CATECHISMO DI BALTIMORA 3 (III) – Lez. 8-10

Catechismo di Baltimora 3 (III) Lez. 8-10

[Dal terzo Concilio generale di Baltimora

Versione 1891]

LEZIONE 8 –

SULLA  PASSIONE , MORTE, RESURREZIONE E ASCENSIONE DEL SIGNORE NOSTRO

D. 369. Che cosa intendiamo per: passione di Nostro Signore?

R. Per passione di Nostro Signore intendiamo le sue tremende sofferenze, dalla sua agonia nel giardino, fino al momento della sua morte.

D. 370. Che cosa ha sofferto Gesù Cristo?

R. Gesù Cristo ha sofferto un sudore di sangue, una flagellazione crudele, è stato incoronato con spine ed è stato crocifisso.

D. 371. Quando Nostro Signore soffrì il “sudore di sangue”?

R. Nostro Signore soffrì il “sudore i sangue” quando gocce di sangue uscirono da ogni poro del Suo corpo, durante la sua agonia nell’orto degli Ulivi, vicino a Gerusalemme, dove andò a pregare la notte in cui iniziò la sua passione.

D. 372. Chi ha accompagnato nostro Signore all’orto degli ulivi nella notte della sua agonia?

R. Gli Apostoli Pietro, Giacomo e Giovanni, gli stessi che avevano assistito alla sua trasfigurazione sul monte, accompagnarono nostro Signore all’orto degli ulivi, per vegliare e pregare con Lui nella notte della sua agonia.

D. 373. Che cosa intendiamo per trasfigurazione di Nostro Signore?

R. Per trasfigurazione di Nostro Signore intendiamo il cambiamento soprannaturale nella Sua apparizione, quando Egli si mostrò ai Suoi Apostoli in grande gloria e splendore in cui “il Suo volto brillò come il sole e le Sue vesti divennero candide come la neve”.

D. 374. Chi erano i presenti alla trasfigurazione?

R. Alla trasfigurazione erano presenti – oltre agli Apostoli Pietro, Giacomo e Giovanni, che ne furono testimoni – i due grandi e santi uomini della antica Legge, Mosè ed Elia, che parlavano con nostro Signore.

D. 375. Che cosa ha causato l’agonia di Nostro Signore nel giardino?

R. Si crede che l’agonia di Nostro Signore nel giardino sia stata causata:

⁕  Dalla sua chiara conoscenza di tutto ciò che presto avrebbe sopportato;

⁕  Dalla vista delle molte offese commesse contro Suo Padre dai peccati di tutto il mondo;

⁕ Dalla sua conoscenza dell’ingratitudine degli uomini per le benefici della redenzione.

D. 376. Perché Cristo fu crudelmente flagellato?

R. Cristo fu crudelmente flagellato dagli ordini di Pilato, affinché la vista del Suo corpo sanguinante potesse spingere i suoi nemici a risparmiare la Sua vita.

D. 377. Perché Cristo fu incoronato di spine?

R. Cristo fu coronato di spine a mo’ scherno perché aveva affermato che era un re.

D. 378. Avrebbe potuto Cristo, a Lui piacendo, sfuggire alle pene della sua passione?

R. Cristo avrebbe potuto, volendo, sfuggire alle pene della sua Passione, perché le aveva previste ed aveva il potere di vincere i suoi nemici.

D. 379. Era necessario dunque che Cristo soffrisse così tanto per riscattarci?

R. Non era necessario che Cristo soffrisse così tanto per riscattarci, poiché la minima delle sue sofferenze era più che sufficiente per espiare tutti i peccati dell’umanità. Soffrendo così tanto però, ha mostrato il Suo grande amore per noi.

D. 380. Chi ha tradito Nostro Signore?

R. Giuda, uno dei Suoi Apostoli, ha tradito Nostro Signore e dal suo peccato possiamo imparare che anche il bene può trasformarsi in grande malvagità con l’abuso del libero arbitrio.

D. 381. In che modo Cristo fu condannato a morte?

R. Per l’influenza di coloro che lo odiavano, Cristo fu condannato a morte dopo un processo ingiusto, in cui testimoni falsi furono indotti a testimoniare contro di Lui.

D. 382. In quale giorno è morto Cristo?

R. Cristo è morto il Venerdì Santo.

D. 383. Perché chiami “buono” quel giorno in cui Cristo morì in modo così triste?

R. Chiamiamo “buono” quel giorno in cui Cristo è morto, perché con la sua morte ha mostrato il suo grande amore per l’uomo e ha acquistato per lui ogni bene.

384. Per quanto tempo Nostro Signore fu appeso sulla croce prima di morire?

R. Nostro Signore rimase appeso alla Croce circa tre ore prima che morisse. Mentre soffriva così, i suoi nemici stavano intorno a bestemmiare e a deriderlo. Con la sua morte Egli ha dimostrato di essere un vero uomo mortale, poiché certo non poteva morire nella sua natura divina.

D. 385. Come chiamiamo le parole che Cristo ha pronunciato mentre era appeso sulla croce?

R. Chiamiamo le parole che Cristo ha pronunciato mentre era appeso sulla croce “le sette ultime parole di Gesù sulla croce”. Ci insegnano le disposizioni che dovremmo avere noi nell’ora della morte.

D. 386. Ripeti le ultime sette parole o parole di Gesù sulla croce.

R. Le sette ultime parole o parole di Gesù sulla Croce sono:

1. “Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno”, in cui Egli perdona e prega per i Suoi nemici.

2. “In verità, io ti dico, questo giorno sarai con Me in Paradiso”, in cui Egli perdona il peccatore penitente.

3. “Donna, ecco il tuo Figlio” – “Ecco la tua Madre”, parole con le quali ha rinunciato a ciò che gli era più caro sulla terra, e ci ha dato Maria per Madre nostra.

4. “Mio Dio, mio ​​Dio, perché mi hai abbandonato?” da cui apprendiamo la sofferenza della sua mente.

5. “Ho sete”, da cui apprendiamo la sofferenza del suo corpo.

6. “Tutto è consumato”, con cui ha mostrato il compimento di tutte le profezie che riguardavano Lui ed il completamento dell’opera della nostra redenzione.

7. “Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito”, con il quale ha mostrato la sua perfetta rassegnazione alla volontà dell’eterno Padre Suo.

D. 387. Cosa è successo alla morte di Nostro Signore?

R. Alla morte di Nostro Signore ci sono state tenebre e movimenti della terra; molti santi morti uscirono dalle loro tombe ed il velo che nascondeva il Santo dei Santi, nel Tempio di Gerusalemme, fu lacerato.

D. 388. Cos’era il Santo dei Santi nel tempio?

R. Il Santo dei Santi era la parte sacra del Tempio, in cui era custodita l’Arca dell’Alleanza, e dove il sommo sacerdote consultava la Volontà di Dio.

D. 389. Che cosa era “l’Arca dell’Alleanza”?

R. L’Arca dell’Alleanza era una scatola preziosa in cui erano custodite le tavole di pietra recanti i comandamenti scritti di Dio, la verga che Aronne trasformò in un serpente davanti al re Faraone, e una parte della manna di cui gli israeliti si erano miracolosamente nutriti nel deserto. L’Arca dell’Alleanza era una antica figura del Tabernacolo in cui conserviamo la Santa Eucaristia.

D. 390. Perché il velo del Tempio fu squarciato alla morte di Cristo?

R. l velo del Tempio fu squarciato alla morte di Cristo perché alla sua morte la religione ebraica cessò di essere la vera religione, e Dio non manifestò più la Sua presenza nel Tempio.

D. 391. Perché la religione ebraica, che fino alla morte di Cristo era stata la vera religione, cessò in quel momento di essere la vera religione?

R. La religione ebraica, che fino alla morte di Cristo era stata la vera religione, cessò in quel momento di essere la vera religione, perché essa era solo una promessa della redenzione e figura della Religione cristiana, e quando la redenzione fu compiuta e la Religione cristiana stabilita dalla morte di Cristo, la promessa e la figura non erano più necessarie.

D. 392. Tutte le leggi della religione ebraica furono abolite dall’istituzione del Cristianesimo?

R. Le leggi morali della religione ebraica non furono abolite dall’istituzione del Cristianesimo, poiché Cristo non venne per distruggere queste leggi, ma per renderle più perfette. Le sue leggi cerimoniali furono abolite, quando il Tempio di Gerusalemme cessò di essere la Casa di Dio.

D. 393. Che cosa intendiamo per leggi morali e cerimoniali?

R. Per leggi “morali” intendiamo le leggi riguardanti il ​​bene e il male. Per leggi “cerimoniali” intendiamo le leggi che regolano le modalità di adorare Dio nel Tempio o nella Chiesa.

D. 394. Dove morì Cristo?

R. Cristo morì sul monte Calvario.

D. 395. Dov’era il Monte Calvario, e cosa significa il suo nome?

R. Il Monte Calvario era il luogo dell’esecuzione, non lontano da Gerusalemme; il nome significa “luogo del cranio”.

D. 396. Come è morto Cristo?

R. Cristo fu inchiodato alla croce e vi morì tra due ladri.

D. 397. Perché il Signore è stato crocifisso tra ladri?

R. Nostro Signore fu crocifisso tra i ladri, perché i suoi nemici potessero così aumentarne il disonore, rendendolo simile ai peggiori criminali.

D. 398. Perché Cristo soffrì e morì?

R. Cristo ha sofferto e è morto per i nostri peccati.

D: 399. Come fu seppellito il corpo di nostro Signore?

R. l corpo di nostro Signore fu avvolto in un panno di lino pulito e deposto in un sepolcro nuovo o tomba scavata nella roccia, da Giuseppe d’Arimatea e da altre persone pie che credevano nel Nostro Divino Signore.

D. 400. Quali lezioni impariamo dalle sofferenze e dalla morte di Cristo?

R. Dalle sofferenze e dalla morte di Cristo, apprendiamo il grande male del peccato, l’odio che Dio gli porta e la necessità di soddisfarlo.

D. 401. Dove andò l’anima di Cristo dopo la sua morte?

R. Dopo la morte di Cristo la sua anima discese nell’inferno.

D. 402. L’anima di Cristo discese nell’inferno dei dannati?

R. L’inferno in cui l’anima di Cristo discese non era l’inferno dei dannati, bensì un luogo o stato di riposo, chiamato Limbo, dove le anime dei giusti lo stavano aspettando.

D. 403. Perché Cristo è disceso nel Limbo?

R. Cristo discese nel Limbo per predicare alle anime che erano prigioniere – cioè, per annunciare loro la lieta novella della loro redenzione.

D. 404. Dov’era il corpo di Cristo mentre la sua anima era nel Limbo?

R. Mentre l’anima di Cristo era nel Limbo, il suo corpo era nel santo sepolcro.

D. 405. In quale giorno Cristo risuscitò dai morti?

R. Cristo risuscitò dalla morte, glorioso e immortale, la domenica di Pasqua, il terzo giorno dopo la sua morte.

D. 406. Perché la risurrezione è il più grande dei miracoli di Cristo?

R. La risurrezione è il più grande dei miracoli di Cristo perché tutto ciò che ha insegnato e fatto è confermato da esso e discende da esso. Egli aveva promesso di risorgere dai morti, e senza l’adempimento di quella promessa non potevamo credere in Lui.

D. 407. Qualcuno ha mai provato a confutare il miracolo della risurrezione?

R. I miscredenti in Cristo hanno cercato di smentire il miracolo della risurrezione così come hanno tentato di confutare tutti i suoi altri miracoli; ma le spiegazioni che danno per dimostrare che i miracoli di Cristo sono falsi, sono molto più improbabili e difficili da credere degli stessi miracoli.

D. 408. Che cosa intendiamo quando diciamo che Cristo è risorto “glorioso” dai morti?

R. Quando diciamo che Cristo è risorto “glorioso” dai morti, intendiamo che il suo corpo era in uno stato glorificato; cioè, dotato delle qualità di un corpo glorificato.

D. 409. Quali sono le qualità di un corpo glorificato?

R. Le qualità di un corpo glorificato sono:

1. Splendore, per cui emette luce;

2. Agilità, con la quale si muove da un luogo all’altro rapidamente come un Angelo;

3. Sottigliezza, in base alla quale le cose materiali non possono fermarlo;

4. Impassibilità, con la quale è reso incapace di soffrire.

D. 410. Cristo rimase tre giorni interi nella tomba?

R. Cristo non rimase nella tomba tre giorni interi, ma solo parte di tre giorni.

D. 411. Per quanto tempo Cristo rimase sulla terra dopo la sua risurrezione?

R. Cristo rimase quaranta giorni sulla terra dopo la sua risurrezione, per dimostrare che era veramente risorto dai morti e per istruire i suoi Apostoli.

D. 412. Cristo è stato visibile a tutti ed in ogni momento durante i quaranta giorni che è rimasto sulla terra dopo la sua risurrezione?

R. Cristo non era visibile a tutti, né in ogni momento durante i quaranta giorni in cui rimase sulla terra dopo la sua risurrezione. Sappiamo che Egli apparve ai Suoi Apostoli e ad altri, almeno nove volte, sebbene Egli potesse apparire più spesso.

D. 413. In che modo Cristo dimostrò che era veramente risorto dai morti?

R. Cristo dimostrò che era veramente risorto dai morti, mangiando e conversando con i suoi Apostoli e con altri ai quali apparve. Mostrò le ferite nelle sue mani, piedi e fianchi, e fu dopo la sua risurrezione che diede ai suoi apostoli il potere di perdonare i peccati.

D. 414. Dopo che Cristo era rimasto per quaranta giorni sulla terra, dove andò?

R. Dopo quaranta giorni, Cristo è asceso al cielo, ed il giorno in cui è asceso al cielo è chiamato Ascensione.

D. 415. Dove si è svolta l’ascensione di Nostro Signore?

R. Cristo ascese al cielo dal monte Oliveto, il luogo reso sacro dalla sua agonia nella notte prima della sua morte.

D. 416. Chi erano i presenti all’ascensione e chi ascese al cielo con Cristo?

R. Da varie luoghi della Scrittura, possiamo concludere che c’erano circa 125 persone – anche se le tradizioni ci dicono che ce n’era un numero maggiore – presenti all’Ascensione. Questi erano gli Apostoli, i Discepoli, le pie donne e altri che avevano seguito Nostro Signore. Con Cristo salirono le anime dei giusti che stavano aspettando nel Limbo la Redenzione.

D. 417. Perché la candela pasquale, illuminata il mattino di Pasqua, si spegne durante la Messa nel giorno dell’Ascensione?

R. Il cero pasquale è illuminato il mattino di Pasqua, e significa la presenza visibile di Cristo sulla terra, e si spegne nel giorno dell’Ascensione per mostrare che Egli, avendo adempiuto tutte le profezie concernenti Se Stesso, e avendo compiuto l’opera di redenzione, ha affidato la cura visibile della sua Chiesa ai suoi Apostoli ed è ritornato col suo corpo al cielo.

D. 418. Dove si trova Cristo in cielo?

R. In cielo, Cristo siede alla destra di Dio Padre Onnipotente.

D. 419. Cosa intendi dicendo che Cristo siede alla destra di Dio?

R. Quando dico che Cristo siede alla destra di Dio, intendo dire che Cristo, come Dio, è uguale a Suo Padre in tutte le cose e che, come uomo, Egli è nel posto più alto in cielo accanto a Dio.

LEZIONE 9 –

SULLO SPIRITO SANTO E LA SUA DISCESA SUGLI APOSTOLI

D. 420. Chi è lo Spirito Santo?

R. Lo Spirito Santo è la terza Persona della Santissima Trinità.

421. Lo Spirito Santo è mai apparso?

R. Lo Spirito Santo è apparso a volte sotto forma di una colomba, e di nuovo sotto la forma di lingue di fuoco; poiché, essendo un puro spirito senza un corpo, Esso può assumere qualsiasi forma.

422. Lo Spirito Santo è chiamato con altri nomi?

R. Lo Spirito Santo è chiamato anche Santo Spirito, il Paraclito, lo Spirito di Verità e altri nomi dati nella Sacra Scrittura.

423. Da chi procede lo Spirito Santo?

R. Lo Spirito Santo procede dal Padre e dal Figlio.

D. 424. Lo Spirito Santo è uguale al Padre e al Figlio?

R. Lo Spirito Santo è uguale al Padre e al Figlio, essendo lo stesso Signore e Dio così come Essi sono.

D. 425. In quale giorno lo Spirito Santo scese sugli Apostoli?

R. Lo Spirito Santo scese sugli Apostoli dieci giorni dopo l’Ascensione di nostro Signore; e il giorno in cui discese sugli Apostoli è chiamato Pentecoste o Pentecoste.

D. 426. Perché il giorno in cui lo Spirito Santo scese sugli Apostoli è chiamato Domenica Bianca?

R. Il giorno in cui lo Spirito Santo scese sugli Apostoli è chiamato Pentecoste o Domenica Bianca, probabilmente perché i Cristiani che furono battezzati alla vigilia di Pentecoste indossarono indumenti bianchi per qualche tempo dopo, come segno della purezza conferita alla loro anime dal Sacramento del Battesimo.

D. 427. Perché questa festa si chiama anche Pentecoste?

R. Questa festa è chiamata anche Pentecoste, perché Pentecoste significa: cinquantesimo; e lo Spirito Santo scese sugli Apostoli cinquanta giorni dopo la risurrezione di Nostro Signore.

D. 428. In che modo lo Spirito Santo discese sugli Apostoli?

R. Lo Spirito Santo discese sugli Apostoli sotto forma di lingue di fuoco.

D. 429. Che cosa denotava la forma delle lingue di fuoco?

R. La forma delle lingue di fuoco denotava il carattere sacro e l’autorità divina della predicazione e dell’insegnamento degli Apostoli, dalle cui parole e fervore tutti gli uomini dovevano essere convertiti all’amore di Dio.

D. 430. Chi ha inviato lo Spirito Santo sugli Apostoli?

R. È Nostro Signore Gesù Cristo che ha inviato lo Spirito Santo sugli Apostoli.

D. 431. Gli Apostoli sapevano che lo Spirito Santo sarebbe sceso su di loro?

R. Gli Apostoli sapevano che lo Spirito Santo sarebbe sceso su di loro; poiché Cristo ha promesso ai suoi Apostoli che dopo la sua Ascensione avrebbe mandato lo Spirito Santo, lo Spirito di verità, per insegnare loro tutte le verità e per rimanere con loro per sempre.

D. 432. Qualcuno ha mai negato l’esistenza dello Spirito Santo?

R. Alcune persone hanno negato l’esistenza dello Spirito Santo; altri hanno negato che fosse una Persona reale uguale al Padre e al Figlio; ma tutte queste affermazioni si sono dimostrate false per le parole della Sacra Scrittura e per l’insegnamento infallibile della Chiesa.

D. 433. Quali sono i peccati contro lo Spirito Santo che Nostro Signore ha detto che non saranno perdonati né in questo mondo né nel futuro?

R. I peccati contro lo Spirito Santo, che Nostro Signore ha detto che non saranno perdonati né in questo mondo né nel futuro, sono peccati commessi per pura malvagità e fortemente contrari alla misericordia di Dio, e sono perciò raramente perdonati.

D. 434. Perché Cristo ha mandato lo Spirito Santo?

R. Cristo ha mandato lo Spirito Santo per santificare la Sua Chiesa, per illuminare e rafforzare gli Apostoli e per consentire loro di predicare il Vangelo.

D. 435. In che modo la Chiesa fu santificata dalla venuta dello Spirito Santo?

R. La Chiesa fu santificata mediante la venuta dello Spirito Santo ricevendo quelle grazie che Cristo aveva meritato per i suoi ministri, i Vescovi e i sacerdoti e per le anime di tutti coloro che erano affidati alle loro cure.

D. 436. In che modo gli Apostoli furono illuminati dalla venuta dello Spirito Santo?

R. Gli Apostoli furono illuminati dalla venuta dello Spirito Santo ricevendo la grazia di ricordare e comprendere nel suo vero significato tutto ciò che Cristo aveva detto e fatto alla loro presenza.

D. 437. In che modo gli Apostoli si rafforzarono con la venuta dello Spirito Santo?

R. Gli Apostoli furono rafforzati dalla venuta dello Spirito Santo con il ricevere la grazia di sfidare ogni pericolo, e persino la stessa morte, nell’adempimento dei loro sacri doveri.

D. 438. Che cosa significa “Apostolo” e che cosa significa “Vangelo”?

R. “Apostolo” significa una persona inviata e “Vangelo” significa “buone notizie” o “nuove”. Quindi il nome “Vangelo” è dato alla storia ispirata della vita di Nostro Signore e delle opere sulla terra.

D. 439. Come si chiamavano gli Apostoli?

R. Gli Apostoli erano: Pietro, Andrea, Giacomo, Giovanni, Filippo, Bartolomeo, Tommaso, Matteo, Giacomo, Taddeo, Simone e Giuda Iscariota, al cui posto fu poi scelto Mattia.

D. 440. San Paolo era un Apostolo?

R. San Paolo era un Apostolo, ma poiché non è stato chiamato che dopo l’Ascensione di Nostro Signore, non è numerato tra i dodici. È chiamato l’Apostolo delle genti; cioè di tutti quelli che non erano di religione ebraica o membri della Chiesa della vecchia legge.

D. 441. In che modo San Paolo divenne un Apostolo?

R. Mentre stava andando a perseguitare i Cristiani, San Paolo fu miracolosamente convertito e chiamato ad essere un Apostolo da Nostro Signore, che gli parlò. San Paolo, prima della sua conversione, si chiamava Saulo.

D. 442. Chi erano gli Evangelisti?

R. San Matteo, San Marco, San Luca e San Giovanni sono chiamati Evangelisti, perché hanno scritto i quattro Vangeli che portano il loro nome, ed “Evangelia” è il nome latino dei Vangeli. San Marco e San Luca non furono Apostoli, mentre San Matteo e San Giovanni furono entrambi Apostoli ed Evangelisti.

D. 443. Perché gli Apostoli non hanno compreso pienamente quando Cristo stesso aveva loro insegnato loro?

R. Gli Apostoli non capirono pienamente quando Cristo stesso insegnò loro, perché durante la sua permanenza con loro sulla terra si stavano solo preparando a diventare Apostoli; le loro menti erano ancora piene di molti pensieri e desideri mondani che dovevano essere poi rimossi alla venuta dello Spirito Santo.

D. 444. Lo Spirito Santo rimarrà per sempre con la Chiesa?

R. Lo Spirito Santo dimorerà per sempre con la Chiesa e la guiderà sulla via della santità e della verità.

D. 445. Quale beneficio noi otteniamo dalla consapevolezza che lo Spirito Santo resterà con la Chiesa per sempre?

R. Dalla consapevolezza che lo Spirito Santo resterà con la Chiesa per sempre, noi siamo certi che la Chiesa non potrà mai insegnarci la menzogna e non potrà mai essere distrutta dai nemici della nostra fede.

D. 446. Quale potere visibile fu dato agli Apostoli, attraverso la venuta dello Spirito Santo?

R. Attraverso la venuta dello Spirito Santo gli Apostoli ricevettero il “dono delle lingue”, con il quale potevano essere compresi in ogni lingua, sebbene predicassero in una sola lingua.

D. 447. Perché tali meravigliosi doni hanno accompagnato la conferma, o la venuta dello Spirito Santo, nella prima età della Chiesa?

R. Tali meravigliosi doni hanno accompagnato la confermazione nelle prime età della Chiesa per dimostrare la potenza, la verità e il carattere divino del Cristianesimo a coloro che altrimenti non avrebbero potuto credere, e per attirare l’attenzione di tutti sull’istituzione della Chiesa Cristiana.

D. 448. Perché questi segni non sono continuati poi ovunque, ed anche in questo momento?

R. Questi segni non sono continuati ovunque ed anche in questo momento, perché ora che la Chiesa è pienamente stabilita e il suo carattere e i potere divini si sono dimostrati in altri modi, tali segni non sono più necessari.

D. 449. Poteri come il “dono delle lingue” costituivano parte del Sacramento della Confermazione?

R. Poteri come il “dono delle lingue”, non facevano parte del Sacramento della Confermazione, ma furono aggiunti dallo Spirito Santo quando fu necessario per il bene della Chiesa.

LEZIONE 10 –

SUGLI EFFETTI DELLA REDENZIONE

D.450. Che cos’è un effetto?

R. Un effetto è un qualcosa che viene causato da qualcos’altro, come ad esempio il fumo, è effetto del fuoco.

D.451. Che cosa significa redenzione?

R. Redenzione significa riacquistare una cosa che è stata data via o venduta.

D. 452. Che cosa ha dato via Adamo col suo peccato, e che cosa ha comprato Nostro Signore per lui e per noi?

R. Con il suo peccato, Adamo ha ceduto ogni diritto ai doni di grazia promessi da Dio in questo mondo e di gloria nell’altro, e Nostro Signore ha recuperato il diritto che Adamo aveva perduto.

D. 453. Quali sono gli effetti principali della Redenzione?

R. Gli effetti principali della Redenzione sono due: la soddisfazione della giustizia di Dio, mediante le sofferenze e la morte di Cristo, e l’acquisto della grazia per gli uomini.

D. 454. Perché diciamo “effetti principali”?

R. Diciamo “effetti principali” per dimostrare che questi sono solo i più importanti ma non i soli effetti della Redenzione; infatti tutti i benefici della nostra santa Religione e della sua influenza sul mondo sono gli effetti della redenzione.

D. 455. Perché la giustizia di Dio richiede soddisfazione?

R. La giustizia di Dio richiede soddisfazione perché è infinita e richiede riparazione per ogni colpa. L’uomo nel suo stato di peccato non ha potuto fare una riparazione necessaria, così Cristo è diventato uomo e l’ha fatto Egli per lui.

D. 456. Cosa intendi per grazia?

R. Per grazia intendo un dono soprannaturale di Dio a noi conferito, per i meriti di Gesù Cristo, per la nostra salvezza.

D. 457. Che cosa significa “soprannaturale”?

R. Soprannaturale significa sopra o superiore alla natura. Tutti i doni come la salute, l’apprendimento o le comodità della vita, che influiscono principalmente sulla nostra felicità in questo mondo, sono chiamati doni naturali, mentre e tutti i doni, come le beatitudini, che riguardano la nostra felicità principalmente nel mondo futuro, sono chiamati doni soprannaturali o spirituali.

D. 458. Cosa intendi con “merito”?

R. Merito indica la qualità di meritare un bene o un male per le nostre azioni. Nella domanda di cui sopra, si intende il diritto di ricompensa per le buone azioni compiute.

D. 459. Quanti tipi di grazia ci sono?

R. Esistono due tipi di grazia, la grazia santificante e la grazia reale.

R. 460. Qual è la differenza tra la grazia santificante e la grazia effettiva?

R. La grazia santificante rimane con noi finché non siamo colpevoli di peccato mortale; e quindi essa è spesso chiamata grazia abituale; ma la grazia effettiva ci perviene solo quando abbiamo bisogno del suo aiuto nel fare o nell’evitare un’azione, e rimane con noi solo nel mentre che stiamo facendo o evitando l’azione.

D. 461. Che cos’è la grazia santificante?

R. La grazia santificante è quella grazia che rende l’anima santa e gradita a Dio.

D. 462. Come chiamate quelle grazie o doni di Dio con le quali crediamo in Lui, speriamo in Lui e Lo amiamo?

R. Quelle grazie o doni di Dio con cui crediamo in Lui, speriamo in Lui, e Lo amiamo, sono chiamate le virtù divine o teologali, di Fede, Speranza e Carità.

D. 463. Che cosa intendi per virtù e per vizio?

R. La virtù è l’abitudine di fare il bene, mentre il vizio è l’abitudine di fare il male. Un atto, buono o cattivo, non costituisce un’abitudine; e quindi, una virtù o un vizio è il risultato di ripetuti atti dello stesso tipo.

D. 464. L’abitudine ci scusa dai peccati commessi per causa sua?

R. L’abitudine non ci scusa dai peccati commessi a sua causa, ma anzi ci rende ancor più colpevoli mostrandoci quanto spesso dobbiamo aver commesso il peccato per acquisirne l’abitudine. Se, tuttavia, stiamo seriamente cercando di superare una cattiva abitudine, e con la dimenticanza cediamo ad essa, l’abitudine a volte ci può scusare dal peccato.

D. 465. Che cos’è la fede?

R. La fede è una virtù divina grazie alla quale crediamo fermamente alle verità che Dio ha rivelato.

D. 466. Che cos’è la speranza?

R. La speranza è una virtù divina con la quale crediamo fermamente che Dio ci darà la vita eterna e i mezzi per ottenerla.

D. 467. Che cos’è la carità?

R. La carità è una virtù divina con la quale amiamo Dio sopra ogni cosa per proprio amor suo, e il nostro prossimo come noi stessi, per amor di Dio.

D. 468. Perché la fede, la speranza e la carità sono chiamate virtù?

R. Fede, Speranza e Carità sono chiamate virtù perché non sono meri atti, ma abitudini, mediante le quali sempre e in ogni cosa crediamo in Dio, speriamo in Lui e Lo amiamo.

D. 469. Che tipo di virtù sono Fede, Speranza e Carità?

R. Fede, Speranza e Carità sono chiamate virtù infuse teologali per distinguerle dalle quattro virtù morali: Prudenza, Giustizia, Fortezza e Temperanza.

D. 470. Perché diciamo che le tre virtù teologali sono infuse e le quattro virtù morali acquisite?

R. Diciamo che le tre virtù teologali sono infuse; cioè, riversate nelle nostre anime, perché sono doni rigorosamente di Dio e non dipendono dai nostri sforzi per ottenerle, mentre le quattro virtù morali: Prudenza, Giustizia, Fortezza e Temperanza – sebbene anche doni di Dio, possono, come virtù naturali, essere acquisite con i nostri sforzi.

