potere temporale. Il vessillo G tuttavia reclama già, al 32° grado, ciò che il 33° è chiamato ad effettuare. – La Croce teutonica dei Templari, che ha già trovato la sua interpretazione cabalistica, fa qui una gran parte come decorazione sul bavero, sul cordone, sulla cintola, e come gioiello. Se si vuole penetrare più profondamente negli emblemi della frammassoneria, si troverà che la Croce teutonica è la Pietra cubica a punta (14° grado) spiegata. Tirate dalla punta della piramide quadrata quattro linee perpendicolari sulle quattro linee della sua base, e delineate queste otto linee, le basi e le perpendicolari, in un piano attorno a un punto, e troverete la forma della Croce teutonica. Il punto rappresenta la Corona cabalistica, o l’Intelligenza ermetica; le quattro perpendicolari, la generazione quadrupla, e le quattro basi, i quattro mondi. Sopra uno dei quattro lati della piramide trovasi lo Schemhamphorasch, il Nome spiegato. La piramide e la Croce teutonica hanno la stessa significazione. Ora, il 32° grado è il grado della Corona rappresentata dal punto centrale della Croce teutonica e dalla punta in alto della Pietra cubica a punta. I cinque ultimi gradi sono i gradi templari; perché gli Ebrei furono abbastanza sagaci per vedere in questi religiosi decaduti i migliori strumenti dei quali potessero servirsi per la loro Grand’Opera, in pari tempo che la loro Croce è un simbolo ammirabile della loro dottrina cabalistica nascosta negli emblemi del 32° grado. Ma perché, a fianco delle lagrime in argento sulla tappezzeria della loggia, vi sono lagrime ardenti sul fondo del trono ove siede Lucifero? L’esilio d’Israele è esso una figura dell’esilio di Lucifero nel fuoco eterno? e le lagrime di Lucifero sono esse lagrime di fuoco? Dante, parlando delle tre facce di satana incatenato nell’abisso dell’inferno, dice: « Egli piangeva con sei occhi, e le lagrime miste a sanguinosa bava gocciavano su tre meati ». La fiamma di luce sulla testa d’Eblis, crediam noi, è abbastanza viva per impedire che le sue lagrime si gelino prima di cadere sul ghiaccio, sul ghiaccio da dove « l’Imperatore del Regno dei dolori usciva sino a metà del petto ». – Per far risaltare l’idea cabalistica di questo grado importante, distinguiamo la dottrina dello Zohar dalla sua applicazione alla magia diabolica, fondata, si sa, sulla Cabala. Parliamo dapprima dell’ultima, a cui non vogliamo consacrare che poche linee, per timore di essere trascinati in una esposizione della magia cabalistica che esigerebbe un libro. Dopo la spiegazione del Campo fatto al Kadosch recipiendario, il Sovrano dei Sovrani gli fa le domande seguenti:

1. « Che cosa vi resta a sapere? (Noi citiamo dal Rituale di Ragon, avendo Leo Taxil omesso le prime quattro di queste domande) — Risp. Un punto essenziale che subito mi sarà rivelato.

2. « Perché vi è nascosto ? — Risp. Perché tredici di voi possono solo conoscerlo e che, troppo recentemente iniziato, io non posso essere di questo numero.

3. « Voi non conoscete dunque tutto ciò che vi importa sapere? — Risp. Vi sono certamente delle cose che io ignoro; pur tuttavia ne conosco tante altre per camminare verso la perfezione: verrà un giorno che mi sarà permesso di saper di più.

4. « Su che fondate voi quella speranza? — R. Sopra un’apparizione.

5. « Quali oggetti vi ha essa presentati? — R. Tre uccelli: un corvo, una colomba e una fenice.

6. « Che cosa annuncia il corvo? — R. La nerezza delle sue piume simboleggia la pena, il disordine e la morte.

7. « Che cosa vi ritraccia la colomba? — R. La sua bianchezza mi annuncia la generazione degli esseri.

8. « Che cosa vi ricorda la fenice? — Quell’uccello che esce dalle fiamme per ricominciare una novella vita, è l’emblema della natura perfezionata d’una teoria universale e di un potere senza limiti.

9. « Spiegatemi questo. — R. Io non lo posso, sono ancora troppo giovane.

