UN’ENCICLICA AL GIORNO, TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO: MISERENTISSIMUS REDEMPTOR DI S. S. PIO XI

Questa Enciclica è uno dei documenti più importanti mai prodotti dal Magistero pontificio. Ricco di contenuti dottrinali, indica nella devozione al Cuore di Gesù uno dei mezzi più potenti contro l’empietà delle sette e del mondo odierno, coniugando la devozione alla pratica esatta e convinta della riparazione alle offese fatte a Gesù Signore nostro e Re di ogni Nazione e popolo. Chi non vede come il disconoscimento del potere regale del Cristo sia oggi il male peggiore dell’umanità che per questo sta precipitando in un baratro di immondi vizi, di abomini morali e materiali di ogni sorta, di apostasia della cattolica fede,  mascherata vergognosamente da pratiche sacrileghe e blasfeme, sostenute da chierici invalidamente e sacrilegamente consacrati, dagli ultimi fino agli usurpati uffici apicali. Pio XII, ci ricorda quanto il Signore Gesù aveva già richiesto a Santa Margherita Maria, richiesta oggi quanto mai indispensabile da esaudire per ribaltare una situazione umanamente irrecuperabile: la riparazione alle offese che si fanno al Cuore di Gesù, all’ingratitudine che anche spenti e dormienti sedicenti Cristiani dimostrano nell’ignoranza totale della dottrina cattolica e delle pratiche liturgiche e sacramentali, fonti di salvezza eterna, alla scarsissima attenzione per una Chiesa eclissata, e l’indifferenza verso la condizione del vero Vicario di Cristo imprigionato ed esiliato, sostituito sul suo seggio pietrino da uno spaventapasseri ventriloquo che proferisce mielosamente parole e concetti di indubitabile matrice gnostica e massonica, la teologia cabalista dei suoi mentori adoratori del lucifero-baphomet [Simon Mago al posto di Simon Pietro!!]. Tocca allora al “pusillus grex” utilizzare queste armi riparatorie apparentemente “ridicole” contro le atomiche della stampa e della satanica finanza mondialista, con la fiducia che animava il giovane e piccolo Davide, quando si accingeva ad affrontare  con una “ridicola” fionda un guerriero gigantesco ed armato fino ai denti. A noi quindi l’Ora di adorazione, a noi la Comunione del primo venerdì del mese, [… se non possiamo la Sacramentale, almeno la spirituale], a noi consacrarci “Anime-Ostie”, a noi recitare quotidianamente l’Atto di Riparazione posto alla fine del documento qui riportato. E ancora una volta, Davide abbatterà Golia, Costantino affosserà Massenzio, cadranno Nerone e Diocleziano, Lutero e Calvino, Wicleff e Giansenio, Federico II, Enrico VIII e Ottone di Bismark, Lenin, Stalin, e tutti i tiranni servi del demonio e … alla fine Maria “conteret caput”  del serpente maledetto, e la Chiesa di Cristo uscirà dall’eclissi attuale più bella e splendente che mai.

Pio XI
Miserentissimus Redemptor

INTRODUZIONE

Il Redentore divino presente alla sua Chiesa sempre

1. – Il nostro misericordiosissimo Redentore, dopo aver compiuto sul legno della croce la salvezza del genere umano, prima di ascendere da questo mondo al Padre, nell’intento di sollevare gli apostoli e i discepoli dalla loro afflizione, disse: a Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt XXVIII, 30).

Parole assai gradite e fonte di ogni speranza e di ogni sicurezza, che vengon da sé alla Nostra mente, Venerabili Fratelli, quando da questa, per chiamarla così, più alta specola, osserviamo la società umana afflitta da tanti mali e miserie, non che la Chiesa fatta oggetto, senza intermittenza, di attacchi e di insidie. Questa divina promessa, che sollevò gli animi abbattuti degli Apostoli e così rianimati li accese e li infervorò di zelo per andare a spargere su tutta la terra il seme della dottrina evangelica, ha anche sostenuto in seguito la Chiesa, fino a farla prevalere sulle potenze degli inferi. …ma in modo speciale nei tempi più critici

2. – Sempre il Signore Gesù Cristo ha assistito la sua Chiesa, ma più potente è stato il suo aiuto e più efficace la sua protezione quando la Chiesa s’è trovata in pericoli e sciagure più gravi. Fu allora che nella sua divina sapienza, che “si estende da un confine all’altro con forza e governa con bontà eccellente ogni cosa” (Sap VIII,1), offrì i rimedi più adatti alle esigenze dei tempi e delle circostanze. E non “si è accorciata la mano del Signore” (Is LIX, 1) in tempi a noi più vicini, come quando penetrò e largamente si diffuse l’errore che faceva temere che negli animi degli uomini, allontanati dall’amore e dalla familiarità con Dio, venissero a inaridirsi le fonti della vita cristiana.

Argomento dell’Enciclica: la riparazione

3. – C’è nel popolo cristiano chi ignora o non si cura di quel che l’amatissimo Gesù ha lamentato nelle sue apparizioni a Margherita Maria Alacoque e quel che ha indicato di aspettare e volere dagli uomini, in vista del loro stesso vantaggio. Perciò vogliamo, Venerabili Fratelli, trattenerci alquanto con voi a parlare di quella giusta riparazione che abbiamo il dovere di compiere verso il Cuore Sacratissimo di Gesù, affinché ciascuno di voi procuri diligentemente di insegnare ed esortare il proprio gregge a mettere in pratica quel che abbiamo in animo di esporvi.

LA RIVELAZIONE DEL CUORE DI GESÙ PER I NOSTRI TEMPI

Nel S. Cuore rivelate le ricchezze della bontà divina

4. – Fra le testimonianze della benignità infinita del nostro Redentore, emerge in maniera particolare il fatto che mentre nei cristiani s’andava raffreddando l’amore verso Dio, è stata proposta la stessa carità divina ad essere onorata con speciale culto, e sono state chiaramente rivelate le ricchezze di questa bontà divina per mezzo di quella forma di devozione con cui si onora il Cuore Sacratissimo di Gesù, “nel quale sono nascosti tutti i tesori della sapienza e della scienza” (Col ii,3).

Il Cuore di Gesù vessillo di pace e di amore

5. – Infatti, come un tempo al genere umano che usciva dall’arca di Noè, Dio volle far risplendere “l’arcobaleno che appare sulle nubi” (Gn II,14, in segno di alleanza e d’amicizia, così negli agitatissimi tempi più recenti, quando serpeggiava l’eresia giansenista -la più insidiosa fra tutte, nemica dell’amore e della pietà verso Dio- che predicava un Dio non da amarsi come padre ma da temersi come giudice implacabile, il benignissimo Gesù mostrò agli uomini il suo Cuore Sacratissimo, quasi vessillo spiegato di pace e di amore preannunziando certa vittoria nella battaglia..

Nel Cuore di Gesù tutte le nostre speranze

6. – Perciò, molto a proposito, il nostro predecessore di f. m., Leone XIII, nella sua Lettera Enciclica “Annum Sacrum” osservando la meravigliosa opportunità del culto al Cuore Sacratissimo di Gesù, non dubitò di affermare: “Quando la Chiesa nascente era oppressa dal giogo dei Cesari, apparve in cielo al giovine imperatore una croce, auspice e in pari tempo autrice della splendida vittoria che seguì immediatamente. Ecco che oggi si offre ai nostri sguardi un altro consolantissimo e divinissimo segno: il Cuore Sacratissimo di Gesù, sormontato dalla croce, rilucente di splendidissimo candore tra le fiamme. In esso sono da collocarsi tutte le speranze, da esso è da implorare ed attendere la salvezza dell’umanità”.

Il Cuore di Gesù compendio della Religione.

7. – Ed è giusto, Venerabili Fratelli. Infatti, in quel felicissimo segno e in quella forma di devozione che ne deriva, non è forse contenuto il compendio dell’intera Religione e quindi la norma d’una vita più perfetta, dal momento che essa costituisce la via più spedita per condurre le menti a conoscere profondamente Cristo Signore e il mezzo più efficace per muovere gli uomini ad amarlo più intensamente e a imitarlo più fedelmente? – Nessuna meraviglia, dunque, che i nostri predecessori abbiano sempre difeso questa ottima forma di culto dalle accuse dei denigratori e l’abbiano esaltata con grandi lodi e propagata con grande impegno, secondo le esigenze dei tempi e delle circostanze.

Provvidenziale l’incremento di questa devozione

8. – Ed è per ispirazione divina che la devozione dei fedeli verso il Cuore Sacratissimo di Gesù è andata crescendo di giorno in giorno, sono sorte pie Associazioni per promuovere il culto al divin Cuore, come pure la pratica, oggi largamente diffusa, di fare la Comunione ogni primo venerdì del mese, secondo il desiderio espresso da Gesù stesso.

LA CONSACRAZIONE AL CUORE Dl GESÙ

Significato della consacrazione

9. – Tra gli atti che sono propri del culto al Cuore Sacratissimo di Gesù, emerge -ed è da rammentarsi- la consacrazione, con la quale offriamo al Cuore divino di Gesù noi e tutte le nostre cose, riferendole all’eterna carità di Dio, da cui le abbiamo ricevute. – E fu lo stesso Salvatore, il quale, mosso dal suo immenso amore per noi più che dal diritto che ne aveva, manifestò alla innocentissima discepola del suo Cuore, Margherita Maria quanto bramasse che tale ossequio di devozione gli venisse tributato dagli uomini. E lei per prima, insieme al suo padre spirituale Claudio de la Colombière, fece questa Consacrazione. Col tempo l’esempio fu seguito da singole persone, da famiglie private e associazioni, e poi anche da autorità civili, città e nazioni.

La consacrazione argine contro l’empietà dilagante.

10. – In passato, e anche nel nostro tempo, per l’azione cospiratrice di uomini empi, s’è giunti a negare la sovranità di Cristo Signore e a dichiarare apertamente guerra alla Chiesa con la promulgazione di leggi e mozioni popolari contrarie al diritto divino e naturale, fino al grido di intere masse: “Non vogliamo che costui venga a regnare su di noi” (Lc XIX,14). Ma dalla consacrazione, di cui abbiamo parlato, erompeva e faceva vivo contrasto la voce unanime dei devoti del S. Cuore, intesa a rivendicarne la gloria e affermare i suoi diritti: a Bisogna che Cristo regni” (1 Cor XV,25), “Venga il tuo regno”! Di qui il gioioso avvenimento della consacrazione al Cuore Sacratissimo di Gesù di tutto il genere umano – che per diritto nativo appartiene a Cristo, nel quale si ricapitolano tutte le cose (Cf Ef 1,10) – che all’inizio di questo secolo, tra il plauso di tutto il mondo cristiano, fu compiuta dal nostro predecessore Leone XIII di f.m.

Consacrazione riaffermata con la festa di Cristo Re

11. – Queste felici e confortanti iniziative, Noi stessi, come dicemmo nella nostra Enciclica “Quas primas” abbiamo condotto, per grazia di Dio, a pieno compimento, quando aderendo agli insistenti desideri e voti di moltissimi Vescovi e fedeli, al termine dell’anno giubilare, abbiamo istituito la Festa di Cristo Re dell’universo, da celebrarsi solennemente da tutto il mondo cristiano. – Con questo atto non solo mettemmo in luce la suprema autorità che Cristo ha su tutte le cose, nella società sia civile che domestica e sui singoli uomini, ma pregustammo pure la gioia di quell’auspicatissimo giorno in cui il mondo intero, liberamente e coscientemente, si sottometterà al dominio soavissimo di Cristo Re. – Perciò ordinammo pure che in occasione di tale festa, ogni anno si rinnovasse questa consacrazione. nell’intento di raccoglierne più sicuramente e più copiosamente il frutto, e stringere nel Cuore del Re dei re e Sovrano dei dominatori, tutti i popoli, in cristiana carità e comunione di pace.

