TRATTATO DELLO SPIRITO SANTO (6)

TRATTATO DELLO SPIRITO SANTO (6)

TITOLO ORIGINALE: TRAITÉ DU SAINT – ESPRIT Edit. Bloud-Gay.- Paris 1950

V. Per la Curia Generalizia – Roma, 11 – 2 – 1952

Sac. G. ALBERIONE Nulla osta alla stampa Alba, 20 – 2 – 1952 Sac. S. Trosso, Sup.

lmprimatur Alba, 28 – 2 – 1952 Mons. Gianolio, Vic. GEN.

CAPO QUINTO

IL VERBO DI DIO FATTO UOMO, COME CI HA RIVELATO IL PADRE COSÌ CI HA RIVELATO LO SPIRITO SANTO

 La credenza fondamentale dell’Antico Testamento è il monoteismo, cioè la credenza in un solo Dio, Creatore del cielo e della tetra, Sovrano Signore del mondo, onnipotente, giusto, il quale castiga talvolta, in modo terribile, i peccatori impenitenti. Buono per coloro che si convertono, di una bontà del tutto paterna che gli vale di essere chiamato Padre dal popolo di Israele. È in questo senso che nei Libri dell’Antico Testamento Dio è chiamato Padre. Per mezzo del Suo Spirito, Dio anima il mondo lo vivifica, lo illumina, lo fortifica. Ma lo Spirito di Dio non è presentato che come un attributo di Dio. Mai ai dottori della Legge è venuto il pensiero che lo Spirito Santo potesse essere una Persona distinta da Dio Padre. Ed anche una simile affermazione sarebbe stata da loro considerata come un errore, una bestemmia. Poiché per essi sarebbe stato intaccare il monoteismo, cioè la credenza fondamentale dell’Antico Testamento. Come pure, in Dio, si riconosce la Sapienza che verrà chiamata Verbo, per mezzo della quale, del quale, Egli crea il mondo, ne distribuisce ed equilibra le forze, dà agli uomini il pensiero, il consiglio, il giudizio pratico. Ma, come lo Spirito, la Sapienza non è considerata che come un attributo di Dio. Tuttavia, per noi, che vediamo queste dottrine alla luce delle rivelazioni posteriori e sappiamo che tali rivelazioni sono identiche alla rivelazione primitiva, poiché procedono da Dio stesso che illumina progressivamente lo spirito degli uomini, non esitiamo a dire che lo Spirito di Dio, quale ci è presentato nell’Antico Testamento, è più che un attributo di Dio e si presenta già in certa misura con un carattere personale, come pure non esitiamo a dire che la Sapienza è più che un attributo divino, è la Sapienza personale, ma velata da un velo che si squarcerà dall’alto al basso. – Ai tempi del Salvatore, questa dottrina monoteista, ben lungi dall’essere attenuata, è stata piuttosto esaltata, idealizzata. Nello spirito di quell’epoca si è prodotto qualcosa di simile a ciò che si produsse nel pensiero spiritualista della seconda metà del secolo XVI, una specie di deismo trascendente, che non sopporta il minimo ravvicinamento fra Dio e gli uomini, il minimo contatto con Dio. Si pensa che Dio viva troppo lungi dal tempo e dallo spazio. Si paventa il Suo sguardo. Si prega senza dubbio ma con un certo tremore. Si grida Lui il versetto del Salmo VI: « Domine, ne in furore tuo arguas me; neque in ira tua corripias me! O Signore non mi riprendere nel tuo sdegno, non mi punir nell’ira tua!» Oppure questo versetto del Salmo LXXIX: « Deus virtutum, convertere; respice de cælo e vide et visita vineam istam! Mettiti, o Signore, alla nostra portata, se vuoi che ci si converta! » Convertere et convertar. Volgiti verso di noi e verremo a Te! Temiamo Dio, paventiamo il Suo sguardo, tuttavia, per l’azione dello Spirito Santo che lavora nelle anime, lo chiamiamo.

1.

È in questo momento del tempo che il Verbo di Dio si è fatto uomo ed ha abitato in mezzo a noi. Questo fatto reca in se stesso la rivelazione della Santissima Trinità; contiene in sé l’insegnamento positivo del dogma della Santissima Trinità. Là, la luce splende. Ma il mondo non l’ha ricevuto. Sui eum non receperunt, leggiamo nel prologo del Vangelo secondo san Giovanni (Giov. I, 11). Il mondo di quel tempo era incapace di riceverlo. Di fronte a tale mentalità, qual è stato l’atteggiamento del Salvatore? Egli che conosceva a fondo questa mentalità, l’ha rispettata, possiamo dire, infinitamente. Dio fatto uomo, evita di proclamarsi tale. Questa luce abbagliante non avrebbe fatto che accecare gli spiriti. Li avrebbe anche disgustati. All’inizio, suole chiamare se stesso Figlio dell’uomo e Figlio di Dio. Tali espressioni non avevano nulla di sorprendente, nulla che potesse urtare. Erano state dette dai profeti dell’Antico Testamento. – Nella mente degli Giudei indicavano un uomo di Dio, un uomo che aveva con Dio rapporti speciali. Ma il Salvatore moltiplica i miracoli in modo da provare che è accreditato da Dio, e mandato da Lui. Moltiplica i miracoli a tal punto e talmente, che nessun profeta ne aveva compiuti tanti e così grandi. Comanda agli elementi, al vento, alla tempesta (Lc. VIII, 22-25). Risuscita i morti. Risuscita il Suo amico Lazzaro, il cui corpo cominciava a decomporsi (Giov. XI, 7-44). Fa molto più di questo. Un giorno gli viene Presentato un paralitico (Luc. V, 18-25). I tuoi peccati ti sono rimessi, gli dice. Questa volta i Farisei, Dottori della Legge, presenti, ne fanno le meraviglie. E che! dicono, rimette i peccati. Dio solo può rimetterli Ecco che si fa eguale a Dio, si dice Dio. Lungi dal cercare di attenuare tale opinione, Gesù dice al paralitico: « Levati su e cammina » (Lc. V, 24). Egli ha affermato equivalentemente, senza dirlo in modo esplicito, che è Dio fatto uomo e lo ha provato. Gesù, infatti, si era affermato Dio fatto uomo e lo aveva provato. I Farisei, Dottori della Legge, lo hanno ben compreso. Ma Lo accusano di bestemmia. Se Egli è Dio, in Dio vi è pluralità. Vi è Dio, e vi è anche Gesù, Figlio di Dio. Questo è contro il monoteismo rivelato ai nostri padri e insegnato da loro. Leggendo i discorsi di Gesù quali ci sono riferiti nei Vangeli, si vede che il Salvatore ha detto molto di più. « Nessuno conosce il Figlio se non il Padre, dice Gesù ai Suoi Apostoli, in san Matteo, e nessuno conosce il Padre tranne il Figlio e colui al quale il Figlio avrà voluto rivelarlo » (Matt. XI, 27). Questa volta è l’affermazione che i rapporti fra Gesù, Figlio di Dio, e Dio Padre, sono di un ordine a parte. Sono rapporti trascendenti. Ma è soprattutto in san Giovanni che il Salvatore ci ha rivelato il Padre. Un giorno, Gesù passeggiava nel tempio, sotto il portico di Salomone. I Giudei lo circondarono e gli dissero: « Fino a quando ci terrai sospesi? Se Tu sei il Cristo, diccelo apertamente. Or loro disse Gesù: Ve l’ho detto e non credete. Le opere che faccio nel nome del Padre mio, rendono testimonianza di me. Ma voi non credete perché non siete delle mie pecore ». Allora Egli fa questa dichiarazione: « Io ed il Padre Mio, siamo. una sola cosa. E soggiunge: Sappiate che il Padre è in me ed Io nel Padre » (Giov. X, 22-29). Così il Padre ed il Figlio non sono che una cosa sola: vivono l’uno nell’altro. È l’eguaglianza in tutto, è l’unità di sostanza. Il Padre, genera il Figlio da tutta l’eternità. Tale generazione continua nell’eternità. Affermandolo, il Salvatore ci ha rivelato il Padre. – Dopo l’istituzione dell’Eucarestia, al termine del discorso che Egli pronunzia, Gesù rivolge a Dio, Suo Padre, la preghiera sacerdotale, quella preghiera sublime, che è nel medesimo tempo la più bella testimonianza da Lui data, e la più alta rivelazione che Egli ha fatto di Dio Padre, e che per tale ragione bisogna citare per intero: « Padre, Egli dice, è giunta l’ora, glorifica il tuo Figlio, onde anche il tuo Figlio glorifichi te; e come gli hai dato potere su ogni mortale, dagli pure che Egli doni la vita eterna a coloro che gli hai affidati. E la vita eterna è questa: che conoscano te, solo vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo. Io ti ho glorificato sulla terra, compiendo l’opera che mi hai data a fare, ed ora, Padre glorifica me nel tuo cospetto con quella gloria che ebbi presso di te prima che il mondo fosse. » Ho manifestato il tuo nome agli uomini che mi hai affidati nel mondo: erano tuoi e li hai affidati a me, ed essi hanno osservata la tua parola. Ora hanno conosciuto che tutto quello che mi hai dato viene da te, perché le parole che desti a me le ho date a loro; ed essi le hanno accolte, e veramente hanno riconosciuto che Io sono venuto da Dio, ed han creduto che Tu mi hai mandato. » Prego per loro, non prego pel mondo, ma per quelli che mi hai affidati, perché son tuoi. Ed ogni cosa mia è tua, ed ogni cosa tua è mia. In essi Io sono stato glorificato. Io già non sono più nel mondo; ma essi restano nel mondo, mentre io vengo a te. Padre santo, custodisci nel nome tuo quelli che mi hai affidati, acciocché siano una cosa sola come noi. Finché io ero con essi, li conservavo nel tuo nome. Quelli che mi hai affidati, li ho custoditi; nessuno di loro è perito, tranne il figlio di perdizione, affinché sia adempiuta la Scrittura. Ora però vengo a te, e questo dico nel mondo, affinché abbiano il mio gaudio perfetto in se stessi. Io ho comunicato loro la tua parola, e il mondo li ha odiati perché non sono del mondo, come neanch’Io sono del mondo. Non chiedo che tu li levi dal mondo, ma che tu li guardi dal male. Essi non sono del mondo, come neppure Io sono del mondo. Santificali nella verità. La tua parola è verità. Come tu hai mandato me nel mondo, così Io mando nel mondo essi. E, per loro amore Io santifico me stesso, affinché essi pure siano santificati nella Verità. » Né soltanto per questi prego; ma prego anche pet quelli che crederanno in me, per la loro parola: che siano tutti una sola cosa come Tu sei in me, o Padre, ed Io in te; che siano anch’essi una sola cosa in noi, affinché il mondo creda che tu mi hai mandato. E la gloria che Tu mi desti, l’ho data a loro, affinché siano una cosa sola, come siamo noi. Io in essi e Tu in me, affinché siano perfetti nell’unità e conosca il mondo che Tu mi hai mandato e li hai amati come hai amato me. Padre, Io voglio che dove sono Io, sian pure con me quelli che mi affidasti, affinché vedano la gloria mia che tu mi hai data, perché tu mi hai amato prima della creazione del mondo. Padre giusto, il mondo non ti ha conosciuto; ma Io ti ho conosciuto e questi han riconosciuto che Tu mi hai mandato. Ed ho fatto conoscere a loro il tuo nome e lo farò conoscere ancora, affinché l’amore col quale mi hai amato, sia in essi ed Io in loro » (Giov, XVII, 1-26). – Questa preghiera, questa testimonianza, che bisogna leggere, rileggere e meditare, è la grande rivelazione che il Verbo Incarnato ci ha fatta di Dio Padre. Ma tale rivelazione non doveva essere compresa, dagli Apostoli e dai discepoli se non dopo l’Ascensione del Maestro, dopo la venuta dello Spirito Santo, il giorno della Pentecoste.

2.

Come il Verbo Incarnato ci ha rivelato il Padre, così ci ha rivelato lo Spirito Santo. Siamo al discorso dopo la Cena. La, separazione del Maestro e degli Apostoli è imminente. Gesù dà loro il Suo grande comandamento. Vi dò un comandamento nuovo, d’amarvi scambievolmente: amatevi l’un l’altro come Io vi ho amati. Da questo conosceranno tutti che siete miei discepoli (Giov. XIII, 34-35). Poi soggiunge: Non vi è amore più grande che dare la vita per i propri amici (idem. XIII, 12-13) È in tali circostanze che il Salvatore fa ai Suoi discepoli la grande rivelazione dello Spirito Santo. «Io vado al Padre, dice loro. E pregherò il Padre che vi darà un altro Consolatore che resti con voi per sempre: lo Spirito di verità che il mondo non può ricevere, perché non lo vede e non lo conosce; ma voi lo conoscete, perché abiterà con voi, e sarà in voi. Non vi lascerò orfani; tornerò a voi. Ancora un poco e il mondo più non mi vedrà. Ma voi mi vedrete, perché Io vivo e voi pure vivrete. In quel giorno conoscerete che Io sono nel Padre mio e voi in me ed Io in voi» (XIV, 16-20). «Vi ho dette queste cose conversando tra voi. Ma il Consolatore, lo Spirito Santo, che il Padre vi manderà nel Nome mio, Egli v’insegnerà ogni cosa, vi rammenterà tutto quello che vi ho detto» (ivi XIV, 25-26). – «Ma quando sarà venuto il Consolatore che Io vi manderò dal Padre, lo Spirito di verità che procede dal Padre, Egli mi renderà testimonianza, e voi pure mi renderete testimonianza, poiché siete stati con me fin da principio » (Gv. XV, 26). «Ma ora che vo a Colui che mi ha mandato, nessuno di voi mi domanda: Dove vai? Invece Perché vi ho dette queste cose, la tristezza vi ha riempito il cuore. Ma Io vi dico il vero: è meglio per voi che me ne vada; perché se io non me ne vado, non verrà a voi il Consolatore: e se me ne vado, lo manderò a voi. E venendo, convincerà il mondo riguardo al peccato, alla giustizia e al giudizio. Al peccato, per non aver creduto in me; alla giustizia, perché Io vo al Padre e non mi vedrete più; al giudizio, perché il principe di questo mondo è già giudicato » (Giov. XVI, 5-13). – «Molte cose avrei ancora da dirvi; ma per ora non ne siete capaci. Quando però sia venuto il Consolatore, lo Spirito di verità, Egli vi ammaestrerà in ogni vero; ché non vi parlerà da se stesso, ma dirà tutto quello che avrà udito e v’annunzierà l’avvenire. Egli mi glorificherà, perché riceverà del mio e ve lo annunzierà. Tutto quello che ha il Padre è mio; per questo ho detto che riceverà del mio e ve lo annunzierà » (Giov. XVI, 12-15). – Sono le parole stesse di Nostro Signore, in san Giovanni, con le quali Egli ci ha fatto la grande rivelazione dello Spirito Santo. Ce ne ha rivelato la Persona e, nel medesimo tempo, l’opera che Egli compie negli spiriti e nel mondo. Così il Salvatore dice agli Apostoli: Vado al Padre mio. Ma lo pregherò, ed Egli vi manderà Colui che in San Giovanni chiama il  παράκληητοος (= paracletos), un nome che la Volgata traduce letteralmente con quello di Paracletus, il Paracleto, cioè l’avvocato, il difensore, l’aiuto, il sostegno e per conseguenza il Consolatore. Sarà, dice il Salvatore, un παράκληητοος, un altro Consolatore: un altro Consolatore, distinto da Lui; poiché anch’Egli è il nostro dolce Salvatore, il παράκληητοος, il Consolatore, annunziato dai profeti e venuto in mezzo a noi. Quest’altro Consolatore viene dal Padre, come il Figlio viene dal Padre, ma in modo diverso, come spiegheremo. Egli è assolutamente l’eguale del Padre e del Figlio, è consustanziale a Loro come si dirà in seguito. Così, secondo la dottrina dello stesso Salvatore, in san Giovanni, il divino Consolatore che sarà mandato, è una Persona come il Padre ed il Figlio; è l’eguale del Padre e del Figlio; è Dio come il Padre ed il Figlio. – Quale sarà l’opera di questo divino Spirito? Sarà un’opera d’illuminazione, prima di tutto nell’anima, nel cuore, nello spirito degli Apostoli. Egli vi rammenterà tutto ciò che vi ho insegnato, dice il Salvatore; ve ne ricorderà i pensieri e le parole; ve ne darà il senso profondo. Poiché mi conoscete quanto mi amate. Ma, in realtà, non mi conoscete ancora. Per mezzo dei lumi soprannaturali che ancora non avete ricevuti, ma che Egli vi darà, lo Spirito Santo vi rivelerà ogni cosa riguardo a me, sulla mia origine, la mia persona, sull’opera che sono venuto a compiere in questo mondo, mentre, nel medesimo tempo vi rivelerà il Padre e rivelerà se stesso a voi. Così, quando il Consolatore che Io vi manderò dalla destra del Padre, sarà venuto in voi, renderà testimonianza di me, affinché conoscendomi, rendiate testimonianza di me, nel mondo. In seguito, l’opera dello Spirito Santo sarà un’opera d’illuminazione nel mondo. Convincerà il mondo riguardo a tre cose: al peccato, manifestandogli, con chiarezza, il suo delitto, il delitto orrendo di aver rigettato il Messia, Figlio di Dio, Dio, Dio fatto uomo, venuto in mezzo a noi, come uno di noi, per salvarci. Convincerà il mondo riguardo alla giustizia, facendo risplendere agli occhi di tutti, dopo la Sua Ascensione, la giustizia, la santità, la divinità di Gesù nostro Salvatore. Convincerà il mondo riguardo al giudizio, ricordando, pubblicando il giudizio pronunziato, fin dall’origine, contro satana, angelo della rivolta contro Dio, rovesciando l’impero di satana, principe di questo mondo, distruggendo la sua opera di tenebre, di errori, di menzogne, di disordini. Ecco l’opera d’illuminazione che lo Spirito del Verbo compirà nell’anima degli Apostoli e nel mondo. – Quindi sarà un’opera di evangelizzazione, di trasformazione, di conversione degli spiriti e dei cuori, un’opera di conquista spirituale di tutta l’umanità, da Lui riscattata dalla schiavitù del peccato.  Vado al Padre mio, Egli dice agli Apostoli. Ma vengo, torno a voi. Non vi lascerò orfani. Vengo, ritorno con voi, in voi, per il mio Spirito, col mio Spirito, nel mio Spirito, col quale sono una cosa sola, per partire, con voi alla conquista spirituale del mondo. Sarò con voi, in voi, per il mio Spirito, col mio Spirito, nel mio Spirito, col quale sono una cosa sola, per illuminarvi, animarvi, sostenervi, aiutarvi, per essere un altro Consolatore, nella vita, nella morte, nella testimonianza che mi renderete con la vostra dottrina, la vostra santità, il vostro cruento martirio, o mediante la testimonianza del vostro grande amore. Quindi abbiate fiducia. Ho vinto il mondo, satana, principe di questo mondo, non prevarrà contro di voi, contro di noi. Ecco la grande rivelazione che il Salvatore stesso ci ha fatta dello Spirito Santo, e che ci viene riferita nel Vangelo secondo san Giovanni. Il Verbo di Dio fatto uomo, come ci ha rivelato il Padre, così  ci ha rivelato lo Spirito Santo. Egli ci ha fatto questa duplice rivelazione con la Sua dottrina molto ferma, precisa e chiarissima. Ma ce l’ha fatta egualmente ed ancor più, col fatto stesso della Sua Incarnazione. L’Incarnazione del Verbo, non è soltanto una dottrina della nostra fede. È un fatto ben stabilito, annunziato molto tempo prima dai profeti, affermato dal Salvatore nel Suo Vangelo, provato da miracoli di prim’ordine. Questo fatto presenta agli occhi — degli uomini il mistero di un solo Dio: in tre Persone, il mistero della Santissima Trinità. – Il mistero della Santissima Trinità resta sempre il grande mistero, il mistero che, nelle sue profondità, per noi rimane impenetrabile. Ma il fatto dell’Incarnazione, presentandolo ai nostri occhi, lo prova, come possono provarlo i fatti, lo mostra in un modo che tutti gli uomini che hanno gli occhi e sanno e vogliono vedere, devono ricevere. Poiché sempre se ne sono trovati che pur avendo gli occhi non vedono, come canta il Salmista: Oculos habent et non videbunt (Ps. CXIII, 13).

CRISTO REGNI (3)

CRISTO REGNI (3)

 P. MATHEO CRAWLEY (dei Sacri Cuori)

TRIPLICE ATTENTATO AL RE DIVINO

[II Edizione SOC. EDIT. VITA E PENSIERO – MILANO]

Nihil obstat quominus imprimatur Mediolani, die 4 febr. 1926

Sac. C. Ricogliosi, Cens. Eccles.

IMPRIMATUR In Curia Arch. Mediolani die 5 febr. 1926- Can. M. Cavezzali, Provic. Gener.

CAPITOLO II.

LA SANTITÀ DEL RE D’AMORE SOCIALMENTE OLTRAGGIATA

Pilatus autem volens populo satisfacere, dimisit illis Barabbam et tradidit Jesum flagellis caesum.

[Pilato, volendo compiacere il popolo, restituì libero Barabba, e dopo aver fatto flagellare. Gesù, lo rilasciò.]

1. – Modestia e Moralità

Il profeta Isaia, indirizzando ai Pastori negligenti le minacce del Signore, li chiama, nel suo linguaggio ardito, dei cani muti che non sanno abbaiare (Is. LVI, 19). Guai infatti alla sentinella che non dà l’allarme, e il cui silenzio porta alla rovina coloro che il cielo le ha affidati! È dovere gravissimo e urgente, quello di denunziare il pericolo. – Ora, sembra evidente che una delle epidemie morali tremende, se non la più tremenda, in forza del suo carattere di provocazione pubblica e contagiosa, sia l’assenza di pudore che manifesta oggi la società. Ma per stigmatizzare i termini di questa passione scatenata, bisogna usare nello stesso tempo una suprema delicatezza, una chiarezza persuasiva. Non bisogna ometter nulla, ma neanche dir niente che possa offendere le coscienze cieche ed innocenti, che tuttavia l’aspetto esteriore accusa. Numerose infatti sono quelle — avremo l’occasione di dirlo — per le quali il candore eccessivo non permette di comprendere il perché delle severe prescrizioni della Chiesa; eppure la loro disobbedienza le conduce ad un abisso. L’affare della moda, checché se ne dica, implicauna seria questione di coscienza, poiché, dopo il peccato originale, una relazione molto intima esiste fra il vestiario e la purità. Il pudore, che obbliga a coprirsi modestamente, è una virtù tanto delicata quanto il candore dei gigli… tanto sensibile quanto la limpidezza «d’uno specchio, cui un leggero soffio offusca. Che la natura in se stessa sia buona, che possa esercitare î suoi diritti, tutto ciò sarebbe stato vero difatti senza il peccato originale. Che si usi un simile linguaggio nei paesi non per anco illuminati dalla fulgida bellezza del Vangelo e del Cristianesimo può, a rigore, concepirsi; ma che sì senta proclamar questo, nel nostro mondo, è inammissibile. Il Signore Gesù ha permesso che, per le circostanze eccezionali del mio ministero, nei centri di vita intensa, potessi convincermi della gravità di tale questione, della sua importanza per il Regno sociale del Cuore di Gesù. Oh, come vorrei comunicare tutta la convinzione dell’anima mia, a quelli e soprattutto a quelle che leggeranno queste pagine! Vorrei dir loro tutto ciò, ma con il grande, l’immenso rispetto alla squisita delicatezza che avrei per mia madre, se mi trovassi nella dura necessità di farle una lezione indispensabile, un doloroso e pesante richiamo. Possano esse essere accettate con una docilità ed una sommissione dolcemente illuminate e dirette dalla grazia. – Più che mai vorrei aver la soavità di Gesù, per dire tutto quel che debbo dire in suo nome, a delle anime belle, trascinate dalla vertigine d’un mondo seduttore. Quando il sole cade dietro le montagne, sembra che porti con sé la bellezza delle cose, l’armonia delle linee e dei colori. I più bei quadri della natura, i sommi, come i minimi capolavori della creazione, si cancellano, ingolfati in un impenetrabile abisso di tenebre.  – V’è un Sole che non si contenta di render sensibile al nostro sguardo la beltà intrinseca delle cose, ma che è esso stesso! la sorgente di ogni bellezza morale e spirituale: questo Sole è Gesù. Chiunque non gravita attorno alla sua Legge ed al suo Cuore, non può percepire le sublimi altezze d’un’anima cristiana, la sua nobiltà, la dignità sua, i secreti tesori di uno splendore intimo che rapisce gli Angeli; e vive allora necessariamente nelle tenebre. Nell’ordine della natura, vi sono le stelle che di notte brillano di luce propria, come per vendicarsi di essere state eclissate dallo splendore del sole. Ma nell’ordine morale, le stelle, voglio dire le anime che possono esser luminose e belle per se stesse, senza Gesù Cristo; radiose fuori di Lui, caste e nobili, disconoscendolo, di queste stelle, dico, non ne possono esistere. Noi potremmo, parlando di bellezze morali, distinguere due categorie: una, fatta di quei fiori il cui succo avvelenato dal peccato, nel Paradiso terrestre, è stato come guarito sul Calvario, dal Sangue del Cristo; l’altra fatta di fiori, per così dire, creati dalla Legge Evangelica, nati nel Cuore di Gesù, fiori squisiti dell’umiltà, e soprattutto della castità, della purezza e della modestia. – Il miracolo d’amore della Risurrezione fu coronato da un altro miracolo, unico nella storia, quello di una verginità feconda. Sembra che Dio abbia voluto inaugurare l’èra cristiana in un’atmosfera fino allora sconosciuta, quella della purezza. Da allora, la castità personificata e incarnata, rimarrà il prototipo della bellezza morale. Essa è, nel suo splendore, una creazione, una sublimità divina e inconcepibile: Maria Immacolata. Il naturalismo fu il primo serpente schiacciato dal suo piede verginale. Lo splendore immacolato della Regina dell’amore, non è che il riflesso della santità del Re, suo figlio; ora, chiunque ama Gesù e l’adora, deve anche rassomigliare a Maria: il suo spirito, il suo cuore, come la sua carne, devono tendere a raggiungere la verginale purezza di Lei. Soltanto i cuori puri vedranno Dio e riceveranno Gesù dalle mani della Vergine Maria.- Ecco la dottrina, il principio cristiano. Ma quando consideriamo la società, noi constatiamo che siamo ritornati al paganesimo immondo della antica Roma e di Atene. L’affermazione non è ardita né personale: ma si appoggia su testimonianze evidenti; si basa su fatti innegabili. – Questo ritorno ad un passato che non aveva conosciuto Gesù, dopo venti secoli di Cristianesimo, non è tuttavia un fenomeno anormale, ma una logica conseguenza della « scristianizzazione ». Le tenebre, le bruttezze morali ci avviluppano come una fitta nebbia, perché la famiglia e la società allontanano da sé il Sole Divino che feconda e conserva ogni bellezza morale; quella del fanciullo, come quella della madre. V’è peraltro qualche cosa di strano e di allarmante, nella evoluzione nefasta del costume e delle mode: è la larga parte che vi occupa, da qualche tempo, l’ambiente cristiano, il mondo cattolico. Sì: e tutta l’amarezza delle nostre riflessioni sorge da questa dolorosa constatazione: con grande e felice sorpresa dei rilasciati che ci spiano e ci criticano, un certo numero di famiglie che credono, pregano e hanno l’etichetta di Cattolici, sono, da qualche tempo, tocche e contaminate da questo naturalismo degradante ed estremamente pernicioso. – Si è sempre visto, in ogni tempo, lavorare il male alla sua opera di seduzione: ma i suoi operai naturali non erano, fin qui, che gli amici d’un mondo basso e volgare, la cui influenza era mediocre. Vi sono state in ogni tempo delle mostre destinate all’ufficio di diffondere l’immoralità, di far la « réclame » alle novità pemiciose (con le quali si riesce spesso a far fortuna). L’inferno ebbe, ed avrà sempre, i suoi agenti di perdizione: lasciamoli passare, ed abbassiamo gli occhi, con la pietà nell’anima. Questo male, troppo comune, ahimè, noi lo sorvoliamo, per fermare lo sguardo sull’evidente rilasciamento esteriore dell’ambiente sinceramente cristiano. Non vogliamo analizzare la vita interiore, la coscienza intima del Cristiano; ma condannare una pubblica manifestazione di collettiva spudoratezza; ma elevarci contro una licenziosità di abitudini, di costumi, di mode, il cui credito è dovuto alla malaugurata debolezza delle famiglie cristiane. – Siamo ancora a tempo ad arginare. questa corrente di fango, prima che essa abbia invaso tutti i salotti ed avvelenate tutte le manifestazioni della vita sociale moderna. Non è veramente doloroso veder vestite come persone frivole la Signora X… e le sue figliole? Eppure esse si comunicano spesso e fanno il loro ritiro annuale! eppure sono delle eccellenti persone… Illuminale Tu, Gesù! Non è da meravigliare che un’altra madre cristiana abbia condotto le sue figliole ad una rappresentazione teatrale scabrosa, ove siano scene disgustose per la loro cruda realtà, scandalose per la loro indecenza? Ne son rimaste forse sorprese e dispiacenti? No, perché avevan già letta la produzione disonesta! E domani, nonostante quel po’ di scandalo, nonostante l’errore della loro presenza al cattivo spettacolo, esse probabilmente andranno alla Comunione… Forma Tu stesso la loro coscienza, Gesù!