D. 471. Perché crediamo in Dio, speriamo in Lui e Lo amiamo?

R. Crediamo in Dio e speriamo in Lui perché è infinitamente vero e non ci può ingannare. Lo amiamo perché è infinitamente buono, magnifico e degno di ogni amore.

D. 472. Quali peccati mortali sono contrari alla Fede?

R. L’ateismo, che è una negazione di tutte le verità rivelate; l’eresia, che è una negazione di alcune verità rivelate; la superstizione, che è un uso improprio della religione, sono contrarie alla Fede.

D. 473. Chi è il nostro prossimo?

R. Ogni essere umano suscettibile di salvezza di ogni età, paese, razza o condizione, specialmente se ha bisogno del nostro aiuto, è il nostro prossimo nel senso del Catechismo.

D. 474. Perché dovremmo amare il nostro prossimo?

R. Dovremmo amare il prossimo perché è uno dei figli di Dio, redento da Gesù Cristo, e perché è nostro fratello creato per dimorare in cielo con noi.

D. 475. Qual è la vera grazia?

R. La grazia effettiva è quell’aiuto di Dio che illumina la nostra mente e muove la nostra volontà per evitare il male e fare del bene.

D. 476. La grazia è necessaria per la salvezza?

R. La grazia è necessaria per la salvezza, perché senza la grazia non possiamo fare nulla per meritare il cielo.

D. 477. Possiamo resistere alla grazia di Dio?

R. Possiamo, e purtroppo spesso facciamo resistenza alla grazia di Dio.

D. 478. È un peccato resistere consapevolmente alla grazia di Dio?

R. Sì, è un peccato resistere consapevolmente alla grazia di Dio, perché così lo disprezziamo e ne rifiutiamo i doni senza i quali non possiamo essere salvati.

D. 479. Dio concede la sua grazia a tutti?

R. Dio dà a tutti coloro che Egli crea sufficiente grazia per salvare la propria anima; e se le persone non salvano le loro anime, è perché non hanno usato la grazia ricevuta.

D. 480. Qual è la grazia della perseveranza?

R. La grazia della perseveranza è un dono particolare di Dio che ci permette di continuare nello stato di grazia fino alla morte.

D. 481. Possiamo meritare la grazia della perseveranza finale o sapere quando la possediamo?

R. Non possiamo meritare la grazia della perseveranza finale, o sapere quando la possediamo, perché dipende interamente dalla misericordia di Dio e non dalle nostre azioni. Immaginare di possederlo ci condurrebbe al peccato della presunzione.

D. 482. Una persona può meritare una ricompensa soprannaturale per le buone azioni compiute, mentre è in peccato mortale?

R. Una persona non può meritare alcuna ricompensa soprannaturale per le buone azioni compiute mentre è in peccato mortale; tuttavia, Dio ricompensa tali buone azioni dando la grazia del pentimento; e, quindi, tutte le persone, anche quelle in peccato mortale, dovrebbero sforzarsi di fare del bene.

D. 483. Dio ricompensa tutte le nostre buone opere?

R. Dio ricompensa la nostra buona intenzione e il desiderio di servirLo, anche quando le nostre opere non hanno successo. Dovremmo rinnovare questa buona intenzione spesso durante il giorno, e specialmente al mattino.

IL CATECHISMO DI BALTIMORA 3 (IV) Lez. 11-13

 

IL CATECHISMO DI BALTIMORA 3 (II) – Lez. 5-7

IL CATECHISMO DI BALTIMORA (2)

[Dal terzo Concilio generale di Baltimora

Versione 1891]

Lezioni 5-7

LEZIONE 5 –

SUL NOSTRO PRIMO GENITORE E SULLA CADUTA

D. 233. Chi furono il primo uomo e la prima donna?

R. I primi uomini, uomo e donna, sono stati Adamo ed Eva.

D. 234. Ci sono delle persone nel mondo che non sono discendenti di Adamo ed Eva?

R. Non ci sono persone nel mondo né adesso, né ce ne sono mai state, che non siano i discendenti di Adamo ed Eva, perché l’intera razza umana non ha avuto che un’unica origine.

D. 235. Le differenze di colore, di statura, ecc., che troviamo in razze distinte, indicano una differenza nei primi genitori?

R. Le differenze di colore, statura, ecc., che troviamo in razze distinte, non indicano differenza nei primi genitori, in quanto queste differenze sono state prodotte nel tempo da altre cause, come il clima, le abitudini, ecc…

D. 236. Adamo ed Eva erano innocenti e santi quando uscirono dalla mano di Dio?

R. Adamo ed Eva erano innocenti e santi quando uscirono dalla mano di Dio.

D. 237. Che cosa intendiamo dicendo che Adamo ed Eva “erano innocenti” quando uscirono dalla mano di Dio?

R. Quando diciamo che Adamo ed Eva “erano innocenti” quando uscirono dalla mano di Dio, intendiamo che essi erano nello stato di giustizia originale; cioè, erano dotati di ogni virtù e liberi da ogni peccato.

D. 238. Come si è formato il corpo di Adamo?

R. Dio ha formato il corpo esteriore di Adamo dall’argilla della terra, e poi ha insufflato in esso un’anima vivente.

D. 239. Come si è formato il corpo di Eva?

R. Il corpo di Eva si è formato da una costola estratta dal fianco di Adamo durante un sonno profondo che Dio fece scendere su di lui.

D. 240. Perché Dio fece Eva da una costola di Adamo?

R. Dio fece Eva da una costola di Adamo per dimostrare la stretta relazione esistente tra il marito e la moglie nella loro unione matrimoniale da Dio istituita.

D. 241. Potrebbe essersi sviluppato, il corpo dell’uomo, dal corpo di un animale inferiore?

R. Il corpo dell’uomo potrebbe essersi sviluppato dal corpo di un animale inferiore qualora Dio lo avesse voluto; ma la scienza non prova che il corpo dell’uomo sia stato così formato, mentre la rivelazione ci insegna che esso sia stato formato direttamente da Dio dall’argilla della terra.

D. 242. L’anima e l’intelligenza dell’uomo possono essersi formate dallo sviluppo della vita animale e dall’istinto?

R. L’anima dell’uomo non può essersi formata dallo sviluppo dell’istinto animale, poiché, essendo interamente spirituale, deve essere stata creata da Dio ed è unita al corpo non appena il corpo sia pronto a riceverla.

D. 243. Dio ha dato qualche comando ad Adamo ed Eva?

R. Per provare la loro obbedienza, Dio comandò ad Adamo ed Eva di non mangiare un certo frutto che cresceva nel giardino del Paradiso.

D. 244. Qual era il giardino del paradiso?

R. Il Giardino del Paradiso era un luogo grande e bello, preparato come abitazione dell’uomo sulla terra. E stato fornito di ogni specie di piante e di animali e con tutto ciò che potesse contribuire alla felicità dell’uomo.

D. 245. Dov’era il Giardino del Paradiso?

R. Il luogo esatto in cui si trovava il Giardino del Paradiso – chiamato anche il Giardino dell’Eden – non è conosciuto, poiché il diluvio può aver cambiato la superficie della terra e gli antichi punti di riferimento essere stati cancellati. Probabilmente era posto in Asia, non lontano dal fiume Eufrate.

D. 246. Come si chiamava l’albero recante il frutto proibito?

R. L’albero che porta il frutto proibito è stato chiamato “l’albero della conoscenza del bene e del male”.

D. 247. Conosciamo il nome di qualsiasi altro albero nel giardino?

R. Conosciamo il nome di un altro albero nel giardino chiamato “albero della vita”. Il suo frutto manteneva i corpi dei nostri primi genitori in uno stato di perfetta salute.

D. 248. Quali sarebbero state le principali beatitudini destinate ad Adamo ed Eva se fossero rimasti fedeli a Dio?

R. Le principali beatitudini destinate ad Adamo ed Eva, se fossero rimaste fedeli a Dio, erano un costante stato di felicità in questa vita e la gloria eterna nell’altro.

D. 249. Adamo ed Eva sono rimasti fedeli a Dio?

R. Adamo ed Eva non rimasero fedeli a Dio, ma infransero il Suo comando mangiando il frutto proibito.

D. 250. Chi fu il primo a disobbedire a Dio?

R. Eva fu la prima a disobbedire a Dio e indusse Adamo a fare lo stesso.

D. 251. In che modo Eva fu tentata nel peccare?

R. Eva fu tentata dal peccato dal diavolo, che venne sotto forma di un serpente e la persuase ad infrangere il comando di Dio.

D. 252. Quali furono le cause principali che portarono Eva nel peccato?

R. Le cause principali che portarono Eva nel peccato furono: (1) Si espose al pericolo di peccare ammirando ciò che era proibito, invece di evitarlo. (2) Lei non cadde subito nella tentazione, ma discutendo si arrese ad essa. Una simile condotta da parte nostra, allo stesso modo ci porterà al peccato.

D. 253. Che cosa accadde ad Adamo ed Eva a causa del loro peccato?

R. Adamo ed Eva, a causa del loro peccato, persero l’innocenza e la santità e furono condannati alla malattia e alla morte.

D. 254. Quali altri mali hanno colpito Adamo ed Eva a causa del loro peccato?

R. Molti altri mali colpirono Adamo ed Eva a causa del loro peccato. Furono cacciati dal Paradiso e condannati a lavorare. Dio dispose anche che d’ora in poi la terra non producesse raccolti senza essere coltivata, e che le bestie, una volta amici dell’uomo, diventassero i suoi selvatici nemici.

D. 255. Dovevamo noi rimanere nel Giardino del Paradiso per sempre, se Adamo non avesse peccato?

R. Non dovevamo rimanere nel Giardino del Paradiso per sempre anche se Adamo non avesse peccato, ma dopo aver attraversato gli anni della prova sulla terra, dovevamo essere presi, corpo e anima, e portati in cielo senza patire la morte.

256. Qual male ci ha colpiti a causa della disobbedienza dei nostri primi genitori?

R. A causa della disobbedienza dei nostri primi genitori, tutti condividiamo il loro peccato e la loro punizione, come avremmo condiviso d’altra parte la loro felicità, se fossero rimasti fedeli.

D. 257. Non è ingiusto punirci per il peccato dei nostri primi genitori?

R. Non è ingiusto punirci per il peccato dei nostri primi genitori, perché la loro punizione consisteva nell’essere privati ​​di un dono gratuito di Dio; cioè, del dono della giustizia originale a cui non avevano alcun rigoroso diritto al quale volontariamente avevano rinunciato nel loro atto di disobbedienza.

D. 258. Ma in che modo la perdita del dono della giustizia originale ha lasciato i nostri primi genitori e noi in peccato mortale?

R. La perdita del dono della giustizia originale ha lasciato i nostri primi genitori e noi, nel peccato mortale, perché li ha privati ​​della Grazia di Dio, ed è proprio nell’essere senza questo dono della Grazia, che è consistito e consiste il peccato mortale. Poiché anche tutti i loro figli sono privati ​​dello stesso dono di Grazia, pur essi vengono al mondo nello stato di peccato mortale.

D. 259. Quali altri effetti seguirono al peccato dei nostri primi genitori?

R. La nostra natura era corrotta dal peccato dei nostri primi genitori, oscurando così la nostra comprensione, indebolendo la nostra volontà e lasciando in noi una forte inclinazione al male.

D. 260. Che cosa intendiamo per “la nostra natura è stata corrotta”?

R. Quando diciamo che “la nostra natura è stata corrotta” intendiamo che tutto il nostro essere, corpo e anima, è stato ferito in tutte le sue parti e nei suoi poteri.

D. 261. Perché diciamo che la nostra comprensione è stata oscurata?

R. Diciamo che la nostra comprensione è stata oscurata perché anche con il molto apprendimento, non abbiamo la chiara conoscenza, la percezione rapida e la memoria ritentiva che Adamo aveva prima della sua caduta dalla grazia.

D. 262. Perché diciamo che la nostra volontà è stata indebolita?

R. Diciamo che la nostra volontà è stata indebolita per mostrare che il nostro libero arbitrio non è stato interamente tolto dal peccato di Adamo, e che abbiamo ancora il potere di usare il nostro libero arbitrio, facendo il bene o il male.

D. 263. In che consiste la forte inclinazione al male che è rimasta in noi?

R. Questa forte inclinazione al male che è lasciata in noi, consiste negli sforzi continui che i nostri sensi e i nostri appetiti fanno per condurre le nostre anime al peccato. Il corpo è incline a ribellarsi contro l’anima e l’anima stessa a ribellarsi contro Dio.

D. 264. Che cos’è questa forte inclinazione richiamata al male, e perché Dio le ha permesso di rimanere in noi?

R. Questa forte inclinazione al male è chiamata concupiscenza, e Dio le permette di rimanere in noi perché, con la sua grazia, possiamo resisterle e così aumentare i nostri meriti.

D. 265. Come è chiamato il peccato che ereditiamo dai nostri primi genitori?

R. Il peccato che ereditiamo dai nostri primi genitori è chiamato peccato originale.

D. 266. Perché questo peccato è chiamato originale?

R. Questo peccato è chiamato originale perché discende fino a noi dai nostri primi genitori e veniamo al mondo con questa colpa sulla nostra anima.

D. 267. Questa corruzione della nostra natura rimane in noi dopo che il peccato originale sia stato perdonato?

R. Questa corruzione della nostra natura e le altre pene rimangono in noi anche dopo che il peccato originale è perdonato.

D. 268. Qualcuno è mai stato preservato dal peccato originale?

R. La Beata Vergine Maria, per i meriti del suo divin Figlio, fu preservata libera dalla colpa del peccato originale, e questo privilegio è chiamato la sua Immacolata Concezione.

269. Perché la Vergine è stata preservata dal peccato originale?

R. La Beata Vergine fu preservata dal peccato originale perché non sarebbe stato coerente con la dignità del Figlio di Dio che la Madre Sua, anche per un solo istante, fosse stata sotto la potenza del diavolo, nemico di Dio.

D. 270. In che modo la Beata Vergine poteva essere preservata dal peccato dal suo Divin Figlio, prima che suo Figlio nascesse?

R. La Vergine Benedetta poteva essere preservata dal peccato dal suo Divin Figlio prima che nascesse come uomo, poiché Egli sempre è esistito come Dio e aveva previsto i suoi meriti futuri e la dignità della Madre Sua. Quindi, per i suoi futuri meriti, aveva previsto il suo privilegio di essere esente dal peccato originale.

D. 271. Che cosa significa “Immacolata Concezione”?

R. L’Immacolata Concezione significa il privilegio esclusivo della Vergine Beata di venire all’esistenza, per i meriti di Gesù Cristo, senza la macchia del peccato originale. Non significa, quindi, che la sua vita sia stata esente dal peccato, né la verginità perpetua o la concezione miracolosa del Nostro Divino Signore mediante l’opera dello Spirito Santo.

D. 272. Qual è sempre stata la credenza della Chiesa riguardo a questa verità?

R. La Chiesa ha sempre creduto nell’Immacolata Concezione della Beata Vergine e collocando questa verità oltre ogni dubbio, l’ha dichiarato un Articolo di Fede.

D. 273. A cosa dovrebbero portarci i pensieri dell’Immacolata Concezione?

I pensieri dell’Immacolata Concezione dovrebbero portarci ad un grande amore per la purezza e al desiderio di imitare la Vergine Santa nella pratica di quella santa virtù.

LEZIONE 6 –

SUL PECCATO E SUOI TIPI

D. 274. Come si distingue il peccato?

R. Il peccato si distingue in:

-1) peccato che ereditiamo, chiamato peccato originale, e:

– 2) il peccato che commettiamo noi, chiamato peccato attuale. Il peccato reale è suddiviso in peccati maggiori, chiamati mortali, e peccati minori, chiamati veniali.

D. 275. In quanti modi può essere commesso il peccato reale?

R. Il peccato effettivo può essere commesso in due modi: facendo volontariamente le cose proibite o trascurando volontariamente le cose comandate.

D. 276. Come si chiama il nostro peccato quando trascuriamo le cose comandate?

R. Quando trascuriamo le cose comandate, il nostro peccato è chiamato “peccato di omissione”. Trascurare volontariamente di ascoltare la Messa la domenica, o andare alla Confessione almeno una volta all’anno, sono ad esempio peccati di omissione.

D. 277. Il peccato originale è l’unico tipo di peccato?

R. Il peccato originale non è il solo tipo di peccato; c’è un altro tipo di peccato, che noi commettiamo, chiamato vero peccato.

D. 278. Che cos’è il peccato attuale?

R. Il peccato attuale o reale è qualsiasi pensiero intenzionale, parola, azione o omissione contraria alla legge di Dio.

D. 279. Quanti tipi di peccato attuale ci sono?

R. Esistono due tipi di peccato reale: il mortale e il veniale.

D. 280. Che cos’è il peccato mortale?

R. Il peccato mortale è un’offesa grave contro la legge di Dio.

D. 281. Perché questo peccato si chiama mortale?

R. Questo peccato è chiamato mortale perché ci priva della vita spirituale, che è la grazia santificante, conduce alla morte eterna e alla dannazione all’anima.

D. 282. Quante cose sono necessarie per rendere mortale un peccato?

R. Per commettere un peccato mortale, sono necessarie tre cose: 1. una materia grave, 2. una consapevolezza sufficiente e 3. il pieno consenso della volontà.

D. 283. Che cosa intendiamo per “materia grave” riguardo al peccato?

R. Per “materia grave” riguardo al peccato, intendiamo che il pensiero, la parola o l’azione con cui viene commesso il peccato mortale, devono essere molto cattivi in ​​sé o severamente proibiti, e quindi sufficienti per commettere un peccato mortale se deliberatamente cadiamo in esso.

D. 284. Che cosa significa “sufficiente consapevolezza e pieno consenso della volontà”?

R. “Consapevolezza sufficiente” significa che sappiamo con certezza che il pensiero, la parola o l’azione sono peccaminosi, nel momento in cui ne siamo colpevoli; e “il pieno consenso della volontà” significa che dobbiamo cedere pienamente e volontariamente ad essa.

D. 285. Quali sono i peccati commessi senza consapevolezza o deliberato consenso?

R. I peccati commessi senza consapevolezza o consenso sono chiamati peccati materiali; cioè, sarebbero peccati formali e reali, se ne conoscessimo la peccaminosità nel momento in cui li stiamo per commettere. Così mangiare carne in un giorno di astinenza senza sapere che sia un giorno di astinenza o senza pensare al divieto, sarebbe un peccato materiale.

D. 286. I peccati materiali commessi nel passato, diventano veri peccati non appena scopriamo la loro peccaminosità?

R. I peccati materiali passati non diventano veri peccati appena scopriamo la loro peccaminosità, a meno che non li ripetiamo nuovamente con piena consapevolezza e consenso.

D. 287. Come possiamo sapere quali peccati siano considerati mortali?

R. Possiamo sapere quali peccati siano considerati mortali: dalla Sacra Scrittura, dall’insegnamento della Chiesa e dagli scritti dei Padri e dei Dottori della Chiesa.

D. 288. Perché è sbagliato giudicare gli altri colpevoli di peccato?

R. È sbagliato giudicare gli altri colpevoli di peccato perché non possiamo sapere con certezza se il loro atto peccaminoso sia stato commesso con sufficiente consapevolezza e pieno consenso della volontà.

D. 289. Quale peccato commette chi, senza una ragione sufficiente, ritiene un altro colpevole di peccato?

R. Colui che senza una ragione sufficiente crede che un altro sia colpevole di peccato commette un peccato di giudizio avventato.

D. 290. Che cos’è il peccato veniale?

R. Il peccato veniale è una offesa leggera contro la legge di Dio in questioni di minore importanza o, in questioni di grande importanza, è un’offesa commessa senza sufficiente consapevolezza o pieno consenso della volontà.

D. 291. Possiamo sempre distinguere il peccato veniale dal peccato mortale?

R. Non possiamo sempre distinguere il peccato veniale dal peccato mortale, e in tali casi dobbiamo lasciare la decisione al nostro confessore.

D. 292. Le piccole offese possono mai diventare peccati mortali?

R. Lievi offese possono diventare peccati mortali se li commettiamo con disprezzo provocatorio verso Dio o la Sua legge; oppure anche quando sarebbero seguiti da conseguenze molto malvagie, che noi prevediamo nel commetterli.

D. 293. Quali sono gli effetti del peccato veniale?

R. Gli effetti del peccato veniale sono: 1) la diminuzione dell’amore di Dio nel nostro cuore, 2) il renderci meno degni del suo aiuto, e 3) l’indebolimento del potere di resistere al peccato mortale.

D. 294. Come possiamo sapere che un pensiero, una parola o un’azione siano peccaminosi?

R. Possiamo sapere che un pensiero, una parola o un’azione siano peccaminosi se esse, commesse od omesse, sono proibite da una qualsiasi legge di Dio e della sua Chiesa, o se si oppone a qualsiasi virtù soprannaturale.

D. 295. Quali sono le principali fonti di peccato?

R. Le principali fonti di peccato sono sette, orgoglio, avarizia, lussuria, ira, gola, invidia, accidia, e sono comunemente chiamate: peccati capitali.

D. 296. Che cos’è l’orgoglio?

R. L’orgoglio è un amore eccessivo per le nostre capacità; tale da farci disobbedire peccando, piuttosto che umiliarci.

D. 297. Quale effetto ha l’orgoglio per le nostre anime?

R. L’orgoglio genera nelle nostre anime un’ambizione peccaminosa, la vanagloria, la presunzione e l’ipocrisia.

D. 298. Che cos’è la avarizia o cupidigia?

R. L’avarizia o cupidigia è un desiderio eccessivo delle cose del mondo.

D. 299. Quale effetto ha la cupidigia sulle nostre anime?

R. La cupidigia genera nelle nostre anime cattiveria, disonestà, l’inganno e la mancanza di carità.

D. 300. Che cos’è la lussuria?

R. La lussuria è un desiderio eccessivo per i piaceri peccaminosi proibiti dal sesto comandamento.

D. 301. Quale effetto ha la lussuria sulle nostre anime?

R. La lussuria genera nelle nostre anime un disgusto per le cose sante, una coscienza perversa, un odio per Dio, e molto spesso porta ad una completa perdita della fede.

D. 302. Che cos’è l’ira?

R. L’ira è un’emozione eccessiva della mente eccitata contro qualsiasi persona o cosa, o è un desiderio eccessivo di vendetta.

D. 303. Che effetto ha l’ira sulla nostra anima?

R. L’ira genera nelle nostre anime impazienza, odio, irriverenza e troppo spesso l’abitudine a bestemmiare.

D. 304. Che cos’è la gola o ingordigia?

R. La gola è un desiderio eccessivo di cibo o di bevande.

D. 305. Che tipo di peccato è l’ubriachezza?

R. L’ubriachezza è un peccato di gola per il quale una persona si priva dell’uso della ragione, con l’assunzione eccessiva di bevande inebrianti.

D. 306. L’ubriachezza è sempre un peccato mortale?

R. L’ubriachezza deliberata è sempre un peccato mortale se la persona viene completamente privata da questa, dell’uso della ragione, ma l’ubriachezza che non è compresa o desiderata, può essere giustificata dal peccato mortale.

D. 307. Quali sono gli effetti principali dell’ubriachezza abituale?

R. L’ubriachezza abituale ferisce il corpo, indebolisce la mente, porta la vittima in preda a molti vizi e lo espone al pericolo di morire in uno stato di peccato mortale.

D. 308. Quali sono i tre peccati che sembrano causare la maggior parte dei mali nel mondo?

R. L’ubriachezza, la disonestà e l’impurità, sembrano causare la maggior parte dei mali nel mondo, e devono quindi essere attentamente evitati in ogni momento.

D. 309. Che cos’è l’invidia?

R. L’invidia è un sentimento di dispiacere per la fortuna dell’altro e la gioia del male che si abbatte su di lui; come se noi stessi fossimo feriti dal bene e beneficati dal male che gli viene.

D. 310. Che effetto ha l’invidia sull’anima?

R. L’invidia genera nell’anima una mancanza di carità per il prossimo e produce uno spirito di diffamazione, di maldicenza e di calunnia.

D. 311. Che cos’è l’accidia?

R. L’accidia è una pigrizia della mente e del corpo, attraverso la quale trascuriamo i nostri doveri a causa del lavoro che essi richiedono.

D. 312. Quale effetto ha la pigrizia sull’anima?

R. La pigrizia genera nell’anima uno spirito di indifferenza verso i nostri doveri spirituali e un disgusto per la preghiera.

D. 313. Perché le sette radici o fonti del peccato sono chiamate peccati capitali?

R. Le sette fonti del peccato sono chiamate peccati capitali perché dirigono gli altri nostri peccati e ne sono la causa.

D. 314. Che cosa intendiamo per: nostro peccato predominante o passione dominante?

R. Per il nostro peccato predominante, o passione dominante, intendiamo il peccato in cui cadiamo più frequentemente e al quale troviamo più difficile resistere.

D. 315. Come possiamo superare meglio i nostri peccati?

R. Possiamo superare meglio i nostri peccati, proteggendoci dal nostro peccato predominante o dominante.

D. 316. Dovremmo rinunciare a cercare di essere buoni quando sembriamo non riuscire a superare i nostri difetti?

R. Non dobbiamo rinunciare a cercare di essere buoni quando sembra che non riusciamo a superare i nostri difetti, perché i nostri sforzi per essere buoni, ci impediranno almeno di diventare ancor peggiori.

D. 317. Quali virtù si oppongono ai sette peccati capitali?

R. L’umiltà è contraria all’orgoglio; la generosità alla cupidigia; la castità alla lussuria; la mitezza alla rabbia; la temperanza alla gola; l’amore fraterno all’invidia e diligenza alla pigrizia.

LEZIONE 7 –

SULL’INCARNAZIONE E LA REDENZIONE

D. 318. Che cosa significa “incarnazione” e cosa significa “redenzione”?

R. “Incarnazione” significa l’atto di vestirsi con la carne. Così nostro Signore ha rivestito la sua divinità con un corpo umano. “Redenzione” significa acquistare di nuovo.

D. 319. Dio ha abbandonato l’uomo dopo che questi cadde nel peccato?

R. Dio non ha abbandonato l’uomo dopo che questi era caduto nel peccato, ma gli ha promesso un Redentore, che avrebbe dovuto soddisfare il peccato dell’uomo e riaprirgli le porte del cielo.

D. 320. Che cosa intendiamo per “porte del paradiso”?

R. Per “porte del cielo” intendiamo il potere divino mediante il quale Dio ci tiene fuori dal cielo o ci ammette ad esso, a Suo piacimento.

D. 321. Chi è il Redentore?

R. Il nostro Santo Signore e Salvatore Gesù Cristo è il Redentore dell’umanità.

D. 322. Che cosa significa il nome “Gesù” e come è stato dato a Nostro Signore questo nome?

R. Il nome “Gesù” significa Salvatore o Redentore, e questo nome fu dato a Nostro Signore da un Angelo che apparve a Giuseppe e disse: “Maria darà alla luce un Figlio, e tu gli imporrai il nome di Gesù”.

D. 323. Che cosa significa il nome “Cristo”?

R. Il nome “Cristo” significa lo stesso che “Messia” e significa “Unto”; perché, come nell’antica legge, i profeti, i sommi sacerdoti e i re erano unti con olio, così Gesù, il Grande Profeta, Sommo Sacerdote e Re della Nuova Legge, fu unto come uomo con la pienezza del potere divino.

D. 324. In che modo Cristo dimostrò e provò il Suo potere divino?

R.  Cristo ha mostrato e dimostrato la sua potenza divina principalmente con i suoi miracoli, che sono opere straordinarie che possono essere eseguite solo con il potere ricevuto da Dio e che hanno, quindi, la sua ratifica e la sua autorità.

D. 325. Che cosa, quindi, dimostrarono i miracoli di Gesù Cristo?

R. I miracoli di Gesù Cristo provarono che qualunque cosa Egli avesse detto, era vera, e che quando dichiarò di essere il Figlio di Dio era assolutamente vero ciò che sosteneva di essere.

D. 326. Gli uomini non potrebbero essere stati ingannati nei miracoli di Cristo?

R. Gli uomini non potevano essere ingannati nei miracoli di Cristo perché essi venivano operati nella maniera più aperta e di solito in presenza di grandi moltitudini di persone, tra le quali c’erano molti dei suoi nemici, sempre pronti a smascherare qualsiasi inganno. E se Cristo non ha compiuto veri miracoli, in che modo avrebbe potuto convertire il mondo e persuadere gli uomini peccatori a rinunciare a ciò che amavano e a fare le cose difficili che la Religione cristiana impone?

D. 327. Non sono stati scritti anche dei falsi resoconti di questi miracoli dopo la morte di Nostro Signore?

R. False descrizioni di questi miracoli non potevano essere state scritte dopo la morte di Nostro Signore; allora infatti, né i suoi amici né i suoi nemici avrebbero creduto loro senza prove. Inoltre, i nemici di Cristo non negavano i miracoli, ma cercavano di spiegarli attribuendoli al potere del diavolo o ad altre cause. Per di più, gli Apostoli e gli Evangelisti che hanno scritto i resoconti, hanno sofferto la morte per testimoniare la loro fede nelle parole e nelle opere di Nostro Signore.

D. 328. Gesù Cristo è morto per riscattare tutti gli uomini di ogni età e razza senza eccezioni?

R. Gesù Cristo è morto per riscattare tutti gli uomini di ogni età e razza senza eccezioni; e ogni persona nata nel mondo dovrebbe condividere i suoi meriti, senza i quali nessuno può essere salvato.

D. 329. In che modo i meriti di Gesù Cristo si applicano alle nostre anime?

R. I meriti di Gesù Cristo sono applicati alle nostre anime attraverso i Sacramenti, e specialmente attraverso il Battesimo e la Penitenza, che ci riportano all’amicizia di Dio.