LA RIPARAZIONE

Alla consacrazione segue la riparazione

12. – A questi ossequi, e in particolare a quello della consacrazione – tanto fruttuosa in sé e che è stata come riconfermata con la solennità di Cristo Re – conviene che se ne aggiunga un altro, del quale, Venerabili Fratelli, vogliamo parlarvi alquanto più diffusamente: del dovere, cioè, della giusta soddisfazione o riparazione al Cuore Sacratissimo di Gesù. – Nella consacrazione s’intende, principalmente, ricambiare l’amore del Creatore con l’amore della creatura; ma quando questo amore increato è stato trascurato per dimenticanza o oltraggiato con l’offesa, segue naturalmente il dovere di risarcire le ingiurie qualunque sia il modo con cui sono state recate. È quel dovere che comunemente chiamiamo “riparazione”. Richiesta dalla giustizia e dall’amore

13. – Sono le medesime ragioni che ci spingono sia alla consacrazione che alla riparazione. Vero è però che al dovere della riparazione e dell’espiazione siamo tenuti per un titolo più forte di giustizia e di amore. Di giustizia, perché dobbiamo espiare l’offesa recata a Dio con le nostre colpe e ristabilire con la penitenza l’ordine violato; di amore al fine di patire insieme con Cristo sofferente e “saturato di obbrobri” e recargli, per quanto può la nostra debolezza, qualche conforto. – Siamo, infatti, peccatori e gravati di molte colpe; dobbiamo perciò rendere onore al nostro Dio non solo con quel culto che è diretto sia ad adorare, con i dovuti ossequi, la sua Maestà infinita, sia a riconoscere, mediante la preghiera, il suo supremo dominio e a lodare, con azioni di grazie, la sua infinita generosità; ma è necessario inoltre che offriamo anche a Dio giusto vindice, soddisfazioni per i nostri “innumerevoli peccati, offese e negligenze”. – Per questo, alla consacrazione per mezzo della quale ci offriamo a Dio e diventiamo a lui sacri – con quella santità e stabilità che è propria della consacrazione, come insegna l’Angelico (2-2, q. 81, a. 8, c.) – si deve aggiungere l’espiazione al fine di estinguere totalmente le colpe, affinché l’infinita santità e giustizia di Dio non abbia a rigettare la nostra proterva indegnità e rifiuti, anzi che gradire, il nostro dono.

Dovere che grava su tutto il genere umano

14. – Questo dovere di espiazione grava su tutto il genere umano, giacché, come insegna la fede cristiana, dopo la funesta caduta di Adamo, l’umanità, macchiata della colpa ereditaria, soggetta alle passioni e in stato di grave depravazione, avrebbe dovuto finire nell’eterna rovina. – Non ammettono questo stato di cose i superbi sapienti del nostro tempo, i quali, seguendo il vecchio errore di Pelagio, rivendicano alla natura umana una bontà congenita, che di suo interno impulso spingerebbe a perfezione sempre maggiore. – Ma queste false invenzioni della superbia umana sono respinte dall’Apostolo che ammonisce che a eravamo per natura meritevoli d’ira” (Ef II,3). E di fatti, fin dagli inizi, gli uomini, hanno riconosciuto in qualche modo il debito che avevano d’una comune espiazione e mossi da naturale istinto si adoperarono a placare Dio anche con pubblici sacrifici.

La riparazione adeguata fu offerta dal Redentore

15. – Nessuna potenza creata però era sufficiente ad espiare le colpe degli uomini, se il Figlio di Dio non avesse assunto la natura umana per redimerla. – È ciò che lo stesso Salvatore degli uomini annunziò per bocca del Salmista: “Tu non hai voluto né sacrificio né offerta, un corpo invece mi hai preparato. Non hai gradito né olocausti né sacrifici per il peccato. Allora ho detto: Ecco io vengo” (Eb X,5-7). – E realmente “Egli si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori; è stato trafitto per i nostri delitti” (Is LIII,4-5). a Egli portò i nostri peccati nel suo corpo sul legno della croce” (1 Pt 2,24), “annullando il documento scritto del nostro debito, le cui condizioni ci erano sfavorevoli. Egli lo ha tolto di mezzo inchiodandolo alla croce” (Col II,14), “perché non vivendo più per il peccato, vivessimo per la giustizia” (1 Pt II,24).

È richiesta però anche la nostra riparazione

16. – È vero che la copiosa redenzione di Cristo ci ha abbondantemente perdonato tutti i peccati (Cf Col II,13), tuttavia, in forza di quella mirabile disposizione della divina Sapienza per cui si deve completare nella nostra carne ciò che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo, che è la Chiesa (Cf Col 1, 24), noi possiamo, anzi dobbiamo aggiungere le nostre lodi e soddisfazioni alle lodi e soddisfazioni che “Cristo tributò in nome dei peccatori”.

che ha valore per l’unione al sacrificio di Cristo

17. – Si deve però sempre tenere a mente che tutto il valore espiatorio dipende dall’unico Sacrificio cruento di Cristo, che senza intermittenza si rinnova nei nostri altari. Infatti “una sola e identica è la Vittima, il medesimo è l’Offerente che un tempo si offrì sulla croce e che ora si offre mediante il ministero dei Sacerdoti; differente è solo il modo di offrire” (Conc. Trid. Sess. XXII, c. 2). – A questo augustissimo Sacrificio Eucaristico, perciò, si deve unire l’immolazione sia dei ministri che dei fedeli, in modo che anch’essi si dimostrino a ostie viventi, sante e gradite a Dio” (Rm XII, 1). – Anzi S. Cipriano non dubita di affermare che “non si celebra il Sacrificio di Cristo con la conveniente santificazione, se alla passione di Cristo non corrisponde la nostra offerta e il nostro sacrificio” (Ep. 63, n. 381). – Perciò ci ammonisce l’Apostolo che “portando sempre e dovunque nel nostro corpo la morte di Gesù” (2 Cor IV,10), e sepolti con Cristo e completamente uniti a Lui con una morte simile alla sua (Cf Rm VI,4-5), non solo crocifiggiamo la nostra carne con le sue passioni e i suoi desideri (Cf Gal V,24), fuggendo alla corruzione che è nel mondo a causa della concupiscenza” (2 Pt 1,4), ma anche che “la vita di Gesù si manifesti nel nostro corpo” (2 Cor IV,10) e resi partecipi del suo sacerdozio eterno, offriamo “doni e sacrifici per i peccati” (Eb V,1).

Tutti i cristiani partecipi del sacerdozio di Cristo…

18. – Partecipi di questo misterioso sacerdozio e dell’ufficio di offrire soddisfazioni e sacrifici, non sono soltanto quelle persone delle quali il nostro Pontefice Cristo Gesù si serve come ministri per offrire l’oblazione pura al Nome divino, dall’oriente all’occidente in ogni luogo (Cf Ml 1,11), ma tutti i Cristiani – chiamati a ragione dal Principe degli Apostoli “stirpe eletta, il sacerdozio regale” (1 Pt II,9) – devono offrire per i peccati propri e per quelli di tutto il genere umano (Cf Eb V,2), a un di presso come ogni sacerdote e pontefice “scelto fra gli uomini viene costituito per il bene degli uomini nelle cose che riguardano Dio” (Eb V,1). – E quanto più perfettamente la nostra oblazione e il nostro sacrificio saranno conformi al sacrificio del Signore -cosa che si compie immolando il nostro amor proprio e le nostre passioni e crocifiggendo la carne con quel genere di crocifissione di cui parla l’ Apostolo- tanto più copiosi saranno i frutti di propiziazione e di espiazione che raccoglieremo per noi per gli altri.

…e per l’unione in Cristo si aiutano a vicenda.

19. – C’è, infatti, un mirabile legame dei fedeli con Cristo, simile a quello che vige tra il capo e le membra del corpo. Parimenti, per quella misteriosa comunione dei Santi, che professiamo per fede cattolica, sia gli uomini singoli che i popoli, non solo sono uniti fra loro, ma anche con Colui “che è il capo, Cristo, dal quale tutto il corpo, ben compaginato e connesso, mediante la collaborazione di ogni giuntura secondo l’energia propria di ogni membro, riceve forza per crescere in modo da edificare se stesso nella carità” (Ef IV, 15-16). Che è quel che lo stesso Mediatore fra Dio e gli uomini, Cristo Gesù, vicino a morire, domandò al Padre: “Io in loro e tu in me, perché siano perfetti nell’unità” (Gv XVII,23).

LA RIPARAZIONE NEL CULTO AL CUORE Dl GESÙ

La riparazione nell’intenzione di Gesù

20. – La consacrazione esprime e rende stabile l’unione con Cristo; l’espiazione inizia questa unione con la purificazione dalle colpe, la perfeziona partecipando alle sofferenze di Cristo e la porta all’ultimo culmine offrendo sacrifici per i fratelli. – Tale appunto fu l’intenzione che il misericordioso Signore Gesù ci volle far conoscere nel mostrare il suo Cuore con le insegne della passione e le fiamme indicanti l’amore, che cioè riconoscendo noi da una parte l’infinita malizia del peccato e dall’altra ammirando l’infinita carità del Redentore, detestassimo più vivamente il peccato e rispondessimo con maggior ardore al suo amore.

Preminenza della riparazione nel culto al S. Cuore

21. – Lo spirito di espiazione e di riparazione ha avuto sempre la prima e principale parte nel culto al Cuore Sacratissimo di Gesù, e tale spirito è senza dubbio il più conforme all’origine, all’indole, all’efficacia e alle pratiche proprie di questa devozione, come appare dalla storia, dalla prassi, dalla liturgia e dagli atti dei Sommi Pontefici. – Infatti, nel manifestarsi a Margherita Maria, Gesù, mentre proclamava l’immensità del suo amore, al tempo stesso, in atteggiamento di addolorato, si lamentò dei molti e gravi oltraggi che gli venivano recati dagli uomini ingrati, e pronunziò queste parole che dovrebbero rimanere sempre scolpite nelle anime pie e mai dimenticate: “Ecco quel Cuore che ha tanto amato gli uomini e li ha ricolmati di ogni genere di benefici, e che in cambio del suo amore infinito non solo non ha avuto alcuna gratitudine, ma, al contrario, dimenticanza, indifferenza, oltraggi, e questi recati, a volte, anche da coloro che sono tenuti per dovere, a rispondere con uno speciale amore”.