Non è forse cristianamente inesplicabile veder su quella spiaggia mondana, adagiate nei liberi atteggiamenti dei bagni di sole, le signorine tali e tali? La loro conversazione è molto animata. Le frasi vive e leggere come delle palle di tennis, si scambiano col gruppo dei giovanotti che le circondano. E le loro toilettes, che sarebbero al massimo permesse sott’acqua, appartengono tuttavia ad un pubblico che si chiama rispettabile. La mattina quasi tutte erano andate in Chiesa, ed hanno protestato il loro amore a Gesù-Ostia. E se si fosse presentato ora là, questo Gesù, Dio di santità? … Novelle Eve colpevoli, come sarebbero fuggite vergognose e confuse,. per sottrarsi allo sguardo divino che condanna ogni impudicizia…

II. – Mentalità moderna – Sue cause

Che pensare d’un’aberrazione talmente inqualificabile? Non è forse un segno dei tempi?  La fiaccola del male entra nelle case dei buoni; e ciò comunemente; qui, là, dovunque… Gesù ne ha il cuore ferito. La Chiesa geme e protesta invano! Per quel certo mondo, le tavole della Legge giacciono in pezzi, e non è davvero la Chiesa che le ha spezzate,  come Mosè… – « Ci vorrebbero, scrive un polemista cristiano – molta più  unità e logica pagana e mondana. » È vero re perché noi non abbiamo nell’insieme quella coesione e questo modo di ragionare profondo, dobbiamo assistere ad una  resurrezione della Roma pagana. Ma essa non consiste tanto nelle diverse manifestazioni dell’arte, pittura, scultura, ecc., quanto nella vita sociale: e questo è peggio. Niente da meravigliare, certo che questa rinascita furiosa del paganesimo, si ripeta in differenti epoche, come il cratere di un vulcano infernale che sì riapra; ma è assai preoccupante constatare che i suoi gas, mortalmente asfissianti, abbiano penetrato fino alle porte chiuse dei focolari cristiani. Qual è dunque la spiegazione plausibile di questa ibrida mescolanza di pietà e di vita sociale frivola; di buona volontà intima, e di scandalo esteriore, di comunioni frequenti e di costumi licenziosi? –  Per rispondere, torno ad un’affermazione del capitolo precedente, che qualcuno può aver trovato strana. Il Giansenismo disseccò l’amore di Dio nei cuori e soppresse, nel focolare domestico, l’impero di Gesù. Bandì il Re d’Amore e lo sostituì con un Cristo severo, con un Dio terribile, schiacciante, tonante come Giove. Per molto tempo, un certo nucleo di Cattolici ha vissuto di Giansenismo. Questa camicia di forza doveva cadere e cadde finalmente. Noi assistiamo da qualche tempo agli eccessi della libertà, alla sfrenata licenza di una società, che vuole inconsapevolmente rivalersi d’aver vissuto troppo lungamente sotto la pressione d’un terrore religioso pseudo-cristiano; La menzogna non è mai un elemento di educazione morale. Io dicevo anche che la mancanza d’una carità forte, vigorosa, in quelle famiglie avvelenate dal Giansenismo, aveva provocato una educazione artificiale, formalista, che non poteva durare. Convenzioni religiose. d’un rigorismo assurdo e troppo spinto, educazione senza base, senza vera conoscenza del Vangelo, senza l’Anima e il cuore di questo Gesù evangelico ed eucaristico. Ecco dunque almeno  in parte, la ragione d’essere di queste famiglie, cattoliche di titolo ma pagane di costume, di abiti e di godimenti, nella vita sociale. I cattivi vi sono forse in piccolo numero. ma i deboli, i profondamente ammalati vi abbondano. Noi risentiamo soprattutto delle mancanze di Eucarestie, nel sangue di molte generazioni cristiane, istruite nel Catechismo, ben imparato a memoria ma mai vissuto, nello spirito, per amore.  E poiché il Sangue del Salvatore non corre con sovrabbondanza nelle vene dei nostri Cristiani, perché non s’è fuso col sangue di tante famiglie cattoliche, non c’è oggi in noi, la forza di una energica e coraggiosa reazione. – Lo sappiamo: senza Gesù-Ostia, nessuna vita interiore, nessuna energia morale per la lotta; nessuna castità possibile, né nella carne né nello spirito. Che l’acqua scorra sulle fronti, ma che il Sangue Divino scorra anche nelle vene! La forma religiosa non esiste senza essere animata da un amore ardente. Esso è l’anima della nostra anima, ed è la grande carità che civilizza, non già la superficie, ma il cuore degli individui e delle società. Con la cittadella cattolica così minata, non era difficile farla diventare la preda dei mondani e metterla, dopo qualche sforzo combinato di prudenza e d’audacia, alla stregua del secolo dissoluto. – Non ci manca davvero molto, fra noi, per giungere all’apoteosi di Venere. Essa è l’idolo vivente verso il quale la sommissione è cieca alle sue leggi tanto nelle vie, quanto nella famiglia e nel mondo.  Il gesto rituale alla dea, non è ancora compiuto di fatto; ma il culto è già reale. Eravamo ad una funzione di riparazione. In una tribuna di Chiesa che loro era riservata, in considerazione della casta e della condizione sociale che occupavano nelle opere cattoliche della città, io vidi un gruppo di Signore molto raccolte, ma il cui assieme sarebbe stato francamente scorretto anche fuori di Chiesa. Siccome la cerimonia si prolungava, esse si ritirarono per assistere ad un ballo in un albergo, il cui scandalo degli abiti e della danza era quanto mai notorio, ed era stato, per parte della autorità ecclesiastica, il tema obbligato della censura dei quaresimalisti… – Non è questa una penosa disfatta per Gesù e per l’Immacolata, che delle donne cristiane cioè, escano calme e soddisfatte da una festa di riparazione per andare senza indugio, senza apparente rimorso, ancora fragranti dell’odore dell’incenso, a partecipare ad una riunione, dove si sa che il Maestro sarà flagellato? E non è anche un fenomeno morale degno di studio?  Non si può supporre « a priori », che tutte le persone che agiscono così, vogliano volontariamente, consapevolmente il male, e che vogliano accrescerlo con lo scandalo: no. Che non si dica peraltro che il dovere di piacere al marito sia ordinariamente la causa del contegno e dell’atteggiamento frivolo e mondano. Nell’ambiente sinceramente retto di cui parliamo, si potrebbe, la maggior parte delle volte, metter sulle labbra dei mariti quel che mi diceva uno di loro, riguardo a certe conferenze che dovevo fare alle Signore: « Dica loro, Padre mio, dica loro ben chiaramente che i mariti, anche quelli che son poco religiosi, ratificano la legge divina che vuole che le nostre spose fuggano il lusso, la vanità, la spudoratezza. Noi lo vogliamo per interesse di onore umano e sociale, molto più che per interesse economico. Insista, faccia loro questa grande ed urgente carità. Ne conosco qualcuna che ha già compreso… Lei non perderà certo il suo tempo… – Sono rari i mariti che non hanno questa mentalità. L’assenza di una vera e profonda carità nella educazione cattolica, ci ha condotti a questo stato di paganesimo. Si è vigilato con diligenza alla formazione dello spirito, si è stabilita la conoscenza speculativa. Dei grandi principî, ma sì è troppo trascurato di formare il cuore all’amore del Salvatore. Si è considerato come un accidente quel che è una sostanza; sì è mostrato il Vangelo e dettato la Legge, ma non s’è abbastanza diretto il cuore nella via dell’amore, e della confidenza verso il Legislatore di luce e di carità verso l’adorabile persona di Nostro Signore soprattutto nel Santo Sacramento. Senza questo amore senza la sua potenza morale, si possono sapere molte cose senza viverle. La conoscenza della teoria non fa che rendere più colpevoli quelli che non vi si uniformano nella vita pratica. – Bisogna amare Gesù Cristo per osservare pienamente la sua Legge ed il suo Vangelo. Infatti, nella vita sociale, in moltissime circostanze è quasi impossibile resistere alla corrente mondana e frivola, senza la base di un amore serio, intimo, fervente. Bisogna rendersi conto del tempo e delle circostanze, per apprezzare il dono di forza morale che suppone spesso, in una persona del mondo, il fatto di opporsi al disordine della società seducente che lo circonda. Ecco perché in questo caso, più che criticare, compatisco. Rendersi indipendente è spesso senza che ci se ne avveda, un eroismo segreto. Ma questo eroismo non sarà mai se non il frutto di una santa passione d’amore per il Maestro adorabile. Solamente col possesso del suo Cuore, si possono sfidare il mondo ed i suoi sarcasmi: non altrimenti. Guardate i meravigliosi sacrifici di dignità morale cristiana, che la fidanzata ottiene dal fidanzato, quando essa sia una giovanetta veramente pia, consapevole dei propri doveri e della responsabilità cui va incontro nell’avvenire. Guardate reciprocamente, quel che il giovane ottiene da lei, in omaggio alla loro affezione: l’astensione da certe riunioni mondane e dall’avvicinar persone frivole e volgari: un cambiamento di abitudini e di contegno… e così via. Il cuore comanda ed è obbedito. Oh, se il Cuore di Gesù avesse questa Sovranità vittoriosa! L’applicazione di questo metodo, in un ordine molto più elevato, trattandosi d’amor divino, farebbe dei Santi nelle schiere dei più eletti Cristiani. E. nello stesso modo che il Dottor Angelico « ha potuto dire che la pace più autentica e reale, si raggiunge più con la carità che con la giustizia » (Citata da S. S. Pio XI nell’Enciclica Ubi arcano Dei Consilio), così si può affermare che l’insieme della vita cristiana si incoraggia e si vivifica molto più che dalla conoscenza dei diritti di Dio e delle sue Leggi, dalla carità, dall’amore che ci porta verso Colui che ha stabilito questi principî e che ne è il fondamento irremovibile e la indefettibile sorgente. È vero che il meraviglioso sforzo soprannaturale di grazia che è il movimento verso il Cuore di Gesù, trascina a poco a poco le famiglie cristiane in questa via del verace amore, ma la vittoria sulla immensa maggioranza non è ancora compiuta.

III. – Profondità del male

Entriamo adesso in uno studio concreto di questo male di spudoratezza collettiva che diventa sempre più una regola convenuta, e di cui non si arrossisce più, di cui non ci si può neanche meravigliare di non arrossire, senza esporsi a passare per ingenui… o maliziosi od eccentrici. Non perdiamo di vista che il nostro studio riguarda coloro che son ritenuti, e non senza ragione, Cattolici convinti e praticanti. Nell’età d’oro del nostro tempo, il pudore era considerato come un angelo vigilante e venerato; come una vergine di celestiale bellezza, ed era ambito fra le più belle virtù. Poi divenne, con la sventurata evoluzione dei tempi e con l’indifferenza religiosa, una semplice vestale che le famiglie meno cristiane tolleravano con freddezza. Nel periodo di rinascimento pagano in cui viviamo, Venere regna senza rivali… II pudore non è più ai giorni nostri, la vergine cristiana, e neppure la. Degna vestale. La si tratta come una « vecchia zitella » decaduta, antiquata, le cui ridicole esigenti pretese non si adattano più alla nostra epoca di emancipazione, che intende liberare la donna da pregiudizi assurdi e caduchi.  Il vecchio adagio cristiano diceva che la donna deve essere onesta e deve anche mostrarlo. Se ai nostri giorni ella deve esserlo nello stesso modo, non ha però più bisogno di mostrarlo, per essere ricevuta, stimata e ammirata. Il fondo intimo della coscienza è un affare privato, si dice; quanto alla fama esteriore, modesta, pudica, questo non ha nulla che vedere con la coscienza. Che triste aberrazione! Povera morale, tanto lontana dal Vangelo. L’immodestia non è più un peccato: così ha decretato un certo mondo, (e qual mondo!) Essa è snobismo, eleganza, igiene! Così parlava Venere… e la sua corte s’è allargata con grande scapito della virtù. – Questa bruttura ed abiezione morale ostentate, erano prima le caratteristiche di una certa categoria di persone. assai poco rispettabili, ahimè, e che certo, allora, non dettavano legge. Oggi invece esse dettano il contegno nella via, nei ricevimenti, nei teatri, nell’estate e nell’inverno. Costoro hanno, con forbici diabolicamente malefiche, diminuito, tagliato, soppresso, come hanno voluto, dispoticamente, costantemente, determinando le dimensioni e le fantasie della moda. Una parte dell’elemento onorato e cristiano, si piega alle loro pagane novità, e spoglia inconsapevolmente Gesù della sua tunica, di quel Gesù già flagellato dai suoi nemici, per flagellarlo un’altra volta e più crudelmente, con le mani dei suoi stessi amici. – Le frivole lanciano la moda… ma troppo numerose sono le virtuose e le serie che la pagano e l’accreditano dinanzi alla società. I fatti che stanno a mostrare l’inesplicabile accecamento, hanno provocato, a più riprese, gli anàtemi del Papa e dell’Episcopato del mondo intero. In Polonia, come in America, nel Belgio come nella Spagna, in Germania come nella Svizzera, e in Austria, ed in Francia, i Vescovi hanno parlato tanto forte e chiaramente, come l’avevano fatto in Italia; ora, sarebbe insensato credere che tale uniformità di riprovazione non abbia altra base che una fantasia eccitata, o degli scrupoli da disprezzare. Se i nostri Pastori, i Vescovi hanno dovuto imporre regole di modestia, anche alle persone pie, che frequentano la Chiesa e s’accostano alla Comunione, ciò significa che le leggi generali di convenienza. non bastano più! … E queste regole di modestia devono essere applicate anche un po’ largamente, per non creare costantemente dei seri inconvenienti nella casa di Dio… Noi siamo dunque in questa crisi di pudore, in presenza di uno squilibrio morale collettivo. Poiché la legge cristiana obbliga tanto alla modestia esteriore, quanto alla interiore purezza, e la mancanza della prima, aggiunge alla colpabilità, la terribile responsabilità dello scandalo: la provocazione al male. Ecco una testimonianza schiacciante del potere del peccato d’impudicizia. Un giovane di buona famiglia si trova convalescente dopo la grave malattia che lo ha trattenuto, a letto in una clinica, per oltre tre mesi. Quanto prima, dunque, esso potrà ritornare a casa sua. Il medico primario, grande amico della famiglia, ha il diritto, e sente il dovere di fargli una lezione di morale. Come medico, ha un’autorità incontestata, e ne approfitta per parlare chiaramente al giovanotto: « Lei conosce già, per dolorosa esperienza, ove conducano le mondanità pericolose; adesso, si tenga in guardia; prenda delle ferme risoluzioni ». Ascoltate la risposta sfolgorante di verità del povero convalescente: « Dottore, grazie! Ma perché Lei, medico, non può salire in cattedra e dire anche alle signore e alle signorine che si chiamano oneste e che lo sono forse nell’intimo, di esserlo molto, molto di più anche all’esterno? Perché anch’io, senza uscire dall’ambiente rispettabile della mia famiglia e della cerchia delle mie relazioni, io trovo già ad ogni passo, fra quelle che sono, senza dubbio, le migliori, il fuoco che brucia le vene… e che finisce un giorno per irrompere nella foga della passione. Grazie, dottore; ma poiché Lei è Cattolico, parli ai Sacerdoti, dica che non si contentino delle buone intenzioni delle persone virtuose, ma che fustighino e condannino la loro immodestia del vestire e del contegno, inconsapevole, voglio crederlo, ma pericoloso per chi le avvicina o deve viver con loro. Esse forse andranno in paradiso, ma senza pensarci, lanciano noi, talora, nell’abisso ». Tale quale il coscienzioso dottore me lo ha trasmesso, io, predicatore ed apostolo, lo ripeto a quelle che, essendo rette dinanzi a Dio, non sembrano altrettanto di esserlo dinanzi alla società, ed incorrono perciò in tremende responsabilità. – Non dimentichino esse che la modestia è, nello stesso modo che una virtù privata, una inestimabile ed imperiosa virtù sociale. Dobbiamo forse contribuire e possiamo farlo impunemente, alla caduta del nostro fratello? Ora, la immodestia per sé stessa, come ho già detto, è un’eccitazione al male più pericoloso, perché più seducente; e questo non è soltanto vero per le persone pervertite, ma anche, starei per dire, soprattutto per quelli, più numerosi che non si creda, la cui natura, nonostante i loro sforzi, è anemizzata, malaticcia, propensa al male. Tutti portiamo il tesoro della virtù in un vaso prezioso, ma fragilissimo: coloro che affermano il contrario, mentono. Questo vaso, bisogna portarlo e farlo portare con una prudenza e una delicatezza di carità veramente cristiana, perché la carne è debole. Noi viviamo sotto un regime cristiano, nel quale la modestia è un principio stabilito da intima virtù e di dignità sociale esteriore. La società dunque, ha il diritto di reclamare quando, mancando a certi elementari riguardi, si fa mostra di brutture morali che non sono lezioni di onestà e di virtù, soprattutto per la generazione che cresce, che formerà la società di domani. D’altronde, noi sappiamo troppo bene che questo male è una fiamma che divora rapidamente il più bell’edificio morale. – Ricordate l’orribile battaglia dei laghi Masuriani? Migliaia e migliaia di russi, caduti in un’imboscata, perirono nei pantani simulati, affogando nel fango, e divorati dai rettili. Lo spettacolo di quei reggimenti incalzati dalle baionette fino al fondo dell’abisso, annegantisi sotto il peso delle loro stesse armature, dovette esser terribile. Questa stessa battaglia, senza molta resistenza, ahimè, si continua ancora, pur troppo. Il mondo spinge con le sue critiche pungenti, l’elemento rispettabile cristiano, che il rispetto umano travolge. Da tutte le parti, sono le paludi fangose che minacciano d’inghiottire i reggimenti delle giovani generazioni. È tutto un piano strategico, mirabilmente ed accuratamente elaborato da satana, in perfetto accordo con gli uomini del progresso, i grandi luminari e superuomini del secolo. Guardate come sono strette le maglie di queste reti mondane! Guardate come la battaglia pagana continua, coinvolgendo spietatamente nei vortici del rilasciamento. La Chiesa porta ai giorni nostri il grande lutto dei suoi migliori perduti. Studiamo dunque brevemente le insidie ed i pericoli della mondanità moderna.

TRATTATO DELLO SPIRITO SANTO (5)

L. LEBAUCHE

TRATTATO DELLO SPIRITO SANTO (5)

TITOLO ORIGINALE: TRAITÉ DU SAINT – ESPRIT Edit. Bloud-Gay.- Paris 1950

V. Per la Curia Generalizia Roma, 11 – 2 – 1952 Sac. G. ALBERIONE

Nulla osta alla stampa, Alba, 20 – 2 – 1952 Sac. S. Trosso, Sup.

lmprimatur Alba, 28 – 2 – 1952 Mons. Gianolio, Vic. GEN.

CAPO QUARTO

LA PENTECOSTE

Il cinquantesimo giorno dopo la Pasqua, πεντηκοστὴ ἡμέρα (= pentecoste emera), i Giudei celebravano, nel tempio di Gerusalemme, una festa nella quale veniva offerto a Dio, fra gli altri sacrifici, quello di due pani fatti con farina di grano nuovo, per riconoscere il suo sovrano dominio sui raccolti e sopra tutto il popolo. Secondo un’antica tradizione era anche la festa della promulgazione della Legge, sul Monte Sinai. Questa festa, della durata di un giorno solo, era molto popolare. Mentre la Pasqua era soprattutto una festa di famiglia, la Pentecoste era veramente una festa nazionale. I Giudei vi giungevano non soltanto dalla Palestina, ma da tutti i paesi circostanti, dall’Egitto, da Creta, dalla Grecia, dall’Asia Minore, dai paesi della Transgiordania. Ciascuno parlava la propria lingua, specialmente l’ebraico, nel dialetto aramaico, lingua degli Israeliti di Palestina; il greco, lingua delle persone colte, ed anche il latino, lingua delle truppe romane di occupazione. Fu tale festa che il Salvatore scelse per farne, dopo quelle della Natività, di Pasqua e dell’Ascensione, la più grande festa cristiana.

1.

Nel discorso che il Salvatore pronunziò dopo la Cena, aveva detto ai Suoi Apostoli: Quando sarò tornato al Padre, andate a Gerusalemme e restatevi finché sia compiuta in voi la grande promessa che vi ho fatta. Ve l’ho detto. Non vi lascerò soli, non vi lascerò orfani. “Non vi lascerò orfani” è il termine usato dal Salvatore per indicare il carattere delle relazioni del tutto paterne che lo univano ai suoi Apostoli. Ben presto tornerò a voi, sarò con voi, in voi, per il mio Spirito, col mio Spirito, nel mio Spirito. Sarò con voi, in voi, tutti i giorni, sempre, sino alla fine dei tempi (Gv. XIV, 15-20, 25-29). – Dopo l’Ascensione del Maestro, gli Apostoli tornarono dunque a Gerusalemme. Salirono al Cenacolo, ove, dopo la Cena di addio, avevano l’abitudine di rifugiarsi. E là tutti in un medesimo spirito, perseveravano nella preghiera; Maria, Madre di Gesù, era in mezzo a loro, per guidarli e incoraggiarli. Era il decimo giorno di tale ritiro, quando all’ora di terza, cioè verso le nove del mattino, « all’improvviso venne dal cielo un rumore come di vento impetuoso e riempì tutta la casa dove si trovavano. Ed apparvero ad essi, distinte, delle lingue come di fuoco, e se ne posò una su ciascuno di loro: e furono tutti ripieni di Spirito Santo e cominciarono a lodare Dio e a parlare vari linguaggi secondo che lo Spirito Santo dava loro di esprimersi » (Atti II, 2-4). Era la Pentecoste della Nuova Legge, il compimento della Grande Promessa. Lo Spirito Santo invadeva, penetrava a fondo l’anima degli Apostoli. Per il Suo Spirito, col Suo Spirito, nel Suo Spirito, era il Verbo eterno del Padre, Figlio unico di Dio, Dio, che ritornava con i Suoi Apostoli, con essi, in essi, per condurre a termine la loro trasformazione.  Ciò che Egli opera prima di tutto nell’anima degli Apostoli, per lo Spirito Santo, con lo Spirito Santo, nello Spirito Santo, uno col Suo divino Spirito, è una fede profonda, viva, ardente, luminosa nella Persona del Messia, Figlio di Dio, Dio, venuto in questo mondo per riscattare tutti gli uomini dalla schiavitù del peccato e salvarli tutti. È questo il vero regno di Dio, quel regno tutto interiore che si tratta di stabilire, e che dirigerà quello esteriore che gli corrisponde. Il Salvatore lo ha detto abbastanza: Regnum Dei intra vos est.

2.

Quel che Egli opera in seguito, diciamo pure nel medesimo tempo, nell’anima degli Apostoli, è il dono pieno dell’Apostolato. Nel corso della sua vita terrena, aveva scelto dodici discepoli perché fossero Suoi Apostoli. Ma adesso li fa Suoi Apostoli. Per lo Spirito Santo, con lo Spirito Santo, nello Spirito Santo che Egli comunica loto, uno col Suo divino Spirito, li manda alla conquista spirituale del mondo. Sarà la loro vita, il loro slancio, il loro entusiasmo, una passione ardente che si impossesserà interamente di loro. Egli sarà con essi, in essi, per il Suo Spirito, col Suo Spirito, nel Suo Spirito, uno col Suo Spirito. -. Seguiamo il testo della narrazione che troviamo negli Atti degli Apostoli e che ci espone tutte queste cose, in termini che colpiscono. Al rumore che si era fatto udire, concorse la folla davanti al Cenacolo per sapere quel che era avvenuto e, udendo gli Apostoli celebrare le lodi di Dio in tutte le lingue, reclamò la spiegazione di tale prodigio. Allora Pietro si presentò con gli Undici. Giuda, il traditore, verrà poi sostituito da Mattia. E disse loro: Figli d’Israele, ascoltate queste parole. A quel Gesù di Nazaret che avete messo a morte, crocifiggendolo, Dio ha reso testimonianza mediante i prodigi, i miracoli, i segni che ha operati per Suo mezzo, fra voi, dandovi così la prova che Egli è veramente l’atteso Messia, annunziato dai profeti. Dio lo ha risuscitato, infrangendo i legami dolorosi della morte. È di Lui che David profetizzava quando diceva: « Tu non lascerai l’anima mia nel soggiorno dei morti, e non permetterai che il Tuo Santo vegga la corruzione della tomba ». Così egli vide in anticipo la resurrezione di Cristo. Noi tutti siamo testimoni di questo Gesù che Dio ha risuscitato. E possiamo anche testimoniare che è stato elevato al cielo dall’onnipotenza di Dio, ha ricevuto dal Padre, lo Spirito Santo, e lo ha mandato sopra di noi, come voi udite (Atti II, 22-23). E, dopo alcuni giorni, in un secondo discorso, che è tutt’uno col primo, dopo il miracolo strepitoso della guarigione dello storpio della « Porta Bella » del Tempio, Pietro esclama: « Israeliti, perché vi meravigliate di questo? e perché tenete gli occhi su di noi, come se per nostra potenza o virtù lo avessimo fatto camminare? Il Dio d’Abramo, di Isacco e di Giacobbe, il Dio dei Padri nostri, ha glorificato il Suo Figlio Gesù, che voi avete tradito e rinnegato davanti a Pilato, mentre Lui aveva deciso di liberarlo. Ma voi rinnegaste il Santo e il Giusto, e chiedeste che vi fosse graziato un omicida; voi uccideste l’Autore della vita, che Dio però ha risuscitato dai morti, del che noi siamo testimoni. E per la fede nel nome di Lui, il Suo Nome ha rafforzato costui che vedete e conoscete, e la fede che vien da Lui gli ha dato davanti agli occhi vostri questa perfetta sanità » (Atti III, 12-16). – La cosa fece rumore. Tutta Gerusalemme ne fu commossa. Le guardie s’impadronirono di Pietro e di Giovanni, li gettarono in prigione fino al giorno seguente e l’indomani li menarono davanti agli Anziani del popolo, Farisei, Dottori della Legge, Scribi, principi dei Sacerdoti. Essi chiesero loro: « Con quale potere o in nome di chi avete fatto questo? » Allora Pietro pieno di Spirito Santo, che procede dal Verbo Eterno del Padre, che è una cosa sola col Suo divino Spirito, che parla ed agisce con lo Spirito, per lo Spirito, nello Spirito Santo, disse loto: « Capi del popolo ed Anziani, ascoltate. Giacché oggi siamo interrogati sul beneficio fatto ad un malato, affin di sapere in qual modo questo sia guarito, sia noto a voi tutti e a tutto il popolo d’Israele, come in nome del Signore Nostro Gesù Cristo Nazareno che voi crocifiggeste e Dio risuscitò da morte, in virtù di questo Nome costui è sano dinanzi a voi. Questa è la pietra riprovata da voi, costruttori, la quale è divenuta pietra angolare. Né c’è in altro salvezza. E non v’è altro Nome sotto il cielo dato agli uomini in virtù del quale possiamo salvarci (Atti IV, 9-12). Davanti a tale sicurezza, i sinedriti si turbarono. Che cosa fare, si chiesero, dei discepoli di Gesù che fanno miracoli strepitosi, in suo Nome, in virtù della sua potenza, e presentano il loro Maestro come il Messia, il Salvatore annunziato dai profeti, e soggiogano le folle? Presero la risoluzione di proibir loro assolutamente e con minacce di parlare ed insegnare nel Nome di Gesù. Pietro e Giovanni risposero: « Se sia giusto dinanzi a Dio l’obbedire a voi piuttosto che a Dio, giudicatelo voi stessi; noi poi non possiamo non parlare di quello che abbiamo visto e udito » (Atti IV, 19-20). Ai Giudei che avevano loro chiesto: Fratelli, che cosa faremo? Pietro aveva risposto: Pentitevi, e ciascuno di voi sia battezzato nel Nome di Gesù per ottenere il perdono dei vostri peccati; e riceverete come noi il dono dello Spirito Santo. Coloro che ricevettero la parola di Dio furono battezzati e in quel giorno il numero dei discepoli aumentò di circa tremila persone. – La Chiesa si organizzò prestissimo sotto forma di una comunità perfetta. Le persecuzioni da parte degli Anziani, del popolo, dei Farisei, Dottori della Legge, Scribi, principi dei Sacerdoti si succedettero. Ma il più accanito dei persecutori, Saulo, fu afferrato dall’azione folgorante dello Spirito Santo. Il Salvatore stesso intervenne per il Suo Spirito, col Suo Spirito, nel Suo Spirito. « Saulo, Saulo, perché mi perseguiti? » Ed egli chiese: « Chi sei, Signore ?» E udì questa risposta: «Io sono Gesù che tu perseguiti » (Atti IX, 3-7). Saulo si convertì e da ardente persecutore divenne Apostolo intrepido. Diventò l’Apostolo san Paolo, l’Apostolo dei Gentili, l’Apostolo dell’Occidente. Gli Apostoli partirono alla conquista spirituale del mondo. In circa trent’anni portarono il Vangelo in tutto il mondo romano. Suggellarono col proprio sangue la Verità della loro testimonianza, ad eccezione dell’Apostolo Giovanni, del quale il Salvatore aveva detto che non sarebbe morto di morte cruenta. Egli suggellerà col suo incomparabile amore la verità della sua testimonianza. – Tale è il mistero della Pentecoste; tali ne furono le conseguenze immediate che permettono di apprezzarne l’eccellenza e la prodigiosa portata. Ciò che il mistero della Pentecoste recò nel cuore degli Apostoli fu, con lo Spirito Santo, per lo Spirito Santo, nello Spirito Santo, una fede profonda e ardente nel Signore Gesù, Messia, Figlio di Dio, Dio. E nel medesimo tempo la comunicazione dell’Apostolato. Per lo Spirito Santo, con lo Spirito Santo, nello Spirito Santo, secondo la Grande Promessa che era stata loro fatta, il Salvatore tornava con essi, in essi per partire con loro alla conquista spirituale del mondo. –

3.

La Pentecoste dell’Antica Legge non durava che un giorno. Era la festa più solenne degli Giudei. La Pentecoste della Nuova Legge si perpetua sino alla fine dei tempi. Vi fu la Pentecoste solenne, dieci giorni dopo l’Ascensione, narrata nel libro degli Atti. Ma vi è un’altra Pentecoste, che si perpetua e si perpetuerà sino alla fine del mondo. Essa si compie nelle anime silenziosamente, nascostamente. Gesù, Verbo eterno del Padre, incarnato, risuscitato e glorioso, è nella gloria in mezzo agli eletti e, per il Suo Spirito, con il Suo Spirito, nel Suo Spirito, uno col Suo Spirito, comunica loro della pienezza della Sua gloria in proporzione dei loro meriti. È la loro ricompensa, la loro felicità. Ma continuamente, per il Suo divino Spirito, col Suo Spirito, nel Suo Spirito, uno col Suo divino Spirito, ritorna, viene nel cuore degli Apostoli, dei loro successori, dei loro continuatori, dei loro ausiliari, di tutti quelli che sono segnati del carattere del Suo sacerdozio e così creati, consacrati, resi atti, mediante tale consacrazione, a lavorare con Lui all’opera redentrice. – Così il Verbo eterno del Padre, incarnato, risuscitato e glorioso, per il Suo Spirito, col Suo Spirito, nel Suo Spirito, è nel Cielo in mezzo agli eletti dei quali forma la gloria e la felicità. Nel mondo, per il Suo Spirito, col Suo Spirito, nel Suo divino Spirito, Egli è ovunque vi sia un’anima santificata, presente, vivente in essa, per santificarla maggiormente. Ed è dappertutto ove trovasi un’anima da riscattare, salvare, santificare. Bussa alla porta, parla alla sua coscienza: aspetta che si apra, che si ceda ai Suoi inviti. – E tale presenza spirituale non gli è bastata, non gli basta, talmente è grande ed infinito l’amore che ha per noi, uomini, l’amore che lo anima e lo ispira, che ha ispirato e continua ad ispirare tutti i suoi atti. Prima di compiere sulla croce il gran sacrificio della nostra Redenzione, nel quale ha sparso fino all’ultima goccia il suo Sangue, ha istituito il sacramento del Suo amore, amandoci sino alla fine, usque in fine, come ha scritto l’Apostolo san Giovanni (Gv. XIII, 1), cioè non solo sino alla fine della sua vita terrena ma, come lo fanno molto giustamente notare gli esegeti, amandoci quanto poteva amarci, Lui, Verbo eterno del Padre, Verbo incarnato, Figlio di Dio, Dio. Questo sacramento è l’Eucarestia. Egli ha istituito il Sacramento dell’Eucarestia, nel quale sotto le semplici apparenze del pane e del vino, si rendeva realmente presente col Suo corpo, con la Sua anima, e compiva. Misticamente il sacrificio col quale annunziava il sacrificio cruento della croce, nel quale, dopo la sua morte, la Sua Risurrezione ed Ascensione, per mezzo del ministero del suo sacerdote, si renderebbe ancora realmente presente, con la sua umanità glorificata, si sacrificherebbe misticamente, sotto le specie del pane e del vino, per commemorare e rendere possibile l’applicazione, sino alla fine dei tempi, del santo Sacrificio della croce; e nel quale sarebbe pure realmente presente, Lui Verbo di Dio fatto uomo, Cristo risuscitato e glorioso, per essere cibo delle anime nostre, sì, cibo, Pane vivo destinato a nutrire la vita spirituale che mantiene in noi, per il Suo Spirito, col Suo Spirito, nel Suo Spirito. È un pane di vita, destinato ad alimentare in noi la vita spirituale che Egli ha creato e conserva, per il suo Spirito, col Suo Spirito, nel Suo Spirito. – Amabile nostro Salvatore, come può mai avvenire che alcuni, disconoscendo talmente il tuo amore, si siano applicati a diminuire, a menomare il mistero del Sacramento di amore, al punto da ridurre la tua presenza eucaristica alla sola presenza spirituale, oppure a ciò che essi chiamano una presenza simbolica che non è una presenza, ma soltanto un segno, ricusando di riconoscere e affermare il mistero del tuo amore, obbedendo così al meschino intellettualismo, del tutto umano, a una falsa filosofia, a vedute umane, a pregiudizi trovati nei libri. Se il mistero è in fondo all’amore umano, quando è vivo e profondo, perché deve recar meraviglia che esso si trovi infinitamente, in fondo all’amore del nostro Dio! Come è possibile che essi abbiano potuto trascinare nei loro errori ed eresie una parte della comunità cristiana, che in uno scisma orgoglioso perpetua i loro errori e le loro eresie? È disconoscere il tuo amore infinito per noi, Signore Gesù. Ma non hai permesso e non permetterai mai che le tenebre del peccato estinguano la Luce del tuo Spirito, né che la morte del peccato soffochi o paralizzi la Vita che sei venuto a portare sulla terra e che vi mantieni, per il Tuo Spirito, col Tuo Spirito, nel Tuo Spirito, uno col Tuo divino Spirito. Quando ci troveremo sul letto di morte e tutte le cose ci appariranno chiaramente, in tutta la loro grandezza e beltà, proveremo grande confusione e rimpianto per non averle viste abbastanza, durante la nostra vita terrena, come avremmo potuto vederle se fossimo stati più attenti, meno accecati dalla nostra filosofia, dai pregiudizi, dalle occupazioni materiali. Dal più profondo dell’anima nostra s’innalzerà, Signore Gesù, il grido che implora perdono. E Tu, o Gesù, ci perdonerai. E l’anima nostra ormai libera da quanto le era di ostacolo, dalle sue oscurità, si slancerà verso di Te nella gloria per contemplarti, Verbo eterno del Padre, incarnato, risuscitato e glorioso, in mezzo agli eletti, da cui procede lo Spirito, per il quale, col quale, nel quale, sarai in noi, come sei in tutti i Santi, per glorificarci e divinizzarci, secondo la misura dei nostri meriti. – Tale è il mistero della Pentecoste che continua nello spazio e nei tempi. È il mistero del grande intervento soprannaturale di Dio nelle anime, unito alla Sua azione naturale di creazione e conservazione del mondo, di direzione, di concorso e di provvidenza. Il fatto è palese per tutti coloro che sanno vedere con gli occhi del corpo, dello spirito e nel medesimo tempo anche con quelli della fede. Esso prova, come sanno provare i fatti: mostra Dio, Trinità Santa, il nostro Salvatore Gesù, Verbo di Dio fatto uomo, incarnato, risuscitato e glorioso, vivente nel Cielo, nella gloria, ma anche vivente nelle anime che sono sulla terra, per il Suo Spirito, col Suo Spirito, nel Suo Spirito, per santificarle sempre più, e divinizzarle, quanto possono essere divinizzate le creature, in proporzione dei loro meriti. Da lungo tempo è stato detto e lo si ripete ancora, che la Chiesa cristiana è un fatto che reca in se stessa la prova della sua divinità. Questo mistero è alla base di tutta la civiltà giudeo-greco-latina di cui viviamo. Quella greco-latina che l’ha preceduta, non ha fatto che prepararla. Le civiltà che essa ha appena toccato l’attendono per impregnarsene e viverne. Che lo si riconosca con ammirazione entusiasta e con ardente amore, o si disconosca con accecamento colpevole e sterile, Gesù, Verbo eterno del Padre, incarnato risuscitato e glorioso, presente nelle anime, viventi in esse, nelle coscienze, per il Suo Spirito, col Suo Spirito, nel Suo Spirito, che è una cosa sola con Lui; presente, vivente con i capi, nei capi, gli Apostoli, coloro che Egli ha mandato e quelli che continua a mandare, per comandare e dirigere sotto di Lui, come è pure presente, vivente coi fedeli, nei fedeli che li seguono, è l’attività infinita e infinitamente varia, la forza intelligente infinita, l’autorità assoluta tutta impregnata di amore, l’autorità che governa il mondo e che tutti dobbiamo ricevere. Christus vincit, Christus regnat, Christus imperat.

