La vera carità

LA VERA CARITA’ 

   Taluni si lamentano che a volte, anche in questo umile ed insignificante blog, si usino espressioni forti nell’attaccare apostati, eretici, falsi tradizionalisti, maschere carnevalesche e marrani incalliti. A costoro, chiaramente in malafede, noi non possiamo rispondere, non ci sentiamo in grado di farlo, vista la nostra infima statura culturale e la scarsa capacità oratoria. Però, grazie a Dio, c’è chi lo ha già fatto per noi, per cui ci limitiamo a ricopiare fedelmente alcuni capitoli dell’opera di Felix Sarda y Salvany del 1884 “El liberalismo es pecado”! È una musica celestiale per le orecchie di un cattolico!

N.B.:al termine “liberale”, possiamo sostituire: “apostata modernista”, o se preferite: “esponente della setta ecumenista-mondialista” … fate voi!

 liberalismo

-Cap. XXI-

La sana intransigenza cattolica opposta alla falsa carità liberale

   Intransigenza! Intransigenza! Io sento una parte dei miei lettori più o meno intaccati dal liberalismo lanciare queste grida dopo la lettura del capitolo precedente. Che maniera poco cristiana di risolvere la questione, dicono!

I liberali sono, si o no, il nostro prossimo, come gli altri uomini? Con tali idee dove andremo? È mai possibile proporre con una simile impudenza la condanna della carità!

“Siamo al punto, infine!” Noi grideremo a nostra volta. Ah! Ci si getta sempre in faccia questa pretesa nostra mancanza di carità. Ebbene! Poiché è così, noi risponderemo nettamente a questo rimprovero che per molti, riguardo a questo soggetto, è un grande cavallo di battaglia. E se non lo è, perlomeno serve da paraurti ai nostri nemici, e, come ha detto con grande spiritualità un autore, obbliga gentilmente la carità a servire da barricata contro la verità. Ma, prima di tutto,

cosa significa la parola carità? 

   La teologia cattolica ne dà una definizione tratta dall’organo più autorevole per l’insegnamento al popolo, il Catechismo, così pieno di saggezza e di filosofia. Ecco questa definizione: “la carità è una virtù soprannaturale che ci inclina ad amare Dio sopra ogni altra cosa e il prossimo come noi stessi per amor di Dio”. Così, dopo Dio, noi dobbiamo amare il prossimo come noi stessi, e ciò, non in una qualsiasi maniera, ma per l’amore che portiamo a Dio e per obbedienza alla sua legge.

E ora, che cosa significa amare?

   Amare è volere il bene, risponde la filosofia, “amare, è volere il bene per colui che si ama”. A chi la carità comanda di voler bene? Al prossimo! Cioè non a tale o tal altro uomo solamente, ma a tutti gli uomini. E quale è questo bene che bisogna volere perché ne risulti un vero amore ? Prima di tutto, il bene supremo, che è il Bene soprannaturale; immediatamente dopo i beni nell’ordine naturale, che non siano incompatibili con esso. Tutto ciò si riassume nella frase: “per l’amore di Dio” e in mille altre il cui senso sia lo stesso.

Ne consegue che si può amare il prossimo, bene e molto, sia facendogli dispiacere, sia contrariandolo, oppure causandogli un pregiudizio materiale o perfino in certe occasioni privandolo della vita.

Tutto si riduce, insomma, a esaminare se in tutti questi casi si operi, sì o no, per il suo bene proprio, per il bene di qualcuno i cui diritti sono superiori ai suoi, o semplicemente per il più grande servizio di Dio.

1°)– Per il suo bene. – Se è dimostrabile che dispiacendo al prossimo, offendendolo, si sia agito per il suo bene, sarebbe evidente che noi lo amiamo, anche nelle contrarietà e dispiaceri che gli abbiamo imposto. Per esempio: si ama il malato bruciandogli con il fuoco o tagliandogli il membro affetto da cancrena; si ama il malvagio correggendolo con la repressione e le punizioni, etc. etc., tutto ciò è carità, e carità perfetta!

