I TRE PRINCIPII DELLA VITA SPIRITUALE (IX)

I TRE PRINCIPII DELLA VITA SPIRITUALE (IX)

LA VITA SPIRITUALE RIDOTTA A TRE PRINCIPII FONDAMENTALI

dal Padre MAURIZIO MESCHLER S., J.

TRADUZIONE ITALIANA PEL SACERDOTE GUGLIELMO DEL TURCO SALESIANO DEL VEN. DON GIOVANNI BOSCO

VICENZA – Società Anonima Tipografica, 1922

Nihil obstat quominus imprimatur.

Vicetiæ, 24 Martii 1922.

Franciscus Snichelotto

IMPRIMATUR

Vicetiæ, 25 Martii 1922.

    M, Viviani, Vic. Gen

SECONDO PRINCIPIO FONDAMENTALE: VINCERE SE STESSO (IV)

CAPITOLO XIV.

La superbia

4. L’albero genealogico della superbia è il seguente: il tronco è l’amor proprio, il quale si protende in due rami, la superbia e la sensualità. Dalla superbia germogliano: prima la vanità, creatura mansueta ma un po’ impertinente; seconda l’ambizione, personaggio irrequieto che vuol essere stimato da tutti; terzo, la brama di comando, che ha in uggia qualunque soggezione, e vuol dominare, vero diavoletto in casa, di cui nessuno, nemmeno Dio può fidarsi. Tutte possiedono una caratteristica particolare di famiglia che le distingue, ed è che si sforzano di essere o di apparire disordinatamente e senza limiti più di quel che sono, e desiderano d’assumersi e sostenere incarichi oltre quanto il loro potere e la loro forza consentano. – Venendo al particolare, suol essere indizio di superbia la propria soddisfazione, che loda tutto ciò che le appartiene, attribuendolo a sé stessa. Quindi la troppa sensibilità alterandosi per ogni piccolo disprezzo, per un sospetto e per una supposta umiliazione. Non esiste una sensitiva così delicata come il superbo: crede di avere e possedere unicamente quello che in lui vedono ed ammirano gli altri. Ha la mania altresì di tutto criticare e giudicare: il superbo non la risparmia né ai vivi né ai morti, arriva a mettersi sopra un piedistallo come un semidio; ei sa tutto, nessuno può insegnargli, basta a sé medesimo, tutti gli altri devono essergli inferiori. Semidei di questo genere non sono rari nel mondo; essi sono precisamente coloro che non vogliono udir parlare nè di Chiesa nè di Dio. Se ne incontra dappertutto: tra principi e sudditi, tra nobili e plebei, tra scienziati ed ignoranti. Risulta, infine, esser un’epidemia generale del mondo, dal giorno che il serpente scrisse nel libro de’ nostri progenitori: « Voi sarete come dei », parole che noi loro figli non dimenticheremo mai.

2. L’umiltà è tutto l’opposto. Fondata sulla moderazione e figlia dell’interiore modestia, governa ed invigila tutti i moti disordinati di superbia, tutte le ambizioni d’onore, di stima e d’assoluta indipendenza; l’umile aspira ad un lodevole disprezzo anche davanti gli altri, nutre una bassa opinione di sé stesso e si rallegra che il pubblico la condivida e manifesti, fugge l’onore, che non si prepone, sopporta con pazienza e gioia le umiliazioni, non si scusa, si umilia riconoscendo con semplicità le proprie miserie e debolezze in tempo opportuno, specialmente nella Confessione. L’opera sua magistrale ed eroica è amore alle umiliazioni.

3. Condizione previa al tempo stesso che educatrice, maestra e consigliera dell’umiltà è la propria cognizione, la quale gli insegna che tutto ciò che ha di buono e compie è dono ed opera di Dio: che egli per sé nulla può né possiede se non peccati e miserie. Di qui si chiarisce bene tutto ciò che fa e lascia di fare l’umile, persino l’amore stesso alle umiliazioni… Questo principio retto e ragionevole dell’abnegazione propria è il germe, l’anima ed il movente dell’umiltà.

4. Quanti motivi abbiamo per combattere la superbia con una vera umiltà!

Solo se siamo umili possiamo giudicarci con verità, imperocché l’umiltà è la verità. La conoscenza di noi stessi, che è uno specchio che non inganna, c’insegna che tutto abbiamo ricevuto da Dio e nulla è nostro; per cui la superbia è menzogna, mancanza di probità, un furto che si fa all’onore di Dio, dinanzi al quale è un’abbominazione, come dinanzi agli uomini di buon senso è una ridicolaggine. Il confidare troppo nelle proprie forze è segno che i nostri pensieri sono piccoli, infinitamente piccoli. E che cos’è, finalmente, la gloria mondana? Inoltre, quanto importante è l’umiltà per la vita spirituale! Tutto dipende dalla grazia di Dio. Se siamo superbi non può Dio darci grazie speciali; non per ciò che s’attiene a Lui, poiché soltanto l’umiltà Gli rende l’onore dovuto; e nemmeno in riguardo a noi, perché le grazie senza l’umiltà non farebbero che pregiudicarci e darci motivo da insuperbire di più. – Insomma, se vogliamo vivere vita pura ed esente da colpe, siamo umili, poiché da difetto d’umiltà proviene il maggior numero delle quotidiane nostre imperfezioni. Infatti, d’onde l’abbandono della preghiera, l’invidia, il parlare de’ difetti altrui, la detrazione, l’immodestia, la disobbedienza, l’esagerata delicatezza, le affezioni disordinate, l’impazienza, i lamenti nei travagli e disgusti, la tristezza e la disperazione? Tutte queste mancanze ed innumerevoli altre spariscono coll’umiltà. Suol dirsi che i piccoli non fanno cadute gravi, ma il superbo ed orgoglioso trovasi in pericolo di cadere e, forse, vergognosamente, e questa è l’unica via che possa farlo rientrare in sé. La superbia è la sorgente di tutti i peccati: l’umiltà il fondamento di tutte le virtù, non perché sia in sé la più sublime, ma perché è la condizione, si direbbe, « sine qua non », per ogni opera buona. Come può fare un passo sicuro colui che ignora ciò che è e ciò che può? E davvero che il superbo non lo sa, ma unicamente l’umile mediante il conoscimento di sé stesso. Infine, chi vuol operare qualche cosa di grande per la gloria di Dio, deve amare l’umiliazione, che è il più elevato grado dell’umiltà. Infatti, cercare ed amare l’umiliazione è il sacrificio più gravoso, il passo più difficile della vita spirituale, la linea che separa i perfetti dai non perfetti. La superbia è l’amor proprio portato sino all’odio di Dio; l’umiltà è l’amore di Dio sino all’odio di sé medesimo. Questa conseguentemente è la vera e perfetta vittoria, la vera adorazione e glorificazione di Dio in noi. Allora soltanto Dio può contare su noi incondizionatamente; altrimenti saremo sempre suoi strumenti malsicuri. D’altronde, premio dell’umiltà suole essere una vita felice, esente da colpe e ricca in virtù. Quanto importante finalmente è questa virtù dell’umiltà per abbracciare una vocazione e perseverare in essa, ed in generale, quanto necessaria per la pace e felicità della società umana! Molti ambiscono posti più elevati per dare maggior gloria a Dio e poter lavorare di più; com’essi dicono; ma in fondo è solamente ambizione d’onore quella che li spinge. Non riesce la cosa né ha buon esito? Oh! allora si scoraggiano e non sono più capaci di nulla. Non possono soffrire che il loro talento stia nascosto sotto terra; per essi le cose del servizio di Dio non sono che gradini per salire più in alto. E se loro riesce di avere un posto elevato, allora la superbia li priva di tutto il merito dinanzi a Dio. Non c’è peggiore nemico della superbia e della brama d’onore per far perdere un carattere, spogliare l’uomo della sua dignità, indipendenza, lealtà e sincerità dinanzi a Dio ed agli uomini. Sono gli animalia gloriæ di cui parla Tertulliano. E, se no, da qual causa provengono nella vita sociale l’inquietudine, la disordinata brama di salire, la ripugnanza a tutto ciò che sa d’autorità; da qual causa tutte le rivoluzioni e moti popolari, se non dalla superbia, dall’ambizione di gloria e di comando? Lungi, dunque, da noi l’ambizione, coll’ingannevole suo frutto: l’onore mondano. L’onore e la stima degli uomini non sono che beni apparenti e di nessun valore. Che guadagnerebbe un mendico se venisse lodato da un altro mendico? Cerchiamo mediante la vera umiltà ed abnegazione l’onore che procede da Dio, e verrà il momento che l’avremo; onore che in fin de’ conti è l’unico vero.

CAPITOLO XV.

Antipatia e simpatia.

In questo capitolo si tratta dell’amore, e particolarmente dell’amore al prossimo.

1. La carità è una virtù che ci fa amare Dio per essere Egli chi è, e riposare in Lui perfettamente come nel bene supremo. L’oggetto suo è duplice: Dio e l’uomo; quest’ultimo, in quanto si riferisce a Dio come creatura e figlio adottivo che Gli è. Imperocché Dio non ama solo sé medesimo, ma ama tutte le sue creature; e così, perché l’amor nostro sia divino, deve estendersi a Dio ed al prossimo; ma il motivo di amare è uno solo, Dio: di maniera che tutto il resto deve amarsi per Lui, in Lui e con Lui. L’ordine che dobbiamo tenere è questo: primo, amare Dio sopra ogni cosa; secondo, amare sé stessi; terzo, il prossimo, però non come si vuole, ma come noi medesimi. Tanto in noi come nel nostro prossimo, dobbiamo anteporre il bene spirituale al temporale, così che va data la preferenza al bene spirituale del prossimo in confronto col bene nostro corporale. In quanto al vantaggio nostro temporale, possiamo posporlo a quello del prossimo, sebbene non sia necessario. Il disordine, pertanto, in questa materia consiste, o che non amiamo tutte le cose per amore di Dio, o che amiamo qualche creatura più che non Dio, o, finalmente, che anteponiamo il bene temporale al bene spirituale nostro o del prossimo. – Le ragioni che provano l’eccellenza dell’amore e carità sono le seguenti.

2. L’amore è il primo e principale dei Comandamenti ed il compendio e la sorgente di tutti, in quanto che gli altri non sono che applicazioni di questo. Mediante l’amore Iddio s’impossessa della volontà, la cui principal forza è amare. Per esso Dio si fa suo tutto l’uomo e gli può comandare ciò che vuole. Per esso unisce tutti gli uomini gli uni agli altri ed a Sé medesimo, loro ultimo fine, nella maniera più perfetta. Così l’amore è veramente vincolo di perfezione nel senso più elevato. Per questo il Salvatore presenta il Cristianesimo come religione d’amore, e l’amore come la tessera de’ suoi discepoli. Propriamente parlando abbiamo una sola legge ed un’unica occupazione: amare.

3. L’amore di Dio e del prossimo ha un avversario e nemico che può vivere solo a di lui spese. È questo l’amor proprio disordinato che si stima ed ama sopra tutto, che tutto-giudica: a suo modo, in tutto cerca sé medesimo, persino nell’amore del prossimo, or per simpatia, o per antipatia.

4. Si dice, e giustamente, che l’uguaglianza e la concordia sono condizione e fondamento dell’amore. Per cui le cause dell’avversione o manchevolezza d’amore che proviamo contro il prossimo possono fondarsi sulla diversa condizione naturale o sul vario modo di sentire, di pensare e d’operare, cose tutte che lo rendono, come suol dirsi, antipatico o ripugnante. Un’altra causa da cui nasce l’avversione sono le offese, vere od immaginarie, da parte del prossimo. Dal che, come terza causa d’antipatia, derivano pensieri di disprezzo, di critica, d’avversione e di sospetti, che ben presto si trasformano in parole amare, in osservazioni intempestive o pungenti, ed in recriminazioni che nuocciono molto alla carità e mettono la disunione nei cuori. Corrono gran pericolo di venir meno allo spirito di carità coloro che, essendo d’ingegno acuto, non ne fanno buon uso. Un’arguzia porta sovente più danno che una manifesta offesa. È un pericoloso talento quello del burlone, e serve di frequente a nascondere una mordacità e disamore satanico. Di rado lo spiritoso è inoffensivo; mira quasi sempre a sé stesso, ed in tutto vuol far spiccare le proprie acutezze, nulla badando all’umiltà ed alla carità. Sono cose queste che l’amor vero, bene così alto ed elevato, esige che evitiamo. Non diamo mai adito scientemente nel nostro cuore ad antipatie od avversioni e non mettiamoci di proposito a rivangare torti ricevuti dal prossimo, né a pensare ai difetti del suo carattere o qualità sue antipatiche; ché ciò, a nulla giova, né fa che le cose cambino modo d’esistere: l’unico risultato è d’aumentare la nostra mala disposizione. Il germe dell’antipatia è l’indifferenza. Procuriamo perciò di evitarla, nutrendo in noi idee di carità affettuosa. Un uomo che fomenti questi pensieri, dice il P. Faber, è certamente un santo. Ci sono alcuni che sembrano nati solo per molestarci: sono intempestivi sempre e tutto quel che fanno è disordinato e disgusta. E vi sono altri che realmente ci amareggiano ed offendono colle cattive loro abitudini e colpe. Che si deve fare allora, se non aver pazienza? Dovremmo allontanarci dalla società se nulla volessimo patire e sopportare. Siffatte cose spiacevoli è d’uopo prenderle in cambio dei vantaggi del vivere in società. Nojosissima sarebbe la vita, se tutti fossimo d’ugual tratto. Alla fine il maggior vantaggio della vita socievole è l’esercizio continuo di pazienza e di carità, che è la cosa più sublime. È quasi sempre l’amor proprio, il dolore immaginario, l’ostinazione e attaccamento al nostro parere, oppure la mancanza di abitudine o senso pratico per comprendere gli altri e conformarvici, ciò che ci rende così difficile la loro convivenza. Un buon consiglio è di comportarci coi falli altrui come coi proprî, che da principio non li crediamo, in seguito li attenuiamo col bene che abbiamo o pensiamo d’avere, e finalmente, perché non può farsi altrimenti, li sopportiamo. Né mai parliamo senza un giusto motivo dei falli altrui, poiché ciò non serve che ad inasprirci di più e dare cattivo esempio. Evitare l’incontro di coloro che ci sono contrarî per non adirarci, non è un buon mezzo; è molto più facile e giovevole allo scopo cui si mira, avvicinarli e vincerne la scortesia a forza di buone maniere. Definitivamente in questo caso è di somma importanza essere compresi di tutte queste difficoltà della vita comune, affrontarle a piè fermo, sopportarle con pazienza e uscirne vincitori. Una massima sapientissima è questa, giudicare tutto possibile in questo mondo e non meravigliarsi di nulla.

5. La simpatia in sé e per sé è buona; è l’ago magnetico che mediante l’amore unisce gli uomini in società temporale, come le anime in società spirituale. Essenzialmente è un sentimento involontario ed una tendenza istintiva; perché meriti il nome di carità è necessario che abbia la coscienza di ciò che fa e che sia fondata su motivi ragionevoli. – In questa materia può darsi disordine, prima, quando il motivo non sia Dio, poiché in tal caso l’amore non sarebbe divino, ma puramente naturale. In secondo luogo, l’affezione è disordinata se non osserva il retto ordine determinatole da Dio e dalla ragione. – Dopo Dio e noi stessi, dobbiamo amare coloro che per consanguineità o precetto divino ci sono più prossimi; come per es., i genitori e parenti, i superiori, i benefattori, quelli in cui rifulge più specialmente l’autorità, la santità o i doni di Dio, o che hanno maggior bisogno dell’aiuto nostro. In terzo luogo, è disordinato l’amore che non ha per oggetto i doni spirituali del prossimo, ma le sue qualità corporali e chi sa ancora con danno dell’anima. Questo, che non va più su dell’amor proprio volgare, non solo non è amare il prossimo, ma piuttosto, considerandolo da un punto di vista più elevato, è odiarlo. Finalmente è disordinato l’amore che si lascia trascinare da pura simpatia verso un individuo, pregiudicando così il bene generale; poiché più che ad uno solo siamo obbligati a tutta la società. – In questa specie di amore disordinato s’inchiudono tutte quelle benevolenze sensuali che diconsi amicizie particolari. Soglionsi conoscere queste in quanto che distolgono dall’amor nostro coloro ai quali siamo più obbligati, e ci mettono in pericolo di peccare contro i Comandamenti di Dio. Sono senz’altro un furto fatto all’umanità ed al ristretto numero di persone in mezzo alle quali viviamo. Quanto il vero amor di Dio e del prossimo nobilita l’uomo rendendolo grande e felice, altrettanto l’amore falso e spurio, che è la morte della vera carità, lo umilia e degrada.

6. Dobbiamo abbandonare questo amore teatrale, ed elevarci al vero amore di Dio e degli uomini, unico che ci renda indipendenti e ricchi mettendoci in condizione di operare un bene immenso in questo mondo. Nessuno per discolparsi metterà innanzi la ragione che potrà fare poco o nulla. Amiamo davvero e potremo fare molto a favore del prossimo. Avremo allora pensieri pieni di carità, i quali muovono il cuore e questo la mano. E che ci vuole di più per operare il bene? Non ci mancheranno le parole affettuose, e con una parola d’affetto possiamo dissipare malintesi e fugare ogni diffidenza. Avremo un occhio amorevole, ed uno sguardo di compassione può mettere un argine alla mestizia ed alle tentazioni, e infondere gioia e coraggio; e chi non sa che l’allegrezza cambia la terra in un paradiso? Un uomo amabile e gioviale è una vera provvidenza di Dio nel mondo; è un esorcista che scaccia demonî, un apostolo ed evangelista, un oratore che sa presentare il divin Salvatore con tutta la munificenza ed amor suo. Abbiamo un vero amore e carità verso il prossimo, e non ci mancheranno i mezzi per fare il bene. – La carità non viene meno (1 Cor. XIII, 18), non è povera e senza consiglio. Non potremo far mai bene bastante nel mondo; ma per farlo è necessario essere dotati d’energia ed ilarità. Ogni opera di carità porta con sé consolanti benedizioni, nuova soddisfazione pel bene che si opera e finalmente la nobile passione d’intraprendere sempre qualche cosa di nuovo: questa è la perfetta vittoria del bene, o, per dir meglio, del divino nel cuore dell’uomo.

CAPITOLO XVI.

La passione dominante.

1. Per carattere intendiamo il distintivo, la qualità e nota predominante della condizione naturale di un individuo. Passione dominante nel carattere d’una persona sarà, secondo questo, un disordine, eccesso o difetto nelle qualità dell’anima e nelle reciproche loro relazioni, proprio e caratteristico di tale persona.

2. Più o meno, tutti gli uomini hanno qualche particolare difetto. Dio solo pel suo Essere semplicissimo e infinitamente perfetto esclude da Sé necessariamente e naturalmente ogni disuguaglianza. Non vi è in Lui nessuna proprietà che sia più o meno perfetta d’un’altra. Ben diversamente è nelle creature e quindi nell’uomo, il quale è finito, limitato e disuguale. Esiste inogni uomo una disposizione e qualità anemica che predomina su tutte le altre, che perturba l’armonia e il retto andamento dell’essere generale e rende possibili i traviamenti: è la passione dominante.

3. Può provenire questo squilibrio dalla disposizione d’animo, secondo che predomini l’intelletto o la volontà, la fantasia o il sentimento, e non a vantaggio ma a danno di altre facoltà, lasciando l’impronta sua su tutto l’uomo. Così distinguiamo gli uomini intellettuali, indipendenti, inflessibili, energici, esaltati, sentimentali o appassionati. Questa diversità può provenire anche dal corpo, cioè, dal temperamento, che influisce sull’animo comunicandogli le sue qualità, a motivo dell’intima unione dell’anima col corpo. Perciò diciamo che vi sono dei temperamenti sanguigni, collerici, flemmatici e melanconici. I quali tutti presentano i loro vantaggi ed i loro inconvenienti.

4. Per correggere il difetto particolare di ciascuno, bisogna anzitutto conoscerlo; poiché sebbene, più o meno, tutti ne abbiamo alcuno, non è sempre facile scoprirlo, opponendosi molte volte, sia la mancanza del proprio conoscimento, sia il difetto di riflessione od anche la superbia ed accecamento interiore. Il riconoscersi colpevole sempre umilia; per questo si cercano delle attenuanti. Possono trovarsi anche degli uomini d’un carattere così eguale e temperato, che torni difficile constatare in essi un’azione spiacevole. In questi naturali il difetto suol essere la timidezza, la pusillanimità e indecisione per manifestarsi ed intraprendere qualche cosa. – Diamo qui alcune regole che possono giovare per conoscere la nostra passione dominante. Conviene osservare anzitutto che cosa sia in noi che predomini, se l’intelletto, la volontà o il sentimento, e vedere che sorta di temperamento sia il nostro. Si noterà in secondo luogo quali siano i peccati e le mancanze in cui più di frequente cadiamo, che ci porteranno con certezza a scoprire la comune radice, che è la passione dominante. – In terzo luogo, fermiamo l’attenzione nostra sulle virtù che abbiamo: con esse sotto gli occhi potremo rintracciare la passione dominante, imperocchè ogni pianta ha il suo parassita, così ogni virtù ha del pari l’ombra sua. – In quarto luogo, osserviamo quale sia l’inclinazione che più si distingue nell’anima nostra. Essa c’indicherà sicuramente la tendenza dell’essere e carattere nostro, come l’osservare ciò che ci rallegra ed eccita, in qual modo ci compensiamo in seguito ad un’opera buona mal riuscita, e quali siano i pensieri che più tengono occupata la mente nostra. Tra i mezzi esterni si presentano le divine ispirazioni nella preghiera, il giudizio del direttore nostro spirituale e dei nostri compagni. Ascoltiamone il consiglio, poiché non è facile che cadano in errore.

5. Conosciuta la passione dominante, dobbiamo combatterla con impegno e costanza. Tre sono le ragioni principali che c’inducono. Prima di tutto tale passione è un difetto ed una deformità non esteriore certamente, ma, ciò che più importa considerare, dell’anima, ed offusca in noi la magnifica immagine di Dio. Con quanta attenzione evitiamo le minime macchie sul volto! Ora, perché non faremo altrettanto rispetto a quelle dell’anima? Inoltre, il resistere alla passione dominante è della massima importanza nella vita spirituale, in quanto che è il maggior ostacolo che si oppone al progresso nostro, poichè non è un difetto unico, ma la sorgente e principio di molti altri che gli tengono dietro. Lottare, quindi, contro la passione dominante, è lottare contro tutti i difetti; vincerla è vincerli tutti. Quante volte non sì sente dire dagli uomini: « Solo che mi togliessero questo disgraziato difetto, mi tornerebbe facile superare gli altri! » Secondo questo, dunque, esso è un vero tirannello; e, ciò nonostante, pretende di passare come virtù. Nella vita spirituale; tutto dipende dalla grazia, dalla nostra cooperazione e dal merito. La maggior parte delle grazie Dio le concede là dove sono più necessarie. Orbene: ciò di che più noi abbisogniamo è di guerreggiare e vincere la passione dominante; dunque possiamo star sicuri che in questa lotta Dio è con noi. La passione dominante è il nemico più terribile di Dio e nostro. Essa tenta di privarci della grazia e del merito delle nostre fatiche. Non c’è parassita che danneggi tanto una pianta, quanto tenta di pregiudicar noi questa passione. È un principio generale dei maestri di spirito, che tra i mezzi naturali di cui si serve Iddio per condurre le anime al loro ultimo fine, nessuno è così importante come quello d’un carattere buono e docile. Dobbiamo corrispondere a questa indicazione della divina provvidenza, lottando strenuamente contro la nostra passione dominante. La vittoria suole premiarsi altresì quaggiù colla purità, chiarezza e pace dell’anima. – Chi non vede, in terzo luogo, quanto sia importante questo combattimento contro la passione dominante, per corrispondere alla nostra vocazione? Chi non si sente di guerreggiarla, si ritiri al deserto e rinunzi al po’? di bene che potrebbe fare tra gli uomini. Così almeno non sarà pietra d’inciampo e non recherà danno agli altri. Ma chi desidera convivere cogli uomini ed occuparsi del loro bene, deve procurarsi un perfetto dominio di sé medesimo. La passione dominante o restringe l’attività nostra o la distrugge completamente, Per fare qualche cosa a favore degli uomini è necessaria molta virtù: una sola colpa può tutto rovinare e renderci totalmente inutili. Quante belle speranze furono distrutte dall’ira mal repressa, dalla imprudenza e dalla sensualità. I migliori talenti restano in questo modo inutilizzati. Ne viene per conseguenza, che qui anzitutto deve applicarsi seriamente la mortificazione. Dovremmo combattere anche se non ci si presentasse speranza alcuna di vincere. Ma qui tutto ci fa sperare la vittoria. Dobbiamo in questa lotta pensare a un solo nemico e quindi tutte le nostre forze devono essere dirette a un solo punto. Questo è il giusto modo di combattere. Inoltre, Iddio ci aiuterà perché si tratta d’una sua impresa. Come i Santi seppero domar bene lo spirito cattivo della loro passione dominante! E perché non lo faremo noi? Non si richiede altro che buona volontà e costanza. Nulla resiste ad una volontà retta e risoluta. Facciamo quanto ci è possibile: non potremo cambiare radicalmente il nostro carattere; possiamo però reprimerne gli eccessi e correggere i suoi difetti. Il tempo non ci manca, vogliamo, lottiamo e preghiamo, ché questo basta.

CAPITOLO XVII.

Ricapitolazione e fine

1. Da tutto ciò che abbiamo detto ne consegue, che dobbiamo fare un fermo proposito di dominarci, e questo proposito, unito alla massima di consacrarci sempre alla preghiera, dev’essere una delle basi sopra cui posi la nostra vita spirituale ed uno dei principî fondamentali di essa. Questo, dunque, è quanto dobbiamo tenere sempre presente agli occhi della mente, né mai perdere di vista, malgrado tutte le ricadute in cui avessimo da trovarci. Senza dubbio che molte volte verremo meno, ma non ne riceveremo gran danno finché ci terremo fermi al proposito; le cadute al contrario diverranno più rare, ed esso finalmente arriverà a signoreggiare e dominare gloriosamente su di noi.

2. Ma il giorno in cui dovessimo trascurare questo proposito noi saremmo perduti per la vita solida dello spirito e per la perfezione. Col solo pregare non si raggiunge il fine; contentarsi della preghiera senza l’esercizio dell’abnegazione, è uno dei punti di codesta nauseante ascetica moderna, che pretende di trovare Dio ed arrivare a Lui senz’altro cammino che quello della preghiera. Povere fatiche! Dopo molti anni e andirivieni, trovasi uno dove cominciò. No, la preghiera e l’abnegazione devono trovarsi in pieno accordo, al modo stesso che per volare sono necessarie due ali  per lavarsi le mani devono concorrere entrambe. L’una e l’altra, preghiera e mortificazione, devono aiutarsi, sostenersi e completarsi; ambedue devono andare sempre unite. Senza abnegazione è impossibile pregare, e per la preghiera è indispensabile l’abnegazione; diversamente, anche pregando, non si trova Dio. L’uomo immortificato cerca Dio nella preghiera, ma non lo trova; in cambio, a chi è mortificato, Dio medesimo va incontro, perché il suo cuore è puro e disposto ad unirsi a Lui. Iddio desidera venire a comunicarsi a noi molto più di quanto desideriamo noi; l’unica cosa ch’Ei desidera è un cuore mondo e mortificato. – Similmente, noi non ci mortificheremo se non preghiamo; è cosa dura la mortificazione, e solamente la grazia di Dio può rendercela possibile ed anche soave, e la grazia si ottiene solo con la preghiera per la preghiera. Chi, dunque, è prudente e desidera edificare la sua casa sopra solide fondamenta, l’innalzi sulla pietra della preghiera e dell’abnegazione.

3. Certamente che la parola mortificazione è dura ed è più duro ancora percorrerne il cammino; ma siamo noi stessi che col peccato vi ci si siam messi e dobbiamo percorrerlo, a qualunque costo. Però non dimentichiamo che non è più soave, anzi è molto più aspro il sentiero del vizio ed il giogo delle passioni sfrenate. Noi non eviteremo mai i peccati se non mortificandoci ci resta solo: da scegliere tra mortificarci o peccare. Ci si presenta difficile la via della mortificazione, semplicemente perché non ci risolviamo con serietà a percorrerla. Facciamo un proposito generoso, e confidiamo che il sentiero del rinnegamento di noi stessi col tempo ci diverrà non solo facile ma altresì gradito. Dalla morte viene la vita, e dalla forza la dolcezza (Giudici XLIV, 14). Ed è così, che la pianta della mortificazione non produce solo spine, ma rose altresì di gioia e di consolazione spirituale: soltanto che questa consolazione bisogna meritarla lottando, come avviene per tutto ciò che v’ha di grande e di bello quaggiù. Le difficoltà e la stanchezza spariscono di fronte alla gioia prodotta dall’eroismo. Questo è il lato bello di codesta mortificazione che tanto impaurisce.

4. Obiezioni contro la mortificazione non ne mancano. « Ai nostri tempi, dicono, è impossibile; non vi resistono né la salute né le occupazioni». Facciamo una distinzione: la mortificazione interna non potrà mai omettersi, e d’altra parte non nuoce alla salute, né impedisce il lavoro; e della mortificazione esterna può dirsi, che ai nostri tempi si godrebbe assai più salute se si praticasse un no’ di più. Il lavoro, senza dubbio, è una buona mortificazione; però anche per lavorare seriamente con coscienza è necessaria la mortificazione, poiché altrimenti l’uomo perderà il suo tempo in futilità lasciandosi dominare dal capriccio, il che non è lavoro. « Ma questa ascetica ha già fatto il suo tempo ». E se non erriamo; il mondo di oggi è quello medesimo di ieri, senza nulla cambiare. Nemmeno nostro Signore Gesù Cristo si è cambiato; ed il fine e la via che a Lui ci conducono sono sempre lì come prima. Di modo che bisogna rassegnarci alla mortificazione dei secoli passati. « Riguardo  alla mortificazione interna transéat, ma l’esterna.:. »  C’è qui della verità, ed è che la mortificazione interna è migliore in ogni caso e più necessaria: che non l’esterna; ma da ciò non segue che si debba trascurare del tutto l’esterna, tolta ogni mortificazione esterna, l’interna non può esistere. Disprezzare e non curarsi della mortificazione esterna, oltreché si oppone allo spirito di Gesù Cristo, dimostra completa ignoranza circa lo stato e condizione a cui ci ridusse il peccato originale. Le nostre difficoltà e i peccati provengono per una buona metà dal corpo. Più: secondo la dottrina cattolica, la mortificazione non è solamente per tenere in freno il nostro corpo, istrumento del peccato, ma per soddisfare altresì alle nostre colpe ed a quelle di tutto il mondo, e quale valore e prezzo per conseguire maggiori grazie e maggiori lumi e meriti per la vita eterna! Per questo le anime innocenti sono quelle che più si distinsero nella mortificazione esterna. « Al cominciare una vita di perfezione potrà ben giovare la mortificazione esterna, ma poi non più ». Come non potremo mai staccarci dall’ombra nostra, nemmeno ci tornerà possibile sottrarre l’anima nostra all’influenza del corpo. Il rinnegamento di sé stessi è l’a b c della vita spirituale: non lo si deve mai dimenticare. Il rinnegare sé stessi è senza dubbio cosa penosa per l’uomo decaduto, e si richiede un continuo sacrificio a mantenervici. Ma è precisamente quanto ci vuole per vincere il male ed acquistare forza per il bene. Aspra è la via, ma grande e glorioso è il fine, e per un fine grande l’uomo generoso volentieri si sacrifica. Perciò il Kempis chiude le sue istruzioni sul cammino reale della croce, colle parole: « Lette dunque e ben esaminate tutte le cose, sia questa la final conclusione: che per mezzo di molte tribolazioni ci bisogna entrare nel regno di Dio » (L. II, Cap. 12). Per sopportare come conviene la tribolazione è necessario dominarci, però non come si vuole, ma radicalmente, totalmente e costantemente.

UN’ENCICLICA AL GIORNO TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO: S. S. LEONE XIII – “LICET MULTA”

Questa breve lettera Enciclica di S. S. Leone XIII è rivolta all’Arcivescovo di Malines in particolare, e a tutti i prelati del Belgio in generale, onde siano esortati all’opera educativa dei giovani Cattolici di ogni età, opera peraltro, già intrapresa con lode. Il consiglio più importante che viene dato, tra gli altri, è quello di rifarsi ampiamente alla dottrina di S. Tommaso d’Aquino, per formare le menti dei fedeli, in particolare dei giovani ed ancor più dei chierici. Oggi pure, tempo in cui trionfa l’empietà delle scuole moderniste, di stampo eretico-protestante, è indispensabile a tutti, grandi e piccoli, istruiti o meno, conoscere ed approfondire il pensiero lucido ed illuminato dell’aquinate, per ritornare al retto pensiero filosofico-teologico cattolico a tutti i livelli, affinché si recuperi la vera fede e l’applicazione morale e sociale di essa per raggiungere l’eterna vita ea pace sociale. Una delle chiavi usate dalle sette di perdizione per entrare ed usurpare i palazzi apostolici e negli edifici cattolici, in particolare i seminari, è stata proprio quelle di ridimensionare drasticamente lo studio delle opere di s. Tommaso, sostituito da vacue filosofie agnostiche e pseudo-teologie moderniste, cioè lutero-calviniste e gnostiche, opportunamente camuffate, fatte passare per cattoliche agli ignari studenti e fedeli così ingannati da volponi corrotti e servi del “nemico”.


Leone XIII
Licet multa

Lettera Enciclica

Sebbene in questi ultimi tempi siano accaduti in Belgio molti fatti funesti per il Cattolicesimo, che hanno procurato un profondo dolore all’animo Nostro, tuttavia abbiamo trovato sollievo e consolazione nelle molte testimonianze di fede e di tenace amore a Noi offerte dai Cattolici belgi tutte le volte che se ne presentava l’occasione. Particolarmente Ci hanno rianimato e Ci rianimano la Vostra buona disposizione verso di Noi e il Vostro impegno assiduo per far sì che il popolo a Voi affidato perseveri nella purezza e nell’unità della fede cattolica, e cresca ogni giorno di più nell’amore verso la Chiesa e il Vicario di Cristo. È giusto soprattutto attribuire a Vostra lode l’attività che con ogni zelo dedicate all’ottima educazione della gioventù, provvedendo che fin dalle scuole elementari sia trasmessa agli adolescenti la dottrina religiosa. Né con minore impegno Vi adoperate in modo che tutto concorra alla educazione cristiana nei Ginnasi, nei Licei e nella stessa Università degli studi di Lovanio.

Nondimeno, in questa situazione, gli eventi che presso i Belgi sembrano costituire un pericolo per la concordia dei Cattolici e che tentano di orientarli in direzioni opposte non Ci consentono di essere tranquilli e sicuri. Pertanto è superfluo a questo punto ricordare quali siano state le antiche e recenti cause dei dissidi, le occasioni, gli incitamenti che provenivano anche da dove non sembrava di doverli attendere: Voi, diletto Figlio Nostro e Venerabili Fratelli, prima di altri comprendete questi fatti e con Noi deplorate (ben sapendo quanto sia necessario, come in nessun altro momento, conciliare e preservare la concordia tra tutti i Cattolici) l’impeto unanime con cui i nemici del nostro nome di Cristiani assalgono la Chiesa da ogni lato. – Pertanto, solleciti nel proteggerla, esortiamo a trascinarla il meno possibile in controversie di diritto pubblico che di solito, presso di voi, agitano profondamente gli animi; esse riguardano infatti la necessità o la opportunità di conformare alla norma della dottrina cattolica le recenti forme di governo, fondate (come dicono) sui principi di un nuovo diritto. Senza dubbio Noi stessi, primi fra tutti, vivamente desideriamo che la società umana sia ordinata secondo l’etica cristiana e che tutte le istituzioni civili siano penetrate e pervase dalla divina virtù di Cristo. Che tale fosse il Nostro proposito rendemmo subito manifesto, fin dagli esordi del Nostro Pontificato, con pubblici documenti a stampa, soprattutto poi con Lettere Encicliche che divulgammo contro gli errori del socialismo e, di recente, sul potere politico. Tuttavia, tutti i Cattolici, se vorranno adoperarsi utilmente per il bene comune, tengano presente e seguano fedelmente nell’agire un meditato criterio, quale la Chiesa suole adottare in tali circostanze. Essa infatti, sebbene con inalterabile fermezza tuteli l’integrità delle celesti dottrine e i principi di giustizia, e usi ogni energia affinché gli stessi principi regolino gli atti privati, le pubbliche istituzioni e i costumi, tuttavia ha una giusta cognizione degli eventi, dei luoghi e dei tempi; e spesso, come di solito accade nelle vicende umane, è costretta a tollerare certi mali che non possono essere rimossi a fatica, e neppure a fatica, senza che si dia luogo a mali e a sconvolgimenti più gravi. – Occorre inoltre evitare, quando si affrontano controversie, di oltrepassare i limiti prescritti dalle leggi di giustizia e di carità, o di accusare avventatamente o di rendere sospette persone peraltro dedite alle dottrine della Chiesa, e soprattutto quelle che nella Chiesa eccellono per dignità e potere. Ci rammarichiamo appunto che ciò sia toccato a te, diletto Figlio Nostro che governi la Chiesa di Malines con l’autorità di Arcivescovo, e che per i tuoi egregi meriti verso la Chiesa, e per lo zelo nel difendere la dottrina cattolica, sei stato ritenuto degno dal Predecessore Nostro Pio IX di felice memoria, di essere accolto nel Collegio dei Padri Cardinali. È evidente che questa leggerezza di ridurre il prestigio altrui attribuendo false accuse, allenta i vincoli del mutuo amore, reca ingiuria a coloro che “lo Spirito Santo pose, come Vescovi, a reggere la Chiesa di Dio”: pertanto desideriamo e severamente esortiamo tutti i Cattolici ad astenersi da un simile comportamento. Ad essi basti sapere che alla Sede Apostolica e al Romano Pontefice, al quale tutti possono sempre rivolgersi, è stato affidato l’incarico di difendere ovunque le verità cattoliche e di vigilare perché nella Chiesa non serpeggi o si diffonda ciò che si oppone alla dottrina sulla fede e sulla morale o appare in contrasto con essa. – Per quanto riguarda Voi, diletto Figlio Nostro e Venerabili Fratelli, con sommo zelo impegnatevi in modo che tutti i dotti, e tra essi soprattutto coloro che hanno ricevuto da Voi l’incarico di educare la gioventù, abbiano piena unità di pensiero e di convinzioni circa quei principi sui quali l’autorità della Sede Apostolica non lascia libertà di dissentire. Ma sulle questioni che consentono un libero dibattito tra persone colte, si esercitino pure gli intelletti, persuasi e consigliati da Voi in modo che la diversità delle opinioni non infranga l’unità degli animi e la concordia delle volontà. Su questo argomento, precetti ricolmi di sapienza e di severità trasmise ai dotti il Predecessore Nostro Papa Benedetto XIV, di immortale memoria, nella Costituzione Sollicita ac provvida; anzi, come esempio da imitare propose San Tommaso d’Aquino che usa sempre uno stile pacato e un linguaggio pieno di decoro, non solo quando insegna e correda la verità di validi argomenti, ma anche quando insegue e incalza gli avversari. Siamo lieti di raccomandare nuovamente ai dotti i precetti del Nostro Predecessore e di offrire lo stesso esempio, da cui non solo imparino come ci si deve comportare con gli avversari, ma anche sappiamo quale dottrina, tra le discipline filosofiche e teologiche, occorre tramandare e coltivare. Non una sola volta, diletto Figlio Nostro e Venerabili Fratelli, Vi abbiamo manifestato tutto il Nostro desiderio che la sapienza di San Tommaso sia reintrodotta nelle scuole cattoliche e sia tenuta ovunque nel massimo onore. Fummo anche promotori con Voi della istituzione di un magistero, conforme al pensiero di San Tommaso, nell’Accademia di filosofia superiore in Lovanio; e in questo progetto, come anche in tutte le altre iniziative, constatammo che eravate prontissimi ad esaudire i Nostri desideri e a fare la Nostra volontà. Pertanto, insistete nelle imprese iniziate e vigilate assiduamente affinché nella stessa Accademia le copiose fonti della filosofia cristiana, che sgorgano dalle opere di San Tommaso d’Aquino, si riversino con larga e ricca vena sugli uditori e siano condotte a fecondare tutte le altre discipline. In questa opera non permetteremo mai che Vi vengano a mancare né il consiglio né l’intervento Nostro, qualora occorressero. – Frattanto imploriamo da Dio, fonte di sapienza, promotore di pace e amante della carità, un aiuto adeguato alle necessità e invochiamo su tutti abbondanza di doni celesti. Come auspicio di essi e come testimonianza della Nostra particolare benevolenza, impartiamo a Voi, diletto Figlio Nostro e Venerabili Fratelli, unitamente a tutto il Clero e al popolo affidato alle Vostre cure, con molto affetto, l’Apostolica Benedizione nel nome del Signore.

Dato a Roma, presso San Pietro, il 3 agosto 1881, anno quarto del Nostro Pontificato.

DOMENICA VI DOPO PENTECOSTE

DOMENICA VI DOPO PENTECOSTE (2021)

Semidoppio. – Paramenti verdi.