UN’ENCICLICA AL GIORNO, TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO: SS. PIO VI – “DUM NOS”

Questa lettera Enciclica fu redatta dal S. Padre Pio VI ed inviata ai Vescovi e Prelati francesi, in occasione dei soprusi perpetrati nei confronti dei religiosi e dei territori pontifici di Avignone e del contado Vanesino, indegnamente usurpati da loschi e facinorosi rivoluzionari guidati dalle sette di perdizione. Gli avvenimenti della rivoluzione francese, iniziati al termine dei mille anni in cui satana è stato incatenato, sono in piccolo quelli che si verificheranno – e se ne vedono già i prodromi – negli ultimi giorni del mondo, che vedranno l’arrivo del figlio della perdizione come la sacra Scrittura e le profezie bibliche ci annunciano. Il Santo Padre dell’epoca, un Papa duramente provato dall’azione infernale dei rivoluzionari e dei loro nuovi capi, tra cui lo “sterminator” apocalittico di Ajaccio, esortava i fedeli francesi – esortazione ancor più valida oggi per tutti i veri Cattolici – a sopportare con pazienza fino alla perseveranza finale, infatti « … non è sufficiente sopportare per un certo tempo le ingiurie soltanto con animo forte, ma è necessario perseverare con la stessa costanza fino alla fine e, se è necessario, sacrificare la propria vita. » Ci piace sottolineare ancora la bella espressione finale dell’Enciclica: « Convertitevi con Noi, confidando con indubbia speranza in Dio; pregatelo incessantemente, così come anche Noi lo preghiamo, perché tenga lontano il rigore della sua giustizia, e con quella misericordia di cui è fornito illumini le menti dei ribelli e dei loro sostenitori, e renda le loro anime ferventi nell’ossequio e nella venerazione verso la sua santa Religione e nello zelo e nello spirito di obbedienza verso questa Sede Apostolica. » Questa Lettera Enciclica ci ammaestra quindi in questi tempi di gravissimi attacchi a Dio, al suo Cristo, alla sua “vera” Chiesa e al suo Pontefice legittimo – il successore di S. S. Gregorio XVII – a pazientare e perseverare fino al martirio, se necessario, certi della vittoria finale di Gesù Cristo, vero ed unico Messia, e dell’ingresso nella Gerusalemme celeste che ci salverà dallo stagno di fuoco preparato per le bestie (i popoli e le nazioni infedeli o apostate con i loro governanti e gli aderenti alle logge infernali), il falso profeta (gli antipapi del Vaticano II, i modernisti seguaci del “signore dell’universo”, i fallibilisti ed i sedevacantisti eretici e scismatici e gli adepti delle false sette dei protestanti, e degli ortodossi,), ed il dragone antico e maledetto al quale la Vergine Maria schiaccerà il capo … ET IPSA CONTERET CAPUT TUUM).

Pio VI
Dum nos

All’Arcivescovo di Avignone e i Vescovi di Carpentras, Cavaillon e Vaison, e ai diletti Figli del Capitolo, del Clero e del Popolo della città di Avignone e del Contado Venesino.

1. Mentre Vi scriviamo questa nuova lettera apostolica come P astore universale e vostro sovrano, pensiamo che non vi sia occasione più opportuna e più valida perché Noi possiamo continuare a lodare coloro che fedeli a Dio e al loro sovrano sono accusati e condannati dall’attuale Assemblea Nazionale francese; al contrario, mentre di nuovo ammoniamo ed esortiamo alla penitenza coloro che sono ribelli a Dio e al loro sovrano, la stessa Assemblea francese li esalta con tante lodi, fra l’incredibile stupore di tutte le genti.

2. Dio, dal quale le Nostre colpe e quelle dei popoli sono punite attraverso le tribolazioni, ma che non abbandona mai nessuno di coloro che difendono particolarmente la sua causa, in verità Ci ha consolato con una non trascurabile soddisfazione. Infatti, per opera divina è accaduto che la Nostra precedente lettera ammonitrice che Vi abbiamo inviato il 23 aprile dello scorso 1791 (non per usare la prepotenza o qualche altra difesa propria di quest’epoca, delle quali si avvalgono i potenti del mondo, ma in nome del Signore Dio Nostro) e che Voi, Venerabili Fratelli, guidati da uno spirito non dissimile di bontà, Vi preoccupaste di diffondere, ebbe presso i capitoli, i parroci, il clero, i magistrati e la gente, e anche presso molti fautori della Costituzione francese, tale e tanta forza che a tutto il mese di febbraio di quest’anno furono vani quasi tutti gl’iniqui tentativi degli avversari, tante volte esperiti e con il decreto del 14 settembre dello scorso anno nuovamente ripetuti con i quali l’Assemblea Nazionale – essendo inutilmente riluttante e contraria una gran parte, la più sana, del popolo – tolti di mezzo altri quattro decreti speciali da essa stessa emessi, e cancellato e annullato un altro decreto generale approvato in precedenza che vietava l’occupazione della proprietà altrui, e poste in non cale tutte le leggi umane e divine, nonostante l’indignazione di tutti i sovrani d’Europa osò invadere con la violenza il Nostro territorio di Avignone e del Contado Venesino ed annetterlo al regno di Francia.

3. A comprovare l’ottimo esito che le Nostre precedenti esortazioni avevano conseguito contro tentativi tanto indegni, potremmo enumerare con opportuna orazione le nobili imprese con le quali Voi, Venerabili Fratelli e diletti Figli, avete onorato soprattutto la vostra Religione, che Ci sta particolarmente a cuore, e successivamente la Vostra fedeltà verso di Noi, sopportando, con ammirevole costanza, taluni la perdita dei beni e delle fortune, altri l’esilio, altri le ingiurie e le persecuzioni, altri il carcere, e altri infine lo sterminio e la morte stessa. Da questo derivò che pochi ecclesiastici e laici seguirono Benedetto Francesco Malierio, pseudo-vicario capitolare della Chiesa di Avignone, che Noi già sospendemmo con precedente lettera dall’esercizio dell’ordine. Si tratta di persone non molto dissimili dai suoi costumi e dalla sua indole, abbastanza noti per la gravità dei delitti compiuti. Egli dovette utilizzare i predetti sia nell’adempimento dei compiti della Chiesa, come si deduce chiaramente dall’editto in lingua volgare pubblicato il 10 giugno 1791, con il quale fu indetta da lui una Supplica per le feste del Corpus Domini, sia delegando alcuni pseudo-parroci, che la maggior parte della popolazione religiosamente e pubblicamente rifiutò di riconoscere, tanto che disprezzò sia il delegante sia i delegati.

4. Sarebbe facile per Noi citare pubblicamente molti altri esempi della vostra religiosità e della vostra fedeltà a maggiore vostra gloria ed onore, ma Ci asteniamo deliberatamente dal ricordarli in quanto uomini assolutamente insospettabili (cioè coloro che chiamano “Comitati delle petizioni e di sorveglianza“) li hanno raccolti in una relazione presentata all’Assemblea francese durante la sessione dell’11 febbraio scorso dedicata alla situazione di Avignone e del Contado Venesino. Dato che la relazione è stata stampata e diffusa largamente, nessuno ignora che lo spirito pubblico è tanto mutato ad Avignone, e molto di più a Carpentras e in altre località del Contado, essendo pochi, e apertamente disprezzati, coloro che sostenevano la Costituzione Gallicana e che i relatori Gallici ricolmano di tante lodi. Per contro è ingente il numero di coloro che essi chiamano sediziosi e seduttori, cioè di coloro che fra gli ecclesiastici, fra i magistrati e fra i laici brillavano per il culto a Dio e per la fedeltà al loro sovrano, tanto che sarebbe prossimo, e non potrebbe assolutamente essere evitato, il ritorno a quello stato nel quale erano prima della ribellione.

5. Rallegratevi ed esultate, Venerabili Fratelli, che allora vi segnalaste per zelo, pietà, carità, e particolarmente tu, Vescovo di Carpentras, che per i tuoi meriti eccezionali ti sei meritato un maggiore elogio. Nello stesso tempo rallegratevi anche voi, diletti Figli, che uniti ai vostri legittimi pastori forniste straordinari motivi della vostra pietà; rallegratevi tutti, diciamo, per le ingiurie che vi vengono indirizzate in quella relazione e che si volgono a vostro onore e decoro, e ricordatevi con Sant’Agostino che “anche il Signore Gesù Cristo fu chiamato seduttore, a conforto dei suoi servi, quando sono detti seduttori“.

6. Se questa è la situazione di Avignone e del Contado Venesino alla data dello scorso febbraio, a buon diritto speriamo che quei pochi che perseverano nell’errore e nell’infedeltà si convertano e seguano la maggioranza, ma non possiamo assolutamente ignorare il nuovo genere di delitto compiuto dall’Assemblea Nazionale con il decreto del 3 marzo scorso. Infatti, con questo decreto essa si è arrogata il diritto di dividere il Nostro territorio di Avignone e del Contado Venesino in due distretti, e di sottometterli al duplice distretto del Rodano e della Druma, che i Francesi chiamano Dipartimento, e al contempo di stabilire che tutte le leggi dell’Impero francese siano valide senza indugi anche nel Nostro territorio, e che le singole Municipalità siano rinnovate. Inoltre, con nuovi decreti subito emessi l’Assemblea comandò che venisse revocata la formazione de la marck, e che ad essa fossero assegnati altri soldati; ché, anzi, fra gli stessi rabbrividenti popoli di Parigi, e con loro meraviglia, giunse al punto di comandare di liberare dalle carceri quei mostri che il 16 ottobre dell’anno scorso si macchiarono di un delitto tanto indegno e tanto volgare; e ciò ordinò per nessuna altra ragione se non perché nei grandi rivolgimenti delle cose non si possono considerare delitti le scelleratezze più gravi che persino le genti barbare e incolte detestano e ne inorridiscono.

7. È tale il furore di cui ardono e da cui sono presi i nemici, che Noi, con immenso dolore del Nostro animo, già vediamo Voi, Venerabili Fratelli e diletti Figli, soggetti a tutte quelle persecuzioni che dall’empietà, dallo scisma e dall’eresia poterono mai essere escogitate, così che ai Nostri occhi appare già vicino il momento nel quale ci sarà un nuovo e più crudele pericolo per la vostra religiosità e per la vostra fede. Ci è già stata riferita la voce di una nuova persecuzione non solo contro gli uomini ma – ciò che non si può ascoltare senza orrore e che rivela i criminali intendimenti dei persecutori – anche contro le sacre immagini. In questo momento decisivo è necessario che vi sia riferito il Nostro parere.

8. Per quanto riguarda la Religione, non Vi sfugge che non è sufficiente sopportare per un certo tempo le ingiurie soltanto con animo forte, ma è necessario perseverare con la stessa costanza fino alla fine e, se è necessario, sacrificare la propria vita. Infatti, non chi ha incominciato ma “colui che avrà perseverato fino in fondo sarà salvo” (Mt 10,32). Quella costanza che finora avete dimostrato Ci spinge a sperare che sarete egualmente costanti in futuro contro qualunque rischio della sorte e anche della vita: il che sarà certamente condiviso da Noi che, sebbene assenti, porteremo i vostri tormenti come fossero Nostri.

9. Affinché, poi, i buoni vengano maggiormente confermati nel loro proposito e sia concesso ai cattivi un nuovo spazio della Nostra benignità per la loro resipiscenza, come già ritenemmo che fosse da estendere ai popoli del Nostro territorio Avignonese e del Contado Venesino la Nostra precedente lettera ammonitrice del 13 aprile 1791 da Noi indirizzata ai diletti Nostri Figli i Cardinali di Santa Romana Chiesa e ai Venerabili Fratelli Arcivescovi e Vescovi e ai diletti Figli del Capitolo, del Clero e del popolo del regno di Francia, così ora estendiamo agli stessi popoli la nuova lettera ammonitrice del 19 marzo scorso, indirizzata agli stessi Arcivescovi, Vescovi, Capitoli, Clero e popolo del regno di Francia, con la quale viene fissato lo spazio di sessanta giorni dalla data di essa per la seconda ammonizione, e di altri sessanta giorni per la terza. – Ciò è riferito soprattutto a Benedetto Francesco Malierio, pseudo-vicario capitolare della Chiesa Avignonese, ai parroci, ai vicari e agli altri preti che, non delegati dai legittimi pastori, si sono impadroniti della direzione spirituale, e a tutti gli altri ecclesiastici che l’avevano occupata anche in forza della tentata divisione dei Nostri territori, secondo le diverse classi distintamente e chiaramente espresse nell’ultima Nostra lettera della quale, Venerabili Fratelli, vi abbiamo spedito molte copie affinché esse, unite a questa lettera, secondo le vostre possibilità siano mandate in giro ai Capitoli, al Clero e al popolo di Avignone e del Contado. Frattanto sarà Nostra cura provvedere affinché le stesse siano diffuse non solo in codeste regioni, ma anche in quelle vicine, in modo che nessuno le ignori.

10. Guardando la travagliata condizione delle cose francesi, con altra lettera dello stesso 19 marzo Noi concedemmo agli Arcivescovi, ai Vescovi ed agli Amministratori delle diocesi del regno di Francia particolari facoltà in forza delle quali potessero provvedere al bene spirituale della gente. Poiché non meno travagliata è la condizione di Avignone e del Contado Venesino, estendiamo anche a Voi, Venerabili Fratelli, le stesse facoltà, con le stesse condizioni comprese nell’indulto, del quale troverete diverse copie allegate a questa lettera.

11. Queste sono le provvidenze che servono a tenere la Religione riparata e protetta, e a renderne più spedite le norme e le procedure. Per quanto riguarda la fedeltà che Ci spetta quale legittimo sovrano, non ignorate, Venerabili Fratelli e diletti Figli, come in gran parte dimostrano le cose da Voi compiute, da quale stretto vincolo siate tenuti ad osservarla, dal momento che ciascuno è obbligato dal divino precetto “ad ubbidire ai legittimi poteri” (Rm 13,1; Eb 13,17), e ciò è richiesto dallo stesso giuramento che Voi, non diversamente dai vostri antenati, avete prestato a questa Sede Apostolica, così che i buoni e i cattivi, secondo le loro possibilità, non debbano omettere nulla di quelle cose che possono sostenere i primi nella fedeltà, e ricondurre i secondi a quella obbedienza dalla quale si distaccarono: ciò per liberare Noi dalla necessità di mettere in uso rimedi più energici e di porre mano alle dovute pene.

12. Abbiamo trattato con gli stessi ribelli come se fossero figli, e nel colmo della sfida abbiamo dato considerevoli aiuti agli uni e agli altri. Sappiamo che l’antico governo di questa Santa Sede, libero ed esente da ogni dazio, suscitò l’invidia di tutti i popoli; assai spesso abbiamo dichiarato che se alcuni, a Nostra insaputa, fossero caduti costà in abusi, immediatamente si sarebbe provveduto da Noi ad allontanarli e a castigarli; non si possono sovvertire gl’imperi ad arbitrio dei popoli e introdurre con leggerezza nuove forme di governo. Perciò nulla è stato tralasciato da parte Nostra, tanto che possiamo sperare per il futuro che gli stessi ribelli, quando si sia calmata un po’ la passione del fanatismo, debbano riconoscere l’orrore dei propri crimini, il peso di nuovi balzelli e servitù, e di tanti altri gravi mali che finora non ebbero ed ai quali, sotto l’aspetto di una simulata e fittizia libertà, saranno senza dubbio contrari, non senza rovina della loro patria se non si ritireranno subito dalla lotta nella quale furono trascinati già da due anni per disobbedienza, corruzione e per ogni genere di violenza.

13. Noi peraltro, restando in quel modo d’agire paterno che abbiamo usato finora con Voi, e nella trasparente giustizia della Nostra causa che con Nostra gioia riconobbero i principi, tutti i re e l’universo mondo, non pensando minimamente di rinunciare in qualunque modo ai Nostri diritti o di trattare qualsiasi compensazione per il principato che i primi decreti dell’Assemblea Nazionale rivendicano da Noi, e che pertanto Ci confermano che il possesso di oltre cinque secoli è titolo legittimo e indiscutibile, Noi qui non solo dichiariamo valido il Nostro chirografo del 5 novembre 1791 con il quale, aderendo alle precedenti proteste ed essendo oltremodo manifesto a tutti la falsità e la calunnia di quegli argomenti che pretendevano di giustificare l’iniqua occupazione, dichiarammo nullo il decreto del 14 settembre dello stesso anno, ma inoltre dichiariamo invalido, irrito e di nessun valore e merito il nuovo decreto del 3 marzo, e tutto ciò che decisero o forse decideranno a danno del Nostro principato, unitamente a tutti gli atti che con temerario ardimento siano già stati perpetrati o verranno perpetrati. Disponiamo e comandiamo che questa Nostra lettera, unitamente a quella del 23 aprile 1791, sia allegata al predetto chirografo e sia conservata a perpetua memoria nell’archivio segreto della Nostra camera.

14. È tanto il Vostro zelo, Venerabili Fratelli e diletti Figli, che riteniamo inutile aggiungere nuove esortazioni. Convertitevi con Noi, confidando con indubbia speranza in Dio; pregatelo incessantemente, così come anche Noi lo preghiamo, perché tenga lontano il rigore della sua giustizia, e con quella misericordia di cui è fornito illumini le menti dei ribelli e dei loro sostenitori, e renda le loro anime ferventi nell’ossequio e nella venerazione verso la sua santa Religione e nello zelo e nello spirito di obbedienza verso questa Sede Apostolica.

Accesi da questi desideri, a Voi, Venerabili Fratelli, e a Voi, diletti Figli, impartiamo con grande amore l’Apostolica Benedizione.

Dato a Roma, presso San Pietro, il 19 aprile 1792, nel diciottesimo anno del Nostro Pontificato.

DOMENICA FRA L’OTTAVA DELLA NATIVITÀ (2021)

DOMENICA FRA L’OTTAVA DELLA NATIVITÀ DEL SIGNORE. (2021)

(Messale Romano di S. Bertola e G. Destefani, comm. di D. G. LEFEBVRE O. S. B; L. I. C. E. – R. Berruti & C. Torino 1950)

Semidoppio. – Paramenti bianchi.

La Messa ci dice che “il Verbo disceso dal Cielo durante la notte  di Natale” (Intr.) è « il Figlio di Dio venuto per renderci partecipi della sua eredità come figli adottivi » (Ep.). Prima di Lui, l’uomo era infatti come « un erede, che, nella sua minorità, non differisce da un servo » (Ep.). Ora invece che la legge nuova l’ha emancipato dalla tutela dell’antica, « egli non è più servitore, ma figlio » (Ep.). – Rivelandoci questa paternità soprannaturale di Cristo, che colpisce più specialmente le nostre anime in questo tempo di Natale, la liturgia fa risplendere ai nostri occhi la Divinità sotto l’aspetto di Paternità. Cosi il culto dei figli di Dio si riassume in questa parola, detta con Gesù, con labbra pure e retto cuore: « Padre!». (Ep.).Il Vangelo ci mostra anche quale sarà in avvenire la missione grandiosa di questo Bambino che comincia a manifestarsi oggi nel tempio. « È il Re » (Grad.) « il regno del quale » (All.) « penetrerà fino all’intimo dei cuori» (Vang.). Per tutti sarà una pietra di salvezza; pietra d’inciampo per quelli che lo perseguiteranno (Com.), pietra angolare «per molti in Israele» (Vang.). L’Introito parla della notte nella quale l’Angelo di Dio colpì primogeniti degli Egiziani, preparando la liberazione d’Israele, immagine della notte santa nella quale la Beatissima Maria mise alla luce il Salvatore, venuto per liberare l’umanità.

Incipit 

In nómine Patris, ☩ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus 

Sap XVIII:14-15.
Dum médium siléntium tenérent ómnia, et nox in suo cursu médium iter háberet, omnípotens Sermo tuus, Dómine, de cœlis a regálibus sédibus venit
.

[Mentre tutto era immerso in profondo silenzio, e la notte era a metà del suo corso, l’onnipotente tuo Verbo, o Signore, discese dal celeste trono regale.]

Ps XCII:1
Dóminus regnávit, decórem indútus est: indútus est Dóminus fortitúdinem, et præcínxit se.

[Il Signore regna, rivestito di maestà: Egli si ammanta e si cinge di potenza.]

Dum médium siléntium tenérent ómnia, et nox in suo cursu médium iter háberet, omnípotens Sermo tuus, Dómine, de coelis a regálibus sédibus venit.

[Mentre tutto era immerso in profondo silenzio, e la notte era a metà del suo corso, l’onnipotente tuo Verbo, o Signore, discese dal celeste trono regale.]

Oratio 

Orémus.
Omnípotens sempitérne Deus, dírige actus nostros in beneplácito tuo: ut in nómine dilécti Fílii tui mereámur bonis opéribus abundáre.

[Onnipotente e sempiterno Iddio, indirizza i nostri atti secondo il tuo beneplacito, affinché possiamo abbondare in opere buone, in nome del tuo diletto Figlio]

Lectio

 Lectio Epístolæ beati Pauli Apostoli ad Gálatas.
Gal IV: 1-7
Patres: Quanto témpore heres párvulus est, nihil differt a servo, cum sit dóminus ómnium: sed sub tutóribus et actóribus est usque ad præfinítum tempus a patre: ita et nos, cum essémus párvuli, sub eleméntis mundi erámus serviéntes. At ubi venit plenitúdo témporis, misit Deus Fílium suum, factum ex mulíere, factum sub lege, ut eos, qui sub lege erant, redímeret, ut adoptiónem filiórum reciperémus. Quóniam autem estis fílii, misit Deus Spíritum Fílii sui in corda vestra, clamántem: Abba, Pater.
Itaque jam non est servus, sed fílius: quod si fílius, et heres per Deum.

[Fratelli: Fin quando l’erede è minore di età, benché sia padrone di tutto, non differisce in nulla da un servo, ma sta sotto l’autorità dei tutori e degli amministratori, fino al tempo prestabilito dal padre. Così anche noi, quando eravamo minori d’età, eravamo servi degli elementi del mondo. Ma quando venne la pienezza dei tempi, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la legge, affinché redimesse quelli che erano sotto la legge, e noi ricevessimo l’adozione in figli. Ora, poiché siete figli, Iddio ha mandato lo spirito del suo Figlio nei vostri cuori, il quale grida: Abba, Padre. Perciò, ormai nessuno è più schiavo, ma figlio, e se è figlio, è anche erede, per la grazia di Dio.]

S. Paolo insegna così ai Galati che, essendo passati dal Giudaismo al Cristianesimo, sono affrancati dalla servitù dell’antica legge, e sotto la nuova debbonsi riguardar come figli di Dio, e chiamarlo Abba, cioè caro Padre, perché ha dato loro per fratello il suo Figlio Gesù Cristo. La nostra felicità nel diventar Cristiani è stata ancora più grande di quella dei Giudei, perché i nostri padri erano pagani. Ringraziamo ogni giorno il Signore di sì gran benefizio, ed attestiamogli la nostra riconoscenza, con la fede, la carità, la confidenza, la pazienza e con la più esatta vigilanza per evitare il peccato, l’unico male, che privandoci del titolo di figli di Dio, e di tutti i privilegi a questo uniti, ci sottoporrebbe di nuovo alla schiavitù del demonio. (L. Goffiné, Manuale per la santificazione delle Domeniche e delle Feste; trad. A. Ettori P. S. P.  e rev. confr. M. Ricci, P. S. P., Firenze, 1869).

Graduale

Ps XLIV:3; 44:2
Speciósus forma præ filiis hóminum: diffúsa est gratia in lábiis tuis.

[Tu sei bello fra i figli degli uomini: la grazia è diffusa sulle tue labbra.]

V. Eructávit cor meum verbum bonum, dico ego ópera mea Regi: lingua mea cálamus scribæ, velóciter scribéntis.

[V. Mi erompe dal cuore una buona parola, al re canto i miei versi: la mia lingua è come la penna di un veloce scrivano.]

Alleluja

Allelúja, allelúja
Ps XCII: 1.
Dóminus regnávit, decórem índuit: índuit Dóminus fortitúdinem, et præcínxit se virtúte. Allelúja.

 [Il Signore regna, si ammanta di maestà: il Signore si ammanta di fortezza e di potenza. Allelúja]

Evangelium 

Sequéntia ✠ sancti Evangélii secundum Lucam.
R. Gloria tibi, Domine!
Luc II:33-40
In illo témpore: Erat Joseph et Maria Mater Jesu, mirántes super his quæ dicebántur de illo. Et benedíxit illis Símeon, et dixit ad Maríam Matrem ejus: Ecce, pósitus est hic in ruínam et in resurrectiónem multórum in Israël: et in signum, cui contradicétur: et tuam ipsíus ánimam pertransíbit gládius, ut reveléntur ex multis córdibus cogitatiónes. Et erat Anna prophetíssa, fília Phánuel, de tribu Aser: hæc procésserat in diébus multis, et víxerat cum viro suo annis septem a virginitáte sua. Et hæc vídua usque ad annos octogínta quátuor: quæ non discedébat de templo, jejúniis et obsecratiónibus sérviens nocte ac die. Et hæc, ipsa hora supervéniens, confitebátur Dómino, et loquebátur de illo ómnibus, qui exspectábant redemptiónem Israël. Et ut perfecérunt ómnia secúndum legem Dómini, revérsi sunt in Galilæam in civitátem suam Názareth. Puer autem crescébat, et confortabátur, plenus sapiéntia: et grátia Dei erat in illo.

[“In quel tempo il padre e la madre di Gesù restavano meravigliati delle cose, che di lui si dicevano. E Simeone li benedisse, e disse a Maria, sua madre: Ecco che questi è posto per ruina e per risurrezione di molti in Israele, e per bersaglio alla contraddizione; e anche l’anima tua stessa sarà trapassata dal coltello, affinché di molti cuori restino disvelati i pensieri. Eravi anche una profetessa, Anna figliuola di Fanuel, della tribù di Aser: ella era molto avanzata in età, ed era vissuta sette anni col suo marito, al quale erasi sposata fanciulla. Ed ella era rimasta vedova fino agli ottantaquattro anni, e non usciva dal tempio, servendo Dio notte e giorno con orazioni e digiuni. E questa, sopraggiungendo in quel tempo stesso, lodava anch’essa il Signore, e parlava di Luì a tutti coloro, che aspettavano la redenzione d’Israele. E soddisfatto che ebbero a tutto quello che ordinava la legge del Signore, se ne tornarono nella Galilea alla loro città di Nazaret. E il Bambino cresceva, e si fortificava pieno di sapienza: el a grazia di Dio era in lui”]

OMELIA

(G. Colombo: Pensieri sui Vangeli e sulle feste del Signore e dei Santi; VI ediz. – Soc. Ed. Vita e pensiero.- Milano 1956)