2°)– Per il bene di un altro i cui diritti siano superiori.- È sovente necessario dispiacere una persona, non per il suo proprio bene, ma per togliere a qualcun altro il male che ella gli causa. Si tratta allora di un obbligo di carità difendere l’aggredito contro l’ingiusta violenza; e può capitare di fare all’aggressore tanto male quanto sia necessario per la difesa dell’aggredito, ciò che accade quando si uccide un brigante alle prese con un viaggiatore. In questo caso, uccidere l’ingiusto aggressore, ferirlo, ridurlo in ogni maniera all’impotenza, è fare un atto di vera carità!

3°)– Per il servizio dovuto a Dio. – Il Bene di tutti i beni è la Gloria divina, allo stesso modo che Dio è per ogni uomo il più prossimo di tutti i prossimi. Di conseguenza, l’amore dovuto all’uomo in quanto prossimo deve sempre essere subordinato a quello che noi tutti dobbiamo al nostro comune Signore. Per il suo amore dunque e per il suo servizio (se è necessario), occorre dispiacere agli uomini, ferirli e perfino (sempre quando sia necessario) ucciderli. Fate bene attenzione alla grande importanza delle parentesi (quando sia necessario): esse indicano chiaramente il solo caso in cui il servizio di Dio esiga tali sacrifici.

Allo stesso modo che in una guerra giusta gli uomini si feriscono e si uccidono per il servizio alla patria, così essi possono ferirsi o uccidersi per il servizio di Dio.

E ancora: allo stesso modo che si può, in conformità alla legge, giustiziare degli uomini a causa delle loro infrazioni al codice umano, si ha il diritto, in una società cattolicamente organizzata, di fare giustizia degli uomini colpevoli di infrazione al codice divino, in quelli dei suoi articoli obbligatori nel foro esterno. Così si trova giustificata, sia detto “en passant”, l’Inquisizione tanto maledetta. Tutti questi atti (beninteso quando essi siano giusti e necessari) sono degli atti virtuosi e possono essere comandati dalla Carità.

Il liberalismo moderno non la vede in questo modo, ma in ciò ha torto. Da questo deriva che esso concepisca e dia una nozione falsa della carità ai suoi adepti. Con le sue invettive e le sue banali accuse di intolleranza e di intransigenza rinnovate senza interruzione, esso sconcerta perfino i cattolici più fermi. La nostra concezione, per noi, è tuttavia ben chiara e concreta.

Eccola: la sovrana intransigenza cattolica non è altro che la sovrana carità cattolica. Questa carità si esercita relativamente al prossimo, quando, nel suo proprio interesse, essa lo confonde, l’umilia, l’offende e lo fa soffrire. Essa agisce verso terze persone, allorquando per liberarle dall’errore e dal suo contagio, essa ne smaschera gli autori e i fautori, chiamandoli con il loro vero nome: malvagi, perversi, destinandoli all’orrore, al disprezzo, denunciandoli all’esecrazione comune, e quando sia possibile, allo zelo delle autorità sociali incaricate di reprimerli e di punirli.

Infine questa carità si esercita relativamente a Dio, quando per la sua Gloria e il suo Servizio, diventi necessario imporre il silenzio a tutte le considerazioni umane, superare tutti i limiti, tralasciare ogni rispetto umano, ferire tutti gli interessi, esporre la propria vita e tutte le vite allorquando il loro sacrificio fosse necessario al raggiungimento di un così alto fine.

Tutto ciò è pura intransigenza nel vero Amore e, per conseguenza, sovrana Carità.

I tipi umani di questa intransigenza sono gli eroi più sublimi della Carità, come la comprende la Vera Religione. E poiché ai nostri giorni ci sono così pochi veri intransigenti, ci sono anche poche persone veramente caritatevoli. La carità liberale, attualmente alla moda, [ed oggi anche la falsa misericordia –n.d.r.-] è condiscendente, affettuosa, perfino tenera, nella forma, ma in fondo essa non è che il disprezzo essenziale dei veri beni dell’uomo, dei supremi interessi della Verità e di Dio.

