Omelia della Domenica XXI dopo Pentecoste

Omelia della Domenica XXI dopo Pentecoste

[Del canonico G. B. Musso – Seconda ed. napoletana, Vol. III -1851- imprim.]

(Vangelo sec. S. Matteo XVIII, 23-35)

servo-spietato

Amore ai nemici.

Servo malvagio (così un Re sdegnato contro un suo iniquo vassallo, secondo la parabola dell’odierno sacrosanto Vangelo) “servo malvagio, io mosso a pietà del tuo pianto ti ho rimesso il debito, che avevi con me, di dieci mila talenti. E tu ancor bagnato dalle tue lacrime, ancor commosso dall’amore con cui ti perdonai, appena metti il pie’ fuor della mia soglia, che incontrato un tuo conservo a te debitore di cento danari, lo tieni per la gola, minacci di soffocarlo se non ti rende quanto deve. Quegli si getta ai tuoi piedi, e usando di quelle stesse parole, colle quali tu hai destata la mia commiserazione, ti prega, ti scongiura a dargli un respiro di tempo, onde poter soddisfarti; e tu inflessibile e duro al, par d’un macigno, lo strascini al tribunale, lo fai chiudere in oscura prigione. Servo indegno, perché da me non apprendesti la compassione per un tuo simile? Olà, miei ministri; sia legato costui, sia dato in mano de’manigoldi, sia posto alla tortura, finché abbia interamente soddisfatto tutto il suo debito”. Cosi, conchiude la parabola il divin Salvatore, così farà con voi, miei discepoli, il Padre mio, se non perdonerete di cuore ai vostri offensori. Già in altro luogo del suo Evangelio, Gesù Cristo nei termini più precisi ha promulgato l’espresso suo comandamento d’amare i nostri nemici, “ego autem dico vobìs: diligite inimicos vestros” (Matt. V, 44). Convien dire che molto preme al nostro divin Legislatore l’osservanza di questo suo comando. Così è: e pure quanto vien trasgredito! Per opporre qualche argine a un tanto disordine, io passo a dimostrarvi l’eccellenza di questo precetto, la gravezza della sua trasgressione, la stoltezza de’suoi trasgressori. Piacciavi d’ascoltarci:

I. Il precetto d’amar i nostri nemici mostra la propria eccellenza, o si riguardi il Legislatore che comanda, o il suddito che ubbidisce. Il Legislatore è l’Uomo-Dio, che a farci conoscere il pregio di questo suo comandamento ci mette in vista l’esempio del suo Padre celeste, che fa sorgere il sole da Lui creato, acciò della sua luce e del suo calore godan del pari i buoni ed i malvagi, e comanda alle nubi di spargere la pioggia fecondatrice tanto sul terreno del giusto, quanto su quel dell’ingiusto: “Qui solem suum oriri facit super bonos et malos; et pluit super iustos et iniustus” (Ibid. 45). Amate, dice Egli; i vostri nemici. Segni del vostro amore saranno se al loro odio contrapporrete i vostri benefizi e alle calunnie le vostre preghiere. Questa è la via per essere costituiti figliuoli di Dio, e per arrivare colla debita proporzione ad esser perfetti, come è perfetto il Padre vostro che sta in cielo: “ut sitis filii Pater vestri … perfecti, sicut et Pater vester coelestis perfectus est” (Ibid. 48). L’altezza del grado a cui mira un tal precetto è chiara prova dell’eccellente sua prerogativa. – Cresce questa a dismisura quando il Legislatore col proprio esempio, dato nelle più difficili circostanze, muove i suoi sudditi all’adempimento della sua legge. Uno sguardo a Gesù sulla Croce sazio d’obbrobri, che provocato da’ suoi nemici con amare ironie e con pungenti sarcasmi, prega l’eterno suo Padre a graziarli di perdono, e per più facilmente ottenerlo espone la scusa della loro ignoranza: “Pater dimitte illis; non enim sciunt quod fàciunt” (Luc. XXIII, 34). Tratto così generoso manifesta del pari la grandezza del cuor d’un Uomo-Dio, l’eccellenza del suo precetto, la gloria de’ suoi imitatori. – Dio ha creato l’uomo a sua immagine e similitudine; risplende questa nelle facoltà del suo spirito. Gran dignità all’uomo concessa; ma la bellezza e nobiltà di quest’immagine non si perfeziona, se non quando l’uomo stesso regola le sue azioni giusta il volere e l’esempio del suo prototipo che è Dio. Chi dunque perdona al suo nemico, si rende a Dio somigliante, si solleva ad un grado superiore alla natura, e merito e gloria glie ne ridonda appresso Dio e appresso gli uomini. A chiarirvene seguitemi col pensiero. – Vedete voi quei pastori innanzi al viceré dell’Egitto? Sono i suoi fratelli, egli è Giuseppe da essi non conosciuto. Son eglino quei che l’hanno avuto in tant’odio, fin a volersi lavar le mani nel suo sangue innocente, quei, che spogliatolo e messo in fondo di secca cisterna l’han poi venduto in ischiavo a mercanti Ismaeliti. Sono ora in sua mano: non gli manca né potere, né ragione per vendicasi. Ma no, “io son Giuseppe vostro fratello, dice loro, venite al mio seno”, e cosi dicendo strettamente gli abbraccia, li bagna di dolci lacrime, li colma di benefizi. Qual senso, uditori, desta in voi quest’avvenimento? Quale in voi è maggiore l’ammirazione o la tenerezza? Fingete ora che Giuseppe si fosse vendicato de’ suoi snaturati fratelli, un alto senso d’indignazione e di disprezzo avrebbe svegliato in voi la bassa sua azione. Quanto, avreste detto, ha mai avvilito la sua dignità, quanto disonorato il suo nome! Col grado di viceré non ha cangiato il rozzo costume di vigliacco pastore. Così è, render male per male è proprio dei bruti, è segno d’anima vile. Per l’opposto, perdonar le offese, beneficare gli offensori è singolare virtù d’uomo grande, di cuor generoso vincitor di sé stesso, virtù col solo lume di natura conosciuta e praticata da tanti, anche nelle tenebre del Paganesimo, virtù, che nella legge di grazia innalza il cristiano al grado di somiglianza con Dio. Grande adunque e magnifica è l’eccellenza di queste precetto; ma ancor più grande e ontosa è la gravezza della sua trasgressione.