10. « Che età avete voi. — R: 5, 7, 9, 27 e 33 anni — 81 anno. »

Ragon comunica ancora le Note del manoscritto su questo grado (32°). Alla prima domanda trovasi annotata quella rivelazione importante: « (27) pagina 40. Quella domanda come le otto seguenti non devono esser fatte che a coloro che sono destinati a cognizioni di un’altra specie, alle quali non si può anticipatamente iniziare un Principe del Real Secreto. » A quella nota del manoscritto Ragon aggiunge la sua : « All’Arte sacerdotale, l’arte di trasmutare i metalli imperfetti in argento e in oro puro. » (Vedi la Maçonnerie occulte, in cui trovasi l’Arte sacerdotale, p. 128 e seg.) J. M. R.). –  Queste due note bastano per far vedere a coloro che non sono bendati, né abbagliati dal licopodo, che tali questioni alzano poco il velo che copre ancora la massoneria occulta. La sfera ancora nascosta in cui essa si muove non è altro che il declivio soprannaturale per il quale essa fa discendere l’uomo verso l’abisso e lo conduce direttamente ai piedi dell’Imperatore infernale. – Noi abbiamo dinanzi l’Ortodossia massonica del Fr. Ragon, e vi troviamo, a pagina 542, la descrizione dell’Arte sacerdotale. È l’Alchimia; là si parla del mercurio (33° grado), del nero, del bianco e del rosso, del corvo, del serpente, della corona reale, ecc. Il Punto essenziale, non ancora rivelato al Principe del Reale Secreto, è la Corona della Cabala; è, in una parola, Lucifero in persona. – La risposta alla seconda domanda ci rammenta « il Tredicesimo » che l’ abate Girod vide nella Loggia misteriosa dove il principe russo Pomerantzeff l’aveva introdotto. Sull’invocazione dei dodici membri: « O Padre del male, vieni a noi! » egli venne; e l’abate vide « il nuovo venuto, il Tredicesimo, che sembrava venuto per il cammino dell’aria da cui pareva nascere ». – Il corvo nero e la colomba bianca, è l’aquila mezzo bianca e mezzo nera, l’Ermafrodita significando le antitesi del Buono e del Cattivo Principio, della materia e dello spirito, del potere temporale e del potere spirituale, del genere mascolino e del genere femminile, le colonne J e B, le due corna a fianco della fiamma sulla testa del Baphomet, le sue dita alzate, ecc. La fenice che esce dalle fiamme è la grande menzogna panteistica della trasformazione eterna di tutto ciò che è, è la risurrezione d’Hiram, lo Zizon del 4° grado. I tre uccelli significano adunque: la Fenice, l’universo che si rinnovella eternamente, formato dalla colomba e dal corvo, i due Principii del Bene e del Male. – In un altro senso, la Fenice è ancora, e principalmente, l’Angelo del fuoco che esce dalle sue fiamme infernali per rinnovellarsi, incarnarsi e vivere di nuovo nei suoi adepti. Essa si rivela come Tredicesima ai suoi fedeli adoratori, dopo che furono trovati degni di essere ammessi nel piccolo numero dei dodici scelti e privilegiati. E in ultimo l’emblema della natura, quando alla fine del mondo essa sarà perfezionata, « conformemente alla teoria cabalistica, e sottomessa al potere senza limiti del Principe di questo mondo, avente in fronte la Corona che gli avranno offerta i suoi adepti, i suoi schiavi disgraziati. Solamente, i Cristiani lo sanno, allora il Signore medesimo distrarrà col fuoco il mondo divenuto indegno di esistere: Dio stesso verrà per la seconda volta a giudicare i vivi e i morti; e gli dirà: Ecce nova facio omnia; « Ecco che io rinnovello tutte le cose! (Apocal. XXI, 5) » – Non entriamo adunque nel labirinto della magia nera di cui il 32° grado ci ha aperto la porta. Ma, per confermare ciò che abbiam detto, citiamo un altro passo del Rituale: Dopo aver presentato al neofito una spada, « l’arma di cui servivasi un tempo Goffredo di Buglione contro i nemici della fede, » il Grande Commendatore gli dà un anello, dicendo: « Ricevete questo pegno della nostra unione…. » Qui il manoscritto aggiunge la nota (8): « Se conferendo questo grado, non si consideri che come un gradino per arrivare alla massoneria ermetica, non si dà anello al recipiendario che nol riceve che ottenendo un nuovo grado (Ragon, Rituels du 31° et 32° degrè, p. 46). » – Con quella nota si apprende l’esistenza di un’altra massoneria divisa in gradi e rilegata ai 33 gradi per l’intermediario del 32°. – Noi impegniamo Leo Taxil a procurarsi e a pubblicare ciò che è ancora un segreto al mondo. Restiamo in compagnia col volgare dei Principi del Reale Secreto e tentiamo ora di comprendere questo Campamento di cui gli Ebrei danno la « spiegazione, » che non è una spiegazione. Ecco in primo luogo il « Quadro del Campo dei Principi: » « il mezzo è una croce di cinque bracci; essa è avvolta da un circolo, il quale è in un triangolo equilaterale; questo triangolo è, alla sua volta, in un pentagono che rinchiude un ottagono, rinchiuso esso pure in un ennagono; tutto questo è in rilievo come un abbozzo di architettura, con figure emblematiche, stendardi, orifiamme, tende, ciò significa il campamento della frammassoneria intera, ripartita e aggruppata in gradi. » (P. 443). Se ciò fosse, « i secreti massonici non sarebbero impenetrabilmente nascosti sotto dei simboli.» Penetriamo adunque sino al fondo di questo Campo, per ben conoscere i veri secreti che vi si nascondono. Sentiamo in primo luogo la Spiegazione ufficiale riprodotta dal Fr. Ragon (p. 32). – « Il Triangolo che voi vedete in mezzo del Quadro rappresenta il centro dell’armata e designa il posto che devono occupare i Cavalieri di Malta ammessi ai nostri misteri e uniti ai Cavalieri Kadosch, per dividere con essi la sorveglianza del tesoro sotto gli ordini dei Prodi Principi del Reale Secreto. Il corpo formato da quella riunione è comandato da cinque Prodi Principi che ricevono direttamente dal Sovrano dei Sovrani l’ordine che essi fanno eseguire, ed essi hanno i loro vessilli fissati agli angoli del pentagono e designati dalle lettere  T E N G U.

