SACRAMENTUM ORDINIS DI S. S. PIO XII

SACRAMENTUM ORDINIS

PIUS EPISCOPUS
SERVUS SERVORUM DEI
AD PERPETUAM REI MEMORIAM

CONSTITUTIO APOSTOLICA

DE SACRIS ORDINIBUS DIACONATUS, PRESBYTERATUS ET EPISCOPATUS

1. Sacramentum Ordinis a Christo Domino institutum, quo traditur spiritualis potestas et confertur gratia ad rite obeunda munia ecclesiastica, unum esse idemque pro universa Ecclesia catholica fides profitetur; nam sicut Dominus Noster Iesus Christus Ecclesiae non dedit nisi unum idemque sub Principe Apostolorum regimen, unam eandemque fidem, unum idemque sacrificium, ita non dedit nisi unum eundemque thesaurum signorum efficacium gratiæ, id est Sacramentorum. Neque his a Christo Domino institutis Sacramentis Ecclesia sæculorum cursu alia Sacramenta substituit vel substituere potuit, cum, ut Concilium Tridentinum docet, (Conc. Trid., Sess. VII, can. 1, De Sacram. in genere) septem Novae Legis Sacramenta sint omnia a Iesu Christo Domino Nostro instituta et Ecclesiae nulla competat potestas in substantiam Sacramentorum », id est in ea quae, testibus divinæ revelationis fontibus, ipse Christus Dominus in signo sacramentali servanda statuit.

2. Quod autem ad Sacramentum Ordinis de quo agimus spectat, factum est ut, non obstante eius unitate et identitate, quam nemo unquam e catholicis in dubium revocare potuit, tamen, aetatis progressu, pro temporum et locorum diversitate, illi conficiendo ritus varii adiicerentur; quod profecto ratio fuit cur theologi inquirere coeperint, quinam ex illis in ipsius Sacramenti Ordinis collatione pertineant ad essentiam, quinam non pertineant : itemque causam praebuit dubiis et anxietatebus in casibus particularibus, ac propterea iterum iterumque ab Apostolica Sede humiliter expostulatur fuit, ut tandem quid in Sacrorum Ordinum collatione ad validitatem requiratur, suprema Ecclesiae auctoritate decerneretur.

3. Constat autem inter omnes Sacramenta Novae Legis, utpote signa sensibilia atque gratiae invisibilis efficientia, debere gratiam et significare quam efficiunt et efficere quam significant. Iamvero effectus, qui Sacra Diaconatus, Presbyteratus et Episcopatus Ordinatione produci ideoque significari debent, potestas scilicet et gratia, in omnibus Ecclesiae universalis diversorum temporum et regionum ritibus sufficienter significati inveniuntur manuum impositione et verbis eam determinantibus. Insuper nemo est qui ignoret Ecclesiam Romanam semper validas habuisse Ordinationes graeco ritu collatas absque instrumentorum traditione, ita ut in ipso Concilio Florentino, in quo Græcorum cum Ecclesia Romana unio peracta est, minime Graecis impositum sit, ut ritum Ordinationis mutarent vel illi instrumentorum traditionem insererent : immo voluit Ecclesia ut in ipsa Urbe Graeci secundum proprium ritum ordinarentur. Quibus colligitur, etiam secundum mentem ipsius Concilii Florentini, traditionem instrumentorum non ex ipsius Domini Nostri Iesu Christi voluntate ad substantiam et ad validitatem huius Sacramenti requiri. Quod si ex Ecclesiae voluntate et praescripto eadem aliquando fuerit necessaria ad valorem quoque, omnes norunt Ecclesiam quod statuit etiam mutare et abrogare valere.

4. Quae cum ita sint, divino lumine invocato, suprema Nostra Apostolica Auctoritate et certa scientia declaramus et, quatenus opus sit, decernimus et disponimus : Sacrorum Ordinum Diaconatus, Presbyteratus et Episcopatus materiam eamque unam esse manuum impositionem; formam vero itemque unam esse verba applicationem huius materiae determinantia, quibus univoce significantur effectus sacramentales, — scilicet potestas Ordinis et gratia Spiritus Sancti, — quaeque ab Ecclesia qua talia accipiuntur et usurpantur. Hinc consequitur ut declaremus, sicut revera ad omnem controversiam auferendam et ad conscientiarum anxietatibus viam praecludendam, Apostolica Nostra Auctoritate declaramus, et, si unquam aliter legitime dispositum fuerit, statuimus instrumentorum traditionem saltem in posterum non esse necessariam ad Sacrorum Diaconatus, Presbyteratus et Episcopatus Ordinum validitatem.

