PECCATO VENIALE

Peccato veniale.

[G. Bertetti: Il Sacerdote Predicatore; S.E.I. Ed. Torino, 1919, – impr. -]

Dopo il peccato mortale, il male più grave del mondo è il peccato veniale:

1. Sia considerato in se stesso; — 2. sia nelle sue conseguenze.

1. IL PECCATO VENIALE CONSIPERATO IN SE STESSO. — Il peccato veniale non riconosce, come il peccato mortale, la creatura come ultimo fine, ma la riconosce come fine prossimo:… mentre che la creatura dovrebbe essere riconosciuta soltanto come mezzo per salire a Dio nostro supremo e unico fine… è perciò una specie di furto che si fa a Dio rubandogli parte di quell’onore e di quella gloria che a Lui solo si deve. Il peccato veniale consiste nel disubbidire a Dio in cose leggere: … ma per un’anima veramente affezionata a Dio, tutto è della massima importanza nel servizio di Dio, … ed è già cosa grave per lei il disubbidire a Dio anche in cose che si dicono leggere – Il peccato veniale include anch’esso un certo qual disprezzo della legge di Dio, … non rompe l’unione nostra con Dio, ma la rallenta; … non estingue la carità, ma ne raffredda il fervore; … non ci toglie la grazia santificante, ma molte grazie particolari, che Dio fa soltanto alle anime fervorose; … non ci toglie il diritto alla gloria del Paradiso, ma vi ci fa scendere a un grado inferiore…. Ora, l’onore e la gloria di Dio, la sua legge la sua grazia, la sua eredità santa, son cose talmente grandi e magnifiche, che il diminuirle anche in minima parte è maggior male che tutt’i mali temporali immaginabili e possibili: … poiché la perdita anche minima d’un bene sovrannaturale supera immensamente la perdita d’un bene temporale, come l’acquisto d’un bene sovrannaturale vale immensamente più di tutt’i beni temporali… Pensiero terribile, se non fosse confortato dall’altra verità consolante, che cioè si possono riparare, compensare e superare in acquisto ciò che di bene sovrannaturale s’è fatto getto coi peccati veniali, aumentando per altra parte gli atti di fervore verso Dio… Senza questa precauzione, noi ci esporremmo al pericolo di tristissime conseguenze

2. IL PECCATO VENIALE CONSIDERATO NELLE SUE CONSEGUENZE. — Il peccato veniale si commette con estrema facilità:… è di fede che, « salvo uno speciale privilegio di Dio, l’uomo una volta giustificato non può evitare in tutta la vita i peccati veniali » (Conc. Trid. );… « sette volte cadrà il giusto e risorgerà» (Prov., 24, 16);… «in molte cose inciampiamo tutti» (JAC, III, 2);… « se diremo di non aver colpa, c’inganniamo da noi stessi, é non è in noi la verità » ( 1a JOAN., I, 8) … Che se ciò accade nei santi, che diremo di noi?… Ma i santi risorgono subito e rimediano alle venialità con un aumento di fervore; e noi? – Si tien giustamente conto delle mancanze gravi, e si trascurano le leggere come se fossero cose da nulla;… si tien conto dell’effetto, ma non si tien conto delle cause che produssero questo effetto… Non si può comprendere un peccato mortale commesso senz’essere stato preceduto da una serie di peccati veniali: nessuno divien santo e nessuno divien malfattore a un tratto. Il peccato veniale, commesso senza rimorso e non riparato con altrettanti atti di fervore, a forza di ripetersi conduce insensibilmente al peccato mortale: ecco la tristissima delle conseguenze:!… « Chi disprezza le cose piccole, a poco a poco cadrà » (Eccli., XIX, 1) Da una parte, commettendosi il peccato veniale senza scrupolo e senza rimorso, si rafforza sempre più l’abito cattivo e la malvagia inclinazione della corrotta natura;… dall’altra parte, il demonio, che sarebbe stato facilmente sentito e scacciato, se si fosse presentato con tentazioni di peccati mortali, ha già preso astutamente possesso parziale dell’anima che gli ha dato ricetto accontentandolo in cose piccole e minute:… e il demonio, che già la tiene avvinta con un filo sottile, lavora a più non posso per moltiplicare l’uno dopo l’altro i fili e stringerla con una grossa catena,… mentre che Dio può esaurire la sua pazienza e sospendere quegli aiuti speciali ed efficaci, per cui l’anima avrebbe perseverato nel bene: ma rendendosene indegna con la sua trascuranza, sarà vinta e cadrà in grave peccato. Cadute provvidenziali, se quei peccatori ne traessero motivo per umiliarsi e starsene guardinghi in avvenire; ma pur troppo « l’anima avvezza alle mancanze leggere, a poco andare non teme più le gravi e vi cade senza rimorso » (S. GREGORIO, Pastor.)… Chi senza rimorso commette il peccato veniale, senza rimorso commetterà il peccato mortale, e allora?… Allora, si cadrà nell’ostinazione del peccato e nell’impenitenza finale…

G. FRASSINETTI: IL CATECHISMO DOGMATICO (XI)

Catechismo dogmatico (XI)

[Giuseppe Frassinetti, priore di S. Sabina di Genova:

Ed. Quinta, P. Piccadori, Parma, 1860]

Cap. VII.

§. V.

Della penitenza.

— La Penitenza è un Sacramento della nuova legge?

La Penitenza è una virtù morale soprannaturale, che inclina il peccatore alla detestazione, e al dolore dei propri peccati in quanto sono offesa di Dio, con proposito di emenda e di soddisfazione. « Questa virtù fu sempre necessaria ai peccatori anche nella Legge antica affinché ottenessero il perdono dei loro peccati, e Gesù Cristo innalzò al grado di Sacramento; cosicché quando la Penitenza ha i dovuti requisiti secondo l’istituzione di Cristo, è un vero Sacramento ( Halert c. 1.)

— La Penitenza dunque non è sempre un Sacramento?

Quando vi è non solo il dolore del peccato commesso, non solo il proponimento di emendarsi e di soddisfare alla Divina Giustizia; ma vi è ancora la confessione del peccato fatta al Sacerdote approvato per le confessioni, e l’assoluzione dello stesso, allora è di Fede che sia un vero Sacramento; quando poi mancano queste due cose è una semplice virtù.

— Come si definisce il Sacramento della Penitenza?

« Un Sacramento istituito da Gesù Cristo in cui per gli atti del penitente e l’assoluzione del Sacerdote approvato, si rimettono i peccati commessi dopo il Battesimo.

— Qual è la materia di questo Sacramento?

La materia rimota di questo Sacramento sono i peccati commessi dopo il Battesimo, la materia prossima sono la contrizione, la confessione degli stessi peccati, e la soddisfazione.

— Tutti i peccati commessi dopo il Battesimo sono ugualmente materia di questo Sacramento?

I peccati mortali non ancora confessati sono materia necessaria, sicché questi, tolto il caso di vera impotenza, bisogna confessarli per ottenerne il perdono; i peccati veniali poi, e tutti gli altri peccati mortali già confessati, sono materia sufficiente, sicché non vi è obbligo di confessarli, ma si possono confessare, e non avendone altri, ricevere per questi solo l’assoluzione.

— In caso di vera impotenza come restano perdonati i peccati mortali senza la Confessione?

Restano perdonati mediante la contrizione perfetta la quale include il desiderio, ossia il voto della confessione, come abbiamo detto nel Cap. 3, §. 4.

— È bene frequentare la Confessione quando non si hanno peccati mortali?

É certamente cosa ben fatta, conforme al desiderio di S. Chiesa, e alla pratica dei fervorosi Cristiani.

— Che cosa è la contrizione?

Il Concilio di Trento (sess. IV, c. 4) la definisce: « Un dolore di animo, e detestazione del peccato commesso accompagnato dal proponimento di non più peccare ». Altra è  perfetta quando questo dolore nasce del perfetto amor di Dio, altra è imperfetta quando nasce da un motivo soprannaturale, ma non dal perfetto amor di Dio. Se uno si pente di avere offeso Dio perché ha offeso il Sommo Bene che merita di essere amato sopra ogni cosa, ha la contrizione perfetta; se invece si pente per aver meritato l’inferno e perduto il Paradiso, ha la contrizione imperfetta.

— Nella Confessione è necessaria la contrizione perfetta o l’imperfetta?

La perfetta è senza dubbio desiderabile, però non è necessaria; giacché altrimenti chiunque si va a confessare dovrebbe andarvi già in istato di grazia; non potendosi dubitare, come abbiamo detto nel Cap. 6, § 4, che la carità perfetta e la perfetta contrizione, mettono l’anima in grazia di Dio prima che si riceva l’assoluzione Sacramentale, anche fuori del caso di necessità (vedi il cit. § 4). Pertanto nella Confessione basta la contrizione imperfetta.

— Quali condizioni deve avere la contrizione, ossia il dolore dei peccati?

Deve essere interno, cioè che provenga dal cuore; sommo, che ci faccia detestare il peccato più di qualunque male, universale, che ci faccia abborrire qualunque dei peccati mortali.; soprannaturale, che cioè nasca da un motivo rivelato dalla s. Fede. Si noti che il dolore deve sempre avere queste condizioni, sicché mancandone alcuna, la Confessione è mal fatta.

— Questo dolore con tali condizioni, è necessario anche nelle Confessioni nelle quali si accusano soltanto i peccati veniali?

Non ve n’ha dubbio ad eccezione della terza; giacché non è necessario che il penitente abbia un dolore universale di tutti i suoi peccati veniali, basta che confessando i soli peccati veniali si penta di qualcuno. Però di quello di cui si pente, bisogna che abbia un dolore interno, sommo, soprannaturale, sicché sia disposto a soffrire qualunque cosa più tosto che commetterlo mai più.

— Chi non avesse se non peccati veniali, e non si sentisse questo dolore, non potrebbe confessarsi?

Costui non potrebbe ricevere l’assoluzione, altrimenti resterebbe nullo il Sacramento come mancante di una parte essenziale. Anzi avvertono i Teologi le persone che frequentano la Santa Confessione e si accusano di soli peccati veniali nei quali sono abituati, a volervi aggiungere qualche peccato più grave della vita passata di cui abbiano più certo dolore: affinché non manchi la materia del Sacramento. Per mancanza di questa avvertenza, forse non poche persone che frequentano la S. Confessione, ricevono inutilmente l’assoluzione; ma di ciò parlano i Teologi moralisti.

— Quale deve essere il proponimento?

Il proponimento deve essere fermo, sicché la volontà sia risoluta di non tornare mai più al peccato che si detesta; universale, sicché sia risoluta di guardarsi dal commettere qualunque peccato mortale; efficace, sicché sia disposta ad adoprare tutti i mezzi necessari per evitare il peccato.

— Che cosa è la Confessione?

« É l’accusa dei propri peccati commessi dopo il Battesimo fatta dal penitente alla presenza del Sacerdote per ottenerne l’assoluzione (Hubert).

— Non si può ottenere il perdono dei peccati mortali senza la Confessione dei medesimi?

Questo è articolo di Fede definito dal Santo Concilio di Trento (sess.  XII, c. 5 et 7) perché vi è espresso comando Divino di confessare tutti e singoli i peccati mortali; e se si ottiene il perdono di tali peccati mediante la contrizione perfetta, si ottiene perché nella contrizione perfetta è incluso il voto, ossia il desiderio della Confessione.

— Ogni quanto tempo obbliga questo precetto?

Generalmente parlando obbliga una volta all’anno, e in punto di morte: vi possono però essere altre circostanze nelle quali obblighi pure, come si può vedere, appresso i Teologi moralisti.

— Che cosa è la soddisfazione?

La soddisfazione, che forma una parte del Sacramento della Penitenza, è l’accettazione e il volontario adempimento della Penitenza ingiunta dal Confessore per compensare l’ingiuria fatta a Dio col peccato (Habert).

— Perdonata la colpa del peccato resta a scontarsi alcuna pena?

Alle volte la contrizione è così forte e veemente, che toglie la colpa e tutta la pena; ma per lo più, come insegna il Concilio Tridentino, perdonata la colpa, resta una pena temporale da scontarsi o in questa vita, con opere penitenziali, o nell’altra nel Purgatorio.

— Pare che la penitenza si dovrebbe fare prima di ricevere l’assoluzione?

La pratica della Chiesa è contraria, giacché s’ingiunge la penitenza, e se chi si confessa è disposto, gli si dà tosto l’assoluzione commettendogli di eseguirla di poi; anzi la Chiesa ha condannato alcuni moderni rigoristi, i quali pretendevano che prima dell’assoluzione si dovesse adempire la penitenza ingiunta dal Confessore.

— La penitenza imposta dal Confessore è una parte essenziale del Sacramento?

Non è una parte essenziale, sicché non potendosi imporre o non potendosi eseguire, il Sacramento produrrebbe il suo effetto, cioè la giustificazione del peccatore; per altro ha una parte necessaria, stante il precetto Divino che questa penitenza s’imponga e si eseguisca, tolto il caso di una impossibilità che non lo permettesse. Perciò se uno si confessasse con intenzione di non eseguire la penitenza, avrebbe una intenzione cattiva che lo renderebbe indisposto, riceverebbe male l’assoluzione, e non gli sarebbero perdonati i suoi peccati.

— Questa penitenza è tutta in arbitrio del Confessore?

Non è in arbitrio del Confessore di modo che possa imporre la penitenza a capriccio; ma è in arbitrio del Confessore perché, giudiziosamente osservando il numero e la qualità dei peccati e le disposizioni del penitente, spetta a lui di assegnare quella penitenza che giudica prudentemente più adattata e salutare: dovendo essere, come insegna il S. Concilio di Trento, non solo diretta a castigo delle colpe passate, ma anche a medicinale preservativo dalle future (sess. XIV, c. 8).

— Quale è la forma del Sacramento della Penitenza ?

Io ti assolvo dai tuoi peccati in nome del Padre, del Figliuolo e dello Spirito Santo. Per altro queste ultime parole non sono essenziali, sicché chi le tralasciasse peccherebbe, ma l’assoluzione sarebbe valida: le essenziali sono: Io ti assolvo (Habert).

— Quale è il senso di queste parole?

Il senso di queste parole è: Io ti amministro il Sacramento dell’assoluzione [così San Tommaso], oppure: Io ti do per quanto posso la grazia che riconcilia, ossia che rimette i peccati, e con tale senso è vera la forma anche per quelli che si accostano al Sacramento già liberi dal peccato per la contrizione perfetta e ai quali perciò, in realtà non si possono più togliere i peccati, essendo già tolti. Con tale senso è vera la forma; perché il peccatore riceve la grazia che di sua natura è diretta a togliere il peccato; perché meglio si riconcilia con Dio, e cresce nella sua amicizia; e perché gli si condona nel Sacramento una parte della pena temporale dovuta alla colpa ( Habert de Pœnit. c. 6, 2.3).

— Quale è il ministro del Sacramento della Penitenza?

Il solo Sacerdote approvato per le Confessioni. Approvati poi per le confessioni sono tutti i sacerdoti che hanno cura di anime, e tutti gli altri ai quali fu conferita la giurisdizione di ascoltare le Confessioni.

— Chi può dare la giurisdizione ai Sacerdoti per ascoltare le confessioni?

Il Papa per tutta la Chiesa come Pastore universale, il Vescovo nella sua Diocesi, il Prelato Regolare a riguardo dei Religiosi a lui soggetti. Si avverta però che i Regolari non possono ascoltare le confessioni delle Monache né meno esentate dalla giurisdizione del Vescovo e suddite del Prelato regolare, senza avere l’approvazione dal Vescovo del luogo (c. 8).

— I Sacerdoti non approvati non possono nemmeno assolvere dai peccati veniali?

È certo che nemmeno possono assolvere dai peccati veniali; e così dichiarò la Congregazione de’ Cardinali sotto Innocenzo XI nell’anno 1679.

— Ai Sacerdoti approvati per le Confessioni, si possono eccettuare dei peccati sui quali non abbiano giurisdizione?

È un articolo di fede dichiarato nel S. Concilio di Trento (Sess. XIV, can. XI), che i Vescovi possono riserbarsi dei peccati dai quali non possono assolvere gli altri Confessori; e ciò che può fare il Vescovo nella sua diocesi, può fare il Papa in tutta la Chiesa.

— La Chiesa comanda che tutti i fedeli si confessino una volta all’anno dal proprio Sacerdote: che s’intende per proprio Sacerdote?

Per proprio Sacerdote s’intende il Parroco, però adesso basta confessarsi da qualunque Sacerdote approvato dal Vescovo; tale è la pratica odierna riconosciuta dal Sommo Pontefice e da tutti i Vescovi.

— Quali sono gli effetti del Sacramento della Penitenza?

Se ne numerano cinque: 1. La remissione del peccato, e della pena eterna che si merita se è mortale. 2. La diminuzione della pena temporale dovuta al peccato, maggiore o minore secondo la maggiore o minore disposizione del penitente. 3. La rinnovazione della amicizia con Dio violata. 4. La restituzione, ossia reviviscenza, delle virtù e dei meriti che si erano perduti per il peccato. 5. Gli aiuti di grazie attuali, ossia un certo diritto ad averli a tempo opportuno, mediante i quali il penitente resta fortificato per non cadere in peccato nuovamente, e perseverare nel bene (Habert. C. 7).

— Come s’intende che si restituiscono le virtù, e i meriti che si erano perduti per il peccato?

Il peccato fa perdere gli abiti delle virtù: il peccato, per esempio, della infedeltà fa perdere la Fede, quello della disperazione la Speranza ecc., e mediante una confessione ben fatta si ridonano all’anima queste virtù. Similmente il peccato spoglia l’anima di tutti i meriti che ella aveva già acquistato per la vita eterna, e mediante la confessione tali meriti vengono all’anima restituiti.

APPENDICE

SULLE INDULGENZE.

— Che cosa è l’Indulgenza?

« É una remissione della pena temporale che resta a scontarsi perdonata la colpa, la quale si fa fuori del Sacramento da chi ha facoltà di dispensare il tesoro spirituale della Chiesa.

— Me la spieghi distintamente.

Si dice remissione della pena, perché con l’indulgenza non si rimette la colpa, bensì la pena dovuta alla colpa: si dice della pena temporale, perché con l’indulgenza non si rimette la pena eterna dovuta al peccato mortale che si rimette nel Sacramento della Penitenza. Si aggiunge che resta a scontarsi perdonata la colpa; perché, come abbiamo detto, per lo più ricevuta l’assoluzione, resta una pena temporale da scontarsi in questa vita con opere penitenziali, ovvero nel Purgatorio. Si nota: la quale si fa fuori del Sacramento per non confondere l’indulgenza con la remissione di quella parte di pena temporale che si ottiene in virtù del Sacramento della Penitenza a misura della maggiore o minore disposizione del penitente. Si conclude da chi ha la facoltà di dispensare ecc., perché nessuno può dare le indulgenze se non quelli che hanno legittima autorità di distribuire i beni comuni della Chiesa. Il Papa perciò l’ha illimitata per tutta la Chiesa, i Vescovi limitata per le loro Diocesi, e ristretta dal Concilio Lateranese IV, sicché non possono concedere se non l’indulgenza di 40 giorni, e di un anno nella dedicazione di qualche Basilica (Habert de Pæn. a. 5).

— Che cosa forma lo spirituale tesoro della Chiesa?

Lo spirituale tesoro della Chiesa è formato dai meriti infiniti di Gesù Cristo, e dai meriti di Maria Ss. e di tutti i Santi, anche dei giusti ancora viventi in questa terra, come insegna Clemente VI, nella sua bolla Unigenitus, dell’ anno 1350. La Chiesa ha autorità di dispensare questo tesoro, in isconto delle pene temporali dovute a Dio a cagione dei peccati.

— È certo che nella Chiesa sia questa potestà di dare indulgenza?

È articolo di Fede dichiarato dal S. Concilio di Trento (Sess. XXV).

— Sono le indulgenze di varie sorta?

Altre sono plenarie, ed altre parziali. Le plenarie rimettono ogni pena temporale dovuta alla Divina Giustizia; però onde conseguirne tutto intero l’effetto, bisogna non solo essere in istato di grazia, ma anche avere l’affetto staccato da qualunque peccato veniale. Le parziali ne rimettono una parte corrispondente o a 40 giorni, o a 7 anni, ecc., di pena ingiunta.

— Che cosa è questa pena ingiunta?

Anticamente i canoni stabilivano per molti peccati una penitenza, o di giorni o di anni da farsi dai peccatori quando si convertivano a Dio: queste penitenze si chiamavano pene ingiunte. Adesso non si prescrivono più; ma quando si dà un’indulgenza di 40 giorni, di 7 anni ecc., si rimette tanta pena temporale quanto ne sarebbe stata rimessa al penitente se avesse adempiuto a una pena ingiunta di 40 giorni, di 7 anni ecc.

— Si possono anche dare indulgenze per i defunti?

Si possono dare, e tale è la pratica della Chiesa; si deve però avvertire che ai viventi, sopra i quali la Chiesa ha giurisdizione, si danno per modo di assoluzione; ai defunti, sopra i quali non ha più giurisdizione, si danno in modo di suffragio.

§ VI.

Della Estrema Unzione.

— L’Estrema Unzione è un Sacramento?

È articolo di Fede definito nel Concilio Tridentino, che sia un vero Sacramento (Trid. C. sess. XIV).

— Quale ne è la materia?

È l’Olio benedetto dal Vescovo nel giovedì Santo.

— Quale ne è la forma?

L’Orazione che vien proferita dal Sacerdote mentre si ungono i sensi dell’infermo.

— Quale ne è il ministro?

Il solo Sacerdote è ministro di questo Sacramento.

— Quale ne è il soggetto?

Il solo infermo in pericolo di morte, arrivato all’uso della ragione, giacché nei fanciulli che non hanno ancora peccato, non si potrebbe avverare la forma, la quale è: « Per questa santa unzione, e per la sua piissima misericordia, ti perdoni il Signore tutto ciò che hai peccato per la vista, l’udito ecc. »

— Quali ne sono gli effetti?

Il primo è la grazia santificante col diritto alle grazie attuali, che si danno per alleviare e corroborare l’animo dell’infermo nelle molestie e dolori della malattia e contro le tentazioni del demonio. Il secondo è la liberazione dalle reliquie dei peccati, le quali sono la debolezza, il languore, il torpore nel bene, l’ansietà, la timidità che lasciar il peccato nell’anima: e oltre ciò le pene temporali ancora dovute al peccato (vedi sopra § V della Penitenza ) le quali restano tolte, ossia perdonate, a misura della maggiore o minore disposizione di chi riceve questo Sacramento. Il terzo è la liberazione dai peccati veniali e anche dai mortali, qualora non si fossero potuti confessare, o si fossero dimenticati, purché se ne abbia avuto già il pentimento di sincera attrizione, come abbiamo detto nel §. I. Il quarto: è la sanità corporale qualora sia espediente per la salute dell’anima.

— Vi è necessità di ricevere questo Sacramento?

Dall’importanza dei sopraddetti effetti, si vede chiaramente che ciascuno deve procurare di premunirsi con questo Sacramento nel punto terribile della morte.

§ VII.

Dell’Ordine.

— L’Ordine è un vero Sacramento della nuova Legge?

Questo è un articolo dì Fede dichiarato espressamente nel Santo Concilio di Trento (Sess. XXIII, c. 3) e si definisce « Un Sacramento della nuova Legge mediante il quale si dà nell’uomo battezzato la podestà spirituale di consacrare il pane e il vino nell’augustissimo Sacramento dell’altare, di amministrare i Sacramenti e di esercitare gli altri ecclesiastici ministeri ».

— Quali potestà si devono riconoscere come derivanti da questo Sacramenti?

Due potestà: la prima podestà, detta di Ordine, la quale riguarda il Santo Sacrifizio ossia il Corpo reale; la seconda detta di Giurisdizione, la quale riguarda il regime del corpo mistico di Cristo, ossia del popolo cristiano.

— Queste due podestà hanno distinti gradi?

È certo che hanno distinti gradi, dai quali si forma la Gerarchia Ecclesiastica. Che esista questa Gerarchia, è definito dal S. Concilio di Trento (Sess. XXIII, can. 6). Questa Gerarchia si forma dai Vescovi, dai Sacerdoti e dai ministri inferiori.

— Nella Sacra ordinazione si devono riconoscere più Ordini?

È di fede che si devono, riconoscere più Ordini, maggiori e minori, come definì il Sacrosanto Concilio di Trento (sess. XXIII, can. 2).

— Quali sono gli Ordini maggiori?

Sono tre: il Sacerdozio, il Diaconato e il Suddiaconato.

— Quali sono i minori?

Sono quattro: l’Ostiariato, il Lettorato, l’Esorcistato, l’Accolitato.

— Chi è il ministro del Sacramento dell’Ordine?

Il solo Vescovo, come ha definito il Concilio di Trento (Sess. XXIII, can. 7).

— Quale è la materia e la forma di questo Sacramento?

La materia è l’imposizione dello mani del Vescovo sopra l’Ordinando, e la forma sono le parole con le quali il Vescovo accompagna questa azione (Si noti che a riguardo dei vari ordini maggiori e minori, del Vescovato e della materia e forma di questo Sacramento si dovrebbero dire molte cose di più; ma qui si tralasciano come non necessarie allo scopo che d’altronde, per essere alquanto difficili, bisognerebbe trattarle diffusamente, onde renderle intelligibili alte persone non istruite).

— Quali disposizioni si richiedono in chi aspira al Sacerdozio?

Le principali sono: 1. La vocazione di Dio, giacché senza una positiva vocazione, la quale si deve bene esaminare, nessuno deve ardire di aspirare ad uno stato così eminente nella Chiesa. 2. La Santità della vita, giacché uno il quale non vive abitualmente in grazia di Dio non può pretendere di occuparsi nei Sacrosanti misteri. 3. Il dono della perpetua continenza, e chi non si sentisse disposto a conservarla, non potrebbe in alcun modo aspirare allo stato sacerdotale. 4. La scienza competente, perché l’ignorante non potrà mai essere un ministro utile alla S. Chiesa. 5. L’immunità da ogni censura ed irregolarità.

— Non si può prendere lo stato Ecclesiastico come qualunque altro, quando le convenienze della famiglia lo richiedono, avendo però intenzione di vivere in questo stato come conviene?

Nessuna convenienza di famiglia o altro motivo temporale, deve determinarci ad abbracciare questo stato, ma soltanto la Divina vocazione; e chi prendesse la sacra Ordinazione senza questa vocazione non potrebbe pretendere di vivere nello stato ecclesiastico come conviene, perché non potrebbe pretendere da Dio le grazie necessarie che soltanto concede a quelli che Egli chiama a servirlo nel Sacerdozio.

— Ma dunque chi avesse preso la Sacra Ordinazione senza questa vocazione divina non potrebbe più sperare salute?

Costui sarebbe a gran pericolo; per altro se egli, considerando questo pericolo, e detestando il suo ardimento, facesse ricorso alla misericordia di Dio, otterrebbe le grazie necessarie per salvarsi nello stato intrapreso dal quale, come immutabile, non si può più ritirare.

— Quali sono gli effetti di questo Sacramento?

Il carattere e la grazia, come abbiamo osservato nel § I parlando dei Sacramenti in genere.

§ VIII.

Del Matrimonio.

— Gesù Cristo ha innalzato il contratto matrimoniale alla dignità di Sacramento?

Questo è un articolo di Fede, come consta dal S. Concilio di Trento (Sess. VII, can. 1 ).

— È lecito all’Uomo l’avere più di una moglie?

Avere più di una moglie simultaneamente era lecito nell’antica legge, ma è vietato nella nuova; successivamente è lecito, cioè morta una, se ne può prendere un’altra; anzi è articolo di fede che sono lecite le seconde, le terze, le quarte nozze (Antoine, de matr. q. 12 et ult.).

— Il matrimonio consumato è indissolubile?

È articolo di fede che sia indissolubile tra Cristiani. Il matrimonio tra gl’infedeli si può sciogliere quando la parte che si converte alla fede ha motivi di non abitare con la parte che resta nell’infedeltà.

— Il matrimonio rato soltanto, cioè quando i coniugi dopo contratto il matrimonio non hanno ancora abitato insieme, è indissolubile?

È articolo di fede che si può sciogliere mediante la professione Religiosa. Se l’uomo si fa Religioso in una religione approvata, fatta la professione, la donna resta libera, e così viceversa (Conc. Trid. Sess. XXIV can. 6).

— La Chiesa ha autorità di mettere impedimenti al matrimonio, che in qualche caso lo rendano illecito, ed anche invalido?

Questo è un articolo di fede dichiarato nel S. Concilio di Trento (Sess. XXIV. Can. 4).

— Il matrimonio è comandato a tutti?

⁕ A nessuno in particolare è comandato il matrimonio, anzi, come cosa di maggior perfezione, è meglio il conservarsi in perfetta castità. Anche questo è articolo di fede sempre riconosciuto tale in tutti i secoli dalla Chiesa, e dichiarato nel Concilio, come sopra, nel can. 10 (intorno a questo Sacramento: ma non essendo adattate al primario scopo di questa operetta, credo opportuno l’ommetterle).

LITURGIA BIZANTINA detta di SAN GIOVANNI CRISOSTOMO

RITO BIZANTINO

MODO FACILE DI SEGUIRE LA LITURGIA BIZANTINA DETTA DI SAN GIOVANNI CRISOSTOMO

[ROMA Pont. Istitutum Orientalium Studiorum, 1937 – impr.]