Atti di riparazione richiesti da Gesù stesso

22. – In riparazione di tali colpe, tra le molte altre cose, raccomandò questi atti, a Lui graditissimi; che cioè i fedeli, con l’intenzione di riparare si accostassero alla S. Comunione – chiamata perciò “Comunione riparatrice” – e compissero atti e preghiere di riparazione per un’ora intera, che per questo viene giustamente chiamata “Ora santa“. – Tali pratiche la Chiesa non solo le ha approvate ma le ha anche arricchite di favori spirituali. –

Come si può consolare il Cuore di Gesù glorioso

23. – Ma, se Cristo regna ora glorioso in cielo, come può venir consolato da questi nostri atti di riparazione? “Dà un’anima amante, e comprenderà ciò che dico”, rispondiamo con le parole di S. Agostino (Sul Vang. di Giovanni, tr XXVI, 4) che qui vengono a proposito. – Infatti, un’anima ardente di amor di Dio, guardando il passato vede e contempla Gesù affaticato per il bene dell’umanità, addolorato e sottoposto alle prove più dure; lo vede “per noi uomini e per la nostra salvezza” oppresso da tristezza, angoscia, quasi annientato dagli obbrobri, “schiacciato per le nostre iniquità” (Is LIII,5) e che con le sue piaghe ci guarisce. Queste cose le anime pie le meditano con maggiore aderenza alla realtà per il fatto che i peccati e i delitti, in qualsiasi tempo siano stati commessi, costituiscono la causa per cui il Figlio di Dio fu dato a morte, e anche al presente cagionerebbero a Cristo la morte accompagnata dai medesimi dolori ed angosce, dal momento che ogni peccato rinnova in qualche modo la passione del Signore: “Per loro conto crocifiggono di nuovo il Figlio di Dio e lo espongono all’infamia” (Eb VI,6). – Pertanto, se a motivo dei nostri peccati che sarebbero stati commessi nel futuro, ma che furono previsti allora, l’anima di Cristo divenne triste fino alla morte, non vi può esser dubbio che abbia provato anche qualche conforto già da allora a motivo della nostra riparazione anch’essa prevista, quando “gli apparve un Angelo dal cielo” (Lc XXII,43) per consolare il suo Cuore oppresso dalla tristezza e dall’angoscia. – Sicché, anche ora, in modo mirabile ma vero, noi possiamo e dobbiamo consolare quel Cuore Sacratissimo che viene continuamente ferito dai peccati degli uomini ingrati. Ed è Cristo stesso, come si legge nella Liturgia, che si duole per bocca del Salmista dell’abbandono dei suoi amici: “L’insulto ha spezzato il mio cuore e vengo meno. Ho atteso compassione, ma invano, consolatori, ma non ne ho trovati” (Sal LXVIII, 21).

Si consola Gesù anche nelle sue membra sofferenti.

24. – A ciò s’aggiunga che la passione espiatrice di Cristo si rinnova e in certo modo continua e si completa nel suo corpo mistico, che è la Chiesa. – Infatti, per servirci ancora delle parole di S. Agostino, “Cristo patì tutto quello che doveva patire; ormai nulla più manca al numero dei patimenti. Dunque i patimenti sono completi, ma nel capo; rimanevano ancora le sofferenze di Cristo da compiersi nel corpo” (In Sal. LXXXVI). – Che è quel che il Signore Gesù stesso ha voluto dichiarare quando, parlando a Saulo “sempre fremente minaccia e strage contro i discepoli” (At IX, 1), disse: “Io sono Gesù, che tu perseguiti” (At IX,5). – Con ciò significò chiaramente che le persecuzioni mosse alla Chiesa, andavano a colpire e affliggere lo stesso capo della Chiesa. – Giusto, dunque, che Cristo, sofferente ancora adesso nel suo corpo mistico, voglia averci compagni della sua espiazione, cosa che richiede la stessa nostra unione con Lui, perché essendo noi “corpo di Cristo e sue membra” (1 Cor. XII, 27), ciò che soffre il capo bisogna che con lui soffrano anche le membra (Cf 1 Cor XII, 26).

LA RIPARAZIONE RICHIESTA PER I NOSTRI TEMPI

Offensiva attuale contro Dio e la cristianità

25. – Quanto sia urgente, specialmente in questo nostro tempo, l’espiazione o riparazione appare manifesto, come abbiamo detto all’inizio, a chiunque osservi con gli occhi e la mente questo mondo che giace sotto il potere del maligno” (1 Gv V,19). – Da ogni parte giunge a Noi il grido di popoli afflitti, dove capi e governanti sono, nel vero senso, insorti e congiurano insieme contro il Signore e contro la sua Chiesa (Cf Sal II,2). – Vediamo in quelle regioni calpestato ogni diritto divino e umano. I templi demoliti e distrutti, i religiosi e le sacre vergini cacciati dalle loro case, insultati, tormentati, affamati, imprigionati; strappati dal grembo della madre Chiesa schiere di fanciulli e fanciulle, spinti a negare e a bestemmiare Cristo e a commettere i peggiori crimini di lussuria; il popolo Cristiano gravemente minacciato e oppresso, e in continuo pericolo di apostatare dalla fede o andare incontro a morte anche la più atroce. – Cose tanto tristi, che con tali avvenimenti sembra si preannunzi e si anticipi fin da ora “l’inizio dei dolori”, quali apporterà “l’uomo iniquo che s’innalza sopra ogni essere che viene detto Dio o è oggetto di culto” (2 Ts II,4).

Deficienze tra i Cristiani.

26. – Ma è ancor più doloroso il fatto, Venerabili Fratelli, che tra gli stessi Cristiani, lavati col sangue dell’Agnello immacolato nel Battesimo e arricchiti della sua grazia, ce ne siano tanti, appartenenti ad ogni classe, i quali ignorando in maniera incredibile le verità divine e infetti da false dottrine, vivono una vita viziosa, lontana dalla casa del Padre; una vita che non è illuminata dalla vera fede, non confortata dalla speranza nella futura beatitudine, non sostenuta né ravvivata dall’ardore della carità, sicché sembra davvero che costoro siano nelle tenebre e nell’ombra di morte. – Inoltre, va sempre più crescendo tra i fedeli la noncuranza della disciplina ecclesiastica e delle antiche istituzioni, da cui è sorretta tutta la vita cristiana, regolata la società domestica e difesa la santità del matrimonio. – Trascurata affatto è poi o deformata da troppe delicatezze e lusinghe l’educazione dei fanciulli e perfino tolta alla Chiesa la facoltà di educare cristianamente la gioventù. – Il pudore cristiano purtroppo dimenticato nel modo di vivere e di vestire, specialmente nelle donne. Insaziabile la cupidigia dei beni transitori, gli interessi civili predominanti, sfrenata la ricerca del favore popolare rifiutata la legittima autorità, disprezzata la parola di Dio, per cui la fede stessa vacilla o è messa in grave pericolo. Al complesso di questi mali si aggiunge l’ignavia e l’infingardaggine di coloro che, a somiglianza degli Apostoli addormentati o fuggitivi, mal fermi nella fede, abbandonano Cristo oppresso dai dolori e circondato dai satelliti di Satana. E c’è anche la perfidia di coloro che seguendo l’esempio di Giuda traditore, con sacrilega temerarietà si accostano all’altare o passano al campo nemico. – E così, anche senza volerlo, si presenta alla mente il pensiero che si stiano avvicinando i tempi predetti dal Signore: a Per il dilagare dell’iniquità, l’amore di molti si raffredderà” (Mt XXIV,12).

Ci sono però anche confortanti reazioni

27. – Riflettendo su queste cose i buoni fedeli, infiammati d’amore per Cristo sofferente, non potranno fare a meno di dedicarsi ad espiare con maggiore impegno le proprie colpe e quelle commesse da altri, risarcire l’onore di Cristo e promuovere la salvezza delle anime. – E possiamo davvero descrivere la nostra età adattando in qualche modo il detto dell’Apostolo: “Laddove è abbondato il peccato, ha sovrabbondato la grazia” (Rm V,20). – Infatti, è vero che è cresciuta di molto la perversità degli uomini, ma è anche vero che va meravigliosamente aumentando, per impulso dello Spirito Santo, il numero dei fedeli dell’uno e dell’altro sesso, i quali con animo volenteroso si adoperano a dare soddisfazione al divin Cuore per tante ingiurie che gli si recano e giungono anche ad offrire a Cristo le loro stesse persone come vittime. – Certo che chi riflette con spirito di amore a quanto abbiamo fin qui rammentato e l’imprime, per così dire, nell’intimo del cuore, arriverà non solo ad aborrire il peccato come il sommo dei mali e a fuggirlo, ma anche ad abbandonarsi totalmente alla volontà di Dio e risarcire l’onore leso della divina Maestà con la preghiera assidua, le volontarie penitenze e col sopportare pazientemente le eventuali calamità, fino a vivere tutta la vita in spirito di riparazione. – E così che sono sorte molte famiglie religiose di uomini e di donne, le quali, con ambito servizio, si propongono di fare in qualche modo, giorno e notte, le veci dell’Angelo che conforta Gesù nell’orto. – Di qui pure le pie associazioni di uomini, approvate dalla Sede Apostolica e arricchite di indulgenze, che si assumono il compito dell’espiazione con opportuni esercizi di pietà e atti di virtù. – Di qui, infine, per non parlare di altre, quelle pratiche religiose e solenni attestazioni d’amore, introdotte allo scopo di riparare l’onore divino violato, usate frequentemente non solo da singoli fedeli ma anche da parrocchie, diocesi e città.

Atto di riparazione da farsi nella festa del S. Cuore

28. – Ebbene, Venerabili Fratelli, come la pratica della Consacrazione, cominciata da umili inizi e poi largamente diffusasi, ha raggiunto lo splendore desiderato con la nostra conferma, così grandemente bramiamo che la pratica di questa espiazione o riparazione, già da tempo santamente introdotta e propagata, abbia con la nostra apostolica autorità il più fermo suggello e diventi più solenne e universale nel mondo cattolico. – Stabiliamo perciò e ordiniamo che tutti gli anni, nella festa del Cuore Sacratissimo di Gesù – che in questa occasione abbiamo disposto che sia elevata al grado di doppio di prima classe con ottava – in tutte le Chiese del mondo si reciti solennemente, con la formula di cui uniamo esemplare in questa Lettera, la preghiera espiatrice o ammenda onorevole, com’è chiamata, per esprimere con essa il pentimento delle nostre colpe e risarcire i diritti violati di Cristo sommo Re e Signore amatissimo.

Frutti che si sperano

29. – Non dubitiamo, Venerabili Fratelli, che da questa pratica santamente rinnovata ed estesa a tutta la Chiesa, molti e segnalati siano i beni che ne verranno non solo alle singole persone, ma anche alla società religiosa, civile e domestica. Lo stesso Redentore nostro, infatti, ha promesso a Margherita Maria che “avrebbe colmato con l’abbondanza delle sue grazie celesti tutti coloro che avessero reso questo onore al suo Cuore”. – I peccatori “volgendo lo sguardo a colui che hanno trafitto” (Gv XIX,37) e commossi dai gemiti e dalle lacrime di tutta la Chiesa, pentiti per le ingiurie recate al Sommo Re, “rientreranno in se stessi” (Cf Is XLVI, 8), perché non avvenga che ostinandosi nei loro peccati, quando vedranno “venire sulle nubi del cielo” (Mt XXVI, 64) colui che trafissero, troppo tardi e inutilmente piangano su di Lui (Cf Ap 1,7). I giusti diventeranno più giusti e più santi (Cf Ap XXII,11 ) e si consacreranno con rinnovato fervore al servizio del loro Re che vedono tanto disprezzato e combattuto e oggetto di tante e così gravi ingiurie. Soprattutto s’infiammeranno di zelo per la salvezza delle anime, nel meditare il lamento della vittima divina: “Quale vantaggio dal mio sangue” (Sal XXIX,10), e nel riflettere al gaudio che avrà quel Sacratissimo Cuore “per un peccatore convertito” (Lc XV,7). – Ma quel che principalmente desideriamo e speriamo è che la giustizia divina, la quale per dieci giusti avrebbe usato misericordia e perdonato a Sodoma, molto più voglia perdonare a tutto il genere umano, in vista delle suppliche e delle riparazioni che dappertutto innalza la comunità dei fedeli, insieme con Cristo Mediatore e Capo. –

Sia propizia Maria Riparatrice

30. – Sia propizia a questi nostri voti e a queste nostre disposizioni la benignissima Vergine Madre di Dio, la quale col dare alla luce il nostro Redentore, col nutrirlo e offrirlo come vittima sulla croce, per la mirabile unione con Cristo e per sua grazia del tutto singolare, è divenuta anch’essa Riparatrice e come tale è piamente invocata. – Noi confidiamo nella sua intercessione presso Cristo, il quale pur essendo il solo “Mediatore fra Dio e gli uomini” (1 Tm 2,5) volle associarsi la Madre come avvocata dei peccatori, dispensatrice e mediatrice di grazia.