PIUS PP. XII


*A.A.S., vol. XL (1948), n. 1-2, pp. 5-7

Acta Apostolicæ Sedis, vol. XL, n°s 1-2 (28, 1.-27. 2. 48). pp. 5-7

1. La Fede cattolica professa che il Sacramento dell’Ordine istituito da Cristo, per mezzo del quale è conferito il potere e la grazia spirituale di svolgere le funzioni propriamente ecclesiastiche, è uno e lo stesso per la Chiesa universale; poiché, come Nostro Signore Gesù Cristo ha dato alla Chiesa, un solo e medesimo governo sotto il Principe degli Apostoli, una sola e stessa fede, un solo stesso Sacrificio, così anche Lui le diede solo uno e medesimo tesoro di efficacia con i segni di grazia, cioè i Sacramenti. Oltre questi Sacramenti istituiti da Cristo Nostro Signore, la Chiesa nel corso dei secoli non ha mai costituito altri Sacramenti, né avrebbe potuto farlo, poiché, come insegna il Concilio di Trento (Conc. Tr., Sess. VII, can. De Sacram, in genere), i sette Sacramenti della nuova legge furono tutti istituiti da Gesù Cristo nostro Signore, e la Chiesa non ha potere sulla “sostanza dei Sacramenti”, cioè su quelle cose che, come è provato dalle fonti della rivelazione divina, Cristo, il Signore stesso ha stabilito fossero mantenuto come segni sacramentali.

2. Ma, in ciò che concerne il Sacramento dell’ordine, di cui qui si tratta, malgrado la sua unità  e la sua identità, che nessun cattolico ha mai potuto mettere in dubbio, è accaduto nel corso degli anni, secondo la diversità dei tempi e dei luoghi, che si sono aggiunti diversi riti alla sua amministrazione. È questo che spiega certamente che a partire da un certo momento i teologi abbiano cominciato a ricercare tra questi riti dell’ordinazione appartengano all’essenza del Sacramento e quali non vi appartengano affatto. Questo stato di cose ha ancora occasionato, in casi particolari, dei dubbi e delle inquietudini; così, a più riprese si è domandato alla Santa Sede che l’Autorità suprema della Chiesa, voglia be pronunciarsi su ciò che, nei confronti degli Ordini sacri, sia richiesto per la validità,

3. Si riconosce unanimemente che i Sacramenti della nuova Legge, segni sensibili e producenti la grazia invisibile, debbano significare la grazia che producono e produrre la grazia che significano. Ora, gli effetti che le ordinazioni diaconale, sacerdotale ed episcopale debbano produrre e pertanto significare, cioè il potere e la grazia, si trovano in tutti i riti in uso nella Chiesa Universale, nelle diverse epoche e nei differenti paesi, sufficientemente indicati con l’imposizione delle mani e le parole che la determinano. Inoltre, nessuno ignora che la Chiesa Romana ha sempre ritenuto valide le ordinazioni fatte nel rito greco senza la tradizione degli strumenti. Così il Concilio di Firenze, ove è stata conclusa l’unione dei Greci con la Chiesa Romana, non ha loro imposto di cambiare il rito di Ordinazione né inserirvi la tradizione degli strumenti. Ben più, la Chiesa ha voluto che anche a Roma i Greci fossero ordinati secondo il loro rito proprio. Da questo ne risulta che anche nel pensiero del Concilio di Firenze, la tradizione degli strumenti non sia richiesta al pari della volontà del Signore Nostro Gesù-Cristo per la sostanza e per la validità di questo Sacramento. Se nel tempo essa è stata necessaria, anche per la validità, al pari della volontà e del precetto della Chiesa, si sa che ciò che Essa ha stabilito, la Chiesa può anche cambiare ed abrogare.