« 1° Il vessillo del padiglione T, che è quello dei Grandi Pontefici, è porpora; esso porta l’Arca d’Alleanza avvicinata da due fiaccole ardenti e sormontato da due palme in circolo. Al di sopra dell’Arca è scritto: Laus Deo.

« 2° Il vessillo E, che è quello dei Cavalieri del Sole, è azzurro. Esso porta un Leon d’oro che tiene in bocca una chiave d’oro, ed ha un collare d’oro su cui è scolpito il numero 515. In alto è scritto: Ad majorem Dei gloriam,!

« 3° Il vessillo N, che è quello dell’Arco Reale, è d’argento. Esso porta un Cuore infiammato sostenuto da due ali di sabbia di color nero e coronato di lauro semplice (fresco).

« 4.° Il vessillo G, che è quello dei Grandi Maestri della Chiave, è verde chiaro. Esso porta un’Aquila a due teste, coronata, avente una collana d’oro, e una spada nell’artiglio destro, e un cuore sanguinante nel sinistro.

« 5.° Il vessillo U, che è quello dei grandi Patriarchi, è oro e porta, un Bue di sabbia (color nero). Vedi questi cinque vessilli in un quadro:

QUADRO DEI CINQUE VESSILLI ….

(1) Ragon dice Reale Arco, il 13° grado, che non è rappresentato nelle Tende dell’enneagono. Noi crediamo dover mettere Ascia Reale, per completare gli alti gradi degli antichi 25 gradi. Quell’armata è sotto la direzione dell’antico 24° grado. Cavaliere Commendatore dell’Aquila bianca e nera; il 25° ed ultimo grado era intitolato: « Illustrissimo Sovrano, Principe della Massoneria, Grande Cavaliere Sublime Commendatore del Reale Secreto.

–  –  –  –  –

L’ennagono che forma la pianta esteriore del Quadro, designa il luogo che occupavano nell’armata i Principi di Gerusalemme, i Cavalieri d’ Oriente e d’Occidente, i Cavalieri Rosa-Croce e tutti gli altri massoni di grado inferiore a questo, da cui i capi ricevevano gli ordini dei cinque Principi del pentagono. Le fiamme sono notate con cifre; e le tende sono designate con lettere disposte da destra a sinistra, nell’ ordine seguente: I. N. O. N. X. I. L. A. S., e che, lette nell’ordine inverso, formano le due prime parole sacre (Salix Noni). Queste nove tende sono quelle della milizia della massoneria, ripartita come qui sopra: « Noi mettiamo la descrizione in un quadro, per essere compresi più facilmente. »

QUADRO DELLE NOVE TENDE E PADIGLIONI (….)