Un solo pensiero domina tutta la liturgia di questo giorno: bisogna distruggere in noi il peccato con profondo pentimento e chiedere a Dio di darci la forza per non ricadervi. Il Battesimo ci ha fatto morire al peccato e l’Eucarestia ci dà la forza divina necessaria per perseverare nel cammino della virtù. La Chiesa, ancora tutta compenetrata del ricordo di questi due Sacramenti che ha conferito a Pasqua e a Pentecoste, ama parlarne anche « nel Tempo dopo Pentecoste ». – Le lezioni del 7° Notturno, quali si leggono nel Breviario, raccontano, sotto la forma di apologo, la gravità della colpa commessa da David. Per quanto pio egli fosse, questo grande Re aveva lasciato entrare il peccato nel suo cuore. Volendo sposare una giovane donna di grande bellezza, di nome Bethsabea, aveva ordinato di mandare il marito di lei Uria, nel più forte del combattimento contro gli Ammoniti, affinché restasse ucciso. Così sbarazzatosi in questo modo di lui, sposò Bethsabea che da lui già aveva concepito un figlio. Il Signore mandò il profeta Nathan a dirgli: « Vi erano due uomini nella città, uno ricco e l’altro povero. Il ricco aveva pecore e buoi in gran numero, il povero non aveva assolutamente nulla fuori di una piccola pecorella, che aveva acquistata e allevata, e che era cresciuta presso di lui insieme con i suoi figli, mangiando il suo pane, bevendo alla sua coppa e dormendo sul suo seno: essa era per lui come una figlia. Ma essendo venuto un forestiero dal ricco, questi, non volendo sacrificare nemmeno una pecora del suo gregge per imbandire un banchetto al suo ospite, rapi’ la pecora del povero e la fece servire a tavola ». David sdegnatosi, esclamò: « Come è vero che il Signore è vivo, questo uomo merita la morte ». Allora Nathan disse: « Quest’uomo sei tu, poiché hai preso la moglie di Uria per farla tua sposa, mentre potevi sceglierti una sposa fra le giovani figlie d’Israele. Pertanto, dice il Signore, io susciterò dalla tua stessa famiglia (Assalonne) una disgrazia contro di te ». David, allora, pentitosi, disse: Nathan: « Ho peccato contro il Signore ». Nathan riprese: « Poiché sei pentito il Signore ti perdona; tu non morrai. Ma ecco il castigo: il figlio che ti è nato, morrà ». Qualche tempo dopo infatti il fanciullo morì. E David umiliato e pentito andò a prostrarsi nella casa del Signore e cantò cantici di penitenza (Com.). « David, questo re cosi grande e potente, dice S. Ambrogio, non può mantenere in sé neppure per breve tempo il peccato che pesa sulla sua coscienza: ma con una pronta confessione, e con immenso rimorso, confessa il suo peccato al Signore. Così il Signore, dinanzi a tanto dolore, gli perdonò. Invece gli uomini, quando i Sacerdoti hanno occasione di rimproverarli, aggravano il loro peccato cercando di negarlo o di scusarlo; e commettono una colpa più grave, proprio là dove avrebbero dovuto rialzarsi. Ma i Santi del Signore, che ardono dal desiderio di continuare il santo combattimento e di terminare santamente la vita, se per caso peccano, più per la fragilità della carne che per deliberazione di peccato, si rialzano più ardenti alla corsa e, stimolati dalla vergogna della caduta la riparano coi più rudi combattimenti; cosicché la loro caduta invece d’essere stata causa di ritardo non ha fatto altro che spronarli e farli avanzare più celermente» (2° Nott.). Da ciò si comprende la scelta dell’Epistola nella quale S. Paolo parla della nostra morte al peccato. Nel Battesimo siamo stati seppelliti con Cristo, la nostra vecchia umanità è stata crocifissa con lui perché noi morissimo al peccato. E come Gesù dopo la risurrezione è uscito dalla tomba, così noi dobbiamo camminare per una nuova via, vivere per Dio in Gesù Cristo (Ep.). E qualora avessimo la disgrazia di ricadere nel peccato, bisogna domandare a Dio la grazia di esserci propizio e di liberarcene (V. dell’Intr., Crad., All., Secr.), ridonandoci la grazia dello Spirito Santo, poiché da Lui parte ogni dono perfetto (Oraz.). Poi bisogna accostarci all’altare (Com.) per ricevervi l’Eucaristia la cui virtù divina ci fortificherà contro i nostri nemici (Postcom.) e ci manterrà nel fervore della pietà (Oraz.), poiché il Signore è la forza del suo popolo che lo condurrà per sempre (Intr.). Per questo la Chiesa ha scelto per Vangelo la narrazione della moltiplicazione dei pani, figura dell’Eucaristia, che è il nostro viatico. La Comunione, identificandosi con la vittima del Calvario, non solamente perfeziona in noi gli effetti del Battesimo, facendoci morire con Gesù al peccato, ma ci fa trovare a santo banchetto la forza che ci è necessaria per non ricadere nel peccato e per « consolidare i nostri passi nei sentieri del Signore » (Offert.). E in questo senso S. Ambrogio, commenta questo Vangelo. Cristo disse: « Io non voglio rimandarli digiuni per paura che essi muoiano per via. Il Signore pieno di bontà sostiene le forze; se qualcuno soccomberà non sarà per causa del Signore Gesù, ma per causa di se stesso. Il Signore pone in noi elementi fortificanti; il suo alimento è la forza, il suo alimento è il vigore. Così, se per vostra negligenza, avete voi perduta la forza che avete ricevuta, non dovete incolpare gli alimenti celesti che non mancano, ma voi stessi. Infatti Elia, quando stava per soccombere, non camminò per quaranta giorni ancora, avendo ricevuto il cibo da un Angelo? Se voi avete conservato il cibo ricevuto, camminerete per quarant’anni e uscirete dalla terra d’Egitto per giungere alla terra immensa che Dio ha promesso ai nostri Padri.

Incipit

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Ps XXVII: 8-9 Dóminus fortitudo plebis suæ, et protéctor salutárium Christi sui est: salvum fac pópulum tuum, Dómine, et benedic hereditáti tuæ, et rege eos usque in sæculum.

[Il Signore è la forza del suo popolo, e presidio salutare per il suo Unto: salva, o Signore, il tuo popolo, e benedici i tuoi figli, e govérnali fino alla fine dei secoli.]

Ps XXVII: 1 Ad te, Dómine, clamábo, Deus meus, ne síleas a me: ne quando táceas a me, et assimilábor descendéntibus in lacum.

[O Signore, Te invoco, o mio Dio: non startene muto con me, perché col tuo silenzio io non assomigli a coloro che discendono nella tomba.]

Dóminus fortitudo plebis suæ, et protéctor salutárium Christi sui est: salvum fac pópulum tuum, Dómine, et benedic hereditáti tuæ, et rege eos usque in sæculum.

[Il Signore è la forza del suo popolo, e presidio salutare per il suo Unto: salva, o Signore, il tuo popolo, e benedici i tuoi figli, e govérnali fino alla fine dei secoli.]

Oratio

Orémus.

Deus virtútum, cujus est totum quod est óptimum: ínsere pectóribus nostris amórem tui nóminis, et præsta in nobis religiónis augméntum; ut, quæ sunt bona, nútrias, ac pietátis stúdio, quæ sunt nutríta, custódias.

[O Dio onnipotente, cui appartiene tutto quanto è ottimo: infondi nei nostri cuori l’amore del tuo nome, e accresci in noi la virtú della religione; affinché quanto di buono è in noi Tu lo nutra e, con la pratica della pietà, conservi quanto hai nutrito.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Romános. Rom. VI: 3-11

“Fratres: Quicúmque baptizáti sumus in Christo Jesu, in morte ipsíus baptizáti sumus. Consepúlti enim sumus cum illo per baptísmum in mortem: ut, quómodo Christus surréxit a mórtuis per glóriam Patris, ita et nos in novitáte vitæ ambulémus. Si enim complantáti facti sumus similitúdini mortis ejus: simul et resurrectiónis érimus. Hoc sciéntes, quia vetus homo noster simul crucifíxus est: ut destruátur corpus peccáti, et ultra non serviámus peccáto. Qui enim mórtuus est, justificátus est a peccáto. Si autem mórtui sumus cum Christo: crédimus, quia simul étiam vivémus cum Christo: sciéntes, quod Christus resurgens ex mórtuis, jam non móritur, mors illi ultra non dominábitur. Quod enim mórtuus est peccáto, mórtuus est semel: quod autem vivit, vivit Deo. Ita et vos existimáte, vos mórtuos quidem esse peccáto, vivéntes autem Deo, in Christo Jesu, Dómino nostro”.

[“Fratelli,  quanti siamo stati battezzati in Gesù Cristo, siamo stati battezzati nella morte di Lui. Per il battesimo siamo stati, dunque, sepolti con Lui nella morte; affinché a quel modo che Gesù Cristo risuscitò dalla morte, mediante la gloria del Padre, così, anche noi viviamo una nuova vita. Infatti, se siamo stati innestati a Lui per la somiglianza della sua morte, lo saremo anche per quella della resurrezione; ben sapendo che il nostro vecchio uomo è stato crocifisso in Lui, affinché il corpo del peccato fosse distrutto, sicché non serviamo più al peccato. Ora, se siamo morti con Cristo crediamo che vivremo pure con Cristo; perché sappiamo che Cristo risuscitato da morte non muore più: la morte non ha più dominio su di Lui. La sua morte fu una morte al peccato una volta per sempre; e la sua vita la vive a Dio. Alla stessa guisa, anche voi consideratevi morti al peccato e viventi a Dio in Cristo Gesù Signor nostro”.]

NOVITÀ MONDANA E NOVITA’ CRISTIANA.

La novità è una delle sollecitudini, potremmo anche dire delle manie del giorno. Dalla donna vana, che cerca la novità della moda, al letterato ambizioso che cerca la novità dell’arte, all’uomo grave che vuole la novità in politica, novità si vuole su tutta la linea. Povere cose vecchie! e come siete: screditate oggi! e come diventate vecchie e spregevoli rapidamente! Il Cristianesimo ha l’aria di non assecondare troppo questi fremiti di novità, queste ansie per la novità, il Cristianesimo colla santa immutabilità dei suoi dogmi, il Cristianesimo con la forza delle sue vetuste tradizioni. Qualcuno lo dipinge volentieri per metterlo alla berlina, tutto volto al passato, imbalsamatore di cadaveri. E certo il Cristianesimo non folleggia, come il mondo irrequieto, dietro la novità e le novità. Il mondo ha la mania di correre, muoversi, agitarsi, come un epilettoide: il mondo… il Cristianesimo, pacato senza essere ozioso, ha la preoccupazione ben più sacra di arrivare. Il suo ideale non è il nuovo, è il vero, è il bene. Diversità di temperamenti e di orientazioni. Ma nella epistola di quest’oggi ai Romani troviamo una frase che mostra la unilateralità di quella rappresentazione arcaica, la cui mercè altri vorrebbe far onta al Cristianesimo. « Camminiamo (dice San Paolo ai primi Cristiani) nella novità della vita… morti a ciò che c’è in noi di vecchio e di stantio…» La parola di San Paolo ci riporta per incanto ai giorni in cui il Vangelo apparve e fu una grande novità nel mondo… Novità assoluta, profonda di fronte al mondo pagano, novità, non allo stesso modo e nello stesso senso, ma novità anche di fronte al mondo giudaico. Aria nuova che irrompe in un ambiente chiuso parve il Vangelo ai Giudei, aria nuova in un ambiente chiuso, mefitico, così parve ai pagani il Vangelo. Novità la stessa unità di Dio, nonché è molto più il mistero della Trinità, mistero l’amore della Incarnazione, Redenzione, cose non mai più udite, cose contrarie a quelle che si erano udite fino allora. – E nuovi sentieri tracciava questa novità ideale alla vita della umanità. L’umanità operosa da secoli, colla sua operosità, aveva scavato false strade simili a quelle carreggiate che nel fango della strada mal fatta scavano i veicoli. Erano ormai antichi quei sentieri, infossati. Si chiamavano i sentieri dell’orgoglio, della voluttà, dell’egoismo: roba consolidata dal tempo, staremmo per dire dal tempo consacrata. C’era un tipo d’uomo fatto così, orgoglioso, sensuale, egoista, violento. Il Cristianesimo è venuto a scancellare, a disfare, a seppellire questo tipo in nome e a vantaggio d’un altro tipo, altro in tutto e per tutto altro, diverso e perciò nuovo. E nuovo perché fresco, perché vivo davvero. Questa vita d’orgoglio, di sensualità, d’egoismo, era una parvenza di vita, una illusione: febbre più che vita vera e propria. Il febbricitante non s’accorge sempre della sua febbre, non se ne accorge subito: ma a poco a poco sì: l’organismo si strugge; si fiacca. Nostro Signore Gesù è venuto ad uccidere e vivificare; uccidere quella vecchia infelicissima incrostazione di cattive consuetudini ch’era la umanità, e far vivere su quelle rovine, di quelle rovine una umanità nuova… nuova di zecca, e nuova per sempre. Noi siamo, noi dobbiamo essere questa umanità, perennemente viva e fresca, perché perennemente buona, vittoriosa del male e sul male. Il battesimo fa questa morte e questa vita nuova, ma dal battesimo in poi noi non dobbiamo invecchiare, tornando indietro, ringiovanire dobbiamo, andando avanti, andando in su « in novitate vite ambulemus ». E la nostra novità è la nostra giovinezza perenne.

[P. G. Semeria: Le epistole delle Domeniche, Op. naz. Per il mezzogiorno d’Italia, Milano, 1939. – Nihil obstat sac. P. De Ambroggi – Imprim. P. Castiglioni vic. Gen. Curia Ar.Mediolani, 1-3-1938]

Graduale

Ps LXXXIX: 13; LXXXIX: 1 Convértere, Dómine, aliquántulum, et deprecáre super servos tuos.

V. Dómine, refúgium factus es nobis, a generatióne et progénie. Allelúja, allelúja.

[Vòlgiti un po’ a noi, o Signore, e plàcati con i tuoi servi.

V. Signore, Tu sei il nostro rifugio, di generazione in generazione. Allelúia, allelúia]

Alleluja

Ps XXX: 2-3 In te, Dómine, sperávi, non confúndar in ætérnum: in justítia tua líbera me et éripe me: inclína ad me aurem tuam, accélera, ut erípias me. Allelúja.

[Te, o Signore, ho sperato, ch’io non sia confuso in eterno: nella tua giustizia líberami e allontanami dal male: porgi a me il tuo orecchio, affrettati a liberarmi Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia ✠ sancti Evangélii secúndum Marcum.

Marc. VIII: 1-9 In illo témpore: Cum turba multa esset cum Jesu, nec haberent, quod manducárent, convocatis discípulis, ait illis: Miséreor super turbam: quia ecce jam tríduo sústinent me, nec habent quod mandúcent: et si dimísero eos jejúnos in domum suam, defícient in via: quidam enim ex eis de longe venérunt. Et respondérunt ei discípuli sui: Unde illos quis póterit hic saturáre pánibus in solitúdine? Et interrogávit eos: Quot panes habétis? Qui dixérunt: Septem. Et præcépit turbæ discúmbere super terram. Et accípiens septem panes, grátias agens fregit, et dabat discípulis suis, ut appónerent, et apposuérunt turbæ. Et habébant piscículos paucos: et ipsos benedíxit, et jussit appóni. Et manducavérunt, et saturáti sunt, et sustulérunt quod superáverat de fragméntis, septem sportas. Erant autem qui manducáverant, quasi quatuor mília: et dimísit eos.

(In quel tempo: Radunatasi molta folla attorno a Gesú, e non avendo da mangiare, egli, chiamati i discepoli, disse loro: Ho compassione di costoro, perché già da tre giorni sono con me e non hanno da mangiare; e se li rimanderò alle loro case digiuni, cadranno lungo la via, perché alcuni di essi sono venuti da lontano. E gli risposero i suoi discepoli: Come potremo saziarli di pane in questo deserto? E chiese loro: Quanti pani avete? E risposero: Sette. E comandò alla folla di sedersi a terra. E presi i sette pani, rese grazie e li spezzò e li diede ai suoi discepoli per distribuirli, ed essi li distribuirono alla folla. Ed avevano alcuni pesciolini, e benedisse anche quelli e comandò di distribuirli. E mangiarono, e si saziarono, e con i resti riempirono sette ceste. Ora, quelli che avevano mangiato erano circa quattro mila: e li congedò).

Omelia

[DISCORSI DI SAN G. B. M. VIANNEY CURATO D’ARS Vol. III, Marietti Ed. Torino-Roma, 1933] – Visto nulla osta alla stampa. Torino, 25 Novembre 1931. Teol. TOMMASO CASTAGNO, Rev. Deleg. – Imprimatur. C . FRANCISCUS PALEARI, Prov. Gen.]

Panis quem ego dabo, caro mea est prò mundi vita.

(JOAN. VI, 52).

Chi di noi, Fratelli miei, avrebbe mai potuto supporre che Gesù Cristo potesse spingere il suo amore verso le creature fino a dar loro il suo Corpo adorabile e il suo Sangue prezioso, perché fosse nutrimento delle anime nostre, se non l’avesse detto Lui stesso? Ecché, F. M., un’anima nutrirsi del suo Salvatore?… e tante volte quanto desidera? O abisso di bontà e d’amore di un Dio per le sue creature!… S. Paolo ci dice che il Salvatore, vestendo la nostra carne, ha nascosto la sua divinità e portata l’umiliazione fino all’annientamento. Ma, istituendo l’adorabile sacramento dell’Eucaristia, ha velato anche la sua stessa umanità, non lasciando apparire che le viscere della sua misericordia. Oh! vedete, M. F., di che cosa è capace l’amore di un Dio per le sue creature!… No, F. M., di tutti i Sacramenti non ce n’è uno che possa esser paragonato a quello dell’Eucaristia. In quello del Battesimo riceviamo, è vero, il carattere di figli di Dio, e, per conseguenza, prendiamo parte al suo regno eterno; in quello della Penitenza, le piaghe dell’anima nostra sono guarite e ci è restituita l’amicizia del nostro Dio; ma nell’adorabile sacramento dell’Eucaristia riceviamo non solo l’applicazione del suo Sangue prezioso, ma anche l’Autore stesso di ogni grazia. S. Giovanni ci dice che Gesù Cristo, « avendo amato gli uomini fino alla fine » (S. Giov. XIII, 1) trovò il mezzo di salire al cielo senza abbandonare la terra: Prese del pane tra le sue sante e adorabili mani, lo benedisse e lo cangiò nel suo Corpo; prese del vino e lo cangiò nel suo Sangue prezioso e diede a tutti i sacerdoti, nella persona degli Apostoli, il potere di compiere lo stesso miracolo tutte le volte che avrebbero pronunciato le stesse parole: affine di poter con questo miracolo d’amore, restare con noi, esserci di nutrimento, consolarci e tenerci compagnia. « Chi mangia la mia Carne – ci dice Egli – e beve il mio Sangue vivrà in eterno; chi non mangia la mia Carne né beve il mio Sangue non avrà la vita in sé » (Ibid. VI, 54, 55). Oh, M. F.! quale felicità per un Cristiano aspirare al grande onore di nutrirsi del pane degli angeli!… Ma, ahimè! quanto pochi la comprendono!… Ah! M. F., se conoscessimo bene tutta la felicità che abbiamo nel ricevere Gesù Cristo, non ci studieremmo continuamente di meritarla? Per darvi un’idea della grandezza di questa felicità, vi mostrerò:

1° quanto è grande la fortuna di colui che riceve Gesù Cristo nella santa Comunione;

2° i frutti che dobbiamo ritrarne.

I. — Voi tutti sapete, F. M., che la prima disposizione per ricevere degnamente questo grande Sacramento è l’esame accurato della propria coscienza, dopo aver implorato i lumi dello Spirito Santo; la confessione sincera dei propri peccati, con tutte le circostanze che possono renderli più gravi o mutarne la specie, accusandoli tali e quali ce li farà conoscere Dio al momento del giudizio; — un dolore profondo d’averli commessi e la disposizione a sacrificare tutto ciò che abbiamo di più caro piuttosto che commetterli di nuovo; — e in fine un gran desiderio di unirci a Gesù Cristo. Vedete la premura dei Magi di cercar Gesù Cristo nel presepio; vedete la santa Vergine, vedete la Maddalena come s’interessa di cercare il Salvatore risorto! Non intendo, F. M., assumermi di mostrarvi tutta la grandezza di questo Sacramento: ciò non è dato all’uomo; bisognerebbe esser Dio stesso per poter esporvi la grandezza di queste meraviglie: perché ciò che ci riempirà di stupore per tutta l’eternità, sarà l’aver ricevuto, noi, miseri quali siamo, un Dio sì grande. – Tuttavia, per darvene un’idea, vi mostrerò che Gesù non è mai passato in alcun luogo, durante la sua vita mortale, senza spandervi le sue benedizioni più abbondanti e, per conseguenza, quanto devono esser grandi e preziosi i beni che ricevono coloro che hanno la bella sorte di accoglierlo in sé per mezzo della santa Comunione; anzi, per dir meglio, vi mostrerò che tutta la nostra felicità in questo mondo consiste nel ricevere Gesù Cristo in questo augusto Sacramento; ciò ch’è molto facile a comprendersi; poiché la santa Comunione giova non solo all’anima nostra col nutrirla, ma anche al nostro corpo, come vedremo. Leggiamo nel santo Evangelo, che Gesù Cristo entrando nella casa di S. Elisabetta, benché ancora chiuso nel seno materno, madre e figlio furono ripieni di Spirito Santo. San Giovanni fu anche purificato dalla macchia d’origine, e la madre esclamò: « Ah! donde mai mi viene tanta felicità che la madre del mio Dio si degni di venire a me? » (S. Luc. I, 43). Pensate, M. F., quanto più grande debba essere la felicità di colui che riceve Gesù Cristo nella santa Comunione, poiché lo riceve non già in casa sua, come S. Elisabetta, ma nel suo proprio cuore; padrone di custodirvelo, non tre mesi, come Elisabetta, ma per tutta la vita. — Quando il vecchio Simeone, che da tanti anni sospirava ardentemente la felicità di vedere Gesù Cristo, poté riceverlo almeno tra le sue mani, fu così trasportato e rapito di gioia, che, non sapendosi trattenere, esclamò in un impeto d’amore: « O Signore, e che posso io desiderare ancora sulla terra, dacché i miei occhi hanno visto il Salvatore del mondo? Io ora posso morire in pace! » (S. Luc. II, 29). Ma, ancora una volta, qual differenza, F. M., tra il riceverlo sulle proprie braccia, contemplarlo qualche istante, e riceverlo nel proprio cuore!… Quando Zaccheo, sentito parlare di Gesù Cristo, desiderò ardentemente di vederlo, essendo impedito dalla gran folla che accorreva da ogni parte, s’arrampicò su di un albero; ma il Signore, vedendolo, gli disse: « Zaccheo, vien giù subito, perché oggi voglio alloggiare in casa tua. ». Ed egli s’affretta a discendere e corre a preparare tutto ciò che può per ricevere il Salvatore. Gesù, entrando nella sua casa dice: « Oggi questa casa riceve la salvezza. » E Zaccheo, vedendo la grande carità di Gesù Cristo nel venire ad albergare in casa sua, « Signore, esclama, io darò la metà dei miei beni ai poveri, e renderò il doppio a tutti quelli che ho in qualunque modo danneggiati » (S. Luc. XIX) Di maniera chè, M. F., la sola visita di Gesù Cristo, fece d’un gran peccatore un gran santo, poiché egli ebbe la felicità di perseverare fino alla morte. — Leggiamo nell’Evangelo che, quando Gesù Cristo entrò nella casa di S. Pietro, questi lo pregò di guarirgli la suocera, travagliata da febbre violenta. Gesù Cristo comandò alla febbre di lasciarla e all’istante ella fu guarita; tanto che poté servirli a tavola (S. Luc. IV, 38-39). Vedete anche l’emorroissa. Diceva tra sé: « S’io potessi, se avessi la fortuna di toccargli anche solo l’orlo della veste, sarei guarita; » e infatti, quando il Salvatore passò, ella si gettò a’ suoi piedi, toccò e fu guarita perfettamente (S. Matth. IX, 20). E perché il Signore andò a risuscitare Lazzaro, morto da quattro giorni?… Non è forse perché l’aveva ricevuto spesso in casa sua, che Gesù gli mostrò così vivo attaccamento da versar lagrime presso la sua tomba? (S. Giov. XI). Gli uni gli chiedevano la vita, gli altri la guarigione del corpo; e nessuno mai si ritirò senza aver ottenuto ciò che domandava. Pensate voi s’Egli vorrà negare ora ciò che gli si domanda. Quali torrenti di grazie non deve accordare, quando è Lui stesso che viene nei nostri cuori, desideroso di fissarvi la sua dimora per tutto il resto dei nostri giorni! Oh! M. F., quale felicità per chi riceve, con le dovute disposizioni, Gesù Cristo nella santa Comunione!… Ah! chi potrà mai comprendere la fortuna del Cristiano che riceve Gesù Cristo nel suo cuore, il quale per ciò stesso diventa un piccolo cielo; da solo, Egli è tanto ricco quanto tutto il cielo insieme. Ma, mi direte, perché dunque la maggior parte dei Cristiani è così insensibile a questa felicità, tantoché molti anzi la disprezzano e si beffano di quelli che sono sì lieti di ricevere Gesù Cristo? — Ahimè, mio Dio! Quale sventura è mai paragonabile a questa? È perché questi poveri infelici non hanno mai conosciuto né gustato la grandezza di questa felicità. Infatti, F. M., un uomo, una creatura, nutrirsi, saziarsi del suo Dio, farne il suo cibo Quotidiano! … O miracolo dei miracoli ! o amor degli amori!… o felicità delle felicità, ignota agli Angeli stessi!… 0 mio Dio! qual gioia per un Cristiano che ha fede sapere che, levandosi dalla sacra Mensa, se ne va col cielo nel cuore!… Oh! felice la casa in cui abitano questi Cristiani!… qual rispetto non si deve aver per loro in quel giorno! Avere nella propria casa un secondo tabernacolo, in cui ha risieduto realmente il buon Dio in Corpo ed in Anima!… Ma, forse mi direte ancora, se questa felicità è sì grande, perché la Chiesa ci comanda di comunicarci una volta all’anno? — Questo comando, M. F., non è per i Cristiani buoni, ma per i tiepidi e indifferenti per la povera anima loro. Nei primi tempi della Chiesa, il più gran castigo che si poteva infliggere ai Cristiani era di privarli di questa felicità. Ogni volta che essi assistevano alla santa Messa, avevano anche la bella sorte di comunicarsi. Mio Dio! come è mai possibile che i Cristiani possano stare tre, quattro, cinque e anche sei mesi senza dare questo nutrimento celeste alla povera anima loro? Essi la lasciano morir di miseria!… Mio Dio! Quale sventura! quale accecamento!… mentre hanno tanti rimedi per guarirla, e un nutrimento sì efficace per conservarle la salute! Ah! F. M., diciamolo con le lagrime agli occhi, non si risparmia nulla per il corpo che dopo tutto dovrà, tosto o tardi, essere distrutto e corroso dai vermi; e l’anima, creata ad immagine di Dio, l’anima immortale, la si disprezza, la si tratta con la peggiore delle crudeltà!… La Chiesa vedendo come i Cristiani perdevano di vista la salute delle loro povere anime, sperando che il timor del peccato avrebbe fatto loro aprire gli occhi, li obbligò a comunicarsi tre volte all’anno: a Natale, a Pasqua e a Pentecoste. Ma più tardi vedendoli diventare sempre più insensibili alla loro sventura, finì per non obbligarli che una volta sola all’anno. Mio Dio! quale sciagura e quale accecamento per un Cristiano, esser costretto da leggi a cercare la sua felicità! Di maniera che, quand’anche, M. F., non aveste altri peccati sulla coscienza che quello di non far la vostra Pasqua, voi sareste perduti. Ma ditemi, qual vantaggio potete mai trovare nel lasciare la povera anima vostra in uno stato sì lacrimevole?… Voi siete tranquilli e contenti, se pur si deve credere a ciò che dite; ma ditemi: dove potete trovare la vostra tranquillità e il vostro contento? È forse perché l’anima vostra non attende che il momento in cui la morte la colpirà per piombarla nell’inferno? Forse perché il demonio è vostro padrone? Mio Dio! quale accecamento e quale sventura per chi ha perduto la fede! Perché ancora, F. M., la Chiesa ha stabilito l’uso del pane benedetto che si distribuisce durante la S. Messa, e che, per la benedizione della Chiesa, vien distinto dalle cose ordinarie? Se non lo sapete, ve lo dirò io. È per consolare i peccatori, e, allo stesso tempo, coprirli di confusione. Per consolarli, perché, almeno, il prendere questo pane benedetto li mette in qualche modo a parte della felicità di quelli che ricevono Gesù Cristo, ai quali si uniscono con gran desiderio di riceverlo e con una fede viva. Ma anche per coprirli di confusione: infatti, quale confusione, se la loro fede non è ancora spenta, veder un padre, una madre, un fratello, una sorella, un vicino, una vicina, accostarsi alla sacra Mensa, nutrirsi del Corpo adorabile di Gesù Cristo; mentre essi sono esclusi. Quale sventura, mio Dio! e tanto più grande quanto meno compresa!… Sì, M. F., tutti i santi Padri ci dicono che, ricevendo Gesù Cristo nella santa Comunione, noi riceviamo ogni sorta di benedizioni per il tempo e per l’eternità. Infatti, s’io domando a un fanciullo: « Dobbiamo desiderare di comunicarci? — Sì, mi risponde. — E perché? — Per gli effetti eccellenti che la santa Comunione produce in noi. — Quali sono questi effetti? La santa Comunione ci unisce intimamente a Gesù Cristo, indebolisce la nostra inclinazione al male, aumenta in noi la vita della grazia, è per noi il principio e « il pegno della vita eterna. »

1° In primo luogo, la santa Comunione ci unisce intimamente a Gesù Cristo. Unione sì intima, questa, F. M., che Gesù Cristo stesso ci dice: « Chi mangia la mia Carne e beve il mio Sangue rimane in me e Io in lui: la mia Carne è veramente cibo, il mio Sangue è veramente bevanda » (S. Giov. VI, 56-57) di maniera che, per la S. Comunione il Sangue adorabile di Gesù Cristo scorre veramente nelle nostre vene; la sua Carne è veramente commista alla nostra; ciò che faceva dire a S, Paolo: « Non sono io che opero, che penso, ma è Cristo che opera e pensa in me. Non io vivo, ma vive Cristo in me » (Gal. II, 20) S. Leone ci dice che quando abbiamo la grande ventura di comunicarci, noi chiudiamo davvero in noi stessi il Corpo adorabile e il prezioso Sangue di Cristo. F. M., comprendete voi bene tutta la grandezza di questa felicità? Ah! no, no; comprenderla bene non lo potremo che in cielo. Mio Dio! una creatura arricchita di tanto dono!…

2° In secondo luogo, ricevendo Gesù Cristo nella santa Comunione, vi riceviamo un aumento di grazie, ciò che è facile a comprendersi. Poiché, ricevendo Gesù Cristo, riceviamo la fonte di ogni sorta di benedizioni spirituali, che si spandono nelle anime nostre. Infatti, M. F., chi riceve Gesù Cristo, sente rianimarsi in sé la fede; tutti noi ci sentiamo più penetrati delle verità della nostra santa Religione; sentiamo meglio la gravità del peccato e i suoi pericoli; il pensiero del giudizio ci colpisce di più, siamo più sensibili alla perdita di Dio. Ricevendo Gesù Cristo il nostro spirito si fortifica; ci sentiamo più fermi nel combattere; le nostre intenzioni in tutto ciò che facciamo sono sempre più pure; il nostro amore s’infiamma sempre più. Il pensiero che possediamo Gesù nei nostri cuori, il piacere che proviamo in quel momento felice sembra unirci e legarci talmente a Dio che il nostro cuore non può pensare, non può desiderare che Dio solo. Ci riempie tanto il pensiero del possesso perfetto di Dio che la vita ci par troppo lunga, e invidiamo non quelli che vivono molti anni, ma quelli che partono presto per andare a riunirsi a Dio per sempre. Tutto ciò che ci annuncia la distruzione del nostro corpo ci allieta. Ecco, M. F., il primo effetto che la santa Comunione produce in noi, quando siamo tanto avventurati da ricevere Gesù Cristo degnamente.

3° In terzo luogo, la santa Comunione indebolisce la nostra tendenza al male, ciò che pure è facilissimo a comprendersi. Il Sangue preziosissimo di Gesù Cristo che scorre nelle nostre vene, e il suo Corpo adorabile, che si compenetra col nostro, non può fare a meno di distruggervi o almeno diminuirvi la tendenza al male, che il peccato di Adamo vi ha fatto nascere. Tanto vero ciò, che, appena ricevuto Cristo, si prova un gusto nuovo per le cose del cielo e un nuovo disprezzo per le cose create. Ditemi, F. M., come volete che l’orgoglio possa entrare in un cuore, dove è appena disceso un Dio che, scendendo in quell’anima, s’è umiliato fino all’annientamento? Potrebbe egli acconsentire di credersi qualche cosa? Al contrario potrà egli trovar abbastanza di che umiliarsi e disprezzarsi? Un cuore che ha appena ricevuto in sé un Dio sì puro, che è la santità stessa, non sentirà nascere in sé l’orrore più profondo per il minimo peccato di impurità? Non sarebbe anzi egli disposto a lasciarsi tagliare a pezzi piuttosto che acconsentire, non dico a una cattiva azione, ma anche solo a un cattivo pensiero? Un cuore che ha appena ricevuto nella santa Comunione Colui che, padrone di tutto, ha passato la sua vita nella più stretta povertà, tanto che aveva solo una manata di paglia su cui posare il capo, e morì ignudo su di una croce; dite, come potrà questo cuore attaccarsi ai beni del mondo, vedendo la condotta di Gesù? Una lingua che ha appena appena goduto la felicità di toccare il suo Creatore e il suo Salvatore, come mai oserebbe darsi a parole sconce, a baci impuri? No, senza dubbio, non l’oserà mai. Quegli occhi che, poco fa desideravano sì vivamente contemplare il loro Creatore, più puro dei raggi del sole, come potrebbero, dopo tale felicità, fissarsi sopra oggetti impuri? Pare impossibile. Un cuore che ha appena servito di trono a Gesù Cristo, come potrebbe cacciarnelo, per mettere al suo posto il peccato, o piuttosto il demonio stesso? Ancora: un cuore che ha gustato una volta i casti abbracci del suo Salvatore, come potrebbe trovare altra felicità che in Lui? Un Cristiano che ha appena ricevuto Gesù Cristo, morto per i suoi nemici, come potrebbe voler male a chi gli avesse fatto qualche torto? No, senza dubbio; il suo piacere sarà di fargli del bene, quanto potrà. Così S. Bernardo diceva ai suoi religiosi: « Figli miei, se vi sentite meno portati al male e più al bene, ringraziatene Gesù Cristo che vi accorda questa grazia nella santa Comunione. »

4° In quarto luogo, la santa Comunione è per noi « il pegno della vita eterna » (Futuræ gloriæ nobis pignus datur. Off. Ss. Sacramenti) di guisa che la santa Comunione ci assicura il cielo. È un’arra che il cielo ci offre per dirci che un giorno esso sarà la nostra dimora; e, di più, Gesù Cristo risusciterà i nostri corpi tanto più gloriosi quanto più spesso l’avremo degnamente ricevuto. Oh, M. F.! se potessimo comprender bene quanto brama Gesù di venire nelle anime nostre!… Una volta entratovi, non vorrebbe uscirne più, non più separarsi da noi né in vita né dopo morte. Leggiamo nella vita di S. Teresa che essendo apparsa dopo morte ad una religiosa, in compagnia di nostro Signore, questa, meravigliata di vederla assieme a Gesù Cristo, domandò al Salvatore perché le apparisse così. E Gesù stesso le rispose che Teresa gli era stata sì unita in vita per mezzo della santa Comunione, ch’Egli non poteva più staccarsene. No, M. F., non c’è cosa che possa tanto abbellire i nostri corpi per il cielo, quanto la santa Comunione. Oh, F. M.! qual gioia dovranno godere quelli che si saranno comunicati spesso e degnamente durante la vita!… Il Corpo adorabile di Gesù Cristo e il suo Sangue prezioso, sparsi in tutto il nostro essere, saranno simili ad uno splendido diamante, che pure nascosto da un velo, risalta assai bene. Se avete qualche dubbio, ascoltate S. Cirillo d’Alessandria dirci che colui che riceve Gesù Cristo nella santa Comunione gli rimane così unito ch’essi diventano come due pezzi di cera fusa, i quali finiscono per non formarne che uno solo e si mescolano e si confondono talmente che non si possono più separare. Oh! F. M., quale felicità per un Cristiano che arriva a comprendere questo grande mistero !… S. Caterina da Siena esclamava nei suoi trasporti d’amore: « Oh, mio Dio! oh, mio Salvatore! quale eccesso di carità e di bontà! darvi con tanta premura alle vostre creature!… E , dando voi stesso, date tutto ciò che avete, tutto ciò che siete. Tenero Salvator mio, gli diceva ella, irrorate, ve ne scongiuro, la mia povera anima col vostro Sangue prezioso, nutrite il mio col vostro Corpo adorabile, affinché il mio corpo e l’anima mia non aspirino che a piacere unicamente a voi e a possedervi. „ S. Maddalena de’ Pazzi ci dice che basterebbe una sola Comunione fatta con tenerezza d’amore e con cuor puro, per sublimarci alla più alta perfezione. La beata Vittoria diceva a quelli che vedeva languire nel cammino del cielo: « Perché, figliuoli miei, vi trascinate così sulle vie della salvezza? Perché avete sì poco coraggio per lavorare, affine di meritare la gran felicità di andare ad assidervi alla sacra Mensa e mangiarvi il pane degli Angeli che tanta forza apporta ai deboli ? Oh! se sapeste quanto questo pane celeste addolcisce le miserie della vita! Oh! se aveste gustato anche solo una volta quanto Gesù è buono e benefico con chi lo riceve nella santa Comunione!… Andate, figli miei, mangiate questo pane dei forti, e ne ritornerete pieni di gioia e di coraggio, né più desidererete che il dolore, i tormenti e la lotta per piacere a Gesù Cristo. „ S. Caterina da Genova era così affamata di questo pane celeste, che non poteva vederlo nelle mani di un Sacerdote, senza sentirsi morir d’amore, tanto era il suo desiderio di possederlo. « Ah, Signore! esclamava, venite a me! mio Dio, venite a me! io non posso più resistere! O mio Dio, venite, di grazia, in fondo al mio cuore: mio Dio, non ne posso più! Voi siete tutta la mia gioia, tutta la mia felicità, tutte il nutrimento dell’anima mia! » Oh, M. F.! se noi potessimo comprendere una minima parte di questa felicità, non potremmo più desiderar la vita se non per assicurarci questa felicità; fare cioè di Gesù il nostro pane d’ogni giorno. F. M., tutte le cose create non sarebbero più nulla, noi le disprezzeremmo assolutamente per attaccarci a Dio solo, e tutti i nostri passi, tutte le nostre azioni non tenderebbero ad altro che a renderci sempre più degni di riceverlo.

II. — Tuttavia, M. F., se noi possiamo ricevere tanti beni nella santa Comunione, occorre anche che, da parte nostra ci adoperiamo di rendercene degni. E lo vedremo ben chiaro. — Se domando a un fanciullo quali sono le disposizioni necessarie per comunicarsi bene, vale a dire per ricevere degnamente il Corpo adorabile e il Sangue preziosissimo di Gesù Cristo, affine di ricevere tutte le grazie accordate a tutti i ben disposti, egli mi risponde: « Ci sono due sorta di disposizioni, le une che riguardano il corpo, le altre che riguardano l’anima. „ Siccome Gesù Cristo viene e nel nostro corpo e nella nostra anima, così dobbiamo rendere l’uno e l’altra degni di tale felicità.

1° La prima disposizione che riguarda il corpo, consiste nell’esser digiuni dalla mezzanotte; non aver cioè mangiato né bevuto assolutamente nulla, nulla aver messo in bocca, neppure… Se dubitaste che fosse già passata la mezzanotte, dovreste rimettere la Comunione a un altro giorno. Ci sono di quelli che si comunicano anche nel dubbio che fosse già passata la mezzanotte. Facendo così si espongono a un gran peccato, o almeno a non ritrarre alcun frutto dalla loro Comunione, ciò che è un gran male, massime se quel giorno fosse ultimo del tempo pasquale, o di un giubileo, o di qualche gran festa; insomma non bisogna farlo mai, sotto qualunque pretesto. – Certe donne gustano il cibo dei loro bambini, se lo mettono alla bocca e credono di non inghiottir niente. Non fidatevi: perché è troppo difficile poterlo fare senza che nulla abbia a discendere per la gola.

