SALMI BIBLICI: “USQUEQUO DOMINE” (XII)

Salmo 12: “Usquequo Domine”

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS.

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

TOME PREMIER.

PARIS

LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR

13, RUE DELAMMIE,1878

IMPRIM.: Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

Salmo 12: Usquequo, Domine …

[1] In finem. Psalmus David.

  Usquequo, Domine, oblivisceris me in finem? usquequo avertis faciem tuam a me?

[2] Quamdiu ponam consilia in anima mea, dolorem in corde meo per diem?

[3] Usquequo exaltabitur inimicus meus super me?

[4] Respice, et exaudi me, Domine Deus meus. Illumina oculos meos, ne umquam obdormiam in morte;

[5] nequando dicat inimicus meus: Praevalui adversus eum. Qui tribulant me exsultabunt si motus fuero;

[6] ego autem in misericordia tua speravi. Exsultabit cor meum in salutari tuo. Cantabo Domino qui bona tribuit mihi; et psallam nomini Domini altissimi.

Salmo XII

 [Vecchio Testamento secondo la Volgata Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

Preghiera a Dio in tempo di tentazione.

Per la fine, salmo di David.

1. Fino a quando, o Signore? ti scorderai forse di me per sempre? fino a quando volgi da me la tua faccia?

2. Fino a quando accumulerò perplessità nell’anima mia, e nel cuor mio dolori ogni giorno?

3. Fino a quando avrà possanza sopra di me il mio nemico?

4. Volgiti a me, ed esaudiscimi, Signore, Dio mio. Illumina gli occhi miei, affinché io non dorma giammai sonno di morte;

5. Affinché non dica una volta il mio nemico: Io lo ho vinto. Coloro che mi affliggono, trionferanno se io sarò smosso:

6. lo però mia speranza ho posta nella tua misericordia. Il mio cuore esulterà nella salute che vien da te; canterò il Signore mio benefattore; e al nome del Signore altissimo farò risonare inni di laude.

Sommario analitico

Questo salmo è stato composto nelle stesse circostanze del precedente, quando Davide cioè era prigioniero nella città di Ceila, essendo stato avvertito che Saul si avvicinava con la sua armata, e deliberava se prendere la fuga davanti a lui. Egli dice a Dio: « fino a quando mi dimenticherete? » perché da lungo tempo condannato a condurre una vita errante, e fa allusione al consiglio che chiede per mezzo dell’intermediazione di Abiathar, rivestito dell’efod « Fino a quando io sarò abbandonato all’incertezza dei miei consigli? » Egli parla egualmente della necessità nella quale si trovava di sottrarsi con la fuga all’inseguimento dei suoi nemici, cosa che doveva esporlo alle loro beffe e ai loro oltraggi. – In senso tropologico, Davide rappresenta qui l’uomo giusto assalito da violente tentazioni. Egli implora il soccorso di Dio per tre motivi:

motivo, preso da se stesso, vale a dire perché Dio viene infine a liberarlo dalle sue afflizioni, ove sembra averlo dimenticato da tanto tempo, senza che avesse tratto nessuna utilità dai consigli che chiedeva, senza che il suo dolore sembrasse toccare il cuore di Dio (1-2).

motivo, tratto dai suoi nemici che a) si glorificavano della propria potenza (3); b) si vantavano di sopraffarlo con la forza (4); c) si preparavano a trionfare insolentemente con la loro vittoria (5).

3° motivo, desunto dalla gloria di Dio, che egli celebra: – interiormente con sentimenti di riconoscenza, – esteriormente con le sue lodi e le sue opere (6).