Per seguire la messa bizantina non basta stare attento a ciò che fa e dice il sacerdote celebrante; sarebbe però impossibile, perché per un lungo tempo del S. Sacrificio egli è nascosto dall’iconostasi, che separa il Santuario coll’altare dalla navata. – E’ dunque necessario stare attento anche alle faccende del diacono il quale ha l’ufficio non soltanto di aiutare il Sacerdote all’altare, ma precisamente di fare da intermediario molto attivo tra il popolo e il Sacerdote. Gioverà infine stare attento al Coro che esegue i suoi canti quasi durante tutto il tempo della Messa. – Così l’orecchio ancora più che l’occhio servirà a guidarsi nelle varie fasi della messa. In questo libretto, col gentile permesso dell’autore, trascriviamo per intero tutte le preghiere o orazioni nella traduzione italiana che ne ha fatto il Rev. Placido de Meester O.S.B. [R. P. D. PLACIDO DE MEESTER, O. S. B., La divina Liturgia del nostro Padre S. Giov. Crisostomo, testo greco e traduzione italiana con introduzione e note (in nero e rosso) 3a Edizione. Roma, Tipogr. Poligl. Vatic. 1925.]

Abbiamo omesso o modificato qualche parte di questo testo e vi abbiamo intercalato delle divisioni, allo scopo di mettere alla portata dei fedeli occidentali la liturgia bizantina in un manualetto che può aiutarli a seguire facilmente le cerimonie del divino Sacrificio.

I. RITO DELLA PREPARAZIONE

(Pròtesi).

1. Orazioni preparatorie

II Sac. e il Diac. non ancora rivestiti dei paramenti liturgici, vanno dinanzi alle porte sante, che son chiuse, e s’inchinano tre volte. Quindi, a voce bassa, dice:

Il Diac. Benedici, Signore.

Il Sac. Benedetto sia Iddio nostro in ogni tempo, ora sempre, e ne’ secoli de’ secoli.

Il Diac. Così sia.

Il Sac. Gloria a te, o Dio nostro, gloria a te! Re celeste, Paraclèto, Spirito di verità, che in ogni luogo sei presente ed ogni cosa riempi, tesoro dei beni e datore di vita, vieni ed alberga nel nostro petto, purificaci da ogni macchia, e salva, o Buono, le anime nostre.

Il Diac. Santo Iddio, Santo Forte, Santo Immortale, abbi pietà di noi! (tre volte).

Gloria al Padre e al Figliuolo e allo Spirito Santo, ed ora e sempre, e ne’ secoli de’ secoli. Così sia.

O Triade tuttasanta, abbi pietà di noi. Signore, perdonaci i nostri peccati. Sovrano, perdona le nostre iniquità. Santo, visita e guarisci le nostre infermità, per la gloria del tuo nome. Signore pietà! Signore pietà! Signore pietà!

Gloria al Padre e al Figliuolo e allo Spirito Santo, ed ora e sempre, e ne’ secoli de’ secoli. Così sia.

Padre nostro, che sei ne’ cieli, sia santificato il nome tuo; venga il regno tuo; sia fatta la volontà tua, come in cielo, così in terra. Dacci oggi il nostro pane quotidiano, e rimetti a noi i nostri debiti, come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori; e non c’indurre in tentazione, ma liberaci dal maligno.

Il Sac. Poiché tuo è il regno e la potenza e la gloria, di te Padre e del Figliuolo e dello Spirito Santo, ora e sempre, e ne’ secoli de’ secoli.

Il Diac. Così sia.

Poi seguita il Sac.: Abbi pietà di noi, o Signore, abbi pietà di noi; poiché, in difetto di ogni giustificazione, peccatori come siamo, ti rivolgiamo questa supplica, come a nostro Sovrano: deh! abbi pietà di noi!

 Il Diac. Gloria al Padre e al Figliuolo e allo Spirito Santo.

Signore, abbi pietà di noi, che in te abbiamo riposto ogni nostra fidanza: non adirarti fortemente, né ti rammenta delle nostre iniquità; ma rivolgi anche ora il tuo sguardo su di noi, misericordioso quel sei, e ci riscatta dai nostri nemici; poiché tu sei il nostro Dio, e noi il tuo popolo, siamo tutti opera delle tue mani, ed abbiamo invocato il tuo nome.

Il Sac. E d ora e sempre, e ne’ secoli de’ secoli. Così sia.

Aprici, o benedetta Madre di Dio, la porta della misericordia, (e qui si tira la cortina delle porte): deh! che non andiamo perduti, noi che speriamo in te; deh! che per l a tua intercessione siamo liberati dalle avversità; tu, infatti, sei la salvezza dei cristiani.

[Vanno quindi ad inchinarsi alle sante iconi, prima di Cristo, poi della Madonna recitando apposite invocazioni. E vanno di nuovo avanti alle porte e …

il Sac. recita la preghiera]:

Signore, stendi la tua mano dall’alto del tuo abitacolo, e confortami nel presente tuo ministero, acciocché io, stando senza condanna davanti al tuo tremendo altare, celebri l’incruento sacrificio. Poiché tua è la potenza e la gloria nei secoli dei secoli. Così sia.

[Poi entrano nel Santuario dicendo ciascuno da sé]:

Entrerò nella tua casa, mi prostrerò al tuo tempio santo nel tuo timore.

2. La vestizione

Il Sac. indossa lo sticario (alba), l’epitrachèlio (stola), la zona (cintura), le soprammaniche, poi il felonio (casula), mentre il Diac. si mette lo sticario, l’orario sull’omero sinistro, e le soprammaniche, e ambedue dicono le apposite preghiere.

3. Lavabo

Poi si lavano le mani, recitando il salmo:

Lavabo inter innocentes

3. Preparazione del pane e del vino

indi il sac. Va col Diac. All’altare della preparazione, a sinistra dell’altare maggiore; il Sac. Con la lancia toglie del pane la parte media che porta l’impronta

[Poi il Diac. Versa nel calice vino ed acqua insieme].

[Segue un rito proprio ai Bizantini: il Sac. toglie dallo stesso pane o da un altro particelle diverse, la prima in onore e memoria della Madonna, le seguenti in memoria dei Santi, dei viventi, dei defunti e di se stesso. – Tutte quelle particelle sono disposte in ordine, insieme col pane che sarà consacrato, nel disco o patena. (Questa è molto più grande della patena latina ed è talvolta sostenuta da un piede). Quanto rimane del pane è tagliato in pezzetti che saranno benedetti dopo la consacrazione e alla fine della liturgia distribuiti sotto il nome di antidoron. – Il Sac. pone sopra il pane e le particelle prima l’asterisco e copre il disco con un velo; con un altro velo copre il calice, quindi con l’aere, cioè un. terzo grande velo, copre insieme il disco e il calice. Tutte queste cerimonie sono accompagnate da rispettive orazioni. In fine dopo aver incensato le oblate, il Sacerdote dice la preghiera della Pròtesi]:

5. Preghiera della Pròtesi

O Dio, Dio nostro, che mandasti il pane celeste, cibo di tutto il mondo, il Signore e Dio nostro Gesù Cristo, Salvatore, Redentore e Benefattore, che ci benedice e ci santifica; benedici tu stesso questa Pròtesi, e l’accetta nel tuo sovracceleste altare; ricordati, buono qual sei ed amante degli uomini, di coloro che l’hanno offerta, e di coloro per i quali l’hanno offerta, e noi custodisci irreprensibili nella celebrazione dei tuoi divini misteri. Poiché è stato santificato e glorificato l’onorabilissimo e magnifico nome tuo o Padre e del Figliuolo e dello Spirito Santo, ora e sempre e nei secoli dei secoli. Così sia.

[Si riapre il velo delta porta del santuario.]

6. Incensamento

[Il Diac. incensa le oblate, l’altare intorno intorno, il santuario e tutta la navata ed il popolo presente; indi rientra nel santuario ed incensa di nuovo l’altare ed infine il Sac.]

[Finora tutto il rito si è svolto dietro all’iconostasi; adesso il Diac. inviterà il popolo a pregare e il coro a lodare il Signore. Chiede dunque la benedizione al Sac. e viene a prendere il suo posto davanti alle porte sante, tenendo il suo orario nella mano destra elevata].

II. LA MESSA DEI CATECUMENI,

1. L’inizio

II Diac. dice ad alta voce: Benedici, Signore.

Il Sac. all’altare, risponde: Benedetto sia il regno del Padre, del Figliuolo e dello Spirito Santo, ora e sempre e ne’ secoli de’ secoli. Il coro: Cosi sia.

a. Colletta maggiore

Quindi il Diac. pronuncia le preci ireniche:

Preghiamo in pace il Signore. Il coro: Signore, pietà!

Per la pace che vien dall’alto, e per la salute delle anime nostre, preghiamo il Signore. Il coro: Signore, pietà!

Per la pace di tutto quanto il mondo, per la prosperità delle sante chiese di Dio e per l’unione di tutti, preghiamo il Signore. Il coro: Signore, pietà!

Per questa santa casa e per coloro che vi entrano con fede, devozione e timor di Dio, preghiamo il Signore.

Il coro: Signore, pietà!

Per il nostro beatissimo (si fa il nome del capo gerarchico della diocesi) Patriarca o Metropolita, o Arcivescovo o Vescovo N., per l’onorabile ordine dei preti, per il diaconato in Cristo, per il clero e il popolo tutto, preghiamo il Signore.

Il coro: Signore, pietà! Per i nostri re piissimi e custoditi da Dio, per tutto il palazzo e per l’esercito loro, preghiamo il Signore.

Il coro: Signore, pietà!

Perché li aiuti in guerra e sottometta ai loro piedi ogni nemico ed avversario, preghiamo il Signore.

Il coro: Signore, pietà!

Per questa santa dimora, per ogni città e paese, e per tutti i fedeli che vi abitano, preghiamo il Signore.

Il coro: Signore, pietà!

Per la salubrità dell’aria, per l’abbondanza dei frutti della terra e per i tempi tranquilli, preghiamo il Signore.

Il coro: Signore, pietà!

Per i naviganti, i viandanti, i malati, i sofferenti, i prigionieri, e per la loro salvezza, preghiamo il Signore.

Il coro: Signore, pietà!

Acciocché siamo liberati da ogni afflizione, ira, pericolo, necessità, preghiamo il Signore.

Il coro: Signore, pietà!

Facendo memoria della tutta santa, intemerata, benedetta sopra ogni creatura e gloriosa nostra Signora, la Madre di Dio e sempre vergine Maria, con tutti i santi, raccomandiamo noi stessi, e gli uni gli altri, e tutta la nostra vita a Cristo Dio.

Il coro: A te, o Signore.

Il Sac. ad alta voce:

Perché ogni gloria, onore e adorazione si conviene a te Padre e al Figliuolo e allo Spirito Santo, ora e sempre, e nei secoli dei secoli.

Il coro: Così sia.

b. Prima antifona

[Dopo si cantano dal coro i tipici o la 1a antifona secondo le rubriche. Durante il canto, il Diac. Si allontana dal suo posto e va a mettersi dinanzi alla icone della Madre di Dio.]

[Intanto il Sac. Dice la preghiera della prima antifona in segretoSignore, Dio nostro, di cui incomparabile è la forza, incomprensibile la gloria, immensa la misericordia e ineffabile l’amore per gli uomini; tu, o Sovrano, secondo la tua clemenza, volgi uno sguardo a noi e a questa santa casa, e largisci a noi e a quelli che con noi pregano, le dovizie delle tue misericordie e delle tue commiserazioni.]

[Terminato il 1° salmo dei tipici o la 1a antifona, il Diac. ritorna al luogo consueto e recita la colletta minore]:

Ancora e poi ancora, preghiamo in pace il Signore. Il coro: Signore, pietà!

Soccorrici, salvaci, abbi pietà di noi, e ci custodisci, o Dio, colla tua grazia.

Il coro: Signore, pietà. Facendo memoria della tutta santa, intemerata, benedetta sopra ogni creatura e gloriosa nostra Signora, la Madre di Dio e sempre vergine Maria, con tutti i santi, raccomandiamo noi stessi, e gli uni gli altri, e tutta la nostra vita a Cristo Dio.

Il coro: A te, Signore.

Il Sac. ad alta voce:

Poiché tua è la forza e il regno e la potenza e la gloria, di te Padre e del Figliuolo e dello Spirito Santo,ora e sempre, e ne’ secoli de’ secoli.

Il coro: Così sia.

c. Seconda antifona

Quindi il coro canta il secondo salmo dei tipici o la seconda antifona ed alla fine si aggiunge:

[Il Sac. recita segretamente la Preghiera della seconda antifona: Signore, Dio nostro, salva il popolo tuo, benedici la tua eredità, custodisci tutta quanta la tua Chiesa; santifica quelli che amano lo splendore della tu casa; tu in contraccambio li glorifica con la tua divina potenza, e non volere abbandonare noi che in te riponiamo ogni speranza].

O Figlio Unico e Verbo di Dio, tu che, essendo immortale, volesti incarnarti a per la nostra salute nel seno della santa Madre di Dio, sempre Vergine, Maria; Tu che, senza mutarti, ti facesti uomo e fosti crocifisso, o Cristo Dio, schiacciando la morte con la tua morte; Tu che sei una delle Persone della santa Trinità, glorificato con il Padre e lo Spirito Santo, salvaci.

[Il Diacono va a collocarsi di nuovo davanti alla icone della Madre di Dio; e alla fine della 2a antifona torna al posto consueto e recita la colletta minore]:

Ancora e poi ancora, preghiamo in pace il Signore.

Il coro: Signore, pietà!

Soccorrici, salvaci, abbi pietà di noi e ci custodisci, o Dio, con la tua grazia.

Il coro: Signore, pietà!

Facendo memoria della tutta santa, intemerata, benedetta sopra ogni creatura e gloriosa nostra Signora, la Madre di Dio e sempre vergine Maria, con tutti i santi, raccomandiamo noi stessi, e gli uni e gli altri, e tutta la nostra vita a Cristo Dio.

Il coro: A te, o Signore.

Egli entra nel santuario, e il Sac. dice ad alta voce:

Poiché tu sei Iddio buono e amante degli uomini, e noi rendiamo gloria a te Padre e al Figliolo e allo Spirito Santo, ora e sempre, e nei secoli dei secoli.

Il coro: Così sia.

d. Terza antifona

Il coro canta la terza antifona. 

[Il Sac. legge segretamente la preghiera della terza antifona: Tu che ci donasti queste comuni e unanimi preghiere, che a due o tre uniti a pregare nel nome tuo promettesti di concedere quanto chiedessero; Tu anche in questo momento esaudisci, per loro vantaggio, le richieste dei servi tuoi, accordandoci la conoscenza della tua verità nel secolo presente e donandoci in quello avvenire la vita eterna].

[Il Diac. è già entrato nel Santuario dove aiuta il Sac. che si prepara a fare il piccolo introito. Il Sac. prende il S. Evangelo (che si trova sempre sull’altare) e lo dà al Diac. che gli bacia la mano. Mentre ancora continua il canto, la processione esce dal Santuario].

2. Introito

Ingresso col Vangelo

[Si può comparare quest’ingresso del Sacerdote a l’introito del rito romano. Escono dal Santuario, preceduti da uno o due servienti che portano faci; il Diac. con in mano il Vangelo, e il Sac. Giunti nel mezzo della navata, il Sac. recita segretamente l’orazione del piccolo introito].

Dominatore Signore, Dio nostro, che ne’ cieli hai costituito legioni ed eserciti d’Angeli e d’Arcangeli in servizio della tua gloria, fa’ che col nostro ingresso si effettui l’ingresso di Angeli santi, che con noi concelebrino e con noi glorifichino la tua bontà. Poiché a te si conviene ogni gloria, onore e adorazione, a te Padre e al Figliuolo e allo Spirito Santo, ora e sempre, e nei secoli dei secoli. Così sia.

Terminato il canto, il Diac. dà a baciare il Vangelo al Sac. e quindi, elevando il sacro libro, dice ad alta voce:

Sapienza! stiamo in piedi!

Mentre Diac. e Sac. entrano nel Santuario, il coro canta:

Venite, adoriamo e prostriamoci avanti a Cristo. Deh! salva, o figliuolo di Dio, mirabile nei santi, noi che a te cantiamo: alleluia!

E si cantano i tropari ossia brevissime melodie in onore di Santi o del mistero del giorno.

Quindi il Diac. dice: Preghiamo il Signore.

Il coro: Signore, pietà.

Il Sac. ad alta voce:

Poiché tu sei santo, o Dio nostro, e a te rendiamo gloria, a te Padre e al Figliuolo e allo Spirito Santo, ora e sempre.

Il Diac.: E ne’ secoli de’ secoli.

Il coro: Così sia.

3. Canti e Letture

a. Trisagio

Indi si canta dal coro l’inno trisagio:

Santo Iddio, Santo Forte, Santo Immortale, abbi pietà di noi ! (tre volte).

Gloria al Padre e al Figliuolo e allo Spirito Santo; ed ora e sempre, e ne’ secoli de’ secoli. Così sia. Santo Immortale, abbi pietà di noi!

Il Diac. si reca vicino alle porte sante e, tenendo nella destra l’orario, dice ad alta voce: Forza!

Il coro: Santo Iddio, Santo Forte, Santo Immortale, abbi pietà di noi!

[Mentre si canta l’inno trisagio, il Sac. recita segretamente questa preghiera: O Dio santo, che nei santi riposi, cantato cogli accenti dell’inno trisagio dai Serafini, glorificato dai Cherubini e adorato da tutte le potestà sovraccelesti; Tu che dal nulla hai tratto all’essere le cose tutte, che hai creato l’uomo a tua immagine e somiglianza, e di tutti i tuoi carismi lo hai adornato; tu che doni saggezza e prudenza a chiunque te ne prega, e non disprezzi il peccatore, ma hai istituito la penitenza per la salute; che noi, umili e indegni tuoi servi, hai fatto degni di stare anche in questo momento dinanzi alla gloria del tuo santo altare e di offrirti l’adorazione e la glorificazione a te dovuta; tu, o Signore, accetta anche dal labbro di noi peccatori l’inno trisagio e visitaci nella tua bontà. – Perdonaci ogni trascorso volontario e involontario, santifica l’anima nostra e il nostro corpo, e ci concedi di poterti servire in santità tutti i giorni di nostra vita, per l’intercessione della santa Madre di Dio e di tutti i santi che dal principio del mondo piacquero agli occhi tuoi. Perché T u sei santo, o Dio nostro, e noi rendiamo gloria a Te Padre e al Figliuolo e allo Spiritò Santo, ora e sempre, e nei secoli dei secoli. Così sia.]

b. Epistola

Terminato il canto del trisagio, il Lettore si pone nel mezzo della navata.

Il Diac.: Stiamo attenti!

Il Lettore pronuncia i versetti del prokimenon.

Il Diac.: Sapienza!

Il Lettore recita il titolo della lezione apostolica.

Il Diac.: Stiamo attenti!

Il Lettore recita la pericope assegnata a quel giorno (Notiamo il modo di cantare l’epistola secondo l’uso degli Slavi; il Lettore comincia con un tono molto basso, che eleva poco a poco alla fine di ogni frase).

Intanto il Sac. si reca alla cattedra dietro l’altare e il Diac. incensa il santuario e il popolo; fa ciò in preparazione alla lettura del Vangelo.

c. Vangelo

Terminata la lezione dell’epistola, il coro canta tre volte: Alleluia! Alternativamente con la recitazione di versetti.

[Il Sac. dinanzi alla s. mensa recita in segreto questa orazione:

Fa’ che risplenda nei nostri cuori, o misericordioso Signore, la pura luce della tua divina conoscenza, aprici gli occhi della mente, perché possiamo intendere le tue evangeliche predicazioni. Infondici altresì il timore dei tuoi santi comandamenti, acciocché, calpestati tutti i desideri carnali, pratichiamo una vita tutta spirituale, pensando e operando tutto ciò che è di tuo gradimento. Tu, infatti, sei la luce delle anime nostre e de’ nostri corpi, o Cristo Dio, e a te rendiamo gloria, e, insieme, all’eterno tuo Padre e al tuo Spirito tutto santo, buono e vivificante, ora e sempre, e nei secoli dei secoli. Cosi sia].

Il Diac. prende il S. Vangelo, riceve la benedizione dal Sac. e preceduto da faci se ne va all’ambone.

Il Sac. dalla porta del Santuario esclama: Sapienza!

Il coro: E allo spirito tuo.

Il Diac.: Lettura del Santo Vangelo secondo N.

Il Sac.: Stiamo attenti!

Il coro: Gloria a te, Signore, gloria a te.

Il Diac. legge la prescritta pericope. (Il tono è molto semplice).

Terminata la lettura, il coro: Gloria a te, Signore, gloria a te.

Il Diac. s’avanza fino alle porte sante e consegna al Sac. il libro.

4. Orazioni e Rinvio dei Catecumeni

Quindi postosi dinanzi al Santuario, recita l’ectenès:

Diciamo tutti con tutta l’anima, e con tutta la mente nostra diciamo.

Il coro: Signore, pietà! Signore, Onnipotente, Dio de’ Padri nostri, noi ti preghiamo, esaudisci ed abbi pietà.

Il coro: Signore, pietà.

[Intanto il Sac. dice segretamente:

Signore, Dio nostro, accetta da’ servi tuoi questa prolungata supplicazione, ed abbi pietà di noi secondo la tua grande misericordia, e fa’ discendere le tue commiserazioni sopra di noi e su tutto il tuo popolo, che aspetta copiosa la tua misericordia (che viene da te)].

     Abbi pietà di noi, o Dio, secondo la tua grande misericordia; noi ti preghiamo, esaudisci ed abbi pietà.

Il coro: Signore, pietà!

Noi preghiamo per tutti i pii ortodossi e cristiani.

Il coro: Signore, pietà!

Noi preghiamo ancora per il nostro beatissimo Patriarca o Metropolita, o da Dio Arcivescovo o Vescovo nostro N.

Il coro: Signore, pietà!

Noi preghiamo ancora per i nostri fratelli, sacerdoti ieromonaci, ierodiaconi e monaci, e per tutta la nostra fratellanza in Cristo.

Il coro: Signore, pietà!

Noi preghiamo ancora per implorare misericordia, vita, pace, sanità, salvezza, visita, perdono e remissione dei peccati de’ servi di Dio, di quelli che dimorano in questa città o dei fratelli di questo santo monastero.

Il coro: Signore, pietà!

Noi preghiamo ancora per i beati fondatori di questa santa chiesa o santo monastero, degni di perpetua ricordanza, e per tutti i padri e fratelli nostri defunti, che qui piamente riposano, e per gli ortodossi di tutto il mondo.

Il coro: Signore pietà!

Noi preghiamo ancora per coloro che offrono frutti e operano il bene in questo santo e venerabile tempio, vi faticano e vi cantano, e per tutto il popolo qui presente, che aspetta la tua grande e copiosa misericordia.

Il coro: Signore, pietà!

Il Sac. ad alta voce:

Poiché tu sei un Dio misericordioso e amante degli uomini, e noi rendiamo gloria a te Padre e al Figliuolo e allo Spirito Santo, ora e sempre, e ne’ secoli de’ secoli.

Il coro: Così sia.

Quindi il Diacono incomincia la supplica per i catecumeni :

Catecumeni, pregate il Signore.

Il coro: Signore, pietà!

Fedeli, preghiamo per i catecumeni.

Il coro: Signore, pietà!

Acciocché il Signore abbia misericordia di loro.

Il coro: Signore, pietà!

Li istruisca nella parola della verità.

Il coro: Si gnore, pietà!

Riveli loro l’Evangelio della giustizia.

Il coro: Signore pietà!

[Il Sac. recita segretamente l’orazione per i catecumeni:

Signore, Dio nostro, che abiti nel più alto de’ cieli e riguardi alle più umili creature, che per la salute del genere umano hai inviato l’unigenito tuo Figliuolo e Dio, il nostro Signor Gesù Cristo, volgi benigno lo sguardo sovra i tuoi servi catecumeni, che a te vengono inchinata la loro cervice, e renditi degni, nel tempo opportuno, del lavacro della rigenerazione, della remissione de’ peccati e della veste dell’incorruttibilità; uniscili alla tua santa Chiesa cattolica ed apostolica, e annoverali tra l’eletto tuo gregge].

Li unisca alla sua santa Chiesa cattolica ed apostolica.

Il coro: Signore, pietà!

Salvali, abbine pietà, li soccorri e li custodisci, o Dio, con la tua grazia.

Il coro: Signore, pietà!

Catecumeni, inchinate il vostro capo al Signore.

Il coro: A te, o Signore.

Il Sac. ad alta voce:

Acciocché essi pure insieme con noi glorifichino l’onorabilissimo e magnifico nome tuo, o Padre, e quello del Figliuolo e dello Spirito Santo, ora e sempre, e ne’ secoli de’ secoli.

Il coro: Così sia.

Quindi il Sac. spiega l’iletón (corporale) sulla santa mensa.

Il Diac. dice : Quanti siete catecumeni, uscite. Catecumeni, uscite. Catecumeni, quanti siete, uscite. Nessuno dei catecumeni rimanga qui.

III. LA MESSA DEI FEDELI.

Il Diac. continua senza interruzione:

Quanti siamo fedeli, ancora e poi ancora, in pace preghiamo il Signore.

Il coro: Signore, pietà!

Soccorrici, salvaci, abbi pietà di noi e custodiscici, o Dio, con la tua grazia.

Il coro: Signore, pietà!

Il Diac. Sapienza!

Il Sac. ad alta voce:

Poiché si conviene ogni gloria, onore e adorazione a te Padre e al Figliuolo e allo Spirito Santo, ora e sempre, e nei secoli dei secoli.

Il coro: Così sia.

1. Preghiere dei fedeli

[E il Sac. legge segretamente la prima orazione dei fedeli:

Rendiamo grazie, o Signore, Dio delle Schiere, a te che ci hai fatti degni di stare anche in questo momento presso il tuo santo altare, e d’implorare prostrati le tue misericordie per i nostri peccati e per le ignoranze del popolo. Accogli, o Dio, le nostre preci; fa’ che siamo degni d’offrirti preghiere e supplicazioni e sacrifici incruenti per tutto il tuo popolo; e rendi capaci noi, che tu hai posto a questo ministerio, per la virtù dello Spirito Santo, d’invocarti in ogni tempo e in ogni luogo, senza condanna e senza inciampo, con la pura testimonianza della coscienza nostra, acciocché, esaudendoci, Tu ci sii propizio nella grandezza della tua bontà.]

Il Diac. Ancora e poi ancora preghiamo in pace il Signore. Il Coro: Signore, pietà!

Il Diac. Soccorrici, salvaci, abbi pietà di noi e ci custodisci, o Dio, con la tua grazia. Il coro: Signore, pietà!

Il Diac. Sapienza! Ed entra nel santuario.

Il Sac. dice ad alta voce:

Acciocché custoditi sempre dalla tua potenza, rendiamo gloria a te Padre e al Figliuolo e allo Spirito Santo, ora e sempre, e ne’ secoli de’ secoli.

Il coro: Così sia.

[Il Sac. legge segretamente la seconda orazione dei fedeli:

Di nuovo e molte volte ci prostriamo dinanzi a te e ti preghiamo, o buono, o misericordioso, di riguardare benigno alla nostra prece, e purificare le nostre anime e i nostri corpi da ogni sozzura della carne e dello spirito; concedine d’assistere scevri di colpa e senza condanna al tuo santo altare. Concedi per tua grazia, o Dio, anche a coloro che pregano con noi l’avanzamento nella vita, nella fede e nell’intelligenza spirituale. Dà loro di sempre adorarti con timore e con amore, di partecipare scevri di colpa e senza condanna ai tuoi santi misteri e d’essere fatti degni del tuo regno sovracceleste.]

2. Introito maggiore

Il coro incomincia a cantare lentamente e melodicamente l’inno cherubico:

Noi che misticamente rappresentiamo i Cherubini, e alla Triade vivificante cantiamo l’inno trisagio, su via! deponiamo Ogni mondana sollecitudine.

[Mentre si canta questo, il Sacerdote dinanzi alla santa mensa legge segretamente la seguente preghiera:

Niuno, che sia schiavo di desideri carnali e di voluttà, è degno di presentarsi o d’appressarsi o di offrir sacrificio a te, o Re della gloria; ché servire a te è cosa grande e tremenda anche alle stesse Podestà sovraccelesti. Ma nondimeno, per la ineffabile e immensa tua misericordia, essendoti fatto uomo senza verun cambiamento e mutazione, sei divenuto nostro Pontefice e ci hai trasmesso, come Signore che sei dell’universo, il ministero di questo liturgico ed incruento sacrificio. Tu solo infatti, o Signore Dio nostro, imperi sovrano sulle celesti e terrestri cose, assiso sul trono de’ Cherubini, tu Signore de’ Serafini e re d’Israele, tu che sei il solo santo e nei santi riposi. Te adunque prego, te che solo sei buono e pronto ad ascoltarmi. Volgi benigno lo sguardo sopra di me peccatore e inutile tuo servo, e purifica da prava coscienza la mia anima e il mio corpo: e per la virtù del tuo Santo Spirito, fa che io, rivestito della grazia del sacerdozio, possa presentarmi a questa tua sacra mensa e consacrare il santo e immacolato tuo Corpo e il tuo Sangue prezioso. A te m’appresso, inchinando la mia cervice, e così ti prego: Non rivolger da me la tua faccia e non rigettarmi dal numero dei tuoi servi, ma concedi che da me peccatore e indegno tuo servo ti si offrano questi doni. Tu infatti, o Cristo Dio nostro, sei l’offerente e l’offerto, quei che riceve e quei che è distribuito, e a te rendiamo gloria in unione con l’eterno tuo Padre e col tuo tutto santo Spirito, buono e vivificante, ora e sempre, e nei secoli de’ secoli. Così sia.

