LE BEATITUDINI EVANGELICHE (-7B-)

LE BEATITUDINI EVANGELICHE (7B)

[A. Portaluppi: Commento alle beatitudini; S.A.L.E.S. –ROMA, 1942, imprim. A. Traglia, VIII, Sept. MCMXLII]

CAPO SETTIMO

Beati pacifici: quoniam filii Dei vocabuntur.

[Beati i pacifici perché saran chiamati figli di DIO]

III

IL SEGRETO DELLA NOSTRA PACE

DISTACCO

Chi tiene il cuore avvinto ai beni di questa terra non può aver pace. Se giovane, è insaziabile di soddisfazioni, di ambizioni, di piaceri; se vecchio, è intollerabile e disperato per tutti gli acciacchi inerenti alla sua età intermedia, spasima fra quello che sfugge e quello che non può raggiungere ed è infelice. L’uomo, così fremente d’insani desideri e di avidità incomposte, si trova in una condizione in cui nessuna cosa al mondo lo può saziare. Il sogno supera sempre la capacità di acquisto. È quindi in un tormento che non lascia requie, che logora la fibra fisica e deprime le energie morali. Qui è giocoforza richiamare le parole del Signore intorno al seme, che per svilupparsi ha bisogno di essere messo nel solco e di morirvi. Soltanto allora cesserà di essere solo e si moltiplicherà. Così l’uomo, il quale con gesto deciso della sua volontà, si stacca dai sentimenti, che lo fanno schiavo delle circostanze della vita, dai suoi comodi, dalle sue ambizioni, dai suoi sogni e si decide di vivere con la maggiore docilità alla volontà di Dio, volgendosi dove Lui vuole, desiderando di fare ciò da Lui gli viene indicato, sarà in pace con se stesso e con la vita. Nulla giustifica la schiavitù degli uomini soggetti alle cose; e neppure si può lecitamente parlare di stoicismo e di buddismo a proposito della rinuncia cristiana. Quelli sono una spinta egoistica di liberazione da tutte le sollecitudini presenti, questa è al contrario suggerita al fine di adempiere con scioltezza i più ardui e difficili doveri ad onore del Signore e a bene del prossimo. Fare per Lui è un titolo che ci eleva, fare secondo il suo beneplacito è una condizione spirituale che ci garantisce contro ogni slittamento verso l’ignobile interesse. Appare chiaro, che, per lo schiavo volontario e abituale dei piaceri mondani, non ci sia via di salvezza, senza il sorgere nel suo cuore d’un nuovo oggetto d’amore, che faccia scendere sotto l’orizzonte della sua vita l’antico pianeta. Ma esso deve riuscire talmente attraente e splendido da non poter essere che Dio e la sua gloria. A questa condizione l’uomo sarà salvo.

INDIPENDENZA

Chi è responsabile d’una famiglia ha il dovere di provvedervi. Ma forse, che occorra per questo farsi ligi e incatenati alle cose materiali? Queste han da servire noi, non viceversa. E l’amore di Dio è veramente prodigioso nel darci l’indipendenza perfetta anche nel possesso d’ogni bene. « Nihil habentes et omnia possidentes ». La scioltezza e la libertà dei movimenti, anche fra gli interessi più urgenti, sono prerogativa delle anime care al Signore e che al Signore mantengono la loro fedeltà. Tutto basta e a tutto hanno attitudine; sembrano concentrate nelle cose di Dio e ti sanno trattare i più disparati affari della terra. Non è così dei religiosi e delle religiose, sovente? Ma questo accade anche tra le nostre migliori mamme e i nostri Cristiani solidi e più uniti al Signore con isacramenti. Il senso giusto della pietà, conferisce anche quello giusto dei doveri della vita presente. Osserva pure i Santi fondatori. Sono gli uomini più pratici e produttivi che si conoscano. San Vincenzo de’ Paoli? San Carlo Borromeo? Don Bosco! Potevano dare molti punti ad industriali di grande nome. È vero, che anche più generosa era la Provvidenza divina con questi amici, fiduciosi in lei sino all’inverosimile. Ma anche le situazioni più scabrose essi seppero superare in serenità stupenda. Dio c’è bene per tutti, se vogliamo confidare in Lui. Si tratta di chiedergli questa magnifica virtù, propria dei figli di Dio. La pace allora ravvolge tutta l’azione nostra e ci fa tetragoni alle vicende più strane. Non si meraviglia dell’odio, che divora tanto sovente gli uomini; ma sa, che per questo essi vivono nel disaccordo e nella tribolazione. Dice san Giovanni Crisostomo, che « colui il quale attende a pacificare i fratelli, fa nella terra o città sua l’officio che la natura ha dato ai nervi del corpo, cioè di unire le membra e trarre l’uno all’altro per la loro salute. Ma questa virtù non ha forza se non in quei che prima vivono quietamente con se stessi. Altrimenti darebbe da ridere alla gente colui che volesse persuadere ad altri la mansuetudine e la tranquillità della mente, ed esso fosse veduto per ogni minima ragione adirarsi ».

LA PREGHIERA DI FAMIGLIA

Se la indipendenza dalle preoccupazioni eccessive della vita materiale è condizione di pace, non bisogna fermarsi tuttavia a questa, poiché è condizione solo negativa. Il segreto della pace dello spirito è l’unione con Dio. La quale è naturale attraverso la preghiera Che potenza d’azione abbia in sé la unione col Signore, quale forza di reale progresso sia la invocazione animosa e costante del divino aiuto, e come per suo mezzo l’anima religiosa si affini, si rassodi, si confermi nei propositi di bene, ognuno sa. La famiglia trova la sue serenità in questo appoggiarsi di tutti i giorni, di tutte le speranze, in tutte le angustie, sia con la preghiera privata e individuale, che con la collettiva, sul petto di Dio. La madre pia è il maggior tesoro della casa. Pia nel senso di una alta capacità di stare con Dio, di respirare con Lui, di abbandonarsi in Lui in tutte le contingenze della vita. Pia per una abbondante cognizione degli elementi fondamentali della fede e dei nostri doveri verso Dio, centro dei cuori e delle menti. Una moglie e madre pia, in tal senso luminoso e attraente, è una energia, una guida, un vessillo, che i familiari seguono con devota riconoscenza. Dove è intelligenza e soprattutto cuore ed equilibrio si va con fiducia, con rispetto e gratitudine lieta. Nessuno può a ragione parlare di bigottismo, nessuno di superfettazione o di gravame sullo spirito dei piccoli; poiché lì è l’anima più ariosa e serena, la parola più sensata e prudente, l’iniziatrice dei diporti che danno respiro nel compimento del dovere particolare. La donna che si raccoglie intorno la famiglia per la preghiera, è il centro d’una scena che non si circoscrive al momento, ma rimane e si svolge durante tutta la giornata e, vorrei dire, la notte. Ciascuno sul lavoro o nel riposo si sente parte di quel gruppo familiare e oggetto di quella energia materna (poiché anche il marito è da questo lato spirituale un poco il figlio di sua moglie) che non sospende mai il suo incarico di plasmatrice delle coscienze dei suoi. E vivono in questa atmosfera e dentro quella luce e in quella dolce temperie d’affetto. La preghiera così non è psittacismo vano e noioso, ma vibrazione di tutta l’anima e nutrimento di tutti gli strati della coscienza. Chi può ardire di spregiarla? Bisognerebbe disprezzare l’educazione stessa. Poiché la madre cristiana tutti gli aspetti della vita fa servire ad alimentare il senso del divino presente e attivo: nella natura, che in città è meno sentita, ma possibile con qualche accorgimento; nel cuore individuale, dove il giovinetto già avverte un mondo di cose in fermento: nell’intelletto, di cui Dio col suo Figlio Gesù, il rivelante, è stimolatore e guida in ogni lato provvida; nella stessa vita sociale, iniziale nel piccolo, m a influente sugli altri, Dio è rilevabile assai utilmente, con l’occhio del cuore d’una madre accorta e vivace. Sentire Dio è adorarlo, è servirlo, è diventarne apostolo. Sulle ginocchia di codeste madri, davvero si formano i figli atti a consolarne in seguito gli anni dell’inerzia forzata, ma nei quali si gode il gradito frutto della passata fatica. Di questa chiara pietà, che noi veneriamo nelle nostre mamme, riconosciamo il potente riformatore nella preghiera liturgica, dove parla di continuo Dio con la voce della Chiesa, maestra di pensieri, di fervori, di sentimenti equilibrati, di alte aspirazioni morali. L’ascoltare la Messa per la madre diventa un giornaliero arricchimento dello spirito e un colpo di leva di tutte le capacità educatrici.

IV

I PACIFICI SOMIGLIANO A DIO

L A PACE DI DIO

Perché mai ognuno di noi è preso dall’ammirazione per colui che offre il tipo d’una vita serena e tranquilla? La serenità è manifestazione di una padronanza di sé, che non si incontra frequentemente fra gli uomini. La serenità, intendiamo, che non è incoscienza e difetto di comprensione delle responsabilità della vita; ma quella la quale, malgrado il peso e le difficoltà di ogni giorno, ci rende atti a reprimere gli impeti della natura impaziente e ribelle al disagio e ci mantiene calmi, consapevoli e costanti. È la saggezza maggiore, quella per cui uno sa dire a se medesimo con sicurezza, che a tutto v’è rimedio. Viene dalla retta coscienza, nella quale la difficoltà non ha avuto origine colpevole; viene dall’innocenza in cui sta la ragione della attesa tranquilla, nella fiducia che gli avvenimenti si svolgeranno così da porre in rilievo la rettitudine. Dio è in pace con se stesso infinitamente; nessuna vicenda umana o dell’universo lo sorprende né lo turba; tutto gli rimane esteriore, essendo dentro di sé sconfinatamente pacifico e coerente. La sua unità fa sì che in Lui non sieno complicazioni di sorta; non si possano verificare contrasti o collisioni fra sentimenti opposti; non avvengano frizioni, né esitazioni di giudizio; non si rivelino incertezze nelle decisioni, le quali sgorgano da una intelligenza che è volontà, da una intuizione che è verità o aderenza perfetta ad una realtà ben nota in tutti i suoi intimi meandri, nelle sue stratificazioni e nelle sue esterne manifestazioni. L’unità di Dio esclude tutto ciò che può, in qualche misura e in determinati momenti, provocare squilibri o disaccordi. È pertanto una sola armonia la sua vita intima e misteriosa. Le tre Persone Santissime sono della medesima natura e sostanza. Le manifestazioni, che interessano noi, non hanno in sé possibilità di conflitti.  Tutto è concepito, esaminato e voluto nella più limpida omogeneità di un pensiero, che è completo e semplice, comprensivo nel senso più vasto, compatto e armonico. L’armonia di Dio nasce dall’amore che lo alimenta. Essendo tutto amore, Dio non può subire effetto di contrasti, di dissapori, di gelosie, di disparità di vedute, di dissimiglianza di gusti, di aspirazioni dissonanti, di sogni disuguali. L’amore è la forza unitiva, senza altri elementi che esso medesimo, svolgentesi nelle mille direzioni, che importano la ricchezza della sua vita interiore e delle sue espressioni vitali nel mondo umano e universale.

LA LEZIONE ALLE MADRI

Anche la immutabilità di Dio è coefficiente della sua intima pace. Perché noi facilmente mutiamo? Perché son pochi gli intelletti così vivamente intuitivi atti a cogliere con tutta prontezza il punto della verità e così coerenti da non subire influssi distraenti dal centro d’interesse. La nostra incapacità ci induce a diffidare di noi, anche quando avremmo ragione di rimanere tranquilli; la nostra instabilità ci porta a tremare ed esitare anche allorché potremmo ragionevolmente essere fermi nella scelta fatta e nella decisione fissata. Ma poiché in Dio non sono codeste incertezze e sarebbero irragionevoli in Lui, ecco la inconcussa pace e perfetta linearità e l’immutabile armonia nella sua vita molteplice e unica, milliforme e costante, sconfinatamente ricca e compatta. Il Signore è ammirabile. Eppure noi dobbiamo studiarci di imitarlo. Nessuna vanità in noi, ma neppure alcuna pusillanimità. Nessuna ragione di orgoglio in tanta nostra miseria, ma neanche puerile in certezza. Dio ci vuole riflessivi, poiché siamo fragili e parecchio ottusi, ci vuole umili, ricercatori modesti di consiglio dalla saggezza di chi ci guida, ma più dalla invocazione dello Spirito Santo. Fiduciosi e sereni, sino ad un totale abbandono in Dio e nella sua protezione. Il Signore può ben insegnare alla buona mamma come resistere contro la indisciplina interiore, che porta a mutar decisione ad ogni difficoltà. Chi governa ha il dovere d’essere molto lento a prendere certi provvedimenti senza lasciarsi impressionare, intimidire, turbare; ma preso che l’abbia, deve restare fermo e calmo nell’attuazione. Le esitazioni irragionevoli, le incertezze che vengono dai nervi tesi, non sono fatte per ispirare fiducia nei familiari. L’educatrice possegga un poco della fissità di Dio, come è tenuta a tornirsi della sua preveggenza. Il Signore soccorre la fatica della buona madre e la illumina. Come saprebbe superare certe giornate di angosciosa trepidazione? Durante una malattia, in un periodo di ribellione di un figliolo, nel turbamento cagionato dagli affari del marito, in un esperimento amoroso d’una ragazza: la madre mantiene il dominio su di sé e con mano ferma segue il corso dell’incidente, o lo gira oppure lo sconvolge e annulla come la prudenza le suggerisce. Ma il centro d’ispirazione rimane unico, immoto, sicuro, frutto di prove più o meno fortunate, ma tali da aprire l’animo alle suggestioni della saggezza. Lo Spirito Santo ha la sua funzione. Chiediamola a Lui, il quale, sollecito del nostro bene temporale ed eterno, ci richiama i suoi dettami di vita. E anche Gesù Signore è con noi. Non forse ci invitò sin dalla sua comparsa quaggiù ad avere fiducia, che egli provvederà al alleviare il nostro bisogno? « Jugum meum suave est, et onus meum leve » (Mt., X I , 30). Se sappiamo trasformare il disagio in titolo di merito per aderire a Lui, ecco che Egli lo allevia e lo rende gradito e soave. Sicché ciò che costituiva motivo di affanno e di pena, diviene vincolo più intimo e valido a servizio del bene. E dove era urto di sentimenti e più acerbo attrito di considerazioni, apparisce come per prodigio, una ragione di aderenza al Signore.

IMITARE DIO

Questo è secondare la sua santa volontà e renderci simili a Lui. Infatti la somma azione di Dio sulla nostra esistenza presente è la mutazione del male in bene; in questo settore della nostra prova ci facciamo a Lui somiglianti. Per altro sappiamo, che la nostra pace sta nella capacità di fare il suo volere. Nel quale è conforto e requie. Figli di Dio sin d’ora pertanto. Figli del suo potere e del suo dolore. Figli della sua volontà di perdono e del suo generoso amore. Noi passiamo sul medesimo sentiero della sua vita terrena e lo imitiamo nell’opera di redenzione delle anime nostre e dei fratelli. Nella atmosfera di pace in cui respiriamo così, noi solleviamo i nostri cuori dalle miserie che ci fasciano tutt’intorno e ascendiamo su verso le regioni del sereno perpetuo. Per altro non possiamo vivere isolati da Lui. La sua paternità opera sempre e noi non siamo in grado di scostarci. Figli suoi dobbiamo essere. Perché mai sottrarsi ad un amore tanto benigno e consolante? Quale vantaggio potremmo avere dal contrastare con Lui? Il Signore ci vuol possedere per nostra fortuna. « Nemo enim nostrum sibi vivit et nemo sibi moritur. Sive enim vivimus, Domino vivimus, sive morimur, Domini morimur. Sive ergo vivimus, sive morimur, Domini sumus » (Rom., XIV, 7-8). – Non mai siamo indifferenti per il Signore; poiché Egli ci ha fatto per Lui e non mira ad altro, che a conquistare la nostra libera decisione. La via sua abituale è quella dell’amore; e noi saremmo ben scarsi di intelletto se lo costringessimo ad usare, a suo dispetto, la via dell’asprezza e del castigo. Queste non si confanno al suo gusto. Siamo figli amorosi d’un Padre infinitamente amabile. Siamo dunque ansiosi di servirlo, di vivere per Lui; siamo fedeli agli impegni da Lui impostici, alla obbedienza da Lui intesa, alla rettitudine giustamente pretesa e la prodigalità del suo cuore ci farà sperimentare quanto bene ci voglia. Dio entra in ogni individuo per una porta diversa. Ma perché impedirgli di entrare? Che guadagno ne ricaveremmo? Non lo Tediamo ogni giorno? E non vale meglio la pace del cuore, che non ogni fatuo e illusorio bene del mondo? Facciamo pace in noi, teniamo pace con Dio, diventiamo sempre più figli suoi. A che disperdiamo il nostro tempo nel rincorrere le cose di questa povera esistenza? Non vediamo quanto poco esse hanno da offrirci e come il poco è vano? E come non avvertire, dopo alcuni esperimenti, che tutte insieme non riescono ad appagare la insaziabile fame dei nostri cuori? Perché non cercare ciò che si proporziona a questa fame? La mancanza di pace di tanta umanità viene da questo errore. Non vogliamo in noi almeno correggerlo?

V.

LA VIRTÙ SECONDO L’INDOLE DEL GIOVANE

I PACIFICI

Dapprima questi sono indotti ad amarla come per istinto di natura. Sono inesperti e quindi timidi. Osservano con curiosità la vita e vedono che è infestata da pericoli da ogni lato. Nella scuola, sul lavoro, nella compagnia dei discoli e dei violenti. La stessa vigilanza dei genitori e dei superiori suggerisce loro il desiderio d’essere sempre in pace con essi. È bello. Risulta anche utile. Dà soddisfazione a tutti. Perché impennarsi nell’alterco e destare conflitti? In pace si è sereni, si lavora, si è ilari. La coscienza dice, che in questo stato si meritano anche le benedizioni del Signore. – L’esempio dei grandi serve loro di confronto. Dove incontrano bizze, risentimenti, vendette, malignità sentono d’istinto la repugnanza d’ogni animo gentile; dove scorgono dominio di sé, benevolenza, generosità di perdono, cura della serenità con tutti, prudenza di rapporti soprattutto con i più sanguigni spargono gioia così da travolgere anche i meno pacifici. I giovani tendono a vedere la vita con la letizia di cui hanno inondata l’anima e le sorridono perché per essi è una grande promessa di felicità. Non si convincono delle parole che mirano a metterli in guardia contro le facili illusioni. Sorridono, quasi, delle pitture fatte a tinte fosche che loro narrano le delusioni, i tradimenti, gli inganni seminati dovunque, i trabocchetti disposti ai piedi di ogni esistenza giovanile. Rimangono un poco scettici, e par che dicano: Vedrete, che io non vi cascherò! Tutto armonia, bellezza, promesse di riuscite e di vittoria. L’ingegno è pure un fattore di speranze senza fine. La ricchezza o l’agiatezza vi coopera. La salute florida ne è un elemento principe. Pare al giovine, che potrà conquistare e trionfare senza grandi difficoltà. Pacificamente. Serenamente. Pare frutto della incoscienza dell’età, ma lo è, se mai, della natura.

MILITIA EST VITA HOMINIS SUPER TERRAM

Se non che viene l’ora della rivelazione. Gli scontri si effettuano; gli urti si impongono; bisogna, talvolta, per raggiungere la pace col prossimo, accettare la guerra e vincerla con calma, Nascondersi la realtà non è da saggio; e il giovine, senza esserlo ancora, s’avvede di uno svegliarsi di sentimenti non mai provati per l’innanzi. Si desta lo spirito di lotta e la sua intima consapevolezza prende nuove forme. Non è un risveglio gradito, sicuramente. Non può garbare allo animo retto e sincero la scoperta della necessità di lottare contro i doppi e gli ipocriti, o, comunque contro gli ambiziosi, gli irrequieti e i litigiosi. Il giovine non aveva per anco esperimentato l’esistenza di questa necessità nella vita. Ne è seccato. Ha una segreta tentazione di sbarazzarsene definitivamente. Liberarsene per sempre. Ma non è possibile. Bisogna subire  le condizioni della esistenza. Non v’è dunque il pericolo, che appunto queste condizioni corrompano nel giovine la visione della convivenza sociale e lo precipitino d’un colpo nella sfiducia e nella mediocrità? La tentazione è possibile e molte volte vince la inesperta resistenza di chi è sfornito di altri appoggi nella grazia e nella ispirazione superiore della coscienza. Giovani assenti alle pratiche religiose non sono generalmente in grado di superare la prova. Diventano scettici e si abbandonano a quella, che credono ormai essere la legge della convivenza umana. Non credere che all’interesse. Sono giorni neri questi. Un rivolgimento funesto si va come assestando a dispetto della educazione e dello stato d’animo anteriore. Semi di rivolta si sviluppano nel fondo dell’animo, che non aveva conosciuto se non l’adesione calma e schietta dalla disciplina. S’aderge di dentro perfino un senso di avversione a tutto il complesso educativo dal quale ebbe la sua formazione. Un sollevamento pauroso di mal umori, di dispetti, di antipatie, di intolleranze. Il cuore della madre, che deve essere guida in tali momenti, non dovrà dimenticare all’ultimo posto le voci della fede. Lo affidi il suo figliolo al ministro di Dio; glielo presenti con compiutezza di informazione; gli dia i suggerimenti opportuni affinché Egli possa penetrare l’anima scossa e darle quel soccorso caritatevole ed accorto, che sia proporzionato al caso. La crisi morale è crisi di coscienza e di fede. Tutta la vita interiore è compromessa. Ma la vittoria non è né impossibile né difficile. Se il giovine capisce la sua condizione e si serve dei mezzi che la grazia gli offre, potrà uscirne non soltanto bene, ma con profitto vero. Il suo passo si farà più celere sul sentiero del bene e la pace ritornerà nel cuore. La esperienza nuova lo avrà rassodato nell’apprezzamento del valore delle forze spirituali e della religione. Saprà, che l’anima s’arricchisce nel crogiolo della prova. Non la temerà per l’avvenire, quando immancabilmente tornerà. Ma dovrà trovare condizioni ben differenti; poiché la pace fatta di conquista, ha un pregio assai superiore a quella sussidiata solo dall’ambi ente. È una armonia acquistata passo passo, briciola per briciola con l’animo. Il quale sente fermentare dentro una pena acuta e salutare, tendendo con ogni cura all’alto, in una serena speranza di riuscita. Grazie a questo atteggiamento di umile fiducia il giovane, anche in seguito alla vittoria, si manterrà consapevole della sua lunga battaglia e delle proprie debolezze, supplite dalla attiva presenza del divino. L’umiltà e la diffidenza di sé accordata alla fiducia in Dio, lo salveranno.

IL CUORE CHE VINCE

Poiché egli rapidamente si orienta poi e riprende contatto con il suo mondo con sicuro ardire e col sorriso dell’animo, che aveva conosciuto le trepidazioni e le angosce. Fortunate le madri, che sanno essere così vicine e benefiche alle loro creature! Esse veramente sono di continuo rigeneratrici e sostegni, con abnegazione senza limiti e riposo. Il loro cuore vede, sente, compassiona e riesce a scoprire la via della energia, che si moltiplicherà e manterrà la saldezza dell’azione. Chi si scontra con un simile giovane potrà essere causa di disagio, ma non più di irritazione e di conflitto. La pace lo rese pacificatore. Gli somministrò gli elementi per rasserenare ogni spinto o almeno per renderlo innocuo. Tanta è la interna armonia che non può ammettere di smarrirla per cause  comuni. Al più, un avvenimento grave e preoccupante lo farà pensieroso e gli darà il tono severo delle grandi sollecitudini; non mai lo farà agitato e convulso, irritato e intollerante. Sappiamo, che soltanto colui il quale non ha il cuore avvelenato dalle eccessive cure del mondo, degli averi e del piacere, dispone della forza che vince queste battaglie. Ha la mente fissa ne’ suo proposito di equa considerazione delle cose e degli interessi di quaggiù. Non se ne lascerà smovere. Perché mai giocherebbe la sua pace per la perdita di qualche cosa di un pregio così limitato? E l’esempio suo avrà effetto e farà scuola intorno. La forma d’apostolato, che gli si offre, è più di fatti che di parole. Convincerà ognuno, che sia sincero, della santità delle sue idee, mostrando la pace e il dominio di sé, di cui è capace. C’è in fondo a codesti spiriti una tensione verso le cose celesti. E sono pertanto anime eroiche. Personali, costruttrici, ferme, ricche di risorse per fazione, ornate di una robusta volontà, e utili a sé ed ai loro prossimi.

LE BEATITUDINI EVANGELICHE (-7A-)

LE BEATITUDINI EVANGELICHE (7A)

[A. Portaluppi: Commento alle beatitudini; S.A.L.E.S. –ROMA, 1942, imprim. A. Traglia, VIII, Sept. MCMXLII]

CAPO SETTIMO

Beati pacifici: quoniam filii Dei vocabuntur.

[Beati i pacifici perché saran chiamati figli di DIO]

I

I PACIFICI PORTANO PACE

La definizione di Sant’Agostino è classica, perché compiuta e perfettamente chiara. « Pax omnium rerum, tranquillitas ordinis— la pace d’ogni cosa è il riposo nell’ordine » (De civ. Dei, XIX, 13). Occorre pertanto un doppio elemento: l’ordine e il riposo in esso. Chi nutrisse un segreto istinto a sconvolgere l’ordine in cui vive, non possederebbe la pace, né saprebbe diffonderla. Essa impone tre gradini l’uno atto ad introdurre nell’altro: la pace nell’individuo, quella col prossimo, quella con Dio. Ma la radice è al terzo posto. Solo da Dio si inizia ogni lavoro fecondo. L’osservanza della legge nei confronti di Lui ci dà i mezzi per salire alla pace con i nostri simili e per renderci di Dio efficaci collaboratori.

« Pax multa diligentibus legem tuam — molta pace a coloro che amano la tua legge » (Sal., CXVIII). Non può sussistere ordine senza legge. E una legge, priva di autorità e di base chiara e sicura, non ha intima energia. Dio è pertanto l’elemento principe della pace; per questo, che Dio ne è la sorgente, così si chiamano « figli di Dio », in un senso sommamente onorevole, quanti sanno dargli mano nello stabilirla tra i suoi redenti. L’opera di pacificazione si inizia dall’individuo e si compie nella società, Il singolo deve riuscire ad armonizzare, quanto meglio sa, i movimenti dell’animo e deve assoggettarli alla ragione, che ha il diritto di guidare e di sorvegliare tutti gli appetiti inferiori. Così si stabilisce il regno spirituale dell’ordine, come mè voluto da Dio. Tutto un lavoro di rinuncia di repressione, di sorveglianza attiva è necessario. Ubbidire e rinunciare a tutto ciò che contrasta con la volontà di Dio, con la luce della quale occorre rischiarare la ragione nostra. Le coscienze illuse, che amano di mantenere un impossibile equilibrio tra la legge di Dio e quella del mondo, dettata da satana, e cercano di inchinare quella e di sorridere a questa, sciupano la loro i pocrita fatica.

LA VERA PACE

Saranno sempre nel turbamento e recheranno con sé, non la pace, ma la loro sottile contraddizione. Un senso di disagio creeranno fra coloro ai quali si vorranno rivolgere, per seminare il dono di Dio. La parola « pace » possiede una vera magìa all’orecchio dell’uomo. Come vivere perpetuamente in contrasto, in litigi, in alterchi? La vita diventa intollerabile all’uomo normale. Perciò ciascuno si proponga di seguire la volontà di Dio. Dall’osservanza di essa nell’obbedienza, promanano beni senza numero. Non è l’obbedienza l’espressione della nostra fiducia nelle disposizioni della Divinità? È il riconoscimento della sua volontà buona e del suo amoroso interessamento per il nostro felice avvenire. Dalla pace non si moltiplicano le più preziose opere dell’ingegno? La civiltà nelle sue forme meglio apprezzabili e universalmente utili, quelle che interessano il lato positivo del vivere civile, non nascono nei periodi turbati dalle diverse forme del sovvertimento, ma nel dominio della pace. Regolata dallo spirito dell’ordine, la vita produce. Nella discordia anche l’animo individuale è sterile per le attività costruttive. Il turbamento contrae l’iniziativa del pensiero e del cuore e isterilisce la volontà. V’è nondimeno chi osa accusare la pace e la difesa di essa come una confessione di debolezza, di acquiescenza davanti al male, di incoraggiamento al disordine e alla sopraffazione. Basta richiamare come il Signore Gesù amò l’ordine e la pace e come li tutelò. Ma è un vezzo condannevole quello di rappresentare i santi più amati per la loro mitezza, come inetti a far valere le ragioni del diritto. Non sarebbero devoti alla volontà di Dio; non amerebbero la sua legge; né agirebbero in conformità alla volontà della sua Chiesa. Come dentro di sé il Cristiano lotta e reprime al fine di difendere l’ordine della legge minacciato dai fermenti del male; così nella vita esterna e sociale egli è tenuto a non sottrarsi al dovere di correggere e anche di punire, per amore di quiete, per desiderio di piacere e di mantenere la pace. Che cosa è una famiglia in cui difetti questo nerbo di energia, imposto dal dover e di incoraggiare il bene e ostacolare il disordine? La pace da Gesù detta fonte di beatitudine non è inerzia e accidia. Essa ama l’ordine e sa difenderlo come imporlo. Il precetto cristiano è equilibrio; instabile ma progressivo; vigilato e deciso. Così nella famiglia l’autorità si esercita e si afferma con un senso di delicata responsabilità. In essa è una forza paterna di bene. E nella stessa Chiesa l’autorità mantiene la pace nell’ordine non senza sanzioni. Poiché essa deve esprimersi fuori nella vita sociale, occorre sia conservato il rispetto della legge, che per far trionfare il bene è costretta a reprimere ogni fomite del male. – Ma con questo siamo ben lontani dall’odio; giacché la pace nell’odio è la ipocrisia più nera. L’autorità secondo Dio deve saper raggiungere la difesa del diritto e della pace, senza ombra di fiele. « Vergine vereconda, scrisse san Bernardo (Modus vivendi ad Sororem, XXXV) ascolta; l’odio separa l’uomo dal paradiso, lo toglie al cielo. L’odio non si cancella per patimenti, per martirio non si purga, non si lava per effusione di sangue; non gli uomini dobbiamo odiare, ma i vizi. Chi odia il fratello è omicida. Chi odia il fratello è nelle tenebre. Non ama Dio, chi odia l’uomo. Tra l’ira e l’odio corre la stessa differenza, che tra la pagliuzza e la trave. L’odio è ira invecchiata; quella turba l’occhio della mente, questa acceca l’occhio del cuore. Sorella amatissima in Cristo; ascolta quel che dico. Se ti avviene di contristare una tua sorella, rendile soddisfazione. Se hai mancato contro di lei, mostrale il tuo pentimento. Se hai dato cattivo esempio, chiedi perdono. Va in fretta a riconciliarti. Non ti addormentare, se prima non hai dato soddisfazione, non ti riposare, prima di esser tornata alla pace ».

PERDONA !

« Se il tuo nemico è umiliato, non te ne rallegrare, onde a te non succeda lo stesso. Ma ti sia dolce dolerti con chi soffre. Compatisci alle altrui miserie, piangi con chi piange. Sorella venerabile, non esser dura e inesorabile. Se alcuno ti offende non gli render secondo la sua colpa, giacché il giudizio di Dio scenderà anche su di te. Perdona per essere perdonata… ». Non di meno il Cristiano, che ama la pace, la deve ottenere senza sacrificio della giustizia e del bene. Il suo compito non è sempre agevole. Talora si preferisce la tranquillità, anziché la reazione, che è difesa della verità e del retto. Sant’Ignazio di Loyola è esempio di questo senso di giustizia. La difesa della sua persona non lo scomodava; ma quella dell’Ordine nascente, sì. E allorché occorse ricorrere ai Tribunali, lo fece senza esitazione e non tollerò compromessi, ma volle arrivare alla piena dimostrazione dell’innocenza. L’indulgenza di fronte a una tiepida ritrattazione sarebbe stata più tardi abusata dai malevoli, per coprire di calunnie la Compagnia, la quale non avrebbe potuto servire utilmente la causa della verità, se non con un nome intemerato. I contrasti pertanto, che fossero imposti dalla tutela del bene, è un dovere affrontarli. L’indolenza nella difesa non è amor di pace, ma preparazione di disordini e di conflitti. È chiaro, che tutta questa prontezza nella reazione contro l’assalto del male, non esime dall’amore del prossimo.