È inutile cercare una spiegazione delle tre parole sacre, altra che quella già data. Ragon ne dà sei o sette, più o meno cercate e forzate (p. 45). Non è luogo di occuparsi di queste invenzioni destinate a distrarre i curiosi Salix (latino) ricorda i salici di Babilonia e la prima schiavitù degli Israeliti, Noni (latino), la data della distruzione del Tempio, la seconda schiavitù e la dispersione degli Ebrei, Tenga (imperativo passivo dal greco tengo) esorta il Fratello a intenerirsi e a piangere. – Vediamo piuttosto la vera interpretazione cabalistica del Campo dei Prìncipi. L’abbiamo cercata lungamente; il cuore alato ci disviava sempre. Ma i tre animali l’Aquila, il Leone e il Bue, ci misero sulla traccia della grande visione del profeta Ezechiele, di cui la Cabala ebrea fa tanto caso. Mettiamo per il Cuore un Uomo, e tronchiamo all’Aquila una delle sue teste; allora la dottrina massonico-giudea, impenetrabilmente nascosta sotto i suoi simboli », ci sarà svelata. – Sentiamo, alla loro volta, Ezechiele e la Cabala. Ezechiele dice nel primo capitolo della sua profezia: « Ecco la visione che mi fu rappresentata: Un turbine di vento veniva da settentrione e una nube grande, e un fuoco che in lei s’immergeva e una luce intorno ad essa; e nel centro, cioè in mezzo al fuoco, eravi una specie di metallo brillantissimo. E nel mezzo di questo medesimo fuoco si vedeva l’apparenza di quattro animali che era tale: vi si vedeva la rassomiglianza di un Uomo. Ciascuno aveva quattro facce e quattro ali; i loro piedi erano diritti, la pianta dei loro piedi era come la pianta del piede d’un vitello (Osservate i piedi del Baphomet!), e uscivano da essi delle scintille come fa al vedersi un fulgido acciaio. Vi erano delle mani d’uomini sotto le loro ali ai quattro lati e avevano ciascuno quattro facce e quattro ali.  Le ali dell’uno erano unite alle ali dell’altro. Non andavano indietro quando camminavano, ma ciascuno andava innanzi. Quanto alla figura dei loro volti, avevano tutti e quattro una faccia d’uomo, tutti e quattro a destra una faccia di leone, tutti e quattro a sinistra una faccia di bue, e tutti e quattro al di sopra una faccia d’ aquila…. Sopra le teste degli animali, si vedeva un firmamento che appariva come un cristallo scintillante e terribile a vedersi, che era steso sopra le loro teste…. E in questo firmamento che era sopra le loro teste, si vedeva come un trono di zaffiro, e appariva come un Uomo seduto su quel trono. Io vidi come un metallo brillantissimo e simile al fuoco, tanto dentro che all’intorno. Dai suoi lombi all’insù, e dai lombi di lui sino all’infime parti, io vidi come un fuoco che risplendeva all’intorno. E come 1’arco che apparisce in cielo in una nube in un giorno di pioggia tal’era 1’aspetto del fuoco che risplendeva all’intorno (Ezechiele, cap. I ). »