D. 330. Che cosa credi di Gesù Cristo?

R. Credo che Gesù Cristo sia il Figlio di Dio, la seconda Persona della Santissima Trinità, vero Dio e vero uomo.

D. 331. Non possiamo anche essere chiamati progenie di Dio, e quindi suoi figli e figlie?

R. Possiamo essere chiamati figli di Dio perché Egli ci ha adottato per la sua grazia o perché è il Padre che ci ha creati; ma noi non siamo, quindi, i suoi veri figli; mentre Gesù Cristo, il suo unico reale e vero Figlio, non fu né adottato né creato, ma fu generato da Suo Padre da tutta l’eternità.

D. 332. Perché Gesù Cristo è vero Dio?

R. Gesù Cristo è vero Dio perché è il vero e unico Figlio di Dio Padre.

D. 333. Perché Gesù Cristo è un vero uomo?

R. Gesù Cristo è vero uomo perché è il Figlio della Beata Vergine Maria e ha un corpo e un’anima come noi.

D. 334. Chi era il padre adottivo o il custode di Nostro Signore mentre era sulla terra?

R. San Giuseppe, il marito della Beata Vergine, era il padre putativo o il custode di Nostro Signore mentre era sulla terra.

D. 335. Gesù Cristo è nei cieli come Dio o come uomo?

R. Dalla sua ascensione Gesù Cristo è in cielo sia come Dio che come uomo.

D. 336. Quante nature ci sono in Gesù Cristo?

R. In Gesù Cristo ci sono due nature, la natura di Dio e la natura dell’uomo.

D. 337. Gesù Cristo è più di una Persona?

R. No. Gesù Cristo è solo una Persona Divina.

D. 338. Da cosa apprendiamo che Gesù Cristo è una sola persona?

R. Impariamo che Gesù Cristo è una sola Persona della Sacra Scrittura e dal costante insegnamento della Chiesa, che ha condannato tutti coloro che insegnano il contrario.

D. 339. Gesù Cristo è sempre stato Dio?

R. Gesù Cristo è sempre stato Dio, poiché è la seconda Persona della Santissima Trinità, uguale a Suo Padre da tutta l’eternità.

D. 340. Gesù Cristo è sempre stato uomo?

R. Gesù Cristo non fu sempre uomo, ma divenne uomo al tempo della sua incarnazione.

D. 341. Cosa intendi con l’Incarnazione?

R. Con l’incarnazione intendo che il Figlio di Dio è stato fatto uomo.

D. 342. In che modo il Figlio di Dio fu fatto uomo?

R. Il Figlio di Dio è stato concepito e fatto uomo dal potere dello Spirito Santo, nel seno della Beata Vergine Maria.

D. 343. La Beata Vergine Maria è veramente la Madre di Dio?

R. La Beata Vergine Maria è veramente la Madre di Dio, perché la stessa Persona Divina, che è il Figlio di Dio, è anche il Figlio della Beata Vergine Maria.

D. 344. Il Figlio di Dio si è fatto uomo immediatamente dopo il peccato dei nostri primi genitori?

R. Il Figlio di Dio non divenne uomo immediatamente dopo il peccato dei nostri primi genitori, ma fu loro promesso come Redentore.

D. 345. Quanti anni trascorsero da quando Adamo peccò fino al tempo in cui venne il Redentore?

R. Passarono circa 4000 anni dal momento in cui Adamo peccò, fino al tempo in cui venne il Redentore.

D. 346. Qual era la condizione morale del mondo immediatamente prima della venuta di Nostro Signore?

R. Poco prima della venuta di Nostro Signore, la condizione morale del mondo era pessima. L’idolatria, l’ingiustizia, la crudeltà, l’immoralità ed orribili vizi erano comuni quasi ovunque.

D. 347. Perché la venuta del Redentore è stata così a lungo ritardata?

R. La venuta del Redentore è stata ritardata talmente a lungo affinché il mondo – che soffre di ogni miseria – potesse apprendere il grande male del peccato e sapere che solo Dio può aiutare l’uomo decaduto.

D. 348. Quando fu promesso il Redentore all’umanità?

R. Il Redentore fu promesso per la prima volta all’umanità nel Giardino del Paradiso, e in seguito spesso attraverso Abramo e i suoi discendenti, i Patriarchi e attraverso numerosi Profeti.

D. 349. Chi erano i profeti?

R. I profeti furono uomini ispirati, ai quali Dio rivelava il futuro, affinché potessero farlo conoscere con assoluta certezza al popolo.

D. 350. Cosa predissero i profeti riguardo al Redentore?

R. I profeti, nella loro totalità, predissero in modo così preciso tutte le circostanze della nascita, della vita, della morte, della risurrezione e della gloria del Redentore, che nessuno che avesse studiato attentamente i loro scritti poteva non riconoscerlo quando realmente venne.

D. 351. Si sono adempiute tutte queste profezie riguardanti il ​​Redentore?

R. Tutte le profezie riguardanti il ​​Redentore sono state adempiute in ogni punto, dalle circostanze della nascita, della vita, della morte, della risurrezione e fino alla gloria di Cristo; Egli è, quindi, il Redentore promesso all’umanità fin dal tempo di Adamo.

D. 352. Dove troveremo queste profezie riguardo al Redentore?

R. Queste profezie riguardanti il ​​Redentore, le troveremo nei libri profetici della Bibbia o della Sacra Scrittura.

D. 353. Se la venuta del Redentore era predetta in modo così chiaro, perché non lo hanno riconosciuto tutti quando è venuto?

R. Non tutti hanno riconosciuto il Redentore quando è venuto, perché molti conoscevano solo una parte delle profezie, e ritenendo solo quelle riguardanti la Sua gloria, omettendo quelle riguardanti la Sua passione, non hanno potuto comprendere la Sua vita.

D. 354. Come potevano essere salvati coloro che vivevano prima che il Figlio di Dio diventasse uomo?

R. Coloro che vissero prima che il Figlio di Dio diventasse uomo, potevano essere salvati credendo in un Redentore venturo ed osservando i Comandamenti.

D. 355. In quale giorno il Figlio di Dio fu concepito e fatto uomo?

R. Il Figlio di Dio fu concepito e fatto uomo nel giorno dell’Annunciazione, il giorno in cui l’Angelo Gabriele annunciò alla Beata Vergine Maria che sarebbe stata la Madre di Dio.

D. 356. In quale giorno è nato Cristo?

R. Cristo è nato il giorno di Natale, in una stalla a Betlemme, oltre millenovecento anni fa.

357. Perché la Beata Vergine e San Giuseppe andarono a Betlemme poco prima della nascita di Nostro Signore?

R. La Beata Vergine e San Giuseppe andarono a Betlemme in obbedienza all’imperatore romano, che ordinò a tutti i suoi sudditi di registrare i loro nomi nelle città o nelle città dei loro antenati. Betlemme era la città di David, l’antenato reale di Maria e Giuseppe, e quindi dovettero registrarsi lì. Tutto ciò fu fatto dalla Volontà di Dio, affinché le profezie concernenti la nascita del Suo Divin Figlio, potessero essere adempiute.

D. 358. Perché Cristo è nato in una stalla?

R. Cristo nacque in una stalla perché Giuseppe e Maria erano poveri e stranieri a Betlemme, e senza denaro non trovarono nessun altro riparo. Ciò è stato permesso da Nostro Signore affinché potessimo imparare una lezione dalla Sua grande umiltà.

D. 359. Nel nominare gli ancestri o gli antenati di Nostro Signore, perché i Vangeli ricordano gli antenati di Giuseppe, che era solo il padre putativo di Cristo, e non gli antenati di Maria, che era la vera genitrice di Cristo?

R. Nel dare gli antenati di Nostro Signore, i Vangeli danno gli antenati di Giuseppe:

(1) Perché gli antenati delle donne non erano solitamente registrati dagli ebrei; e

(2) Perché Maria e Giuseppe erano membri della stessa tribù e avevano, quindi, gli stessi antenati; sicché, nel nominare gli antenati di Giuseppe, i Vangeli nominano anche quelli di Maria; e questo fu compreso da coloro ai quali i Vangeli erano destinati.

D. 360. Il nostro Signore aveva fratelli o sorelle?

R. Nostro Signore non aveva fratelli o sorelle. Quando i Vangeli parlano dei Suoi fratelli, intendono riferirsi ai suoi parenti prossimi. La Sua Beatissima Madre Maria, è sempre stata Vergine anche prima e alla Sua nascita come dopo.

D. 361. Chi furono i primi ad adorare Gesù bambino?

R. I pastori di Betlemme, ai quali la sua nascita fu annunciata dagli Angeli; e i Magi o tre saggi, che furono guidati alla Sua culla da una stella miracolosa, furono tra i primi ad adorare il Bambino. Ricordiamo l’adorazione dei Magi nella festa dell’Epifania, che significa apparizione o manifestazione, cioè, del nostro Salvatore.

D. 362. Chi ha cercato di uccidere Gesù bambino?

R. Erode cercò di uccidere Gesù Bambino perché pensava che l’influenza di Cristo – il nuovo re – lo avrebbe privato del suo trono.

D. 363. In che modo il Santo Bambino fu salvato dal potere di Erode?

R. Il Santo Bambino fu salvato dal potere di Erode mediante la fuga in Egitto, quando San Giuseppe – avvertito da un Angelo – fuggì frettolosamente in quel paese con Gesù e Maria.

D. 364. In che modo Erode sperava di realizzare i suoi disegni malvagi?

R. Erode sperava di realizzare i suoi disegni malvagi uccidendo tutti i bambini di Betlemme e dintorni. Il giorno in cui commemoriamo la morte di questi primi piccoli martiri che hanno versato il loro sangue a causa di Cristo, è chiamato la festa dei Santi Innocenti.

D. 365. Come possono essere divisi gli anni della vita di Cristo?

R. Gli anni della vita di Cristo possono essere divisi in tre parti:

– La sua infanzia, che si estende dalla sua nascita fino al dodicesimo anno, quando andò con i suoi genitori ad adorare nel Tempio di Gerusalemme.

– La sua vita nascosta, che si estende dal suo dodicesimo al trentesimo anno, durante il quale Egli dimorò con i suoi genitori a Nazareth.

– La sua vita pubblica, che si estende dal suo trentesimo anno, o dal suo battesimo di San Giovanni Battista alla sua morte; durante la quale ha insegnato le sue dottrine e stabilito la sua Chiesa.

D. 366. Perché la vita di Cristo è divisa così?

La vita di Cristo è divisa così per mostrare che tutte le classi trovano in Lui il loro modello. Nell’infanzia ha dato un esempio ai giovani; nella sua vita nascosta un esempio per coloro che si consacrano al servizio di Dio in uno stato religioso; e nella sua vita pubblica un esempio per tutti i cristiani senza eccezioni.

D. 367. Per quanto tempo Cristo visse sulla terra?

Cristo visse sulla terra per circa trentatré anni e condusse una vita santissima in povertà e nella sofferenza.

D. 368. Perché Cristo ha vissuto così a lungo sulla terra?

Cristo ha vissuto così a lungo sulla terra per mostrarci la via per il cielo con i suoi insegnamenti ed il suo esempio.

CATECHISMO DI BALTIMORA 3 (III) – Lez. 8-10

 

IL PECCATO VENIALE – (C. Alapide)

Peccato veniale.

[E. Barbier: I Tesori di Cornelio Alapide; S.E.I. Ed. Torino, 1930]

– 1. Il peccato veniale porta a gravi cadute. — 2. Malizia del peccato veniale. — 3. Quanto sono frequenti le colpe leggere. — 4. Punizione del peccato veniale.

I. IL PECCATO VENIALE PORTA A  GRAVI CADUTE. — « Chi non bada alle piccole colpe andrà a poco a poco nelle gravi » — Qui spernit modica, paulatim decidet (Eccli. XIX, 1). S u questa sentenza del Savio così ragiona S. Gregorio: « Se noi non badiamo alle piccole cose, insensibilmente sedotti, finiremo per cadere nei più enormi misfatti. Perché colui il quale trascura di deplorare i peccati veniali che ha commesso e non bada ad evitarli, decade dallo stato di giustizia non già tutto ad un tratto, ma a gradi e insensibilmente. Bisogna avvertire quelli che sono abituati al peccato veniale, perché considerino attentamente che talora una leggera caduta è in qualche modo più nocevole che una colpa grave; poiché una grave mancanza si rileva più facilmente e si piange più presto; mentre non si tiene conto di una leggera; e questa diventa tanto più pericolosa perché si commette senza scrupolo. Perciò spesso avviene che l’anima abituata alle colpe lievi, finisce col non sentire più orrore delle gravi: corrotta per le sue molteplici infrazioni, essa arriva a tanto di ardire, di disprezzo e di malizia, che più non teme i peccati mortali, perché ha imparato a commettere senza timore i veniali » (Moral. lib. X, c. XIX). – Lazzaro che languisce per debolezza, poi si ammala, poi muore, poi è sepolto, e finalmente puzza già putrefatto, presenta agli interpreti sacri una figura della vita e della caduta definitiva dell’uomo che non si dà pensiero di evitare il peccato veniale. 1 ° Egli non sente nell’anima che un languore; 2° questo languore si aggrava e diviene malattia; 3° cade in un sonno letargico, cioè nella noncuranza del suo stato; 4° arriva la morte o il peccato mortale; 5° la putrefazione o corruzione del cuore. – « Una cosa, dice S. Bernardo, che da principio ti pareva insopportabile peso, a poco a poco diventa meno pesante; poi non te ne accorgi nemmeno più; finalmente ti riesce dilettevole e gioconda (Primum aliquid tibi videtur importabile; iudicabis non adeo grave; nec senties: paulo post etiam delectabit – Serm, in Cantic.) ». Basta una scintilla a produrre un vasto incendio. Guai a chi trascura le piccole cautele! Bisogna chiudere, secondo l’avviso di S. Cipriano, non solo le porte, ma anche le più piccole fessure, per timore che basti un piccolo foro a introdurre il nemico nel campo. Tutto l’ambito di una città dev’essere fortificato, affinché non sia espugnata da un lato debole; perché, avverte Salomone, chi non fa conto del poco, mancherà nel molto (Omnes rimæ, ne dicam portæ, claudendæ sunt, ne per unum foramen castra omnia penetrentur; et universa sunt componenda munimento, ne per modicum non munitum tota civitas ruat; sicut Salomon repetit dicens: Qui spernit modica, paulatim decidet – Serm. in Eccles.) . – « Non sapete, scriveva S. Paolo, che un poco di lievito mette in fermento tutta la massa della farina? » — Nescitis, quia modicum fermentum totam massam corrumpit? ( I Cor.V, 6). «Chi non rigetta da sé i peccati veniali, dice S. Isidoro, si espone al pericolo di cadere nei più enormi delitti; perché il peccato veniale genera, per così dire, il mortale. I vizi crescono prontamente e senza che uno se ne accorga; se non si tiene d’occhio il peccato veniale, arriverà ben presto il mortale. Schivate adunque accuratamente l’uno, per non cadere nell’altro». (De norma bene viv.). «E come mai, dice S. Gerolamo, un’anima dedicata a Cristo, non baderà alle grandi ed alle piccole cose; mentre sa che avrà da rendere ragione perfino d’una parola oziosa? (Mens Christo dedita et in minoribus intenta est, sciens etiam prò otioso verbo reddendam esse rationem – Ad Heliodor.) ». « Guardatevi, dice S. Agostino, dal far poco conto delle vostre colpe, con la scusa che sono leggere; sono piccola cosa anche le gocce della pioggia, eppure riempiono fiumi, trascinano sassi ed alberi schiantati dalle radici (Noli despicere peccata tua quia parva sunt; nam etiam pluviarum guttæ flumina complent, et moles trahunt, et arbores cum suis radicibus tollunt – Serm. LXIV, de Temp.)». – « Che importa, dice il medesimo Santo, che un vascello naufraghi sommerso per una grossa falla, ovvero coli a fondo per il peso dell’acqua lasciata entrare poco a poco nella stiva per negligenza dei marinai? Nell’un caso e nell’altro l’esito è sempre lo stesso (Quid interest ad naufragium, utrum uno grandi fluctu navis aperiatur, aut obruatur; an paulatim subrepens aqua in sentinam et per negligentiam derelicta atque contempta, impleat navem atque submergat? – Epistola CVIII, ad Seleucum) ». Nessuno diventa improvvisamente un gran peccatore. Le trasgressioni leggere menano le colpe gravi; e tanto sono più pericolose le prime, in quanto che travestendosi, penetrano senza sforzo nell’anima, si nascondono nel cuore e vi preparano una spaventosa rovina … Perciò S. Bernardo ci avverte che « l’anima consacrata a Dio, deve schivare con altrettanto studio i più piccoli peccati, quanto i più enormi; perché cominciano da leggere venialità, quelli che cadono in grandi eccessi (Mens Deo dicata sic caveat minora vitia, ut maiora; quia a minimis incipiunt, qui in maxima prorunt Serm. In Cantic.) ». Sono funeste le conseguenze del peccato veniale, perchè 1 ° ancorché questo peccato non cacci Dio dal cuore, contrista però lo Spirito Santo che abita nell’uomo: ora, contristare un amico che viene a visitarci, equivale a fargli capire che può andarsene e che si può benissimo fare a meno della sua presenza… 2° Mette ostacolo all’abbondanza delle grazie… 3° Scema nell’anima il fuoco dell’amor divino… 4° La getta in uno stato fatale di tepidezza, stato pericolosissimo, dicendo il Signore nell’Apocalisse: « Fossi, tu almeno o del tutto freddo ovvero caldo! ma poiché sei tiepido, e ti tieni fra il freddo e il caldo, io ti rigetterò dalla mia bocca » — Utinam frigidus esses aut calidus! sed quia tepidus es, et nec frigidus nec calidus, incipiam te evomere ex ore meo (Apoc. III, 15-16).  5 ° Il peccato veniale priva di molti favori che Gesù Cristo concede ordinariamente alle anime vigilanti e fedeli, quali sono la pace interna, e le consolazioni sensibili, ecc .. 6° Affievolisce le forze dell’anima, accresce e rinvigorisce le passioni; per conseguenza, presentandosi una tentazione violenta, ovvero un’occasione che trascini, l’uomo spossato per le molte ferite fattegli dal peccato veniale, è facilmente scosso, dà il suo consenso e soccombe, secondo la frase dei Cantici: « Le piccole volpi danno il guasto alle vigne » — Vulpes parvulas … demoliuntur vineas (Cant. II, 15) … 7 ° Vedendo la negligenza ed il disprezzo delle piccole colpe, il demonio piglia ardire e potenza a sollecitare gli uomini ed a farli cadere nel peccato mortale. Al contrario, chi si guarda dalle colpe leggere, fa ostacolo al demonio e non si lascia prendere né uccidere l’anima, col peccato mortale.« Io oso, diceva il Crisostomo, dire una sentenza che ha dell’inaudito e del paradosso, ma che non è meno salda di ogni altra verità più chiara: Mi pare che non minore studio si deve mettere a fuggire i peccati veniali, di quello che si mette a schivare i mortali; la natura medesima infatti ci porta ad avere orrore dei gravi eccessi, mentre trascura e disprezza le colpe leggere sotto il vano pretesto che non sono infami. Questo disprezzo e questa noncuranza impediscono ben presto l’anima di trovare in sé la forza e l’energia necessaria per non commetterle, e in conseguenza delle ferite che ne riceve, le viene la morte. Voi vedrete tutte le più enormi scelleratezze battere questa via; perché nessuno cade ad un tratto nelle ultime profondità del male; nessuno tocca d’un colpo il fondo dell’abisso. L’anima ha una certa vergogna un certo pudore naturale di cui non può svestirsi in un momento, ma lo fa gradatamente» (Homil. LXXXVIII in Matth.).

2. MALIZIA DEL PECCATO VENIALE. — Le seguenti considerazioni aiuteranno a comprendere la malizia del peccato veniale. 1 ° Il peccato veniale è, non meno che il mortale, una disobbedienza a Dio …; racchiude un certo qual disprezzo di Dio e della sua santa legge… 2 ° Dopo il mortale, il peccato veniale è il più grande dei mali. Fa più ingiuria a Dio, che non gli diano gloria tutte le opere buone immaginabili. Secondo i santi Padri e i teologi, tutti i meriti degli apostoli, dei martiri, dei santi, degli angeli, ed anche quelli dell’augusta Madre di Dio non basterebbero a scancellare un solo peccato veniale e riparare l’ingiuria ch’esso fa a Dio, ma si richiedono i meriti di Gesù Cristo … 3 ° Il peccato veniale è il male di Dio. Perciò essendo la gloria e l’onore dovuti a Dio, infinitamente al di sopra di tutto ciò che appartiene alle creature, anche le più nobili e le più perfette, non sarebbe mai lecito commettere un solo peccato veniale per scamparle dai più grandi mali e procurare loro i più grandi beni. Salviano dice: « Nelle cose che riguardano Dio, non vi è nulla di leggero » — Nil leve æstimetur, quo læditur Deus ( Lib. VI). Tutti i peccati assalgono e offendono Dio ; ma la più lieve offesa verso di Lui è più gran male che tutti i mali che possano opprimere le creature. Chi ama Dio, deve pertanto fuggire anche il peccato veniale… S. Agostino insegna che non sarebbe lecito dire una piccola bugia, se anche si dovessero salvare tutti i dannati; perché la menzogna è il male di Dio, mentre il supplizio dei reprobi non è che il male dell’uomo. Ora, siccome i più gravi mali dell’uomo non sono che mali della creatura, non sono mai così grandi come la più piccola offesa verso Dio, offesa che intacca la Maestà infinita (Confess.). – Il peccato veniale è una macchia sul’anima; gli altri mali, qualunque siano, non sono che la pena o il castigo del peccato. Ora la più lieve di queste macchie è più grave di tutti i tormenti; questi infatti non sono mali ma beni, perché sono l’opera della giustizia vendicativa che corregge il peccato e riconduce in questo modo il peccatore all’ordine… Con quanta premura bisogna dunque schivare i peccati veniali! – I pagani medesimi compresero che non era cosa indifferente in se stessa il preservarsi dalle colpe veniali. «Non mediocre prova del nostro progredire in virtù, dice Plutarco, è questa di vedere se evitiamo le più piccole colpe. Chi così si regola, mostra che ha già acquistato meriti che vuole conservare intatti » (De Profer. virtut.).

3. QUANTO SONO FREQUENTI LE COLPE LEGGERE. — Il giusto medesimo non va esente da colpe leggere ed anche frequenti, ma le deplora e se ne rialza, dice il Savio: — Septies cadet iustus et resurget (Prov. XXIV, 16). – Chi osasse dire di non avere peccato, ingannerebbe se stesso, e sarebbe mentitore: — Si dixerimus quoniam peccatum non habemus, ipsi nos seducimus, et veritas in nobis non est (I IOANN. I, 8). Infatti, secondo S. Giacomo, « manchiamo tutti quanti in molte cose » — In multis offendimus omnes (IACOB. III, 2); il non commettere nessuna colpa è cosa tutta propria di Dio, dice Clemente Alessandrino: — Nil omnino peccare, proprium est Dei (lib. I, Pædag. c. II). Deve dunque essere nostro impegno di n on cadere, e di rialzarci subito non appena caduti.

4. PUNIZIONE DEL PECCATO VENIALE. — Se vi è argomento che debba farci comprendere che grande male sia il peccato veniale, sono i castighi con cui Dio lo punisce in questa e nell’altra vita. Frequenti ne occorrono gli esempi nei Libri santi. Mosè viene escluso dalla terra promessa in punizione di un leggero dubbio s u l’onnipotenza di Dio … Davide vede perire settantamila sudditi, per una colpa di vanitosa leggerezza… I Betsamiti per aver guardata curiosamente l’arca; Oza per averla toccata, sono colpiti di morte. La medesima sorte tocca ad Anania e Satura per una bugia. Dio punisce non di rado con malattie ed altre afflizioni temporali i peccati veniali; molto più spesso li castiga con pene interiori, molto più severe, quali sono l’aridità nella preghiera, la nausea degli esercizi di pietà, le tentazioni contro la fede e la purità, i moti di scoraggiamento e anche di disperazione ed altri interni affanni, molte volte così gravi da sopportare, che quelli che li provano si vedono esposti a d abbandonare il servizio di Dio, e per conseguenza a dannarsi … Nell’altro mondo poi il castigo riservato al peccato veniale è il purgatorio

 

IL CATECHISMO DI BALTIMORA 3 (I) – Lez. 1-4

IL CATECHIAMO DI BALTIMORA (I)

[Dal terzo Concilio generale di Baltimora

Versione 1891]

Lezioni 1-4

LEZIONE 1

SUL FINE DELL’UOMO

 (Nota: la domanda n. 126 è l’inizio corretto del Catechismo di Baltimora n. 3)

D. 126. Che cosa intendiamo per “fine dell’uomo”?

R. Per “fine dell’uomo” intendiamo lo scopo per cui l’uomo è stato creato, cioè: conoscere, amare e servire Dio.

D. 127. Come si sa che l’uomo è stato creato solo per Dio?

R. Si sa che l’uomo è stato creato per Dio solo, perché tutto nel mondo è stato creato per qualcosa di più perfetto di sé: ma non c’è nulla al mondo più perfetto dell’uomo; perciò, egli fu creato per qualcosa che è al di fuori di questo mondo, e dal momento che non fu creato per gli Angeli, doveva essere stato creato solo per Dio.

D. 128. In che senso tutti gli uomini sono uguali?

R. Tutti gli uomini sono uguali in tutto ciò che riguarda la loro natura ed il loro fine. Sono tutti composti infatti da un corpo e da un’anima; sono tutti creati ad immagine e somiglianza di Dio; sono tutti dotati di comprensione e di libero arbitrio; e tutti sono stati creati per il medesimo fine: Dio.

D. 129. Gli uomini non differiscono tra loro in molte cose?

R. Gli uomini differiscono tra loro n molte cose, come l’apprendimento, la ricchezza, il potere, ecc.; ma tutte queste cose appartengono al mondo e non alla natura dell’uomo. Egli è venuto in questo mondo senza di esse e lo lascerà pure senza di esse. Solo le opere fatte in questo mondo nel bene o nel male, accompagneranno gli uomini nel mondo futuro.

D. 130. Chi ha creato il mondo?

R. È Dio che ha creato il mondo!

D. 131. Che cosa si intende per “mondo” in questa domanda?

R. In questa domanda “mondo” significa l’universo, cioè l’intera creazione: tutto ciò che vediamo ora o che si potrà vedere in futuro.

D. 132. Chi è Dio?

R. Dio è il Creatore del cielo, della terra e di tutte le cose.

D. 133. Chi è l’uomo?

R. L’uomo è una creatura composta da un corpo e da un’anima e creata ad immagine e somiglianza di Dio.

D. 134. “L’uomo” nel Catechismo significa tutti gli esseri umani?

R. “Uomo” nel Catechismo significa effettivamente tutti gli esseri umani, uomini o donne, giovani, vecchi o bambini.

D. 135. Che cos’è una creatura?

R.  Una creatura è qualsiasi cosa creata, che abbia o meno vita, un corpo o nessun corpo. Ogni essere, persona o cosa, eccetto Dio stesso, può essere chiamato “creatura”.

D. 136. Questa somiglianza [dell’uomo a Dio] è nel corpo o nell’anima?

R. Questa somiglianza dell’uomo a Dio, è principalmente nell’anima.

D. 137. In che modo l’anima è simile a Dio?

R. L’anima è simile a Dio perché è uno spirito che non morirà mai, e ha comprensione e libero arbitrio.

D. 138. Ogni cosa invisibile è uno spirito?

R. Ogni spirito è invisibile. il che significa che non può essere visto; ma ogni cosa invisibile non è uno spirito. Il vento è invisibile e non è uno spirito.

D. 139. Uno spirito possiede altre qualità?

R. Uno spirito è anche indivisibile; cioè non può essere diviso in parti, così come dividiamo le cose materiali.

D. 140. Che cosa significano le parole “non morirà mai”?

R. Con le parole “non morirà mai” intendiamo che l’anima, una volta creata, non cesserà mai di esistere, qualunque sia la sua condizione nel prossimo mondo. Quindi diciamo che l’anima è immortale o dotata dell’immortalità.

D. 141. Perché allora diciamo che un’anima è morta mentre si trova in uno stato di peccato mortale?

R. Diciamo che un’anima è morta mentre si trova in uno stato di peccato mortale, perché in quello stato è impotente come un corpo morto, e non può meritare nulla per se stessa.

D. 142. Che cosa significa la nostra “comprensione”?

R. La nostra “comprensione” significa il “dono della ragione”, mediante il quale l’uomo si distingue da tutti gli altri animali e per mezzo del quale ha la possibilità di pensare e quindi di acquisire la conoscenza onde regolare le sue azioni.

D. 143. Possiamo imparare tutte le verità solo mediante la nostra ragione?

R. Noi non possiamo imparare tutte le verità solo con la nostra ragione, poiché alcune verità sono al di là del potere di comprensione della nostra ragione e ci devono essere pertanto insegnate da Dio.

D. 144. Come chiamiamo le verità che Dio ci insegna?

R. Presa nel loro insieme, chiamiamo le verità che Dio ci insegna: rivelazione, e chiamiamo rivelazione anche il modo in cui Egli le insegna.

D. 145. Che cos’è il “libero arbitrio”?

R. “Il libero arbitrio” è quel dono di Dio mediante il quale abbiamo la possibilità di scegliere tra una cosa e l’altra, di fare il bene o il male nonostante la ricompensa o la punizione.

D. 146. Gli animali bruti hanno la “comprensione” e il “libero arbitrio”?

R. Gli animali bruti non hanno “comprensione” né “libero arbitrio”. Non hanno “comprensione” perché non cambiano mai le loro abitudini né migliorano le loro condizioni. Non hanno “libero arbitrio” perché non lo dimostrano mai nelle loro azioni.