« Uccidete l’errore, amate gli erranti » è la formula giusta e chiara. Non è da tutti certamente questa condotta; non tutti sono in grado di dominare gli impulsi del disordine interiore. Tuttavia è l’insegnamento del Signore, verso il quale è dover nostro di andar conformando la nostra condotta. Per questa via noi ci manteniamo aderenti all’amore del prossimo e non compromettiamo la divina figliolanza che tanto ci onora. Chi ama vivere nella pace e diffonderla largamente, sarà chiamato figlio di Dio. Infatti il Signore è nella pace, perché è nell’ordine. Perfetto l’ordine, perfetta e solenne la pace. La quale in Dio è sommamente attiva e feconda. Dobbiamo tendere verso codesto ordine, per rendere produttiva la nostra vita presente. Purtroppo noi siamo appassionati di pace; ma poiché difettiamo d’equilibrio, abbiamo l’animo sempre tendente alla guerra.

II

PORTARE LA PACE CON LE OPERE

LE OPERE DELLA PACE

Quando tu vuoi sapere quali sieno le convinzioni del tuo prossimo, puoi interrogarlo. Ma la parola non basta a dar garanzia di veracità. C’è un mezzo più aderente e sicuro; quello di osservare il tono delle sue opere. Se opera correttamente e con fine onesto, allora non v’è dubbio. L a sua coscienza è retta e ci si può affidare senza tema. I fatti sono garanti. I sacrifici delle opere buone sono testi che non soffrono smentite. Sono appunto queste che recano con sé la pace. Nell’individuo sono pacificatrici perché gli danno la prova della sua reale o fittizia armonia con il dovere e con Dio; e nei rapporti sociali offrono modo di accorciare le distanze, di dare la mano a chi è caduto, di accentuare il sorriso dei cuori schietti e devoti. Nella mia personale coscienza mi pacifico davvero, se so di poter dare a me medesimo il documento della mia coerenza. Qualunque sia la ragione del turbamento, l’uomo allora sa di camminare sulla via del giusto e dell’onesto. Se qualche motivo di umiliazione sussiste, ognuno ha i mezzi per riprendersi e ricalcare il sentiero della virtù. Le opere sono davvero impegnative per lui e con efficacia implorano da Dio quegli aiuti straordinari, che fossero necessari. Chi fa il bene « ama » secondo il senso di sant’Agostino e si trova in condizione di rimanere tranquillo e fiducioso. – Le deficienze sfumeranno via via al sole ardente della carità. Io non finisco di lodarmi della funzione delle Conferenze di san Vincenzo, perché vi scopro sempre meglio uno stupendo strumento di bonifica spirituale e di santificazione. I confratelli e le consorelle portano la pace e la moltiplicano dentro di sé. Sono essi gli apostoli della verità nelle opere e i facitori di Dio col sacrificio. Nel silenzio e nella umile prestazione appaiono sempre meglio veicoli di benedizione per le famiglie nelle quali vien dato modo di agire. La serenità dello spirito, la condiscendenza benevola, la comprensione del bisogno la quale è frutto di esperienza talvolta vasta e sicura, la rinuncia al proprio comodo a servizio del povero, la grazia di Dio emanante dal contegno rispettoso e modesto, imprimono nell’azione del Confratello e della Consorella il segno indelebile della pace e così comunicano il massimo tesoro.

FIDUCIA NELLA PROVVIDENZA

Quali dovranno essere le condizioni di spirito necessarie a condurre a buon termine il lavoro di apostolato, pur essendo estranei alla gerarchia ecclesiastica? Credo, sia la fiducia nella Provvidenza. Non spaventarsi e non spaventare. È chiaro, che noi ci troviamo davanti a prospettive mai pensate. Come sarà per risolversi questa crisi, non siamo i n grado di prevedere. Siamo tuttavia sicuri, che lo sarà nel senso voluto da Dio. Ebbene questa certezza è tale da farci sereni e tranquilli. La storia ci insegna qualcosa. Tutti gli attacchi diretti contro il diritto di adorare che è nell’uomo furono per lui altrettanti preludi di vittoria. Pensiamo ai secoli barbari, allorché scendendo dal settentrione le torme dei soldati, avidi di bottino e di sole, stupiti di bellezza nel nostro paese, abbattevano ogni resistenza con la più paurosa devastazione. – Come risulta dai discorsi di san Gregorio Magno, pareva prossima la fine del mondo. Non era tutto ciò che l’inizio del medioevo, l’epoca del massimo trionfo sociale del Cristianesimo di Roma. Quando Dio spezza un mondo invecchiato lo fa per costruirne uno nuovo e giovane, nutrito di succhi vitali e di speranze. L’apostolo deve sentire questa sicurezza del divino soccorso, anzi della divina azione a servizio della sua civiltà in questo mondo umano, che è suo, che rimane ognora la ragione delle sue manifestazioni esterne e dei suoi diversi interventi nelle cose umane. Come è consolante questa certezza e quanto bene ci fa, mentre la vita scorre agitata e senza un’apparente meta! Da questo senso della presenza di Dio negli avvenimenti umani sgorga il modo e il metodo dell’azione verso gli avversari del proprio pensiero religioso. L’apostolo non è mosso da puntigli personali, da rivendicazioni limitate al proprio interesse; se dunque agisce e soffre per l’attuazione del pensiero divino, soltanto la carità fraterna può essere la forza motrice nei suoi rapporti sociali. La storia ci insegna, che il Cristiano dimentico del precetto della carità risulta inetto alla conquista, seppure sia ricco di talenti. L’ingegno ha un valore secondario, quello che assolutamente pesa è l’amore. Un amore aperto e cordiale, schietto nella opposizione all’errore, quanto rispettoso dell’errante, deciso nel combattere contro ogni forma d’ignoranza, ma con il garbo suggerito dal senso della comune fragilità e incompiutezza. Il rispetto delle forme e la interpretazione favorevole delle parole, conducono alla riuscita, attraverso la convinzione dell’avversario e la sua conquista alla verità alfine riconosciuta. Dove al contrario entra l’orgoglio o il semplice amor proprio, l a verità viene negata e vilipesa.

CARITÀ CORTESE

L’apostolo cristiano deve guardare all’umanità contemporanea come il samaritano del Vangelo. Essa, incamminata verso le mete indicate da Cristo, fu assalita dai ladroni, che la ferirono gravemente e la derubarono dei suoi tesori più apprezzabili, quelli contenuti nella fede cristiana. Quando i sacerdoti di Cristo, veri ministri di Dio, le si sono avvicinati per aiutarla, ella nel delirio li respinse con male parole, con ingiurie e villanie. La nostra missione è d’accostarla di nuovo, di esaminarne le ferite, di versare su di esse l’olio delle fraterne parole, dell’incoraggiamento cordiale. Può darsi, che essa, aperti gli occhi, e resasi consapevole dell’errore, o, comunque, scorgendo al suo fianco facce diverse e benigne, ci accolga cortesemente e ci ascolti. È possibile, che l’apostolo, cresciuto in una famiglia religiosa, si senta urtato se venga a contatto di certi ambienti e gruppi sociali? Egli incontra orgoglio fra la gente istruita, fatuità nella gente del mondo, ossessione del godimento brutale dei sensi nel povero popolo. M a sta appunto nel sacrificio del sentimento personale e del proprio gusto, un titolo di gran valore per possedere i n cambio l’anima del prossimo. Minore è la personale soddisfazione e maggiore sarà la probabilità di riuscita. L’umiltà dell’apostolo lo fa superiore e vittorioso. Che se la difficoltà è per il momento insuperabile, se la nostra fatica pare annullata e vuota di efficacia, sappiamo, che Dio tien conto d’ogni sforzo e lo fa fruttare sicuramente, allorché la sua misura sia stata raggiunta. In ogni caso sia larga la seminagione della verità. Sia appoggiata ad una vita coerente e fedele, generosa e schietta. Gli spiriti testimoni della solare lealtà d’una vivace fede personale, sono destinati a diventare il migliore sussidio dell’apostolo. Essi si comunicheranno le loro impressioni, le loro esperienze, le conclusioni delle loro indagini, e, vinto il senso di repulsione, imposto dal pregiudizio di parte, a grado a grado verso la verità. E Dio ha vinto. L’affermazione che oggi dobbiamo saper propagare deve essere la certezza sperimentale che il Cristianesimo è insostituibilmente necessario all’umanità.

[continua … ]

SALMI BIBLICI: “EXAUDIAT TE, DOMINUS, IN DIE TRIBULATIONIS” (XIX)

Salmo 19: “Exaudiat te, Dominus in die …”

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS.

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

TOME PREMIER.

PARIS

LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR RUE DELAMMIE, 13

1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

SALMO XIX

[1] Exaudiat te Dominus in die tribulationis;

protegat te nomen Dei Jacob.

[2] Mittat tibi auxilium de sancto, et de Sion tueatur te.

[3] Memor sit omnis sacrificii tui, et holocaustum tuum pingue fiat.

[4] Tribuat tibi secundum cor tuum, et omne consilium tuum confirmet.

[5] Lætabimur in salutari tuo; et in nomine Dei nostri magnificabimur.

[6] Impleat Dominus omnes petitiones tuas; nunc cognovi quoniam salvum fecit Dominus christum suum.

[7] Exaudiet illum de cælo sancto suo, in potentatibus salus dexteræ ejus.

[8] Hi in curribus, et hi in equis; nos autem in nomine Domini Dei nostri invocabimus.

[9] Ipsi obligati sunt, et ceciderunt, nos autem surreximus, et erecti sumus.

[10] Domine, salvum fac regem, et exaudi nos in die qua invocaverimus te.

[Vecchio Testamento secondo la Volgata

Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

SALMO XIX.

Preghiera del popolo a Dio per Davide, affinché dalla battaglia ritornasse vincitore.

Per la fine, salmo di David.

1. Ti esaudisca il Signore nel giorno di tribolazione, e sia tua difesa il nome del Dio di Giacobbe.

2. Egli spedisca a te aiuto dal luogo santo, e da Sionne ti porga sostegno.

3. Siangli graditi tutti i tuoi sacrifizi, e sia accettevole il tuo olocausto.

4. Dia a te quello che brama il cuor tuo, e adempia tutti i tuoi disegni.

5. Noi sarem lieti della salute che tu ci darai, e trionferemo nel nome del nostro Dio.

6. Adempia il Signore tutte le tue richieste; adesso ho conosciuto come il Signore ha salvato il suo Cristo.

7. Ei lo esaudirà dal cielo, dal suo santuario; nella potente mano di lui sta la salute.

8. Quelli parlano di cocchi, e questi di cavalli; ma noi il nome del Signore Dio nostro invochiamo.

9. E furono presi al laccio, e dieder per terra; ma noi ci rialzammo e fummo ripieni di vigore.

10. Signore, salva il re, ed esaudisci la nostra orazione nel di in cui ti invochiamo.

Sommario analitico

Questo salmo sembra essere una preghiera composta da Davide, che il popolo doveva recitare quando il suo re marciava per andare a combattere contro i suoi nemici. La maggior parte dei Padri e degli interpreti l’applicano in senso allegorico, a Gesù Cristo, ed alle vittorie che Egli ha riportato contro i nemici della salvezza.

Il popolo prega Dio perché accetti il proprio re:

I. – A causa di Dio stesso, che è:

a) il Signore del popolo di Israele;

b) il suo capo, il cui nome è sui suoi stendardi (1);

c) il suo re, che ha posto il suo trono in Sion (2).

II. – A causa del re, a) dei sacrifici che egli offre (3), b) delle preghiere che indirizza a Dio; c) dei saggi disegni che egli ha concepito (4).

III. – A causa del popolo di Dio,

a)che gioiràdella vittoria accordata al suo re (5);

b) che prega per lui prima del combattimento;

c) che presagisce il felice esito della guerra, a causa dell’unzione santa che ha ricevuto il re, a causa della potenza di Colui che risiede nell’alto dei cieli (7);

 d) che predice la sconfitta dei nemici di Davide, perché essi sono arroganti, e non pongono la loro fiducia nella forza delle loro armi, mentre Davide ed il suo popolo la mettono solo in Dio (8, 9);

e) esso rinnova le sue suppliche e le sue preghiere (10).

Spiegazioni e Considerazioni

I. — 1, 2.

ff. 1, 2. –  Il giorno della tribolazione per Gesù Cristo è stato soprattutto il tempo della passione, in cui avendo offerto a Colui che poteva salvarlo dalla morte le sue preghiere e le sue suppliche con forti grida e lacrime, è stato esaudito a causa del suo umile rispetto per suo Padre (Ebr. VII). – Il giorno della tribolazione per noi, è a ben vedere, tutta la nostra vita, che non è che un giorno, e meno di un giorno comparato all’eternità; ma in questo breve spazio di tempo che ci è dato vivere, quante tristezze, quanti dolori, quante prove ci si presentano una dopo l’altra! « L’uomo, nato da donna, breve di giorni e sazio di inquietudine » (Giob. XIV, 1). – Il nome di Dio rappresenta qui Dio stesso. Quando noi invochiamo il suo santo Nome, è Lui stesso che invochiamo; quando noi profaniamo il suo santo Nome, è Lui stesso che offendiamo; quando il suo Nome santo ci protegge, è Lui stesso che ci copre con la sua protezione. – Il combattimento che noi dobbiamo sostenere, « non contro la carne ed il sangue, ma contro i principati, contro le potenze, contro i principi di questo mondo di tenebre, contro gli spiriti di malizia disseminati nell’aria » (Efes. VI, 12). –  a noi è impossibile resistere a questi nemici il cui numero è prodigioso, il cui potere è così terribile, il regno così esteso, gli artifici sì sottili, la malizia sì consumata, se Dio non ci invia il suo soccorso dal suo luogo santo e non si costituisce nostro difensore (Duguet). –

II. — 3, 4.

ff. 3, 4. –  Il sacrificio che Gesù Cristoha offerto, sono le sofferenze che ha patito durante tutta la sua vita per la gloria di Dio, e l’olocausto, il sacrificio di tutto Se stesso con la morte in croce. – Quale più bell’augurio si può fare ad un prete che continua tutti i giorni ad offrire sull’altare il Sacrificio, l’olocausto che Gesù Cristo ha offerto una volta sulla croce? – Occorrono a Dio dei sacrifici, degli olocausti, una scelta di vittime; occorre che il cuore sia il ministro di questa immolazione, bisogna che i nostri progetti, i nostri disegni siano degni di essere protetti da Dio, e consumati sotto i suoi auspici (Berthier). – Il sacrificio di cui Dio si sovviene e che è gradito, è il sacrificio del cuore: « anche voi venite impiegati come pietre vive per la costruzione di un edificio spirituale, per un sacerdozio santo, per offrire sacrifici spirituali graditi a Dio, per mezzo di Gesù Cristo » (I Piet. II, 5). – Augurare a qualcuno che Dio gli dia tutto ciò che il suo cuore desidera, è un augurio legittimo, è un augurio fortemente legittimo riguardo ad un cuore puro, ma che sarebbe funesto per un cuore corrotto. Dio mostra la sua misericordia quando compie i disegni dei giusti; Egli esercita la sua giustizia quando esaudisce quelli dei malvagi, che Egli abbandona ai desideri del loro cuore (Duguet).

III — 5-10.

ff. 6, 7. –  L’effetto della carità, è gioire della felicità di altri come se fosse la propria. Effetto dell’invidia, è il rattristarsi per la prosperità degli altri e gioire dei loro mali. Glorificarsi in Dio, è la sola vera gloria. Non bisogna glorificarsi mai né nelle ricchezze, né nelle qualità dello spirito e del cuore, né nei doveri che si compiono, ed ancor meno nelle buone opere, ma in Dio solo (Duguet). Il Signore esaudisce sempre le richieste dei giusti, perché essi non domandando mai se non ciò che è a supporto della gloria di Dio e della loro salvezza, di Dio, che conosce meglio di loro ciò che conviene all’uno e all’altro, li esaudisce sempre, anzi spesso in un senso più elevato di ciò che essi intendono. – La salvezza temporale, qualunque essa sia, è sempre un effetto dell’onnipotenza di Dio, ma che cos’è nei confronti della salvezza eterna per la quale ci sono tanti e sì potenti ostacoli da vincere (Duguet). – « La salvezza che opera la sua destra è di una forza invincibile ». La nostra forza è nella salvezza che ci viene dalla sua misericordia, quando ci soccorre in mezzo alle nostre tribolazioni; di modo che la nostra stessa debolezza diventa la causa della nostra forza. Ma la salvezza che l’uomo riceve non dalla destra di Dio, ma dalla sua sinistra, è vana; essa non serve che a gonfiare di folle orgoglio i peccatori che la ricevono in modo passeggero (S. Agost.).

ff. – 7-9. –  La felicità, per la maggior parte degli uomini, è darsi una grande esistenza. Ma per essi questa grande esistenza è il corpo, sono i falsi beni che dipendono dal corpo e che periscono con lui. – Tutto ciò che brilla, tutto ciò che sorride agli occhi, tutto ciò che sembra grande e magnifico, diviene l’oggetto dei nostri desideri e della nostra curiosità. Quest’uomo crede di ingrandirsi con i suoi beni che aumenta, con i suoi appartamenti che amplia, con il suo territorio che estende, questa donna ambiziosa e vana crede di valere molto quando è carica di oro, di pietre e di mille altri vani ornamenti (Bossuet, Prof. De La Vall.). – Si ha un bell’essere a circondarsi di carri, di cavalli, di tutto questo apparato di forza e difesa in cui il mondo mette la sua fiducia e la sua gloria, si è di una estrema debolezza quando si è privi della forza di Dio.  C’è una forza invincibile nell’invocazione del Nome di Dio Salvatore. « perché nessun altro nome sotto il cielo è stato dato agli uomini per mezzo del quale dobbiamo essere salvati » (Act. IV). – Gli uni sono trascinati dalla rapida mobilità dei beni temporali, gli altri sono gonfi di orgoglio a causa degli onori in cui ripongono la loro gioia; noi al contrario, fissando la nostra speranza nei beni eterni, e dimentichi di ogni gloria, mettiamo la nostra gioia nel nome del Signore (S. Agost.). – L’effetto infallibile della fiducia nelle proprie forze e nel soccorso puramente umano, è come un legarsi ed incatenarsi senza aver affatto la libertà nei movimenti. L’effetto ugualmente infallibile della fiducia in Dio solo, è di elevarci, di ergerci al di sopra dei nostri nemici (Duguet).

ff. 10. –  Le nostre preghiere devono effondersi per tutti gli uomini, ma devono avere specialmente come oggetto i sovrani, quelli che sono costituiti in dignità, che San Paolo chiama « le potenze più elevate ». È un dovere il pregare specialmente per i depositari dell’autorità pubblica, perché essi contribuiscono all’ordine della società, che è buono in se stesso e che è voluto e stabilito da Dio.

UN’ENCICLICA AL GIORNO TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO: S. S. PIO VII – “DIU SATIS”

Dopo le burrascose vicende che caratterizzarono il Pontificato di S. S. Pio VI,  il suo successore, Papa Pio VII Chiaramonti, appena eletto, fa il punto della drammatica situazione in cui versa la Santa Sede, attaccata con terribili colpi portati dai facinorosi massoni delle rivoluzioni, in particolare contro la figura del Vicario di Cristo, garante del deposito della fede cristiana, principio di unità e santità della Chiesa di Cristo, e Pastore universale al quale è stata affidata la cura ed il pascolo delle anime redente da Gesù Cristo in vista della loro salvezza. Il Santo Padre, dopo una breve rievocazione del comportamento eroico del suo predecessore, Papa Braschi, si abbandona alla volontà ed alla Provvidenza divina, come anche la storia dimostrerà dalle vicende che lo vedranno lungamente perseguitato, cacciato dalla Sede romana, prigioniero ed infine provvidenzialmente restaurato nella sua Sede Apostolica. Ricordando Papa Martino I, altro Pontefice Romano martire, cacciato ed impedito nelle sue funzioni, egli accomuna queste vicende a quelle del suo predecessore, ma in realtà sono parole profetiche anche per se stesso, ché dovrà seguire un analogo doloroso cammino di persecuzioni. Questo dimostra come già all’epoca le forze del demonio erano scatenate contro la Chiesa di Cristo, ed in particolare contro il suo Capo visibile, il successore del Principe degli Apostoli. Oggi la persecuzione del Vicario di Cristo è ancor più crudele di quella dei Papi Martino, Pio VI e VII, perché il Vicario attuale è prigioniero ed impedito materialmente, tradito da tutti i prelati, più o meno finti, oltretutto oltraggiato dalle eresie ultra-moderniste della setta del novus ordo, dei sedevacantisti finti tradizionalisti, e dei fallibilisti disobbedienti eredi invalidi del cavaliere kadosh di Lille. Ma la stessa lettera si chiude con parole di speranza per tutti noi, noi sferzati dalle persecuzione delle eresie pestilenziali dei modernisti adoratori del signore dell’universo, degli scismatici di numerose sette, oltre che dalle eresie ben note degli empi protestanti delle migliaia di sette sparse per ogni dove a servizio di satana: « … Soprattutto è nostro dovere “mantener saldamente e difendere tale unità”, come ammonisce Cipriano (Dell’unità della Chiesa); guardando e ammirando questa, continua a pregare Gesù Cristo, “… il mondo abbia fede che sei Tu che mi hai mandato”. Perciò, fiduciosi nell’aiuto di Cristo che Ci assiste e non si allontana mai dal Nostro fianco e Ci dà forza con queste parole: “Non sia turbato il vostro cuore e non tema; come credete in Dio, così credete anche in me“, dedichiamoci, riunendo il nostro zelo e la nostra alacrità, alla comune salute …». Sono queste parole forti che devono spingere il “pusillus grex” a non temere, a non atterrirsi davanti alle ciclopiche difficoltà materiali e spirituali, a resistere nella certezza della vittoria finale di Nostro Signore che spegnerà con il soffio della sua bocca, ogni incendio suscitato dall’anticristo e dai suoi accoliti … et portæ inferi non prævalebunt … et IPSA conteret caput tuum…

Pio VII
Diu satis

Ci sembra di aver taciuto abbastanza a lungo con voi: ora sono trascorsi già due mesi di inquietudini e di fatiche, da quando Dio impose alla Nostra debolezza questo peso così grande, mettendoCi a capo di tutta la sua Chiesa; e Noi dobbiamo, non tanto per la consuetudine invalsa fin dai più antichi tempi, quanto per l’amore che vi portiamo (amore che, incominciato già da molto per i frequenti rapporti di collegio, sentiamo ora straordinariamente accresciuto e completo) parlarvi almeno per lettera; e nulla può esserCi più soave e gradito. A far questo Ci stimola con forte spinta la natura di quello che è il Nostro particolare dovere, natura così bene espressa dalle parole: “Conforta i tuoi fratelli”. E infatti, in questi tristi tempi di scompiglio, Satana, più che mai, “ci cerca tutti per vagliarci come grano”. Tuttavia, chi è tanto stolto e tanto avverso a Noi da non capire e vedere che Cristo Signore, anche in simili circostanze difficili e ostili, fece ciò che si può constatare, poiché aveva promesso di “pregare per Pietro, affinché non venisse meno la fede in lui”? I posteri certo saranno meravigliati per la sapienza, la grandezza d’animo e la costanza di Pio VI, al quale Noi siamo subentrati nel potere; così gli fossimo succeduti anche in quella virtù, che non poté essere distrutta né fiaccata dall’impeto di nessuna avversità né dall’accumularsi delle sciagure. Possiamo dire che egli rinnovò la forte e fedele difesa della verità e la fermezza nel sopportare affanni e stenti di quel Martino dal quale un giorno provenne così grande lode alla Nostra Sede; infatti, ferocemente cacciato dalla sua città a dalla sua Sede, spogliato di ogni autorità, onore e bene di fortuna, spinto a emigrare altrove appena gli sembrava di aver trovato un posto tranquillo; condotto in terre così lontane, sebbene fosse vecchio e ammalato da non poter fare il viaggio a piedi, sentiva per soprappiù le minacce di un esilio più crudele, e non avrebbe avuto di che nutrire sé e il suo esiguo seguito se qualche anima generosa non lo avesse soccorso; nonostante che ogni giorno la sua solitudine e la sua debolezza fossero messe a dura prova, tuttavia non venne mai meno a sé stesso, non si lasciò ingannare da nessuna frode, né turbare da alcun timore, né lusingare da speranze, né fiaccare da disagi e pericoli; e i suoi nemici non poterono cavargli fuori né una lettera né una parola che non provasse a tutti che Pietro “era vissuto fino a questo tempo nei suoi successori e rendeva giustizia, il che è non dubbio per nessuno ed è più che noto fin dalla prima età” come disse un autore assai quotato nel Concilio di Efeso. Si deve considerare di molta importanza e ricordare con animo grato il fatto che a Pio VI fu da Dio donata la morte (bisogna infatti dire così piuttosto che parlare di vita tolta) in un tempo nel quale più nulla ormai impediva che si eleggesse il suo successore secondo il rito.

Ricordatevi, Venerabili Fratelli, come eravamo preoccupati e trepidanti quando i Cardinali della Santa Romana Chiesa, cacciati anch’essi dalle loro sedi, in gran numero imprigionati, in parte uccisi, moltissimi costretti a attraversare il mare con un tempo orribile, spogliati dei loro beni, poveri, i più separati fra loro da grandi distanze, senza il permesso (poiché le strade erano occupate dal nemico) né di corrispondere fra loro per lettera, né di andare dove volevano e dovevano, davano a pensare che in nessun modo avrebbero potuto riunirsi per rimediare alla vedovanza della Chiesa secondo gli antichi costumi e usanze, se per caso Pio VI, che di giorno in giorno, a quel che sentivamo dire, era in pericolo di vita, avesse dovuto soccombere. Chi allora, in così sciagurate e quasi disperate circostanze, avrebbe osato sperare, in base solo a possibilità umane spirituali e materiali, ciò che doveva avvenire per singolare benevolenza divina, che cioè Pio VI non avrebbe lasciato questa vita prima che, stabiliti i comizi pontifici da tenersi dopo di lui, calmata quasi tutta l’Italia, riordinato tutto il Veneto, moltissimi Cardinali potessero trovarsi presenti a votare a favore e protezione del carissimo Nostro figlio in Cristo Francesco, nominato Apostolico Re d’Ungheria, illustre Re di Boemia e Imperatore dei Romani? – Riconoscano da ciò gli uomini che invano si tenterebbe di rovesciare la “Casa di Dio”, che è la Chiesa costruita su Pietro; il quale è Pietra di fatto e non solo di nome; e che contro questa Casa di Dio “le porte dell’Inferno non potranno prevalere, perché ha le fondamenta sulla pietra”. Tutti coloro che furono nemici della Religione cristiana, combatterono anche una nefanda guerra contro la Cattedra di Pietro, e finché questa resisteva, quella non poteva vacillare né indebolirsi: “e per l’ordinazione e la successione dei suoi Pontefici”, proclama a tutti Sant’Ireneo “venne fino a noi quella che è la proclamazione della verità e la più chiara dimostrazione che unica e identica è la Fede vivificatrice, che nella Chiesa fu conservata dai tempi degli Apostoli fino a ora, e tramandata in spirito di verità”. – Certamente per questa strada sono passati anche coloro che nella Nostra epoca cercarono di sostituire non so quale pestifera infezione di falsa filosofia a quella filosofia (come chiamano benissimo la dottrina cristiana soprattutto i Padri greci) che il Figlio di Dio con la sua eterna sapienza portò giù dal Cielo e impartì agli uomini. E benissimo contro di loro si scaglia con queste parole Paolo: “Sta scritto: accuserò la sapienza dei sapienti e disapproverò la prudenza dei prudenti; dove un sapiente, dove uno scriba, dove un ricercatore in questo secolo? Non fece Dio stolta la sapienza di questo mondo?”. Tanto più volentieri ricordiamo queste parole, Venerabili Fratelli, in quanto ristorano straordinariamente lo spirito e lo elevano e lo infiammano a non evitare nessuna fatica e nessuna lotta per la Chiesa di Cristo, che Egli consegnò e raccomandò a Noi (a Noi che non solo non osavamo desiderare questo, ma neppure Ci pensavamo, e anzi eravamo alquanto intimoriti), perché la governassimo proteggendola, la onorassimo e la ingrandissimo. Ed Egli sicuramente “farà sì che Noi siamo adeguati ministri del Nuovo Testamento, cosicché l’elevazione deriverà dalla virtù di Dio e non da Noi”. Per la qual cosa “cerco ora di commuovervi sinceramente” o Venerabili Fratelli (ciascuno dei quali sarà certamente inquieto e premuroso per conto suo), affinché siate d’accordo con Noi e portiate all’opera la vostra zelante e diligente collaborazione. – Abbiate sempre presente nell’anima quel che Gesù Cristo implorò da suo Padre: “Padre santo, conservali nel tuo nome, affinché siano una sola cosa, come noi… non solo per loro (cioè per gli Apostoli), ma anche per coloro che attraverso le loro parole crederanno in me, io prego che tutti siano una cosa sola, come tu, Padre, in me e io in te; che essi tutti siano una cosa sola in Noi”.

Soprattutto è nostro dovere “mantener saldamente e difendere tale unità”, come ammonisce Cipriano (Dell’unità della Chiesa); guardando e ammirando questa, continua a pregare Gesù Cristo, “il mondo abbia fede che sei Tu che mi hai mandato”.