L’INSEGNAMENTO DI SIMEONE, ANNA E MARIA VERGINE PER LA FINE DELL’ANNO

Viveva ancora in Gerusalemme, tra la corruzione del popolo d’Israele, un integerrimo vegliardo. Egli vedeva come la patria, così splendida una volta, era caduta sotto gli artigli dell’aquile romane ed era governata dagli idolatri; vedeva come nell’anima de’ suoi connazionali erano morte le antiche promesse, ed ognuno, dimenticando la legge di Dio, pensava soltanto agli affari, al commercio, alle ricchezze: perfino il tempio marmoreo, che i padri con gemiti e lacrime avevano costruito, era diventato una spelonca di truffatori e di mercanti. Tutto questo e le prevaricazioni d’Israele e la schiavitù sotto il giogo straniero, il vecchio Simeone vedeva con profondo dolore.. Ma il suo cuore era pieno di luce e di speranza, poiché il Signore gli aveva detto: « Ancora un poco e il Messia arriverà; tu non morrai senz’averlo veduto ». Dopo questa rivelazione non visse che per aspettarlo: e nell’attesa i suoi capelli s’erano fatti bianchi, e le sue membra logore e tremanti di vecchiaia. Un giorno, guidato da un’ispirazione celeste, era entrato nel tempio. Accanto all’altare una giovane madre offriva al sacerdote il suo primogenito neonato: in quell’istante il mistero gli fu rivelato. Tremante di gioia prese il Bambino tra le sue braccia e lo baciò esclamando nell’estasi: « Signore! Fammi pur morire, ora! i miei occhi, come l’hai promesso, hanno visto il Salvatore, il Salvatore che innalzasti davanti ai popoli come un faro potente che illuminerà le umane stirpi e glorificherà i tuoi figli ». – La giovane madre Maria attonita guardava. Il vegliardo le disse: « Madre! Se questo tuo Figlio diverrà il segnacolo della contraddizione e intorno a Lui l’odio e l’amore, la rovina e la resurrezione cozzeranno, una spada affilata aprirà nel tuo cuore uno squarcio grande ». La Madre di Dio, senza tremare, ascoltava e taceva. Ed ecco avanzarsi la profetessa Anna, la figlia di Phanuel della tribù di Aser, quella che dopo solo sett’anni perdette il marito e rimase vedova per sempre. Era di età avanzatissima, e viveva nel tempio, e pregava e digiunava e serviva il Signore giorno e notte. Ella adorò il Messia deposto sull’altare delle offerte, e a tutti parlava di Lui e della salvezza che Egli portava. Questo è il mistero della Presentazione. Il suo significato più vero è di offerta. Gesù, fin dai primi giorni di sua vita, si offre a Dio per noi: ma la sua offerta non gioverà alla nostra salute se noi non offriamo qualche cosa di nostro con Lui. – Comprendete ora l’insegnamento della Chiesa che facendoci leggere questo Vangelo nell’ultima domenica dell’anno sembra quasi volerci dire: « La vostra offerta dov’è? Nulla avete raccolto in tutto quest’anno da poter offrire con Gesù? Su, offrite ». – « Che cosa dobbiamo offrire? » penseranno alcuni tra voi. Che cosa dobbiamo, avremmo dovuto offrire, ce lo insegnano le tre persone in giro all’altare su cui, candida offerta per il mondo, sta il piccolo Figlio di Dio: Simeone, Anna, Maria. Simeone offrì la sua vita, distaccata da ogni bene terreno, e tutta vissuta nell’aspettare Iddio. Anna offrì la sua vedovanza, distaccata da ogni pensiero mondano e da ogni piacere sensuale. Maria offrì il suo cuore materno, trafitto da una spada affilata. – 1. SIMEONE, OSSIA DEL DISTACCO DAI BENI TERRENI. Ecce homo exspectans… ecco un uomo che viveva nell’attesa di un bene eterno con appassionata speranza. Il suo cuore non si era ingolfato, come quello di molti Giudei, nell’avarizia e nella smania della roba e del denaro, il suo cuore non si era acquietato alla schiavitù dei Romani. Un gran desiderio ogni giorno l’assetava di più: vedere il Messia. Fissare i suoi occhi lagrimosi in quegli occhi che portavano in terra l’immagine del Paradiso, abbracciare quella Carne che avrebbe sfamato in tutti i secoli le anime, baciare quella bocca che avrebbe detto la verità… Volgiamoci indietro, Cristiani, e osserviamo se in questi dodici mesi anche noi siamo vissuti in questo desiderio, in questa ricerca, in questa attesa di Dio. Abbiamo avuto sete e golosità del vino e d’ogni bevanda, e non dell’Acqua viva che sale all’eterna vita. – Abbiamo cercato le medicine per guarire e preservarci dai mali del corpo, e abbiamo disprezzato la Medicina per guarire e preservarci dai mali dell’anima. Abbiamo voluto il nostro paradiso in terra; e del vero Paradiso, quello nel cielo, quello al di là della morte, non abbiamo saputo che farne. Et Spiritus Sanctus erat in eo. Lo Spirito Santo, che abita in quelle persone che non hanno il peccato mortale, abitava nel giusto Simeone. Ed in quest’anno, dite, lo Spirito Santo ha potuto abitare in voi? Gli avete fatto un po’ di posto? Forse in voi c’era quell’affare, quel contratto, quella frode, quel grasso guadagno, ma lo Spirito Santo: non c’era; poiché l’avevate scacciato coi peccati gridandogli: « Via di qua!… che non ti conosco »; in quel momento il demonio è entrato ad occupare il posto di Dio; e forse, ci sta ancora. Et venit in Spiritu in templum. L’uomo timorato: che viveva aspettando il Signore andava al tempio attratto dallo Spirito Santo. In quest’anno che muore, quante volte le campane ti chiamarono in Chiesa alla dottrina cristiana e tu infilavi la strada che mena all’osteria, al cinema; ai campi sportivi. Quante volte, la mattina, le campane ti svegliavano per la Messa, per qualche bella divozione, per il suffragio dei morti, e tu nel letto; ti voltavi dall’altra parte. E quando ti recavi in Chiesa, era lo Spirito Santo che ti guidava, o qualche altro spirito? Non era forse lo spirito della vanità, della leggerezza, della lussuria, dell’interesse? Esamina i sentimenti che in Chiesa occupavano il tuo spirito ed avrai la risposta. Se ti confessavi era senza dolore: tu capivi il dolore quando gli affari minacciavano disastri, quando la tempesta distruggeva il raccolto, quando la malattia entrava in famiglia; ma non capivi come si potesse sentir dispiacere d’aver offeso Dio. Se ti comunicavi era senza fervore: tu capivi il fervore nel gioco, nel conchiudere lucrosi contratti, nel lavoro che fa guadagnare; ma non capivi quale intima gioia si dovesse provare nel ricevere in cuore il Padrone del mondo. Se qualche rara volta ascoltavi una predica, era senza attenzione: tu capivi come si potesse leggere avidamente il listino dei prezzi; i giochi di borsa, l’alto e basso dei cambi; ma quegli interessi dell’anima, quegli affari a lunga scadenza del dopo morte e del giudizio universale, ti facevano sbadigliare. – Se talvolta ti mettevi a pregare, era soltanto per chiedere a Dio i beni e le grazie di questa terra. Per l’anima non avevi nulla da domandare; per vincere le tentazioni bastavi da solo. – ANNA, OSSIA DELLA SENSUALITÀ DOMATA. Et hæc vidua usque ad annos octoginta quattuor. Ecco una donna che rimasta vedova nel fior degli anni, rinunziò ad ogni lusinga del mondo, e si conservò illibata fino alla più tarda età. In questo momento essa c’invita ad esaminarci, come noi abbiamo saputo domare la passione impura, che, quasi leone, rugge nelle nostre membra. – Se i 365 giorni di quest’anno potessero sfilarci davanti e parlare!… « Tu ci hai fatto arrossire con le tue parole oscene — ci direbbero — tu ci hai contaminato coi pensieri disonesti e coi desideri che assecondavi nel tuo cuore. Tu ci hai macchiato con azioni senza nome, ingiuriose a Dio e alla natura! ». E forse tra questi 365 giorni ce n’è uno che è il più brutto della vita, uno che potrebbe insorgere e gridarci: «Io ho visto morire la tua innocenza. Io ho raccolto i petali di un giglio sgualcito, sporcato, disfatto. Io ho raccolto quei petali macchiati per sempre, mentre gli Angeli in lontananza si coprivano con le ali il volto e singhiozzavano ». « Bisognerebbe non essere di carne e di sangue, — si scusano alcuni, — per essere immuni da questi peccati insuperabili ». Non è vero: bisognerebbe soltanto difendersi con quei mezzi che usò Anna, la figlia di Phanuel della tribù di Aser. E quali sono questi mezzi? 1) Non discedebat de templo: non s’allontanava dal tempio. Anche la vostra famiglia, se è cristiana; è un tempio: ebbene, non allontanatevi da quella se volete conservarvi puri. I gigli non crescono in mezzo alla strada; e neppure nell’osteria, e meno ancora nell’afa dei teatri, delle veglie danzanti, dei cinema pestilenziali, ma crescono nelle valli solatie e raccolte. In queste ultime sere dell’anno, il mondo ispirato dal suo amico, il demonio, organizza spettacoli e sfrenati balli: non si dorme più per godere, per mangiare, per rinvoltarsi nel fango. E l’anno nuovo troverà migliaia di persone senza virtù, inebetite dal vino e dai peccati, in una nuvola grassa di fetore che esala dall’anima loro morta. Cristiani! non allontanatevi dal tempio della vostra casa, se volete conservare la vostra innocenza … Genitori, i responsabili del candore dei vostri figli, siete voi! Teneteli dunque con voi. 2) Ieiuniis et orationibus: ecco due armi invincibili per tener lontano il demonio impuro che devasta la mistica vigna. Con la mortificazione degli occhi e della gola, con la preghiera fervorosa e con le giaculatorie nei momenti dell’assalto, ci si libera da questo genere di demoni. – MARIA, OSSIA DEL DOLORE RASSEGNATO. La Madonna fu quella che nella Presentazione ha offerto di più: tutto il suo cuore squarciato da una gelida lama. Ma chi sa quanti tra voi, in quest’anno, si sono sentiti trapassare il cuore dalla gelida lama del dolore! Voi beati, se come la Madonna non avete imprecato, ma avete baciato la vostra croce con rassegnazione: in quest’ultima domenica non vi mancherà certo una bella offerta da unire a quella di Gesù. Beati voi, poveri infermi; che in letto, fra i dolori e la noia, ad uno ad uno avete contati i mesi di quest’anno che non passavano mai; che ad una ad una avete contato le ore della notte oscura e muta come una fossa, senza poter requiare un momento dai vostri spasimi; che avete visto gli altri ridere allegri, andare ai divertimenti, mentre il vostro male vi condannava tra le quattro mura della vostra squallida dimora. Oggi la Madonna vi bacia in fronte e vi fa passare attraverso lo squarcio del suo cuore materno; come attraverso a una porta, che mette in Paradiso. – Beate voi, povere famiglie, che in quest’anno siete state visitate dalla morte. Quest’irrequieta pellegrina dall’occhiaia senza pupilla, dalle mani senza calore, dai passi senza rumore ha salito le vostre scale, ha varcato la vostra soglia, vi ha portato via una persona carissima. Oh settimane di tensione spasimosa, oh giornate di pianto, oh lunghissime ore di solitudine, senza più godere della persona amata!…. Coraggio, Cristiani; anche a voi non manca un’offerta in quest’ultima Domenica dell’anno e bella. Coraggio che la Madre dolorosa soffre con voi e vi benedice. Oh beati tutti quelli che nei giorni di quest’anno gustarono l’amarezza della sventura, patirono sempre con sommessa volontà. Beati tutti quelli che hanno sofferto e che soffrono ancora! Adesso, quando all’Offertorio innalzerò l’ostia bianca che diverrà il Corpo vivo di Gesù Cristo, sulla patena d’oro offrirò insieme a Dio tutti i vostri dolori perché siano accetti per la vita eterna. –  Così un anno è passato. È passato un altr’anno di quei pochi che formano la nostra vita: l’anno del Signore, l’anno della salvezza, 2021. Anno del Signore: e forse noi l’abbiamo fatto l’anno del demonio. Anno della salvezza: e forse per l’anima nostra è stato l’anno della perdizione. Che dal profondo del nostro cuore, sincero, doloroso, rinnovatore, erompa il grido davidico: « Signore, pietà di me!» Miserere mei, Deus. – Che cos’è la nostra vita? Questa domanda, che già S. Giacomo (IV; 15) rivolgeva ai primi Cristiani, ha un sapore speciale sulle nostre labbra in quest’ultima domenica dell’anno. Qualche giorno ancora, e l’anno che ci si presentava — pare ieri — radioso o lusinghiero di speranze, svanirà come un sogno per sempre. Dove sono le gioie che attendevamo? Quante delusioni, quanti ricordi amari e rimorsi pungenti si levano su come nebbia dai dodici mesi ormai vissuti! E questo è forse tutto quello che ci resta dell’anno che muore. Qualche giorno ancora ed un anno nuovo ci verrà innanzi; e noi, come fanciulli ingenui, torneremo a farci illudere da chi sa quali speranze, ci procureremo ancora amarezze e rimpianti. E, forse, nel libro di Dio è scritto che la morte ci dovrà sorprendere prima che l’anno nuovo finisca il corso delle sue settimane. Che cos’è dunque la nostra vita? questa vita che sfugge irreparabilmente come l’acqua del fiume, che dileguasi come la stella che scivola sul cielo oscuro? Domandate all’artigiano perché tutti i giorni fatica e suda tra la polvere e il fracasso, e vi risponderà: « per guadagnarmi la vita ». Domandate a un malato perché si lascia dolorosamente incidere dal ferro del chirurgo e vi risponderà: « per salvare la vita ». Domandate all’uomo di mondo perché tanta smania di divertimento lecito e illecito, e vi risponderà: « per godere la vita ». Domandate al santo perché tante preghiere, tante penitenze non viste da nessuno fuori che da Dio, e vi risponderà: « per santificare la vita ». Tutti dunque s’attaccano a questo gran dono, che ad ogni momento si consuma, e tutti vorrebbero impedire che si consumasse. L’unico che ci ha rivelato il mistero della vita e il modo per non perderla è il Signore. Egli ha detto: «Chi dà la vita per mio amore, quegli la ritroverà. Chi non la dà per mio amore, quegli la perderà ». Spieghiamo queste parole col Vangelo odierno. Viveva a Gerusalemme un uomo chiamato Simeone: aveva passato tutti i giorni della sua non breve età nel timore di Dio e nella fede alle sue promesse. I compagni, gli amici suoi, dimenticando la parola e la legge del Signore, s’erano dati al commercio e al godimento e lo riguardavano forse con occhi compassionevoli. Ma egli sentiva nel cuore la voce dello Spirito Santo confortarlo e sorreggerlo: « Coraggio! tu non morirai senza aver visto il Salvatore ». – Viveva pure in quel tempo a Gerusalemme una nobildonna di nome Anna, figlia di Phanuel della tribù di Aser. Aveva ottantaquattro anni; sette appena ne aveva vissuti accanto allo sposo che la morte le rapì innanzi tempo. Giovane ancora, bella, nobile e ricca s’era chiusa nei veli della vedovanza con tenace proposito di non levarseli fino alla morte. Chissà quante donne la compiangevano e quante bramavano d’essere al suo posto per darsi a un nuovo partito, per correre dietro ai piaceri, agli onori, agli spassi d’una vita spensierata! Ma ella, no: ella aveva preferito ritirarsi nella penombra e nel silenzio del tempio, passare gli anni come un angelo, lasciare sfiorir l’età bella nei digiuni e nelle veglie notturne. Perché? Perché Simeone ha preferito così ed Anna ha preferito così? Perché ci sono due maniere di vivere la vita: la maniera del mondo e la maniera di Cristo. – « Ma Io vi dico che solo chi dà la vita per mio amore, quegli la troverà; ma chi non la darà per mio amore, quegli la perderà ». – VITA MONDANA. Il mondo, coronato di rose, fosforescente di lusinghe, passa in mezzo agli uomini e lancia il suo appello insidioso come la canzone delle sirene: « Venite con me: inebriamoci di tutte le ebbrezze; gettiamoci su tutti i piaceri; domani, forse, non saremo più a tempo ». « Quale moltitudine innumerabile egli trascina dietro alle sue seduzioni! Sono bestemmiatori che sui treni, per le strade, in casa, in officina lanciano contro il cielo la parola ingiuriosa e oscena: e non hanno rimorso. Sono compagnie di profanatori della domenica: hanno tramutato il giorno del sacro riposo e della preghiera fiduciosa e della pace familiare, in una giornata d’avarizia, di peccato, di vorticoso movimento. – Sono schiere di sposi trasgressori delle leggi sante che governano la famiglia: invano soffocano i rimorsi della coscienza violata, invano aspettano le misericordie di Dio, invano si lamentano nell’ora del dolore. Sono turbe di giovani che voglion godere la giovinezza: e invece la gettano in ogni pozzanghera. Genitori senza fede, figli ribelli, donne dal cuore vano, tutti schiavi di satana, tutti arruolati nell’esercito del mondo. Voi li vedete, anche di questi giorni, spegnere i rimorsi nei balli, nei veglioni, nei teatri, nei rumori pagani, nella dissipazione, nell’indifferenza. Povera gente, come sarà pagata dal mondo a cui ha venduto la libertà e la vita? Prima da una manata di piaceri, ma di quei delle bestie e poi dalla morte eterna. Non s’accorgono dell’inganno? Non sentono d’avvilire la loro dignità di figli di Dio fino a diventare figli di satana?… Non capiscono di barattare l’eterna vita per un’ora di sogno inquieto? – Dice la Storia Sacra che quelli della regione di Galaad andarono a supplicare l’Ammonita affinché li accettasse nella sua alleanza. E l’Ammonita rispose: « Io farò alleanza con voi a questo patto: che io cavi a tutti l’occhio destro e vi renda l’obbrobrio di tutto Israele » (I Re, XI, 2). Così è di tutti coloro che hanno fatto alleanza col mondo: si sono lasciati strappare l’occhio destro, quello che guarda al cielo, alla vita eterna, alle cose vere e belle, ed ora non vedono se non con l’occhio sinistro, quello di bruti, che guarda alla terra e vede solo il fango e i vermi. – VITA CRISTIANA. Gesù coronato di spine, con le mani trafitte dai chiodi passa sulla terra, e lancia il suo appello di bontà, di pazienza, di fede: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, prenda la sua croce e mi segua: arriveremo nell’eterna casa della gioia, dove godremo quello che Dio gode ». Chi è Gesù Cristo? È il vero Padrone di noi tutti e delle cose tutte: niente senza di Lui è stato fatto, niente senza di Lui vive. È il vero Redentore degli uomini: non l’oro o l’argento ci ha riscattati dalla schiavitù del maligno, ma il suo sangue dolorosamente versato dalle piaghe del suo corpo. È il vero Rimuneratore: colui che vede le nostre più segrete pene e conta i nostri sospiri; colui che può e vuole donarci un premio che sorpasserà ogni aspettativa. Chi sono quelli che lo seguono? Sono i veri Cristiani, che hanno conformato la propria vita alla sua parola divina. – Uomini che, pur vivendo nel mondo, non hanno macchiato il labbro di bestemmie e di turpiloquio. Donne che sono l’angelo della casa in cui vivono diffondono un profumo di modestia, una luce di umiltà e di rassegnazione, un desiderio di preghiera. Genitori che sentono la propria dignità e responsabilità, che temono il Signore, che rispettano il suo comandamento. Figliuoli che crescono ubbidienti, amorosi, devoti. Seguono Cristo tutti quelli che soffrono e sopportano; tutti quelli che nel campo dell’Azione Cattolica e delle pie confraternite lavorano per la propria santificazione e per quella del prossimo. – S. Policarpo, Vescovo di Smirne, fu arrestato dal proconsole Quadrato e condotto al tribunale: « Maledetto il tuo Cristo!» urlò ad un certo punto il proconsole adirato. Il santo vegliardo, tremante di vecchiaia ma impavido di fede, disse: « Sono ottantasei anni che lo servo, e ne sono lietissimo. Ah, io lo benedirò fino all’estremo sospiro ». Allora gli fu preparato il rogo: ed egli sorrise. Le fiamme non lo toccarono. Allora fu colpito di spada e Policarpo vide il Signore. Quando si serve Cristo, quando la vita è cristiana, entra nel nostro cuore la gioia dei figli di Dio e più nulla ci può spaventare. Neppure la morte: perché è la porta della gioia e della vita, dietro alla quale si vede il Signore. – Torniamo, per finire, al Vangelo. Nel tempio, Simeone e Anna erano invecchiati: ma invecchiati erano pure quelli che li avevano guardati con occhio di compassione quasi fossero incapaci di godersi la vita. Ma a costoro che restava? dopo i fugaci anni di godimento e di spensieratezza restava solo l’amarezza e la disperazione. Non così per Simeone ed Anna: dopo i digiuni, le preghiere, le mortificazioni; a queste due anime buone e pure restava la cosa più bella che uomo possa desiderare: vedere il Signore. Ed ecco che un giorno videro un’umile comitiva entrare nel cortile del tempio: era un uomo povero dalle mani incallite sulla pialla, era una donna giovane e modestissima che portava due tortorelle per la sua purificazione, era un bambino ancora in fasce. Il loro cuore sobbalzò; lo Spirito Santo li illuminò; essi conobbero che quel bambino era il Signore. « Signore! — esclamarono —. ora facci pure morire, perché i nostri occhi videro la tua faccia e il nostro paradiso è incominciato ». Cristiani! in quest’ultima domenica dell’anno io concludo rivolgendovi il gemito dello Spirito Santo: « Ne des annos tuos crudeli » (Prov., V, 9). Non date gli anni vostri al maligno! Così giunti al termine della vita, non troverete amarezza e disperazione, ma come Simeone ed Anna, vedrete il Volto di Gesù che vi beatificherà nei secoli dei secoli. – Secondo la legge mosaica la donna a cui il cielo avesse largito un figliuolo; dopo il quarantesimo giorno, doveva salire al tempio a chiedere la sua purificazione. Se poi il bambino era il primogenito, esso pure veniva portato per essere simbolicamente consacrato al Signore. E quantunque Maria avesse concepito; non come le altre donne, ma miracolosamente per opera di Spirito Santo, per umiltà volle sottostare alle leggi comuni. Ella dunque venne alla porta del tempio, si fece aspergere da un sacerdote e poi offrì l’offerta dei poveri: due tortorelle; ché la Madre di Dio non possedeva tanto da poter offrire un agnello, ch’era l’offerta dei ricchi. La cerimonia volgeva al termine, quando apparve Simeone, il vegliardo del tempio. Fedele credente, vedeva da lungo tempo con dolore e con profonda indignazione i peccati d’Israele e la schiavitù sotto il giogo straniero. Ma pure in cuor suo aveva ricevuto promessa da Dio che non avrebbe chiuso gli occhi senza vedere il Messia. Ora la promessa si compiva. Tremando di gioia prese il neonato tra le sue vecchie braccia e profetò: « O Signore, lascia pure il tuo servo andare in pace, come gli hai promesso: ho visto la salvezza che salverà tutti i popoli, ho visto la luce che illuminerà tutte le genti ». Giuseppe e Maria nell’ascoltarlo furono colti da ammirazione, ma il santo vecchio li guardò e, dopo averli benedetti, soggiunse: « Questo Bambino è il segno della contraddizione posto alla rovina e alla resurrezione di molti. Una spada affilata poi trapasserà l’anima di sua Madre ». Quando in una famiglia nasce qualcuno, quanti sogni si fabbricano su quella piccola testa ignara! Crescerà sano e robusto ovvero piegherà sullo stelo prima ancora di sbocciare? Sarà un uomo coscienzioso e probo o invece un ignobile e disonesto? Amerà gli studi o preferirà il commercio o le armi? Sarà la gloria e la gioia di sua madre o il disonore e il dispiacere? Nessuno lo sa; ma il santo vegliardo del tempio di Gerusalemme aveva letto bene la storia dell’avvenire e la sua parola s’avverò. Questo bambino sarà il segno di contraddizione. Il cuore di sua madre sarà trapassato dal dolore. – IL SEGNO DI CONTRADDIZIONE. Conterò una storia che Eusebio di Cesarea ci assicura d’aver raccolta dalle labbra di Costantino stesso. Mentre l’imperatore si preparava a marciare contro Massenzio, gli apparve nel cielo una croce sulla quale si leggeva: « Con questa vincerai ». Costantino, ancora pagano, sorpreso della meravigliosa visione, promise di farsi Cristiano se avesse ottenuto vittoria. Intanto ordinò che sul vessillo da portare in battaglia, si dipingesse la croce, così come l’aveva veduta. Massenzio, che aveva saputo qualcosa, ordinò alle sue legioni di mirare tutti contro il vessillo fatato. L’alfiere che lo portava, sentendo sibilare intorno a lui le frecce, s’accorse d’essere fatto bersaglio da tutti i nemici, e spaventato gettò via il vessillo e riparò in mezzo alle file; un compagno, visto quest’atto di debolezza, si spoglia delle armi e, afferrata l’insegna, si slancia in testa ai manipoli, avanzando a gran corsa verso il nemico. I dardi, fischiando densi come una grandinata, foravano la bandiera, lasciando illeso l’intrepido alfiere. I nemici compresero che Dio combatteva con l’armata di Costantino, e presi da spavento si rovesciarono indietro, ed ebbero una sconfitta completa e decisiva dove Massenzio stesso perì. Agli inni della vittoria non partecipò il primo alfiere. Qualcuno l’avea visto colpito nel cuore da uno strale. – Questo fatto ci offre due insegnamenti, a) Ed il primo è che tutti quelli che combattono Cristo, o la sua Chiesa o i ministri della sua Religione periscono, come Massenzio perì. Voltiamoci indietro a guardare la storia: il primo persecutore di Gesù è Erode l’infanticida, ma fu anche il primo a sperimentare la vendetta divina. Arso lentamente da una febbre maligna, straziato da coliche che gli laceravano le viscere, gonfio e livido mostruosamente in tutto il corpo, contorto da convulsioni spasmodiche, esalava un fetidissimmo puzzo e nelle sue carni marcenti già brulicavano i vermi. L’altro Erode, l’Antipa, quello che nel giorno della passione trattò Gesù da pazzo, morì in esilio; e Pilato pure dovette fuggire, ramingare di paese in paese finché sì uccise di propria mano. Giuda Iscariota si appese alla ficaia e scoppiò. Tutti gli imperatori romani, che perseguitarono i martiri, finirono violentemente, così che lo scrittore Lattanzio Firmiano poté formare un libro: « La morte dei persecutori ». Caligola fu trucidato. Nerone, vedendosi raggiunto dalla coorte mandata ad ucciderlo, si cacciò egli stesso il pugnale nel cuore. Domiziano fu ucciso da quei di sua famiglia. Commodo fu strangolato. Eliogabalo è ammazzato dai suoi soldati. Valeriano è scuoiato. Diocleziano muore di fame. Giuliano l’apostata, ferito in guerra, si strappa le bende, e lanciando una manata di sangue contro il cielo, bestemmia: « Galileo, hai vinto ». Poi morì, come morirono e perirono tutti i nemici della fede nostra. Cristo invece regna, impera, trionfa; ieri, oggi, domani, sempre. – b) Un secondo insegnamento deriva a noi dal fatto che ho narrato. Tutti quelli che dopo aver ricevuto il Battesimo e servito a Gesù Cristo per qualche tempo, gli voltano le spalle, lo insultano coi loro peccati, avranno la peggio come l’ebbe il primo alfiere. Quelli invece che, armati di confidenza e di coraggio, lo servono, lo difendono; soffrono per Lui, saranno fortunati quaggiù e nell’eternità, come lo fu il secondo alfiere. – Cristo è il segno della contraddizione: o risorgere con Lui, o contro di Lui perire. Chi, desiderando d’essere sapiente, disprezzò il Vangelo per studiare altri libri, non capì più nemmeno quello che capiscono anche i bambini. E chi rifiutò il giogo del Signore per vivere secondo i capricci delle sue passioni, non trovò che delusioni, rimorsi, disperazione e condanna eterna. Invece quelli che per amor di Cristo rinunciarono alla fatua sapienza del mondo, alle bugiarde gioie del mondo, ai fugaci beni del mondo, ricevettero cento volte più di quello che avevano lasciato, e per giunta la vita eterna (Mt., XIX, 29). – LA MADRE DOLOROSA. È l’Annunciazione. Un Angelo discende nella casa umile d’una povera fanciulla del popolo, e le porta il desiderio dell’Onnipotente. « Non temere, Maria, Accetti tu d’essere la Madre di Dio? ». E la Madonna, sospirando come a una cosa a cui ci si rassegna dopo un lungo tentennare, rispose semplicemente: «Io sono l’ancella del Signore. Sia fatto in me secondo la tua parola ». Ma come? Perché non irrompere in un grido di gaudio infrenabile? Proprio Lei, che non conosceva che il tempio e la sua casa, veniva eletta alla più alta dignità possibile a semplice creatura umana, e non esultava d’ebrezza; ma trepidamente diceva: « Io sono l’ancella del Signore: fiat! ». Era perché la Madonna sapeva che Madre di Dio vuol dire Madre d’un Crocifisso. Sapeva che in ogni giorno della sua vita sarebbe stata accompagnata dalla visione della croce, fin tanto che il suo Unigenito inchiodato e sanguinante davanti ai suoi occhi materni non fosse spirato davvero. Da quel momento la sua anima fu trafitta con una spada a taglio doppio. Quattro cose, dice S. Tommaso, fecero amara la passione di Cristo alla Vergine Madre. – Primo, la bontà del Figlio: perdere un figlio è gran dolore, ma perdere un Figlio ch’era Dio, è quello che nessun’altra madre provò né proverà. – Secondo, la crudeltà dei crocifissori; a Lui, che bruciava di sete nell’agonia, non vollero dare una stilla d’acqua; e sua Madre neppure gliela poteva dare, ché non lo permettevano; e neppure poteva placargli l’arsura con i suoi baci, ché era sospeso in alto. – Terzo, l’infamia della pena: moriva il Figlio di Dio tra due ladroni quasi che anch’Egli fosse un ladrone, moriva per mano della giustizia, la giustizia più ingiusta, che aveva osato perfino condannare a morte il Creatore del cielo e della terra e dei giudici. – Quarto; la ferocità del martirio: insultato, flagellato, inchiodato. E morto, quasi non bastasse, fu squarciato nel petto con una lancia: Egli non la sentì perché era già spirato, ma la sentì sua Madre che vedeva. O vos omnes qui transitis per viam, attendite et videte si est dolor sicut dolor meus (Thren., I, 12). – Era la festa dell’Assunta del 1856. A Spoleto si faceva una solenne processione, con l’immagine taumaturgica dell’Addolorata. Era la Madre che, come si usava ogni anno in quel giorno, passava tra i figli suoi: e non v’era ginocchio che non piegasse a terra davanti a lei. La processione, tra canti e incensi, si svolge lenta e giunge davanti a un giovane elegantissimo di nome Francesco Possenti. Già due volte, ammalato da morire, aveva promesso di cambiare vita; davanti al cadavere di sua sorella morta sì giovane l’aveva giurato ancora; e non si era deciso mai a strapparsi dalle voluttuose spire del mondo. Ora, ritto ai margini della strada, guardava la processione snodarsi davanti. Quando l’immagine della Madre dolorosa gli fu vicina, sentì battergli il cuore come mai. Gli parve che la Vergine girasse lo sguardo su lui e lo guardasse in una luce divina. Intanto una voce gli gridava dentro: « Francesco, il mondo non è più per te ». Qualche tempo dopo correva un mormorio per la città: « Sai, il ballerino si è fatto frate ». « Francesco Possenti vuoi dire? ». « Sì: ed ha preso il nome di Gabriele dell’Addolorata ». Quante volte, e con grazie e con disgrazie, la Madonna ci ha fatto capire di abbandonare il peccato e riprendere una vita più cristiana, più mortificata: e fu sempre invano. Oggi, che è l’ultima domenica di quest’anno che finisce, la Madonna Addolorata ci guardi con quegli occhi suoi misericordiosi. Ci guardi come ha guardato una volta il giovane Francesco Possenti: e noi con l’anno nuovo riprenderemo una vita nuova: di pietà, di carità e di bontà.

  IL CREDO

 Offertorium 

Orémus
Ps XCII:1-2
Deus firmávit orbem terræ, qui non commovébitur: paráta sedes tua, Deus, ex tunc, a sæculo tu es.

[Iddio ha consolidato la terra, che non vacillerà: il tuo trono, o Dio, è stabile fin da principio, tu sei da tutta l’eternità.]

Secreta 

Concéde, quǽsumus, omnípotens Deus: ut óculis tuæ majestátis munus oblátum, et grátiam nobis piæ devotiónis obtineat, et efféctum beátæ perennitátis acquírat.

[Concedi, Te ne preghiamo, o Dio onnipotente, che questa offerta, presentata alla tua maestà, ci ottenga la grazia di una fervida pietà e ci assicuri il possesso della eternità beata.]

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio 

Matt II:20
Tolle Púerum et Matrem ejus, et vade in terram Israël: defúncti sunt enim, qui quærébant ánimam Púeri.

[Prendi il bambino e sua madre, e va nella terra di Israele: quelli che volevano farlo morire sono morti.]

Postcommunio 

Orémus.
Per hujus, Dómine, operatiónem mystérii, et vitia nostra purgéntur, et justa desidéria compleántur.

 [Per l’efficacia di questo mistero, o Signore, siano distrutti i nostri vizii e compiuti i nostri giusti desiderii.]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (2)

ORDINARIO DELLA MESSA

SANTO NATALE 2021 – TERZA MESSA DURANTE IL GIORNO

TERZA MESSA DURANTE IL GIORNO

Staz. a S. Maria Maggiore

(Messale Romano di S. Bertola e G. Destefani, comm. di D. G. LEFEBVRE O. S. B; L. I. C. E. – R. Berruti & C. Torino 1950)

In principio era il Verbo, e il Verbo era con Dio. Tutte le cose sono state fatte da Lui» (Vang.). « Tu, o Signore, in principio hai creato la terra: i cieli sono opera delle tue mani » (Ep.). « Tuoi sono i cieli e la terra, sei tu che hai creato l’Universo e tutto ciò che contiene » (Off.). L’uomo, che è stato creato da Dio, da Lui sarà ristabilito nella primitiva dignità. Così «il Verbo Si fece carne ed abitò fra noi» (Vang.). « Iddio, in questi ultimi tempi (cioè nei giorni messianici) ci ha parlato nella persona del Figlio, che è lo splendore della sua gloria » (Ep.). – Così la Chiesa canta oggi che una gran luce è discesa sulla terra (Allel.). Questa luce ha brillato nelle tenebre, ma le tenebre non l’hanno accolta, perché il Verbo è venuto nel mondo, ma i suoi non l’hanno ricevuto. A quelli invece che l’hanno accolto ha dato il potere di divenire figli di Dio (Vang.). « È infatti per liberarci dalla schiavitù del peccato, per purificarci dalle nostre colpe (Secr.) e per farci nascere alla vita divina (Postc.) che l’Unigenito di Dio è nato secondo la carne » (Ep.). – Più di settecento anni prima di questa nascita, Isaia esaltava già la potenza dell’Uomo-Dio. « Un bambino ci è nato, egli porterà i segni della sua regalità ». E i prodigi ch’Egli operò sono raffigurati in quelli che Dio fece quando liberò gli Israeliti dalla schiavitù d’Egitto (Vers. dell. Intr.). Così, oggi come allora, «tutti i confini della terra sono testimoni della salvezza che Dio operò per il suo popolo » (Grad. Comm.). La salvezza che Cristo ha realizzato nel suo primo avvento, la compirà alla fine dei tempi. « Dopo che Gesù ebbe operato la purificazione dai peccati, spiega l’Apostolo Paolo, salì in Cielo, dove è assiso alla destra della Maestà divina » (Ep.). La sua umanità glorificata partecipa dunque del trono dell’Eterno: «Il tuo trono, o Dio, è nei secoli dei secoli: scettro del tuo regno è uno scettro di giustizia » (Ep.) o le basi del tuo trono » (Offert.). « E un giorno, dice S. Luca, il Figlio dell’Uomo verrà nella sua gloria e in quella del Padre e degli Angeli suoi a rendere a ciascuno secondo le proprie opere ». Quando Dio manderà di nuovo (cioè alla fine del mondo) il suo Primogenito sulla terra dirà: « tutti gli Angeli lo adorino » (Ep.). E ci sarà allora una trasformazione di tutte le creature, perché il Figlio di Dio, che non muta, rinnoverà le creature come si fa di un vestito vecchio (Ep.). E l’Apostolo. in una settima citazione delle Sacre Scritture, che segue quelle che troviamo oggi nell’Epistola, aggiunge che « Iddio farà allora dei nemici di Cristo uno sgabello ai suoi piedi ». Sarà il trionfo finale del Verbo incarnato che punirà, nella sua seconda venuta quelli che non l’avranno accolto nella prima; mentre farà partecipi della sua immortalità quelli che saranno nati da Dio, avendo questi accolto con fede e con amore il Verbo incarnato, come lo hanno accolto i Re Magi, venuti da lontano per adorarlo (Vangelo dell’Epifania, letto come ultimo Vang.). Ed essendo Gesù presente anche nell’Eucaristia come lo era a Betlemme, adoriamolo sull’Altare, vera mangiatoia dove si trovò il Bambino Gesù, perché  in questo tempo di Natale la liturgia, grazie al Messale, ci rappresenta  l’Ostia nel quadro di Betlemme. È nella gran Chiesa della Vergine, che a Roma rappresenta Betlemme, che si celebra la Messa del giorno di Natale, come si è celebrata quella di mezzanotte.

Incipit

In nómine Patris, ✠ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Isa IX: 6
Puer natus est nobis, et fílius datus est nobis: cujus impérium super húmerum ejus: et vocábitur nomen ejus magni consílii Angelus.

[Ci è nato un Bambino e ci è stato dato un Figlio, il cui impero poggia sugli omeri suoi: il suo nome sarà Angelo del buon consiglio.]

Ps XCVII
Cantáte Dómino cánticum novum, quia mirabília fecit.

[Cantate al Signore un cantico nuovo: poiché ha fatto cose mirabili.]


V. Glória Patri, et Fílio, et Spirítui Sancto.
R. Sicut erat in princípio, et nunc, et semper, et in sǽcula sæculórum. Amen.


Puer natus est nobis, et fílius datus est nobis: cujus impérium super húmerum ejus: et vocábitur nomen ejus magni consílii Angelus.

[Ci è nato un Bambino e ci è stato dato un Figlio, il cui impero poggia sugli omeri suoi: il suo nome sarà Angelo del buon consiglio.]

Oratio

Orémus.
Concéde, quǽsumus, omnípotens Deus: ut nos Unigéniti tui nova per carnem Natívitas líberet; quos sub peccáti jugo vetústa sérvitus tenet. P
er eúndem ….

[Concedici, Te ne preghiamo, o Dio onnipotente, che la nuova nascita secondo la carne del tuo Unigenito, liberi noi, che l’antica schiavitù tiene sotto il gioco del peccato]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Hebrǽos.
Hebr 1:1-12

Multifáriam, multísque modis olim Deus loquens pátribus in Prophétis: novíssime diébus istis locútus est nobis in Fílio, quem constítuit herédem universórum, per quem fecit et sǽcula: qui cum sit splendor glóriæ, et figúra substántia? ejus, portánsque ómnia verbo virtútis suæ, purgatiónem peccatórum fáciens, sedet ad déxteram majestátis in excélsis: tanto mélior Angelis efféctus, quanto differéntius præ illis nomen hereditávit. Cui enim dixit aliquándo Angelórum: Fílius meus es tu, ego hódie génui te? Et rursum: Ego ero illi in patrem, et ipse erit mihi in fílium? Et cum íterum introdúcit Primogénitum in orbem terræ, dicit: Et adórent eum omnes Angeli Dei. Et ad Angelos quidem dicit: Qui facit Angelos suos spíritus, et minístros suos flammam ignis. Ad Fílium autem: Thronus tuus, Deus, in sǽculum sǽculi: virga æquitátis, virga regni tui. Dilexísti justítiam et odísti iniquitátem: proptérea unxit te Deus, Deus tuus, óleo exsultatiónis præ particípibus tuis. Et: Tu in princípio, Dómine, terram fundásti: et ópera mánuum tuárum sunt cœli. Ipsi períbunt, tu autem permanébis; et omnes ut vestiméntum veteráscent: et velut amíctum mutábis eos, et mutabúntur: tu autem idem ipse es, et anni tui non defícient.