Dopo questa orazione recita col Diac. tre volte l’inno cherubico. Quindi il Sac. incensa intorno intorno la s. mensa, il Santuario, le icóni e il popolo. Poi Sac. e Diac. baciano l’altare, si volgono al popolo, inchinano il capo e vanno alla pròtesi. Allora il Sac. pone il velo grande sugli omeri e il disco coperto sul capo del Diac. che nello stesso tempo tiene con un dito anche il turibolo. Il Sac. prende nelle mani il s. calice egualmente coperto.

Quindi esce la processione dal santuario e voltisi verso il popolo, il Sac. ed il Diac. con i doni nelle mani esprimono i voti di benedizione per il Pontefice, la gerarchia, e i fedeli presenti ed invitano il popolo ad unirsi a quelle intenzioni.

[Rientrano nel Santuario e depongono il disco ed il calice sopra l’altare e il Sac. incensa.]

Appena entrati nel santuario, il coro termina l’inno cherubico:

Per ricevere il Re dell’universo scortato invisibilmente dalle angeliche schiere. Alleluia.

Si tira il velo della porta del santuario.

3. Offertorio

Il Diac. dopo aver baciata la destra al Sac. esce e si pone nel luogo consueto.

Indi recita le petizioni seguenti:

Compiamo la nostra preghiera al Signore.

Il coro: Signore, pietà!

Per i preziosi doni che sono stati offerti, preghiamo il Signore.

Il coro: Signore, pietà!

Per questa santa casa e per coloro che vi entrano con fede, devozione e timor di Dio, preghiamo il Signore.

Il coro: Signore, pietà!

[Mentre dal Diacono si recita questa colletta, il Sacerdote legge segretamente la seguente orazione della Pròtesi:

Signore, Dio onnipotente, tu che solo sei santo e che accetti il sacrificio di laude da coloro che con tutto il cuore t’invocano, accogli altresì la preghiera di noi peccatori, e fa che giunga al tuo santo altare: rendici abili ad offrirti doni e sacrifici spirituali per i nostri peccati e per le ignoranze del popolo. Rendici anche meritevoli di trovar grazia al tuo cospetto, acciocché ti sia accetto il nostro sacrifizio, e lo Spirito della tua grazia, che è buono, scenda ad abitare in noi e in questi doni, qui preparati, e in tutto il popolo tuo.]

Acciocché siamo liberati da ogni afflizione, ira, pericolo e necessità, preghiamo il Signore:

Il coro: Signore, pietà!

Soccorrici, salvaci, abbi pietà di noi e custodiscici, o Dio, con la tua grazia.

Il coro: Signore, pietà!

Domandiamo al Signore, che tutto questo giorno sia perfetto, santo, pacifico e senza peccato.

Il coro: Concedi, o Signore.

Domandiamo al Signore un angelo di pace, guida fedele, custode delle anime nostre e de’ nostri corpi.

Il coro: Concedi o Signore.

Domandiamo al Signore il perdono e la remissione dei nostri peccati e dei nostri falli. Il coro: Concedi, o Signore.

Domandiamo al Signore tutto ciò che sia buono e vantaggioso alle anime nostre, e la pace per il mondo.

Il coro: Concedi, o Signore.

Domandiamo al Signore la grazia di passare in pace e in penitenza quanto ci resta di vita.

Il coro: Concedi, o Signore.

Domandiamo al Signore una morte cristiana, senza dolore e senza rimorso e placida, e una buona difesa dinanzi al tremendo tribunale.

Il coro: Concedi, o Signore.

Facendo memoria della tuttasanta, intemerata, benedetta sopra ogni creatura e gloriosa nostra Signora, la Madre di Dio sempre vergine Maria, con tutti i santi, raccomandiamo noi stessi, e gli uni gli altri, e tutta la nostra vita a Cristo Dio.

Il coro: A te, o Signore.

Il Sac. ad alta voce :

Per le misericordie del tuo unigenito Figliuolo, con il quale sei benedetto, insieme col santissimo tuo Spirito, buono e vivificante, ora e sempre, e nei secoli dei secoli.

Il coro: Cosi sia.

Si apre il velo della porta.

4. Bacio di pace

Il Sac. Pace a tutti.

Il coro: E allo spirito tuo.

[Intanto il Sac. bacia i santi doni, il Diac., il suo orario dov’è la figura della croce; quindi,  se vi sono parecchi celebranti, questi si abbracciano.]

Il Diac. Amiamoci gli uni gli altri, affinché in unità di spirito confessiamo la nostra fede.

Il coro: Nel Padre, nel Figliuolo e nello Spirito Santo, Triade consostanziale e indivisibile.

.5. Simbolo

Il Diac. ad alta voce : Le porte! le porte! Con sapienza stiamo attenti.

[Il Sac. alza l’aera sopra i doni e lo agita tenendolo spiegato mentre recita tra sé il Credo]

Il coro: Credo in un solo Padre ecc.

6. Anafora

a. Inviti al popolo

Indi il Diac. ad alta voce:

Stiamo devotamente, stiamo con timore, stiamo attenti ad offrire in pace la santa oblazione.

Il coro: Misericordia di pace, sacrificio di laude.

Il Sac. dice ad alta voce :

La grazia del Signor nostro Gesù Cristo, e la carità di Dio Padre, e la partecipazione dello Spirito Santo sia con tutti voi.

E voltosi al popolo, lo benedice. Il Diacono entra nel santuario.

Il coro: E con lo spirito tuo.

Il Sac. alzando ambe le mani esclama:

Leviamo in alto i cuori!

Il coro: Li abbiamo verso il Signore.

Il Sac. rivolto ad oriente esclama: Rendiamo grazie al Signore.

Il coro: E’ degno e giusto adorare il Padre, il Figliuolo e lo Spirito Santo Triade consostanziale e inseparabile

[Il Sac. prega segretamente:

– Si, certo, è degno e giusto celebrarti, benedirti, lodarti, ringraziarti in ogni parte del tuo impero perché tu sei un Dio ineffabile, inconcepibile, invisibile, incomprensibile, sempre esistente e sempre nello stesso modo, tu e il tuo unigenito Figliuolo e il tuo Spirito Santo. Tu dal nulla ci hai tratti all’esistenza e caduti ci hai rialzati, e nulla hai omesso di fare, fino a tanto che ci hai ricondotto al cielo e ci hai donato il tuo regno avvenire. Per tutti questi beni rendiamo grazia a te e all’unigenito tuo Figliuolo e al tuo Spirito Santo, per tutto quello che sappiamo, e per quello che non sappiamo, per i benefici a noi fatti, siano palesi, siano occulti. Ti rendiamo grazie altresì per questo sacrifizio, che ti sei degnato di ricevere dalle nostre mani, sebbene ti stiano innanzi migliaia di Arcangeli e miriadi di Angeli, i Cherubini e i Serafini con sei ali, con molti occhi, sublimi, alati…]

Il Sac. ad alta voce:

… i quali cantano, esclamano, gridano l’inno della vittoria, e dicono:

b. Sanctus

Il coro: Santo, santo, santo è il Signore delle Schiere; il cielo e la terra son pieni della tua gloria. Osanna nel più alto dei cieli! Benedetto colui che vine nel nome del Signore Osanna nel più alto dei cieli!

[Il Sac. prega segretamente :

Noi pure, Signore misericordioso, con questi beati spiriti celesti esclamiamo e diciamo: Sei santo, tuttosanto, tu e il tuo unigenito Figliuolo e il tuo Spirito Santo. Sei santo, tuttosanto, e magnifica è la gloria di te, che amasti tanto il mondo, da dare 1’unigenito tuo Figliuolo, affinché ognuno che crede in lui non perisca, ma ottenga la vita eterna; il quale, essendo venuto ed avendo compiuta la sua missione a prò di noi, la notte che veniva tradito, o piuttosto si lasciava tradire per la vita del mondo, prese del pane nelle sue mani sante, intemerate e immacolate, dopo aver rese grazie lo benedisse, lo santificò, lo spezzò e diede ai suoi santi discepoli ed apostoli, dicendo:

c. Consacrazione

Il Sac. inchina il capo, e alzando devotamente la destra, benedice il santo pane, dicendo ad alta voce: Prendete, mangiate: questo è il mio corpo, che per voi si spezza in remissione dei peccati.

Il coro: Così sia.

Mentre si dicono queste parole, il Diac. indica al Sacerdote il santo disco, tenendo colle tre dita della destra l’orario. Similmente, anche quando il Sacerdote dice: « Bevetene », esso indica il santo calice.

Quindi il Sac. prosegue segretamente:

Similmente anche il calice, dopo che ebbe cenato, dicendo:

Il Sac. tenendo in alto la mano devotamente e benedicendo, dice ad alta voce:

Bevetene tutti. Questo è il mio sangue, quello del Nuovo Testamento, che per voi e per molti è sparso in remissione de’ peccati.

Il coro: Così sia.

d. Anamnesi

Il Sac. inchinato il capo, prega segretamente:

Memori adunque di questo comandamento salutare e di tutto ciò che è stato fatto per noi, della croce, della tomba, della resurrezione dopo tre di, dell’ascensione al cielo, della sede alla destra (del Padre), del secondo e glorioso avvento.

Ad alta voce: Le cose tue scelte tra quelle che son tue a te offriamo in tutto e per tutto.

Il coro: Te inneggiamo, te benediciamo, a te rendiamo grazie, o Signore, e ti preghiamo, O Dio nostro.

 

[Il Sac. inchinato di nuovo il capo, prega segretamente: Ancora ti offriamo questo  culto spirituale ed incruento, e t’invochiamo, ti preghiamo e ti supplichiamo. Manda il tuo Santo Spirito sovra di noi e sovra questi doni posti qui sull’altare.

e. Epiclesi

Il Sac. e il Diac. s’inchinano tre volte ed il Sac. facendo il segno della croce sopra il s. pane, dice: E fa di questo il prezioso corpo del tuo Cristo.

Il Diac. Così sia.

Poi benedicendo il calice: E di ciò che è in questo calice, il prezioso sangue del tuo Cristo.

Il Diac. Così sia.

E, benedicendo l’uno e l’altro, dice: Transmutandole per virtù del tuo Santo Spirito.

Il Diac. Così sia, così sia, così sia.

[Il Sac. continua segretamente: Acciocché per coloro che si comunicano siano purificazione dell’anima, remissione de’ peccati, comunicazione dello Spirito Santo, adempimento del regno de’ cieli, titolo a libera confidenza davanti a te, non cagione di giudizio e di condanna.]

f. Intercessione

Ancora ti offriamo questo culto razionale, per quei che riposano nella fede, progenitori, padri, patriarchi, profeti, apostoli, predicatori, evangelisti, martiri, confessori, continenti e per ogni spirito consumato nella fede.

Quindi, incensando la s. mensa sul davanti, dice ad alta voce:

In modo particolare per la tutta santa, intemerata, benedetta sopra ogni creatura, la gloriosa nostra Signora, Madre di Dio e sempre vergine Maria.

E passa il turibolo al Diacono che, incensando intorno la s. mensa, commemora i morti inscritti nei dittici.

E il coro canta il megalinario della Madre di Dio:

Egli è veramente giusto chiamar beata te, o Deipara, sempre benavventurata e tutta immacolata e Madre del nostro Dio. Te più onorabile dei Cherubini e incomparabilmente più gloriosa dei Serafini, te che senz’ombra di corruzione partoristi il Verbo di Dio, te magnifichiamo qual vera Madre di Dio.

[E mentre si canta questo, il Sac. benedice l’antidoron e continua a pregare segretamente: Per il santo Profeta e Precursore, Giovanni il Battista, per i santi, gloriosi e illustri Apostoli, per il santo N., del quale celebriamo la memoria, e per tutti i santi tuoi, per le cui suppliche, o Dio, deh! Riguardaci benignamente.Ti ricorda altresì di tutti quei che si sono addormentati nella speranza della resurrezione alla vita eterna (e commemora per nome i morti che vuole), e fa’ che riposino là dove brilla la luce del tuo volto. Ancora ti preghiamo, ricordati o Signore, di tutto l’episcopato degli ortodossi, di coloro che bandiscono rettamente la tua parola di verità, di tutto il presbiterato, del diaconato in Cristo, e di ogni ordine sacerdotale. Ancora ti offriamo questo culto razionale, per tutto il mondo, per la santa Chiesa cattolica ed apostolica, per coloro che vivono nella castità e nella santità, per i nostri re fedelissimi e amanti di Cristo, per tutta la corte e l’esercito loro. Concedi loro, o Signore, un regno pacifico, onde noi pure, nella calma loro, viviamo una vita quieta e tranquilla con tutta l a pietà ed onestà.]

Dopo ciò il Sac. commemora i vivi che vuole. Quindi dice ad alta voce: Ricordati in primo luogo, o Signore, del nostro santissimo Padre N., Papa di Roma, di T V. (ed enuncia il nome dell’ ordinario del luogo, sia esso semplice Vescovo o Arcivescovo o Metropolita o Patriarca) e concedi alletue sante chiese che essi in pace salvi, onorati, sani, longevi, predichino rettamente la tua parola di verità.

Il Diac. Stando presso la porta commemora i vivi inscritti nei dittici, e poi ad alta voce: E di quelli che ciascuno ha in mente, e di tutti e di tutte.

[Il Sac. continua a pregare segretamente: Ricordati, o Signore, della città (o monastero), nella (nel) quale dimoriamo, di ogni città e paese, e di tutti i fedeli che vi abitano. Ricordati, o Signore, dei naviganti, dei viandanti, dei malati, dei sofferenti, dei prigionieri e della loro liberazione. Ricordati, o Signore, di coloro che portan frutti e operano il bene nelle tue sante chiese e si ricordano de’ poveri, e manda sopra di noi tutti le tue misericordie.]

Il Sacerdote ad alta voce: E concedine che non una sola bocca e con un sol cuore diamo gloria e inneggiamo all’onorabilissimo e magnifico nome tuo, o Padre, e a quello del Figliuolo e dello Spirito Santo, ora e sempre, e ne’ secoli de’ secoli.

Il coro: Così sia.

E voltosi al popolo, lo benedice dicendo:

E le misericordie del grande Iddio e Salvator nostro Gesù Cristo siano con tutti voi.

Il coro: E col tuo spirito.

7. Dall’Anafora alla Comunione

a. Colletta

Il Diac. esce, e, postosi nel luogo consueto, dice:

Avendo fatto memoria di tutti i santi, ancora e poi ancora preghiamo in pace il Signore

Il Coro: Signore, pietà!

Per i preziosi doni, che sono stati offerti e consacrati, preghiamo il Signore.

Il Coro: Signore, pietà!

[Mentre si recitano queste preci, il Sac. prega segretamente.

Ti raccomandiamo, o Signore misericordioso, tutta la nostra e la nostra speranza, e t’invochiamo, ti preghiamo, ti supplichiamo. Rendici degni di partecipare dei sovraccelesti e tremendi misteri di questa sacra e spiritual mensa, con pura coscienza, per la remissione dei peccati, per il perdono dei falli, per la comunione dello Spirito Santo,  per l’eredità del regno dei cieli, per un titolo alla tua confidenza, e non per nostro giudizio e condanna.]

Acciocché il misericordioso Dio nostro, che li ha ricevuti, in odore di soavità Spirituale nel suo santo, sovracceleste, spirituale altare, ci mandi in contraccambio la divina grazia e il dono del Santo Spirito, preghiamo.

Il coro: Signore pietà!

Acciocché siamo liberi da ogni afflizione, ira, pencolo e necessità, preghiamo il Signore.

Il coro: Signore, pietà!

Soccorrici, salvaci, abbi pietà di noi e ci custodisci, o Dio, colla tua grazia.

Il coro: Signore, pietà!

Domandiamo al Signore che tutto questo giorno sia perfetto, santo, pacifico e senza peccato.

Il coro: Concedi, o Signore.

Domandiamo al Signore un angelo di pace, guida fedele, custode delle anime nostre e de’ nostri corpi.

Il coro: Concedi, o Signore.

Domandiamo al Signore perdono e remissione dei nostri peccati e dei nostri falli.

Il coro: Concedi, o Signore.

Domandiamo al Signore quanto è buono ed utile alle anime nostre, e la pace per il mondo.

Il coro: Concedi, o Signore.

Domandiamo al Signore la grazia di passare nella pace e nella penitenza quanto ci resta della vita nostra.

Il coro: Concedi, o Signore.

Domandiamo al Signore una morte cristiana, senza dolore, senza biasimo, placida, e una buona difesa dinanzi al suo tremendo tribunale.

Il coro: Concedi, o Signore.

Dopo aver domandata l’unità della fede e la comunione dello Spirito Santo, raccomandiamo noi stessi, e gli uni gli altri, e tutta la nostra vita a Cristo nostro Dio. Il coro: A te, o Signore.

b. Pater Noster

Il Sac. ad alta voce:

E rendici degni, o Signore, che con piena fiducia e senza condanna osiamo invocare te Dio Padre celeste, e dire:

Il coro: Padre nostro, che sei ne’ cieli, sia santificato il nome tuo, venga il regno tuo; sia fatta la volontà tua, come in cielo così in terra. Dacci oggi il nostro pane quotidiano e rimetti a noi i nostri debiti, come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori; e non c’indurre in tentazione, ma liberaci dal maligno.

Il Sac. Poiché il regno e la potenza e la gloria appartiene a te Padre e al Figliuolo e allo Spirito Santo, ora e sempre, e ne’ secoli de’ secoli.

Il coro: Così sia.

Il Sac. Pace a tutti (e benedice).

Il coro: E allo spirito tuo.

c. Orazione col capo inchinato

Il Diac. Inchinate il vostro capo al Signore.

Il coro: A te, o Signore.

Il Sac. ad alta voce: Per la grazia, per le misericordie e per la benignità dell’unigenito tuo Figliuolo, col quale sei benedetto insieme col tutto santo, buono e vivificante Spirito, ora e sempre, e nei secoli de’ secoli.

Il coro: Così sia.

[Il Sac. prega segretamente: Ti rendiamo grazie, o Re invisibile, che con la tua infinita potenza hai creato l’universo, e nella grandezza della tua misericordia tutte le cose dal nulla hai tratto all’esistenza. Tu, o Signore, riguarda dal cielo a questi che hanno umilmente inchinato la fronte innanzi a te, poiché non l’han chinata alla carne e al sangue, ma a te Dio tremendo. Tu dunque o Signore, compartisci a noi tutti, per nostro bene e secondo il bisogno di ciascuno, i doni qui presenti; naviga coi naviganti, viaggia coi viandanti, sana i malati, tu medico delle nostre anime e de’ nostri corpi.]

d. Elevazione e frazione

Poi il Diac. ad alta voce: Stiamo attenti!

E il Sac. inchinandosi ed elevando il santo pane, dice ad alta voce:

Le cose sante ai santi.

Il coro: Un solo è il Santo, un solo è il Signore, Gesù Cristo, nella gloria di Dio Padre. Così sia.

Quindi si canta il Kinonikon.

[Il Sac. spezza il s. pane in Quattro e lo dispone nel s. disco in forma di croce; il Diac. dice: Signore, empi il s. calice.

Il Sacerdote prende la particola segnata IC, e la mette nel calice. Poi il Diac. versa un po’ d’acqua calda nel s. calice].

8. La S. Comunione

a. Comunione del Sac. e del Diac.

Il Sac. ed il Diac. recitano le preghiere della Comunione.

Credo, o Signore, e confesso che tu sei veramente il Cristo, figliuolo di Dio vivente venuto nel mondo per salvare i peccatori, de’ quali il primo sono io. Credo ancora che questo è il medesimo tuo Corpo immacolato, e questo il medesimo tuo sangue prezioso. Te ne prego adunque, abbi pietà di me e perdonami le mie colpe, volontarie e involontarie, commesse colla parola e coll’opera, con conoscenza e senza. Fammi degno di partecipare, senza condanna, de’ tuoi misteri immacolati, per la. Remissione dei peccati e per la vita eterna. Così sia.

Ecco io m’appresso alla divina comunione:

O mio Creatore, deh! non bruciarmi con questa partecipazione,

Poiché tu sei fuoco che arde gl’indegni.

Deh! purificami dunque da ogni sozzura.

Del tuo mistico convito, o figliuolo di Dio, fammi oggi partecipe; che io non paleserò il Mistero ai tuoi nemici; non ti darò un bacio come Giuda; ma come il Ladrone io ti dico: Ti sovvenga di me, o Signore, quando sarai nel tuo regno.

Rabbrividisci, o uomo, vedendo il sangue divino:

Che è carbone ardente che brucia gl’indegni.

Il corpo di Dio m’india e mi nutrisce;

India lo spirito e mirabilmente nutrisce l’intelletto.

– Tu mi hai attirato, o Cristo, col desiderio e inebriato col tuo amore divino deh! ardi con fuoco immateriale i miei peccati e fammi degno di saziarmi delle tue delizie, affinché nell’esultanza io magnifichi, o Buono, le due tue venute.

– Come entrerò io, indegno come sono, negli splendori del tuo Santuario? Poiché, se oso entrare nella sala delle nozze, l’abito che io porto mi condanna, perché non è l’abito nuziale; e, incatenato, sarò cacciato via dagli Angeli. Lava, o Signore, la sozzura dell’anima mia, e mi salva, tu che sei amante degli uomini.

– O Sovrano amante degli uomini, Signore Gesù Cristo, mio Dio, fa’ che questi doni non siano per me causa di condanna a motivo della mia indegnità, ma siano purificazione e santificazione dell’anima e del corpo e caparra della vita e del regno futuro. E’ buono per me l’essere unito a Dio, riporre nel Signore la speranza della mia salvezza.

E di nuovo :

Del tuo mistico convito ecc. (come sopra).

Il Sac. poi prende una particola, del santo pane e dice:

Si comunica a me N. Sacerdote il prezioso e tuttosanto corpo di nostro Signore e Dio Salvatore Gesù Cristo, in remissione dei miei peccati e per la vita eterna.

E così si comunica del santo pane con timore e con ogni precauzione.

Poi dice: Diacono, appressati.

E il Diac. appressandosi, dice:

Ecco, io m’appresso a Cristo Re immortale e Dio nostro. Impartiscimi, o Sovrano, il prezioso e santo corpo del Signore e Dio Salvatore nostro Gesù Cristo, in remissione de’ miei peccati e per la vita eterna.

E fa un’inchino, chiedendo piamente perdono. E il Sac. prendendo del s. pane lo dà al Diacono, dicendo:

Si comunica a te N. Diacono il prezioso e Santissimo corpo del Signore e Dio Salvator nostro Gesù Cristo, in remissione dei tuoi peccati e per la vita eterna.

Il Diac., dopo aver baciato la mano che lo comunica, si ritira dietro l’altare, dove, come il sacerdote, si comunica col santo pane che tiene nella palma della destra. Indi il Sac. prende con ambe le mani il santo calice insieme col velo e dice:

Ancora si comunica a me N. Sacerdote il prezioso e santissimo sangue del Signore e Dio e Salvator nostro Gesù Cristo, in remissione de’ miei peccati e per la vita eterna.

E ne prende tre volte, si asterge col velo che tiene in mano le labbra e il calice, e dopo averlo baciato, chiama il diacono, dicendo:

Ierodiacono, appressati anche una volta.

Il Diac. va innanzi alla s. mensa, si asterge attentamente sul s. disco la palma della mano con la spugna, dicendo:

Mi appresso ancora una volta: impartiscimi, Signore, il prezioso e santissimo sangue del Signore e Dio Salvator nostro Gesù Cristo, in remissione dei miei peccati e per la vita eterna.

E il Sac., facendolo partecipare tre volte del s. calice, dice:

Ancora si comunica a te Àr . Ierodiacono il prezioso e santissimo sangue del Signore e Dio e Salvator nostro Gesù Cristo, in remissione de’ tuoi peccati, e per la vita eterna.

Dopo che il Diac. s’è comunicato, il Sac. dice:

Questo ha toccato le tue labbra, e cancellerà le tue iniquità e purgherà i tuoi peccati.

Allora il Diac. prende il S. disco e, tenendolo sopra il s. calice, lo terge molto accuratamente con la Spugna, e con attenzione e devozione copre col velo il santo calice, e parimenti pone sul santo disco lasterisco e i veli.

[Intanto il Sac. legge segretamente la Preghiera di ringraziamento: Ti rendiamo grazie, misericordioso Signore, benefattore delle anime nostre, perché anche in questo giorno ci hai tenuti degni dei tuoi sovraccelesti e immortali misteri. Rendi diritta la nostra via, confermaci tutti nel tuo timore, custodisci la nostra vita, assicura i nostri passi in considerazione delle preghiere e delle suppliche della gloriosa Madre di Dio e sempre vergine Maria, e di tutti i santi tuoi.]

b. Comunione dei fedeli

Dopo l’Alleluia del kinonikon, apertasi la porta speciosa, il Diac. prende dal Sacerdote il santo calice coperto, e, avanzandosi sulla porta, lo eleva e dice ad alta voce: Con timore di Dio, con fede e carità appressatevi.

Il Sac. si avvicina, prende il Calice dalle mani del Diac. Quindi distribuisce la S. Comunione col cucchiaino ai fedeli che la ricevono sotto le due specie. Il

Sac. dice al Comunicante: Il Servo di Dio N. riceve il prezioso e tutto santo corpo e sangue del Signore e Dio Salvatore nostro Gesù Cristo per la remissione de’ suoi peccati e per la vita eterna. Così sia.

Mentre i fedeli si comunicano il coro canta una o più volte, secondo il numero de’ comunicanti, il tropario: Del tuo mistico Convito, o Figliuolo di Dio, fammi oggi partecipe; ch’io non paleserò il Mistero ai tuoi nemici; non ti darà un bacio come quello di Giuda; ma come il Ladrone io ti confesso: Ti sovvenga di me, o Signore, quando sarai nel tuo regno.

Quindi il Sac. benedicendo il popolo, dice: Salva, o Dio, il tuo popolo, e benedici la tua eredità.

c. Reposizione delle s. specie

Il coro: Abbiam veduto la vera luce, abbiam ricevuto lo spirito sovracceleste, abbiam trovata la vera fede, adorando la Triade indivisibile, poiché questa ci salvò.

[Il Sac. e il Diac. fanno ritorno alla s. mensa.

Quindi il Sac. prende il s. disco e lo pone sul capo al diacono.

Questo tenendolo devotamente e guardando verso il popolo senza dir nulla, se ne va alla Pròtesi e ve lo depone.]

[Il Sac. preso il santo calice, dice segretamente: Benedetto sia il nostro Dio.]

E rivolto al popolo, ad alta voce: In ogni tempo, ora e sempre, e ne’ secoli de’ secoli.

Il coro: Così sia.

E depone il calice sull’altare della preparazione.

9. Ringraziamento e rinvio

E il diacono uscito e messosi nel solito posto, dice:

In piedi! Ora che abbiam partecipato dei divini, santi, intemerati, immortali, sovraccelesti e vivificanti tremendi Misteri di Cristo, rendiamo degne grazie al Signore.

Il coro: Signore, pietà!

Soccorrici, salvaci, abbi pietà di noi, e ci custodisci, o Dio, con la tua grazia. Il coro: Signore, pietà!

Dopo aver domandato che questo giorno tutto sia perfetto, santo, tranquillo e senza peccato, raccomandiamo noi stessi, e gli uni gli altri, e tutta la nostra vita a Cristo Dio.

Ed entra nel santuario.

Il coro: A te, Signore.

Il Sac. ad alta voce:

Poiché tu sei la nostra santificazione, e rendiamo gloria a te Padre e al Figliuolo e allo Spirito Santo, ora e sempre, e nei secoli de’ secoli.

Il coro: Così sia.

Il Sac.: Andiamo in pace.

Il Diac.: Preghiamo il Signore.

Il coro: Signore, pietà!

Il Sac. esce dalla porta santa e stando dinanzi alla icone di N. S. Gesù Cristo, recita ad alta voce questa preghiera detta opistambona:

O Signore, tu che benedici quei che ti benedicono, e santifichi coloro che confidano in te, salva il popolo tuo e benedici la tua eredità. Custodisci l’insieme della tua Chiesa, santifica coloro che amano il decoro della tua casa; tu in contraccambio li glorifica con la tua divina potenza, e non abbandonar noi che speriamo in te. Dona la pace al mondo ch’è tuo, alle tue chiese, ai Sacerdoti, ai nostri re, all’esercito e a tutto il popolo tuo; poiché ogni grazia buona e ogni dono perfetto vien dall’alto, scendendo da te Padre dei lumi, e a te rendiamo gloria, azione di grazie e adorazione, a te Padre e al Figliuolo e allo Spirito Santo, ora e sempre, e ne’ secoli de’ secoli. Il coro: Così sia.

Il coro: Sia benedetto  il nome del Signore da ora e fino all’eternità (tre volte).

[Il Sacerdote rientra per le porte sante, si reca alla Protesi e dice segretamente questa orazione:

O Cristo, Dio nostro, tu che sei l’adempimento della legge e de’ profeti, che hai compiuta pienamente la missione avuta dal Padre, riempi di gioia e di letizia i nostri cuori, in ogni tempo, ora e sempre, e ne’ secoli. Così sia.]

Il Diac. Preghiamo il Signore.

Il coro: Signore, pietà!

Il Sac. benedicendo:

La benedizione e la misericordia del Signore scenda sopra di noi colla sua grazia e il suo amore per gli uomini, in ogni tempo, ora e sempre, e nei secoli dei secoli.

Il coro: Così sia.

Il Sac. Gloria a te, o Cristo Dio, speranza nostra, gloria a te.

Il Lettore: Gloria al Padre  e al Figliuolo e allo Spirito Santo, ed ora e sempre, e nei secoli de secoli. Cosi sia. Signore, pietà! (tre volte) Signore venerando, benedici.