Perciò, fiduciosi nell’aiuto di Cristo che Ci assiste e non si allontana mai dal Nostro fianco e Ci dà forza con queste parole: “Non sia turbato il vostro cuore e non tema; come credete in Dio, così credete anche in me”, dedichiamoci, riunendo il nostro zelo e la nostra alacrità, alla comune salute. – Città, castelli, campagne, distretti, province, regni, nazioni, già da tanti anni saccheggiati, torturati, immiseriti, rovinati, bramano un rimedio che li ristori: e questo non dobbiamo sperare di trovarlo altro che nella dottrina di Cristo. E possiamo ora con maggiore fiducia incitare quelli che ne sono ancora lontani, con le parole di Agostino: “Diano un esercito di soldati quali la dottrina di Cristo comandò che fossero, diano provinciali, mariti, mogli, genitori e figli, padroni e servi, re e giudici, infine contribuenti del fisco ed esattori come la dottrina di Cristo prescrive che siano”, e non potendo ottenere ciò “non esitino a proclamare che questa sarebbe la più sicura salvezza dello Stato, se si obbedisse”. – È dunque Nostro dovere, Venerabili Fratelli, soccorrere gli uomini e le popolazioni in angustie e scacciare dalle teste di tutti i mali che incalzano e minacciano e il pensiero dei quali Ci fa piangere; infatti “Gesù Cristo diede pastori e dottori per il compimento degli atti sacri, per il ministero e l’edificazione del corpo di Cristo: fino a che tutti siano giunti all’unità della Fede e della conoscenza del Figlio di Dio”. – E se qualcosa per caso distogliesse o impedisse alcuno di Noi dal diligente compimento di tale opera, di quale vergognoso delitto si renderebbe egli colpevole! Pertanto, o Venerabili Fratelli, vi preghiamo prima di tutto e scongiuriamo ed esortiamo e ammoniamo e inoltre vi ordiniamo di non trascurare nessun atto di vigilanza, di diligenza, di fatica per “custodire il deposito” della dottrina di Cristo; poiché sapete bene quali cospirazioni e da chi siano state fatte per perderlo. – E non annoverate nel Clero nessuno; non affidate a nessuno “l’amministrazione dei misteri di Dio”; non tollerate che nessuno riceva le confessioni o parli al pubblico dei fedeli; non date a nessuno alcuna funzione o incarico prima di avere attentamente esaminato, indagato e accuratamente provato se la sua anima sia conforme a Dio. Poiché “così non avessimo imparato per esperienza che grande quantità di pseudo-apostoli si sono diffusi in quest’epoca, pseudo-apostoli che sono subdoli lavoratori i quali si fanno passare per Apostoli di Cristo”, dai quali, se non facciamo attenzione, certamente “saranno corrotti i fedeli, come Eva fu sedotta dal serpente con l’astuzia, e decadranno dalla semplicità cristiana”. E bisogna che voi “badiate bensì a tutto il gregge nel quale lo Spirito Santo vi pose come Vescovi”; ma soprattutto i fanciulli e gli adolescenti reclamano la vigile, zelante, attiva opera del vostro paterno amore e della vostra benevolenza: i fanciulli e gli adolescenti che Gesù Cristo così caldamente raccomandò a Noi, sia con l’esempio che con le parole; e coloro che tentano di rovesciare le istituzioni pubbliche e private e di mettere sottosopra tutti i diritti umani e divini, hanno fatto ogni sforzo per avvelenare e corrompere le loro tenere anime, sperando così di compiere i loro premeditati misfatti. E infatti non ignoriamo che essi sono simili a cera molle e possono essere facilmente maneggiati, piegati da tutte le parti e plasmati: e una volta assunta una forma, crescendo induriscono in questa e la mantengono molto tenacemente, respingendone ogni altra; donde quel proverbio che va per le bocche di tutti: “Chi segue una data via nell’adolescenza, anche invecchiando non se ne allontanerà”. Non fate in modo, dunque, Venerabili Fratelli, “che coloro che si occupano di cose mondane siano più saggi di coloro che seguono nella loro vita giustizia e verità”. Considerate attentamente a quali uomini siano affidati i fanciulli e gli adolescenti nei seminari e nei collegi, in quali discipline siano istruiti, quali maestri siano scelti nei licei, che lezioni si tengano; sorvegliate assiduamente, indagate, esplorate ogni cosa; scacciate e tenete lontani “i lupi rapaci che non risparmiano” il gregge degl’innocenti agnelli; e se per caso si sono introdotti in qualche luogo spingeteli fuori e sterminateli immantinente, “secondo il potere che Dio vi diede per l’edificazione”. – La salute stessa della Chiesa, dello Stato, dei Principi e di tutti i mortali, salute che dobbiamo considerare molto più cara e più importante della nostra vita, esige che questo potere sia tutto da Noi esplicato nel distruggere quel mortale flagello dei libri. – Questo argomento trattò largamente e a fondo con voi il Nostro Predecessore Clemente XIII di felice memoria in una sua Lettera direttavi il 25 Novembre 1766. E non parliamo soltanto di strappare dalle mani degli uomini, di distruggere completamente bruciandoli quei libri nei quali si dà contro la dottrina di Cristo apertamente; ma anche e soprattutto bisogna impedire che arrivino alle menti e agli occhi di tutti quei libri che operano più nascostamente e più insidiosamente. Per riconoscerli “non c’è bisogno”, dice Cipriano (Dell’unità della Chiesa),di un lungo trattato e di argomentazioni; in breve, vi è una facile prova di verità: Dio dice a Pietro: Pascola le mie pecore”. Dunque le pecore di Cristo debbono ritenere salutare per loro quel pascolo nel quale le ha poste la voce autorevole di Pietro, a esso debbono dedicarsi e con esso nutrirsi: e stimare assolutamente peccaminose ed esiziali le cose dalle quali tale voce li richiami e li distolga; e non debbono lasciarsi attrarre da alcuna apparenza né travolgere da alcuna seduzione. Coloro che non si mostrano così obbedienti, non si possono certo annoverare fra le pecorelle di Cristo. Su questo punto, Venerabili Fratelli, non possiamo chiudere gli occhi, né tacere, né essere troppo indulgenti: se infatti non è frenata e repressa così grande libertà di pensiero e di parola, di leggere e di scrivere, sembrerà che per tanto tempo siamo stati sollevati dal male che da così lungo tempo ci affligge, per il senno e le forze dei più sapienti e potenti re e duci; ma che, scomparsa ed estinta la loro stirpe (inorridiamo nel dirlo, pure bisogna dirlo) quello dilagherà di più e acquisterà forza abbracciando tutta la terra, né per l’avvenire basteranno a distruggerlo o ad allontanarlo legioni di soldati, guardie, sentinelle, munizioni di città e fortificazioni di imperi. Ognuno di noi, Venerabili Fratelli, si sente commosso ed esaltato dal fatto che Dio ci assegnò il Profeta Ezechiele: “O figlio dell’uomo, io ti ho posto come vedetta nella casa di Israele: tu udrai dalla mia bocca la mia parola e l’annuncerai loro. Se quando io dico all’empio: morrai di morte, tu non glielo annuncerai… l’empio morrà nella sua malvagità: e io esigerò da te il suo sangue”. Queste parole, lo confessiamo, Ci vanno stimolando giorno e notte, e non Ci permetteranno mai di essere incerti o esitanti nell’adempimento del Nostro dovere; e vi promettiamo e garantiamo che non solo saremo il vostro collaboratore e fautore, ma anche il primo e il capo. – E inoltre vi è, Venerabili Fratelli, un altro “deposito da custodire” e da difendere con animo più che mai saldo e costante, quello cioè delle più sante leggi della Chiesa, sulle quali essa stabilì quella sua disciplina in cui sta il potere, per le quali fioriscono la pietà e la virtù, e per le quali la Sposa di Cristo “è forte come un esercito schierato in campo”; e la maggior parte delle quali sono gettate come fondamenta a sostenere il peso della Fede, per servirCi delle parole di San Zosimo.

Nulla può essere più vantaggioso e glorioso per i capi di città e per i re che “lasciare”, come l’altro valorosissimo e sapientissimo Predecessore Nostro San Felice prescriveva all’Imperatore Zenone, “lasciare… che la Chiesa Cattolica si serva delle sue leggi, e non permettere che alcuno si opponga alla sua libertà… Infatti è certamente salutare per i loro interessi che, trattandosi di cose divine, secondo la sua legge, cerchino di subordinare la loro regia volontà ai sacerdoti di Cristo, non di anteporla”. – Per quel che riguarda “il deposito” dei beni della Chiesa, “le quali ricchezze sono i voti, il sacro denaro, la sostanza delle cose sante, le cose di Dio”, come spiegano esplicitamente i Padri, i Concili e le Sacre Scritture, che cosa mai, Venerabili Fratelli, potremmo prescrivervi ora che la Chiesa è miserabilmente spoglia e priva di essi? Una cosa sola: di adoperarvi e di sforzarvi affinché tutti comprendano e si imprimano nell’anima ciò che un tempo il Concilio di Aquisgrana rinserrò in questa breve e chiara e meditata sentenza conclusiva: “Chiunque abbia portato via o abbia macchinato di portar via le cose che altri fedeli abbiano recate, prendendole fra i loro beni, per onorare Dio e ornare la sua Chiesa e per uso dei ministri di questa, allo scopo di risanare le loro anime: certamente ha trasformate in pericolo per l’anima sua le cose che gli altri hanno date”. – Abbiamo tutte le ragioni di affermare quanto segue col Nostro Precursore Sant’Agostino: “Non certamente da ostinata ricerca di vantaggi secolari, ma dalla considerazione del giudizio divino siamo spinti a ridomandare quelle cose che abbiamo l’ordine di amministrare con fedeltà e prudenza”. È chiaro che i re cristiani non lasciano vane le Nostre preghiere, esortazioni, ammonimenti o atti d’autorità, e così pure i capi di Stato, che affermano giustamente di essere stati chiamati da Isaia “balii” della Chiesa, e tali si vantano di essere; e la loro pia devozione, la loro giustizia e sapienza e fede, Ci danno tanta speranza e destano in Noi una così fiduciosa aspettativa, che riteniamo cosa sicura che essi faranno in modo che siano restituite immediatamente “a Dio le cose di Dio”, e che non correranno il rischio di sentir risonare alle loro orecchie queste parole di lamento di Dio: “Avete preso il mio argento e il mio oro, e le cose mie più belle e desiderabili”. – E non saranno diversi dai grandi Costantino e Carlo, dei quali andò famosa la generosità e l’equità verso la Chiesa: uno dei due confessò “di aver conosciuto molti regni e di aver visto i loro re cadere per aver spogliata la Chiesa”; per la qual cosa dichiara e imprime nell’anima ai suoi figli e a coloro che in seguito reggeranno lo Stato: “Per quanto è in nostro potere, in nome di Dio e di tutti i benefici dei Santi, proibiamo e impediamo che essi facciano tali cose, e che diano il loro consenso a coloro che le vogliono fare, ed esigiamo che siano con tutte le loro forze collaboratori e difensori della Chiesa e del culto divino”. E non bisogna nascondervi, o Venerabili Fratelli, alla fine di questa lettera “che grande è la mia tristezza e non ha tregua il dolore del mio cuore”, per i figli Nostri, che sono i popoli di Francia e tutti gli altri presso i quali non è ancora raffreddata la stessa furente pazzia. Che cosa potremmo desiderare di più che dare la vita per loro, se la loro salvezza potesse essere pagata con la Nostra morte? Non neghiamo, anzi teniamo sempre presente, che a diminuire e a sollevare il Nostro acerbo dolore molto valgono l’invitta forza d’animo e la costanza che moltissimi di voi hanno dimostrata, che ogni giorno abbiamo in mente e che uomini di ogni genere, età, classe sociale hanno seguito con meraviglioso impeto: uomini che hanno preferito patire ogni specie d’ingiurie, di pericoli, di supplizi, persino incontrare la morte, e hanno stimato tutto ciò più nobile per loro, che lasciarsi imbrattare da illeciti e delittuosi sacramenti, vincolarsi al delitto e disobbedire ai decreti e ai precetti della Sede Apostolica. A memoria Nostra, sono rinnovate tanto la virtù che la crudeltà dei primi tempi. E non vi è nessun popolo, in nessuna parte, che non sia compreso nel Nostro pensiero e nel Nostro paterno vigile amore; nessuno per il quale non Ci rattristiamo e non Ci affliggiamo crudelmente a causa del suo dissidio da Noi e dalla verità, e al quale non verremmo con esultanza in aiuto.

Unitevi a Noi nelle Nostre preghiere, affinché dopo tante e lunghe agitazioni “la Chiesa abbia pace, affinché sia edificata nel timor di Dio e nella consolazione dello Spirito Santo, e nulla ormai impedisca che di tutte le nazioni si faccia un solo ovile ed un solo pastore”.

Frattanto, a voi che siete così ben disposti e pronti e al Gregge che governate, con tutta l’anima impartiamo l’Apostolica Benedizione.

Venezia, dal Monastero di San Giorgio Maggiore, il 15 Maggio 1800, anno I del Nostro Pontificato.

DOMENICA IX DOPO PENTECOSTE (2019)

DOMENICA IX DOPO PENTECOSTE (2019)

Incipit

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Ps LIII: 6-7.
Ecce, Deus adjuvat me, et Dóminus suscéptor est ánimæ meæ: avérte mala inimícis meis, et in veritáte tua dispérde illos, protéctor meus, Dómine. [Ecco, Iddio mi aiuta, e il Signore è il sostegno dell’ànima mia: ritorci il male contro i miei nemici, e disperdili nella tua verità, o Signore, mio protettore.]
Ps LIII: 3
Deus, in nómine tuo salvum me fac: et in virtúte tua libera me.
[O Dio, salvami nel tuo nome: e líberami per la tua potenza.]
Ecce, Deus adjuvat me, et Dóminus suscéptor est ánimæ meæ: avérte mala inimícis meis, et in veritáte tua dispérde illos, protéctor meus, Dómine.
[Ecco, Iddio mi aiuta, e il Signore è il sostegno dell’ànima mia: ritorci il male contro i miei nemici, e disperdili nella tua verità, o Signore, mio protettore.]

Oratio

Orémus.
Páteant aures misericórdiæ tuæ, Dómine, précibus supplicántium: et, ut peténtibus desideráta concédas; fac eos quæ tibi sunt plácita, postuláre.
[Porgi pietoso orecchio, o Signore, alle preghiere di chi Ti supplica, e, al fine di poter concedere loro quanto desiderano, fa che Ti chiedano quanto Ti piace.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Corinthios.
1 Cor X: 6-13
Fatres: Non simus concupiscéntes malórum, sicut et illi concupiérunt. Neque idolólatræ efficiámini, sicut quidam ex ipsis: quemádmodum scriptum est: Sedit pópulus manducáre et bíbere, et surrexérunt lúdere. Neque fornicémur, sicut quidam ex ipsis fornicáti sunt, et cecidérunt una die vigínti tria mília. Neque tentémus Christum, sicut quidam eórum tentavérunt, et a serpéntibus periérunt. Neque murmuravéritis, sicut quidam eórum murmuravérunt, et periérunt ab exterminatóre. Hæc autem ómnia in figúra contingébant illis: scripta sunt autem ad correptiónem nostram, in quos fines sæculórum devenérunt. Itaque qui se exístimat stare, vídeat ne cadat. Tentátio vos non apprehéndat, nisi humána: fidélis autem Deus est, qui non patiétur vos tentári supra id, quod potéstis, sed fáciet étiam cum tentatióne provéntum, ut póssitis sustinére.

Omelia I

[A. Castellazzi: La scuola degli Apostoli – Sc. Tip. Vescov. Artigianelli, Pavia,

IL TIMOR DI DIO

“Fratelli: Non desideriamo cose cattive, come le desiderarono quelli. Non diventate idolatri, come furono alcuni di loro, secondo sta scritto: «Il popolo si sedette a mangiare e bere; poi si alzarono a tripudiare. Né fornichiamo, come fornicarono alcuni di loro, e caddero in un giorno 23 mila. Né tentiamo Cristo come lo tentarono alcuni di loro, e furono uccisi dai serpenti. Né mormorate come mormorarono alcuni di loro, ed ebbero morte dallo sterminatore. Or tutte queste cose accadevano loro in figura, e sono state scritte per ammaestramento di noi, che viviamo alla fine dei tempi. Colui, pertanto che si crede di stare in piedi, badi di non cadere. Nessuna tentazione vi ha sorpreso se non umana. Dio, poi, che è fedele, non permetterà eh siate tentati sopra le vostre forze: ma con la tentazione preparerà anche lo scampo, dandovi il potere di sostenerla”. (I Cor. X, 6-13).

Essere Cristiani non vuol dire essere esenti dalla vigilanza, e da una attenta vigilanza. Nell’Epistola della Domenica di Settuagesima abbiam visto come l’Apostolo per incoraggiare i Corinti alla perseveranza, oltre il proprio esempio, portò l’esempio dei Giudei, i quali, quantunque usciti in gran numero dall’Egitto, dopo aver ricevuto grandi benefici dal Signore, solamente in numero di due poterono entrare nella terra promessa. L’Epistola di quest’oggi continua quel brano. Vi sono enumerate alcune prevaricazioni degli Ebrei e i castighi, che ne seguirono, e si esortano i Corinti a non imitarne l’esempio; poiché quanto avvenne agli Israeliti sarà figura di quanto avverrà a noi Cristiani, se abuseremo delle grazie del Signore. – E noi non abuseremo certamente delle grazie del Signore, se avremo il timor di Dio, il quale:

1 Ci fa evitare il peccato,

2 Ci rende diffidenti di noi,

3 Ci lascia calmi e fiduciosi in Dio, durante le prove.

1.

Le prevaricazioni degli Ebrei, dopo la loro uscita dall’Egitto, ebbero da parte di Dio la meritata punizione. La storia di questa punizione e dei conseguenti castighi, deve servire di esperienza, perché tutte queste cose accadevano loro in figura, e sono state scritte per ammaestramento di noi. Dunque, le punizioni di Dio, prefigurate in ciò che accadde agli Ebrei, devono attendere anche i Cristiani che, invece di mostrarsi grati a Dio per i benefici ricevuti, e che ricevono quotidianamente, lo offendono con i peccati. – E lo offendono, perché non temono il Signore. «Il timor di Dio fa odiare il male» (Prov. VIII, 13). L’uomo che ha tanto paura di commettere cosa che possa offendere il suo simile, mortale come lui, ludibrio degli eventi; oggi forte, domani debole; oggi stimato, domani disprezzato, abbandonato; come potrebbe indursi a commettere il male sotto gli occhi di Dio, se pensasse che quel Dio che lo vede, lo giudicherà? Non si pensa a Dio, e si opera come se Dio non esistesse. E da questo errore ne consegue un altro: si fa il male senza badare alle sue conseguenze. Si pecca, ma non si tien conto che «Agli empi e ai peccatori Dio renderà il loro castigo» (Eccli. XII, 4). I servi non osano commettere mancanze alla presenza del loro padrone. Se avvengono degli alterchi, avvengono quando e dove il padrone non li sente: «Noi invece — dice il Crisostomo — tutto osiamo in faccia a Dio, che vede e che sente. Essi hanno sempre davanti agli occhi il timor del padrone; noi, il timor di Dio non l’abbiamo mai» (In 1. Epist. ad Thim. Hom. 16, 2).«Chi teme Dio rientra in se stesso» ((4) Eccli XXI, 7). Può egli continuare a vivere in peccato, se da un momento all’altro può capitare nelle mani del suo giudice? Il peccatore può mettersi a letto pieno di sanità e di vita, e prima dello spuntar del giorno trovarsi davanti al tribunale di Dio. Può alzarsi la mattina, e prima di sera esser già giudicato. Ma il pericolo di ricevere una condanna egli può evitarlo. Se teme il castigo ne tolga la causa. Faccia penitenza dei suoi peccati, e cominci una vita nuova. Chi teme Dio non dice: Dio è buono, dunque non mi punirà. Se Dio è buono devi amarlo, invece di offenderlo. Tu offendi Dio perché è buono. «Questa è dunque la retribuzione che rendi al Signore?… Non è Egli il tuo Padre, che ti ha posseduto, che ti ha fatto, che ti ha creato?» (Deut. XXXII, 6). – Egli è buono, immensamente buono, ma è anche giusto; la sua bontà non può andar scompagnata dalla sua giustizia. «Presso Dio non vi è pietà senza giustizia, né giustizia senza pietà» (S. Pier Grisos. Serm,. 145). – Se tutti gli uomini avessero il timore di Dio e non solo il timore delle leggi umane, nessuno commetterebbe il male, neppur per breve tempo.

2.

Nessuno può tenersi sicuro di poter perseverare sino alla fine nello stato di grazia e di tenersi conseguentemente, certo della propria salvezza. Nessuno può esser sicuro di questo, senza una speciale rivelazione. Pertanto, chi si crede di stare in piedi, badi di non cadere. Caddero gli Angeli che si trovavano in cielo; caddero i nostri progenitori che si trovavano nel paradiso terrestre; noi soli vogliam presumere di andar esenti da cadute? La Sacra Scrittura ci pone davanti agli occhi abbondante materia di seria riflessione su questo punto. Essa ci fa passare innanzi re, giudici, sapienti, sacerdoti, profeti, Apostoli, che precipitarono dalla loro altezza nell’abisso del peccato. Dopo simili esempi, nessuno troverà esagerata l’ammonizione dell’Apostolo: Pertanto chi si crede di stare in piedi, badi di non cadere. Quando la nebbia è fitta, il viandante cammina con la più grande precauzione. Le nostre passioni sono come una nebbia fitta, che non ci lascia ben distinguere ove mette fine il nostro cammino. Abbiamo bisogno di essere illuminati, guidati. Il santo timor di Dio è il lume che ci guida. «Non voler essere saggio ai tuoi propri occhi; — dice Salomone — temi Dio e allontanati dal male» (Prov. III, 7). – Il timor di Dio ci insegna ad allontanarci dal male. Ci dice ove è il pericolo; ove bisogna far sacrificio d’una nostra tendenza; ove c’è una passione incipiente da estirpare, ove c’è un’occasione da evitare. Chi disprezza la voce del timor di Dio, un momento o l’altro si trova trascinato là ove non avrebbe né creduto né voluto. Chi non teme, non si guarda; chi non si guarda, si perde. – Non contano le battaglie spirituali vinte altre volte. Il cavaliere che ha vinto cento corse, che ha saltato migliaia di ostacoli, sempre saldo in sella, in un momento di distrazione o di troppo fiducia è sbalzato a terra. Il navigante che ha passato e ripassato i mari, superando furiose tempeste, affonda con la nave per un imprevisto incidente qualsiasi. L’aviatore che ha valicato catene di monti e attraversato mari tra le bufere, e sempre felicemente, precipita col velivolo quando, sicuro di sé, non vede davanti agli occhi che gli onori, che coroneranno le sue imprese. A questo mondo non si è mai al sicuro dalle sorprese; e il Cristiano non è mai al sicuro dalle sorprese delle passioni, del demonio, del mondo. Nulla trascuri per mettersi al riparo contro di esse: «Chi teme Dio non trascura cosa veruna» (Eccle. VII, 19).

3.

Dio, poi, che è fedele non permetterà che siate tentati sopra le vostre forze; ma con la tentazione preparerà anche lo scampo, dandovi il potere di sostenerla. Diffidare di noi stessi, temere la nostra debolezza, non vuol dire avvilirsi e perdersi di coraggio nelle umiliazioni, nelle tentazioni, nelle prove della vita. Noi siamo fragili, ma Dio è potente. Lasciarsi abbattere, mormorare nelle difficoltà, è un dubitare della bontà, sapienza e potenza di Dio. Egli non comanda mai cose impossibili, e non nega mai la sua grazia a quelli che a Lui ricorrono fiduciosi. Con la sua grazia potremo resistere a tutte le tentazioni e superar tutte le prove, uscendone vittoriosi, ornati di meriti, rassodati nel bene. Chi teme Dio accetta, calmo e fiducioso nell’aiuto di Lui, tutte le prove che Egli gli manda.Il timor di Dio non consiste nel prostrarsi innanzi a Lui tremanti, nell’esser presi dallo sgomento. « Il timor del Signore — dice lo Spirito Santo — ha corona di sapienza e di piena pace e di frutti di salute» (Eccli. I, 22). Il timor di Dio consiste nel non far nulla di quanto a Dio dispiace, nel chiedergli la grazia di fare ciò che Egli comanda, nel non ribellarci quando la sua mano ci sottopone alle prove. Il timor di Dio non turba la pace, anzi ne è la salvaguardia. Chi teme Dio è da Lui protetto e difeso. Egli può ripetere con tutta verità le parole del Salmista: «Ecco, Dio è colui che mi aiuta, e il Signore è il sostegno dell’anima mia» (Salm. LIII; 6. – Introito). – « I suoi precetti sono più dolci del miele e di ciò che stilla dai favi» (Salm. XVIII, 11 – Offertorio). Perciò li osserva, e nell’osservarli ha grande ricompensa; arricchisce la sua corona di frutti di salute. Il timore e l’amore sono gli sproni della vita: non solamente della vita materiale, ma anche, e più, della vita spirituale. Il timore e l’amore spingono l’uomo a risorgere dal peccato, e a ritornare al più amante dei padri. Se il peccatore dovesse guardare solamente ai propri demeriti, come potrebbe innalzare la fronte a Dio, e dirgli: «Perdona?» Ma egli sa con chi ha da fare; egli può rivolgersi a Lui e ricordargli con tutta fiducia: «So che tu sei un Dio clemente, e misericordioso e paziente, e molto compassionevole e che perdoni il mal fare» (Gion. IV, 2). – Chi ben si guarda, scudo si rende. Questa norma fu dimenticata da Sansone, il forte d’Israele, che, fidando troppo in sé stesso, si prese gioco del pericolo, e finì con perdere la libertà, la vista, la forza prodigiosa; finì col perdere Dio, che si allontanò da lui. Ma nel misero stato in cui è ridotto non si dimentica che Dio è clemente, misericordioso, paziente, molto compassionevole, e si rivolge a Lui con umiltà, fede e fiducia : «Signore Iddio, ricordati di me» (Giud. XVI, 28). E Dio ascolta l’umile e fiduciosa preghiera del pentito Giudice d’Israele. Chissà quante volte abbiamo imitato Sansone nello scherzare con le occasioni, con la conseguenza di rimanerne vittima! Imitiamolo anche nel ricorrere con fiducia a Dio per rialzarci dalle nostre cadute. Il timor di Dio, senza la fiducia nella sua misericordia non è un timore buono. «Tu lo placherai, se speri nella sua misericordia» (En. In Ps. CXLVI), dice S. Agostino. Sperando nella sua misericordia, risorgiamo, dunque, e subito. «Risorgiamo, o cari, sebben tardi, e stiamo saldamente in piedi» (S. Giov. Cris. In Epist. I ad Cor. Hom. 23, 4).

Graduale 

Ps VIII: 2
Dómine, Dóminus noster, quam admirábile est nomen tuum in universa terra!
[Signore, Signore nostro, quanto ammirabile è il tuo nome su tutta la terra!]
V. Quóniam eleváta est magnificéntia tua super cœlos. Allelúja, allelúja
[Poiché la tua magnificenza sorpassa i cieli. Allelúia, allelúia]

Alleluja

Ps LVIII: 2
Alleluja, Alleluja

Eripe me de inimícis meis, Deus meus: et ab insurgéntibus in me líbera me. Allelúja.  [Allontànami dai miei nemici, o mio Dio: e líberami da coloro che insorgono contro di me. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntiasancti Evangélii secúndum Lucam.
Luc XIX: 41-47
“In illo témpore: Cum appropinquáret Jesus Jerúsalem, videns civitátem, flevit super illam, dicens: Quia si cognovísses et tu, et quidem in hac die tua, quæ ad pacem tibi, nunc autem abscóndita sunt ab óculis tuis. Quia vénient dies in te: et circúmdabunt te inimíci tui vallo, et circúmdabunt te: et coangustábunt te úndique: et ad terram prostérnent te, et fílios tuos, qui in te sunt, et non relínquent in te lápidem super lápidem: eo quod non cognóveris tempus visitatiónis tuæ. Et ingréssus in templum, coepit ejícere vendéntes in illo et eméntes, dicens illis: Scriptum est: Quia domus mea domus oratiónis est. Vos autem fecístis illam speluncam latrónum. Et erat docens cotídie in templo”.

Omelia II

[A. Carmignola, Spiegazione dei Vangeli domenicali, S. E. I. Ed. Torino,  1921]

SPIEGAZIONE XXXVII.

 “In quel tempo avvicinandosi Gesù a Gerusalemme, rimirandola, pianse sopra di lei, e disse: Oh? se conoscessi anche tu, e in questo tuo giorno, quello che importa al tuo bene! ma ora questo è a’ tuoi occhi celato. Conciossiachè verrà per te il tempo, quando i tuoi nemici ti circonderanno di trincera, e ti serreranno all’intorno, e ti stringeranno per ogni parte. E ti cacceranno per terra te, e i tuoi figliuoli con te, e non lasceranno in te pietra sopra pietra; perché non hai conosciuto il tempo della visita a te fatta. Ed entrato nel tempio, cominciò a scacciare coloro che in esso vendevano, e comperavano, dicendo loro: Sta scritto: La casa mia è casa di orazione; e voi l’avete cangiata in spelonca di ladri. E insegnava ogni giorno nel tempio” (Luc., XIX, 41-46).

Sei giorni prima della sua morte il nostro divin Redentore entrava in Gerusalemme quale re in trionfo, accompagnato da’ suoi discepoli e da una moltitudine immensa di gente, che pur vi accorreva per la vicina solennità della Pasqua. Gli uni stendevano le proprie vesti sul passaggio di Lui, altri tagliavano rami dagli alberi e ne coprivano la strada, e l’aria risuonava di lietissimi cantici ad onore di Gesù, poiché tutta quella turba, ricordando i prodigi, ch’Egli aveva operato, ad alta voce andava ripetendo: Benedetto il Re, che viene nel nome del Signore; pace in cielo e gloria nel più alto dei cieli. Ora, in vista di quel trasporto di gioia, in vista di quelle acclamazioni che cosa faceva Gesù? Ce lo dice il Vangelo di questa mattina. Ascoltate.

1. In quel tempo avvicinandosi Gesù a Gerusalemme, rimirandola, pianse sopra di essa. Sì, o miei cari, ben diversamente da quello che avrebbe fatto un qualche gran capitano, che avesse dovuta far l’entrata trionfale in qualche città, Gesù in tale circostanza piangeva. Alla pubblica gioia, che stava per manifestarsi, Gesù mandava innanzi i suoi sospiri e le sue lagrime. Ma perché questo pianto? – Il Signore aveva fatto al popolo ebreo un numero immenso di segnalatissimi benefizi. La liberazione dalla schiavitù di Egitto, il passaggio del Mar Rosso, la colonna di nube che gli servì di guida all’uscire dal deserto, la manna che per quarant’anni cadeva per lui abbondante e feconda, le acque che scaturirono dalle viscere della rupe, il Giordano passato a piede asciutto da un’armata innumerevole, le mura di Gerico cadute al suono delle trombe, la vittoria su tutti i popoli del paese di Canaan, il sole che si arrestò alla voce del capitano che voleva compiere il suo trionfo, il pieno possesso di quella terra che scorreva latte e miele, e poi tutti que’ profeti che lo istruirono nelle vie del bene e lo richiamarono più volte da quelle del male, e finalmente poi quel re dei profeti, quel Gesù ch’era stato segnalato come il Principe della pace, quel Figliuolo di Dio disceso dal cielo per recare coll’adorabile sua presenza i doni più preziosi dell’amor suo, furono altrettanti prodigi di bontà divina operati in favore di quel popolo privilegiato fra tutti gli altri. Gesù inoltre amava di special amore gli abitanti di Gerusalemme, come la prima porzione del gregge, che il divin Padre gli aveva affidata. Egli desiderava di farsi da essi riconoscere pel loro Messia, pel loro Pastore; bramava che eglino abbracciassero la sua Religione, e così abbandonando il peccato riavessero la vita dell’anima, formassero la sua Chiesa, continuassero ad essere dal Cielo benedetti, ed infine acquistassero l’eterna salute. Ma, per quanto Egli dicesse e facesse, non aveva potuto riuscire nell’amoroso intento, e l’infelice città nella sua gran maggioranza rimaneva ostinata nei vizi. Anzi Ei già vedeva come tra pochi giorni quei figli ingrati, mettendo il colmo ai propri misfatti, avrebbero commesso il più grande dei delitti, dandogli la morte. Ora peccati così enormi gridavano vendetta al cospetto di Dio, e l’ultimo delitto avrebbe costretta la divina Giustizia a versare su quei deicidi il calice dei più spaventevoli castighi. Epperò Gesù in quel giorno del suo trionfo, nell’entrare in Gerusalemme si vide schierare innanzi agli occhi della sua mente divina, da una parte tutti gli immensi benefizi fatti da Dio a quella città e le sue gravissime infedeltà ed orribili ingratitudini, e dall’altra tutte le sciagure, che per conseguenza sarebbero tra poco piombate sopra di lei. Vide come quella, che era la regina delle città, sarebbe tra non molto diventata un mucchio di rovine e il sepolcro de’ suoi abitanti. E alla vista di tanti mali il buon Gesù fu intenerito sino alle lagrime, ed esclamò: « Oh! Gerusalemme, Gerusalemme, se almeno in questo giorno, che è tuttavia per te giorno di grazia, tu sapessi conoscere le cose, che ti potrebbero dare la salute e la pace! Ma ohimè! tutto questo è nascosto agli occhi tuoi. Ed ecco che giorno verrà, in cui i tuoi nemici ti circonderanno d’assedio, ti chiuderanno d’intorno e stringeranno da tutte le parti. Essi ti rovesceranno a terra, non lasceranno più in te pietra sopra pietra, e sotto le tue rovine periranno i tuoi abitatori, perché non hai voluto conoscere la visita, che il Signore ti ha fatta.»  Ecco adunque il perché delle lagrime di Gesù in quella circostanza; perché  sul popolo ebreo pesava la maledizione divina e la più spaventevole delle sciagure a cagione delle sue ingratitudini verso Dio. Ma qui, o miei cari, anziché adirarci contro l’ingrata Gerusalemme, che costrinse Gesù a piangere sopra di lei e a profetare contro di lei i più terribili castighi, rivoltiamo pure il nostro sdegno contro di noi, perciocché non saremo già stati ancor noi tante volte cagione di lagrime a Gesù? Anche noi siamo stati colmati de’ suoi benefizi nell’ordine della natura e nell’ordine della grazia; ma vi abbiamo noi corrisposto meglio del popolo ebreo? Anche noi siamo stati visitati da Dio tante volte, ora con le prosperità, ora eziandio con le disgrazie; ma noi abbiamo riconosciuto meglio di Gerusalemme il tempo della visita del Signore? Ma se pur troppo dobbiamo confessare che per il passato non ci siamo diportati diversamente da quella città, risolviamo senz’altro di por fine a sì ingrata condotta. Da questo punto mettiamoci a corrispondere col massimo impegno alle grazie ed alle ispirazioni di Dio; perché se non lo facessimo, dovremmo temere che Iddio, sdegnato giustamente contra di noi, pronunzi anche per noi la sentenza terribilissima del suo abbandono. Ed allora che avverrebbe di noi? Vedete quel giovane, quell’uomo che non mette più piede in chiesa, che non vuole più sentire a parlar di Dio, di Religione, che bestemmia con un accanimento infernale? Egli aveva pur ricevuto il Battesimo, era pur stato allevato cristianamente, aveva pur fatto più volte la Comunione… sì, egli aveva ricevuto tutte queste grazie; ma egli le disprezzò villanamente, e Dio lo abbandonò. Il suo intelletto si è oscurato, la sua fede è morta, egli cammina nelle tenebre, i demoni già circondano l’anima sua per impadronirsene, non appena Iddio reciderà a questo infelice il filo della sua vita. Ecco la tremenda sciagura che accade a tanti Cristiani, i quali disprezzano i benefizi del Signore, le sue visite di misericordia. Che Iddio ne scampi! Ma intanto per scamparne davvero non lasciamo di fare noi la parte nostra.