« I dieci Séphiroth, per cui, secondo la Cabala, l’Essere infinito Ensoph, si fa conoscere dapprima, non sono altro che attributi i quali, per sé, non hanno alcuna realtà sostanziale; in ciascuno di questi attributi, la sostanza divina è presente tutta intera, e nel loro insieme consiste la prima, la più completa e la più elevata di tutte le manifestazioni divine. Essa chiamasi l’Uomo primitivo o celeste; è questa la figura che domina il carro misterioso di Ezechiele e di cui l’uomo terreno non è che una pallida immagine (Franck, p. 133.). » – « La forma dell’uomo, dice Simone ben Jochai ai suoi discepoli, rinchiude tutto ciò che è nel cielo e sulla terra, gli esseri superiori come gli esseri inferiori; per questo l’Antico degli Antichi l’ha scelta per sua…. È di essa che si vuol parlare quando si dice che vedevasi al di sopra del carro come la figura di un Uomo (Franck. p. 133). » – Il ravvicinamento di queste tre Tende del Rituale del 32.° grado, della profezia di Ezechiele e della dottrina della Cabala, bastano per dare al Campo dei Principi, l’interpretazione cabalistica seguente.- L’Ensoph è rappresentato dal circolo; i tre Séphiroh superiori, dal Triangolo; gli altri Séphirot, cioè il Santo Re e la Matrona dalla Croce in cinque bracci; tutto l’Uomo celeste, dal Triangolo e il suo contenuto; la rivelazione dell’Uomo Celeste sul Carro misterioso, dai quattro emblemi; la sua scelta del popolo d’Israele, dal quinto emblema, l’Arca d’alleanza; la fertilità del Santo Re e della Matrona fuori del cielo, dal pentagono dei cinque emblemi, i sette re d’Edom, dall’ ottagono che non porta emblemi, perché questi re scomparvero; e finalmente il mondo attuale, dal triplice triangolo o le nove tende; queste servono in pari tempo a rappresentare il popolo d’Israele e la sua storia. I bisogni della frammassoneria manichea le hanno fatto aggiungere all’aquila d’Ezechiele una seconda testa; il profeta era tuttavia ben lungi dal credere al dualismo di un Buono e di un Cattivo Principio. Finalmente il progresso delle rivelazioni cabalistiche esigeva che al penultimo grado della terza serie di undici, corrispondente alla Sephirah Corona, un simbolo qualsiasi indicasse quella prima figura celeste: si è adunque incoronato il mostro filosofico, l’aquila a due teste! Ecco ora l’interpretazione del numero mistico 515 sul collare del Leon d’oro: « I dieci Séphiroth, dice lo Sepher Jetzirah, sono come le dita della mano, in numero di dieci e cinque contro cinque ma in mezzo ad esse è l’alleanza dell’unità (Franck. p. 109) ». – Il piano generale della frammassoneria comprende: l° la distruzione dell’ordine attuale del mondo, 2° lo stabilimento di un’Impero universale giudaico e massonico, e 3° la conquista dell’Universo per Lucifero trionfante su Dio. Bisogna saper legger tra le linee e interpretare le interpretazioni dei veri iniziati per rendersi conto del vero carattere della frammassoneria, Sentiamo il Maestro Ragon sui tre uccelli.

1° « Il Corvo (dice egli, p. 41 del suo Rituale), emblema alchimico, indica col suo colore nero la prima parte della grande Opera: la decomposizione dei misti, il caos ». Da ciò il motto dei 33: Ordo ab chao.

2° La bianchezza della Colomba è il secondo colore dell’Opera, indicando che si è arrivati dall’elisir al bianco, dall’argento vivo, simboleggiato dalla luna, emblema d’Isis, la cui iniziale I adorna la nostra prima colonna simbolica, posta di fronte a queir astro delle Notti, » al nord della Loggia. Da ciò la purificazione dei 33° nell’argento vivo sul fuoco.

3° « Il colore della Fenice che esce dalle fiamme è il terzo colore dell’ Opera compiuta, il rosso, simboleggiato dalle fiamme, emblema del sole, o d’Osiris, la cui iniziale del suo soprannome, Bacchus, figura sulla nostra seconda colonna, posta di fronte a questo re degli astri, » al sud della Loggia. Chi non vede in queste fiamme e nell’ultimo fine della frammassoneria la coda del vecchio Serpente? Oh! si, egli vuole avere dei compagni nel suo paradiso di fuoco! Sentite i Principi del Campo pregare Lucifero: « Solo e vero principio di tutti i lumi, Fuoco Sacro, che fecondi e conservi 1’universo, Essere potente che non si concepisce e non si può definire, infiamma i nostri cuori dell’amore delle virtù,…. benedici l’intrapresa che non abbiamo formata che per la tua gloria e pel bene dell’ umanità. Amen (5 volte) ». I cinque viaggi dell’armata massonica mettono capo alle porte di Napoli, di Malta, di Rodi, di Cipro e di Giaffa. Giunti là, i Principi contemplano un quadro rappresentante la città di Gerusalemme, la « terra per sempre consacrata da tante preziose memorie ». « Possiam noi, dice il Grande Commendatore, renderti il tuo antico splendore e riedificare il tempio che il più sapiente dei re aveva innalzato alla gloria del monarca dei cieli! Amen (5 volte). » – Per terminare la cerimonia della recezione di un nuovo Principe, si bruciano ancora alcuni grani d’incenso sull’altare dei profumi, e si conchiude con una preghiera commovente al Dio massonico, Lucifero.