L’apostolica benedizione

31. – Auspice dei divini favori e in testimonianza della paterna nostra benevolenza, a Voi, Venerabili Fratelli, e all’intero gregge affidato alle vostre cure, impartiamo di cuore l’apostolica benedizione.

Dato a Roma presso S. Pietro, il giorno 8 del mese di maggio dell’anno 1928, settimo del nostro Pontificato.

Pio Papa XI

ATTO DI RIPARAZIONE AL CUORE SACRATISSIMO Dl GESÙ

Prostrati dinanzi al tuo altare, noi intendiamo riparare con particolari attestazioni di onore una così indegna freddezza e le ingiurie con le quali da ogni parte viene ferito dagli uomini il tuo amatissimo Cuore.

Gesù dolcissimo: il tuo amore immenso per gli uomini viene purtroppo, con tanta ingratitudine, ripagato di oblio, di trascuratezza, di disprezzo.

Memori però che pure noi altre volte ci macchiammo di tanta ingratitudine, ne sentiamo vivissimo dolore e imploriamo la tua misericordia.

Desideriamo riparare con volontaria espiazione non solo i peccati commessi da noi, ma anche quelli di coloro che, errando lontano dalla via della salvezza, ricusano di seguire Te come pastore e guida, ostinandosi nella loro infedeltà, o, calpestando le promesse del Battesimo, hanno scosso il soavissimo giogo della tua legge.

E mentre intendiamo espiare il cumulo di sì deplorevoli delitti, ci proponiamo di ripararli ciascuno in particolare:

l’immodestia e le brutture della vita e dell’abbigliamento;

le insidie tese alle anime innocenti dalla corruzione dei costumi; la profanazione dei giorni festivi; le ingiurie scagliate contro di Te e i tuoi Santi;

gli insulti rivolti al tuo Vicario e l’ordine sacerdotale; le negligenze e gli orribili sacrilegi con i quali è profanato lo stesso Sacramento dell’amore divino e in fine le colpe pubbliche delle nazioni che osteggiano i diritti e il Magistero della Chiesa da Te fondata.

Intanto come riparazione dell’onore divino conculcato, Ti presentiamo quella soddisfazione che Tu stesso offristi un giorno sulla croce al Padre e che ogni giorno si rinnova sugli altari: Te l’offriamo accompagnata con le espiazioni della Vergine Madre, di tutti i Santi e delle anime pie.

Promettiamo con tutto il cuore di voler riparare, per quanto potremo, con l’aiuto della tua grazia, i peccati commessi da noi e dagli altri e l’indifferenza verso sì grande amore, con la fermezza della fede, la santità della vita, l’osservanza perfetta della legge evangelica e specialmente della carità. – Inoltre d’impedire, con tutte le forze, le ingiurie contro di Te e attrarre quanti più potremo, a seguire e imitare Te. Accogli, te ne preghiamo, o benignissimo Gesù, per intercessione della B.V. Maria Riparatrice, questo volontario ossequio di riparazione, e conservaci nella fedele obbedienza a Te e nel tuo servizio fino alla morte, col dono della perseveranza, così che possiamo un giorno pervenire a quella patria, dove Tu col Padre e con lo Spirito Santo vivi e regni, Dio, per tutti i secoli dei secoli.

Amen.

VII

ACTUS REPARATIONIS ET CONSECRATIONIS

Iesu dulcissime, cuius effusa in homines caritas, tanta oblivione, negligentia, contemptione, ingratissime rependitur, en nos, ante altaria [an: conspectum tuum] tua provoluti, tam nefariam hominum socordiam iniuriasque, quibus undique amantissimum Cor tuum afficitur, peculiari honore resarcire contendimus. Attamen, memores tantæ nos quoque indignitatis non expertes aliquando fuisse, indeque vehementissimo dolore commoti, tuam in primis misericordiam nobis imploramus, paratis, voluntaria expiatione compensare fiagitia non modo quæ ipsi patravimus, sed etiam illorum, qui, longe a salutis via aberrantes, vel te pastorem ducemque sectari detrectant, in sua infìdelitate obstinati, vel, baptismatis promissa conculcantes, suavissimum tuæ legis iugum excusserunt. Quæ deploranda crimina, cum universa expiare contendimus, tum nobis singula resarcienda proponimus: vitae cultusque immodestiam atque turpitudines, tot corruptelæ pedicas innocentium animis instructas, dies festos violatos, exsecranda in te tuosque Sanctos iactata maledicta àtque in tuum Vicarium ordinemque sacerdotalem convicia irrogata, ipsum denique amoris divini Sacramentum vel neglectum vel horrendis sacrilegiis profanatum, publica postremo nationum delicta, quæ Ecclesiæ a te institutæ iuribus magisterioque reluctantur. Quæ utinam crimina sanguine ipsi nostro eluere possemus! Interea ad violatum divinum honorem resarciendum, quam Tu olim Patri in Cruce satisfactionem obtulisti quamque cotidie in altaribus renovare pergis, hanc eamdem nos tibi præstamus, cum Virginis Matris, omnium Sanctorum, piorum quoque fìdelium expiationibus coniunctam, ex animo spondentes, cum præterita nostra aliorumque peccata ac tanti amoris incuriam firma fide, candidis vitæ moribus, perfecta legis evangelicæ, caritatis potissimum, observantia, quantum in nobis erit, gratia tua favente, nos esse compensaturos, tum iniurias tibi inferendas prò viribus prohibituros, et quam plurimos potuerimus ad tui sequelam convocaturos. Excipias, quæsumus, benignissime Iesu, beata Virgine Maria Reparatrice intercedente, voluntarium huius expiationis obsequium nosque in officio tuique servitio fidissimos ad mortem usque velis, magno ilio perseverantiæ munere, continere, ut ad illam tandem patriam perveniamus omnes, ubi Tu cum Patre et Spiritu Sancto vivis et regnas in sæcula sæculorum.

Amen.

Indulgentia quinque annorum.

Indulgentia plenaria, additis sacramentali confessione, sacra Communione et alicuius ecclesiæ aut publici oratorii visitatione, si quotidie per integrum mensem reparationis actus devote recitatus fuerit.

Fidelibus vero, qui die festo sacratissimi Cordis Iesu in qualibet ecclesia aut oratorio etiam (prò legitime utentibus) semipublico, adstiterint eidem reparationis actui cum Litaniis sacratissimi Cordis, coram Ssmo Sacramento sollemniter exposito, conceditur:

Indulgentia septem annorum;

Indulgentia plenaria, dummodo peccata sua sacramentali pænitentia expiaverint et eucharisticam Mensam participaverint (S. Pæn. Ap., 1 iun. 1928 et 18 mart. 1932).

[Indulg. 5 anni; Plenaria se recitata per un mese con Confessione, Comunione, Preghiera per le intenzioni del Sommo Pontefice, visita di una chiesa od oratorio pubblico. – Nel giorno della festa del Sacratissimo Cuore di Gesù, confessati e comunicati, recitata con le litanie de Sacratissimo Cuore, davanti al SS. Sacramento solennemente esposto: Indulgenza plenaria].

MESSA DELL’EPIFANIA (2019)

MESSA DELLA FESTA DELL’EPIFANIA 2019

Incipit
In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus
Malach 3: 1; 1 Par XXIX: 12
Ecce, advénit dominátor Dóminus: et regnum in manu ejus et potéstas et impérium
[Ecco, giunge il sovrano Signore: e ha nelle sue mani il regno, la potestà e l’impero.]
Ps LXXI: 1
Deus, judícium tuum Regi da: et justítiam tuam Fílio Regis.
[O Dio, concedi al re il tuo giudizio, e la tua giustizia al figlio del re.]
Ecce, advénit dominátor Dóminus: et regnum in manu ejus et potéstas et impérium
[Ecco, giunge il sovrano Signore: e ha nelle sue mani il regno, la potestà e l’impero.]

Oratio
Orémus.
Deus, qui hodiérna die Unigénitum tuum géntibus stella duce revelásti: concéde propítius; ut, qui jam te ex fide cognóvimus, usque ad contemplándam spéciem tuæ celsitúdinis perducámur.
[O Dio, che oggi rivelasti alle genti il tuo Unigenito con la guida di una stella, concedi benigno che, dopo averti conosciuto mediante la fede, possiamo giungere a contemplare lo splendore della tua maestà.]

Lectio
Léctio Isaíæ Prophétæ.
Is LX: 1-6
Surge, illumináre, Jerúsalem: quia venit lumen tuum, et glória Dómini super te orta est. Quia ecce, ténebræ opérient terram et caligo pópulos: super te autem oriétur Dóminus, et glória ejus in te vidébitur.
Et ambulábunt gentes in lúmine tuo, et reges in splendóre ortus tui. Leva in circúitu óculos tuos, et vide: omnes isti congregáti sunt, venérunt tibi: fílii tui de longe vénient, et fíliæ tuæ de látere surgent. Tunc vidébis et áfflues, mirábitur et dilatábitur cor tuum, quando convérsa fúerit ad te multitúdo maris, fortitúdo géntium vénerit tibi. Inundátio camelórum opériet te dromedárii Mádian et Epha: omnes de Saba vénient, aurum et thus deferéntes, et laudem Dómino annuntiántes.

OMELIA I

GESÙ CRISTO RE.

[A. Catellazzi, La scuola degli Apostoli,

Ed. Artig. Pavia, 1929]

“Levati, o Gerusalemme, e sii illuminata, perché la tua luce è venuta, e la gloria del Signore è sorta su te. Poiché, ecco le tenebre ricoprono la terra e l’oscurità avvolge le nazioni; su te, invece, spunta il Signore, e in te si vede la sua gloria. Le nazioni cammineranno; alla tua luce, e i re allo splendore della tua aurora. Alza i tuoi occhi all’intorno, e guarda: tutti costoro si son radunati per venire a te. I tuoi figli verranno da lontano, e le tue figlie ti sorgeranno a lato. Allora vedrai e sarai piena di gioia; il tuo cuore si stupirà e sarà dilatato, quando le ricchezze del mare si volgeranno verso di te, quando verranno a te popoli potenti. Sarai inondata da una moltitudine di cammelli, di dromedari di Madian e di Efa: verranno tutti insieme da Saba, portando oro e incenso, e celebrando le glorie del Signore” (Isaia LX 1-6).