2. Prosegue il Vangelo di questa mattina a dirci che il Redentore dopo di aver pianto sopra la città di Gerusalemme entrato nel tempio, cominciò a scacciare coloro, che in esso vendevano e compravano. Per ben intendere questo fatto del divin Redentore dovete sapere che nell’antica legge si facevano a Dio dei sacrifici per mezzo di animali, di farina, di olio, di incenso e simili, e che tutto ciò, che era necessario a questi sacrifici, a Gerusalemme dapprima vendevasi sul mercato della città. Ma poscia i sacerdoti ebrei, sotto pretesto della comodità del popolo, in realtà però per soddisfare la loro avarizia, trasportarono il mercato nel recinto esterno del tempio. Quel recinto era chiamato l’atrio dei Gentili, perché tutte le nazioni profane potevano entrarvi, e vi si erano stabiliti gli stessi mercatanti, i quali pagavano un enorme prezzo pel posto che occupavano, ed intervenivano tutti i giorni per attendere al loro commercio. Ora, essendo vicina la festa di Pasqua, eravi colà una gran moltitudine d’uomini e di animali, ed una tumultuosa agitazione turbava la calma, che conviene alla casa del Signore. Gesù, indignato di questa profanazione, pigliò delle funi, ne fece un flagello, e con forza scacciò e venditori e compratori; e tutti innanzi a Lui fuggirono senza opporre la più lieve resistenza, perciocché, come ci fa sapere S. Girolamo, dagli occhi di Gesù usciva un fuoco brillante e terribile, e lo splendore della sua maestà divina rifletteva sul suo volto. Gesù adunque con questa manifestazione di zelo e con questa severità di correzione ci ha fatto chiaramente intendere che per coloro, che sono costituiti in autorità, è un dovere assoluto il correggere chi non fa bene, e che in certe occasioni bisogna pur correggere con severità. Dal che, o cari giovani che mi ascoltate, dovete comprendere che i vostri genitori e i vostri superiori correggendovi non operano di loro capriccio, ma compiono un dovere gravissimo, che hanno dinnanzi a Dio, e che Iddio ripetutamente e persino con minacciò ha loro imposto. Epperò sappiate che chi vi rimprovera e vi correggo dei vostri difetti, o errori, o vizi, è un angelo inviato dal cielo, un ministro santo che a nome di Dio vi annunzia la sua volontà e stacca l’anima vostra dalla terra. Sappiate che quanto egli fa è d’un prezzo infinito per voi, e per conseguenza a voi corro obbligo di riceverlo con rispetto, con amore, con riconoscenza. A quel modo che un infermo in pericolo della salute ascolta e osserva tutto quel che ordina il medico, per quanto duro e penoso gli paia il metodo della cura; così dice S. Basilio, chi è umile e desidera veracemente la salvezza dell’anima propria, ascolta e pratica, non pur senza difficoltà, ma con gioia, la correzione ancorché acerba e tagliente. Quanto è buona cosa pentirsi, allorché si riceve una riprensione! esclama l’Ecclesiastico, poiché s’evita per ciò il peccato volontario. Quelli che accolgono le correzioni, i rimproveri, i consigli con umiltà, pazienza, riconoscenza e amore, compariranno al tribunale di Dio, in faccia all’universo, risplendenti di luce simile a quella dei martiri, dicendo Sant’Agostino che un certo qual genere, e non inglorioso, di martirio, è sopportar lieti chi ci rimprovera. Ricevete adunque le riprensioni con riconoscenza e gioia, perché così facendo voi onorerete in perfetto modo Iddio, e gli offrirete un accettevolissimo sacrifizio; perché umiliandovi profondamente e sopportando pazientemente, riuscirete vittoriosi di voi medesimi, che è la più bella, la più gloriosa ed importante delle vittorie; perché la correzione è grazia segnalata di Dio, con la quale accerterete la vostra salute e vi riscatterete dalle pene dell’inferno; e finalmente perché porgerete altrui l’esempio ed il modello d’una grande virtù. Al contrario chi soffre di mal animo d’essere ripreso e corretto, costui offende Dio, è un orgoglioso, una copia del demonio, va di male in peggio, perde quanto aveva di virtuoso, dà grave scandalo, e si prepara orribili tormenti nell’inferno. Chi vuole operare affidato ai soli suoi lumi, opera da empio, dice la Sacra Scrittura.

3. Aggiunge da ultimo il Vangelo che percuotendo i mercatanti e rovesciando i loro banchi, il Salvatore diceva: Sta scritto: La mia casa è casa di orazione, e voi ne fate una spelonca di ladroni. E ben a ragione, perché quel tempio eretto in onore di Dio, comandava la venerazione ed il raccoglimento. Ivi il Signore rendeva i suoi oracoli ed il popolo doveva presentarvisi per adempiere al debito della preghiera. Ma che direm noi delle nostre chiese? Non sono esse per eccellenza la casa di Dio? Senza dubbio, giacché in esse più che l’arca dell’alleanza, più che le tavole della legge, più che la manna miracolosamente conservata, più che i sacrifici dell’antica legge, sacrifici che non erano altro che ombre e figure, voi trovate l’eucaristico Sacrificio, la immolazione quotidiana di Colui, che per noi è morto su della croce; trovate la reale presenza di Gesù Cristo nel suo SS. Sacramento; trovate tutti i soccorsi che può richiedere l’anima vostra per compiere la sua salute. E che ci vuole di più per ispirarci profondo rispetto e religiosa venerazione verso di esse? Entrando in questi sacri luoghi, non dovremmo esser presi da un sacro timore, ed esclamare come un antico Patriarca: Terribile è questo luogo! è la vera casa di Dio, la porta del cielo? Sì, i templi sono un nuovo cielo, ove Iddio abita cogli uomini, poiché chi dimora nell’augusto tabernacolo è lo stesso Iddio che i Santi adorano in cielo. Di modo che noi dovremmo al pari di loro annientarci colla mente e col cuore innanzi alla divina maestà. Nelle chiese essa, è vero, rimane velata; ma non è meno degna delle profonde nostre adorazioni. Come dunque si osa entrare nelle chiese senza rispetto? come starvi senza modestia e raccoglimento, e spesso anche con uno scandaloso dissipamento? Per di più nel tempio ogni cosa ci parla dei benefizi di Dio; il sacro fonte, ove insieme con la vita della grazia abbiamo ricevuto l’inestimabile diritto alla celeste eredità; i tribunali di penitenza, ove spesso ci siamo mondati delle nostre colpe, e abbiamo guarite le nostre piaghe; la croce, sulla quale per noi moriva Gesù Cristo; e finalmente l’altare, su cui ogni giorno si sacrifica l’Uomo-Dio per applicarci il frutto de’ suoi patimenti, ed ai cui piedi ricevemmo lo Spirito Santo nella Cresima, e riceviamo Gesù Cristo nel santissimo Sacramento. Tutte queste cose dovrebbero riempire la nostra mente di bei pensieri, e il nostro cuore di pii sentimenti, e farci caro il soggiorno in questo luogo santo! E come avviene che vi si va talora con ripugnanza, che vi si sta con disgusto, e occupati di pensieri vani, per non dire anche colpevoli? Tanti monumenti della bontà divina non dicono nulla al nostro cuore? Quale ingiuria è mai corrispondere con una sì colpevole indifferenza a bontà sì grande! I Turchi hanno tale rispetto ed amore per le loro moschee, che non vi passano mai dinnanzi senza darne un esteriore contrassegno: un cavaliere che passando davanti ad esse non scendesse da cavallo sarebbe punito rigorosamente. Essi vi entrano scalzi, ovvero con pianelle a ciò solo destinate: e vi stanno col più profondo raccoglimento: il loro contegno e la loro modestia sono tali da farli sembrare piuttosto religiosi di un convento che uomini infedeli. Molte volte chinano la fronte al suolo per umiliarsi alla presenza di Dio: e quando pregano, nessuno vi ha che giri intorno lo sguardo. Il volgere la parola ad un altro in quell’atto, è giudicato un delitto; onde non mai avviene di vedere durante la preghiera un turco parlare con un altro. E se qualche cosa a lui si dice, non risponde: se anche lo si ingiuriasse, non guarderebbe chi è che l’ingiuria. Or questi infedeli non saranno un dì la confusione di coloro i quali vanno tanto di rado in chiesa, e quando vi vanno, pregano con sì poca attenzione e con tanta irriverenza? D’ora innanzi, o miei cari, procuriamo di essere sempre ben compresi del rispetto che si deve alla casa di Dio. Veniamo in essa volentieri a pregare il Signore, essendo essa la casa dell’orazione; e Iddio non mancherà di ascoltare le nostre suppliche e ci farà uscire dalla sua casa, come dice la Chiesa, lieti di avere impetrato quanto a Dio abbiamo nella sua casa richiesto.

Credo …

Offertorium

Orémus
Ps XVIII: 9-12
Justítiæ Dómini rectæ, lætificántes corda, et judícia ejus dulcióra super mel et favum: nam et servus tuus custódit ea.
[La legge del Signore è retta e rallegra i cuori, i suoi giudizii sono piú dolci del miele e del favo: e il servo li custodisce.]

Secreta

Concéde nobis, quǽsumus, Dómine, hæc digne frequentáre mystéria: quia, quóties hujus hóstiæ commemorátio celebrátur, opus nostræ redemptiónis exercétur. [Concedici, o Signore, Te ne preghiamo, di frequentare degnamente questi misteri, perché quante volte si celebra la commemorazione di questo sacrificio, altrettante si compie l’opera della nostra redenzione.]

Communio

Joann VI: 57
Qui mandúcat meam carnem et bibit meum sánguinem, in me manet et ego in eo, dicit Dóminus.
[Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue, rimane in me, ed io in lui, dice il Signore.]

Postcommunio

Orémus.
Tui nobis, quǽsumus, Dómine, commúnio sacraménti, et purificatiónem cónferat, et tríbuat unitátem.
[O Signore, Te ne preghiamo, la partecipazione del tuo sacramento serva a purificarci e a creare in noi un’unione perfetta.]

LO SCUDO DELLA FEDE (72)

LO SCUDO DELLA FEDE (72)

[S. Franco: ERRORI DEL PROTESTANTISMO, Tip. Delle Murate, FIRENZE, 1858]

PARTE SECONDA.

FRODI PER CUI S’INTRODUCE IL PROTESTANTISMO

CAPITOLO VII

SETTIMA FRODE:

IMMAGINI E RELIQUIE FONTE DI IDOLATRIA

Un altra ragione per cui i Protestanti ci chiamano idolatri, è perché onoriamo le immagini dei Santi, e veneriamo le loro reliquie. Che anzi sopra ciò fanno uno strepito che mai il maggiore, citano a diritto e a rovescio testi della S. Scrittura, giurano che siamo peggiori dei Gentili, e giungono fino a dire che per mantenere queste nostre superstizioni, abbiamo anche falsificati i comandamenti di Dio. Ora, miei cari, state in guardia, perché questa è una frode loro, niente inferiore alla precedente. Ed in primo luogo ricordatevi di quello che vi hanno spiegato i vostri Sacerdoti nel Catechismo intorno alle Sante Immagini e Reliquie. Forse vi hanno detto mai che nel legno, nella carta, nelle tele, nel metallo di cui sono composte le immagini o le statue si contenga qualche virtù? Niente affatto. Anzi la S. Chiesa ci proibisce assolutamente di credere che in esse esista alcuna virtù o potenza, ci proibisce di porre la nostra confidenza in quelle statue ed immagini materiali, e vuole che tutto l’onore che noi rendiamo loro, tutto si riferisca all’originale, cioè ai Santi, alla Madonna, allo stesso Gesù che vivono e regnano in Cielo; tantoché quando baciamo le immagini o ci inginocchiamo davanti ad esse, noi non adoriamo né onoriamo quelle, ma il nostro onore si rapporti ai Santi, alla Madonna, la nostra adorazione si riferisca a Gesù. Questa è la dottrina di S. Chiesa, siccome è noto da tutti i Catechismi e dal S. Concilio di Trento. – Ora non basta ciò solo a dimostrare che non v’ha, e non vi può essere Idolatria? Se noi non riconosciamo nelle Immagini niuna potenza, niuna virtù dunque non le riconosciamo come divinità, se non le riconosciamo come divinità dov’è l’Idolatria? All’istesso modo se in esse non facciamo altro che onorare gli originali, dunque non v’è culto prestato al legno, al metallo, alla tela come essi dicono, e chiediamo di nuovo dove sta 1’Idolatria? – Ma allora perché servirci di Immagini? Veramente non avremmo bisogno di dare tanti perché, mentre potremmo rispondere perché ha sempre fatto così la S. Chiesa illuminata e diretta dallo Spirito Santo, e questa ragione sarebbe più che bastante: tutta volta per compassione alla loro ignoranza diremo anche loro che le ragioni sono

molte e gravissime. Noi ci serviamo delle Immagini sacre perché esse risvegliano in noi la memoria di Gesù, della Madonna, dei Santi, e così ci invitano soavemente ad invocarli. Perché anche i Protestanti fanno fare i ritratti del loro padre, della loro madre, dei loro parenti e delle persone che loro sono care? A che servono essi? Vi risponderanno, che per mantenere viva la memoria di loro che forse sono già morti o sono lontani, e per tenerli così sempre quasi presenti. Ebbene noi desideriamo di ricordarci spesso di Gesù nostro padre, di Maria nostra madre, dei Santi nostri fratelli ed amici, e mentre siamo ancora lontani da loro, li vogliamo vagheggiare almeno nei loro ritratti. Che cosa hanno a ridire? – Servono poi le Immagini sacre, inoltre perché fanno una impressione molto giovevole sui nostri cuori, perché ci mettono quasi sott’occhio i Misteri della vita di Gesù, e le opere dei Santi che tanto lo amarono. Non è forse vero, che il vedere un bel Gesù bambino, ci rappresenta in un attimo tutte le tenerezze della sua divina Infanzia? S. Francesco di Assisi, ad una tal vista s’inteneriva sino a piangere dirottamente. Non è forse vero che un bel Crocifisso ci mette sott’occhio tutte in un punto le pene di Gesù, le sue agonie, i suoi spasimi, la sua morte, e ci commuove fortemente? Tutti i Santi si sentivano struggere il cuore nel contemplarlo. E così dite di un bel cuore di Gesù che colle sue fiamme ci fa risovvenire l’immensità dell’amore che Egli ci ha portato? Così dite delle immagini di Maria che ci ricordano che abbiamo in Cielo una Madre amorosa che prega per noi. Cosi dite di quelle dei Santi che ci rammentano quello che essi hanno fatto e patito per Gesù e ci animano a fare altrettanto? Gli è perciò che i buoni fedeli tanto amano le immagini sacre, e godono di vederle nelle Chiese dove si raccolgono a pregare, perché queste aiutano l’immaginazione a star raccolta, amano di vedersele nelle case, perché siano loro di eccitamento di buoni e santi pensieri, amano di vedersele soprattutto intorno al letto per ricordarsi di Gesù e di Maria quando si levano, e quando vanno al riposo, e le tengono carissime perfino nell’ora estrema, e le baciano e le stringono al cuore con grande affetto, quasi già si stringessero con Gesù e con Maria. Infelici pur troppo coloro che non capiscono cose sì chiare! Quelli soltanto possono non amare le sante immagini che non amano gli originali: perché non è possibile odiare il ritratto quando si ama la persona da esso rappresentata. Servono inoltre le sante immagini alle persone rozze che non sanno leggere come d’un istruzione. Imperocché vedendo in esse rappresentati i misteri della vita, della passione, della morte di Gesù, se ne fissano in mente tutti gli atti e le circostanze più belle e più non le dimenticano. E lo stesso avviene con proporzione delle vite dei Santi e della Vergine che servono a nostra edificazione, a nostro esempio, ed a stimolo del bene operare. Ai nostri tempi per insegnare alla gioventù mille inezie che non importano nulla, s’impiegano rami e pitture di gran lusso, ed i Protestanti medesimi ne fanno un uso continuo, e non capiscono poi che la S. Chiesa, la quale ha una sapienza celeste, abbia potuto prima di loro far servire questo mezzo alla istruzione dei suoi fedeli? Finalmente le S. immagini servono talvolta ad un eccitamento di pietà più straordinario. Imperocché compiacendosi Iddio frequentemente di essere glorificato per occasione di esse in modo più speciale in qualche Chiesa, in qualche Santuario, e spandendo ivi grazie più copiose per allettare i fedeli a concorrervi, questi vi si conducono con più sollecitudine, pregano con più fervore, si sentono accrescere la fiducia e riconoscendo con maggior fede qualche mistero della vita di Gesù, ed onorando con maggior pietà qualche servo di Lui, oppure la sua gran Madre, riportano favori e grazie più segnalate. Di che resta come rinnovata la pietà cristiana la quale per nostra debolezza va pur troppo soggetta ad illanguidire e venir meno. – Oltre il culto delle S. immagini, condannano anche quello delle S. Reliquie, ma è chiaro che ei s’ingannano e vogliono ingannare anche qui: perocché le ragioni che valgono in favor di quelle, non valgono meno in riguardo di queste. Noi ci serviamo delle Reliquie, come delle immagini per ricordarci delle persone di cui sono reliquie, e per muoverci ad amarle e ad imitarle senza attribuir loro nessuna materiale virtù. Il perché tutto quello che essi dicono contro di noi in questo proposito è mera calunnia. Del resto ini pare che i Protestanti non sappiano al tutto quello che siano le Reliquie da noi venerate. Imperocché se lo sapessero potrebbero parlare come ne parlano? Le Reliquie principali che si venerano nella S. Chiesa, sono in primo luogo quelle della S. Croce, delle sacre spine, della lancia, della sindone e di altri strumenti della Passione del Salvatore. Ma essi che fanno tanto fracasso contro i Cattolici, perché non pensano abbastanza a Gesù Cristo, possono poi riprendere che noi per amore a Gesù portiamo riverenza perfino agli strumenti che toccarono le sue carni sacrosante? Vengono dopo le Reliquie dei Santi o Martiri o Confessori che consacrarono i loro corpi o col martirio o colla penitenza offrendolo in ossequio a Gesù? E quei corpi che furono tempio vivo dello Spirito Santo, che furono strumento di tante penitenze, che furono consacrati da tanti Sacramenti, che sono destinati a risplendere gloriosi per tutta l’eternità, quei corpi non meritano una riverenza tutta speciale? Risogna avere una gran voglia di malignare per trovare a riprendere in tutto ciò: oppur bisogna credere che i corpi dei Cristiani non che dei Santi, siano come quei delle bestie. Eppure sapete poi chi sono costoro che condannano il culto delle Sante Reliquie? Sono poi quelli che vanno frenetici pei possedere reliquie di ben altra stampa. Son quelli che conservano come una grande reliquia il calamaio di quel sudicio apostata che fu Martin Lutero. Son quelli che guardano come una reliquia la penna di uno scostumataccio qual fu il Byron; son quelli che comprano a qualunque costo una ciabatta, perché servì a Napoleone, son quelli (diciamolo pur chiaro a loro confusione) che si strappano di mano una stringa, un fiore, un’ inezia perché servì ad una ballerina, ad una cantatrice, ad una baldracca. Gli è proprio in bocca loro che sta bene la riprensione del culto purissimo della Cattolica Chiesa. – Ma non siamo noi che riprendiamo tutto ciò, replicano essi, non siamo noi, è la Santa Scrittura che lo condanna. Davvero? É proprio la S. Scrittura? E non sapete che nell’Esodo si dice chiaro che non ti farai scultura di sorta? e che i Profeti, e soprattutto nei Salmi si grida sempre contro quelli che si fabbricano degli idoli e delle statue? Abbiamo dunque ragione di chiamare i Cattolici idolatri. Veramente io non mi sarei aspettato ad un’uscita così nuova, e ci vuole davvero un ingegno superlativo per fare questo discorso. Il Signore ha vietato che si credano Dei le statue di creta, di metallo etc., dunque non si possono adoperare le statue, le immagini in usi innocenti anzi santi, cioè per aiuto a ricordarsi di Dio, ed apprender meglio i misteri della S. Fede. Eppure è questo il discorso che essi fanno. Imperocché (per ispiegare una volta la loro difficoltà a chi sono dirette quelle proibizioni di fare statue ed imagini? sono dilette ai Giudei i quali cresciuti in mezzo all’Idolatria dell’Egitto erano molto inclinali ad essa naturalmente, come si vide nel deserto medesimo dove si fabbricarono il vitello d’oro, e poi dopo in cento occasioni nelle quali adoravano gli Dei delle nazioni che confinavano con loro. Che cosa credevano i Giudei che fossero quelle statue ed immagini? Credevano che fossero vere divinità, e perciò si prostravano dinanzi a loro, le adoravano, facevano loro dei sacrifizi, e per cagione di esse abbandonavano il vero Dio. E perciò che cosa prescrive loro in proposito il Signore? Proibisce loro di formare statue o rappresentazioni di oggetti esistenti sia in cielo, sia in terra: perché non vuole che li adorino siccome Dei: mentre Egli solo è l’unico e vero Dio che deve essere adorato. E quello che è proibito dal Signore, è proibito di nuovo in nome suo dai Santi Profeti, e per allontanare sempre più il popolo dall’adorazione di queste false divinità, il Santo Re David le mette in derisione dicendo che hanno occhi e non veggono, orecchi e non odono, mani e non toccano, piedi e non camminano, bocca e non parlano, in una parola che sono pezzi di legno, o di metallo inanimati. Ecco il senso di quelle parole che costoro sempre citano contro i Cattolici senza capirle. – Ora osservate di grazia che cosa abbiano esse da fare col nostro culto. Noi ci serviamo delle statue e delle immagini sì, ma diciamo forse che siano Dei? Abbiamo noi insegnato che l’immagine di Gesù, sia veramente Gesù, che l’immagine di Maria, sia veramente la Madonna? Tutto all’opposto diciamo che non sono altro che legno, creta ometallo: tantoché quando sono vecchie, e più non ci servono senza alcuno scrupolo le riponiamo. Ma almeno attribuiamo loro qualche virtù divina, qualche potenza materiale come facevano gli Idolatri alle loro statue? Tutto il contrario, insegniamo chiaramente che in esse non si contiene nessuna potenza, nessuna virtù. Finalmente lasciamo noi in grazia delle immagini e delle statue di adorare il vero Dio come facevano gli Idolatri? eh nullameno. Insegniamo anzi che nelle immagini bisogna venerare unicamente quello che da esse viene rappresentato, e per questo ce ne serviamo perché ci giovano a venerarlo meglio. Dove sono adunque tutte le proibizioni che costoro sognano? Che hanno che fare tutti quei testi della S. Scrittura che allegano a sproposito? Se non conoscono la dottrina Cattolica, perché l’impugnano? Se la conoscono, perché perfidiano a confonderla con quella degli Idolatri? Eppure credereste? Sono così incaponiti di questa loro follia, che io ho sentito qualcuno di loro arrivar fino a dire che noi Cattolici per potere idolatrare con libertà abbiamo falsati anche i divini comandamenti, ed un Apostata infelice ha perduto colla S. Fede anche il senso comune fino al punto di stampare questa scempiaggine in un di quei Iibricciuoli che tanto si studiano di farvi capitare tra mano. Ma e come possono dar colore a questa calunnia? Ecco, hanno trovato che nei nostri Catechismi, i divini Comandamenti non sono stati copiati alla lettera come sono nel libro dell’Esodo, e che sono state tralasciate quelle parole: non ti farai scultura, etc. e sopra di ciò gridano alla falsificazione, al tradimento fatto ai fedeli della Cattolica Chiesa. Osservate dunque e comprendete sempre più la buona fede di questi apostati. I Comandamenti non sono stati copiati alla lettera nel Catechismo, dicono. Ebbene qual meraviglia? Già si sa che non sono stati copiati alla lettera. O che? Nel Catechismo si deve trascrivere tutta la S. Scrittura? Il Catechismo non è altro che un piccolo compendio delle verità più necessarie a sapersi, e però tutte le altre benché preziose, benché divine, pure si ommettono. Quindi è che dei divini Comandamenti si lascia tutto quello che riguarda principalmente i Giudei. Così nel primo Comandamento si ommette che Dio ci ha tolto dalla schiavitù di Faraone perché riguarda loro: si ommettono pure le benedizioni ed i castighi che Dio darà a chi lo osserva, ed a chi lo trasgredisce perché le pene ed i premi temporali erano più propri dell’antica legge che della nuova. Nel terzo si lascia quello che nella santificazione delle feste riguardava l’uso di quel popolo speciale. Nell’ultimo si compendia in poche parole quello che ivi è sposto a lungo. Ora nella stessa maniera nel primo si omette quello che riguarda l’Idolatria, poiché nel popolo Cristiano, grazie al Signore, non vi è più questo pericolo, e non si riconosce più che il solo vivo e vero Iddio. Che cosa ha dunque nascosto la S. Chiesa ai suoi fedeli? Quello che non era necessario a sapersi, se già non vengono i Protestanti ad insegnarci che fra di noi vi sia proprio il pericolo di idolatrare. Del resto neppur questo l’ha nascosto, poiché in tutti i Catechismi alquanto estesi (e gli Apostati lo debbono sapere) si parla anche a lungo della Idolatria, e si espongono tutte le parole, come stanno nell’Esodo: e poi dalla S. Scrittura non ha levate quelle parole ed ognuno che voglia leggerle, lo può molto facilmente. Che malizia v’è dunque qui? Quella sola che v’apportano gli iniqui che calunniano la S. Chiesa Cattolica. Ed ecco finalmente dove vanno a parare tutte le ragioni che apportano per dimostrare che nella Chiesa Cattolica v’è l’Idolatria. Frattanto però che veggono l’Idolatria dove non è, non veggono poi la pietà cristiana dove realmente si trova. Non veggono come il Signore adorato nelle sue immagini, e la Vergine, ed i Santi invocati in esse ci fanno grazie d’ogni maniera. Non veggono che Gesù rappresentato ora Bambino, ora penante, ora Crocifisso risveglia i sentimenti più belli di fede, di compassione, di amore, di speranza, di contrizione in tanti cuori cristiani, non veggono che la Madonna invocata in tanti santuari ottiene da Gesù le grazie più preziose, non veggono che i Santi onorati alle loro tombe, o nelle loro Reliquie hanno impetrato spesse volte da Dio la sanità agli infermi, la vista ai ciechi, l’udito ai sordi, e perfino ai peccatori la grazia della conversione. Non veggono che in tutti i secoli della Chiesa fu sempre in uso la invocazione dei Santi ed il culto delle Reliquie trovandosi praticato fin nelle Catacombe. Non veggono che i più gran Santi lo raccomandano e ne contano gli effetti anche di miracoli strepitosi. Non veggono che la ragione lo approva, la fede il consiglia, e perfino il buon senso lo persuade. E non vedendo tutto ciò che è sì chiaro, veggono invece i sogni del loro cervello farneticante, e lor danno credito e li spacciano con tal burbanza che fa tutto insieme stomaco e compassione. – Gesù li illumini per intercessione di Maria e di quei Santi che essi sventuratamente non vogliono conoscere, e voi, rigettate le loro bestemmie, guardatevi care le sacre immagini consolandovi frattanto a vagheggiar nel ritratto quelli con cui sperate di conversare domesticamente per tutta l’eternità

SALMI BIBLICI: “CÆLI ENARRANT GLORIA DEI” (XVIII)

Salmo 18: Cæli enarrant Gloria Dei …

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS.

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

TOME PREMIER.

PARIS

LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR

13, RUE DELAMMIE, 1878

IMPRIM. Soissons, le 18 août 1878. f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

In finem. Psalmus David.

[1] Cæli enarrant gloriam Dei,

et opera manuum ejus annuntiat firmamentum.

[2] Dies diei eructat verbum, et nox nocti indicat scientiam.

[3] Non sunt loquelae, neque sermones, quorum non audiantur voces eorum.

[4] In omnem terram exivit sonus eorum, et in fines orbis terrae verba eorum.

[5] In sole posuit tabernaculum suum; et ipse tamquam sponsus procedens de thalamo suo.

[6]Exsultavit ut gigas ad currendam viam;

[7] a summo cælo egressio ejus. Et occursus ejus usque ad summum ejus; nec est qui se abscondat a calore ejus.

[8] Lex Domini immaculata, convertens animas; testimonium Domini fidele, sapientiam praestans parvulis.

[9] Justitiæ Domini rectae, laetificantes corda; præceptum Domini lucidum, illuminans oculos.

[10] Timor Domini sanctus, permanens in sæculum sæculi; judicia Domini vera, justificata in semetipsa.

[11] Desiderabilia super aurum et lapidem pretiosum multum; et dulciora super mel et favum.

[12] Etenim servus tuus custodit ea; in custodiendis illis retributio multa.

[13] Delicta quis intelligit? ab occultis meis munda me;

[14] et ab alienis parce servo tuo. Si mei non fuerint dominati, tunc immaculatus ero, et emundabor a delicto maximo.

[15] Et erunt ut complaceant eloquia oris mei, et meditatio cordis mei in conspectu tuo semper.

[16] Domine, adjutor meus, et redemptor meus.

SALMO XVIII

[Vecchio Testamento secondo la Volgata Tradotto in lingua italiana da mons.

ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

La lode della legge divina paragonata al cielo e al sole, e del cielo e del sole più bella, più potente e più utile.

Per la fine, salmo di David.

1 . I cieli narrano la gloria di Dio, e le opere delle mani di lui annunzia il firmamento.

2. Il giorno al giorno fa nota questa parola, e la notte ne dà cognizione alla notte.

3. Non avvi linguaggio né favella, presso di cui intese non siano le loro voci.

4. Il loro suono si è diffuso per tutta quanta la terra, e le loro parole sino a’ confini della terra.

5. Ha posto nel sole il suo padiglione, e questi, come uno sposo che esce dalla stanza nuziale,

6. Spunta fuori qual gigante a fornir sua carriera. Dall’una estremità del cielo si parte;

7. E corre fino all’altra estremità di esso, e non havvi chi al calore di lui si nasconda.

8. La legge del Signore immacolata, che converte le anime; la testimonianza del Signore è fedele, e ai piccoli dà sapienza.

9. I precetti del Signore sono retti, e rallegrano i cuori; il comandamento del Signore è lucente, e gli occhi rischiara.

10. Santo il timor del Signore, che sussiste per tutti i secoli; i giudizi del Signore son verità, giusti in se stessi.

11. Più desiderevoli che l’oro e le pietre molto preziose, e dolci più del miele, e del favo di miele.

12. Imperocché il tuo servo diligentemente gli osserva, e grande è la mercede dell’osservarli.

13. Chi è che gli errori conosca? Mondami da peccati, che a me sono occulti.

14. E da’ perversi uomini tienimi lontano. Se questi non prevarranno sopra di me, sarò allora senza macchia, e da delitto gravissimo sarò mondato.

15. E a te accette saranno le parole della mia bocca, e la meditazione del cuor mio alla tua presenza in ogni tempo.

16. O Signore, aiuto mio e mio Redentore.

Sommario analitico

Davide, contemplando i cieli, il firmamento ed il sole come tante voci potenti che proclamano la gloria di Dio, e come rapito in estasi, vede nei cieli l’immagine degli Apostoli che percorrono l’universo e spandono la luce del Vangelo che dissipa le tenebre dell’infedeltà, dell’empietà, dell’ignoranza e del peccato; nel sole, la figura di Gesù-Cristo, del Figlio di Dio fatto carne, elevandosi radiosa dal seno di Maria, come dal letto nunziale ove si è unito alla natura umana, con la legge, è il simbolo della luce di cui Egli è il focolare. Questo salmo è come la promulgazione della legge evangelica. La grande verità che vuol mostrare è questa: La gloria di Dio si manifesta nelle opere visibili della creazione, che obbediscono alle leggi che Egli ha loro tracciato; ma ancora più mirabile è la legge morale che ha dato all’uomo.

I. – Egli compara gli Apostoli ai cieli, che proclamano la gloria di Dio e annunciano le opere delle sue mani (2), a) senza alcuna interruzione del tempo (3); b) senza alcune eccezione di persone (4); c) senza alcuna differenza di luogo (4).

II. – Egli fa vedere come la fonte di ogni luce è in Gesù-Cristo, simile al sole: a) per la maestà del suo brillare, Egli è il trono di Dio (5); b) per la beltà del suo levarsi, è più amabile di uno sposo che esce dalla camera nunziale; c) per la rapidità e l’immensità della sua corsa, è più forte di un gigante (6); d) per il suo calore fecondante (7).