2° Occorre un abito pulito, non dico ricco, ma che almeno non sia sucido, né  stracciato: vale a dire, pulito e rassettato; a meno che non se n’avessero proprio altri. Vi sono di quelli che non hanno di che cambiarsi, o che non lo fanno per pigrizia. Per quelli che non ne hanno, niente di male; ma gli altri fanno male, perché è un mancar di rispetto a Gesù Cristo che brama tanto venire nel loro cuore. Bisogna essersi pettinati, aver lavato il viso e le mani; non mai venire alla sacra Mensa senza scarpe, buone o rotte che siano. Non già però che si debbano approvare certe signorine che non fanno differenza tra l’andare alla sacra Mensa e il portarsi al ballo o ad un festino; davvero io non so come possano andare con tanta pompa di vanità a ricevere un Dio umiliato e annientato. Quale contraddizione, mio Dio, quale contraddizione!…

3° La terza disposizione è la purità del corpo. Questo Sacramento è chiamato « il pane degli Angeli » per mostrarci che, per riceverlo degnamente, bisogna accostarsi alla purità degli Angeli quanto più è possibile. S. Giovanni Crisostomo ci dice che quelli che hanno avuto la sventura di lasciar correre il loro cuore dietro un oggetto impuro, devono guardarsi bene dall’accostarsi a ricevere il pane degli Angeli, perché il Signore li castigherebbe. Ai primordi della Chiesa, uno che avesse peccato contro la bella virtù della purezza era condannato a non comunicarsi per tre anni continui; e, se vi ricadeva, per sette anni; ciò che è facile a comprendersi perché questo peccato macchia l’anima e il corpo. S. Giovanni Crisostomo ci dice ancora che la bocca che riceve Gesù Cristo e il corpo che lo accoglie devono esser più puri che i raggi del sole. Occorre che tutto il nostro esterno dica a quelli che ci vedono che noi ci prepariamo a qualcosa di grande. Che se, per comunicarci, sono già tanto necessarie le disposizioni del corpo, lascio pensare a voi, o F. M., quante più dovranno esserlo quelle dell’anima per meritare le grazie che Gesù ci porta venendo in noi per mezzo della santa Comunione. Sì, F. M., quando ci portiamo alla sacra Mensa, se vogliamo ricevere Gesù con disposizioni buone, bisogna che la coscienza non ci rimorda di nulla; dobbiamo poter esser convinti d’aver fatto tutto il necessario per esaminarci bene, affine di conoscere i nostri peccati; occorre che la coscienza non ci rimproveri di nulla sull’accusa fatta dei nostri peccati; è necessario essere nella risoluzione di fare, colla grazia di Dio, tutto ciò che dipenderà da noi per non ricadervi, e avere un desiderio sincero di compiere il meglio possibile la penitenza assegnataci. Per penetrarci bene della grandezza dell’azione che stiamo per compiere, dobbiamo da principio guardare la sacra Mensa come il tribunale di Gesù Cristo, al quale saremo giudicati. Se abbiamo avuto la sventura di non accusarci bene dei nostri peccati, d’averne taciuto o svisato qualcuno, persuadiamoci bene che non è Gesù Cristo che andiamo a ricevere, ma il demonio. Oh! F. M., quale orrore mettere Gesù Cristo sotto i piedi del demonio!… Leggiamo nel Vangelo che Gesù istituì l’adorabile sacramento dell’Eucaristia, in una stanza ben pulita e arredata per mostrarci con quanta cura dobbiamo abbellire l’anima nostra con ogni sorta di virtù per ricevere Gesù Cristo nella santa Comunione. E, di più, prima di porgere il suo Corpo adorabile e il suo Sangue prezioso, Gesù si levò da mensa e andò a lavare i piedi de’ suoi apostoli (S. Giov. XIII, 4), per farci comprendere quanto dobbiamo essere esenti da qualunque peccato, anche più leggiero, vale a dire, non avere alcun affetto neppure al peccato veniale. Rinunciare perfettamente a noi stessi in tutto ciò che è contro coscienza; non avere alcuna difficoltà di parlare a quelli che ci hanno offesi, o di incontrarli; portarli anzi in cuore… Diciamo anche meglio, F. M., quando andiamo a ricevere il Corpo di Gesù Cristo nella santa Comunione, dobbiamo sentirci in istato di poter morire e comparire con confidenza dinanzi al tribunale di Cristo. S. Agostino ci dice: « Se volete comunicarvi in modo da piacere a Gesù Cristo, dovete essere assolutamente staccati da tutto ciò che possa tanto o poco dispiacere a Dio. » E S. Giovanni Crisostomo: « Quando cadete in qualche peccato mortale, dovete confessarvene subito; ma poi dovete stare qualche tempo prima di accostarvi alla santa Mensa, per aver tempo di far penitenza. Deplorate, continua egli, la sventura di quelli che, dopo essersi confessati di gravi peccati mortali, domandano subito la santa Comunione, credendo che la sola confessione basti. No; bisogna anche piangere i nostri peccati e farne penitenza, prima di ricevere Gesù Cristo nei nostri cuori. » S. Paolo dice a tutti « di purificar bene l’anima nostra da qualunque macchia prima di ricevere il pane degli Angeli, il Corpo adorabile e il Sangue prezioso di Gesù Cristo » (I Cor. XI, 28), perché se l’anima non fosse tutta pura, attireremmo sopra di noi ogni sorta di sventure per questo mondo e per l’altro. » –  E S. Bernardo: « Per comunicarci degnamente dobbiamo fare come il serpente, quando vuol bere a suo agio. Perché l’acqua gli giovi, sprizza fuori il veleno. Noi dobbiamo fare lo stesso: quando vogliamo ricevere Gesù Cristo, dobbiamo gettar via il nostro veleno, che è il peccato, veleno dell’anima nostra e di Gesù Cristo; ma, ci dice questo gran santo, dobbiam gettarlo via per davvero. Figli miei – continua egli – deh! non avvelenate Gesù Cristo nel vostro cuore. » Sì, F. M., quelli che vanno alla sacra Mensa senza aver prima purificato il loro cuore, devono temere assai d’incontrare lo stesso castigo di quel servo che osò mettersi a tavola senza la veste nuziale. Il padrone comandò a’ suoi ministri di prenderlo, di legarlo mani e piedi e gettarlo fuori nelle tenebre. Allo stesso modo, M. F., all’ora della morte Gesù Cristo dirà a quelli che avranno avuto la disgrazia di riceverlo senza essersi convertiti: « Perché avete avuto l’audacia di ricevermi nei vostri cuori, macchiati di tanti peccati? » No, F. M., non dimentichiamo mai che per comunicarci bene, dobbiamo essere convertiti davvero e veramente risoluti di perseverare. Abbiamo visto che quando Gesù volle dare il suo Corpo adorabile e il Sangue suo prezioso agli Apostoli per mostrar loro quanto occorresse esser puri per riceverlo, arrivò persino a lavar loro i piedi. Con ciò volle mostrarci che non potremmo mai esser troppo mondi dai nostri peccati, anche veniali. È vero che il peccato veniale non rende le nostre Comunioni indegne, ma è causa per cui tanta felicità non ci giovi quasi a nulla. La prova è evidente. Vedete quante Comunioni nella nostra vita! Ebbene: siamo noi per questo divenuti migliori? — No, senza dubbio; e la vera causa di ciò è il conservar quasi sempre le nostre cattive abitudini e il non correggerci mai, una volta meglio dell’altra. Noi abbiamo orrore per quei grandi peccati che danno la morte all’anima; ma per tutto quelle piccole impazienze, per quelle mormorazioni quando ci tocca qualche disgrazia o qualche dispiacere, per quei sotterfugi nel parlare,… via, ciò non costa molto. Vedete però che, malgrado tante confessioni e tante Comunioni, voi siete sempre quelli di prima; e che le vostre confessioni, già da molt’anni, non sono che la solita ripetizione degli stessi peccati, i quali, sebbene veniali, non per questo v’impediscono meno di perder quasi tutto il merito delle vostre Comunioni. Vi si sente dire, ed è vero, che voi non valete oggi più di ieri; ma chi v’impedisce di correggervi dei vostri difetti?… Se siete sempre gli stessi è appunto perché non volete mai fare il minimo sforzo per correggervi: non volete soffrire nulla, in nulla essere contraddetti; vorreste che tutti vi amassero e avessero di voi buona opinione, cosa troppo difficile. Procuriamo, M. F., di lavorare per distruggere tutto ciò che può in qualunque modo dispiacere a Gesù Cristo; e vedremo come le nostre Comunioni ci faranno camminare a gran passi verso il cielo; e più ci comunicheremo, più ci sentiremo staccati dal peccato e portati a Dio. – Dice S. Tommaso, che la purità di Gesù Cristo è sì grande che il minimo peccato veniale gli impedisce di unirsi con quella intimità che vorrebbe. Per ben ricevere Gesù Cristo bisogna avere nello spirito e nel cuore una gran purità d’intenzione. Ci sono di quelli che pensano al mondo, alla stima o al disprezzo ch’esso avrà di loro: ciò non importa niente. Altri vanno in quei dati giorni per abitudine. Ecco, F. M., delle povere Comunioni, poiché mancano di purità d’intenzione. M. F., ciò che deve spingerci alla sacra Mensa è:

1° perché Gesù Cristo ce lo comanda sotto pena di non conseguire la vita eterna;

2° perché ne abbiamo un gran bisogno per fortificarci contro il demonio;

3° per staccarci dalla terra e attaccarci a Dio. Miei cari, pei aver la grande felicità di ricevere Gesù Cristo, felicità sì grande che tutti gli angeli c’invidiano… (essi possono solo amarlo e adorarlo come noi, ma non come noi riceverlo, ciò che sembra elevarci al disopra degli angeli stessi)… lascio ora pensare a voi con quale purità, con quale amore dobbiamo presentarci a Gesù Cristo per riceverlo. Dobbiamo inoltre comunicarci per ricevere le grazie di cui abbiamo bisogno. Se abbiamo bisogno di umiltà, di pazienza di purezza, ebbene, F. M., tutto ciò troveremo nella santa Comunione, e con ciò tutte le grazie necessarie ad un Cristiano.

4° Dobbiamo andare alla sacra Mensa per unirci a Gesù Cristo, affinché Egli ci trasformi in se stesso, ciò che succede a tutti quelli che Lo ricevono santamente. Se ci comunichiamo spesso e degnamente, i nostri pensieri, i nostri affetti, tutte le nostre azioni, tutti i nostri passi hanno lo stesso fine di quelli di Gesù Cristo quand’era sulla terra. Allora amiamo Dio, ci commoviamo a tutte le miserie spirituali e temporali del prossimo e non pensiamo affatto ad attaccarci alla terra; il nostro cuore, il nostro spirito non pensano, non aspirano che al cielo. – Si, F. M., per fare una buona Comunione, bisogna avere una fede viva in questo grande mistero. Siccome questo Sacramento è un “mistero di fede, „ bisogna credere davvero che Gesù Cristo è realmente presente nella Ss. Eucaristia, ch’Egli vi è vivo e glorioso come in cielo. Altre volte, prima di porgere la santa Comunione, il Sacerdote, tenendo tra le dita la Ss. Eucaristia, diceva ad alta voce: « Credete, che il Corpo adorabile e il Sangue prezioso di Gesù Cristo è veramente in questo Sacramento? » Allora tutti i fedeli rispondevano: « Sì, lo crediamo » . (S. Ambrogio, De Sacramenti, lib. IV, cap. 5). Oh! quale felicità per un Cristiano venir a prostrarsi alla Mensa dei vergini, a ricevere il Pane dei forti!… No, F. M., non c’è nulla che possa renderci sì terribili al demonio quanto la santa Comunione. – Più ancora: essa ci conserva non solo la purità dello spirito, ma altresì quella del corpo. Vedete S. Teresa. Era divenuta sì cara a Dio per la Comunione che faceva sì spesso e sì degnamente, che un giorno Gesù Cristo le apparve e le disse che ella gli piaceva tanto che quand’anche non ci fosse stato il cielo, ne avrebbe creato uno apposta per lei. Vediamo nella sua vita che una domenica di Pasqua, dopo la santa Comunione, ella fu sì rapita in Dio che, ritornata in sé, si sentì la bocca tutta ripiena del Sangue adorabile di Gesù Cristo, che pareva uscir dalle sue vene; ciò che le comunicò tanta dolcezza, che ella credette morirne di amore. « Io vidi – ella racconta – il mio divin Salvatore, il quale mi disse: Figlia mia, voglio che questo Sangue che ti è causa di tanto amore serva a salvarti: non temere giammai che la mia misericordia ti venga meno. Quando ho versato questo Sangue prezioso, non ho provato che dolori e amarezze; ma tu ricevendolo non ne avrai che dolcezza e amore. » Spesso quand’ella si comunicava, gli Angeli scendevano in folla dal cielo e parevano porre le loro delizie nell’unirsi a lei per lodare il Salvatore, ch’ella aveva la felicità, di portare in cuore. Spesse volte la santa fu vista presa dagli Angeli alla sacra Mensa e portata su di un’alta tribuna. Oh, F. M.! se noi avessimo anche una volta sola compreso la grandezza di questa felicità, davvero non ci sarebbe bisogno d’esser sollecitati per venirla a godere. S. Gertrude domandava un giorno a Gesù Cristo che cosa bisognasse fare per riceverlo il più degnamente possibile. Gesù le rispose che bisognava desiderare l’amor di tutti i santi insieme, e che quest’unico suo desiderio sarebbe stato appagato. Volete sapere, F. M., come dovete comportarvi quando volete gustare la felicità di ricevere Gesù Cristo? Fate come quel buon Cristiano che si comunicava ogni otto giorni; egli ne impiegava tre in ringraziamento e tre in preparazione. Ebbene, che cosa vi impedisce di fare anche voi tutte le vostre azioni per questo scopo? Trattenetevi con Gesù Cristo che regna nel vostro cuore; pensate che verrà sull’altare e di là scenderà nel vostro cuore per visitare l’anima vostra e arricchirla d’ogni sorta di beni e di felicità. Invochiamo la santa Vergine, gli Angeli, i Santi affinché preghino il buon Dio che possiamo riceverlo più degnamente che ci sarà possibile. Quel giorno veniamo più per tempo alla S. Messa e ascoltiamola anche meglio delle altre volte. Il nostro spirito e il nostro cuore devono essere continuamente ai piedi del tabernacolo, continuamente sospirare il felice momento; i nostri pensieri non devono più essere di questo mondo, ma tutti celesti; e dobbiamo esser così inabissati nel pensiero di Dio, da sembrar morti al mondo. Dobbiamo avere con noi il nostro libro di pietà, il nostro rosario e dire le nostre orazioni col maggior fervore possibile per rianimare in noi la fede, la speranza e un grande amore per Gesù che, del nostro cuore, farà, fra qualche istante, il suo tabernacolo, o, per dir più esatto, un piccolo cielo. Quale felicità, mio Dio, quale onore per misere creature come siamo noi! Gli dobbiamo inoltre un gran rispetto, noi esseri così miserabili!… Ma tuttavia speriamo ch’Egli avrà egualmente pietà di noi. Dopo i vostri atti di preparazione, dovete offrire la vostra Comunione per voi o per altri; poi alzatevi e andate alla sacra Mensa con grande modestia, la quale mostri che andate a compiere qualcosa di grande; prostratevi in ginocchio e sforzatevi di rianimare in voi la fede che vi faccia sentire tutta la grandezza della vostra felicità. Il vostro spirito e il vostro cuore siano tutti di Dio. Non girate attorno la testa, tenete gli occhi bassi, le mani giunte e recitate il Confiteor. Se dovete aspettare, eccitatevi a un grande amore a Gesù e pregatelo umilmente che si degni venire nel vostro povero e miserabile cuore. Dopo che avrete avuto la grande felicità di comunicarvi, levatevi con modestia, tornate al vostro posto, mettetevi in ginocchio e non prendete subito un libro o il rosario; ma intrattenetevi un momento con Gesù Cristo, che avete la felicità di possedere nel vostro cuore, nei quale, per un quarto d’ora, vive in Corpo ed Anima, come durante la vita mortale. Oh, felicità infinita!… chi mai potrà comprenderla bene? Ahimè! quasi nessuno la comprende.’… Dopo che avrete domandato al buon Dio tutte le grazie che desiderate per voi e per gli altri, riprendete il vostro libro e continuate. Finiti i vostri atti dopo la Comunione, invitate la santa Vergine, tutti gli Angeli, tutti i Santi a ringraziare il buon Dio per voi. Guardatevi bene dallo sputare, almeno per una buona mezz’ora; né uscite subito dopo la S. Messa, ma fermatevi un poco per domandare a Dio la grazia di confermarvi bene nei vostri propositi. Usciti di chiesa, non fermatevi a chiacchierare, ma, pensando alla felicità che avete di possedere in voi Gesù Cristo, tornatevene a casa. Se vi avanza qualche momento libero nelle vostre occupazioni, adoperatelo in qualche buona lettura o fate una visita al Ss. Sacramento per ringraziare il buon Dio della grazia che vi ha fatto il mattino, e occupatevi delle cose del mondo il meno possibile. Vegliate in modo su tutti i vostri pensieri, parole e azioni, da conservare la grazia di Dio per tutta la vostra vita. – Che cosa concludere da tutto questo?… Nient’altro, M. F., se non che tutta la nostra felicità deve consistere nel vivere in modo da esser degni di ricevere spesso Gesù Cristo, poiché è appunto per questo mezzo che noi possiamo sperare quel cielo, ch’io auguro a tutti di cuore.

IL CREDO

Offertorium

Orémus

Ps XVI: 5; XVI: 6-7 Pérfice gressus meos in sémitis tuis, ut non moveántur vestígia mea: inclína aurem tuam, et exáudi verba mea: mirífica misericórdias tuas, qui salvos facis sperántes in te, Dómine.

[Rendi fermi i miei passi sui tuoi sentieri, affinché i miei piedi non vacillino: porgi l’orecchio ed esaudisci la mia preghiera: fa rispleyndere le tue misericordie, o Signore, Tu che salvi quelli che sperano in Te.]

Secreta

Propitiáre, Dómine, supplicatiónibus nostris, et has pópuli tui oblatiónes benígnus assúme: et, ut nullíus sit írritum votum, nullíus vácua postulátio, præsta; ut, quod fidéliter pétimus, efficáciter consequámur.

[Sii propizio, o Signore, alle nostre suppliche, e accogli benigno queste oblazioni del tuo popolo; e, affinché di nessuno siano inutili i voti e vane le preghiere, concedi che quanto fiduciosamente domandiamo realmente lo conseguiamo.]

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Ps XXVI: 6 Circuíbo et immolábo in tabernáculo ejus hóstiam jubilatiónis: cantábo et psalmum dicam Dómino.

[Circonderò, e immolerò sul suo tabernacolo un sacrificio di giubilo: canterò e inneggerò al Signore].

Postcommunio

Orémus.

Repléti sumus, Dómine, munéribus tuis: tríbue, quæsumus; ut eórum et mundémur efféctu et muniámur auxílio.

[Colmàti, o Signore, dei tuoi doni, concédici, Te ne preghiamo, che siamo mondati per opera loro e siamo difesi per il loro aiuto.]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (1)

ORDINARIO DELLA MESSA0

I SERMONI DEL CURATO D’ARS: SULLA COMUNIONE

I SERMONI DEL CURATO D’ARS: SULLA COMUNIONE

[DISCORSI DI SAN G. B. M. VIANNEY CURATO D’ARS

Vol. III, Marietti Ed. Torino-Roma, 1933

Visto nulla osta alla stampa.

Torino, 25 Novembre 1931. Teol. TOMMASO CASTAGNO, Rev. Deleg.

Imprimatur. – C . FRANCISCUS PALEARI, Prov. Gen.

Panis quem ego dabo, caro mea est prò mundi vita.

(JOAN. VI, 52).

Chi di noi, Fratelli miei, avrebbe mai potuto supporre che Gesù Cristo potesse spingere il suo amore verso le creature fino a dar loro il suo Corpo adorabile e il suo Sangue prezioso, perché fosse nutrimento delle anime nostre, se non l’avesse detto Lui stesso? Ecché, F. M., un’anima nutrirsi del suo Salvatore?… e tante volte quanto desidera? O abisso di bontà e d’amore di un Dio per le sue creature!… S. Paolo ci dice che il Salvatore, vestendo la nostra carne, ha nascosto la sua divinità e portata l’umiliazione fino all’annientamento. Ma, istituendo l’adorabile sacramento dell’Eucaristia, ha velato anche la sua stessa umanità, non lasciando apparire che le viscere della sua misericordia. Oh! vedete, M. F., di che cosa è capace l’amore di un Dio per le sue creature!… No, F. M., di tutti i Sacramenti non ce n’è uno che possa esser paragonato a quello dell’Eucaristia. In quello del Battesimo riceviamo, è vero, il carattere di figli di Dio, e, per conseguenza, prendiamo parte al suo regno eterno; in quello della Penitenza, le piaghe dell’anima nostra sono guarite e ci è restituita l’amicizia del nostro Dio; ma nell’adorabile sacramento dell’Eucaristia riceviamo non solo l’applicazione del suo Sangue prezioso, ma anche l’Autore stesso di ogni grazia. S. Giovanni ci dice che Gesù Cristo, « avendo amato gli uomini fino alla fine » (S. Giov. XIII, 1) trovò il mezzo di salire al cielo senza abbandonare la terra: Prese del pane tra le sue sante e adorabili mani, lo benedisse e lo cangiò nel suo Corpo; prese del vino e lo cangiò nel suo Sangue prezioso e diede a tutti i sacerdoti, nella persona degli Apostoli, il potere di compiere lo stesso miracolo tutte le volte che avrebbero pronunciato le stesse parole: affine di poter con questo miracolo d’amore, restare con noi, esserci di nutrimento, consolarci e tenerci compagnia. « Chi mangia la mia Carne – ci dice Egli – e beve il mio Sangue vivrà in eterno; chi non mangia la mia Carne né beve il mio Sangue non avrà la vita in sé » (Ibid. VI, 54, 55). Oh, M. F.! quale felicità per un Cristiano aspirare al grande onore di nutrirsi del pane degli angeli!… Ma, ahimè! quanto pochi la comprendono!… Ah! M. F., se conoscessimo bene tutta la felicità che abbiamo nel ricevere Gesù Cristo, non ci studieremmo continuamente di meritarla? Per darvi un’idea della grandezza di questa felicità, vi mostrerò:

1° quanto è grande la fortuna di colui che riceve Gesù Cristo nella santa Comunione;

2° i frutti che dobbiamo ritrarne.

I. — Voi tutti sapete, F. M., che la prima disposizione per ricevere degnamente questo grande Sacramento è l’esame accurato della propria coscienza, dopo aver implorato i lumi dello Spirito Santo; la confessione sincera dei propri peccati, con tutte le circostanze che possono renderli più gravi o mutarne la specie, accusandoli tali e quali ce li farà conoscere Dio al momento del giudizio; — un dolore profondo d’averli commessi e la disposizione a sacrificare tutto ciò che abbiamo di più caro piuttosto che commetterli di nuovo; — e in fine un gran desiderio di unirci a Gesù Cristo. Vedete la premura dei Magi di cercar Gesù Cristo nel presepio; vedete la santa Vergine, vedete la Maddalena come s’interessa di cercare il Salvatore risorto! Non intendo, F. M., assumermi di mostrarvi tutta la grandezza di questo Sacramento: ciò non è dato all’uomo; bisognerebbe esser Dio stesso per poter esporvi la grandezza di queste meraviglie: perché ciò che ci riempirà di stupore per tutta l’eternità, sarà l’aver ricevuto, noi, miseri quali siamo, un Dio sì grande. – Tuttavia, per darvene un’idea, vi mostrerò che Gesù non è mai passato in alcun luogo, durante la sua vita mortale, senza spandervi le sue benedizioni più abbondanti e, per conseguenza, quanto devono esser grandi e preziosi i beni che ricevono coloro che hanno la bella sorte di accoglierlo in sé per mezzo della santa Comunione; anzi, per dir meglio, vi mostrerò che tutta la nostra felicità in questo mondo consiste nel ricevere Gesù Cristo in questo augusto Sacramento; ciò ch’è molto facile a comprendersi; poiché la santa Comunione giova non solo all’anima nostra col nutrirla, ma anche al nostro corpo, come vedremo. Leggiamo nel santo Evangelo, che Gesù Cristo entrando nella casa di S. Elisabetta, benché ancora chiuso nel seno materno, madre e figlio furono ripieni di Spirito Santo. San Giovanni fu anche purificato dalla macchia d’origine, e la madre esclamò: « Ah! donde mai mi viene tanta felicità che la madre del mio Dio si degni di venire a me? » (S. Luc. I, 43). Pensate, M. F., quanto più grande debba essere la felicità di colui che riceve Gesù Cristo nella santa Comunione, poiché lo riceve non già in casa sua, come S. Elisabetta, ma nel suo proprio cuore; padrone di custodirvelo, non tre mesi, come Elisabetta, ma per tutta la vita. — Quando il vecchio Simeone, che da tanti anni sospirava ardentemente la felicità di vedere Gesù Cristo, poté riceverlo almeno tra le sue mani, fu così trasportato e rapito di gioia, che, non sapendosi trattenere, esclamò in un impeto d’amore: « O Signore, e che posso io desiderare ancora sulla terra, dacché i miei occhi hanno visto il Salvatore del mondo? Io ora posso morire in pace! » (S. Luc. II, 29). Ma, ancora una volta, qual differenza, F. M., tra il riceverlo sulle proprie braccia, contemplarlo qualche istante, e riceverlo nel proprio cuore!… Quando Zaccheo, sentito parlare di Gesù Cristo, desiderò ardentemente di vederlo, essendo impedito dalla gran folla che accorreva da ogni parte, s’arrampicò su di un albero; ma il Signore, vedendolo, gli disse: « Zaccheo, vien giù subito, perché oggi voglio alloggiare in casa tua. ». Ed egli s’affretta a discendere e corre a preparare tutto ciò che può per ricevere il Salvatore. Gesù, entrando nella sua casa dice: « Oggi questa casa riceve la salvezza. » E Zaccheo, vedendo la grande carità di Gesù Cristo nel venire ad albergare in casa sua, « Signore, esclama, io darò la metà dei miei beni ai poveri, e renderò il doppio a tutti quelli che ho in qualunque modo danneggiati » (S. Luc. XIX) Di maniera chè, M. F., la sola visita di Gesù Cristo, fece d’un gran peccatore un gran santo, poiché egli ebbe la felicità di perseverare fino alla morte. — Leggiamo nell’Evangelo che, quando Gesù Cristo entrò nella casa di S. Pietro, questi lo pregò di guarirgli la suocera, travagliata da febbre violenta. Gesù Cristo comandò alla febbre di lasciarla e all’istante ella fu guarita; tanto che poté servirli a tavola (S. Luc. IV, 38-39). Vedete anche l’emorroissa. Diceva tra sé: « S’io potessi, se avessi la fortuna di toccargli anche solo l’orlo della veste, sarei guarita; » e infatti, quando il Salvatore passò, ella si gettò a’ suoi piedi, toccò e fu guarita perfettamente (S. Matth. IX, 20). E perché il Signore andò a risuscitare Lazzaro, morto da quattro giorni?… Non è forse perché l’aveva ricevuto spesso in casa sua, che Gesù gli mostrò così vivo attaccamento da versar lagrime presso la sua tomba? (S. Giov. XI). Gli uni gli chiedevano la vita, gli altri la guarigione del corpo; e nessuno mai si ritirò senza aver ottenuto ciò che domandava. Pensate voi s’Egli vorrà negare ora ciò che gli si domanda. Quali torrenti di grazie non deve accordare, quando è Lui stesso che viene nei nostri cuori, desideroso di fissarvi la sua dimora per tutto il resto dei nostri giorni! Oh! M. F., quale felicità per chi riceve, con le dovute disposizioni, Gesù Cristo nella santa Comunione!… Ah! chi potrà mai comprendere la fortuna del Cristiano che riceve Gesù Cristo nel suo cuore, il quale per ciò stesso diventa un piccolo cielo; da solo, Egli è tanto ricco quanto tutto il cielo insieme. Ma, mi direte, perché dunque la maggior parte dei Cristiani è così insensibile a questa felicità, tantoché molti anzi la disprezzano e si beffano di quelli che sono sì lieti di ricevere Gesù Cristo? — Ahimè, mio Dio! Quale sventura è mai paragonabile a questa? È perché questi poveri infelici non hanno mai conosciuto né gustato la grandezza di questa felicità. Infatti, F. M., un uomo, una creatura, nutrirsi, saziarsi del suo Dio, farne il suo cibo Quotidiano! … O miracolo dei miracoli ! o amor degli amori!… o felicità delle felicità, ignota agli Angeli stessi!… 0 mio Dio! qual gioia per un Cristiano che ha fede sapere che, levandosi dalla sacra Mensa, se ne va col cielo nel cuore!… Oh! felice la casa in cui abitano questi Cristiani!… qual rispetto non si deve aver per loro in quel giorno! Avere nella propria casa un secondo tabernacolo, in cui ha risieduto realmente il buon Dio in Corpo ed in Anima!… Ma, forse mi direte ancora, se questa felicità è sì grande, perché la Chiesa oi comanda di comunicarci una volta all’anno? — Questo comando, M. F., non è per i Cristiani buoni, ma per i tiepidi e indifferenti per la povera anima loro. Nei primi tempi della Chiesa, il più gran castigo che si poteva infliggere ai Cristiani era di privarli di questa felicità. Ogni volta che essi assistevano alla santa Messa, avevano anche la bella sorte di comunicarsi. Mio Dio! come è mai possibile che i Cristiani possano stare tre, quattro, cinque e anche sei mesi senza dare questo nutrimento celeste alla povera anima loro? Essi la lasciano morir di miseria!… Mio Dio! Quale sventura! quale accecamento!… mentre hanno tanti rimedi per guarirla, e un nutrimento sì efficace per conservarle la salute! Ah! F. M., diciamolo con le lagrime agli occhi, non si risparmia nulla per il corpo che dopo tutto dovrà, tosto o tardi, essere distrutto e corroso dai vermi; e 1’anima, creata ad immagine di Dio, l’anima immortale, la si disprezza, la si tratta con la peggiore delle crudeltà!… La Chiesa vedendo come i Cristiani perdevano di vista la salute delle loro povere anime, sperando che il timor del peccato avrebbe fatto loro aprire gli occhi, li obbligò a comunicarsi tre volte all’anno: a Natale, a Pasqua e a Pentecoste. Ma più tardi vedendoli diventare sempre più insensibili alla loro sventura, finì per non obbligarli che una volta sola all’anno. Mio Dio! quale sciagura e quale accecamento per un Cristiano, esser costretto da leggi a cercare la sua felicità! Di maniera che, quand’anche, M. F., non aveste altri peccati sulla coscienza che quello di non far la vostra Pasqua, voi sareste perduti. Ma ditemi, qual vantaggio potete mai trovare nel lasciare la povera anima vostra in uno stato sì lacrimevole?… Voi siete tranquilli e contenti, se pur si deve credere a ciò che dite; ma ditemi: dove potete trovare la vostra tranquillità e il vostro contento? È forse perché l’anima vostra non attende che il momento in cui la morte la colpirà per piombarla nell’inferno? Forse perché il demonio è vostro padrone? Mio Dio! quale accecamento e quale sventura per chi ha perduto la fede! Perché ancora, F . M., la Chiesa ha stabilito l’uso del pane benedetto che si distribuisce durante la S. Messa, e che, per la benedizione della Chiesa, vien distinto dalle cose ordinarie? Se non lo sapete, ve lo dirò io. È per consolare i peccatori, e, allo stesso tempo, coprirli di confusione. Per consolarli, perché, almeno, il prendere questo pane benedetto li mette in qualche modo a parte della felicità di quelli che ricevono Gesù Cristo, ai quali si uniscono con gran desiderio di riceverlo e con una fede viva. Ma anche per coprirli di confusione: infatti, quale confusione, se la loro fede non è ancora spenta, veder un padre, una madre, un fratello, una sorella, un vicino, una vicina, accostarsi alla sacra Mensa, nutrirsi del Corpo adorabile di Gesù Cristo; mentre essi sono esclusi. Quale sventura, mio Dio! e tanto più grande quanto meno compresa!… Sì, M. F., tutti i santi Padri ci dicono che, ricevendo Gesù Cristo nella santa Comunione, noi riceviamo ogni sorta di benedizioni per il tempo e per l’eternità. Infatti, s’io domando a un fanciullo: « Dobbiamo desiderare di comunicarci? — Sì, mi risponde. — E perché? — Per gli effetti eccellenti che la santa Comunione produce in noi. — Quali sono questi effetti? La santa Comunione ci unisce intimamente a Gesù Cristo, indebolisce la nostra inclinazione al male, aumenta in noi la vita della grazia, è per noi il principio e « il pegno della vita eterna. »

1° In primo luogo, la santa Comunione ci unisce intimamente a Gesù Cristo. Unione sì intima, questa, F. M., che Gesù Cristo stesso ci dice: « Chi mangia la mia Carne e beve il mio Sangue rimane in me e Io in lui: la mia Carne è veramente cibo, il mio Sangue è veramente bevanda » (S. Giov. VI, 56-57) di maniera che, per la S. Comunione il Sangue adorabile di Gesù Cristo scorre veramente nelle nostre vene; la sua Carne è veramente commista alla nostra; ciò che faceva dire a S, Paolo: « Non sono io che opero, che penso, ma è Cristo che opera e pensa in me. Non io vivo, ma vive Cristo in me » (Gal. II, 20) S. Leone ci dice che quando abbiamo la grande ventura di comunicarci, noi chiudiamo davvero in noi stessi il Corpo adorabile e il prezioso Sangue di Cristo. F. M., comprendete voi bene tutta la grandezza di questa felicità? Ah! no, no; comprenderla bene non lo potremo che in cielo. Mio Dio! una creatura arricchita di tanto dono!…

2° In secondo luogo, ricevendo Gesù Cristo nella santa Comunione, vi riceviamo un aumento di grazie, ciò che è facile a comprendersi. Poiché, ricevendo Gesù Cristo, riceviamo la fonte di ogni sorta di benedizioni spirituali, che si spandono nelle anime nostre. Infatti, M. F., chi riceve Gesù Cristo, sente rianimarsi in sé la fede; tutti noi ci sentiamo più penetrati delle verità della nostra santa Religione; sentiamo meglio la gravità del peccato e i suoi pericoli; il pensiero del giudizio ci colpisce di più, siamo più sensibili alla perdita di Dio. Ricevendo Gesù Cristo il nostro spirito si fortifica; ci sentiamo più fermi nel combattere; le nostre intenzioni in tutto ciò che facciamo sono sempre più pure; il nostro amore s’infiamma sempre più. Il pensiero che possediamo Gesù nei nostri cuori, il piacere che proviamo in quel momento felice sembra unirci e legarci talmente a Dio che il nostro cuore non può pensare, non può desiderare che Dio solo. Ci riempie tanto il pensiero del possesso perfetto di Dio che la vita ci par troppo lunga, e invidiamo non quelli che vivono molti anni, ma quelli che partono presto per andare a riunirsi a Dio per sempre. Tutto ciò che ci annuncia la distruzione del nostro corpo ci allieta. Ecco, M. F., il primo effetto che la santa Comunione produce in noi, quando siamo tanto avventurati da ricevere Gesù Cristo degnamente.

3° In terzo luogo, la santa Comunione indebolisce la nostra tendenza al male, ciò che pure è facilissimo a comprendersi. Il Sangue preziosissimo di Gesù Cristo che scorre nelle nostre vene, e il suo Corpo adorabile, che si compenetra col nostro, non può a meno di distruggervi o almeno diminuirvi la tendenza al male, che il peccato di Adamo vi ha fatto nascere. Tanto vero ciò, che, appena ricevuto Cristo, si prova un gusto nuovo per le cose del cielo e un nuovo disprezzo per le cose create. Ditemi, F. M., come volete che l’orgoglio possa entrare in un cuore, dove è appena disceso un Dio che, scendendo in quell’anima, s’è umiliato fino all’annientamento? Potrebbe egli acconsentire di credersi qualche cosa? Al contrario potrà egli trovar abbastanza di che umiliarsi e disprezzarsi? Un cuore che ha appena ricevuto in sé un Dio sì puro, che è la santità stessa, non sentirà nascere in sé l’orrore più profondo per il minimo peccato di impurità? Non sarebbe anzi egli disposto a lasciarsi tagliare a pezzi piuttosto che acconsentire, non dico a una cattiva azione, ma anche solo a un cattivo pensiero? Un cuore che ha appena ricevuto nella santa Comunione Colui che, padrone di tutto, ha passato la sua vita nella più stretta povertà, tanto che aveva solo una manata di paglia su cui posare il capo, e morì ignudo su di una croce; dite, come potrà questo cuore attaccarsi ai beni del mondo, vedendo la condotta di Gesù? Una lingua che ha appena appena goduto la felicità di toccare il suo Creatore e il suo Salvatore, come mai oserebbe darsi a parole sconce, a baci impuri? No, senza dubbio, non l’oserà mai. Quegli occhi che, poco fa desideravano sì vivamente contemplare il loro Creatore, più puro dei raggi del sole, come potrebbero, dopo tale felicità, fissarsi sopra oggetti impuri? Pare impossibile. Un cuore che ha appena servito di trono a Gesù Cristo, come potrebbe cacciarnelo, per mettere al suo posto il peccato, o piuttosto il demonio stesso? Ancora: un cuore che ha gustato una volta i casti abbracci del suo Salvatore, come potrebbe trovare altra felicità che in Lui? Un Cristiano che ha appena ricevuto Gesù Cristo, morto per i suoi nemici, come potrebbe voler male a chi gli avesse fatto qualche torto? No, senza dubbio; il suo piacere sarà di fargli del bene, quanto potrà. Così S. Bernardo diceva ai suoi religiosi: « Figli miei, se vi sentite meno portati al male e più al bene, ringraziatene Gesù Cristo che vi accorda questa grazia nella santa Comunione. »

4° In quarto luogo, la santa Comunione è per noi « il pegno della vita eterna » (Futuræ gloriæ nobis pignus datur. Off. Ss. Sacramenti) di guisa che la santa Comunione ci assicura il cielo. E un’arra che il cielo ci offre per dirci che un giorno esso sarà la nostra dimora; e, di più, Gesù Cristo risusciterà i nostri corpi tanto più gloriosi quanto più spesso l’avremo degnamente ricevuto. Oh, M. F.! se potessimo comprender bene quanto brama Gesù di venire nelle anime nostre!… Una volta entratovi, non vorrebbe uscirne più, non più separarsi da noi né in vita né dopo morte. Leggiamo nella vita di S. Teresa che essendo apparsa dopo morte ad una religiosa, in compagnia di nostro Signore, questa, meravigliata di vederla assieme a Gesù Cristo, domandò al Salvatore perché le apparisse così. E Gesù stesso le rispose che Teresa gli era stata sì unita in vita per mezzo della santa Comunione, ch’Egli non poteva più staccarsene. No, M. F., non c’è cosa che possa tanto abbellire i nostri corpi per il cielo, quanto la santa Comunione. Oh, F. M.! qual gioia dovranno godere quelli che si saranno comunicati spesso e degnamente durante la vita!… Il Corpo adorabile di Gesù Cristo e il suo Sangue prezioso, sparsi in tutto il nostro essere, saranno simili ad uno splendido diamante, che pure nascosto da un velo, risalta assai bene. Se avete qualche dubbio, ascoltate S. Cirillo d’Alessandria dirci che colui che riceve Gesù Cristo nella santa Comunione gli rimane così unito ch’essi diventano come due pezzi di cera fusa, i quali finiscono per non formarne che uno solo e si mescolano e si confondono talmente che non si possono più separare. Oh! F. M., quale felicità per un Cristiano che arriva a comprendere questo grande mistero !… S. Caterina da Siena esclamava nei suoi trasporti d’amore: « Oh, mio Dio! oh, mio Salvatore! quale eccesso di carità e di bontà! darvi con tanta premura alle vostre creature!… E, dando Voi stesso, date tutto ciò che avete, tutto ciò che siete. Tenero Salvator mio, gli diceva ella, irrorate, ve ne scongiuro, la mia povera anima col vostro Sangue prezioso, nutrite il mio col vostro Corpo adorabile, affinché il mio corpo e l’anima mia non aspirino che a piacere unicamente a voi e a possedervi. „ S. Maddalena de’ Pazzi ci dice che basterebbe una sola Comunione fatta con tenerezza d’amore e con cuor puro, per sublimarci alla più alta perfezione. La beata Vittoria diceva a quelli che vedeva languire nel cammino del cielo: « Perché, figliuoli miei, vi trascinate così sulle vie della salvezza? Perché avete sì poco coraggio per lavorare, affine di meritare la gran felicità di andare ad assidervi alla sacra Mensa e mangiarvi il pane degli Angeli che tanta forza apporta ai deboli ? Oh! se sapeste quanto questo pane celeste addolcisce le miserie della vita! Oh! se aveste gustato anche solo una volta quanto Gesù è buono e benefico con chi lo riceve nella santa Comunione!… Andate, figli miei, mangiate questo pane dei forti, e ne ritornerete pieni di gioia e di coraggio, né più desidererete che il dolore, i tormenti e la lotta per piacere a Gesù Cristo. „ S. Caterina da Genova era così affamata di questo pane celeste, che non poteva vederlo nelle mani di un Sacerdote, senza sentirsi morir d’amore, tanto era il suo desiderio di possederlo. « Ah, Signore! esclamava, venite a me! mio Dio, venite a me! io non posso più resistere! O mio Dio, venite, di grazia, in fondo al mio cuore: mio Dio, non ne posso più! Voi siete tutta la mia gioia, tutta la mia felicità, tutte il nutrimento dell’anima mia! » Oh, M. F.! se noi potessimo comprendere una minima parte di questa felicità, non potremmo più desiderar la vita se non per assicurarci questa felicità; fare cioè di Gesù il nostro pane d’ogni giorno. F. M., tutte le cose create non sarebbero più nulla, noi le disprezzeremmo assolutamente per attaccarci a Dio solo, e tutti i nostri passi, tutte le nostre azioni non tenderebbero ad altro che a renderci sempre più degni di riceverlo.

II. — Tuttavia, M. F., se noi possiamo ricevere tanti beni nella santa Comunione, occorre anche che, da parte nostra ci adoperiamo di rendercene degni. E lo vedremo ben chiaro. — Se domando a un fanciullo quali sono le disposizioni necessarie per comunicarsi bene, vale a dire per ricevere degnamente il Corpo adorabile e il Sangue preziosissimo di Gesù Cristo, affine di ricevere tutte le grazie accordate a tutti i ben disposti, egli mi risponde: « Ci sono due sorta di disposizioni, le une che riguardano il corpo, le altre che riguardano l’anima. „ Siccome Gesù Cristo viene e nel nostro corpo e nella nostra anima, così dobbiamo rendere l’uno e l’altra degni di tale felicità.

1° La prima disposizione che riguarda il corpo, consiste nell’esser digiuni dalla mezzanotte; non aver cioè mangiato né bevuto assolutamente nulla, nulla aver messo in bocca, neppure… Se dubitaste che fosse già passata la mezzanotte, dovreste rimettere la Comunione a un altro giorno. Ci sono di quelli che si comunicano anche nel dubbio che fosse già passata la mezzanotte. Facendo così si espongono a un gran peccato, o almeno a non ritrarre alcun frutto dalla loro Comunione, ciò che è un gran male, massime se quel giorno fosse ultimo del tempo pasquale, o di un giubileo, o di qualche gran festa; insomma non bisogna farlo mai, sotto qualunque pretesto. – Certe donne gustano il cibo dei loro bambini, se lo mettono alla bocca e credono di non inghiottir niente. Non fidatevi: perché è troppo difficile poterlo fare senza che nulla abbia a discendere per la gola.