4. Ecco perché, dopo avere invocato la luce divina, in virtù della nostra suprema Autorità apostolica ed in piena conoscenza della cosa, Noi dichiariamo e, per quanto ce ne sia bisogno, Noi decidiamo e dichiariamo ciò che segue: la materia e la sola materia degli Ordini sacri del Diaconato, del Sacerdozio e dell’Episcopato è l’imposizione delle mani; similmente, la sola forma sono le parola che determinano l’applicazione di questa materia, parole che significano in modo univoco gli effetti sacramentali, cioè il potere di ordine e la grazia dello Spirito Santo, parole che la Chiesa accetta ed impiega come tali. Ne consegue che Noi dobbiamo dichiarare, come Noi dichiariamo effettivamente, in virtù della nostra Autorità apostolica, per sopprimere ogni controversia e prevenire le angosce delle coscienze, e decidiamo, anche nel caso in cui nel passato l’autorità competente avesse preso una diversa decisione, che la tradizione degli strumenti, al meno in avvenire, non sia necessaria per la validità degli Ordini sacri del diaconato, del sacerdozio, dell’episcopato.

5. In ciò che concerne la materia e la forma nei confronti di ugnino di questi ordini, Noi decidiamo e decretiamo, in virtù della nostra Autorità apostolica, ciò che segue. Per l’ordinazione al diaconato, la materia è l’imposizione delle mani del Vescovo, la sola prevista nel rito di questa ordinazione. La forma è costituita dalle parole del Prefatio, di cui le seguenti sono essenziali e pertanto richieste per la validità: « Emitte in eum, quaesumus, Domine, Spiritum Sanctum, quo in opus ministerii tut fideliter exsequendi septiformis gratiae tuae munere roboretur

Nell’Ordinazione sacerdotale, la materia è la prima imposizione delle mani del Vescovo, quella che si fa in silenzio, e non la continuazione di questa stessa imposizione che si fa estendendo la mano destra, né l’ultima imposizione accompagnata da queste parole: « Accipe Spiritum Sanctum: quorum remiseris peccata, etc. » La forma è costituita dalle parole del Prefatio, delle quali le seguenti sono essenziali e pertanto necessarie per la validità; « Da, quaesumus, omnipotens Pater, in hunc famulum tuum Presbyterii dignitatem; innova in visceribus eius spiritum sanctitatis, ut acceptum a Te, Deus, secundi meriti munus obtineat censuramque morum exemplo suæ conversationis insinuet ». Infine per l’ordinazione o consacrazione episcopale, la materia è l’imposizione delle mani fatta dal Vescovo consacratore. La forma è costituita dalle parole del Prefatio, delle quali le seguenti sono essenziali. La scrittura e l’antichità greca e latina non menzionano che l’imposizione delle mani e la preghiera. È soltanto verso la fine del Medio Evo e senza un atto ufficiale della Chiesa che la tradizione degli strumenti si è diffusa in Occidente ed è penetrata poco a poco nell’uso romano. È il decreto per gli Armeni, promulgato nel 1439 alla conclusione del Concilio di Firenze, che fissò come materia dei diversi ordini la tradizione degli strumenti. Ma d’altra parte, Roma continuava a considerare come valide le ordinazioni orientali fatte senza la tradizione degli strumenti. Nelle sua  Istruzione « Presbyterii græci » (31/08/1595), Clemente VIII esigeva che un Vescovo di rito greco fosse presente a Roma per conferire