-Cap. XXII-

La carità nelle forme della polemica: i liberali hanno ragione su questo punto contro gli apologisti cristiani?

 

Non è tuttavia sul terreno dei principi del liberalismo che a tutta prima si deve dare battaglia, perché si sa troppo bene che nella discussione sui principi, esso avrebbe a subire un’irrimediabile disfatta. Il liberale preferisce accusare senza interruzione i cattolici di esercitare poca carità nelle forme della loro propaganda. E’ su questo punto, come abbiamo già detto, che certi cattolici, in fondo buoni, ma intaccati di liberalismo, si scagliano ordinariamente contro di noi. Vediamo ciò che c’è da dire su questo punto. Cattolici, noi abbiamo ragione su questo punto come su tutti gli altri, ma i liberali non ne hanno neppure l’ombra. Fermiamoci un momento per convincerci di ciò sulla base delle seguenti considerazioni:

1°)– Il cattolico può trattare apertamente il suo avversario in quanto “liberale”, se egli lo è realmente, e questo nessuno lo metterà in dubbio. Se un autore, un giornalista, un deputato fa mostra di liberalismo e non nasconde le sue preferenze liberali, come si può dire che lo si insulta chiamandolo “liberale”? Si palam res est, repetitio injuria non est: “dire ciò che tutti sanno, non è un’ingiuria.”. A maggior ragione, dire del prossimo ciò che lui stesso afferma in tutti i momenti, non può costituire offesa. Quanti liberali tuttavia, soprattutto nel gruppo delle persone miti e di quelle moderate, giudicano ingiuriose le espressioni di “liberali” o “amici dei liberali” riferite loro da qualche avversario cattolico.

2°)- essendo dato che il liberalismo è una cosa malvagia, definire malvagi i difensori pubblici e coscienti del liberalismo, non è una mancanza di carità. Si tratta in sostanza, di applicare al caso presente la legge di giustizia in uso in tutti i secoli. Noi, cattolici di oggi, non diciamo nulla di nuovo a questo riguardo. Noi ci atteniamo alla pratica costante dell’antichità. I propagandisti e i fautori delle eresie sono stati in tutti tempi definiti eretici quanto i loro autori. E siccome l’eresia è sempre stata considerata nella Chiesa come un male dei più gravi, la Chiesa ha sempre definito malvagi e cattivi i suoi fautori e propagatori. Vedete l’insieme degli autori ecclesiastici, voi noterete come gli Apostoli abbiano trattato i primi eresiarchi, come i santi Padri, i controversisti moderni e la Chiesa stessa nel suo linguaggio ufficiale, li hanno imitati. Non c’è dunque alcun peccato contro la carità nel chiamare il male “Male”, malvagi gli autori, fautori e discepoli del male, iniquità, scelleratezza, perversità, l’insieme dei loro atti, parole e scritti. Il lupo è stato sempre chiamato “lupo” senza giri di parole, e mai chiamandolo così si è creduto di fare torto al gregge e al suo pastore.

3°)- se la propaganda del bene e la necessità di attaccare il male esigono l’impiego di termini un poco duri contro gli errori e i loro corifei riconosciuti, questo impiego non è assolutamente contrario alla carità. Vi è qui un corollario o una conseguenza del principio sopra dimostrato. Occorre rendere il male detestabile e odioso. Ora non si ottiene questo risultato senza mostrare i pericoli del male, senza dire quanto esso sia perverso, odioso e da disprezzare. L’arte oratoria cristiana di tutti i secoli autorizza l’impiego delle figure retoriche più violente contro l’empietà. Negli scritti dei grandi atleti del Cristianesimo, l’uso dell’ironia, dell’imprecazione, dell’esasperazione, degli epiteti “pesanti” è continuo. In questo campo l’unica legge deve essere l’opportunità e la verità.