2° Occorre un abito pulito, non dico ricco, ma che almeno non sia sucido, né  stracciato: vale a dire, pulito e rassettato; a meno che non se n’avessero proprio altri. Vi sono di quelli che non hanno di che cambiarsi, o che non lo fanno per pigrizia. Per quelli che non ne hanno, niente di male; ma gli altri fanno male, perché è un mancar di rispetto a Gesù Cristo che brama tanto venire nel loro cuore. Bisogna essersi pettinati, aver lavato il viso e le mani; non mai venire alla sacra Mensa senza scarpe, buone o rotte che siano. Non già però che si debbano approvare certe signorine che non fanno differenza tra l’andare alla sacra Mensa e il portarsi al ballo o ad un festino; davvero io non so come possano andare con tanta pompa di vanità a ricevere un Dio umiliato e annientato. Quale contraddizione, mio Dio, quale contraddizione!…

3° La terza disposizione è la purità del corpo. Questo Sacramento è chiamato « il pane degli Angeli » per mostrarci che, per riceverlo degnamente, bisogna accostarsi alla purità degli Angeli quanto più è possibile. S. Giovanni Crisostomo ci dice che quelli che hanno avuto la sventura di lasciar correre il loro cuore dietro un oggetto impuro, devono guardarsi bene dall’accostarsi a ricevere il pane degli Angeli, perché il Signore li castigherebbe. Ai primordi della Chiesa, uno che avesse peccato contro la bella virtù della purezza era condannato a non comunicarsi per tre anni continui; e, se vi ricadeva, per sette anni; ciò che è facile a comprendersi perché questo peccato macchia l’anima e il corpo. S. Giovanni Crisostomo ci dice ancora che la bocca che riceve Gesù Cristo e il corpo che lo accoglie devono esser più puri che i raggi del sole. Occorre che tutto il nostro esterno dica a quelli che ci vedono che noi ci prepariamo a qualcosa di grande. Che se, per comunicarci, sono già tanto necessarie le disposizioni del corpo, lascio pensare a voi, o F. M., quante più dovranno esserlo quelle dell’anima per meritare le grazie che Gesù ci porta venendo in noi per mezzo della santa Comunione. Sì, F. M., quando ci portiamo alla sacra Mensa, se vogliamo ricevere Gesù con disposizioni buone, bisogna che la coscienza non ci rimorda di nulla; dobbiamo poter esser convinti d’aver fatto tutto il necessario per esaminarci bene, affine di conoscere i nostri peccati; occorre che la coscienza non ci rimproveri di nulla sull’accusa fatta dei nostri peccati; è necessario essere nella risoluzione di fare, colla grazia di Dio, tutto ciò che dipenderà da noi per non ricadervi, e avere un desiderio sincero di compiere il meglio possibile la penitenza assegnataci. Per penetrarci bene della grandezza dell’azione che stiamo per compiere, dobbiamo da principio guardare la sacra Mensa come il tribunale di Gesù Cristo, al quale saremo giudicati. Se abbiamo avuto la sventura di non accusarci bene dei nostri peccati, d’averne taciuto o svisato qualcuno, persuadiamoci bene che non è Gesù Cristo che andiamo a ricevere, ma il demonio. Oh! F. M., quale orrore mettere Gesù Cristo sotto i piedi del demonio!… Leggiamo nel Vangelo che Gesù istituì l’adorabile sacramento dell’Eucaristia, in una stanza ben pulita e arredata per mostrarci con quanta cura dobbiamo abbellire l’anima nostra con ogni sorta di virtù per ricevere Gesù Cristo nella santa Comunione. E, di più, prima di porgere il suo Corpo adorabile e il suo Sangue prezioso, Gesù si levò da mensa e andò a lavare i piedi de’ suoi apostoli (S. Giov. XIII, 4), per farci comprendere quanto dobbiamo essere esenti da qualunque peccato, anche più leggiero, vale a dire, non avere alcun affetto neppure al peccato veniale. Rinunciare perfettamente a noi stessi in tutto ciò che è contro coscienza; non avere alcuna difficoltà di parlare a quelli che ci hanno offesi, o di incontrarli; portarli anzi in cuore… Diciamo anche meglio, F. M., quando andiamo a ricevere il Corpo di Gesù Cristo nella santa Comunione, dobbiamo sentirci in istato di poter morire e comparire con confidenza dinanzi al tribunale di Cristo. S. Agostino ci dice: « Se volete comunicarvi in modo da piacere a Gesù Cristo, dovete essere assolutamente staccati da tutto ciò che possa tanto o poco dispiacere a Dio. » E S. Giovanni Crisostomo: « Quando cadete in qualche peccato mortale, dovete confessarvene subito; ma poi dovete stare qualche tempo prima di accostarvi alla santa Mensa, per aver tempo di far penitenza. Deplorate, continua egli, la sventura di quelli che, dopo essersi confessati di gravi peccati mortali, domandano subito la santa Comunione, credendo che la sola confessione basti. No; bisogna anche piangere i nostri peccati e farne penitenza, prima di ricevere Gesù Cristo nei nostri cuori. » S. Paolo dice a tutti « di purificar bene l’anima nostra da qualunque macchia prima di ricevere il pane degli Angeli, il Corpo adorabile e il Sangue prezioso di Gesù Cristo » (I Cor. XI, 28), perché se l’anima non fosse tutta pura, attireremmo sopra di noi ogni sorta di sventure per questo mondo e per l’altro. » –  E S. Bernardo: « Per comunicarci degnamente dobbiamo fare come il serpente, quando vuol bere a suo agio. Perché l’acqua gli giovi, sprizza fuori il veleno. Noi dobbiamo fare lo stesso: quando vogliamo ricevere Gesù Cristo, dobbiamo gettar via il nostro veleno, che è il peccato, veleno dell’anima nostra e di Gesù Cristo; ma, ci dice questo gran santo, dobbiam gettarlo via per davvero. Figli miei – continua egli – deh! non avvelenate Gesù Cristo nel vostro cuore. » Sì, F. M., quelli che vanno alla sacra Mensa senza aver prima purificato il loro cuore, devono temere assai d’incontrare lo stesso castigo di quel servo che osò mettersi a tavola senza la veste nuziale. Il padrone comandò a’ suoi ministri di prenderlo, di legarlo mani e piedi e gettarlo fuori nelle tenebre Allo stesso modo, M. F., all’ora della morte Gesù Cristo dirà a quelli che avranno avuto la disgrazia di riceverlo senza essersi convertiti: « Perché avete avuto l’audacia di ricevermi nei vostri cuori, macchiati di tanti peccati? » No, F. M., non dimentichiamo mai che per comunicarci bene, dobbiamo essere convertiti davvero e veramente risoluti di perseverare. Abbiamo visto che quando Gesù volle dare il suo Corpo adorabile e il Sangue suo prezioso agli Apostoli per mostrar loro quanto occorresse esser puri per riceverlo, arrivò persino a lavar loro i piedi. Con ciò volle mostrarci che non potremmo mai esser troppo mondi dai nostri peccati, anche veniali. E vero che il peccato veniale non rende le nostre Comunioni indegne, ma è causa per cui tanta felicità non ci giovi quasi a nulla. La prova è evidente. Vedete quante Comunioni nella nostra vita! Ebbene: siamo noi per questo divenuti migliori? — No, senza dubbio; e la vera causa di ciò è il conservar quasi sempre le nostre cattive abitudini e il non correggerci mai, una volta meglio dell’altra. Noi abbiamo orrore per quei grandi peccati che danno la morte all’anima; ma per tutto quelle piccole impazienze, per quelle mormorazioni quando ci tocca qualche disgrazia o qualche dispiacere, per quei sotterfugi nel parlare,… via, ciò non costa molto. Vedete però che, malgrado tante confessioni e tante Comunioni, voi siete sempre quelli di prima; e che le vostre confessioni, già da molt’anni, non sono che la solita ripetizione degli stessi peccati, i quali, sebbene veniali, non per questo v’impediscono meno di perder quasi tutto il merito delle vostre Comunioni. Vi si sente dire, ed è vero, che voi non valete oggi più di ieri; ma chi v’impedisce di correggervi dei vostri difetti?… Se siete sempre gli stessi è appunto perché non volete mai fare il minimo sforzo per correggervi: non volete soffrire nulla, in nulla essere contraddetti; vorreste che tutti vi amassero e avessero di voi buona opinione, cosa troppo difficile. Procuriamo, M. F., di lavorare per distruggere tutto ciò che può in qualunque modo dispiacere a Gesù Cristo; e vedremo come le nostre Comunioni ci faranno camminare a gran passi verso il cielo; e più ci comunicheremo, più ci sentiremo staccati dal peccato e portati a Dio. – Dice S. Tommaso, che la purità di Gesù Cristo è sì grande che il minimo peccato veniale gli impedisce di unirsi con quella intimità che vorrebbe. Per ben ricevere Gesù Cristo bisogna avere nello spirito e nel cuore una gran purità d’intenzione. Ci sono di quelli che pensano al mondo, alla stima o al disprezzo ch’esso avrà di loro: ciò non importa niente. Altri vanno in quei dati giorni per abitudine. Ecco, F. M., delle povere Comunioni, poiché mancano di purità d’intenzione. M. F., ciò che deve spingerci alla sacra Mensa è:

1° perché Gesù Cristo ce lo comanda sotto pena di non conseguire la vita eterna,

2° perché ne abbiamo un gran bisogno per fortificarci contro il demonio;

3° per staccarci dalla terra e attaccarci a Dio. Miei cari, pei aver la grande felicità di ricevere Gesù Cristo, felicità sì grande che tutti gli angeli c’invidiano… (essi possono solo amarlo e adorarlo come noi, ma non come noi riceverlo, ciò che sembra elevarci al disopra degli angeli stessi)… lascio ora pensare a voi con quale purità, con quale amore dobbiamo presentarci a Gesù Cristo per riceverlo. Dobbiamo inoltre comunicarci per ricevere le grazie di cui abbiamo bisogno. Se abbiamo bisogno di umiltà, di pazienza di purezza, ebbene, F . M., tutto ciò troveremo nella santa Comunione, e con ciò tutte le grazie necessarie ad un Cristiano.

4° Dobbiamo andare alla sacra Mensa per unirci a Gesù Cristo, affinché Egli ci trasformi in se stesso, ciò che succede a tutti quelli che Lo ricevono santamente. Se ci comunichiamo spesso e degnamente, i nostri pensieri, i nostri affetti, tutte le nostre azioni, tutti i nostri passi hanno lo stesso fine di quelli di Gesù Cristo quand’era sulla terra. Allora amiamo Dio, ci commoviamo a tutte le miserie spirituali e temporali del prossimo e non pensiamo affatto ad attaccarci alla terra; il nostro cuore, il nostro spirito non pensano, non aspirano che al cielo. – Si, F. M., per fare una buona Comunione, bisogna avere una fede viva in questo grande mistero. Siccome questo Sacramento è un “mistero di fede, „ bisogna credere davvero che Gesù Cristo è realmente presente nella Ss. Eucaristia, ch’Egli vi è vivo e glorioso come in cielo. Altre volte, prima di porgere la santa Comunione, il Sacerdote, tenendo tra le dita la Ss. Eucaristia, diceva ad alta voce: « Credete, che il Corpo adorabile e il Sangue prezioso di Gesù Cristo è veramente in questo Sacramento? » Allora tutti i fedeli rispondevano: « Sì, lo crediamo » 1 . (S. Ambrogio, De Sacramenti, lib. IV, cap. 5). Oh! quale felicità per un Cristiano venir a prostrarsi alla Mensa dei vergini, a ricevere il Pane dei forti!… No, F. M., non c’è nulla che possa renderci sì terribili al demonio quanto la santa Comunione. – Più ancora: essa ci conserva non solo la purità dello spirito, ma altresì quella del corpo. Vedete S. Teresa. Era divenuta sì cara a Dio per la Comunione che faceva sì spesso e sì degnamente, che un giorno Gesù Cristo le apparve e le disse che ella gli piaceva tanto che quand’anche non ci fosse stato il cielo, ne avrebbe creato uno apposta per lei. Vediamo nella sua vita che una domenica di Pasqua, dopo la santa Comunione, ella fu sì rapita in Dio che, ritornata in sé, si sentì la bocca tutta ripiena del Sangue adorabile di Gesù Cristo, che pareva uscir dalle sue vene; ciò che le comunicò tanta dolcezza, che ella credette morirne di amore. « Io vidi – ella racconta – il mio divin Salvatore, il quale mi disse: Figlia mia, voglio che questo Sangue che ti è causa di tanto amore serva a salvarti: non temere giammai che la mia misericordia ti venga meno. Quando ho versato questo Sangue prezioso, non ho provato che dolori e amarezze; ma tu ricevendolo non ne avrai che dolcezza e amore. » Spesso quand’ella si comunicava, gli Angeli scendevano in folla dal cielo e parevano porre le loro delizie nell’unirsi a lei per lodare il Salvatore, ch’ella aveva la felicità, di portare in cuore. Spesse volte la santa fu vista presa dagli Angeli alla sacra Mensa e portata su di un’alta tribuna. Oh, F. M.! se noi avessimo anche una volta sola compreso la grandezza di questa felicità, davvero non ci sarebbe bisogno d’esser sollecitati per venirla a godere. S. Gertrude domandava un giorno a Gesù Cristo che cosa bisognasse fare per riceverlo il più degnamente possibile. Gesù le rispose che bisognava desiderare l’amor di tutti i santi insieme, e che quest’unico suo desiderio sarebbe stato appagato. Volete sapere, F. M., come dovete comportarvi quando volete gustare la felicità di ricevere Gesù Cristo? Fate come quel buon Cristiano che si comunicava ogni otto giorni; egli ne impiegava tre in ringraziamento e tre in preparazione. Ebbene, che cosa vi impedisce di fare anche voi tutte le vostre azioni per questo scopo? Trattenetevi con Gesù Cristo che regna nel vostro cuore; pensate che verrà sull’altare e di là scenderà nel vostro cuore per visitare l’anima vostra e arricchirla d’ogni sorta di beni e di felicità. Invochiamo la santa Vergine, gli Angeli, i Santi affinché preghino il buon Dio che possiamo riceverlo più degnamente che ci sarà possibile. Quel giorno veniamo più per tempo alla S. Messa e ascoltiamola anche meglio delle altre volte. Il nostro spirito e il nostro cuore devono essere continuamente ai piedi del tabernacolo, continuamente sospirare il felice momento; i nostri pensieri non devono più essere di questo mondo, ma tutti celesti; e dobbiamo esser così inabissati nel pensiero di Dio, da sembrar morti al mondo. Dobbiamo avere con noi il nostro libro di pietà, il nostro rosario e dire le nostre orazioni col maggior fervore possibile per rianimare in noi la fede, la speranza e un grande amore per Gesù che, del nostro cuore, farà, fra qualche istante, il suo tabernacolo, o, per dir più esatto, un piccolo cielo. Quale felicità, mio Dio, quale onore per misere creature come siamo noi! Gli dobbiamo inoltre un gran rispetto, noi esseri così miserabili!… Ma tuttavia speriamo ch’Egli avrà egualmente pietà di noi. Dopo i vostri atti di preparazione, dovete offrire la vostra Comunione per voi o per altri; poi alzatevi e andate alla sacra Mensa con grande modestia, la quale mostri che andate a compiere qualcosa di grande; prostratevi in ginocchio e sforzatevi di rianimare in voi la fede che vi faccia sentire tutta la grandezza della vostra felicità. Il vostro spirito e il vostro cuore siano tutti di Dio. Non girate attorno la testa, tenete gli occhi bassi, le mani giunte e recitate il Confiteor. Se dovete aspettare, eccitatevi a un grande amore a Gesù e pregatelo umilmente che si degni venire nel vostro povero e miserabile cuore. Dopo che avrete avuto la grande felicità di comunicarvi, levatevi con modestia, tornate al vostro posto, mettetevi in ginocchio e non prendete subito un libro o il rosario; ma intrattenetevi un momento con Gesù Cristo, che avete la felicità di possedere nel vostro cuore, nei quale, per un quarto d’ora, vive in Corpo ed Anima, come durante la vita mortale. Oh, felicità infinita!… chi mai potrà comprenderla bene? Ahimè! quasi nessuno la comprende.’… Dopo che avrete domandato al buon Dio tutte le grazie che desiderate per voi e per gli altri, riprendete il vostro libro e continuate. Finiti i vostri atti dopo la Comunione, invitate la santa Vergine, tutti gli Angeli, tutti i Santi a ringraziare il buon Dio per voi. Guardatevi bene dallo sputare, almeno per una buona mezz’ora; né uscite subito dopo la S. Messa, ma fermatevi un poco per domandare a Dio la grazia di confermarvi bene nei vostri propositi. Usciti di chiesa, non fermatevi a chiacchierare, ma, pensando alla felicità che avete di possedere in voi Gesù Cristo, tornatevene a casa. Se vi avanza qualche momento libero nelle vostre occupazioni, adoperatelo in qualche buona lettura o fate una visita al Ss. Sacramento per ringraziare il buon Dio della grazia che vi ha fatto il mattino, e occupatevi delle cose del mondo il meno possibile. Vegliate in modo su tutti i vostri pensieri, parole e azioni, da conservare la grazia di Dio per tutta la vostra vita. – Che cosa concludere da tutto questo?… Nient’altro, M. F., se non che tutta la nostra felicità deve consistere nel vivere in modo da esser degni di ricevere spesso Gesù Cristo, poiché è appunto per questo mezzo che noi possiamo sperare quel cielo, ch’io auguro a tutti di cuore.

LO SCUDO DELLA FEDE (163)

P. F. GHERUBINO DA SERRAVEZZA

Cappuccino Missionario Apostolico

IL PROTESTANTISMO GIUDICATO E CONDANNATO DALLA BIBBIA E DAI PROTESTANTI (31)

FIRENZE – DALLA TIPOGRAFIA CALASANZIANA – 1861

SECONDA PARTE.

Genuino prospetto del Cattolicismo, e del Pretestantismo, delineato dai Protestanti.

PRATTENIMENTO IV

Accusa della Riforma contro la Chiesa Cattolica. – Quanto abbiano di verità, e a chi debbano propriamente applicarsi

PUNTO V.

I proseliti che fa il Protestantismo nel Cattolicismo, e viceversa.

59. Apost. È veramente qualche cosa di orrido su tutti i rapporti la vostra Riforma; ma pure qualche cosa di buono deve tuttora avere, poichè dallo stesso Cattolicismo molti illustri soggetti corrono a rifugiarsi nel suo seno.

Prot. « Non vi figurate in modo alcuno di poter voi trovare dei buoni Cristiani tra questi rinnegati del Cattolicismo? » (Il citato Leo, Lettera al Pastore Erummacher).

« Mentre la Chiesa Cattolica aggrega a sé continuamente protestanti i più istruiti, i più illuminati e i più distinti per la loro moralità :… la nostra Chiesa si è ridotta a non reclutare che frati lascivi e concubinarii. » (Un giornale Svizzero protestante, presso l’Univers., 27 Oct. 1849).

« Il Papa purga il suo orto e getta la mala erba adosso alle nostre mura! » (Dean Swift, presso l’Autore dell’Opuscolo; L’impostura svelata, Londra 1846 – Questo detto in Inghilterra è divenuto proverbiale).

« La piaga di che la Riforma protestante ha voluto ferire la Chiesa, si è trasformata in una pura e salutifera fontanella, mediante la quale si segregaron dal corpo tutti è cattivi umori. » (Binder, Op. e luog. cit).

Capite voi questo gergo?

PUNTO VI

Il Papismo cattolico, e il Papismo protestante.

Apost. Voi mi offendete, mi straziate senza pietà. Contuttociò voglio esser della vostra Riforma, perché in essa non non vi è il ferreo giogo del Papismo; vi è, almen di presente, una piena libertà in materia di fede; e questa è quanto io cerco e desidero sopra ogni cosa.

Prot. « Nessuno contrasta che nella Chiesa protestante convenga la libertà di fede; ma è fuor di dubbio che ella è limitata e ristretta nella vita pratica. Sebben può dirsi che i protestanti non hanno fra loro un Papa, è vero però che ne abbiamo molti; è forse cosa peggiore l’avere più Papi in vece di un solo? I concistori protestanti si attribuiscono pur troppo il posto di un Papa, e ne tengono le veci. Di quella libertà, dicon’essi, non se ne deve far mal uso! (Di Langsdorf, Miserie della teologia protestante, Annali teologici 1829, p. 116.).

« Poco: tempo dopo la comparsa della Riforma, si divisò e si pose in opera un insegnamento a modo di sistema protestante, per supplire all’altro cattolico decaduto. Il protestantismo, non già come in principio era come di per sé, ma sì tale quale svolgendosi addivenne, non volle giammai dimettere il pensiero di essere infallibile e di assoluta verità. Esso volgeasi anzi tempo ad un nuovo Papismo, tuttoché protestante, mediante i libri simbolici e le somiglianze di fede, quasi in luogo dell’autorità canonica del Papa. Né ciò bastando bisognava, per soprappiù, privare or questo, or quello di ufficio, ed altri condannare al bando. » (Reuterdahl, Annali teologici, 1829, n. 9).

« Siamo giunti oggimai a tal segno, che non trattasi più del disprezzo ed umiliazione del Clero; ma si cerca guastare e ridurre a niente la Chiesa, avvilendo affatto la religione, e tramutandola in un vero istituto di polizia, o per meglio dire, in una fondazione di un Cesareo Papato senza fine » (Lagnanze del clero protestante di Wimaria. Supplemento alla storia recentissima della Chiesa Alemanna protestante. Germania 1819, p. 37).

« Non avvi più nemmeno un’ombra leggera di qualsivoglia indipendenza della Chiesa. I Magistrati civili, ossia coloro che esercitano gli uffici dello Stato, vi soprastano a seconda dei loro capricci, e comandano tiranneggiando su tutto. » (Apologetica della Chiesa Alemanna protestante, Lipsia – 1820, p. 19).

« Qualunque Confessione, che gli oratori e i disputatori sian pervenuti a fare adottare al Principe, bisogna che i sudditi la riconoscano immantinente per la sola buona, e per la sola vera, sotto pena di confisca, di esilio, d’infamia, e spesso dell’ultimo supplizio, anche allora che nella loro convinzione ella fosse di natura da portarli a tutti i diavoli.! » (Vogel, Methodus duplex, p. 11, 17). Vi è ancora di peggio, imperocché …

64. « Il dare questa Supremazia ai Re, è un darla talvolta ad una doma; ed ancor più frequentemente ad un fanciullo, ed anche ad un fantolino. Noi la vedremo devoluta ad un fanciullo di nove anni (Edoardo VI re d’Inghilterra) ;… e supposto per un momento che il Sovrano regnante, e noi la vedremo passare questa Supremazia ad una piccola fanciullina di soli cinque anni incirca! … Ella Sarebbe sol pastore; ella secondo il nostro Credo che ripetiamo ogni Domenica, Sarebbe il Capo della Santa Chiesa!!!? (Cobbet, Op. cit. Lett 3, § 87).

– « Si rimprovera, senza fondamento sufficiente, alla Chiesa Romana di avere avuto una donna per Papa; ma presso di noi vi è ancora di peggio: una tal femmina «può esercitare i diritti pontificali ed episcopali, se essa ha denaro bastevole per comprare una signorìa, i di cui abitanti siano della Confessione di Ausburg. » (Oratio de misero ecclesiæ Augustana Confessioni addieto multis in locis. Argentorati, p. 5)

In conferma di quanto ti dico, eccoti una Bolla di una nostra Papessa.

« La Regina sola avrà potere di creare i Vescovi. Ogni altra elezione o nomina sarà nulla: e i Vescovi non potranno esercitare alcun diritto, né giurisdizione episcopale, che sotto la buona grazia ed in virtù dell’autorità conferita loro da sua Maestà » (Decreto di Elisabetta regina d’Inghilterra, pubblicato nell’Art, V, della legge del 1559).

«Oimè! I figli della libertà del Vangelo sì veggono al presente schiacciati da un Papato voluto esercitare dai Sovrani, il quale appunto perché educato e cresciuto al fianco della spada, ritrae tutta la durezza e tirannia di che questa può esser capace. » (Schulz, Forti richiami contro î teologi, e giureconsulti de’ nostri giorni ec, Lipsia 1826).

«La Chiesa Cattolica non si è giammai lasciata assorbire dallo Stato. Convien renderle questa giustizia: ella non ha mai conosciuto il servaggio, e non ha mai data la sua indipendenza per prezzo dei suoi favori. Essa ha le sue leggi, ha le sue regole, ha il suo spirito; essa appartiene a sé, si ascolta, si rispetta. Protetta dalla sua dottrina, che fa discendere onninamente ogni verità dalla Sede Apostolica, se ne sta nel suo dominio, e rilega lo Stato nel suo. Ella non isdegna di comandare; ma ella sdegna ancor più dall’ubbidire, ed è la sua gloria, gloria pura e degna d’invidia!» Prosegui….

IL SACRO CUORE (44)

IL SACRO CUORE (44)

J. V. BAINVEL – prof. teologia Ist. Catt. Di Parigi;

LA DEVOZIONE AL S. CUORE DI GESÙ-

[Milano Soc. Ed. “Vita e Pensiero, 1919]

PARTE TERZA.

Sviluppo storico della divozione.

Su questo Soggetto « dello sviluppo storico della divozione » sì sono spacciate molte sciocchezze; la parola non è troppo forte. La Real encyklopedie für protestantiche Theologie, così seria ordinariamentr e così bene informata, quando non si tratta di cose specificamente cattoliche, comincia il suo articolo sulla divozione al Cuore di Gesù, dicendo che la devozione al sacro Cuore è stata inventata da Gesuiti. Nel corso dell’XVIII secolo si sparse la voce che il P. de la Colombière né aveva preso l’idea in Inghilterra da un certo Tommaso Goodwin, sociniano e quacchero, e che, al suo ritorno in Francia, aveva persuaso Margherita Maria a farsene la zelatrice (Cf: Nilles, t. I, parte I, parergon II, §1, t. I P. 220 nota. Su questa favola bizzarra vedi: R, DE LA Bégassiére, art, cit. X, col, 580-582). – Da un’altra parte si è molto discusso anche fra i Cattolici, se la divozione è antica o nuova, qual parte vi abbia avuto la beata Margherita Maria e quali furono i suoi « precursori » ecc. Un autore pio, per esempio, riguarda come uno dei principali meriti dell’opera sua, il risalire nella storia della divozione, sino alla creazione del mondo e all’eterno amore che ci ha tratti dal nulla, invece di prender le mosse, come si era fatto sino a lui, da Margherita Maria o almeno limitare i suoi precursori all’origine del Cristianesimo. – Ci studieremo di dare qualche idea precisa sui punti principali dicendo quello che era la divozione avanti beata Margherita Maria, quale fu la sua azione, come si è sviluppato il culto del sacro Cuore dalla sua morte sino ai nostri giorni. Il nostro scopo, d’altronde, non è tanto di dare la storia particolareggiata, quanto di tracciarne la strada, seguendone le tappe principali.

[La storia della divozione al sacro Cuore; non è stata ancor fatta. Se ne trovano però gli elementi già pronti, in varî degli scritti che riguardano Margherita Maria e il Sacro Cuore, in special modo, in: Garuierer, Nilles, Franciosi, Ercheverry, Nix, Daniel, Bougaud, etc. – Thomas è stato, il primo, che io sappia, a tracciare con qualche esattezza lo sviluppo della divozione dalla idea iniziale sino al culto pubblico; come esiste oggi. Lo studio di Grimouard de Saint Laurent, fornisce pure delle buone indicazioni storiche. FRANCIOSI sopra tutto è una miniera ricchissima. Io conosco solo per il titolo i lavori del P. Harruer, Geschichte des Festes und der Andacht zum Herzen Jesu, 2.a ediz. Vienna, 1875 e: Zur Geschichte der Herz-Jesu Andacht, nel Katholik, 1885, t. LXV, p. 523 e. 638. Non conosco nemmeno il Compendio storico della divozione al sacro Cuor di Gesù, 5.a ediz., Roma 1856. – Molte indicazioni sono sparse nel Régne du Sacré-Caur de Jésus. Sforzo meritorio per precisare le origini e i primi sviluppi della divozione, si ha in Baruten, Genése du culte du Sacré Cœur de Jésus, Paris 1904. Indicazioni molto precise e molto sicure nell’articolo già citato di M. de La BÉGASSIÈRE. – Molti fatti aggruppati ma con non abbastanza critica ed esattezza si hanno in V. Alet, La France et le Sacré-Cœur, 34 ediz. Paris 1889, Il P. LETIERCE, Etude sur le Sacré-Cœur, 2 vol.; Paris 1890 e 1891; si occupa sopra tutto della Visitazione -e della Compagnia di Gesù, ma dà anche delle indicazioni generali. Molte ricerche; ma non troppo precise, sia nel trascrivere i testi, sia nell’indicare le sorgenti. Dello stesso si vegga: Le Sacré-Coeur, ses apotres et ses sanctuaires, Nancy, pieni di utili indicazioni. Per varie famiglie religiose vi sono delle opere speciali sui loro rapporti col sacro Cuore. Per i certosini, Dom. Bourrais, Un précurseur de la B. Marguerite-Marie. Lansperge le Chartreux et la dévotion au Sacré-Cœur, Grenoble, 1878; Mois du Sacré-Cœur, après d’anciens auteurs Chartreux, 4.2 ediz. Montreuil, 1886; Ancient devotione to the Sacred Heart by Carthusian Monks of the 14th-17th centuries, Londres, 1896. Per i Francescani, il R. P. Enrico pe Greésez, Le Sacré-Cœur de Jésus. Études franciscaines, Paris 1890. Per i Gesuiti e la Visitazione: Letierge, Études, già citati. Per i Gesuiti, il P. de Rochemure, Le Sacré-Caur et la Compagnie de Jésus, Paris 1890, Il P. J. M. Sàenz de Tejada, Deudas de la Compania de Jesis para con el Sagrado Corazon, Bilbao 1913. Non so se altre comunità religiose hanno fatto lavori analoghi. Per diversi paesi ci sono delle monografie: Per la Spagna: il P. Fra, S. J., Apuntes para formar una biblioteca hispano-americana del Sagrado Corazén de Jesus, 2.à ediz. Barcelone 1874; J. E. URIARTE; s. j., Principios del reinado del Corazén de Jestis en Espana, Madrid 1880; LLoser e Bayacuer, Nacional Homenaje de las Ciencias, Letras y Artes Espanolas al Sacratisimo Corazénde Jestis, 26 Junio 1881. Barcelone 1882.Per la Francia, V. Alet, La France et le Sacré-Cœur, indicato qui sopra, per non parlare di molti altri saggi meno considerevoli.Per il Canadà: Linpsay, Les origines de la dévotion au Sacré-Cœur de Jésus au Canada, Montréal 1900:Nilles nel Parergon, al c. IV del 11,1. parte, t. I, p. 211-327,dà molte, indicazioni sulla diffusione del culto per tutto il mondo,particolarmente nella Spagna, nel Portogallo, nella Cina, ecc.].

Nondimeno dovremo fermarci a lungo su quel che precede beata Margherita Maria. Coi documenti che ormai possediamo, è facile proiettare qualche luce sulle origini della devozione, fissare con sufficiente fermezza le grandi linee del suo sviluppo e indicare con precisione a che punto si trovava quando Gesù cominciò a parlarne alla beata Margherita Maria. Il seguito della storia è più conosciuto e meno contrastato. – Potremo dunque sorvolare più facilmente sui particolari tanto più che il dotto storico della beata, A. Hamon, ha l’intenzione, crediamo, di raccontare dettagliatamente la storia di quest’ultimo periodo. Il suo lavoro non può mancare di riuscire interessantissimo e molto bene informato.

CAPITOLO I.

LE ORIGINI;

I PRIMI SECOLI

Elementi del culto: l’amore, la ferita del costato e il suo simbolismo, il cuore metaforico. Nessuna traccia del culto del sacro Cuore.

L’amore di Dio per l’uomo riempie la storia dell’umanità, e abbiamo veduto che il Cristianesimo in special modo è un grande sforzo dell’amore per ottenere l’amore. Ma la devozione del sacro Cuore non è già questo amore reciproco di Dio e dell’uomo. Ci avviciniamo ad essa quando sentiamo Dio esprimerci il suo amore e quando l’uomo esalta questo amore di Dio, o di Gesù, per noi affine di eccitarci a rendergli amore per amore. Ora di questi panegirici della carità divina per noi e di queste esortazioni a dar ricambio d’amore, è piena la tradizione cristiana (Ricca collezione in: FRANCIOSI, libro citato.). Chi non conosce i bellissimi slanci di san Giovanni Grisostomo sulla philostorghia, tenerezza paterna o fraterna di Dio o di Gesù per noi, sulla sua philantropia, o amore suo per l’uomo? E il Grisostomo non era in questo che l’eco di san Paolo e di san Giovanni. Tutta la teoria del Cristianesimo, amore reciproco fra Dio e l’uomo, è fondata su testi molto espliciti della Scrittura, che i Santi Padri hanno magnificamente rilevato, che i teologì hanno intrecciato coi testi dei Padri nelle loro sintesi teologiche. Basti rammentare i nomi di sant’Agostino e di san Bernardo, di san Tommaso e di san Bonaventura, basti ricordare alcune meditazioni di sant’Anselmo o di Eckbert di Schénau, lo Stimulus amoris, stato attribuito a san Bonaventura, o il De diligendo Deo di san Bernardo. Ma tutto questo non costituisce la divozione al sacro Cuore, poiché non vi si trova traccia alcuna del culto reso al cuore di carne, come simbolo dell’amore. Certe parole della Scrittura avvicinavano molto i fedeli. Sé così può dirsi, a questo tesoro nascosto. Ad esempio, quelli della Cantica: Vulnerasti cor meum (IV, 9); In foraminibus petræ, in caverna macerie (II, 14); Pone me ut signaculum super cor tuum (VID, 6); o questo d’Isaia: Haurietis aquas in gaudio de fontibus Salvatoris (XII, 3); e in particolare certi passaggi del Vangelo, fra gli altri quello in cui Gesù ci si presenta come il maestro dolce ed umile di cuore; (Matth., XI, 29); o quello in cui Egli ci rappresenta come l’uomo da bene, che trae dal buon tesoro del suo cuor il vecchio e il nuovo (Luc., VI, 45); o il passaggio dove si parla del discepolo che Gesù amava e che riposò sul suo petto (Joan., XXI, 20) ; e quello, soprattutto, dove san Giovanni ci parla del costato di Gesù, aperto dalla lancia in termini che risvegliano così bene l’idea del mistero (Joan.,XIX, 34). E pertanto nulla rivela che lo abbiano pur supposto. È stato cantato il mistero del sangue e dell’acqua che sgorgarono dal costato aperto; è stato intuito qualche significato nella parola dell’Evangelista!: Vigilanti verbo evangelista usus est, ci dice sant’Agostino (Joan., tr. CXX., P. L. t. XXXV., col: 1953), ma sembra che nessuno abbia pensato esplicitamente alla ferita del cuore. Infatti la parola pectus, che è usata qualche volta, sembra significare petto, piuttosto che cuore; sembra che l’organo venga ad esser designato di preferenza con la parola cor [La parola più usata nei primi secoli è quella del Vangelo: in greco “pleura”. in latino latus. Il testo latino aperuit latus, ove S. Agostino ha veduto una intenzione speciale sembra supporre, un testo greco “enoixen”, li dove il testo corrente porta è “enoxen” Si segnala la parola “cardia” che corrisponde a “cor”, in una omelia del IV o del V secolo, che Cavallera, che l’ha pubblicata, rivendica come di Eustorgio d’Antiochia. Non so, veramente, se in latino si trovi pectus o cor, in rapporto con la ferita del costato, prima del IX secolo; in ogni caso non si deve citare come di san Cipriano, il testo De duplici martyrio, VI: « Quidquid resederat in corde sanguinis, emisit ut nos confirmaremur ». P. L. t. IV (1844) col. 885. Quest’opuscolo è una invenzione di Erasmo]. –

 Ma, qualunque cosa si sia della parola pectus, e della ferita del cuore, niente autorizza a credere che si sia riguardata la ferita del costato come emblema del cuore ferito d’amore, o si sia pensato a designare esplicitamente il cuore di carne di Nostro Signore, come simbolo d’amore per noi o si sia reso alcun culto a questo cuore di carne – (Vedi GALLIFFET, Aggiunta al l. II, a. 2. Cf.: Nilles, t; 1, p. 46 e seguenti. I testi che vengon spesso citati a questo soggetto, come di sant’Agostino, sono apocrifi, son tutti tratti dal Manuale ‘dai Soliloqui, compilazioni posteriori a sant’Anselmo e a san Bernardo che vi sono citati quanto, e più, di sant’Agostino, Ma una parola di sant’Agostino su san Giovanni si avvicina molto alla nostra divozione: « Egli riposava alla Cena sul petto del Maestro, per significare che egli beveva nell’intimo del cuore di Lui i più «alti segreti. I Joan.; tra. 18, n. I, Migne, t. XXXV, co. 1536. Medesima idea nel Sacramentaire grégorien, Festa di san Giovanni. Prefazione, Migne, t. LXXVIII, col. 34. Lo ritroviamo nell’attuale liturgia romana, 27 dic. « Fluenta evangelii de ipso sacro Dominici peccatoris fonte potavit ». Matines, 1, n. oct. 2 rep. cf. oct. S. Joan. 2. notturno l. 5).- I testi precisi in sulla ferita del cuore sono rari nei primi dieci secoli, se pure ve ne sono. Del culto reso al cuore ferito, nessuna traccia.  – La parola cuore veniva usata, presso a poco nello stesso senso che si fa ogni giorno, per designare l’intimo, i sentimenti, l’amore, Ma sino ad oggi non è stata notata, che io sappia, una sola testimonianza chiara e sicura, dei primi dieci o undici secoli del Cristianesimo, sul simbolismo del cuore di carne, applicato al cuore di Gesù, né della ferita dell’amore, spiegata come emblema della ferita dell’amore. Forse si finirà per trovarne. Sino ad ora le ricerche fatte non sembrano essere state così accurate da permetterci di assicurare che non ve ne siano. Ciò di cui abbiamo prova si è che i testi citati generalmente dagli autori, non dicono quello che vi si vorrebbe trovare, o non sono dei Padri a cui si attribuiscono. Alcuni sembrano ricavare il simbolismo dal cuore. Ad esempio, il Venerabile Bada, spiegando la parola della cantica « Vulnerasti cor meum », dice che si potrebbe vedere « in questa menzione del cuore ferito, la grandezza dell’amore che lo Sposo ha per la sua Chiesa » (Migne, P. L. t. XCI, col. 1139). Ma niente autorizza a vedervi né un culto, né una divozione speciale al sacro Cuore. – Concludiamo con Thomas: « Noi non troviamo né il nome, né l’idea complessa della divozione al sacro Cuore, nei primi secoli della Chiesa o nelle sacre Scritture. Ma possiamo « scoprirvi sparse almeno le verità di cui abbiamo ora la sintesi….. È vero, sarebbe dimenticare la storia il voler contestare una vera antichità all’idea della nostra divozione (l’amore di Dio per noî e la metafora del cuore); ma, se si volesse far risalire questo culto, nella sua forma attuale, ad un’epoca ii cui non se ne sospettava l’esistenza, non c’inganneremmo meno (La théorie de la dévotion au Sacré-Coeur, p. 46). Thomas parla soprattutto dell’Antico Testamento, ma ciò che egli dice è vero pure per il Nuovo. Vero pure per i primi secoli cristiani. Si vedeva nel costato trafitto, da cui sgorgavano il sangue e l’acqua, una sorgente di grazie; sembra che vi si vedesse pure un rifugio, un luogo di riposo e di unione con Gesù. Si era molto vicini al sacro Cuore, ma non lo si intravvedeva ancora attraverso il petto squarciato.

II

XI E XII SECOLO.