D. 147. Quale dono negli animali supplisce in luogo della ragione?

R. Il dono dell’ “istinto” supplisce negli animali a guidare le loro azioni in luogo della ragione.

D. 148. Che cos’è l’istinto?

R. “L’istinto” è un dono mediante il quale tutti gli animali sono spinti a seguire le leggi e le abitudini che Dio ha dato alla loro natura.

D. 149. Gli uomini bruti hanno un’ “istinto”?

R. Gli uomini hanno anch’essi un “istinto” e lo mostrano quando si trovano improvvisamente nel pericolo, e non hanno quindi il tempo di usare la loro ragione. Un uomo che cade improvvisamente, ad esempio, afferra qualcosa per sostenersi.

D. 150. Perché Dio ti ha creato?

R. Dio ha fatto in modo che lo conoscessi, per poterlo così amare e servire in questo mondo ed essere felice con Lui per sempre nel mondo prossimo.

D. 151. Perché è necessario conoscere Dio?

R. È necessario conoscere Dio perché senza conoscerlo non possiamo amarlo; e senza amarlo non possiamo essere salvati. Dovremmo conoscerlo perché è infinitamente vero; amarlo perché è infinitamente bello; e servirlo perché è infinitamente buono.

D. 152. Di cosa dobbiamo prenderci maggiormente cura, della nostra anima o del nostro corpo?

R. Dobbiamo prenderci cura della nostra anima più che del nostro corpo.

D. 153. Perché dobbiamo prenderci cura della nostra anima più che del nostro corpo?

R. Dobbiamo prenderci cura della nostra anima più che del nostro corpo, perché perdendo la nostra anima, perdiamo Dio e la felicità eterna.

D. 154. Che cosa dobbiamo fare per salvare le nostre anime?

R. Per salvare le nostre anime, dobbiamo adorare Dio mediante la fede, la speranza e la carità; cioè, dobbiamo credere in Lui, sperare in Lui e amarlo con tutto il cuore.

D. 155. Che cosa significa “culto”?

R. “Culto” significa dare onore divino con azioni quali l’offerta di preghiere o di sacrifici.

D. 156. Come possiamo conoscere le cose a cui dobbiamo credere?

R. Conosciamo le cose alle quali dobbiamo credere, dalla Chiesa Cattolica, attraverso la quale Dio ci parla.

D. 157. Che cosa intendiamo per “Chiesa, attraverso la quale Dio ci parla”?

R. Con “Chiesa, attraverso la quale Dio ci parla”, intendiamo la “Chiesa docente”, che insegna, e cioè: il Papa, i Vescovi e i sacerdoti, il cui compito è quello di istruirci nelle verità e nelle pratiche della nostra religione.

D. 158. Dove troveremo le principali verità che la Chiesa insegna?

R. Troveremo le principali verità che la Chiesa insegna nel Credo degli Apostoli.

D. 159. Se troveremo solo le “principali verità” nel Credo degli Apostoli, dove troveremo le restanti verità?

R. Troveremo le restanti verità della nostra fede negli scritti religiosi e nei discorsi approvati dall’autorità della Chiesa.

D. 160. Nomina alcune verità sacre non menzionate nel Credo degli Apostoli.

R. Nel Credo degli Apostoli non si fa menzione della presenza reale di Nostro Signore nella Santa Eucaristia, né dell’infallibilità del Papa, né dell’Immacolata Concezione della Beata Vergine Maria, né di alcune altre verità che siamo obbligati a credere

D. 161. Recita il Credo degli Apostoli.

R. Io credo in Dio, Padre Onnipotente, Creatore del cielo e della terra; e in Gesù Cristo, suo unico Figlio, nostro Signore; che fu concepito dallo Spirito Santo, nacque da Maria Vergine, soffrì sotto Ponzio Pilato, fu crocifisso; morì e fu sepolto. Discese agl’inferi: il terzo giorno risuscitò dai morti: salì al cielo, si è seduto alla destra di Dio, Padre onnipotente: da lì verrà per giudicare i vivi e i morti. Credo nello Spirito Santo, nella Santa Chiesa cattolica, nella comunione dei santi, nella remissione dei peccati, nella risurrezione dei corpi e nella vita eterna. Amen.

LEZIONE 2 –

DIO E LE SUE PERFEZIONI

D. 162. Che cos’è una perfezione?

R. Una perfezione è la somma delle buone qualità che una cosa dovrebbe avere. Una cosa è perfetta quando ha tutte le buone qualità che dovrebbe avere.

D. 163. Che cos’è Dio?

R. Dio è uno spirito infinitamente perfetto.

D. 164. Che cosa intendiamo quando diciamo che Dio è “infinitamente perfetto”?

R. Quando diciamo che Dio è “infinitamente perfetto” intendiamo che non vi sono misure o limiti alla sua perfezione; poiché Egli possiede tutte le buone qualità nel più alto grado possibile e Lui solo è “infinitamente perfetto”.

D. 165. Dio ha avuto un inizio?

R. Dio non ha avuto inizio; Egli è sempre stato e lo sarà sempre.

D. 166. Dov’è Dio?

R. Dio è ovunque

D. 167. E come Dio è ovunque?

R. Dio è dappertutto completo ed intero in qualsiasi posto. Questo è vero e dobbiamo crederci, anche se non possiamo capirlo.

D. 168. Se Dio è ovunque, perché non lo vediamo?

R. Non vediamo Dio, perché è un puro spirito e non può essere visto con gli occhi del corpo.

D. 169. Perché chiamiamo Dio “spirito puro”?

R. Chiamiamo Dio puro spirito perché non ha un corpo. La nostra anima è uno spirito, ma non uno spirito “puro”, perché è stato creato per essere unito al nostro corpo.

D. 170. Perché non possiamo vedere Dio con gli occhi del nostro corpo?

R. Non possiamo vedere Dio con gli occhi del nostro corpo perché essi sono creati per vedere solo le cose materiali, e Dio non è materiale. bensì spirituale.

D. 171. Dio ci vede?

R. Dio ci vede e veglia su di noi

D. 172. È necessario che Dio vegli su di noi?

R. È necessario che Dio vegli su di noi, poiché senza la sua costante cura noi non potremmo esistere.

D. 173. Dio conosce tutto?

R. Dio conosce tutte le cose, anche i nostri pensieri, le parole e le azioni più segrete.

D. 174. Dio può fare tutto?

R. Dio può fare tutte le cose, e nulla è difficile o impossibile per Lui.

D. 175. Quando una cosa è detta “impossibile”?

R. Una cosa è detta “impossibile” quando non può essere eseguita. Molte cose che sono impossibili per le creature, sono invece possibili per Dio.

D. 176. Dio è giusto, santo e misericordioso?

R. Dio è tutto giusto, tutto santo, tutto misericordioso, così come è infinitamente perfetto.

D. 177. Perché Dio deve essere “giusto” e “misericordioso”?

R. Dio deve essere altrettanto misericordioso perché deve adempiere la Sua promessa di punire coloro che meritano la punizione, e perché Egli non può essere infinito in una perfezione senza essere infinito in tutto.

D. 178. In quali peccati ci condurrà l’oblio della giustizia di Dio?

R. L’oblio della giustizia di Dio ci poterà al peccato di presunzione.

D. 179. In quale peccato ci porterà l’oblio della misericordia di Dio?

R. L’oblio della misericordia di Dio ci condurrà nel peccato di disperazione.

LEZIONE 3 –

L’UNITÀ E LA TRINITÀ DI DIO

180. Che cosa significa “unità” e cosa significa “trinità”?

R. “Unità” significa essere uno; “trinità” significa essere triplice o tre in uno.

D. 181. Possiamo trovare un esempio per illustrare pienamente il mistero della Beata Trinità?

R. Non possiamo trovare un esempio per illustrare pienamente il mistero della Trinità Santissima, perché i misteri della nostra santa Religione sono al di là di qualsiasi raffronto.

D. 182. Esiste un solo Dio?

R. Sì; c’è un solo Dio.

D. 183. Perché può esserci un solo Dio?

R. Può esserci un solo Dio perché Dio, essendo supremo e infinito, non può avere un uguale. 

D. 184. Che cosa significa “supremo”?

R. “Supremo” significa il massimo grado di autorità; ed anche il più eccellente o il più grande possibile in qualsiasi cosa. Quindi in tutte le cose Dio è supremo, e nella Chiesa supremo è il Papa.

D. 185. Quando due persone sono considerate uguali?

R. Si dice che due persone sono uguali quando l’una non è in alcun modo più grande o inferiore all’altra.

D. 186. Quante persone ci sono in Dio?

R. In Dio ci sono tre Persone divine, veramente distinte ed uguali in tutte le cose: il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo.

D. 187. Che cosa significano “divino” e “distinto”?

R. “Divino” significa pertinente a Dio e “distinto” significa separato; cioè, non è confuso o mescolato con qualsiasi altra cosa.

D. 188. Il Padre è Dio?

R. Il Padre è Dio e la prima Persona della Santissima Trinità. 

D. 189. Il Figlio è Dio?

R. Il Figlio è Dio ed è la seconda Persona della Santissima Trinità.

D. 190. Lo Spirito Santo è Dio?

R. Lo Spirito Santo è Dio ed è la terza Persona della Santissima Trinità.

D. 191. “Primo”, “secondo” e “terzo” riguardo alle Persone della Santissima Trinità significa che una Persona esisteva prima dell’altro o che l’una era superiore dell’altra?

R. “Primo”, “secondo” e “terzo” riguardo alle Persone della Santissima Trinità non significa che una Persona sia precedente all’altra o che una sia più grande dell’altra; poiché tutte le Persone della Trinità sono eterne e uguali sotto ogni aspetto. Questi numeri sono usati per marcare la distinzione tra le Persone e mostrano l’ordine in cui l’una procede dall’altra.

D. 192. Cosa intendi con la Santissima Trinità?

R. Per Santissima Trinità intendo un Dio in tre Divine Persone. 

D. 193. Le tre Persone divine sono uguali in tutte le cose?

R. Le tre Persone divine sono uguali in tutte le cose.

D. 194. Le tre Persone Divine sono lo stesso Dio?

R. Le tre Persone divine sono un unico e medesimo Dio, hanno la stessa natura divina e la stessa sostanza.

D. 195. Che cosa intendiamo per “natura” e “sostanza” di una cosa?

R. Per “natura” di una cosa, intendiamo la combinazione di tutte le qualità che rendono quella cosa ciò che essa è. Per “sostanza” di una cosa, intendiamo la parte che non cambia mai e che non può essere cambiata senza distruggere la natura della cosa stessa.

D. 196. Possiamo comprendere appieno come le tre Divine Persone siano un unico e unico Dio?

R. Noi non possiamo comprendere appieno come le tre Divine Persone siano un unico e medesimo Dio, perché questo è un mistero.

D. 197. Che cos’è un mistero?

R. Un mistero è una verità che non riusciamo a comprendere pienamente.

D. 198. Ogni verità che non possiamo comprendere è dunque un mistero?

R. Ogni verità che non possiamo capire non è un mistero; ma ogni verità rivelata che nessuno può capire è un mistero.

D. 199. Dovremmo credere a verità che non possiamo capire?

R. Dovremmo e spesso crediamo a verità che non possiamo capire, quando abbiamo la prova della loro esistenza.

D. 200. Fai un esempio di verità che tutti credono, anche se molti non le capiscono.

R. Tutti credono che la terra sia rotonda e in movimento, sebbene molti non lo capiscano. Tutti credono che un seme piantato nel terreno produrrà un fiore o un albero spesso con più di un migliaio di altri semi uguali a se stesso, sebbene molti non possano capire come questo avvenga.

D. 201. Perché una religione divina ha dei misteri?

R. Una religione divina deve avere dei misteri perché deve avere verità soprannaturali che Dio stesso deve insegnare loro. Una religione che ha solo verità naturali, che l’uomo cioè con la sola sua ragione può conoscere, comprendere e insegnare pienamente, è soltanto una religione umana.

D. 202. Perché Dio ci chiede di credere ai misteri?

R. Dio ci chiede di credere ai misteri perché possiamo sottomettere a Lui la nostra comprensione.

D. 203. Con quale forma di preghiera lodiamo la Santa Trinità?

R. Lodiamo la Santissima Trinità con una preghiera chiamata Dossologia, che è giunta fino a noi fin quasi dal tempo degli Apostoli.

D. 204. Dì la dossologia.

R. La dossologia è: “Gloria al Padre, e al Figlio e allo Spirito Santo, come era in principio, è ora e sempre lo sarà, nei secoli dei secoli. Amen”.

D. 205. Esiste qualche altra forma di dossologia?

R. Esiste pure un’altra forma della dossologia, che si dice durante la celebrazione della Messa. Essa si chiama “Gloria in excelsis” o “Gloria a Dio nell’alto”, ecc., e queste sono le parole cantate dagli Angeli alla nascita di Nostro Signore.

LEZIONE 4 –

SULLA CREAZIONE

D. 206. Qual è la differenza tra fare e creare?

R. “Fare” significa produrre o formarsi da un materiale già esistente, come fanno gli operai. “Creare” significa tirar fuori dal nulla, come Dio solo può fare.

D. 207. È stato creato tutto ciò che esiste?

R. Tutto ciò che esiste, tranne Dio stesso, è stato creato.

D. 208. Chi ha creato il cielo e la terra e tutte le cose?

R. Dio ha creato il cielo e la terra e tutte le cose.

D. 209. Da cosa apprendiamo che Dio ha creato il cielo e la terra e tutte le cose?

R. Impariamo che Dio ha creato il cielo e la terra ed ogni cosa, dalla Bibbia o dalla Sacra Scrittura, in cui è dato il resoconto della Creazione.

D. 210. Perché Dio ha creato tutte le cose?

R. Dio ha creato tutte le cose per la sua stessa gloria e per il loro o nostro bene.

D. 211. Dio ha lasciato tutto a se stesso dopo averli creati?

R. Dio non ha lasciato tutte le cose a se stesse dopo averle create; Continua a preservarle e governarle.

D. 212. Come chiamiamo la cura con cui Dio preserva e governa il mondo e tutto ciò che contiene?

R. Chiamiamo la cura con cui Dio preserva e governa il mondo e tutto ciò che contiene: sua Provvidenza.

D. 213. In che modo Dio creò il cielo e la terra?

R. Dio ha creato il cielo e la terra dal nulla solo con la sua parola; cioè, con un singolo atto della sua onnipotente volontà.

D. 214. Quali sono le principali creature di Dio?

R. Le principali creature di Dio sono gli Angeli e gli uomini.

D. 215. Come possono essere divise le creature di Dio sulla terra?

R. Le creature di Dio sulla terra possono essere divise in quattro classi:
1. Cose che esistono, come l’aria;

2. Cose che esistono, crescono e vivono, come piante e alberi;

3. Cose che esistono, crescono, vivono e sentono, come animali;

4. Cose che esistono, crescono, vivono, sentono e capiscono, come l’uomo.

D. 216. Cosa sono gli Angeli?

R. Gli Angeli sono puri spiriti senza corpo, creati per adorare e godere Dio in cielo.

D. 217. Se gli angeli non hanno corpi, come potrebbero apparire?

R. Gli Angeli potrebbero apparire prendendo i corpi per rendersi visibili per qualche tempo; proprio come lo Spirito Santo prese la forma di una colomba e il diavolo prese la forma di un serpente.

D. 218. Ricordami alcune persone a cui sono apparsi gli Angeli.

R. Angeli apparvero alla Beata Vergine e a San Giuseppe; anche ad Abramo, Lot, Giacobbe, Tobia e altri.

D. 219. Gli Angeli furono creati per altri scopi?

R. Gli Angeli furono anche creati per assistere e servire Dio davanti al suo trono; essi sono stati spesso inviati come messaggeri da Dio all’uomo; e sono anche nominati nostri guardiani.

D. 220. Tutti gli Angeli sono uguali in dignità?

R. Tutti gli Angeli non sono uguali in dignità. Ci sono nove cori o classi menzionate nella Sacra Scrittura. I più alti sono chiamati Serafini mentre i più bassi semplicemente Angeli. Gli Arcangeli sono una classe superiore agli Angeli ordinari.

D. 221. Menziona alcuni Arcangeli e racconta quello che hanno fatto.

R. L’Arcangelo Michele cacciò satana dal cielo; l’Arcangelo Gabriele annunciò alla Beata Vergine che sarebbe diventata la Madre di Dio. L’Arcangelo Raffaele guidò e protesse Tobia.

D. 222. Gli Angeli furono mai mandati a punire gli uomini?

R. A volte gli Angeli venivano inviati per punire gli uomini. Un Angelo uccise 185.000 uomini dell’esercito di un re malvagio che aveva bestemmiato Dio; un Angelo uccise anche il primogenito nelle famiglie degli egiziani che avevano perseguitato il popolo di Dio.

D. 223. Che cosa fanno per noi i nostri Angeli custodi?

R. I nostri Angeli custodi pregano per noi, ci proteggono, ci guidano, e offrono le nostre preghiere, le buone opere e i desideri a Dio.

D. 224. Come sappiamo che gli Angeli offrono le nostre preghiere e le buone opere a Dio?

R. Sappiamo che gli Angeli offrono le nostre preghiere e le buone opere a Dio perché è così affermato nella Sacra Scrittura e la Sacra Scrittura è la Parola di Dio.

D. 225. Perché Dio dispose che gli Angeli custodi ci proteggessero?

R. Dio ha nominato gli Angeli custodi per assicurarci il loro aiuto e le nostre preghiere, e anche per mostrare il Suo grande amore per noi nel darci questi servitori speciali e amici fedeli.

D. 226. Gli Angeli, come Dio li ha creati, erano buoni e felici?

R. Gli Angeli, come Dio li ha creati, erano buoni e felici.

D. 227. Tutti gli Angeli sono rimasti buoni e felici?

R. Non tutti gli Angeli sono rimasti buoni e felici; molti di loro peccarono e furono gettati nell’inferno, e questi sono chiamati diavoli o angeli cattivi.

D. 228. Conosciamo il numero di Angeli buoni e cattivi?

R. Non conosciamo il numero degli Angeli buoni o cattivi, ma sappiamo che è molto grande.

D. 229. Qual era il nome del diavolo prima che cadesse, e perché fu cacciato dal cielo?

R. Prima di cadere, satana, o il diavolo, era chiamato Lucifero, o portatore di luce, un nome che indica una grande bellezza. Fu cacciato dal cielo perché per orgoglio si ribellò a Dio.

D. 230. Come agiscono i Cattivi Angeli nei nostri confronti?

R. I cattivi Angeli cercano con ogni mezzo di condurci al peccato. Gli sforzi che compiono sono chiamati “tentazioni del diavolo”.

D. 231. Perché il diavolo ci tenta?

R. Il diavolo ci tenta perché odia la bontà e non desidera che godiamo la felicità che lui stesso ha perso.

D. 232. Possiamo noi con il nostro potere superare le tentazioni del diavolo?

R. Noi non possiamo, con il nostro potere, vincere le tentazioni del diavolo, perché il diavolo è più scaltro di noi; poiché, essendo un Angelo, è più intelligente e non ha perso la sua intelligenza cadendo nel peccato più di quanto faccia ora. Pertanto, per superare le sue tentazioni abbiamo bisogno dell’aiuto di Dio.

IL CATECHISMO DI BALTIMORA 3 (II) – Lez. 5-7

 

UN’ENCICLICA AL GIORNO, TOGLIE IL MODERNISTA APOSTATA DI TORNO: UNAM SANCTAM

A chi legge questa bolla, senza conoscerne l’anno di promulgazione, sembra che essa sia stata scritta per i giorni nostri, giorni di totale apostasia religiosa sia civile che ecclesiastica [… o meglio finto-ecclesiastca]. Si ribadiscono, con poche parole, dei princîpi essenziali della fede cristiana, diremmo elementari: la Chiesa, come l’arca di Noè, unica possibilità di salvezza nel diluvio di fuoco del giorno del Giudizio, la Chiesa UNA, non certo ecumenica, come si blatera nelle sette eretiche del novus ordo, dei protestanti e degli acattolici orientali, tutti prostrati agli ordini della kazaro-massoneria mondialista; Chiesa “UNA” è la Chiesa di Cristo affidata a Pietro ed ai suoi successori, quelli veri, non certo ai pupazzi-pulcinella, ai marrano-burattini succedutisi dal 1958 in poi; e questo appare fondamentale proprio da questa straordinaria bolla, quando appunto afferma che: “Porro subesse Romano Pontifici omni humanæ creaturæ declaramus, dicimus, definimus et pronuntiamus omnino de necessitate salutis” – “… noi dichiariamo, stabiliamo, definiamo ed affermiamo che è assolutamente necessario per la salvezza di ogni creatura umana che essa sia sottomessa al Pontefice di Roma“. Per salvarsi dunque, non basta praticare uno pseudomisticismo sentimentaloide, un neo-montanismo che si richiami ad un personale “spirito” (???) ispiratore, o un falso devozionismo non accompagnato dalla sottomissione alle leggi della Chiesa, che è Cristo stesso, suo Capo, sua volontà dichiarata, “… non chi dice Signore, Signore, si salverà, etc. …” (Matt. VII), ma bisogna assolutamente essere sottomessi al Sommo Pontefice, quello vero, come ad es. al Pontefice eletto il 26 ottobre del 1958 ed al suo successore, seppur prigioniero o relegato in una catacomba. Aderire o sottomettersi a chiunque altro, anche alle controfigure o a figuranti lupi-mascherati, non salva, tutt’altro, [diceva già ai suoi tempi San Cipriano che: “… chi aderisce ad un falso vescovo di Roma, è fuori dalla Chiesa … cioè fuori dalla salvezza! – … figuriamoci i fallibilisti scismatici, i sedevacantisti autonomi …) e quindi … si naufragherà miseramente, irrimediabilmente ed eternamente, pensando di essere oltretutto in una botte di ferro [che diventerà presto incandescente!]. Inoltre c’è da meditare circa il primato del potere spirituale su quello civile e politico come riportato in bolla da Bonifacio VIII, il Papa odiato dal marrano “fraticello”, l’omo-sex Dante Alighieri, il “divin copione” che riproduceva testi arabi, rivestendoli dell’idioma toscano e tramutandoli in “versi strani” per chi non avesse compreso il loro substrato gnostico ed anticattolico … e questo spiega anche perché parteggiasse per l’imperatore … Tornando alla bolla del Papa tanto vituperato, e ingiustamente, in vita e dopo la sua morte dai servi del “nemico di Dio e di tutti gli uomini”, riteniamo che essa sia oggi, 2018, un documento  più che mai attuale, ultimo richiamo del tipo “ … signori si parte, salite in carrozza, presto … non ne passerà un’altra …”. Affrettiamoci allora a conformarci ad essa e, con la grazia di Dio, potremmo viaggiare con una certa sicurezza verso la meta finale: la eterna felicità promessa a chi … farà la volontà del Padre mio [… e del suo Vicario, … il che è lo stesso!] (Matth. VII).

Unam sanctam

Bolla sul Primato del Papa –

Bonifacio VIII

Unam sanctam Ecclesiam catholicam et ipsam …

Che ci sia una ed una sola Santa Chiesa Cattolica ed Apostolica noi siamo costretti a credere ed a professare, spingendoci a ciò la nostra fede, e noi questo crediamo fermamente e con semplicità professiamo, ed anche che non ci sia salvezza e remissione dei nostri peccati fuori di lei, come lo sposo proclama nel Cantico: “Unica è la mia colomba, la mia perfetta; unica alla madre sua, senza pari per la sua genitrice” [Cant. VI, 8], che rappresenta un corpo mistico, il cui capo è Cristo, e il capo di Cristo è Dio, e in esso c’è “un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo” [Efes. IV, 5]. Al tempo del diluvio invero una sola fu l’arca di Noè, raffigurante l’unica Chiesa; era stata costruita da un sola braccio, aveva un solo timoniere e un solo comandante, ossia Noè, e noi leggiamo che fuori di essa ogni cosa sulla terra era distrutta. Questa Chiesa noi veneriamo, e questa sola, come dice il Signore per mezzo del Profeta: “Libera, o Signore, la mia anima dalla lancia e dal furore del cane, l’unica mia” [Ps. XXI, 21]. Egli pregava per l’anima, cioè per Se stesso (per la testa e il corpo nello stesso tempo) il quale corpo precisamente Egli chiamava la sua sola e unica Chiesa, a causa della unità di promessa di fede, sacramenti e carità della Chiesa, ossia “la veste senza cuciture” [Joan. XIX, 23] del Signore, che non fu tagliata, ma data in sorte. Perciò in questa unica e sola Chiesa ci sono un solo corpo ed una sola testa, non due, come se fosse un mostro, cioè Cristo e Pietro, vicario di Cristo e il successore di Pietro; perché il Signore disse a Pietro: “Pasci il mio gregge” [Joan. XXI, 17]. “Il mio gregge” Egli disse, parlando in generale e non in particolare di questo o quel gregge; così è ben chiaro, che Egli gli affidò tutto il suo gregge. Se perciò i Greci od altri affermano di non essere stati affidati a Pietro e ai suoi successori, essi confessano di conseguenza di non essere del gregge di Cristo, perché il Signore dice in Giovanni che c’è un solo ovile, un solo e unico pastore – unum ovile et unicum esse pastorem [Joan. X, 16].

Noi sappiamo dalle parole del Vangelo che in questa Chiesa e nel suo potere ci sono due spade, una spirituale, cioè, ed una temporale, perché, quando gli Apostoli dissero: “Ecco qui due spade” (che significa nella Chiesa, dato che erano gli Apostoli a parlare (il Signore non rispose che erano troppe, ma che erano sufficienti). E chi nega che la spada temporale appartenga a Pietro, ha malamente interpretato le parole del Signore, quando dice: “Rimetti la tua spada nel fodero”. Quindi ambedue sono in potere della Chiesa, la spada spirituale e quella materiale; una invero deve essere impugnata per la Chiesa, l’altra dalla Chiesa; la seconda dal clero, la prima dalla mano di re o cavalieri, ma secondo il comando e la condiscendenza del clero, perché è necessario che una spada dipenda dall’altra e che l’autorità temporale sia soggetta a quella spirituale. Perché quando l’Apostolo dice: “Non c’è potere che non venga da Dio e quelli (poteri) che sono, sono disposti da Dio”, essi non sarebbero disposti se una spada non fosse sottoposta all’altra, e, come inferiore, non fosse dall’altra ricondotta a nobilissime imprese. Poiché secondo san Dionigi è legge divina che l’inferiore sia ricondotto per l’intermedio al superiore. Dunque le cose non sono ricondotte al loro ordine alla pari immediatamente, secondo la legge dell’universo, ma le infime attraverso le intermedie e le inferiori attraverso le superiori. Ma è necessario che chiaramente affermiamo che il potere spirituale è superiore ad ogni potere terreno in dignità e nobiltà, come le cose spirituali sono superiori a quelle temporali. Il che, invero, noi possiamo chiaramente constatare con i nostri occhi dal versamento delle decime, dalla benedizione e santificazione, dal riconoscimento di tale potere e dall’esercitare il governo sopra le medesime, poiché, e la verità ne è testimonianza, il potere spirituale ha il compito di istituire il potere terreno e, se non si dimostrasse buono, di giudicarlo. Così si avvera la profezia di Geremia riguardo la Chiesa e il potere della Chiesa: “Ecco, oggi Io ti ho posto sopra le nazioni e sopra i regni” ecc.

Perciò se il potere terreno erra, sarà giudicato da quello spirituale; se il potere spirituale inferiore sbaglia, sarà giudicato dal superiore; ma se erra il supremo potere spirituale, questo potrà essere giudicato solamente da Dio e non dagli uomini; del che fa testimonianza l’Apostolo: “L’uomo spirituale giudica tutte le cose; ma egli stesso non è giudicato da alcun uomo” [1 Cor. II, 16], perché questa autorità, benché data agli uomini ed esercitata dagli uomini, non è umana, ma senz’altra divina, essendo stata data a Pietro per bocca di Dio e resa inconcussa come roccia per lui ed i suoi successori, in Colui che egli confessò, poiché il Signore disse allo stesso Pietro: “Qualunque cosa tu legherai…” [Mat. XVI, 19]. Perciò chiunque si oppone a questo potere istituito da Dio, si oppone ai comandi di Dio [Rom. XIII, 2], a meno che non pretenda, come i Manichei, che ci siano due princîpi; il che noi affermiamo falso ed eretico, poiché (come dice Mosè non nei princîpi, ma “nel princìpio” Dio creò il cielo e la terra [Gn. I, 1]. Quindi noi dichiariamo, stabiliamo, definiamo ed affermiamo che è assolutamente necessario per la salvezza di ogni creatura umana che essa sia sottomessa al Pontefice di Roma.

Data in Laterano, nell’ottavo anno del nostro Pontificato, il 18 novembre 1302

 

DOMENICA IV dopo PENTECOSTE (2018)

DOMENICA IV dopo PENTECOSTE

Incipit
In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Ps XXVI:1; XXVI:2 Dóminus illuminátio mea et salus mea, quem timebo? Dóminus defensor vitæ meæ, a quo trepidábo? qui tríbulant me inimíci mei, ipsi infirmáti sunt, et cecidérunt. [Il Signore è mia luce e mia salvezza, chi temerò? Il Signore è baluardo della mia vita, cosa temerò? Questi miei nemici che mi perséguitano, essi stessi vacillano e stramazzano.] Ps XXVI:3

Si consístant advérsum me castra: non timébit cor meum. [Se anche un esercito si schierasse contro di me: non temerà il mio cuore.]

Dóminus illuminátio mea et salus mea, quem timebo? Dóminus defensor vitæ meæ, a quo trepidábo? qui tríbulant me inimíci mei, ipsi infirmáti sunt, et cecidérunt. [Il Signore è mia luce e mia salvezza, chi temerò? Il Signore è baluardo della mia vita, cosa temerò? Questi miei nemici che mi perséguitano, essi stessi vacillano e stramazzano.]

Oratio

Orémus.