agli studenti della sua nazione, l’ordinazione secondo il rito Greco. Nela Bolla « Etsi pastoralis » (26/05)1742) per gli Italo-Greci, Benedetto XIV dichiara: « Episcopi græci in ordinibus conferendis ritum proprium græcum in Euchologio descriptum servent ». A più riprese, i Sovrani Pontefici si sono pronunciati nel medesimo senso. La complessità di questi fatti spiega la diversità delle opinioni, che si sono fatte luce sull’essenza del sacramento dell’Ordine e che è superfluo qui enumerare. Poco a poco l’opinione che, ispirandosi all’antichità cristiana e alla liturgia, non ammette che un solo rito essenziale, l’imposizione delle mani con l’invocazione dello Spirito Santo, aveva finito per allineare la grande maggioranza dei teologi. È evidente che dopo la presente Costituzione Apostolica, questa è l’unica tesi autorizzata. Resta da sapere quale fosse il valore del decreto per gli Armeni, menzionato più in alto. Secondo alcuni, il decreto sarebbe semplicemente una istruzione pratica di ordine disciplinare e pastorale. Secondo il cardinale Van Rossum, la cui opera « De essentia sacramenti Ordinis » (Fribourg-en-Brisgau 1914),è fondamentale in materia, il decreto sarebbe dottrinale, ma non definitivo, ex cathedra, infallibile. Egli ne vede la prova nel fatto che la Chiesa non sia mai intervenuta contro le opinioni diverse. (V. Dict. De Théol. cath., art. « ordine », soprattutto col. 1315 e segg.). « Diffondete su di lui, vi supplichiamo, Signore, lo Spirito Santo; che lo fortifichi con i sette doni delle vostra grazia perché compia con fedeltà il vostro ministero ». – « Date, ve ne supplichiamo, Padre onnipotente, al vostro servo qui presente la dignità del Sacerdozio; rinnovate nel suo cuore lo spirito di santità, affinché egli eserciti questa unzione del secondo ordine [della gerarchia] che Voi gli affidate e che l’esempio della sua vita corregga i costumi ». Per la validità è pertanto richiesta: « Comple in Sacerdote tuo ministerii tui summam, et ornamentis totius glorificationis instructum cœlestis unguenti rore sanctifica ». Tutti questi riti saranno compiuti conformemente alle prescrizioni della Nostra Costituzione apostolica « Episcopalis consecrationis » del 30 novembre 1946.6. Onde prevenire eventuali dubbi, noi ordiniamo, Noi ordiniamo che nei confronti di ogni Ordine, l’imposizione delle mani si faccia toccando fisicamente la testa dell’ordinando, benché sia sufficiente il contatto morale per conferire validamente il Sacramento. Infine, non è affatto permesso interpretare ciò che stiamo dichiarando e decretando sulla materia e la forma, in modo da credersi autorizzato sia a trascurare, sia ad  omettere le altre cerimonie previste nel Pontificale Romano; inoltre Noi ordiniamo che tutte le prescrizioni del Pontificale Romano siano religiosamente mantenute ed osservate. Le disposizione della presente Costituzione, non hanno effetto retroattivo; qualora si presenti un dubbio, lo si sottometterà alla Sede Apostolica. Ecco pertanto ciò che Noi ordiniamo, dichiariamo e decretiamo, nonostante qualsiasi disposizione contraria, anche degna di speciale menzione. Di conseguenza, Noi vogliamo ed ordiniamo che le disposizioni sopramenzionate siano incorporate, in un modo o nell’altro nel Pontificale Romano.