Spiegazioni e Considerazioni

I. — 1-6

ff. 1. – Non è che una grazia mediocre l’essere sensibile all’oblio di Dio. Questo oblio non è in Dio un sentimento dell’anima, ma un semplice abbandono. Un grande numero di coloro che sono oggetto di questo abbandono, infatti lo ignorano e non si curano di deplorarlo. Essi non conoscono, come il Re-Profeta, i segni dai quali si può riconoscere il ricordo di Dio, essi non sanno discernere inoltre i segni caratteristici dell’oblio di Dio. È naturale che coloro che non conoscono questi segni della sua amicizia, non conoscano nemmeno quelli della sua collera (S. Chrys.). – C’è una differenza marcata tra le disposizioni dei veri Cristiani e quelle dei peccatori, dei mondani, degli empi del secolo. Questi ultimi non si affliggono dall’essere lontani da Dio, si glorificano piuttosto dello spirito di irreligione, oppure si irritano del fatto di non potersi sottrarre alla sua potenza o al suo dominio, e giungono talvolta finanche a fabbricare dei sistemi nei quali a Dio non resta né potere, né giustizia, né provvidenza. I veri Cristiani, al contrario, mettono tutta la loro felicità in un rapporto intimo con Dio e, quando sembra che a loro si nasconda, se ne lamentano nelle lacrime (Berthier). – Qui c’è il pianto doloroso di un’anima oppressa da una lunga e violenta tentazione. Due mali ci affliggono nella tentazione: i cattivi desideri della volontà e le tenebre dell’intelligenza; quando questi cattivi desideri ci opprimono, Dio sembra dimenticarci ed abbandonare la nostra anima; quando le tenebre oscurano la nostra intelligenza, allora Dio volge da noi la faccia (Bellarm.). – Questo oblio di Dio, questo voltare il capo, sono sovente un effetto della sua bontà.

ff. 2. Colui che è uscito dal porto va errando qua e la verso l’avventura; colui che è privato della luce va urtando tutti gli ostacoli; così colui che è caduto nell’oblio di Dio, è continuamente in preda alle preoccupazioni, all’inquietudine, al dolore. Uno dei mezzi più propri per ricondurre gli sguardi di Dio su di noi, è l’essere abbandonati agli affanni cocenti, consumati dalla tristezza, e riflettere nelle lacrime sulle cause di quest’allontanamento di Dio (S. Chrys.). – Questo è il quadro di un’anima agitata e turbata: una folla di pensieri l’assalgono, come Giobbe (XX, 2), e lo trasportano da ogni lato, come i flutti di un mare agitato dalla tempesta. « Perché siete turbati – diceva Gesù ai suoi discepoli – e perché tutti questi pensieri si levano dai vostri cuori? » (S. Luca XXIV, 38).

ff. 3. – Il demonio e la tirannia della cattiva abitudine sembrano talvolta stravolgerci. Non bisogna in questo stato però perdere la fiducia, ma ricorrere a Dio con nuovo fervore. Cosa significano queste parole: « io non l’ho avuta vinta » se non che il mio nemico, che non ha nessuna forza per se stesso, nonostante ciò sia stato più forte di me. Sono i nostri difetti che costituiscono la sua forza, che aumentano la sua potenza e lo rendono invincibile (S. Chrys.). – Se voi vi ripromettete che alfine arriverà il tempo di pensare alla salvezza, senza pensarci fin da ora, ah! … ricordate che è per questo che tanti peccatori sono fin qui periti, e che è essa la grande via che porta alla morte essendo in peccato; ricordatevi che il peccatore, anche se lo desidera spesso ma invano, non si converte mai. Più sentirete anzi in voi questi sterili movimenti di salvezza, più farete sì che la vostra misura si colmi di più, ed ogni grazia disprezzata vi avvicinerà ad un grado maggiore di indurimento. Dite spesso al Signore con il Profeta: Fino a quando, o mio Dio, illuderò le inquietudini segrete della mia anima con vani progetti di penitenza? « Quandiu ponam consilia in anima mea »? Fino a quando vedrò trascorrere rapidamente i giorni della mia vita, promettendo al mio cuore, per calmarne i disordini, un dolore ed un pentimento che si allontana sempre più da me? « Dolorem in corde meo per diem »? Fino a quando il nemico prevarrà sulla mia debolezza? … si servirà di un errore così grossolano per sedurmi? « Usquequo exaltabitur inimicus meus super me? » Esaudite oggi, o mio Dio, questi desideri di salvezza, oggi in cui mi sembra che la vostra grazia li renda più vivi e sinceri: « Respice et exaudi me, Domine, Deus meus » (Bourdal).