Da nobis, quæsumus, Dómine: ut et mundi cursus pacífice nobis tuo órdine dirigátur; et Ecclésia tua tranquílla devotióne lætétur. [Concedici, Te ne preghiamo, o Signore, che le vicende del mondo, per tua disposizione, si svolgano per noi pacificamente, e la tua Chiesa possa allietarsi d’una tranquilla devozione.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Romános.

Rom VIII:18-23. Fratres: Exístimo, quod non sunt condígnæ passiónes hujus témporis ad futúram glóriam, quæ revelábitur in nobis. Nam exspectátio creatúræ revelatiónem filiórum Dei exspéctat. Vanitáti enim creatúra subjécta est, non volens, sed propter eum, qui subjécit eam in spe: quia et ipsa creatúra liberábitur a servitúte corruptiónis, in libertátem glóriæ filiórum Dei. Scimus enim, quod omnis creatúra ingemíscit et párturit usque adhuc. Non solum autem illa, sed et nos ipsi primítias spíritus habéntes: et ipsi intra nos gémimus, adoptiónem filiórum Dei exspectántes, redemptiónem córporis nostri: in Christo Jesu, Dómino nostro.

Omelia I

[Mons. G. Bonomelli, “Nuovo saggio di OMELIE per tutto l’anno”, Vol. III, Marietti ed. Torino 1899 –imprim.]- Om. IX.

“Tengo per certo, che le sofferenze del tempo presente non hanno punto proporzione con la gloria che sarà manifestata in noi. Perché la stessa creatura irragionevole aspetta ansiosamente la manifestazione dei figliuoli di Dio: perché la stessa creatura suo malgrado fu sottomessa alla vanità da colui che ad essa l’ha sottoposta nella speranza. Perché anch’essa creatura sarà affrancata dalla servitù della corruzione e messa nella libertà gloriosa dei figliuoli di Dio. Sappiamo difatti, che fino ad ora ogni creatura geme ed è in travaglio quasi di parto. Né solamente essa, ma noi ancora, che abbiamo le primizie dello spirito e gemiamo in noi stessi, anelando all’adozione a figliuoli di Dio, alla redenzione del nostro corpo „ (Ad Rom. VIII, 18) – Paolo ci lasciò quattordici lettere e prima di tutte nella Scrittura è posta quella ai Romani, dalla quale sono tolti i pochi versetti, che avete uditi e che si leggono nella Messa odierna. Questa tiene meritamente il primo posto tra le lettere di S. Paolo, non già perché sia stata scritta prima delle altre, ma perché è indirizzata alla Chiesa di Roma, madre di tutte le altre Chiese, sede del Primato, ed anche perché è la più lunga e per ragione della dottrina dogmatica in essa sviluppata sopra le altre importantissima. Questa lettera fu scritta da S. Paolo in Corinto, allorché era sulle mosse per Gerusalemme, l’anno 58, al più tardi, il 59 dell’era nostra. – Il tratto che devo chiosare si legge nel capo ottavo della lettera, ed è una miniera d’altissime verità teoriche e pratiche. L’Apostolo comincia il capo, toccando la felice condizione dei rigenerati in Cristo, e afferma ch’essi sono sciolti dalla legge del peccato; poi accenna alla misera condizione di coloro che vivono secondando la carne. Insegna che nei rigenerati in Cristo abita lo Spirito Santo, come devono seguirne la legge e come nell’intimo della coscienza abbiano la testimonianza d’esser figli di Dio. A quali condizioni potranno riceverne la mercede? A condizione di patire con Cristo; soffrendo con Lui, con Lui saranno anche glorificati. E qui comincia la lezione che devo spiegare. – « Tengo per certo, che le sofferenze del tempo presente non hanno proporzione con la gloria, che sarà manifestata in noi. „ È questa una verità, che troviamo, starei per dire, ad ogni pagina nelle lettere dell’Apostolo, ma che pure non è mai abbastanza ripetuta, perché di questa abbiamo bisogno continuo. La nostra vita quaggiù è una serie di afflizioni interne ed esterne raramente interrotte: il fardello del dolore ci sta sempre sulle spalle e l’ombra della croce ci segue dovunque. Ora in mezzo a tante tribolazioni, a tanti e sì crudeli affanni, che ci accompagnano nel cammino della vita, la verità più consolante, che possiamo avere, è questa: “Siamo certi, che le sofferenze del tempo presente non hanno proporzione colla gloria, che sarà manifestata in noi” —. Quali sofferenze? Forse quelle soltanto che ci vengono direttamente dal professare la fede di Gesù Cristo e dalla osservanza fedele dei suoi precetti? Indubbiamente queste ci meritano la gloria divina; ma l’Apostolo non parla di queste solamente, ma di tutte le sofferenze della presente vita: Hujus temporis —, come sono quelle del lavoro, delle infermità, dell’inclemenza delle stagioni, dei timori, delle contraddizioni, della povertà e andate discorrendo; anche queste, quantunque comuni a tutti gli uomini, patite con spirito di fede, per amore di Gesù Cristo, ci fruttano per il cielo. Quale conforto il cristiano può attingere in questo insegnamento di S. Paolo! Egli può e deve dire a se stesso: io soffro, ma il mio soffrire è seme che frutterà il godere e godere eterno; tra il soffrire presente e il godere futuro non vi è proporzione alcuna; il soffrire lieve, immenso il godere; il soffrire è breve, pochi giorni, pochi anni; il godere interminabile; la ricompensa, Dio stesso. Io affido alla terra un granellino, che l’occhio appena discerne; questo, dopo alcuni giorni, qualche mese o qualche anno, mi dà un fiore bello a vedersi, soave a odorarsi, un albero che curva i rami sotto il peso dei suoi frutti moltiplicati. Ecco l’immagine del mio soffrire quaggiù sulla terra e del mio godere su in cielo. Questo pensiero deve essere un balsamo versato sulle ferite del mio povero cuore e deve mitigarne e raddolcirne il dolore, come la speranza della messe copiosa rallegra il contadino, che suda sull’aratro e sparge la semente nel solco aperto. – S. Paolo dice: “Tengo per certo „ existimo che le sofferenze presenti mi daranno una gloria senza confronto maggiore del merito. „ Quale certezza abbiamo noi di ricevere il premio del nostro patire? La nostra certezza non è, né può essere di fede, perché la Chiesa ha definito contro gli eretici, che nessun cristiano, senza una speciale rivelazione, può essere certo di fede d’aver ottenuto la grazia, senza la quale non si può ottenere la vita eterna (Conc. di Trento, sess. VI, can. XIII, XLI); ma la nostra certezza può essere una certezza umana, che viene dalla coscienza di adempiere i propri doveri, di fare ciò che possiamo per pacere a Dio, per fuggire il peccato, simile a quella certezza che abbiamo d’essere amati dall’amico, dal padre, dalla madre, ai quali ci studiamo di mostrarci fedeli e ubbidienti. Questa gloria, che deve essere il frutto delle presenti sofferenze, sarà manifestata in noi, dice l’Apostolo, e a ragione. La gloria e la gioia, che avremo in cielo, non è altra cosa che la esplicazione e la fioritura della grazia, che possediamo sulla terra, come i fiori ed i frutti dell’albero non sono che la esplicazione e la fioritura di quel piccolo seme che avete affidato alla terra; ondeché, possedendo la grazia, possediamo in potenza o in germe la gloria, e soffrendo in pace i dolori della vita, portiamo in noi stessi la gioia, che un dì sgorgherà dal fondo dell’anima nostra: Revelabitur in nobis. – Poiché noi tutti siamo fatti per la felicità e ad essa tendiamo necessariamente, come la pietra tende al suo centro, ne conseguita che i nostri cuori con ardente brama sospirano questa ricompensa delle nostre sofferenze e la gloria onde saremo vestiti. – Ma vi è di più, continua l’Apostolo: non pure noi, noi esseri deboli di ragione, sollevati e mossi dalla grazia aspettiamo col desiderio più acceso questa futura trasformazione, “ma la stessa natura irrazionale aspetta con ansia che siano manifestati i figliuoli di Dio, „ ossia che apparisca il giorno della loro manifestazione o gloria celeste. – Che è dessa quella creatura, che dicesi aspettare con ansia la rivelazione? Alcuni vi ravvisarono indicati gli Angeli, ma a torto: perché questa creatura la si dice tosto nel versetto seguente soggetta alla vanità, e per fermo gli Angeli non possono essere soggetti alla vanità. D’altra parte non possono essere gli uomini giusti, perché si dice, che questa creatura aspetta la rivelazione dei figli di Dio, cioè dei giusti, onde è manifesto che la creatura che aspetta non si può confondere coi giusti: non possono essere nemmeno i tristi o peccatori, perché questi né aspettano, né possono aspettare questa rivelazione, che non conoscono, disprezzano od odiano. Resta dunque che quella parola creatura significhi la natura tutta irragionevole, ossia l’universo. S. Paolo, uomo orientale e nutrito nello studio dei Profeti, con un volo arditissimo di fantasia, ci rappresenta non solo le anime cristiane, ma le creature tutte anche irragionevoli, che si uniscono a quelle in desiderare ardentemente il compimento della speranza mercé la manifestazione della gloria eterna. Ma come mai e perché la natura irragionevole può unirsi alle anime credenti in questo affocato desiderio della futura trasformazione? Questo modo di parlare è veramente poetico, attribuendo l’aspettazione ansiosa a esseri destituiti di ragione e di volontà e perciò incapaci di desiderio; ma vi si nasconde un senso profondo, che mi studierò di spiegare alla meglio. Tutte le cose materiali sono create per l’uomo e debbono servire a lui in tutti i modi, e in gran parte per via di evoluzioni meravigliose e perenni debbono entrare nell’organismo dell’uomo stesso, diventare successivamente parte del suo corpo ed essere assunte all’altissimo onore di strumento del suo pensiero e della sua volontà. Il perché tutte le creature materiali, a nostro modo di dire, aspirano alla loro unione con l’uomo, perché in esso e con esso si nobilitano, partecipano alla sua vita fisica e spirituale e sentono che la loro sorte è legata indissolubilmente alla sorte dell’uomo. Ecco perché tutte queste creature irragionevoli, a loro modo anch’esse, come formanti il corteggio, l’appendice dell’uomo, formanti anzi qualche parte dell’uomo insieme con lui sospirano che venga il giorno dell’umana trasformazione e risplenda agli occhi di tutti la gloria degli eletti e dei figli di Dio. E qui S. Paolo sviluppa più ampiamente il suo pensiero. Seguitiamolo. “La stessa creatura è soggetta alla vanità. „ Tutte le creature, che esistono sulla terra che direttamente o indirettamente servono l’uomo, giusta il volere del Creatore, nell’ordine presente, subiscono incessanti trasformazioni ed alterazioni: ora passano dalla natura in organica all’organica vegetale od animale e fino all’umana e poi ritornano all’inorganica. Osservate ciò che avviene intorno a noi e nel nostro corpo e troverete un movimento incessante, un farsi e disfarsi perpetuo delle creature, or lento, or rapido, tantoché la morte è la condizione della vita e la vita la condizione della morte: non vi è una sola creatura visibile che sfugga alla legge che tutto fa vivere e morire e dalla morte trae gli elementi di una, vita novella e getta nella vita i germi della morte. Tutte queste creature non solo sono sottoposte a questa trasformazione che non cessa un solo istante, ma devono servire (ahi quante volte!) di strumento al disordine, all’offesa del Creatore, contro il loro fine. L’aria, la luce, l’acqua, la terra, le sue produzioni più belle e più preziose, tutto il regno vegetale, animale ed universale, per opera dell’uomo sono forzati a deviare dal loro fine e a diventare strumento di peccato. Inquantoché sono sottomesse al lavoro della trasformazione senza tregua ed alla necessità di essere soventi volte costrette ad un uso contrario al loro fine naturale, queste creature sono dette da S. Paolo ” sottoposte alla vanità: „ Vanitati creatura subjecta est. Espressione sublime, che rappresenta il mondo tutto in uno stato di prova e di violenza, come l’uomo, del quale segue necessariamente la sorte, perché ad esso è ordinato, come mezzo al fine. Questo mondo visibile, continua S. Paolo, non vorrebbe questa legge di continue mutazioni, di alternative di morte e di lotta e rivolta contro il Creatore, alla quale è costretto dall’uomo: Non volens; ma vi si acconcia, perché così vuole il Creatore; vi si acconcia, ma con la speranza che verrà pure quel giorno, nel quale cesserà questa lotta che lo affatica, nel quale saranno cieli nuovi e terra nuova e tutto sarà composto in una pace inalterabile e perfetta. “La stessa creatura è sommessa alla vanità, non volente, ma da Colui che a questa l’ha sottoposta nella speranza. „ Sì, la natura tutta irrazionale, nel suo linguaggio domanda al pari di noi, uomini e cristiani, il cessare del suo stato presente, al quale istintivamente rilutta: il suo grido, eco lontana del nostro, è questo: Quando, Signore, porrete fine al mio travaglio? Quando mi darete la pace ? Quando, anch’io, come l’uomo e per l’uomo, sarò rinnovata e secondo la mia natura non servirò che a Lui solo? E giusto, risponde l’Apostolo: “anch’essa, questa natura irrazionale sarà affrancata dal servaggio della corruzione, nella libertà della gloria dei figliuoli di Dio. „ Non è facile intendere questo luogo del sacro testo, ma sembra fuor di dubbio essere, non altrimenti del seguente, una spiegazione dell’antecedente. La natura tutta irrazionale, quasi culla, reggia e nutrice dell’uomo, suo re, al termine dei secoli, quando egli ripiglierà, rifiorente di vita immortale, il suo corpo, anch’essa si rinnovellerà, quasi per fare più bella la gloria dell’uomo, e ad imitazione dell’uomo stesso: Et ipsa creatura liberabitur a servitute corruptionis, in libertatem gloria filiorum Dei. Quale sarà questo rinnovellamento della natura irrazionale, riflesso del rinnovellamento dell’uomo? Come finirà il suo servaggio e quale sarà la libertà sua, di cui qui favella l’Apostolo? Sappiamo che avverrà, ma quale sarà lo ignoriamo, e solo per una cotale induzione possiamo formarcene un’idea. Saranno cieli nuovi e terra nuova, l’uno e l’altra abitazione degna dell’uomo glorificato, sottratta interamente all’impero e all’influenza di ogni male morale e fisico, e saper questo ci basti. – Da questa dottrina sì alta e sì bella dell’Apostolo si fa manifesto che il fine delle creature tutte irragionevoli è legato al fine proprio dell’uomo e da questo dipende tantoché, se così posso esprimermi, anch’esse saranno felici o infelici della sua felicità od infelicità: ed è giusto perché le creature irragionevoli sono create per l’uomo e a lui debbono servire e per conseguenza la sorte del principale tira seco la sorte del secondario. Gli elementi, onde risulta il nostro corpo, accompagneranno e per sempre l’anima o beata in cielo, o straziata nell’inferno, perché l’unione sarà sempiterna, e perciò siamo noi che determiniamo la sorte eterna del mondo materiale. Il linguaggio dunque dell’Apostolo in questo luogo è poetico e ad un tempo altamente filosofico e vero. Questa idea dell’aspettazione ansiosa della natura irrazionale è ribadita e con più forte tinta rilevata in questo altro versetto: “Sappiamo di fatto che ogni creatura finora geme ed è come nel travaglio del parto. „ Questo gemere e quasi soffrire i dolori del parto di tutte le creature irragionevoli, aspettanti la loro liberazione e trasformazione finale, ci fa sentire la loro solidarietà con l’uomo e com’esse fremono nello stato di disordine e di violenza, in cui al presente troppo spesso si trovano. Questa frase dell’Apostolo ci riduce alla memoria quell’altra frase non meno energica del libro della Sapienza, in cui si dice, che Dio armerà tutte le creature contro gli stolti, cioè i peccatori. Ah! ricordiamola sempre, o dilettissimi, questa verità. Ogni volta che noi abusiamo delle creature, peccando, rivolgendole contro il Creatore, esse, per così dire, si sdegnano contro di noi, soffrono, gemono e sospirano il momento nel quale spezzeranno il giogo della corruzione che loro imponiamo: strumento nostro quaggiù al peccato, al piacere colpevole, diventeranno allora strumento di Dio a nostra punizione. S. Paolo, dopo questa breve e brillante digressione sulle creature tutte irrazionali, che con sì affocato desiderio aspettano e invocano la propria libertà e rinnovazione, ritorna a sé, ai credenti, e prosegue: “E non solo essa, cioè la creatura irrazionale, ma noi ancora, che abbiamo le primizie dello spirito, gemiamo in noi stessi, anelando alla adozione dei figliuoli di Dio, alla redenzione del nostro corpo. „ Sì, l’universo sospira e geme, ma con esso e ben più di esso, noi, Cristiani, primizie del giardino di Cristo, la Chiesa, o meglio, noi Cristiani, che abbiamo ricevuto i primi e più copiosi doni dello Spirito, sospiriamo e gemiamo nel fondo delle anime nostre. Travagliati da sollecitudini ed affanni interni, fatti segno di calunnie e di persecuzioni, sbandeggiati, flagellati, gettati in carcere, trascinati dinanzi ai tribunali, divenuti il rifiuto del mondo, ci viene a noia la vita, ita ut tæderet nos etiam vivere, volgiamo lacrimosi gli occhi al giorno, in cui la grazia, o l’adozione di figli di Dio ci schiuderà le porte del cielo e saremo liberati da questo corpo mortale e rivestiti del corpo impassibile e glorioso: Adoptionem filiorum Dei, expectantes redemptionem corporis nostri. Questo grido affannoso dell’Apostolo che guarda, aspetta ed invoca la gloria della risurrezione del corpo, risponde al grido di Giobbe, che, straziato e disfatto dalla lebbra esclama: “So che il mio redentore vive, e ch’io alla fine dei tempi risorgerò dalla polvere e rivestirò questa carne, e in essa vedrò il mio Dio e mio Salvatore. „ È questo il grido, che erompe dal cuore d’ogni credente, che attraversa questa terra d’esilio, che sente la miseria della vita presente, che cammina verso la vera patria, al possesso di Dio. Sia pur questo il grido che esce dai nostri cuori, disillusi della terra e anelanti al cielo!

Graduale  

Ps LXXVIII:9; LXXVIII:10 Propítius esto, Dómine, peccátis nostris: ne quando dicant gentes: Ubi est Deus eórum? V. Adjuva nos, Deus, salutáris noster: et propter honórem nóminis tui, Dómine, líbera nos. [Sii indulgente, o Signore, con i nostri peccati, affinché i popoli non dicano: Dov’è il loro Dio? V. Aiutaci, o Dio, nostra salvezza, e liberaci, o Signore, per la gloria del tuo nome.]

Allelúja

Alleluja, allelúja Ps IX:5; IX:10 Deus, qui sedes super thronum, et júdicas æquitátem: esto refúgium páuperum in tribulatióne. Allelúja [Dio, che siedi sul trono, e giudichi con equità: sii il rifugio dei miseri nelle tribolazioni. Allelúia.

Evangelium

Sequéntia sancti Evangélii secúndum Lucam. Luc. V:1-11

In illo témpore: Cum turbæ irrúerent in Jesum, ut audírent verbum Dei, et ipse stabat secus stagnum Genésareth. Et vidit duas naves stantes secus stagnum: piscatóres autem descénderant et lavábant rétia. Ascéndens autem in unam navim, quæ erat Simónis, rogávit eum a terra redúcere pusíllum. Et sedens docébat de navícula turbas. Ut cessávit autem loqui, dixit ad Simónem: Duc in altum, et laxáte rétia vestra in captúram. Et respóndens Simon, dixit illi: Præcéptor, per totam noctem laborántes, nihil cépimus: in verbo autem tuo laxábo rete. Et cum hoc fecíssent, conclusérunt píscium multitúdinem copiósam: rumpebátur autem rete eórum. Et annuérunt sóciis, qui erant in ália navi, ut venírent et adjuvárent eos. Et venérunt, et implevérunt ambas navículas, ita ut pæne mergeréntur. Quod cum vidéret Simon Petrus, prócidit ad génua Jesu, dicens: Exi a me, quia homo peccátor sum, Dómine. Stupor enim circumdéderat eum et omnes, qui cum illo erant, in captúra píscium, quam céperant: simíliter autem Jacóbum et Joánnem, fílios Zebedaei, qui erant sócii Simónis. Et ait ad Simónem Jesus: Noli timére: ex hoc jam hómines eris cápiens. Et subdúctis ad terram návibus, relictis ómnibus, secuti sunt eum”.

OMELIA II

[Mons. Bonomelli, ut supra, Omelia X]

“Avvenne che la moltitudine, stringendosi addosso a Gesù per ascoltare la parola di Dio, e stando Egli in piedi presso il lago di Genesaret, vide due barchette presso la riva del lago e i pescatori, smontati, lavavano le reti. Ed Egli, essendo montato sopra una di quelle, che era di Simone, lo pregò di allargarsi un poco da terra e seduto, ammaestrava le turbe dalla navicella. E com’ebbe finito di parlare, disse a Simone: Piglia il largo e calate le vostre reti per pescare. Ma Simone, rispondendo gli disse: Maestro, ci siamo affaticati tutta la notte e non abbiamo preso nulla; ma pure, alla tua parola, getterò la rete. E fatto questo, rinchiusero grande quantità di pesce, tantoché la rete si rompeva. E accennarono ai loro compagni, ch’erano nell’altra navicella, affinché venissero per aiutarli. Ed essi vennero, e riempirono ambe le barche a talché affondavano. Ciò visto, Simon Pietro, si gettò alle ginocchia di Gesù dicendo: Partiti da me, o Signore, perché io sono un uomo peccatore. Perché egli e quelli che erano con Lui erano compresi di spavento per la presa dei pesci che avevano fatto. Lo stesso fu ancora di Giacomo e Giovanni, figliuoli di Zebedeo, ch’erano compagni di Simone. E Gesù disse a Simone: Non temere: d’ora innanzi attenderai a pescare uomini. Ed essi, tirate a terra le navicelle, lasciata ogni cosa, lo seguitarono „ (S. Luca, V, 1-11).