Passaggio dalla ferita del costato alla ferita del cuore; simbolismo del cuore trafitto.,

Nei secoli XI o XII si ritrovano le prime tracce del sacro Cuore. Poco a poco esso si rivela all’anima devota nel costato trafitto, si fa vedere ferito, come per invitare a penetrare più avanti, a unirsi, a immedesimarsi con questo Cuore divino. Dunque a traverso la ferita del costato la devozione è arrivata al cuore. Il culto del sacro Cuore sembra essere uscito dalla divozione alla piaga del costato. Il passaggio ci apparisce come già fatto, o almeno in via di compiersi, in una parola della decima meditazione di sant’Anselmo: « Gesù è dolce.:. nell’apertura del suo costato; perché questa apertura ci ha rivelato le ricchezze della sua bontà, la carità del suo cuore: Dulcis Jesus… in apertione lateris; apertio siquidem illa revelavit nobis divitias bonitatis suæ, caritatem scilicet cordis sui erga nos » (P. L, t CLVIII, col. 762). Questa meditazione, per altro, è veramente di sant’Anselmo? Può darsi, ma non si può affermare. L’autore, parlando del cuore amante, caritatem cordis, aveva în vista distintamente, il cuore di carne? Si può sostenerlo, ma non risulta evidente. – San Bernardo è più esplicito, intendo in ciò che è suo di sicuro. Perché la Vitis mystica o trattato De passione di cui parleremo ben presto, non possono essergli attribuite da quelli stessi che esitano ancora fra lui e San Bonaventura, con una probabilità più o meno accentuata, Mi sembra, pertanto, che possiamo esserne certi, almeno nel passaggio seguente. « Il ferro ha trapassato l’anima sua, e gli da l’accesso nel suo cuore, affinché Egli sappia compatire alle mie infermità. Il segreto del cuore è messo a nudo dalle aperture del corpo (patet arcanum cordis per foramina corporis); ci sono stati scoperti questo gran sacramento di bontà e le viscere misericordiose del nostro Dio » (In Cant. sermo LXI, n. 4, P. Lt. CLXXXIV., col. 1072). –  Con Guglielmo di Saint Thierry (morto circa il 1150), l’amico di san Bernardo, il dubbio non è più possibile: « Quando io ardo dal desiderio di avvicinarmi a Lui…. è Lui tutto intiero (come Tommaso) desidero di vedere e toccare; e più ancora bramo di accostarmi alla sacrosanta ferita del suo costato, a questa porta dell’arca fatta al fianco (ostium arcas quod factum est in latere), non solamente per introdurvi il mio dito o la mia mano, ma per entrar tutto intiero sino al cuore stesso di Gesù, nel Santo dei Santi, nell’arca del Testamento, sino all’urna d’ oro, l’anima della nostra umanità, contenente in sé la manna della divinità » (De contemplando Deo, c. 1, n. 3, P. L. t. CLXXXIV, col. 1072). – Medesime idee e quasi medesime espressioni troviamo altrove: « Queste ineffabili ricchezze della vostra gloria, o Signore, erano nascoste nel cielo del vostro essere misterioso (in cœlo secreti tui), sino a che la lancia del soldato, avendo aperto il costato del Figliuol vostro e nostro Signore e Redentore, sulla croce, ne sgorgarono i sacramenti della nostra redenzione, in maniera che non solo mettiamo nel suo costato il dito e la mano, come già Tommaso, ma per quella porta aperta, penetriamo tutti interi sino al vostro cuore, o Gésù, in quella sede sicura della vostra misericordia (in apertum ostium toti intremus usque ad cor tuum, Iesu, certam sedem misericordiæ ), sino alla vostra santa anima, piena di tutta la pienezza di Dio, piena di grazia e di verità, piena della nostra salute e della nostra consolazione. Aprite, o Signore, la parte laterale dell’arca vostra (ostium lateris arce tue), affinché possano entrarvi tutti i vostri eletti; apriteci il vostro costato (aperitatus corporis tui) affinché possano entrarvi tutti quelli che desiderano conoscere i segreti del Figlio; che essi ricevano i frutti misteriosi che ne scorrono (profluentia ex eo sacramenta) e il prezzo della loro redenzione (Meditativa orationes, VI, P. L., t. CLXXX, col. 225-226). Il postulatore del 1697, citava, come una autorità di prim’ordine, un testo di Gilberto di Holland (Inghilterra) sul Cuore del nostro divin Salomone, che è Gesù (In cant., sermo XI, n. 6. P.L., t. CLXXIN, col. 113). Altri hanno fatto proprio questo pensiero. Ma, a bene osservare, non si tratta, almeno direttamente, del cuore di carne di Gesù; sono le anime più belle, che membra più nobili di questo corpo prezioso che è il corpo mistico, possono esserne riguardate come il cuore. Nondimeno Gilbert ha una bella pagina sul Cuore di Gesù, ispiratagli dal testo Vulnerasti cor meum. « La ferita del cuore indica la vivacità dell’amore. O cuore veramente dolce, che si lascia commuovere dal nostro amore per satollarci d’amore. Noi abbiamo un bell’amarvi, non facciamo che corrispondere al vostro amore (quamtumcumque amat non amat sed redamat)…. Voi non potete, sposa, sdebitarvi pienamente; e, pertanto, egli non cessa di aumentare il suo amore. Ciò che vi ha dato, non è stato ancor ripagato e nondimeno Egli vuol riguardarsi come a voi debitore. La vostra corrispondenza in amarlo non è già riguardata da Lui come dovutagli; ma bensì come dono gratuito. Egli si sente come provocato ad amare, quando dice che il suo cuore è ferito. Qual meraviglia, fratelli miei! Non stimate forse, beata l’anima che ferisce e penetra nel cuore stesso di nostro Signor Gesù Cristo, coi suoi affetti ? (Sermo XXX, n. 1 e 2. P. L., t. CLXXXIV, col. 155). Tutto questo passo è bellissimo nella sua pia sottigliezza. E, pertanto, bisogna convenire che non si riferisce punto al cuore di carne di Gesù, almeno direttamente. Ma la difficoltà stessa di discernere se è l’amore che si ha di mira, o se è il cuore amante, dimostra l’unità intima della divozione, e come l’elemento sensibile e l’elemento spirituale si fondano in un tutto che non si sa quasi più decidere se sia sensibile o spirituale. – È quasi lo stesso, mi sembra, di un testo di Riccardo da san Vittore (morto 1173); vi si parla molto del cuor di Gesù, ma non è certo che l’autore abbia avuto in vista il cuore di carne. « Se riguardiamo.il cuore di Cristo, troveremo che non vi ha nulla di più dolce, nulla di più benevolo… Più che ogni altro, l’Emanuele ha avuto un cuore di carne per compatire, perché per tutto quel che riguarda una bontà affettuosa, non vi fu mai nulla di più tenero. Pre ceteris omnibus Emmanuel cor carneum ad compatiendum habuît, quoniam ad omnem pietatis affectum nihil illo unquam tenerius fuit » (De Emmanuele, I. II, c. XXI; Migne, t. CXVI, col. 655. Vedi: Franciosi,, col. 159). In un contesto in cui fosse questione . del cuore di carne o del cuore simbolico, bisognerebbe vedervi il sacro Cuore. Ma qui è il cuore metaforico che si ha in vista ed è nel senso metaforico che bisogna intendere la parola cor carneum. Senza dubbio, vi ha gran relazione fra il cuore metaforico e il cuore simbolico; ma, bisogna pur riconoscerlo, se è qui presentato l’intimo di Gesù, la parola cuore ha la forza di una nozione, non di una cosa simbolo di un’altra cosa. Quando la divozione sarà matura, potremo passar sopra queste distinzioni troppo sottili. Adesso che studiamo curiosamente il momento di questa maturazione, dobbiamo riguardar la questione più da vicino. Col Beato Guerrie d’Igny (morto circa il 1160) il pio discepolo di San Bernardo, ci ritroviamo certamente dinanzi al cuore di carne. « Benedetto sia Colui che, per darmi modo di fare il mio nido nel foro della pietra, si è lasciato trapassare i piedi, le mani e il costato; che mi si è aperto tutto intiero affinché io entri nel luogo del tabernacolo ammirabile e trovi protezione nel segreto della sua tenda. Questi fori aperti da tante ferite offrono il perdono ai colpevoli e inondano di grazie i giusti… . Correte a lui…. e non solamente a Lui ma in Lui; entrate nei fori della pietra…. nascondetevi nelle sue mani trafitte, nel suo costato aperto. Perché che cosa altro è la ferita del costato di Cristo, se non che la porta del fianco dell’arca? Buono e pieno. di misericordia, Egli ha aperto il suo costato, affinché il sangue della sua ferita ti vivifichi, e il calore del suo corpo ti riscaldi, e il soffio del suo cuore ti aspiri, per così dire, aprendoti libero un passaggio, (spiritus cordis quasi patenti et libero meatu aspiret – In domenica Palmarum, sermo V, n, 5. P. L., t. CXXXV). Forse Guerrie fa un po’ di confusione fra l’azione del cuore e quella del polmone. Ma il cuore vi è indicato e come simbolo d’amore. Vi è indicato come aperto dalla. ferita, in stretto rapporto con le altre piaghe. – Così si riuniscono, a poco a poco, i diversi elementi. Che costituiscono la divozione al cuore di Gesù, con un passaggio insensibile dalla ferita del costato alla ferita del cuore, dall’amore che ferisce il cuore, il cuore ferito di ama. Perché questo passaggio sì effettuasse, i testi dell’amore la Cantica (vulrerasti cor meum; in foraminibus petre, in caverna maceriæ) hanno riscontro con quelli del discepolo dell’amore; (aperuît latus eîus) e il ricordo dell’arca antica, con la sua porta al fianco (ostium in latere ejus) s’intreccia con quello dell’arca dell’alleanza ove Dio riposava nel fondo del Santuario del Santo dei Santi; e ’intreccia pur, qualche volta, a quello di Mosè che fa scaturir con la sua verga l’acqua dalla roccia. Così, sempre più arricchendosi, è venuto a fondersi col simbolismo che i Padri avevano travisto, sino dai primi secoli, nel sangue ed acqua sgorgati dal costato aperto di Gesù; quest’acqua e questo sangue, figura dei due principali sacramenti, intorno ai quali si raggruppano tutti gli altri, il battesimo e l’Eucaristia, ha ricordato le acque vive della grazia nascoste « nelle sorgenti del Salvatore», sgorgate dalla piaga del costato; hanno rappresentato la Chiesa uscente da questo costato aperto, come Eva era stata tratta, altra volta, dal costato di Adamo dormiente. – Come e da chi si è fatta la sintesi di questi diversi elementi che completano la devozione al sacro Cuore? Non sapremmo dirlo. Ed è assai probabile che quegli che l’ha fatto non abbia avuto coscienza di avere introdotto nella Chiesa di Dio nessuna idea nuova. Ma si può dir veramente che qualcuno l’ha fatta? O, piuttosto, non si è formata da se stessa nella coscienza sociale della Chiesa, sotto l’influenza dello Spirito Santo che vive in essa? Tre cose pertanto sono visibili: Questa divozione è nata nella calda atmosfera dell’amore. L’anima amante, meditando sull’amore di Gesù, ha veduto nel suo Cuore il simbolo di quest’amore, come Gesù amante aveva voluto dire la sua ultima parola, aprendo il suo sacro petto, per fare scorrere dal suo cuore l’acqua e il sangue e schiuder la via per arrivare a questo cuore divino. – Ed è pur nata, questa divozione, dal meditare sulla ferita del costato. La contemplazione di questa ferita adorabile, ha messo allo scoperto la ferita del cuore, e la divozione alla ferita del cuore vi ha trovato il simbolo del cuore ferito dall’amore; la divozione al sacro Cuore è uscita fuori da queste combinazioni amorose. – Noi la vediamo fatta verso la metà del XII secolo, al tempo di San Bernardo, in quei focolari di vita pia e contemplativa, accesa o rianimata dal soffio ardente di San Bernardo medesimo, sembra che la vediamo farsi in questi stessi tempi, in questo stesso luogo. Ma non par possibile, per il momento, precisare di più. [Continua …]

2 LUGLIO: FESTA DELLA VISITAZIONE DELLA VERGINE A SANTA ELISABETTA (2021)

2 Luglio: FESTA DELLA VISITAZIONE DELLA VERGINE A SANTA ELISABETTA (2021)

Doppio di 2° classe – Paramenti bianchi

L’Angelo Gabriele aveva annunziato a Maria, che ben presto Dio avrebbe dato un figlio a Elisabetta. Subito la Vergine si portò presso la sua cugina: ecco il mistero della Visitazione che si celebra il giorno dopo l’Ottava della Natività di s. Giovanni Battista. Quest’oggi, come durante l’Avvento, la Chiesa accosta il ricordo del Precursore a quello di Gesù e Maria. Infatti, abbiamo notato allora, che il Venerdì della Tempora d’inverno ci ricordava questo stesso mistero della Visitazione. Questa solennità, istituita per tutto il mondo nel 1389 da Urbano VI, venne elevata al rito doppio di 2° classe da Pio IX.

Incipit

In nómine Patris, ✠ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Sedulius.
Salve, sancta Parens, eníxa puérpera Regem: qui cælum terrámque regit in sǽcula sæculórum.

[Salve, o Madre santa, tu hai partorito il Re gloriosamente; egli governa il cielo e la terra per i secoli in eterno.]Ps XLIV: 2
Eructávit cor meum verbum bonum: dico ego ópera mea Regi.

[Vibra nel mio cuore un ispirato pensiero, mentre al Sovrano canto il mio poema].Salve, sancta Parens, eníxa puérpera Regem: qui cælum terrámque regit in sǽcula sæculórum.

[Salve, o Madre santa, tu hai partorito il Re gloriosamente; egli governa il cielo e la terra per i secoli in eterno.]

Oratio

Orémus.

Fámulis tuis, quǽsumus, Dómine, cœléstis grátiæ munus impertíre: ut, quibus beátæ Vírginis partus éxstitit salútis exórdium; Visitatiónis ejus votíva sollémnitas, pacis tríbuat increméntum.

[Concedi, Signore, ai tuoi servi il dono della grazia celeste: e poiché il parto della beata Vergine fu per noi l’inizio della salvezza, la devota festa della sua visitazione accresca la nostra pace.]

Lectio

Léctio libri Sapiéntiæ.
Cant II: 8-14
Ecce, iste venit sáliens in móntibus, transíliens colles; símilis est diléctus meus cápreæ hinnulóque cervórum. En, ipse stat post paríetem nostrum, respíciens per fenéstras, prospíciens per cancéllos. En, diléctus meus lóquitur mihi: Surge, própera, amíca mea, colúmba mea, formósa mea, et veni. Jam enim hiems tránsiit, imber ábiit et recéssit. Flores apparuérunt in terra nostra, tempus putatiónis advénit: vox túrturis audíta est in terra nostra: ficus prótulit grossos suos: víneæ floréntes dedérunt odórem suum. Surge, amíca mea, speciósa mea, et veni: colúmba mea in foramínibus petra, in cavérna macériæ, osténde mihi fáciem tuam, sonet vox tua in áuribus meis: vox enim tua dulcis et fácies tua decóra.

[Eccolo venire, saltellando pei monti, balzando pei colli, simile il mio diletto ad un capriolo, ad un cerbiatto. Eccolo, sta dietro alla nostra parete, fa capolino dalla finestra, adocchia dalle grate. Ecco il mio diletto mi parla: «Alzati, affrettati, diletta mia, colomba mia, bella mia, e vieni. Poiché, vedi, l’inverno è già passato, la pioggia è cessata, è andata; i fiori si mostrano per la campagna, il tempo della potatura è venuto; si ode per la nostra contrada il tubar della tortorella; il fico ha messo fuori i suoi frutti primaticci; le vigne in fiore mandano il loro profumo. Sorgi, diletta mia, bella mia, e vieni. Colomba mia, che stai nelle fessure delle rocce, nei nascondigli della balza, mostrami il tuo viso, fammi sentir la tua voce, poiché la tua voce è soave, il tuo viso è leggiadro!]

Graduale

Benedícta et venerábilis es, Virgo María: quæ sine tactu pudóris invénta es Mater Salvatóris.

[Tu sei benedetta e venerabile, o Vergine Maria, che senza offesa del pudore sei diventata la Madre del Salvatore.]
Alleluia. alleluia.


V. Virgo, Dei Génitrix, quem totus non capit orbis, in tua se clausit víscera factus homo. Allelúja, allelúja.

[V. O Vergine Madre di Dio, nel tuo seno, fattosi uomo, si rinchiuse Colui che l’universo non può contenere.]


V. Felix es, sacra Virgo María, et omni laude digníssima: quia ex te ortus est sol justítiæ, Christus, Deus noster. Allelúja.

[V. Te beata, o santa vergine Maria, e degnissima di ogni lode, perché da te nacque il sole di giustizia, il Cristo Dio nostro. Alleluia.]

Evangelium

Sequéntia +︎ sancti Evangélii secúndum Lucam.
Luc 1:39-47
In illo témpore: Exsúrgens María ábiit in montána cum festinatióne in civitátem Juda: et intrávit in domum Zacharíæ et salutávit Elísabeth. Et factum est, ut audivit salutatiónem Maríæ Elísabeth, exsultávit infans in útero ejus: et repléta est Spíritu Sancto Elísabeth, et exclamávit voce magna et dixit: Benedícta tu inter mulíeres, et benedíctus fructus ventris tui. Et unde hoc mihi, ut véniat Mater Dómini mei ad me? Ecce enim, ut facta est vox salutatiónis tuæ in áuribus meis, exsultávit in gáudio infans in útero meo. Et beáta, quæ credidísti, quóniam perficiéntur ea, quæ dicta sunt tibi a Dómino. Et ait María: Magníficat ánima mea Dóminum: et exsultávit spíritus meus in Deo, salutári meo.

[Or in quei giorni Maria si mise in viaggio per recarsi frettolosamente alla montagna, in una città di Giudea, ed entrò in casa di Zaccaria e salutò Elisabetta. Ed avvenne che, appena Elisabetta udì il saluto di Maria, il bambino le balzò nel seno; ed Elisabetta fu ripiena di Spirito Santo; ed esclamò ad alta voce: «Benedetta tu fra le donne, e benedetto il frutto del tuo seno. E donde a me la grazia che venga a visitarmi la madre del mio Signore? Ecco, infatti, appena il suono del tuo saluto mi è giunto all’orecchio, il bambino mi è balzato pel giubilo nel seno. E te beata che hai creduto, perché s’adempiranno le cose a te predette dal Signore». E Maria disse: «L’anima mia glorifica il Signore; ed il mio spirito esulta in Dio, mio Salvatore».

OMELIA

[B. BOSSUET: LA MADONNA – DISCORSI: V. Gatti ed. Brescia, MCMXXXIV]

Intravit in domum Zachariæ et salutavit Elisabeth.

È proprio nella solennità d’oggi che i Cristiani devono conoscere il Salvatore, Dio nascosto, la cui potenza opera in un modo secreto ed inscrutabile dentro le anime nostre. Quattro persone io vedo nel mistero che oggi celebriamo: Gesù e la santa sua Madre Maria, e sua madre Elisabetta: sono essi il soggetto del Vangelo di questo giorno. Ma, notate, tutte queste persone, eccetto il Figlio di Dio Gesù, compiono qualche azione particolare visibile…, Elisabetta, illuminata da una luce che le piove dall’alto conosce la dignità di Madre di Dio nella sua parente Maria, e s’umilia davanti a Lei: « Unde hoc mihi? » Giovanni sente la presenza del suo Maestro e Salvatore ed in un sussulto misterioso palesa la sua adorazione « exultavit infans ». La dolce Maria rapita dal fascino dei misteri che in Lei compì Colui che è potente, in un’estasi canta le glorie ed il nome di Dio… ne esalta la bontà e la magnificenza! « Magnificat anima mea Dominum! » Gesù solo tace, immobile, nel seno materno: neppur un piccolo movimento tradisce la sua reale presenza: Colui che è il centro del mistero appare inerte… Non ci deve recar meraviglia, o Cristiani, questo modo d’agire: vuol farci comprendere che Egli è il Motore invisibile per cui ogni cosa si muove, tutto guida senza che si scorga il gesto della sua mano. » Proprio per questo io oggi troverò molto facile il mostrarvi e persuadervi che è proprie la sua mano onnipotente, che nel mistero d’oggi si nasconde, ma è svelata dalle azioni e dalle parole degli altri personaggi della scena evangelica che però non avrebbero fatto il minimo gesto s’Egli non l’avesse mossi e guidati. Lo vedrete chiaramente, lo spero, nel discorso: ma dovendo in esso mostrarvi l’azione dello Spirito Santo in quelle tre persone, io, per il primo, abbisogno del suo aiuto per parlare… e bramo, voglio attrarre a me lo Spirito divino, per l’intercessione, la preghiera di Colei che ne fu piena e dalla quale si diffonde in Elisabetta, in Giovanni! la Vergine bella Maria, la Vergine Madre che io e voi saluteremo invocandola: Ave Maria!

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Il mistero, forse più grande del Cristianesimo, è l’alleanza che il Figlio di Dio stringe con l’uomo e l’imperscrutabile suo procedere quando scende a visitar noi sue creature, E badate, buone sorelle, che non intendo affatto parlare dei modi di speciale comunicazione con anime privilegiate; lascio ai vostri direttori ed ai libri vostri particolari istruirvi su queste mistiche relazioni dell’anima con Dio: io qui voglio parlare delle visite, lasciatemele dir così, quotidiane con cui il Figlio di Dio s’avvicina ai suoi fedeli, o con le interne ispirazioni della grazia, o esteriormente, con la sua parola, con i sacramenti, in modo speciale con l’adorabile sacramento dell’Eucarestia. Bisogna che i Cristiani sappiano con quali sentimenti devon accogliere Gesù che viene ad essi… e mi pare che il Vangelo d’oggi lo insegni meravigliosamente. – Richiamiamo alla nostra mente una verità che servirà a farci comprendere meglio questo Vangelo: « Dio venendo all’uomo imprime al suo cuore un triplice movimento ». Subito che si avvicina, inspira una grande ed augusta idea della sua maestà; visione che coopera più all’anima la sua naturale bassezza, cosicché piena di timore e confusa pone in un atteggiamento di umiltà grande davanti a Lui, e si sente indegna dei suoi favori e delle sue grazie: ecco il primo sentimento. Non basta però, Cristiani, perché l’anima così tremante e confusa non oserebbe più avvicinarsi al suo Dio… anzi sentirebbe il bisogno di allontanarsene conoscendo la sua indegnità. – Ecco allora un secondo movimento al cuore fedele: e tale che lo costringe ad avvicinarsi con ardente confidenza, a correre al suo Dio con vivi desideri. – Nel terzo, il più perfetto, rendendosi l’anima disposta alla volontà dello Spirito, questi la riempie di ina pace e tranquillità grande, quella pace « Pax Christi in cordibus vestris », che ricolma delle gioie dei casti amplessi della divinità. – Le anime consacrate a Dio ben conoscono questo triplice modo di  avanzarsi di Dio nei cuori, manifestato dai tre sentimenti che abbiamo descritto: le prepara l’umiltà, perché si stimano indegne di Gesù Cristo; il desiderio ardente di Lui, le fa camminare avanti: nel tranquillo possesso dello Sposo celeste, vengono via via perfezionandosi. – L’evangelo d’oggi ci mostra chiaramente questi tre sentimenti disposti e distribuiti in un ordine mirabile non vediamo difatti Elisabetta che, dinanzi a Gesù che nel seno materno l’onora di una sua visita, subito riconosce e proclama la sua indegnità dicendo alla cugina: « Unde hoc mihi ut veniat mater Domini mei ad me? — Come mai tanto onore che la Madre del mio Signore venga a visitarmi? » Subito ardenti desideri scuotono il precursore e lo fanno sussultare nel seno materno, quasi tenti di spezzare i vincoli che gli impediscono di buttarsi ai piedi di Colui che un giorno proclamerà: Agnello di Dio che toglie i peccati del mondo. Insofferente che una legge di natura lo tenga ancora prigioniero: « Exultavit infans in utero meo ». Esultò il fanciullo nel seno materno. Ascoltate: ecco la voce incantevole e soave della Vergine Maria che, piena del Cristo tutto suo, canta un inno di grazia e di lode: che immortalerà nei secoli l’ìonda viva dei sentimenti che traboccavano dalla sua anima: Maria canta il sublime: « Magnificat anima mea Dominum – L’anima mia canta il suo Dio ed il suo Salvatore » – Mi parer di non ingannarmi se penso che così lo avrò piegato il Vangelo della Festa e avrò mostrato davvero che il Cristo nascosto agisce e fa che un’anima s’umilii nel sentimento della sua indegnità: Elisabetta; un’altra lo cerchi in un trasporto di amore: Giovanni; un’altra ancora ne gusti la pace possedendolo: Maria la sua Madre Vergine.

È così diviso il mio discorso.

1° Punto

È bisogno, più che dovere, che la creatura si abbassi nell’umiltà quando il suo Creatore viene per visitarla: è il primo gesto d’onore a Lui che si avvicina: riconoscere la nostra miseria e proclamare la sua maestà! – Per questo dissi e ripeto, che la grazia entrando in in un’anima le ispira come primo sentimento un timore religioso che quasi la induce a ritirarsi conscia del suo nulla.  – Leggete in S. Luca: Pietro appena gli si svela un raggio della divinità del suo Maestro in un gesto della sua onnipotenza, subito gli si butta tremante ai piedi e lo scongiura: « Vai lontano da me, Signore, ché io sono uomo peccatore ». – E il pio centurione, al quale Gesù dice: « Verrò alla tua casa e guarirò il tuo servo », non grida, quasi supplicando: « Signore io non sono degno che tu entri nella mia casa? » E senza cercar altrove, ecco quello che ci dice il Vangelo che abbiamo letto… appena vista Maria, appena udita la sua voce la pia cugina Elisabetta non conosce subito la sublime dignità di questa Madre: e contemplando il Dio ch’Ella nasconde in seno, quasi esterrefatta non grida: « Come viene a me la Madre del mio Signore? » – Questa umiltà, questo umile rispetto di cui Elisabetta ci dà esempio dovrebbe, o fratelli e sorelle mie, esser radicato profondo nel nostro cuore: per ottenerlo, cerchiamo conoscere il pensiero di Elisabetta e studiare efficacemente i motivi che la inducono a tale umiltà. Mi pare che i due principali si trovino nelle sue stesse parole: vedremo di capirle bene. « Come mai, perché tanto onore, che venga da me la Madre del mio Signore? » Riflettendo su queste parole la prima cosa che noto è che in questa visita, di cui si tiene onorata, vi è qualcosa che Elisabetta capisce… ed altro che affatto non comprende. – « La Madre del suo Signore, va da Lei » ecco quello che conosce ed ammira: ma « perché viene a me? » ecco quello che non capisce non sa e le fa domandare: « Unde hoc mihi? » Ella ben vede la dignità di Maria… misura tutta la distanza tra questa Madre e lei che pur è madre per prodigio e profondamente si umilia. È la « benedetta fra le donne, la piena di grazia… è la Madre del suo Dio, e lo porta in seno ». Potrò io mai, par che dica, far atto di degno omaggio? Nella contemplazione di queste misteriose grandezze, un’altra osservazione le impone di accrescere il suo rispetto. È la Madre del suo Dio, che prima viene a lei per trovarla amichevolmente! Sente tutto l’onore di questa visita, ma il perché non lo conosce, non lo sa trovate… per quanto scruti tutto il suo essere per vedere come abbia meritato tanto onore. Perchè tanto onore… tanta incomprensibile bontà? che mai ho potuto fare per meritarlo? Quali servizi, favori me la procurarono? La povera Elisabetta è confusa: sente che nulla in lei poté meritarle tanto onore tanta bontà, e conoscendosi beatamente prevenuta da una misericordia completamente immeritata, trova il bisogno di crescere, vorrebbe fino all’infinito, il suo profondo rispetto… non sa far altro che presentarsi a Cristo Gesù che la viene a trovare, col cuore in mano, un cuore umiliato che fa salire al labbro viva, la confessione della sua impotenza. Ecco le due forze che inducono Elisabetta all’umiltà quando Gesù la visita: ella nulla ha che possa eguagliare la sua grandezza: poi non ha nulla, proprio nulla, che possa meritare la sua bontà. Motivi che devono efficacemente insegnarci a servire il nostro Dio con timore e tremore pur gioendo davanti a Lui. Dove trovare una miseria che eguagli la nostra? nulla siamo nulla possiamo per natura… e nulla, proprio nulla abbiamo acquistato, conquistato noi! Ma allora come avremo ardire di avvicinarci a Dio? Non meno allontanati per le nostre colpe dalla sua infinita bontà, di quanto lo siamo per la misera nostra condizione dalla sua dignità, che altro possiamo fare, quand’Egli degnasi posar su di noi il suo sguardo, che imitare Elisabetta ed esaltare la sua maestà proclamando il nostro nulla? Cantare le sue misericordie ed i suoi benefici, confessando che le nostre colpe ce ne fanno indegni? Ma perché non siano parole vuote le nostre, ma espressione dell’intimo sentimento del cuore, cerchiamo conoscere cosa esigerebbe la maestà divina. È vero: nessuna bocca per quanto eloquente potrebbe dirlo, anzi nessuna mente potrebbe nemmeno averne l’idea: tentiamo fare paragoni: Ciò che tra gli uomini impone il rispetto, è la dignità che innalzando un individuo su i suoi pari lo colloca in un ordine più elevato, singolare, unico. – Ecco ciò che induce gli uomini al rispetto, alla riverenza. – Ed allora, sapreste voi dirmi fratelli quale riverenza, rispetto dovremo noi all’Essere supremo? Egli è il solo, l’unico, è dovunque, e dovunque lo contempliamo: il solo l’unico Sapiente, il solo unico potente, il solo l’unico perfettissimo felice!… Re dei re; Signore dei signori, unico nella sua inaccessibile maestà, con una potenza che non sopporta confronto o limite! Tertulliano, tentando descrivere magnificamente la sua eccellenza, lo dice: Il grande Sovrano, che non tollerando alcun uguale, separò sé in una solitudine creatagli dalla sua unica perfezione, « Summum magnum, ex defectione æmuli solitudinem quondam de singularitate præstantiæ suæ possidens ». (Contro Marcione). – La parola è dura ed oscura: ma Tertulliano è l’uomo avvezzo alle forti espressioni, e pare abbia, vorrei dire, create parole nuove ed uniche per descrivere una grandezza senza esempio. E badate bene, dice: « Solitudine di specialissima grandezza » veramente augusta e che deve imporre il più profondo rispetto la massima riverenza, – Eppure questa solitudine misteriosa di Dio, mi suggerisce una bella idea. Non c’è grandezza che non abbia il suo lato debole: grande potenza poco coraggio: gran coraggio e poca testa… una grande intelligenza in un corpo di malferma salute che ne impedisce l’esplicazione e l’applicazione: chi mai può vantarsi di esser grande in tutto? noi ci inchiniamo altri si inchinano a noi… chi s’alza da un lato dall’altro si abbassa… ecco perché troviamo tra gli uomini una certa eguaglianza: nessuno è mai così grande che il — piccolo — non c’entri, da destra o da sinistra! Voi solo, o Dio, o Supremo Re, o Eterno, voi l’Unico perfetto in ogni cosa, voi dovunque grande dovunque inaccessibile! a Voi solo si può domandare chi mai vi è simile! — Quis ut Deus? — profondo nel consiglio terribile nel giudicare! Forte nel volere, magnifico e mirabile nelle opere! Voi siete grande e grande è la vostra maestà! Sventura alla testa che s’alza proterva contro di voi, sventura alle fronti altere che alte e spavalde s’alzano contro la vostra faccia! Voi sapete colpire e strappar fino dalle radici questi cedri; voi che toccate i monti e fumano e si inceneriscono! Beati, beati coloro che al vostro appressarsi temono e tremano di star ritti innanzi a Voi, e temendo la vostra gelosia gridano colle parole del libro santo: Che è mai l’uomo, perché ve ne ricordiate o Signore: ed i figli degli uomini che sono essi perché loro facciate l’onore di visitarli? Essi si nascondono: ma il vostro sguardo li riempie di luce… tentano indietreggiare pieni di riverenza e voi li andate a cercare… si buttano ai vostri piedi ed allora pieno di bontà lo Spirito Vostro scende su di essi apportatore di pace. Impariamo, fratelli in Dio Padre, come si debba ricevere la divina Maestà: ma perché la nostra umiltà sia più profonda… ricordiamo che la sua bontà ci previene sempre ed in tutto, e le sue grazie sono proprio grazie perché le fa piovere su di noi senza alcun merito nostro! Peccatori tornati a penitenza, figlioli prodighi ritornati alla casa paterna, pecorelle smarrite, cercate, ritrovate, condotte all’ovile, venite e cantate qui davanti all’altare le lodi della misericordia senza confini del nostro Padre Iddio, del nostro Pastore buono:… venite e siatene i testimoni voi, che dalle tenebre foste chiamati all’ammirabile sua luce. – Quanto pensava Egli a voi quando voi non pensavate a Lui e lo dimenticavate!… con quanta e quale ansia penosa non vi corse dietro accelerando il passo mentre voi moltiplicavate la lena nel fuggirgli! Non vi accolse buono, proprio in quel momento in cui più meritavate la sua collera? E coi peccatori, trofei di questo nostro Dio, venite voi anime fedeli, anime a Lui consacrate che non contente di camminare dietro a Lui nella via stretta, volete seguirne l’invito a perfezione… chi vi ispirò nausea e disprezzo del mondo, e vi fece sentire il fascino della solitudine e del suo amore? Egli vi scelse e chiamò: ed ogni giorno gli protestate voi stesse che lo fece per sua pura bontà! è vero ogni giorno accumulate meriti: sarebbe bugiardo chi osasse negarlo! ma queste vostre opere meritorie nascono dalla grazia che Egli vi dà: voi ne usate bene, ed Egli vi dona grazie nuove; è questo buon uso della grazia che vi santifica! Vedete nel nostro Vangelo… non è Elisabetta cha va da Maria; è la Vergine che va a trovare la cugina: è Gesù che previene Giovanni! Nuovo prodigio, sorelle e fratelli cari, Giovanni doveva essere il precursore che avrebbe camminato avanti a Lui preparandogli piane le vie: eppure Gesù previene Giovanni. Vorremmo domandarci chi mai non sarà prevenuto dalla grazia del Cristo, quando ne fu prevenuto lo stesso precursore? E noi, noi che siamo tutti dei  “prevenuti” vorremmo gloriarci di qualche cosa?..: del nostro incominciare? ma non fu la grazia che ci illuminò senza che noi l’avessimo meritata? del progresso nostro nelle vie del bene?… ma se non vi fosse stata la grazia che avremmo potuto fare? gratia e sempre grazia perché dono gratuito! Il fiume si dice fiume ed ha un nome suo, là dove nasce come durante tutto il suo corso benché le sue acque s’accrescano… la grazia è sempre grazia — fons aquæ salientis — benché man mano che porta l’anima al suo termine, la perfezione si accresca, dice S, Agostino: «Ipsa gratia meretur augeri, ut aucta mereatur perfici ». Se dunque per la grazia abbiamo la vita, se viviamo della grazia, se in essa e per essa ci moviamo ed operiamo, a che tardiamo per unire la nostra alla voce di Elisabetta, ed umilmente domandare con Lei; « Unde hoc mihi? — Come mai tanto onore, tanto favore per me? » Io non lo meritai, né lo potevo… unicamente e tutto devo alla vostra bontà, o Signore! È questa la prima parola con cui la grazia ci ammaestra: farci conoscere ch’essa è proprio — grazia — cioè — gratuita —. Confessiamoci indegni dei benefici di Dio: commosso Egli della nostra umile confessione ce ne farà degni… Confessiamoci debitori, e che nessun credito possiamo vantare… ed Egli, il nostro Dio, si dirà nostro debitore: perché il centurione si dichiarava indegno d’averlo in casa sua Gesù vi andò! Pietro lo pregava d’allontanarsi da lui, e Gesù gli si fece più vicino, lo fece capo e fondamento del suo Corpo mistico, suo Vicario, proprio l’alter ego. Paolo protesta che non merita d’esser detto Apostolo… Gesù lo dice e lo fa il vaso d’elezione. Il Battista dichiara che non è degno di compier verso di Lui neppur l’umile ufficio di legargli i calzari, Gesù ne fa il suo amico, e lo dirà il più grande tra i nati di donna:… la mano che si stimò indegna di accostarsi ai piedi del Salvatore si alzò fino alla sua testa versandovi l’acque battezzatrici! Tutto per provarvi che nulla più ci merita grazie e doni quanto il confessar di non meritarne, anzi d’esserne indegni. L’umiltà è l’appoggio della confidenza… l’anima preparata dall’umiltà s’abbandona poi tranquilla ad ardenti desideri… lo vediamo, miei cari, compiersi in Giovanni Battista.

2° Punto

L’anima fedele, umiliatasi davanti al Signore quasi allontanatasi, conscia della sua miseria, non rimane però paga: il sentimento della sua nullità, sveglia in lei un nuovo bisogno… si sente trasportata verso di Dio, ed il suo cuore dal fondo della sua umiltà e miseria anela alla unione col suo Signore! Ma, non è presunzione un simile desiderio? non è follia il solo pensarlo?… Noi potremmo dubitarne se considerassimo solo la grandezza di Dio, ma bisogna, cari miei, considerare anche la Bontà essenzialmente connessa alla sua natura come la Maestà! La sua Maestà allontana la creatura è vero, ma è anche vero che la bontà le tende la mano e l’invita a sé! – Maestà e Bontà divina superano la forza della nostra mente: io mi sentii incapace di parlarne, e non potendolo io, domandai aiuto al grande Tertulliano, per parlarvi della grande Maestà del nostro Dio: ora per dirvi qualcosa della sua bontà, mi appoggerò ad un altro genio: Gregorio di Nazianzo, dottore santo della Chiesa, che i Greci chiamarono addirittura — il teologo — tanto profondamente penetrò i misteri della natura divina. Questo genio invita gli uomini a Dio, loro mostrando la infinita bontà del Signore che gode effondersi in doni e grazie… e chiude la sua prova con queste parole: « Questo Dio brama esser desiderato: e lo vorreste credere?… nella sua infinita abbondanza è assetato ». (Oraz. 402). Ma quel sete cruccia quest’Essere supremo? Sitit sitiri — è assetato della sete degli uomini, vuole ch’essi siano assetati di lui! Infinito in se stesso, e nelle sue ricchezze, noi possiamo farlo nostro debitore — domandandogli che ci faccia suoi debitori — poiché Egli gode più in dare di quanto noi godiamo nel ricevere —. Sono parole del santo dottore. Non vi pare, o fratelli, che con queste parole ci si sveli ed apra una sorgente viva che nell’abbondanza delle sue acque, fresche e limpide, invita il passante accaldato a fermarsi e bere? La fonte che non ha bisogno si rendan limpide le sue acque e nemmeno si faccian fresche, s’accontenta della sua freschezza e limpidezza naturale e mi pare mi domandi che vi si lavino le brutture, vi si rinfreschino le membra e si dissetino gli accaldati, alle sue onde limpide e fresche. Anche la natura divina sempre ricca sempre abbondante non può, perché pienamente perfetta, né accrescere né diminuire: le manca una cosa sola, se possiamo parlar così, che si vengano ad attingere al suo seno le acque vive zampillanti alla vita eterna, di cui è sorgente inesauribile in se stesso. Ecco perché con ragione S. Gregorio Nazianzeno dice che la divinità ha sete che s’abbia sete di Lei e quasi si sente beneficata quando le si offre modo di beneficare! – Ed allora, fratelli, non è un offendere Dio il non sentire desiderio vivo di Lui? Per questo Giovanni Battista sussultò in seno della madre: il Maestro veniva a visitarlo ed egli voleva andargli incontro: ardente amore, ardenti desideri lo spingevano: pare tenti spezzare i vincoli con cui natura ancor lo tiene nascosto! Egli vuole la libertà, non può tollerar la prigione in cui è chiuso, perché essa lo toglie alla presenza del Maestro, e non può correre al suo Salvatore. – Noi, ad Elisabetta abbiamo domandato di impararci come ricevere il Signore, a Giovanni domandiamo ci insegni a desiderarlo ardentemente per preparargli le sue vie! Oh ci dia egli il suo ardente desiderio del Cristo! È proprio questa la sua missione: egli non doveva; con la sua parola e la sua opera, che far più ardentemente bramare il Salvatore quanto più si avvicinava agli uomini. L’altro Giovanni, il discepolo prediletto, parla così della missione del Battista: « Vi fu un uomo mandato da Dio, a nome Giovanni, e lui non era la luce, ma era nel mondo per rendere testimonianza alla luce », cioè a Gesù Cristo. – Non meravigliamo di questo modo di parlare dell’evangelista: Gesù Cristo è la luce e non lo si vede… Giovanni non è la luce e lo si vede; anzi è lui che addita e svela la luce stessa e noi lo sentiremo additare la luce agli uomini – ecco il Sole! Ma non è la luce che da sola si fa vedere? Non è per il suo splendore che noi cediamo tutte le cose? Sentite: il Vangelo dice che la luce era in mezzo agli uomini, e gli uomini non la vedevano… anzi, cosa più strana, S. Giovanni « non erat ille lux » e veniva mandato per mostrare la luce, lui che non era luce. Fatto misterioso, o Cristiani, però non si dia alla luce la colpa se non la si vede, ma ai nostri occhi malati o chiusi che non possono o non vogliono vederla! è la nostra cecità, è la tremola e debole nostra vista che non sa sostenere il bagliore del giorno! S. Agostino commenta: — Tam infirmi sumus per lucernam quærimus diem — siam tanto deboli che andiamo cercando la luce del sole con la lucerna in mano. S. Giovanni Battista era una lucerna — lucerna ardens et lucens — (rappresenta la nostra debolezza) ci occorreva una lucerna per cercar il giorno: ebbimo bisogno di Giovanni per cercar Cristo — per lucernam quærimus Christum . Eran troppo deboli i nostri occhi, la luce doveva esser fioca per non accecarci: dovevamo essere abituati, pian piano, alla luce del pieno meriggio: piccoli raggi ci avrebbero fatto desiderare il cielo luminoso… tanto dimenticato e così a lungo nella lunga notte dell’ignoranza! Ricordiamocelo bene, questo miserando stato di cecità della nostra natura, e sempre… ci farà comprendere meglio tante cose! – Avevamo perduto la luce noi… sol intellegentiæ non ortus est eis; e non solo avevamo perduto la luce, ma non ne sentivamo nemmeno più il desiderio: gli uomini, dice ancora S. Giovanni evangelista, amarono le tenebre più della luce: e l’amarono tanto il buio, l’ignoranza della verità, che era diventata una seconda loro natura, fino a temere la luce della verità… a farli fuggire davanti al suo sfolgorìo: il perché, lo dice la Sapienza: — qui male agit odit lucem — chi fa male odia luce! Ma perché l’uomo doveva preferire le tenebre alla luce?… Ce lo spiega S. Agostino facendoci osservare il parallelo che c’è tra l’intelligenza  e l’occhio materiale: tra la luce fisica e la luce spirituale. L’occhio è creato perché veda la luce: e tu anima ragionevole fosti creata per vedere la verità eterna, che illumina ogni uomo che viene nel mondo. La luce è come il cibo dell’occhio – luce pascuntur oculi nostri – e ce lo prova il fatto: se l’occhio nostro viene tenuto per troppo tempo nell’oscurità od in una semioscurità, la sua forza visiva si affievolisce e l’occhio si ammala – cum in tenebris fuerint, infirmantur oculi nostri (tratt. 13 in S. Giov.) come si il lungo digiuno della luce davvero privi del cibo – fraudati oculi, cibo suo, defatigantur ey debilitantur quasi quodam jejunio lucis. – Prolungandosi questo loro digiuno dalla malattia possono passare ad una debolezza da poter appena sopportare un debole raggio di luce,  che era cibo all’occhio diviene oggetto di odio e di avversione! Terribile e paurosa catastrofe! E chi non capisce o Cristiani, che una simile sventura cadde su di noi? Eravamo creati per nutrirci della verità: era di questa luce divina che doveva vivere la nostra anima ragionevole … privata di questo cibo celeste, non può che perder la forza e la vita: languida, estenuata a stento può tollerarla poi non la brama più; avanti ancora un po’ ed addirittura la luce della verità le darà noia, e l’odierà! Terribile verità sciaguratamente troppo reale e frequente! Si bramano, si cercano le tenebre … perché si van macchinando criminosi progetti! Le nebbie s’infittiscono attorno a la mente, la ragione vien adagio adagio offuscandosi, l’infelice che trovasi in questo stato non può più vedere… non ha più la luce dei suoi occhi e grida: — lumen oculorum meorum et ipsum non est mecum!… — Possibile, mi dite, voi spaventati, possibile che proprio più non veda? Possibile?… Ah, osservate, fratelli miei, osservate: In mezzo al buio che lo circonda un amico saggio gli si avvicina… e cerca se proprio non v’è ancor modo di fargli vedere attraverso qualche spiraglio la luce del giorno… ma egli ne toglie ostinatamente lo sguardo, non vuol vedere la luce… perché essa gli fa conoscere il suo sbaglio, il male che egli ama troppo e che non vuole lasciare, non ne ha il coraggio! « Oculos suos statuerunt declinare in terram — s’ostinarono a tener fisso l’occhio a terra ».. Vivono così i peccatori e così viveva infelice tutto il genere umano… la luce era svanita lasciando gli uomini cogli occhi malati, avvolti nel buio, dimentichi perfino della verità. O splendore eterno del divin Padre, o Gesù, ditemi che farete mai agli uomini perché vedano? Vi presenterete in tutto lo sfolgorio della vostra luce? Oh fratelli, Gesù non lo farà: sarà una luce riflessa: nascosto rifletterà la sua luce in S. Giovanni Battista. Saranno raggi più pallidi che farà brillare prima: così l’occhio umano debole e malato verrà fortificandosi man mano e verrà portato al bisogno prima, al desiderio poi, della bellezza del giorno. Ecco la missione del precursore… far nascere nel cuore umano il desiderio della luce eterna! Proprio oggi comincia ad esercitare la sua missione il Precursore! In realtà Gesù non opera, lo vedete? non si muove non si mostra: ancora non appare ma già brilla nel Battista: per questo il buon Zaccaria paragona Gesù al sole che nasce: — oriens ex alto visitavit nos — e viene a visitarci. Ma come se ancora è nel seno materno, se ancor non si è mostrato al mondo, come ci può visitare? È un sole che nasce, dice Zaccaria, ed il sole ancor prima di apparire sull’orizzonte già ci visita colla luce dell’alba… già brillano i suoi raggi sui monti: già brilla nel suo Precursore! Il piccolo Battista, vedetelo come, già pieno di giubilo davanti al nuovo giorno, con sussulti misteriosi adora la luce che viene nel mondo ad illuminare!… vuole insegnarci come la dobbiamo desiderare questa luce benefica. Nei suoi sussulti pare ci dica: Perché, o poveri mortali, tardate ad accorrere al Salvatore divino? Perché mai ne fuggite la luce che pur occorre all’occhio dei vostri cuori ed è la tranquilla pace degli spiriti? il cibo degli occhi liberi da pregiudizio e dalla materia, il cibo incorruttibile delle anime fedeli? Non andate dunque a Gesù? ma perché  non correte da Lui? Ah qual soave incanto non avrà per gli uomini, fatti per la gioia luminosa. Colui che tanto inondò di letizia il cuore di un bambino ancor avvolto nel buio del seno di sua madre? che produrranno, o uomini, nelle vostre anime i suoi abbracci, se il solo suo avvicinarsi destò trasporti tanto vivi d’amore? – Continuerò a domandarmelo o fratelli… perché? come? ancor non si vede, ancor non opera; ancor non parla e già la sua presenza augusta tutt’intorno diffonde la gioia e tutti riempie dello Spirito di Dio!! Quale felicità, qual estasi affascinante trascinerà gli uomini quando udiranno dalla sua bocca divina le divine sue parole! Vedranno zampillare una polla d’acqua viva che rinfrescherà i cuori esasperati: lo si vedrà misericordiosamente correre in cerca dei peccatori e chiamarli con la voce tenera di un padre amorevole che tutti chiama a sé! A quelli che il lavoro ha stancato, lo si sentirà promettere dolce riposo; più ancora: prometterà loro che un giorno lo contempleranno nel pieno splendore della sua gloria… vedranno scoperto il suo volto divino e gli occhi loro saranno saziati delle sue immortali bellezze! E noi tardiamo ancora, o Cristiani? Perché? Perché non eccitiamo i nostri desideri e forziamo i nostri ardori troppo lenti? Non fu solo S. Giovanni a sentire vicino Gesù, a desiderarne ardente la sua presenza!… Era ancora tanto lontano, era appena preannunziato e già era atteso e quanto ardentemente desiderato!… è Davide che grida che la sua anima languisce dietro il suo Dio… e « quando, quando, dice, mi avvicinerò alla faccia del mio Signore?… Quando veniam et apparebo ante faciem Dei? » Quale vergognosa indegnità veder chi l’ha vicino, chi lo possiede, non curarsi di Colui che nei secoli lontani era il Desiderato! Gesù è vicino a noi, in mezzo a noi o fratelli… e non l’abbiamo sul nostro altare, nel tabernacolo santo dov’è in corpo sangue anima e divinità?… Ah mentre aspettiamo la gioia di prostrarci al suo trono, di abbracciarlo nella sua gloria, perché non corriamo ai suoi santi altari? Alla mistica mensa ch’Ei ci prepara e dove è cibo la sua Carne, bevanda il suo sangue? Ci dovrebbe divorare 1° fame di questo cibo, bruciare la sete di questa bevanda. Ma Gesù non sì può desiderare se non si desidera Lui e Lui solo! Desìderiamolo dunque ardentemente: troveremo in Lui la pace delle nostre anime, quella pace soave di cui ci si presenta inondata l’anima bella di Maria, in questo mistero!