INTELLIGENTI, PAUCA.

Chi può capire capisca, chi non può preghi lo Spirito Santo, terza Persona della Santissima Trinità, il vero unico Dio!


PROFEZIA DEL BEATO DI LIEBANA

PROFEZIA DEL BEATO DI LIEBANA

Uno dei più grandi Santi di lingua spagnola, contemporaneo di San Carlo Magno, e spesso soprannominato « Il Sant’Ilario di Spagna », ha profetizzato, più di dodici secoli orsono, la situazione attuale della Chiesa, sulla base del commentario dell’Apocalisse. Il suo testo  è sorprendentemente simile e conferma l’invalidità del clero conciliare, i cui falsi sacerdoti sono ordinati da falsi vescovi pseudo-consacrati nel rito invalido del 1968: « …sulla terra vi sono vescovi, sacerdoti ed una falsa religione che, sotto la maschera della santità, sembrano lavorare tranquillamente, senza clamore, spacciandosi per ministri della Chiesa e non essendolo … ». (Beato di Liebana).

      La recente scoperta di un commentario dell’Apocalisse redatto all’epoca di Carlo Magno dal Beato di Liebana, ricalca in modo spettacolare le pubblicazioni del Comitato Internazionale « Rore Sanctifica », intitolate « Invalidità del rito di Consacrazione episcopale del Pontificalis Romani, promulgato il 18 giugno 1968 da G. B. Montini – Paolo VI » (Ed. Saint-Remi). (Si vedano pure: i numeri 1-7 di: 18 giugno 1968 del blog:

https://www.exsurgatdeus.org/2016/09/26/18-giugno-1968-1/ 

https://www.exsurgatdeus.org/2016/09/28/18-giugno-1968-2/

https://www.exsurgatdeus.org/2016/09/30/18-giugno-1968-3/

https://www.exsurgatdeus.org/2016/10/04/18-giugno-1968-4/

https://www.exsurgatdeus.org/2016/10/12/18-giugno-1968-5/

https://www.exsurgatdeus.org/2016/10/16/18-giugno-1968-6/

https://www.exsurgatdeus.org/2016/10/18/18-giugno-1968-7/)

      I due testi dichiarano, l’uno sulla base del testo rivelato dell’Apocalisse di San Giovanni, e l’altro sulla base del nuovo rito di consacrazione episcopale promulgato nel “fasullo, invalido e sacrilego” « Pontificalis Romani » da G. B. Montini (l’omosessuale sedicente Paolo VI) il 18 giugno del 1968, l’invalidità della gerarchia conciliare che ha preso l’apparenza del clero cattolico ma che non lo è affatto, ridotto com’è ad essere un pseudo-clero neo-anglicano interamente sprovvisto di ogni potere sacrificale e sacramentale (Potestas ordinis).

Estratto del Commentario dell’Apocalisse del Beato di Liebana antecedente all’anno 798:

« … Si vedono al presente dei nemici nella Chiesa (…), un tempo sarebbe stata una bestemmia dire che  essi si trovino in seno alla Chiesa e che sono essi che la perseguitano »

(+ Beato de Liebana, morto nel 798, Œuvres complètes, Commentaire de l’Apocalypse de Saint Jean, Ed. B.A.C., Madrid, 1995, p.485).

« Il serpente ha dato il suo potere alla Bestia, avendo dei falsi fratelli nella Chiesa, che sembrano farne parte, ma che invece le si oppongono. È attraverso di essi che il diavolo compie le sue azioni contro coloro che pretende di sedurre e che appartengono alla Chiesa (…), colui che, simulando la santità, sembra appartenere alla Chiesa ma in realtà non le appartiene; il diavolo ha inventato questa soperchieria per poter meglio pervenire ad imporla ai religiosi in nome della Religione. (…) Egli tiene nella Chiesa tutti coloro che, travestiti da pecore, appaiono virtuosi, ma dentro sono lupi famelici. Per questo motivo non vengono scoperti come gli altri uomini che sono assolutamente malvagi, ma sono addirittura considerati santi; cointeressati alla stessa trama, sono tenuti dal diavolo nella Chiesa, tra la moltitudine, sotto un’apparente santità. (Ibid. p. 487).