Isaia, il profeta suscitato da Dio a rimproverare e a consolare il popolo eletto in tempo di grande afflizione, ci dipinge in esilio, prostrato a terra, immerso nel dolore per voltate le spalle a Dio. È bisognoso d’una consolazione; e il profeta questa parola l a fa sentire. Gerusalemme risorgerà. Il Messia vi comparirà come un faro risplendente sulla sponda di un mare in burrasca. E nella sua luce accorreranno le nazioni uscendo dalle tenebre dell’idolatria. Gerusalemme deve alzar gli occhi e contemplar lo spettacolo consolante dei suoi figli dispersi che  ritornano, e dei popoli della terra che verranno ad essa, cominciando da quei dell’oriente, recando oro ed incenso, annunziando le lodi del Signore. Questa profezia ha compimento nel giorno dell’Epifania, poiché in questo giorno comincia il movimento delle nazioni verso la Chiesa, la nuova Gerusalemme, I Magi che venuti dall’oriente domandano ove è il nato Re dei Giudei, ci invitano a far conoscenza con questo Re. Vediamo, dunque, come Gesù Cristo è:

  1. Il Re preannunciato,
  2. Che esercita su noi l’autorità legittima,
  3. E al quale dobbiamo dimostrare la nostra sudditanza.

1.

Isaia che invita Gerusalemme a vestirsi di luce ne dà ragione: perché la tua luce è venuta, e la gloria del Signore è sorta su di te. Il Messia promesso, ristoratore non solo di Israele, ma di tutto il genere umano è venuto dall’alto ad illuminare chi giace nelle tenebre e nell’umbra della morte. La notte in cui nasce il Salvatore una luce divina rifulge attorno ai pastori che fanno la guardia, al gregge nelle vicinanze di Betlemme; e contemporaneamente in altre contrade un’altra luce, una stella, appare ai Magi e li guida a Gerusalemme. «Dov’è il nato re dei Giudei? Perché noi abbiam veduto la sua stella in Oriente a siam venuti per adorarlo» (Matth. II, 2). A questa domanda che essi fanno, arrivati a Gerusalemme, Erode e tutta la città si conturba. Eppure, niente era più esatto di quella domanda.Il Messia era stato ripetutamente predetto dai profeti come un restauratore, che avrebbe iniziato un regno nuovo. Gli Ebrei potevano errare nella interpretazione di questo regno; ma i n essi l’idea del Messia era inconcepibile, se disgiunta dalla dignità reale. Del resto i profeti l’avevano annunciato chiaramente come re. Davide dice: «Tu sei sacerdote in eterno secondo l’ordine di Melchisedech » (Ps. CIX). È lo stesso che dire che il Messia sarebbe stato sacerdote e re. «Poiché questo Melchisedech era re di Salem, Sacerdote del Dio Altissimo… Egli primieramente, secondo l’interpretazione del suo nome, re di giustizia, e poi anche re di Salem, che significare di pace» (Hebr. VII, 1-2). Anche il regno del Messia sarà regno di giustizia e di pace. Sentiamo Geremia « Così parla il Signore, Dio d’Israele, ai pastori che pascono il mio popolo. … Ecco che vengono i giorni, e io susciterò a Davide un germe giusto; e regnerà come re, e sarà sapiente e renderà ragione, e farà giustizia in terra» (Ger. XXIII, 2, 5.) . Isaia, parlando della nascita del Messia, così si esprime: «Ecco, ci è nato un pargolo, e ci è stato donato un figlio, e ha sopra i suoi omeri il principato » (Is. IX, 4). A lui segue Zaccaria: «Egli sarà ammantato di gloria, e sederà, e regnerà sul suo trono» ( Zac. VI, 13). Quando poi l’Angelo annunzia a Maria l’Incarnazione, parlando del Messia che nascerà da lei, dice: «Questi sarà grande e sarà chiamato Figliuolo dell’Altissimo: il Signore Iddio gli darà il trono di David, suo padre, ed egli regnerà in eterno sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà mai fine» (Luc. I, 32-33). Non solo è predetto come re, ma come re è salutato e venerato. Abbiamo visto che i Magi dichiarano apertamente di essere venuti ad adorare «il nato Re Giudei ». Quando Natanaele è condotto da Filippo a vedere « quello di cui scrissero Mosè nella legge e i profeti, Gesù », al primo incontro esclama: «Maestro, tu sei il Figliuolo di Dio: tu sei re d’Israele» (Giov. I, 49). Nel giorno del trionfo, quando entra in Gerusalemme per celebrare l’ultima Pasqua, la grande folla accorsa per le feste gli va incontro con rami di palma, gridando : «Osanna! Benedetto chi viene nel nome del Signore, il Re d’Israele» (Giov. XII, 13). In parecchie circostanze, perfino quando sta lasciando la terra per salire al cielo, gli si fanno domande relative al suo regno. Infine, Gesù Cristo stesso dichiara d’essere re; d’avere un regno (Giov. XVIII, 36). Un regno non umano, nè caduco, « ma di gran lunga superiore e più splendido » (S. Giov. Crisost. In Ioa. Ev. Hom. 83, 4).

2.

Le nazioni camminano alla tua luce e i re allo splendore della tua aurora: … tutti costoro si son radunati per venire a te. Re e sudditi, che vanno a mettersi ai piedi di Gesù Cristo, attratti dalla luce che si diffonde dal suo Vangelo, riconoscono praticamente che Egli ha il diritto di dominare su di loro. Difatti chi è Gesù Cristo? Il centurione romano, che coi soldati è posto a guardia della croce, esclama alla morte di Gesù: «Costui era veramente Figlio di Dio» (Matth. XXVII, 54). È Figlio di Dio — nota a questo punto S. Ilario — ma non come noi che siam figli di Dio adottivi. «Egli, invece, è Figlio di Dio vero e proprio, per origine, non per adozione» (S. Ilario, De Trin. 1. 3, c. 11). La sua vita dunque, lo fa superiore a tutto quanto è al disotto di Dio: superiore non solo a tutti gli uomini, ma anche a tutti gli Angeli. A nessuno di loro Dio ha detto: «Tu sei mio figlio, io oggi ti ho generato» (Ps. II, 7). Essi sono posti al comando di Dio; sono a disposizione di Gesù Cristo. « Pensi tu — egli dice a S. Pietro — che io non possa chiamare in aiuto il Padre mio, il quale mi manderebbe sull’atto più di dodici legioni di Angeli?» (Matth. XXVI, 53). Non solo gli Angeli sono a disposizione di Gesù Cristo, ma lo devono adorare, come è scritto nei libri santi: «E lo adorino tutti gli Angeli di Dio »: (Hebr. I, 6). A Gesù, dunque, tutte le creature, uomini e Angeli, devono l’adorazione, la soggezione, l’obbedienza; tutte devono riconoscere la sua sovranità. Oltre che per diritto di natura, Gesù Cristo è nostro re per diritto di investitura. Il Messia, Figlio ed erede di Dio, Creatore e Signore del cielo e della terra, ha diritto al dominio universale sul mondo. Al momento propizio il Padre gliene darà l’investitura, secondo Egli ha dichiarato: « Chiedimi, e ti darò in eredità le nazioni e in possesso i confini della terra » (Ps. II, 8). Nell’incarnazione Gesù Cristo è costituito « erede di tutte le cose » (Hebr. I, 2). e riceve, così, la promessa investitura del suo dominio universale. Ma Gesù Cristo è anche nostro Re per diritto di conquista. Noi eravamo schiavi del peccato, destinati alla morte eterna. Egli ci ha liberati dalla schiavitù del peccato, sottraendoci alla morte eterna. «Quando combatté per noi — dice S. Agostino — apparve quasi vinto; ma in realtà fu vincitore. In vero fu crocifisso, ma dalla croce, cui era affisso, uccise il diavolo, e divenne nostro Re» (En. in Ps. 149, 6). A differenza degli altri conquistatori, egli non ci ha liberati versando il sangue altrui, ma versando il proprio sangue. «Non sapete — dice S. Paolo ai Corinti — che voi non vi appartenete? Poiché siete stati comprati a caro prezzo» (I Cor. VI, 19-20). Noi non possiamo disconoscere l’autorità di chi ha sborsato per noi un prezzo che supera ogni prezzo. I popoli liberati dalla schiavitù passano sotto il dominio del loro liberatore; e noi siamo passati sotto il dominio di chi ci ha liberati dalla schiavitù di satana. Lui dobbiamo riconoscere per nostro re, proclamare apertamente nostro Re,  non solo a parole, ma all’occorrenza anche con della propria vita, come ce ne hanno dato esempio i martiri di tutti i tempi. Tra coloro che furono martirizzati al Messico nel Gennaio del 1927 si trovava un tal Nicolas Navarro. Alla giovane moglie che piangendo lo pregava ad aver pietà del figlioletto: «Anzitutto la causa di Dio! — rispose — E quando il figlio crescerà gli diranno: Tuo padre è morto per difendere la Religione». Percosso, ferito con le punte dei pugnali, strascinato così brutalmente da non esser più riconoscibile, come avvenne anche ai suoi compagni, riceve per di più tanti colpi sulla faccia da aver sradicati i denti. Caduto a terra colpito da due palle, incoraggia i compagni, e rammenta loro la promessa di seguire fino alla morte l’esempio di Gesù. Trapassato da due pugnalate, muore gridando: « Viva Cristo Re » (Civiltà Cattolica, 1927, vol. IV p. 181).

3.