Esiste ancora un’altra giustificazione per questo uso di termini un poco duri.

La propaganda e l’apologetica popolari (esse sono sempre popolari quando sono religiose) non possono conservare le forme eleganti e temperate dell’accademia e della scuola. Per convincere il popolo occorre parlare al suo cuore e alla sua immaginazione che non possono essere toccate che da un linguaggio colorito, bruciante, appassionato. Essere appassionati non è reprensibile quando si è tali per un santo ardore di Verità.

Le pretese violenze del giornalismo ultramontano moderno non solo sono molto inferiori a quelle del giornalismo liberale, ma esse sono ancor più giustificate da tutte le pagine delle opere dei nostri grandi polemisti cattolici delle epoche migliori, ciò che è facile da verificare.

San Giovanni battista cominciò col chiamare i farisei: “razza di vipere”. Gesù Cristo nostro Signore lanciò loro gli epiteti “di ipocriti, di sepolcri imbiancati, di generazione perversa e adultera” senza per questo credere di macchiare la santità della sua predicazione così misericordiosa.

San Paolo stesso diceva degli scismatici di Creta che essi erano dei “mentitori, delle bestie selvagge, fannulloni obesi”. Il medesimo Apostolo definisce il mago Elymas “seduttore, uomo pieno di frode e di furberia, figlio del diavolo, nemico di ogni verità e giustizia”.

Se noi apriamo la collezione delle opere dei Padri, incontriamo dappertutto degli scritti di questa natura. Essi li impiegarono senza esitare, in ogni occasione, nella loro eterna polemica con gli eretici. Limitiamoci a citarne qualcuno dei principali.

San Girolamo discutendo con l’eretico Vigilanzio gli getta in faccia la sua antica professione di teatrante. “Dai tempi della tua prima infanzia, gli disse, tu apprendesti altra cosa che la teologia e ti abbandonasti ad altri studi. Verificare nello stesso tempo il valore delle monete e quello dei testi delle Scritture, degustare i vini e possedere il significato dei Profeti e degli Apostoli: queste non sono certamente cose in cui lo stesso uomo possa cavarsela con onore”! È facile rendersi conto della predilezione del Santo controversista per questa maniera di discreditare il proprio avversario. In un’altra occasione, attaccando il medesimo Vigilanzio, che negava l’eccellenza della verginità e del digiuno, gli domanda, col suo solito buon umore, se il motivo della sua opposizione a queste virtù non fosse il minore afflusso che avrebbero causato ai suoi spettacoli.

Oddio! Che grida avrebbero gettato i critici liberali, se uno dei nostri controversisti avesse scritto in questo modo contro l’eretico del giorno!

Che diremmo di San Giovanni Crisostomo? La sua famosa invettiva contro Eutropio non è paragonabile, dal punto di vista del carattere personale e dell’aggressività, che alle più crudeli invettive di Cicerone contro Catilina o contro Verre. Il dolce San Bernardo non era certamente mellifluo allorquando si trattava dei nemici della Fede. Indirizzandosi ad Arnaldo da Brescia, il grande agitatore liberale del suo tempo, egli lo definisce in tutte le lettere “seduttore, vaso di iniquità, scorpione, lupo crudele”!

Il pacifico San Tommaso d’Aquino dimentica la calma dei suoi freddi sillogismi per lanciare contro il suo avversario, Guglielmo da Saint-Amour e i suoi discepoli, le violente parole che seguono. “Nemici di Dio, ministri del diavolo, membra dell’anticristo, ignoranti, perversi, riprovati”. Mai l’illustre Louis Veuillot ne ha dette tante!

Il serafico San Bonaventura, così pieno di dolcezza, si serve contro Gérald di tali epiteti: “impudente, calunniatore, spirito di malizia, empio, pubblicano, ignorante, impostore, malfattore, perfido e insensato”.