[Frattanto il Diac. Recatosi alla Pròtesi raccoglie e riunisce con timore e con ogni cura le sante specie, onde nessuna particella, sia pur tenuissima, cada o rimanga; poi si lava le mani nel lavabo.]

Il Sac. rivolto al popolo dice l’apolisi:

Cristo verace Dio nostro, per l’intercessione della santa Madre sua, tutta intemerata, tutta immacolata, per la virtù della preziosa e vivificante Croce, per la protezione delle venerande e sovraccelesti Podestà incorporee, per le supplicazioni del venerando e glorioso Profeta e Precursore Giovanni Battista, dei gloriosi e celebrati Apostoli (del santo della chiesa, se e Profeta, Apostolo o Gerarca), de’ santi gloriosi e vittoriosi Martiri (del santo della chiesa, se è Martire), dei venerandi e teofori Padri nostri (del santo della chiesa, se Confessore), del santo Padre nostro Giovanni Crisostomo, Arcivescovo di Costantinopoli, dei santi e giusti progenitori di Dio, Gioacchino ed Anna (del santo del giorno), di cui celebriamo la memoria e di tutti i Santi, abbi pietà di noi e ci salvi, Dio buono qual è ed amante degli uomini.

Il Sac. di nuovo:

Per le preghiere de’ nostri santi padri, Signore Gesù Cristo, Dio nostro, abbi pietà di noi.

Il coro: Così sia.

10. Distribuzione dell’antidòro

Quindi il Sac. distribuendo il santo antidòro, dice ad ognuno:

La benedizione e la misericordia del Signore scenda sopra di te, in ogni tempo, ora e sempre, e ne’ secoli de’ secoli. Così sia.

E ognuno, ricevuto che abbia l’antidòro e fatto un inchino profondo, esce in buon ordine dalla chiesa.

11. Ultime preghiere

Il Sac. dopo la distribuzione del s. antidòro, entrato nel santuario, si spoglia delle vesti sacerdotali, dicendo:

Or tu rimandi il tuo servo, o Signore, secondo la tua parola, in pace: poiché han veduto gli occhi miei la tua salute, la quale hai preparata nel cospetto di tutti i popoli luce per illuminar le genti, e gloria d’Israel, tuo popolo.

Poi recita il trisagio, l’apolytikion del giorno e quello di s. Giov. Crisostomo:

La grazia, che brillò dalla tua bocca, qual face, illuminò l’universo, depose nel mondo tesori di disinteresse, mostrò a noi la sublime altezza dell’umiltà. Or tu, ammaestrandoci con la tua parola, o padre nostro Giovanni Crisostomo, prega Cristo, il Verbo Divino, di salvare le anime nostre.

Quindi il kontàkion del giorno e quello di s. Giovanni Crisostomo.

Dal cielo hai ricevuta la grazia divina, e dalle tue labbra noi tutti impariamo ad adorare Iddio Uno nella Trinità, o beatissimo s. Giovanni Crisostomo. Giustamente a te inneggiamo: sei difatti Dottore nostro, poiché ci scopri le verità divine.

Ovvero: Signore, pietà (12 volte).

Gloria al Padre e al Figliuolo e allo Spirito Santo, ed ora e sempre, e ne’ secoli dei secoli. Così sia.

Te più onorabile de’ Cherubini e incomparabilmente più gloriosa dei Serafini, te che senz’ombra di corruzione partoristi il Verbo di Dio, te magnifichiamo qual vera Madre di Dio.

Fa quindi l’apòlisi.

E, dopo aver baciata la santa mensa, dalla quale ricevette la grazia del sacerdozio come sorgente delle divine grazie e della santificazione, dice:

Per le preghiere de’ nostri santi Padri, ecc.

E fatto un inchino, e rese grazie a Dio, esce.

IMPRIMI POTEST

Romæ, 19 ian. 1937.

P . RAPHAEL BITETTI

Præp. prov. Rom. S. I.

IMPRIMATUR

Romæ, 19 ian. 1937.

ALOYS. TRAGLIA

Archiep. Cæsar., Vic. ger.

ROMÆ

 

L’ESAME DI COSCIENZA PER UNA BUONA CONFESSIONE

L’ESAME DI COSCIENZA PER UNA BUONA CONFESSIONE.

PECCATI CONTRO I DIECI COMANDAMENTI

APeccati contro il primo Comandamento
(1. Io sono il Signore tuo Dio: non avrai altri dèi all’infuori di me.)

-1) Hai dubitato in materia di fede? –O–

-2) Hai consultato maghi o indovini? –O–

-3) –O– Credi nei sogni? –O–

-4) Hai fatto uso di pratiche di superstizione? –O–

-5) Sei andato ai luoghi di falso culto e preso attivamente parte ai servizi religiosi di una falsa chiesa? [protestanti, ortodossi, novus ordo, lefebvriani, sedevacantisti, eretici vari, etc.] –O–

-6) Hai aderito alla massoneria, al comunismo,  ad altre società proibite,  o a partiti anticristiani? –O–

-7) Leggi libri o giornali anti-cattolici? –O–

-8) Hai trascurato l’istruzione religiosa? –O–

-9) Hai omesso i doveri religiosi per paura o per rispetto umano, o per non sembrare ridicolo? –O–

-10) Hai mormorato contro Dio, o la sua grazia? –O–

-11) Hai avventatamente presunto della sua bontà nel commettere peccati? –O–

-12) Hai pregato nel momento della tentazione? –O–

-13) Hai pregato per la tua famiglia? Hai trascurato con i familiari la preghiera quotidiana? –O–

-14) Hai recitato le preghiere distrattamente, con noncuranza, senza devozione, in modo sconsiderato, o  con la mente ad altro? –O–

-15) Hai impiegato una quantità ragionevole di tempo nel  ringraziamento dopo la Comunione? –O–

-16) Ti sei rivolto in modo irriverente verso Dio, persone,  luoghi o cose sacre? –O–

-17) Ti sei associato a persone che possono avere una cattiva influenza sulla tua vita?–O–

-18) Hai rifiutato di mettere segni di fede in casa, come crocifissi, immagini della Madonna o dei Santi? –O–


B” Peccati contro il secondo comandamento

(2. Non nominerai invano il nome del Signore tuo Dio.)

-1) Hai nominato il nome di Dio invano? –O–

-2) Hai deriso  il Nome di Dio con l’uso profano o irriverente nei discorsi con altri? –O–

-3) Hai dato cattivo esempio ai figli con tali discorsi in loro  presenza, o trascurato di correggerli quando hanno  utilizzato un linguaggio irriverente o profano? –O–

-4) Hai parlato con rispetto dei Santi o delle cose sante? –O–

-5) Hai tollerato che altri in famiglia lo facessero? –O–

-6) Hai giurato falsamente, chiamando cioè Dio a testimoniare la verità in quello che stavi dicendo, mentre in realtà stavi mentendo? –O–

-7) Hai giurato avventatamente, anche per materia leggera e banale? –O–

-8) Hai maledetto persone, animali o cose? –O–

-9) Hai bestemmiato, utilizzando un linguaggio insolente, disprezzando Dio, i suoi Santi o le cose sacre? –O–

-10) Hai indotto altri a farlo? –O–

-11) Hai criticato la misericordia o la giustizia di Dio, o diffidato della sua Provvidenza? –O–

C Peccati contro il terzo comandamento
(3. ricordati di santificare il giorno del Signore.)

-1) Di Domenica  e nei giorni comandati festivi dalla Chiesa, hai assistito, potendo, alla santa Messa?–O–

-2) Sei arrivato  tardi alla Messa? Ti sei comportato correttamente in chiesa? –O–

-3) Hai eseguito o comandato lavoro servile inutile, comprato o venduto senza necessità o impellenza? –O–

-4) Ti sei dato al  gioco d’azzardo, al bere, ai bagordi, ai piaceri e spettacoli illeciti, allo sport, profanando i giorni Santi? –O–

D Peccati contro il quarto comandamento
(4. Onora tuo padre e tua madre.)

-1) Hai dato il dovuto onore, amore, gratitudine ed obbedienza ai tuoi genitori? –O–

-2) Hai dimostrato onore ed obbedienza ai tuoi pastori e agli altri legittimi superiori? –O–

-3) Hai chiesto perdono per aver fatto loro del male? –O–

-4) Sei stato irrispettoso verso i tuoi genitori parlando loro con rabbia, rivolgendoti in modo scortese e con parole dure sul loro conto, o ti sei vergognato di loro? –O–

Se sei un genitore,

-5) Hai dimostrato mancanza di onore, amore e gratitudine verso i tuoi genitori alla presenza dei tuoi figli? –O–

-6) Li hai criticati respingendo i loro ordini? –O–

-7) Hai corretto e punito i tuoi figli per gravi trasgressioni, o proibito loro di esporsi a gravi occasioni di peccato? –O–

-8) Hai collaborato con gli insegnanti all’educazione dei tuoi figli? –O–

-9) Hai rifiutato di mandare i tuoi figli alla scuola cattolica quando avresti potuto farlo, od omesso senza permesso del Vescovo o del  parroco? –O–

-10) Se non esiste una scuola cattolica a te vicina, hai mandato almeno i figli al Catechismo fedelmente? –O–

-11) Hai partecipato con interesse alle loro lezioni di Catechismo? Hai collaborato col parroco o le suore nei loro progetti per stimolare la fede? –O–

-12) Hai addestrato e corretto i tuoi figli nella castità? –O–

-13) Sei stato irrispettoso verso le persone anziane? –O–

-14) Hai avuto adeguata cura per i figli e per i tuoi dipendenti sia in materia profana che religiosa, soprattutto dando loro un buon esempio? –O–

Se sei un figlio:

-15) Hai rifiutato di parlare con tuo padre e tua madre? –O–

-16) Provi risentimento verso di loro? –O–

-17) Hai obbedito ai genitori quando ti hanno ordinato di evitare cattive compagnie od occasioni di peccato? –O–

-18) Hai obbedito alle regole date per quanto riguarda persone da portare in casa, il trascorrere le ore notturne, il comportamento da tenere in casa? –O–

-19) Nel guadagnare denaro, quando vivevi a casa o quando eri ancora soggetto ai tuoi genitori, hai rifiutato di dare loro parte dei tuoi guadagni quando ne hanno avuto bisogno o ne hanno fatto richiesta? –O–

-20) Come cittadino, hai obbedito alle leggi della città e  del tuo Paese per la sicurezza ed il benessere di tutti? –O–

EPeccati contro il quinto comandamento
(5. : non uccidere.)

Il quinto comandamento proibisce: l’omicidio, il suicidio, la negligenza criminale che potrebbe causare gravi lesioni o morte di una persona, la forte rabbia e l’odio, l’aborto, l’eutanasia, l’uso di droghe, la sterilizzazione, l’ubriachezza, l’induzione a commettere un peccato mortale, il combattimento e il duello, la vendetta.

-1) Hai procurato, desiderato o  affrettato la morte di qualcuno? –O–

-2) Sei stato colpevole di rabbia, odio, litigi, vendetta? –O–

-3) Hai usato la lingua provocando, insultando o gettando nel ridicolo? –O–

-4) Ti sei rifiutato di parlare con altri? –O–

-5) Hai causato inimicizie? –O–

-6) Hai dato scandalo? –O–

-7) Hai mangiato o bevuto troppo? –O–

-8) Sei stato scortese, irritabile, impaziente? –O–

-9) Hai provocato in altri rabbia offendendoli, o fatto loro del male per ira o impazienza? –O–

-10) Hai avuto pensieri di gelosia, di vendetta, di avversione, di risentimento o di disprezzo verso gli altri? –O–

-11) Hai intrattenuto rapporti di compagnia con chi beve in eccesso? Li hai incoraggiati a bere? –O–

-12) Hai favorito la loro ubriachezza? –O–

-13) Hai trascurato la salute, messo in pericolo  la vita? –O–

-14) Hai trascurato di prenderti cura della salute dei tuoi figli o di coloro a te soggetti? –O–

-15) Hai messo in pericolo la vita di altri guidando  un’auto in stato di ebbrezza o tossicosi, con grave pericolo per la sicurezza, o in qualsiasi altro modo? –O–

FPeccati contro i sesto e il nono comandamento
(6. non commettere adulterio.)
(9. non desiderare la moglie del tuo prossimo.)

Questi due comandamenti richiedono purezza e modestia nella nostra vita: nei nostri pensieri, parole ed azioni, da soli o con gli altri. – In generale, questi comandamenti vietano: l’adulterio, la fornicazione, l’auto-abuso, le trasparenze indecenti, lo sbaciucchiare, i baci impuri, le danze e i balli provocanti, le espressioni volgari e sporche, i peccati contro natura, il controllo delle nascite, i tocchi sconvenienti, il petting, il guardare immagini impure, danze, spettacoli lascivi, film, la lettura di libri o riviste impuri.

-1) Hai avuto pensieri sconvenienti, impuri o immodesti, usate parole o fatte azioni impure da solo o con altri? –O–

-2) Hai usato parole o frasi a doppio senso? Hai raccontato storie sporche o provocanti? –O–

-3) Hai incoraggiato altri a farlo? Hai insegnato agli altri a farlo? –O–

-4) Hai evitato occasioni di peccato in questa materia? –O–

-5) Hai custodito la tua vista, o hai permesso agli occhi di vagare con curiosità su oggetti pericolosi? –O–

-6) Ti sei messo nell’occasione di peccare con la lettura di libri cattivi, con la visione di immagini indecenti, con cattive compagnie, assistendo a spettacoli immorali, guardando film, programmi televisivi o siti internet indecenti,  cantando canzoni oscene? –O–

-7) Hai distribuito riviste o libri osceni? Hai informato gli altri su dove e come fare a procurarseli? –O–

-8)Hai incoraggiato altri a leggerli? –O–

-9) Hai avuto desiderio di fare cose impure?  –O–

-10)Sei stato occasione di peccato per gli altri, con conversazioni, abbigliamento, aspetto o azioni provocanti? –O–

-11) Ti sei toccato  commettendo impurità? –O–

Se sposati:

-12) hai commesso peccato di impurità con persona sposata o single? –O–

-13) Ti sei dato ad effusioni prolungate, baci ed  abbracci con persona diversa dal tuo coniuge? –O–

-14) Hai usato mezzi contraccettivi nello svolgimento delle funzioni matrimoniali? –O–

-15) Hai rifiutato od omesso, senza motivi sufficienti, di assoggettarti al debito coniugale quando richiesto per fini leciti? –O–

GPeccati contro i comandamenti settimo e decimo
(7. non rubare.) – (10. non desiderare la roba d’altri.)

.-1) Questi comandamenti vietano: la rapina e il furto con scasso, il lucro da corruzione, tangenti, il furto con danno della proprietà altrui. –O–

Questi comandamenti non riguardano solo il rubare ma ogni tipo di comportamento disonesto, ad esempio il tradimento, l’ingiusto trattenere ciò che appartiene agli altri, il danno alla proprietà altrui, la frode da parte di funzionari pubblici. – Questi comandamenti sono violati anche da:

-2) i commercianti che usano falsi pesi e misure, –O–

-3) che fanno profitti esorbitanti o mentono circa le qualità essenziali dei loro prodotti; –O–

-4) da coloro che ottengono danaro, convincendo ad investimenti perdenti, con la garanzia di guadagno; –O–

-5) da coloro che consapevolmente spacciano denaro falso, o traggono vantaggio indebito dall’ignoranza o dalle necessità di un altro; –O–

-6) dai datori di lavoro che derubano i lavoratori; –O–

-7) dai dipendenti perditempo nelle ore lavorative, …–O–

-8) … o che eseguono il lavoro negligentemente –O–

-9) … o trascurano curar la proprietà dei datori di lavoro; –O–

-10) dai proprietari che applicano prezzi esorbitanti; –O–

-11) da chi non restituisce i prestiti; –O–

-12) da coloro che emettono assegni o carte false; –O–

-13) da chi non restituisce quanto trovato; –O–

-14) da chi vende articoli difettati al prezzo usuale; –O–

-15) da chi non paga le bollette o le tasse dovute; –O–

-16) da chi priva una famiglia delle sue necessità con gioco d’azzardo, alcool, droga o shopping inutile. –O–

-17) Hai rubato o conservato beni illeciti? –O–

-18) Hai danneggiato o perso cose di proprietà altrui? –O–

-19) Hai accettato tangenti, regali, mazzette? –O–

-20) Hai trascurato di effettuare la restituzione di beni indebitamente acquisiti, o di aiutare i poveri? –O–

-21) Hai desiderato i beni degli altri? –O–

– 22) Hai sperperato i tuoi  beni? –O–

-23) Come genitore, hai insegnato ai tuoi figli un rigoroso senso dell’onestà e della giustizia, punendo eventuali furti lievi o gli inganni? –O–

-24) Hai peccato secondo le suddette modalità? –O–

HPeccati contro l’ottavo comandamento
(8. non darai falsa testimonianza contro il tuo prossimo.)

Questo comandamento proibisce: bugie, calunnie, maldicenza, falsa testimonianza; critiche ingiuste, inutili ed eccessive; pettegolezzi, calunnie, insulti, giudizi temerari, narrazione di segreti che si è tenuti a conservare, imbrogli, tradimenti, notizie maliziose.

-1) Hai reso falsa testimonianza per o contro qualcuno? –O–

-2) Ti sei reso colpevole di qualche calunnia, adulazione, ipocrisia, menzogna, giudizio temerario? –O–
-3) Hai avuto cattivi pensieri su altri? –O–

-4) Hai alimentato sospetti, coltivato risentimenti –O–

-5) hai rifiutato di perdonare agli altri quando hanno chiesto scusa? –O–

-6) Hai riferito maldicenze dette su di te? –O–

-7) Hai riportato le colpe dei tuoi genitori, di tua moglie, o marito, dei figli, ad altri che non hanno a che fare nulla con di loro? –O–

-8) Ti sei comportato in casa in modo infastidito, con lamentele,  spropositi, ignominie, meschinità e litigi? –O–
-9) Hai provocato danni al tuo prossimo, senza provare poi a riparare quanto è successo? –O–

-10) Hai cercato di distruggere il buon lavoro svolto da un altro, o ad ostacolarlo e comprometterlo? –O–

-11) Sei stato sensibile, compassionevole, senza cattivi pensieri, o malizia con gli altri? –O–

IPECCATI CONTRO I PRECETTI DELLA CHIESA

I. Hai rispettato le domeniche ed i dì festivi come comandato dalla Chiesa? –O–

II.
Hai praticato il digiuno? Hai mangiato carne nei giorni proibiti? –O–

Hai incoraggiato altri a violare i precetti della Chiesa? –O–

Hai dato scandalo mancando di obbedire alla Chiesa in quest0? –O–

III. Sei andato a confessarti almeno una volta all’anno? –O–

Hai ricevuto la Santa comunione durante il tempo Pasquale? –O–

IV. Sei membro di società proibite? … un comunista, un socialista, un massone? –O–

V. Hai contribuito al sostegno della Chiesa, della scuola cattolica, del pastore e parroco? Hai impedito gli altri da tale adempimento? Hai fomentato ribellione contro l’autorità Chiesa?

Hai dato il cattivo esempio ai figli rifiutando di sostenere la Chiesa?

Hai provato ad insegnare ai figli a dare la loro offerta per il sostegno della Chiesa?

Hai ridicolizzato coloro che fanno la loro parte ed offrono spesse volte di più della loro quota a sostegno della Chiesa? –O–

VI. Ti sei sposato violando le leggi della Chiesa cattolica, –O–

… o aiutato altri a farlo? –O–

Sei in compagnie [associazioni, partiti, etc.] che potrebbero un giorno rivelarsi pericolose per te ed indurti ad una violazione di questo precetto della Chiesa? Incoraggi altri a intrattenere tali compagnie? –O–

OBBLIGHI DI UNO STATO IN VITA

Doveri dei figli

Hai disobbedito ai tuoi genitori? Sei  stato causa della loro rabbia? –O–

Hai causato loro dolore? –O–

Hai usato un linguaggio offensivo nei loro confronti? –O–

Hai conservato o sprecato il tuo salario che doveva servire per il loro sostegno? –O–

Hai incitato i tuoi fratelli e sorelle o altri contro di loro? –O–

Hai trascurato di confortarli o prestare loro aiuto? –O–

Li hai trascurati nella malattia e nella morte? –O–

Doveri dei mariti

Hai afflitto o abusato di tua moglie; o l’hai accusata ingiustamente? –O–

Hai trascurato di fornire sostegno alla tua famiglia? –O–

Hai dato ai tuoi figli cattivi esempi? –O–

Non sei riuscito a correggere i loro errori? –O–

Hai interferito con la loro vocazione religiosa? –O–

Compiti delle mogli

Hai disobbedito a tuo marito? –O–

Hai indotto i tuoi figli a disobbedirgli e disonorarlo? –O–

Hai parlato delle sue colpe ai tuoi figli o a conoscenti ? –O–

Hai trascurato di correggere i tuoi figli? Hai dato loro cattivo esempio? Li hai istruiti nella religione? –O–

Hai interferito con la loro vocazione religiosa? –O–

Peccati capitali:

Orgoglio, –O–

Invidia, –O–

Ira,  –O–

Pigrizia, –O–

Avarizia, –O–

Gola,   –O–

Lussuria –O–  .

Annotazioni personali …..

UN’ENCICLICA AL GIORNO, TOGLIE GLI ERETICI ED APOSTATI DI TORNO: CUM RELIGIOSI ÆQUE

Il Santo  Padre P. Lambertini, Benedetto XIV, riprende in questa lettera, un tema a lui particolarmente caro, l’insegnamento della Dottrina Cattolica, (tema già affrontato in: “Etsi minime”), argine all’ignoranza religiosa, foriera di condizioni spirituali e  materiali disastrose e che ha, come ultima conseguenza, la perdita dell’anima in eterno. Tra le altre, ricordiamo le esortazioni: “… che ogni Parroco faccia ciò che gli viene prescritto dal Sacro Concilio Tridentino ed anche dai Vostri Sinodi: che s’insegni in giorni determinati la Dottrina Cristiana dai Maestri e dalle Maestre delle Scuole; che i Confessori facciano il loro dovere quando qualcuno si accosta al loro Tribunale ignorando le cose necessitate Medii per salvarsi; e che lo stesso si faccia anche dai Parroci prima di congiungere in Matrimonio coloro che vogliono sposarsi. S’inculchi ai Padri di Famiglia e ai Padroni delle Case l’obbligo d’istruire e fare istruire i loro figli e i familiari nella Dottrina Cristiana …”. Queste esortazioni non sono state evidentemente sufficienti a richiamare tutti al loro dovere, cosicché, quando i satanici novatori, hanno ribaltato la dottrina cattolica, solo pochi hanno “arricciato il naso”, e nessuno ha veramente protestato abbaiando come saggi guardiani, e non restando cani muti, contro i lupi penetrati nell’ovile a sbranare le pecore … anzi non pochi pastori (finti e non) si sono seduti a mensa nelle agapi rosacrociane imbandite da quelli che hanno introdotto la sinagoga di satana nella Chiesa di Cristo: i nemici di Dio e di tutti gli uomini, come li appellava già l’Apostolo delle genti. Ed infatti, desti dal sonno profondo e colpevole, basterebbe rileggere solo pochi capitoli del Catechismo cattolico, per capire come la rivoluzione orgogliosa di lucifero, sia penetrata fin nelle midolla di falsi e corrotti prelati, tra i quali la maggior parte non sono mai stati ordinati, o per difetto di intenzione,  e privi di mandato e giurisdizione (ad es. i massonici cavalieri kadosh con le derivate “fraternità”, i tesisti eretici, i sedevacantisti cranio-vacanti, cerebro-privi, etc.), o per difetto di forma, come i falsi vescovi del “novus ordo” ordinati con la blasfema-gnostica formula dal 18 giugno del 1968. Riprendiamo allora i saggi consigli del Santo Padre Benedetto XIV, che tra l’altro ricorda S. Carlo Borromeo, studiamo la dottrina dagli scritti cattolici dei secoli scorsi che ancora si trovano, ed attendiamo fiduciosi il ritorno del Signore Gesù-Cristo che ristabilirà, ammantandola di nuovo splendore, la sua Sposa immacolata, la Chiesa Cattolica Romana, come ci ha promesso dicendo a Pietro, il Principe degli Apostoli: “portæ inferi non prævalebunt”.

Benedetto XIV

Cum Religiosi Æque

Essendoci stato rappresentato da persone di studio e zelanti dell’onore di Dio che sarebbe stata ottima cosa che nelle Nostre Basiliche Patriarcali di San Giovanni in Laterano, di San Pietro in Vaticano e di Santa Maria Maggiore si fossero stabiliti Ministri che istruissero i penitenti, i quali dalla Dataria Apostolica si trasferiscono alle predette tre Basiliche per adempiere in esse le opere servili e laboriose che vengono loro prescritte (e che devono adempiere prima che ad essi si rilasci la Dispensa Matrimoniale, per ottenere la quale si sono portati a Roma), e che l’istruzione si limiterebbe ad indurli a fare una fruttuosa Confessione ed a ricevere degnamente il Sacramento dell’Altare (il che viene pure prescritto loro dalla Dataria, oltre la visita delle sette Chiese e la salita alle Scale Sante); avendo Noi dato in materia gli ordini opportuni, come emerge nella Nostra Lettera Enciclica scritta ai Cardinali Arcipreti delle dette tre Basiliche in data 18 gennaio di quest’anno; avendo avuti sicuri riscontri dello zelo con il quale alcuni Canonici ed altri Ecclesiastici delle predette Basiliche si sono accinti indefessamente per l’esecuzione degli ordini dati, ne abbiamo avuto una straordinaria consolazione e ne abbiamo reso di cuore le dovute grazie al Signore Iddio, Autore di ogni bene.

1. La Nostra consolazione non è stata però completa in tutto e per tutto, essendoci stato riferito che in occasione dei Catechismi che si vanno facendo per disporre i Penitenti alla Confessione ed alla Comunione, si ritrovano spesso Dispensandi ignari dei Misteri della Fede, compresi quelli che sono necessari necessitate Medii; pertanto non possono essere ammessi ai Sacramenti. – A tale gravissimo inconveniente, quantunque i ricordati Ministri non manchino di porre gli opportuni rimedi con le necessarie istruzioni, non è però che oltre la sollecitudine e la fatica che quegli operai del Vangelo ritengono necessario ed indispensabile e che ben volentieri soffrono, ciò non amareggi i Dispensandi, i quali – essendo poveri e vivendo con le fatiche delle loro mani – non vedono l’ora di partire da Roma, tornare alle loro Patrie e contrarre il matrimonio cui anelano e per il quale hanno intrapreso il viaggio e si sono sottoposti alla pubblica, laboriosa penitenza.

2. Nel principio del Nostro Pontificato spedimmo una Lettera Enciclica nella quale eccitammo lo zelo dei Nostri Confratelli sull’insegnamento della Dottrina Cristiana nelle loro Diocesi. Abbiamo letto i loro Sinodi vecchie nuovi ed abbiamo riconosciuto che sono pieni di esortazioni e di istruzioni, e che nulla vi manca di quanto è necessario per l’importantissima opera dell’insegnamento della Dottrina Cristiana. Pertanto, in assoluta buona fede dichiariamo di essere persuasi che fra di loro non c’è nessuno che in questa materia abbia mancato al proprio Apostolico Ministero, e che l’ignoranza rilevata in alcuni loro Diocesani non sia determinata né provenga da loro colpa o negligenza, ma dalla ritrosia dei sudditi nell’ubbidire agli ordini dei loro Superiori, nel non andare alla Dottrina Cristiana e nell’accostarsi poche volte, o forse mai, a sentire la parola di Dio, o nell’incapacità di taluni di apprendere ciò che si insegna loro, o nell’essere stati alla Dottrina Cristiana solo nei primi anni della loro età senza più essersi curati di accostarsi a quei luoghi nei quali avrebbero potuto comodamente, e forse con maggior profitto intendere, nell’età adulta, quanto fu loro detto nell’età puerile, in modo che si riducono in tutto nella condizione simile a quella in cui si ritrovano coloro che nell’età puerile non sono mai stati istruiti né sono mai stati alla Dottrina Cristiana. Tutti questi disordini, che si sono verificati e si verificheranno nonostante le diligenze dei Nostri degni Confratelli, non esentano però Noi dal peso di dovere con questa Nostra Lettera Enciclica eccitare nuovamente il loro zelo, né esentano Essi dal proseguire e dall’accrescere le loro diligenze su una materia dalla quale dipende l’eterna salute delle Anime affidate alla loro cura.

3. Forse non vi sarà nessuno fra di Voi, Venerabili Fratelli, che non sia pienamente informato di quanto fece San Carlo Borromeo sia nella sua vasta Diocesi di Milano, sia in tutta la Provincia di cui era Metropolita, per stabilire un fruttuoso insegnamento della Dottrina Cristiana. Quante e quali furono le fatiche che Egli sopportò per ben fondare questo Santo Istituto! Quando Egli si accorse che le fatiche compiute non avevano conseguito il frutto che Egli desiderava, non si perdette d’animo ma aggiunse diligenze a diligenze, come si apprende dal suo quinto Concilio Milanese: “Nos multam hactenus diligentiam adhibuimus, ut omnes et singuli Christifideles in Fidei Christianae rudimentorum institutione erudirentur; sed cum parum Nos hucusque profecisse tanta in re cognoverimus, negotii, periculique magnitudine adducti, haec praeterea decernimus“. Era bastato a quel grande santissimo Presule sapere che v’era bisogno, per operare in avvenire, aggiungere diligenze a diligenze, nonostante quel molto che fino ad allora aveva fatto; nello stesso modo che bastò al Re degli Assiri avere avuto la notizia che le genti ignoravano i precetti di Dio: “Nuntiatumque est Regi Assyriorum, et dictum: gentes, quas transtulisti et habitare fecisti in Civitatibus Samariae, ignorant legitima Dei Terrae“, per spedirvi subito un Sacerdote che insegnasse a quei Popoli i precetti di Dio: “Praecepit autem Rex Assyriorum dicens: ducite illuc unum de Sacerdotibus, quos inde captivos abduxistis, et vadat et habitet cum eis, et doceat eos legitima Dei Terrae“, come si legge nel libro 4 Dei Re (2Re 17,27).