“Tuttavia io ho detto che a torto sono stati accusati perché non hanno parlato apertamente contro la Chiesa alla quale pretendono di essere uniti, affermando di essere figli di Dio, e tendono trappole ai figli di Dio (…) non pronunciando apertamente imprecazioni contro la Chiesa, ma sono tuttavia parte del mistero dell’iniquità, sotto il colore della santità. Nonostante ciò, quando verrà il momento in cui l’Anticristo si manifesterà, quando avverrà la dispersione, cioè quando la disintegrazione della Chiesa sarà chiaramente visibile, quando l’uomo del peccato si sarà manifestato al mondo intero, solo allora tutti coloro che prima, sotto la pretesa della religione, nascondevano sotto imprecazioni occulte parole contro Dio, saranno individuati, scoperti, compresi e riconosciuti, ma ora parlano come la Chiesa cattolica (ibid. p. 489).

“… È lo stesso Anticristo che ora sottilmente regna nella Chiesa attraverso falsi sacerdoti e che poi distruggerà la Chiesa senza travestimento” (ibid. p. 507).

 « Il mare è il mondo fondamentalmente malvagio; la terra sono i vescovi, i sacerdoti e la falsa religione che, sotto la maschera della santità, sembrano lavorare tranquillamente senza agitarsi, facendosi passare per ministri della Chiesa senza esserlo … » (Ibid. p. 507) – (Ibid. p. 403)

« …facendosi passare per agnelli, per meglio inoculare furtivamente il veleno del serpente. Ora finge di essere un agnello, per divorare l’agnello in modo più sicuro; parlando di Dio, con l’intenzione di condurre coloro che cercano Dio. lontano dal sentiero della Verità. Ecco perché Nostro Signore, avvertendo la Sua Chiesa, dice: “Guardatevi dai falsi profeti che vengono a voi in veste di pecore, ma dentro sono lupi rapaci » (Mt VII, 15)” (ibid. p. 495).

«… La canna è la misura della fede. Nessuno adora davanti al sacro altare se non colui che confessa questa fede: perché non tutti coloro che Lo accompagnano lo adorano, come è scritto: IL SAGRATO ESTERNO DEL TEMPIO NON LO MISURA, È STATO ABBANDONATO ALLE NAZIONI. Il sagrato sembra appartenere al Tempio; non è il Tempio però, non facendo parte del “Santo dei Santi”; questi sono coloro che sembrano far parte della Chiesa e non lo sono. Il cortile si chiama quadrato, uno spazio vuoto tra le mura. A questi, essendo inutili, si ordina che siano espulsi dalla Chiesa. PERCHÉ IL SAGRATO È STATO ABBANDONATO AI GENTILI, ESSI CALPESTERANNO LA CITTÀ SANTA PER QUARANTADUE MESI. Coloro che sono stati esclusi e tutti gli altri, cioè i malvagi di questo mondo, calpesteranno la Chiesa” (Commento all’Apocalisse, Opere complete, p. 453).

« UN’ALTRA BESTIA SORGE DALLA TERRA. Sorgere dalla terra significa essere pieni di sé e della gloria terrena. Com’è la Bestia del mare, tale è la Bestia della terra. La parola ALTRO si riferisce alla missione, ma essa è sempre la stessa. Il mare fa alcune cose, la terra ne fa altre; il mare si agita, la terra è quieta; per mare si intende la moltitudine che è francamente malvagia; la terra sono i vescovi, i sacerdoti e la falsa religione che, sotto un’apparenza di santità, non sembra agitare il mondo, ma lavora tranquillamente fingendo di essere la Chiesa senza essendolo …”. (Commento all’Apocalisse, Opere complete, p. 493) .»

« Beatus de Liébana era un monaco spagnolo del monastero di San Martín de Turieno (oggi Santo Toribio de Liébana, nella comarca di Liébana) nei Picos de Europa (Regione Cantabria), morto nel 798, autore, tra l’altro, di un Commento all’Apocalisse che fu una delle opere più famose dell’Alto Medioevo spagnolo, per la sua dimensione teologica ma anche politica. »