NESSUNO AVRÁ DUNQUE IL DIRITTO DI ALTERARE LA PRESENTE COSTITUZIONE DA NOI DATA NÉ DI OPPORVISI CON TEMERARIO ARDIMENTO


Dato a San Pietro, il 30 novembre, festa di Sant’Andrea Apostolo nell’anno 1947, nono anno del Nostro pontificato.

PIO XII, PAPA.



Questa costituzione apostolica di S. S. Pio XII, è la pietra di inciampo [sarebbe meglio forse dire: pietra tombale! … fate voi …] per quanti, nelle finte chiese di ogni parte del mondo, si dicono ordinati Sacerdoti, o peggio Vescovi. Questo documento infatti, stabilisce in modo infallibile ed immutabile, come ogni altro documento del Magistero Universale, le formule, cioè la “forma sacramentale”, del Sacramento dell’Ordine. (… per il Santo Padre era naturalmente superfluo ricordare che prima di accedere a queste Consacrazioni, bisognava aver ricevuto obbligatoriamente la tonsura ecclesiastica dall’Ordinario della propria Diocesi di appartenenza, nonché gli ordini clericali minori, come indicato tassativamente dal Sacrosanto Concilio di Trento – Sess. XXIII).

Solo chi sia stato ordinato con queste formule – dopo la tonsura e il conferimento degli ordini minori – da un Vero Vescovo, cioè non scomunicato ipso facto (come ad esempio un Cavaliere Kadosh, grado XXX della Massoneria, in cui si è compiuto un giuramento solenne di obbedienza a Lucifero con tanto di brindisi e pugnale di sfida a Dio; né da pseudo-vescovi senza Mandato Papale e senza Giurisdizione), può considerarsi validamente consacrato ed usare della giurisdizione o della missione canonica per le funzioni proprie dei relativi Ordini. Ogni altra formula non ha alcuna validità, né si può pretendere di utilizzare, solo per fare un esempio, formule blasfeme e sacrileghe inventate da antipapi usurpanti, con documenti che possono essere usati al massimo come carta igienica (salvo diverso parere medico!). Le formule dell’antipapa marrano Montini del 18 giugno del 1968, studiate dal massone Bugnini – BUAN 1365/75 su imbeccate del “fratello” benedettino dom Botte e dei 6 (si noti il numero! … chi ha intelletto comprenda!) compagni di merenda di retrologgia, sono utili per formare pseudo-vescovi “perfetti manichei”, quindi come tali appartenenti ad organismi di confessione gnostica, come l’attuale “Novus ordo”, che usurpanti cariche e prebende, pretendono di essere addirittura cattolici, ingannando pseudo ignari fedeli, ed altrettanti pretesi e falsi sacerdoti (che hanno quanto meno una falsa coscienza, secondo i dettami della teologia morale … che essi giustamente non hanno mai studiato …), che spacciano sacramenti ed officiano riti satanici offerti, in buona o in cattiva fede, al signore dell’universo, il baphomet-lucifero adorato nelle logge ad eterna condanna loro e di quanti li seguono. Possiamo solo pregare per essi, perché il Signore apra loro gli occhi, anche se San Paolo impietosamente ci ricorda che … a coloro che non hanno amato la verità, Iddio manderà una « operationem erroris ut credant mendacio » (2 Tess. II, 11). SI SALVI CHI VUOLE!

SALMI BIBLICI: “IN DOMINO CONFIDO” (X)

Salmo 10: In Domino Confido

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS.

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

TOME PREMIER.

PARIS

LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR

13, RUE DELAMMIE, 1878

IMPRIM.: Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

SALMO X

  In finem. Psalmus David.

[1] In Domino confido;

quomodo dicitis animæ meae: Transmigra in montem sicut passer?

[2] Quoniam ecce peccatores intenderunt arcum; paraverunt sagittas suas in pharetra, ut sagittent in obscuro rectos corde;

[3] quoniam quae perfecisti destruxerunt; justus autem quid fecit?

[4] Dominus in templo sancto suo; Dominus in caelo sedes ejus.

[5]Oculi ejus in pauperem respiciunt, palpebræ ejus interrogant filios hominum.

[6] Dominus interrogat justum et impium; qui autem diligit iniquitatem, odit animam suam.

[7] Pluet super peccatores laqueos; ignis et sulphur, et spiritus procellarum, pars calicis eorum.

[8] Quoniam justus Dominus, et justitias dilexit: aequitatem vidit vultus ejus.

SALMO X

[Vecchio Testamento secondo la Volgata

Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

Esortazione alla confidenza nel tempo delle calunnie ed altre tribolazioni.

Per la fine, salmo di David.

1. Nel Signore pongo la mia speranza; perché dite voi all’anima mia: Trafugati al monte come una passera? (1)

2. Imperocché ecco che i peccatori han leso l’arco, tengono preparate le loro saette nel

turcasso per saettare all’oscuro quelli che sono di cuore retto.

3. Perché quello che tu facesti di buono, lo hanno ridotto a niente; or il giusto che ha egli fatto?

4. Il Signore nel tempio suo santo, il Signore nel cielo ha sua sede;

5. gli occhi di lui al povero son rivolti: le pupille di lui disaminano i figliuoli degli uomini.

6. Il Signore disamina il giusto e l’empio; echi ama l’iniquità, odia l’anima propria.

7. E i pioverà lacci sopra de’ peccatori; il fuoco eil zolfo e il vento procelloso è la porzione del loro calice. (2)

8. Imperocché il Signore è giusto, ed ha amato la giustizia; la faccia di lui è rivolta alla equità.

(1) I paesi montagnosi nel sud della Giudea, ove Saul inseguiva Davide. Fuggite sulla montagna, come gli uccelli quando sono inseguiti nella pianura fuggono con volo rapido verso le montagne coperte dagli alberi.

(2). Il vento di tempesta è il simoun degli arabi, vento del deserto. Quando esso soffia, in luglio, ci si getta a terra e si evita di essere soffocati, perché soffia con violenza tranne che a due passi da terra.