III. – Egli fa l’elogio della legge della quale gli Apostoli sono i predicatori, di cui Gesù Cristo è la fonte e l’Autore: 1) essa viene in soccorso alla fede, convertendo le anime, insegnando loro a fuggire il peccato e loro ispirando la saggezza necessaria all’acquisizione delle virtù (8); 2) essa sostiene la speranza, diffondendo nelle anime la gioia che causa la prospettiva dell’eterna beatitudine, eccitando un vivo desiderio di seguire il sentiero umano di cui essa è il termine (9); 3) essa dà delle ali alla carità per il filiale timore che spinge le anime al dovere, e con un amore non meno filiale che conduce a Dio per Dio solo (10); 4) essa attira gli uomini alla pratica delle buone opere: a) con la sua utilità in questa vita, essa è più ricca, più desiderabile dell’oro e delle pietre preziose; b) per la sua soavità, essa è più dolce del miele (11); c) per l’eccellenza della ricompensa eterna che è loro riservata (12).

IV. – Malgrado il proposito che è quello di osservare la legge di Dio, proposito che afferma appunto, Davide teme le tenebre dei peccati: a) a causa dell’ignoranza dell’intelligenza, che non li conosce sufficientemente; b) a causa della debolezza della memoria che li dimentica; c) a causa della fragilità della volontà, che cede alle cattive suggestioni (13).

V. – Egli desidera dissiparle: a) con le sue opere, separandosi dai malvagi per essere senza macchia (14); b) con la bocca, invocando e lodando Dio; c) con il cuore, meditando la sua legge (15); d) con tutta la sua vita, mettendo la sua speranza solo in Dio (16).

Spiegazioni e Considerazioni

I – 1-4.

ff. 1. – « I cieli raccontano la gloria di Dio »; non che i cieli lascino intendere una voce sensibile, ma perché colui che si sarà esercitato a meditare le ragioni che hanno presieduto alla creazione del mondo e colui al quale questo linguaggio dei cieli avrà fatto comprendere la disposizione ammirevole e la magnificenza dei corpi celesti, giungerà così a conoscere la gloria del Creatore dei cieli (S. Basilio). – I cieli, gli astri, i giorni, le notti, non dicono nulla di per se stessi, poiché manca loro l’intelligenza; ma lo spettacolo che essi presentano, eccita l’uomo a riconoscere ed a celebrare la potenza, la saggezza, la bontà del Creatore (Berthier). – Voci eclatanti dei cieli che raccontano la gloria di Dio non con le parole, ma con la loro semplice mostra, che persuade ed istruisce con gli occhi. – Libro comune è questo, aperto sotto gli occhi di tutti, ed in cui gli astri, le stelle, sono tante lettere d’oro che rendono visibile l’eterna potenza e la divinità del Creatore del mondo. – Sventura dei filosofi pagani è stato l’aver conosciuto Dio attraverso le sue creature e non averlo glorificato come Dio (Rom. I, 21). – Sventura ancora più grande dei filosofi che, in seno al Cristianesimo e tra i suoi baglori, non studiano i cieli e gli astri se non per soddisfare ad una vana curiosità (Duguet). – Quando contemplate la bellezza, la grandezza, lo splendore dei cieli, e meditando al di fuori di voi stessi sullo spettacolo magnifico che essi presentano ai vostri occhi, voi lodate il Creatore per tante meraviglie, i cieli hanno fatto intendere veramente la loro voce, e hanno raccontato la gloria di Dio nel linguaggio che è loro proprio. E Come questo? Con il loro fulgore e splendore essi ci elevano a questa luce la più bella e più viva della quale è Dio la sorgente (S. Chryis. su Isai. XLV). – Nel senso allegorico i cieli sono i santi Apostoli, nei quali Dio abita come nei cieli, e che raccontano la gloria di Nostro Signore Gesù Cristo, o la gloria che il Figlio ha dato al Padre quando era sulla terra. Il firmamento è il loro cuore trasformato in cielo, per la loro fiducia nello Spirito Santo, da quando era terra di cui era fatto in precedenza a causa della paura (S. Agost.). Il linguaggio dei cieli è continuo; notte e giorno essi parlano; di giorno per la bellezza del sole, e di notte per quella della luna; e come i giorni e le notti si succedono, il Re-Profeta dice che ogni giorno, dopo aver compiuto il suo corso, trasmette al giorno seguente il compito di lodare Dio; che la notte anche, dopo aver cantato il suo inno, fa conoscere alla notte seguente, la sapienza nel lodare Dio. È un concerto magnifico in cui il cielo e la terra si rispondono e cantano il loro inno al Creatore. Quale sarà l’uomo così insensato da rifiutare di unire la propria voce alla vostra universale armonia? (Bellarm.). – Così avviene la trasmissione tradizionale e perpetua di età in età del deposito della Dottrina apostolica e della predicazione evangelica. I pastori, ai quali il deposito è affidato in modo speciale, devono avere, seguendo la raccomandazione di San Paolo, due qualità: essere fedeli e capaci; fedeli per conservare questo deposito nella sua integrità; capaci, per trasmetterlo senza alterazioni e così come esso è stato trasmesso a loro stessi (II Tim. II, 2). – Tre sono i caratteri della predicazione che fanno i cieli della Gloria di Dio, e che deve riprodurre la predicazione evangelica. – 1) essi la predicano incessantemente; 2) in tutte le lingue possibili; 3) a tutta la terra. – Predicazione continua, se non sempre con le parole, almeno con gli esempi. È una successione non interrotta di Pastori che annunciano la parola di Dio. – Un predicatore deve parlare in modo tale da essere inteso da tutti, dagli ignoranti fino ai sapienti, sia dal popolo che dalle persone di qualità. Egli deve predicare volentieri nei villaggi, così come nelle grandi città, sia davanti ad un piccolo uditorio, che davanti ad un uditorio numeroso (Duguet).

II. — 5-7.

ff. 5-7.  –  « Egli ha posto la sua tenda nel sole »; Egli ha stabilito la sua Chiesa in piena luce e non nell’oscurità; Essa non deve essere né nascosta né velata per così dire, per paura che non appaia come velata agli occhi degli eretici (S. Agost.). – Lo stesso Verbo, quando si è fatto carne, simile ad uno sposo, ha trovato il suo letto nunziale nel seno di una Vergine; unito per questo mistero alla natura umana e uscendo da questo puro e casto nido, umile per misericordia al di sopra di tutti, sorpassando tutti in dignità, « Egli si è slanciato come un gigante per intraprendere il suo percorso »; Egli è nato, si è fatto grande, ha insegnato, sofferto, e resuscitato, è salito in cielo; ha fatto il suo percorso e non si è arrestato (S. Agost.). – Ci vuole ardore per correre come un gigante nella via di Dio, cosa necessaria per essergli gradito. La vita molle e languida, senza amore per Dio, è lo stato più pericoloso. – Ogni fedele deve essere molto attento a seguire il percorso di Gesù-Cristo, cioè a studiare la sua vita più di quanto non sia un astronomo curioso nell’osservare le rivoluzioni del sole. Svincoliamoci allora da tutto ciò che ci appesantisce e da ogni legame col peccato, e corriamo con pazienza nel percorso che si apre guardando Gesù, l’autore ed il ricapitolatore della fede (Hebr. XII, 1-2). – Dio ha creato il sole, per comunicare alla terra la luce ed il calore di cui essa ha bisogno, e, docile alla voce che l’ha lanciato un dì nello spazio, l’astro del giorno non ha mai cessato di compiere regolarmente la sua opera. Poco gli importa di ciò che avviene sulla terra, egli la rischiara, la scalda, e nulla può sfuggire al suo calore. Che il mondo sia tranquillo o che sia agitato o sconvolto, esso riluce con uguale splendore sulle campagne serene e sui campi di battaglia. Che gli uomini obbediscano a Dio, o che Lo offendano, il sole ogni anno, fa nondimeno maturare le loro messi. Esso è pure l’immagine della bontà di Dio che si prende cura di tutte le sue creature, che non rifiuta a nessuno i suoi benefici, e che fa rilucere il suo sole sui buoni e sui malvagi (De La Bouillerie, Symbolisme, I, 33). – Dio, nell’universo morale come nell’universo fisico, ha diviso la luce dalle tenebre; e come quella del giorno colpisce repentinamente gli occhi, quella della coscienza colpisce ugualmente tutti gli spiriti. Cosa dico, per la luce del sole vi sono delle vaste profondità ove essa non penetra; ma non ve ne sono nel fondo dell’anima ove scende quella della coscienza, ed è di essa, più che dell’astro fisico, che si può dire che nulla sfugge al suo calore vivificante. « Luce vera, essa illumina – dice S. Giovanni – tutti gli uomini che vengono a questo mondo » (De Boulogne, Sur la Verité).

III. — 8 – 12.

ff. 7-12. – Il Re-Profeta sempre trasportato da una santa ammirazione per la Provvidenza divina, dopo aver celebrato la saggezza dei suoi consigli nelle sue opere grandi e magnifiche, passa da qui insensibilmente a considerare le sue leggi; similmente al salmo CXVIII 89-92. Cosa vuol dire? Quale legame trova questo canto celeste tra Dio e la sua legge? Non sembra che dica a tutti nel fondo della nostra coscienza: alzate i vostri occhi, figli di Adamo, uomini fatti ad immagine di Dio! Contemplate questa meravigliosa struttura del mondo, vedete quanto accordo e quanta armonia; c’è qualcosa di più bello e di più magnifico di questo grande e superbo edificio? Questo è perché la volontà divina vi è fedelmente osservata, perché i suoi disegni sono stati puntualmente eseguiti e tutto si regge per mezzo dei suoi movimenti. Se anche le creature corporee ricevono tale ornamento perché obbediscono ai decreti di Dio, quanto più sarà grande la bellezza delle nature intelligenti regolate dai suoi ordinamenti! (Bossuet. Serm. Sur la loi de Dieu). – Due cose sono necessarie all’uomo in questa vita: la luce del sole per i bisogni del corpo, e la luce della legge per la pace e la tranquillità dell’anima. – Sotto questi diversi nomi di legge, di testimonianza, di giustizia, di giudizio, di timore, il Profeta qui ha in vista la legge naturale, la legge mosaica e la legge di Gesù Cristo. Ecco alcuni dei tratti che applica convenientemente a queste tre leggi; ma presi tutti insieme non convengono che alla legge di Gesù Cristo. – Dio ha operato differentemente tra tutti gli altri popoli del mondo, ai quali si è contentato di parlare con lo spettacolo della natura, il popolo di Israele ed il popolo Cristiano, ai quali ha parlato con i suoi Profeti e con suo Figlio. Quali sono le caratteristiche di questa santa Legge? Sono multiple. – 1) la legge di Dio è pura, a) formalmente in se stessa, essa non permette né soffre di alcun peccato, come le leggi umane che ne tollerano diversi; b) effettivamente, rendendo puri coloro che l’osservano. La sua purezza coinvolge le anime, e facendosi amare da esse, le eleva fino a Dio, come fino all’Autore di questa legge. – Questa parola è santa e santificante. Non richiederebbe nessun’altra qualità perché sia separata dagli insegnamenti della morale umana quanto tutta la distanza che corre dalla terra al cielo. L’orgoglio ed il sensualismo legati insieme, hanno ai nostri giorni riesumato dai vecchi sepolcri del paganesimo, ciò che la stoltezza e l’irriflessione contemporanea hanno nominato la morale indipendente, o, ed è la stessa cosa, con formula brutalmente empia, la morale senza Dio. Ah! Questa come potrebbe essere santa? Come, scaturita da intelligenze corrotte e da cuori votati al vizio, non sarebbe affetta dall’infezione del vaso che la rinchiude? Come, priva di esempi, troverebbe il cammino della virtù? Come, privata di sanzioni, resisterebbe agli assalti impetuosi e alle rivolte dei sensi? (Doublet, Psaumes, I, 178). – La legge di Dio, considerata assolutamente, è in essa stessa ed in rapporto a Dio, che è suo principio, una legge semplice ed uniforme, una legge invariabile ed inalterabile, una legge santa ed irreprensibile (Bourd. Faus. Cons.). La santità della legge divina e ciò che le dà la forza di convertire le anime (Idem). – 2) La testimonianza del Signore è fedele perché essa è resa da Colui che è la verità stessa; è fedele perché secondo la sua promessa essa ricompensa certissimamente i buoni e punisce i malvagi. – Essa dà la saggezza ai piccoli, agli umili che hanno la semplicità del cuore e non si fidano delle luci del proprio spirito, ma si sottomettono umilmente a Dio, il solo capace di dar loro la vera saggezza. « Io vi rendo gloria o Padre, Signore del cielo e della terra, perché avete nascosto queste cose ai saggi ed ai prudenti, e le avete rivelate ai piccoli » (Matteo XI, 25). – 3) I giudizi del Signore sono retti e non vengono mai meno. La legge di Dio stabilisce nello spirito una certezza infallibile. Quale irrequietezza nelle cose umane! Non si sa se si faccia bene o male: si fa bene per stabilire la propria fortuna, si fa male per conservare la salute; si fa bene per i propri piaceri, ma non si contentano i propri amici e così anche altre cose. Nella sottomissione alla legge di Dio, si fa assolutamente bene, si fa bene senza limiti, perché quando si fa questo bene, tutto il resto ha poca importanza; in una parola si fa bene perché si segue il Bene sovrano. E come è possibile non essere nel riposo seguendo il sovrano bene? Quale dolcezza e quale tranquillità alla propria anima! … anche il Re-Profeta aggiunge: « I giudizi di Dio fanno gioire il cuore », perché essi sono retti, perché essi regolano le sue affezioni, perché essi li mettono nella disposizione che gli è più conveniente, e nel vero punto ove è la perfezione (Boss.). – 4) « Il precetto del Signore è luminoso, rischiara gli occhi » della nostra anima, perché più Dio la rende pura con la pratica della sua legge, più la rende chiara. La legge di Dio mostra la verità senza sfumature, senza rimescolio di oscurità, e noi facilmente scopriamo questo bagliore, questa chiarezza, quando imponiamo il silenzio alle nostre passioni. – 5) « Il timore del Signore è santo ». Questo timore del Signore non è servile, ma casto; esso ama Dio per se stesso; esso non teme la punizione di Colui davanti al Quale tremerebbe, ma temedi essere separato da Colui che egli ama. Tale è il casto timore, che non bandisce la perfetta carità, ma che sussiste nei secoli dei secoli (S. Agost.). – Le leggi umane ispirano la paura, ma una paura che non ferma che la mano, che non ha dominio sulla volontà. A Dio solo appartiene l’assoggettare l’uomo interiore e il creare nel cuore un timore veramente salutare, veramente puro e santo, questo timore che opprime i cuori; non la paura dello schiavo che teme l’arrivo di un padrone adirato, ma il timore di una sposa casta che teme di perdere ciò che ama. – 6) « I giudizi del Signore sono veraci e giusti per se stessi; » essi non sono sottomessi all’approvazione, alla conferma o all’accettazione degli uomini. Essi sono veraci per se stessi e gli uomini non potranno mai cambiarne alcunché (Duguet). – I giudizi degli uomini possono essere talvolta ben veri, ma non possono essere giustificati per se stessi. Tutte le verità create devono essere necessariamente riferite alla Verità divina, da cui traggono tutta la loro certezza. Ma per i giudizi di Dio – dice il santo Profeta – essi sono veri di una verità propria ed essenziale, ed è per questa ragione che sono giustificati per se stessi (Bossuet, Serm. Sulla legge di Dio). – 7) Lo spirito di fede solo può far comprendere e sentire la beltà, il pregio e la dolcezza della legge di Dio, lo spirito del mondo giudica diversamente, perché il mondo è nemico di Dio e di Gesù Cristo. Quale fondo di orazione doveva essere nel santo Profeta!Perché senza l’orazione non si conoscerà mai la bellezza e la dolcezza della legge di Dio, non se ne penetreranno mai i comandi (Berthier). – 8) Il vostro servitore prova quanto essi siano dolci, non solo lodandoli con le parole, ma soprattutto osservandoli. Il vostro servitore li osserva sia perché sono dolci per il presente, sia perché sono salutari per l’avvenire (S. Agost.). – O quanto desiderabile è questa legge e quanto dolce è questa parola! « Essa è più dolce del miele alla bocca, più desiderabile di ogni tesoro ». In effetti questa legge mirabile è un bagliore di verità divina, ed un efflusso di questa sovrana bontà. Non dubitate che questa fontana non abbia conservato qualcosa delle qualità della sua sorgente. Il vostro servitore, o Dio mio, osserva i vostri comandamenti, canta amorevolmente il salmista, « c’è una grande ricompensa » nell’osservarli. Non in altra cosa, dice Sant’Agostino, ma in questo li si osserva; la retribuzione è grande perché là c’è una dolcezza senza eguali (Bossuet, Sulla legge di Dio). Questa dottrina non persuade con le parole. Davide non ne ha fatto un trattato; egli l’ha provata, egli ha fatto, in rapporto alla legge, ciò che dice della dolcezza dell’amore di Dio: cominciate con il gustare il Signore, e vedrete la dolcezza legata al suo servizio.

IV. — 13, 16.

ff. 13, 14. –  Conservando questa dolcezza, questa soavità della carità, questo amore dell’unità, il timore come il Re-Profeta, siamo attenti che qualche peccato non si infiltri in noi, perché noi siamo uomini, e pertanto ci lasciamo invadere dal peccato (S. Agost.). – Dov’è dunque l’innocente, vi prego, dov’è il giusto? Spesso ripenso a questo brano della Bibbia dove è detto: « Io visiterò Gerusalemme con dei lampi ». Abbiamo noi il coraggio di visitare Gerusalemme con dei lampi, e non oseremo più pronunziare arrossendone le parole di virtù, di giustizia e di innocenza. Cominciamo ad esaminare il male che è in noi, e lanciamo uno sguardo coraggioso che giunga al fondo di questo abisso; poiché è impossibile conoscere il numero di trasgressioni, e nondimeno fino a qual punto si sia stati colpevoli, come si sia perturbato l’ordine generale e contrariati i piani del Legislatore eterno. Pensiamo di poi a questa spaventosa comunicazione di crimini che esiste tra gli uomini, con la complicità, il consiglio, l’esempio, l’approvazione, parole terribili che bisognerebbe meditare incessantemente. Quale uomo sensato potrà pensare senza fremere all’azione disordinata che ha esercitato sui suoi simili e alle conseguenze possibili di questa funesta influenza? Raramente l’uomo si rende colpevole da solo, raramente un crimine non ne produce un altro. Dove sono i limiti della responsabilità? Da qui questo tratto luminoso che scintilla tra mille altri nel libro dei Salmi: « … quale uomo può conoscere l’estensione delle sue prevaricazioni? O Dio, purificatemi da quelle che ignoro, e perdonatemi quelle degli altri. » (J. De Maistre). – Si dica spesso con il sant’uomo Giobbe: « Quali sono i miei crimini e le mie iniquità? Mostratemi i miei peccati e le mie colpe. » (Giob. XIII, 23). – Quando, alla vista delle vostre buone opere, sarete tentati di compiacervi in voi stessi e moderate le vostre inquietudini, tremate ancora, perché il gran Dio giudicherà i giudizi stessi, e foste anche elevati come le aquile (Abd. IV), o rivestiti delle virtù brillanti come il sole, nessuno vi possa rispondere che una caduta fatale ne offuschi all’istante il lustro e lo splendore. E quando avrete confessato davanti a Dio tutti i vostri peccati conosciuti, tremate ancora, perché vi sono dei peccati nascosti – dice il Profeta – e che tutti i misteri non sono nel seno di Dio, ma ve ne sono ancora di mostruosi e di incomprensibili nel cuore dell’uomo. « Chi conosce i suoi peccati? » (De Boulogne, Sulla giustizia di Dio). – « Chi conosce le proprie colpe »? Dov’è l’uomo che sa acquisire questa scienza necessaria? Quanto siamo ardenti e vanamente curiosi? In quale abisso di cuori, in quali misteri segreti della politica, in quale oscurità della natura non pretendiamo noi di penetrare? Malgrado questo spazio immenso che ci separa dal sole, noi abbiamo saputo scoprire le sue macchie, cioè rimarcare delle ombre nel seno stesso della luce; tuttavia le nostre macchie ci sono sconosciute; noi solo vogliamo essere senza ombra ed le nostre colpe, che sono la favola del popolo, sono nascoste a noi stessi. Due cose ci impediscono di conoscerle: primieramente noi non vediamo molto da vicino, l’occhio si confonde con l’oggetto, noi non siamo tanto distaccati da noi stessi per considerarci con sguardo distinto e vederci in piena luce; secondariamente, ed è il disordine più grande, noi non vogliamo conoscerci se non per le nostre belle caratteristiche. Noi ci dispiacciamo nel dipingere chi non ha saputo coprire i nostri difetti, e amiamo meglio non vedere se non la nostra ombra e la nostra figura, pur se poco sembri bella, piuttosto che la nostra persona ove appaiono delle imperfezioni. Questa ignoranza ci soddisfa, e con la stessa debolezza con la quale immaginiamo di essere sani quando non avvertiamo i nostri mali, e rassicurati quando chiudiamo gli occhi al pericolo, ricchi quando trascuriamo di vedere l’imbarazzo e la confusione dei nostri conti e dei nostri affari; noi crediamo di essere perfetti quando non percepiamo i nostri difetti (Bossuet, Serm. Sulla carità, et Serm. de Profes.). – I peccati segreti, nascosti agli altri e a noi stessi sono i più pericolosi ed i più difficili da guarire. Niente c’è di più funesto di quelle colpe che si ritengono essere peccati leggeri. Nessun male inganna più facilmente di un male sull’esistenza del quale ci si illude. Nessun peccatore è più degno di lacrime di colui che immagina di non avere colpe da piangere (S. Agost.). – « Preservate il vostro servo dal peccato d’altri ». Preghiera ammirevole è quella che richiama all’uomo questa funesta comunicazione del male, in virtù della quale vi sono pochi peccati puramente personali. I miei peccati mi deturpano, quelli degli altri mi fanno soffrire; purificatemi dei primi, preservatemi dagli altri. Togliete dal mio cuore ogni pensiero cattivo, allontanate da me ogni cattivo consigliere (S. Agost.). – Noi possiamo renderci colpevoli dei peccati di altri con i nostri consigli (Eccl. XXVIII, 30); con le nostre approvazioni, (Rom. I, 32); con i nostri inasprimenti (Efes. VI, 4); con ingiusti comandi (Isaia XI); con i nostri discorsi o con i nostri esempi; con la reticenza (Ezech. III, 18); con la dissimulazione e la connivenza; con la complicità (Prov. XXIX, 24); prendendo le difese del male commesso, etc. – Essere posseduto dal peccato, è un grande male; ma esserne dominati, è il male sovrano. Il peccato non domina se non colui che cede e che, cedendo, divenga suo schiavo (II Piet. II, 19). – Tale è l’effetto di dominare dappertutto e di non cedere a nessuno, e che si lascia poi vergognosamente assoggettare alle passioni più disonorevoli (Duguet). – Questo grande peccato è l’orgoglio, origine e causa di tutti i crimini. È a causa di questo vizio, di questo grande peccato d’orgoglio che Dio si è fatto umile sulla terra. Questo grande peccato, questa grande malattia dell’anima, ha attirato dal cielo il Medico onnipotente, L’ha costretto ad abbassarsi fino alla condizione di schiavo, L’ha coperto di obbrobri, e Lo ha sospeso alla croce, alfine di guarire questo tumore con la virtù salutare di tale rimedio (S. Agost.). – Se noi non siamo purificati da questo grande peccato, le nostre parole potranno essere gradevoli alla presenza degli uomini, ma non in presenza di Dio (S. Agost.). – La purezza del cuore, è la principale disposizione per assicurare il successo delle nostre preghiere vocali e delle nostre orazioni. Quanto al peccatore, Dio gli dice: spetta a te rendere pubblici i miei giudizi, cantare le mie lodi, annunciare la mia alleanza? (Ps. XLIX, 16). – « Signore, voi siete il mio aiuto ed il mio Redentore. Eccellente conclusione di tutte le mie preghiere; il mio Aiuto nel bene, il mio Redentore nel male; il mio Aiuto affinché io viva nel vostro amore, il mio Redentore affinché sia liberato dalle mie iniquità ». (S. Agost.)

9 AGOSTO: S. GIOVANNI MARIA VIANNEY, IL CURATO D’ARS

San GIOVANNI MARIA VIANNEY

CURATO D’ARS

(1786-1859)

[Mons. C. Salotti: i Santi ed i Beati proclamati nell’Anno Santo 1925 – Panegirici- S.E.I. Torino, 1927 – ]

La canonizzazione del Curato d’Ars ebbe luogo il 31 maggio 1925. Nei tre giorni successivi, nella Chiesa nazionale di S. Luigi dei Francesi, si celebrò in suo onore un solennissimo triduo. Io recitai questo mio panegirico il 2 giugno dinanzi ad una folla immensa di pellegrini francesi, tra i quali si notavano vescovi e prelati, ragguardevoli personalità e moltissimi parroci. L’attuale Curato d’Ars, Mons. Converi, che era presente, volle poi il mio discorso che, tradotto in francese, venne per sua cura pubblicato e diffuso.

In bonitate et alacritate animæ suæ placuit Deo prò Israel.

(Eccles. XLV, 29)

La Francia è indiscutibilmente una nazione nobile e grande, che occupa un posto d’onore nella storia della Chiesa e della civiltà. È la terra di Clodoveo che sui campi di Tolbiac, invocato il Dio di Clotilde, riportava un’insigne vittoria e gettava le basi granitiche della nazionalità franca. È la terra di Carlo Magno, che, consacrato imperatore dal Papa, poneva la sua spada al servizio della Chiesa, ed inaugurava una nuova èra storica, in cui la Francia, divenuta scudo e baluardo del Cattolicismo, difendeva con esso le ragioni supreme della civiltà. È la terra di Luigi IX, il santo, che moriva da eroe sui campi africani per un ideale religioso, dopo che coll’esempio delle sue virtù regali aveva nobilitato gli splendori del trono e additato ai monarchi la via luminosa della vera grandezza. È la terra dei Crociati e dei cavalieri senza macchia e senza paura, i quali, offrendo la spada e la vita alla difesa del diritto, fecero sventolare in tante parti del mondo la loro bandiera, su cui scrissero col proprio sangue le parole fatidiche che la storia ha baciato e benedetto: Gesta Dei per Francos. Di quanti nomi illustri e di quante fulgide glorie può menar vanto la Francia nel corso dei secoli! Essa mi ricorda Bernardo da Chiaravalle, il solitario ed austero cenobita, che con la parola, con la penna e coll’attività instancabile di uno spirito conoscitore dei tempi e dei bisogni sociali, sorge a paladino del dogma e della giustizia, e viene salutato apostolo della restaurazione cattolica nel secolo II. Essa rammenta con orgoglio la sua Giovanna d’Arco, che, ispirata da Dio, corre sui campi di battaglia per salvare la patria e la corona del Re. Né dimentica S. Vincenzo de’ Paoli, il meraviglioso organizzatore della carità, il quale preludendo ad una sana democrazia, intendeva, con la elevazione dei poveri e degli umili, compiuta nel nome del Vangelo, affratellare le classi e spingere la questione sociale sulla via di una pacifica soluzione. Patria di santi e di combattenti, ha visto brillare sulla fronte de’ suoi figli la luce del genio e della fede, ed ha comunicato loro l’ardore dei prodi e l’entusiasmo per le più sante battaglie. Essa suscitò i Chaminade, i Fournet, i La Mennais, i Garicoits, le Postel e le Barat, perché sulle ruine della rivoluzione edificassero un nuovo edifìcio di vita religiosa e nazionale. Essa è la patria gloriosa di Montalembert e di Chateaubriand, di Veuillot e di Lacordaire, di Leone Harmel e di Alberto de Mun, uomini di mente e di cuore, di pensiero e d’azione, che, assertori d’ideali magnifici, lavorarono sinceramente per il bene della nazione e per il trionfo della fede. Ed è pur sempre ammirevole ed eroica questa Francia moderna, che, aggredita, difende con ardore indicibile i suoi confini, la sua bandiera, la sua esistenza; e contempla schierati attorno ai suoi stendardi di guerra tutti i suoi figli, anche quei religiosi e quei preti, che, cacciati e proscritti dalla patria in nome del laicismo imperante, accorsero perfino dalle missioni più lontane per venire a difendere il suolo nativo. Quando ieri l’altro nella Basilica di S. Pietro, in mezzo alla gloriosa schiera dei preti francesi, scórsi qualche mutilato di guerra, portante sulle proprie carni le stigmate del sacrificio, la mia anima fu invasa da un fremito d’intensa commozione. E allorquando mi fu additato un prete, che camminava su una gamba di legno, e mi fu detto che fu un ufficiale dell’esercito, il quale si batté da eroe sul campo, io avrei voluto baciare quell’eroe sulla fronte. Egli per me era il genuino rappresentante di quella Francia, che è stata sempre grande nella storia, perché in ogni secolo ha attinto dalle sorgenti della fede l’ispirazione del bene e la fiamma degli eroismi. È vero che nella storia di questa nazione, specialmente negli ultimi tempi, vi sono state delle ombre fosche e dei contrasti dolorosi. Perché stupirsene? Di fronte alla potenza del bene si levano spesso uomini, che, immemori dei loro doveri, o traviati dalle loro passioni, si fanno a diffondere il male. Quanto più risplende il bene, tanto è più aspra la lotta che contro la sua luce muovono i fautori delle tenebre. Quanto più in una nazione echeggia forte e vibrante l’inno della fede, con cui si saluta Cristo, tanto più satana scatena le tempeste e affila le armi per contrastare alle conquiste del Cristianesimo. Ma sono sempre i Santi che hanno vegliato sulla Francia e l’hanno in pericolosi frangenti salvata. La salvarono prima con la fecondità del loro apostolato e coll’esempio eloquente delle loro virtù eroiche. La salvano oggi dal cielo mercé il loro possente patrocinio, che è difesa e garanzia per la patria che amarono tanto quaggiù. Perciò la Chiesa di Roma, ponendo sulla testa dei migliori figli della Francia l’aureola della santità, porge ad essa un pegno di rigenerazione e di salvezza. – Il Curato d’Ars è uno di questi salvatori. Che figura geniale ed attraente è la sua! È uno di quegli eroi valorosi che, brillando nella costellazione dei santi, mandano una luce imperitura e sono la salute e il conforto dei popoli. Una nazione, che possiede un tal Santo, non perisce; giacché dai ricordi di lui trae la forza per sottrarsi a tutte le decadenze e per assorgere ai più alti destini. II nome di Giovanni Battista Maria Vianney è legato interamente alla storia della Francia. Furono la bontà e l’ardore della sua anima che piacquero al Signore per salvare questo grande paese. In bonitate et alacritate animæ suæ placuit Deo prò Israel. Infatti il Vianney con la sua bontà ed alacrità operò tre grandi cose che furono benedette da Dio: 1. Rinnovò la parrocchia di Ars, di cui fece un piccolo paradiso terreno; 2. Trascinò a sé le folle, conquistandole a Cristo; 3. Dominò un secolo ribelle, facendogli sentire il fascino della santità cristiana. O Giovanni Battista Vianney, parlando oggi dinanzi ai tuoi Vescovi, ai tuoi confratelli ed ai tuoi connazionali, vorrei avere l’eloquenza propria del genio francese; per lo meno vorrei che la mia parola di umile e modesto oratore fosse un’eco, per quanto debole e pallida, di quella che fu la tua più grande eloquenza, l’eloquenza cioè di una bontà incomparabile, l’eloquenza di un ministero santamente esercitato, l’eloquenza dei fatti meravigliosi, dei quali tu fosti nelle mani di Dio lo strumento sublime, l’eloquenza infine di una santità che ci conquista, ci domina e ci affascina.