[Iddio, che nei tempi antichi aveva parlato a più riprese e in molte maniere ai nostri padri per mezzo dei profeti, in questi ultimi tempi ha parlato a noi per mezzo del Figlio, che costituì erede di tutte le cose, mediante il quale ha anche creato il mondo. Questo Figlio è l’irradiazione e l’immagine della sua gloria, è l’impronta della sua sostanza e tutte le cose sostenta con la sua potente parola; Egli, dopo averci purificati dai peccati, si è assiso alla destra della divina maestà nell’alto dei cieli: fatto di tanto superiore agli Àngeli, quanto è più eccellente del loro il nome da Lui avuto. Infatti: a quale mai degli Àngeli Dio ha detto: Tu sei mio figlio, oggi ti ho generato? e ancora: Io gli sarò padre ed egli mi sarà figlio? E di nuovo, quando introduce il primogénito nel mondo, dice: Lo adòrino tutti gli Àngeli di Dio. Quanto poi agli Àngeli, Egli dice: Colui che fa suoi messaggeri gli spiriti, e suoi ministri le fiamme di fuoco. Al suo Figlio invece dice: Il tuo trono, o Dio, sussiste nei secoli del secoli, lo scettro del tuo regno è scettro di equità: tu hai amato la giustizia e odiato l’iniquità, perciò ti unse il Signore Dio tuo con olio di letizia sopra i tuoi colleghi. E ancora: Fin da principio, o Signore, tu fondasti la terra, e i cieli sono opera delle tue mani: essi periranno ma tu rimani, e tutti invecchieranno come un vestito, e tu li muterai come un mantello, ed essi cambieranno, tu invece rimani sempre lo stesso e gli anni tuoi non verranno meno.]

Graduale

Ps XCVII: 3; 2
Vidérunt omnes fines terræ salutare Dei nostri: jubiláte Deo, omnis terra.

[Tutti i confini della terra vídero la salvezza del nostro Dio: tutta la terra acclàmi a Dio.]

V. Notum fecit Dominus salutare suum: ante conspéctum géntium revelávit justitiam suam. Allelúja, allelúja.

[V. Il Signore ci fece conoscere la sua salvezza: agli occhi delle genti rivelò la sua giustizia. Allelúia, allelúia.]

V. Dies sanctificátus illúxit nobis: veníte, gentes, et adoráte Dóminum: quia hódie descéndit lux magna super terram. Allelúja.

[V. Un giorno sacro ci ha illuminati: venite, genti, e adorate il Signore: perché oggi discende gran luce sopra la terra. Allelúia.]

Evangelium

Initium sancti Evangélii secúndum Joánnem.
R. Glória tibi, Dómine.
Joann 1:1-14
In princípio erat Verbum, et Verbum erat apud Deum, et Deus erat Verbum. Hoc erat in princípio apud Deum. Omnia per ipsum facta sunt: et sine ipso factum est nihil, quod factum est: in ipso vita erat, et vita erat lux hóminum: et lux in ténebris lucet, et ténebræ eam non comprehendérunt. Fuit homo missus a Deo, cui nomen erat Joánnes. Hic venit in testimónium, ut testimónium perhibéret de lúmine, ut omnes créderent per illum. Non erat ille lux, sed ut testimónium perhibéret de lúmine. Erat lux vera, quæ illúminat omnem hóminem veniéntem in hunc mundum. In mundo erat, et mundus per ipsum factus est, et mundus eum non cognóvit. In própria venit, et sui eum non recepérunt. Quotquot autem recepérunt eum, dedit eis potestátem fílios Dei fíeri, his, qui credunt in nómine ejus: qui non ex sanguínibus, neque ex voluntáte carnis, neque ex voluntáte viri, sed ex Deo nati sunt. Hic genuflectitur Et Verbum caro factum est, et habitávit in nobis: et vídimus glóriam ejus, glóriam quasi Unigéniti a Patre, plenum grátiæ et veritátis.

[In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio. Egli era in principio presso Dio. Tutto è stato fatto per mezzo di Lui, e senza di Lui nulla è stato fatto di ciò che è fatto. In Lui era la vita e la vita era la luce degli uomini. E la luce splende tra le tenebre e le tenebre non l’hanno accolta. Ci fu un uomo mandato da Dio, il cui nome era Giovanni. Questi venne come testimonio, per rendere testimonianza alla luce, affinché tutti credessero per mezzo di lui. Egli non era la luce, ma era per rendere testimonianza alla luce. Era la luce vera che illumina ogni uomo che viene in questo mondo. Era nel mondo, e il mondo fu fatto per mezzo di Lui, e il mondo non lo conobbe. Venne nella sua casa, e i suoi non lo accolsero. Ma a quanti lo accolsero diede il potere di diventare figli di Dio: a loro che credono nel suo nome: i quali non da sangue, né da volere di carne, né da volere di uomo, ma da Dio sono nati. (Genuflettiamo) E il Verbo si fece carne Ci alziamo, e abitò tra noi: e noi abbiamo visto la sua gloria, gloria come di Unigenito dal Padre, pieno di grazia e di verità..]

Omelia

(G. Colombo: Pensieri sui Vangeli e sulle feste del Signore e dei Santi; VI ediz. – Soc. Ed. Vita e pensiero.- Milano 1956)

NATALE DI NOSTRO SIGNORE

La notte tenebrosa gravava come una lunga maledizione sul mondo assopito nel sonno. Tutti dormivano: si dormiva a Roma, si dormiva a Gerusalemme, si dormiva a Betlem, dove una moltitudine era accorsa da ogni villaggio per dare il nome al censimento di Cesare Augusto. Solo qualche pastore vegliava nei dintorni, accanto a fuochi morenti, mentre custodiva il gregge. – Ed ecco squarciarsi l’oscurità e sfociare giù dall’alto fiumi di luce e tutto il cielo ardere come una fiamma e sopra i paesi assonnati passare cori invisibili, cantando parole non mai udite sopra la terra: « Gloria a Dio nei cieli più alti; pace agli uomini di buona volontà ». Balzarono attoniti i pastori vigili presso il loro branco di pecore ed una luce li investì. Nella luce videro l’Angelo fulgidissimo del Signore. Si spaventarono; ma l’Angelo disse loro: « Non temete: è una gioia grande per voi e per tutti, che noi portiamo: è nato il Salvatore ». Dunque, il tempo di piangere era finito, la maledizione era passata, la schiavitù del demonio era infranta. – « Gioia grande!» diceva l’Angelo ai pastori prostrati nella luce celeste. « Gioia grande: è nato nella città di Davide Cristo Signore. Vi dò un segno per trovarlo: vedrete un bambino involto in pochi panni, adagiato in una greppia ». Come gli Angeli sparirono, i pastori si guardarono l’un l’altro muti, poi dissero: « Andiamo a Betlem, e vedremo ». Transeamus usque in Betlehem et videamus. Lasciarono le pecore a ruminare sotto la rugiada presso i fuochi ormai spenti,e corsero. Lasciamo ogni altra cura anche noi e corriamo dietro a loro col cuore pieno di fede, col cuore pieno di gioia. Giungono, ansimanti. Et venerunt festinantes. Trovano Maria, trovano Giuseppe e, in una greppia, un Bambino. Gioia grande! Dio si è fatto bambino. La divinità offerta e l’umanità peccatrice si sono abbracciate nel corpicino di Gesù Cristo. Gaudium magnum. Adoriamo anche noi il Bambino e pensiamo: Il padrone del mondo s’è fatto povero, senza casa, senza culla. Il forte, il Dio delle armate, s’è fatto debole e infermo. L’infinito, per il quale son troppo piccoli i cieli, è raccolto in una greppia. Chi ha dato alla terra la virtù di produrre il pane, e alle piante la virtù di produrre frutti, patisce la fame. Il regolatore delle stagioni e del freddo nasce d’inverno, intirizzito dall’aria rigida.  Quelle piccole mani arrossate dalla gelida notte hanno sollevato nei cieli il sole, la luna e tutte le stelle. Ed è per noi, sapete che Dio s’è reso così; per noi Propter nos egenus factus est, cum esset dives (II Cor., VIII, 9). S’è reso così perché noi gli volessimo bene: è il pensiero di S. Pier Crisologo: « sic nasci voluit qui voluit amari ». S’è reso così perché l’imitatissimo: è il pensiero di Tertulliano: « ut homo divine agere doceretur ».Allora diciamogli, con le lacrime agli occhi: « Bambino Gesù! noi ti ameremo,noi ti imiteremo ».NOI TI Ameremo. Elena imperatrice, la madre di Costantino il grande, aveva avuto da Dio la bella missione di ritornare al culto dei fedeli i luoghi santificati dalla vita e dalla morte di Nostro Signore.Quando arrivò a Betlem ed entrò nella grotta della santa nascita, emise un grido d’indignazione. Quel luogo santo era stata profanato: al posto della greppia là dove Cristo aveva vagito per la nostra salvezza s’ergeva la statua infame di Adone. L’imperatore Adriano, acre nemico di nostra fede, con un gusto diabolico l’avevaeretta là, perché il demonio ridesse dove Cristo aveva pianto.La pia regina, con le lacrime, comandò che abbattessero quel diabolico simulacro;ed ella stessa, con le sue mani, godeva di frantumarlo. Poi vi fè edificare un sontuosissimo tempio, che custodisse quell’umile posto, scelto da Dio per venire al mondo. –  È Natale: Dio nasce nei cuori. E c’è forse qualcuno che nel suo cuore, nel luogo dove Cristo deve nascere tien eretto il simulacro del demonio, il peccato?Alessandro il Macedone per conquistarsi l’animo dei Persiani, ha voluto vestirsi come loro, imitare in tutto quelle barbare costumanze; Dio per conquistare il nostro cuore, per farsi amare dagli uomini si è fatto uomo in tutto come noi: habitu inventus ut homo; ha voluto patire come noi e più di noi, e noi non gli vogliamo bene? Noi daremo il nostro cuore al demonio, ma non a lui?Nessuno sarà così pazzo e crudele da far questo. Come Elena regina frantumiamo il peccato dentro di noi, ed una bella confessione purifichi l’anima nostra, e la nascita di Cristo segni il principio di una nuova vita d’amore, di preghiera, di purezza.« Bambino Gesù! » diciamogli sinceramente « io t’amo ».Se la nostra vita passata ci dicesse che queste parole sono una bugia, perché non siamo capaci d’amarlo con le opere, diciamogli così: « Bambino Gesù, se non ti amo, desidero però d’amarti assai ». E se anche questo non fosse vero, perché  il nostro cuore è più attaccato alla roba di questo mondo che al Signore, diciamogli almeno: « Bambino Gesù! mi piacerebbe tanto desiderare d’amarti ».NOI TI IMITEREMO. A Giovanni II, re di Portogallo, annunciarono che stava male un servo, a lui tanto caro. Il re si turbò, poi volle egli stesso scendere dal suo palazzo nella casa del servo. Nel varcare la soglia dell’ammalato, chiese, come si suole, dello stato dell’infermo. Gli risposero che il male era gravissimo, ma il peggio era che l’ammalato non si lasciava indurre a prendere medicine. Quel mattino stesso i medici gli avevano imposto una medicina amara ma tanto salutare. La prese nelle sue mani, e senza indugio, egli stesso ne bevve parecchi lunghi sorsi. Poi, accostandola alla bocca del malato gli disse: «Io il re, sanissimo, ho preso quest’amara bevanda solo per tuo amore, e tu, il servo, ammalato, non prenderai questo poco che resta per amor mio e per tua salute? ».  Il vassallo tese di slancio le mani verso la medicina, e disse: « Datemela: ora la berrei d’un fiato, foss’anche tossico ». Noi siamo servi ammalati: ammalati di superbia perché ci crediamo un gran che e siamo niente; ammalati di collera perché non vogliamo dimenticare e perdonare le offese; ammalati d’avarizia perché non pensiamo che a roba e a danaro; ammalati nella mente, nel cuore di pensieri e di desideri cattivi. È necessaria la medicina amara dell’umiliazione, della povertà, della mortificazione. Il nostro re, il Bambino Gesù, oggi è venuto a trovarci in casa nostra e ce ne dà l’esempio. Egli santissimo Dio, s’è fatto umile nel presepio, povero in una stalla, mortificato dal freddo. E noi non vorremmo portare la nostra croce? Ci lamenteremo ancora della Provvidenza? – Simone Maccabeo, una notte che conduceva l’armata contro i nemici, si trovò la strada tagliata da un torrente gonfio per le piogge recenti. I soldati s’arrestarono, poiché nessuno osava guardare in quel posto. Simone non fece parola, slanciò il cavallo nell’acqua e passò per il primo: transfretavit primus (I Macc., XVI, 6). Tutti allora gli andarono dietro. Ebbene: il nostro capitano Gesù oggi, per il primo, si slancia attraverso il torrente del dolore, della povertà, della mortificazione: a noi non resta che andargli dietro. Bambino Gesù! noi ti imiteremo. Disse l’Angelo ai pastori: « Evangelizo vobis gaudium magnum ». Vi porto una gioia grande. Lungi da noi, dunque, ogni pensiero di tristezza. Che cosa possiamo temere se il Verbo si è fatto carne, se Dio s’è fatto bambino? Quando Dio è con noi, chi può essere contro di noi? Gioia grande! – Il capitano Alfonso d’Albuquerque fu sorpreso da una procella furiosa, in mezzo al mare. La povera nave flagellata dalle onde rabbiose, squassata dal vento, cigolava in ogni connessura quasi volesse sfasciarsi. Le nubi basse e cupe avevano fatto l’oscurità sull’acque; i lampi guizzavano in quella tenebra con un bagliore di sangue. Le donne urlavano; perfino i vecchi marinai piangevano di paura. Il capitano, pazzo dal terrore, strappò dal seno d’una madre un bambino di pochi mesi, salì sulla tolda in alto, e protese verso la rabbia delle nubi quella fragile creaturina: «E se, — diceva — siam tutti peccatori, questo bimbo, o Dio, risparmialo perché è senza peccati ». Subito tacque il vento, si chetò l’acqua, s’aperse il cielo: e attraverso lo squarcio d’una nube discese l’arcobaleno. – Nelle disgrazie della vita, nelle tentazioni, nell’ora della morte e nel giorno del giudizio, quando intorno alla navicella della nostra anima sarà come una fragorosa burrasca, ricordiamoci di questo Bambino che oggi c’è dato, che oggi per noi è nato; innalziamolo a Dio e si farà la pace e la gioia intorno a noi. Tra pochi istanti, quando la Messa sarà all’elevazione, io stesso tra le mie mani prenderò Gesù Bambino ed elevandolo verso il cielo, mi ricorderò delle parole di Alfonso d’Albuquerque: « Se tutti noi siamo peccatori, o Dio, questo Bambino risparmialo perché è senza peccati! ». Per la sua innocenza noi tutti saremo salvati. –

Da Nazareth, dove avevano messo su casa, il censimento di Cesare Augusto obbligò Giuseppe e Maria a recarsi fino a Betlemme città dei loro antenati. Per tal modo mentre il padrone dell’Impero col suo decreto metteva in moto umili persone, inconsapevolmente dava compimento alla profezia che annunciava Betlemme come luogo di nascita per il Messia. « Che fate voi principe del mondo! Credeste d’agire secondo le vostre voglie e finite per eseguire i disegni di Uno che è sopra di voi » (BOSSUET). – Quattro giorni viaggiarono i due pellegrini: e si era nella stagione delle piogge e le condizioni della Vergine estremamente delicate. A Betlem, gremita di forestieri accorsi per farsi iscrivere, non trovarono alloggio conveniente; neppure all’albergo. Sicché, quando fredda fredda discese la sera, Giuseppe e Maria andarono a ripararsi in una grotta dove gli uomini del paese cacciavano il bestiame e qualche volta essi pure pernottavano. Unico arnese vi era una mangiatoia per i foraggi e biadumi degli animali. In questa stalla, nel cuor della notte, nacque il Figlio di Dio, Salvatore del mondo. Sua Madre, la sempre Vergine, lo prese nelle sue mani, lo ravvolse in pannicelli, e lo accomodò nella mangiatoia. Di lì, come da un trono prescelto, cominciò a regnare il Signore dei potenti, il Re dei re. E vagiva, con un filo di fiato. E non seppe ch’Egli era nato, Erode il feroce Iduneo che abitava in una fortezza non lontano dalla grotta, e che forse in quell’ora adagiato fra gli ori e la porpora accoglieva gli omaggi de’ suoi cortigiani o si assideva al banchetto sontuose di un festino notturno. E non lo seppe neanche Cesare Augusto: eppure il Dio dei Cieli era nato suddito del suo impero. Invece lo seppero alcuni poveri e buoni pastori che vegliavano a custodia della greggia. Un’improvvisa luce sbocciò davanti ad essi sbalorditi ed un Angelo disse loro: « Non temete, che vi annunzio una gran gioia: è nato il Salvatore. Eccovi il segno per riconoscerlo: troverete un bambino avvolto in panni e posto in una mangiatoia ». In quel momento sulla terra oscura ed ignara, i cieli parvero spalancarsi; stormi innumerevoli d’Angeli trasvolarono lasciando indietro un canto di speranza: « Gloria a Dio! Pace agli uomini! ». Quando disparvero e la notte si ricompose nel silenzio e nelle tenebre, i pastori rinvenuti un poco dalla stupefazione dissero: « Corriamo a Betlemme, e vedremo ciò che il Signore ci ha fatto conoscere ». Vi giunsero in fretta, verificarono il segno preannunciato dall’Angelo, e adorarono Dio in quella creaturina di carne, messa in un greppia, come un oggetto di rifiuto. Cristiani! l’eco del canto angelico ripassa ancora sulle nostre anime, sulle nostre case, sulle nostre chiese: «A Dio gloria, agli uomini pace ». È vero che il fatto della nascita di Gesù dal seno verginale di Maria, avvenuto una volta per sempre venti secoli or sono, più non si ripete. Ma gli effetti di quella nascita, i suoi frutti di grazia e di vita, come un fiume celeste, ancora inondano la terra: oggi specialmente passano accanto a noi. Apriamo i cuori ad accoglierli! Quelli che come Erode si ostinano nelle loro passioni di egoismo e nelle abitudini sensuali, quelli che come Augusto si abbandonano a sogni d’orgoglio e a bramosie di possedere, non sentiranno nel loro animo che è nato il Salvatore. Beati quelli che, come i pastori dalla semplice vita, deposta ogni ingombrante preoccupazione terrena, accorreranno alla culla divina e gusteranno i frutti del santo Natale. Tre sono i principali frutti del ministero che celebriamo:

1) comprendere il sentimento che faceva palpitare il cuore al celeste Bambino: l’Amore;

2) raccogliere dal suo esempio l’insegnamento che illumina ogni uomo che viene al mondo: la Verità;

3) attingere alla sorgente che nascendo ha dischiuso per noi: la Vita divina della Grazia. Insomma, ciò che provarono e videro allora i pastori, noi dobbiamo provarlo e vederlo ora: l’Amore, la Verità, Dio che si fece carne e s’attendò tra noi. – È APPARSO L’AMORE. Dopo il peccato una profonda separazione distaccò l’uomo da Dio. Se Dio parlava, la sua voce faceva tramortire di spavento. « Udii la tua voce — balbettava Adamo — e per la paura mi sono nascosto » (Gen., III, 10). Se Dio s’avvicinava alle punte della terra, i tuoni e le folgori lo avvolgevano. Il popolo atterrito alle falde del Sinai, supplicava Mosè: « Parla tu a noi; ma non ci parli il Signore, perché morremmo » (Es., XX, 19). Gli uomini sentivano d’essere sotto una maledizione e di non poter pensare a Dio se non con terrore. « Le nubi e le tempeste gli stanno intorno; l’incendio lo precede ad abbruciare i suoi nemici. S’egli guarda, la terra sussulta; s’egli guarda, i monti si struggono come fossero di cera » (Ps., XCVI, 2-5). – E sarebbe stato sempre così, perché l’uomo solo doveva riparare, e l’uomo da solo non poteva. Infatti « qual mai tra i nati all’odio, qual era mai persona che al Santo inaccessibile potesse dire: « perdona? » (MANZONI). – Ma un amore infinito, incomprensibile, spinse il Figlio di Dio a prendere la nostra carne umana, che era condannata e che trascinava a morte. Eppure alla morte Egli innocente non doveva nulla. Egli onnipotente avrebbe potuto sottrarsi. Ma non l’ha fatto. E nasce un bambino appunto per morire d’amore e liberarci dal terrore. Perciò dissero gli Angeli ai pastori: « Non temete più… È nato il Salvatore e lo troverete bambino in fasce ». – Sentite. Un antico capitano di nome Temistocle, fuggiasco e sfinito, fu costretto ad approdare alla terra d’un re che aveva un giorno offeso e da cui era ricercato a morte. Folle di spavento entrò nella reggia e corse a nascondersi in una sala. Ecco un rumore dietro a lui: si voltò disperato e deciso a lasciarsi uccidere. Vide un bambino, incerto sui suoi passi, che lo guardava, e gli sorrideva e gli tendeva le manine bianche…: era il figlio del re. Temistocle non seppe resistere allo spettacolo inatteso di quella innocenza: lo prese tra le sue braccia e cominciò a tremare e a piangere. Così, in quest’atteggiamento lo sorprese il re. Come l’ira del re avrebbe potuto colpire, se tra la punta della spada e il nemico c’era di mezzo il suo bambino? Il monarca adunque ripose la spada, e corse ad abbracciare il suo piccolo: ma stretto a lui, fatto quasi una sol cosa con lui, era il colpevole. Non poté disgiungerlo, e se li strinse entrambi al suo cuore confondendoli in un unico amore. O uomo, — grida S. Bernardo, — perché paventi? Perché temi davanti al Signore che viene? Non disperarti, non fuggire! Rivolgiti e guarda: è un Bambino che ancora non sa parlare, che ancora non sa camminare, solo già sa piangere d’amore (Migne, P. L., «In Nativ. Dom. », Sermo I, 3). Detestando sinceramente le nostre colpe, abbracciamo il piccolo Gesù che nasce per noi; con la fede aderiamo a Lui fino a far con Lui una cosa sola. Se Dio vorrà poi giudicarci a morte, noi gli diremo: « Signore fra me e il tuo giudizio, io metto in mezzo quest’innocente creaturina, che è tuo Figlio ». – È APPARSA LA VERITÀ. Pochi anni prima che nascesse Gesù, Ottaviano il futuro padrone del mondo che avrebbe ordinato il censimento, prima di salir sulle navi e muovere a battaglia incontrò un asinaio col suo somaro; la bestia si chiamava Vittorioso. Dopo la battaglia l’imperatore fece innalzare nel tempio una statua di bronzo a quell’asino perché fosse adorato in ricordo della sua vittoria. Quanta superstizione e quanta immersione nella materia vi era negli uomini anche tra le persone più cospicue e civili, perfino nello stesso Imperatore. Il demonio che si faceva adorare negli idoli, traviava l’umanità proponendole come supremo bene il piacere dei sensi, gli onori umani, il possesso del danaro e della roba. – Ma la divina Sapienza si fece carne, e pose la cattedra in una mangiatoia: di lì la Verità illumina ogni uomo che viene al mondo. Alla sensualità il Bambino Gesù oppone l’esempio delle sue sofferenze. Soffre nel corpo il rigore della notte, l’ispidità di quella strana cuna; soffre nell’anima per i nostri peccati, i quali già cominciano a strappargli dagli occhi le lacrime e poi gli strapperanno dalle vene tutto il sangue. – All’orgoglio il Bambino Gesù oppone l’esempio della sua umiliazione. L’uomo vuol sempre apparire da più di quello che è fino a ribellarsi a Dio, e anteporre il suo capriccio al comandamento dell’Eterno. Gesù, vero Dio, si nascose nella natura umana, si annientò facendosi come uno di noi. Gesù, immenso, Dio, che i cieli non possono contenere si restrinse in piccole membra ad avvolgere le quali bastarono pochi decimetri di fasce. Gesù, eterno Dio, che vive nei secoli apparve fragile creatura di poche ore. Gesù l’onnipotente Dio che guida gli astri, sostiene l’universo, giudica i vivi ed i morti, s’abbandonò incapace di reggersi nelle mani di Giuseppe e di Maria, si lasciò prendere e portare dovunque desiderassero, sempre a loro sottomesso. – All’avarizia il Bambino Gesù oppone l’esempio della sua povertà. La bramosia di possedere muove quaggiù individui e popoli, ma il Figlio di Dio nascendo ci ha disillusi, insegnandoci che ogni cosa terrena è una fugace bagatella. Il re dei secoli infatti non volle un palazzo, neppure una camera affittata nell’albergo, neppure una cuna: gli è bastato una mangiatoia e pochi pannicelli. È apparsa dunque la Verità in forma visibile per entusiasmarci dei beni invisibili. I poveri e gli umili non devono più lagnarsi del loro stato che tanto somiglia al suo; i ricchi e i fortunati devono preoccuparsi di aiutare i bisognosi, altrimenti non assomiglieranno mai a Lui, che «da ricco che era, si è fatto per noi povero » (II Cor., VIII, 9). – È APPARSO DIO. Che mirabile scambio è mai avvenuto tra la divinità e l’umanità nel Santo Natale! 1) Dio è apparso in mezzo a noi, si è fatto uomo. Noi gli abbiamo prestata la nostra natura. Contemplate il celeste Bambino, ci sono in Lui due vite: quella di Dio e quella d’uomo. Come uomo giace sul fieno, come Dio regna nei cieli e giudica le anime che compariscono davanti a lui. Jacet in præsepio, et in cælis regnat. Badiamo bene di non macchiare coi peccati quella natura umana che Egli s’è degnato di prendere in prestito da noi. 2) Dio è apparso in mezzo a noi, si è fatto uomo perché l’uomo si facesse Dio. Nascendo Egli ci ha fatto partecipare alla sua natura divina. Considerate, Cristiani, la nostra realtà: ci sono in noi due vite. L’una naturale che ci fu data attraverso l’opera dei nostri genitori; l’altra soprannaturale, divina, che ci fu comunicata nelle acque del battesimo. Non siamo appena figli d’uomini, ma siamo anche figli di Dio, fratelli di Gesù Bambino, degni di godere in paradiso la sua stessa beatitudine e la sua stessa gloria. Di queste due vite, è quella divina che deve dominare in noi, benché noi non la vediamo. Anche in Gesù Bambino la sua vita divina era nascosta, sembrava soltanto un fanciullo come tutti gli altri. Ma un giorno Cristo apparirà nella sua gloria, e noi appariremo con Lui nella nostra realtà divina se non l’avremo soffocata nei peccati. Bisogna finirla una buona volta con tutto ciò che distrugge e intisichisce la vita divina in noi: cioè coi peccati, cogli affetti illeciti alle creature, con le preoccupazioni sregolate per le cose che passano, coi meschini desideri del nostro orgoglio! – Nell’anno 135 l’imperatore Adriano, con empio proposito, profanò la grotta della santa nascita collocandovi la statua di Adone, l’impudico idolo dei pagani. Dove Cristo infante aveva vagito per la salvezza nostra, ivi era tornata a dominare l’immagine della perdizione. Ma più vergognosa profanazione avviene nel cuore di molti Cristiani, nei quali Dio s’è degnato di nascere colla sua grazia, e dai quali è poi discacciato orrendamente e sostituito dalle più basse passioni. –  Sarebbe ingratitudine concludere senza un pensiero amoroso a Colei che fu degna di donarci il Bambino Redentore. Tra i ricordi che della sua infanzia S. Bernardo raccontava, il più dolce era questo. Era giunta la vigilia del Natale, attesa con quel fascino che solo sanno i fanciulli dall’anima bianca. Egli volle ad ogni costo che i suoi lo prendessero seco alla Messa di mezzanotte. Ma quando fu nella chiesa, cullato dal mormorio delle preghiere, avvolto nel tepore della folla, tardando la Messa ad uscire, vinto dal sonno s’addormentò. «Nel sonno vide attraversare i cieli la Vergine Maria che teneva stretto al seno il bellissimo Bambino, appena nato. Con materna mossa curvata su di lui, diceva: « Guarda fra quella gente il mio piccolo Bernardo! ». Il Bambino aprì le palpebre, girò gli occhi, e lo vide. Si sorrisero scambievolmente. O dolce, o santa Madre, quella parola che un giorno dicesti per S. Bernardo, ripetila al tuo Bambino, oggi, anche per noi! Digli che ci guardi. Digli che tu lo rivestisti di poveri panni, perché Egli rivestisse noi con la gloria dell’immortalità. Digli che lo ponesti nell’angusta mangiatoia, perché Egli collocasse noi nella reggia dei cieli immensa. Digli che tu lo adagiasti fra il fiato di due animali, perché Egli sollevasse noi tra il canto degli Angeli. Se così gli dici, così sarà.

IL CREDO

Offertorium

Orémus.
Ps LXXXVIII: 12; 15
Tui sunt cœli et tua est terra: orbem terrárum et plenitúdinem ejus tu fundásti: justítia et judícium præparátio sedis tuæ.

[Tuoi sono i cieli, e tua è la terra: tu hai fondato il mondo e quanto vi si contiene: giustizia ed equità sono le basi del tuo trono.]

Secreta

Obláta, Dómine, múnera, nova Unigéniti tui Nativitáte sanctífica: nosque a peccatórum nostrórum máculis emúnda. Per eundem …

[Santifica, o Signore, con la nuova nascita del tuo Unigénito, i doni offerti, e puríficaci dalle macchie dei nostri peccati.]

Præfatio

de Nativitate Domini


Vere dignum et justum est, æquum et salutáre, nos tibi semper et ubíque grátias ágere: Dómine sancte, Pater omnípotens, ætérne Deus: Quia per incarnáti Verbi mystérium nova mentis nostræ óculis lux tuæ claritátis infúlsit: ut, dum visibíliter Deum cognóscimus, per hunc in invisibílium amorem rapiámur. Et ídeo cum Angelis et Archángelis, cum Thronis et Dominatiónibus cumque omni milítia cæléstis exércitus hymnum glóriæ tuæ cánimus, sine fine dicéntes.

Sanctus, Sanctus, Sanctus Dóminus, Deus Sábaoth. Pleni sunt cæli et terra glória tua. Hosánna in excélsis. Benedíctus, qui venit in nómine Dómini. Hosánna in excélsis.

È veramente degno e giusto, conveniente e salutare, che noi, sempre e in ogni luogo, Ti rendiamo grazie, o Signore Santo, Padre Onnipotente, Eterno Iddio: Poiché mediante il mistero del Verbo incarnato rifulse alla nostra mente un nuovo raggio del tuo splendore, cosí che mentre visibilmente conosciamo Dio, per esso veniamo rapiti all’amore delle cose invisibili. E perciò con gli Angeli e gli Arcangeli, con i Troni e le Dominazioni, e con tutta la milizia dell’esercito celeste, cantiamo l’inno della tua gloria, dicendo senza fine:

Santo, Santo, Santo il Signore Dio degli eserciti, i cieli e la terra sono pieni della tua gloria. Osanna nell’alto dei cieli. Benedetto colui che viene nel nome del Signore. Osanna nell’alto dei cieli.

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Ps XCVII: 3
Vidérunt omnes fines terræ salutáre Dei nostri.

[Tutti i confini della terra hanno visto la salvezza del nostro Dio.]

Postcommunio

Præsta, quǽsumus, omnípotens Deus: ut natus hódie Salvátor mundi, sicut divínæ nobis generatiónis est auctor; ita et immortalitátis sit ipse largítor:
Qui tecum vivit et regnat ….

[Fa’, Te ne preghiamo, o Dio onnipotente, che il Salvatore del mondo, oggi nato, come è l’autore della nostra divina rigenerazione, così ci sia anche datore dell’immortalità.
Lui che è Dio, e vive e regna con te,…. ]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (1)

ORDINARIO DELLA MESSA

SANTO NATALE – MESSA ALL’AURORA (2021)

SANTO NATALE – (2021)

SECONDA MESSA ALL’AURORA

(Messale Romano di S. Bertola e G. Destefani, comm. di D. G. LEFEBVRE O. S. B; L. I. C. E. – R. Berruti & C. Torino 1950)

Stazione a S. Anastasia.

La Messa Dell’Aurora si celebrava a Roma nell’antichissima chiesa di S. Anastasia. La sua posizione ai piedi del Palatino, dov’era la residenza dei Cesari, ne faceva la Chiesa degli alti funzionari della Corte. Il nome di S. Anastasia è inserito al Canone della Messa. Santa Anastasia, di cui oggi si fa memoria, è la celebre martire di Sirmio. – La liturgia della Messa ci fa salutare « con gioia il santo Re che viene » (Com.) « il Signore che è nato per noi » (Intr.), « il Bambino adagiato nella mangiatoia » (Vang.). Ci dice che « colui che è nato uomo in questo giorno, si è rivelato anche ai nostri occhi come Dio » (Secr.). Perchè Egli è « il Verbo fatto carne (Or.) si chiama Dio (Intr.) ed « esiste sino dall’eternità » (Off.). E, se Egli viene, è per salvarci (Ep. Com.) e « per farci eredi della vita eterna » (Ep.) della quale noi godremo nel cielo, quando questo Principe della pace, tornerà alla fine del mondo rivestito di forza» (V. dell’ Intr., Alleluia) e in tutto lo splendore della sua Maestà. Allora « il Re dei cieli, che s’è degnato nascere per noi da una Vergine per richiamare al Regno celeste l’uomo che ne era decaduto» (1° resp.)» regnerà per sempre «(Intr.)sugli uomini di buona volontà (Gloria) che lo avranno accolto con fede e amore al tempo della sua prima venuta. Le feste di Natale hanno dunque lo scopo di prepararci al 2° Avvento « giustificandoci per la grazia di Gesù Cristo » (Ep.) « distruggendo in noi il vecchio uomo » (Postcom.) « conferendoci ciò che è divino » (Secr.) e aiutandoci « a fare risplendere nelle nostre opere ciò che per la fede brilla nelle nostre anime » (Or.). – Con i pastori, ai quali il Signore manifesta l’Incarnazione del Suo Figlio, « affrettiamoci di andare» (Vang.) ad adorare all’Altare, che è il vero presepe, il Verbo, nato nell’eternità dal Suo Padre celeste, nato da Maria sopra la terra, e che deve nascere sempre più colla grazia nelle nostre anime, in attesa che ci faccia nascere alla vita gloriosa nel cielo.