II. Ditemi in grazia o voi, ai quali sembra tanto dura, e difficile l’osservanza di questo divino comando. V’impone forse Iddio d’amare nel vostro nemico i suoi misfatti, i modi indegni coi quali oltraggiò la vostra persona? No certamente, vi comanda d’amarlo come sua immagine e come vostro fratello in Gesù Cristo. Ora siccome sarebbe enormissimo sacrilegio calpestare l’immagine del S. Crocifisso sul pretesto che fosse mal impressa in carta, o male scolpita in legno; così sarà sempre un gran delitto l’odiare, l’offendere il nostro fratello, tuttocché malvagio, offensore e nemico; poiché in ogni modo porta sempre l’impronta di quel Dio, che lo creò a sua immagine e somiglianza. – Se poi l’odio contro quel vostro nemico vi trasportasse ad ucciderlo, sfogato il crudele piacer della vendetta, placato il sangue, avreste in orrore voi stesso. Il reato d’un omicidio, il nome d’omicida vi coprirebbe di confusione e di infamia, e la memoria del vostro delitto sarebbe il vostro carnefice. Or sappiate, che se nutrite in cuore un odio grave verso il vostro fratello, siete reo d’omicidio, siete un omicida. In termini espressi vel dice l’Evangelista s. Giovanni Omnis qui odit fratrem suum homicida est.- Homicida est” (Gio. III, 15), perché nel cuor di chi odia muore il fratello odiato. E come? Vi muore la buona opinione dello stesso, vi muore la carità comandata, vi muore la stessa natura portata ad amar i suoi simili. Volete conoscere se nel vostro cuore è morto qualche vostro fratello? Osservate se si eccitano in voi quei movimenti, che naturalmente sogliono in voi destarsi alla vista di qualche cadavere più o meno schifoso. L’occhio primieramente prova ribrezzo a vederlo, ne resta offeso, si volta altrove. Avviene a voi altrettanto all’imbattervi con quel tal prossimo? Di quel cadavere non potete soffrire la fetida esalazione. E la presenza e il parlare e il trattare con quella persona vi si rende del pari intollerabile? Non vedete l’ora che quel cadavere vi si tolga davanti e si metta sotterra. Avreste mai la stessa voglia riguardo al vostro nemico? Se è così, son tutti segni che nel cuor vostro è morto il vostro fratello, che odiandolo gli avete dato morte, che siete reo di formale omicidio, che siete omicida: Omnis qui odit fratrem suum homicida est.” – Andate ora con questo nome in fronte a produrre scuse per sottrarvi dal perdonare le ricevute ingiurie, ed a chiamar troppo dura la legge d’amare i nemici. Se bramate ch’io vi dica perché tale vi sembra, io vel dirò con quella sincerità ch’esige il mio ministero, e da quel che son dirvi vedrete quanto s’aumenta la gravezza della vostra trasgressione. Vi par duro, vi pare anche impossibile il precetto d’amare i vostri nemici perché fatto e promulgato da Gesù Cristo. Oh che orrenda cosa ci fate sentire! Vi sorprende, miei cari, e pur è così, uditemi con pazienza. Se un personaggio autorevole, un uomo di merito, come più volte è avvenuto, con confidenza ed impegno, orsù, vi dicesse: io voglio estinto il vostro odio, quest’inimicizia disonora voi, disgusta me, non voglio che più sussista: vi chiedo la pace e pace sincera e pace stabile: non mi negate tal grazia, che l’attribuirò fatta a me stesso e ve ne professo fin d’ora obbligazione e riconoscenza perpetua; a questo dolce parlare non sapreste resistere, vincerebbe ogni ritrosia l’acquisto d’un amico potente. Meno: quella donna da voi coltivata s’interpone tra voi e il vostro avversario, e “per amor mio, vi dice, deponete ogni rancore, non mi tornate dinanzi se non fate amistà”. E voi alle parole uscite da quella bocca chinate la testa, vi chiamate fortunato in ubbidirle. Meno ancora: l’interesse vi suggerisce che tronchiate quei dispendiosi puntigli, che rendiate il saluto, che mostriate buon viso a chi può farvi un prestito, a chi può procurarvi una carica, a chi può nominarvi o escludervi nel suo testamento, e voi date ascolto alle voci dell’interesse e vi attenete ai suoi consigli. Ora, io ripiglio, parla una persona di qualità e vi arrendete; parla una femminetta e vi piegate, parla l’interesse ed ubbidite, parla Gesù Cristo e non s’ascolta e non si vuol ubbidire. Il fatto dunque dimostra esser in pratica pur troppo vero quel che vi faceva sorpresa come una cosa orrenda.