3° Punto

Stiamo per considerare il compimento dell’azione divina nelle anime: purificate nell’umiltà, accese di ardenti desideri ecco che finalmente Dio dona ad esse se stesso con la sua pace… una pace celeste. Sono le caste delizie di questa pace santa e divina che inondano l’anima della Vergine Maria e le fanno cantare, esultando, il sublime suo: — Magnificat anima mea Dominum! — L’anima di Maria certo è ripiena di vera pace, poiché possiede Cristo Gesù! Questa pace che supera la nostra mente, io non so spiegarla alle anime buone… ricorro dunque alla Vergine per imparar io e perché  impariate voi, perché comprendiamo e gustiamo tutti le soavi dolcezze velate dalle parole di questo canto che incanta ed innamora oggi e cielo e terra. Non potremo però, ben comprendere se prima non cerchiamo approfittare, brevemente, delle istruzioni che vi sono racchiuse: le esamineremo nel tempo che ci rimane. Divido questo cantico in tre parti: Maria ci narra dapprima i favori di cui Dio l’ha ricolma: « guardò al mio nulla, mi fece grandi cose, usò la potenza del suo braccio ». Poi parla del disprezzo del mondo di cui vede la gloria boriosa atterrata: et dispersit superbosdeposuit potentes de sede e mandò a mani vuote i ricchi ». Chiude il suo canto ammirando la bontà del Signore e la sua fedeltà alle promesse fatte — recordatus misericordiæ suæ sicut locutus est patres nostros —Ecco tre cose che sembrerebbero senza un nessologico, tanto sono staccate, mentre sono strettamente collegate.Vi raccomando di prestarmi attenzione o fratelli: mi pare che la Vergine miri a svegliare i cuori dei fedeli e ad eccitarli all’amore di quella pace che Dio solo sa, può dare e dà.Per farci comprendere la dolcezza e la soavità di questa pace, ne svela il principio, un principio ammirabile: Dio che tiene fisso il suo sguardo sulle anime giuste ed unendo allo sguardo la bontà con cui le segue, la Provvidenza che veglia su loro sempre: — Respexit humilitatem ancillæ suærespexit: guardò; è sotto l’azione di questo sguardo che nasce la pace nelle anime sante. Ma v’è attorno ad esse il mondo: lo scintillio dei suoi beni, la dolcezza e le gioie che promette; potrebbero sedurre queste povere anime buone, impedendo che sentano e gustino i beni e le promesse divine… Ecco allora che ad illuminarle loro mostra il mondo vinto, la sua gloria caduta e calpestata: ma siccome né la manifestazione della gloria di Dio né la completa sconfitta del mondo non si vede in questo secolo, perché le anime non si stanchino nell’attesa della felicità eterna, sostiene e rafforza il loro spirito colla pace divina che dà la certezza delle promesse di Dio. Ecco lo schema ed insieme l’ordine di questo canto sacro: vi potrà sembrare ancora non del tutto chiaro; ma spero di potervelo ugualmente far comprendere e bene. Consideriamo subito il principio di questa pace comprendendone là soavità dalla stessa forza che la genera nelle anime. Ditecelo Voi, o gran Vergine, chi riempì di gioia la vostra anima? E la Vergine ci risponde: « Colui che mi guardò, e che non disdegnò di abbassare il suo sguardo sul nulla della sua povera ancella. — Respexit humilitatem ancillæ suæ ». Cerchiamo capir bene cosa importi questo sguardo divino, e quali benefici siano in esso racchiusi. Le Scritture ci dicono, che lo sguardo che Dio posa sui giusti: talvolta significa la sua benevolenza ed i suoi benefici; altra la sua protezione ed il suo soccorso. Dio aprendo su di essi favorevole lo sguardo come un buon padre, si mostra sempre intento e pronto ad ascoltare le domande dei suoi cari. Il profeta reale, lo dice ancor più chiaro: dopo aver detto — Oculi Domini super justos; — aggiunge subito, quasi a spiegar l’effetto di questi occhi fissi sui giusti — aures eius in preces eorum —. Ecco lo sguardo di favore. – Ricordiamo però, o miei cari, un’altra frase dello stesso profeta che chiaramente significa una azione di difesa e protezione di quest’occhio paterno: « occhio di Dio eccolo fisso su coloro che lo temono, e su quelli che sperano nella sua misericordia » (Salmo XXXII) a qual fine? Risponde il Salmo XIX: « ut eruat eos a morte, et alat eos in fame — per strapparli alla morte, e nutrirli nelle ore della fame ». Eccovi, come lo sguardo di Dio sta fisso sui buoni proteggendoli dai mali che li minacciano; e l’anima lo sa « poiché sta in attesa del Signore che è il suo protettore ed il suo aiuto ». Ed allora ditemi: quando un’anima è sotto l’azione benefica e protettrice di un tale occhio, cosa potrà ancora desiderare per dir che gode la pace? Nulla!… e ce lo insegna la Vergine dicendoci che Dio la guardò: — respexit! — Certo Ella è oggetto speciale di questo duplice sguardo benefico e protettore: la guardò in un modo particolare, tutto particolare, preferendola a tutte le donne, anzi a tutte le creature non solo della terra ma anche del cielo. – La proteggeva il suo sguardo quando stornava da Lei l’onda profanatrice della concezione umana, la febbre della concupiscenza e tutte le altre miserie della maledetta natura nostra: per questo Maria, piena di gioia, canta: « Mî fece cose grandi Colui che è potente » poiché mi colmò della sue grazie!… ma ancor più dice: usò su di me tutta la potenza della sua mano destra… ricolmandomi di tali grazie, quali nessuno ebbe mai, e mai alcuno potrà comprendere: « Mi fece cose grandi — magna » ma anche nel difendermi: fu potente! La forza si usa per proteggere e per difendere! Oh Vergine cara, oggetto fortunato di questo sguardo benefico e protettore!… Miei cari, non faccio un confronto, intendiamoci, né cerco un’eguaglianza — ma però dico che anche noi, anzi tutte le anime cristiane furono e sono efficacemente onorate dallo sguardo del Signore! Questo pensiero deve diffondere nei nostri cuori una gran gioia e tranquillità di spirito! Potrò io chiarire tale dolce verità? potrà un peccatore parlare della pace celestiale delle anime innocenti?… Dirò quel che posso… e parlando di queste dolcezze ne faremo quasi rigustare la soavità alle anime fortunate che le provarono e le provano… svegliandone acuta la sete in quelli che non le gustarono e non le gustano ancora! Sì, o fratelli: figli noi tutti di Dio, Egli tiene fisso su di noi il suo occhio benefico e tien volta verso di noi la sua faccia buona. Adirato terribile minaccioso ci appare il suo volto quanto la nostra coscienza ci rimprovera una colpa e ci fa sentire che Dio scruta come giudice il nostro cuore! Ma quando, nella vita buona fa nascere nella nostra coscienza una serenità consolante, oh allora è con un viso dolcemente paterno che sorride a noi ed una calma soave toglie ogni turbamento, dissipa ogni nube di tristezza! L’anima fedele che in Lui confida, non lo pensa giudice, ma solo padre e buon padre, che dolcemente invita ad andar a Lui, cosicché essa può dirgli con verità: « Susceptor meus es » e le par sentirsi rispondere: « Salus tua ego sum!… » ed allora la pace, una pace gioiosa, ricolma quest’anima; essa si sente al sicuro sotto la mano di Dio: vengan le minaccie da chi si voglia, la certezza della difesa è in fondo al suo cuore, ed a qualunque nemico s’avanzi sente di poter gridare: « Si Deus pro nobis quis contra nos? » Con un Dio che mi protegge qual tremore o timore potrà annidare nel mio cuore?! Questa è la pace segreta che Dio dà a coloro che sono i suoi fedeli: il mondo non la capisce né lo può, anzi col frastuono della vita dei sensi la scaccia… ed ella se ne va cercando le anime nella solitudine. Non giova insistere, ché con tutti i miei discorsi io non arriverei a convincervi di ciò che l’esperienza fa ben conoscere: non posso descriverla bene questa pace… finirò allora il mio dire, col mostrarvi gli effetti suoi: affetti che i nostri sensi stessi possono constatare e controllare: Voglio dire il disprezzo del mondo, della pace ch’ei promette, delle gioie che vanamente fa sognare… tutto questo ci è mostrato nei versetti seguenti del canto di Maria. L’anima che fece suo sostegno Dio, che s’inebria della dolcezza della sua pace santa, che per rifugio, nel pericolo, ha l’Altissimo… quando butta uno sguardo sul mondo che basso basso le sta ai piedi, e lo guarda dall’alto del suo rifugio, come non debba provare un senso di disgusto io non lo so neppure immaginare, tanto le deve apparir meschino e vile, benché tanti uomini ne vadan pazzi! Che vede mai? un cumulo di rovine… grandezze atterrate, glorie scomparse, uomini grandi ruinati dai troni superbi… e nella catastrofe delle cose umane solo contempla grande, l’anima umile e la vede innalzarsi nella incantevole semplicità del cuore. Per questo Maria gridò il terribile e fatidico — dispersit superbos… et exaltavit humiles! — Penetriamo tutti, in modo speciale voi anime a Dio consacrate, questo sentimento profondo che è il nucleo della vita dell’anima cristiana, ed in modo speciale della vocazione religiosa: bisogna penetrarvi bene addentro; per riuscirvi meglio ponetevi davanti il grande contrasto che c’è tra Dio ed il mondo. Tutto ciò che Dio innalza e nobilita, il mondo lo deride, disprezza, calpesta: e Dio distrugge e disperde ogni idolo del mondo: « Vi è una gara una lotta tra le cose divine e le cose umane » grida Tertulliano nella sua apologia, e che abbia ragione ce lo dice la nostra stessa esperienza! Quali sono i favoriti, i prediletti, i privilegiati del cuore e della mano di Dio? Gli umili, coloro che non hanno sogni di grandezza, che sono i veri poveri dello spirito! Il mondo? – Il mondo per costoro non ha che disprezzo: egli esalta gli audaci, gli intraprendenti… (eccovi la lotta) Dio favorisce i cuori semplici sinceri… il mondo gli infingardi, gli ipocriti! Nel mondo i favori si conquistano con la forza con la violenza… presso il Signore si ottiene tutto col non pretendere; nel mondo si vive di pretese… Eccovi, fratelli, il grande quadro quotidiano dell’antagonismo tra Cristo ed il mondo, antagonismo, lotta che non cesseranno mai: lo disse Gesù: « tra me ed il mondo non vi sarà pace né tregua mai»: quel che l’uno esalta, l’altro deprime e calpesta. – Né può esser diverso, sapete? Perché il mondo è il dio delle due facce: e la gente alcuna guarda al presente, altra getta avanti lo sguardo nell’avvenire all’ultima partita alla fine dei secoli. Gli incantati dal presente, s’attaccano al mondo ed alle sue grandezze e glorie… credono trionfare; perché in realtà il Signore li lascia nella loro illusione, perché si divertano credendosi felici… Dio aspetta venga il suo giorno! Poveracci! non vedono che grandi posti non sognanoche onori e grandezze, non desiderano, non invidiano che i grandi… i ricchi… i potenti! e con voce triste sospirando dicono: « Beatus populus cui hæc sunt». È il canto dei figli del mondo: poveri infelici! Giudici ciechi precipitosi, attendete almeno la sera della battaglia per parlare di vittoria! Non vedete? C’è in alto, agitantesi minacciosa, la mano di Dio, che sventa i progetti e sconvolge tutti i piani degli uomini: al suo tocco cadranno troni e corone, seccheranno gli allori tanto agognati! La Vergine e con Lei i suoi figli, i figlioli di Dio, guardano a questa mano di Dio che tutto fa crollare — l’onore del mondo — per questo essi godono la tranquillità dello spirito, né il mondo può qualcosa su di essi col suo fascino! Lo vedono sì il mondo che lotta contro Dio: ma di Dio conoscono la potenza… ed anche davanti a qualche piccola apparente vittoria dei figli delle tenebre, che ne menan tanto scalpore, essi non si turbano… sanno che la vittoria a sera sarà, è di Dio… anzi dopo questi effimeri trionfi, più umiliante sarà la sconfitta finale… e ridono ridono i servi di Dio e già cantano la vittoria di quel Dio che non disperde subito, ma sempre disperde i superbi; non solo li umilia… ma li annienta… E accanto ai superbi annientati… fermatevi ricchi del mondo: ai poveretti, apparivate colle mani colme d’oro… ma fedeli al loro Dio essi lo guardarono correre nelle vostre mani… le videro vuote le vostre mani, proprio come il fondo del canale di pietra su cui l’acqua passa e neppure una goccia vien trattenuta. Disperde i superbi… e i ricchi rimanda a mani vuote… Ecco come trionfa vittorioso Iddio… ecco il mondo e la sua grandezza rovesciata. Qual gioia per i figli di Dio contemplare il nemico caduto ai loro piedi, mentr’essi gli umili servi di Dio alzano sicuri e grandi la fronte… i disprezzati del mondo siedono su troni d’oro: exaltavit humiles!… i poveri tornan dal trono di Dio saziati di beni… esurientes implevit bonis. Vittoria dell’Onnipotente… pace, conforto delle anime fedeli… noi vi esaltiamo. Oh cantiamo, io, voi, tutti o fratelli e sorelle questo canto divino… è il canto vero e grande dei disprezzati dal mondo… che cantano la sua sconfitta: i grandi umiliati, i potenti dispersi, i ricchi spogliati… tutto e ricchezza e gloria e potenza tutto svanì! Ridiamo davanti ai suoi trionfi, piccoli trionfi d’una piccola ora essi non giungono a sera… ridiamo della sua pace e gioia tremolanti come foglie d’albero all’autunno. E voi, poveri illusi che correte pazzi dietro alla fortuna e nulla stimate buono e bello se non quello ch’essa butta per via e dona, nulla dolce se non quanto è nel calice della sua gioia… ditemi perché fate e parlate così? Non siete voi fratelli nostri, come noi figli di Dio? non ne aveste nel battesimo col carattere sacro, il suggello dell’adozione? non avete per patria il cielo e non è esilio anche per voi la terra? Perché dunque incantati, vi state a guardar bramosi il mondo?… figlie della grande Gerusalemme perché vorrete sostare nelle piazze di Babilonia per cantarvi il canto della schiavitù? Oh non è la vostra lingua non sentite quante parole barbare vi mescolate, apprese nella terra d’esilio? Via dal labbro la parlata straniera, fate risuonar la dolce parlata della vostra patria: non dite felici quelli che ve lo sembrano all’occhio malato ed allucinato! Solo quei che hanno Dio per Signore sono felici i veri i soli felici!… si parla così nella vostra patria. – Consoliamoci in questo pensiero… anzi viviamolo in una dolce pace: ci impari la Vergine che per darci la pace del cuore lo sguardo del Signore è su di noi sempre: che appoggiati a Lui non dobbiamo lasciarci vincere dalle vertigini con cui trascina il mondo… egli è vinto!… guardiamo all’alto! … Che se il tempo dell’attesa ci pare troppo lungo si guardi alla sua parola che promette e non inganna: quanto disse ad Abramo ancor si mantiene per tutti i suoi figli attraverso e dopo secoli!… Manderà il suo Cristo che le rinnoverà ed aggiungerà nuove promesse fino a quando vedremo l’alba del giorno di felicità eterna… che il Cristo ci ha promesso. Amen.

IL CREDO

Offertorium

Orémus.
Beáta es, Virgo María, quæ ómnium portásti Creatórem: genuísti, qui te fecit, et in ætérnum pérmanes Virgo.
[Beata te, o Vergine Maria, che hai portato il Creatore di tutti; generasti chi ti ha fatto e rimani vergine in eterno.]


Secreta

Unigéniti tui, Dómine, nobis succúrrat humánitas: ut, qui, natus de Vírgine, Matris integritátem non mínuit, sed sacrávit; in Visitatiónis ejus sollémniis, nostris nos piáculis éxuens, oblatiónem nostram tibi fáciat accéptam Jesus Christus, Dóminus noster:

[ Ci soccorra, Signore, l’umanità del tuo unico Figlio, che nascendo dalla Vergine, non diminuì, ma consacrò l’integrità della Madre: nella festa della visitazione renda a te gradita la nostra offerta, liberandoci dalle nostre colpe, lo stesso Gesù Cristo, nostro Signore]

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Beáta víscera Maríæ Vírginis, quæ portavérunt ætérni Patris Fílium.

[Beato il seno della Vergine Maria, che portò il Figlio dell’eterno Padre.]

Postcommunio

Orémus.
Súmpsimus, Dómine, celebritátis ánnuæ votíva sacraménta: præsta, quǽsumus; ut et temporális vitæ nobis remédia prǽbeant et ætérnæ.

[Saziati del sacro corpo e del prezioso sangue ti preghiamo, o Signore Dio nostro; quanto abbiamo compiuto con devozione, lo possiamo conseguire con sicura redenzione.]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

L’APOCALISSE INTERPRETATA DAL BEATO B. HOLZHAUSER (V)

L’APOCALISSE INTERPRETATA DAL BEATO B. HOLZHAUSER (V)

INTERPRETAZIONE DELL’APOCALISSE

Che comprende LA STORIA DELLE SETTE ETÁ DELLA CHIESA CATTOLICA.

DEL VENERABILE SERVO DI DIO BARTHÉLEMY HOLZHAUSER RESTAURATORE DELLA DISCIPLINA ECCLESIASTICA IN GERMANIA,

OPERA TRADOTTA DAL LATINO E CONTINUATA DAL CANONICO DE WUILLERET,

PARIS, LIBRAIRIE DE LOUIS VIVÈS, ÉDITEUR RUE CASSETTE, 23 – 1856

LIBRO PRIMO

SEZIONE II.

SUI TRE PRIMI CAPITOLI

Descrizione dei sette Angeli della Chiesa Cattolica da Gesù-Cristo fino alla consumazione dei secoli, figurate dalle sette Chiese dell’Asia, dalle sette Stelle e dai sette Candelabri.

§ IV.

Dalla quarta età della Chiesa militante, chiamata pacifica, dal  S. P. Leone III e l’Imperatore Carlomagno, fino Leone X e Carlo-Quinto.

CAPITOLO II. – VERSETTI 18-29.

Et angelo Thyatirœ ecclesiœ scribe: Hœc dicit Filius Dei, qui habet oculos tamquam flammam ignis, et pedes ejus similes auricalco: Novi opera tua, et fidem, et caritatem tuam, et ministerium, et patientiam tuam, et opera tua novissima plura prioribus. Sed habeo adversus te pauca: quia permittis mulierem Jezabel, quœ se dicit propheten, docere, et seducere servos meos, fornicari, et manducare de idolothytis. Et dedi illi tempus ut pænitentiam ageret: et non vult poenitere a fornicatione sua. Ecce mittam eam in lectum: et qui moechantur cum ea, in tribulatione maxima erunt, nisi pænitentiam ab operibus suis egerint. Et filios ejus interficiam in morte, et scient omnes ecclesiae, quia ego sum scrutans renes, et corda: et dabo unicuique vestrum secundum opera sua. Vobis autem dico, et ceteris qui Thyatirœ estis: quicumque non habent doctrinam hanc, et qui non cognoverunt altitudines Satanœ, quemadmodum dicunt, non mittam super vos aliud pondus: tamen id quod habetis, tenete donec veniam. Et qui vicerit, et custodierit usque in finem opera mea, dabo illi potestatem super gentes, et reget eas in virga ferrea, et tamquam vas figuli confringentur, sicut et ego accepi a Patre meo: et dabo illi stellam matutinam. Qui habet aurem, audiat quid Spiritus dicat ecclesiis.

[E all’Angelo della Chiesa di Tiatira scrivi: Queste cose dice il Figliuolo di Dio, che ha gli occhi come fiamma di fuoco ed i piedi del quale sono simili all’oricalco: So le tue opere, e la fede, e la tua carità e il ministero, e la pazienza, e le tue ultime opere più numerose che le prime. Ma ho contro di te poche cose, poiché permetti alla donna Jezabele, che si dice profetessa, di insegnare e sedurre i miei servi, perché cadano in fornicazione, e mangino carni immolate agli idoli. E le ho dato tempo di far penitenza: e non vuol pentirsi della sua fornicazione. Ecco che io la stenderò in un letto: e quelli che fanno con essa adulterio, saranno in grandissima tribolazione, se non faranno penitenza delle opere loro: ‘e colpirò di morte i suoi figliuoli e tutte le Chiese sapranno che io sono lo scrutatore delle reni e dei cuori: e darò a ciascuno di voi secondo le sue azioni. Ma a voi, io dico, e a tutti gli altri dì Tiatira, che non hanno questa dottrina, e non hanno conosciuto le profondità, come le chiamano, di satana, non porrò sopra dì voi altro peso: Ritenete però quello che avete, sino a tanto che io venga. E chi sarà vincitore, e praticherà sino alla fine le mie opere, gli darò potestà sopra le nazioni, e le reggerà con verga di ferro, e saranno stritolate come vasi dì terra, come anch’io ottenni dal Padre mio: e gli darò la stella del mattino. Chi ha orecchio, oda quello che lo Spirito dica alle Chiese.]

I. – Vers. 18Scrivi ancora all’Angelo della Chiesa di Tiatira: Ecco ciò che dice il Figlio di Dio.  La quarta età della Chiesa iniziò con Carlo Magno ed il santo Papa Leone III, e durò fino a Carlo V e Leone X. In quest’epoca fiorirono molti grandi santi tra re ed imperatori, ed ecclesiastici tanto dotti quanto pii; e fu incontaminata dall’eresia per più di 200 anni. È quindi giustamente chiamata l’età pacifica e illuminativa (pacificus). Ne troviamo il tipo di questo nella descrizione della Chiesa di Tiatira: perché la parola Tiatira è interpretata nel senso di illuminata e ostia vivente, come fu la quarta età della Chiesa. È a questa quarta epoca che si riferisce il quarto giorno della creazione, quando Dio fece i corpi luminosi e le stelle che pose in cielo. È anche a questa età che conviene al quarto Spirito di pietà che Dio ha poi riversato abbondantemente sulla sua Chiesa. – Allo stesso modo, possiamo anche appropriare a questa quarta età della Chiesa, la quarta epoca del mondo, che durò da Mosè fino al completamento del tempio di Salomone. Infatti, come Davide allora compose dei salmi ed implementò il culto divino; e suo figlio Salomone costruì un tempio molto grande e ordinò i vasi più preziosi per il servizio degli altari e del tempio; e stabilì un ordine ammirevole nelle cose sacre, ed elevò la maestà dei sacrifici con la buona disciplina dei ministri; ed infine, regnò pacificamente senza avere alcun nemico; così, nella quarta età, furono celebrati i Concili più utili per ricostruire la Chiesa decaduta. La religione cristiana fiorì ovunque e la Chiesa visse in pace, libera di tutti i nemici e dalle eresie. Il Le canto, i salmi, il breviario, i riti, le cerimonie e il ministero dell’altare furono riportati ad un ordine migliore, e anche ad una certa perfezione. Perciò seguono queste parole: “Scrivi ancora all’angelo della chiesa di Tiatira: Queste cose dice il Figlio di Dio, i cui occhi sono come una fiamma di fuoco, e i suoi piedi sono come ottone rilucente. Egli è qui chiamato Figlio di Dio, perché i misteri della Sua Divinità e Umanità erano già stati chiariti e purificati dagli errori di Ario e degli altri eretici. È dunque con buona ragione che, vittorioso sui suoi nemici in questa quarta epoca della Chiesa, il Cristo trionfante dice: “Questo è ciò che dice il Figlio di Dio. Con gli occhi, come una fiamma di fuoco, si intende la perfetta conoscenza della verità; e con i piedi, simili a bronzo brillante, si intende la stabilità e la fermezza del corpo di Cristo, che è la Chiesa.  Perché i tiranni del paganesimo sono stati sconfitti e le tenebre degli eretici sono scomparse, la Chiesa gode del riposo, nella perfetta conoscenza della verità della fede cattolica, più saldamente stabilita, e protetta dal potere dei principi e dei re. Ecco perché non dice più qui: come l’ottone quando è in una fornace ardente, ecc., ma semplicemente come l’ottone lucente, cioè già purificato da tante persecuzioni e messa alla prova dalla spaventosa crudeltà dei tiranni e degli eretici.  – Queste due cose sono poste in testa, come trofei e bottino della vittoria che Cristo ha ottenuto sui suoi nemici, da parte dei membri della Chiesa, la sua amata sposa, e dei suoi fedeli soldati. Aggiunge … come una fiamma di fuoco. Infatti, la fede di Cristo e la verità brillarono nella quarta epoca e si diffusero in tutto l’universo.

Vers. 19Io conosco le tue opere, la tua fede, la tua carità, il tuo ministero, la tua pazienza, e le tue ultime opere più abbondanti delle prime.  Segue la raccomandazione abituale che consiste in sei punti che sono: le opere della Chiesa, la perfezione della sua fede, la sua carità, il suo ministero, la sua pazienza e la sua perseveranza nel bene. – La prima raccomandazione si trova in queste parole: Conosco le altre tue opere di giustizia, pietà e misericordia, che sono sante e fatte con un’intenzione pura. La seconda è la tua fede. Infatti qui egli loda la Chiesa per la sua fede, come una speciale prerogativa e perfezione; poiché nella quarta epoca la fede cattolica era unanime, perfetta e diffusa, per così dire, in tutto l’universo. E la Chiesa fu libera dall’eresia per più di duecento anni, finché Berengario, al tempo dell’imperatore Enrico III, sorse in Gallia, nell’anno 1048, e insegnò che nella santa Eucaristia non sono il corpo e il sangue di Cristo. Distrutta questa eresia, la Chiesa godette di nuovo del suo riposo, fino all’anno 1117, come vediamo nella storia ecclesiastica. – La terza, la tua carità verso Dio e il tuo prossimo. La quarta, il tuo ministero dell’altare e la cura dei poveri, ministero che era florido in quel periodo. Infatti, non solo vi fu un numero considerevole di grandissimi santi ecclesiastici, ma anche di imperatori, re, principi e altre alte persone, che fondarono ospedali e si presero cura dei poveri, che essi stessi servivano. Inoltre, costruirono chiese, ripararono quelle in rovina, edificarono monasteri, chiese collegiate, vescovadi, templi, altari, e fecero tutto il possibile per promuovere il culto di Dio. Anche di notte, le sacre lodi risuonavano nelle chiese collegiate e nei chiostri. Ecco perché il ministero dell’altare e dei poveri era santo, ben ordinato e prezioso davanti al il Signore. La quinta, la tua pazienza nei digiuni, il cilicio, le veglie e gli altri rigori di penitenza che i Santi di quel tempo praticavano costantemente per amore di Gesù Cristo. Tra questi ci sono: San Vigilio, San Ruperto e i suoi dodici compagni, San Wilibaldo, San Wuniwelde, Santa Walburga, San Luigi, re; Ottone, vescovo di Bamberga; Lotario, imperatore; Ottone il Grande; Beato Nilo; Santo Stefano, primo re d’Ungheria; San Venceslao, principe di Boemia; e altri che, con il loro lavoro instancabile e la loro pazienza, convertirono i resti dei gentili alla fede cattolica. – Infine, la sesta raccomandazione: E le tue ultime opere più abbondanti delle prime. Queste parole lodano la perfezione e la santità che, nella quarta età, risplendevano costantemente nei santi: come Enrico e Cunegonda, San Wolfgango, San Bruno, San Romualdo, San Roberto, San Bernardo, San Francesco, San Domenico con le loro famiglie, San Ivo, Vescovo, e altri che, nella successione dei tempi, hanno illustrato la Chiesa: ciò che fu senza dubbio una benedizione ammirevole di Dio ed una prerogativa speciale concessa a quest’epoca. Per questo aggiunge: “E le tue opere di giustizia, fede, pietà, carità, ministero, lavoro, pazienza e santità. Le tue ultime opere sono più abbondanti delle prime.”. Questo è un modo di parlare con cui siamo abituati a lodare l’abbondanza dei frutti, la moltiplicazione dei beni, la perfezione, la fedeltà e la costanza delle virtù e delle azioni degli uomini.

II. Vers. 20. – Ma Io ho qualcosa da rimproverarti: tu permetti a Jezebel, quella donna che si dice profetessa, di insegnare e sedurre i miei servi, per indurli alla fornicazione e per far loro mangiare vivande sacrificate agli idoli. Mentre la Chiesa si riposava in mezzo a ricchezze ed onori, e si credeva sicura sotto il patrocinio di imperatori, re e principi pii, essa si rilassò, poco a poco, nella disciplina ecclesiastica, e si introdusse tra i Cristiani una certa mollezza effeminata, che è qui metaforicamente designata dalla donna. Allora la concupiscenza della carne, la concupiscenza degli occhi e l’orgoglio della vita aumentarono anche nei ministri della Chiesa. Perché questi, sicuri dell’indulgenza di un’epoca corrotta e credendosi in sicurezza, si abbandonarono alla voluttà e caddero nella presunzione, come succede in questi casi. Ora questi furono i vizi di Jezebel, la moglie di Achab, che la Scrittura chiama cortigiana. Ecco la concupiscenza della carne. In seguito questa donna si impossessò della vigna di Naboth e lo uccise: questa è la concupiscenza degli occhi. Poi si adornò il viso e gli occhi: ecco l’orgoglio della vita. Infine, vedendo che era al sicuro dei suoi peccati, divenne presuntuosa e fece uccidere i Profeti. Ella tese trappole a Elia per metterlo a morte, rifiutando di credere alla sua parola quando egli le predisse tutte le disgrazie della sua casa, disgrazie che lei stessa vide in parte avverarsi, come la carestia. Infatti, essa diceva in cuor suo: “Questi mali non cadranno su di noi“. Ora è così che noi, miserabili peccatori, immersi nelle cose di questo mondo, siamo soliti dormire nella morte del peccato, finché alla fine l’ira di Dio scoppia sulle nostre teste. Jezebel è così citata qui come esempio e paragone in questo senso: Voi permettete a poco a poco, non chiudendo accuratamente le cinque porte dei vostri sensi, attraverso le quali la morte entra in voi come attraverso le finestre. Voi permettete, non prestando alcuna attenzione alla disciplina ecclesiastica, non vigilando sui vostri subordinati, non visitandoli e prendendo poca o nessuna cura di loro. Voi permettete, non castigando debitamente. Voi permettete questo, non castigando debitamente il vizio, ma favorendolo con vile connivenza, nascondendolo con una falsa filosofia, e lasciando tutto impunito. Voi permettete, trascurando la correzione fraterna, occupandovi solo dei vostri interessi particolari, indulgenti con voi stessi, e senza preoccuparvi del bene pubblico. Voi permettete, concedendo facilmente dispense in ogni cosa, e rilassando i santi Canoni. Voi permettete, non illuminando gli altri con il buon esempio, e non istruendo i vostri inferiori nella sana parola di Dio. Voi permettete dicendo: “Queste cose sono permesse“, mentre non lo sono, e così incoraggiate la dissoluzione e i vizi. Fu così, che la convivenza delle donne, la lussuria ed il concubinaggio furono introdotti nella Chiesa. Fu anche attraverso la sovrabbondanza di ricchezze particolari che si propagò l’avarizia, che è idolatria. Inoltre, gli onori e le dignità a cui Imperatori, re e principi elevarono gli ecclesiastici, incoraggiarono l’orgoglio della vita. Infine, la libertà nel modo di vivere e nella disciplina faceva nascere l’ozio; e l’ozio rendeva la morale dissoluta. Voi permettete alla donna, cioè alla mollezza e al modo di vivere effeminato, di entrare nella vostra casa; difetto o un vizio generalmente designato dalla donna. Il testo aggiunge Jezebel, per significare dei vizi più speciali che furono gradualmente introdotti in quest’epoca della Chiesa, come la concupiscenza della carne, l’avarizia, l’orgoglio e la presunzione. Egli aggiunge anche: che si definisce una profetessa, che cioè, in mezzo a questa vita licenziosa, la Chiesa si è promessa sicurezza e ha detto: non vedrò più il rigore dei tiranni e degli eresiarchi, perché sono ricca e potente; e sono in pace: ho imperatori, re e principi pii e potenti che mi proteggono; ecco perché non vedrò più il lutto. Così profetizzò questa generazione corrotta.

III. Perciò seguono queste parole: “Tu hai permetti che Jezebel, ecc., insegni e seduca i miei servi con il cattivo esempio della lussuria, dell’avarizia e dell’orgoglio. Insegna e seduce, promettendo la sicurezza della pace e della felicità; non annunciando al popolo l’ira di Dio e il castigo che lo minaccia da lontano, a causa dei peccati della carne, dell’avidità, dell’irreligione e della dimenticanza di Dio: castigo imminente tuttavia che la Chiesa e noi tutti, miserabili come siamo, continuiamo a subire in questa quinta era, ed i cui i nostri denti sono allegati (Una sorta di proverbio che indica che i figli sono puniti per i peccati dei loro padri – Enciclopedia Teologica dell’Abbé Migne). Per indurli alla fornicazione e per far loro mangiare le vivande immolate agli idoli. La fornicazione fu portata ad un tale eccesso nella Chiesa greca, che essa giunse al punto di insegnare che essa è lecita. E questa funesta dottrina dei greci fu messa in pratica da molti membri della Chiesa latina, che non si vergognavano del commercio illecito che purtroppo si fa ancora ai nostri giorni con le concubine. E per far loro mangiare le vivande sacrificate agli idoli. Questo passaggio è da intendersi anche come quando San Paolo chiama idolatria l’avarizia. Infatti, i guadagni e i profitti vergognosi, le esazioni dei poveri, la simonia, i doni interessati e i servizi ingiustamente ricompensati, sono tutti abusi di cui sono colpevoli gli impiegati indegni delle loro cariche e gli uomini avidi; e tutti questi abusi sono metaforicamente designati da queste parole: E per far loro mangiare carni sacrificate agli idoli.

IV. Vers. 21. – Gli ho dato del tempo per fare penitenza. Queste parole designano la longanimità della misericordia di Dio, che ha aspettato la penitenza della Chiesa greca per secoli, finché finalmente, questa Chiesa, rifiutando di obbedire al Signore e non volendo tornare all’unità, perì sotto Maometto II, che uccise Costantino Paleologo e prese Costantinopoli, la capitale dell’Impero d’Oriente. È con la stessa pazienza che Dio ha anche aspettato pazientemente la penitenza della Chiesa latina nella quarta epoca, da Carlo Magno fino a Berengario il Sacramentario, che fu il prodromo del prossimo flagello di Dio. Dopo di lui, la Chiesa fu di nuovo tranquilla e libera dall’eresia, fino all’imperatore Enrico V, sotto il quale apparve Durando Vuldoch, di Marsiglia, nell’anno 1117. Poi le eresie si susseguirono l’una all’altra, come precursori del flagello di Dio. Queste eresie furono tuttavia distrutte per la bontà dei principi e la provvidenza di Dio; fin quando finalmente, sotto Carlo V e Leone X, nell’anno 1517, Lutero, quell’orribile eresiarca, il flagello della Chiesa latina, convocò tutte le eresie dell’inferno e le vomitò dalla sua bocca impura quasi sull’Europa intera, Gesù-Cristo infine dice: Io gli ho dato del tempo per fare penitenza, ed essa non vuole pentirsi della sua prostituzione. Queste parole annunciavano che la Chiesa latina avrebbe perseverato nei vizi indicati sopra, e che non avrebbe fatto alcun passo verso la penitenza anche di fronte alle sue calamità. Ed è per questo che anche il suo castigo le viene predetto al futuro assoluto; mentre nelle epoche precedenti, questo castigo era solo predetto in modo comminatorio. Infatti, l’Apostolo continua con queste parole:

V. Vers. 22. La colpirò con la malattia sul suo letto; cioè, la colpirò con la tribolazione sul suo letto di dolore e di lutto; sul suo letto di lebbra e di malattie spirituali, che sono le eresie; sul suo letto di pestilenza, di carestia e di guerre; sul suo letto di tenebre, di angoscia e di povertà; sul suo letto di lacrime e di desolazione; sul suo letto di oppressione, di amarezza e di cattività, da cui non potrà alzarsi; e sul suo letto di dannazione eterna. E quelli che commettono adulterio con lei, cooperando alle sue azioni malvagie, imitandola, consigliandola, tollerandola o non impedendola quando lo possono e lo devono. Tutti questi saranno nella più grande afflizione, nell’afflizione temporale, come abbiamo appena detto, e nell’afflizione eterna, oltre la quale non c’è niente di più grande. Ma Gesù Cristo, tuttavia, aggiunge: Se non fanno penitenza per le opere a cui partecipano personalmente. Perché spesso una punizione temporale qualunque ed una rovina che è assegnata ai regni ed alle epoche della Chiesa in modo generale e assoluto, come nel letto menzionato sopra, può essere evitato, almeno per quanto riguarda la condanna e la punizione del fuoco dell’inferno, se i membri della Chiesa, presi singolarmente, fanno una salutare e degna penitenza.

Vers. 23. – Colpirò a morte i suoi figli. Con queste parole, Gesù Cristo ci minaccia di guerre, sedizioni, carestie e pestilenze, castighi che la giustizia divina ha l’abitudine di mandare nella sua vendetta, colpendo la posterità ed i figli dei figli impenitenti. Questo è ciò che noi sfortunati sperimentiamo fin troppo bene in questa quinta età, nel vedere su tutta la superficie del pianeta, solo guerre, sedizioni e disgrazie, come vedremo più avanti. E tutte le chiese sapranno che io sono colui che sonda i reni e i cuori: i reni, cioè, Io sono colui che conosce gli effetti della concupiscenza e delle opere carnali. E i cuori; perché tutti i pensieri malvagi sono davanti ai miei occhi. Quanti uomini, in questa quarta epoca della Chiesa, hanno abusato della longanimità di Dio, che li aspettava alla penitenza, per riguardo ai meriti ed alle preghiere dei Santi loro contemporanei? E questi peccatori incalliti caddero profondamente nei loro peccati, dimenticando Dio, il loro Creatore, e si diedero sfrenatamente al libertinaggio, come se non ci fosse un Dio capace di sondare l’iniquità dei malvagi. Il Signore permise che nella quinta epoca della Chiesa sorgessero anche uomini carnali che, non contenti di portare alla luce una schiera di nuove sette, riprodussero e richiamarono dall’inferno tutte quelle che erano apparse prima. Ed è a queste malefiche sette che siamo debitori delle più terribili tribolazioni: guerre, sedizioni, massacri, carestie, pestilenze ed altri mali incalcolabili che hanno riversato sulla Chiesa. E Dio ha permesso che queste disgrazie costringessero i fedeli ad aprire finalmente gli occhi e a riconoscere che non ci sono mali in Israele che il Signore non abbia inflitto nella sua vendetta. Perciò è detto: “E tutte le chiese sapranno che io sono colui che scruta le reni e i cuori“. Cioè, Io sono colui che esamina e punisce la concupiscenza ed i pensieri perversi. E renderò a ciascuno di voi secondo le sue opere. La prima cosa che è stata detta sulla punizione temporale è che i giusti soffriranno insieme con i malvagi; cosa che Dio permette per far loro acquisire più meriti. E anche a volte i giusti sono più afflitti dalle tribolazioni degli empi, come dimostra l’esperienza quotidiana. – Ma Gesù Cristo parla in secondo luogo della pena eterna che attende solo gli empi e gli impenitenti; e questa è una differenza che deve essere la più grande consolazione per i giusti, ed un immenso terrore per i malvagi. Perciò aggiunge: E io renderò a ciascuno di voi secondo le sue opere e senza distinzione di persone. Egli infliggerà una punizione eterna a coloro che servono il mondo, la carne ed il diavolo; e darà la gloria eterna a coloro che vivono in Dio, osservando i suoi comandamenti.