Sommario analitico

Questo salmo che Davide ha composto probabilmente quando il profeta Gad gli venne a dire « Non dimorate in questo forte, partite ed andate nella terra di Giuda » (I Re XXII, 6), e che, nel senso tropologico si applica all’uomo giusto, rigettante tutte le suggestioni con le quali il demonio cerca di allontanarlo da Dio, può dividersi in due parti: nella prima, Davide fa vedere tutti gli sforzi dei suoi nemici per prenderlo, cosa che determina i suoi amici nel consigliargli di fuggire. Nella seconda, egli dichiara che è senza paura, sicuro com’è della giustizia e della potenza di Dio.

I° PARTE.

I. –  Egli riporta i timidi consigli che gli danno i suoi amici (1);

2) i disegni crudeli dei suoi nemici contro di lui (2); .

3) le loro audaci imprese contro Dio stesso (3).

II PARTE.

II. – Egli espone i quattro motivi della sua fiducia in Dio:

1) coloro che lo attaccano sono peccatori, – essi hanno distrutto ciò che Dio aveva stabilito; – Davide, dal canto suo non aveva mai dato loro, in nessun luogo, alcuna occasione di perseguitarlo;

2) Dio è il Re ed il Signore di tutte le cose, ed Egli può, in un sol colpo, capovolgere e distruggere tutti i loro sforzi (4);

3) Dio è un guardiano vigilante che ha sempre gli occhi sulle sue pecore; Egli esamina con cura tutte le azioni degli uomini (5);

4) Dio è un giudice severo che punisce gli empi secondo la grandezza dei loro crimini e le regole della sua giustizia (6-8).

Spiegazioni e Considerazioni

I. — 1 – 3.

ff. 1, 2. – Le anime lasse e timide trovano mille difficoltà quando si tratta di intraprendere qualcosa per le gloria di Dio ed abbandonano tutto alla minima resistenza. – Sono questi consigli di bassa lega ed interessati di falsi amici che cercano di intimidire un Pastore zelante per la gloria di Dio, per la disciplina della Chiesa e la salvezza delle anime. Bisogna cedere per un tempo alla persecuzione; l’arco già è stato teso, le accuse sono tutte pronte, voi non potrete difendervi, perché si tirerà contro di voi nell’oscurità. Si cerca di distruggere tutto ciò che avete fatto di meglio, e chiederete inutile quel che avete fatto, ma non sarete nemmeno ascoltati. Perché dunque non prendere una condotta più accomodante, e non cedere qualcosa alla consuetudine ed al tempo in cui si vive? Ci sarà una sola e solida risposta a tutto questo: « Io ripongo la mia fiducia nel Signore » (Duguet). – « Perché parlate così alla mia anima? Cosa mi consigliate? Io ho come aiuto il Maestro dell’universo, ho per capo ed appoggio Colui che fa tutto senza fatica e con la più grande facilità, e voi mi spingete a fuggire nei luoghi disabitati, di cercare la mia salvezza del deserto? Può il deserto offrirmi un soccorso più sicuro di Colui che fa tutto senza il minimo sforzo? (S. Chrys.). – A questa prima ragione, io ne aggiungo un’altra che mi impedisce di prendere la fuga. Quando abbiamo Dio come difensore ed i peccatori come nemici, , si può forse consigliare, senza renderci colpevoli di follia, di imitare il timore di timidi uccelli? (Idem).

ff. 3. – Essi hanno distrutto tutto ciò che avete fatto con tanta perfezione, altra causa che completa la distruzione delle loro forze; essi si rivolgono alle opere di Dio, fanno a Dio ed alla sua Chiesa una guerra accanita, distruggono la sua legge e mettono sotto i piedi i suoi precetti. Qual più grande prova di debolezza osar dichiarare la guerra a Dio? (S. Chrys.). – Ordinariamente la vita dei peccatori fa più rumore di quella dei giusti, perché l’interesse e le passioni scuotono tutto nel mondo. I peccatori hanno teso il loro arco, lo hanno rilasciato contro i giusti, li hanno distrutti, li hanno rovesciati, non si parla che di essi nel mondo. Ma il giusto cosa fa? Sembra che non agisca, ed in effetti non agisce secondo l’opinione dei mondani che non conoscono l’azione senza agitazione, né affari senza imprese. Non avendo il giusto azione, almeno secondo il sentimento degli uomini di mondo, non bisogna meravigliarsi che i grandi successi non siano per lui (Bossuet, s. III Dim., ap. Paq.).