Gesù cominciò la sua predicazione in Galilea, e chiamò alla sua sequela alcuni discepoli, come narra S. Giovanni nel primo capo, tra gli altri Simon Pietro, Andrea, Filippo, Natanaele ed i fratelli Giacomo e Giovanni, tutti Galilei. Con essi salì a Gerusalemme per celebrare la Pasqua, poi ritornò in Galilea, a Nazaret. In quel frattempo i discepoli ritornarono alle loro reti (erano quasi tutti pescatori), per campare la vita, ma per pochi giorni. Gesù da Nazaret recossi a Cafarnao e ripigliò la sua vita pubblica, e qui comincia il fatto evangelico, che forma l’argomento della nostra omelia, e che determinò i primi e principali discepoli a seguirlo stabilmente, come vedremo. Due volte essi furono chiamati da Gesù: la prima volta sulle rive del Giordano, dov’essi erano per udire Giovanni, e dove Gesù stesso ricevette il battesimo; la seconda e definitivamente, sulle sponde del lago di Genesaret, riferita da S. Luca nel capo V. Ora, a noi, o carissimi. “Avvenne che la moltitudine, stringendosi addosso a Gesù, per ascoltare la parola di Dio, e stando Egli in piedi presso il lago di Genesaret, vide due barchette in sulla riva, ed i pescatori, smontati, lavavano le reti. „ Nessun bisogno di illustrare queste parole, che non potrebbero essere più chiare: ma non sarà superfluo cavarne qualche pratica riflessione. – Considerate Gesù, le turbe e gli Apostoli pescatori. Gesù sta sulla riva di quel lago allora sì ridente, solo, senza corteggio, corre l’ultimo dei figli d’Israele, in mezzo alla folla, ch’era accorsa dalle vicine città e castella. E che fa Egli? Ammaestra quella moltitudine. Che cosa insegnasse, il Vangelo non lo dice, ma è agevole immaginare che parlasse, come soleva, del regno dei cieli e di quelle verità sì semplici e sì alte che rapivano il buon popolo, il quale pendeva estatico dalle sue labbra. – Considerate le turbe: esse si accalcavano intorno a Gesù, lo premevano, Gli si serravano addosso: Cum turbæ irruerent in eum, avide di udire la parola di Dio. Quale spettacolo, o cari! Gesù Cristo, il Figlio di Dio che parla al popolo, e questo popolo che lo ascolta tacito e riverente: era il mattino e di sopra rideva il cielo sereno, tranquillo: intorno, da una parte il lago con le sue rive incantevoli, seminate di villaggi popolosi; dall’altra i colli, coperti d’ulivi e di vigne, che si sollevano a mano a mano, ad occidente verso il Tabor, a tramontana, da lungi, verso l’Hermon ed il Libano. È sulle sponde di questo lago, in mezzo a questi pescatori, a questi figli dei campi, che Gesù Cristo sparge i semi di quella Dottrina che sarà portata ai quattro lati della terra e trasformerà il mondo pagano. – Considerate gli Apostoli: essi erano smontati dalle loro navicelle, e dopo aver ripulite e racconciate le reti, si erano mescolati con le turbe per udire il divino Maestro. In mezzo a quella moltitudine, credo io, non vi erano né ricchi, né dotti: essi avrebbero sdegnato di trovarsi in mezzo a quella povera gente, ma non si sdegnava Gesù, anzi le sue gioie più dolci erano quelle di annunziare a quei poverelli il regno di Dio: Misit me evangelìzare pauperibus. E vedete questi Apostoli, che già chiamati a seguire Gesù Cristo seguitano a pescare, non certo per sollazzo, ma per necessità della vita. Essi, destinati alla conquista del mondo, non si lagnano della loro povertà e della vita travagliosa che menano e che non muteranno nemmeno più tardi, perché santamente si glorieranno di provvedere ai propri bisogni col lavoro delle mani: Manus istæ ministraverunt. – Gesù, viste quelle due barchette, “salì sopra una, che era quella di Simon Pietro. „ Posto fine al suo discorso alle turbe, Gesù per scansarsi da queste e fare il miracolo che gli vedremo operare, salì sopra una navicella e, nota il Vangelista, che era quella di Pietro. Voi troppo bene comprendete che Gesù Cristo non faceva, nè poteva far nulla a caso; nessun uomo assennato fa mai cosa alcuna a caso; e l’avrebbe fatta Colui che è la stessa sapienza? Sarebbe bestemmia pure il sospettarlo. Perché  Gesù Cristo tra le due barchette preferì quella di Pietro e sopra di questa s’allargò nel lago e poi operò il miracolo? E perché  l’evangelista S. Luca volle notare questo fatto? I Padri ravvisarono in questo fatto un indizio della podestà suprema, che Gesù avrebbe più tardi conferita a S. Pietro. Noi non possiamo avere salute che col ricevere la dottrina di Gesù Cristo: ora dove Gesù annunzia la sua dottrina? Da qual nave la predica agli uomini? Dalla nave di Pietro: dobbiamo adunque essere nella nave di Pietro se vogliamo avere la dottrina di Gesù Cristo. La nave è simbolo della Chiesa; su ciò non vi è dubbio alcuno: i Padri, gli interpreti ed il simbolismo antico lo mostrano; ma sono molte navi o le chiese che si dicono navi e Chiese di Cristo. C’è la nave della Chiesa Greca, quella della Chiesa Nestoriana, della Chiesa Eutichiana, della Russa , della Anglicana via e via (1). Tutte a gran voce protestano di essere ciascuna la nave, l’unica vera Chiesa di Cristo, ed invitano gli uomini a salirvi se vogliono salute. Io domando: Dov’è Cristo? Su qual  nave siede Egli ed ammaestra? Sulla nave di Pietro, non sulle altre! Dunque teniamoci sempre fermi su questa nave di Pietro,  sicuri di avere con noi Gesù Cristo e con Gesù Cristo la verità. – Che cosa insegnò Gesù Cristo alle turbe, stando sulla navicella di Pietro? Il Vangelo non lo dice, ed è facile e natural cosa il credere che parlasse loro delle verità del regno dei cieli, giacché solo di queste cose Egli intratteneva la moltitudine che lo seguiva. “Poiché ebbe finito di parlare, disse a Simone: Piglia il largo e calate le vostre reti alla pesca.„  Il mare o lago di Genesaret è figura del mondo; i pesci sono figura degli uomini: la nave di Pietro, che con Gesù solca le onde, come dissi, è figura della Chiesa. Gesù comanda a Pietro ed ai suoi compagni di calare le reti per la pesca. Ma quando? Non prima, ma dopo di aver parlato al popolo. E perché? Perché vuole insegnarci che prima si devono ammaestrare gli uomini e poi accoglierli nella Chiesa: prima si deve seminare e poi mietere: prima far conoscere la verità; poi raccoglierne i frutti. Gli Apostoli ed i loro successori, come dirà più innanzi Gesù Cristo, devono pigliare gli uomini. Ma come si pigliano gli uomini? Essi sono spiriti nella parte loro più nobile, e non si pigliano come i pesci e gli uccelli nelle reti: pigliati i loro corpi, avete pigliato ogni cosa. Pigliati i corpi degli uomini, voi non avete preso nulla; per pigliare gli uomini conviene pigliare quello in cui sta veramente l’uomo, cioè l’anima sua. E questa che non si vede, che non si tocca, in qual modo si piglia? I pesci e gli uccelli li pigliate con l’offrir loro il cibo, che loro si confà: l’anima dell’uomo la si piglia col mostrarle quel cibo di cui solo essa è ghiotta, il cibo della verità. La verità signoreggia la sua mente e la mente tira a sé la volontà; e guadagnata la mente e la volontà dell’uomo, voi avete pigliato tutto l’uomo. E con qual mezzo presentare all’uomo il cibo della verità? Il pescatore presenta al pesce il cibo legato al filo della sua canna, o lo sparge presso le reti: noi lo porgiamo alla mente dell’uomo mediante la parola o l’istruzione, e perciò Gesù Cristo disse agli Apostoli: Andate, ammaestrate. Ammaestrate! cioè porgete alle menti il cibo della verità con la parola: questa scuoterà la volontà e trarrà a voi gli uomini retti. Ecco perché Gesù Cristo, dopo avere ammaestrate le turbe, comanda di gettare le reti. Proseguiamo. “Pietro rispondendo, disse a Gesù: Maestro, ci siamo affaticati tutta la notte e non abbiamo preso nulla. „ La pesca allora (come in parte anche in oggi da noi) si faceva la notte. Gli Apostoli l’avevano fatta da soli, senza la compagnia di Gesù, ed era stata senza frutto. Così aveva disposto il divino Maestro, per mettere in maggior luce il miracolo che aveva operato, e per dare una lezione importantissima a’ suoi cari Apostoli e determinarli a seguirlo definitivamente. – Il buon Pietro, sempre eguale a se stesso, risoluto, ardente e schietto, dopo d’aver pubblicamente dichiarato ch’era stato vano ogni lavoro della notte, e che non aveva speranza alcuna di miglior fortuna, mostrando la docilità e prontezza dell’animo suo, soggiunse: “Pure sulla tua parola getterò la rete. „ La parola del Maestro è tutto per il discepolo: questi fa tacere ogni suo giudizio, non bada alla nuova fatica, non muove ombra di difficoltà o di dubbio: il Maestro l’ha detto e gli basta: “Sulla tua parola getterò la rete. „ – Carissimi! quando la voce del dovere, la voce dell’autorità ha parlato, ancorché torni duro e sembri anche poco conforme alla nostra ragione, imitiamo la generosa prontezza di S. Pietro, e diciamo: Signore, ubbidisco. Gli Apostoli calarono adunque la rete, e appena ebbero cominciato a tirarla a sé, si accorsero “che avevano chiuso in essa grande quantità di pesci, tanto che la loro rete si rompeva. „ Vedendosi impotenti a tirare nella nave sì gran quantità di pesce, “accennarono ai compagni dell’altra nave, affinché venissero ad aiutarli, e vennero ed empirono ambe le barche; sicché quasi affondavano. „ – Tutti questi particolari del fatto, notati con somma concisione e semplicità, non abbisognano di schiarimento, e ci mettono sotto gli occhi la scena avvenuta sulle rive del lago, a talché ne siamo per poco noi stessi spettatori. È noto dalla storia che quel piccolo lago era abbondantissimo di pesci: d’altra parte si sa, che in certe stagioni e in certe con giunture, è possibile una pesca straordinaria, e nessuno lo sapeva meglio di Pietro e dei suoi compagni, praticissimi del loro mestiere e di quel lago; ma quella pesca, considerata nelle condizioni particolari in cui avvenne, presentava sì chiari i caratteri del miracolo da non poterne avere dubbio alcuno. E invero: gli Apostoli avevano gettate le reti tutta la notte e sempre inutilmente: non v’era indizio di sorta da far credere probabile un mutamento e una pescagione sì copiosa; se vi fosse stato, gli Apostoli l’avrebbero conosciuto od almeno sospettato. Più, dalla narrazione appariscente che fu quasi la stessa cosa gettare le reti nel lago e vederle ripiene di pesce. Finalmente, la quantità del pesce era al tutto meravigliosa, perché si dice che la rete si sdrusciva per il peso, e che ne ebbero ripiene le due barchette e ripiene per modo che quasi affondavano: Et impleverunt ambas naviculas, ita ut pene mergerentur. Tutte le circostanze del fatto, mostravano ad evidenza che non era naturale, ma sovrannaturale e miracoloso e che non potevasi attribuire ad altri, fuorché a Colui che con tanta sicurezza, non ostante la difficoltà mossa da Pietro, aveva detto: “Gettate le vostre reti alla pesca. „ – L’effetto del miracolo fu istantaneo e grandissimo su tutti gli Apostoli presenti, ma singolarmente sopra Pietro. Uditelo: “Veduto ciò, Simon Pietro, cadde alle ginocchia di Gesù, dicendo: Partiti da me, o Signore, perché io sono un uomo peccatore. „ In questa occasione, come sempre, si rivela l’anima tutta di Pietro. Egli ha visto il miracolo di Gesù Cristo, non ne può dubitare, lo tocca con mano, è lì, in quel cumulo di pesci che gli sta dinanzi. Dimentica tutto: e due sole cose egli vede, il Maestro e se stesso: nel Maestro, egli, scosso dal fatto della pesca ed illuminato internamente, riconosce l’operatore del miracolo, il profeta, il Messia; in sé vede un povero peccatore, e conscio della propria indegnità, nell’ardore della sua fede, si getta ai piedi di Gesù, Procidit ad genita Jesu, ed esclama: “Partiti da me, che sono un uomo peccatore. „ – S. Agostino domandava instantemente due cose a Dio: Domine, noverim te, noverim me.”Signore, ch’io conosca te e conosca me stesso! „ Questo doppio conoscimento si può considerare come il supremo grado della sapienza cristiana: conoscere Dio, per amarlo e servirlo; conoscere se stesso, per correggere ed emendare i propri falli: conoscere Dio per disprezzare se stesso; conoscere se stesso, per apprezzare Dio solo. Questi due conoscimenti sono inseparabili tra loro, tantoché l’uno non si può concepire senza l’altro, come l’effetto non si può disgiungere dalla sua causa, e quegli conosce bene l’effetto che conosce bene la causa. L’uomo che si mette innanzi a Dio e con l’occhio della mente discorre e contempla la sua grandezza, la sua potenza, la sua bontà, la sua sapienza, la sua immensità; che, inabissandosi in quell’oceano dell’essere di Dio, ne considera l’eternità e la immutabilità e tutte le altre perfezioni, sentesi sopraffatto e compreso di stupore al cospetto di tanta maestà. Che se allora torce lo sguardo da Dio e lo rivolge sopra di sé, comprende e sente d’essere piccolo, debole, soggetto a continue mutazioni, pieno di miserie: comprende e sente che da sé ha nulla, e che tutto ciò che ha o può avere, lo riceve da Dio, dal quale dipende più che la lampana dal filo che la sostiene: allora egli è costretto ad erompere in quel grido sì famigliare ai santi: Signore, Voi siete tutto, ed io nulla e meno che nulla, perché peccatore. Se non che il buon Pietro, nella foga del suo dire, non si limitò a riconoscere la grandezza del Maestro e la debolezza e il nulla proprio, ma, spingendosi più oltre e non rendendosi conto di ciò che diceva, aggiunse: “Partiti da me, o Signore, perché io sono un uomo peccatore. „ Voleva che Gesù si allontanasse da sé, reputandosi indegnissimo di stare presso di Lui sì santo, egli gran peccatore! Nessun dubbio, che se alcuno in quel momento avesse detto a Pietro: Vuoi tu davvero, che Gesù si parta da te? — Pietro avrebbe risposto: No, no; io credo in Lui, io l’amo, io voglio seguirlo sempre e dovunque: ho bisogno di star sempre con Lui —. Come dunque lo pregava di allontanarsi da Lui? Era questo il linguaggio del timor santo, ond’era compreso alla presenza di Gesù e dell’amore vivissimo, che sentiva per Lui e lo portava fuori di sé, onde mentre diceva a Gesù: Partiti da me, gli si serrava come un fanciullo alle ginocchia e non sapeva staccarsene. Carissimi! quando stiamo alla presenza di Gesù nel Sacramento dell’altare, e più ancora, quando lo riceviamo in noi stessi, facciamo nostri i sentimenti di fede, di riverenza, di timore, di amore, di profonda umiltà, ond’era ripieno il principe degli Apostoli là sulla sua barchetta di Genesaret. L’anima, che riconosce la propria indegnità e si confessa peccatrice dinanzi a Gesù, diviene oggetto delle sue più care compiacenze! L’Evangelista quasi per dare una spiegazione dell’atto e delle parole sì belle di san Pietro, dice, continuando: “Perché erano compresi di spavento egli, Pietro, e quanti stavano con Lui per la presa de’ pesci, che avevano fatto. „ Come mai ciò, o dilettissimi? Pietro e i suoi compagni erano atterriti? Essi dovevano essere meravigliati sì, e lietissimi, ma non mai atterriti, come dice il sacro testo. Sì, erano meravigliati, lietissimi, ma anche atterriti. Allorché noi ci troviamo dinanzi a fatti straordinari e sovraumani, dietro i quali vediamo levarsi, a così dire, l’ombra e la maestà di Dio stesso, che ne è l’autore, ci sentiamo gagliardamente scossi, compresi d’un sacro terrore. E chi noi deve essere dinanzi a quella infinita grandezza e potenza, dinanzi alla quale sentiamo tutto il nostro nulla? Scorrete tutte le sacre Scritture dell’antico e del nuovo Testamento e troverete sempre, che ogni qual volta Iddio si manifesta, sia sul Tabor, sia sull’Oreb, sia sul Sinai, sia nei grandi miracoli, il timore ed anche il terrore è la conseguenza comune e naturale, in quelli che ne sono testimoni. – S. Luca parla del terrore di Pietro e di tutti quelli che erano con lui; ma poi, quasi corregendosi, stima necessario nominare due, che erano presenti nell’altra navicella, perché dopo Pietro tenevano il primo posto presso il Maestro, e perché insieme con Pietro, dopo questo miracolo, furono chiamati a seguirlo stabilmente. ” Lo stesso fu ancora di Giacomo e Giovanni, figliuoli di Zebedeo, che erano compagni di Simone. „ Gesù, per confortare Simon Pietro, che era a’ suoi piedi, come fuori di sé, con voce amorevole gli disse: ” Non temere: quinci innanzi attenderai a pescare uomini. „ Con queste parole Gesù volle confortare il suo Pietro e nello stesso tempo fargli conoscere chiaramente la sua vocazione all’apostolato. Ben altro che pesci, così volle dire in sentenza il Salvatore, ben altro che pesci tu devi pigliare: la tua missione in avvenire sarà quella di pigliare uomini. La metafora graziosa è sì bella e naturale che non occorre spiegarla. Più volte Gesù Cristo adombra il sacro ministero sotto la figura della pesca, e veramente la figura risponde assai bene alla realtà che si vuole significare. E qui non voglio tacere una osservazione, che mi pare scaturisca naturalmente dal sacro testo. Pietro, visto il miracolo, conobbe se stesso e schiettamente, alla presenza dei compagni, confessò d’essere peccatore e indegno di stare presso Gesù. A quest’atto di umiltà Gesù rispose con la splendida promessa dell’apostolato. “Tu attenderai a pescare uomini. „ Sempre così! all’abbassamento volontario Dio risponde sempre con l’innalzamento, e a Pietro, che si protesta peccatore, velatamente promette la più alta prerogativa  dell’apostolica dignità. Il fatto della pesca prodigiosa, qui narrato da S. Luca, è toccato appena da S. Matteo (cap. IV, 18 seg.) con qualche particolare, che dà luce al tutto insieme. S. Matteo ai tre Apostoli sopra nominati, presenti al miracolo, aggiunge Andrea, fratello di Pietro, che dovevasi trovare nella barca con esso. Inoltre san Matteo scrive, che Gesù disse a tutti quelle parole da S. Luca riferite al solo Pietro: “Io vi farò pescatori di uomini, „ e che a tutti disse: “Venite dietro a me, „ e che tutti lo seguitarono. S. Luca in questo luogo, lascia sottintese le parole di Cristo: “Venite dietro a me, „ ma narra l’effetto, dicendo: “Tirate a terra le navicelle, lasciata ogni cosa, lo seguitarono. „ Quale esempio di prontezza, di fede, di ubbidienza, di generosità ci danno questi Apostoli! E vero, erano poveri, vivevano delle proprie fatiche: non avevano che quelle sdrucite barchette, quelle poche reti, forse la casetta nella vicina Betsaida: ma Pietro aveva la suocera, Giacomo e Giovanni avevano il padre e la madre; avevano congiunti ed amici; amavano le rive del loro lago; chi dice loro: “Seguitemi, „ era ancor più povero di loro; non aveva né casa, né barca, né reti, né dove posare il suo capo; eppure incontanente, ad una sua parola lo seguono: Relictis omnibus, secuti sunt eum. Che sarà di loro? Quale la sorte che li attende? Quale la ricompensa? Fin quando e fin dove lo seguiranno? Quali i patti? Di tutto questo non si danno pensiero: hanno udite quelle misteriose parole: ” Venite dietro a me; vi farò pescatori di uomini, „ senza comprenderne perfettamente il significato; non istanno in forse un solo istante: lo seguitano per non abbandonarlo più mai, e primo senza dubbio quel Pietro, che gli aveva detto: ” Partiti da me, o Signore, che sono uomo peccatore. „ Riconosciamo ancora una volta la certezza del miracolo della pesca, ammiriamo la potenza della parola di Cristo, che li chiama, e la generosa docilità con cui rispondono gli Apostoli.

(1) [La Chiesa greca Foziana, com’è noto non ammette l’istituzione divina del Primato di Pietro. Il suo governo è affidato ai Patriarchi e al Sinodo ecumenico, che risiede a Costantinopoli: ma è un edificio che sta per forza di inerzia, se cosi posso esprimermi. La creazione d’ogni nuovo Stato nell’Impero ottomano porta seco per conseguenza una nuova Chiesa nazionale. Questo secolo ha visto sorgere la Chiesa ellenica, la montenegrina, la serba, la rumena, la bulgara: è naturale, perché non vi è un centro comune. – Della Chiesa nestoriana ed eutichiana non val la ragionare perché piccole e sepolte nella più crassa ignoranza; di cristiano conservano poco più che il nome. – La Chiesa russa si trova in condizioni ben diverse e perché internamente unita alla potestà imperiale dello Czar e da lui dipendente, e perché organizzata fortemente, abbraccia popoli rozzi, sì, ma giovani e forti, e poiché ad essa si apre un campo vastissimo in Oriente. E vi è qualche probabilità, che la chiesa russa rientri nel seno della Chiesa Cattolica? Alcuni lo speravano e forse lo sperano ancora: così fosse!! Ma, ragionando umanamente, essa, la Chiesa russa è ben lontana dal ritornare alla Chiesa Romana. L’anno passato, il gran Procuratore del Sinodo russo, Pobedonoskeff che ora è l’anima del Sinodo stesso, ad un alto personaggio, che gli mostrava la necessità dell’unione con la Chiesa romana, rispose: “La Chiesa ortodossa russa e la Chiesa Romana sono due sorelle eguali, che si devono rispettare a vicenda —. La Russia ha toppo interesse a star salda nello scisma e nell’eresia e l’ignoranza del popolo, congiunta allo scetticismo delle classi alte e alla autocrazia imperiale e la diffidenza e l’odio contro la Polonia, innalzano una barriera insormontabile tra la chiesa russa e la Romana. „ – Della chiesa anglicana non occorre parlare. La dichiarazione solenne della S. Sede rispetto alla nullità delle sacre Ordinazioni della chiesa anglicana, dichiarazione necessaria per le circostanze speciali, ha forse aggiunto un nuovo ostacolo a quelli che vi erano e reso più difficile il ritorno all’Unità Cattolica.]

 Credo…

 Offertorium

Orémus Ps XII:4-5 Illúmina óculos meos, ne umquam obdórmiam in morte: ne quando dicat inimícus meus: Præválui advérsus eum. [Illumina i miei occhi, affinché non mi addormenti nella morte: e il mio nemico non dica: ho prevalso su di lui.]

Secreta

Oblatiónibus nostris, quæsumus, Dómine, placáre suscéptis: et ad te nostras étiam rebélles compélle propítius voluntátes. [Dalle nostre oblazioni, o Signore, Te ne preghiamo, sii placato: e, propizio, attira a Te le nostre ribelli volontà.]

Communio

Ps XVII:3 Dóminus firmaméntum meum, et refúgium meum, et liberátor meus: Deus meus, adjútor meus. [Il Signore è la mia forza, il mio rifugio, il mio liberatore: mio Dio, mio aiuto.]

Postcommunio

Orémus. Mystéria nos, Dómine, quæsumus, sumpta puríficent: et suo múnere tueántur. Per … [Ci purifichino, o Signore, Te ne preghiamo, i misteri che abbiamo ricevuti e ci difendano con loro efficacia.]

LO SCUDO DELLA FEDE (XV)

[A. Carmignola: “Lo Scudo della Fede”. S.E.I. Ed. Torino, 1927]

 XV.

IL GOVERNO DI DIO.

Come mai Iddio permette il male? — Iddio sa se mi salverò o mi dannerò; a che serve adunque che io mi travagli a salvarmi? — La predestinazione e la libertà umana.— Se Dio è infinitamente buono, perché crea coloro che andranno dannati?

— Avrei ora da esporre delle gravi difficoltà per riguardo ad alcuni attributi di Dio.

Già m’immagino quali siano. Tuttavia esponi pure liberamente tutto ciò che lambicca il tuo cervello, e vedrò di darti le spiegazioni più chiare che siano possibili.

— Ecco adunque: Iddio è onnipotente, cioè può fare tutto ciò che vuole, è santo, cioè vuole il bene ed abborrisce il male, è sapientissimo e sa tutto. Or come mai lascia che nel mondo si faccia tanto male? … si commettano tanti delitti? Li permette Egli forse perché non li può impedire! E allora dove sta la sua onnipotenza ? Li permette perché non li vuole impedire! E allora dove sta la sua santità? Li permette perché non sa che abbia ad accadere? E allora dove sta la sua sapienza?

Perdincolina! Mi fai veramente una scarica a mitraglia, ed entri per tal guisa in dei più tremendi misteri! Ma precisameli; perciò bisogna che ti ricordi anzitutto che misteri sono sempre misteri, che cioè noi non arriveremo mai a comprenderli. In secondo luogo devo dirti che il poter fare delle difficoltà anche gravi contro le verità della dottrina cristiana, difficoltà che per ora non si possono sciogliere, non dà il diritto di inferire che sia falsa la stessa dottrina, ma deve in quella vece farci riconoscere e confessare la nostra impotenza a comprendere tali verità. In terzo luogo ti aggiungerò che qualora avessi da adoperarmi a scioglierti le difficoltà, che mi hai proposte, con l’ampiezza dovuta, dovrei andare molto per le lunghe e tu non reggeresti al mio ragionamento. – Ciò premesso ti risponderò in breve che Dio, sì, è sapientissimo e perciò prevede anche il male che dagli uomini si fa, che Egli è santissimo e come tale non vuole il male e lo abborrisce, che Egli è onnipotente e che perciò assolutamente lo potrebbe impedire: e non di meno non lo impedisce perché, avendo dato all’uomo la libertà, Egli vuole assolutamente che l’uomo resti libero, padrone de’ suoi atti in modo da poter fare di sua piena volontà il bene o il male, e a seconda di quel che farà meritarsi coi propri sforzi la felicità eterna o con la propria malizia la eterna dannazione. E se l’uomo abusando della sua libertà commette il male e si abbandona persino a gravi delitti, Iddio perciò non lascia di essere e sapientissimo, e santissimo, e onnipotente.

— Va bene. Ma Iddio non poteva dare all’uomo la libertà perché faccia il bene e si meriti la felicità eterna, e a un tempo stesso impedire che l’uomo faccia il male non lasciandolo abusare della sua libertà? A me pare insomma che se Iddio non volesse davvero il male, non lo lascerebbe commettere, e che lasciandolo ommettere ne sia Egli stesso la causa.

Mio caro, senza saperlo tu metti innanzi i mostruosi errori di Calvino. Ascolta bene adunque. Che Iddio potesse, qualora lo avesse voluto, dare all’uomo la libertà per fare il bene e meritar la felicità eterna e a un tempo stesso impedire l’abuso dell’umana libertà nel fare il male è cosa certissima. Ma Egli non l’ha voluto, e in ciò appunto sta il mistero. Con tutto ciò non potendo noi capire il perché Iddio non abbia voluto affrancare l’uomo da quella naturale debolezza che lo rende peccabile, non porremo mai dire che Iddio voglia il male e ne sia Egli la causa. Il male Iddio lo permette, ma assolutamente non lo vuole, non può volerlo: se potesse voler il male, non sarebbe più Dio. Epperò non mai e poi mai si potrà ascrivere a Lui il più piccolo dei peccati, come appunto diceva S. Agostino. – E come mai sarebbe ciò possibile? Dio ha creato gli uomini, perché un giorno abbiano da possedere e godere Lui, e vorresti che Egli sia l’autore dei peccati, che allontanano l’uomo dal conseguimento del suo fine? Dio è l’infinita bontà e l’infinita giustizia, e vorresti che fosse l’autore della malizia e dell’ingiustizia? Dio è il punitore del peccato, e vorresti che punisse negli altri il peccato, di cui fosse Egli la causa? Dunque sia pure che noi non comprendiamo perché Iddio permette il peccato, ma non sia mai che sopra di Lui gettiamo la colpa dei peccati che commettiamo noi, abusando della libertà  che ci ha dato.

— Ho inteso e passo perciò ad esporle un’altra difficoltà.

Di su adunque.

— Se Iddio è, come non si può dubitare, sapientissimo, saprà certamente se noi ci salveremo o se ci danneremo, non è vero?

Verissimo!

— Dunque io dico: se Egli sa che mi salverò, sarò salvo; se Egli invece sa che mi dannerò, andrò dannato. Epperò che bisogno c’è ch’io mi travagli per salvarmi? Non mi resta così tolta ogni libertà di provvedere al mio eterno destino?

Anche questa è una difficoltà assai grave, ma se tu stai ben attento, spero che non riuscirà del tutto insolubile. – Tu dici adunque: « Iddio sa se mi salverò o se mi dannerò; » e da  questo sapere Iddio se ti salverai o ti dannerai, trai la conseguenza « che torna inutile che ti travagli per salvarti, perché non resti più libero di provvedere per parte tua al tuo eterno destino ». Ora io comincio a risponderti col fare a te una domanda. Che diresti tu a tua madre, se essa oggi ti dicesse: Figliuol mio, Iddio sa se quest’oggi devi pranzare o no; quindi è inutile che io ti prepari o non ti prepari il pranzo: se Dio sa se quest’oggi devi pranzare, pranzerai; se sa che non devi pranzare, non pranzerai?

— Oh! per certo le direi: Mia buona madre, per intanto fate il piacere di preparare il pranzo, e poi sarà come a Dio piacerà.

Così dico io a te: Pertanto tu fa da parte tua quello che importa per salvarti, e allora ti salverai; perché se al contrario non farai di tua volontà quello che devi e puoi fare per la tua eterna salvezza, certamente ti dannerai..

— Ma dunque la scienza che ha Iddio intorno alla nostra eterna destinazione non fa sì, che essa accada come Dio l’ha prevista?

La nostra eterna destinazione sarà senza dubbio infallantemente quale Iddio l’ha prevista, ma questa previsione, o a meglio dire visione (non essendovi innanzi a Dio futuro, ma tutto presente) non fa che la nostra eterna destinazione non sia ancor pienamente dipendente dalla nostra libera volontà. Supponi che tu ti trovassi sopra un terrazzo prospiciente un ampio cortile, dove molti govani tuoi compagni stanno divertendosi. Che vedresti tu?

— Eh! vedrei di quelli che corrono, di quelli che saltano, di quelli che fanno circolo, di quelli che si bisticciano, di quelli che si regalano  magari qualche pugno.

E vedendo tu tutte queste cose, ne saresti tu la cagione?

— Niente affatto!

E i tuoi compagni benché tu li veda, non restano ancor sempre liberi di proseguire i loro giuochi, le loro occupazioni, di fare quel che vogliono fare?

— Liberissimi. Il mio vedere nulla influisce sulla loro libertà.

Va bene. Ora stammi attento: Iddio da tutta l’eternità con la sua scienza infinita ha tutto presente dinanzi a sé, epperò tutto il bene e tutto il male che faranno gli uomini con tutte le circostanze più minute e particolari, e la loro conseguente salvezza o dannazione. Ma perciò che Egli tutto vede, si potrà dire la causa di quello che noi facciamo di bene o di male per salvarci o per dannarci? No assolutamente. Egli ci lascia fare il bene o il male, epperò operare la nostra salvezza o la nostra dannazione, a seconda della libertà che ci ha dato. Quindi non è già che noi facciamo il bene o il male perché Egli lo vede; ma Egli lo vede perché noi lo facciamo. Insomma Iddio vede che tu ti salverai, se tu liberamente vivrai da buon Cristiano per salvarti; e vede che ti dannerai, se tu di tua volontà vai alla dannazione vivendo male.

.— Mi sembra di aver inteso, e voglio dargliene una prova. Ecco dunque: Bisogna che io mi adoperi quanto posso per salvarmi, benché Iddio sappia se mi salverò o se mi dannerò dal vedere quello che io farò per salvarmi o per dannarmi; e la scienza, che egli ha intorno alla mia futura destinazione, non forza minimamente la libertà, che io ho di fare, il bene per salvarmi, o non farlo e fare il male èer dannarmi.

Benissimo; tu hai inteso egregiamente.

.— Resta però sempre verissimo che io infallibilmente mi salverò o mi dannerò, come Iddio ha previsto e come Egli ha predestinato.

Sì, senza dubbio, ma resta pure sempre verissimo che tu ti salverai o ti dannnerai liberamente. E questa verità, cioè l’infallibile prescienza divina e la conseguente predestinazione degli uomini ad essere salvi o dannati non contraddicono affatto a quest’altro della libertà dell’operazione umana. Ciascuna di queste verità è certa, e se torna alquanti difficile a combinarle insieme, ciò è in causa della nostra ignoranza, ma non già della impossibilità di farlo. Tutto sta che noi riflettiamo bene che Iddio non determina egli con la sua prescienza le nostre azioni buone o cattive e la nostra conseguente salvezza o dannazione, ma che invece Iddio infinitamente sapiente, vede da tutta l’eternità quelli che faranno bene e quelli che faranno male. E siccome da tutta l’eternità, in conformità alla sua giustizia, Egli ha decretato di premiare eternamente i buoni e castigare eternamente i cattivi, perciò da tutta l’eternità Egli vede altresì a chi darà il premio e a chi il castigo eterno, destinando in tal guisa gli uni a salvarsi, gli altri a dannarsi.  – Ma in tal guisa la predestinazione dell’uomo, sia alla gloria del cielo, sia alla dannazione dell’inferno, dipende interamente dalla libera volontà dell’uomo stesso, dal fare egli cioè liberamente il bene o il male. Così che siamo noi, che da noi stessi ci predestiniamo, essendo ché siamo noi, che ci vagliamo della nostra libertà o a meritare il premio dei buoni o il castigo dei cattivi.

— Ma stando così le cose, che non ostante la prescienza e la predestinazione divina noi restiamo interamente liberi nel fare il bene e salvarci o nel fare il male e dannarci, non sarebbe stato meglio che Iddio non ci avesse data la libertà?

No, caro mio. Se Iddio non avesse dato all’uomo la libertà, non ne avrebbe fatto, come volle, il capolavoro delle sue mani. La libertà è la dote, che ci pone a capo del mondo, è il perno della nostra grandezza e della nostra nobiltà, è il colmo delle nostre rassomiglianze con Dio. Tu sai quello che in proposito dice Dante:

Lo maggior don che Dio per sua larghezza

Fesse creando ed alla sua bontate

Più conformato, e quel ch’ei più apprezza,

Fu della volontà la libertate,

Di che le creature intelligenti,

E tutte e sole, furo e son dotate.

La libertà adunque è cosa per sé eccellente, così alta, così divina, di tale gloria a Dio e a noi, che Egli nella sua infinita sapienza e bontà ha preferito che vi fossero di quelli che ne abusassero, facendo il male e conseguentemente dannandosi, anziché non donarcela. Del resto per la stessa ragione che tu dici il Signore non avrebbe neppure dovuto darci gli occhi, le mani, la lingua, eccetera, perché non possiamo noi servirci, e non vi hanno molti purtroppo, che si servono anche di tali sensi per fare il male e dannarsi? In conclusione: o togliere la libertà all’uomo, o ammettere il male morale e la conseguente dannazione di taluni.

— Qualche cosa ho inteso. Iddio però, se lo volesse, potrebbe impedire in noi l’abuso della libertà, e trascinarci per forza sulla via del bene.

Sì, lo potrebbe benissimo. Ma sarebbe un far violenza alla nostra libertà. Dio vuol trattarci bene e non venir meno alla natura che ci ha dato, né fare con noi come si farebbe con un automa. Questo inoltre sarebbe un diminuire la nostra felicità futura. Quanto ci sarà più dolce il paradiso, pensando che abbiamo dovuto sostener delle lotte contro del male affine di conseguirlo!

— Ciò è verissimo. Ma intanto come conciliare tutto ciò con la bontà divina? Se Iddio è infinitamente buono, perché, sapendo che taluni andranno dannati, nulladimeno li crea?

Questa, amico mio, si può veramente riguardare come la più grave e più spaventosa difficoltà della dottrina cattolica. Cercherò di districarla alquanto ma brevemente, perché nello scandagliare questo mistero, si corre troppo rischio di sbagliare. – Vedi: Iddio è libero di fare quel che vuole e la libertà di Dio è sì gran bene, che non può venire al confronto con nessun bene o nessun male delle creature. Perciò sebbene Iddio preveda che taluno sarà malvagio, non perciò Egli deve rinunziare alla libertà di crearlo. Ma creandolo, lo fa Egli forse a questo fine che sia malvagio? Mai no: Egli lo crea, ancorché preveda che sarà malvagio, ma lo crea col fine che sia buono e si salvi, perciocché è certissimo che Dio vuole di volontà sincerissima che tutti gli uomini, che vengono al mondo, si salvino, e senza eccezione di sorta, perché da tutti senza eccezione vuole praticato il bene ed evitato il male e la conseguente salute eterna di tutti. Inoltre a tutti gli uomini, anche a quelli che andranno dannati, Iddio dà gli aiuti necessari per salvarsi. Dunque se taluni, ricevendo da Dio il benefizio dell’esistenza e gli aiuti necessari a conseguire il loro fine, nulla di meno si dannano, perché abusano di tale benefizio e di tali aiuti, si dovrà dire che Iddio non sia buono, non sia benefico?