VI. Vers. 24. Ma io dico a voi e agli altri che sono a Tiatira: A tutti quelli che non seguono questa dottrina e non conoscono le profondità di satana secondo il loro linguaggio, non imporrò altri pesi su di voi. Qui Cristo consola i suoi amici per il male che ha dovuto permettere per il bene della sua Chiesa. E i suoi amici erano molti, come abbiamo detto dei Santi di Dio, in questa quarta epoca. Ma io dico a voi, amici miei, e agli altri che sono a Tiatira; cioè dico a tutti coloro che si mostreranno ostia vivente del Padre mio, e che vivranno la vita spirituale, in questa quarta età della Chiesa; a tutti questi che non seguono questa dottrina, cioè a tutti coloro che temono il Signore e non si sono lasciati persuadere dalla presunzione del peccato. Questa presunzione o sicurezza è chiamata dottrina a causa della falsa credenza dei malvagi, che si persuadono volentieri nei loro peccati che non verrà loro alcun male. che nessun danno li colpirà, guardando solo alla felicità e alla durata dei tempi prosperi concessi agli empi dalla longanimità e dalla bontà di Dio. E chi …… non conosce le profondità di satana. La profondità di satana può essere considerata sotto tre aspetti, e cioè la concupiscenza della carne, la concupiscenza degli occhi e l’orgoglio della vita; perché è in questo che il demonio da osato tentare Cristo, l’eterna saggezza del Padre. Queste tentazioni sono chiamate profondità, a causa dell’elevazione e della difficoltà degli oggetti con cui satana tenta gli uomini; oggetti che egli presenta ai nostri deboli occhi, come se fossero gli unici beni possibili, facendoci dimenticare gli unici veri beni a venire. La parola sapere è presa qui metaforicamente per aderire, amare, essere legato, come si dice di per un uomo nella Scrittura, il conoscere sua moglie (cognoscere uxorem, ecc.). Ecco perché Gesù Cristo dice: E chi ….. non conosce le profondità di Satana; cioè, chi non ha commesso fornicazione con questi tre idoli di satana che Jezebel predica o insegna. Non metterò nessun altro peso su di te. Gesù Cristo parla qui, di sfuggita, della presunzione degli eretici e dei cattivi Cristiani, che sono soliti profetizzare e sedurre il popolo con le loro falsità, dicendo, per esempio: La chiesa non durerà per sempre; essa diventerà sterile, perirà e sarà distrutta. Ora, contrariamente a questa falsa credenza dei malvagi, una credenza che di solito fa sprofondare i buoni nella desolazione, a causa delle tante e lunghe calamità che li affliggono, Cristo conforta qui la sua Chiesa dicendo: Non ti darò un peso maggiore di quello che sta scritto nel libro dei Salmi, (LXXXVIII, 31 e segg.): Che se i suoi figli ripudiano la mia legge, ecc….. con una verga visiterò le loro iniquità, etc ….. Ma non ritirerò mai da lui la mia misericordia, etc. …

Vers. 25. – Ciononostante, conserva fedelmente ciò che hai finché io venga. Gesù Cristo qui esorta i buoni affinché, superando il male mescolato al bene, e disprezzando le calamità dei tempi, possano conservare la loro innocenza e perseverare nell’essere il buon seme che il Padre celeste ha sempre riservato per sé, anche in mezzo alla zizzania. L’innocenza dei costumi è soprattutto necessaria per i prelati della Chiesa; e quando le disgrazie temporali ci minacciano, e la prevaricazione è al suo colmo, essi devono prudentemente superare il male introdotto nel bene, e sforzarsi di mantenere la loro coscienza e quella del loro gregge nella massima purezza. Possiamo anche collegare perfettamente a questo passaggio la parabola della zizzania, che si deve lasciar sussistere fino alla mietitura. (Matth. XII). Infatti, è detto: Tuttavia conservate fedelmente ciò che voi avete, fino a che Io venga; vale a dire: aspettate fino a che Io venga a distruggere gli empi, a punire i malvagi e a scatenare la mia ira nei flagelli che ho preparato a suo tempo per il rinnovamento e l’emendamento della mia Chiesa. Allo stesso modo, … finché non verrò, nel giudizio universale, a rendere a ciascuno secondo le sue opere. Finché non verrò a restaurare la Chiesa con una morale santa e pura.

Vers.. 26. – Colui che sarà vittorioso e conserverà le mie Opere fino alla fine. Con queste parole Egli esorta alla costanza e alla longanimità; virtù che sono essenzialmente necessarie per la Chiesa Cattolica in ogni tempo. Ma queste due virtù saranno particolarmente necessarie nella quinta età, a causa della durata dei mali che sopporterà e a causa del potere, della malizia e dell’insolenza degli eretici e degli altri falsi Cristiani che la affliggeranno. Da qui queste parole: Colui che sarà vittorioso e conserverà le mie opere fino alla fine. È per disegno che aggiunge le mie opere, perché, come in ogni epoca, certi misteri erano di più particolarmente combattuti; così, nella quinta epoca, le sue opere sulla libertà umana, la grazia e la predestinazione saranno attaccate in modo particolare. Le mie opere, il concorso della volontà umana, i sacramenti dell’Eucaristia e della penitenza, i precetti del decalogo, il celibato e tutto ciò che è onesto, ecc. Le mie opere; cioè i miracoli, la canonizzazione dei Santi, ecc. ecc. che sono tutte opere di Cristo; opere che Egli indica a tutte le persone buone che vivranno nella quinta età della Chiesa, per proteggerle e per esortarle a conservare queste opere.

Vers. 27. – A colui che sarà vittorioso e conserverà le mie opere fino alla fine, gli darò potere sulle nazioni. Egli le governerà con uno scettro di ferro, ed esse saranno frantumate come un vaso d’argilla.

Vers. 28. – Secondo quello che ho ricevuto dal Padre mio. A queste parole, per confermare i suoi servi nella pazienza e a sostegno delle calamità che ci predice in anticipo, segue una grandissima consolazione spirituale ed una ricca ricompensa nella conversione dei Gentili e degli eretici alla vera fede. Questa conversione avrà luogo nella sesta età della Chiesa. Perché la quinta è un’epoca di afflizione, di punizione e defezione, come vedremo più avanti. Per questo dice: gli darò potere sulle nazioni; potere spirituale ai prelati nell’unità della fede, e potere temporale ai re nella monarchia e nell’unità dei popoli. Ed esse saranno frantumate come un vaso d’argilla; dalla durezza dei loro cuori si convertiranno al pastore delle loro anime. E anche le repubbliche che hanno disertato saranno dissolte, e i ribelli mancherà la potenza. Questo potere sarà infranto dal mio potentissimo Unto, che manderò, etc. Tutto questo è è spiegato nel seguito in modo lungo e dettagliato. Secondo quello che ho ricevuto dal Padre mio. Gesù Cristo aggiunge queste parole per la consolazione dei suoi servi; la più grande consolazione che ci possa essere. (Filippo, II, 8): « Gesù Cristo ha umiliato se stesso, facendosi obbediente fino alla morte, fino alla morte di croce. Per questo Dio lo ha esaltato e gli ha dato un nome che è al di sopra di ogni nome, affinché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi in cielo, in terra e negli inferi, ed ogni lingua confessi che il Signore Gesù Cristo è nella gloria del Padre suo. » Secondo quello che ho ricevuto dal Padre mio. Perché con la sua pazienza Gesù Cristo ha vinto tutte le cose; ha sottomesso tutte le creature; e con le gloriose battaglie dei martiri, ha frantumato tutte le nazioni come un vile e spregevole vaso d’argilla, etc. E Io gli darò la stella del mattino. Qui promette alla Chiesa Cattolica una nuova luce, che apparirà nella sesta epoca, e che è designata dalla stella del mattino. Perché la stella del mattino significa che la notte è passata ed il giorno è arrivato. E Io gli darò la stella del mattino, cioè la luce della vera fede, la fede cattolica, che brillerà con tutto il suo splendore, deve iniziare nella sesta età della Chiesa, dopo che le tenebre di tutte le eresie saranno state consegnate all’inferno. E Io gli darò la stella del mattino, cioè, dopo le tenebre di questa vita, darò a ciascuno, in particolare, la luce celeste, nella quale contemplerà la verità eterna senza fine.

Vers. 29. Chi ha orecchio ascolti ciò che lo Spirito dice alle chiese. Questo passaggio è spiegato come sopra.

L’APOCALISSE INTERPRETATA DAL BEATO B. HOLZHAUSER (VI)

FESTA DEL PREZIOSISSIMO SANGUE DI N. S. GESÙ CRISTO (2021)

FESTA DEL PREZIOSISSIMO SANGUE DI N. S. GESÙ CRISTO (2021)

Doppio di 1^ classe. • Paramenti rossi.

La liturgia, ammirabile riassunto della storia della Chiesa, ci ricorda ogni anno che in questo giorno fu vinta, nel 1849, la Rivoluzione che aveva cacciato il Papa da  Roma. A perpetuare il ricordo di questo trionfo e mostrare che era dovuto ai meriti del Salvatore, Pio IX, allora rifugiato a Gaeta, istituì la festa del Preziosissimo Sangue. Essa ci ricorda tutte le circostanze in cui fu versato. Questo sangue adorabile il Cuore di Gesù lo ha fatto circolare nelle sue membra; perciò, come nella festa del Sacro Cuore, anche oggi Vangelo ci fa assistere al colpo di lancia che trafisse il costato del divino Crocifisso e ne fece colare sangue e acqua. Circondiamo di omaggi il Sangue prezioso del nostro Redentore, che il sacerdote offre a Dio sull’altare. – Il gran Sacerdote, attraversando il Tempio, entrava una volta all’anno nel Santo dei Santi col sangue delle incoscienti e forzate vittime, immolate sull’altare degli olocausti. Questo sangue dava soltanto una purezza legale ed esteriore. Il Cristo è salito fino al vero Santo dei Santi, che è il cielo ed ha presentato al Padre il suo sangue, spontaneamente e liberamente versato sulla croce. Gesù è dunque il mediatore del Nuovo Testamento, e il suo sangue espia i peccati dapprima degli Israeliti, e poi di tutti gli uomini.

Incipit

In nómine Patris, ✠ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Apoc V:9-10
Redemísti nos,Dómine, in sánguine tuo, ex omni tribu et lingua et pópulo et natióne: et fecísti nos Deo nostro regnum.

[Ci hai redento, Signore, col tuo sangue, da ogni tribù e lingua e popolo e nazione: hai fatto di noi il regno per il nostro Dio.]

Ps LXXXVIII :2
Misericórdias Dómini in ætérnum cantábo: in generatiónem et generatiónem annuntiábo veritátem tuam in ore meo.

[L’amore del Signore per sempre io canterò con la mia bocca: la tua fedeltà io voglio mostrare di generazione in generazione.]


Redemísti nos,Dómine, in sánguine tuo, ex omni tribu et lingua et pópulo et natióne: et fecísti nos Deo nostro regnum.

[Ci hai redento, Signore, col tuo sangue, da ogni tribù e lingua e popolo e nazione: hai fatto di noi il regno per il nostro Dio.]

Oratio

Orémus.
Omnípotens sempitérne Deus, qui unigénitum Fílium tuum mundi Redemptórem constituísti, ac ejus Sánguine placári voluísti: concéde, quǽsumus, salútis nostræ prétium sollémni cultu ita venerári, atque a præséntis vitæ malis ejus virtúte deféndi in terris; ut fructu perpétuo lætémur in cœlis.

[O Dio onnipotente ed eterno, che hai costituito redentore del mondo il tuo unico Figlio, e hai voluto essere placato dal suo sangue, concedi a noi che veneriamo con solenne culto il prezzo della nostra salvezza, di essere liberati per la sua potenza dai mali della vita presente, per godere in cielo del suo premio eterno.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Hebrǽos.
Hebr IX: 11-15
Fratres: Christus assístens Póntifex futurórum bonórum, per ámplius et perféctius tabernáculum non manufáctum, id est, non hujus creatiónis: neque per sánguinem hircórum aut vitulórum, sed per próprium sánguinem introívit semel in Sancta, ætérna redemptióne invénta. Si enim sanguis hircórum et taurórum et cinis vítulæ aspérsus inquinátos sanctíficat ad emundatiónem carnis: quanto magis sanguis Christi, qui per Spíritum Sanctum semetípsum óbtulit immaculátum Deo, emundábit consciéntiam nostram ab opéribus mórtuis, ad serviéndum Deo vivénti? Et ídeo novi Testaménti mediátor est: ut, morte intercedénte, in redemptiónem earum prævaricatiónum, quæ erant sub prióri Testaménto, repromissiónem accípiant, qui vocáti sunt ætérnæ hereditátis, in Christo Jesu, Dómino nostro.

(Fratelli, quando Cristo è venuto come sommo sacerdote dei beni futuri, attraversando una tenda più grande e più perfetta, che non è opera d’uomo – cioè non di questo mondo creato – è entrato una volta per sempre nel santuario: non con il sangue di capri e di vitelli. ma con il proprio sangue, avendoci acquistato una redenzione eterna. Se infatti il sangue di capri e tori, e le ceneri di una giovenca, sparse sopra coloro che sono immondi, li santifica, procurando loro una purificazione della carne; quanto più il sangue di Cristo, che per mezzo di Spirito Santo si offrì senza macchia a Dio, purificherà la nostra coscienza dalle opere morte, per servire al Dio vivente? Ed è per questo che egli è mediatore di una nuova alleanza: affinché, essendo intervenuta la sua morte a riscatto delle trasgressioni commesse sotto l’antica alleanza, coloro che sono stati chiamati ricevano l’eredità eterna, oggetto della promessa, in Cristo Gesù nostro Signore.]

Graduale

1 Joann 5:6; 5:7-8
Hic est, qui venit per aquam et sánguinem, Jesus Christus: non in aqua solum, sed in aqua et sánguine.

[Questo è colui che è venuto con acqua e con sangue: Cristo Gesù; non con acqua soltanto, ma con acqua e con sangue.]

1 Joann 5: 9
V. Tres sunt, qui testimónium dant in cœlo: Pater, Verbum et Spíritus Sanctus; et hi tres unum sunt. Et tres sunt, qui testimónium dant in terra: Spíritus, aqua et sanguis: et hi tres unum sunt. Allelúja, allelúja.

[V. In cielo, tre sono i testimoni: il Padre, il Verbo, lo Spirito Santo; e i tre sono uno. In terra, tre sono i testimoni: lo Spirito, l’acqua, il sangue; e i tre sono uno. Alleluia, alleluia]

1 Joann V: 9
V. Si testimónium hóminum accípimus, testimónium Dei majus est. Allelúja

[V. Se accettiamo i testimoni umani, Dio è testimonio più grande. Alleluia.]

Evangelium

Sequéntia +︎ sancti Evangélii secúndum Joánnem.
Joann XIX: 30-35
In illo témpore: Cum accepísset Jesus acétum, dixit: Consummátum est. Et inclináto cápite trádidit spíritum. Judæi ergo – quóniam Parascéve erat -, ut non remanérent in cruce córpora sábbato – erat enim magnus dies ille sábbati -, rogavérunt Pilátum, ut frangeréntur eórum crura et tolleréntur. Venérunt ergo mílites: et primi quidem fregérunt crura et altérius, qui crucifíxus est cum eo. Ad Jesum autem cum venissent, ut vidérunt eum jam mórtuum, non fregérunt ejus crura, sed unus mílitum láncea latus ejus apéruit, et contínuo exívit sanguis et aqua. Et qui vidit, testimónium perhíbuit; et verum est testimónium ejus.

[In quel tempo, quand’ebbe preso l’aceto, Gesù disse: «Tutto è compiuto!». Poi, chinato il capo, rese lo spirito. Allora i Giudei, essendo la Parascève, perché i corpi non rimanessero sulla croce durante il sabato – era, infatti, un gran giorno quel sabato – chiesero a Pilato che fossero spezzate loro le gambe e portati via. Andarono, dunque, i soldati e spezzarono le gambe al primo, e anche all’altro che era stato crocifisso con lui. Quando vennero a Gesù, vedendo che era già morto, non gli spezzarono le gambe: ma uno dei soldati gli trafisse con la lancia il costato, e subito ne uscì sangue ed acqua. Colui che ha visto ne rende testimonianza, e la sua testimonianza è veritiera.]

OMELIA

[A. Rey: Il preziosissimo Sangue – Pia Unione del Prez. Sangue, Roma, 1949]

Discorso II

L’uomo deve tutto a Dio: principio, essere, doni, corpo, anima, vita naturale, elevazione allo stato soprannaturale. Questa gratuita erogazione di generosi doni non ha che uno scopo per Dio: far vivere l’uomo del suo amore, sempre. Fatalmente interviene la colpa e chi era stato creato ad immagine e somiglianza del Signore, n’è allontanato per sempre, condannato in eterno alla maledizione. Ma il Verbo, spinto da quello stesso amore che mosse da prima queste cose belle, scende ad incarnarsi, ad effondere il suo sangue per la redenzione umana, e l’uomo è riportato in grembo al suo Dio: eratis longe; facti estis prope în Sanguine Agni (Eph. II, 13). Quel sangue fu detto prezioso da S. Pietro: non corruptibilibus auro vel argento redempti estis…, sed pretioso Sanguine tamquam Agni immaculati Christi (1 Piet. I, 18)!Non è pileggio da picciola barca (parad, 23; 67) addentrarci in questa verità confortante che rappresenta l’abisso insondabile della misericordia divina. La mente s’arresta di fronte a tanto sole; il cuore trasalisce per la gioia, ma non è capace da solo ad intender l’arcano: incomprehensibilia judicia… eius, et investigabiles viæ eius (Rom XI, 33)! Pure, l’incomprensibile. ci è reso chiaro dalla divina Scrittura, e le vie di Dio ci appaiono piane: per correre alla scoperta del vero. Poiché due luci la investono, contenute in queste semplici parole: Sangue prezioso.

I. – Breve preludio sul sangue.

 Cos’è il sangue? Fisiologicamente è un umore, costituito da un tessuto di sostanza liquida intercellulare o di cellule bianche, rosse e di piastrine; partendo dal cuore, con una doppia circolazione, attraverso arterie e vene, al cuore ritorna e tien salda la vita. Se il sangue si arresta il cuor più non pulsa. È la morte. Il Sangue è vita, forza, vigore, nerbo, salute, e tien legato al corpo lo spirito immortale. Donare il sangue è dare la vita. – Preziosa diciamo quella cosa che è di molto prezzo, di grande valore: una pietra Fara, una gemma, l’oro, l’argento, il platino; che ci è cara per la sua bellezza e rarità: un’opera d’arte, un poema, un palazzo. Preziosa la diciamo ancora pel vantaggio che ne deriva, per l’utile che ci dà: una eredità, un donativo regale. Or, qual cosa di maggior prezzo è il valore del sangue che è vita? Qual cosa più rara di un sangue che aderisce profondamente all’anima, creatura bella di Dio, sì da farlo commuovere? Qual cosa  più bella del sangue che rivela quella mirabile opera d’arte che è il carattere dell’uomo? E quali stupendi vantaggi non derivano da un sangue offerto, donato, sborsato dall’uomo spinto dall’amore? Quale utile per quelli pei quali il sangue si effonde? Ed ecco al di sopra del misero sangue umano il Sangue di un Uomo-Dio, che ha prezzo e valore incalcolabile, perché Sangue divino; che è caro per la sua rarità e bellezza, essendo Sangue di grazia; che reca all’uomo il supremo dei vantaggi, quello di farlo consanguineo, partecipe della sua vitalità supernaturale, della sua gloria: Sangue da adorarsi, quindi: da apprezzarsi, da amarsi.

II.

Il Sangue dei martiri

1. – Per apprezzare in tutta l’ampiezza, il valore del Sangue di Gesù è necessario porlo a fianco del sangue dei martiri. Qualche anno fa un cattolico fervente, sul piazzale di S. Marta, prima di accompagnare i giovani delle Associazioni Cattoliche in visita al Papa, avvicinava giustamente il sangue dei martiri del Circo di Nerone al Sangue prezioso, giacché era questo che rendeva l’altro potente e glorioso. Il martire è un testimonio che per la verità giunge fino a farsi sgozzare. Il suo sangue sigilla tutta una vita di bene e fa splendere con più evidenza la causa per cui è versato. La scienza ha i suoi martiri: medici che per lenire gli strazi dell’umanità studiano l’applicazione dei raggi ultravioletti e ne restano uccisi; aeronauti che per togliere i veli misteriosi dei Poli, soccombono… L’amor patrio ha un martirologio che è patrimonio sacro per tutti i popoli: Colletta, Pellico, Filzi e Battisti… son nomi cari ad ogni cuore italiano! Ma è la Fede soprattutto che fa del martirio la più fulgida, significativa, gloriosa testimonianza, perché all’infinito si distanzia, per dignità, da ogni altra idea, da ogni altra potente passione. Essa è al disopra della scienza e della patria!

2.) Il valore del sangue si desume dalla persona che lo versa.

Percorrete i cuniculi, gli ambulacri delle Catacombe. Sui loculi contrassegnati da simboli cristiani, c’è dei nomi, semplici nomi: Agape, Acilio Giabrione, Agnese, Cecilia. Accanto al loculo che racchiude i resti mortali di un senatore, di una donna aristocratica c’è quello di un oscuro bottaio, di un fabbricante di balocchi. La morte tutti ha uguagliato: in ciò il sangue di Couvier non si distingue da quello di Luigi XVI e di Maria Antonietta. Ma quei nomi contrassegnano una vita, quei corpi rappresentano tesori non tanto perché di Cristiani, ma perché di martiri. Già quei corpi son santi, unti un giorno del crisma del Cristo nel battesimo, incorporati a Cristo nella comunione del suo corpo, del suo sangue, templi dello Spirito Santo. Non per altro Paolo chiamò Santi i fratelli nel Cristo; vedeva in essi la grazia santificante. E Damaso nella epigrafe della celeberrima martire romana Agnese, dice santi i suoi genitori: sanctos… retulisse parentes. E S. Pietro giustifica l’orgoglio gens sancta, regale sacerdotium (1 Piet. II, 9)! Ma un alone di gloria circonda quelle ossa che pullulant de loco suo (Eccl. XLVI, 14), per la morte che la Scrittura chiama appunto preziosa: pretiosa in conspectu Domini mors sanctorum éjus (Ps. CXV, 15), per la morte non nobilitata solo dal Cristo con l’elargizione della suprema grazia, la perseveranza finale, ma resa gloriosa per l’effusione del sangue, degna risposta al Cristo che per tutti ha effuso il suo, in supremo amore! Egli dinanzi ai presidi li rese gagliardi e diede alla loro lingua le parole per confondere i sofismi, le minacce, le blandizie. Egli rese potente la loro volontà sino a farli esclamare; frangar, non flectar! Egli col suo sangue, col valore del suo sacrificio, ha impreziosito il sangue dei martiri. « Che bisogno ha Egli di carne, rifatta ora senza macchia. Che bisogno ha Egli di un cuore che deve sanguinare e soffrire, scegliendo la parte migliore? » domandava a se stessa l’esule poetessa italiana. La risposta è data dai martiri: prese umana carne, umano cuore perché dal suo sangue, dal suo cuore e dalle sue sofferenze gli uomini potessero avere la forza divina di patire e dare per lui il glorioso sangue! Eccoli salgono al cielo agitando corone e palme, seguendo «i fiori dei martiri e le prime gemme della Chiesa nascente in mezzo al verno dell’incredulità e consumate dal gelo della persecuzione »: i Santi Innocenti, dei quali sì bellamente canta Prudenzio:  Il Redentor sue vittime/ prima i scelse: voi/della sua nuova legge/e de’ martiri suoi/ siete tenera gregge; – e in olacausto offerti/sull’are insanguinate/colle palme scherzate/e con i serti! (Prudenzio: 32 e 88 strofa dell’inno famoso: Salvete fiores martyrum (Cfr. Fest. SS. Innoc.) Trad. di L. Venturi — Cfr. Apoc. VI; 9). – Gli angeli si chiedono: Qui sunt hi et unde venerunt? Ed il Padre afferma deciso: Hi venerunt de magna tribulatione et laverunt stolas suas in Sanguine Agni (Apoc. VII; 14). In quel loro martirio c’è il martirio stesso del Cristo; in quel Sangue lo stesso Sangue del Cristo ch’è il Rex gloriosus martyrum (Br. Rom. Comm. pl. Mart. Hymn. ad Laud.). E l’uomo è sublimato sino al soglio di Dio, dopo la vittoria conseguita sul dragone pel Sangue dell’Agnello: hi vicerunt draconem propter sanguinem Agni! Laverunt stolas suas in Sanguine Agni (Ap. XII, 11)! Ideo, coronati, triumphant (Cfr. Sap. 4; 2.)! Ma il valore del Sangue si desume ancora dalla causa per cui il martire lo sparge. Il sangue del martire cristiano acquista un valore più alto d’ogni martire, in quanto è sparso per una idealità suprema: la Fede: confessi sunt Christum! È l’apoteosi della virilità cristiana quel sangue. Quel sangue è sparso per un amore supremo, quello per Dio. L’olacausto del martire è il riconoscimento pieno dei diritti di Dio sulle creature, la distruzione di tutto l’essere per l’atto sublime del sacrificio; sicchè Ireneo poteva dir con ragione che il martire diventa altare e sacrificio insieme. Ecco perché sotto la pietra sacra dell’altare ci sono le ossa dei martiri, ed i Greci nei Dittici ne esaltano la memoria che in benectione est (Cfr. Eccl. IV; 7)! I malvagi che li percuotono non sanno immaginare in essi che insania, vano furore, fanatismo; ma debbon poi confessare che s’allontanarono dalla via della verità: locuti sunt falsa (Ps. LVII, 4)! La Scrittura raccoglie il loro straziante lamento: Nos insensati! vitam illorum æstimabamus insaniam et exitum illorum sine honore! Ecce quomodo computati sunt inter filios Dei, et inter sanctos: sors illorum est (Sap. V., 4)!Si spiega così il culto dei martiri nelle Catacombe. Pie mani ne raccolgono i resti, li ravvolgono in preziose stoffe, li adagiano nei loculi; accanto ad essi pongono l’ampolla del sangue; li chiudono con una lapide che, dopo il loro nome porta l’invocazione, la preghiera: Vivas in Deo… Ora pro nobis (Man. Arch. Marucchi, Armellini ete., passim.)! Negli arcosoli, dominati dalla ieratica figura di una orante con le braccia stese e gli occhi grandi ripieni di Dio, son deposti sotto l’altare dell’Agnello i martiri che, come nella visione apocalittica, gridano al sommo Martire: Usquequo, Domine, non iudicas et… non vindicas sanguinem nostrum (Ap. VI, 10)! L’ultimo atto della loro vita non è segnato colla macabra parola che rattrista; fine, morte. La Chiesa lo definisce dies nataliîs, natalicium martyris (Cfr. Martyrol. Roman.). Presso quelle membra anche Damaso Papa vorrebbe sua condere membra, ma teme di vexare con la sua indegnità le loro ossa gloriose (Cfr. Lessico Ecclesiastico, vol. II, pag. 952 seg. Milano, Vallardi, 1902 Iscrizioni Damasiane). Ecco perché i Cristiani, come il gran Papa, cantore delle gesta dei martiri, amano, desiderano ardentemente seguirli nella morte cruenta, per amor di Cristo, come la piccola Agnese che si slaccia dal grembo della nutrice per presentarsi al tiranno, sfidandone la rabbia e dichiarandosi pronta alla morte pel suo Sposo; esser sepolti ov’essi son sepolti; e – pegno di protezione altissima – conservano gelosamente sul petto, vicino al Vangelo, i lini inzuppati nel sangue spicciato dalle loro membra percosse, colato sulla terra santificata! – Pieghiamoci, in riverenza, di fronte a quei nomi, a quelle vite, a queste ossa, a questo sangue! Baciamo quelle tombe che sono are, quelle lapidi tepide ancora del sangue versato per Cristo! Veneriamo quei santi dalla purpurea aureola; preghiamo di esser degni del loro sacrificio, della loro testimonianza!

III.

Il Sangue di Gesù

Ma cos’è questo venerando sangue di fronte a quello versato da Gesù? Chi è Gesù? La poesia ne ha esaltato sembiante e nome. « Un agnello è innocente e mite sulla morbida erbosa zolla; e Gesù Cristo, l’Immacolato, è l’Agnello di Dio. Egli solo è immacolato sulle ginocchia di sua Madre, bianco e rosso, ahimè !.. presto sarà sacrificato per voi e per me! Eppure agnello non è parola abbastanza soave, né  è giglio nome abbastanza puro, e un altro nome ha scosso i nostri cuori, avvivandone la fiamma: Gesù! Questo nome è musica e melodia; il cuore col cuore in armonia, cantiamo ed adoriamo »! Qual è il tuo nome? – gli chiede il Thompson – Oh! Mostramelo ». E Gesù risponde: « Il mio nome non potete saperlo: È un avanzarsi di bandiere, uno sfolgorare di spade; ma i miei titoli che son grandi non sono essi nel mio costato? – Re dei Re – son le parole – Signore dei Signori (Francis Thompson, in Poems: The veteran of heaven, I. pag. 149) »! Storicamente è il più saggio dei sapienti; L’aquila di Stagira non ha ali sufficienti per raggiungerlo nel volo: la Sua sapienza è infinita, in Lui sunt omnes thesauri sapientiæ et scientiæ (Lit. del S. Cuore. – Coloss. II; 8) – Il più eccelso dei filosofi, Socrate impallidisce dinanzi a Colui che investe della sua luce tutti i problemi dello spirito, scoprendone le meraviglie: Dante te illis, omnia implebuntur bonitate (Ps, CIII, 28) – I più grandi dei legislatori, Numa Pompilio, Licurgo, Solone paion pigmei nelle loro leggi che sovente giustificano anche il delitto, come la servitù, l’uccisione dei vecchi e dei bimbi malati, il divorzio! Egli stesso è la legge immacolata che india le anime: Lex tua immaculata, convertens animas (Ps, XVIII, 8)! Poeti, oratori, guerrieri non gli stanno a petto. Il Vangelo offusca Omero e l’accieca con la sua grandiosa semplicità. Demostene e Cicerone diventan pedestri dinanzi al Sermone della montagna. Cesare ed Alessandro si arrestano nelle loro inutili stragi di fronte ad una forza che pretende solo il suo sangue per salvare l’umanità: l’amore che ogni cosa vince, Omnia vincit amor (Virgilio, Eglog. 10; 69)! Ma Gesù, vivo e vero nella sua incompresa grandezza, balza dal Vangelo. – Io ed il Padre siamo una cosa sola (Jo. X, 30)! Io sono nel Padre, Egli è in me! Chi vede me, vede mio Padre (ibi XIV, 9)! dice a Filippo. Io son la via, la verità, la vita (ibi, XIV, 6). Son l’alfa e l’omega (Apoc. 1; 8.). Io son la luce del mondo (Joan VIII, 12). Io la fonte che disseta perché contiene le acque che risalgono alla sorgente della eterna vita (ibi, IV, 14).- Io sono il pane di vita disceso dal cielo (ivi VI. 35). Ecco le sue affermazioni apodittiche. Questi è il mio Figlio diletto nel quale ho poste le mie compiacenze!dice Dio Padre sul Giordano e sul Tabor ( Marc.1; 11 — Lc. III. 22). Tu sei Cristo, il Figlio del Dio vivente (Mt. XVI, 16)! testimonia San Pietro. – Ecco l’Agnello di Dio, ecco colui che toglie il peccato del mondo (Joan. I, 29)! – proclama Giovanni dinanzi alle turbe. – Avete crocifisso il Re della gloria; voi avete ucciso Dio! dichiarano Pietro e Paolo a Giudei indurati. Gli angeli stessi, vedendolo salire, possente, col segno della gloria incoronato si chiedono: Quis est iste qui venit de Edom, tinctis vestibus de Bosra iste formosus în stola sua (Is. LXIII, 1)? E si senton rispondere: – Egli è il Re della gloria che sale con le vesti bagnate di sangue (Is.)! – E Cristo entra nella gloria del Padre! In Lui – sappiamo dalla Fede – la divina natura è uguale a quella del Padre e dello Spirito Santo, ma la sua Persona, quella del Verbo, è distinta da quelle del Padre e del Paraclito. QuestoVerbum, genitum non factum (Credo), consustanziale al Padre, Dio vero da Dio vero, eterno, ante omnia sæcula genitus (Symb. Atan.), prende, nel tempo, la umana natura nel seno immacolato di Maria; l’assume nella sua Persona e diviene uomo senza lasciare di essere Dio; verus homo ex substantia matris in sæcula natus (c. s.). Questa incarnazione non è una conversione della divinità nella carne, ma assunzione della umanità in Dio: non conversione divinitatis in carnem, sed assumptionehumanitatis in Deùm (Can. Miss. Praef, Nativ. – Symb. Athan ). È il Verbum caro factum (Joan, I, 14).In Cristo. due nature dunque: la divina e l’umana, ma unica la Persona. Or le azioni, non son della natura ma del supposito,della Persona: actiones sunt suppositorum (S. Th. III, q 19, ad 1). E poiché in Cristo la Persona è divina, divine sono le sue azioni. Sicchè quel Sangue purissimo natus ex Maria virgine (Sym. Ap.), è divino, perciò preziosissimo. Quando si effonde sul Calvario ha un valore divino, perciò preziosissimo.Quando si riversa sull’umanità per riscattarla e purificarla, la sua azione, la sua efficacia son divine, perciò Sangue preziosissimo!Sono adunque preziosissime anche le ragioni per cui Egli lo versa.

a) Ripara infatti l’onore del Padre offeso dall’uomo, con l’onore a Lui reso con l’effusione del sangue: obtulit semetipsum Deo (Heb. IX, 14), e pacifica l’uomo con Dio: pacificans per sanguinem crucis ejus sive quæ in cœlis sive quæ in terris sunt (Coloss. 1, 20). Ma una tale riparazione, una tal pacificazione sono di valore infinito.

b) Redime l’uomo peccatore..- Il Sangue ha una sua peculiare virtù redentrice. Quello di Virginia libera Roma dai Tarquini, quello di Lucrezia l’affranca dai Decemviri, quello delle rivoluzioni dà un nuovo orientamento alla storia. Ma il Sangue di Cristo ha dato l’assetto definitivo all’uomo, sciogliendolo dai vincoli del servaggio, liberandolo dalla pena eterna: redemit de domo servitutis (Deut. 13,5- Galat. 3, 13 – Tit. 2, 14)! Quel Sangue è sborsato per testimoniare la verità: ad hoc veni in mundum ut perhibeam testimonium veritati (Joan XVIII, 37). E la verità è questa: il mondo deve riconoscere Iddio per suo Padre, ed amare il Figlio che l’ha redento: hæc est vita æterna ut cognoscat mundus Patrem et quem misit, Jesum Christum (1 Joan, 5, 6.). L’Agnello di Dio s’immola per affermar questa verità che ha bandito solennemente dinanzi al popolo, al sinedrio, ai tribunali; ed il sangue e l’acqua che escono dal suo cuore, sulla croce, ne sigillano l’infinito amore: hic est qui venit per aquam et sanguinem; non in aqua solum sed în aqua et sanguine (ibi, 18, 3).

Ecco il Sangue preziossimo!

Or, se a Dio si deve l’adorazione ed a tutto ciò che a Dio appartiene come sua essenza e natura, il Sangue preziosissimo, che al Verbo fatto carne appartiene come sua essenza e natura, è degno della nostra adorazione: Dignus est Agnus accipere honorem, gloriam et benedictionem, quia occisus est et redemit nos in Sanguine suo ( Apoc. V, 12)!E noi dobbiamo, tremanti, piegare i ginocchi dinanzi al prezzo di tanto valore, e cantar con la Chiesa al Re dei Martiri: Christum Dei Filium, qui suo nos redemit sanguine, venite, adoremus (Brev. Rom.)!

Esempio:

L’illustre storico Cesare Baronio dell’Oratorio, discepolo insigne di San Filippo Neri, nei suoi Annali, all’anno 446 riporta questo mirabile fatto. In Costantinopoli, un giudeo, di notte, preso un Crocifisso ch’era avanti la casa di un Cristiano l’immagine sfregiò sul volto, e da questa spiccò tepido sangue. Atterrito il sacrilego corse a gittarla entro un pozzo vicino, tornandosene poi in fretta, a casa, ove raccontò tutto alla moglie. Il giorno dopo, la gente che andava ad attingere l’acqua vide con grande sorpresa che essa era tutta rosseggiante di sangue. Giunta la inusitata novella all’orecchio del Prefetto della città, e sospettando questi giustamente che entro il pozzo vi fossero uomini trucidati, ordinò che fosse vuotato. E vuotato che fu, ecco ritrovato il Crocifisso, che ancor versava sangue dalla ferita infertagli. L’imperatore, pur di conoscere la verità dell’accaduto; promise il condono d’ogni pena al reo, purché da se stesso si costituisse. Prima la moglie, poi il giudeo si presentarono lagrimanti, e confessarono schiettamente il delitto. Ma quel sangue gridò misericordia, non vendetta. Compunti a tanto miracolo, chiesero il battesimo ed abbracciarono la fede di Gesù Cristo, divenendo così, da nemici, suoi consanguinei! Il pozzo, essendo poco distante da Santa Sofia, vi fu raccolto con l’erezione di una nuova Cappella che si chiamò del Pozzo santo. Su questo fu posto un coperchio d’oro, sormontato dal prodigioso Crocifisso. Ancora una volta Gesù aveva mostrato di qual valore infinito fosse il suo Sangue! E come Egli è disposto, anche dopo il Calvario, a versarne, per nostro amore, dell’altro ancora! Anima mia, vedi quanto tu vali? Pretium sanguinis es (Mat. XXVII, 6)! Fedeli, non con oro od argento corruttibili voi siete stati redenti, ma col Sangue del Figlio di Dio, col suo Sangue preziosissimo: non corruptibilibus auro vel argento redempti estis, sed pretioso sanguine quasi Agni immaculati Christi (1 Piet. I, 18)!

Preghiera

O sangue che i martiri esaltano nel Cielo perché il loro prezioso divenne per la tua preziosità, pel tuo valore; o Sangue che fosti per essi forza e resistenza, gaudio gloria, Sangue di un Dio, perché unito alla Persona santissima del Verbo, Sangue che fosti versato per amore supremo onde placare il Padre, redimere il peccatore, render testimonianza alla verità, sii tu benedetto ed adorato! Ai tuoi piedi non Giuda, che lo sprezza, ma Giovanni che se ne abbevera, nei figli che riconoscono la preziosità che ogni anima ha reso preziosa, per gridarti: – Misericordia, perdono, amore! – Con tutti i santi del Cielo, coi martiri, con gli Angeli ti lodiamo ed adoriamo; e se indegna è ancora pel peccato la nostra anima, mondala, o prezioso Sangue. È tua! Mondala col tuo bagno salutare che ci renda cherubini innanzi al tuo trono. Ognuno di noi ti prega, o Agnello santo, con la strofe mirabile di Tommaso: Pie pellicane, Jesu Domine, / me immundum munda tuo Sanguine (Adoro Te …)! e tutti, con la voce della Chiesa, nell’inno del ringraziamento: Te ergo quæsumus, tutis famulis subveni, quos pretioso Sanguine redemisti (Te Deum.) – Amen!

Risoluzione

In riparazione della crudele indifferenza di tante anime verso il Redentore, cercate di parlare ogni giorno di questa devozione ed inculcarne la pratica.

(B. Gaspare del Bufalo)

Fiorellino spirituale

O Sangue, medicina delle nostre anime, guariteci!

(S. Caterina da Siena)

Giaculatoria

Factus est Sangue, ineffabile prezzo di vita, a l’alma debole tu porgi aîta!

IL CREDO

Offertorium

Orémus
1 Cor X:16
Calix benedictiónis, cui benedícimus, nonne communicátio sánguinis Christi est? et panis, quem frángimus, nonne participátio córporis Dómini est?

[Il calice dell’eucarestia che noi benediciamo non è forse comunione del sangue di Cristo? Il pane che noi spezziamo non è forse comunione col corpo di Cristo?]

Secreta

Per hæc divína mystéria, ad novi, quǽsumus, Testaménti mediatórem Jesum accedámus: et super altária tua, Dómine virtútum, aspersiónem sánguinis mélius loquéntem, quam Abel, innovémus.

[O Dio onnipotente, concedi a noi, per questi divini misteri, di accostarci a Gesù, mediatore della nuova alleanza, e di rinnovare sopra il tuo altare l’effusione del suo sangue, che ha voce più benigna del sangue di Abele.]

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Hebr IX: 28
Christus semel oblítus est ad multórum exhauriénda peccáta: secúndo sine peccáto apparébit exspectántibus se in salútem.

[Il Cristo è stato offerto una volta per sempre: fu quando ha tolto i peccati di lutti. Egli apparirà, senza peccato, per la seconda volta: e allora darà la salvezza ad ognuno che lo attende.]

Postcommunio
Orémus.
Ad sacram, Dómine, mensam admíssi, háusimus aquas in gáudio de fóntibus Salvatóris: sanguis ejus fiat nobis, quǽsumus, fons aquæ in vitam ætérnam saliéntis:

[Ammessi, Signore, alla santa mensa abbiamo attinto con gioia le acque dalle sorgenti del Salvatore: il suo sangue sia per noi sorgente di acqua viva per la vita eterna].

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (2)

ORDINARIO DELLA MESSA.

LE SETTE EFFUSIONI DEL PREZIOSO SANGUE DI GESÙ CRISTO

Le sette Effusioni Del Prezioso Sangue di G. C. Nel di della Festa. (*)

[D. Massimiliano M. Mesini, Missionario del preziosissimo Sague – Rimini, Tipog. Maolvolti, 1884]

INTRODUZIONE

Sì quis sitit, veniat ad me, et bibat.

Joan. VII.

(*) Incominciato il devoto Esercizio del Mese il primo Venerdì di Giugno, si termina la prima Domenica di Luglio, Festa del Preziosissimo Sangue. Esposto con solenne pompa il Sacramento, si fa il discorso d’introduzione. Un sacerdote annunzia al popolo ciascuna Effusione, e dopo terminato ogni breve discorso recita cinque Pater, e un Gloria col Te ergo quæsumus etc. Strofette in musica, commoventi, ed acconce si cantano negl’intermedi.