ff. 4. –  Il Profeta parla qui degli occhi del cuore, e chiede che essi non siano mai chiusi a causa dei funesti diletti del peccato (S. Agost.). – Il peccato è nello stesso tempo un sonno ed un sonno di morte. Qual analogia tra il sonno ed il peccato, la morte dell’anima, e la morte del corpo! (Leblanc). – La morte di cui il Re-Profeta chiede qui di essere preservato, è la riprovazione, la perdita eterna di Dio, della quale è causa il peccato. Ciò che preserva da questa morte, è la luce della grazia; e ciò che è incompatibile con questa morte è questa stessa luce (Berthier). – Quanto è necessario fare a Dio questa preghiera: « rischiarate i miei occhi, etc. ». Non c’è forse alcun uomo al mondo che non abbia un recesso in cui tema che si faccia luce. Ci sono forse per questo tante ragioni individuali, ma malgrado questa varietà, il fatto non è meno universale. Quasi tutti noi ne ignoriamo le ragioni, perché forse piuttosto è uno di quegli istinti che vivono nel fondo della nostra natura corrotta. L’oracolo segreto ci dice che se noi penetriamo in questa piega del nostro essere, noi avremo modo di far fremere la pigrizia o la mancanza di mortificazione; il fascino della devozione a buon mercato o dell’amore dei nostri comodi, sarà infranto, e noi ci troveremo faccia a faccia con qualche necessità incresciosa, forse con il dovere e gli obblighi di una rivoluzione interiore completa, sotto pena di restare scontenti di noi stessi. Così noi lasciamo questa parte del nostro interno scrupolosamente chiusa, con la porta sbarrata e in solitudine di questi appartamenti dei quali si evitano i ricordi, o questi cassetti nei quali si sono depositati tanti rifiuti ed anticaglie che non si ha la forza di rimettere in ordine e di ripulire (S. Faber, Confér. Spirit. Simpl.).

ff. 5, 6. – Il demone, sapendo che la maestà di Dio è inaccessibile alla sua collera, smuove il cielo e la terra per suscitare dei nemici tra gli uomini che siano suoi figli. Egli crede così di vendicarsi di Dio; e siccome non ignora che non ci sono risorse per sé, egli non è capace se non di questa gioia maligna che perviene ad un malvagio nell’aver dei complici, e ad uno spirito malefico di vedere dei miseri e degli afflitti (Bossuet, S. sur les Dem.). – Vi è più gioia in cielo per un solo peccatore che fa penitenza, che per novantanove giusti che non ne hanno bisogno. Ugualmente c’è più grande gioia nell’inferno per aver perso qualcuno dalla pietà eminente, che per aver portato dei peccatori a commettere nuovi crimini. È quello che un profeta chiama « carne scelta e deliziosa » (Habac. I, 16). – Il mondo stesso è incantato nel poter essere autorizzato nei suoi disordini con gli esempi e le cadute di persone di pietà, dei Pastori dei popoli (Duguet). – Quale buona opera porta il Re-Profeta a sostegno della sua preghiera? Quali sono i suoi titoli? Che gli altri – egli dice – portino altri motivi; per me io non so che una sola cosa e non voglio dire che una cosa: è in Voi che ripongo ogni mia speranza; non c’è che questa speranza che possa liberarmi da sì grande pericolo (S. Chrys.).

ff. 7. – La gioia dei giusti è ben diversa dalla gioia dei malvagi. La gioia dei malvagi è la rovina di quelli che si lasciano andare alle sue suggestioni ed insieme la causa stessa della loro gioia; l’altra è un principio di salvezza e di vita per colui che essa riempie dei suoi trasporti (S. Chrys.). – Unico e solido soggetto di gioia, è la salvezza che Dio ci procura, la giusta riconoscenza che è dovuta a Dio quando ci ha soccorso: riconoscenza interiore, riconoscenza del cuore, esaltato dal trasporto della gioia; riconoscenza della bocca, espressa dai cantici di lode. (Duguet).