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Nel luglio del 1789 si chiudeva per la Francia una storia, e se ne apriva un’altra ben diversa. I sintomi di un rivolgimento straordinario apparvero in tutta la loro crudezza. Parigi era in fermento. Il primo sangue cittadino scorreva per le vie. Grida furibonde echeggiavano sinistramente. La moltitudine assaliva la Bastiglia e la conquistava. Il Re turbato esclamò: – È dunque una rivolta? – No, sire, gli fu risposto, è una rivoluzione! – E quale rivoluzione! La più tragica, la più funesta e la più sanguinaria che fino allora si conoscesse. L’assemblea nazionale costituente approvava la famosa dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino. Sono i nuovi princîpi che vengono inaugurati; è il prodromo fatale dei luttuosi avvenimenti che si svolgeranno; è una scossa potente che si dà a tutto il passato; è la sfida più audace e più violenta degli uomini contro Dio. Ebbene in quell’anno, a Dardilly, non lungi da Lione, in una borgata di 1300 anime, un fanciullo che contava appena tre anni, si raccoglieva nella preghiera preparando la rivincita contro la rivoluzione. O dinanzi al focolare della casa, o in un angolo riposto della stalla, o ai piedi degli altari, il piccolo Giovanni gustava, nella sua pietà intensa, le sante gioie della preghiera. Senonché queste dovevano presto essere turbate. La chiesa parrocchiale è chiusa dai nuovi rappresentanti del potere rivoluzionario; il ministro di Dio è cacciato via dal santuario; non è più lecito pregare nel tempio consacrato dalle lacrime e dalle preghiere degli avi. La nuova libertà ha soppresso tutti i diritti dello spirito. Credevano i settari che, chiuso il tempio. Iddio non parlerebbe più alle anime, e che la voce del dovere non scuoterebbe più le coscienze. La casa del pio fanciullo sostituisce la chiesa del villaggio. Ogni giorno ivi si prega, si adora Dio e si soccorrono i poveri. E non era stata la casa dei Vianney designata come il rifugio dei bisognosi? E non aveva già accolto tra le sue mura ospitali un giovane ventenne dal vecchio e lacero mantello, Benedetto Labre, quando lasciava la Francia per venire mendicante a Roma, ove il popolo lo avrebbe acclamato santo e i Papi gli avrebbero poi decretato la gloria degli altari? Giovanni Vianney, piccolo e geloso custode di questa tradizione, raccoglieva nella sua casa quanti mendicanti incontrava per via. Ad essi donava gli avanzi della mensa paterna, distribuiva abiti e vestimenti, e insegnava le preghiere e le prime verità della fede. Il turbine rivoluzionario non riusciva a disperdere il nome di Dio. Giovanni fronteggiava la rivoluzione, continuando nella sua casa l’apostolato cattolico, e consolando i poveri, dinanzi ai quali agitava la bandiera di Dio. A sette anni conduceva al pascolo poche vacche, un asino e tre pecore. Mentre a Parigi e in altre città della Francia si bestemmiava Iddio e si trucidavano barbaramente i propri fratelli, il pastorello nell’aperta campagna rende omaggio alla Madonna sopra un altare di verdi zolle, e canta coi suoi compagni al buon Dio, che gli parlava e gli sorrideva nelle incantevoli bellezze della natura. Anima profondamente mistica aspira al suo Dio; ed a tredici anni nascostamente, come ai tempi delle catacombe, nella casa di un conte si accostava per la prima volta alla mensa Eucaristica. Quale fremito di commozione dovette avvolgere in quell’ora l’animo dell’adolescente! Dinanzi alle infamie dei persecutori ed all’apostasia dei codardi, egli assaporò tutto il profumo che i martiri antichi emanavano dalle catacombe, e s’intese forte e impavido soldato di Cristo. La sua via ormai è segnata. Sotto la guida di un eroico confessore della fede, l’abate Carlo Balley, apre l’anima sua all’ideale radioso del sacerdozio. D’ingegno tardo e di memoria ingrata, si sente stringere il cuore dall’avvilimento; e si decide di andare, elemosinante e a piedi, alla tomba di S. Francesco Regis per ottenere la grazia d’imparare quanto gli bastasse per divenire un operaio fedele del Signore. Pertanto si slancia indefesso nella via degli studi, alternandoli con opere di bontà e di carità. Chiamato per errore al servizio militare, sfugge per ragioni misteriose ai doveri di soldato, mentre ogni giorno il suo spirito sempre più si eleva nelle cose di Dio. Non è un disertore che si ribella all’appello della patria, ma è un soldato di Cristo che si prepara per le future battaglie. Prima nel piccolo seminario di Verrières, poi in quello grande di Lione si addestra nelle discipline scientifiche, disponendosi all’ordinazione sacerdotale. La sua condotta e la sua pietà erano titoli ben ragguardevoli, perché non gli si chiudessero le vie del sacerdozio. Ma egli era ben poco istruito. Che fare? Rimandarlo ai parenti ed ai lavori dei campi? L’abate Courbon, che reggeva le sorti dell’amministrazione metropolitana, nel suo intuito penetrativo comprende i tesori nascosti in quel giovane, e ne assume le difese. Quello che in Giovanni Vianney non fece la natura, farà la grazia. Questa, sostituendosi alla natura ostinatamente ribelle, compie in quell’anima, ora per ora, giorno per giorno, un lavoro misterioso, che ci ricorda quello compiuto dai grandi artisti sull’informe tela o sul grezzo marmo. – Eccolo sacerdote nel 9 agosto 1815, a 29 anni di età, nella piena consapevolezza della dignità eminente, di cui era stato insignito. Eccolo tosto vicario ad Ecully, ove si consacra con ardore giovanile alla salute del gregge. Eccolo poi nominato Curato d’Ars, quando l’ab. Courbon gli dice : « Andate, amico mio, non vi è molto amore di Dio in quella parrocchia, ma voi ce lo metterete ». Ars non è la fiorente e industriosa Lione; non è la vasta e monumentale Parigi; non è la Cina dagli ampi confini; non è il Giappone con le sue isole immense; ma è un piccolo villaggio agricolo di poche centinaia di anime. Ecco la palestra dell’uomo di Dio; piccola, immensamente piccola palestra, che diventerà celebre nella storia. Quali erano le condizioni religiose e morali di Ars? Non era questa davvero una parrocchia esemplare. La virtù non era più praticata, un indifferentismo glaciale dominava sul villaggio, gl’interessi più vitali delle anime erano totalmente trascurati, i giovani correvano dietro ai piaceri ed ai sollazzi, e i vecchi rimanevano impassibili dinanzi al vicino tramonto della vita. Nelle domeniche, a pochi passi dalla chiesa, s’intrecciavano danze, e tutti pensavano a divertirsi follemente. Le osterie del villaggio rigurgitavano di gente, appassionata di vino e di giuoco. Solo la casa di Dio era vuota e deserta. Che cosa fare in mezzo a tanta desolazione? Abbandonare forse il campo e ritirarsi solitario sotto la tenda a piangere sulle rovine del popolo? Il nuovo Curato non si scoraggia né si sgomenta. Egli si propose di fare della sua chiesa la casa di tutti, un focolare vivo di pietà, il convegno di tutte le anime dinanzi al tabernacolo del Signore. E vi riuscì. Quali mezzi adoperò per raggiungere sì arduo compito? Egli cominciò coll’amare la sua chiesa, che divenne la sua quotidiana dimora. Dall’aurora al tramonto viveva entro quelle mura, dalle quali non usciva se non per ragioni di ministero. O chiuso nella sacrestia, ove componeva i suoi sermoni, o presso il divin tabernacolo, ove consumavasi nell’amore divino, si sentiva legato a quel santuario, che fu testimone di tanti eroismi, compiuti nascostamente nelle intime comunicazioni con Dio. Chi aveva bisogno di lui, era sicuro di trovarlo nel tempio. Nel rimirare quella faccia scarna e secca, e nel fissare quello sguardo scintillante, che al chiaror della lampada rivelava gl’interiori commovimenti, si rimaneva commossi ed edificati. Fu questa la prima attrazione che egli esercitò sugli spiriti indifferenti. Quest’attrattiva fu di somma efficacia, perché accompagnata da una immensa bontà. Sulla strada, sui campi, nel focolare di famiglia, al capezzale degl’infermi, manifestò tutte le squisitezze generose del suo cuore. Affabile, semplice, modesto, aveva una parola buona per tutti. Il suo sorriso ingenuo e spontaneo, per quanto velato da una tenue nube di malinconia, penetrava nelle anime più dure e le rammolliva. Ebbe un secreto per farsi amare: amò tutti, e li amò con profondo disinteresse e con cuore paterno. Andava dove era chiamato e dove non era chiamato. Con la gentilezza del tratto, con la soavità dei modi, con la dolce familiarità con cui conversava, rapiva a sé gli animi parlando loro di cose divine, o narrando con semplicità di fanciullo storie belle e meravigliose. La carità verso il suo popolo non ebbe limiti né confini. – Vi hanno diversi gradi nella carità. Egli raggiunse il massimo. Non poteva andarsi più oltre. Niente per sé, tutto per i poveri: fu questa la sua divisa, degna dei più grandi eroi evangelici. Ai poveri donò tutto, e avrebbe donato anche la vita. Incontrando un giorno un mendicante, che, curvo sotto il peso degli anni, non osava perigliarsi per la china ripida ed agghiacciata del luogo, se lo prende pel braccio, e poi si carica sulle spalle la pesante bisaccia del vecchio, e non gliela restituisce se non quando sta per essere sorpreso nella sua buona azione. Per un altro povero, dai piedi nudi e sanguinolenti, si spoglia delle sue calze e scarpe; e cerca poi di nascondere sotto la sottana strisciante sul terreno i piedi e le gambe ignude. La penuria e la povertà dei suoi abiti rivelavano la grandezza della sua carità. Alcuni parroci gli fecero dono di un paio di calzoni nuovi di velluto, pregandolo d’indossarli per loro memoria. Egli non fece onore all’offerta degli amici, giacché imbattendosi in un povero seminudo, che era intirizzito dal freddo, si affrettò a nascondersi dietro una siepe per togliersi quei calzoni che donò a quell’infelice. Con tali atti di carità eroica avvinse a sé i cuori dei parrocchiani. Spogliandosi di tutto, divenne povero e visse nella povertà più estrema. La sua biancheria era passata tutta nelle mani degl’indigenti. Le poche cose che gli rimanevano, erano vecchie e rattoppate. Qualsiasi accortezza usata da chi gli rendeva qualche servigio, s’infrangeva dinanzi alla sua volontà risoluta a non uscire dallo squallore di quella povertà. Perfino il letto gli parve ricchezza, e se ne disfece. Il materasso, la coltrice di piume, il guanciale sparirono l’uno dopo l’altro; rimaneva il solo pagliericcio; e perché non privarsi anche di questo? Bastava una sola tavola per riposare in qualche breve ora della notte. Anche quella tavola gli sembrò un comodo troppo agiato; e il Vianney, ripudiati il letto e la camera, finì col dormire nel granaio. – Ad una povertà di questo genere, che non è comprensibile nella natura umana, si aggiunsero atti di penitenza e di austerità, che ci ricordano quelli dei più rigidi cenobiti. Il suo nutrimento era un po’ di pane cattivo, nero e ributtante a vedersi. Alcune patate bollite nell’acqua gli bastavano per una settimana. Quando era ridotto all’estremo, pigliava un pugno di farina che scioglieva nell’acqua e ne faceva tre pezzetti di pasta, i quali, cotti così alla buona, formavano tutto il suo desinare. Una volta aveva tentato perfino di pascersi di erba, ma rimase stremato di forze. Spesso si asteneva per giorni interi da qualsiasi nutrimento. Le provvisioni, che qualcuno furtivamente gli faceva penetrare nel presbiterio, dall’armadio del Curato passavano tosto nelle mani del primo mendicante che fosse capitato. Quel fragile corpo, così maltrattato, non si reggeva più. Il Vicario generale di Lione, temendo che una vita così penitente ed austera, distruggesse la salute del santo, gli fece intendere che non si conquista il cielo con la fame. Ma egli con la sua temperanza, sia pure eccessiva, conquistava le anime e dominava il cuore dei suoi parrocchiani. Cotale complesso di virtù affascinatrici era irradiato da uno zelo ardente per la salute delle anime. La perdita di una sola anima gli avrebbe procurato patimenti infiniti. Signor Curato, gli disse un giorno un missionario, se Dio vi proponesse o di salire al cielo in sull’istante, o di rimanere sulla terra a faticare per la conversione dei peccatori, che fareste voi? — Credo, amico mio, che resterei. — Possibile, signor Curato! I santi sono così felici in cielo! Non più tentazioni, non più miserie! — È vero, amico mio, ma i santi vivono di rendita. Hanno ben lavorato, poiché Dio punisce l’inerzia; ma non possono più come noi glorificare Dio coi sacrifici per la salute delle anime. — Restereste voi sulla terra fino alla fine del mondo? — Sì, certamente. — In tal caso avreste assai tempo dinanzi a voi. Vi levereste nondimeno di sì buon mattino? — Sì, amico mio, a mezzanotte. — Con la sua bontà, con le sue virtù e con l’ardore del suo zelo valse a rinnovare completamente il villaggio d’Ars. Il culto divino, per lo innanzi trascurato, si affermò nella pienezza de’ suoi splendori. Restaurata la chiesa, frequentati i sacramenti, praticata in maniera speciale la comunione, istituite le confraternite, ravvivate le funzioni religiose, Gesù Cristo amato e adorato privatamente e pubblicamente. Era uno spettacolo bello e commovente quello di vedere raccolti sulla sera nel tempio quei poveri agricoltori, i quali, deposti i loro strumenti di lavoro, andavano ai piedi di Cristo Eucaristico ad offrire i loro dolori e ad attingere forza e conforto per le battaglie della vita. Ed era cosa assai confortante lo scorgere la domenica santificata dal popolo. Dalle prime ore alle ultime la giornata era consacrata al Signore, solo al Signore; le danze abolite, le osterie chiuse, i divertimenti pericolosi cessati; la santa poesia della domenica giocondava gli animi; ed era una gioia magnifica dei figli nello stringersi attorno al padre per partecipare con lui ai riti così suggestivi del tempio. Tutto era rinnovato ad Ars. Dopo tante fatiche del santo Vianney il terreno era pienamente dissodato e fecondato. Del vizio non rimase alcuna traccia, le virtù cristiane tornarono a risplendere nel loro fulgore nativo, la pietà e la devozione fiorirono come per incanto, nelle famiglie rivissero l’amore e la concordia, un sentimento di dolce fraternità allietava gli spiriti; ed in mezzo a questo rifiorimento della vita cristiana, non una bestemmia che offendesse le timorate coscienze, non una parola che oltraggiasse il pudore, non uno scandalo che turbasse la vita religiosa del paese. Ars subì una trasformazione radicale; e da Ars si diffondeva nelle campagne e nelle borgate vicine un profumo di vita spirituale che scuoteva le anime dal torpore, e, richiamandole all’adempimento dei doveri religiosi, era motivo di salutari ravvedimenti. La bontà e l’ardore del santo rinnovarono la terra privilegiata di Ars. In bonitate et alacritate animæ suæplacuit Deo prò Israel. O Ars, piccola terra del Lionese, io bacio le zolle conservanti ancora le orme del tuo santo Curato. Io respiro la fragranza che fra le tue mura e fra le tue campagne lasciò quell’incomparabile prete. Io sento, dopo più che mezzo secolo, tutto il fascino che emana dal tuo nome e dai tuoi più cari ricordi. O terra invidiabile, io ti saluto. Tu per il tuo santo divenisti un lembo di paradiso. Tu ci fai pensare, ci fai piangere, ci fai arrossire. Se tutte le parrocchie, se tutte le borgate, se tutti i paesi del mondo avessero un parroco come lo possedesti tu, l’anima del secolo sarebbe rinnovata. Tu sei per noi sacerdoti un monito severo, che ci richiama ai grandi doveri della missione sacerdotale.La bontà e l’ardore, che animavano questo santo, trascorsero i piccoli confini della parrocchia di Ars e riuscirono a trascinare attorno all’uomo di Dio le folle accorrenti da tutte le parti e composte dei più vari ceti sociali, che egli seppe guadagnare alla causa cristiana. Pochi uomini nella storia ebbero la fortuna di suscitare tanto fremito di entusiasmo e tanto consenso di venerazione. Pel corso di trenta anni fu un affluire continuo e crescente di popolo, che andava a ricercare quella piccola terra, come attratto da una misteriosa potenza. Dagli angoli più remoti della Francia, della Savoia, del Belgio, dell’Inghilterra e della Germania erano ondate di folle che bramavano mettersi in comunicazione coll’uomo, il cui nome già risuonava pel mondo, circondato dall’aureola di una bontà soprannaturale. Vi furono degli anni, in cui non meno di 80.000 pellegrini s’intesero spinti a conoscere quel volto scarno e melanconico, dove erano scolpiti i lineamenti di un animo mite e sereno. Erano persone di alto lignaggio, che non disdegnavano porsi a contatto coll’umile figlio della gleba. Erano anime elette, che, agitate da turbamenti interiori, avevano bisogno di luce e di direzione. Erano uomini politici, che, dimenticando per qualche giorno gli affari dello Stato e gl’intrighi faziosi di parte, andavano in cerca di un’emozione o di un insegnamento. Erano filosofi, che disputavano sulle cattedre; letterati di grido, i cui libri si commentavano in tutti i cenacoli di studio; poeti, i cui versi infiammavano d’ardore l’anima francese; oratori insigni, la cui parola aveva risuonato alta e squillante dalle tribune e dai pergami; erano generali di esercito, magistrati, professori, avvocati; erano credenti ed increduli, cattolici e protestanti, avidi di avvicinarsi al santo e di goderne il sorriso di una bontà incantevole. Tutti rimanevano soggiogati e conquistati. Un poeta celebre, dopo averlo veduto, non riuscì a vincere la sua profonda emozione, e lo s’intese esclamare: « Non ho mai contemplato Dio così da vicino ». Il P. Lacordaire, ascoltato una volta in umile raccoglimento un sermone del Curato d’Ars, ne comprese tutta la santità che appariva sotto le più semplici forme; e invitato dal santo prete a dirigere al popolo la sua eloquente parola, provò una di quelle esitazioni e commozioni, che il genio più illuminato esperimenta sempre dinanzi al più umile santo. L’illustre vescovo di Orléans,, Mons. Dupanloup, che più volte andò ai piedi del buon Curato per confidargli i timori e le ansie derivanti dal suo ufficio pastorale, rimase grandemente commosso nel sentirsi rispondere: « Vi hanno molti vescovi nel martirologio, e quasi non vi sono curati; a me. Monsignore, a me tocca tremare ». E coi sapienti e coi grandi erano i poveri che andavano a lui, per chiedere pane e accenti di vita; gli afflitti che sapevano come dalle sue labbra uscissero balsami ristoratori; i peccatori che erano oppressi da pesanti fardelli; i traviati che non riuscivano a decidersi di ritornare alle sorgenti della fede; i giusti che agognavano di riscaldarsi e di ritemprarsi alle fiamme di un amore più forte; gl’infermi, i ciechi, gli storpi, i paralitici, perché desiderosi di veder rinnovati i miracoli della Palestina. Erano folle che si confondevano e non si contavano più. E quei che non potevano andare, scrivevano; e sulla piccola tavola di quercia ogni giorno si accumulavano lettere spedite da tutte le parti del mondo. Si chiedevano consigli e preghiere, conforti e guarigioni, lumi ed ammaestramenti. Tutte le anime, che da vicino o da lontano gli si aprivano nella confidenza più intima, venivano conquistate alla virtù, alla fede, al regno di Cristo. Ma perché da ogni canto si accorreva verso l’umile prete? Risplendeva forse in lui la luce del genio, che si afferma nelle grandi creazioni e nei nuovi e geniali concepimenti dello spirito? Era forse in lui l’acuto teologo, dal cui labbro sgorgavano sapienti ed ispirate dottrine, che sciogliessero i tormentosi problemi delle coscienze e dissipassero i dubbi e gli enigmi della vita? Era forse dotato di spiccate qualità naturali, che lo ponessero al di sopra dei contemporanei e lo facessero apprezzare dalle moltitudini? Non è qui il secreto delle potenti attrattive e delle clamorose conquiste. Sono sempre la bontà e l’ardore della sua anima che attirano e conquistano. Le anime buone e appassionate del bene sono generalmente dotate di una grande semplicità; ed è da questa virtù che scaturisce la potenza dei santi. Francesco d’Assisi, uno dei santi più meravigliosi dell’umanità, ebbe la semplicità d’un fanciullo, ed ha dominato la storia di sette secoli. Il Curato d’Ars era un incanto di semplicità. Non rideva se non col sorriso dell’anima che ispirava serenità e confidenza. O tacesse oparlasse, si rimaneva conquisi dal suo atteggiamento; ed ognuno si sentiva più puro e più buono, quando era con lui. Certe espressioni sulla sua bocca raggiungevano un’efficacia assai commovente. Un dì gli fu detto: — Voi, signor Curato, parlate talvolta della strada ferrata, sapete voi che sia? — No, rispose, né mi importa di saperlo; ne parlo perché ne odo parlare. — Le strade ferrate ogni giorno conducevano a lui centinaia di ammiratori; ed egli si disinteressava di questo potente mezzo di locomozione moderna. Che cosa importava a lui di tutto questo? Nella sua semplicità che ignorava i progressi del mondo moderno, possedeva la scienza di Dio e con questa dominava le anime. E come le dominava? Con i suoi colloqui e discorsi, con i suoi consigli e col confessionale. Nei suoi colloqui era una forza avvincente. Nel conversare era talvolta riservato, ma sempre piacevole. Se l’occasione lo richiedesse, non mancava di finezza né di risposte piccanti, che non umiliavano e riuscivano all’effetto da lui desiderato. – Un tale, che era fornito di vigorosa salute e di larghe spalle, gli disse un giorno: « Spero che voi non dimentichiate i vostri amici e che li mettiate a parte del merito dei vostri digiuni e sacrifici. Quando andrete in cielo, proverò di attaccarmi alla vostra sottana ». Il santo, gettando uno sguardo sulle larghe spalle dell’amico, gli rispondeva: « Guardatevi bene dall’attaccarvi alla mia sottana; l’entrata del cielo è stretta; e resteremmo alla porta entrambi ». Una volta, facendosi allusione alle sue onorificenze, uscì in queste espressioni: « Io sono canonico onorario per la troppa bontà di Monsignore, cavaliere della Legion d’onore per un errore del governo, e mandriano di un asino e di tre pecore per volere di mio padre, ». Le volontà più dure non resistevano a questo linguaggio, e i cuori cedevano. – Nei catechismi e nei sermoni religiosi era insuperabile. Sebbene il suo linguaggio fosse incolto e assai dimesso, era come trasfigurato dall’ardore che lo infiammava. Nello scorgere sul pulpito quel sembiante pallido di asceta, e nell’ascoltare quella voce debole e penetrante, che annunziava le grandi verità e accennava agl’immancabili castighi di Dio, si tremava e si piangeva. Un distinto medico di Lione, non incredulo, ma assai spregiudicato in materia di religione, ascoltando un catechismo del santo, dapprima fu preso da smoderata voglia di ridere. Dopo cinque minuti non rideva più, ma piangeva, e non fu in grado di nascondere le sue lacrime. Quando nel 1833 il colera visitò Marsiglia, Parigi, e minacciava Lione, il santo Vianney cominciò un suo discorso con questi accenti: « Fratelli miei, Iddio si è messo a spazzare il mondo ». La impressione fu immensa. Un artista presente deve a quelle parole l’inizio della sua conversione. – Le folle erano conquistate anche dai saggi consigli del santo. In poche parole decideva questioni, che uomini sapienti non avevano saputo risolvere. Aveva una risposta adeguata a tutte le domande; con uno sguardo penetrava nei cuori e vi faceva scendere la luce bramata; con un solo richiamo abbatteva alle radici una passione; la sua parola, proporzionata ai bisogni di ciascuno, lasciava solchi luminosi nelle anime. I consigli del santo, espressi in pochi tratti e in una forma semplice ma perentoria, che non permetteva repliche, guadagnavano le moltitudini, le quali non potevano fare a meno di ammirare quella rapidità d’intuizione e quella rettitudine di giudizio, che parevano ispirate. Un curato della diocesi di Autun, rimasto sorpreso per una risposta che non aveva trovato in alcun libro, pensò che il santo avesse un suggeritore, e non si peritò a domandargli: «Dove avete fatto voi il vostro corso di teologia? » Il Curato d’Ars non gli rispose, ma gli additò il suo inginocchiatoio. Le conquiste del santo si completavano nel confessionale. Ondate di gente assalivano quella cattedra secreta, la quale, sebbene disprezzata dal mondo, è un potentissimo mezzo di redenzione individuale e di rigenerazione sociale. Si passava parecchio tempo sotto il portico, per poter penetrare in chiesa a mezzanotte, e potersi avvicinare a quel santo tribunale, ove l’uomo di Dio rimaneva lunghe e lunghe ore, onde soddisfare al maggior numero possibile di pellegrini. Donne della nobiltà offrivano perfino il danaro a povere contadine per farsi cedere il posto già da loro raggiunto, ma si sentivano rispondere: « Grazie, signora, ciascuno qui è per suo conto ». Vi era gente che veniva da lontano per confessarsi a tutti i costi con lui. Spesso erano confessioni generali, intricate, interessanti, decisive. Dopo quelle confessioni si cambiava vita. Il Vianney leggeva nel cuore dei penitenti, vi scopriva le colpe, gl’inganni, le insidie, le debolezze; ed aveva la virtù di rinnovare le coscienze. Quando usciva dal confessionale, e occorreva aprirgli un passaggio per difenderlo dalle intemperanze della folla, quante barriere erano state abbattute in tante anime, quante fortezze smantellate, quante conquiste operate! Egli fu un dominatore nel vero senso della parola; e questo dominio trovava le sue ragioni fondamentali nella bontà della sua anima e nel fervore del suo ministero. In bonitate et aìacritate animæ mæ. Senonchè, mentre le folle continuavano ad accalcarsi attorno a lui, perché avevano bisogno di lui per ritrovare Cristo, e con Cristo la pace e la letizia dell’anima, il santo, come spaventato dai grandi successi, ebbe la tentazione e il desiderio di fuggire. Fuggì una prima volta, ricoverandosi a Dardilly. Richiamato dalla voce di Dio e da quella del suo popolo, ritornò ad Ars; e quel ritorno fu un trionfo memorando. Tentò una seconda volta di fuggire per raccogliersi nella solitudine, ma non vi riuscì. I suoi parrocchiani si erano messi in guardia, le sentinelle vegliavano nel folto della notte; in un momento le campane suonano a martello, tutto il popolo accorre, e si getta in ginocchio supplicante dinanzi al suo curato. La via è sbarrata; il popolo gli forma come una muraglia insormontabile; il santo ritorna sopra i suoi passi, entra in sacrestia e piange lungamente. Mai pianto più sincero, più generoso, più eroico di quello. Egli si riteneva inutile per il suo gregge. Pene strazianti desolavano quello spirito. Egli voleva nascondersi nel deserto per chiedere a Dio misericordia; e i figli gli si stringono attorno, perché abbia misericordia di loro e non li abbandoni. Egli vuole fuggire dal mondo; e questo mondo, gettandosi ai suoi piedi, lo acclama, lo benedice e gli si offre in una suprema dedizione, per farsi conquistare a Cristo.

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Dominare le folle è gran cosa. Ma dominare con la santità di una vita semplice un secolo ribelle a tutte le affermazioni spirituali, è un prodigio. Era quello il secolo del razionalismo, del naturalismo e del positivismo. Augusto Comte e Edmondo Littré signoreggiavano incontrastati nel campo intellettuale. Le loro aberrazioni filosofiche erano dogmi che non si aveva il diritto di confutare. La ragione con audacia nuova assaltava le dottrine fondamentali del Cristianesimo. Le stesse basi del soprannaturale erano impugnate. I colpi erano vigorosi, l’assalto formidabile. Dalla cattedra e dal parlamento, con la parola e con la penna si combatteva una lotta spietata. – La scienza, attaccando le trincee della fede, tentava divinizzare l’uomo. Tutto era ridotto a fenomeni; le leggi dello spirito e di un mondo invisibile sono soppresse; non esistono che le leggi naturali. Dio è una chimera, il cielo con i suoi Angeli e con i suoi Santi una leggenda, il miracolo l’assurdo. – Ad Ars viene dato il colpo più fiero a queste perverse e fatali dottrine. Il santo Curato cogli splendori della sua santità sgomina le nubi dell’errore e dell’empietà, e dinanzi alle follie del naturalismo fa rifulgere e trionfare le alte ragioni dello spirito. – Il naturalismo è impotente di fronte ai dolori dell’umanità. La filosofia umana, rinnegatrice delle fonti soprannaturali, non è riuscita mai né ad alleviare un dolore né a tergere una lacrima. Il Curato d’Ars, il quale non conosce altra filosofia che quella del Vangelo, e non possiede altra scienza che quella di Dio, profonde il balsamo su tutte le ferite, consola tutte le sventure, rialza gli animi oppressi e comunica agli uomini la luce della speranza, il secreto della felicità. – Un giorno due madri angosciate, che avevano sepolte ad una ad una tutte le loro speranze terrene, s’incontrarono ad Ars. Le grandi sventure s’intendono fra loro; e le due donne sventurate si conobbero, si abbracciarono e piansero insieme. L’una era credente, e, dopo aver visto morire i suoi tre figli, trascorreva i suoi giorni ai piedi degli altari, accorata dal pensiero che il nome d’una famiglia illustre si andava spegnendo. L’altra, correndo dietro ai frivoli piaceri del mondo, era stata anche essa colpita nel suo affetto più caro, poiché aveva veduto morire l’unico suo figliuolo. Il santo Curato ha parole di speranza e di vita per entrambe. Austero e fermo con la prima, non le rimprovera le lacrime versate, ma, riprendendola pel suo affetto troppo egoista e terreno, la solleva alle regioni sublimi della fede, e le richiama al pensiero le amarezze fortificanti della croce. Tenero e compassionevole con l’altra, la fa inginocchiare, si pone anch’egli in ginocchio e prega con lei. Le due donne provarono la grande potenza delle consolazioni divine. Ecco la vittoria del Curato d’Ars sulla impotenza d’un secolo scettico e naturalistico. La scienza sfrontata di quell’epoca, proclamata l’apostasia da Dio, scherniva la fede, e, valendosi delle armi dell’ironia e del sarcasmo, allontanava gli uomini dal tempio. Giovanni Vianney con la sua bontà operosa e coll’ardore di quel fuoco, che divampava dal cuore e dal volto di un apostolo, riconduceva a Dio gli erranti, gl’incerti, i peccatori e gl’increduli, facendo loro gustare le bellezze squisite della fede. – Una donna giansenista, imbevuta di tutto lo spirito della setta e nota per lo zelo indiscreto del suo proselitismo, dopo aver lungamente osservato il santo prete nel tempo dei vesperi, fu vinta da quell’atteggiamento, e, gettatasi ai suoi piedi, ritrovò nei sacramenti della Chiesa il secreto di quella felicità che invano aveva cercato altrove. Un dotto di Lione, che dal giorno della prima Comunione non era andato più a Messa, e che si burlava di preti e di cerimonie religiose, quando i suoi occhi per la prima volta s’incontrarono con quelli del santo, rimase come atterrito da quello sguardo e nascose la testa fra le mani. E allorché la mano scarna del Curato si posò sulla sua testa, egli, l’incredulo, s’intese attratto da una forza invincibile, e non poté fare a meno di dirgli: — Signor Curato, ho sulle spalle un peso che mi schiaccia. — Invitato a liberarsi di quel peso, si metteva in ginocchio dinanzi all’uomo di Dio, e, mescendo le sue lacrime con quelle di lui, ritrovava nella luce del perdono e nel corpo di Cristo le gioie più pure dello spirito. Erano queste le vittorie d’ogni giorno, vittorie della santità sopra un secolo ribelle, il quale, dopo aver negato Dio, si sentiva incatenato da quell’uomo, che sulle macerie accumulate dalla incredulità agitava la fiaccola conquistatrice della fede. – La boria del secolo, di fronte ad alcuni progressi scientifici, coi quali si esaltavano le conquiste compiute nel campo terapeutico, attaccava spietatamente le guarigioni così dette miracolose, e, passando dal campo clinico sperimentale a quello filosofico, negava con disinvoltura farisaica perfino la possibilità del miracolo. Il Curato d’Ars, che nelle mani di Dio è lo strumento delle meraviglie, annienta l’orgoglio del secolo, facendo brillare, dinanzi alle negazioni materialistiche, la realtà luminosa del miracolo. Egli in verità avrebbe preferito guarire le anime piuttosto che i corpi; gli sorrideva assai più la dolce visione di un’anima convertita, che non di un corpo risanato. Dio gli comunicò anche questo dono, che concorse a rendere più celebre la terra di Ars. Molti che portavano sulle carni le tracce sanguinanti di malattie fastidiose o incurabili, ad Ars trovavano il medico che senza medicamenti umani, ma solo con una parola potente di fede o con una preghiera decisiva, ridonava la salute ai corpi e la giocondità agli spiriti. Un medico non è un enciclopedista; non possiede l’arte di curar tutti i mali; e pur curando quei pochi, che rientrano nelle sue competenze cliniche, deve spesso riconoscere la sua impotenza di fronte al male che incalza furente e distrugge tutte le risorse dell’organismo. Pel Curato d’Ars non vi ha genere di malattia, che si sottragga alla sua virtù risanatrice. Le guarigioni straordinarie si moltiplicano per lui sotto gli occhi delle moltitudini. Il secolo miscredente è dominato un’altra volta da questo portentoso assertore del soprannaturale. Quel dominio incontrastato è la prova della sua santità. L’aureola del santo che brillava sul suo volto, ed esercitava un fascino misterioso sopra gli spiriti, lasciò sulla terra una scia luminosa, alla quale da ogni angolo del mondo si rivolgevano gli sguardi dei credenti come quelli degli scettici. « Da per tutto, dove passano i Santi, Iddio passa con essi »; così aveva detto il Curato d’Ars. In lui infatti tutti vedevano l’impronta e la rivelazione di Dio. Dio trionfava di nuovo, quando i filosofi si lusingavano di averne demolito il trono e distrutto l’impero nelle coscienze. Tale santità resistette a tutte le contradizioni e ad ogni genere di perfidia umana e diabolica. Dispregi, insulti, calunnie, sospetti, denunzie, minacce, tutto fu messo in opera contro di lui. Si gridava contro il continuato affluire di gente ad Ars; si parlava e si scriveva contro l’ignoranza del santo Curato; si osò perfino attribuirgli turpitudini abbiette, che solo una perversità diabolica poteva inventare. Alle tempeste suscitate dagli uomini si aggiunsero quelle provocate dai demoni. satana vedeva strapparsi ogni giorno le prede fatte nel mondo, e ruggiva contro l’artefice di tante conversioni; lo assale soprattutto nelle ore della notte; con colpi violenti gli turbava il silenzio e la preghiera; gli si asside sotto il capezzale e gli fa risuonare all’orecchio accenti disperati; gli fa vacillare perfino le mura della casa e sembra voglia seppellirlo sotto le rovine del presbiterio. Trentacinque anni di martirio incessante non abbattono l’uomo di Dio; nelle tempeste non teme né si avvilisce; egli è un gigante, la cui santità si eleva al di sopra di tutte le persecuzioni, e le domina vittoriosamente. Una santità così cospicua fu anche più bella ed attraente, perché informata, alimentata e coronata dall’umiltà. A quel secolo XIX, pieno d’orgoglio e inebriato de’ suoi successi; che, ricco delle tanto decantate conquiste moderne, se ne giovò per dare l’assalto alla rocca del Cattolicismo; che, esaltatore di spiriti ribelli, fomentò nella società il fuoco di tutte le rivolte, preparando la Comune di Parigi, le lotte civili e le guerre internazionali; che alla scuola di nuovi e sedicenti princîpi suscitò i conflitti di classe, le barricate sulle piazze e la guerra alla borghesia; a quel secolo superbo l’umile curato d’Ars opponeva quello spirito di umiltà cristiana, che tronca tutte le borie, che è luce di carità e di bontà, e che riunisce gli animi nell’amplesso fraterno dell’amore. – Quanto Giovanni Vianney fosse profondamente umile ce lo dicono queste sue parole: « Dio mi ha scelto a strumento delle grazie ch’Egli concede ai peccatori, perché sono il più ignorante e il più miserabile degli uomini. Se vi fosse stato nella diocesi un prete più miserabile di me, lo avrebbe preferito ». Una volta disse che per fare il Curato d’Ars ci vuole un’oca, un tacchino ed un gambero; e si ritenne sempre per tale, non riconoscendo in sé alcuna qualità benché mediocre. – Un giorno gli venne recata una lettera, dove si leggevano frasi di questo genere: « Signor Curato, quando si sa così poco di teologia come voi, non si dovrebbe mai entrare in un confessionale ». Il santo, che non trovava quasi mai il tempo per rispondere alle tante lettere che gli pervenivano da molte parti, prese tosto la penna e scrisse: « Quante ragioni ho d’amarvi, carissimo e veneratissimo fratello! Voi siete il solo che mi abbia ben conosciuto. E poiché siete sì buono e caritatevole, che vi degnate prendere interesse alla povera anima mia, vogliate aiutarmi ad ottenere la grazia che io domando da sì gran tempo, affinché dispensato da un posto che non sono degno di occupare a motivo della mia ignoranza, io possa ritirarmi in qualche cantuccio a piangere la mia povera vita ». – Da questi sentimenti di umiltà sinceramente praticata scaturì la grandezza di quella santità, che ammaliò il secolo XIX, il quale fu costretto o a venerare o ad ammirare o per lo meno a rispettare la meravigliosa figura di questo eroe del Cattolicismo. Non mancarono, è vero, di quelli che lo qualificarono un pazzo, un fanatico, un isterico. Or bene, sia benedetta questa santa pazzia, che gli permise, a traverso la bontà e l’alacrità dell’anima sua, di rinnovare Ars e di farne un lembo invidiato di paradiso. Sia benedetto questo preteso fanatismo, il quale, manifestatosi in generosi ardori di carità, gli avvinse attorno le folle, che furono guadagnate alla verità, alla virtù, alla fede cristiana. Sia benedetto questo santo isterismo, che, rivelatosi in opere prodigiose di bene, gli dette la forza di debellare un secolo nemico di Dio e di salvare la Francia da quei naufragi intellettuali e sociali, che le dottrine naturalistiche le avrebbero immancabilmente procurato. In bonitate et alacritate animæ suæ placuit Deo prò Israel. – O Francia, ama, ammira e venera il tuo santo, e ne scrivi con mano commossa il nome glorioso nei tuoi fasti, nelle tue cattedrali, nei tuoi monumenti e nel cuore riconoscente della tua stirpe eroica.