— No, certamente.

Aggiungi poi, che dal male morale, che Iddio permette in taluni, male per cui costoro si dannano, Egli sa cavare facilmente sì gran bene, da far risplendere anche in ciò di vivissima luce la sua bontà.

— E come mai?

Ci sono ad esempio degli uomini che fanno molto male e determinano così la loro dannazione? E Iddio di fronte a questi malvagi fa vedere la sua bontà a stimolarli in mille maniere alla penitenza, ad attendere pazientemente che si convertano, a dar loro spazio di tempo perché lo facciano. Vi sono dei malvagi, che non contenti di fare essi il male e andare essi incontro alla dannazione, vorrebbero ancora indurre altri a fare lo stesso, e si valgono a tal fine della loro prepotenza per tentarli o perseguitarli, se non si arrendono alle loro inique voglie? E Iddio manifesta la sua bontà nel sostenere i buoni, nell’aiutarli ad essere vincitori in tale lotta, nel fare sì che in tal guisa si presenti al mondo lo spettacolo delle virtù eroiche praticate dalle sante vergini, dai santi martiri, dai santi d’ogni maniera, che a costo di qualsiasi sacrificio restano fedeli alla sua tede ed alla sua legge. Insomma in un modo o in un altro Iddio cava sempre del bene dal male, e così fa sempre palese, nello stesso male che permette, la sua bontà. – Ma a questo riguardo se trovi ancora delle oscurità, ripensa all’osservazione che già ti feci, che il mistero è sempre mistero, e che se possiamo vederlo chiaro da qualche lato, vederlo chiaro del tutto ci è assolutamente impossibile.

Oggetto adorabile della divozione al SACRO CUORE di GESU’.

Oggetto adorabile della divozione al Sacro Cuore di Gesù.

[Sac. A. Carmignola: IL SACRO CUORE DI GESÙ; S.E.I. Ed. Torino, 1920 – III disc. ]

Iddìo è il primo principio di tutte le cose create e di tutte il conservatore. E poiché ad ogni persona dotata di qualche dote eccellente devesi onore, perciò devesi onore a Dio, perché vi ha in Lui un’eccellenza infinita, che a noi si manifesta specialmente con quella somma onnipotenza ed immensa bontà, con cui dà l’essere a tutte le cose e a tutte le mantiene. Ora l’onore a Dio dovuto gli si offre per mezzo della religione. – Ma l’uomo rispetto alla Religione, come dimostra purtroppo la storia dei passati secoli, non è altro che un povero bambino. Quando il bambino ha fame e la madre non gli è là per dargli il seno, egli allora approssima alla bocca qualsiasi cosa che gli cada sotto la mano, e la divora e la inghiottisce come fosse un alimento di vita, ancorché al contrario fosse veleno e gli recasse la morte. Così rispetto alla religione avviene per l’uomo, allorché si trova fuori della vera Chiesa. Lungi da questa madre divina, la sola che gli offra il vero mezzo di porsi in intima comunicazione con Dio, sospinto dalla fame che di ciò naturalmente ha in cuore, egli converte stupidamente qualsiasi cosa in Dio, si fa de’ falsi dei, si abbandona ad onorarli come fossero il vero Dio, e per dirlo in breve, cade nell’idolatria, cioè nell’aberrazione più abusata dello spirito e del cuore umano. Or bene, o miei cari, lo credereste? Questo delitto così orribile venne pure attribuito da taluni ai devoti del Sacro Cuore di Gesù. Sì, nello stabilirsi del culto al Sacratissimo Cuore non mancarono certi spiriti beffardi, i quali facendosi a schernire i sapientissimi seguaci di questo culto istesso, chiamaronli col nome di cardiolatri, di cordicoli, di adoratori di un viscere. Certamente non vi sarebbe bisogno di far conoscere a voi la falsità di questa accusa. Tuttavia, per rassodarvi sempre più nel culto che rendete al Sacratissimo Cuore, io voglio mostrarvi oggi come l’oggetto di questo culto, sotto qualsivoglia aspetto può considerarsi, vuol essere adorato, e come perciò non è se non con infallibile sapienza che la Chiesa ci invita a rendere tale omaggio al Cuore di Gesù, dicendo: Cor Jesu, charitatis victimam, venite adoremus.

I. — Dio è amore, dice S. Giovanni: Deus charitas est. (I Joan. IV, 8) L’amore è la sua essenza, la sua vita, la sua legge. Contemplando se stesso Egli si vede infinitamente bello, infinitamente buono, opperò infinitamente degno di essere amato; e con uno slancio, che dura da tutta l’eternità, Egli si volge a se stesso ad amarsi d’amore infinito. Ma questo Dio, tutto amore, non solo ama se stesso, ma ama ancora tutte le sue creature. O Dio, esclama il Savio, tu ami tutte le cose che esistono, ed avendole tu fatte non ne odii alcuna: Diligis omnia quæ sunt, et nihil odisti, eorum, quæ fecisti (Sap. XI, 25). Come ciò avvenga non è facile spiegarcelo, perché se si segue la sentenza di S. Dionisio, che ciò che ama Dio nelle sue creature è quella parte di sua bellezza e di sua bontà che in esse ha posto, come non seguire altresì quella dell’Angelico S. Tommaso, il quale asserisce che questa parte di bellezza e di bontà sono già effetto dell’amore di Dio? Ma comunque sia la cosa, ciò che è indubitabile si è, che Dio ama le sue creature. E poiché tra le sue creature tengono un posto principalissimo gli uomini, che Egli ha fatti a sua immagine e somiglianza, è certissimo altresì, che agli uomini porta un amore specialissimo. E chi può dubitarne? – Ascolta bene, o uomo. Tu non esistevi ancora, non esistevano ancora i padri tuoi, anzi non eranvi ancora il cielo, la terra, gli Angeli, e Dio già ti amava, e ti amava da tutta l’eternità. Sì, da tutta l’eternità ti aveva concepito nella sua mente, ti teneva innanzi a sé, pensava a te, a crearti, a farti del bene, ad annoverarti tra i suoi fratelli, tra i figli di Dio, tra gli eredi del cielo, a illuminarti con l’insegnamento delle verità celesti, a confortarti con le sue grazie, ad aiutarti in ogni guisa, perché un giorno avessi poi ad essere con Lui unito per sempre. Così ti amava Iddio. Ma vi era forse in te alcun merito a tanto amore, oppure aveva Iddio alcun obbligo di così amarti? Mai no. Tuttavia Egli ti amò gratuitamente e di amore eterno: In charitate perpetua dilexi te. (IER. XXXI, 3). – Ma ecco che questo Dio che nel suo pensiero ti amava da atta l’eternità si pone per te ad attuare i suoi disegni d’amore. Per te crea il mondo con tutte le sue meraviglie e per te lo conserva. Per te incessantemente somministra alle creature la forza che le sostiene e la costanza che le fa resistere; per te fa spuntare il sole sull’orizzonte, fa brillare le stelle, fa discendere le piogge, fa vivere gli animali, fa germogliare le piante e produrre i frutti, per te insomma apre la sua mano divina a spargere su tutti gli esseri la sua benedizione e a diffondere nei medesimi la vita. E poi con le sue stesse mani prende la creta e forma il tuo corpo, e dalla sua bocca spira in te l’alito di vita. E con quest’alito ti dà l’intelletto, la volontà, la libertà, la memoria, l’immaginazione, i1 cuore, il pensiero, la parola e tanti altri doni che formano di te il re della creazione. Più ancora, Egli ti innalza ad uno stato meraviglioso e soprannaturale, sicché gli Angeli fuori di sé per lo stupore, vanno chiedendo a Dio: E chi è mai l’uomo che tu hai fatto sì grande, ed al quale hai rivolte tutto le tenerezze del tuo cuore? Quid est homo quia magnificas eum? aut quid apponis erga eum cor tuum? (IOB. VII, 17) Ma ciò non è tutto. Poiché sgraziatamente per la colpa sei caduto dalla tua grandezza, e sei precipitato in un abisso di miserie, per rialzartene impone al suo Figlio Divino di lasciare il cielo, venire in terra, di farsi uomo e di sacrificarsi per te. Ed eccolo, questo Divin Figlio, obbediente alla voce del suo divin Padre, nascere in una povera stalla e fra gli orrori di una cruda stagione, eccolo sottostare alle persecuzioni di un re geloso e pigliar la via dell’esilio, eccolo menare la vita prima tra gli stenti e tra le fatiche nell’umile bottega di un fabbro falegname, e poi tra l’ingratitudine, il disprezzo, e le minacce di uomini protervi ed invidiosi; eccolo oppresso dal timore, dal tedio, dalla tristezza mortale agonizzare e sudar sangue in un orto; eccolo dopo aver passato tra un popolo facendo del bene e dando a tutti gli infermi la sanità, lasciarsi catturare come vile malfattore, trascinare carico di catene dall’uno all’altro tribunale, flagellare orrendamente a sangue, incoronare di spine e condannare iniquamente a morte; eccolo al fine, portata Egli medesimo la croce sulla cima di un monte, lasciarsi affiggere ed inalberare su di essa, e su di essa dopo aver agonizzato per tre ore in un mar di tormenti, spirar l’ultimo fiato. Oh amore! oh amore! Ben ha ragione l’Apostolo S. Giovanni di esclamare: Sic Deus dilexit mundum ut Filium suum unigenitum daret. (III, 16) Ma pure ciò non basta ancora. Perciocché questo Figlio Divino, che dopo essersi sacrificato per noi sulla croce, deve risorgere e salire al cielo per preparare lassù un luogo anche a noi, prima di salirvi Egli trova il modo di rimanere in mezzo a noi con la sua reale presenza sino alla fine del mondo, di perpetuare tra di noi il sacrificio di se stesso al suo Divin Padre per la nostra salute, di diventare il cibo spirituale e celeste delle anime nostre. O Santissima Eucarestia, non ci parli tu in modo sopra ogni altro eccellente dell’amore immenso di Dio per noi? Sì, senza dubbio, per te tutti gli amori sono vinti; per te, Iddio ha esaurite le ricchezze della sua bontà; per te ci ha dato tutto ciò che poteva darci: Sic Deus dilexit! – Or bene, o miei cari, di questo immenso amore di Dio per noi è simbolo per l’appunto il Sacratissimo Cuore di Gesù. Epperò questo Cuore Sacratissimo, quando pure non fosse altro che il segno simbolico di quest’amore, giustissimamente sarà da noi adorato, perché in sostanza l’adorazione nostra avrà per oggetto supremo alcunché di divino. Forse che gli uomini, e coloro medesimi che insultano le pratiche del culto cattolico, non tributano ancor essi un qualche culto a quei segni che ci ricordano qualche cara persona o simboleggiano qualche sua bella dote? Perché talvolta sì grande venerazione ed amore ad una spada, ad un abito, ad uno strumento, ad un piccolo ritratto, ad una ciocca di capelli, ad un fiore appassito? Quegli eretici e quegli increduli che con tanta facilità si fanno a qualificare di superstizioso ed idolatrico il culto che noi, veri Cattolici, rendiamo ai simboli ed alle memorie delle perfezioni di Dio, di Gesù Cristo, della Vergine e dei Santi, si mettono in aperta contradizione con se stessi. Perciocché tra cotesti eretici ed increduli v’hanno sin di coloro, che conservano religiosamente il cuore di Zwinglio, uno dei laro maestri, di coloro che mostrano ed onorano i calzoni di Lutero, di quelli che tengono in devota venerazione il bastone e la tabacchiera di Voltaire! Tanto è vero anzi tutto che chi cessa di essere religioso e credente e si fa a beffare la religione e la fede, diventa egli credulo e superstizioso, e tanto è vero altresì che tale è l’istinto naturale del nostro cuore, che ne spinge a legare ad un oggetto qualsiasi il ricordo delle altrui virtù e i più cari sentimenti dell’altrui stima e dell’altrui amore. Ora se tributasi un culto ad un segno che ricordi una persona umana, ad un simbolo di una qualche sua rara qualità, non si dovrà tributare un culto, ed il culto supremo, il culto di adorazione, a quel Cuore che ci ricorda e ci simboleggia la carità di un Dio per noi? Sì, certamente, anche per sola ragione il Cuore Sacratissimo di Gesù è Cuore adorabile.

II. — Ma ciò non basta. Il Cuore di Gesù vuol essere adorato, perché fu in realtà il principale strumento dell’amor divino per noi, l’organo che risentì maggiormente tutti gli affetti e tutti gli strazi, a cui Gesù Cristo fu assoggettato nel compiere l’opera della nostra redenzione. Ponete ben mente. Come nei corpi vi ha un centro di gravitazione, così ve ne ha uno nella nostra vita fisica e morale, e questo centro di azione della nostra doppia vita è il cuore. Io non ignoro che vi sono degli scienziati che contrastano al cuore la sovranità che i popoli gli attribuiscono, volendo far cadere ciò che essi chiamano il prestigio e la poesia del cuore. Ma checché essi dicano e scrivano, non riusciranno tuttavia giammai ad impedire che il cuore sia in realtà l’organo che principalmente si risente delle affezioni dell’anima. Esso è per così dire il termometro di quella interna atmosfera, che a seconda dei casi, or lieti, or tristi, or piacevoli, ora dolorosi, invade l’anima. Di fatti a seconda di tali casi ora balza nel petto, ora accelera i suoi battiti., ora si dilata, ora si restringe, ora si infiamma, ora si raffredda, ora si consuma ed ora vien meno. Ma fra tutte le passioni dell’anima tiene il primo posto l’amore; anzi, come insegna l’Angelico dottore S. Tommaso, non vi ha alcuna passione, che non presupponga l’amore e della quale l’amore non sia fonte. Perocché in tutta la vita dell’uomo è propriamente l’amore, che con il suo movimento le dà impulso. L’intelligenza guarda, la volontà comanda, ma l’amore è quello che va ed eseguisce; l’amore spira, l’amore chiama, l’amore si slancia, l’amore si precipita, l’amore gravita traendo seco tutto ciò che gravita intorno a lui: essendo che dove tende il nostro amore, là tendono i nostri desiderii ed aspirazioni, le nostre parole, le nostre opere, le nostre virtù, e pur troppo anche i nostri vizi, secondo che il nostro amore è ordinato o disordinato. Quæcumque feror, amore feror, ha detto assai egregiamente S. Agostino, perché pondus meum, amor meus; il peso della mia vita è il mio amore. Se adunque fra tutte le passioni dell’anima tiene il primo posto l’amore, e se il cuore è nel corpo umano l’organo che più si risente delle passioni dell’anima, è chiaro perciò che il cuore è l’organo che per eccellenza sente e misura la passione dell’amore. Non basta. Il cuore situato, quasi sovrano degli altri organi, pressoché in mezzo del corpo, è desso che mette in moto senza alcuna posa il sangue e lo manda a nutrire tutte le altre parti del corpo, e ad infondere in esse la vita. Cosicché quando taluno arriva a questa prova suprema di amore per alcun altro, da versare per lui il suo sangue, in quest’uomo generoso è il cuore propriamente che si esaurisce e che col sangue spinge fuori di sé la vita. – Ciò riconosciuto, torna facilissimo il vedere come il Cuore Sacratissimo di Gesù Cristo non sia soltanto il simbolo dell’amore divino per noi, ma ancora lo strumento di tale amore, quell’organo, che nel corpo di Gesù Cristo per cagione di tale amore provò le più vive sensazioni, l’organo anzi, da cui l’amore divino mandò fuori il sangue preziosissimo col quale si operò la nostra redenzione. Difatti era nel Cuore di Gesù Cristo intenerito, che Iddio si inteneriva alla vista dei fanciulli e provava un’insolita gioia nell’accarezzarli e nel benedirli. Era in questo Cuore infiammato, che Dio si infiammava di santo sdegno al pensiero di chi avrebbe scandalizzate queste animucce da Lui predilette. Era in questo Cuore commosso dei sordi, dei muti, degli storpi, dei lebbrosi, degli ossessi, dei peccatori, e si sentiva spinto a manifestare in loro prò, la sua potenza e la sua bontà. Era in questo Cuore dilatato che Dio dilatava la sua bontà nell’intrattenersi con gli Apostoli, con i discepoli, con gli amici e confidenti, facendo loro intendere parole di vita eterna. Era in questo Cuore balzante nel petto di Gesù, che Iddio in quell’istante da Lui tanto sospirato giubilava di allegrezza instituendo il Sacramento dell’amore. Era in questo Cuore insomma, che Iddio sentiva tutte quante le espressioni molteplici della sua passione d’amore per gli uomini. Ma fu da questo Cuore soprattutto, che nell’agonia del Getsemani, oppresso dalla paura, dal tedio e dalla tristezza, alla vista degli acerbissimi patimenti cui andava incontro, dei peccati degli uomini che gli gravitavano sopra, e delle nere ingratitudini, fu da questo Cuore, dico, che Iddio risospinse il sangue che trasudava per tutte le membra del corpo di Gesù Cristo, e gocciolava a terra. Fu per questo Cuore che sulla croce, esausto ormai per il sangue versato nella flagellazione, nella coronazione di spine e nella crocifissine, manifestò la sete divina di tutte le anime del mondo. Fu infine da questo Cuore, che ferito dalla lancia di un soldato, fece uscire le ultime gocce di sangue e di acqua che ancor vi restavano, per figurare quei fiumi di grazia che avrebbe versato mai sempre sopra di noi, per mezzo de’ suoi Sacramenti. – Or dunque se il Cuore di Gesù Cristo è desso propriamente il centro di tutti i movimenti amorosi di Dio per noi, e lo strumento precipuo di cui Iddio si valse in tutte le prove che Egli ci ha dato della sua carità divina, e specialmente nelle supreme, se insomma il Cuore di Gesù è la sede dell’amore di Dio per gli uomini, non merita esso il nostro culto, ed il culto supremo di adorazione? Sì, senza dubbio, perché adorando questo Cuore, noi adoriamo, come siamo in dovere, la carità divina. Epperò ben a ragione la Chiesa, nostra sapientissima ed infallibile maestra, nell’atto stesso che chiama con tanta proprietà il Cuore di Gesù Vittima di carità, ci invita ripetutamente ad adorarlo: Cor Jesu, charitatis victimam, venite adoremm. Sì, il Cuore di Gesù Cristo fu la parte principale di quella Vittima umana-divina che si sacrificò per la salute del mondo, epperò « è ben degno di ricevere la virtù, e la divinità, e la sapienza, e la fortezza, e l’onore, e la gloria, e la benedizione, » (Ap. V, 12) è ben degno insomma di essere adorato.

III. — Ma ecco un’ultima e suprema ragione, per cui al Sacratissimo Cuore è dovuto il culto di adorazione. La verità che forma la base, il centro ed il fine di nostra santa Religione, è la Divinità di Gesù Cristo. Se Gesù Cristo non fosse Dio, come spiegare l’esistenza del Cristianesimo? Ogni effetto suppone una causa; e come il mondo con la sua esistenza, con i suoi movimenti, con le sue bellezze ed armonie ci fa credere al supremo Creatore e Governatore, così il mondo cristiano, che si trova sparso da per tutto e che, sebbene in apparenza più piccolo dell’universo, è in realtà di una grandezza immensamente superiore, ci deve far credere a Gesù Cristo Dio, che lo ha fondato ed ordinato. Senza la divinità di Gesù Cristo, il Cristianesimo sarebbe un cumulo di effetti i più mirabili senza causa, di opere le più sorprendenti senza fattore. Anzi, se Gesù Cristo non fosse Dio, non solo non si potrebbe spiegare l’esistenza del Cristianesimo, ma questo, come immenso edificio campato in aria senza fondamento ed esposto alla furia di tutti i venti, dovrebbe tosto sfasciarsi e andare in rovina. Ma quale verità vi ha mai, che sia meglio comprovata della divinità di Gesù Cristo? Venuto Egli al inondo per salvarlo, si è fatto perciò vero uomo, prendendo la nostra umana natura. Ma prendendo nella sua Persona la nostra umana natura, non lasciò di conservare la natura divina e di restare vero Dio, quale già esisteva ab aeterno, Figliuolo di Dio eguale al Padre ed allo Spirito Santo, con essi Creatore del Cielo e della terra, e Padrone assoluto di tutte le cose. E vero Dio lo dissero i profeti, che tanti secoli innanzi la sua venuta, illuminati da Lui, ne annunziarono la nascita, la vita, la passione, la morte, la risurrezione e l’ascensione al Cielo con tutte le loro circostanze più minute e particolari. Vero Dio lo credettero gli uomini dell’antico testamento, sospirando che Ei rompesse i cieli e ne scendesse a rallegrarli con il suo divino aspetto. Vero Dio si proclamò Egli stesso in faccia ai suoi discepoli e confidenti, in faccia al popolo ed ai magistrati, nel corso della sua vita e al punto stesso della morte. Vero Dio lo manifestarono il suo spirito il più sublime ed il più semplice ad un tempo, il suo Cuore il più amante e il più puro, la sua volontà la più ferma e la più retta. Vero Dio lo chiarirono i miracoli d’ogni sorta da Lui operati sugli infermi risanandoli da ogni languore, sui morti risuscitandoli in vita, sul mare e sui venti burrascosi acquietandoli all’istante, su pochi pani e pochi pesci moltiplicandoli per saziare migliaia di persone. Vero Dio lo dimostrarono le profezie fatte da Lui medesimo sulla sua morte, sulle circostanze che la accompagnarono, sulla gloriosa sua risurrezione, sull’eccidio di Gerusalemme, sulle tribolazioni e morte de’ suoi discepoli, sulla conversione del mondo, sulla diffusione del Vangelo, sullo stabilimento della sua Chiesa e sull’immortale sua vita. Vero Dio lo proclamarono i Giudei medesimi, amici e nemici, quelli con l’abbracciarne la religione, questi con il dannarlo a morte, sotto il mendicato pretesto che Ei facevasi Dio. Dio lo gridarono gli stessi soldati romani che, per ordine di Pilato, messolo in croce, avevano assistito al suo estremo supplizio. Dio lo dimostrarono l’oscurarsi del sole, il tremar della terra, il piangere di tutta la natura, come sulla tomba del suo divino Autore; Dio lo palesò la sua gloriosa risurrezione che atterrì le guardie, e pose in scompiglio e tolse persino il senno ai capi della Sinagoga; Dio lo predicarono da un capo all’altro della terra gli Apostoli, operando col nome suo non mai visti né uditi prodigi, dando tutti la vita in conferma di questa verità essenziale; Dio lo riconobbe il mondo pagano, che a Lui rapidamente si diede, abbandonando gli adorati idoli, rovesciandone gli altari, distruggendone i templi, e sulle loro rovine piantando e adorando la croce; Dio lo confessarono in ogni tempo sulle grate infuocate, tra le fauci delle fiere, sulla punta delle spade milioni di martiri di ogni età, sesso e condizione, morendo con giubilo e gridando: « Gesù Cristo è Dio, Lui adoriamo: con Lui regneremo in eterno. » Dio lo ossequiarono le menti più colte, i guerrieri più prodi, i Signori ed i Monarchi più potenti. Dio lo mostra ancora la sua Religione, la sua Chiesa, combattuta sempre, e vinta non mai. Dio lo manifesta l’amore invincibile che dopo tanti secoli di sua mortale carriera, a malgrado di tante persecuzioni, a costo di tanti sacrifici gli serbano i popoli, come figli ad un padre morto pur ora. Dio finalmente lo attesta quell’odio medesimo, così costante e così implacabile, che ebbero contro di Lui i suoi nemici, ed i bestemmiatori del suo santo Nome. Perciocché l’odio feroce contro Gesù Cristo si trova forse negli adoratori e amanti di Dio? Ah! l’odio che costoro professano contro Gesù Cristo è figlio della fede che hanno in Lui, e dall’accento con cui dicono: « Gesù Cristo non è Dio » è facile conchiudere « Gesù Cristo è Dio. » Sì, Gesù Cristo è Dio, ecco l’affermazione universale e perpetua dell’umanità. E contro di questa affermazione potrà levarsi per poco l’orgoglio degli anni giovanili, gettati in preda alle passioni, l’orgoglio più altero di una scienza vana e falsa, l’orgoglio anche più sfrenato di un esito apparentemente felice nella guerra ingaggiata contro l’opera di Gesù Cristo stesso: ma quando le passioni sono calmate, quando l’ebbrezza della scienza mondana è passata, quando la sventura ha colpito e fiaccato d’un tratto l’umana alterigia, allora, salvo rarissime eccezioni, si ritorna a quell’affermazione, che nostra madre tenendoci stretti alle sue ginocchia ci faceva ripetere negli anni dell’infanzia: « Figlio mio, chi è Gesù Cristo? » — « O mamma, Gesù Cristo è Dio. » In Gesù Cristo adunque, Verbo divino fatto carne per la nostra salute, vi sono due nature, la natura divina e la natura umana, ma non vi ha che una sola Persona, la Persona divina. Ora poiché tanto la natura divina, quanto la natura umana sussistono nella sola Persona divina di Gesù Cristo, sia che si riguardi Gesù Cristo secondo la natura divina, sia che si riguardi secondo la natura umana, sia che si consideri in Lui lo spirito purissimo che è come Dio, sia che si consideri la carne di cui Egli, seconda Persona della SS. Trinità, si rivestì nel venire sulla terra ad operare la nostra redenzione, sempre vuol essere onorato col supremo culto di adorazione, con cui si onora la Divinità. E la ragione di ciò, del tutto conforme alla dottrina della Chiesa, è assai chiaramente espressa da S. Giovanni Damasceno. Egli dice: « Uno è Gesù Cristo, perfetto Iddio e perfetto uomo, che noi col Padre e con lo Spirito Santo adoriamo di una sola adorazione insieme con la Carne Immacolata. Né ricusiamo di adorare la Carne, poiché l’adoriamo nella Persona del Verbo, che in sé l’ha assunta; né per questo adoriamo una creatura, poiché non adoriamo la Carne presa da sé sola, ma come congiunta alla divinità, e perché le due Nature di Lui sono unite nella Persona del divin Verbo. » Così adunque, come ci spiega questo Santo, anche la Carne assunta da una Persona divina, vuol essere da noi adorata. Epperò ben a ragione la Chiesa, fin dal V° Concilio Ecumenico, contro di coloro che avrebbero voluto sottrarre al culto di adorazione la Carne di Gesù Cristo, pronunziò questa condanna: « Se alcuno ricusa di adorare con una sola e medesima adorazione il Verbo divino e la Carne ond’è rivestito … sia scomunicato. » – Or bene, o miei cari, quello che la dottrina Cattolica stabilisce relativamente a tutta l’Umanità di Gesù Cristo, si ha da dire anche in particolare del suo Cuore. Esso è una parte nobilissirna della stessa Umanità di Gesù Cristo, e per conseguenza con tutto il restante di essa è veramente e realmente unito alla Persona del Divin Verbo, anzi come tutta la restante Umanità non altrimenti sussiste ed esiste se non per questa stessa vera e reale unione. Quindi è, che questo cuore non è solamente il cuore di un uomo per quanto nobile, eccellente e santo, ma è il cuore di un Uomo-Dio, è il cuore della seconda Persona divina, incarnatasi e fattasi uomo, in una parola è, a tutto rigore, il cuore di un Dio. Se adunque il Cuore di Gesù Cristo, il suo Cuore reale, appartiene all’integrità personale di Gesù Cristo e devesi sempre considerare unito alla Divina Persona di Lui, deve essere adorato, e adorandolo altro non si fa che adorare tutto intero Gesù Cristo, vero Dio e vero Uomo. E se vi ha chi stoltamente ci deride e ci compassiona, quasi idolatri, perché nella divozione al Sacro Cuore gli rendiamo il culto supremo di adorazione, riconosciamo che egli piuttosto meriterebbe di essere deriso e compassionato per la sua ignoranza. – Ma più ancora prendiamo di lì eccitamento ad onorare sempre più profondamente quel Cuore che tanto merita di essere onorato. Il santo Re David nel condurre l’Arca del Signore  in luogo più degno, deposta la reale maestà, camminando innanzi all’arca, faceva atti di santa gioia e di profonda umiliazione. Lo vide dalla finestra sua moglie Michol, ed oltre all’averlo disprezzato nel suo cuore, si fece ancora in seguito a schernirlo con amare parole. Ma il santo re tosto le rispose: « Al cospetto del Signore io mi abbasserò e mi renderò ancor più abbietto di quel che ho già fatto, perché si tratta del mio Dio. » Così, o carissimi, al disprezzo, con cui taluno ricoprisse la vostra pietà, il vostro culto al Sacro Cuore di Gesù, rispondete sinceramente in cuor vostro: Al cospetto del Cuore adorabile di Gesù Cristo mi abbasserò e mi umilierò anche di più, perché il Cuore di Gesù Cristo è Cuore di Dio. Sì, o Cuore Sacratissimo di Gesù, Cuore simbolo per eccellenza dell’amore di Dio per noi, Cuore sede e strumento di tale amore, Cuore realmente divino, noi vi presteremo mai sempre l’omaggio delle nostre adorazioni. Come vi hanno adorato gli Angeli al primo vostro comparire sulla terra e come oggi vi adorano i beati tutti del Cielo, così vi adoriamo anche noi. Vi adoriamo con la mente ed inchiniamo dinnanzi a Voi tutte le sue facoltà; vi adoriamo col cuore e vi offriamo i suoi affetti; vi adoriamo col corpo e vi pieghiamo riverenti le nostre ginocchia. E Voi nella bontà vostra infinita, degnatevi di gradire gli omaggi della nostra totale adorazione e di compensarli per modo che, un giorno, possiamo venire a perpetuarli lassù nel regno dei cieli, con gli Angeli e coi Santi. Così sia.