4. Noi, conformandoci a questo pratico insegnamento di San Carlo Borromeo, nonostante le diligenze finora praticate da Voi, Vi esortiamo, pregandovi per le viscere di Gesù Cristo, a non perdervi d’animo nella grande opera dell’insegnamento della Dottrina Cristiana. Fate che ogni Parroco faccia ciò che gli viene prescritto dal Sacro Concilio Tridentino ed anche dai Vostri Sinodi: che s’insegni in giorni determinati la Dottrina Cristiana dai Maestri e dalle Maestre delle Scuole; che i Confessori facciano il loro dovere quando qualcuno si accosta al loro Tribunale ignorando le cose necessitate Medii per salvarsi; e che lo stesso si faccia anche dai Parroci prima di congiungere in Matrimonio coloro che vogliono sposarsi. S’inculchi ai Padri di Famiglia e ai Padroni delle Case l’obbligo d’istruire e fare istruire i loro figlie i familiari nella Dottrina Cristiana.

Nelle Diocesi nelle quali è introdotta la disciplina, si prosegua; dove non è introdotta, si introduca che, prima o dopo la Messa Parrocchiale, si dicano ad alta voce, da parte dello stesso Parroco, gli Atti di Fede, Speranza e Carità, ben composti, ripetendo il Popolo le parole del Parroco. Non si trascuri l’adempimento dell’obbligo che ha il Parroco, se non di predicare nei giorni festivi, almeno di esporre dall’Altare il Vangelo al Popolo, e d’istruirlo nei Misteri principali della nostra Santa Religione, nei precetti di Dio e della Chiesa e in quanto è necessario per degnamente ricevere i Sacramenti. Si seguano le stesse orme dei Predicatori, ai quali si dia il salutare avvertimento di unire l’istruzione all’esortazione, dato che gli uditori hanno bisogno dell’una e dell’altra. Infine, il metodo d’insegnare (a chi è impreparato) la Dottrina Cristiana viene indicato da Sant’Agostino (De Catechizandis rudibus, cap. 10), dice essere utilissimo quello delle interrogazioni familiari, dopo aver fatto la spiegazione; dalla interrogazione familiare si rileva se chi l’ha udita l’ha capita, e se per farla capire occorre un’altra spiegazione: “Interrogatione quærendum est, utrum is, qui catechizatur, intelligat; et agendum, pro eius responsione, ut aut planius, et enodatius loquamur, aut quae illis nota sunt, non explicemus latius, etc. Quod si nimis tardus est, misericorditer succurrendus est, breviterque ea, quae maxime necessaria sunt, ipsi potissimum inculcanda“.

Teniamo per certo che da parte Vostra si farà sempre di più di quanto con questa Nostra Lettera Enciclica Vi additiamo. Nel frattempo, con pienezza di cuore, impartiamo a Voi, Venerabili Fratelli ed al Vostro Gregge, l’Apostolica Benedizione.

Dato da Castel Gandolfo, il giorno 26 giugno 1754, decimoquarto anno del Nostro Pontificato.

ÆÆ

DOMENICA II DOPO PENTECOSTE (2018)

Domenica II dopo Pentecoste (2018)

Incipit
In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus Ps XVII:19-20.

Factus est Dóminus protéctor meus, et edúxit me in latitúdinem: salvum me fecit, quóniam vóluit me. [Il Signore si è fatto mio protettore e mi ha tratto fuori, al largo: mi ha liberato perché mi vuol bene.] Ps XVII:2-3

Díligam te. Dómine, virtus mea: Dóminus firmaméntum meum et refúgium meum et liberátor meus. [Amerò Te, o Signore, mia forza: o Signore, mio sostegno, mio rifugio e mio liberatore.]

Factus est Dóminus protéctor meus, et edúxit me in latitúdinem: salvum me fecit, quóniam vóluit me.[Il Signore si è fatto mio protettore e mi ha tratto fuori, al largo: mi ha liberato perché mi vuol bene.]

Oratio

Orémus. Sancti nóminis tui, Dómine, timórem páriter et amórem fac nos habére perpétuum: quia numquam tua gubernatióne destítuis, quos in soliditáte tuæ dilectiónis instítuis. [Del tuo santo Nome, o Signore, fa che nutriamo un perpetuo timore e un pari amore: poiché non privi giammai del tuo aiuto quelli che stabilisci nella saldezza della tua dilezione.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Joánnis Apóstoli 1 Giov. III:13-18

“Caríssimi: Nolíte mirári, si odit vos mundus. Nos scimus, quóniam transláti sumus de morte ad vitam, quóniam dilígimus fratres. Qui non díligit, manet in morte: omnis, qui odit fratrem suum, homícida est. Et scitis, quóniam omnis homícida non habet vitam ætérnam in semetípso manéntem. In hoc cognóvimus caritátem Dei, quóniam ille ánimam suam pro nobis pósuit: et nos debémus pro frátribus ánimas pónere. Qui habúerit substántiam hujus mundi, et víderit fratrem suum necessitátem habére, et cláuserit víscera sua ab eo: quómodo cáritas Dei manet in eo? Filíoli mei, non diligámus verbo neque lingua, sed ópere et veritáte.”

I Omelia

[Mons. Bonomelli; Nuovo saggio di Omelie, Marinetti ed. vol III – Torino 1899, Omel. V]

“Non fate le meraviglie, o fratelli, se il mondo vi odia. Noi sappiamo d’essere stati tramutati dalla morte alla vita, perciò amiamo i fratelli. Chi non ama, resta nella morte. Chiunque odia il fratello suo è un micidiale; ora voi sapete, che nessun omicida ha la vita eterna in sé. In questo poi abbiamo conosciuto la carità di Dio, ch’Egli diede per noi la sua vita, e noi dobbiamo per i fratelli dare la vita. Ora se alcuno ha dei beni di questo mondo e, veduto il fratello trovarsi in necessità, chiuda il suo cuore verso di quello, come mai la carità di Dio alberga in costui? Figliuoletti miei, facciamo di amare, non in parole e colla lingua, ma coi fatti e con la verità. „ (S. Giovanni, I . c. III, vers. 13-18). –

Voi stessi avrete compreso, che queste sentenze debbono appartenere all’Apostolo della carità, S. Giovanni. Gli scritti di questo diletto discepolo di Gesù Cristo, e specialmente la prima delle sue lettere dalla quale è tolto il brano che avete udito, hanno un carattere tale, una fisionomia sì spiccata, che è impossibile non riconoscerne tostamente l’autore. – Pressoché tutte le sue sentenze sono un’armonia continuata, una variazione stupenda di due soli motivi fondamentali, l’amore di Dio e l’amore del prossimo. Nessuno degli autori ispirati del nuovo Testamento meglio di lui mise in luce l’indole e la natura della legge di grazia, che è l’amore, secondo quella sentenza di nostro Signore, che disse: “La legge ed i profeti si compendiano nella carità “Ex quo universa lex pendet et prophetæ”.– Nessuna meraviglia pertanto che negli scritti di Giovanni, e nominatamente nella prima lettera, siano frequentissime le ripetizioni. Narra S. Girolamo, che l’evangelista e l’Apostolo della carità, già nonagenario, era portato a braccia dai discepoli in mezzo alla radunanza dei fedeli, affinché rivolgesse loro qualche parola di edificazione. Ed egli non faceva che ripetere queste parole: “Miei figlioletti, amatevi tra di voi. „ Annoiati i fedeli, gli domandarono, perché dicesse sempre la stessa cosa; ed egli, scrive S. Girolamo, diede una risposta degna di lui: “Perché, disse, è comando del Signore, e se questo si osserva, basta. „ La lettera, che abbiamo di lui, si direbbe essere la fedele ripetizione della esortazione che l’Apostolo faceva alle pie adunanze, delle quali fa cenno Girolamo. – Se voi pertanto udrete, anche in questa omelia, ripetuta più e più volte la stessa verità dell’amore fraterno, non vogliate meravigliarvi né annoiarvi: è precetto del Signore, e se questo si adempie, basta. Seguitiamo dunque il maestro e l’Apostolo della carità, e meditiamone le sante parole. Perché possiate intendere meglio la spiegazione dei versetti sopra riferiti, è mestieri rifarci alquanto indietro e rilevare il nesso che corre tra loro. Quelli che fan male, dice S. Giovanni, perciò stesso che fan male, si mostrano seguaci del demonio, e figli di Dio si palesano quelli che fanno bene. Il grande annunzio portato sulla terra da Gesù Cristo, è l’amore dei fratelli. Il mondo, cioè i cattivi, i seguaci del demonio, odiano naturalmente i buoni, i figli di Dio: essi cominciano da Caino, che odiò ed uccise il fratel suo, Abele e continuano sino a noi. Per il che, dice Giovanni: “Non fate le meraviglie, o fratelli, se il mondo vi odia. „ È questa la ripetizione alla lettera d’una sentenza di Gesù Cristo che leggiamo nel Vangelo dello stesso Giovanni: ” Voi non siete del mondo, anzi Io vi ho eletti dal mondo, per questo il mondo vi odia „ (XV, 19). Il santo Apostolo non vuole che ci meravigliamo di questo odio del mondo contro i discepoli di Gesù; eppure a me sembra cosa piena di meraviglia, perché quasi incredibile. Questi Cristiani, a somiglianza del divino loro Maestro, non fan male a chicchessia; amano tutti come fratelli, a tutti fanno quel bene che possono, anche ai loro nemici più implacabili: sono umili, modesti, pazienti, casti, adorni di tutte le virtù, formano lo stupore degli stessi pagani. Nessuno dunque poteva odiarli, tutti dovevano amarli, od alla men peggio tollerarli. Nondimeno essi sono fieramente odiati, e S. Giovanni afferma che nessuno doveva stupirne: “Nolite mirari si odit vos mundus”. Come ciò? Come si spiega questa contraddizione manifesta del mondo? Il mondo, cioè gli uomini tristi, generalmente odiano i buoni e li devono odiare: le tenebre sono nemiche della luce e i tristi sono nemici dei buoni; la virtù di questi è un rimprovero continuo e amaro per quelli: la condotta dei buoni è la condanna dei malvagi, sveglia nei loro cuori il rimorso, li umilia, li offende, li ferisce, e perciò non vorrebbero vederli, né udirli, e se fosse possibile li vorrebbero sbanditi dalla terra. L’odio dei malvagi contro dei buoni, più che dalla ragione e dalla riflessione, deriva dall’istinto, nasce dalla natura delle cose; è l’odio del lupo per l’agnello, del cane che si getta sulla lepre: non provocati e nemmeno stimolati dalla fame, il lupo sbrana l’agnello, il cane insegue e addenta la lepre, e l’uomo tristo si strugge di odio contro il virtuoso. Il mondo ha odiato e perseguitato gli Apostoli, tutti i Santi, il Santo dei santi, Gesù Cristo: e noi stupiremo che odi e perseguiti quelli che camminano dietro a Lui? – Il mondo ci odia, come Caino odiò Abele, e i Giudei odiarono Cristo: quale conforto possiamo avere? Questo: “Noi sappiamo di essere stati tramutati dalla morte alla vita „ – Che importa a noi l’essere odiati e perseguitati da questo mondo perverso? Noi camminavamo nelle tenebre dell’errore: eravamo noi pure figli di questo mondo riprovato e morti a Dio; ora, per sua grazia, siamo usciti da queste tenebre, ci siamo separati da questo mondo, siamo sfuggiti alla morte, e pel Battesimo e per la fede siamo entrati nel regno della vita. E come lo sappiamo noi? Quale prova ne abbiamo? Questa è sicurissima: “Che amiamo i fratelli, – Quoniam diligimus fratres„ Segno infallibile che abbiamo la vita della grazia, a cui risponderà a suo tempo la vita della gloria, è il sentire in noi stessi l’amore verso de’ fratelli. Non dubito punto, che con la parola fratelli, qui usata, S. Giovanni intenda non solo i fratelli nella fede, ma tutti indistintamente gli uomini, anche non credenti e nemici, perché anche questi sono fratelli. E invero S. Giovanni in questo luogo vuol mettere sottocchio ai suoi lettori Cristiani il contrassegno indubitato, ch’essi sono nel regno della vita divina, e lo mette nella carità fraterna. Se questa carità fosse stata circoscritta ai pochi Cristiani che allora esistevano, ad esclusione di tutti gli altri, come poteva essere un segno ch’essi erano trasportati nel regno della vita, nel regno di Gesù Cristo? Anche gli Ebrei, anche i pagani, fino ad un certo punto si amavano tra loro, almeno i congiunti, almeno gli amici, i conoscenti, i connazionali, ma se noi pigliamo questa parola “fratelli, nel senso amplissimo, in quantoché abbraccia tutti gli uomini, allora ci dà veramente il carattere sovraumano e divino della carità. “Noi, così S. Giovanni, abbiamo una prova d’essere figli di Dio in questo, che amiamo tutti gli uomini e tutti li teniamo in conto di fratelli, anche quando ci odiano, ci calunniano e ci perseguitano. „ Questo amore universale, sì generoso e sì costante, all’uomo è impossibile con le sole forze della natura: esso non può venire che dall’alto, da Dio stesso, è dono al tutto suo, e perciò in esso noi abbiamo la certezza d’essere veri seguaci di Gesù Cristo, e d’avere nei nostri cuori la sua grazia: “Nos scimus, quoniam translati sumus de morte ad vitàm, quoniam diligimus fratres”. – Accennata la carità verso dei fratelli, questo segno caratteristico dei discepoli di Gesù e della trasformazione meravigliosa operata dalla grazia, S. Giovanni, seguendo il suo stile, dirò meglio, il bisogno del suo cuore, mostra il pregio di questa virtù e scrive: “Chi non ama, dimora nella morte: „ “Qui non diligit, manet in morte”. Chi non ama, cioè chi non ha l’amore dei fratelli, l’amore operoso, che scaturisce dalla grazia, è in peccato, e perciò, ancorché vivo nel corpo, è morto nell’animo. L’anima, per fermo, è immortale per se stessa, come apprendiamo dalla fede e sappiamo dalla ragione: ma priva della grazia, è separata da Dio, e perciò priva della fonte d’ogni vita. Il corpo come e perché è vivo? È vivo in quanto e perché è unito all’anima, che tutto lo penetra ed informa. Separate l’anima dal corpo: che vedete voi? Esso è morto, e va tosto disfacendosi. Così fate che l’anima sia separata dalla grazia, ossia da Dio, essa è come morta. Ora non apparisce la sua morte agli occhi del corpo, come nella stagione invernale non apparisce quali siano gli alberi vivi e quali morti: ma aspettate la bella stagione ed allora vedrete morti i morti e vivi i vivi. Similmente quanto all’anima, e per ragion dell’anima anche quanto al corpo: aspettate la seconda venuta di Gesù Cristo, aspettate: Rispunti il sole di eterna giustizia e vedrete che cosa voglia dire la morte dell’anima e del suo compagno eterno. – L’anima senza la grazia o senza la carità, è in stato di morte. Questa idea della morte desta nello scrittore ispirato un’altra idea analoga, ma che rischiara e ribadisce la prima: “Chiunque odia il fratel suo è omicida. Parmi chiaro che per S. Giovanni il non avere amore per i fratelli è un odiarli, ancorché per sé il non amare non sia sempre odiare, giacché si concepisce uno stato di indifferenza, quasi medio tra l’amore e l’odio. Ma in questo luogo l’Apostolo dice chiaramente: “Chi non ama, odia, e chi odia il fratello è omicida. „ Omicida di chi? Di sé o del fratello? Si può intendere che è omicida di sè, perché non avendo in sé la carità verso il fratello, anzi odiandolo, pecca gravemente, e perciò uccide l’anima sua, e in questo senso disse benissimo S. Ambrogio, che “chi odia, anzitutto uccide se stesso, „ Qui odit, non alium prius quam seipsum occidit”. Ma non sembra questo il senso più ovvio e naturale della sentenza apostolica: essa sembra esigere che l’ucciso non sia chi odia, ma l’odiato. Ma come può dire che chi odia il fratello lo uccide? Non è questa una esagerazione? Tra l’odiare e l’uccidere una persona corre una differenza grandissima. É vero l’odio non è l’omicidio, e guai al mondo se l’uno fosse sempre l’altro: ma ricordiamoci, o fratelli, di un’altra sentenza del Vangelo simile a questa: “Chi avrà rimirata una donna con desiderio di lei, dice Gesù Cristo, ha già commesso peccato con lei in cuor suo „ (Matt. V, 28). Il che vuol dire, che il solo pensiero deliberato di commettere peccato, dinanzi a Dio è come commesso, perché Dio vede e giudica i cuori; similmente in questo luogo S. Giovanni vuol dire: badate, o figliuoli, di non albergare nel vostro cuore odio contro il fratello, perché quell’odio vi porterà a volere il suo male e a desiderare di torgli la vita e a toglierla di fatto. Ed in vero, donde le risse, i ferimenti e gli omicidi? Dall’odio. L’odio partorisce l’omicidio e in quanto ne è causa si può chiamare omicida chi lo accoglie in cuore. Scrive S. Girolamo (Epist. 36 Ad castor.). Grazie a Dio, non sono molti quelli che odiano il fratello: ma quelli che lo vedono di mal occhio, che nutrono rancore contro di lui, che non sanno dimenticare un’offesa ricevuta, spesso immaginaria, che tengono chiuso cuore con lui e se non l’odiano, certo non l’amano, pur troppo sono molti, e non è il caso anche tra persone che si reputano devote. Che dire di costoro? Dio solo legge nei cuori e pesa sulla sua bilancia le colpe degli uomini: ma ciò che è indubitato è, che di questo difetto di carità, comunemente non si tiene calcolo o leggero, tantoché le stesse persone non se ne curano. Eppure vi è sempre colpa e tale che spesso apre la via all’odio manifesto. Carissimi! stiamo in guardia e non lasciamo penetrare nel nostro cuore questo mal seme, che traligna facilmente in odio. – Ora, domanda l’Apostolo, qual è la pena riserbata all’omicida? La morte. Dunque, chi odia non può avere la vita eterna. E qui S. Giovanni torna da capo all’idea della carità ed al modello supremo della carità, che è Gesù Cristo, ed esclama: “E in questo noi abbiamo conosciuto la carità di Dio, che Egli diede per noi la sua vita. „ Gli uomini troppo spesso odiano e tolgono la vita ai fratelli loro: Gesù Cristo per contrario ama tutti gli uomini, e li ama per guisa che dà per essi la sua vita. Quale e quanta carità! Qual modello da imitare! E non è fuor di proposito l’osservare come San Giovanni in questo luogo chiami Gesù Cristo Dio, giacché dice espressamente, che noi abbiamo conosciuto l’amore di Dio nel fatto che Egli diede la sua vita per noi. Ora chi diede la sua vita e si immolò per noi? Gesù Cristo! Dunque Gesù Cristo in questa sentenza è chiamato Dio. E che dobbiamo apprendere da Gesù Cristo, modello supremo di carità? ” Egli diede per noi la sua vita e noi dobbiamo porre la nostra per i fratelli. „ Questa sentenza di nostro Signore significa forse che noi possiamo sacrificare la vita dell’anima, la vita eterna per la salvezza spirituale dei fratelli nostri? Più che una follia sarebbe un’empia bestemmia il solo pensarlo: la vita dell’

anima è il supremo nostro bene, e per esso tutto devesi sacrificare, non mai esso ad altro bene quale che sia. La vita di cui parla S. Giovanni e che noi dobbiamo sacrificare per i fratelli, non può essere che la vita del corpo. Ma come? direte voi. Siamo noi obbligati a dare la vita per i fratelli nostri? È questo un Debemus, come dice il sacro testo? E sempre? Ma in tal caso noi saremmo tenuti ad amare il prossimo più di noi stessi, mentre il Vangelo e la stessa natura ci impongono di amare il prossimo come noi stessi, cioè ad imitazione dell’amore che dobbiamo a noi medesimi. – La risposta è piana e manifesta. L’ordine della carità vuole che amiamo noi stessi più dei fratelli, perché ciascuno è più prossimo a sé che non lo sia il fratello, e perciò per regola ordinaria nessuno è tenuto a dare la sua vita per salvare quella del fratello. E se lo fa, che diremo noi? Se per salvare chi travolto dalla corrente d’un fiume, chi è circondato da un incendio, altri si getta nel fiume e si slancia tra le fiamme, diremo che viola l’ordine della carità, che merita biasimo? Ce ne guardi il cielo: nessuno è obbligato a far questo, onde se non lo fa, non pecca, perché non viola nessuna legge: ma se lo fa noi lo saluteremo come un eroe e ci inchineremo riverenti dinanzi a tanta grandezza d’animo, a questo martire glorioso della carità, a questo imitatore del divino Maestro, che diede la vita per noi! – E se accadesse che per salvare la vita spirituale del fratello fosse necessario far getto della mia temporale, sarei io tenuto ad immolarla? Senza dubbio sarei tenuto ad immolarla quando fossi tenuto per ufficio, che tengo. Onde in ogni tempo noi vedemmo sacerdoti, parrochi, vescovi, pastori di anime non esitare un istante a sfidare la morte al capezzale degli appestati negli ospedali e nei lazzaretti per offrir loro i conforti della Religione. Se il soldato, fedele al suo dovere, non paventa la morte sui campi di battaglia per la difesa della patria, per gli interessi della terra, come potremmo esitar noi ad affrontare la morte, allorché si tratta degli interessi del cielo, dell’acquisto della patria superna? No, non vi è sulla terra spettacolo più sublime di colui che offre il sacrificio della propria vita per salvare la vita temporale del fratello: che dovrà essere quando l’offre per salvare non la vita temporale, ma l’eterna del fratello? – Dopo aver parlato della carità verso dei fratelli in genere e del supremo suo grado che consiste in dare per essi, se è necessario, anche la vita, il nostro Apostolo discende alla pratica applicazione più comune della carità, e così prosegue: “Se alcuno ha beni in questo mondo e, veduto il fratello trovarsi in necessità, chiuda il suo cuore verso di quello, come mai la carità di Dio albergherà in costui? „ – La carità, la vera carità si manifesta nelle opere: vuoi tu conoscere se questa carità alberga nel tuo cuore? Guarda alle opere: la bontà dell’albero si conosce e si giudica dai frutti e non dalle foglie. Vedi tu il fratello che soffre la fame? che mal vestito trema dal freddo? che non ha tetto, che lo copra? Che non ha un giaciglio su cui passare la notte? Che infermo non ha chi lo assista? che soffre e non ha chi lo conforti? Qui si vedrà alla prova la tua carità. A te sfamarlo, vestirlo, trarlo, soccorrerlo con la limosina, o meglio ancora, se è possibile, col dargli lavoro, limosina che non umilia: a te, se non puoi aiutarlo del tuo, farti suo avvocato presso chi può soccorrerlo: a te rivolgergli una parola di consiglio, di conforto, aprirgli il tuo cuore affinché egli ti apra il suo. – Il mondo, atterrito, ode grida di minaccia e vede turbe di uomini che si aggirano per le vie chiedenti pane o lavoro: vede un esercito immenso di sofferenti, che aspettano o vagheggiano l’ora dello sconvolgimento sociale: il fragore della bufera (che vale dissimularlo?) più e più si avvicina: la marea monta, monta sempre e finirà col passare come un torrente di lava su tutto il continente, distruggendo tutto ciò che troverà sul suo passaggio. Vi è un rimedio, che ci salvi da tanta rovina? Sì, vi è; ma non è riposto nei discorsi, nei trattati, nei libri dei dotti e nemmeno nelle leggi e nella forza armata

a difesa delle leggi. Esso sta riposto nella gran legge della carità: gli istruiti, i ricchi, i grandi si abbassino, amino davvero i loro fratelli, li ammaestrino, li soccorrano: li soccorrano nel loro superfluo, e sopratutto si mescolino a loro, formino con essi una sola famiglia per quella carità che tutto pareggia, e la bufera sarà dissipata. La soluzione del tremendo problema che si agita intorno a noi, è tutta in questi due periodi di S. Giovanni: “Se qualcuno ha beni di questo mondo e, veduto il fratello trovarsi in necessità, chiuderà il suo cuore verso di lui, come mai la carità di Dio albergherà in esso? Figliuoletti miei, facciamo di amare, non con parole e con la lingua, ma con le opere e in verità. „ Ecco il rimedio infallibile ai mali che ci minacciano; ecco la vera e pratica soluzione del problema che ci affanna: la eguaglianza, figlia non della forza e della ingiustizia, ma della carità volontaria. – Chiuderò la mia omelia, ripetendo le parole di due Padri della Chiesa: il primo parla al Vescovo e, fatta proporzione, ai preti; l’altro a voi, o laici. Udite il primo, S. Bernardo: “Guai a te, vescovo. Non ti è lecito spiegar lusso con i beni della Chiesa e sprecare in cose superflue: non ti è lecito arricchire: non ti è lecito portare in alto i consanguinei: non ti è lecito fabbricare palazzi: tutto ciò che oltre il vitto necessario ed il semplice vestito tieni dalla Chiesa, non è tuo: è rapina, è sacrilegio! „ – Udite il secondo, o laici: ” Forse che tu non sei spogliatore, tu, che reputi tuo ciò che hai ricevuto per distribuirlo altrui? Quel pane, che tieni per te, è pane dell’affamato: appartiene all’ignudo quella veste che conservi nell’armadio: allo scalzo spettano quei calzari che si consumano in casa tua: è denaro del povero quello che crudelmente possiedi. Ondeché tu fai ingiuria a tanti poveri, quanti sono quelli, ai quali potresti porgere soccorso. „

Graduale

Ps CXIX:1-2 Ad Dóminum, cum tribulárer, clamávi, et exaudívit me. [Al Signore mi rivolsi: poiché ero in tribolazione, ed Egli mi ha esaudito.]

Alleluja

Dómine, libera ánimam meam a lábiis iníquis, et a lingua dolósa. Allelúja, allelúja [O Signore, libera l’ànima mia dalle labbra dell’iniquo, e dalla lingua menzognera. Allelúia, allelúia]

Ps VII:2 Dómine, Deus meus, in te sperávi: salvum me fac ex ómnibus persequéntibus me et líbera me. Allelúja. [Signore, Dio mio, in Te ho sperato: salvami da tutti quelli che mi perseguitano, e liberami. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia sancti Evangélii secúndum Lucam.

Luc XIV:16-24

“In illo témpore: Dixit Jesus pharisæis parábolam hanc: Homo quidam fecit coenam magnam, et vocávit multos. Et misit servum suum hora coenæ dícere invitátis, ut venírent, quia jam paráta sunt ómnia. Et coepérunt simul omnes excusáre. Primus dixit ei: Villam emi, et necésse hábeo exíre et vidére illam: rogo te, habe me excusátum. Et alter dixit: Juga boum emi quinque et eo probáre illa: rogo te, habe me excusátum. Et álius dixit: Uxórem duxi, et ídeo non possum veníre. Et revérsus servus nuntiávit hæc dómino suo. Tunc irátus paterfamílias, dixit servo suo: Exi cito in pláteas et vicos civitátis: et páuperes ac débiles et coecos et claudos íntroduc huc. Et ait servus: Dómine, factum est, ut imperásti, et adhuc locus est. Et ait dóminus servo: Exi in vias et sepes: et compélle intrare, ut impleátur domus mea. Dico autem vobis, quod nemo virórum illórum, qui vocáti sunt, gustábit coenam meam”.

Omelia II

[Ut supra, omel. VI]

Gesù disse: Un certo uomo fece una gran cena ed invitò molti. E all’ora della cena mandò il suo servo per dire agli invitati che venissero perché tutto era pronto. Ma quelli tutti ad un modo, cominciarono a scusarsi. Il primo disse: Ho comperato una villa e devo andarla a vedere: te ne prego abbimi per scusato. Ed un altro disse: Ho comperato cinque paia di buoi e vo a provarli: te ne prego, tienimi per scusato. Ed un terzo disse: Ho menato moglie e perciò non posso venire. E tornato il servo, ogni cosa riferì al padrone. Allora il padrone di casa indignato, disse al servo: Esci tosto nelle piazze e per le strade della città e mena qua i mendici, i monchi, gli storpi e i ciechi. Poi il servo gli disse: Signore, si è fatto come hai comandato e vi è ancora posto. E il padrone disse al servo: Va per le strade e per le siepi e costringili ad entrare affinché la mia casa si riempia. Perché io vi dico che nessuno di coloro che furono invitati assaggerà la mia cena „ .