Nei tempi moderni noi vediamo apparire la splendida figura di San Francesco di Sales che per la sua delicatezza squisita e la sua ammirevole mansuetudine hanno chiamato “l’immagine vivente del Salvatore”. Voi credete che egli ebbe dei riguardi per gli eretici della sua epoca del suo paese? Vediamo dunque!

Egli perdonò loro le ingiurie e li riempì di benefici, arrivò fino a salvare la vita di quelli che avevano attentato alla sua, fino al punto di dire ad uno dei suoi avversari: “se voi mi strappaste un occhio, io non smetterei con l’altro di guardarvi come un fratello”; ma con i nemici della Fede, egli non conservava alcuna moderazione, alcuna considerazione.

Interrogato da un cattolico desideroso di sapere se gli era permesso di parlare male di un eretico che spargeva cattive dottrine, egli gli rispose: “Sì, voi potete farlo, a condizione di attenervi all’esatta verità, a ciò che voi sapete della sua malvagia condotta, presentando ciò che è dubbioso come dubbioso e secondo il grado più o meno grande di dubbio che voi avrete a questo riguardo”.

Nella sua “Introduzione alla vita devota”, libro così prezioso e popolare, egli si esprime più chiaramente ancora: “I nemici dichiarati di Dio e della Chiesa, dice a Filoteo, devono essere biasimati e censurati con tutta la forza possibile. La Carità ci obbliga a gridare al lupo, quando un lupo si sia infiltrato in mezzo al gregge e allo stesso modo in quei luoghi in cui vi sia il rischio di incontrarlo”.

Sarà dunque necessario per noi di fare un corso pratico di retorica e di critica letteraria per affrontare i nostri nemici? Insomma, noi abbiamo appena detto ciò che c’è di vero nella questione tanto dibattuta delle forme aggressive utilizzate dagli scrittori cattolici ultramontani, cioè dai “veri” cattolici. La carità ci proibisce di fare agli altri ciò che ragionevolmente non vorremmo che fosse fatto a noi. Notate l’avverbio “ragionevolmente”, esso specifica tutta l’essenza della questione.

La differenza essenziale che esiste tra la nostra maniera di vedere e quella dei liberali a questo proposito, consiste nel fatto che essi considerano gli “apostoli” dell’errore come dei semplici cittadini liberi, che usano il loro pieno diritto quando esprimono il proprio parere, in materia di religione, diversamente da noi. Di conseguenza essi si credono tenuti a rispettare l’opinione di chiunque e di non contraddirla se non nei termini di una discussione libera.

Noi altri, al contrario, vediamo in essi i nemici dichiarati della Fede che noi siamo “obbligati” a difendere. Noi non vediamo nei loro errori delle libere opinioni, ma delle eresie formali e colpevoli, nel modo che ce lo insegna la Legge di Dio.

   È dunque con ragione che un grande storico cattolico ha detto ai nemici del cattolicesimo: “Voi vi rendete infami con i vostri atti ed io arriverò a coprirvi d’infamia con i miei scritti”. In questo stesso modo la legge delle 12 tavole ordinava alle virili generazioni dei primi tempi di Roma: Adversus hostem aeterna auctoritas esto! Ciò che può essere tradotto così: “contro il nemico, mai nessuna tregua!”.

s. Agostino

Cap. XXIII

Conviene, mentre si combatte l’errore, combattere e screditare la persona che lo sostiene ?

   Passi la guerra contro dottrine astratte, dirà qualcuno. Ma conviene combattere l’errore, per quanto evidente esso sia, abbattendosi e accanendosi contro le persone che lo sostengono?

Ecco la nostra risposta!!:

Si, spesso conviene e non solamente conviene, ma ancor più è indispensabile, meritorio davanti a Dio e davanti alla società, che sia così.

Questa affermazione deriva da ciò che è stato precedentemente esposto, tuttavia noi vogliamo trattarla qui ex-professo tanto è grande la sua importanza.