Incipit

In nómine Patris, ✠ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Is IX:2 et 6.
Lux fulgébit hódie super nos: quia natus est nobis Dóminus: et vocábitur Admirábilis, Deus, Princeps pacis, Pater futúri sǽculi: cujus regni non erit finis. [La luce splenderà oggi su di noi: poiché ci è nato il Signore: e si chiamerà Ammirabile, Dio, Principe della pace, Padre per sempre: e il suo regno non avrà fine.]

Ps XCII:1
Dominus regnávit, decorem indutus est: indutus est Dominus fortitudinem, et præcínxit se.
[Il Signore regna, si ammanta di maestà: Il Signore si ammanta di fortezza, e si cinge di potenza.]

Lux fulgébit hódie super nos: quia natus est nobis Dóminus: et vocábitur Admirábilis, Deus, Princeps pacis, Pater futúri sǽculi: cujus regni non erit finis.

[La luce splenderà oggi su di noi: poiché ci è nato il Signore: e si chiamerà Ammirabile, Dio, Principe della pace, Padre per sempre: e il suo regno non avrà fine.]

Oratio

Orémus.
Da nobis, quǽsumus, omnípotens Deus: ut, qui nova incarnáti Verbi tui luce perfúndimur; hoc in nostro respléndeat ópere, quod per fidem fulget in mente.

[Concedici, Te ne preghiamo, o Dio onnipotente: che, essendo inondati dalla nuova luce del Tuo Verbo incarnato, risplenda nelle nostre opere ciò che per virtù della fede brilla nella nostra mente.]

Orémus.
Pro S. Anastasiæ Mart:
Da, quǽsumus, omnípotens Deus: ut, qui beátæ Anastásiæ Mártyris tuæ sollémnia cólimus; ejus apud te patrocínia sentiámus.

[Concedici, Te ne preghiamo, o Dio onnipotente: che, celebrando la solennità della Tua Martire Anastasia, possiamo godere presso di Te il beneficio del suo patrocinio.]

Lectio

Lectio Epístolæ beati Pauli Apostoli ad Titum.
Tit III: 4-7
Caríssime: Appáruit benígnitas et humánitas Salvatóris nostri Dei: non ex opéribus justítiæ, quæ fécimus nos, sed secúndum suam misericórdiam salvos nos fecit per lavácrum regeneratiónis et renovatiónis Spíritus Sancti, quem effúdit in nos abúnde per Jesum Christum, Salvatorem nostrum: ut, justificáti grátia ipsíus, herédes simus secúndum spem vitæ ætérnæ: in Christo Jesu, Dómino nostro.

[Carissimo: Apparsa la bontà e l’umanità del Salvatore, nostro Dio: Egli ci salvò non già in ragione delle opere di giustizia fatte da noi, ma per la Sua misericordia: col lavacro di rigenerazione e il rinnovamento dello Spirito Santo, diffuso largamente su di noi per i meriti di Gesù Cristo, nostro Salvatore: affinché, giustificati per la Sua grazia, divenissimo eredi, in speranza, della vita eterna: in Cristo Gesù, Signore nostro.]

Graduale

Ps CXVII: 26; 27; 23
Benedíctus, qui venit in nómine Dómini: Deus Dóminus, et illúxit nobis.

[Benedetto Colui che viene nel nome del Signore: Il Signore è Dio e ci ha illuminati.]

V. A Dómino factum est istud: et est mirábile in óculis nostris. Allelúja, allelúja

V. Questa è opera del signore: ed è mirabile ai nostri occhi. Allelúia, allelúia
Ps XCII: 1
V. Dóminus regnávit, decórem índuit: índuit Dóminus fortitúdinem, et præcínxit se virtúte. Allelúja.

[V. Il Signore regna, si ammanta di maestà: Il Signore si ammanta di fortezza, e si cinge di potenza. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia +︎ sancti Evangélii secúndum S. Lucam.
S. Luc II:15-20
In illo témpore: Pastóres loquebántur ad ínvicem: Transeámus usque Béthlehem, et videámus hoc verbum, quod factum est, quod Dóminus osténdit nobis. Et venérunt festinántes: et invenérunt Maríam et Joseph. et Infántem pósitum in præsépio. Vidéntes autem cognovérunt de verbo, quod dictum erat illis de Púero hoc. Et omnes, qui audiérunt, miráti sunt: et de his, quæ dicta erant a pastóribus ad ipsos. María autem conservábat ómnia verba hæc, cónferens in corde suo. Et revérsi sunt pastóres, glorificántes et laudántes Deum in ómnibus, quæ audíerant et víderant, sicut dictum est ad illos.

[In quel tempo: I pastori presero a dire tra loro: Andiamo sino a Betlemme a vedere quello che è accaduto, come il Signore ci ha reso noto. E andati con prontezza, trovarono Maria, e Giuseppe, e il bambino giacente nella mangiatoia. Dopo aver visto, raccontarono quanto era stato detto loro di quel bambino. Coloro che li udirono rimasero meravigliati di ciò che i pastori avevano detto. Intanto Maria riteneva tutte queste cose, meditandole in cuor suo. E i pastori se ne ritornarono glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e veduto, come era stato loro detto.]

OMELIA

(G. Colombo: Pensieri sui Vangeli e sulle feste del Signore e dei Santi; VI ediz. – Soc. Ed. Vita e pensiero.- Milano 1956)

IL MISTERO DEL SANTO NATALE

Da Nazareth, dove avevano messo su casa, il censimento di Cesare Augusto obbligò Giuseppe e Maria a recarsi fino a Betlemme città dei loro antenati. Per tal modo mentre il padrone dell’Impero col suo decreto metteva in moto umili persone, inconsapevolmente dava compimento alla profezia che annunciava Betlemme come luogo di nascita per il Messia. « Che fate voi principe del mondo! Credeste d’agire secondo le vostre voglie e finite per eseguire i disegni di Uno che è sopra di voi » (BOSSUET). – Quattro giorni viaggiarono i due pellegrini: e si era nella stagione delle piogge e le condizioni della Vergine estremamente delicate. A Betlem, gremita di forestieri accorsi per farsi iscrivere, non trovarono alloggio conveniente; neppure all’albergo. Sicché, quando fredda fredda discese la sera, Giuseppe e Maria andarono a ripararsi in una grotta dove gli uomini del paese cacciavano il bestiame e qualche volta essi pure pernottavano. Unico arnese vi era una mangiatoia per i foraggi e biadumi degli animali. In questa stalla, nel cuor della notte, nacque il Figlio di Dio, Salvatore del mondo. Sua Madre, la sempre Vergine, lo prese nelle sue mani, lo ravvolse in pannicelli, e lo accomodò nella mangiatoia. Di lì, come da un trono prescelto, cominciò a regnare il Signore dei potenti, il Re dei re. E vagiva, con un filo di fiato. E non seppe ch’Egli era nato, Erode il feroce Iduneo che abitava in una fortezza non lontano dalla grotta, e che forse in quell’ora adagiato fra gli ori e la porpora accoglieva gli omaggi de’ suoi cortigiani o si assideva al banchetto sontuose di un festino notturno. E non lo seppe neanche Cesare Augusto: eppure il Dio dei Cieli era nato suddito del suo impero. – Invece lo seppero alcuni poveri e buoni pastori che vegliavano a custodia della greggia. Un’improvvisa luce sbocciò davanti ad essi sbalorditi ed un Angelo disse loro: « Non temete, che vi annunzio una gran gioia: è nato il Salvatore. Eccovi il segno per riconoscerlo: troverete un bambino avvolto in panni e posto in una mangiatoia ». In quel momento sulla terra oscura ed ignara, i cieli parvero spalancarsi; stormi innumerevoli d’Angeli trasvolarono lasciando indietro un canto di speranza: « Gloria a Dio! Pace agli uomini! ». Quando disparvero e la notte si ricompose nel silenzio e nelle tenebre, i pastori rinvenuti un poco dalla stupefazione dissero: « Corriamo a Betlemme, e vedremo ciò che il Signore ci ha fatto conoscere ». Vi giunsero in fretta, verificarono il segno preannunciato dall’Angelo, e adorarono Dio in quella creaturina di carne, messa è in un greppia, come un oggetto di rifiuto. Cristiani! l’eco del canto angelico ripassa ancora sulle nostre anime, sulle nostre case, sulle nostre chiese: «A Dio gloria, agli uomini pace ». È vero che il fatto della nascita di Gesù dal seno verginale di Maria, avvenuto una volta per sempre venti secoli or sono, più non si ripete. Ma gli effetti di quella nascita, i suoi frutti di grazia e di vita, come un fiume celeste, ancora inondano la terra: oggi specialmente passano accanto a noi. Apriamo i cuori ad accoglierli! Quelli che come Erode si ostinano nelle loro passioni di egoismo e nelle abitudini sensuali, quelli che come Augusto si abbandonano a sogni d’orgoglio e a bremosie di possedere, non sentiranno nel loro animo che è nato il Salvatore. Beati quelli che, come i pastori dalla semplice vita, deposta ogni ingombrante preoccupazione terrena, accorreranno alla culla divina e gusteranno i frutti del santo Natale. Tre sono i principali frutti del ministero che celebriamo:

1) comprendere il sentimento che faceva palpitare il cuore al celeste Bambino: l’Amore;

2) raccogliere dal suo esempio l’insegnamento che illumina ogni uomo che viene al mondo: la Verità;

3) attingere alla sorgente che nascendo ha dischiuso per noi: la Vita divina della Grazia.

Insomma, ciò che provarono e videro allora i pastori, noi dobbiamo provarlo e vederlo ora: l’Amore, la Verità, Dio che si fece carne e s’attendò tra noi. – È APPARSO L’AMORE. Dopo il peccato una profonda separazione distaccò l’uomo da Dio. Se Dio parlava, la sua voce faceva tramortire di spavento. « Udii la tua voce — balbettava Adamo — e per la paura mi sono nascosto » (Gen., III, 10). Se Dio s’avvicinava alle punte della terra, i tuoni e le folgori lo avvolgevano. Il popolo atterrito alle falde dei Sinai, supplicava Mosè: « Parla tu a noi; ma non ci parli il Signore, perché morremmo » (Es., XX, 19). Gli uomini sentivano d’essere sotto una maledizione e di non poter pensare a Dio se non con terrore. « Le nubi e le tempeste gli stanno intorno; l’incendio lo precede ad abbruciare i suoi nemici. S’egli guarda, la terra sussulta; s’egli guarda, i monti si struggono come fossero di cera » (Ps., XCVI, 2-5). – E sarebbe stato sempre così, perché l’uomo solo doveva riparare, e l’uomo da solo non poteva. Infatti « qual mai tra i nati all’odio, qual era mai persona che al Santo inaccessibile potesse dire: « perdona? » (MANZONI). – Ma un amore infinito, incomprensibile, spinse il Figlio di Dio a prendere la nostra carne umana, che era condannata e che trascinava a morte. Eppure alla morte Egli innocente non doveva nulla. Egli onnipotente avrebbe potuto sottrarsi. Ma non l’ha fatto. E nasce un bambino appunto per morire d’amore e liberarci dal terrore. Perciò dissero gli Angeli ai pastori: « Non temete più… È nato il Salvatore e lo troverete bambino in fasce ». – Sentite. Un antico capitano di nome Temistocle, fuggiasco e sfinito, fu costretto ad approdare alla terra d’un re che aveva un giorno offeso e da cui era ricercato a morte. Folle di spavento entrò nella reggia e corse a nascondersi in una sala. Ecco un rumore dietro a lui: si voltò disperato e deciso a lasciarsi uccidere. Vide un bambino, incerto sui suoi passi, che lo guardava, e gli sorrideva e gli tendeva le manine bianche…: era il figlio del re. Temistocle non seppe resistere allo spettacolo inatteso di quella innocenza: lo prese tra le sue braccia e cominciò a tremare e a piangere. Così, in quest’atteggiamento lo sorprese il re. Come l’ira del re avrebbe potuto colpire, se tra la punta della spada e il nemico c’era di mezzo il suo bambino? Il monarca adunque ripose la spada, e corse ad abbracciare il suo piccolo: ma stretto a lui, fatto quasi una sol cosa con lui, era il colpevole. Non poté disgiungerlo, e se li strinse entrambi al suo cuore confondendoli in un unico amore. O uomo, — grida S. Bernardo, — perché paventi? Perché temi davanti al Signore che viene? Non disperarti, non fuggire! Rivolgiti e guarda: è un Bambino che ancora non sa parlare, che ancora, non sa camminare, solo già sa piangere d’amore (Migne, P. L., «In Nativ. Dom. », Sermo I, 3). Detestando sinceramente le nostre colpe, abbracciamo il piccolo Gesù che nasce per noi; con la fede aderiamo a Lui fino a far con Lui una cosa sola. Se Dio vorrà poi giudicarci a morte, noi gli diremo: « Signore fra me e il tuo giudizio, io metto in mezzo quest’innocente creaturina, che è tuo Figlio ». – È APPARSA LA VERITÀ. Pochi anni prima che nascesse Gesù, Ottaviano il futuro padrone del mondo che avrebbe ordinato il censimento, prima di salir sulle navi e muovere a battaglia incontrò un asinaio col suo somaro; la bestia si chiamava Vittorioso. Dopo la battaglia l’imperatore fece innalzare nel tempio una statua di bronzo a quell’asino perché fosse adorato in ricordo della sua vittoria. Quanta superstizione e quanta immersione nella materia vi era negli uomini anche tra le persone più cospicue e civili, perfino nello stesso Imperatore. Il demonio che si faceva adorare negli idoli, traviava l’umanità proponendole come supremo bene il piacere dei sensi, gli onori umani, il possesso del danaro e della roba. – Ma la divina Sapienza si fece carne, e pose la cattedra in una mangiatoia: di lì la Verità illumina ogni uomo che viene al mondo. Alla sensualità il Bambino Gesù oppone l’esempio delle sue sofferenze. Soffre nel corpo il rigore della notte, l’ispidità di quella strana cuna; soffre nell’anima per i nostri peccati, i quali già cominciano a strappargli dagli occhi le lacrime e poi gli strapperanno dalle vene tutto il sangue. – All’orgoglio il Bambino Gesù oppone l’esempio della sua umiliazione. L’uomo vuol sempre apparire da più di quello che è fino a ribellarsi a Dio, e anteporre il suo capriccio al comandamento dell’Eterno. Gesù, vero Dio, si nascose nella natura umana, si annientò facendosi come uno di noi. Gesù, immenso, Dio, che i cieli non possono contenere si restrinse in piccole membra ad avvolgere le quali bastarono pochi decimetri di fasce. Gesù, eterno Dio, che vive nei secoli apparve fragile creatura di poche ore. Gesù l’onnipotente Dio che guida gli astri, sostiene l’universo, giudica i vivi ed i morti, s’abbandonò incapace di reggersi nelle mani di Giuseppe e di Maria, si lasciò prendere e portare dovunque desiderassero, sempre a loro sottomesso. – All’avarizia il Bambino Gesù oppone l’esempio della sua povertà. La bramosia di possedere muove quaggiù individui e popoli, ma il Figlio di Dio nascendo ci ha disillusi, insegnandoci che ogni cosa terrena è una fugace bagatella. Il re dei secoli infatti non volle un palazzo, neppure una camera affittata nell’albergo, neppure una cuna: gli è bastato una mangiatoia e pochi pannicelli. È apparsa dunque la Verità in forma visibile per entusiasmarci dei beni invisibili. I poveri e gli umili non devono più lagnarsi del loro stato che tanto somiglia al suo; i ricchi e i fortunati devono preoccuparsi di aiutare i bisognosi, altrimenti non assomiglieranno mai a Lui, che «da ricco che era, si è fatto per noi povero » (II Cor., VIII, 9). – È APPARSO DIO. Che mirabile scambio è mai avvenuto tra la divinità e l’umanità nel Santo Natale! 1) Dio è apparso in mezzo a noi, si è fatto uomo. Noi gli abbiamo prestata la nostra natura. Contemplate il celeste Bambino, ci sono in Lui due vite: quella di Dio e quella d’uomo. Come uomo giace sul fieno, come Dio regna nei cieli e giudica le anime che compariscono davanti a lui. Jacet in præsepio, et in cælis regnat. Badiamo bene di non macchiare coi peccati quella natura umana che Egli s’è degnato di prendere in prestito da noi. 2) Dio è apparso in mezzo a noi, si è fatto uomo perché l’uomo si facesse Dio. Nascendo Egli ci ha fatto partecipare alla sua natura divina. Considerate, Cristiani, la nostra realtà: ci sono in noi due vite. L’una naturale che ci fu data attraverso l’opera dei nostri genitori; l’altra soprannaturale, divina, che ci fu comunicata nelle acque del battesimo. Non siamo appena figli d’uomini, ma siamo anche figli di Dio, fratelli di Gesù Bambino, degni di godere in paradiso la sua stessa beatitudine e la sua stessa gloria. Di queste due vite, è quella divina che deve dominare in noi, benché noi non la vediamo. Anche in Gesù Bambino la sua vita divina era nascosta, sembrava soltanto un fanciullo come tutti gli altri. Ma un giorno Cristo apparirà nella sua gloria, e noi appariremo con Lui nella nostra realtà divina se non l’avremo soffocata nei peccati. Bisogna finirla una buona volta con tutto ciò che distrugge e intisichisce la vita divina in noi: cioè coi peccati, cogli affetti illeciti alle creature, con le preoccupazioni sregolate per le cose che passano, coi meschini desideri del nostro orgoglio! – Nell’anno 135 l’imperatore Adriano, con empio proposito, profanò la grotta della santa nascita collocandovi la statua di Adone, l’impudico idolo dei pagani. Dove Cristo infante aveva vagito per la salvezza nostra, ivi era tornata a dominare l’immagine della perdizione. Ma più vergognosa profanazione avviene nel cuore di molti Cristiani, nei quali Dio s’è degnato di nascere colla sua grazia, e dai quali è poi discacciato orrendamente e sostituito dalle più basse passioni. –  Sarebbe ingratitudine concludere senza un pensiero amoroso a Colei che fu degna di donarci il Bambino Redentore. Tra i ricordi che della sua infanzia S. Bernardo raccontava, il più dolce era questo. Era giunta la vigilia del Natale, attesa con quel fascino che solo sanno i fanciulli dall’anima bianca. Egli volle ad ogni costo che i suoi lo prendessero seco alla Messa di mezzanotte. Ma quando fu nella chiesa, cullato dal mormorio delle preghiere, avvolto nel tepore della folla, tardando la Messa ad uscire, vinto dal sonno s’addormentò. «Nel sonno vide attraversare i cieli la Vergine Maria che teneva stretto al seno il bellissimo Bambino, appena nato. Con materna mossa curvata su di lui, diceva: « Guarda fra quella gente il mio piccolo Bernardo! ». Il Bambino aprì le palpebre, girò gli occhi, e lo vide. Si sorrisero scambievolmente. O dolce, o santa Madre, quella parola che un giorno dicesti per S. Bernardo, ripetila al tuo Bambino, oggi, anche per noi! Digli che ci guardi. Digli che tu lo rivestisti di poveri panni, perché Egli rivestisse noi con la gloria dell’immortalità. Digli che lo ponesti nell’angusta mangiatoia, perché Egli collocasse noi nella reggia dei cieli immensa. Digli che tu lo adagiasti fra il fiato di due animali, perché Egli sollevasse noi tra il canto degli Angeli. Se così gli dici, così sarà.

CREDO …

IL CREDO

Offertorium

Orémus
Ps XCII:1-2
Deus firmávit orbem terræ, qui non commovébitur: paráta sedes tua, Deus, ex tunc, a sǽculo tu es.

[Iddio ha consolidato la terra, che non vacillerà: il Tuo trono, o Dio, è stabile, fin dal principio, fin dall’eternità Tu sei.]

Secreta

Múnera nostra, quǽsumus, Dómine, Nativitátis hodiérnæ mystériis apta provéniant, et pacem nobis semper infúndant: ut, sicut homo génitus idem refúlsit et Deus, sic nobis hæc terréna substántia cónferat, quod divínum est.

[Le nostre offerte, o Signore, riescano atte ai misteri dell’odierna Natività e ci infondano pace duratura: affinché, come il Tuo Figlio nascendo uomo rifulse quale Dio, così queste offerte terrene conferiscano a noi ciò che è divino.]

Pro S. Anastasia.
Acipe, quǽsumus, Dómine, múnera dignánter obláta: et, beátæ Anastásiæ Mártyris tuæ suffragántibus méritis, ad nostræ salútis auxílium proveníre concéde.

[Le nostre offerte, o Signore, riescano atte ai misteri dell’odierna Natività e ci infondano pace duratura: affinché, come il Tuo Figlio nascendo uomo rifulse quale Dio, così queste offerte terrene conferiscano a noi ciò che è divino.]
Pro S. Anastasia.
[O Signore, Te ne preghiamo, accogli favorevolmente i doni offerti: e concedi che, per i meriti della beata Anastasia, Martire Tua, giovino a soccorso della nostra salvezza.]

COMUNIONE SPIRITUALE

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio


Zach IX:9
Exsúlta, fília Sion, lauda, fília Jerúsalem: ecce, Rex tuus venit sanctus et Salvátor mundi

[Esulta, o figlia di Sion, giubila, o figlia di Gerusalemme: ecco che viene il tuo Re santo, il Salvatore del mondo.]

Postcommunio

Orémus.
Hujus nos, Dómine, sacraménti semper nóvitas natális instáuret: cujus Natívitas singuláris humánam réppulit vetustátem.

[Ci restauri sempre, o Signore, la rinnovata celebrazione del Natale di Colui la cui nascita singolare scacciò l’umana decrepitezza.]

Orémus.
Pro S. Anastasia.
Satiásti, Dómine, famíliam tuam munéribus sacris: ejus, quǽsumus, semper interventióne nos réfove, cujus sollémnia celebrámus.

[Hai saziato, o Signore, la tua famiglia con i sacri doni: confortaci sempre, Te ne preghiamo, mediante l’intercessione della Santa di cui celebriamo la festa.]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (2)

ORDINARIO DELLA MESSA

SANTO NATALE – PRIMA MESSA DURANTE LA NOTTE (2021)

PRIMA MESSA del SANTO NATALE (2021)

DURANTE LA NOTTE

Doppio di I cl. con ottava privileg. di III ord. – Paramenti bianchi.

Stazione a S. Maria Maggiore all’altare del Presepe.

(Messale Romano di S. Bertola e G. Destefani, comm. di D. G. LEFEBVRE O. S. B; L. I. C. E. – R. Berruti & C. Torino 1950)

Il Verbo, generato nell’eternità del Padre, (Com. Grad.) ha elevato fino all’unione personale con sé il frutto benedetto del seno verginale di Maria, ciò che significa che la natura umana e la natura divina sono legate in Gesù nell’unità di una sola Persona, che è la seconda Persona della SS. Trinità. E, come quando si parla di figliolanza, è la persona che si designa, si deve dire che Gesù è il Figlio di Dio perché la sua persona è divina; è il Verbo incarnato. Perciò Maria è la Madre di Dio; non perché essa abbia generato il Verbo, ma perché ha generato l’umanità che il Verbo si è unito nel mistero dell’Incarnazione; mistero di cui la nascita di Gesù a Betlemme fu la prima manifestazione al mondo. Si comprende allora perché la Chiesa canti ogni anno a Natale: « Puer natus est nobis et Filius datus est nobis»; un fanciullo è nato per noi, un figlio ci viene dato, (Intr., Allei.). Questo Figlio è il Verbo incarnato, generato come Dio dal Padre nel giorno dell’eternità: Ego hodie genui te, e che Dio genera come uomo nel giorno dell’Incarnazione: Ego hodie genui te; perché con l’assunzione della sua umanità in Dio « assumptione humanitatis in Deum » (Simbolo di S. Atanasio), il Figlio di Maria è nato alla vita divina, ed ha Dio stesso per Padre, perché Egli è unito ipostaticamente a Dio Figlio. – «Con grande amore, dice S. Leone, il Verbo incarnato ha ingaggiato la lotta contro satana per salvarci, perché l’onnipotente Signore ha combattuto con il crudelissimo nemico non nella maestà di Dio, ma nella debolezza della nostra carne » (5a Lez.). E la vittoria che ha riportato, malgrado la sua debolezza, mostra che Egli è Dio. – Fu nel mezzo della notte, che Maria mise al mondo il Figlio primogenito e lo depose in una mangiatoia. Cosi la Messa si celebra a mezzanotte nella Basilica di S. Maria Maggiore, dove si conservano le reliquie della mangiatoia. – Questa nascita in piena notte è simbolica. È il « Dio da Dio, luce da luce » (Credo) che disperde le tenebre del peccato. « Gesù è la vera luce che viene a illuminare il mondo immerso nelle tenebre » (Or.). «Col Mistero dell’Incarnazione del Verbo, dice il Prefazio, un nuovo raggio di splendore del Padre ha brillato agli occhi della nostra anima, perché, mentre conosciamo Iddio sotto una forma visibile, possiamo esser tratti da Lui all’amore delle cose invisibili ». « La bontà del nostro Dio Salvatore si è dunque manifestata a tutti gli uomini per insegnarci a rinunciate alle cupidigie umane, per redimerci da ogni bassezza e per fare di noi un popolo gradito, e fervente di buone opere» (Ep.). «Si è fatto simile a noi perché noi diventiamo simili a Lui (Secr.) e perché dietro il suo esempio possiamo condurre una vita santa » (Postcom.). « È cosi che vivremo in questo mondo con temperanza, giustizia e pietà, attendendo la lieta speranza e l’avvento della gloria del nostro grande Iddio Salvatore e nostro Gesù Cristo » (Ep.). Come durante l’Avvento, la prima venuta di Gesù ci prepara dunque alla seconda.

Incipit

In nómine Patris, ✠ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Ps II:7.
Dóminus dixit ad me: Fílius meus es tu, ego hódie génui te

(Il Signore disse a me: tu sei mio figlio, io oggi ti ho generato).
Ps II:1
Quare fremuérunt gentes: et pópuli meditáti sunt inánia?

[Perché si agitano le genti: e i popoli ordiscono vani disegni?]

Dóminus dixit ad me: Fílius meus es tu, ego hódie génui te.

[Il Signore disse a me: tu sei mio figlio, io oggi ti ho generato].

Oratio

Orémus.
Deus, qui hanc sacratíssimam noctem veri lúminis fecísti illustratióne claréscere: da, quǽsumus; ut, cujus lucis mystéria in terra cognóvimus, ejus quoque gáudiis in coælo perfruámur:

[O Dio, che questa notta sacratissima hai rischiarato coi fulgori della vera Luce, concedici, Te ne preghiamo, che di Colui del quale abbiamo conosciuto in terra i misteriosi splendori, partecipiamo pure i gaudii in cielo:]

Lectio

Léctio Epístolæ beati Pauli Apóstoli ad Titum
Tit II: 11-15
Caríssime: Appáruit grátia Dei Salvatóris nostri ómnibus homínibus, erúdiens nos, ut, abnegántes impietátem et sæculária desidéria, sóbrie et juste et pie vivámus in hoc sǽculo, exspectántes beátam spem et advéntum glóriæ magni Dei et Salvatóris nostri Jesu Christi: qui dedit semetípsum pro nobis: ut nos redímeret ab omni iniquitáte, et mundáret sibi pópulum acceptábilem, sectatórem bonórum óperum. Hæc lóquere et exhortáre: in Christo Jesu, Dómino nostro.

[Carissimo: La grazia salvatrice di Dio si è manifestata per tutti gli uomini e ci ha insegnato a rinnegare l’empietà e le mondane cupidigie, e a vivere in questo mondo con temperanza, giustizia e pietà, aspettando la lieta speranza e la manifestazione gloriosa del nostro grande Iddio e Salvatore nostro Gesù Cristo. Egli ha dato sé stesso per noi, a fine di riscattarci da ogni iniquità, e purificare per sé un popolo suo proprio, zelante per buone opere. Insegna queste cose e raccomandale: in nome del Cristo Gesù, Signore nostro.]

Aspirazione. Siate benedetto, o mio divin Salvatore, che vi siete degnato di scendere dal cielo e rivestirvi di nostra carne mortale, per venire ad insegnarmi il cammino giustizia! Riconoscente a sì grande amore e per  profittare di un sì gran benefizio, rinunzio ad ogni empietà e ad ogni inimicizia, ai piaceri della carne ed a tutte le azioni, parole, pensieri che potessero dispiacervi, e prometto fermamente di vivere con temperanza, giustizia e pietà. Deh! la vostra grazia, o mio Dio, mi renda fedele ai disegni che essa m’ispira! (Goffinè: Manuale per la santif. della Domenica, etc …)

Graduale

Ps CIX: 3; 1
Tecum princípium in die virtútis tuæ: in splendóribus Sanctórum, ex útero ante lucíferum génui te.


[Con te è il principato dal giorno della tua nascita: nello splendore dei santi, dal mio seno ti ho generato, prima della stella del mattino.]

V. Dixit Dóminus Dómino meo: Sede a dextris meis: donec ponam inimícos tuos, scabéllum pedum tuórum. Allelúja, allelúja.

[V. Disse il Signore al mio Signore: Siedi alla mia destra: finché ponga i tuoi nemici a sgabello dei tuoi piedi. Allelúia, allelúia.]

Ps II:7
V. Dóminus dixit ad me: Fílius meus es tu, ego hódie génui te. Allelúja.

[V. Il Signore disse a me: tu sei mio figlio, io oggi ti ho generato. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia +︎ sancti Evangélii secundum Lucam
Luc II:1-14
In illo témpore: Exiit edíctum a Cæsare Augústo, ut describerétur univérsus orbis. Hæc descríptio prima facta est a præside Sýriæ Cyríno: et ibant omnes ut profiteréntur sínguli in suam civitátem. Ascéndit autem et Joseph a Galilæa de civitáte Názareth, in Judæam in civitátem David, quæ vocatur Béthlehem: eo quod esset de domo et fámilia David, ut profiterétur cum María desponsáta sibi uxóre prægnánte. Factum est autem, cum essent ibi, impléti sunt dies, ut páreret. Et péperit fílium suum primogénitum, et pannis eum invólvit, et reclinávit eum in præsépio: quia non erat eis locus in diversório. Et pastóres erant in regióne eádem vigilántes, et custodiéntes vigílias noctis super gregem suum. Et ecce, Angelus Dómini stetit juxta illos, et cláritas Dei circumfúlsit illos, et timuérunt timóre magno. Et dixit illis Angelus: Nolíte timére: ecce enim, evangelízo vobis gáudium magnum, quod erit omni pópulo: quia natus est vobis hódie Salvátor, qui est Christus Dóminus, in civitáte David. Et hoc vobis signum: Inveniétis infántem pannis involútum, et pósitum in præsépio. Et súbito facta est cum Angelo multitúdo milítiæ coeléstis, laudántium Deum et dicéntium: Glória in altíssimis Deo, et in terra pax hóminibus bonæ voluntátis.

[In quel tempo: Uscì un editto di Cesare Augusto che ordinava di fare il censimento di tutto l’impero. Questo primo censimento fu fatto mentre Quirino era preside della Siria. Recandosi ognuno a dare il nome nella propria città, anche Giuseppe, appartenente al casato ed alla famiglia di Davide, andò da Nazareth di Galilea alla città di Davide chiamata Betlemme, in Giudea, per farsi iscrivere con Maria sua sposa, ch’era incinta. E avvenne che mentre si trovavano lì, si compì per lei il tempo del parto; e partorì il suo figlio primogenito, lo fasciò e lo pose in una mangiatoia, perché non avevano trovato posto nell’albergo. Nello stesso paese c’erano dei pastori che pernottavano all’aperto e facevano la guardia al loro gregge. Ed ecco apparire innanzi ad essi un Angelo del Signore e la gloria del Signore circondarli di luce, sicché sbigottirono per il gran timore. L’Angelo disse loro: Non temete, perché annuncio per voi e per tutto il popolo un grande gaudio: infatti oggi nella città di Davide è nato un Salvatore, che è il Cristo Signore. Questo sia per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, giacente in una mangiatoia. E d’un tratto si raccolse presso l’Angelo una schiera della Milizia celeste che lodava Iddio, dicendo: Gloria a Dio nell’alto dei cieli e pace in terra agli uomini di buona volontà.]