Evidentemente la Chiesa ci fa leggere la parabola che vi ho recitata, in questa Domenica che corre nell’ottava del Corpus Domini, perché in essa vede in qualche modo adombrato, almeno indirettamente, il banchetto eucaristico. Somigliantissima a questa parabola di san Luca, a quella che troviamo nel capo XXII di S. Matteo, a talché parve ad alcuni interpreti che in sostanza le due parabole fossero una medesima parabola con alcune leggere differenze. Ma se le raffrontiamo accuratamente tra loro, è agevole il vedere che sono distinte, e che Gesù le recitò in tempi e luoghi diversi, con diverso intendimento, e che gli aggiunti diversi non permettono di confonderle in una sola (S. Ireneo e dopo lui il Maldonato ritennero identica la parabola riferita dai due Evangelisti con qualche differenza. Forse fu la stessa parabola proposta due volte da nostro Signore con qualche varietà e con diverso fine). Gesù, nei versetti che precedono la nostra parabola, aveva esortato gli uditori di mettersi sempre all’ultimo posto e di invitare ai conviti quelli che, essendo poveri, non possono ricambiare, perché, in tal modo operando, la mercede sarà data da Dio nella vita futura. Si comprende facilmente il perché di questa dottrina di nostro Signore, quando si avverta ch’Egli la espose mentre si trovava a mensa presso uno de’ principali farisei che l’aveva invitato. Udita quella dottrina, un tale che sedeva a mensa e di cui il Vangelo non ci lasciò il nome, esclamò: “Beato colui che siederà alla mensa nel regno di Dio. „ Allora Gesù, cogliendo occasione da quelle parole, disse la parabola che siamo per spiegare e nella quale rappresenta il regno di Dio sotto la immagine, a Lui famigliare, d’un grande convito. Ora a noi, o carissimi. – “Un certo uomo fece una gran cena e invitò molti. E all’ora della cena mandò il suo servo per dire agli invitati che venissero, perché tutto era pronto. „ Chi è desso quest’uomo, questo signore, che fa la gran cena? Chi rappresenta? Indubbiamente esso rappresenta Dio, o l’uomo-Dio, Gesù Cristo. E la cena che cosa adombra? Può adombrare la Chiesa militante: può adombrare eziandio la S. Eucaristia; ma sembra più naturale il dire che raffigura la vita eterna, la gloria celeste, a cui tutti sono chiamati gli uomini. Voi vedete che in questa senso la cena racchiude indirettamente la Chiesa militante e la S. Eucaristia, perché nessuno può aver parte a questa cena se prima non sia entrato nella Chiesa e non abbia partecipato alla Eucaristia. Si dice cena, perché si dà sul chiudersi della vita presente, che rispetto all’eternità è come un giorno, perché è come la mercede dovuta a chi ha lavorato tutto il giorno. Si dice poi cena grande, sia perché ivi tutti sono invitati, sia perché dura eternamente, sia perché la ricchezza di quella cena non ha l’eguale per la copia dei beni che faranno sazio ogni nostro desiderio. Il servo, che a nome del padrone chiama al banchetto gli invitati, rappresenta i profeti, gli Apostoli, tutti i continuatori del ministero apostolico, tutti i ministri della Chiesa, per mezzo dei quali Dio, in tutti i tempi e in tutti i luoghi, fa udire la sua voce ed invita tutti alla Cena dell’Agnello, all’acquisto cioè, della vita eterna. Ho detto che Dio invita; alla gran cena; ma taluni di voi potrebbero farmi osservare che il sacro testo dice: molti e non tutti — Vocavit multos. — Ma voi sapete la parola molti significa talvolta tutti, la moltitudine, e veramente tutti sono molti, e qui senza dubbio, tutti sono invitati alla gran cena. E non è verità di fede che Iddio vuol salvi tutti gli uomini? che Gesù Cristo è morto per tutti? che Dio non vuole che alcuno perisca? La stessa ragione non ci dice che Dio, infinita bontà, deve volere la salvezza e la felicità di tutti gli uomini senza eccezione? Ora se Iddio, quanto è da sé, non chiamasse tutti alla sua cena, non tutti li vorrebbe salvi, giacché quelli che non invita, non possono venire a lui, e non venendo, perirebbero necessariamente. Dio pertanto invita, chiama  tutti al convito della vita eterna: vari sono i modi, ma non uno è escluso. Dio chiama con la parola dei profeti, dei patriarchi, degli apostoli, dei ministri: Dio chiama con l’esempio, coi rimorsi, con le ispirazioni interne, direttamente, indirettamente, coi libri, con le figure, con la voce della coscienza, in mille svariatissime maniere, note a Lui solo, ma invita, ma chiama tutti; e chi non fosse chiamato potrebbe dirgli: Signore! io non potevo venire alla vostra cena senza essere chiamato da Voi; Voi non mi avete chiamato e perciò non sono venuto: se colpa v’ è, non è mia, ma Vostra, perché non faceste giungere a me la vostra voce. Ecco perché Gesù nella parabola, non dice che l’invito fosse rifiutato ad un solo, verità che più innanzi nella parabola sarà più  manifesta. – Checché sia degli altri, vi è tra voi un solo che non sia stato invitato alla cena della vita eterna e ripetutamente e con le più calde istanze? Dio non vi ha prevenuto con le sue grazie, facendovi nascere in seno alla Chiesa? Non ha circondata la vostra infanzia, la vostra fanciullezza, la vostra giovinezza, la vostra virilità, la vostra vecchiaia de’ suoi favori?  Quante volte il servo del gran Padrone è venuto a voi, a chiamarvi, ad invitarvi alla cena? Come avete risposto? Alla vostra coscienza la risposta… – Gesù prosegue la sua parabola: “Gli invitati, tutti ad un modo, cominciarono a scusarsi. „ Voi sapete, che rifiutare un invito grazioso ed autorevole senza motivo proporzionato, è offesa che si fa, e tanto maggiore quanto è maggiore la dignità della persona che invita. E non dirle col fatto che non curiamo l’onore d’essere suoi commensali, che preferiamo i nostri comodi. Che scusa addussero gli invitati? – Il primo disse: Ho comperato una villa e devo andare a vederla: te ne prego, abbimi per scusato. Ed un altro disse: Ho comperato cinque paia di buoi e vo a provarli: te ne prego, tienimi per scusato. Ed un terzo: Ho menato moglie e perciò non posso venire. „ – Gli invitati che rifiutano di recarsi alla cena sono distinti in tre categorie e in queste tre categorie gli interpreti vedono indicate le tre concupiscenze capitali, che secondo S. Giovanni signoreggiano il mondo: la concupiscenza degli occhi, la concupiscenza della carne  e l’orgoglio della vita, ossia l’amore sregolato dei beni materiali, dei piaceri sensuali e della propria eccellenza. E in vero tutti i motivi o, meglio, i pretesti, pei quali l’uomo si sottrae agli inviti della grazia e si rifiuta di sedere al banchetto della vita eterna, si riducono costantemente a questa triplice concupiscenza, che ci incatena ai beni della terra, ai piaceri del corpo e all’orgoglio del proprio spirito. – “Che altro significa la villa, scrive S. Gregorio, se non i beni della terra? Egli se ne andò a vedere la villa, perché aveva tutti i pensieri e tutti gli affetti nei beni materiali (Homil. 36 in Evangel.). „ O miei cari figliuoli! quale spettacolo si dispiega continuamente sotto dei nostri occhi! Che fanno essi tutti o quasi tutti gli uomini? In mille modi essi corrono dietro senza posa ai beni della terra: chi attende al commercio, chi all’industria, chi ad acquistare campi e farli fruttare: tutti sono intesi ad accumulare danari, strumento del godere! È forse per questi beni, che Iddio ci ha creati? E quando pure potessimo procacciarli e possederli, vi troveremmo noi la felicità, la vera felicità, della quale andiamo in cerca? Oh! certamente no. Il nostro cuore, fossimo anche padroni del mondo intero, non direbbe mai basta, non troverebbe mai la felicità che domanda, sarebbe sempre inquieto e desolato. Perché dunque correre dietro a questi beni della terra, volgendo le spalle ai messi del Signore che ci invita alla sua cena, al godimento di quei beni che nessuno potrà più mai rapirci e che sazieranno per sempre tutti i desideri del nostro cuore? Questi beni della terra, dei quali siamo sì ghiotti, ci saranno irrevocabilmente tolti, al più tardi, alla nostra morte, e più li avremo amati e più acuto e straziante sarà il dolore di doverli lasciare. Dunque è sapienza lo staccare da essi il cuor nostro, prima che la morte ce ne divella a viva forza; è sapienza collocarlo là dove vivrà eternamente e dove troverà la vera e perfetta felicità. Nessuno pertanto di noi risponda villanamente a Dio, che ci chiama all’eterno convito: Ho comperato una villa, devo andare a vederla. –  – E l’altro disse: Ho comperato cinque paia di buoi e vo a provarli. „ In costui vediamo designati ancora quegli uomini che sono ingolfati negli affari mondani, come e peggio di quelli accennati sopra, giacché i buoi servono a coltivare la terra e sono congiunti, per naturale associazione di idee, alla terra ed ai proprietari della stessa. Tra la classe di uomini indicata sopra e quella qui designata, se male non vedo, corre quel divario, che corre tra i padroni o proprietari della terra ed i semplici coloni. Quei primi dicono: Noi abbiamo i nostri poderi, le nostre terre da vedere e dobbiamo sorvegliarne i lavori: sono i ricchi e i signori, che passeggiano pei loro campi, pieni d’orgoglio e dicono con altera compiacenza: tutto questo è mio. Questi secondi sono gli operai, gli uomini del lavoro, che stanno a’ cenni di quegli altri. Il lavoro è  dovere di tutti e nessuno può sottrarsi senza violare quella legge intimata al primo uomo: “Tu mangerai il tuo pane col lavoro delle tue mani e col sudore della tua fronte. „ Ma questo lavoro manuale, non deve mai impedire un lavoro troppo più nobile e necessario, il lavoro della mente e dello spirito che deve nutrire l’anima nostra. — Datemi un contadino, un operaio qualunque, che attendano solamente a svolgere la gleba del campo,  che siano sempre là curvi sugli istrumenti del lavoro, senza ricordarsi mai di Dio, della preghiera, dell’anima: per i quali la Domenica non differisce dal lunedì: i quali a chi ricorda loro che oltre il corpo vi è l’anima, che oltre il padrone terreno c’è il Padrone celeste, Iddio, e che bisogna santificare la festa, udire la parola di Dio, pregare e accostarsi  ai Sacramenti, rispondono: abbiamo altro da fare; ci attendono i campi, ci aspetta l’officina; questo contadino, questo operaio vi rappresentano a meraviglia l’uomo del Vangelo che invitato alla cena risponde: “Ho comperato cinque paia di buoi e vo’ a provarli. „ O carissimi figliuoli! non imitate costoro. Chiamati alla Chiesa, alla preghiera, al convito eucaristico, pegno del convito eterno del cielo, rispondete: Eccoci, veniamo. Al corpo la sua parte ed è ben larga, e all’anima la sua, che è ben poca cosa rispetto a quella del corpo. –  “Il terzo rispose: ho menato moglie e perciò non posso venire. „ S. Gregorio, in quest’uomo che rifiuta di intervenire al convito per ragione d’aver menato moglie, vede raffigurato l’uomo voluttuoso: Quid per uxorem nisi voluta carnis accipitur? (Hom. 36). È terribile, la sentenza d’un gran santo moderno, conoscitore perfetto della società, che disse: quelli che si perdono, o si perdono per il peccato di lussuria o non, senza di esso. „ Purtroppo è così. Dove sono, o mio Dio, quegli uomini o quelle donne che abbiano serbato monda l’anima loro in mezzo a questo contagio universale? Dove sono quelle anime che simili alla colomba noetica, abbiano aleggiato su questa terra senza posare il piede o imbrattare le candide piume sul fango che la copre? Voi solo, o Signore, lo sapete; ma devono essere ben poche, e perciò tanto più care a’ vostri occhi. Dilettissimi! entrate per pochi istanti nei penetrali del cuore, interrogate la vostra coscienza, e alla luce della fede, vedete se per avventura l’amore disordinato dei piaceri, la passione sensuale, quella che S. Giovanni chiama concupiscenza della carne, vi tenesse legati alla terra e vi impedisse di accorrere al banchetto celeste. Se così fosse, non perdiamo tempo: rompiamo questa catena, recidiamo queste funi, finiamola con queste tresche, con queste voluttà indegne di uomini, quanto più di Cristiani! Questa concupiscenza della carne è di natura sì rea, che lo schiavo di essa non si cura nemmeno di scusare il suo rifiuto all’invito del Signore, come fecero gli schiavi delle altre passioni. Questi dissero al servo che li invitava: ” Te ne prego, abbimi per scusato, „ e mostrarono nel rifiuto qualche cortesia; doveché quello bruscamente, villanamente rispose: “Ho menato moglie: non posso venire. „ La passione brutta ha questo di proprio, che soffoca i sensi più nobili del cuore, fa tacere gli affetti stessi più naturali e rende le anime volgari, abbiette, ingrate e peggio. “Via dunque, vi dirò con S. Agostino, via le vane e cattive scuse e andiamo al convito, ove le anime nostre saranno ristorate e nutrite. Non ci sia di ostacolo l’alterigia, non ci gonfi curiosità illecita, non ci metta paura la maestà di Dio, e non ce lo impedisca la voluttà della carne: andiamo e impinguiamoci (In Joan. c. 2, apud a Lapide). „ Non si vuole dimenticare, o carissimi: questa parabola fu detta da Cristo in un convito, offertogli da un principale tra i farisei, e indirizzata specialmente a quelli che l’ascoltavano, e in generale agli Ebrei che si mostravano ritrosi alla sua parola. Nei tre chiamati alla cena sono dunque adombrati direttamente gli Ebrei, e apprendiamo da Cristo che il loro rifiuto si deve attribuire all’orgoglio, all’amore delle ricchezze e alla propensione ai piaceri del senso. – Gli invitati rifiutarono di venire alla cena: resterà dunque questa deserta? La mensa sì talmente imbandita non sarà dunque onorata da commensali, a scorno del padrone? Tolga Iddio che così avvenga. “Il padrone di casa  indignato disse tosto al servo: Esci tosto per le piazze e per le vie della città, e mena qua i mendici, gli zoppi, i monchi ed i ciechi. „ I primi invitati appartenevano, come chiaro dal tutto insieme, alle classi ricche e ragguardevoli, e rappresentavano gli scribi, i farisei e in generale gli Ebrei, i quali, ammaestrati dai profeti e dalla legge, potevano conoscere facilmente la verità, rispetto ai poveri Gentili, avvolti in ogni maniera di errori. Ebbene: poiché i ricchi, i dotti d’Israele non vogliono venire alla cena imbandita dal padrone, cioè da Cristo, si chiamino al primo luogo i poveri, gli ignoranti, i reietti, questi mendici e storpi e ciechi; così si adempie la parola di Cristo, che disse: “I pubblicani e le meretrici vi precederanno nel regno dei cieli, e i primi saranno gli ultimi e gli ultimi primi. „ E veramente fu così: mentre i peccatori, i publicani, le peccatrici, i veri storpi e mendici, lasciata ogni cosa, seguivano Gesù, gli scribi e i farisei, i grandi, i ricchi, non si curavano di Lui, lo sprezzavano, lo rigettavano, lo perseguitavano: mentre Israele, nella sua grande maggioranza, infatuato nei sogni d’una mondana potenza, volgeva le spalle a Cristo, i Gentili pieni di docilità e di fede correvano a sedersi alla sua cena. I figli del regno per il loro orgoglio, per le loro cupidigie uscivano  dalla casa del Padrone, e d’ogni parte vi entravano, al loro luogo, i Gentili nella semplicità della loro fede. É ciò che avvenne in tutti i secoli ed avviene anche di presente. S. Paolo, fin dai suoi tempi, scriveva che non erano molti i sapienti, non molti i potenti, non molti i ricchi, non molti i nobili che seguivano il Vangelo (I. Cor. c. l , vers. 26); Origene ripeteva lo stesso due secoli dopo, e noi pure in qualche senso lo dobbiamo riconoscere ai nostri giorni, sono quelli che riempiono le nostre chiese,  che ascoltano la parola di Dio, che si accostano ai Sacramenti, che osservano le pratiche religiose? Generalmente siete voi, o figli del popolo, uomini del lavoro, voi che vivete col sudore della vostra fronte: raro è che i ricchi, gli uomini della scienza, vera od apparente che sia, si vedano in chiesa mescolati con voi e facciano pubblica professione di fede. Anch’essi sono chiamati alla cena evangelica e chiamati forse prima e più efficacemente di voi; ma l’orgoglio della gloria, la superbia e le terrene cupidigie, che si accompagnano sì facilmente alle ricchezze, fanno loro rispondere: Non possiamo venire. Non possum venire. Non scandalizzatevi di questi nostri fratelli, non scoraggiatevi di trovarvi quasi tutti poveri a questa cena: Gesù Cristo lo predisse, e la sua parola non può cadere.  – ” Poscia il servo, così prosegue il Vangelo, disse al signore: Signore, si è fatto come hai comandato, e vi è ancor posto. „ Certamente il numero degli eletti è noto a Dio tantoché a quella cena eterna non siederà non più od uno meno di quelli, che nella sua sapienza ha destinato. Perciò le parole di questo servo, che riferisce esservi ancor posto, non possono lasciar luogo al sospetto, che Dio ignori il numero degli eletti; sono aggiunte soltanto per ornamento della parabola e per mostrare che Dio chiama gli uomini alla salute eterna in vari modi, largheggiando più o meno della sua grazia. – Il padrone disse al servo: va per le strade e per le siepi e costringili ad entrare, sicché la mia casa sia ripiena. „ È questa la terza chiamata, che per ragione della estensione e dei modi pressanti mette in maggior luce la bontà del padrone di casa. Vuole che il servo percorra non solo le piazze e le vie della città, ma perfino le siepi fuor dell’abitato, e quanti ne trova di poverelli e zoppi e ciechi, e tutti li inviti non solo, ma li costringa ad entrare nella sua casa e prendere parte alla cena. Questa parabola prova ad evidenza come Dio voglia la salvezza di tutti, perché chiama e ripetutamente e in qualunque luogo o regione essi si trovino, senza badare alla loro condizione e miseria. Ponete mente a quella  parola fortissima “costringili ad entrare, compelle intrare—. Forseché Dio costringe ad entrare nella Chiesa e nel regno celeste? Forse che violenta la libertà nostra? No, mai: la libertà è dono di Dio e Dio non si ripiglia mai i suoi doni: anzi sta scritto che Iddio ci tratta con riverenza. Se Dio costringesse o forzasse comecchessia la nostra libertà, cesserebbe ogni nostro merito e perderebbe ogni valore il nostro omaggio, la nostra obbedienza. E verità di fede che noi possiamo resistere alla voce ed alla grazia Dio, e che quando la secondiamo, la secondiamo liberamente. Quella parola pertanto forte — costringili — ad entrare, significa chiamata energica, un impulso gagliardo, una grazia straordinaria, ma non mai un vero costringimento, che è impossibile, che farei torto a Dio ed a noi. La libertà nostra, che è riposta nella facoltà di scegliere, per la quale siamo arbitri, padroni dei nostri atti, è il maggior dono che Iddio ci abbia fatto, quello per il quale siamo a Lui più simili. Di questa libertà noi andiamo alteri, e guai se altri la offende od anche solo minaccia di offenderla. Chi non esalta e magnifica la libertà? Che non si fa per difenderla e conservarla? Eppure, vedete contraddizione! non sono pochi i dotti che, negando l’anima e riducendola ad una dote, funzione o qualità della materia, come il calore d’un corpo, negano necessariamente la libertà e fanno dell’uomo un essere che non può operare altrimenti di quello che fa, simili alla pianta che germoglia, fiorisce e fruttifica bene o male sotto i raggi del sole, simile al bruto che si regola coll’istinto! Tanto orgoglio congiunto a tanta bassezza! Levare a cielo la libertà, che poi si nega! Non apriamo le orecchie agli insegnamenti di costoro, che fanno ingiuria in pari tempo alla fede alla ragione e teniamo fermamente che abbiamo l’altissimo dono della libertà e che dell’uso suo dovremo rendere strettissima ragione. Taluno può forse meravigliarsi che il padrone di casa abbia usata quella parola sì forte: — Costringili ad entrare, — ma vi è un tale costringimento amoroso, che non ferisce la libertà, e di questo senza dubbio parla il Vangelo. – Una persona a voi cara e che voi altamente stimate vi invita, vi chiama presso di sé: voi non volete aderire: essa insiste, ripete l’invito, vi prega, vi piglia per mano, dolcemente vi tira, tanto fa e dice che finalmente fate il voler suo. Senza dubbio, quella persona non vi ha forzato nel senso rigoroso della parola, e voi potevate pur sempre rifiutare; ma è pur vero che altri potrebbe dire, che vi ha fatto dolce violenza e in qualche modo, vi ha costretto a fare il suo desiderio. Questa espressione “costringili ad entrare, „ ci fa conoscere e sentire al vivo quanto sia cocente il desiderio di Dio che tutti partecipino alla sua cena. – Si chiude la parabola con quella formidabile sentenza di Cristo: “In verità vi dico che nessuno di quelli che furono invitati, gusterà la mia cena. „ Furono invitati, rifiutarono villanamente: è dunque giusto che non assaggino quella cena che non vollero. Evidentemente, qui si parla della vita eterna, nella quale non potranno giammai entrare quelli che volontariamente si esclusero da se medesimi, respingendo i ripetuti ed amorosi inviti del Padrone. Deh! che nessuno di noi si trovi nel numero di quegli infelici, che col loro rifiuto al generoso invito di tanto Padrone, meritarono quella terribile condanna: “Io vi dico che nessuno di coloro che furono invitati, assaggerà la mia cena. „

Credo …

Offertorium

Orémus Ps VI:5 Dómine, convértere, et éripe ánimam meam: salvum me fac propter misericórdiam tuam. [O Signore, volgiti verso di me e salva la mia vita: salvami per la tua misericordia.]

Secreta

Oblátio nos, Dómine, tuo nómini dicánda puríficet: et de die in diem ad coeléstis vitæ tránsferat actiónem. [Ci purifichi, O Signore, l’offerta da consacrarsi al Tuo nome: e di giorno in giorno ci conduca alla pratica di una vita perfetta.]

Communio

Ps XII:6 Cantábo Dómino, qui bona tríbuit mihi: et psallam nómini Dómini altíssimi. [Inneggerò al Signore, per il bene fatto a me: e salmeggerò al nome di Dio Altissimo.]

Postcommunio

Orémus. Sumptis munéribus sacris, qæesumus, Dómine: ut cum frequentatióne mystérii, crescat nostræ salútis efféctus. [Ricevuti, o Signore, i sacri doni, Ti preghiamo: affinché, frequentando questi divini misteri, cresca l’effetto della nostra salvezza

LO SCUDO DELLA FEDE (XIII)

[A. Carmignola: “Lo Scudo della Fede”. S.E.I. Ed. Torino, 1927]

L’ESISTENZA DI DIO.

— L’esistenza di Dio dimostrata dall’esistenza nostra. — Dall’esistenza del mondo. — Dall’ordine dell’universo e del suo movimento. — Dal comune consentimento dei popoli. — Da coloro stessi che la negano.

— Capisco bene, che dopo d’esser stato convinto che devo credere a tutte le verità che insegna la Chiesa Cattolica, non avrei più da fare difficoltà di sorta per nessuna di esse. Ma il desiderio di istruirmi sempre più e di togliermi dalla mente ogni falsa idea anche intorno ai punti particolari della dottrina cristiana mi spinge a farmi da capo, certo che la sua bontà in rispondermi non verrà meno.

Ciò che tu desideri, lo desidero ancor più io per giovarti quanto più mi è possibile. Domanda perciò, esponi liberamente ogni dubbio, obbietta tutto quello che credi opportuno al tuo fine anche riguardo ai punti particolari della dottrina cristiana.

— Quale sarebbe adunque la prima verità da credere?

L’esistenza di Dio. S. Paolo dice chiaro a nome del Signore che chi vuol andare a Lui deve credere anzitutto che Egli esiste (V. Lettera agli Ebrei, Capo XI, Versetto 6). Epperò è questa la verità, che appare per la prima nell’insegnamento cristiano, la verità che ad ogni tratto ci è rivelata nelle Sacre Scritture sia dalle manifestazioni (teofanie) continue che di Dio ci sono in esse narrate, sia dalle affermazioni che esse ce ne fanno.

— Ma! Sarà poi vero che vi sia un Dio?

E sarà vero che ci sia tu?

— Oh! di questo mi pare di non dover dubitare.

Ma tu perché ci sei?

— Ci sono perché ci sono stati i miei genitori, che mi han dato la vita.

E i tuoi genitori perché ci sono stati?

— Oh bella questa! Perché ci furono i loro avi.

E i loro avi perché ci furono?

— Ma comprenderà bene che è sempre la stessa storia.

Oh no! questo che dici non è giusto. Se tu prendi in mano una catena e dalla fine di essa vai giù di anello in anello, arriverai certamente al primo. Così se risali da genitori in genitori bisogna pure che tu arrivi a trovare quelli che furono i primi genitori.

— Ciò è verissimo.

Or bene quei primi genitori, dimmi, hanno essi avuti altri genitori?

— Eh! allora non sarebbero più stati i primi.

Dunque come hanno fatto ad esistere quei primi genitori?

— Saran venuti fuori dalla terra.

Bambini o già adulti?

— Saran venuti fuori bambini.

Ma bambini non sarebbero morti subito per mancanza di aiuto?

— Allora saran venuti fuori adulti?

Adulti? Ma ti pare? Il solo pensiero che un uomo ed una donna siano saltati fuori dalla terra già grandi e grossi tutto ad un tratto non ti fa ridere? E poi perché, se ciò fosse avvenuto una volta, adesso non accade più mai?…  Inoltre come si son formati dalla terra questo primo uomo e questa prima donna?

— Si saran formati a poco a poco per mezzo di successive trasformazioni. Per esempio prima saranno stati un pugno di fango e poi questo pugno di fango per certe forze intrinseche si sarà sviluppato e trasformato in una specie di animale, questa specie di animale, ancora molto imperfetto, a poco a poco si sarà trasformato in un altro animale più perfetto, e questo in un altro ancor più perfetto fino a tanto che si sarà arrivati alla scimmia, e dalla scimmia il passaggio all’uomo non deve essere stato difficile.

Ah sì? E come mai da migliaia di anni, che il mondo si trova quale esso è, non si è più mai veduto nulla di simile ? Com’è che le scimmie sono sempre rimaste scimmie? che le rane sono sempre rimaste rane e i pesci sempre rimasti pesci? Com’è che se tu pigli un pugno di fango e lo poni, mettiamo, in una scatola, e lo lasci lì per anni ed anni, per secoli e secoli, rimane sempre un pugno di fango? E poi quando pure fosse come tu dici, non ci sarebbe ancor sempre da spiegare come cominciò ad esistere quel pugno di fango, e donde originarono quelle forze che lo hanno trasformato? Non ricordi il problema dell’uovo e della gallina? Un amico chiedeva ad un altro: Mi sapresti dire qual dei due sia stato prima: l’uovo o la gallina? — La gallina, rispose questi. — E questa gallina, riprese quegli, dond’è venuta? — Da un uovo. — E allora non fu più la gallina ad esistere per la prima. — Già lo vedo anch’io; dunque prima esistette l’uovo. — E questo uovo da chi provenne? — Eh, caro mio, vedo che non si finirebbe più sia a pensarla in un modo sia a pensarla ad un altro. — Dunque bisogna riconoscere che v’è stato chi produsse o il primo uovo o la prima gallina. – Alla peggio pertanto, tornando a noi, non bisognerebbe ammettere che c’è stato chi ha dato esistenza a quel primo pugno di fango e vi ha infuso dentro quelle forze?

— Ah! questo è vero.

Ma siccome il fango rimane sempre fango, perché non ha in sé e per sé nessuna forza che lo faccia passare ad uno stato migliore, siccome le bestie rimangono sempre bestie, siccome non è possibile che un primo uomo ed una prima donna, siano venuti fuori dalla terra né grandi e grossi, né piccoli bambini, e siccome vi è stato un primo uomo e una prima donna, da cui sono venuti al mondo tutti gli altri, perciò bisogna che vi sia stato qualcuno, che abbia formati il primo uomo e la prima donna, e ben si capisce qualcuno dotato di ragione e di volontà, di gran lunga superiore all’uomo, perché nessun uomo può formare per creazione un altro uomo; bisogna insomma che vi sia stato, che vi sia Dio.

— Ma come si fa a credere che ci sia Dio se non si vede?

E tu hai già veduto la tua mente? Hai già veduto l’aria? Hai già veduto la febbre? Eppure dubiti che ci sia la tua mente, che ci sia l’aria, la febbre?

— Ma la mia mente si rivela nei pensieri, che mi vengono, nelle parole che profferisco, nelle azioni che compio; l’aria la respiro, e la febbre posso sentirmela in dosso.

È la stessa cosa di Dio. Gira gli occhi intorno a te, levali in alto, gettali in basso, che cosa vedi tu?

— Vedo millanta cose. Vedo gli uomini, vedo gli animali, vedo le piante, vedo le case, vedo le colline, le montagne, il mare, i fiumi, il sole; di notte vedo la luna, le stelle!

E tutte queste cose che vedi chi le ha fatte?

— Talune, come le case, le hanno fatte gli uomini.

Benissimo! E vedendo una casa qualsiasi, fosse pure una miserabile catapecchia, ti è mai passata per la mente che siasi fatta da sé?

— Allora sarei un matto.

E se saresti matto nel pensare che una casa qualsiasi, fosse pure una catapecchia, si sia fatta da sé, non saresti matto egualmente nel pensare che siansi fatte da sé tutte le altre cose che esistono, e gli uomini non possono aver fatte, come le piante, i fiori, le erbe, le montagne, i mari, i fiumi, gli animali, gli uccelli, i pesci, le stelle, il sole, la luna, eccetera?

— Oh certamente.

Se adunque la luna, il sole, le stelle, i pesci, gli uccelli, gli animali, i fiumi, i mari, le montagne, le erbe, i fiori, le piante, eccetera, non si sono fatte da per sé, non ti rivelano chiaro che deve esistere qualcuno che le abbia fatte? che deve esistere il loro creatore? Che deve esistere Iddio?