PASSIONE, RESURREZIONE E TRIONFO FINALE DI GESU’ CRISTO NELLA SUA CHIESA

PASSIONE, RESURREZIONE E TRIONFO FINALE DI GESU’ CRISTO NELLA SUA CHIESA.

[Mons. G. De Segur. “Œvres” tom. X, 3a Ed.: “Je crois” PARIS LIBRAIRIE SAINT – JOSEPH TOLRA, LIBRAIRE-ÉDITEUR; 112, RUE DE RENNES, Ed. 1887]–

Cap. III,
GESÙ-CRISTO REDENTORE E CAPO DELLA CHIESA

Gesù-Cristo e la Chiesa formano un tutt’uno indivisibile; la sorte dell’Uno, è la sorte dell’altra; e così come dove si trova la testa, là deve ugualmente trovarsi il corpo, allo stesso modo i misteri che si sono compiuti in Gesù-Cristo, durante la sua vita terrena e mortale, devono compiersi nella sua Chiesa durante la sua vita militante quaggiù. Gesù-Cristo ha avuto la sua Passione e la sua Crocifissione. La Chiesa deve anch’essa avere la sua Passione e la sua crocifissione finale. Gesù-Cristo è resuscitato ed ha trionfato miracolosamente sulla morte. La Chiesa resusciterà, e trionferà su satana ed il mondo, con il più grande e prodigioso dei miracoli: quella della resurrezione istantanea di tutti gli eletti, nel momento in cui Nostro-Signore Gesù-Cristo, attraversando i cieli, ne discenderà pieno di gloria con la sua Madre santa e tutti i suoi Angeli. Infine Gesù-Cristo, Capo della Chiesa, è salito corporalmente in cielo nel giorno dell’Ascensione: a sua volta la Chiesa, resuscitata e trionfante, salirà in cieli con Gesù per gioire con Lui, nel seno di Dio, della beatitudine eterna. Noi non conosciamo in maniera certa « né il giorno né l’ora » (Vigilate et orate, quia nescitis diem neque horam. – Ev. S. Matth., c. XV, 13.), in cui avverranno tali cose. Ciò che sappiamo, in modo generico ma infallibile, perché rivelato da Dio, è che « la fine verrà quando il Vangelo sarà predicato nel mondo intero, al cospetto di tutti i popoli. » (Et prædicabitur hoc Evangelium regni in universo orbe, in testimonium omnibus gentibus: et tunc veniet consummatio. – Ibid., XXIV. 14.). Ciò che noi sappiamo, è che prima che queste cose supreme e spaventose si avverino, e che costituiscono la Passione della Chiesa ed il regno dell’antiCristo, si avrà, dice San Paolo, l’apostasia (Nisi venerit discessio primum. – II ad Thess., II, 3.): l’apostasia ufficiale delle nazioni cristiane, l’apostasia generale o quasi generale dalla fede della santa Chiesa e dal Pontefice Romano (Defectio et rebellio illa insignis, plena et generalis qua scilicet pleræque et passim omnes gentes discedent et déficient tum a Romano Pontifice et Ecclesia, tum a fide et Christo. – Corn. a Lap., in loc. cit.). Infine, ciò che noi sappiamo, è che in questa epoca spaventosa, il carattere generale della malattia delle anime, sarà il rilassamento universale della fede ed il raffreddamento dell’amore divino, in seguito al sovrabbondare dell’iniquità. Agli Apostoli, che avevano domandato a nostro Signore, da quali segni i fedeli avessero potuto riconoscere l’avvicinarsi degli ultimi tempi, Egli rispose loro: dapprima ci saranno grandi seduzioni, e molti falsi dottori, molti seminatori di false dottrine riempiranno il mondo di errori seducendone un gran numero (Tunc scandalizabuntur multi. Et multi, pseudoprophetæ surgent, et seducent multos. – Ibid., 10, 11.); poi ci sarebbero state grandi guerre e si sarebbe sentito parlare solo di grandi combattimenti, e che regno si sarebbe levato contro regno (Auditum enim estis prœlia et opiniones prœliorum… Consurgent enim gens in gentem, et regnum in regnum. – Ibid., 6, 7.); – che da ogni luogo poi si avranno flagelli straordinari, malattie contagiose, eidemie, carestie e grandi tremori di terra (Et erunt pestilentiæ, et famés, et terræ motus per loca. – Ibid., 7.) . « E tutto questo, aggiunse il Salvatore, non sarà che l’inizio “dei dolori” (Hæc autem initia sunt dolorum. – Ibid., 8.). satana e tutti i demoni ne saranno la causa e, sapendo che non resta loro molto tempo, raddoppieranno il furore contro la santa Chiesa: faranno un ultimo sforzo per annientare, distruggere la fede e tutta l’opera di Dio. La rabbia della loro caduta distruggerà la natura, (Projectus est (satanas) in terram, et angeli ejus cum illo missi sunt…Væ terræ, et mari, quia descendit diabolus ad vos, habens iram magnam, sciens quod modicum tempus habet. – Apoc, XII, 9, 12.), i cui elementi, come detto, resteranno fino alla fine sotto le influenze malefiche degli spiriti cattivi. Allora comincerà la più terribile persecuzione che la Chiesa abbia mai conosciuto, degna delle atroci sofferenze che il suo divin Capo ebbe a soffrire nel suo corpo sacratissimo, a partire dal tradimento di Giuda. Nella Chiesa pure ci saranno scandalosi tradimenti, immense e lamentevoli defezioni; davanti all’astuzia dei persecutori e l’orrore dei supplizi, molti cadranno, anche tra i sacerdoti, anche tra i Vescovi: « le stelle dei cieli cadranno », dice il Vangelo. E i Cattolici fedeli saranno odiati da tutti, a causa di questa stessa fedeltà (Multi venient in nomine meo, … et multos seducent… Tunc tradent vos in tribulationem, et occident vos: et eritis odio omnibus gentibus propter nomen meum. – Ev. S. Matth., XXIV, 5, 9.) . Allora, colui che S. Paolo chiama « l’uomo del peccato ed il figlio della perdizione » (Homo peccati, filius perditionis. – II ad Thess., II, 3.) l’antiCristo, comincerà il suo regno satanico e dominerà tutto l’universo. Egli sarà investito dalla potenza a dalla malizia di satana (Et dedit illi draco virtutem suam et potestatem magnam. – Apoc. XIII 2.). egli si farà passare per il Cristo, per il Figlio di Dio; si farà adorare come Dio, e la sua religione, che non sarà altra cosa se non il culto di satana e dei sensi, si ergerà sulle rovine della Chiesa e sui detriti di tutte le false religioni che copriranno allora la terra (Adversatur et extollitur supra omne quod dicitur DEUS, aut quod colitur, ita ut in templo DEI sedeat ostendens se tamquam sit DEUS. – II ad Thess. II, 4.). L’antiCristo sarà una sorta di Cesare universale, che estenderà il suo impero su tutti i re, su tutti i popoli della terra; questo sarà un’infame parodia del Regno universale di Gesù-Cristo. satana gli susciterà un “sommo sacerdote”, parodia sacrilega del Papa; e questo sommo sacerdote farà predicare ed adorare l’antiCristo su tutta la terra. Per virtù di satana farà grandi prodigi, fino a far scendere fuoco dal cielo in presenza degli uomini; e per mezzo di questi prestigi, sedurrà l’universo. Egli farà adorare, sotto pena di morte, l’immagine dell’antiCristo; e questa immagine sembrerà vivere e parlare; ugualmente, sotto pena di morte, comanderà che tutti, senza eccezione, portino in fronte e sulla mano destra il segno della bestia, cioè il segno dell’antiCristo. Chiunque non porterà questo segno, non potrà né vendere né comprare, chiunque esso sia (Et vidi aliam Bestiam… Et potestatem prioris Bestiæ omnem faciebat in conspectu ejus: et fecit terram, et habitantes in ca, adorare Bestiam primam… Et fecit signa magna ut etiam ignem faceret de cœlo descendere in terram in conspectu hominum. Et seduxit habitantes in terra propter signa, quæ data sunt illi facere in conspectu Bestiæ, dicens habitantibus in terra, ut faciant imaginem Bestiæ… Et datum est illi ut daret spiritum imagini Bestiæ, et ut loquatur imago Bestiæ: et faciet ut quicunque non adoraverint imaginem Bestiæ, occidantur. Et faciet omnes… habere characterem in dextera manu sua, aut in frontibus suis. Et ne quis possit emere aut vendere, nisi qui habet characterem aut nomen Bestiæ. – Apoc. XIII, 11-17). Intorno all’immagine dell’antiCristo, i prestigi di satana saranno tali, che quasi tutto il mondo li scambierà per veri miracoli; e gli eletti stessi alla lunga potranno essere sedotti ; ma a causa degli stessi eletti, il Signore abbrevierà questi giorni (Dabunt signa magna et prodigia, ita ut in errorem inducantur (si fieri potest) etiam electi… Sed propter electos breviabuntur dies illi. – Ev. Matth., XXIV, 22, 24). « L’abominio della desolazione regnerà nel luogo santo (Cum videritis abominationem desolationis,… stantem in loco sancto. (Ibid., 15.) », per tre anni e mezzo, durante « quaranta due mesi (Et data est ei potestas facere menses quadraginta duos. – Apoc, XIII, 5.) », corrispondenti alle quarantadue ore che sono trascorse, come abbiamo già detto, dall’inizio delle tenebre della crocifissione di Gesù, il Venerdì Santo, fino all’ora della resurrezione, la Domenica di Pasqua, al sorgere del sole. Benché sempre visibile e composta dai suoi elementi essenziali, la Chiesa sarà, in tutto questo tempo, crocifissa, come morta e sepolta. Sarà dato all’antiCristo di vincere i servi di Dio e di far piegare, sotto il suo giogo, tutti i popoli e tutte le nazioni della terra; e, salvo un piccolo numero di eletti, tutti gli abitanti della terra lo adoreranno, nel tempo stesso in cui adoreranno satana, autore della sua potenza (Et datum est illi (Bestiæ) bellum facère cum sanctis, et vincere eos. Et data est illi potestas in omnem tribum, et populum, et linguam, et gentem: et adoraverunt eam omnés qui inhabitant terram, quorum non sunt scripta nomina in Libre vitæ Agni… Et adoraverunt draconem, qui dedit potestatem Bestiæ; et adoraverunt Bestiam. (Ibid., VII, 8,4.). Se in precedenza il feroce Diocleziano ha potuto credere per un istante che egli avesse definitivamente distrutto il nome di Cristiano, che sarà in quei tempi dei quali quelli di Diocleziano e di Nerone non saranno che un pallido simbolo? L’antiCristo proclamerà orgogliosamente la decadenza del Cristianesimo, e satana, padrone del mondo, si crederà per un istate essere il vincitore. Ma nello stesso tempo, come ci insegnano le Scritture e la Tradizione, si leveranno contro l’antiCristo « i due grandi testimoni (Et dabo duobus testibus meis. (Ibid., XI, 3) » di Gesù-Cristo, riservati per questi ultimi giorni, vale a dire il Patriarca Henoch ed il Profeta Elia, che non sono morti, come espressamente insegna la Scrittura. Essi verranno a predicare le vie del Signore,  predicheranno Gesù-Cristo ed il regno di Dio per mille e duecentosessanta giorni, cioè per la quasi intera durata del regno dell’antiCristo. La virtù di Dio li proteggerà e li conserverà. Essi avranno il potere di chiudere il cielo ed arrestare la pioggia per tutto il tempo della loro missione … avranno il potere di cambiare le acque in sangue e di colpire la terra con ogni sorta di piaghe. (Et prophetabunt diebus mille ducentis sexaginta… Et si quis voluerit eis nocere, ignis exiet de ore eorum, et dévorabit inimicos eorum: et si quis voluerit eos lædere, sic oportet eum occidi. Hi habent potestatem claudendi cœlum, ne pluat diebus prophetiæ ipsorum; et potestatem habent super aquas convertendi eas in sanguinem, et percutere terram omni plaga quotiescumque voluerint. – Ibid., 3, 4, 5, 6.). Essi faranno miracoli senza numero, simili a quelli di Mosè ed Aronne (se ne può vedere la recita profetica in diversi passaggi dell’Apocalisse, la quale, come ognuno sa, è la grande profezia degli ultimi tempi della Chiesa), quando combatterono in Egitto l’empio faraone e prepararono la liberazione del popolo di Dio. Come Mosè ed Aronne, i due testimoni di Gesù-Cristo scuoteranno l’impero ed il prestigio del “maledetto”. Non di meno, questi perverrà ad impossessarsi di loro, ed essi subiranno il martirio … « là dove è stato crocifisso il Signore (In plateis civitatis magnæ, ubi et Dominus eorum crucifixus est. (Apoc, XI, 8), » vale a dire a Gerusalemme; o forse a Roma, ove l’ultimo Papa sarà stato crocifisso dall’antiCristo, secondo una tradizione immemorabile … Dopo tre giorni e mezzo, i due grandi precursori del Re di gloria, resusciteranno davanti a tutti i popoli, saliranno in cielo su di una nube, nel corso di un tremendo terremoto che seminerà il terrore dappertutto. (Et post dies très, et dimidium, spiritus vitæ a Deo intravit in eos. Et steterunt super pedes suos, et timor magnus cecidit super eos, qui viderunt eos … Et ascenderunt in cœlum in nube… Et in illa hora factus est terræ motus magnus. – Ibid,, 11, 12, 13.). Per mostrare la sua potenza, l’antiCristo, scimmiottando la trionfale Ascensione del Figlio di Dio e dei grandi Profeti, tenterà anch’egli di salire in cielo, in presenza dell’élite dei suoi adepti. Ed allora Nostro Signore Gesù-Cristo, simile al fulmine che squarcia il cielo dall’Oriente all’Occidente, apparirà improvvisamente sulle nubi, in tutta la maestà della sua potenza (Sicut enim fulgur exit ab oriente, et paret usque in occidentem; ita erit et adventus Filii hominis… Et videbunt Filium hominis venientem in nubibus cœli cum virtute multa et majestate. (Ev. S. Matth., XXlV, 27, 30.), colpendo con il suo soffio sia l’antiCristo, sia satana ed i peccatori. Tutto questo è predetto in termini formali (Ipse Dominus in jussu, et in voce Archangeli, et in tuba Dei, descendet de cœlo. – I ad Thess., IV, 15.). Come abbiamo detto, l’Arcangelo Michele, il principe della milizia celeste, farà udire in tutta la terra il grido di trionfo che resusciterà tutti gli eletti (Et mittet Angelos suos cum tuba et voce magna; et congregabunt electos ejus. – Ev. S. Malth., XXIV. 31). Questo sarà il “Consummatum est” della Chiesa militante, che entra per sempre nella gioia del Signore. Questa « voce dell’Arcangelo » sarà accompagnata da una combustione universale, che purificherà e rinnoverà tutte le creature profanate da satana, dal mondo e dai peccatori. La Fede ci insegna, in effetti, che nell’ultimo giorno, Gesù-Cristo deve venire a giudicare il mondo con il fuoco (Cum veneris judicare sæculum per ignem. – Rit. Rom.). Questo fuoco vendicatore rinnoverà la faccia della terra in « … una nuova terra e nuovi cieli (Emittes Spiritum tuum … et venovabis faciem terrae. – Psal, CIII, 30. – Et vidi cœlum novum et terram novam. – Apoc. XXI, 1). Come sul Sinai, come nel Cenacolo, lo Spirito-Santo si manifesterà così con il fuoco, in questo giorno fra tutti spaventoso. – Tale sarà la fine terribile e gloriosa della Chiesa militante; tale sarà, almeno per quanto la luce sempre un po’ velata delle profezie ci permette di intravedere, la Passione della Chiesa; tale sarà la sua resurrezione seguita dal suo trionfo: Corpo mistico del Figlio di Dio, essa avrà seguito il suo divin Maestro fino al Calvario, fino al sepolcro, e per questa fedeltà avrà meritato di condividere la sua gloria per sempre.

Gesù-Cristo,  Maestro e Signore del mondo,
porrà fine alla serie dei secoli
con il Giudizio universale.

Nel suo glorioso avvento che porrà fine ai combattimenti della Chiesa, Gesù-Cristo resusciterà dapprima tutti gli eletti (Et mortui qui in Christo sunt résurgent primi. – I ad Thess., IV. 15,) Hæc est resurrectio prima. Beatus et sanctus qui habet partem in resurectione prima! – Apoc., XX, 5, 6), così come noi lo apprendiamo dalle Sante Scritture; e questa terra che non ha visto, per così dire, la Santa Chiesa di Dio, se non umiliata, combattuta, bagnata da lacrime e spesso bagnata dal sangue, la vedrà infine gloriosa e risplendente. «Ora, come dice San Paolo, tutte le creature sono nell’attesa ed aspirano al giorno in cui la gloria dei figli di Dio sarà rivelata, perché subiscono, loro malgrado, il giogo della menzogna. Allora esse saranno liberate dalla schiavitù della corruzione, e parteciperanno alla gloriosa libertà dei figli di Dio (Nam exspectatio creaturæ, revelationem filiorum Dei exspectat. Vanitati enim creatura subjecta est non volens… Quia et ipsa creatura liberabitur a servitute corruptionis, in libertatem gloriæ filiorum DEI. – Ad Rom., VIII, 19-21). » – Il secondo avvenimento cominciato con l’espulsione di satana, la distruzione dell’antiCristo e di tutti i suoi, e con la resurrezione trionfale degli eletti, sembra dover essere, secondo le Scritture, non soltanto un momento, un atto, ma bensì un’epoca, un’epoca di gloria ed un regno tutto spirituale di Dio e della sua Chiesa sulla terra rinnovata; un’epoca corrispondente ai quaranta giorni che hanno separato la Resurrezione e l’Ascensione del Signore (benché ortodosso ed appoggiato sulle Sacre Scritture e da diversi santi Padri venerabili, questo sentimento è stato gravemente compromesso dai grossolani ed assurdi errori dei millenaristi. In seguito non se n’è più occupato e di conseguenza è meno tradizionale. Il dotto Cornelio A Lapide tuttavia ne parla e vi ritorna in più riprese nei celebri commentari sulle Scritture. Forse, nei disegni della Provvidenza, questa questione è specialmente riservata ai dottori cattolici degli ultimi tempi, come il dogma dell’Immacolata Concezione, oppure il mistero del Sacro Cuore. (Si concepisce in effetti, come nella sua misericordiosa provvidenza, Nostro-Signore dia alla sua Chiesa dei lumi più possenti sui grandi misteri dell’antiCristo, del secondo avvento, e del giudizio finale, a mano a mano che i suoi fedeli si avvicineranno a questi giorni solenni e terribili). Quel che è certo, è che essa terminerà con la resurrezione dei riprovati, e con questa grande e terribile assise che si chiama: il Giudizio Finale. Nostro Signore, che nel capitolo XXIV di S. Matteo si è degnato di farci conoscere con tanti dettagli i segni premonitori del suo avvento e della redenzione finale della Chiesa, ci racconta con dettagli non meno sconvolgenti, nel venticinquesimo capitolo delle stesso Vangelo, questa chiusura solenne dei secoli, a cui presiederà di Persona. « Quando il Figlio dell’uomo sarà venuto nella sua maestà, con tutti i suoi Angeli, Egli siederà, ci dice, sul trono della sua gloria; e tutti i popoli saranno radunati davanti a Lui. Egli separerà gli uomini gli uni dagli altri; come il pastore che separa le pecore dai capri … porrà le pecore alla sua destra, ed i capri alla sua sinistra. Allora il Re dirà a coloro che saranno alla sua destra: « Venite, benedetti del Padre mio e prendete possesso del suo regno preparato per voi fin dalle origini del mondo! » E a coloro che saranno alla sua sinistra, Egli dirà: « Allontanatevi da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per i demonio e per i suoi angeli, … ed essi andranno al supplizio eterno, mentre i giusti entreranno nella vita eterna (Cum autem venerit Filius hominis in majestate sua, et omnes Angeli cum eo, tunc sedebit super sedem majestatis suæ: et congregabuntur ante eum omnes gentes, et separabit eos ab invicem, sicut pastor segregat oves ab hædis: et constituet oves quidem a dextris suis, hædos autem a sinistris. Tunc dicet Rex his qui a dextris ejus erunt: Venite, henedicti Patris mei, possidete paratum vobis regnum a constitutione mundi… Tunc dicet et his qui a sinistris erunt: Discedite a me, maledicti, in ignem æternum, qui paratus est diabolo, et angelis ejus… Et ibunt hi in supplicium æternum: justi autem in vitam æternam. (Ev. S. Matth.. XXV. 31, et seq.). « Ed allora non ci sarà più tempo: la terra ed i cieli spariranno dal volto dell’Agnello e non occuperanno più alcun luogo (Tempus non erit amplius… Et vidi Thronum magnum candidum, et sedentem super eum, a cujus conspectu fugit terra, et cœlum, et locus non est inventus eis. (Apoc., X, (5; XX, 11.) ». Questo sarà l’inizio dell’eternità propriamente detta, che per gli eletti ed i santi Angeli, sarà « il possesso perfetto e tutto intero della vita che non ha fine  –Vitæ interminabilis tota simul perfectaque possessio », e per i demoni ed i riprovati, la perdita assoluta, perfetta, irrecuperabile, intera della vita e della eterna felicità. Sottolineiamo, … io non dico solo l’autorità, ma la divinità di questi oracoli di Gesù-Cristo. Chi altri, se non Dio solo, può tenere un simile linguaggio? Lo dice Egli stesso, è come Figlio di Maria, è come uomo e non solo come Dio, che Gesù-Cristo giudicherà il mondo. È il “Figlio dell’uomo” che presiederà il giudizio universale, in tutto lo splendore della divina maestà e circondato da « tutti i suoi Angeli » (Finius enim hominis venturus est in gloria Patris sui cum Angelis suis. – Ev. S. Matt., XVI. 27.) » Gli Angeli sono con Lui; questi sono i “suoi Angeli”. Meglio, non è solo come Figlio dell’uomo che giudicherà così il cielo e la terra, ma « perché Egli è il Figlio dell’uomo (Et potestatem dédit ei judicium facerc, quia Filius hominis es – Ev. Joan., V, 27.) ». Queste sono le parole proprie nel Vangelo. La regalità universale, il sovrano giudizio, l’onnipotenza sono svelate all’umanità di Gesù-Cristo, inseparabile dalla sua Persona divina; ed in Gesù-Cristo noi non sapremo ripeterlo abbastanza, non è solamente il Dio che bisogna adorare, amare e servire, ma è anche l’Uomo. È ai piedi dell’Uomo che la saggezza umana deve annientarsi, che l’orgoglio umano deve prostrarsi. Là, in effetti, è il mistero della fede, il mistero dell’amore. Chi non crede in Dio? Chi non riconosce Dio come Dio? Ma « il Figlio dell’Uomo, » il piccolo Bimbo di Bethleem, l’umile e povero Gesù del Vangelo, il mondo non lo vuole! Esso lo respinge, non vuole credere in Lui. Nel Giudizio finale, essi lo vedranno, questo Figlio dell’Uomo, più risplendente del sole, nella gloria della eterna maestà. Ma allora sarà troppo tardi: il tempo del merito e della grazia sarà passato; il giorno della retribuzione eterna comincerà immutabile, indivisibile, senza possibili cambiamenti, senza fine. In questo mondo, noi possiamo cambiare, perché abbiamo tempo; da buoni possiamo diventar cattivi, e da cattivi diventare buoni, perché la natura stessa del tempo, che è successivo, ce lo permette; ma nell’eternità, non ci sarà più tempo: la Rivelazione ce lo insegna; la durata dell’eternità è assolutamente una ed indivisibile, tutta intera insieme, “tota simul”; ma è soprattutto perché i dannati non potranno cambiare il loro destino col pentirsi. « La vita eterna » che Gesù-Cristo annuncia ai suoi fedeli, è dunque lo stato immutabile di beatitudine, ove, interamente nella luce, nella gioia, nella felicità assoluta, uniti a Gesù glorificato, così come nel corpo vivente le membra sono unite alla testa, gli eletti e gli Angeli vedranno Dio faccia a faccia e vivranno con Gesù in Dio, della stessa vita di Dio, nella beatitudine dell’eterno amore. Ed il « supplizio eterno » di cui Gesù-Cristo minaccia nel Vangelo i riprovati, è lo stato immutabile di maledizione, di disperazione e di sofferenza, in cui interamente nelle tenebre, nei rimorsi, nel fuoco, nel dolore assoluto, separati per sempre da Dio, dal suo Cristo e dalla sua Chiesa, i dannati ed i demoni, che avranno scelto liberamente e follemente la morte del peccato, invece della vita e della grazia, saranno sprofondati con satana negli abissi dell’inferno, per bruciarvi eternamente, nell’odio e nella rabbia di una disperazione senza fine. Tale è l’onnipotenza divina di Nostro-Signore Gesù-Cristo, e così incommensurabile che la mano destra della sua misericordia salva i buoni, la mano sinistra della sua giustizia tiene e castiga i malvagi. Egli è il Maestro, Egli è il Signore, il Signore di cui ci si beffa impunemente (Nolite errare: DEUS non irridetur. – Ad. Gal., VI, 7.); Egli è il Dio dei viventi e dei morti, il solo vero Dio vivente, con lo Spirito-Santo nella gloria di Dio Padre.

ATTI DI VIRTU’ TEOLOGALI

ATTI DI VIRTÙ TEOLOGALI

secondo la formula in uso nella Diocesi Milanese.

[G. Riva: Manuale di Filotea; XXX ed. Milano, 1888 –impr.-]

Atto di Fede.

Mio Dio, io credo tutto ciò che vi siete compiaciuto di rivelarmi, e lo credo di tutto cuore, e con somma fermezza, pronto a morire piuttosto che dubitare, perché l’avete rivelato voi, prima, infallibile Verità, che non potete ingannarvi né ingannare. Credo che Voi sempre siete stato, siete e sarete, e che siete un Dio solo in tre Persone distinte ed uguali, Padre, Figliuolo e Spirito Santo. Credo pure che Voi siete rimuneratore, e date il Paradiso ai buoni e l’inferno ai cattivi. Credo che il divin Figliuolo si è incarnato e fatto uomo nel ventre purissimo di Maria Vergine per opera dello Spirito Santo, ha patito ed è morto in croce per la nostra redenzione e salute, e che il terzo dì risuscitò da morte. Finalmente credo tutte le altre verità che si credono nella santa Chiesa cattolica romana, in cui protesto di voler vivere e morire.

Atto di Speranza.

Mio Dio, sospiro a voi mio sommo bene ed eterna felicità, ed animato dalla vostra infinita misericordia, ed appoggiato alle vostre infallibili promesse, spero fermamente che, per i meriti del nostro Signor Gesù-Cristo, mi darete il perdono dei miei peccati e la grazia di non offendervi mai più, e di perseverare nel bene sino alla morte, e di salvar l’anima mia, cooperando io fedelmente ai vostri santi aiuti, come propongo di fare.

Atto di Amor di Dio e del Prossimo.

Mio Dio, Verso di me sì amorevole e benefico, io vi amo sopra ogni cosa, e vi amo, non solamente per tanti beni che finora ho ricevuti dalla vostra mano e che spero di ricevere in avvenire; ma vi amo principalmente, e sopra ogni altro riguardo, perché siete un Dio infinitamente degno d’essere amato per Voi medesimo, essendo Voi la stessa bontà. Amo ancora per amor vostro tutti i miei prossimi come me stesso, e li abbraccio con tutte le forze del mio cuore come immagini vostre, come creature fatte e redente da Voi: in particolare amo tutti quelli che mi hanno offeso, e perdono loro tanto di cuore quanto desidero che voi perdoniate a me, pregandovi a render loro altrettanto di bene, e più quanto essi mi hanno fatto e desiderato di male.

Atto di Pentimento.

Mio Dio, detesto sopra ogni male i miei peccati e me ne pento di tutto cuore per la loro orribile deformità, perché con essi ho macchiata l’anima mia, disonorata in me la vostra immagine, mi sono reso indegno de’ vostri beni, e reo innanzi a Voi di acerbe pene; anzi, offendendovi gravemente, ho meritato di essere da Voi privato del Paradiso e cacciato all’inferno: ma molto più detesto i miei peccati, e me ne dolgo perché peccando ho offeso un Dio così buono, cosi grande, così amabile come siete Voi. Vorrei prima esser morto che avervi offeso: e propongo fermamente col vostro santo aiuto di non offendervi mai più, né mai più disgustarvi perché vi amo sopra ogni cosa.

Indulgenze per gli Atti di Fede, etc.

Benedetto XIV, il 28 Gennaio 1756, concesse per gli Atti di Virtù Teologali le seguenti indulgenze, tutte applicabili anche ai defunti: 1. 7 anni e 7 quarantene ogni volta che si recitano; 2. Ind. plen. una volta al mese; 3. Ind. plen. in articulo mortis. Per l’acquisto di dette Indul. ciascuno può usar quella formula che vuole, purché in essa esprima e spieghi i particolari motivi di ciascuna delle tre teologali virtù.

Esercitando gli atti di qualunque virtù crescono le virtù in noi e sempre maggiormente si perfezionano; perciò quanto più spesso faremo Atti di Fede la nostra Fede diverrà sempre più viva; quanto più frequentemente ne faremo di Speranza, la nostra speranza si farà sempre più ferma, e quanto più moltiplicheremo Atti di Carità, ella si farà in noi sempre più ardente. (…) Vi è obbligo espresso di fare gli atti di Virtù Teologali, e sì potrebbe provare con moltissimi argomenti delle divine Scritture e dei Santi Padri. L’errore contrario fu condannato da S. S. Alessandro VII: perciò questi Atti si facciano frequentemente e con distinta frequenza l’Atto di Carità… [G. Frassinetti, “Catechismo dogmatico”, Cap. VI- I, Parma, 1860].