Quanto mai Gesù Cristo ama gli uomini! l’Evangelista Giovanni ci descrive questo innamorato Redentore, quando l’ultimo giorno delle feste sen venne in Gerusalemme, dove trattenevasi tra il popolo deliziandosi di far dimora con esso, benché già i suoi nemici pensassero di ucciderlo. Ben egli vedeva l’interno loro, ben conosceva i segreti e scellerati divisamenti, che alimentavano nella lor mente; non gli era occulto l’odio accanito, che covavano in cuore, e ben lo chiarì, tutto mitezza così interrogandoli: Perché cercate voi di uccidermi? Quid me quæritis interficere? Nondimeno stando Gesù ancora in mezzo al popolo, seguita Giovanni a farcelo vedere in aria dolce e compassionevole, che apre la benedetta sua bocca e grida: Se alcuno havvi, che sia arso di sete, venga da me e beva … si quis sitit, veniat ad me, et bibat. Ma di qual umore Egli qui parla? Secondo l’interpretazione di molti dotti e pii scrittori, egli allude a quel fiume di Sangue, ch’Egli stava per versare a compimento. della redenzione degli uomini. E di qual sete poi Egli favella? A qual sete vuol Egli recare rimedio? Versando Cristo il suo Sangue per mondarci da ogni peccato vuol Egli refrigerare quella sete ardente, che in noi accendono le smodate passioni, che sono, come febbri cocentissime, al dir d’Ambrogio: Vanis criminum febribus caro nostra languebat, et diversarum cupiditatum immodicis estuabat illecebris. Ah! sì pur troppo è nostra febbre l’avarizia, nostra febbre la libidine, nostra febbre la lussuria. Febris nostra avaritia est; febris nostra libido est, febris nostra luxuria est. Ah! pur troppo è nostra febbre l’ambizione; nostra febbre l’iracondia. A refrigerio adunque di quest’ardente sete, prodotta dalle cocenti febbri delle smodate passioni, ecco che Gesù Cristo con quelle parole tutti invita a partecipare del Sangue da lui sparso; ed a godere dei dolci frutti del gran Prezzo di nostra Redenzione: Si quis sitit, veniat ad me, et bibat. Per questo venne già il Divin Sangue fin da remoti tempi figurato in quell’acqua, che sgorgò in larga vena dalla rupe presso l’Oreb per dissetare gli Ebrei, che camminavano per l’arenoso deserto, giacché niente havvi, che meglio refrigeri, quanto le freschissime acque di una fonte: Illis aqua de petra fluxit, tibi Sanguis Christi… Illud in umbra, hoc in veritate. Così S. Ambrogio. Ma il Sangue, che versò Cristo non farà poi altro che refrigerare la sete delle disordinate passioni? Ah! no; sarebbe questo troppo poco per un Sangue di un infinito valore qual è il Sangue d’un Uomo-Dio. Esso donerà ancora ristoro di grazia e di novella forza per l’acquisto delle più belle virtù, e della più elevata perfezione. E ve n’era certamente bisogno; ché troppo fiacche sono le forze dell’uomo dopo la caduta di Adamo, e non valevoli a far cosa, che loro compri l’eterna gloria: troppo è da faticare nel battere la via, che conduce alla perfezione, ed al cielo. Però quel Gesù medesimo, ch’altra volta avea detto: Venite omnes, qui laboratis, et onerati estis, et ego reficiam vos; oratutto pieno di pietà, di misericordia, e d’amore invita aricever questo conforto con quelle parole: Si quis sitit, veniat ad me, et bibat; chè bevendo non si sente sol refrigerioall’arsura, ma ristoro, e rinfrancamento dal languoreche provavasi. Con questo preambolo adunque entriamo,o carissimi ascoltatori, nel pio Esercizio dello Sette Effusionidel Sangue Prezioso, e dalle diverse circostanze, chele accompagnarono, troveremo nelle prime quattro conche smorzare la sete ardente, che la febbre di smodatalibertà, di onori, di piaceri, di ricchezze cagiona: troveremonelle ultime tre il ristoro di forza, e di vigore, chebisogna per seguir Cristo portando la croce, ed arrivarealla perfezione. Ma lungi di qua, o profani. Lungi diqua, voglio dir voi, che abbeverandovi continuamente alleacque putride e fangose di Babilonia, di queste solo vicompiacete, a queste volete ostinatamente restar attacati, Lungi di qua voi, o increduli, che fate di Cristo una favola, od al più solo un uomo, togliendogli dal capo l’aureola della divinità; voi, che non avete di questo Sangue la fede, che vi bisogna, e senza di cui è impossibile piacere a Dio. Che potrebb’esso fare per voi, se voi lo disprezzate? Potrebb’esso a voi essere viva fonte di benedizioni, se voi lo maledite? Ah! che con voi non ha Gesù, che ripetere: Quæ utilitas in Sanguine meo? Ma che dissi io mai? Ah! vengano, vengano tutti avvivando un pò la lor fede, e con animo ben disposto; ed allora tutt’intenderanno bene, e sentiranno scendersi al core quell’invito di Cristo: Sì quis sitit, veniat ad me, et bibat; e dissetandosi col suo Sangue ne ricaveranno certo abbondante profitto per l’anima.

Effusione 1° di Sanque

Nella Circoncisione

Rimedio alla smodata sete di libertà.

Creato l’uomo ad immagine di Dio usciva egli dalle sue mani per tornare a lui, il quale com’era suo principio, così doveva essere suo ultimo beato fine. Intanto, mentre vive sopra la terra, a conseguire quel fine supremo. Iddio col lume stesso del suo volto, con cui l’ha segnato, ed accende la sua ragione, gli scopre quel fa il bene, fac bonum; quell’ordinem serva, osserva quell’ordine, ch’è il principio d’ogni moralità. A questo ha aggiunto la sua legge positiva, incisa sulla pietra, e tra lampi e tuoni là sulla cima del Sinai, che si scuoteva e fumava, pubblicata al tremebondo popolo d’Israello. Legge, che Cristo stesso venendo sulla terra ebbe di sua bocca confermata. A questa legge divina adunque. e naturale, e positiva deve sottostar l’uomo; a questa deve informar tutta sua vita. S’ei fu da Dio arricchito del nobile dono della libertà, chi vi ha che non vegga, che di questa non deve abusarsi a mal fare, ma deve ognora volgerla al bene, all’osservanza di questa legge, per istare sottomesso, com’è ben giusto, al Legislatore? Nondimeno cominciò Adamo a rompere il freno di questa legge; e la sua progenie avendo in sé trasfusi con quel primo peccato tutti i tristissimi effetti di quello, si sentì bruciar le vene da una febbre d’indipendenza, provò una sete cocentissima di libertà smodata. E per verità, come già Faraone a Mosè, che intimavagli a nome di Dio di lasciar în libertà il popolo Ebreo, ogni peccatore se non con le parole, certo coi fatti dice pieno d’orgoglio: Chi è questo Dio, che vuol signoreggiar su di me, e dettarmi legge, e farmi precetti? Che precetti, che legge, che Dio! Io non lo conosco: Nescio Dominum. (Es. V) Sono libero, e voglio viver libero. E così poi scosso il giogo, pronuncia inoltre quel non voglio servire, di cui a buon diritto si lamenta il Signore: Confregisti jugum, dirupisti vincula, dixisti: Non serviam. (Ger. II) Con orgoglio poi ben più matto frenetici di febbre di libertà oh! quanti ai giorni nostri professandosi per gente del progresso, cioè senza fede, non ammettono Dio, e per conseguenza non ne accettan la legge. Libero pensatore, se mai qui m’ascolti, tu, che non vuoi freno di sorta in fede ed in morale, e ammetti solo quel che ti detta il tuo capriccio, sai tu a chi Giobbe te proprio, più, che altri, assomiglia? Ad uno stolido puledro di giumento selvatico, che non avendo freno, né riconoscendo padrone con erto il collo va vagando per la foresta: Vir vanus in superbiam erigitur, et tamquam, pullum onagri se liberum natum putat. (Job. XI) Ma buon per noi, che quest’ardore di libertà sfrenata è venuto Gesù a refrigerare, e guarir col suo Sangue. Venite qua tutti ed avvivando un pò la vostra fede con cuor ben disposto considerate il Salvator vostro in pargolette membra umane. Guardate; egli è il Figliuol di Dio e però Dio egli stesso, il Re dei re. Nondimeno vestendosi di carne mortale si esinanisce, e piglia la forma di servo: Exinanivit semetipsum, formam servi accipiens. (Filip. II) E questaforma di servo vuol far meglio apparire vagendo bambino Egli, ch’era la stessa Sapienza; ridotto alla debolezza di tenero corpicciuolo Egli ch’era la stessa Onnipotenza. Di più vuole assoggettarsi alla legge della circoncisione, a cui non era certamente tenuto. Dovean circoncidersi i figli prevaricatori di Adamo prevaricatore. Ma a che la circoncisione in Gesù, in cui non era verun neo di colpa, ch’era anzi la stessa Santità? Assoggettandosi poi a questa legale cerimonia veniva ad obbligarsi, come Uomo, all’osservanza perfetta di tutta la legge, giusta quel di S. Paolo: Testificor… omni homini circumcidenti se quoniam debitor est universæ legis faciendæ. (Galat. V) Etutto questo perché mai Egli compie se non per nostra istruzione, ed esempio? Per nostra istruzione, ed esempio sottomette il suo tenero corpicciuolo a quel vaglio doloroso.N’è anzi bramosissimo. Quanto gli tarda, che venga alfine il momento! Quante volte in quei primi otto giorni di sua vita mortale va ripetendo quelle parole, che furono a lui riferite dall’Apostolo Paolo: Corpus… aptasti mihi… tunc dixi: Ecce venio. (Hebr. X) Tu mi hai dato, o Padre celeste, un corpo perch’Io patisca: eccomi pronto, eccomi pronto a versare anche il Sangue: Tunc dixi: Ecce venio. Su via, cali dunque l’affilato coltello,e Gesù grondi Sangue. O prime stille preziose, preludio. di quel molto Sangue, che in avvenire sarebbe poi sparso,  io umilmente vi adoro! In vedervi sparse con tanta umiliazione chi non si sentirà dar giù ogni ardore di libertàsfrenata? Chi non imparerà la soggezione, e l’osservanzadella legge da tanto esempio? Sì, o Gesù, vogliamo viverea voi soggetti, ed il vostro Sangue ci donerà ancorala grazia a ciò necessaria. Così noi avremo la vera libertà dei figliuoli di Dio, franchi dalla schiavitù dell’inferno, liberi di quella libertà, che voi ci donaste: Qua libertate Christus nos liberavit. (Gal. IV).

Efusione II°. di Sangue

Nell’Orto del Getsemani

Rimedio alla smodata sete di grandezze.

All’Orto del Getsemani, uditori, andiamo all’Orto del Getsemani, dove Gesù recasi dopo terminata l’ultima cena. Già è arrivata quella notte funesta, in cui Egli deve darsi in balìa de’ suoi nemici; già è arrivato il tempo di quel battesimo di Sangue, di cui favellava sì spesso con grande commozione del suo cuore, ed a cui anelava ardentemente: Baptismo habeo baptizari, et quomodo coarctor usque dum perficiatur? Siccome la colpa incominciò nell’Eden tra le piante amene di quell’amenissimo luogo, così Gesù volendo riparar tutto con la redenzione, anche nelle più tenui circostanze, incomincia la sua passione nell’Orto del Getsemani avanzandosi tra il più folto delle piante degli ulivi. Là nell’Eden avea l’uomo peccato per superbia volendo farsi simile a Dio col prestar fede alle false promesse del Serpente: eritis sicut Dii. Qui nel Getsemani Gesù si umilia, si abbassa, quanto mai può abbassarsi un Uom-Dio, facendo la figura di peccatore. Maladetta superbia! Te vedeva il Redentore attecchire nei cuori di tutta la schiatta del primo Parente prevaricatore. Quanta vanagloria di ciò che non era infine che dono di Dio! Quanta jattanza ed arroganza nelle parole! Quant’orgoglio nel tratto! Che ambizione d’onori e dignità, tanto più grande, quant’era più piccolo il merito! Maledetta superbia, te vedeva nei filosofi sprezzar la stessa rivelazione, e te. udiva pronunciare quelle ardite parole: La ragione basta a sé stessa. Vedea quinci germogliare, qual malefica pianta, quella scienza, che tanto va più tronfia, e si accatta plauso, quanto più fa pompa di ateismo, ed esclude Iddio, e Cristo. Sì, tutto questo vedea il Redentore; ed ecco che si accinge a portare il rimedio, opponendo a tanta alterigia la più profonda umiltà. Caricatosi di tutti i peccati degli uomini per offrirsi egli vittima per tutti al Padre, non disdegna di apparire l’ultimo dei mortali, novissimum virorum; non dubita di divenir Egli la stessa maledizione: Factus pro nobis maledictum. Ma, oh Dio! quanto di pene gli costa questo abbassamento! Coperto della più gran confusione, tutto acceso di rossore nel volto, trema a verga a verga in tutto il corpo, e si prostra con la faccia per terra, ché più non osa di levarla al cielo. Si sente occupar l’anima da una tristezza mortale: Tristis est anima mea usque ad mortem; chè innalzato ha la Giustizia di Dio come un muro di divisione tra la parte superiore, ed inferiore dell’anima, per cui non più il gaudio ha questa della visione beatifica, che quella gode. Parla col Padre, ma non più con quella confidenza, ch’avea altre volte. Altre volte, quando volea operare anche i più stupendi prodigi, dicea: Padre lo voglio: Pater volo. Ora: Padre, se è possibile, passi da me questo calice. E poi ben tosto con uno sforzo generoso l’accetta, sottomettendosi alla volontà di Lui. Ma che stretta ei prova in suo cuore! Agonizza, cade bocconi al suolo; e per la piena dei tempestosi affetti, che intorno si serrano al suo cuore, e gli fan groppo; tanto questo si ristringe, che non potendo aprire per i suoi seni il varco al Sangue, da sè lo respinge; ed il Sangue rigurgitando, impedita la libera circolazione, per non usate vie trasuda da tutto il corpo: Factus est sudor ejus sicut guttæ Sanquinis decurrentis in terram. (Luc. XXII) Uditori, mirate di quel Sangue imporporate l’erbose zolle, inzuppato tutto il terreno.Ah! se voi pure una febbrile sete accende di grandezze, di onori, d’un vano sapere, di fasto immoderato, a cui la vostra superbia aspira, qua venite a sedarla nel Sangue da Gesù sparso fra tante umiliazioni. Sentite le voci di Gesù, che v’invita: Si quis sitit, veniat ad me; et bibat. Venite; ché quel Sangue è pieno di divina virtù.Ed accogliendo nel vostro cuore sensi di verace umiltà,su accorrete a confortare Gesù, ed a sollevarlo di terra,dove in tant’agonia fu prostrato, perché umiliatosi pernoi, perché fattosi per noi la stessa maledizione: factus pro nobis maledictum. (Gal. III).

Effusione III° di Sangue

nella Flagellazione

Rimedio alla sete smodata di piaceri.

Povera natura umana! Dopo che fosti caduta dallo stato d’integrità e d’innocenza primitiva, come ti sei fatta inferma, e ferita rispetto a ciò, che eri prima, per la ribellione della parte inferiore alla superiore, per lo scompiglio di tutte le passioni. Un’altra febbre in fatti, la febbre della concupiscenza della carne tutti gli uomini assale ricercandone ogni vena; e penetrando talora fin nell’ossa non dà lor tregua, e pace giammai; e sfiorate, lor dice, sfiorate pure i più vaghi prati della lussuria, assaporate ogni dolcezza della voluttà. E tanti, e tanti a tali voci prepotenti non sono tardi. a gustar ogni diletto, e tutto vuotare sino all’ultima feccia il calice degl’immondi piaceri. Così avviene pur troppo, o ascoltanti, per la infermità della nostra natura. Che sarà poi, se tolgasi ogni freno di mortificare la carne, se le si diano a pascolo e fomento mille incentivi di soverchie morbidezze, di cibi deliziosi, di spiritose bevande, d’un vestir ricercato ed immodesto, di vezzi i più passionati? Ai nostri giorni poi, che si fa di tutto per condurre i cristiani a vivere alla pagana, si vien fuori col dire, che macerazioni, astinenze, digiuni non si confanno più a questi tempi di luce e di progresso, i quali domandano la riabilitazione della carne. Riabilitazione della carne? E che intendete voi con questa parola, se non accarezzare la carne, e contentarla in ogni sua turpe voglia? Riabilitazione della carne? E non sapete voi, che Gesù Cristo col suo patire volle la santificazion vostra, come dice Paolo ai Tessalonicesi, e che voi vi asteniate da ogni opera immonda, affinché ognun di voi possieda il suo corpo, come vaso di santificazione e di onore? E non sapete voi, che Gesù Cristo venne a riformar questa carne, che vuolsi ora riabilitare, e di sordida e sensuale ch’era, a renderla santa, ed immacolata, ed irreprensibile al suo cospetto, come dice il medesimo Apostolo ai Colossesi? Che se Gesù venuto a riformar la vostra carne, non vuole poi preservarvi dalle tentazioni del senso, ciò fa perché abbiate ancor voi la vostra parte in questo solenne trionfo sopra la carne medesima, tenendola in freno, e mortificandola. E voi questo ricuserete? Forseché Cristo non ha fatto abbastanza, e non ha anche troppo sofferto per parte sua? Per riformare la vostra carne, e per darvi forza a tenerla in freno Egli si è assoggettato nientemeno, che alla crudele flagellazione, a cui condannollo Pilato; e voi ben potete ciò rilevar dalle circostanze. Si tratta qui di rimedio ai rei diletti sensuali del corpo. E Gesù il corpo suo, non formato da seno macchiato di colpa, come ogni altro corpo umano, ma dal seno di Madre vergine per opera solo dello Spirito Santo; il suo corpo dotato d’una purezza infinita, come corredo dell’unione ipostatica, senza riserva alcuna tutto intero consegna ai colpi dei flagelli. Si tratta qui di rimediare ad abusi di nudità scandolose; e Gesù soffre d’essere spogliato delle sue vesti, né fa calare gli Angeli dal cielo a coprire con le loro ali una nudità così sacrosanta. Anche qui ei versa Sangue una terza volta, Sangue vergine, immacolato, come la sua carne, acciocché i sensuali ammorzino l’ardore della concupiscenza, che li asseta fino al peccato, e non pongano le loro delizie in immondezze: Si quis sitit veniat ad me, et bibat. Ed oh! in quanta copia ei lo versa!Già legato alla colonna, una furia di colpi spessi e pesanti si rovescia sulle delicate membra, qual fitta gragnuola cade rovinosa a battere le mature e biondeggianti spighe di un campo. Si ripetono a centinaja i colpi,e la carne avvizza, si pesta, rompesi la pelle, e le belle membra di Gesù s’impiagano. Anzi dalla pianta dei piedi sino alla cima del capo non vi è alcuna parte più sana, a planta pedis usque ad verticem capitis non est in eo sanitas, (Isa. I) e nondimeno si batte ancora. Già alle piaghe si aggiungon le piaghe, ché non più a centinaja, ma a migliaja si ripetono i colpi, super dolorem vulnerum meorum addiderunt, (Ps. LXVIII) ed ancora si batte. Si spargono minuzzoli di carne per l’aria; di Sangue sono inzuppati i flagelli; di Sangue è tinta la colonna; diSangue è tutto bagnato il terreno; di Sangue sono aspersii carnefici stessi. Oh! basta, basta, o mio Gesù. Sì,voi avete fatto anche troppo per rimedio della nostra concupiscenza.A noi stanno meglio quei flagelli per punire questa carne, che si ribellò allo spirito, e per tenerlanell’avvenire in freno. Su, è tempo di mutar vita, e di. far buoni propositi. Dite adunque, ascoltanti così: O Gesù,noi vogliamo far parte di quella eletta schiera, che vive in continenza, e castità. Prima che voi veniste a compiere la redenzione, pochi furono i Giuseppi, poche le Susanne; ma dopo è ben grande la schiera non solo di casti, ma di vergini ancora, che vengon dietro a Voi attratti dal soave olezzo, che manda il vostro Sangue purissimo. Anche noi, se non tutti vergini, certo almen casti nel nostro stato di vita vogliamo essere, casti nel matrimonio elevato a sacramento, ché anche in questo non è lecito abbandonarsi a certe turpitudini. Lo promettiamo, o Gesù: Gesù, lo vogliamo. Confortateci con quella grazia, che ci meritò il vostro Sangue sparso sotto i flagelli.

Effusione IV.° di Sangue

Nella Coronazione di Spine.

Rimedio alla sete smodata di Ricchezze.

Sazi non sono i carnefici d’incrudelire contro di Gesù, che, qual mansueto agnello sotto le forbici del tosatore, non manda un lagno; ma neppur sazio è Gesù di patire, e di versar Sangue. Era Egli stato calunniato di aspirare ad uno scettro, e ad una corona, e di volersi fare re. E quella insolente soldatesca preparagli perciò un nuovo tormento tra i più amari scherni, ed i motti più frizzanti. Messolo a sedere sopra di un sasso, gli mettono indosso un cencio vilissimo di porpora, in mano una fragile canna per iscettro. Manca la corona. Di che la formeranno essi? Prendono un manipolo di spine lunghe ed acute, e ne fanno un diadema, che pongono sulla testa di Gesù: Milites plectentes coronam de spinis, imposuèrunt capiti ejus. (Joann. XIX) E càlcanlo con bastoni, perché quelle spine ben addentro s’infiggano nel capo, ed alcune anche nel cervello. Oh Dio! Che spasimo atroce in questa parte più delicata dell’uman corpo, dove tutti i nervi per la spina dorsale si rannodano! Se una spina sola confitta nella parte più callosa d’ un piede d’una belva la fa fuggire ruggendo dal dolore per la foresta, che tormento crudelissimo non avrà poi provato Gesù con tante spine nel capo? Qual terra mai incolta, all’aratro restìa, e solamente ingombra di triboli e spine porse un sì lugubre dono al Redentore? Quale spietata mano ebbe quelle spine seminate? Ahi! che così ispida corona rosseggiando del Sangue di Cristo muta le acute punte quasi in rose: Christi rubescens Sanguine aculeos mutat rosis. Ahi! che cangia di colore il bel volto di luî, e impallidendo vede già avvicinarsi la morte. Ed intanto il Sangue fila giù per la fronte, e tutte ne tinge le guance in maniera che ben avveransi le parole del Profeta: Non est species ei, neque decor, et vidimus eum, et non erat aspectus. (Isa. LIII) Ma perché questo novello tormento? Perché ancora questo Sangue? Anche qui un’altra volta grida Cristo: Si quis sitit, veniat ad me, et bibat, perché vuol porgere un refrigerio ad un altr’ardentissima sete, ch’è nel mondo, alla sete delle ricchezze.Questa sete, più si fanno acquisti, più si tesoreggia, e più cresce, come avviene all’idropico, che più beve l’acqua, a cui tanto anela, e più resta arso ed assetato: Plus bibuntur, plus sitiuntur aqua. E per acquistare, e per arricchire quante ingiustizie si commettono,quante frodi s’intessono! Che sordide usure! Che rapacità coperte, cercando di abbellirle con uno specioso titolodi compenso, di annessione, o di altro! Troppo era dunque necessario, che col suo Sangue, da cui esce una Virtù divina, anche a questo recasse rimedio il Salvatore. Vedete qui, come in fatti tutto spira distacco dai beni del mondo, come tutto spira amore alla povertà. Trattato è Cristo da re di scherno solamente, mentr’Egli è vero Re del cielo, e della terra. Quindi non tesori, non splendido trono, non ricca veste, non preziosa corona, non aureo scettro: ma un sasso è il soglio; ma un cencio dicolor rosso è la porpora, che mal lo ricopre; ma lo scettro: è una fragile canna; ma la corona è d’irte e pungentissime spine. Sì, di quelle spine ha cinto il capo, a cui Egli stesso assomigliò le ricchezze nella parabola della semente evangelica, ed il reo abuso qui ne sta pagando, e la immoderata sete spegnendo col Sangue, che da tante trafitture si spreme. O voi adunque, che abbondate di ricchezze, non vogliate con la virtù, che da questo Sangue si diffonde, attaccare il cuore ad esse: Divitia sì affluant, nolite cor apponere: (Ps LXI) Non vogliate esser tutti in arricchire, niente curandovi poi dell’anima vostra, ch’è il vostro meglio. O voi, che poveri di beni di fortuna invidiate i ricchi, e ne agognate gli averi, pigliandovela spesso con la Provvidenza Divina, che non abbia egualmente spartito i beni della terra, e questa egual partizione sognate, che il socialismo sogna e falsamente promette, guardate qua Cristo, che in mezzo a tanta povertà: d’ogni cosa versa Sangue con una povera corona di spine sul capo, e sanate le illusioni della vostra mente, cui la passione delle ricchezze fomenta. O voi finalmente, se qui siete, che non dubitate sacrileghi di stender la mano: rapace su ciò, che appartiene alla Chiesa, comprandone a’ mostri giorni i poderi e gli arredi preziosi, ah! rammentatevi, che voi riducete Gesù Cristo altra volta ad un cencio di porpora, ad uno scettro di canna, ad una corona di spine. Voi, quanto è da voi, altra volta gli spremete Sangue. Ah! badate, che con quel Sangue, col quale dovevate recar rimedio alla vostra passione delle ricchezze, non si scriva l’eterna vostra condanna. Tremate, che quella corona d’ignominia, che si muterà un giorno in corona di gloria, cagione ai Santi di gaudio perpetuo, per voi non si tramuti in corona di terribil giustizia. Ahi! di questa corona vedranno un giorno gli empi cinto Gesù Cristo, vedranno, e periranno: Videbunt eum impiù in corona justitia, et peribunt. (Bernar. Serm. 50).

Effusione V° di Sangue nel viaggio

al Calvario

Conforto nella via della Perfezione.

Poco era a Gesù sanare con lo spargimento del suo Sangue tante infermità della misera natura umana: poco eragli refrigerare la sete ardentissima di peccato, che mettono le febbri delle passioni: volea di più recare col suo Sangue un ristoro, rinfrancando lo forze dell’anima, perchè coll’adornarsi d’ogni virtù giungesse ad alta perfezione. Ma considerate sapienza, e misericordia del Salvatore. Non si addicono agl’infermi le sublimi altezze: In excelsis infirmi esse non possunt. (Ambros. Lib. 5 in Luc.) E però quando trattasi di sanare refrigerando la sete febbrile delle passioni, ei versa Sangue in basso loco prima di salire il Calvario: Quemque in inferioribus sanat. Ma allorchè vuol donare un conforto ad acquistare la virtù e la perfezione si mette Egli stesso a salire, e segna del suo Sangue la via, acciocché ciascuno, che fu risanato, a poco a poco progredendo di virtù in virtù possa giungere alla vetta del monte della perfezione: Ut paullatim virtutibus procedentibus, ascendere possit ad montem. Eccolo infatti con la croce sulle spalle già per l’erta del Calvario. Trema sotto il peso del grave legno, e debole per mancanza di nutrimento, e tanto Sangue versato, più volte trabocca al suolo, e di nuovo Sangue, che da tante piaghe, e tante trafitture va ancora spargendo, bagna e tinge la strada. Pur non sì dà mai per vinto. È alla cima del doloroso monte, ch’Egli anela; è là, ch’Egli fa tendere i suoi passi, e perciò prosegue la via, benché abbia a patire indicibili pene. Ed intanto ci grida a ciascuno: Veni, sequere me. Vieni, mi segui. Lo so, o Gesù, che seguendo Voi arriverò anch’io sul monte, vale a dire conformandomi al mio esemplare mi adornerò d’ogni più bella virtù, e raggiungerò la perfezione, che Voi volete nei vostri seguaci. Lo so, che diverrò puro, come i gigli, umile e mansueto di cuore, distaccato da ogni affetto terreno, tutto inteso alle cose del cielo. Ma oh! Dio, quanti travagli mi si affacciano! Mi si affaccia l’erta salita, che mi toccherà fare: mi si presenta la croce, che, come Voi la portaste, Voi pur volete, che porti chiunque vi vien dietro: mi si offre quel dover agonizzare fino per l’anima, se decorata la voglio di perfetta virtù. Ma a che t’attristi anima mia, perchè ti conturbi? Quare tristis es anima mea, et quare conturbas me? Quel Gesù, che grida portando la croce: Veni, sequere me, non è lo stesso che invita: Chi hasete di mansuetudine, d’umiltà, di pazienza, di purezza,venga a me, e beva? Si quis sitit, veniat ad me, et bibat. Sì sì, ecco il mio ristoro, ecco il mio conforto nelSangue di virtù divina, cui Egli sparge nel camminodel Calvario. Anderò dunque, calcherò quelle vestige rosseggianti.Anderò dunque tenendo l’invito di Cristo,salirò il monte della perfezione, benché sia monte dimirra, o di amarezza, perché poi si trasmuti un giorno in monte di delizie sempiterne: Vadam, vadam ad montem myrrhæ. E voi, o ascoltanti, che fate? Anche da voi tutti vuole Cristo 1° esercizio delle più belle virtù, e v’invita alla perfezione in quello stato a cui ciascuno è chiamato dal cielo, e con quei mezzi che al proprio stato convengono: Estate perfecti, Egli avea altra volta detto, estote perfecti, vi ripete ora, invitandovi a montare con lui il Calvario; ed è pronto il conforto nel suo Sangue anche per voi. Oh! questo sì, ch’è il vero progresso: avanzarsi di virtù in virtù, e andar ognora perfezionando lo spirito. Altro progresso or non si vuole, che nelle scoperte, nelle macchine, nelle arti. Progresso, ch’io certo non condannerei, se non fosse tutto e solo materiale, senza curare punto lo spirito, e non andasse congiunto ad un progresso spaventoso di malizia e d’irreligione. Oh! si capisca bene una volta, quell’invito, che fa ognora Gesù, e vi si risponda. Allora sì, che si coltiveranno le virtù: allora sì, che splenderà la luce del vero progresso, e fiorirà quella vera civiltà nei popoli, che, vogliasi, o no, consiste appunto nel complesso di quelle.

Effusione VI°. di Sangue

Nella Crocifissione

Conforto ad amare Gesù, ed il Prossimo.

Regina di tutte le virtù è la carità, che dall’ Apostolo venne chiamata la pienezza della legge: Plenitudo… legis est dilectio. (Rom. XIII) E S. Agostino domanda qui giustamente: Dov’è la carità, qual cosa mai può mancare? Dove non è, qual mai cosa può recar giovamento? Ubicaritas est, quid est , quod possit deesse? Ubi autem non est, quid est, quod possit prodesse? E però, se Gesù Cristo, o ascoltanti, volle spargendo il Sangue nellasalita del Calvario darvi un conforto all’esercizio dellevirtù; immaginate voi, se giuntone sulla cima, vorràquesto conforto negarvi, perché l’amiate, ora che laredenzione ha il suo compimento. Ah! questo cuor vostro,ch’è portato naturalmente ad amar Dio, perché fatto perlui, n’avea pur bisogno, acciocché gli facesse batterin alto a meta così sublime le ali, senza mai volgerle in basso. Ed ecco Gesù, che inchiodato sul durolegno della croce versa Sangue dalle ferite delle mani,e dei piedi in tanta copia, che quattro rivi quasi parche scorrano. Ben ora Egli può mostrar in sé avveratequelle parole del Salmista: Sicut aqua effusussum. Ben copiosa è la sua redenzione, se non unasola goccia, che pur era a ciò sufficiente, ma tantoSangue Egli sparge. Ma perché sì copiosa? Data estcopia, risponde S. Bonaventura, ut virtus dilectionis inbeneficii redundatione claresceret. (Bonav. In Euchar. Serm. 27) Perchè in unbeneficio così ridondante la sua immensa carità versodi noi chiaramente si palesi. S. Bernardo ci dà a vederela passione e la carità a contesa tra loro, quella pernostro amore, oh! come a riamar ci conforta il nostroGesù, il, nostro Salvatore, il nostro Dio. Chi non amadunque Cristo, io griderò a tutti con S. Paolo, sia danoi separato: Si quis non amat Dominum nostrum Iesum Christum sit anathema: (1 Cor. XVI) E qual è quel cuorecosì ristretto, che non si senta dilatare in veder Gesù, che sparge Sangue, tenendo stese le braccia verso tutti, anche verso un popolo, che non gli crede, e lo contradice? Qual è quel cuore anche di ghiaccio, che non si sciolga, e si accenda ad amare udendo Gesù, che già esangue in sul morire grida: Tutto è compiuto? Espressione che ben vale l’altra: E che dovea Io fare di più, che fatto non l’abbia? Già prenunciato Egli l’avea: Si exaltatus fuero a terra, omnia traham ad meipsum. (Joan. XII). Ed ecco, ch’Egli donando a tutti nel suo Sangue un vero conforto ad amarlo, tutti al suo seno dolcemente attrae. Ma l’amor divino non va disgiunto dall’amor del prossimo, e però in questa effusione di Sangue ci dona ancora il conforto alla fraterna carità. Fratellanza, fratellanza universale è il grido favorito dei giorni nostri; ma fratellanza sul labbro, e non nel cuore; fratellanza nelle parole, e non nei fatti. Fu solo Gesù, che spargendo in croce il suo Sangue, e riscattandoci dalla schiavitù dell’inferno ci fece tutti liberi figliuoli di Dio, e quindi tutti fratelli, di cui Egli è il Primogenito: Primogenitus in multis fratribus. (Rom. VIII). Ed ecco perché la sua tenerissima Madre lasciò in Giovanni a noi tutti per madre. Ecco come tutti ci legava in uno con nodo dolcissimo di carità, facendo di tutti un cuor solo. Anche qui, ma con molto maggior efficacia ripete: Hoc est præceptum meum, ut diligatis invicem, sicut dilegi vos. (Joan. XV) E siccome egli amò non a sole parole, ma con l’opera dando il Sangue e la vita, per tutti pregando perdono a chi crocifisso l’avea, donando un paradiso per poche lagrime al ladro pentito, ci conforta col suo Sangue a mostrare questa vera fratellanza con far bene d’ogni sorta al prossimo, anche ai nostri nemici, e ad osservare quel precetto non solo in quanto alla sostanza, ma sino alla perfezione. Oh! sì, o Gesù, noi vogliamo amarti; ché troppo ad amarti ci eccita il Sangue per noi da te sparso: ed in virtù del tuo Sangue medesimo vogliamo amarci tra noi di vero amore, e dare il bello e dolce spettacolo di quella vera cristiana fratellanza, che si predica tant’alto da molti, e molti, e poi si sogna, e si cerca dove non è, e dove non può essere. O Gesù, è il tuo Sangue, che ci grida amore, ed amore accende. Il tuo Sangue è quello, che grida fratellanza, e fratellanza apporta.

Effusione VII° di Sangue

Nella lanciata Conforto all’Unione con Gesù Cristo.

Vuotate le vene di Sangue, Gesù già stremato di forze, dopo tre ore di penosissima agonìa, ha mandato al fine l’ultimo respiro, ed è morto. Or che gli resta più a fare per noi? Ah! dilettissimi ascoltanti, soffermatevi un poco ancora col vostro pensiero appiè dell’albero della croce, e voi vedrete, che non è già morta per noi la sua carità, e dormendo Egli il sonno ferale della morte, il suo cuore però vigila per noi: Ego dormio, et cor meum vigilat. (Cant. V) Già sen viene Longino brandendo una lunga lancia; e mentre ai due ladri, che gli pendono ai fianchi, son rotte le gambe con bastoni, perch’erano ancor vivi, a Gesù è aperto da quella lancia il costato, e lo stesso cuore è trafitto, e da quella larga apertura n’esce Sangue misto ad acqua: Unus militum lancea latus ejus aperuit, et continuo exivit Sanguis et aqua. (Jaon. XIX). Non le strette dell’agonie mortali nell’orto del Getsemani, non i flagelli, non le spine, non i chiodi, che gli fecero spargere Sangue in tant’abbondanza aveano potuto trargli questo piccolo avanzo dai più interni penetrali del suo petto. Ma Gesù di se stesso immemore, di noi solo ricordevole, si fa stringere come sotto un torchio per versarne le ultime stille, e niente di esso si riserva, come canta la Chiesa: Sub torculari stringitur, suique Jesus immemor sibi nil reservat Sanguinis. (Hymn. In Festa Prez, Sang.) E questo Sangue sgorgato dal suo cuore esce qual contrassegno a noi della sua più grande carità, iuvitandoci e confortandoci non solo ad amarlo, ma ad unirci intimamente a lui, giacché effetto di vero amore è l’unione. Per questo stando ancora confitto al legno, se non con la voce, parla però con le braccia distese verso di tutti: Si quis sitit, veniat ad me, et bibat. E mostrando aperto il costato, e ferito il suo cuore, invita tutti ad entrarvi, ed a stringersi fortemente con esso. Chi non vorrà a sì dolce invito, confortato dalla grazia, ch’esce da quel Prezioso Sangue, là correre, qual colombella vola alla sua torre, ed al suo nido, e là starsene unito a cuor sì amabile? Chi di là non griderà con Paolo: Quis me separabit a charitate Christi? Non le vanità del mondo, non i piaceri del senso, non l’amor delle ricchezze, non qualunque tribolazione, e tormento potranno più svellermi da questa dimora di pace, di contentezza, di gaudio, di amore. E se alcuno avesse sete di unirsi più perfettamente a Gesù, nascondendosi affatto entro al suo cuore per non sapere, per non sentir più nulla di questa misera terra, oh! entri, entri pure nei più secreti recessi di quel Cuore ferito, ché quel Sangue, che n’uscì, a tanta perfezione è pur ajuto e conforto. Che dolcezze sono là dentro, tutte di Paradiso! Se un po’ avrà a penare nel distaccarsi affatto da ciò che sa di terra, e nel perdere affatto di vista ciò ch’offre il mondo, inebbriato. da quelle delizie dovrà poi esclamare: Bonum, bonum.. est nos hic esse. Ma col Sangue uscìa dal fianco aperto di Gesù formata Sposa di lui la Chiesa, come dal fianco di Adamo addormentato uscìa formata Eva la sua consorte.Quindi è la Chiesa in qualche modo parte delcuor di Gesù. E che vuol dir questo, se non che voi non potete avere intima unione con Gesù, se non istate strettamente uniti alla vera Chiesa; se non ne credete quanto essa propone da credere, se non rispettate la sua autorità, se non osservate i suoi precetti? Ma la Chiesa, vera Sposa di Gesù Cristo è là, dov’è il Successor di S. Pietro, ch’Egli stesso a lei prepose e Capo, cioè il Papa: Ubi Petrus, ibi Ecclesia. E che vuol dir questo, se non che voi non potete essere stretti alla Chiesa, ed uniti al cuor di Gesù, se non istate ancor uniti col Papa, onorandolo come il capo di questa Chiesa, come Pastore, universale, come Maestro infallibile di verità in religione? Questa riverenza, ed unione al Papa in questi giorni, in cui tanto viene bistrattato, quasi fosse un’inutile anticaglia, da riporre tra le ciarpe, è divenuta la pietra di paragone per conoscere chi veramente è seguace di Gesù Cristo, e vero Cattolico. Procuriam dunque d’essere uniti alla Chiesa senza umani rispetti, uniti al Papa coraggiosamente, ed allora star potremo: davvero entro al costato di Gesù accanto al cuor suo in intima unione con esso: anzi chiudendoci entro la ferita del suo cuore grideremo esultando: Bonum, bonum est nos hic esse.

CONCLUSIONE

Eccoci finalmente a chiudere il nostro pio, e devoto Esercizio delle sette Effusioni del Sangue Prezioso. Certamente,  se voi a queste avete assistito con le dovute disposizioni, com’io fin dal principio vi ammoniva, e vi esortava, ne avrete provato fin d’ora i benefici effetti. Avrete sentito appressandovi a bere a questa fontana salutare di Sangue Divino, refrigerio all’ardore delle vostre passioni, conforto a salire il monte della perfezione, ornandovi delle più belle virtù; conforto ad amare Gesù ed il prossimo vostro, e ad unirvi intimamente al Divino Sposo dell’anime vostre. Oh qual desideri di far il bene, già sono spuntati nel vostro cuore! Ma deh! non cessi con questo Mese, e con questa sacra e tenera funzione la divozion vostra. Ah? le febbri delle passioni, sapete, torneranno tante volte ad accendere in voi quella maligna sete; e per salire in alto alla virtù avete bisogno ognora d’ajuto, avete bisogno d’essere confortati. E però vi ripete Gesù non solo adesso, ma dopo ancora: Si quis sitit, veniat ad me, et bibat. Quindi per godere di quel prezioso umore,convien andar a Lui, intendete? andar a Lui: Veniat, e bibat. Vale a dire è necessario, che facciate anche voila parte vostra, se volete che il suo Sangue sia applicatoparticolarmente all’anima. Continuate adunque ad onorareil Sangue di Gesù Cristo con ogni sorta di ossequi,con spesse giaculatorie, con la quotidiana Coroncina, chesul primo mattino si recita in questa Chiesa, con l’intervenirepuntualmente alle sacre funzioni, che si praticano a rendergli quel culto divino, che ben si merita,Ascrivetevi, se non siete ascritti, alla Pia Unione perlucrare anche le sante indulgenze. Contemplate spessocon Bernardo la vaga rosa della sanguinosa Passionedel Redentore, come rosseggi ad indicare l’ardentissimacarità: Rosam passionis sanguinæ, quomodo rubet in indicium ardentissima charitatis. (Bernard. Lib. de Pass. c. 4l.) Entrate, entratespesso nel giardino della divozione, o Cristiani, a coglierviquesta rosa, e portatela sul petto, portatela sul cuore,e vi sentirete refrigerar sempre le passioni, ed ardere dicarità. È il Sangue di Gesù Cristo specialmente nella santaEucaristia qual vino, che inebria i perfetti; come latte,che i deboli pargoletti nutrisce. Su, accostatevi spesso aquella mensa. Su, io vi dirò con Bernardo, affrettatevimeco, o voi tutti, che amate il Signore, a comprarvi conbuone disposizioni quel Preziosissimo Sangue: Properate mecum, qui diligitis Dominum, emite Sanguinem illum Pretiosissimum; e ne godrete, di continuo i frutti salutari.Di quel Sangue imporporati vi vedrà il Demonio, ed atterritofuggirà lontano. Di quel Sangue adorne le anime vostreavranno nella morte incontro gli Angeli, che verrannoper riceverle, e presentarle al cospetto dell’Altissimo.Di quel Sangue adorne entreranno nel cielo a godere lavisione di quell’Agnello immacolato, che vide il rapito di Patmos, ed a cantare insieme a tutti gli eletti quel cantico d’ineffabil letizia, ed a ripetere in eterno: Sia sempre benedetto, e ringraziato Gesù, che col suo Sangue ci ha salvato.