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Si è voluto fare un paragone tra Voltaire e Giovanni Battista Vianney, tra Ferney ed Ars. Se tra il profilo fisico dei due uomini vi furono tratti naturali di somiglianza, io non discuto. Ma quanto più erano simili i lineamenti esteriori dei due personaggi, che nacquero e vissero nella stessa contrada, tanto maggiori furono i contrasti d’indole morale, per i quali l’uno si contraddistingue dall’altro. Ci troviamo senza dubbio di fronte a due celebrità. È l’uomo del secolo XVIII, e l’uomo del secolo XIX. L’uno prepara coi suoi scritti la rivoluzione, l’altro ne ripara col suo ministero di prete le immense iatture. L’uno lancia il grido della bestemmia a Cristo, e tenta di demolirne gl’insegnamenti divini. L’altro inneggia a Cristo, e conduce le turbe a’ suoi piedi, perché lo riconoscano Dio e lo acclamino Maestro. L’uno sospinge la Francia per le vie dell’apostasia e della ribellione. L’altro addita alla Francia le vie luminose della fede, che sono anche le vie della giustizia e del progresso sociale. L’uno in nome della ragione e del naturalismo si leva superbo a sfidare Iddio, e si lusinga di averne fatto crollare l’impero assoluto sul mondo. L’altro con l’ossequio della ragione e con l’ardore della fede adora Dio e lo fa adorare dai contemporanei. La gloria dell’uno è tramontata per sempre. La gloria dell’altro sfolgora in un meriggio senza tramonto. A Ferney non è rimasto che il nome e il castello di quel Voltaire, che insultava Giovanna d’Arco e si prostituiva in blandizie dinanzi ad una imperatrice scismatica. Attorno a quel castello oggi è il vuoto più desolante; nessuna eco di grandezza vi risuona; l’idolo della rivoluzione è infranto. Ad Ars è un nome che grandeggia nel ricordo suggestivo di fatti e di avvenimenti che non si dimenticano più; è una gloria che non muore, perché suggellata dal consenso rinnovato dei popoli; è una testimonianza perenne di quella santità, che, valicate le alpi ed i mari, prosegue ad affascinare tutte le genti, che sanno ancora apprezzare il tesoro prodigioso della virtù e dell’apostolato cristiano. – Roma ha avuto l’intuito di riconoscere questa santità, ed ha avuto il merito di glorificarla. È sempre Roma che ha rivendicato e consacrato le glorie più belle della Francia. Rivendicò le gesta purissime di Giovanna d’Arco, purgandola dalle calunnie e dalle leggende; e la collocò sugli altari, perché i cittadini e i soldati ravvisassero in lei il simbolo più alto del patriottismo, incoronato dai fulgori della santità cristiana. Rivendicò gli eroismi dei forti confessori della fede, che furono le vittime più spietate di una rivoluzione satanica; e li esaltò quali campioni d’incrollabile fede e di coraggio indomito. Oggi Roma solleva nella luce degli altari l’umile parroco di Ars, additandolo alla venerazione dei fedeli, alla imitazione del clero, all’ammirazione di tutti. – O santo Giovanni Battista Vianney, oggi a te porgo il saluto della mia Roma. È il saluto delle catacombe, che ti si dischiudono dinanzi nella porpora fiammante dei primi eroi. È il saluto delle nostre Cecilie ed Agnesi, che osannano al tuo martirio d’amore, consumato in un olocausto che fu immolazione suprema di tutto te stesso sull’altare di Cristo. È il saluto di tutti i nostri Santi romani, che alzano ora il capo dai loro sepolcri per prendere parte alla tua festa di gloria. È il saluto del Pontefice Pio XI, che nella pienezza della sua maestà pontificale, dalla Cattedra infallibile di Pietro, ti ha posto sul capo l’aureola dei Santi. È il saluto del popolo romano, che, fraternizzando coi tuoi fratelli di Francia, domenica scorsa, nella basilica augusta di S. Pietro, ti acclamava con fede squisitamente romana. È il saluto del clero d’Italia, che, sparso lungo le nostre marine e sulle vette dei nostri Appennini, saluta con affetto riverente l’astro che brillò sulla terra privilegiata d’Ars. – In questo saluto romano ed italico vibra la nota calda di sincera ammirazione per la tua Francia eroica, la quale, se per merito dei suoi Santi grandeggiò nella storia, oggi nel nome dei nuovi Santi, assertori intrepidi della libertà dello spirito, ha il dovere di combattere ancora nuove e più fiere battaglie per i diritti intangibili della fede e pel trionfo delle libertà cristiane.

Cardinal H. E. Manning: LA CRISI ATTUALE NELLA SANTA SEDE (5)

Henry Edward Manning

LA PRESENTE CRISI ATTUALE DELLA SANTA SEDE (5)

[annunciata dalle profezie]

in 4 LETTURE

LONDRA: BURNS & LAMBERT, 17 & 18 PORTMAN STREET, e 63 PATERNOSTER ROW; KNOWLES, NORFOLK ROAD, Bayswater.

MDCCCLXI.

LETTURA IV (2)

3. Tutto quanto conduce chiaramente ai segni che il profeta ci indica della persecuzione degli ultimi giorni. Ora ci sono tre cose che egli ha registrato. Nella lungimiranza della profezia ha visto ed annotato questi tre segni. – Il primo, che il Sacrificio continuo debba essere portato via; – il successivo, che il santuario sarà occupato dall’abominio della desolazione; – il terzo, che “la forza” e “le stelle”, come le ha descritte, saranno abbattute: e questi sono gli unici tre segni di cui mi occuperò. Ora, innanzitutto, cos’è questo: « togliere il sacrificio continuo »? È stato portato via formalmente alla distruzione di Gerusalemme. Il sacrificio del Tempio, cioè dell’agnello, mattina e sera, nel Tempio di Dio, fu completamente abolito con la distruzione del Tempio stesso. Ora il profeta Malachia dice: « Poiché dall’Oriente all’Occidente grande è il mio nome fra le genti e in ogni luogo è offerto incenso al mio nome e una oblazione pura, perché grande è il mio nome fra le genti, dice il Signore degli eserciti. ». Questo passaggio del Profeta è stato interpretato dai Padri della Chiesa, a cominciare da Sant’Ireneo, San Giustino Martire, e non so quanti altri, essere il Sacrificio della Santa Eucaristia, il vero Agnello pasquale che è venuto al posto del simbolo, cioè il Sacrificio di Gesù stesso sul Calvario rinnovato perpetuamente e continuato per sempre nel Sacrificio dell’altare. Ora questo Sacrificio continuo è stato portato via? Ciò che era simbolico nei tempi antichi è già stato portato via. Ma la realtà è stata portata via? I santi Padri che hanno scritto sull’Anticristo e su queste profezie di Daniele, senza eccezioni, per quanto ne so, – e sono i Padri sia dell’Oriente che dell’Occidente, della Chiesa greca e della latina – tutti, tutti all’unanimità, dicono che nell’ultima parte del mondo, durante il regno dell’anticristo, cesserà il santo Sacrificio dell’altare (Malvenda, lib. VIII, c. 4). – Nel lavoro sulla fine del mondo, attribuito a Sant’Ippolito, dopo una lunga descrizione delle afflizioni degli ultimi giorni, leggiamo quanto segue: « Le Chiese faranno gran lamento, poiché non sarà offerta più oblazione, né incenso, né adorazione accettevole a Dio. Gli edifici sacri delle chiese diverranno come tuguri; e il prezioso Corpo e Sangue di Cristo non sarà presente in quei giorni; la Liturgia sarà estinta; il canto dei Salmi cesserà; la lettura della Sacra Scrittura non verrà più intesa. Ma ci saranno tenebre sopra gli uomini, e lutti su lutti, e guai su guai. (S. Hyppolito, tributus liber de consum. Mundi,  § 34). Allora, la Chiesa sarà dispersa, ricacciata nel deserto, e sarà per un certo tempo – così com’era all’inizio – invisibile, nascosta nelle catacombe, nelle tane, nelle montagne, nei luoghi d’agguato; per un certo tempo sarà spazzata via, per così dire, dalla faccia della terra. Tale è la testimonianza universale dei Padri dei primi secoli. È esistito per il passato qualcosa che si possa definire un preludio o  un antecedente di un evento del genere? Guardiamo verso l’Est: la superstizione maomettana, sorta in Arabia, travolse la Palestina e l’Asia Minore, la regione delle Sette Chiese, poi l’Egitto, il nord dell’Africa, la patria di Sant’Agostino, di San Cipriano, di Ottato e infine penetrò in Costantinopoli, dove presto divenne dominante; in ogni luogo ha perseguitato e soppresso l’adorazione e il Sacrificio di Gesù Cristo. La superstizione maomettana in questo momento usa come moschee una moltitudine di chiese cristiane, in cui il Sacrificio continuo è già stato portato via e l’altare completamente distrutto. Ad Alessandria ed a Costantinopoli sorgono chiese costruite per il culto cristiano, in cui non è mai entrato il piede di nessun Cristiano da quando il Sacrificio continuo è stato spazzato via. Sicuramente in tutto questo vediamo – almeno in parte – il compimento di questa profezia; al punto tale che molti interpreti considerano Maometto essere l’Anticristo e che perciò nessun altro debba venire. Senza dubbio egli era uno dei tanti precursori e prototipi dell’Anticristo che dovevano mostrarsi. Esaminiamo ora il mondo Occidentale: è stato forse in qualsiasi altra terra, più che in esso, portato via il Sacrificio continuo? Ad esempio, in tutte quelle chiese della Germania protestante che erano un tempo cattoliche, dove veniva offerto quotidianamente il santo Sacrificio della Messa? – o in tutta la Norvegia, e in Svezia, Danimarca e metà della Svizzera, dove ci sono una moltitudine di antiche chiese cattoliche? – o in tutta l’Inghilterra, nelle cattedrali e nelle chiese parrocchiali di questa terra, che sono state costruite semplicemente come santuari di Gesù incarnato nella Santa Eucaristia, come santuari innalzati per l’offerta del Santo Sacrificio? Che cosa è il segno caratteristico della Riforma, se non il rifiuto della Messa e di tutto ciò che le appartiene, ritenendole, come dichiarato nei Trentanove Articoli della Chiesa d’Inghilterra, favole blasfeme e inganni pericolosi? La soppressione del Sacrificio continuo è, soprattutto, il segno e la caratteristica della Riforma protestante. –Troviamo, quindi, che questa profezia di Daniele abbia avuto già il suo adempimento sia in Oriente che in Occidente, nelle due ali, per così dire; mentre nel cuore, nel centro della Cristianità, viene offerto ancora il Santo Sacrificio. Cos’è questo gran diluvio di infedeltà, rivoluzione e anarchia, che sta ora minando le fondamenta della società cristiana, non solo in Francia, ma soprattutto in Italia, che racchiude Roma, il centro ed il santuario della Chiesa Cattolica, se non l’abominio della desolazione nel santuario che elimina il Sacrificio continuo? Le società segrete hanno da tempo indebolito ed inglobato la società cristiana dell’Europa, e sono in questo momento in marcia verso Roma, il centro di tutto l’Ordine cristiano nel mondo. L’adempimento della profezia deve ancora arrivare (oggi questa si è realizzata in tutto l’orbe, con l’istituzione della messa satanica montiniana del “novus ordo” che ha cancellato di fatto l’offerta dell’oblazione monda – ndr. -); e ciò che abbiamo visto nelle due ali, vedremo anche nel centro; « … e quel grande Esercito della Chiesa di Dio sarà, per un tempo, disperso ». Sembrerà, per un po’ sconfitto, ed il potere dei nemici della fede per un tempo prevarrà. Il Sacrificio continuo sarà portato via, e il santuario sarà abbattuto. Cosa può essere più letterale dell’abominio della desolazione dell’eresia che ha rimosso la presenza del Dio vivente dall’altare? Se si vuol comprendere questa profezia della “desolazione”, si entri in una chiesa che un tempo era cattolica, e dove ora non c’è più alcun segno di vita; essa è vuota, deserta, senza altare, senza tabernacolo, senza la presenza di Gesù. E ciò che è già accaduto in Oriente e in Occidente, ora si sta estendendo in tutto il centro dell’unità cattolica. – Lo spirito protestante dell’Inghilterra, e lo spirito scismatico persino di Paesi cattolici di nome, sta in questo momento incitando il grande movimento anticattolico dell’Italia. L’ostilità verso la Santa Sede è il solo vero e diretto motivo. – E così arriviamo al terzo segno, il l’estromissione del “Principe della Forza” che è l’Autorità divina della Chiesa, e specialmente di colui nella cui persona è incarnata, il Vicario di Gesù Cristo. Dio lo ha investito di sovranità e gli è stata donata una casa ed un patrimonio sulla terra. Il mondo è in armi per deporlo e per non lasciargli posto nemmeno dove posare la testa. Roma e gli Stati romani sono l’eredità dell’Incarnazione! Il mondo è deciso ad eliminare l’Incarnazione dalla terra. Non si fermerà finché non la calpesterà con i piedi. Questa è la vera interpretazione del movimento anticattolico dell’Italia e dell’Inghilterra: “Tolle hunc de terra” (via Costui dalla terra). La detronizzazione del Vicario di Cristo è la detronizzazione della Gerarchia della Chiesa Universale ed il rifiuto pubblico della Presenza e del Regno di Gesù Cristo!

4. Ora, se sono obbligato ad entrare in qualche modo nel futuro, mi limiterò a tracciare uno schema molto generale. La tendenza direttiva di tutti gli eventi che vediamo in questo momento è chiaramente questa: rovesciare il Culto cattolico in tutto il mondo. Già vediamo che ogni governo in Europa esclude la Religione dai suoi atti pubblici. I poteri civili si stanno dissacrando: il governo è senza Religione; e se il governo è senza Religione, l’educazione deve essere pure senza Religione. Lo vediamo già in Germania ed in Francia. È stato ripetutamente tentato in Inghilterra. Il risultato di questo non può essere nient’altro che il ristabilimento della semplice società naturale; in altre parole, i governi e le potenze del mondo, che per un certo tempo furono soggiogati dalla Chiesa di Dio alla fede nel Cristianesimo, all’obbedienza alle leggi di Dio e all’unità della Chiesa, essendosi ribellati, si sono profanati, sono ricaduti cioè nel loro stato naturale. – Il profeta Daniele, nell’undicesimo capitolo, dice che nel tempo della fine « cadranno dei sapienti affinché siano provati con il fuoco, e purgati ed imbiancati fino al tempo stabilito, perché rimane tuttora altro tempo », e l’empio agirà malvagiamente, e nessuno dei malvagi capirà, ma i dotti comprenderanno, e molti che hanno conosciuto la fede lo abbandoneranno con l’apostasia. Alcuni dei sapienti cadranno (Dan. XI, 35);  cadranno dalla loro fedeltà a Dio. E come avverrà questo? In parte per la paura, in parte per l’inganno, in parte per la codardia; in parte perché non potranno sopportare la verità impopolare al cospetto della falsità popolare; in parte ancora perché la opinione pubblica sovversiva e sprezzante, com’è in un Paese come questo e in Francia, sottomette e spaventa così tanto i Cattolici, che essi non osano confessare i loro princîpi e, alla fine, non osano professarli. Diventano così anch’essi ammiratori e adoratori della prosperità materiale dei Paesi protestanti, ne vedono i commerci, i manufatti, l’agricoltura, i capitali, la scienza pratica, gli eserciti irresistibili e le flotte che coprono il mare, si accalcano per l’adorazione e dicono: « Niente è così grande come questo paese dell’Inghilterra protestante ». E così essi abbandonano la loro fede, e diventano materialisti, cercando la ricchezza ed il potere di questo mondo, abbagliati e sopraffatti dalla grandezza di un Paese che ha respinto la sua fedeltà alla Chiesa.

5. Ora l’ultimo risultato di tutto ciò sarà una persecuzione, che non cercherò di descrivere. Basta ricordare qui le parole del nostro Divin Maestro: « Il fratello tradirà il fratello a morte … », sarà una persecuzione in cui nessun uomo risparmierà il suo prossimo, in cui le potenze del mondo invaderanno la Chiesa di Dio con una vendetta che il mondo prima non ha mai conosciuto. La Parola di Dio ci dice che verso la fine dei tempi la potenza di questo mondo diventerà così irresistibile e così trionfante che la Chiesa di Dio affonderà sotto la sua mano, che la Chiesa di Dio non riceverà più aiuto né da imperatori, né da re, o da prìncipi, da parlamenti, nazioni, e popoli, per  resistere al potere e alla forza del suo antagonista. Essa sarà privata di ogni protezione, sarà indebolita, confusa e prostrata, e sanguinerà ai piedi dei poteri di questo mondo. Questo sembra ora incredibile? Ma cosa vediamo in questo momento? Guardiamo la Chiesa Cattolica e Romana in tutto il mondo: non somiglia ora più che mai, al suo Capo divino nell’ora in cui veniva legato, mani e piedi, da coloro che lo tradivano? Noi vediamo la Chiesa Cattolica ancora indipendente, fedele alla sua fede divina, ma tuttavia è respinta dalle Nazioni del mondo; il Santo Padre, il Vicario del nostro Divino Signore, in questo momento deriso, disprezzato, reietto, tradito, abbandonato, privato dei suoi, e colpito anche da quelli che lo dovrebbero dovuto difendere! Quando mai – mi chiedo – la Chiesa di Dio è stata in una condizione di maggior debolezza, in uno stato così misero agli occhi degli uomini, e in questo ordine naturale, come è ora? E da dove – chiedo ancora – verrà la sua liberazione? C’è sulla terra qualche potere che possa intervenire? C’è qualche re, prìncipe o potete, che abbia il potere di imporre la sua volontà o la sua spada a protezione della Chiesa? Non ce n’è uno; ed è predetto che dovesse essere così! Né abbiamo bisogno di desiderarlo, perché la volontà di Dio sembra essere diversa. Ma c’è un potere però che distruggerà tutti gli antagonisti; c’è una Persona che abbatterà e punirà come granelli di polvere d’estate dall’aia, tutti i nemici della Chiesa, poiché è Lui che consumerà i Suoi nemici: « … con lo Spirito della Sua bocca li distruggerà », con la luminosità della sua venuta. Sembra che il Figlio di Dio sia geloso ché nessuno possa rivendicare la Sua autorità. Egli ha riservato la battaglia per Sé solo. Egli ha raccolto il guanto di sfida  che è stato lanciato contro di Lui; e la profezia è chiara ed esplicita nell’affermare che il ribaltamento ultimo del male sarà operato da Lui stesso; che non sarà operato da nessun uomo, ma solo dal Figlio di Dio; affinché tutte le Nazioni del mondo possano sapere che Lui, Lui solo, è il Re, e che Lui, Lui solo, è Dio! Noi leggiamo nel libro dell’Apocalisse della città di Roma, che .. essa disse nell’orgoglio del suo cuore: « Poiché diceva in cuor suo: Io seggo regina, vedova non sono e lutto non vedrò; per questo, in un solo giorno, verranno su di lei questi flagelli: morte, lutto e fame; sarà bruciata dal fuoco, poiché potente Signore è Dio che l’ha condannata ». Alcuni dei più grandi scrittori della Chiesa ci dicono che con ogni probabilità durante l’ultima caduta dei nemici di Dio, la stessa città di Roma sarà distrutta; sarà una seconda volta punita da Dio Onnipotente, come lo fu all’inizio. Non c’è mai stata nei tempi antichi sulla terra, una distruzione paragonabile alla caduta di Roma. San Gregorio Magno, scrivendo di questo, dice: « Roma un po’ di tempo fa era considerata l’amante del mondo; ma vediamo ciò che è ora. Schiacciata da molteplici e sconfinate miserie, dalla desolazione dei suoi abitanti, dalle incursioni dei nemici, dalle frequenti distruzioni, … vediamo adempiersi in essa le parole del Profeta contro la città di Samaria; “dov’è il senato? dove ora è la sua gente?” Le ossa sono frantumate e la carne è consumata. Tutto il fasto della sua grandezza mondana si è estinto. La sua intera struttura si è dissolta. E noi, i pochi che restano, siamo giorno dopo giorno vessati dalla spada e da innumerevoli tribolazioni … Roma è vuota e brucia, … il suo popolo ha fallito, e anche le sue mura stanno cadendo … Dove sono ora coloro che un tempo esultavano nella sua gloria? Dov’è il loro sfarzo? dove il loro orgoglio; dove la loro costante e smodata gioia? (San Gregorio M. lib. II, Hom. VII, in Ezech.). Non c’è mai stata una rovina così grande come per il rovesciamento della grande Città dei Sette Colli, quando le parole della profezia si saranno adempiute: « Babilonia è caduta “come” una grande pietra da macina nel mare. » – Gli scrittori della Chiesa ci dicono che negli ultimi giorni probabilmente la città di Roma cadrà nell’apostasia dalla Chiesa e dal Vicario di Gesù Cristo (… hanno avuto perfettamente ragione – ndr.) ; e che Roma sarà nuovamente punita, perché egli se ne andrà; e il giudizio di Dio si abbatterà sul luogo da cui un tempo regnava sulle Nazioni del mondo. Che cosa è ciò che rende sacra Roma, se non la presenza del Vicario di Gesù Cristo? Per cosa essa dovrebbe essere cara agli occhi di Dio, se non per la presenza del Vicario di Suo Figlio? La Chiesa di Cristo si allontana da Roma: Roma non sarà agli occhi di Dio più che la Gerusalemme antica. Gerusalemme, la Città Santa, scelta da Dio, abbattuta e consumata dal fuoco, perché crocifisse il Signore della Gloria; e la città di Roma, che è stata la sede del Vicario di Gesù Cristo per diciotto secoli, se diventerà apostata, come la Gerusalemme antica, subirà una condanna simile. E, pertanto, gli scrittori della Chiesa ci dicono che la città di Roma non ha alcuna speciale prerogativa se non quella che in essa è presente il Vicario di Cristo; e se essa diventasse infedele, gli stessi giudizi che caddero su Gerusalemme, santificata dalla presenza del Figlio di Dio, del Maestro, e non solo del discepolo, cadranno ugualmente su Roma. L’apostasia della città di Roma dal Vicario di Cristo e la sua distruzione da parte dell’Anticristo, possono essere pensieri così nuovi per molti Cattolici, che ritengo sia opportuno citare il testo dei Teologi maggiormente stimati. In primo luogo, Malvenda, che scrive espressamente sull’argomento, afferma in comune con l’opinione di Ribera, Gaspar Melus, Viegas, Suarez, Bellarmino e Bosius, che « … Roma deve apostatare dalla fede, cacciare il Vicario di Cristo e ritornare al suo antico paganesimo » (Malveda, de Antichristo, lib. IV, cap. 5). Le parole precise di Malvenda sono: « … Roma stessa negli ultimi tempi del mondo tornerà alla sua antica idolatria, alla potenza e grandezza imperiale. Scaccerà il suo Pontefice, apostaterà completamente dalla fede cristiana, perseguiterà terribilmente la Chiesa, verserà il sangue dei martiri nel modo più crudele che mai, e recupererà il suo precedente stato di abbondante ricchezza, e forse anche maggiore di quello che aveva sotto i suoi antichi sovrani. » Lessius dice: « Al tempo dell’Anticristo, Roma sarà distrutta, come vediamo apertamente dal diciottesimo capitolo dell’Apocalisse », e ancora: « Nella donna che hai visto essere la grande città che regna sui re della terra, è significata Roma nella sua empietà, come era al tempo di San Giovanni, e come sarà di nuovo alla fine del mondo » (Lessius: de Antichristo, demonst. XII).  E Bellarmino: « Nel tempo dell’Anticristo, Roma sarà desolata e bruciata, come apprendiamo dal sedicesimo versetto del capitolo XVII dell’Apocalisse (Bellarm. de Summo Pontif. lib. IV. cap. 4). Il gesuita Erbermann così commenta su queste parole: « Concordiamo con Bellarmino che il popolo romano, un po’ prima della fine del mondo, tornerà al paganesimo e scaccerà il Romano Pontefice.” Viegas, nel commento al diciottesimo capitolo dell’Apocalisse, dice: « Roma, nell’ultima era del mondo, dopo che avrà apostatato dalla fede, raggiungerà grande potere e lo splendore delle ricchezze, e il suo dominio sarà ampiamente diffuso in tutto il mondo e prospererà enormemente. Vivendo nel lusso e nell’abbondanza di tutte le cose, adorerà gli idoli, sarà immersa in ogni tipo di superstizione, e renderà onore ai falsi dei; e a causa della grande effusione del sangue dei martiri che fu versato sotto gli imperatori, Dio sarà molto severo e giustamente li vendicherà, per cui essa sarà completamente distrutta e bruciata da una conflagrazione terribile e disastrosa. » – Infine, Cornelius a Lapide riassume ciò che si può dire essere l’interpretazione comune dei teologi. Commentando ancora lo stesso diciottesimo capitolo dell’Apocalisse, dice: « Queste cose devono essere riferite alla città di Roma, non a quella che è, né a quella che era, ma a quella che sarà alla fine del mondo. Perché allora la città di Roma tornerà alla sua antica gloria, e allo stesso modo, pure alla sua idolatria e agli altri peccati, e sarà come se fosse al tempo di San Giovanni, sotto Nerone, Domiziano, Decio, ecc. Perché da cristiana essa deve ridiventare ribelle. Scaccerà il cristiano Pontefice e i fedeli che aderiscono a lui. Dovrà perseguitarli ed ucciderli, rinnovando le persecuzioni degli imperatori pagani contro i Cristiani. Perché infatti vediamo che Gerusalemme pure fu in un primo tempo pagana sotto i Cananei; in un tempo successivo, fu fedele sotto gli Ebrei; poi cristiana sotto gli Apostoli; in un quarto tempo, di nuovo sotto i Romani; in un quinto, saracena sotto i turchi ». Tale sarà la storia di Roma: pagana sotto gli imperatori, cristiana sotto il Apostoli, fedele sotto i Pontefici, apostata sotto la Rivoluzione, e pagana sotto l’Anticristo. Solo come Gerusalemme, potevano peccare tanto formalmente e cadere così in basso; per questo solo Gerusalemme è stata scelta, illuminata e consacrata. E poiché nessun popolo è mai stato così feroce come gli Ebrei nella loro persecuzione contro Gesù, temo che nessuno sarà mai più implacabile contro la fede come i Romani. – Ora io non ho cercato di indicare quali saranno gli eventi futuri, tranne che nella struttura, e non mi sono mai azzardato a designare chi sarà la persona che li realizzerà. Di questo non so nulla; ma sono autorizzato con la certezza più perfetta, dalla Parola di Dio e dalle interpretazioni della Chiesa, ad indicare i grandi princîpi che sono in conflitto da entrambe le parti. Io ho cominciato col dimostrare che l’Anticristo ed il movimento anticristiano hanno questi segni: primo, scisma dalla Chiesa di Dio; in secondo luogo, la negazione della sua divina ed infallibile voce; e in terzo luogo, la negazione dell’Incarnazione. L’anticristo è quindi, il nemico diretto e mortale dell’unica Chiesa Santa, Cattolica e Romana; ogni scisma viene prodotto uscendo dall’unità con Essa, che è l’unico organo della voce divina dello Spirito di Dio, il tempio ed il santuario dell’Incarnazione e del Sacrificio continuo. Ed ora per finire: gli uomini hanno bisogno di guardare ai loro princîpi. Devono fare una scelta tra le due cose: – tra la fede di un Maestro che parla con voce infallibile, che governa l’unità che ora, così come all’inizio, unisce le Nazioni del mondo; – e tra lo spirito di un Cristianesimo frammentato, che è fonte di disordine e produce l’incredulità. Ecco la semplice scelta a cui tutti siamo chiamati; e tra loro dobbiamo operare una scelta prendendo una decisione. Gli eventi di ogni giorno portano gli uomini sempre più avanti nel cammino verso il quale sono avviati. Ogni giorno gli uomini diventano sempre più divisi. Questi sono tempi di vagliatura. Il nostro Divin Signore sta nella Chiesa: « Il ventilabro è nelle sue mani, ed Egli pulirà completamente la sua aia, raccoglierà il grano nel suo granaio, e brucerà la pula con un fuoco inestinguibile. » (S. Matth. III, 11) È questo un tempo di prova, quando « alcuni dei sapienti cadranno », e solo saranno salvati quelli che persisteranno fino alla fine. I due grandi antagonisti stanno radunando le loro forze per l’ultimo conflitto, esso potrebbe non avvenire ai nostri giorni, potrebbe non essere nel tempo di quelli che verranno dopo di noi; ma una cosa è certa, che siamo già da ora sottoposti a questo processo come lo saranno coloro che vivranno nel tempo in cui tutto questo avverrà. Perché, come il Figlio di Dio regna in alto, e regnerà « … finché non avrà messo tutti i suoi nemici sotto i suoi piedi », così sicuramente tutti quelli che alzano il loro calcagno, o dirigono un’arma contro la sua Fede, contro la sua Chiesa o il suo Vicario sulla terra, condivideranno il giudizio che è stato emesso per l’anticristo che essi servono.