Isaia predice che le nazioni faranno a gara per entrare nel regno di Gesù Cristo. Verranno i nuovi sudditi. portando oro e incenso, e celebrando le glorie del Signore. – Così fanno subito i re Magi, i quali, venuti alla culla di Gesù, « prostrati lo adorarono : e, aperti i loro tesori, gli offrirono in dono oro, incenso e mirra » (Matth. II, 11). « Offrono l’incenso a Dio, la mirra all’uomo, l’oro al re » (S. Leone M. Serm. 31, 2). Quell’oro, forse una corona reale, essi offrono a Dio come tributo che i sudditi devono al re in segno di sudditanza. Quale tributo dobbiamo noi portare a Gesù Cristo in segno della nostra sudditanza? Il regno di Gesù Cristo non è un regno materiale. È un regno spirituale, che si esercita principalmente sulle anime. In primo luogo è il regno della verità. Tra le fitte tenebre dell’errore che coprivano la faccia della terra, Gesù comparve come il sole che illumina ogni cosa, fugando l’ignoranza, la menzogna, l’inganno. Tra gl’intricati sentieri, che non permettono all’uomo, o gli rendono assai difficile, di prendere una giusta direzione nel cammino di questa vita, Egli è la guida sicura.Egli poteva dire alle turbe : «la luce è in voi… Sinché avete la luce credete nella luce, affinché siate figliuoli di luce» (Giov. XII, 35-36). Primo tributo da rendere al nostro Re sarà dunque quello di accogliere con docilità e semplicità la sua parola che è contenuta nel Santo Vangelo. È un regno di giustizia. Se c’è un regno in cui contano più i fatti che le parole, è precisamente il regno di Gesù Cristo. Come tutti i re, Gesù Cristo è legislatore. E le sue leggi vuol osservate. Sulla terra, quanti trasgrediscono le leggi e si credono sudditi fedeli e amanti del loro re! Gesù dichiara apertamente che non può essere o dichiararsi amico suo chi trasgredisce le sue leggi: «Se mi amate osservate i miei comandamenti (Giov. XIV, 15). – Per conseguenza egli eserciterà un altro potere reale: quello di giudicare coloro che sono osservanti delle leggi e coloro che le trasgrediscono. Nessuno potrà sfuggire al suo giudizio e alla sua sanzione. «Poiché bisogna che tutti noi compariamo davanti al tribunale di Cristo, affinché ciascuno riceva le cose che gli spettano, secondo quello che ha fatto, o in bene o in male» (2 Cor. V, 10.). Lo ubbidiremo, dunque, in modo da non meritarsi alcuna riprensione. – Il regno di Gesù Cristo è un regno universale. I suoi confini sono i confini del mondo, i suoi sudditi sono tutte le nazioni dell’universo. È un dominio che si estende su l’individuo e sulla società; e che quindi va riconosciuto e onorato in privato e in pubblico. Purtroppo non tutti riconoscono ancora di fatto il dominio di Gesù Cristo. Un numero sterminato d’infedeli, non sa ancora chi sia Gesù Cristo. Molti Cristiani gli si ribellano; violano i suoi diritti, e gli rifiutano il dovuto omaggio. Tributo d’omaggio del buon Cristiano sarà quello di affrettare con la preghiera il giorno in cui tutte le nazioni conosceranno questo Re, e intanto rendergli l’omaggio, che altri gli negano, riparare le offese, che altri gli recano. Fede viva, esatta osservanza dei comandamenti, zelo per concorrere a farlo regnare, nei singoli individui, nelle famiglie, nella società, ecco i tributi, che dobbiam recare a Gesù Cristo Re, in attestazione della nostra sudditanza.

Graduale
Isa. LX: 6; 1
Omnes de Saba vénient, aurum et thus deferéntes, et laudem Dómino annuntiántes.
[Verranno tutti i Sabei portando oro e incenso, e celebreranno le lodi del Signore.]

Surge et illumináre, Jerúsalem: quia glória Dómini super te orta est. Allelúja, allelúja. [Sorgi, o Gerusalemme, e sii raggiante: poiché la gloria del Signore è spuntata sopra di te.

Allelúja.

Allelúia, allelúia
Matt II: 2.
Vídimus stellam ejus in Oriénte, et vénimus cum munéribus adoráre Dóminum. Allelúja. [Vedemmo la sua stella in Oriente, e venimmo con doni per adorare il Signore. Allelúia.]

Evangelium
Sequéntia sancti Evangélii secúndum Matthǽum
S. Matt II: 1-12

Cum natus esset Jesus in Béthlehem Juda in diébus Heródis regis, ecce, Magi ab Oriénte venerunt Jerosólymam, dicéntes: Ubi est, qui natus est rex Judæórum? Vidimus enim stellam ejus in Oriénte, et vénimus adoráre eum. Audiens autem Heródes rex, turbatus est, et omnis Jerosólyma cum illo. Et cóngregans omnes principes sacerdotum et scribas pópuli, sciscitabátur ab eis, ubi Christus nasceretur. At illi dixérunt ei: In Béthlehem Judae: sic enim scriptum est per Prophétam: Et tu, Béthlehem terra Juda, nequaquam mínima es in princípibus Juda; ex te enim éxiet dux, qui regat pópulum meum Israel. Tunc Heródes, clam vocátis Magis, diligénter dídicit ab eis tempus stellæ, quæ appáruit eis: et mittens illos in Béthlehem, dixit: Ite, et interrogáte diligénter de púero: et cum invenéritis, renuntiáte mihi, ut et ego véniens adórem eum. Qui cum audíssent regem, abiérunt. Et ecce, stella, quam víderant in Oriénte, antecedébat eos, usque dum véniens staret supra, ubi erat Puer. Vidéntes autem stellam, gavísi sunt gáudio magno valde. Et intrántes domum, invenérunt Púerum cum María Matre ejus, hic genuflectitur ei procidéntes adoravérunt eum. Et, apértis thesáuris suis, obtulérunt ei múnera, aurum, thus et myrrham. Et re sponso accépto in somnis, ne redírent ad Heródem, per aliam viam revérsi sunt in regiónem suam,” [Nato Gesù, in Betlemme di Giuda, al tempo del re Erode, ecco arrivare dei Magi dall’Oriente, dicendo: Dov’è nato il Re dei Giudei? Abbiamo visto la sua stella in Oriente e siamo venuti per adorarlo. Sentite tali cose, il re Erode si turbò, e con lui tutta Gerusalemme. E, adunati tutti i sommi sacerdoti e gli scribi del popolo, voleva sapere da loro dove doveva nascere Cristo. E questi gli risposero: A Betlemme di Giuda, perché così è stato scritto dal Profeta: E tu Betlemme, terra di Giuda, non sei la minima tra i prìncipi di Giuda: poiché da te uscirà il duce che reggerà il mio popolo Israele. Allora Erode, chiamati a sé di nascosto i Magi, si informò minutamente circa il tempo dell’apparizione della stella e, mandandoli a Betlemme, disse loro: Andate e cercate diligentemente il bambino, e quando l’avrete trovato fatemelo sapere, affinché io pure venga ad adorarlo. Quelli, udito il re, partirono: ed ecco che la stella che avevano già vista ad Oriente li precedeva, finché, arrivata sopra il luogo dov’era il bambino, si fermò. Veduta la stella, i Magi gioirono di grandissima gioia, ed entrati nella casa trovarono il bambino con Maria sua madre qui ci si inginocchia e prostratisi, lo adorarono. E aperti i loro tesori, gli offrirono in dono oro, incenso e mirra. Avvertiti poi in sogno di non passare da Erode, tornarono al loro paese per un altra strada.]

Omelia II

FESTA EPIFANIA

RAGIONAMENTO I.

Nel mistero dell’epifania si adombrano i tre periodi storici della Chiesa.

[Mons. G. Bonomelli, Misteri Cristiani, vol. I; Queriniana ed. Brescia, 1898 –imprim. -]