III. Ma via non vi muove la gravezza e l’enormità della colpa, date almeno luogo alla ragione. In tante altre vostre azioni vi piccate di senno e di prudenza, ma se voi state fissi a non perdonare, non ischivate la taccia d’una grande stoltezza. So quanto l’indole vostra sia aliena dal fare una sanguinosa vendetta. Supponete però, che alcun, fra voi da forte tentazione vi fosse incitato: “fratel mio, gli direste, tirate i vostri conti. Mettete in una parte di bilancia il barbaro piacer della vendetta: ponete dall’altra la perdita della vostra libertà, la fuga dalla patria e dallo stato, l’infamia del vostro nome, il disgusto dei congiunti, la rovina della famiglia, lo spavento di cader nelle mani della giustizia, il patibolo in fine, a cui potesse esser condotto”. Che cosa prepondererà nel vostro giudizio? L’amor di vendicarvi? Perdonatemi, quando è così, se vi chiamo un insensato, un matto da catena, non uomo ragionevole, ma una fiera del bosco. Così direste umanamente parlando. – E che dovrò io soggiungere parlando dell’ anima e dell’eterna salute? O Dio! Voi non volete sparger sangue, lo so, ma il vostro cuore è tutto sparso di malavoglia e pieno di rancore. Intanto voi recitate l’orazione domenicale, il Pater noster, e non avete tanto lume a conoscere, che collo odio in cuore pronunziando quelle parole, dimitte nobis debita nostra, sicut et nos dimittimus debitoribus nostris”, pronunziate la vostra sentenza. – Badate a quel che dite, v’avvisa S. Giovanni Crisostomo, acciò come un pazzo furibondo non volgiate contro voi stessi la vostra spada a trafiggervi: “Vide quid dicis, ne contra te ensem, tanquam insanus et furiosus stringas(Hom. 38 in Ioan.). Voi in sostanza dite così: Signore, perdonate a me, come perdono agli altri, io non perdono e non mi perdonate, non voglio più mirare in faccia quel prossimo, non voglio più trattarlo, non più parlargli, e voi fate altrettanto con me, misuratemi colla stessa misura, pagatemi della stessa moneta, battetemi collo stesso bastone. Così pregando, voi impugnate la penna e scrivete la vostra condanna. E qual sarà se non è questa la più solenne pazzia? – Cristiani amatissimi, siam tutti peccatori, abbiamo tutti chi più, chi meno dei debiti con Dio. Se non perdoniamo di cuore non v’è per noi perdono. Un Dio lo comanda, un Dio ne dà l’esempio, un Dio promette premio, un Dio minaccia castigo; e noi saremo inflessibili? Non voglio crederlo d’alcuno di questa mia cara udienza.

Autore: Associazione Cristo-Re Rex regum

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