L’accusa di fare dei personalismi non è di solito rivolta agli apologisti cattolici se non quando gli intaccati di liberalismo gettano quest’accusa contro uno dei nostri, e sembra loro che non vi sia più niente da appurare per la sua condanna. Tuttavia essi si sbagliano, sì, in verità, si sbagliano. Occorre discreditare e combattere le idee malsane e ancor più bisogna ispirare l’odio, il disprezzo e l’orrore, verso queste idee, nella moltitudine che cercano di sedurre e reclutare.

Le idee non si sostengono in alcun caso da se stesse, esse non si diffondono né si propagano per il solo fatto di esistere; non potrebbero da sole produrre tutto il male di cui soffre la società. Esse assomiglierebbero a frecce o a pallottole che non ferirebbero nessuno, se non si usassero archi o fucili.

È dunque contro l’arciere e il fuciliere che deve rivolgersi, innanzitutto, colui che vuol metter fine ai loro tiri assassini!

Qualsiasi altro modo di guerreggiare sarà liberale quanto si vorrà, ma sarà insensato. Gli autori e propagatori di dottrine eretiche sono dei soldati che usano delle armi caricate con proiettili avvelenati. Le loro armi sono il libro, il giornale, il discorso pubblico, l’influenza personale [oggi i mezzi di comunicazione –n.d.r.-]. È sufficiente portarsi a destra o a sinistra per evitare i colpi? No, la prima cosa da fare, la più efficace, è quella di eliminare il tiratore.

Così dunque conviene togliere qualsiasi autorità, qualsiasi credito al libro, al giornale e al discorso del nemico, ma conviene anche, in certi casi, fare altrettanto per la sua persona, sì, per la sua persona che è incontestabilmente l’elemento principale della lotta, come l’artigliere è l’elemento principale dell’artiglieria e non la bomba, la polvere e il cannone.

È dunque lecito in certi casi rivelare al pubblico le sue infamie, ridicolizzare le sue abitudini, trascinare il suo nome nella polvere!

Si, lettore, ciò è permesso, permesso in prosa, in versi, in caricatura, in un tono scherzoso o meno, con tutti i mezzi e procedimenti che l’avvenire potrà inventare. Importa solamente non mettere la menzogna al servizio della giustizia. Questo no, sotto nessun pretesto può essere portata offesa alla Verità, nemmeno d’uno iota.

Ma senza uscire dai suoi stretti limiti si può ricordare questa parola di Cretinau-Joly e trarne profitto: la Verità è la sola carità permessa alla storia, si potrebbe anche aggiungere: e alla difesa della Religione e della Società. Ed i Padri che noi abbiamo già citato forniscono la prova di questa tesi. Gli stessi titoli delle loro opere affermano chiaramente che nelle loro lotte con le eresie, i loro primi colpi furono diretti contro gli eresiarchi.

Le opere di Sant’Agostino portano quasi tutte in prima pagina il nome dell’autore dell’eresia che combattono: Contra Fortunatum Manichoeum; Adversus Adamanctum; Contra Felicem; Contra Secundinum; Quis fuerit Petilianus; De Gestis Pelagii; Quis fuerit Julianus, etc.; in tale maniera la maggior parte della polemica del grande dottore fu personale, aggressiva, biografica, per così dire, quanto dottrinale, lottando corpo a corpo con l’eretico, non meno che con l’eresia.

Ciò che noi diciamo di Sant’Agostino, potremmo dirlo di tutti i santi Padri.

Da dove il liberalismo ha dunque tratto la nuova obbligazione morale di non combattere l’errore se non facendo astrazione delle persone, se non elargendo agli eretici incensamenti e sorrisi? Si attengano piuttosto alla Tradizione cristiana e ci lascino, noi gli ultramontani [ed oggi i “veri” cattolici – n.d.r. -], difendere la SANTA FEDE come è stata sempre difesa nella Chiesa di Dio.

Che la spada del polemista cattolico ferisca, che essa ferisca, che vada dritta al cuore !

È questa l’unica maniera reale ed efficace di combattere!!!