FINE

LONDON:

PRINTED BY LEVEY, ROBSON, AND FRANKLIN.

Grent New Street and Fetter Lane. 1861.

Cardinal H. E. Manning: LA CRISI ATTUALE DELLA SANTA SEDE (4)

Henry Edward Manning

LA CRISI ATTUALE DELLA SANTA SEDE (4)

[annunciata dalle profezie]

in 4 LETTURE

LONDRA:

BURNS & LAMBERT, 17 & 18 PORTMAN STREET, e 63 PATERNOSTER ROW; KNOWLES, NORFOLK ROAD, BAYSWATER.

MDCCCLXI.

LETTURA IV (1)

Prima di entrare sull’ultimo argomento che resta, riprendiamo dal punto in cui ci eravamo interrotti nell’ultima lezione. Il punto era questo: sulla terra ci sono due grandi antagonisti: da una parte lo spirito e il principio del male; e dall’altra il Dio incarnato manifestato nella sua Chiesa, ma eminentemente nel suo Vicario, che è suo rappresentante, depositario delle sue prerogative, e quindi è il suo testimone speciale, che parla e governa nel suo Nome. L’ufficio del Vicario di Gesù Cristo contiene, in pienezza, le divine prerogative della Chiesa, in quanto, essendo il rappresentante speciale del Capo Divino, riversa egli, “unicamente” e solo, tutti i suoi poteri comunicabili nel governo della Chiesa sulla terra. Gli altri, i Vescovi e i Pastori, uniti a lui, agiscono in subordinazione a lui, e non possono agire senza di lui; egli soltanto può agire da solo, possedendo la pienezza del potere in se stesso. E inoltre, poiché le funzioni del corpo sono dirette dalla testa, le prerogative che dipendono dal Capo Divino della Chiesa sull’intero Corpo Mistico, sono centrate nella testa di quel Corpo sulla terra, dal momento che il Vicario sta al posto del Verbo Incarnato come ministro e testimone del Regno di Dio tra gli uomini. Ora, è proprio contro questa persona eminentemente ed enfaticamente, come ho detto in precedenza, che lo spirito del male e della falsità dirige il suo assalto; perché se si colpisce la testa del corpo, il corpo stesso deve morire. « … Colpisci il pastore e le pecore saranno disperse », era la vecchia astuzia del malvagio, quella che colpì il Figlio di Dio, onde si disperdesse il gregge. Ma quel modo di fare, provato una volta, fu sventato per sempre; poiché dalla morte che colpì il Pastore, il gregge fu riscattato; e benché il Pastore, costituito in luogo del Figlio, sia colpito, il gregge non può essere più disperso. Per trecento anni il mondo si sforzò di troncare la successione dei Sovrani Pontefici; ma il gregge non fu mai disperso: e così sarà ancora fino alla fine. Ciononostante, è contro la Chiesa di Dio, e soprattutto contro il suo Capo, che tutti gli spiriti del male in tutte le epoche e, soprattutto, al presente, dirigono i colpi della loro aggressione. Vediamo, quindi, che cos’è che impedisca la manifestazione, la supremazia e il dominio dello spirito del male e del disordine sulla terra: l’ordine costituito dalla Cristianità, la società soprannaturale di cui la Chiesa Cattolica è stata la creatrice, il vincolo di unione e principio di conservazione, che è il capo di quella Chiesa, è eminentemente il principio dell’ordine: il centro della società cristiana che lega le Nazioni del mondo nella pace. Ora il tema che ci rimane è molto più difficile: coinvolge il futuro e si occupa di eventi così trascendenti e misteriosi che tutto ciò che avrò intenzione di fare, sarà semplicemente delineare in modo schematico ed esporre quali siano le profezie, in modo ampio e luminoso, specialmente quelle del libro di Daniele e dell’Apocalisse, senza tentare di entrare nei minimi dettagli che possono essere interpretati solo dagli eventi [una volta realizzati]. E inoltre, come ho detto all’inizio, non tenterò mai nulla se non sotto la guida diretta della teologia della Chiesa e degli Autori le cui opere hanno la sua approvazione, e così come finora non ho citato nulla di mio, fino alla fine seguirò la stessa strada. Ciò di cui ho, quindi, da parlare ora, è la persecuzione dell’Anticristo e infine la sua distruzione. Innanzitutto, iniziamo con il capitolo venticinquesimo del santo Vangelo secondo San Matteo, in cui leggiamo ciò che il nostro Divin Signore disse quando vide gli edifici del Tempio: « Non sarà lasciato qui pietra su pietra che non debba essere distrutta » E i suoi discepoli, quando era nel Monte degli Ulivi, andarono da Lui privatamente e gli chiesero: « Dicci quale sarà il segno della Tua venuta e della consumazione del mondo ». Essi compresero che la distruzione del Tempio a Gerusalemme e la fine del mondo dovevano essere parte di uno stesso evento, e dovevano avvenire nello stesso momento. Ora, così come nella natura vediamo le montagne susseguirsi l’una dopo l’altra, così che l’intera catena sembra avere un’unica forma, così negli eventi della profezia, ci sono due fatti diversi che appaiono collegati in un unico evento: la distruzione di Gerusalemme e la fine del mondo. Il nostro Divin Signore continuò a dire loro che doveva arrivare una tal tribolazione come non ce n’era mai stata prima; e che se quei giorni non fossero stati abbreviati, non si sarebbe salvata alcuna carne; … che per amore degli eletti quei giorni sarebbero stati abbreviati; un regno sarebbe insorto contro un altro regno ed una nazione contro un’altra nazione, e ci sarebbero state guerre e pestilenze e carestie in diversi luoghi; « …Il fratello consegnerà a morte il fratello, il padre il figlio e i figli insorgeranno contro i genitori e li metteranno a morte… sorgeranno falsi cristi e falsi profeti e faranno segni e portenti per ingannare, se fosse possibile, anche gli eletti … allora vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria. » (S. Marc. XIII); e che, come il lampo esce dall’Oriente, e appare anche ad Occidente, così sarà anche la venuta del Figlio dell’uomo. In questa risposta il nostro Divin Signore parlò di due eventi: uno, la distruzione di Gerusalemme e l’altro, la fine del mondo. L’uno è stato adempiuto e l’altro deve ancora arrivare. – Questo capitolo di San Matteo ci offrirà una chiave per l’interpretazione dell’Apocalisse. Questo libro può essere diviso in quattro parti. – La prima parte descrive la Chiesa sulla terra, sotto la figura delle sette Chiese alle quali sono state inviati messaggi dal nostro Divin Signore. Esse rappresentano come una costellazione, l’intera Chiesa sulla terra. – La seconda parte riguarda la distruzione del Giudaismo e il rovesciamento del popolo ebraico. – La terza parte riguarda la persecuzione della Chiesa da parte della città pagana di Roma e il suo rovesciamento: – la quarta ed ultima parte si riferisce alla pace della Chiesa sotto l’immagine della Gerusalemme celeste che « discende dal cielo e dimora tra gli uomini ». Molti interpreti, specialmente dei primi anni, e anche scrittori come Bossuet ed altri di data successiva, hanno supposto le profezie dell’Apocalisse, eccetto l’ultimo capitolo, adempiute con gli eventi che hanno avuto luogo nei primi sei secoli, cioè il rovesciamento di Gerusalemme, la persecuzione della Chiesa e la distruzione della Roma pagana. Ma è la natura della profezia a rivelarsi gradualmente. Così come ho detto innanzi delle montagne che appaiono da lontano compatte in unico blocco alla nostra vista, man mano che ci avviciniamo alla loro base, cominciano, per così dire, a distinguersi i loro contorni e i dettagli si rivelano altrettanto numerosi e distinti; allo stesso modo è per gli eventi della profezia. L’azione del mondo si muove lungo dei cicli; cioè, come dice il saggio, « ciò che è stato sarà » e « … non c’è nulla di nuovo sotto il sole », e ciò che abbiamo visto all’inizio, la profezia dichiara che sarà di nuovo alla fine del mondo. Le quattro partii del Libro dell’Apocalisse, hanno visto tre agenti principali: la Chiesa, gli ebrei e un potere persecutorio, che era la Roma pagana. Ora, in questo momento pure esistono sulla terra questi tre agenti: – C’è ancora la Chiesa di Dio; – c’è l’antico popolo di Dio, cioè la razza ebraica ancora conservata, come abbiamo già visto, da una misteriosa provvidenza, per qualche futura strumentalità; e vi è in terzo luogo, – la società naturale, quella dell’uomo senza Dio, che ha assunto la forma di un paganesimo antico e assumerà poi la forma dell’infedeltà negli ultimi giorni. Questi sono i tre ultimi agenti nella storia del mondo moderno: in primo luogo, la società naturale dell’umanità; in secondo, la dispersione del popolo ebraico; e, terzo, la Chiesa universale. Gli ultimi due sono gli unici corpi che si compenetrano in tutte le Nazioni e hanno un’unità distinta e indipendente da esse. Hanno un potere maggiore di qualsiasi nazione e sono tra loro antagonisti mortali ed eternamente inconciliabili. Ora la Chiesa ha dovuto subire già due persecuzioni, una per mano degli Ebrei, e una anche per mano dei pagani; pertanto gli scrittori dei primi secoli, i Padri sia dell’Oriente che dell’Occidente, hanno predetto che, nell’ultima epoca del mondo, la Chiesa dovrà subire una terza persecuzione, ancor più amara, più sanguinosa, più capillare e più focosa di qualsiasi altra che abbia già subito, e che avviene per mano di un mondo infedele rivoltato contro il Verbo Incarnato. E quindi il Libro l’Apocalisse, come la profezia di San Marco e San Matteo (cap. XXIV), rivela due eventi, o due azioni. C’è l’evento che è passato, che costituisce il tipo e l’ombra dell’evento che verrà, e c’è l’evento che è ancora futuro, alla fine del mondo; tutte le persecuzioni che sono state fino ad ora, non sono altro che precursori e tipi dell’ultima persecuzione che dovrà esserci. – Abbiamo già visto il parallelo dei due misteri, il mistero dell’iniquità e il mistero della pietà; e anche il parallelo delle due città, la Città di Dio e la città di questo mondo. Rimane un altro parallelo che è necessario esaminare per chiarire ciò che dovrò dire in appresso. Leggiamo nel libro dell’Apocalisse di due donne. C’è una Donna vestita di sole e una donna seduta su una bestia coperta di nomi di bestemmie. Ora è chiaro che queste due donne, come i due misteri e le due città, rappresentano ancora due spiriti antagonisti, due princîpi antagonisti. Nel dodicesimo capitolo del libro dell’Apocalisse leggiamo della Donna « vestita di sole, che ha la luna sotto i suoi piedi, e sul suo capo una corona di dodici stelle » – Nessun cattolico sarà in difficoltà nell’interpretazione di queste parole; e persino interpreti protestanti, per evitare di vedere l’Immacolata Madre di Dio in questa Donna vestita di sole, dicono che essa simbolizzi la Chiesa. In questo hanno perfettamente ragione, anche se affermano solo una mezza verità. La Donna rappresenta o simboleggia la Chiesa, ed è per questo motivo, che il simbolo della Chiesa è l’Incarnazione, cioè la Donna con il Bambino; il simbolo dell’Incarnazione è perciò la Madre di Dio. D’altra parte, non è necessario andare molto lontano per comprendere l’interpretazione della donna che siede sulla bestia con i nomi blasfemi, perché l’ultimo versetto del diciassettesimo capitolo dice: « … la donna che hai visto è la grande città che ha regnato sui re della terra » – “È chiaro, quindi, che c’è un antagonismo tra queste due donne: la Chiesa sotto il simbolo dell’Incarnazione, e la grande città, la città di Roma, con i sette colli, che ha regno sui re della terra. Ora teniamo bene a mente questa distinzione, perché gli interpreti, accesi dallo spirito di polemica, sono stati capaci di confondere queste due cose insieme e di dirci che questa donna seduta sulla bestia sia addirittura la Chiesa di Roma. Ma la Chiesa di Roma è la Chiesa di Dio, o almeno parte di essa, anche nella mente di questi interpreti. Come, quindi, possono queste due donne, che sono così contrarie l’una all’altra, significare la stessa cosa? In verità, come avvenne ad Elymas il mago, che, per la sua perversità, non poteva vedere il sole per “un certo tempo”, così chi si scalda in polemica perde il senso delle cose. Nello splendore di questa visione non possono vedere la verità e cercare la Chiesa di Dio in ciò che è invece figura del suo antagonista, … rinnovando così di nuovo l’antico auto-inganno: quando la verità è sulla terra, gli uomini confondono la falsità con la verità, così come quando, venuto il vero Cristo, non lo riconoscevano e lo chiamavano nientemeno: Anticristo. Come è stato con la sua Persona, così sarà con la sua Chiesa. – Con queste distinzioni preliminari, diamo inizio allora all’ultima parte del nostro argomento. Ciò di cui devo parlare è la persecuzione che l’Anticristo infliggerà alla Chiesa di Dio. Abbiamo già visto la ragione per cui il nostro Signore Divino si lasciò catturare dalle mani dei peccatori solo quando giunse il suo tempo, e nessun uomo poteva impadronirsi di Lui e prevalere su di Lui, finché il suo libero volere non avesse consegnato se stesso al loro potere: così allo stesso modo sarà con quella Chiesa della quale disse: « Su questa roccia costruirò la mia Chiesa e le porte dell’inferno non prevarranno contro di Essa ». Come i malvagi non hanno prevalso contro di Lui neanche quando lo hanno legato con le corde, lo hanno trascinato al giudizio, gli hanno bendato gli occhi, lo hanno deriso come un falso re, lo hanno colpito sulla testa come un falso profeta, lo hanno condotto via, lo hanno crocifisso, e il controllo del loro potere sembrava avere un dominio assoluto su di Lui, tanto da giacere a terra e quasi annientato sotto i loro piedi, … proprio in quel momento in cui era morto e sepolto fuori dalla loro vista, fu il conquistatore di tutti, e risuscitò il terzo giorno, salì al cielo, fu incoronato, glorificato e investito della sua Regalità, e regnò supremo Re dei re e Signore dei signori; anche così sarà con la sua Chiesa: sebbene per un tempo sarà perseguitata, e, agli occhi dell’uomo, rovesciata, calpestata, detronizzata, spogliata, derisa e schiacciata, eppure in quel periodo di grande apparente trionfo, le porte dell’inferno non prevarranno. C’è in serbo per la Chiesa di Dio una Resurrezione e un’Ascensione, una Regalità e un dominio, una ricompensa di gloria per tutto ciò che ha sopportato. Come Gesù, ha avuto bisogno di soffrire lungo il cammino per ottenere la sua corona, così ancora la Chiesa sarà coronata con Lui eternamente. Nessuno, quindi, si scandalizzi se la profezia parla di sofferenze a venire. Noi siamo abituati ad immaginare che la Chiesa celebri i grandi trionfi e le glorie sulla terra, che il Vangelo debba essere predicato a tutte le nazioni, che il mondo debba convertirsi, e che tutti i nemici siano sottomessi, e non so cos’altro, ecco che alcune orecchie sono disturbate dal sentire che ci possa essere in serbo per la Chiesa un tempo di prova terribile: e così ci comportiamo esattamente come gli Ebrei di un tempo, che cercavano un conquistatore, un re ed una loro perpetuità; e quando il Messia venne in umiltà e nella sua Passione, non Lo riconobbero. Quindi, temo, che pure molti di noi attossicano le loro menti rassicurandole con le visioni del successo e delle vittorie, e non possono sopportare il pensiero che ci debba essere ancora un tempo di persecuzione per la Chiesa di Dio. – Ascoltiamo ora le parole del profeta Daniele: parlando della persona che San Giovanni chiamerà l’anticristo, il profeta lo chiama «  re che opererà secondo la propria volontà » (Dan. VII, 25), e dice:  «… e proferirà insulti contro l’Altissimo – cioè, l’Onnipotente Dio – e distruggerà i santi dell’Altissimo ». –  Di nuovo egli dice:  « Esso s’innalzò fin contro la milizia celeste e gettò a terra una parte di quella schiera e delle stelle e le calpestò. S’innalzò fino al capo della milizia e gli tolse il sacrificio quotidiano e fu profanata la santa dimora. (Dan. VIII, 10, 11). Inoltre, egli dice: « … farà cessare il sacrificio e l’offerta; sull’ala del tempio porrà l’abominio della desolazione e ciò sarà sino alla fine » (Dan IX, 27). Questi tre passaggi sono presi dal settimo, l’ottavo e il nono capitolo di Daniele. Potrei aggiungerne degli altri, ma questi sono sufficienti, poiché ci consegnano una chiave di lettura per intendere il libro dell’Apocalisse ove ritroviamo queste parole; San Giovanni, che coincide nei termini evidentemente col Libro di Daniele, scrive della bestia, cioè del potere persecutorio che regnerà sulla terra con forza, « … gli fu dato potere di fare guerra ai santi e di vincerli ». Ora qui abbiamo quattro distinte profezie di una persecuzione che sarà inflitta da questa potenza anticristiana alla Chiesa di Dio. Pertanto, sottolineerò brevemente, per quanto posso, ciò che appare dagli eventi che ci circondano e che ci preparano a questo risultato. –

1. Il primo segno o marchio di questa persecuzione in arrivo è una indifferenza nei confronti della verità. Proprio come c’è una calma profonda prima che giunga un grande tempesta, e come le acque del fiume prima di una grande cascata corrono piane come uno specchio, o come prima di una terribile epidemia c’è un tempo di tranquillità: il primo segno è l’indifferenza. Il segno che prelude con più sicurezza di qualsiasi altro, lo scoppio di una futura persecuzione è una sorta di sprezzante indifferenza verso la Verità o la menzogna. L’antica Roma, nel pieno del suo splendore e della sua potenza, aveva adottato tutte le false religioni provenienti da tutte le nazioni conquistate, e concesso a ciascuna di esse un tempio tra le sue mura: essa era sovranamente e sprezzantemente indifferente a tutte le superstizioni della terra, tollerandole tutte; e poiché ogni nazione aveva una propria superstizione, il permettere quella superstizione era un modo di tranquillizzare, di governare e di mantenere il controllo degli stranieri che si dedicavano alla costruzione di un tempio entro le sue porte. Allo stesso modo, vediamo che le nazioni del mondo cristiano in questo momento gradualmente, adottando ogni forma di contraddizione religiosa, cioè dandogli pieno appoggio e, come viene chiamata, una perfetta tolleranza; non riconoscendo nessuna distinzione di Verità o falsità tra una religione o l’altra, ma lasciando che tutte le forme di religione si espandano a modo loro. Non sto dicendo una parola, si badi bene, contro questo sistema se è inevitabile, visto che è l’unico sistema in cui la libertà di coscienza possa ora mantenersi. Dico solo, che miserabile è lo Stato del mondo in cui circolano diecimila veleni intorno ad una sola Verità; miserabile è lo stato di qualsiasi Paese in cui la Verità è solo tollerata. Questa è una condizione di grande pericolo spirituale ed intellettuale; e sembra in vero che non ci sia alternativa, e che i governi civili debbano lasciare una perfetta libertà di coscienza, per cui si tengono in uno stato di assoluta indifferenza. – Vediamone il risultato. Innanzitutto, la voce divina della Chiesa di Dio viene totalmente ignorata. Non si intravvede alcuna distinzione tra la dottrina della Fede e una qualsiasi opinione umana. Entrambe sono autorizzate ad avere via libera; si mescolano le dottrine della fede con ogni forma di eresia, finché, come in Inghilterra, abbiamo tutte le forme immaginabili di credenza, dal Concilio di Trento in tutto il suo rigore ed in tutta la sua perfezione da un lato, al Catechismo della religione positiva dall’altra. Abbiamo ogni forma di opinione enunciata e liberamente permessa, ed i due estremi; quello di cui c’è l’adorazione di Dio nell’Unità e nella Trinità, Incarnato per noi; e dall’altro, la negazione di Dio ed il culto dell’umanità. Quindi, negando o ignorando naturalmente la voce divina della Chiesa, il governatore civile deve ignorare di conseguenza l’unità divina della Chiesa ed ammettere qualsiasi forma di separazione, o di sistema, o di scisma, tutti mescolati insieme; cosicché la gente viene sminuzzata in sette e divisioni religiose, e la legge dell’unità sia completamente perduta. Quindi, ancora una volta, tutta la verità positiva, in quanto tale, è disprezzata; ed è disprezzata, perché chi potrà dire chi abbia ragione e chi torto, se non ci sarà un Maestro divino? Se non ci sarà un Giudice divino, chi dirà cosa sia vero e cosa falso tra opinioni religiose conflittuali? Uno Stato che si sia separato dall’unità della Chiesa, e quindi che abbia perso la guida dell’Insegnante divino, non è in grado più di determinare da nessuno dei suoi tribunali, civili o ecclesiastici che siano, o come si possano chiamare, ciò che è vero e cosa è falso in una controversa questione di religione; e così, come sappiamo, cresce anche un intenso odio per ciò che si chiama dogmatismo, cioè, per qualsiasi verità positiva, per ogni cosa definita, ogni cosa fissata, ogni cosa che abbia limiti precisi, qualsiasi forma di fede espressa in definizioni particolari: tutto ciò è assolutamente disdicevole per uomini che, in linea di principio, incoraggiano tutte le forme di opinione religiosa. In definitiva, ritorniamo nella condizione di Festo, il quale, quando ha saputo che gli Ebrei avevano mosso un’accusa contro San Paolo, riferiva che « …non addussero nessuna delle imputazioni criminose che io immaginavo; essi avevano solo con lui alcune questioni relative la loro particolare religione e riguardanti un certo Gesù, morto, che Paolo sosteneva essere ancora in vita » (Act. XXVII, 18-19). Ora questo è proprio lo stato di indifferenza a cui i governatori civili del mondo si stanno gradualmente riducendo, con il governo che amministrano, e le persone che lo dirigono.

2. Il passo successivo è, dunque, la persecuzione della Verità. Quando Roma, nei tempi antichi, aveva legalizzato da sempre l’idolatria in tutto l’Impero Romano, c’era una “religio illicita” che si chiamava religione ed una società che si definiva “societas illicita” o società illecita. Si potevano adorare i dodici “dei” dell’Egitto, o Giove Capitolino, o la Dea Roma; ma non si poteva adorare il Dio del cielo, essi « non potevano adorare Dio, rivelato nel Figlio suo ». Non credevano nell’Incarnazione; e quella Religione, la sola vera, unica Religione, non era tollerata. C’erano i sacerdoti di Giove, di Cibele, di Fortuna e di Vesta; c’erano tutti i tipi di sacre confraternite, di ordini e di società, e non so quant’altro; ma c’era una “societas” alla quale non era permesso esistere, e quella era la Chiesa del Dio vivente. In mezzo a questa tolleranza universale, c’era solo un’eccezione, osservata con la più minuziosa precisione, onde escludere la Verità e la Chiesa di Dio dal mondo. Ora, questo è proprio ciò che deve inevitabilmente accadere di nuovo, perché la Chiesa di Dio è inflessibile nella missione che Essa conduce. La Chiesa Cattolica non comprometterà mai una sua pur minima dottrina; non permetterà mai che due dottrine diverse vengano insegnate al suo interno; non obbedirà mai ad un governatore civile che pronuncerà giudizi in questioni di natura spirituale. La Chiesa Cattolica è vincolata dalla legge divina e preferisce subisce il martirio piuttosto che compromettere una sua dottrina, o obbedire alla legge di un governatore civile che viola la coscienza; ma oltre a questo, Essa non può rifugiarsi in una disobbedienza passiva, che possa avvenire rannicchiandosi in un angolo, ed essere quindi non rilevata e, non rilevata, non punita; la Chiesa Cattolica non può tacere; Essa non può rimanere in una pace afona; non può cessare di predicare le dottrine della Rivelazione, non solo quelle relative alla Trinità e all’Incarnazione, ma anche quelle dei Sette Sacramenti, dell’infallibilità della Chiesa di Dio, e della necessità dell’unità e della Sovranità, sia spirituale che temporale, della Santa Sede: e poiché Essa non resterà muta, non potrà scendere a compromessi, non cederà a questioni che appartengano alla sua prerogativa divina, e quindi si troverà sola nel mondo; non c’è infatti un’altra Chiesa così chiamata, né alcuna comunità che si professi una Chiesa, che non si sottometta né obbedisca, né mantenga la pace, quando i governatori civili del mondo impongono i loro comandi. Non sono passati ancora dieci anni da quando abbiamo sentito parlare di una decisione sulla questione del Battesimo, che coinvolgeva la dottrina del peccato originale da un lato e la dottrina della grazia preveniente dall’altro; e poiché un giudice civile dichiarò che era legale nella Chiesa d’Inghilterra stabilita dagli uomini poter insegnare impunemente due dottrine contraddittorie, vescovi, sacerdoti e persone varie, erano contenti che fosse così: o, almeno, dissero: « Non possiamo fare diversamente; il potere civile permetterà agli uomini di predicare entrambe le dottrine: cosa possiamo fare? Siamo perseguitati e quindi manteniamo la nostra pace; continuiamo a svolgere il ministero secondo una legge civile che ci costringe a sopportare sia ciò che l’uomo predica davanti a noi al mattino, sia ciò di cui l’uomo ci parlerà più tardi nel pomeriggio, predicando una dottrina diametralmente opposta a quella che sappiamo essere la dottrina rivelata di Dio; e poiché i governatori civili lo hanno determinato, noi non siamo responsabili, e nemmeno la Chiesa stabilita è responsabile, perché è perseguitata ». Ora questa è la differenza tipica tra un sistema puramente umano, stabilito dalla legge civile, e la Chiesa di Dio. – Mi sarebbe permesso nella Chiesa Cattolica Romana, negare che ogni bambino battezzato riceva l’infusione di grazia rigeneratrice? Cosa ne sarebbe di me domani mattina? So perfettamente che se dovessi dire un’inezia o una piccola difformità dalla santa Fede Cattolica, insegnata dalla voce divina della Chiesa di Dio, sarei immediatamente sospeso, e nessun governatore civile, o qualsiasi altro potere nel mondo, potrebbe ripristinarmi nell’esercizio delle mie facoltà; nessun giudice civile o potentato della terra, potrebbe riportarmi all’amministrazione dei Sacramenti, finché l’Autorità spirituale della Chiesa non mi permettesse di farlo. Questa, quindi, è la differenza caratteristica, ed un giorno si abbatterà sulla Chiesa, in tutti i Paesi in cui si è affermato questo spirito di indifferenza, una persecuzione del potere civile. Ed avverrà questo anche per un’ulteriore ragione, perché la differenza tra la Chiesa Cattolica e ogni altra società è che: le altre società sono di costituzione volontaria; cioè le persone si uniscono ad un corpo particolare e, se questo non va più loro a genio, perché magari acquisiscono una migliore conoscenza, cambiano strada: diventano battisti, o anabattisti, o episcopaliani, o unitari o presbiteriani, finché non trovino qualcosa che non piaccia loro in questi sistemi; e poi vanno anch’essi ad unirsi a qualche altro corpo o rimangono senza legami; perché queste società non hanno alcuna pretesa di dirigere la volontà, ma solo di insegnare tutto quello che pensano di fare. – Esse sono come le antiche scuole ed il loro insegnamento è una sorta di filosofia cristiana: pongono le loro dottrine davanti a quelli che sono disposti ad ascoltare: se le ascoltano e, per buona fortuna, sono d’accordo con loro, rimangono: se no, se ne vanno. Ma dov’è il governo sulla volontà? Possono forse essi dire: « Nel nome di Dio, e sotto pena di peccato mortale, devi credere che Dio si è incarnato e che il nostro Signore incarnato si offre in Sacrificio sull’altare, che i Sacramenti istituiti dal Figlio di Dio sono sette e che tutti trasmettono la grazia dello Spirito Santo »? A meno che essi non abbiano autorità sulla volontà e sull’intelligenza, costituiscono in realtà solo una scuola e non un Regno. Ora questo è il carattere che manca completamente in ogni società che non possa pretendere di governare nel nome del nostro Divino Signore e con voce divina; e quindi la Chiesa di Dio differisce da ogni altra società in questo particolare: che Essa non è solo una comunità di persone che si uniscono volontariamente tra loro, ma Essa è un Regno: Essa ha una legislatura; ha le direttive dei suoi Concili, per milleottocento anni si è riunita in seduta, ha deliberato e decretato con tutta la solennità e la maestà di un parlamento imperiale. Questo Regno ha un dirigente che attua ed applica i decreti di quei Concili in tutta calma e con tutta la decisione perentoria di una volontà imperiale. La Chiesa di Dio, quindi, è un Impero all’interno di un impero; e i governatori e i prìncipi di questo mondo ne sono gelosi proprio per questo stesso motivo. Essi dicono: « Nolumus hunc regnare super nos – non vogliamo che quest’Uomo regni su di noi ». Proprio perché il Figlio di Dio, quando venne, stabilì un Regno sulla terra, in ogni terra, in ogni Nazione, la Chiesa Cattolica governa con l’autorità della Chiesa Universale di Dio. Per esempio, in Inghilterra, il piccolo e disprezzato gregge di Cattolici si unì sotto una gerarchia per dieci anni, appoggiandosi alla Santa Sede come suo centro, parlando e governando con la sovranità derivante dalla Chiesa Universale di Dio. Però, a dieci anni di distanza, quell’atmosfera era turbata e tormentata dal tumulto dell’ « aggressione papista ». L’istinto naturale dei governanti civili sapeva che non si trattava di una semplice filosofia cristiana proveniente da una terra straniera, ma di un governo, di un potere, di una sovranità. Anche per questo, la scuola liberale estremista, che millanta tolleranza per ogni forma di opinione e che insegna che l’ufficio del governatore civile non debba mai entrare in controversie di religione, ma che tutti gli uomini dovrebbero essere lasciati liberi nel loro credo e la coscienza di tutti gli uomini essere libera davanti a Dio, fa anch’essa un’eccezione unica e, con la più strana delle contraddizioni verso tutti i suoi princîpi, o, almeno, verso le sue professioni, sostiene che, poiché la Chiesa Cattolica non è semplicemente una forma di dottrina, ma anche un potere o un governo, Essa deve essere esclusa dalla tolleranza generale! E questo è esattamente il punto della futura collisione. È proprio questa la ragione per cui gli Arcivescovi di Colonia, Torino, Cagliari e via dicendo, sono andati in esilio l’altro giorno; … ecco perché diciannove sedi sono, in questo momento, vacanti in Sardegna, … ecco perché, in Italia, i Vescovi sono, proprio in questo giorno, cacciati dalle loro cattedre episcopali; è ancora per questa ragione che in questa terra si stabilisce la religione protestante invece che la Verità cattolica, e che le Cattedre, una volta occupate dai Vescovi della Chiesa Universale sono ora occupate da quelli che i regnanti dell’Inghilterra, e non il regnante Vicario di Gesù Cristo, hanno scelto e istituito. È la medesima, la solita antica competizione, vecchia quanto il Cristianesimo stesso, che c’è stata fin dall’inizio, prima con il pagano, poi con l’eretico, poi con lo scismatico, e poi con l’infedele, e che continuerà infino alla fine. Non è lontano il giorno, in cui le Nazioni del mondo, ora così calme e pacifiche nell’immobilità della loro universale indifferenza, potranno essere facilmente destate, e le leggi penali persecutorie ancora una volta troveranno posto nei loro statuti.

[continua…]