Gesù Cristo è la stessa verità Ego sum veritas-. Ora in faccia alla verità, vogliasi o non vogliasi, tre partiti soltanto sono possibili: o noi la respingiamo, la combattiamo, cerchiamo di soffocarla e ucciderla, poco importa poi se col ferro o col sofisma; o noi le cadiamo ai piedi, l’adoriamo e ci professiamo suoi seguaci fedeli e, al bisogno, suoi soldati; o noi non ci curiamo di essa, passiamo oltre senza degnarla d’uno sguardo o d’un saluto, e nemmeno d’un insulto. In altri termini, in faccia alla verità non vi possono essere, che o amici o nemici, od indifferenti: sfido chicchessia a trovare un quarto partito; è assolutamente impossibile. Questo triplice partito oggi apparisce in tutta la sua luce.  – Il divino Infante, l’eterna Verità, è là a Betlemme. Erode, i suoi consiglieri, satelliti e cortigiani, l’odiano e mandano sicari per trucidarlo nella culla: ecco i nemici. I Magi, venuti da lontane contrade (Nei Libri Santi la parola generica Oriente significa la Caldea, la Mesopotamia, la Persia, l’Arabia Petrea e altri paesi posti ad Oriente della Giudea e in qualche modo conosciuti dai Giudei.), si prostrano ai suoi piedi, l’adorano e gli offrono doni e regali: ecco gli amici. – Gli scribi e farisei, i capi del popolo, i principi dei sacerdoti, interrogati da Erode: – dove ha da nascere il Messia?- con la Scrittura alla mano, senza esitare, rispondono: – a Betlemme: lo disse il profeta -. E a Betlemme inviano i Magi stranieri, che ignorano la sacra Scrittura, ed essi, maestri in Israele, custodi delle tradizioni e dei Libri Santi, non si muovono, non li accompagnano, non se ne curano nemmeno, come se fosse cosa che punto li interessava: ecco gli indifferenti. In queste tre classi di uomini, che all’apparire del divino Infante sì diversamente si atteggiano, noi abbiamo anticipata in compendio la storia tutta della Chiesa, continuatrice della vita e delle opere di Gesù Cristo. Le generazioni, passando dinanzi alla Chiesa di Cristo si dividono in tre grandi schiere, di nemici, spesso armati della legge e della forza, che tentano di spegnerla; di amici fedeli, che la onorano, la ubbidiscono e la soccorrono; di indifferenti, che non se ne danno pensiero e tutte e tre queste schiere di uomini a loro modo mettono a prova la vita divina della Chiesa; Essa vince la prova del ferro, con cui i nemici si argomentano di ucciderla: vince la prova dell’oro, con cui gli uomini, senza volerlo, sembrano tentarla e sedurla; vince la prova della indifferenza, con cui una società freddamente cinica si avvisa di schiacciarla. – In questi tre punti, per vero dire. Soverchiamente vasti, fermeremo la nostra attenzione. Toccherò appena i primi due notissimi e che riguardano quasi esclusivamente il passato e mi fermerò alquanto più a lungo sul terzo, perché  è il periodo nel quale entra a piene vele la società moderna (Il Gesuita P. Felix, al Congresso Cattolico di Malines, nel 1863 – se bene mi ricordo – recitò un discorso eloquentissimo, intitolato: “Le tre fasi della Chiesa, ossia la fase di persecuzione materiale, di protezione legale, e di separazione dello Stato”. Ho tolto da lui il pensiero e lo svolgimento). È argomento che merita tutta la vostra attenzione. Erode, udendo dai Magi ch’era nato il Re dei Giudei e udendo riconfermata la voce dai Sacerdoti, e da essi determinato il luogo, si turbò Turbatus est rexe con lui si turbarono i suoi cortigiani – Et omnìs Hierosolyma cum illo -. Erode non solo si turbò, ma impaurì, e nei re che tengono la mano sulla spada, la paura è crudele e tremenda consigliera. – Come? diceva seco stesso quell’efferato tiranno. (Chi era Erode? Eccovelo: – Appena salito sul trono domandò ad Antonio – il Triumviro che regnava in Oriente – la testa del vinto Antigono – suo emulo – e Antigono fu decapitato. Egli fece massacrare tutti i membri del Sinedrio, che durante l’assedio di Gerusalemme avevano parteggiato contro di lui e i suoi alleati, i Romani; fece affogare Aristobalo, suo cognato, e il figlio di Alessandro in un bagno a Gerico, e sotto il vano pretesto di tradimento, diede in mano al carnefice Ircano, ottuagenario, ultimo degli Asmonei. Nutre a torto sospetti su Marianna una delle sue mogli: la uccide. Gli intrighi di Sefora e di Salome destano sospetti sui figli Alessandro e Aristobalo: li fa strozzare. Invecchiando diviene più crudele e più sospettoso. I Farisei, esasperati per la sua politica antinazionale e irreligiosa, congiurano ed eccitano una rivolta; piglia i due capi, Giuda e Mattia e li fa bruciar vivi. – Giuseppe Ebreo, presso Didon, Volume I, p. 62-63 -. È la storia lo disse Erode il Grande!!!), come? un altro re dei Giudei? E non sono io, io solo il re dei Giudei e dopo di me i miei figli? E un nuovo Re annunziato dai Profeti? E il Sacerdozio e il popolo l’aspettano? E se ne conosce il luogo? E il cielo l’annunzia con segni miracolosi? E sotto a’ miei occhi si cerca di lui? E vengono da lontani paesi per ossequiarlo? E lo si dice a me, quasi non fossi io il re dei Giudei? Se si agitano i lontani, che vorrà essere dei vicini? Questo bambino, che dicesi nato a Betlemme, può essere pretesto a tumulti, a rivolte: il popolo è sì mobile, sì superstizioso! Non c’è tempo da perdere: bisogna spegnere la prima scintilla che può divampare in incendio: bisogna tagliare subito la radice del male. Un bambino più o meno che monta! La sicurezza del trono, la tranquillità pubblica, la ragione di Stato lo esigono. Olà, soldati, a Betlemme: senza pietà uccidete, scannate tutti i bambini al di sotto dei due anni nella città e luoghi vicini -. E l’orrido comando era eseguito. Ma il divino Infante è sottratto alla strage. Come? forse con un miracolo della onnipotenza divina? Forse Iddio manda una legione di Angeli a circondare l’asilo del Figliuolo suo? Forse arma di fulmini la destra e incenerisce Erode e i suoi sicarii? Usa forse d’uno di quei mezzi strepitosi, dei quali son piene le storie dell’antico Patto? No, fratelli miei; molte volte Cristo fu cercato a morte dai suoi nemici prima dell’ora per Lui stabilita; mandò a vuoto i loro disegni in varie guise, ma non ricorse mai alle manifestazioni strepitose della sua onnipotenza; preferì la fuga. Fa conoscere al suo custode l’imminente pericolo; per opera di lui con pochi passi muta luogo, mette fra sé ed Erode un lembo di terra: il persecutore è reso impotente e Gesù è salvo. Noi forse avremmo amato ch’Egli fin dalla culla, con uno di quei lampi della sua infinita potenza che gli erano sì facili, sfolgorasse i suoi nemici e mostrasse tosto al mondo chi Egli era: non lo volle, né valeva a pena. E proprio della sua sapienza fare le grandi cose coi mezzi minimi. È la storia della Chiesa dei primi tre secoli, e che poi a vari intervalli di tempo e di spazio, continua fino a noi e continuerà fino al termine dei tempi; giacche la vita della Chiesa non è che la continuazione della vita di Cristo. Essa nasceva nel Cenacolo, vagiva ancora nella culla, giaceva sulla paglia, povera come il suo Fondatore, indifesa, e coloro che avevano confìtto alla croce Gesù Cristo, che avevano ancora le mani calde del sangue di Lui, Pontefici, Scribi, Farisei, turbe aizzate dal fanatismo, il figlio di Erode, degno del padre, i successori di Pilato, armati della legge, si gettano sopra di essa per trucidarla. Il sangue di Stefano, di Giacomo e di mille altri scorre per le contrade della Giudea: chi difenderà questo piccolo greggia di Cristo? Chi salverà questa agnella del divino Pastore, caduta, sotto le zanne di tanti lupi rapaci? Essa non ha altre armi, che quelle datele dal suo Fondatore: fuggire, soffrire, pregare, tener salda la fede, confessarla coraggiosamente e morire per essa. E così Essa fece! Il sangue de’ martiri è seme di Cristiani; l’albero reciso per uno mette dieci, venti vigorosi germogli. Viventi ancora gli Apostoli, la Chiesa porta dovunque le sue tende; se Erode costringe il divino Infante a correre le vie dell’esilio e a portare la luce della verità in Egitto, terra di incirconcisi, il figlio di lui e la Sinagoga forzano gli Apostoli ad annunziare il Vangelo ai gentili, ad allargare la Chiesa in Oriente e ad Occidente e noi la vediamo in pochi anni stabilita in Alessandria, a Corinto, Efeso, Tessalonica, Soma, in Spagna e pressoché in tutto il mondo allora conosciuto. Allora contro questa Chiesa, bambina, sì debole, priva di tutto, ricca solo di fede e di coraggio, si leva il gigante dell’Impero Romano; egli ha pronte a’ suoi cenni quelle legioni, che corsero vincitrici e trionfanti il mondo: ha con sé le glorie del passato, il prestigio dell’antichità, della scienza, delle arti, delle lettere, la sapienza e la forza del codice, tutto. Il mondo non vide e forse non vedrà mai tanta potenza e tanta gloria, riunite in un impero, anzi nelle mani d’un solo uomo, arbitro dell’Impero. Ebbene: questo uomo, questo imperatore, in cui si incarna tutta la potenza della terra, che stende le sue mani di ferro, dall’Eufrate al Tago, dalla Mosa al Nilo, per tre secoli quasi continui si getta sulla Chiesa: col ferro, col fuoco, con la scienza, con tutti i mezzi, che sono in suo potere, la ferisce, la lacera, la squarcia con un furore, con una rabbia che non ebbe, né avrà mai l’uguale. Essa non ricorre una sola volta alle armi per difendersi: la sua forza sempre e tutta è nel patire e morire. Dei due chi vinse? Vinse il debole, l’inerme; vinse quella Chiesa che ogni giorno saliva il patibolo e soggiacque il gigante armato: vinse la vittima e soggiacque il carnefice. – Non basta: la gran lotta, cominciata in Giudea, allargatasi in tutta l’ampiezza del Romano Impero, che sembrava chiusa per sempre allorché la Croce comparve scintillante sulla corona di Costantino, rinacque qua e là e talvolta più feroce dell’antica; rinacque con Maometto, che dal mezzogiorno versò sul mondo Cristiano le sue orde sterminate, quasi fiume di lava ardente e distruggitrice: rinacque con le immani incursioni dei barbari, che dal settentrione, quasi onde accavallatesi le une sulle altre, copersero tutte le regioni che la Chiesa aveva appena conquistate; rinacque più tardi nel Medio Evo, allorché imperatori e re, che la Chiesa aveva nutriti e cullati sulle sue ginocchia, volsero contro di lei l’armi matricide; rinacque nel secolo XVI, allorché principi e popoli si levarono a rivolta, posero a soqquadro quasi tutta l’Europa settentrionale e apersero nei fianchi della Chiesa sì larghe e profonde ferite, che tre secoli e mezzo non hanno ancora chiuso. Rinacque sullo spirare del secolo passato, allorché sulla primogenita della Chiesa scoppiò quel nembo procelloso, che tutta l’avvolse, che disertò i campi dianzi sì ricchi, la coperse di rovine. E ai nostri giorni, i venti che soffiano da Oriente e da Mezzogiorno non fanno giungere troppo spesso alle nostre orecchie atterrite i gemiti e le grida strazianti dei fratelli nostri, che la barbarie pagana massacra in Cina, in Corea, al Tonchino e sulle rive dei grandi laghi dell’Africa Centrale? Oh! il sangue della Chiesa di Cristo scorre in tutti i secoli e alla sua corona non vengono meno giammai le rose del martirio, e se fosse raccolto insieme vi navigherebbe sopra una flotta. Non vi è terra sì inospite, non angolo sì remoto, che in un secolo o in un altro, non abbia bevuto il sangue dei suoi figli, vittime volontarie della fede e della carità. E nella formidabile e sì diuturna e sì vasta lotta tra la Chiesa sì debole ed inerme e i suoi nemici sì numerosi, si possenti e sì crudeli, da qual parte sta la vittoria? Scorrete con lo sguardo della memoria il passato: voi vedrete lungo la via percorsa dalla Chiesa le tombe e gli ossami de’ suoi nemici, dei quali non resta che il nome, e la Chiesa vi sta dinanzi ritta, piena di cicatrici, sì, ma anche di vita. Come Gesù sfuggì agli artigli di Erode e de’ suoi consiglieri, così la Chiesa uscì salva dalle mani dei mille e mille nemici e carnefici, che l’inferno lanciò sopra di essa. Essa adunque vinse la prima prova, la prova della forza materiale; la prova del ferro e del sangue, nella quale, secondo i calcoli della umana sapienza, doveva inesorabilmente soccombere: chi doveva vincere fu vinto, e chi doveva esser vinto rimase vincitore: le parti sono invertite contro tutte le leggi dell’umana ragione; è dunque l’opera, non degli uomini, ma di Dio e chi noi vede fa oltraggio alla ragione. – Lo so, si disse e si dice dagli uomini della scienza: La Chiesa debole e inerme vinse i nemici potenti ed armati: la vittoria della Chiesa è il risultato naturale delle cose: così e non altrimenti doveva essere. – E perché, o uomini della scienza? – Perché la persecuzione crea la reazione e la reazione dà la sconfitta ai persecutori e la vittoria ai perseguitati -. Stupendo ragionamento! Allorché voi volete che una pianta cresca rigogliosa, sfrondatela, tagliate i suoi rami, incidetela, fatene il peggior scempio. – Quando volete che un fanciullo cresca sano e robusto, non solo dategli scarso l’alimento e rifiutategli il riposo, ma battetelo, flagellatelo, feritelo, straziatelo. Quando volete che una società prosperi e grandeggi e voi opprimetela, tiranneggiatela, sterminatela.