Omelia

(G. Colombo: Pensieri sui Vangeli e sulle feste del Signore e dei Santi; VI ediz. – Soc. Ed. Vita e pensiero.- Milano 1956)

LA SANTA NOTTE

La notte tenebrosa gravava come una lunga maledizione sul mondo assopito nel sonno. Tutti dormivano: si dormiva a Roma, si dormiva a Gerusalemme, si dormiva a Betlem, dove una moltitudine era accorsa da ogni villaggio per dare il nome al censimento di Cesare Augusto. Solo qualche pastore vegliava nei dintorni, accanto a fuochi morenti, mentre custodiva il gregge. – Ed ecco squarciarsi l’oscurità e sfociare giù dall’alto fiumi di luce e tutto il cielo ardere come una fiamma e sopra i paesi assonnati passare cori invisibili, cantando parole non mai udite sopra la terra: « Gloria a Dio nei cieli più alti; pace agli uomini di buona volontà ». Balzarono attoniti i pastori vigili presso il loro branco di pecore ed una luce li investì. Nella luce videro l’Angelo fulgidissimo del Signore. Si spaventarono; ma l’Angelo disse loro: « Non temete: è una gioia grande per voi e per tutti, che noi portiamo: è nato il Salvatore ». Dunque, il tempo di piangere era finito, la maledizione era passata, la schiavitù del demonio era infranta. – « Gioia grande!» diceva l’Angelo ai pastori prostrati nella luce celeste. « Gioia grande: è nato nella città di Davide Cristo Signore. Vi dò un segno per trovarlo: vedrete un bambino involto in pochi panni, adagiato in una greppia ». Come gli Angeli sparirono, i pastori si guardarono l’un l’altro muti, poi dissero: « Andiamo a Betlem, e vedremo ». Transeamus usque in Betlehem et videamus. Lasciarono le pecore a ruminare sotto la rugiada presso i fuochi ormai spenti,e corsero.Lasciamo ogni altra cura anche noi e corriamo dietro a loro col cuore pieno di fede, col cuore pieno di gioia. Giungono, ansimanti. Et venerunt festinantes. Trovano Maria, trovano Giuseppe e, in una greppia, un Bambino. Gioia grande! Dio si è fatto bambino. La divinità offerta e l’umanità peccatrice si sono abbracciate nel corpicino di Gesù Cristo. Gaudium magnum. Adoriamo anche noi il Bambino e pensiamo: Il padrone del mondo s’è fatto povero, senza casa, senza culla. Il forte, il Dio delle armate, s’è fatto debole e infermo. L’infinito, per il quale son troppo piccoli i cieli, è raccolto in una greppia. Chi ha dato alla terra la virtù di produrre il pane, e alle piante la virtù di produrre frutti, patisce la fame.Il regolatore delle stagioni e del freddo nasce d’inverno, intirizzito dall’aria rigida.  Quelle piccole mani arrossate dalla gelida notte hanno sollevato nei cieli il sole, la luna e tutte le stelle. Ed è per noi, sapete che Dio s’è reso così; per noi Propter nos egenus factus est, cum esset dives (II Cor., VIII, 9). S’è reso così perché noi gli volessimo bene: è il pensiero di S. Pier Crisologo: « sic nasci voluit qui voluit amari ». S’è reso così perché l’imitatissimo: è il pensiero di Tertulliano: « ut homo divine agere doceretur ». Allora diciamogli, con le lacrime agli occhi: « Bambino Gesù! noi ti ameremo,noi ti imiteremo ».NOI TI Ameremo. Elena imperatrice, la madre di Costantino il grande, aveva avuto da Dio la bella missione di ritornare al culto dei fedeli i luoghi santificati dalla vita e dalla morte di Nostro Signore.Quando arrivò a Betlem ed entrò nella grotta della santa nascita, emise un grido d’indignazione. Quel luogo santo era stata profanato: al posto della greppia là dove Cristo aveva vagito per la nostra salvezza s’ergeva la statua infame di Adone. L’imperatore Adriano, acre nemico di nostra fede, con un gusto diabolico l’aveva eretta là, perché il demonio ridesse dove Cristo aveva pianto. La pia regina, con le lacrime, comandò che abbattessero quel diabolico simulacro; ed ella stessa, con le sue mani, godeva di frantumarlo. Poi vi fè edificare un sontuosissimo tempio, che custodisse quell’umile posto, scelto da Dio per venire al mondo. –  È Natale: Dio nasce nei cuori. E c’è forse qualcuno che nel suo cuore, nel luogo dove Cristo deve nascere tien eretto il simulacro del demonio, il peccato?Alessandro il Macedone per conquistarsi l’animo dei Persiani, ha voluto vestirsi come loro, imitare in tutto quelle barbare costumanze; Dio per conquistare il nostro cuore, per farsi amare dagli uomini si è fatto uomo in tutto come noi: habitu inventus ut homo; ha voluto patire come noi e più di noi, e noi non gli vogliamo bene? Noi daremo il nostro cuore al demonio, ma non a lui? Nessuno sarà così pazzo e crudele da far questo. Come Elena regina frantumiamo il peccato dentro di noi, ed una bella confessione purifichi l’anima nostra, e la nascita di Cristo segni il principio di una nuova vita d’amore, di preghiera,di purezza.« Bambino Gesù! » diciamogli sinceramente « io t’amo ».Se la nostra vita passata ci dicesse che queste parole sono una bugia, perché non siamo capaci d’amarlo con le opere, diciamogli così: « Bambino Gesù, se non ti amo, desidero però d’amarti assai ». E se anche questo non fosse vero, perché  il nostro cuore è più attaccato alla roba di questo mondo che al Signore, diciamogli almeno: « Bambino Gesù! mi piacerebbe tanto desiderare d’amarti ».NOI TI IMITEREMO. A Giovanni II, re di Portogallo, annunciarono che stava male un servo, a lui tanto caro. Il re si turbò, poi volle egli stesso scendere dal suo palazzo nella casa del servo. Nel varcare la soglia dell’ammalato, chiese, come si suole, dello stato dell’infermo. Gli risposero che il male era gravissimo, ma il peggio era che l’ammalato non si lasciava indurre a prendere medicine. Quel mattino stesso i medici gli avevano imposto una medicina amara ma tanto salutare. La prese nelle sue mani, e senza indugio, egli stesso ne bevve parecchi lunghi sorsi. Poi, accostandola alla bocca del malato gli disse: «Io il re, sanissimo, ho preso quest’amara bevanda solo per tuo amore, e tu, il servo, ammalato, non prenderai questo poco che resta per amor mio e per tua salute? ».  Il vassallo tese di slancio le mani verso la medicina, e disse: « Datemela: ora la berrei d’un fiato, foss’anche tossico ». Noi siamo servi ammalati: ammalati di superbia perché ci crediamo un gran che e siamo niente; ammalati di collera perché non vogliamo dimenticare e perdonare le offese; ammalati d’avarizia perché non pensiamo che a roba e a danaro; ammalati nella mente, nel cuore di pensieri e di desideri cattivi. È necessaria la medicina amara dell’umiliazione, della povertà, della mortificazione. Il nostro re, il Bambino Gesù, oggi è venuto a trovarci in casa nostra e ce ne dà l’esempio. Egli santissimo Dio, s’è fatto umile nel presepio, povero in una stalla, mortificato dal freddo. E noi non vorremmo portare la nostra croce? Ci lamenteremo ancora della Provvidenza? – Simone Maccabeo, una notte che conduceva l’armata contro i nemici, si trovò la strada tagliata da un torrente gonfio per le piogge recenti. I soldati s’arrestarono, poiché nessuno osava guardare in quel posto. Simone non fece parola, slanciò il cavallo nell’acqua e passò per il primo: transfretavit primus (I Macc., XVI, 6). Tutti allora gli andarono dietro. Ebbene: il nostro capitano Gesù oggi, per il primo, si slancia attraverso il torrente del dolore, della povertà, della mortificazione: a noi non resta che andargli dietro. Bambino Gesù! noi ti imiteremo. Disse l’Angelo ai pastori: « Evangelizo vobis gaudium magnum ». Vi porto una gioia grande. Lungi da noi, dunque, ogni pensiero di tristezza. Che cosa possiamo temere se il Verbo si è fatto carne, se Dio s’è fatto bambino? Quando Dio è con noi, chi può essere contro di noi? Gioia grande! – Il capitano Alfonso d’Albuquerque fu sorpreso da una procella furiosa, in mezzo al mare. La povera nave flagellata dalle onde rabbiose, squassata dal vento, cigolava in ogni connessura quasi volesse sfasciarsi. Le nubi basse e cupe avevano fatto l’oscurità sull’acque; i lampi guizzavano in quella tenebra con un bagliore di sangue. Le donne urlavano; perfino i vecchi marinai piangevano di paura. Il capitano, pazzo dal terrore, strappò dal seno d’una madre un bambino di pochi mesi, salì sulla tolda in alto, e protese verso la rabbia delle nubi quella fragile creaturina: «E se, — diceva — siam tutti peccatori, questo bimbo, o Dio, risparmialo perché è senza peccati ». Subito tacque il vento, si chetò l’acqua, s’aperse il cielo: e attraverso lo squarcio d’una nube discese l’arcobaleno. – Nelle disgrazie della vita, nelle tentazioni, nell’ora della morte e nel giorno del giudizio, quando intorno alla navicella della nostra anima sarà come una fragorosa burrasca, ricordiamoci di questo Bambino che oggi c’è dato, che oggi per noi è nato; innalziamolo a Dio e si farà la pace e la gioia intorno a noi. Tra pochi istanti, quando la Messa sarà all’elevazione, io stesso tra le mie mani prenderò Gesù Bambino ed elevandolo verso il cielo, mi ricorderò delle parole di Alfonso d’Albuquerque: « Se tutti noi siamo peccatori, o Dio, questo Bambino risparmialo perché è senza peccati! ». Per la sua innocenza noi tutti saremo salvati.

Credo …

IL CREDO

Offertorium

Orémus
Ps XCV: 11:13
Læténtur cæli et exsúltet terra ante fáciem Dómini: quóniam venit.

[Si allietino i cieli, ed esulti la terra al cospetto del Signore: poiché Egli è venuto.]

Secreta

Acépta tibi sit, Dómine, quǽsumus, hodiérnæ festivitátis oblátio: ut, tua gratia largiénte, per hæc sacrosáncta commércia, in illíus inveniámur forma, in quo tecum est nostra substántia:

[Ti sia gradita, o Signore, Te ne preghiamo, l’offerta dell’odierna solennità: affinché, aiutati dalla tua grazia, mediante questi sacrosanti scambi, siamo ritrovati conformi a Colui nel quale la nostra sostanza è unita alla Tua:]

Prefatio de Nativitate Domini

Vere dignum et justum est, æquum et salutáre, nos tibi semper et ubíque grátias ágere: Dómine sancte, Pater omnípotens, ætérne Deus: Quia per incarnáti Verbi mystérium nova mentis nostræ óculis lux tuæ claritátis infúlsit: ut, dum visibíliter Deum cognóscimus, per hunc in invisibílium amorem rapiámur. Et ideo cum Angelis et Archángelis, cum Thronis et Dominatiónibus cumque omni milítia coeléstis exércitus hymnum glóriæ tuæ cánimus, sine fine dicéntes: Sanctus …

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Ps CIX:3
In splendóribus Sanctórum, ex útero ante lucíferum génui te.

[Nello splendore dei santi, dal mio seno ti ho generato, prima della stella del mattino.]

Postcommunio

Orémus.
Da nobis, quǽsumus, Dómine, Deus noster: ut, qui Nativitátem Dómini nostri Jesu Christi mystériis nos frequentáre gaudémus; dignis conversatiónibus ad ejus mereámur perveníre consórtium:

[Concedici, Te ne preghiamo, o Signore Dio nostro, che celebrando con giubilo, mediante questi sacri misteri, la nascita del Signore nostro Gesù Cristo, meritiamo con una vita santa di pervenire al suo consorzio:]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (1)

ORDINARIO DELLA MESSA

TRATTATO DELLO SPIRITO SANTO (4)

L. LEBAUCHE

TRATTATO DELLO SPIRITO SANTO (4)

TITOLO ORIGINALE: TRAITÉ DU SAINT – ESPRIT Edit. Bloud-Gay.- Paris 1950

V. Per la Curia Generalizia – Roma, 11 – 2 – 1952 Sac. G. ALBERIONE

Nulla osta alla stampa Alba, 20 – 2 – 1952 – Sac. S. Trosso, Sup.

lmprimatur Alba, 28 – 2 – 1952 Mons. Gianolio, Vic. GEN.

CAPO TERZO

CARATTERISTICHE DELL’ATTIVITÀ DELLO SPIRITO SANTO

L’attività dello Spitito Santo nel mondo è infinita, infinitamente ricca e infinitamente varia. Sarà possibile distinguerne le caratteristiche? Si legge nel libro della Sapienza:

«In essa (nella Sapienza) vi è uno Spirito intelligente, santo, unico, molteplice, immateriale, attivo, penetrante, senza macchia, infallibile, impassibile (soave, aggiunge qui la Volgata), amante del bene, sagace,  che non conosce ostacolo, benefico,  buono per gli uomini, immutabile, sicuro, tranquillo, onnipotente, che tutto sorveglia,  che penetra in tutti gli spiriti: negl’intelligenti, nei puri, nei più sottili » (Sap. VII, 22-23). – Ciò che prima di tutto colpisce in questa descrizione, è l’assenza di ogni sintesi. Il profeta o l’autore ispirato, avendo ricevuto in tutta la pienezza il dono d’intelletto, descrive lo Spirito Santo come lo vede, come lo intuisce alla luce di Dio. Lo descrive senza ordine, almeno senza quell’ordine che ci piace mettere nelle nostre idee, nei nostri scritti, nei nostri discorsi. – Si noterà anche l’esordio che richiede una spiegazione: « In essa (nella Sapienza) vi è uno Spirito intelligente, santo ». Seguiamo il testo dei Settanta. Nel manoscritto di Alessandria si legge: Essa (la Sapienza) è uno Spirito intelligente, santo. Qui la Sapienza e lo Spirito sono identificati. Donde viene questa variante nel sacro testo? – Il libro della Sapienza è stato scritto nel secondo secolo avanti Gesù Cristo. L’esposizione della Santissima Trinità è stata fatta progressivamente. Nel libro della Sapienza è ancora all’inizio. Ben presto apprenderemo che, da tutta l’eternità, Dio Padre genera un Figlio unico, che è il Logos, la Sapienza, il Verbo eterno del Padre. E apprenderemo pure che lo Spirito Santo procede dal Padre per il Figlio, per la Sapienza. Siamo in diritto di precisare il testo del libro della Sapienza, dicendo: Dalla Sapienza procede lo Spirito Santo. E, siccome nella descrizione che ci presenta le caratteristiche dell’attività dello Spirito Santo, ci è necessario non solo raggrupparle, ma sintetizzarle, diremo dello Spirito Santo, che procede dalla Sapienza e che Egli è:

– lo Spirito d’intelligenza, cioè Colui che possiede l’intelligenza, tutta l’intelligenza, e che dà l’intelligenza;

– lo Spirito di santità, cioè Colui che possiede la santità, tutta la santità, e che dà la santità.

Di questo Spirito d’intelligenza e di santità diremo che è:

– uno e molteplice;

– immateriale, attivo, che tutto penetra: i puri, cioè quelli che vivono seguendo i Suoi impulsi, per maggiormente purificarli; gl’impuri, cioè coloro che vivono in opposizione con Lui, per ispirar loro i rimorsi e con questo condurli a cambiar vita;

– stabile e mobile, cioè infinitamente pieghevole, pur restando il medesimo;

– pieno di soavità, di dolcezza, ricolmo delle tenerezze dell’amore;

– Colui che nulla arresta, quem nibil vetat, traduce energicamente la Volgata.

Secondo il libro della Sapienza, sono queste le sette caratteristiche dell’attività prodigiosa dello Spirito Santo nel mondo.

I.

Dio, il Padre onnipotente, per mezzo del Verbo, nello Spirito, opera nel mondo tutte le cose. Dio, il Figlio unico, generato dal Padre da tutta l’eternità, il Verbo del Padre, è la luce che illumina ogni uomo che viene in questo mondo. E questa luce la comunica per mezzo dello Spirito Santo che manda continuamente nelle anime. Lo Spirito Santo è come il faro luminoso, per mezzo del quale il Verbo illumina il mondo e le anime, tanto quelle che sono nella gloria, quanto quelle che si trovano sulla terra. Perciò si può dire dello Spirito Santo che è lo Spirito d’intelligenza, cioè Colui che possiede l’intelligenza, tutta l’intelligenza, l’intelligenza infinita e Colui che dà l’intelligenza. È questa la prima caratteristica dell’attività dello Spirito Santo, che il libro della Sapienza si compiace di segnalare. – Spirito d’intelligenza, lo Spirito Santo conosce gli esseri come appariscono e nella loro profondità, secondo il significato della parola latina intelligere, da intus legere; li conosce nei loro rapporti con gli esseri che li producono o ne sono le cause, e con lo scopo immediato e finale che perseguono; Egli stima, apprezza giustamente tali rapporti; pensa esattamente ogni cosa, dal verbo pensare, usato in questo senso da san Gregorio Magno, ciò che è, propriamente parlando, pensare. Lo Spirito Santo conosce tutto questo, lo afferma adeguatamente, veramente, assolutamente. Lo fa tanto più e tanto meglio in quanto è lo Spirito creatore, Colui che ha creato, disposto, ordinato tutto, Colui che conserva tutto ciò che esiste mediante una creazione continua, e per il quale, nel quale tutto si trova, tutto si muove, tutto vive. Come lo scultore, che conosce i minimi dettagli dell’opera da lui immaginata e realizzata. Così lo Spirito Santo è Colui che possiede l’intelligenza, tutta l’intelligenza, l’intelligenza infinita, e dà l’intelligenza agli uomini. Egli ha dato l’intelligenza agli Apostoli per renderli atti a comprendere il mistero di Gesù, nostro Salvatore, e per svelar loro il senso profondo del Vangelo. Egli ha illuminato i Padri della Chiesa, i Dottori, i Teologi, i fondatori degli Ordini religiosi. È Lui che ispira le vocazioni sacerdotali e religiose, che addita a ciascuno la sua via. – Per noi vi sono due modi di conoscere il reale. Prima mediante la rappresentazione che ce ne facciamo e i giudizi che formiamo. Questa vista del reale è, e non può essere altro che una forma umana. Per quanto puro, è sempre il nostro modo umano di vedere le cose. È una rappresentazione analogica di ciò che è. Conosciamo egualmente la realtà mediante il sentimento ed il cuore. Questa maniera, difficile ad esprimersi, ma con la quale invitiamo la nostra ragione a controllarsi continuamente e a non abusare dell’assoluto nelle sue affermazioni, è più diretta e più vera. Lo Spirito Santo ci ammaestra nell’uno e nell’altro modo. Suscita dei Dottori che parlano piuttosto il linguaggio del pensiero, come san Tommaso d’Aquino. Ne fa sorgere altri che parlano altrettanto bene il linguaggio del cuore, come san Bonaventura, san Francesco di Sales. – Ciò che lo Spirito Santo si applica particolarmente a farci comprendere, sia per mezzo del pensiero che del cuore, sono queste tre grandi verità: – Dio è presente dappertutto nel mondo, negli esseri, come negli avvenimenti. – Il Salvatore è spiritualmente congiunto alle anime, per illuminarle e condurle a vivere come Lui, per Lui, in Lui: cum Ipso, per Ipsum, in Ipso. Cum Ipso, cioè a Sua imitazione; per Ipsum, ossia nell’abbandono allo Spirito Santo che Egli manda; in Ipso, nella Sua amicizia. Quindi ecco il dogma che sintetizza tutti gli altri, ed è il dogma centrale di tutta la vita cristiana. – Il Salvatore, nell’Eucarestia continua, ma in forma gloriosa, tutti i misteri della Sua vita, quelli della vita nascosta, della vita pubblica e delle Sue sofferenze, in questo senso almeno, che ne ha una memoria attuale così perfetta e viva, che veramente continua a viverne. Inoltre, non cessa di offrirsi, sui nostri altari, per mezzo del ministero dei sacerdoti, sotto apparenze di morte, per perpetuare l’offerta cruenta del Calvario, affinché ogni individuo con la comunione eucaristica, offrendosi a Lui e con Lui, riceva in tale offerta la vita soprannaturale, in una pienezza sempre più grande. – Quando queste tre verità hanno penetrato a fondo un’anima, ispirano e dirigono tutta la sua condotta, intellettuale, morale e religiosa. Nel prossimo si vedrà risolutamente Dio. Al di là del prossimo, che si muove con le sue qualità e i suoi difetti, si scorgerà Gesù, il Maestro adorato, che continuamente comanda di amare e sacrificarsi. Nell’Eucarestia, si vedrà il Pane di vita, del quale è necessario cibarsi. Ci si comunicherà con fervore. Nell’Eucarestia, Colui che in cielo forma la felicità degli eletti è li tutt’intero, a nostra disposizione, sotto le specie sacramentali, nell’atto di offrirsi per noi a Dio Padre, mentre ci chiede di offrirci a Lui e con Lui, e noi ci offriamo a Lui e con Lui. Lo contempleremo, lo ameremo; prenderemo l’energica risoluzione di obbedirgli in tutto, ai Suoi precetti e ai Suoi consigli. Sì, senza dubbio, l’Eucarestia, compresa con fede illuminata e viva, è già il cielo sulla terra. E quando dopo la nostra vita terrena, ci troveremo dinanzi a Dio, proveremo tutti un sentimento di confusione, vedendo quanto poco abbiamo fatto uso della santa Eucarestia, in confronto a come avremmo potuto e dovuto farlo. – Ora, tale intelligenza, mediante lo spirito ed il cuore, ce la dà lo Spirito Santo. È l’effetto dei doni intellettuali dello Spirito Santo, di quei doni che la Chiesa invoca sui fedeli, specialmente nel tempo di Pentecoste, con la seguente strofa di uno degli inni più belli:

O lux beatissima, reple cordis intima, tuorum fidelium!

2.

Lo Spirito Santo è anche Colui che possiede la santità, tutta la santità, la santità infinita, e che dà la santità. È santo chi è separato da quanto è peccato, da tutto ciò che è male. Lo Spirito di Dio è santo. Viene chiamato Spirito Santo, perché è infinitamente lontano dal peccato, dal male. Come la luce e le tenebre sono in ragione inversa, così lo Spirito Santo e il peccato o il male, sono in opposizione assoluta. Lo Spirito Santo ha somma avversione, completo allontanamento dal peccato e dal male. È lo Spirito Santo che suscita nell’anima nostra una irresistibile inclinazione verso tutto ciò che è bene, verso il Sommo Bene, verso Dio, come diceva sant’Agostino: Fecisti nos ad Te, Deus, et îrrequietum erit cor nostrum, donec requiescat în Te. – Da un altro lato, è lo Spirito Santo che mette in noi la irresistibile avversione per il male, almeno per tutto quanto ci sembra male. È Lui che ispira al cuore dell’uomo il necessario giudizio della coscienza che bisogna fare il bene, non operare il male, e le fa chiamare bene ciò che è bene o le appare bene, e male, ciò che è male. E se, purtroppo, l’uomo commette il male che la sua coscienza riprova, è lo Spirito Santo che fa sorgere il rimorso. – È lo Spirito Santo che ci dà le prime attrattive soprannaturali, il pius credulitatis affectus, e i primi lumi della fede. È Lui che dà la grazia di corrispondervi, e corrispondervi gradatamente, di meglio in meglio. Noi chiamiamo santo colui che, avendo sempre corrisposto alla grazia, ha realizzato in sè un edifizio morale conforme a Dio. La santità concreta è l’imitazione di Gesù Cristo. Il Verbo di Dio si è fatto uomo e, per mezzo dello Spirito Santo, ha comunicato, quanto è possibile, all’umanità da Lui assunta, la pienezza della Sua divinità. E ciò per comunicarci, per il Suo divino Spirito, della pienezza di questa divinità. Lo Spirito Santo viene dunque in noi e ci fa convergere verso la santa umanità del Cristo in modo da riprodurne nella nostra vita una copia sempre più fedele. Egli ci invita a partecipare alla Sua religione verso Dio, Suo Padre, adorandolo, ringraziandolo con Lui ed in Lui; offrendoci a Dio, e pregandolo con Lui ed in Lui. Siccome la religione deve esercitarsi in ginocchio, nell’umiltà, Egli c’invita a partecipare alla Sua umiltà che in Lui giunse fino all’obbedienza della morte e della morte di croce. – L’ardente carità per il Padre Suo e per noi uomini fu, in qualche modo, l’anima del Verbo di Dio fatto uomo. Lo Spirito Santo che il Cristo non cessa di mandarci, c’invita a partecipare alla Sua carità e a darne la prova con la nostra dedizione, il nostro disinteresse, il sacrificio di noi stessi. Lo Spirito del Cristo che ci è comunicato, c’invita a partecipare al Suo odio per il peccato, al Suo zelo pet la salvezza delle anime. È la santità in atto, che è chiamata ad un accrescimento sempre più grande, finché giunga pet noi l’ora della morte, che dovrà essere, in unione col Cristo per lo Spirito Santo, una suprema adorazione di Dio Padre, un supremo ringraziamento a Dio, una suprema offerta della nostra vita al Padre, una suprema invocazione a Lui per noi e per coloro che lasciamo sulla terra; prima, per quelli che ci sono più vicini, poi per tutti gli uomini, gl’infelici, i peccatori, i santi. Possa questa santità ben compresa, divenire la nostra!

3.

Spirito di ogni intelligenza, Spirito di ogni santità, lo Spirito Santo è innanzi tutto, secondo il libro della Sapienza, uno e molteplice. Lo Spirito Santo è come un soffio che va dal Padre al Figlio e torna dal Figlio al Padre. È il soffio d’amore dal Padre al Figlio e dal Figlio al Padre. E il loro reciproco amore. Amore per quel che lo caratterizza, senza tuttavia costituirlo personalmente, lo Spirito Santo è più particolarmente il principio dell’amore di Dio, nel mondo. In maniera ad un tempo più completa e più esatta. Egli è colui per il quale, col. quale, nel quale il Padre ed il Figlio amano, al di fuori di se stessi, cioè nel mondo, tutto ciò che Essi amano. È così che lo Spirito Santo è uno. Ma questo amore, che è lo Spirito Santo, si differenzia in altrettante maniere quante sono le anime nelle quali esercita la Sua azione. Simile, secondo il paragone di san Giovanni Crisostomo, alla sorgente, che, dopo aver formato un unico ed abbondante corso d’acqua, si divide in una infinità di ruscelli che vengono ad irrigare le pianure, i prati e formano in seguito le riviere ed i fiumi. Simile pure alla pioggia benefica, che cade sulla. terra, si trasforma in linfa, diviene verde nella pianta; bianca, rosa, rossa nei fiori, gialla nel frutto. È l’amore ardente del Cristo che ha sostenuto nel martirio gli Apostoli, migliaia di confessori, di giovani vergini come santa Cecilia, sant’Agnese, santa Lucia. L’amore del Cristo ha condotto e non cessa di condurre una moltitudine di Cristiani ad una vita di totale abnegazione mediante la pratica dell’obbedienza a una regola, a un superiore; della povertà affettiva ed effettiva, o almeno affettiva e della castità. Gli uni mettono in primo piano nella loro vita l’abnegazione e in secondo piano l’amore. Si sacrificano per amore. Gli altri invece, pongono in primo piano l’amore di Cristo e in secondo piano la mortificazione sotto tutte le forme. Amano, e l’amore li conduce al sacrificio. È un affare di punto di vista che corrisponde a mentalità diverse e molte volte a educazione differente. Può sembrare cosa di poca importanza. Bisogna amare e sacrificarsi. Che ci si sacrifichi per amore oppure si ami risolutamente in modo che l’amore trascini al sacrificio, l’essenziale non è forse fare l’uno e l’altro? Sì, senza dubbio. Ma, nel mondo delle anime, vi sono delicatezze infinite. E giustamente, una persona per fare una di queste due cose, è necessario sappia prendere anche l’altra. – Questa differenza di punto di vista è invece di tale importanza che ha determinato, nella Chiesa, due correnti di spiritualità, due scuole che hanno ciascuna i loro dottori, i loro metodi, i loro vantaggi e i loro inconvenienti. Alcuni ordini religiosi sono stati fondati mettendo in primo piano nella loro tegola la mortificazione sia mediante l’obbedienza, come i Benedettini, sia per mezzo della povertà affettiva ed effettiva, come i Francescani. Altri religiosi invece, hanno posto in primo piano nelle loro Costituzioni la carità, come i Domenicani e i Carmelitani. Nulla di più meraviglioso di quell’infinita varietà di forme di vita religiosa tutte intese a tributare alla Santissima Trinità, in unione col Cristo, il gran Religioso di Dio, il medesimo omaggio di adorazione, di riconoscenza, di offerta e d’invocazione. È la grande preghiera che non cessa di essere rivolta a Dio per il compimento nel mondo dell’opera redentrice. – Ora lo Spirito Santo, uno e molteplice ad un tempo, è Colui che anima tutta questa vita religiosa. È Lui che ne assicura l’unità perfetta e l’infinita varietà. – E ciò, come sta scritto nel libro della Sapienza, perché lo Spirito Santo è immateriale, attivo e penetra tutto. Lo Spirito è opposto alla materia. Lo Spirito Santo, che è per essenza lo Spirito, è assolutamente opposto alla materia. Affrancato dalla materia, è infinitamente attivo. Penetra tutto. Penetra gli esseri materiali e spirituali, per sostenerli nell’esistenza e dirigerne l’attività. Penetra l’anima umana fino ai più profondi recessi. Penetra i puri, cioè quelli che vivono seguendo le Sue ispirazioni, per dar loro la testimonianza della buona coscienza, la gioia migliore che si possa provare in questo mondo, quella che, a rigore, deve bastare, e basta all’uomo saggio, quelle che nulla quaggiù può turbare o togliere, né le ingiustizie, né le calunnie, né la vita, né la morte. Penetra gl’impuri, cioè coloro che non ascoltano i Suoi inviti, per ispirar loro il rimorso, che per essi può essere un principio di conversione. – Lo Spirito Santo è anche stabile e mobile. È stabile in Se stesso. Egli è sempre il medesimo movimento vitale, che viene dal Padre per il Figlio e torna al Padre per il Figlio. Egli è egualmente sempre stabile nella sua azione ad extra. Ci conduce verso il Figlio, Verbo di Dio fatto uomo, e per il Figlio verso il Padre, affinchè, divenuti simili al Figlio, possiamo essere figli di Dio. Ma quale non è la Sua mobilità o pieghevolezza! Vi è una pieghevolezza di animo che consiste nell’adattarsi a coloro in mezzo ai quali si vive, ai loro difetti come alle loro qualità, alle loro esigenze buone o cattive, in modo da guadagnarli alla propria persona, alla propria causa, al proprio partito, per vana compiacenza e spesso per ambizione. Una tale pieghevolezza è meschina; procede dall’egoismo e da una grande bassezza d’animo. Vi è invece un’altra pieghevolezza di animo, che proviene da un’idea nobile, da una volontà di giustizia e di carità. Si vede e si ama il prossimo in Dio. Si vuole il suo bene con fervore e disinteresse. E allora ci si applica a comprenderlo con i suoi difetti, le. Sue qualità, i suoi bisogni, le sue esigenze. Senza nulla perdere né delle proprie convinzioni, né della propria dignità personale, ci si adatta a lui in ciò che ha di buono, per cercare di elevarlo sempre più in alto, cambiarlo, trasformarlo in modo di giungere a farne una persona umana, un Cristiano di carattere. Una tale pieghevolezza richiede grande spirito di giustizia, una carità ferma e risoluta, grande bontà fatta di pazienza, di amabilità, di dolcezza. Essa si eserciterà sempre nel più gran rispetto della volontà del prossimo, in una dedizione intelligente che non si scoraggerà, né si stancherà di nulla. – Tale pieghevolezza è una grandissima perfezione. Eleviamola all’infinito e avremo un’immagine della pieghevolezza dello Spirito Santo, di quella pieghevolezza che Egli non cessa di esercitare nel governo delle anime, riguardo a ciascuno di noi. In tutta la misura nella quale ci prestiamo alla Sua azione, rispettando infinitamente la nostra volontà libera, ci prende quali noi siamo, ci trascina, ci eleva, ci santifica. Unito a noi, alla nostra vita, quanto può esserlo; resta sempre il medesimo, lo Spirito Santo, Colui che viene dal Padre per il Figlio e torna al Padre per il Figlio, ma questa volta, prendendoci con Sé, per conformarci alla santa umanità del Figlio di Dio fatto uomo. Così lo Spirito Santo è stabile e mobile. Pur rimanendo il medesimo, è sommamente pieghevole. – Questa pieghevolezza nella direzione delle anime lo Spirito Santo la esercita sempre con infinita dolcezza e perfetta soavità. Lo Spirito Santo, leggiamo nel libro della Sapienza, è pieno di soavità, di dolcezza, ricolmo delle tenerezze dell’amore. Nel lavoro è riposo; nell’ardore dell’azione ci calma; ne dolore è conforto. È il consolatore per eccellenza, dolce ospite dell’anima, dolce refrigerio. Se abbiamo corrisposto generosamente alla grazia dello Spirito Santo, avremo tutti provato, in certi momenti della nostra vita, questa dolcezza dello Spirito Santo ed esclamato come gli Apostoli sul Tabor: « Maestro è bene per noi star qui! » Avremmo voluto restarvi sempre. Però non siamo su questa terra per godere! ma per lavorare e soffrire. Il tempo della gioia è il cielo. Se ogni tanto un po’ di gioia tutta celeste ci è data, è per incoraggiare nel nostro lavoro ed aiutarci a meglio lottare, in mezzo alle difficoltà. Niente arresta lo Spirito Santo nel mondo, soggiunge l’autore del libro della Sapienza. Lo Spirito Santo tutto governa; dirige tutto, domina tutto. – Come ha creato tutto e tutto conserva nell’esistenza mediante una creazione continua: così potrebbe annientare ogni cosa. Ma allora perché il male è nel mondo? E, poiché il male esiste, perché lo Spirito di Dio non lo arresta? La presenza del male nel mondo è sempre stata lo scandalo di molti. I non filosofi ne rendono Dio responsabile. Bestemmiano e si chiudono nella loro irreligione. Alcuni filosofi, per spiegare il male, hanno immaginato la presenza, nel mondo, da tutta l’eternità, di un principio cattivo di fronte a Dio, principio buono. L’uno e l’altro sono in assoluta opposizione. Da ciò, ovunque nel mondo, il bene è in lotta contro il male, il male in lotta contro il bene. E in ciascuno di noi esiste un dualismo di desideri, di pensieri, di energie, la lotta dello spirito contro la carne e della carne contro lo spirito. Questa teoria è insostenibile. Il principio cattivo non può essersi levato da tutta l’eternità contro Dio, principio buono, come è stato detto. Se esistesse, non avrebbe potuto essere creato che da Dio. E Dio che è il principio buono, non può aver creato il principio cattivo. Il male non viene da Dio. Viene da noi uomini. Questa è tutta la spiegazione. Dio, infinitamente buono, ha creato il mondo unicamente per bontà. Aveva messo l’uomo nel mondo, per vivere con lui in rapporti di dolce amicizia. Sarebbe questo il suo destino; la sua ragione d’essere sulla terra. Mentre le altre creature servirebbero Dio necessariamente, per ordine delle manifestazioni della loro attività naturale, l’uomo servirebbe Dio vivendo con Lui come un amico vive col proprio amico. Perché potesse essere così, lo aveva fatto simile a Sé mediante la comunicazione di una vita tutta divina. A motivo di tale vita tutta divina, Dio si era compiaciuto di perfezionare la natura umana. Le aveva dato una intelligenza superiore, una forte volontà; per mezzo di un concorso fisico e vitale straordinario, le rendeva facile ogni lavoro; le avrebbe accordato una vita perenne. Ma ecco. L’amore vuol essere libero. L’uomo creato da Dio era libero. Libero di amare il suo Dio o di non amarlo. Anziché rispondere al disegno di Dio, l’uomo, abusando della propria libertà, si levò contro Dio. Ricusò di servirlo, gli rifiutò obbedienza. Era ricusare di riconoscere Dio quale Sovrano Signore; era rifiutare di amarlo. L’uomo si metteva così in opposizione col suo destino e con la sua ragione di essere in questo mondo. Dio si ritirò da lui, gli sottrasse la Sua grazia e tutti i doni di privilegio che ne erano la conseguenza. – Malum ex quocumque defectu, dice il filosofo. Per essere completo, devo dire: Malum ex quocumque defectu Dei. Dio si allontanò da noi e fu la morte: fu il male, il male morale e quello fisico. – Vecchia storia, vecchia soluzione, senza dubbio! Ma poiché essa è la vera e l’unica soluzione, perché perdersi in discorsi e dissertazioni per cercarne un’altra ? « L’uomo è più inconcepibile senza questo mistero, di quel che non lo sia tale mistero per l0’uomo », ha scritto Pascal (Pensieri sez. VII). È permesso andare ancora più innanzi. Poiché lo Spirito Santo è ovunque e può tutto, perché non arresta il male? Dio impedisce il male; ma lo impedisce rispettando sempre la nostra volontà libera. Il Redentore è venuto. Ha lavato nel Suo Sangue tutte le iniquità. Tocca a ciascuno di noi appropriarsi i benefizi della Redenzione mediante il buon uso della nostra volontà libera. Durante tutto il corso della nostra vita lo Spirito Santo, che il Cristo ci manda, per mezzo delle grazie che Egli ci offre, ci circonda, ci tormenta perché seguiamo le Sue ispirazioni, i Suoi impulsi, perché per Suo mezzo ci uniamo al Cristo, imitiamo la Sua vita, partecipiamo alle Sue virtù, riproduciamo tutti i Suoi misteri. Egli c’insegue così senza stancarsi sino alla fine della nostra esistenza. Niente lo arresta, se non la nostra cattiva volontà libera, finale, che è il peccato contro lo Spirito, quel peccato che non può venir perdonato né in questo mondo, né nell’altro. – Se obbediamo allo Spirito Santo, è per la nostra eterna salvezza. Tuttavia, se la grazia di Dio che è una similitudine divina, una similitudine vitale, ci è data, ci è restituita, in tutta la pienezza del nostro buon volere, i doni di privilegio che furono accordati al primo uomo e che lo rendevano esente dalla sofferenza non ci sono resi. – Raggiungeremo la nostra salvezza portando la croce, al seguito del nostro Salvatore che, per riscattarci dalla schiavitù del peccato, si è umiliato, rendendosi obbediente fino alla morte, e alla morte di croce. La sofferenza o la croce così considerata, i santi, e santi dobbiamo diventarlo tutti, l’ameranno, invocandola con grande desiderio. E sarà in ciascuno di noi, con noi, per noi, l’ultima grande vittoria dello Spirito Santo sul male, la vittoria di colui che nulla arresta in questo mondo, se non il peccato nel quale il peccatore si ostina.