— Sì, è vero.

Dicevano dunque bene quei due Arabi, ai quali chiedendosi in qual modo conoscessero che Dio esiste, rispondevano, l’uno: « Allo stesso modo che io riconosco dalle tracce segnate sulla sabbia che vi è passato un uomo od una belva; » e l’altro: « Non è forse l’aurora che mi annunzia il sole? » Epperò quanto giustamente le Sacre Scritture vanno dicendo che « la magnificenza della creazione fa vedere e conoscere all’anima nostra il Creatore d’ogni cosa « (v. Libro della Sapienza, Capo XIII, Versetto 5); e che « i cieli sono come le pagine di un libro, in cui si può leggere la sua gloria, e il firmamento annunzia ch’esso è l’opera delle sue mani, e il nome ammirabile di Dio si legge su tutta la terra » (v. Salmi XVIII e VIII). Ne son prova questi altri fatti. Il filosofo Sintennis prese un bambino e lo condusse in una villa segregandolo del tutto dal mondo e non parlandogli mai di Dio, pensando per tal guisa di poter dimostrare col fatto che l’uomo non arriva di per sé a conoscere l’esistenza di Dio. Ma rimase deluso. Perché cresciuto il fanciullo, un mattino lo vide tra l’incanto della natura indirizzare i suoi passi sopra un poggetto del giardino ed ivi inginocchiarsi e mandare baci al sole e dire: « O tu che sei così bello e che sei più vicino al Creatore di tutte le cose, salutalo per me, e digli ch’io l’amo! » Interrogato quindi il fanciullo chi gli avesse detto che c’era un Dio Creatore del mondo e chi gli avesse insegnato a pregare così, quegli rispose: « Tutto ciò che vedo e mi circonda, tutto mi dice che c’è chi ha fatto il mondo, e che io lo devo adorare. – Anche il giovane Tagliapietre di Saint Point, come narra Lamartine, ad un gentiluomo che lo interrogò, perché mai tutto solo attendesse al lavoro nella sua valletta rispose: « In tutta la mia vita non mi sono mai sentito solo un momento. Si è forse soli, quando si ha Dio al fianco e si è circondati da Dio? ». « Hai ragione, replicava il gentiluomo ; ma tu come hai saputo tutto da te sollevarti fino a questa presenza di Dio e avvezzarti a vedertelo al fianco come un amico? » – « Come ho potuto? Io sono ignorante, ma ho appreso da mia madre e da molte anime buone a conoscere e adorare Iddio. Ma quando anche ciò non fosse stato, quando pure non avessi mai udito il catechismo della Parrocchia, forse che non ci ha un catechismo in ogni cosa che ne circonda, il quale insegna agli occhi e all’anima dei più ignoranti? Il nome di Dio non abbisogna di lettere dell’alfabeto per essere letto. L’idea di Dio s’incontra coi nostri sguardi sin dal primo raggio di luce che ci visita e ci rallegra ».

« Dunque tu vedi Iddio? »

« Se lo vedo! E potrei io esprimere per quali modi e per quante immagini? Ora lo vedo come un cielo senza confine seminato di occhi da ogni parte Ora lo vedo come un mare che non ha lido, donde escono in gran numero isole e terre. Ora lo vedo come un gigante, carico di montagne, di mari, di soli, di mondi addossati l’un l’altro, di cui non sente il peso … Io sono un insipiente, le frasi e le immagini mie sono quelle di un ignorante… Ma io vedo il mio Dio! » – Il Metastasio espresse pur bellamente la stessa verità con queste due belle strofe:

Dovunque il guardo io giro

Immenso Dio, ti vedo;

Nell’opre tue t’ammiro,

Ti riconosco in me.

La terra, il mar, le sfere

Parlan del tuo potere:

Tu sei per tutto, e noi

Tutti viviamo in te.

Ma non è solo l’universo e la sua bellezza che ci mostrino l’esistenza di Dio; ce la mostrano altresì l’ordine, l’armonia, la disposizione ammirabile delle cose tutte. Se tu guardi un bel quadro, una bella statua, se tu consideri la struttura di un magnifico orologio, se tu ammiri un giardino ordinato con vaghissime aiuole, oseresti tu dire che quel quadro si è dipinto da sé e che i colori si sono distesi e stemperati gli uni accanto e sopra gli altri sulla tela fino a che ne è venuto fuori quel quadro stupendo? Oseresti tu dire che nel blocco di marmo, da cui è venuta fuori quella statua, da per sé si sono rotti i pezzi, levate le schegge lisciate le parti, fino a che di per sé si è formata la bella statua? Oseresti tu dire che in quell’orologio si sono collocati a posto di per sé i perni, e dentro di essi le ruote, e le une si sono di per sé incastrate nelle altre, tanto da mettere in movimento quell’orologio! Oseresti dire infine che in quel giardino le aiuole da se stesse si sono ordinate e piantate di fiori?

— Sarebbe da ridere.

Ebbene non sarebbe da ridere anche più nel vedere l’ordine che vi regna nell’universo, e dire che quest’ordine si è fatto da sé? Mira le stelle: ciascuna sta sempre al suo posto, percorre sempre la stessa orbita. Mira le stagioni; si succedono sempre regolarmente le une alle altre. Mira gli uomini, gli animali, le piante, si riproducono sempre secondo la loro specie. E non ci sarà dunque chi tutto ha ordinato così, come c’è un giardiniere che ha ordinato le aiuole di un giardino, come c’è un orologiaio che ha messo a posto le ruote d’un orologio, come c’è uno scultore che ha fatto una statua, come c’è un pittore che ha fatto un quadro?

— Sì, è vero, verissimo; ma non si potrebbe dire che il mondo si è fatto e ordinato a caso?

A caso? Ma che cos’è il caso?

— Non saprei dire.

Il caso, in questo caso, è nulla. E il nulla non fa nulla, non ordina nulla. Curiosa questa! Non diresti mai che il caso ha dipinto un quadro, tratta una statua, composto un orologio, ordinato un giardino, e vorresti dire che il caso ha fatto e ordinato l’universo?

— Ha ragione; ma se non si può dire che ciò abbia fatto e ordinato il caso, non può invece averlo fatto e ordinato madre natura?

Madre natura? Ecco; se per madre natura tu intendi quell’Essere che, dotato di intelligenza e volontà, ha tutto fatto ed ordinato, con ciò ammetti senz’altro l’esistenza di Dio creatore ed ordinatore, benché con una espressione affatto impropria e che tutt’altro che chiarire le cose non fa che ingarbugliarle. Ma se per madre natura intendi le proprietà e le forze che vi sono nel mondo, cioè nelle cose che essi stono, tu verresti a dire questa grande assurdità che il mondo si è creato ed ordinato dalle proprietà e forze che vi erano nel mondo già creato ed ordinato.

— E già, è così.

Aggiungi poi che oltre all’ordine nell’universo vi è il moto. Tutto ciò che nell’universo esiste tutto trovasi in movimento. Si muove la terra, si muovono gli astri, si muovono i mari, si muovono gli animali, le piante, si muove l’uomo, insomma non c’è essere alcuno che o in un modo o in un altro non si muova. Ora qualunque cosa che si muova, non altrimenti si muove, se non perché c’è una forza che la fa muovere. Questa forza potrà essere ripetutamente mediata, ma ti fa d’uopo da essa risalire ad una immediata. Quando ad esempio tu vedi un carrozzone elettrico che corre rapidamente sopra un binario, benché non veda esternamente alcuna forza che lo tiri o lo spinga, sai non di meno che è l’energia elettrica, con la quale è posto in comunicazione, che lo fa muovere. Ma l’energia elettrica è già ancor essa un movimento, del quale cercando la causa la troverai in un altro movimento, ad esempio in quello dell’acqua o del fuoco. E il movimento dell’acqua o del fuoco è cagionato esso pure da altro movimento. Così potrai da movimento in movimento andare fino ad un certo punto, ma alla fine ti è necessario arrivare ad una prima causa, che dà immediatamente movimento alle altre senza più essere mossa da alcuna, poiché altrimenti tu correresti nell’infinito senza potere trovare mai un punto ove fermarti, ciò che invincibilmente ripugna alla nostra mente. Ora quello che ti è d’uopo riconoscere gettando lo sguardo sopra un carrozzone elettrico, lo devi riconoscere gettando lo sguardo sopra qualsiasi altro essere, che ti capiti sotto gli occhi. E così da ogni essere in movimento (e tutti gli esseri, come già ti dissi, si trovano in un modo o in un altro in tale condizione), potrai e dovrai risalire a quell’essere, che senza punto essere mosso da alcuno è il motore di tutto, e che tutti intendono essere Dio.

— Anche questa dimostrazione è chiara. E congiunta alle altre non deve più assolutamente lasciar dubitare dell’esistenza di Dio.- Non di meno se ne dicono tante a questo riguardo… Per esempio, si dice che siano stati i sacerdoti, che abbiano inventato Iddio.

Chi parla così, parla assurdamente e non sa quel che si dice. Se io dicessi che tu hai inventato tuo padre…

— Mi metterei a ridere.

Ma molto più dovresti ridere quando ti si dice che sono i sacerdoti che hanno inventato Dio. I sacerdoti sono i rappresentanti di Dio presso gli uomini e i rappresentanti degli uomini presso Dio. Ora come mai i sacerdoti potevano essere tali, se prima di essi non era riconosciuta l’esistenza di un Dio, del quale essi si dichiaravano ministri? Dire adunque che i sacerdoti hanno inventato un Dio è la stessa assurdità che dire che i figli hanno inventato il padre.

— Ma non è forse verissimo che vi sono tanti uomini al mondo, che non credono all’esistenza di Dio?

È verissimo tutto il contrario. Tutti i popoli antichi e moderni, barbari ed inciviliti, in ogni tempo, in ogni luogo, sotto ogni clima, hanno riconosciuto che vi è Dio. Sono celebri in proposito le affermazioni di Cicerone e di Plutarco. « Non vi ha nazione sì rozza e sì selvaggia, dice il primo, che non creda l’esistenza degli dèi, sebbene s’inganni quanto alla loro natura ». E il secondo: « Voi potrete trovare una città senza muraglie, senza case, senza ginnasi, senza leggi, senza uso di moneta, senza coltura di lettere; ma un popolo senza Dio, senza preghiere, senza sacrifizio, senza riti religiosi, non si vide giammai ». Anche Massimo di Tiro osservò « che nel mondo vi ha un gran cozzo di leggi e di opinioni, ma che tutte le leggi e le opinioni si accordano su questo punto cioè che vi ha un signore e padre di tutte le cose ». – Pertanto se vi sono degli uomini, che non credano all’esistenza di Dio, prima di tutto essi sono assai pochi e difficilmente accade che non vi credano per sistema, per convinzione, e stabilmente, per un lungo corso di tempo. In generale dicono con la lingua di non credere all’esistenza di Dio, ma nel cuore la pensano ben diversamente; e se pure talvolta fanno una tal negazione per qualche tempo, quando cioè si trovano dominati da una sfrenata superbia, non persistono mai tuttavia in essa per lunghi anni, e il più delle volte al punto della morte cambiano parere. In secondo luogo quegli uomini, che non credono o dicono di non credere all’esistenza di Dio, sono per lo più coloro che lasciandosi sopraffare dalle loro malnate passioni, e dandosi ad operare il male, temono perciò i castighi di Dio e vorrebbero che Dio non esistesse, perché non li avesse a punire.

— Questo è vero, confesso che se talvolta ho avuto anch’io qualche dubbio sull’esistenza di Dio, l’ho avuto allora che ho accontentato od avrei voluto accontentare le mie cattive inclinazioni.

Vedi adunque che la Sacra Scrittura ha avuto ragione di dire che lo stolto ha detto in cuor suo che non vi è Dio. In cuor suo, e non nella sua mente, perché la negazione di Dio più che dall’offuscarsi della mente procede dal corrompersi del cuore. Chi si conserva buono, chi vive virtuosamente, non penserà mai a negare l’esistenza di Dio. – Il La Bruyère nel suo libro intitolato I Caratteri ha detto: « Io vorrei trovare un uomo sobrio, moderato, casto, equo, che dica non esservi Dio; egli almeno lo direbbe senza interesse; ma quest’uomo voi lo cercherete indarno ». E per altra parte c’è da meravigliarsi che vi siano stati e vi siano tuttora alcuni uomini che non credano all’esistenza di Dio? In una provincia di 500,000 abitanti non v i sono sempre per lo meno un 500 pazzi? È troppo naturale adunque che nella generalità degli uomini, i quali tutti ammettono la esistenza di Dio, ve ne sia pure qualcuno che non l’ammetta, e questa eccezione, eccezione rarissima, è una piena conferma della regola.

— Ma molti popoli nel credere all’esistenza di Dio non fecero cosa ridicola, come quelli ad esempio che credettero essere tanti dèi, e quegli altri che credettero essere dèi gli animali, le piante, gli astri o le statue fabbricate dalle loro mani?

Sì, è vero, molti popoli hanno errato nell’ammettere più di un Dio e nel credere Dio ciò che non era e non poteva assolutamente essere tale; ma con tutto ciò essi ammisero l’esistenza della divinità. Fecero adunque cosa ridicola nel concepire nella loro mente le pluralità degli dèi, e la essenza di Dio diversa da quella che è, ma fecero opera assennata credendo che Iddio esiste. Aggiungi poi che in generale tutti i popoli idolatri hanno pur sempre ammesso un Dio ai di sopra di tutti e di tutto. Sofocle in pieno teatro ricordava agli Ateniesi, adoratori delle divinità dell’Olimpo « che nelle leggi sublimi del mondo v’ha un Dio supremo, che non invecchia mai » (nell’Edipo).

— Ma i popoli nel credere all’esistenza di Dio non potrebbero essere stati vittima del timore, dell’ignoranza, dei pregiudizi?

Vittima del timore, dell’ignoranza, dei pregiudizi lo furono nel credere Dio ciò che non era Dio in tante maniere diverse secondo la diversità dei tempi, dei luoghi, delle passioni, come ad esempio lo sono tuttora certi abitatori delle Indie che per timore, per ignoranza e per pregiudizio credono divinità certi serpenti velenosissimi, ai quali perciò si guardano ben bene di dare la morte; ma i popoli non furono, né possono essere vittima del timore, dell’ignoranza, dei pregiudizi in un fatto che si presenta uniforme e costante, lo stesso in tutti i luoghi e in tutti i tempi.

— E una tale credenza non sarebbe forse nata dalla superstizione?

Tutt’altro; perciocché la superstizione è l’esagerazione del sentimento legittimo della fede sincera in Dio: quindi coloro che si abbandonano alla superstizione non altrimenti lo fecero e lo fanno che dopo esservi già stata tra di loro la credenza che Dio esiste.

— Ma in questa credenza gli uomini non avrebbero potuto seguire una consuetudine?

Qualunque consuetudine deve avere la sua origine e la ragione per cui si è formata. Ora quale origine e quale ragione si potrebbe assegnare a questa consuetudine di credere all’esistenza di Dio? Eh! si ha bel cercare e ricercare, ma nel fatto uniforme e costante del credere all’esistenza di Dio non si può trovare altra spiegazione di questa: che una tale credenza è una inclinazione della nostra natura, è una legge intrinseca della nostra intelligenza.

— Ma moltissime volte la nostra intelligenza si sbaglia.

Sì; ma vorresti tu affermare che tutto l’uman genere, con a capo tanti filosofi pagani e cristiani, Mercurio Trimegisto, Talete, Anassagora, Socrate, Platone, Aristotele, Cicerone, Seneca, S. Agostino, S. Anselmo, S. Tommaso d’Aquino, S. Bonaventura, eccetera, eccetera, abbia errato? No, ciò non è possibile.

— Dunque che si ha da dire di coloro che si ostinano a negare Dio?

Si ha da dire che sono anch’essi una prova che Dio esiste. « Se l’ateo ritenesse per certo che Dio non esiste, non si affannerebbe tanto a combatterlo. Ma perché mai il suo odio contro questa verità si spinge fino alla collera? La sua collera sino al furore? Il suo furore fino alla rabbia? La sua rabbia fino alla follia? » – Il poeta greco Aristofane, nella sua commedia intitolata I Cavalieri, ha introdotto tra due suoi personaggi questo breve dialogo:

« Credi tu, o Nicea, che esistano gli dèi ? »

« Certamente ».

« E la prova? »

« Eccola: io li odio ».

Credilo, amico mio, non pochi atei son qui dipinti; « il loro odio contro Dio è figlio della fede che hanno in Lui, e dall’accento con cui dicono: « Dio non esiste », è agevol cosa conchiudere che Dio esiste » (Monsabrè).

IL SACRO CUORE DI GESU’ E I TEMPI PRESENTI

Il Sacro Cuore di Gesù e i tempi presenti.

[A. Carmagnola: IL SACRO CUORE DI GESU’; S.E.I. Ed. Torino, 1920 – impr.-]

 Cuore! Cuore! Ecco una di quelle parole più espressive, più ricche di significati, che maggiormente si odono sulla bocca degli uomini. E Cuore! Cuore! facciamoci a ripetere ancor noi. Ma non già per ricordare il viscere del petto umano, o le sue morali qualità, bensì per rappresentare dinnanzi a noi il viscere del petto divino e le sue grandezze, le sue perfezioni, i tesori del suo amore infinito per noi. Sì, diciamo e ridiciamo pur le cento volte Cuore! Cuore! per farci a conoscere, ad amare, ad imitare, ad adorare il Cuore Sacratissimo di Cristo. E potremo noi far uso migliore della parola Cuore? Potremo meglio riparare in tal guisa l’uso indegno, che di essa si fa in espressioni idolatriche e sacrileghe? Potremo con essa esprimere, significare qualche cosa di più grande, di più bello, di più sublime, di più buono, di più eletto, di più caro! Cuore, Cuore Sacratissimo, Cuore Santissimo, Cuore Divino, Cuore Adorabile, Cuore di Gesù Cristo, ecco adunque la voce, che noi fin da questo momento prenderemo a ripetere senza stancarci mai. E perché? Perché incominciando oggi il mese di giugno, nel quale ricorre la festa del Cuore di Gesù, e che noi, secondo l’uso cristiano ornai universalmente introdotto, consacriamo a questo Cuore istesso, prendevo col più vivo trasporto a parlarne ogni giorno, affine di accenderci ognora più della sua divozione. – Ed oh! a qual opera importante noi ci accingiamo! Oggidì massimamente si muove contro di Gesù Cristo una guerra atroce, ostinata ed implacabile. Si bestemmia orribilmente il suo santo Nome, si disprezza la sua celeste dottrina, si deridono i Sacramenti, frutti benefici del suo amore per noi, si oltraggia la Chiesa da Lui istituita per la nostra salute, si insulta e si fa patire l’Augusto Capo, che Egli vi ha preposto a governarla, e in cento guise diverse si lavora satanicamente a distruggere .nelle anime il regno di Gesù Cristo. Ora, prendendo noi a parlare del suo Sacratissimo Cuore, ne mostreremo, come meglio ci sarà dato, le grandezze, le perfezioni, le prove di carità per noi, e ci industrieremo per tal guisa a mantenere ed accrescere in noi la sua fede, il suo amore e a diffondere altresì questo amore e questa fede nel cuore dei nostri fratelli. E se a ciò riusciremo, oltreché avremo assicurate grazie specialissime di salute a noi, non arrecheremo altresì vantaggi segnalatissimi alla società, in cui viviamo? I tempi, o miei cari, corrono tristi pur troppo, non ostante le più fallaci parvenze del contrario. E la ragione della miseria ed infelicità presente non da altro è causata se non dall’abbandono e dal disprezzo, in cui fu lasciato cadere Gesù Cristo. – La divozione pertanto al suo Cuore Santissimo, che noi praticheremo e che col nostro esempio faremo praticare da altri, sarà uno dei mezzi più efficaci per risollevare la società presente dal suo abisso, e ridonarle la pace e la prosperità. Ed è ciò appunto che voglio dimostrarvi in questo primo discorso. Ma prima di metter mano agli importanti argomenti, che siamo per trattare, preghiamo umilmente il cuore Santissimo di Gesù, che si degni di purificare le nostre labbra e i nostri cuori. Quando Mosè fu per avvicinarsi al roveto ardente, intese da quello uscir una voce che gli disse: « Sciogliti prima i calzari, perché il luogo in cui stai è terra santa. Ed il Cuore di Gesù, nel quale dobbiamo entrare in questo mese con le nostre considerazioni, coi nostri sentimenti, e coi nostri affetti, è un luogo infinitamente santo, è il ricettacolo di tutta la santità. Diciamogli adunque con umiltà: O Cuore Sacratissimo, purificate le nostre menti, i nostri cuori, le nostre labbra, perché liberi da vani pensieri non riflettiamo più ad altro che a quello che voi ci farete intendere, perché mondi da terreni affetti non amiamo più altro che voi, perché casti nelle parole cantiamo più degnamente che sia possibile le vostre sante lodi.

— Ci andiamo inoltrando nel secolo ventesimo. Ed è innegabile, che chi considera soltanto con occhio superficiale lo stato presente delle cose, va fuori di sé per maraviglia allo spettacolo, che gli si para dinnanzi. Le scienze fisiche e naturali, le conquiste nel campo della materia, la libertà nell’ordine sociale, le agiatezze della vita, sembrano aver raggiunto il loro apogèo, e se pur rimane a fare qualche passo per raggiungerlo si è così sicuri di poterlo fare, che già oggi si dice baldanzosamente: Domani avremo trionfato di ogni difficoltà! Dappertutto per mezzo di fili elettrici, che scorrono per le pianure, travalicano le montagne, stendonsi sul letto dei mari, con la rapidità del fulmine il pensiero e la volontà dell’uomo si appalesano da una ad un’altra città, da un popolo ad un altro popolo, da un mondo ad un altro mondo; che anzi oggimai mercé le scoperte di un nuovo genio italiano ciò avviene anche senza la mediazione dei fili. Là, in mezzo agli oceani navi, che assicurate dai capricci dell’atmosfera e dalla tirannia dei venti volano senz’ali, sfiorando l’abisso, giungendo in porto ad ora stabilita e compiendo in pochi giorni un viaggio, per il quale i nostri antenati impiegavano mesi intieri. Sulla superficie della terra una immensa rete di ferro, sulla quale i treni passano sbuffanti, portati dal vapore, come da un’anima vivente, e trasportando le intere popolazioni a spettacoli, ad affari, a piaceri, che ai nostri maggiori erano ignoti. Le città e persino le ville illuminate la sera da splendori incantevoli, che sembrano eclissare il giorno; e i signori e le dame che folgoranti di sete, di ori, di diamanti o battono il cammino in aria di conquistatori, o nei superbi cocchi paiono essere condotti per le vie del trionfo. Nel tempo stesso la gente del popolo, gli operai, i servitori, gli uomini della gleba, che senza più alcun riguardo si frammischiano nelle agitazioni della vita alla nobiltà ed alla borghesia, tenendo alta la testa e mostrando scritto sulla fronte il pensiero del cuore: « Le distinzioni sono ornai scomparse; è il tempo della libertà, dell’uguaglianza e delle fraternità: anche noi abbiamo i nostri rappresentanti al maneggio della cosa pubblica; siamo ancor noi in pieno possesso dei nostri diritti. » La gioventù poi soprattutto ti si presenta lieta e festante, incoronata di fiori, senza timore che le si appassiscano, spensierata della vita presente e facendo sogni dorati per l’avvenire. Insomma sembrerebbe tornata l’età dell’oro, parrebbero giunti i tempi della prosperità e della tranquillità universale. Eppure… ah! non vi ha bisogno di un lungo esame per riconoscere, che la prosperità non è che apparente e che la tranquillità non esiste. Invece della prosperità regna la miseria, e miseria sì grave, sì orrenda e sì estesa da far soffrire la fame a intere popolazioni. Invece della tranquillità regna la cupidigia, l’agitazione, la lotta, il disordine. Si è fatta la pace, ma la pace non esiste, e più che mai rinvigoreggiano gli odii nazionali e regionali; si invoca la ristorazione morale e non mai i delitti furono più numerosi, più enormi e più feroci, perché non mai i costumi furono così depravati. Quadra troppo bene alla nostra età quella sentenza dell’apostolo Giovanni: Omne quod in mundo est, concupiscentia carnis est, et concupiscentia oculorum, et superbia vitae. ( I Eph. II, 16). Quant’è nel mondo tutto è compiacenza della carne, sete delle ricchezze, superbia della vita. La più parte degli uomini infatti obbliando il principio, onde nacquero, e il fine a cui sono chiamati, fissano tutti i loro pensieri e le loro sollecitudini nei vani e caduchi beni della terra, e violentando la natura e scompigliando l’ordine stabilito, si rendono volontariamente schiavi dei miserabili agi e piaceri dei sensi. È poi naturale che con l’amore degli agi e dei piaceri si accoppi la cupidigia di quanto serve a comprarli. Di qui quella sfrenata avidità di denaro, che acceca quanti invade, e corre tutto fuoco ed a briglia sciolta a scapricciarsi, senza divisare sovente il giusto dall’ingiusto, e non di rado con ributtante insulto all’altrui miseria e impotenza. Di qui la giustizia divenuta così rara, il furto, la rapina, la concussione, l’usura che si pratica sotto tante forme, le catastrofi finanziarie che si moltiplicano, i giuochi di borsa nei quali si rischia non solo quel che si possiede, ma ciò che non si ha e non si avrà giammai; i possessori della fortuna pubblica che vivono tranquillamente al coperto sotto la loro infamia, la qualifica di speculazione disgraziata ai giuochi in cui si è dilapidato il bene altrui, l’invidia alla sorte di quei ricchi disonesti, a cui la fortuna fu più propizia, e da un capo all’altro della scala sociale quel non aver più in credito ed in voga che un’arte, l’arte di riuscire a far denaro, anche a costo di metter le mani sull’oro altrui e di tingerle dell’altrui sangue. E di qual sangue! Talora del fratello, dei figli, del proprio padre e della propria madre! All’istesso modo l’animo inorgoglito per una parte tenta scuotere il giogo d’ogni legge, calpesta ogni autorità e solleva da per tutto la bandiera della ribellione: per l’altra, affine di prevalere ad ogni costo sopra gli altri, si appiglia alla menzogna, alla corruzione, alla forza ed all’arbitrio. Uno sguardo in basso, e le classi povere e lavoratrici vi faranno paura; uno sguardo in alto, e l’autorità o vi farà compassione o vi farà fremere. Il popolo più non rispetta l’autorità, anzi non solo non la rispetta, ma la disprezza e la odia, e la disprezza e la odia solamente perché è autorità. I piccoli, i poveri, gli operai, i diseredati della fortuna alzano il grido di Spartaco, e con celerità spaventosa questo grido si propaga nel mondo ingenerando i più spaventevoli rivolgimenti politici; il pugnale o la palla dell’assassino mette così spesso a pericolo e toglie ben anco la vita dei Capi delle nazioni, e il petrolio, la dinamite, le bombe talora mandano in aria le case o le famiglie dei ricchi, dei padroni, dei capitalisti e dei governanti. Questi poi per parte loro in gran numero arrivano oggi a sedere al banchetto dei pubblici affari non altrimenti che brogliando e corrompendo; e là seduti, serviti del danaro delle pubbliche gabelle, servono ad un tempo stesso alla setta, da cui dipende tutta la loro vita e la loro forza, o eccedendo vilmente di tolleranza verso i malvagi, o più odiosamente di dispotismo verso i buoni. Che se poi dalla società in generale voi vi affacciate in particolare al focolare domestico, dovete tosto ritrarvene atterriti, perciocché nozze senza santità, famiglie senza amore, coniugati senza fedeltà, genitori senza prudenza, figliuoli senza rispetto, anche qui fanno regnare l’alterigia, la disobbedienza ed il disordine. Insomma dappertutto, nella vita privata e nella pubblica, nonostante il progresso delle scienze e della materia, e la prosperità e la tranquillità apparente, decadenza, miseria, malessere e rivoluzione che spaventa. Ma a tanto male chi ha spalancato la via? Quale causa funesta lo ha ingenerato e cresciuto? Quale causa?… L’abbandono e il disprezzo pressoché totale di nostro Signor Gesù! O, Sì, purtroppo, o miei cari, con uno spirito fatale di superba e fallace innovazione, Gesù Cristo fu detronizzato e messo alla porta dalla società, dalla scienza dalla letteratura, dall’arte, dalla morale, dal governo, e persino dalla religione, che si pensò creare senza di Lui; anzi Gesù Cristo non solo fu escluso, ma beffato, insultato, maltrattato, combattuto nella scienza, nella letteratura, nell’arte, nella morale, nel governo e nella religione di nuovo conio. Né crediate che in ciò vi sia esagerazione di sorta. Non avete che a gettare qua e là lo sguardo per convincervi tosto di questa dolorosa e terribile verità. « Considerate l’andamento delle pubbliche scuole. Non solo non si dà luogo in esse all’ecclesiastica autorità, e si lascia d’informare alla pratica dei cristiani doveri gli animi della gioventù, ma si tace il più delle volte l’insegnamento religioso, e ciò che è peggio le si ammanisce una viziata dottrina, la quale, tutt’altro che istruire con le nozioni del vero, infatua coi sofismi dell’errore. » (LEO XIII) – Il libero pensiero ha negate le grandi verità religiose, epperò postergata affatto la fede divina, e filosofando col solo magistero della ragione, si insegna che quanto vi ha nel mondo tutto è corporeo; che gli uomini e gli animali hanno medesimezza di origine e di natura, che forse non vi ha neppure un Dio, sommo artefice del mondo e dominatore delle cose, e che se pure esiste egli è ben diverso da quello che la religione cristiana lo finge. – Considerate la stampa, che più ancora della scuola riproduce il libero pensiero, e col libero pensiero la coscienza libera, che ha proclamato norma unica delle azioni umane il proprio volere; consideratela nei romanzi, nei libri, nei manuali, nelle riviste, negli almanacchi e più ancora nel giornale, che forma oggidì la principale attrattiva del popolo. Da per tutto storie, racconti, novelle, ragionamenti, articoli scientifici e letterari concorrono come tanti colpi di scure contro il tronco di un albero che si vuole atterrare, a rovinare, cioè gli ultimi avanzi della fede popolare. Ivi si insultano i preti, si calunniano e si infamano senza smentita o ritrattazione di sorta; ivi si scherniscono e si combattono le processioni, i pellegrinaggi, le feste religiose, i congressi cattolici e tutte le manifestazioni di fede cristiana; ivi si assale con energia diabolica la Bibbia, il Vangelo, Gesù Cristo, Iddio; ivi con la più cruda fierezza si spaccia il materialismo popolare: « Che Dio non c’è, che Dio è il male, che l a religione ha fatto il suo tempo, che quando si è morti tutto è morto, che l’altro mondo non esiste, che nessuno ne è mai tornato, che il cielo, l’inferno, il purgatorio sono stupidezze; che i preti che li predicano fanno il loro mestiere, che le persone che ancor ci credono sono sciocchi o pazzi, che le persone dabbene non ci credono più, che il regno della superstizione è passato, che è il regno della scienza! » Sì, ecco in tutta la sua sincerità e in tutta la sua estensione la dottrina, che si spaccia ogni dì da milioni e milioni di fogli stampati. Considerate inoltre le stesse arti, già inventate pei comodi della vita e onesto sollievo dell’animo, fatte servire di esca ad infiammare le umane passioni; considerate le ampie e licenziose rappresentazioni teatrali; considerate la educazione laica e viziata che si imparte ai figliuoli nel seno istesso delle famiglie; considerate sopra tutto il lavorìo febbrile, incessante, diabolico delle sette anticristiane, ed il contegno talora aggressivo ed oppressivo dei poteri umani contro la Chiesa cattolica; e poi non penerete a conoscere, che non solo si è respinto Gesù Cristo e la sua dottrina da ogni cosa, ma che in ogni cosa si combatte Gesù Cristo e la sua dottrina e da per tutto si ripete il grido della giudaica perfidia: Nolumns hunc regnare super nos. – Ma che? Dove termina il regno di Gesù Cristo, termina per naturale conseguenza il regno della vita cristiana, e delle cristiane virtù, da cui solo viene ogni bene; termina la castità che conserva il pudore e il buon costume, termina la povertà che ci innalza al di sopra dei miseri beni del mondo, termina l’umiltà che ci rende sommessi all’autorità, dolci con gli eguali, fratellevoli cogl’inferiori, termina la mortificazione che ci fa rassegnati al patire, termina la carità che ci anima al perdono ed al sacrificio; termina insomma il regno di ogni pia bella virtù, e vi sottentra necessariamente, inevitabilmente, un altro regno, il regno del diavolo, il regno d’ogni più turpe vizio; il regno della disonestà, della cupidigia, dell’orgoglio, del godimento, dell’egoismo, dell’ingiustizia, della prepotenza, dell’odio, della vendetta, dell’insubordinazione e della rivoluzione, e accumula rovine sopra rovine, dolori sopra dolori, miserie sopra miserie. Tant’è, la giustizia nella stima e nell’amore di Gesù Cristo innalza e prospera le genti, ma il peccato nell’abbandono e nel disprezzo di Gesù Cristo li abbatte ed immiserisce: Iustitia elevat gentem, miseros autem facit populos peccatum. (Prov. XIV, 34) No, non è da cercare altrove la causa dei mali presenti; perciocché le stesse cause meramente esterne, quali sono gli sbagli gravissimi dei governanti, l’accrescimento enorme delle tasse, l’inferacità del suolo, e simili, non sono altro in fondo in fondo che effetti e castighi prodotti da quella causa prima ed unica.