II — 4 – 8.

ff. 4. – Come si è preparato il giusto a rigettare gli sforzi dei suoi nemici? Cosa ha fatto? Egli ha cercato il suo rifugio in Dio che è nei cieli, e che tutto riempie con la sua immensità. Egli non ha impiegato le armi per difendersi; le sole sue armi sono state il confidare in Dio, egli non ha opposto ai suoi nemici se non Colui che non ha bisogno di alcun mezzo di difesa, né di luogo, né di tempi favorevoli, né di armi, né denaro, ma che fa tutto con un cenno della sua volontà (S. Chrys.). – Quale fondamento più sicuro della fiducia di un cuore retto? Dio è in cielo e l’uomo sulla terra.

ff. 5. –  Ecco ciò che consola l’uomo giusto; egli sa di non poter dubitare che il Signore, dall’alto del cielo, vede tutto, esamina tutto, giudica tutto ciò che accade sulla terra; discerne e giudica i buoni ed i cattivi; dalla estremità in cui si trova, Dio vede tutto e non dimentica. – Le pupille di Dio da sole sono sufficienti, perché Egli vede tutto, Egli conosce tutto; Egli non ha bisogno della prugnola degli occhi (Teodoreto). – « L’uomo che esce dal suo letto disprezzando la sua anima, dicendo: « … chi mi vede? Le tenebre mi circondano e le muraglie mi coprono e nessuno se ne accorge: perché aver paura? L’Altissimo non si ricorderà dei miei peccati! » quest’uomo non ha compreso che l’occhio del Signore vede ogni cosa … non ha capito che gli occhi del Signore, più luminosi del sole, penetrano tutte le vie dei mortali e la profondità degli abissi, l’intimo dei cuori ed i luoghi più reconditi. » (Eccles. XXIII, 25-28).

ff. 6. – Terribile è l’interrogatorio che lo sguardo di Dio, presente dappertutto, fa subire ai peccatori. – L’iniquità è per l’anima che la commette, un nemico acerrimo, il più pericoloso, e che la minaccia di una certa rovina. Il peccatore ne è la vittima anche prima di essere consegnato al supplizio (S. Chrys.). – Ogni peccatore è nemico della sua anima, corruttore nella sua coscienza, del suo bene più grande che è l’innocenza. Nessuno pecca senza oltraggiare se stesso; nessuno mina l’integrità altrui senza perdere la propria; nessuno si vendica dei suoi nemici e non porti il primo colpo, il più mortale, al proprio seno; e l’odio, questo veleno mortale della vita umana, comincia la sua funesta operazione nel cuore ove esso è concepito, perché vi spegne la carità e la grazia (Bossuet, Circons. De N.-S.).

ff. 7. – Durante questa vita, questo spirito di tempesta sono il tumulto e le agitazioni di una coscienza agitata e che cerca di ingannare se stessa. – La pioggia delle insidie, è incomparabilmente più terribile della pioggia di fuoco e zolfo. Il mondo è inondato da questa pioggia. Un cattivo pastore, un confessore ignorante, debole o compassio-nevole, un predicatore che attenua, che altera, che rende bonarie le severe massime del Vangelo, sono altrettante insidie nelle quali le anime possono cadere (Duguet). Quanto più spaventosi sono questi castighi, comparati alla catastrofe delle cinque città abominevoli, castighi che saranno applicati irrevocabilmente ai peccatori dopo questa vita! Questa sarà la parte del loro calice: vale a dire che questi flagelli saranno la loro parte, il loro possesso; essi non potranno sottrarvisi e ne saranno le tristi vittime.

ff. 8. – La ragione di queste vendette così temibili è che il Signore è giusto, e che Egli essenzialmente ama la giustizia. Egli l’ama in Dio, cioè infinitamente, Egli la vendica in Dio, e cioè mediante pene eterne (Berthier). – Il Signore è giusto ed ama “le giustizie”. Non è senza ragione che questa parola è messa al plurale; non è perché parla degli uomini che il Profeta impiega la parola “giustizie” invece che “giusti”? Sembra in effetti che vi siano tante giustizie per tanti giusti, mentre la giustizia di Dio, alla quale tutti gli altri partecipano, è unica (S. Agost.). – Ad esempio di Dio non si perda mai di vista la giustizia in tutto ciò che si fa: essa è la luce e la regola che si deve seguire.