TRATTATO DELLO SPIRITO SANTO (5)

CRISTO REGNI (2)

CRISTO REGNI (2) 

P. MATHEO CRAWLEY (dei Sacri Cuori)

TRIPLICE ATTENTATO AL RE DIVINO

[II Edizione SOC. EDIT. Vita E PENSIERO – MILANO]

Nihil obstat quominus imprimatur – Mediolani, die 4 febr. 1926

Sac. C. Ricogliosi, Cens. Eccles.

IMPRIMATUR

In Curia Arch. Mediolani die 5 febr. 1926 – Can. M. Cavezzali, Provic. Gener.

PREM. TIP. PONT. ED ARCIV. S., GIUSEPPE – MILANO

CAPITOLO I

L’AUTORITA’ DEL RE DEI RE DIMINUITA

I. Il grande male moderno

lo non ho mai avuto gran timore degli attacchi rabbiosi dei settari che combattono contro la Chiesa e i suoi altari. La loro potenza aggressiva è limitata in virtù della misericordia di Gesù, che conosce la nostra miseria e che non permette che noi siamo tentati al di là dalle nostre forze; del resto, la collera dell’inferno è una prova che sta tutta a favore degli apostoli e delle anime. – Più della potenza dei nemici, io temo la debolezza degli alleati, e l’indifferenza dei buoni. Se Nostro Signore, infatti, ha affermato a santa Margherita Maria, in un modo così sicuro, che Egli regnerà « non ostante i suoi nemici », non ha con questo affatto contraddetto un’altra affermazione: che è indispensabile per completare l’interpretazione dello spirito della sua promessa: Egli regnerà soprattutto in misura della fedeltà dei suoi amici, e giammai malgrado coloro che Egli si è degnato eleggere per suoi amici ed apostoli del suo cuore. Il Re d’Amore regnerà nonostante l’inferno ed i suoi seguaci, si … Ma Egli non regnerà se vi sarà tiepidezza e fiacchezza in coloro che sono la sua falange di destra; non regnerà malgrado i figli della sua luce e gli eletti del suo amore. – Uno dei mali rilevati ed aggravati dagli avvenimenti, riguarda precisamente una cerchia di persone cristiane e cattoliche, dominata in parte dallo spirito mondano. Un insieme di massime perniciose, un andazzo di vita mondana e pagana, si sono in esso infiltrate, smovendo gli amici del Maestro, inquinando soprattutto i costumi, le abitudini e l’educazione della famiglia cristiana. E tutto questo con una grande abilità, senza toccare l’esteriorità cristiana, senza profanare, con manifesta empietà, le tradizioni sacre. Si è sempre cattolici di nome, si possiede l’amore proprio del titolo di cattolico e se ne conserva l’apparenza, ma l’anima di questo cattolicesimo si evapora q goccia a goccia. Che distanza immensa tra lo spirito, la mentalità, il costume, le abitudini, l’educazione di due successive generazioni! Che eredità di nobiltà morale e cristiana dilapidata dalle esigenze assurde ed inique di una società che, di fatto se non di diritto, condanna come cosa fuor di moda il Vangelo, la sua morale ed il suo spirito. – In questo studio sommario, terrò lungi dal mio pensiero coloro che sono veri e propri mondani, i frivoli per educazione, gli indifferenti e gli irreligiosi, ma tratterò esclusivamente di quello ch’io chiamerei mondo cattolico, ove la società e la famiglia cristiana si manifestano profondamente contaminate da alcune idee stravaganti e pericolose, e soprattutto per i costumi troppo liberi e paganeggianti. – Alle famiglie credenti soltanto rivolgerò il lamento che ad essi fece il Cuore di Gesù quando disse: « lo sono stato ferito in casa dei miei e fra i miei ». Costretto per debito di coscienza ad aprire gli occhi altrui, vorrei avere il tono persuasivo di un convinto, e nello stesso tempo l’accento afflitto d’un cuore sacerdotale. Lungi da me il pensiero ed il tono di una critica sferzante, che non s’addice mai alla penna del sacerdote. Il mio linguaggio è consacrato unicamente a sradicare il male, mostrando il bene, certamente con la piena sincerità di una coscienza sacerdotale, ma anche con la delicatezza e la dolcezza ineffabile del Vangelo che ama e rispetta il malato che bisogna guarire.

II. – Gesù è sempre ricevuto in casa di Simone

Una lettera molto gentile mi invita a fare l’Intronizzazione del Cuore di Gesù in una cospicua e grande famiglia. Dico grande, perché è nobile e ricca, e perché ha un nome molto cristiano. Mi si fissa il giorno e l’ora; mi si prega anche, arrivando in casa di fermarmi in portineria per farvi la stessa cerimonia. lo vado. Fin dalla soglia della portineria, l’intera famiglia del portiere, piena di gioia e di riconoscenza si prepara a ricevermi. La piccola stanza da pranzo è adornata di fiori e risplende di luci. Quante preziose economie sono state impiegate per la bella immagine del Re, amico di Betania, che spicca nella gran cornice dorata, in un’armonia di semplicità e di decoro! I fanciulli sono stati dispensati dalla scuola, e di buon mattino tutta la famiglia s’è inginocchiata alla Sacra Mensa. Ed ora essa canta, prega e piange di gioia. Io pronuncio poche parole, poi i fanciulli, i genitori da parte dell’Amico che rimane a presiedere il focolare, e vuol partecipare alle sue gioie ed ai suoi dolori… Ma prima di lasciarli, bisogna ch’io firmi alcune immagini ricordo, e prometta loro una Messa di ringraziamento, per l’onore e la grazia che il Re Gesù ha concesso, e perché essi si mantengano degni della amicizia di Lui. – Ed ora, toccate con mano qual doloroso contrasto! Tutto pieno ancora di commozione per l’amore semplice e forte di questi poveri, per il Povero divino, salgo in ascensore, e dopo qualche secondo, vengo introdotto nella sontuosa dimora della famiglia X … È mezzogiorno. La padrona di casa mi riceve, e dopo qualche parola di ringraziamento, mi invita a cominciare la cerimonia… Guardo attorno a me e cerco l’altare, o almeno l’immagine del Sacro Cuore. La signora X… indovina il mio desiderio e mi conduce in fondo al salone. Là, trovo, confuso fra cento ninnoli cinesi, una piccola e minuscola statua. Non un fiore, non una piccola lampada. I candelabri di bronzo restano spenti. Essi conservano la loro luce per altri, e non per Gesù! Domando con discrezione: — La famiglia assisterà a questa funzione ufficiale? — Il marito ed il figlio maggiore sono ancora in letto, perché son tornati dal teatro molto tardi; e le due giovani figlie sono appena uscite per fare a tempo, se sarà possibile, ad ascoltare l’ultima Messa. Dunque dinanzi a Madama X… e a due domestiche si rinnova il banchetto di Simone! Con brevi parole commento la scena evangelica, mi lamento di una accoglienza tanto fredda, e la biasimo: il Maestro è stato invitato, è vero, ma ahimè, è stato ricevuto senza onori; Gesù, riconosciuto forse, ma senza amore, quasi come un Re detronizzato!… Questo quadro rappresenta tutta una mentalità, tutto uno spirito di Cristianesimo convenzionale, ancora sincero, ma anemico, diluito, sfigurato. Il posto d’onore, voglio dire il trono vivente di gloria e di regalità d’amore, che Nostro Signore desidera e reclama, Egli non lo trova più, in generale, nella casa dei suoi, cioè nella sua casa. – La famiglia cristiana, salvo alcune belle eccezioni, venendo a patti con le esigenze mondane, lo misconosce di fatto. Non si vorrebbe tuttavia che Egli se ne allontanasse, e che, all’esterno, si creda o si dica questo; tuttavia, il posto intimo che gli spetta per diritto divino, nell’anima dei genitori, e per conseguenza in quello dei figli, non è più il suo. Per una conseguenza logica, se nella coscienza e nei cuori, Gesù non è più il Re che governa, il Padrone che comanda, non potrà esserlo, del pari, nella vita pubblica della società. Se per Lui c’è rimasto soltanto un certo protocollo di etichetta cattolica, si deve al fatto che Nostro Signore non è più se non un Re, un Sovrano che si riceve in incognito, con estrema prudenza. In qualunque casta sociale, questo male è penetrato; e dovunque, i timorosi e i pavidi si piegano, sotto il giogo del paganesimo moderno. Si adora furtivamente il Divino Crocifisso, aspettando che i tempi cambino, per alzare il suo labaro ed elevare il suo Vangelo e la sua Legge agli onori della vita sociale. Nostro Signore è sempre più allontanato dallo sguardo e dal cuore della società; Egli non è più il Maestro! La migliore prova di questa affermazione è il fatto concreto, eloquente e costante di una vita familiare e di una vita collettiva soprattutto, in aperta contraddizione: coi più elementari principî di una coscienza cristiana. Quel che dicono le labbra, in Chiesa, la domenica; quel che mormora il cuore, sempre in segreto, è sconfessato dagli atti della vita pubblica, tanto è vero che non si può servire due padroni in una volta. Onde bisogna tristemente concludere che, se si seguono i mondani, non si ha di Cristiani che il nome; e la fede allora è debole a tal punto, che non ha più il potere di arrestare sulla soglia del cuore e del focolare domestico, il flutto invadente e fangoso del piacere proibito.

II. – Qual è la conseguenza più immediata di questa apostasia latente?

È la mancanza d’autorità nella famiglia, con tutti i suoi effetti funesti. La gerarchia dei diritti e dei doveri è tale, che quando se ne toccano le fondamenta, tutto l’organismo resta scosso. Così, nella misura in cui la famiglia elimina la sovranità sociale di Nostro Signore, perde il suo prestigio ed il suo equilibrio; l’autorità dei genitori ne risente, e la felicità familiare crolla fatalmente, presto o tardi. – « Venga a casa, presto, Padre mio », mi supplica un giorno un signore, in preda a viva commozione. Gli domando perché, ed egli cerca di spiegarsi; ma poiché i singhiozzi lo soffocano, lo faccio sedere e aspetto. « Ecco — mi dice, dopo qualche minuto; — Lei conosce il mio figlio maggiore, e sa quali sacrifizi abbiamo fatto per la sua educazione ed il suo avvenire. Ma Lei sa, pure, che sei mesi fa egli partì in cattiva compagnia, e, dopo d’allora, siamo rimasti senza sue notizie. Ecco che arriva all’improvviso, va diritto in camera sua, senza neanche salutare né sua madre né me. Indignati, andiamo verso di lui, rimproverandogli la sua condotta, chiedendogli donde viene e cosa ha fatto… Ebbene, sa Lei quale è stata la sua risposta? Ha insultato me, suo padre, ed ha alzato la mano sulla madre sua! Oh, che ingrato! … Venga Padre, venga con me a parlargli ». — « Caro signore, non vengo ». — « Ma io non comprendo perché non vuol cercare di parlargli e di convertirlo ». — « No, no, mi scusi, non posso venire assolutamente ». — « Padre, perché dunque? Mi spieghi almeno la sua condotta, tanto contraria alle sue predicazioni? » — « Sì, signore, lo farò in poche parole ». E avvicinandomi, prendo affettuosamente la mano dell’infelice padre, e gli dico gravemente, ma col cuore commosso di tenera pietà: « Ecco, è tanto tempo, che sua moglie ed io la supplichiamo di piegare i ginocchi e di compiere i suoi doveri di Cristiano; ebbene, dimenticando lei il primo comandamento, ha insegnato a suo figlio a dimenticare il quarto. Non è questo logico? Se suo padre disobbedisce agli ordini di un Dio, egli può bene disconoscere l’autorità di suo padre, che, dopo tutto, non è che una creatura. Lei è stato buono con la sua sposa e i suoi figli buono con i suoi amici ed i suoi domestici: ma è stato crudele verso Nostro Signore; Egli è il solo che Lei abbia misconosciuto; Suo figlio è stato buono per i suoi amici; troppo buono e condiscendente. tutti, forse, eccetto che con Lei, suo padre. Si metta in ginocchio, riconosca l’autorità del Maestro, confessi le sue colpe, ed allora, sì, noi andremo a casa, vi condurremo Gesù, e convertiremo il giovane ». La sua confessione fu ammirabile di sincerità e pentimento, e la conversione del figlio, che ne seguì fu non meno bella e vera. Ecco l’equilibrio ristabilito nell’ordine e per l’ordine del Vangelo. La pace non ne è che una logica conseguenza. Non si dirà mai abbastanza che il gran male moderno non è la guerra, la rivoluzione o il caro prezzo della vita. No, il male radicale trascendente, sta nel focolare domestico scosso, perché totalmente o in parte scristianizzato. Non bisogna ragionare da fanciulli e giudicare l’importanza di un fenomeno dal fracasso prodotto, dalle sue remote ripercussioni. Per i semplici, un colpo di cannone è più spaventoso di un microbo o di un libro. Ora, noi sappiamo che tutti i cannoni non hanno fatto tanto male quanto un microbo, dal punto di vista fisico, e quanto un libro, dal punto di vista morale. I tre quarti di male che devastano l’Europa, radendo fino alle radici quel che la guerra aveva lasciato ancora in piedi, sono la conseguenza d’un male che è alla sorgente stessa della umanità: nella famiglia.  Leggete questa frase uscita dal cuore angosciato del Papa Pio XI: « Si è decretato che Dio, che il Cristo Signore non presiederebbe più alla costituzione della famiglia! » (Enciclica citata). Ecco il male radicale, che lo stesso S. S. Benedetto XV denunziava nella sua lettera del 25 aprile 1915, preconizzando la crociata dell’Intronizzazione del Cuore di Gesù nelle famiglie. – Noi dimentichiamo troppo ingenuamente che la famiglia è scuola per eccellenza, di virtù o di vizio, di santità o di delitto, e trascurando di purificare questa sorgente, ci lamentiamo sterilmente di mali che ci vengono a colpire per nostra negligenza. Le famiglie mondane si trasformano rapidamente in pagane, per divenire addirittura laicizzate. Non si capovolgono impunemente i principî del Vangelo; l’edificio della Redenzione è fondato su Nazareth, ed è la famiglia cristiana che dovrà sempre perpetuare il frutto del Calvario. A misura dunque che la tempesta satanica neutralizza l’esempio di Nazareth, vale a dire l’influenza del santuario domestico, per eccellenza cristiano, essa compromette i frutti della Redenzione. Questo è un principio positivo di legge divina. Il Signore avrebbe potuto procedere altrimenti, ma Egli tracciò questa legge, e vi si sottomise Lui stesso; fondò la famiglia e la divinizzò elevando il matrimonio alla dignità ed alla sublimità di un sacramento.

IV. – L’apostasia sociale, dolorosa e logica conseguenza della apostasia famigliare.

Si potrebbe forse trovare, tanto tra i saggi ed i ricchi, quanto fra la folla degli avventurieri, dei semplici e dei poveri, un tale esercito di gente senza fede né legge, che dirige la cosa pubblica, che influisce potentemente sui destini dei popoli, che lavora con pertinacia a laicizzare la società, che studia con passione i mezzi di sopprimere Dio ed il suo Cristo da tutte le attività della vita; si potrebbe, dico, trovare un’armata tanto formidabile, se la famiglia cristiana fosse rimasta una cittadella di verità e di morale cristiana? No, mille volte no! Confesso; certo, che qualche unità di questo immenso esercito possa essere formata da vili apostati di qualche focolare cristiano, ma noi siamo obbligati a constatare che la immensa maggioranza è il frutto naturale d’una società neo-pagana. Questo male non è stato improvvisato dal recente conflitto d’armi. La barca navigava già senza bussola: andava alla deriva, quando fu urtata da questa mina subacquea che fu la guerra.  a famiglia cattolica era già stata colpita mortalmente dal Giansenismo, eresia più pericolosa di qualunque altra, perché la più ipocrita e la più astuta nel suo sistema d’attacco, e nelle sue tendenze di distruzione. Conservare, come insegna, il blasone di un Cristianesimo scrupoloso ed integrale, che abilità satanica! Servirsi della Croce, per avvelenare il focolare domestico, con un veleno ad azione lenta, profonda, mortale, quale potente fortuna di diabolico successo!… Il Giansenismo è il monaco apostata, diventato, per orgoglio, un novello satana, ma un satana che conserva l’abito, l’aspetto, la dignità esteriore del religioso. – Accentuando, per principio, la sua apparenza di virtù austera e penitente, gravemente, con l’aureola d’un anacoreta, d’un uomo di preghiera e di disciplina, è penetrato nel santuario familiare, infiltrandovi uno spirito tanto più forte e penetrante, quanto la forma estetica di questo mentitore corrispondeva ad un ideale di austerità, vagheggiata da talune famiglie cristiane. – Il Giansenismo non si fermò ai rigoristi, ai ferventi dell’osservanza alle leggi divine, ma invase abilmente e risolutamente tutto il fiore della cristianità, non già per predicare, come il protestantesimo, un rilassamento, ma per reagire contro i rilassati e i non curanti. Da principio, il Giansenismo non avvelenò tanto le folle, quanto un nucleo di famiglie, influenti per la loro situazione sociale, o per il credito della loro virtù cristiana. Predicando in questo ambiente, una crociata di terrore, col suo rigorismo ad oltranza; sostituendo il timore alla carità, facendo agire arbitrariamente la giustizia divina da inesorabile, là dove il Vangelo e la Chiesa predicano la Misericordia, esso provocò in un gran numero di famiglie cristiane, e perfino nelle istituzioni religiose, dopo un focoso assalto alle austerità, una profonda nevrastenia morale, quasi sempre inguaribile perché basata sulla rivolta dello spirito, sull’orgoglio. La religione di cotesti seminatori di terrore non poteva reggersi lungamente. Un Cristianesimo fatto soltanto di timore e di spavento, non poteva formare che una casta di farisei e di formalisti. Questa religione di costrizione, che confondeva il rispetto col servilismo, che condannava l’espansione del cuore cristiano, il suo canto d’amore e di confidenza, come un’insolenza contro il Cielo, questa tremenda deformazione del Vangelo, cadde a poco a poco, ma lasciò dietro di sé la fatica, il malessere profondo, la nausea dell’idea religiosa. – Quando la corda troppo tesa si ruppe, non restò nelle anime che un tetro silenzio: si sentirono deluse, e si vendicarono della lunga e dura quaresima che si era loro fatta subire, passando quasi furiosamente da questo esasperante rigore, al carnevale sociale in cui anemizza e muore la coscienza cristiana. Fu un poco quel che potemmo vedere anche noi, durante la guerra europea: il timore formidabile dei primi mesi, empì le chiese di folle rigurgitanti, e non mancarono gli ingenui che credettero ad una conversione repentina, splendida. Tuttavia, siccome la vittoria si fece attendere, l’entusiasmo cessò, e seguì il rilassamento. Il più gran delitto del Giansenismo fu di spegnere la fiaccola d’amore che ardeva per Gesù Cristo, nel santuario familiare. Il Cristianesimo è sostanzialmente carità, poiché il suo Fondatore non è che amore: e sopprimere questo carattere dal cuore e dal focolare domestico è proscriverne il suo Re; è calpestare il primo dei suoi diritti sovrani, quello d’essere appassionatamente amato; è impedire l’intimità di Betania col suo amico divino Gesù: « Voi, amici miei » aveva detto Egli stesso. Il Giansenismo commetteva questo delitto di soffocare il cuore del Cristiano, sotto il pretesto del rispetto per la maestà di Dio. Di questo Dio, che lasciò nel cielo la sua gloria per dirci, abbassandosi immensamente ed immensamente amandoci, quelle parole: « Venite tutti! » sotto il pretesto, dico, del rispetto per quel Dio che chiama e rassicura: « Venite tutti… son io… non temete… » Inconcepibile aberrazione! Credere che la confidenza, escluda il rispetto, che l’avvicinarsi a Gesù, il desiderio di andare a Lui, di vederlo, significhi misconoscere la nostra indegnità e la nostra miseria… prendere per orgoglio, il desiderio che ognuno dovrebbe avere, e la dolce realtà di essere amico di Lui… non poterlo servire in ginocchio, cantando con amore il suo amore, senza avere dinanzi l’ossessione di un inferno minaccioso… temere mille volte di più essere castigato, che il non essere amato e non amare… è questo l’orribile Giansenismo. Ahimè! Sì, conservare la pace, nonostante la propria miseria, credere con immensa fede alla pietà di un Salvatore che ci conosce e ci ama come noi siamo, abbandonarsi alla sua misericordia, al suo Cuore, riconoscendo le proprie colpe, era, dicevano essi, provocare infallibilmente una sentenza di vindice giustizia. Pertanto, Gesù-Ostia, il Dio fatto uomo, prigioniero per amore, assetato dell’amore dell’uomo, rinchiuso per sempre, dal Giansenismo, nel Tabernacolo, come in una fortezza inespugnabile. Non è un fosso soltanto che si scava, ma un abisso immenso, insuperabile, fra il Cuore di Gesù, che fa sua delizia l’abitare fra i figli degli uomini, e il cuore dell’uomo, la cui debolezza aspira alla forza, e la cui tenerezza tende all’unione divina dell’amore. – « No — dice l’eretico — il Dio del Tabernacolo non si può avvicinare nella sua santità. Il Dio di penitenza è vendicatore nella sua giustizia. Il Dio della Croce schiaccia, più ancora del peccato, i poveri peccatori. Il Dio del Paradiso è terrificante nella sua maestà e nella sua gloria… tenetevi lontani da Lui! » Così tutta la economia redentrice e vivificante del Vangelo viene impugnata. Il terrore religioso regna sulle anime. Noi raccogliamo ancora la messe avvelenata che questa abbominevole dottrina ha seminato nel fior fiore delle famiglie cristiane d’Europa. L’educazione puramente formale, artificiale, vana e fittizia che si dà ai nostri giorni, è in parte la conseguenza del veleno del Giansenismo. La mancanza di carità grande, ardente, vigorosa non poteva produrre che frivolezza. Non essendo Gesù più il Re, ed il centro «della famiglia, è stato sostituito dall’idolatria « del proprio io » nelle due manifestazioni che sono le più pericolose: la vanità e la sensibilità. Ed ecco come, mentre rimane la veste superficiale di Cristiani, gli idoli domestici, gli Dei lari sono riapparsi nel focolare. – Difatti, la mondanità che infesta le famiglie cristiane è divenuta tanto ai giorni nostri il peccato di moda, che non ha ormai neppure più il triste privilegio di essere uno scandalo.  Che dissipazione di tempo, di gioventù, di ricchezza e soprattutto di tesori spirituali e morali, in questa vita mondana, non solamente vana ed inutile, ma pericolosa per l’esempio, quando questo esempio viene dall’alto, da coloro che sono ancora considerati i conservatori della morale evangelica. – E non si creda che questa frivolezza sia soltanto una forma esteriore, che questa mondanità sia solamente un abito sconveniente, ma che nasconde invece un’anima sana ed in fondo onesta e cristiana. Se essa si rivela attraverso una spaventosa immodestia esteriore e di conseguenza attraverso manifestazioni di vanità, essa penetra molto al di là dall’epidermide; entra nel cuore, succhia a poco a poco tutta la potenzialità morale, dovuta all’educazione, all’atavismo, alla tradizione cristiana. Essa distrugge moralmente il senso soprannaturale e la concezione cattolica delle migliori famiglie. – Così è avvenuto in casa della signorina X…, giovanetta di nobile stirpe, di educazione e di modi distinti, e la cui famiglia è molto cristiana di nome, molto mondana di fatto. Ella parla al suo fidanzato con sincerità, come essa stessa racconta, due settimane prima del matrimonio. Gli dichiara la felicità che prova nell’aver trovato in lui il giovane di spirito superiore, indipendente nelle sue opinioni, fiero delle sue convinzioni personali, libero dai tanti pregiudizi della religione e della razza. Egli è proprio il marito che aveva sognato e che certamente non le imporrà, nella pienezza della gioventù, il giogo crudele ed altrettanto ridicolo di una famiglia… I fanciulli toglierebbero la libertà di godere e di viaggiare… « non ho mai avuta la vocazione di nutrice o di istitutrice », conclude essa in uno scoppio di riso… Io lo ripeto (escludendo completamente dal mio pensiero quell’ambiente che si considera emancipato da quelli che si chiamano i ceppi della religione, e dove non sì conosce appena il Nome di Nostro Signore), Gesù Cristo non comanda quasi più in mezzo ai suoi. – Si tratta di una rivoluzione sociale segreta che pervade i salotti e si insinua fino nell’intimità dei santuari familiari per seminarvi la menzogna e la sventura. E nel suo sistema raffinato e sapiente, fa opera di morte, con maggiore efficacia forse del fermento rivoluzionario, che agita le popolazioni dei trivi e delle bettole. – Se si conoscessero le sventure innumerevoli di questa mondanità! Esse non si esibiscono, ahimè, come i gioielli o i broccati, ma quante gioconde commedie dissimulano tremende agonie… Pax; pax! . et non erat pax! (ler VI, 14). Se si sapesse che quella tale famiglia tanto ricca, non è esteriormente che il lussuoso sepolcro imbiancato di tutte le speranze e di qualche bagliore di felicità svanita!… Il capo è quasi sempre assente dal focolare domestico, e quando c’è, si fa servire in camera sua… La moglie rimane spesso nella tetra solitudine che le sue tre figlie giovanette le creano, vivendo fuori una vita, malsana quasi certamente, ma che sollevi dal silenzio mortale e dalla opprimente tristezza della casa ch’esse chiamano, con ironico disgusto, « il catafalco ». Ci si ritrova tuttavia « ufficialmente », nelle visite che conviene rendere o ricevere insieme, o al teatro… ma altrove, ci si sfugge reciprocamente, non ci si saluta nemmeno. L’intesa di questa disunione è fatta da lunghi anni. Si dorme sotto lo stesso tetto; ci si rimane per forza, quando si è ammalati… e questo è tutto, e anche troppo… Oh, se almeno questa famiglia fosse unica nella sua infelicità! Ahimè! migliaia e migliaia di focolari domestici, quel bandito elegante, forsennato, crudele che si chiama mondo, saccheggia spietatamente. Egli ne scaccia invariabilmente il suo eterno rivale, il Maestro crocifisso; ma lascia prudentemente, al posto della « Divina Realtà », per soddisfazione di una coscienza falsata e soprattutto per salvare le apparenze di una vita cristiana, per la dissimulazione dell’apostasia, esso lascia — l’ingannatore — il blasone cattolico. La grande ricetta del secolo: salvare le apparenze! Mancando il Re, il suo labaro continua a sventolare, per coprire, con la sua gloria, le molteplici disfatte della morale. Questa vita vertiginosa, che si chiama vita del gran mondo, non è che una morfinomania, una ricerca di narcotici che addormenti per un’ora tanti intimi rimorsi. Non posso paragonarla ad altro che a un banchetto in cui nessuno gode tranquillamente degli alimenti che sono serviti, ma nel quale i convitati assistono ad una sfilata di vivande che assaggiano appena, per alzarsi di tavola tediati, stanchi e ancora affamati. – Stordirsi così, andando da un salone a una spiaggia, da un teatro ad un ballo; stordirsi, cambiando maschera, in questo carnevale apparentemente elegante e di buon gusto; stordirsi ricercando nuove distrazioni e nuove raffinatezze del piacere, la più eloquente dichiarazione di una profonda infelicità? – In mezzo alle più belle feste, fra due sorrisi mendaci, si soffocano talora dei singhiozzi… E l’amarezza mortale di questi mondani pet debolezza e per moda, viene dall’assenza si potrebbe dire con Marta, se Tu fossi stato qui, nostro fratello non sarebbe perito… » – Le croci di disperazione che li schiacciano, sono tanto differenti da quelle che dà il Re d’amore. Il calice che il mondo offre ai suoi amici, pieno di amarezza e di torbido, è molto diverso da quello del Getsemani, a cui il Maestro ci invita a partecipare. Tuttavia, Gesù-Re, bandito da quelle famiglie e quei cuori, non varcherà mai, contro la loro volontà, la soglia della loro porta. Ma aspetterà paziente, perché è il Salvatore, che il dolore li obblighi a ricordarsi di Lui: « Signore… colui che tu ami è malato! » – Quanto a noi, il nostro compito, dinanzi a questa terribile crisi familiare, è quello di ripetere con tutte le nostre forze: « Il Maestro è là… Batte alla porta vostra… Vi chiama: apritegli! » « Il suo scettro è di luce e di pace, il suo giogo è dolce e lieve, Lui solo può promettere la felicità vera delle anime, senza opprimere peraltro la sorgente delle lacrime, ma divinizzando e fecondando ogni pena ». – « Apparisce chiaramente », dice l’Enciclica di S. S. Pio XI, « che non vi ha alcuna pace di Cristo fuori di Cristo, e che in conseguenza noi non possiamo cooperare più efficacemente a ristabilire la pace, se non restaurando il Regno di Cristo ». Ricostituiamo dunque integralmente i diritti del Maestro, del solo Re delle anime, della famiglia, della società; intronizziamo profondamente in maniera vitale e vissuta, Gesù Cristo, il solo Liberatore, il solo Salvatore, ed avremo restaurato in Lui ogni cosa, e con Lui, l’ordine e la pace individuale e sociale. – Affrettiamo il suo Regno sociale, il suo Regno d’amore: adveniat! Per la nostra salute eterna Egli deve regnare: Domine, Salva nos, perimus! (Matteo VIII, 25).