II. — Se tale adunque è la causa vera e suprema dello stato infelice, a cui trovasi ridotta la nostra società, quale sarà il rimedio per guarirla e salvarla? La sapienza umana si avanza proponendo i suoi. Il socialismo ai giorni nostri vorrebbe a tal line rifare la costituzione sociale dalle sue basi. Ma chi non ha perduto interamente il buon senso, vede a primo aspetto, che nelle teorie del socialismo ridotte alla pratica, anziché un rimedio vi ha un pericolo maggiore del male. I filosofanti vorrebbero far penetrare meglio nelle masse l’idea del dovere, della giustizia e dell’onore. Ma che può mai sull’animo umano l’idea dell’onore, della giustizia e del dovere, quando mancando la dottrina di Gesù Cristo non vi è più nulla da far sperare e più nulla da far temere? Quando dalle pareti del tribunale, della scuola, dell’officina, della casa domestica si è strappato il crocifisso, che rammenta un Dio che tutto vede e tutto conta, anche i più segreti pensieri dell’animo, per darne premio o castigo, dovere, giustizia, onore sono parole prive di senso. I governanti si appigliano alle leggi ed alla forza. Ma moltiplicate pure all’infinito le leggi, raddoppiate le precauzioni, triplicate le serrature, ampliate le prigioni, aumentate le galere e i domicilii coatti, mettete gli stati di assedio, istituite i tribunali militari, pronunziate giudizi con la massima severità ed eseguiteli col maggior apparato di forza, non perciò si stabilirà la prosperità e la pace, non saranno perciò più sicuri i vostri beni e la vostra vita; un po’ di astuzia, un po’ di destrezza, un po’ di violenza basterà ad eludere e ad abbattere ogni cosa per coloro, nei quali avete fatto morire l’idea della legge cristiana e di quel tribunale che non si evita giammai. Miei cari! I rimedi che propone l’umana sapienza sono inutili, perché impotenti ed inefficaci. « Come questo mondo non altrimenti può essere conservato, che dalla volontà e provvidenza di Colui, che l’h a creato, così pure non possono gli nomini essere risanati, che dalla sola virtù di Colui, che gli ha redenti. » No, non est in alio aliquo salus: (Act. IV , 12) – Non havvi salvezza fuor di Lui. « Poiché se Gesù Cristo a prezzo suo sangue riscattò una volta sola il genere umano, nondimeno perenne e costante è l’efficacia di opera cotanta e di sì gran benefizio. » ( LEO XIII) Perciocché questo è il disegno di Dio, di ristorare mai sempre in Cesù Cristo tutto ciò che è nei cieli, e tutto ciò che è sulla terra; Instaurare omnia in Christo, quæ in cœlis et quae in terra sunt. (Eph. 1, 10) E Gesù Cisto ristoratore, dall’alto della sua croce, sollevato in mezzo all’universo ed al tempo, è il centro di ogni armonia che si ristabilisce, d’ogni bellezza che si rinnova, d’ogni grandezza che si ristora: Egli è la via, la verità e la vita. È « la guarigione dei mali presenti è riposta in questo, che mutato avviso, ritornino gl’individui e la società a Gesù Cristo ed al retto cammino della vita cristiana. » (Id.) Tale, nessun’altra, è la gran legge della riparazione: ricondurre Gesù Cristo nella scuola, nell’officina, nella famiglia, nella legislazione, nel governo, nella religione, in tutta quanta la vita sociale ed individuale. Bisogna che ogni cristiano, di fatto e non di nome soltanto, effettui l’ideale del Cristianesimo additato già dai santi Padri: Esso è un altro Cristo: Christianus alter Christus. – Bisogna che l’individuo, la famiglia, la società possa gridare con l’Apostolo: Io vivo, ma non già io, è Gesù Cristo che vive in me. È Gesù Cristo che anima la mia parola, i miei scritti, le mie opere, i miei movimenti, le mie aspirazioni, i miei commerci, le mie industrie, le mie leggi, i miei governi: vivo ego, jam non ego, vivit vero in me Christus. (Galat. II, 20). Oh! quando per mezzo di una vita essenzialmente ed universalmente cristiana, rifiorita di tutte le cristiane virtù sociali ed individuali, sarà ricollocato Gesù Cristo sul suo trono, sarà rimesso nel cuore della società, della famiglia, degl’individui, allora ritornerà il benessere, la prosperità e la pace, perciocché i grandi abbasseranno l’orgoglio, i piccoli si faranno rispettare per le loro virtù e non incuteranno timori coi tumulti, i maestri, i padroni, i genitori eserciteranno con dolcezza e con vigore la loro autorità, e i sudditi, i discepoli, gli operai, i servi, i figliuoli la riveriranno con stima ed affetto; la giustizia metterà la spada nel fodero e signore del mondo sarà l’amore; la miseria scomparirà dai nostri paesi e dalle nostre case, perché allora Iddio ci benedirà tutti de rore

meli et de pinguedine terræ.

III. — Ma io so bene che vi saranno di coloro, i quali nel loro cuore andranno dicendo che questo è un bel sogno, ma nient’altro che un bel sogno. L’apostasia del secolo è andata troppo avanti, l’incredulità è addivenuta troppo generale, perché si possa pervenire a questo di ristabilire largamente la vita e le virtù cristiane in seno alla società. Ed io non nego che tale ristabilimento abbia ad incontrare difficoltà ed ostacoli, né si possa effettuare ad un tratto solo. Ma viva Dio! Egli che « fece sanabili le nazioni » ha pur sempre a secondo della loro infermità apprestato gli opportuni rimedii. Al tempo che il paganesimo agonizzante tentava di mantenersi in vita con lo scannare a milioni i Cristiani, Iddio diede a suoi martiri il coraggio, per cui versando il sangue per la fede, effondevano il seme di cristiani ancor più numerosi. Quando gli eretici, sottentrati ai carnefici, con maggior furore e con maggior nocumento spargevano la zizzania nel campo della Chiesa, Iddio suscitò i Padri e i Dottori, che con la loro ammirabile sapienza ed operosità non tardarono a mondarlo. Quando tra i popoli accesosi lo spirito di odio e di vendetta, gli animi stavano inferociti tra loro nel seno della stessa città e famiglia e la mano correva sì presta a brandire la spada per versare umano sangue, Iddio risvegliava lo spirito di carità vicendevole e di universale fratellanza per mezzo delle grandi famiglie religiose. E in questi ultimi tempi, in cui dapprima il Protestantesimo, ed il Volterianismo, e l’incredulità dappoi, han fatto man bassa sopra i misteri più augusti della nostra santa fede e sopra le pratiche più sante e salutari della nostra santa Religione gridando satanicamente e senza alcun riguardo: « Abbasso Gesù Cristo! abbasso la Vergine e i Santi! » Iddio sembra offrire il rimedio opportuno nella divozione più ferma, più viva e più manifesta ai Santi, alla Vergine e a Gesù Cristo soprattutto. Perciò in questi tempi è che ad onore di vari santi, come ad esempio di san Giuseppe, si è esplicato un culto assai più fervido che nei tempi passati; è in questi tempi che le manifestazioni di amore alla grande Ausiliatrice dei cristiani si sono mirabilmente accresciute; ed è pure in questi tempi che si è fatta e si va facendo più ardente nel cuore dei Cristiani la divozione a Gesù Cristo mediante la divozione diretta al suo Cuore Sacratissimo. – Ora, che nella divozione a questo Cuore Sacratissimo di Gesù, per non dir nulla qui della divozione alla Vergine ed ai Santi, stia riposto un mezzo dei più acconci a ridonare alla società lo spirito, la vita e le virtù cristiane, epperò la pace e la prosperità, nessuno è di retto senso che nol possa vedere. Perciocché, se è vero, come abbiamo riconosciuto, che l’attuale disordine della società consiste nell’abbandono di Gesù Cristo, e che a far scomparire tale disordine non vi è altro mezzo che rimettere nella società Gesù Cristo, bisogna pur confessare che a ciò nulla giova maggiormente, che la divozione al suo Sacratissimo Cuore. Il Cuore di Gesù è il cuore, in cui sono raccolte tutte le bellezze, tutte le perfezioni, tutte le virtù, tutte le dottrine, tutti gli ammaestramenti di Gesù Cristo. Il Cuore di Gesù è il cuore, in cui stanno tutte le ricchezze e tutti i tesori della bontà di Dio verso gli uomini, e da cui sono sgorgate tutte le prove supreme della carità divina in nostro prò. Questo Cuore anzi è per eccellenza la Vittima di Carità per noi; perciocché essendo il cuore l’organo dell’amore, è con questo Cuore, che Gesù Cristo ci amò col più grande amore di sacrifizio, vale a dire con quell’amore che lo spinse a dare tutto se stesso per noi. Nella divozione adunque di questo Sacratissimo Cuore si vengono a studiare e riconoscere particolarmente e profondamente le sue bellezze, le sue virtù, i suoi insegnamenti, le sue prove d’amore, tutta insomma la grand’opera della sua redenzione, e conoscendo tutto ciò resta come impossibile non credere, non amare, non imitare Gesù Cristo e non riporre in Lui tutta la fiducia. Di Archimede si racconta che essendo riuscito ad incentrare tutti i raggi del sole nel disco di una gran lente, di là proiettava saette di fuoco ad incendiare le navi nemiche. Gesù Cristo invece avendo concentrato nel Cuor suo Sacratissimo tutte le grandezze della sua redenzione, da questo Cuore si volge al cuore degli uomini per illuminarli, per infiammarli, per eccitarli alla sua imitazione, alla sua adorazione, all’invocazione del suo aiuto. – E per tal guisa Gesù Cristo creduto, amato, imitato, adorato, invocato dagli individui ripasserà nelle famiglie e nella società, che di individui si compongono; e la famiglia e la società, ritornate cristiane, riavranno la felicità e la pace. Tale, senza dubbio, sarà l’efficacia meravigliosa di questa divozione ben’intesa e ben praticata. Ce ne sta garante la parola istessa di Gesù Cristo. Mostrandosi egli un giorno a santa Geltrude in compagnia di S. Giovanni Apostolo concesse a questa santa di posare la testa sopra il suo petto. Ed allora, intendendo essa i battiti così forti del Cuore di Gesù Cristo, rivolgendosi a S. Giovanni esclamò: Perché, o santo Apostolo, non avete parlato nel vostro Vangelo di quello che ora io sento? E a questa domanda s’intese a rispondere che « una cognizione più intima del Cuore di Gesù era riserbata a quei tempi, in cui essendosi raffreddati i cuori degli uomini nel suo amore, sarebbe stato necessario riaccenderli. » Non temiamo adunque. – Per quanto sia cresciuta l’incredulità e l’indifferenza, per quanto sembrino congiurate contro la fede e la vita cristiana la scienza e la politica, per quanto possa parere vicino un nuovo trionfo del paganesimo e della rivoluzione, non sarà così tuttavia. La vera divozione al Sacro Cuore di Gesù, che si va ogni dì più assodando, mercé il movimento portentoso ed universale verso la SS. Eucarestia, ci anima efficacemente a sperare in tempi migliori. Lo stesso evangelista S. Giovanni dopo aver narrato l’ultimo oltraggio recato al Crocifisso con la lanciata, per cui gli fu aperto il costato e ferito il Cuore, si

affrettò di notare, che ciò avvenne perché si adempisse la Scrittura che diceva: Volgeranno gli sguardi a Colui, che hanno trafitto: Videbunt in quem trafixerunt. (ZACC. XII, 10) E così avvenne realmente, perciocché dopo quella crudele ferita gli stessi crocifissori si volsero a guardar Gesù Cristo non più come oggetto di odio e di abbominazione, ma come oggetto di pietà e di religione, anzi di speranza e di salute. Lo stesso Longino, il soldato, che trasse il duro colpo di lancia, volgendo lo sguardo a quel Cuore ferito essendo stato bagnato dall’acqua e dal sangue, che ne scaturì, non solo acquistò la vista materiale di un occhio che aveva cieco, ma più ancora acquistò la vista dello spirito, poiché conosciuta la verità, l’abbracciò e la seguì, e si fece santo e morì martire! Così anche ora, per mezzo della devozione, volgendo lo sguardo al Cuore trafitto di Gesù Cristo, se ne trarranno per gli stessi malvagi, cha hanno rinnovato il delitto di Longino, torrenti di luce e di amore. Ed oh! voglia Iddio che da tutti si riconosca questa grade verità. Ma poiché Egli nella sua bontà si è degnato di farla riconoscere a voi, che devoti al Sacro Cuore di Gesù siete venuti qui ad onorarlo, fin da questo primo giorno del mese a Lui consacrato, deh! continuate voi ad avvalervi di questo gran mezzo di salute. No, non vi sia alcuno di voi, che creda non appartenergli punto la ristorazione della società od essere opera di ben altri uomini. Quando pure tra di voi non ci fossero che anime semplici e rozze, non vi scordate che Iddio si valse di dodici poveri pescatori per rigenerare il mondo. E con la devozione al Sacro Cuore di Gesù, che voi continuerete a praticare, e che anzi andrete ogni giorno più in voi accrescendo, riuscirete senza dubbio, benché occultamente, a fare al mondo un bene di gran lunga maggiore che non quello di tutti i legulei e filosofi moderni. Venite adunque, o carissimi, venite in questo mese a considerare, a studiare da vicino, a contemplare questo Sacratissimo Cuore. In Lui, secondo l’insegnamento della Chiesa, riconoscete la Vittima della Carità, l’Arca che contiene la legge di grazia e di misericordia, il Santuario intemerato della nuova Alleanza, il Tempio mille volte più santo dell’antico, la sorgente di ogni virtù. Venite ad adorare questo Cuore Divino, a rifugiarvi dentro di Lui, a gustare le sue dolcezze, a sperimentare le sue misericordie. Venite, o giusti, venite, o peccatori,, venite, o anime tranquille, venite, o anime tribolate, venite, venite tutti: nel Sacro Cuore di Gesù, nella sua cognizione, nel suo amore, nella sua imitazione, nella sua vera divozione, troverete tutti la pace, la salute, la felicità. – E voi, o Cuore Sacratissimo di Gesù, che sospingete al vostro capo, alle vostre mani, ai vostri piedi e a tutte le altre parti del vostro corpo, quel sangue preziosissimo con cui voleste operare la redenzione del mondo, deh! non permettete che una tale redenzione non abbia ad essere copiosa. Come un giorno vi commoveste di compassione al vedere innanzi a Voi una turba affamata di pane terreno, commovetevi oggi anche più nel vedere la presente società, che perisce in un’inedia terribile per la mancanza del cibo divino della vostra cognizione e del vostro amore. Mercé la divozione vostra disvelatevi ad essa in tutta la vostra amabilità, e riguadagnatevi tutti i cuori suoi; mercé questa divozione spargete sopra di essa le vostre benedizioni e le vostre grazie di salute, perché ancor essa fa parte del vostro popolo e della vostra eredità; sì, salvatela adunque e beneditela: Salvum fac populum tuum, Domine, et benedic haereditati tuæ.

CALENDARIO LITURGICO DEL MESE DI GIUGNO (2018)

GIUGNO È  IL MESE CHE CHIESA DEDICA AL SACRO CUORE DI GESU’

“… se è vero, come abbiamo riconosciuto, che l’attuale disordine della società consiste nell’abbandono di Gesù Cristo, e che a far scomparire tale disordine non vi è altro mezzo che rimettere nella società Gesù Cristo, bisogna pur confessare che a ciò nulla giova maggiormente, che la divozione al suo Sacratissimo Cuore. Il Cuore di Gesù è il cuore, in cui sono raccolte tutte le bellezze, tutte le perfezioni, tutte le virtù, tutte le dottrine, tutti gli ammaestramenti di Gesù Cristo…”

[Carmagnola: IL SACRO CUORE DI GESU’, S.E.I. Ed. Torino, 1920 – impr.-]

Indulgenze per il mese di giugno: 

253

Mensis sacratissimo Cordi Iesu dicatus

Fidelibus, qui mense iunio (vel alio, iuxta Rev.mi Ordinari prudens iudicium), pio exercitio in honorem Ssmi Cordis Iesu publice peracto devote interfuerint,conceditur:

Indulgentia decem annorum quolibet mensis die;

Indulgentia plenaria, si diebus saltem decem huiusmodi exercitio vacaverint et præterea peccatorum veniam obtinuerint, eucharisticam Mensam participaverint et ad Summi Pontificis mentem preces fuderint. Iis vero, qui præfato mense preces vel alia pietatis obsequia divino Cordi Iesu privatim praestiterint, conceditur:

Indulgentia septem annorum semel quolibet mensis die;

Indulgentia plenaria suetis conditionibus, dummodo quotidie per integrum mensem idem obsequium peregerint; at ubi pium exercitium publice habetur, huiusmodi indulgentia ab iis tantum acquiri potest, qui legitimo detineantur impedimento quominus exercitio publico intersint (S. C. Indulg., 8 maii 1873 et 30 maii 1902; S. Pæn. Ap., 1 mart. 1933).

(A coloro che nel mese di giugno praticano un pio esercizio in onore del Sacro Cuore di Gesù in pubblico, si concedono 10 anni ed in privato 7 anni, e Indulgen. Plenaria se esso verrà praticato almeno per 10 giorni con le s. c.).

Altre indulgenze ove viene celebrato solennemente il Cuore Sacratissimo di Gesù con corso di predicazione:

Præterea, si mensis sacratissimo Cordi dicatus solemniter celebratur, scilicet cum sacra prædicatione aut quotidie, aut ad formam spiritualium exercitiorum (duplici saltem concione singulis diebus) per octiduum, sive in ecclesiis sive in publicis vel (prò legitime utentibus) semipublicis oratoriis, conceditur:

Indulgentia plenaria prò singulis visitationibus, die qua mensis clauditur, ab iis lucranda, qui diebus saltem decem sacris concionibus et piis precibus adstiterint, vel spiritualibus exercitiis ex integro vacaverint (piis obsequiis passim præstitis), si præterea sacramentalem confessionem instituerint, cælestem Panem sumpserint et sexies Pater, Ave et Gloria ad mentem Summi Pontificis in unaquaque visitatione recitaverint;

2° a) Indulgentia quingentorum dierum prò iis, qui aliquod præstant pium opus, ut præfatum exercitium magis diffundatur aut incrementum suscipiat;

b) Indulgentia plenaria, additis sacramentali confessione, alicuius ecclesiæ vel publici oratorii visitatione et ad mentem Summi Pontificis oratione, prò iisdem, quoties sacram Communionem infra prædictum mensem receperint;

Indultum altaris privilegiati personalis, die qua mensis concluditur, concionatoribus et rectoribus ecclesiarum et oratoriorum, ubi praedictum exercitium solemniter peragitur (S. C. Indulg., 8 aug. 1906; Pius X, ex privata Audientia, exhibito documento, 26 ian. 1908; Pæn. Ap., 15 nov. 1927 et 5 iul. 1930).

256

Actus reparationis

Iesu dulcissime, cuius effusa in homines caritas,

tanta oblivione, negligentia, contemptione,

ingratissime rependitur, en nos, ante altaria

tuae provoluti, tam nefariam hominum socordiam

iniuriasque, quibus undique amantissimum

Cor tuum afficitur, peculiari honore resarcire contendimus.

Attamen, memores tantæ nos quoque indignitatis non expertes aliquando fuisse, indeque

vehementissimo dolore commoti, tuam in primis

misericordiam nobis imploramus, paratis, voluntaria

expiatione compensare flagitia non modo

quae ipsi patravimus, sed etiam illorum, qui,

longe a salutis via aberrantes, vel te pastorem

ducemque sectari detrectant, in sua infidelitate

obstinati, vel, baptismatis promissa conculcantes,

suavissimum tuae legis iugum excusserunt.

Quae deploranda crimina, cum universa espiare

contendimus, tum nobis singula resarcienda

proponimus: vitæ cultusque immodestiam

atque turpitudines, tot corruptelæ pedicas

innocentium animis instructas, dies festos

violatos, exsecranda in te tuosque Sanctos iactata

maledicta àtque in tuum Vicarium ordinemque

sacerdotalem convicia irrogata, ipsum

denique amoris divini Sacramentum vel neglectum

vel horrendis sacrilegiis profanatum, publica

postremo nationum delicta, quæ Ecclesiæ a

te institutæ iuribus magisterioque reluctantur.

Quae utinam crimina sanguine ipsi nostro

eluere possemus! Interea ad violatum divinum

honorem resarciendum, quam Tu olim Patri in

Cruce satisfactionem obtulisti quamque cotidie

in altaribus renovare pergis, hanc eamdem nos

tibi præstamus, cum Virginis Matris, omnium

Sanctorum, piorum quoque fìdelium expiationibus

coniunctam, ex animo spondentes, cum præterita

nostra aliorumque peccata ac tanti amoris

incuriam firma fide, candidis vitae moribus,

perfecta legis evangelicæ, caritatis potissimum,

observantia, quantum in nobis erit, gratia tua

favente, nos esse compensaturos, tum iniurias

tibi inferendas prò viribus prohibituros, et quam

plurimos potuerimus ad tui sequelam convocaturos.

Excipias, quæsumus, benignissime Iesu,

beata Virgine Maria Reparatrice intercedente,

voluntarium huius expiationis obsequium nosque

in officio tuique servitio fidissimos ad mortem

usque velis, magno ilio perseverantiæ munere,

continere, ut ad illam tandem patriam perveniamus

omnes, ubi Tu cum Patre et Spiritu

Sancto vivis et regnas in sæcula sæculorum.

Amen.

 (Extra ecclesiam vel oratorium, loco: altaria tua, dicatur: conspectum tuum.)

Indulgentia quinque annorum.

Indulgentia plenaria, additis sacramentali confessione, sacra Communione et alicuius ecclesiae aut publici oratorii visitatione, si quotidie per integrum mensem reparationis actus devote recitatus fuerit.

Fidelibus vero, qui die festo sacratissimi Cordis Iesu in qualibet ecclesia aut oratorio etiam (prò legitime utentibus) semipublico, adstiterint eidem reparationis actui cum Litaniis sacratissimi Cordis, coram Ssmo Sacramento sollemniter exposito, conceditur: Indulgentia septem annorum; Indulgentia plenaria, dummodo peccata sua sacramentali pænitentia expiaverint et eucharisticam Mensam participaverint (S. Pæn. Ap., 1 iun. 1928 et 18 mart. 1932).

265

Deus, qui nobis, in Corde Filii tui, nostris vulnerato peccatis, infinitos dilectionis thesaurus misericorditer largiri dignaris; concede,

quæsumus, ut illi devotum pietatis nostræ prestante obsequium, dignæ quoque satisfaction is exhibeamus officium. Per eumdem Christum Dominum nostrum. Amen (ex Miss. Rom.).

[Indulgendo quinque annorum. Indulgentia plenaria suetis conditionibus, quotidiana orationis recitatione in integrum mensem producta (S. Pænit. Ap., 18 apr. 1936).]

266

Concede, quæsumus omnipotens Deus, ut qui

in sanctissimo dilecti Filii tui Corde gloriantes,

præcipua in nos caritatis eius beneficia recolimus,

eorum pariter et actu delectemur et fructu.

Per eumdem Christum Dominum nostrum.

Amen.

Indulgentia quinque annorum.

Indulgentia plenaria suetis conditionibus, dummodo quotidie per integrum mensem oratio devote repetita fuerit (S. Pæn. Ap., 20 oct. 1936).

Queste sono le feste del mese di GIUGNO

1 Giugno Primo venerdì

2 Giugno Primo Sabato Ss. Marcellini, Petri, atque Erasmi Mártyrum.  Simplex

3 Giugno Dominica II Post Pentecosten    Semiduplex Dominica minor

4 Giugno S. Francisci Caracciolo Confessóris    Duplex .

5 Giugno S. Bonifatii Epíscopi et Martyris    Duplex

6 Giugno S. Norberti Episc. et Confessóris    Duplex

8 Giugno Sanctissimi Cordis Domini Nostri Jesu Christi    Duplex I. classis

9 Giugno Ss. Primi et Feliciani Mártyrum    Simplex

10 Giugno Dominica III Post Pentecosten    Semiduplex Dominica minor S. Margaritæ Reginæ Víduæ

11 Giugno S. Barnabæ Apostoli    Duplex *L1*

12 Giugno S. Joannis a S. Facundo Confessóris    Duplex

13 Giugno S. Antonii de Padua Confessóris et Ecclesiæ Doctoris    Duplex

14 Giugno S. Basilii Magni Confessóris et Ecclesiæ Doctoris    Duplex

15 Giugno Ss. Viti, Modesti atque Crescentiæ Mártyrum    Simplex

17 Giugno Dominica IV Post Pentecosten    Semiduplex Dominica minor

18 Giugno S. Ephræm Syri Confessóris et Ecclesiæ Doctoris    Duplex

19 Giugno S. Julianæ de Falconeriis Virginis    Duplex

20 Giugno S. Silverii Papæ et Martyri    Simplex

21 Giugno S. Aloisii Gonzagæ Confessóris    Duplex

22 Giugno S. Paulini Epíscopi et Confessóris    Duplex

23 Giugno In Vigilia S. Joannis Baptistæ    Duplex II. classis *L1*

24 Giugno In Nativitate S. Joannis Baptistæ    Duplex I. classis *L1*

25 Giugno S. Gulielmi Abbatis    Duplex

26 Giugno Ss. Joannis et Pauli Mártyrum    Duplex

28 Giugno S. Irenæi Epíscopi et Martyris    Duplex

29Giugno SS. Apostolorum Petri et Pauli    Duplex I. classis *L1*

30 Giugno In Commemoratione S. Pauli Apostoli    Duplex *L1*