- La Chiesa si propagò e crebbe perché spietatamente perseguitata!- Se fosse stata, nei primi secoli specialmente, onorata, protetta, colmata di favori e di ricchezze, come fu più tardi, che avreste voi detto? Che doveva il suo trionfo alla forza, ai favori, alle protezioni, ai mezzi umani. Non ebbe tutto questo, anzi ebbe il rovescio di tutto questo, l’odio, le persecuzioni più implacabili; ed ecco gli uomini della scienza invertire il ragionamento e dirci: – E appunto a codeste persecuzioni che la Chiesa va debitrice naturalmente del suo finale trionfo (Non nego che talvolta la persecuzione produce la reazione e per conseguenza l’effetto contrario, come il vento, che invece di spegnere il fuoco lo fa maggiormente divampare. Ma quando? Quando la persecuzione è fiacca, ristretta per ragione del tempo e dello spazio e per altri rispetti tale, che sia impotente a soffocare le forze dei perseguitati; ma certo non erano tali le persecuzioni di cui fu bersaglio la Chiesa. Considerate le forze dell’una e dell’altra parte, un uomo che ragiona deve conchiudere che la Chiesa doveva perire e se non perì fu per opera sovrumana). – Lasciamoli e passiamo al secondo periodo della Chiesa. – Erode voleva la morte del divino Infante e i suoi sicari correvano per le vie di Betlemme e dei villaggi vicini, uccidendo barbaramente tutti i bambini al disotto dei due anni, sicuri di involgere in quell’orribile macello il paventato Re de’ Giudei. I Magi, sapienti o principi che fossero, venuti dall’Oriente a Betlemme, lo riconoscono, lo adorano, gli offrono oro, incenso e mirra. Erode rappresenta i nemici, i persecutori implacabili della Chiesa, i Magi raffigurano i figli devoti che la difendono e la colmano di onori e di ricchezze: prova pur questa non meno pericolosa di quella. La Chiesa tutta sanguinolenta uscì dalle Catacombe: vincitrice del paganesimo e dei barbari si assise regina sul trono dei Cesari: vide principi e popoli caderle dinanzi devoti e riverenti. Grati dei benefìci ricevuti, nella speranza di riceverne altri, pieni di fede, principi e popoli a gara le offersero oro ed incenso, ricchezze ed onori, immunità e privilegi senza numero, possessi amplissimi, giurisdizioni quasi assolute, feudi ricchissimi, i sommi uffici delle corti regie e imperiali, stabilmente affidati ai membri della Gerarchia ecclesiastica mutarono profondamente le condizioni della Chiesa: gli Abati dei monasteri e i Vescovi parvero tramutati in principi e re: il Capo della Chiesa, il Sommo Pontefice, alla mitra aggiunse la corona e al pastorale la spada, divenne l’arbitro dei re, il consacratore degli Imperatori, e la debolezza e la povertà apostolica si videro nel volgere di pochi secoli trasformate in potenza e ricchezza quasi incredibili. Era un bene? Senza dubbio era un bene per i popoli e per i principi: era un tributo volontario della fede e della pietà verso Cristo e la sua Chiesa. Dov’è il credente, che non vorrebbe rendere a Cristo tutti gli onori possibili e offrirgli tutti i tesori della terra se fosse in suo potere? Ora Cristo vive, opera e governa nel Pontefice e nella Chiesa: è dunque naturale nei credenti il sentimento che li porta a rendere al Pontefice e alla Chiesa tutti gli omaggi possibili, a deporre nelle loro mani tesori e poteri, a collocare quello e questa al di sopra d’ogni autorità e d’ogni cosa, primi dopo Dio. E la fede che così vuole. Ma se gli onori, la potenza e le ricchezze sono un pericolo e una seduzione per tutti gli uomini, come la ragione dimostra e come insegna il Vangelo, lo devono essere e maggiormente per gli uomini di Chiesa. Dovrebbe Iddio fare un miracolo per affrancarneli? E a questo pericolo e a questa terribile seduzione fu sottoposta la Chiesa per un periodo assai lungo. Fratelli miei! La storia è inesorabile e tolga Iddio, ch’io ne alteri pure una riga, e noi, discepoli di Lui che si disse la verità « Ego sum veritas » la diremo tutta intera, senza reticenze, perché è la verità e la sola verità che ci fa liberi e ci salva. Fanno oltraggio al Vangelo coloro che per timore e per non so quale umana prudenza la nascondono. Lo Spirito Santo nei Libri Sacri narra a tutti e per tutti i secoli, senza una parola di scusa o di difesa, i delitti di Davide, l’ignoranza e la debolezza degli Apostoli, il tradimento di Giuda, la caduta e gli spergiuri di Pietro: perché, quando è necessario, dissimuleremo noi i mali che avvennero e avvengono nella Chiesa? Diciamo adunque, che se il ferro degli Erodi e dei persecutori della Chiesa le fecero versare lagrime amare e la copersero di sangue, gli onori e le ricchezze la fecero vestire a lutto e la imbrattarono di polvere e talvolta di fango. Per mostrarvelo non avrei che a riportare alcune pagine desolate di S. Pier Damiani, di S. Bernardo e d’altri Santi: non avrei che a ripetervi il grido affannoso del grande Ildebrando, l’uomo prodigioso mandato da Dio per rialzare la sua Chiesa (S. Gregorio VII): « Guardo ad Oriente, guardo ad Occidente, guardo a Settentrione, guardo a Mezzogiorno e non trovo un Vescovo che governi la Chiesa per amor di Dio! » Quanti scandali nei monasteri, nel clero, nei Vescovi! Ricchi e potenti, lasciarono la cattedra e l’altare per seguire i principi alle caccie e alla guerra! Immersi negli affari temporali, dimenticavano gli spirituali: vivendo alle corti, nel lusso e negli agi del secolo, pareva non sapessero d’avere una Chiesa che languiva nella povertà e nell’abbandono del proprio pastore. La marea della corruzione, figlia dell’ignoranza, degli agi, della mollezza e soprattutto della ricchezza, saliva, saliva in alto e talvolta parve avvolgere nei suoi flutti torbidi e vorticosi la stessa sede di Pietro, da cui solo poteva venire la salute. Che tempi nefasti furono quelli per la Chiesa di Cristo! Fu miracolo che non fosse travolta da quella fiumana e scomparisse dalla terra. Chi conosce la storia della Chiesa dal sesto al decimosesto secolo e specialmente del nono, del decimo e decimo primo, converrà ch’io non esagero. E non è tutto: il principe delle tenebre osò dire a Cristo stesso: – Io ti darò tutti i regni della terra, se, piegando il ginocchio a terra, mi adorerai. I re e gli imperatori della terra, non rare volte, ancorché Cristiani e Cattolici, osarono dire ai Vescovi, successori degli Apostoli, e agli stessi Pontefici, successori di Pietro : – Se voi farete ogni nostro desiderio, se ci venderete la vostra libertà, noi ve la pagheremo largamente: saremo i vostri difensori a patto che siate i nostri servi; non vi domanderemo che il sacrificio di qualche parola del Simbolo, di qualche parte del Decalogo: non saremo soverchiamente esigenti. Se farete il voler nostro, raddoppieremo i vostri onori e le vostre ricchezze e la vostra potenza: se ricuserete, vi leveremo anche ciò che avete -. E ciò che dissero e fecero la maggior parte dei re ed Imperatori fino a nostri tempi: basti ricordare Enrico IV, V e VI, Federico I e II, Filippo il Bello e Filippo Augusto, Enrico VIII, per tacere d’altri. È il periodo di protezione interessata, che troppo spesso si riduceva in signoria reale da parte del potere laico ed in servitù vergognosa da parte della Chiesa. Ohimè! quanti dolori e quante angosce! Quanti danni e quante umiliazioni costarono alla Chiesa queste protezioni dei re della terra! A qual caro prezzo dovette quasi sempre pagarle! Erano re e Imperatori che, professandosi figli rispettosi, si inchinavano dinanzi alla Madre, mentre si ingegnavano di stringerle i polsi con catene d’oro! Che, baciando i piedi al Vicario di Cristo, lo volevano complice de’ loro delitti ed errori, e non si peritavano all’uopo di mormorargli all’orecchio parole di minaccia! E resistere e respingere un potente che a mano armata scopertamente vi assale, è difficile; ma assai più difficile torna resistere e respingere le preghiere e le umili domande di chi si dice vostro amico e vostro figlio e vi tradisce. Quand’io considero le due prove della Chiesa, la prova del ferro e quella dell’oro: la prova delle persecuzioni e del sangue e la prova dei favori e delle protezioni e le confronto tra di loro, esclamo: – Entrambe sono terribili; ma la seconda è più terribile della prima, perché più insidiosa -. E la storia è là a dimostrarlo a luce meridiana. Ed anche questa prova vinse la Chiesa, spezzò le catene d’oro che le si volevano porre, gettò lungi da sé la porpora reale ed imperiale, onde la volevano coprire protettori sospetti, malfidi, pronti sempre a trasformarsi in oppressori. – Nessuna cosa è più cara a Dio della libertà della sua Chiesa, scrisse S. Anselmo, e questa sopra tutto Essa ama e vuole; è la sua vita e la sua forza e questa serbò di fronte agli incomodi suoi tutori, lasciando talora nelle loro mani stracciato il suo manto, come il casto giovane ebreo lasciò il suo nelle mani della ribalda moglie di Putifarre anziché fornicare con essa. Questo secondo periodo di protezione pericolosa va scomparendo pressoché dovunque per dar luogo al terzo, nel quale alcuni Stati sono entrati ed altri ben presto li seguiranno. I Magi, che vanno a Betlemme per adorare Gesù Cristo e offrirgli oro e incenso, trovano pochissimi imitatori tra i principi e i governi Cristiani. Essi amano meglio imitare il Sinedrio di Gerusalemme, raccolto da Erode, che sapeva dov’era Cristo e additò il luogo ai Magi, ma non fece un passo per andare a Lui, non un atto solo per riconoscere in Lui il suo Salvatore. La Società attuale va scrivendo sulla sua bandiera questa formula: – Separazione dello Stato dalla Chiesa -, della quale ben pochi comprendono il significato. Con questa formula la Società proclama la sua perfetta indifferenza in religione, e in sostanza dice: – La Società, come Società, lo Stato come Stato, non ho, non voglio, non debbo avere religione alcuna e perciò non debbo schierarmi né prò, né contro qualsiasi chiesa. Non è affare che mi riguardi. Io non la condanno, né la approvo, non la combatto, non la difendo, non la giudico nemmeno, né posso giudicarla. Lo Stato, come Stato, prescindo da qualunque religione e perciò faccio le mie leggi, che regolano l’istruzione pubblica, l’esercito, la magistratura, la beneficenza, l’amministrazione, i rapporti tra i cittadini d’ogni classe, come se non vi fosse religione alcuna. Questa è affare di coscienza, affatto interno, di cui ciascuno è giudice per conto proprio. Sono Cattolici? Sono mussulmani? Sono israeliti? Sono buddisti? Sono protestanti? Sono bramini? Sono atei? A me non importa e non me ne curo. Rispetto tutti: voglio la libertà per tutti; per me sono tutti eguali, sono tutti cittadini, e non altro che cittadini. Io accordo a tutti gli stessi diritti, la stessa eguaglianza, che già domandavano Tertulliano e S. Giustino. Ecco che cosa intendo per separazione dello Stato dalla Chiesa -. Primieramente ci sia lecito domandare ai fautori di questa libertà ed uguaglianza perfetta d’ogni religione, di questa parità assoluta d’ogni culto in faccia alla legge: la si osserva lealmente? Nella scuola vi era un Crocefisso, v’era l’immagine della Madre di Dio e quanti erano Cristiani Cattolici ve le volevano: è forse per ossequio alla piena libertà per tutti, che l’avete tolta? Si cominciava la scuola con la preghiera; voi l’avete soppressa. Vi si insegnava il Catechismo; voi ne l’avete sbandito. Vi si poteva pronunciare il nome di Dio; ora in molte scuole è vietato l’uso di questa voce benedetta; dite: è questa la libertà e parità d’ogni religione? Si solevano fare solenni processioni e si poteva pregare per le pubbliche vie; ora in molti luoghi è interdetto. È sacra la libertà della Chiesa di eleggere i suoi ministri; perché dunque voi, che non volete occuparvi di Religione, fate indagini se siano atti a predicare e compire gli uffici del ministero e li sottoponete alla vostra approvazione? È questa la separazione dello Stato dalla Chiesa? Perché escludere dalla pubblica beneficenza, da quasi tutti gli uffici civili, i ministri del culto, se per voi non vi sono ministri del culto, ma soli cittadini? A noi torna impossibile comporre siffatta condotta con la vantata libertà di tutte le religioni, con la teoria della separazione dello Stato dalla Chiesa. Conosciamo gli argomenti coi quali si studia di puntellare questa teoria. Un giorno ragionavo con un uomo di Stato, anima retta, modello di onestà, carattere nobilissimo, intelligenza pronta ed acuta, sostenitore convinto di questa teoria e credente Cattolico. – Noi, diceva egli con l’accento della più sincera persuasione, vogliamo la separazione della Chiesa dallo Stato. – Voi dunque, gli risposi, volete lo Stato senza alcuna religione, in altri termini, volete lo Stato, ossia la legge senza Dio, ateo. – Sì, lo stato ateo, la legge atea: ecco il nostro ideale! – Ma allora, dissi, dovreste avere e volere ateo, anche il paese. – No; io – soggiunse – non avrei lagrime bastevoli per deplorare la sventura del nostro popolo divenuto ateo. – Sta bene: ma come dare una legge atea ad un popolo non ateo? Un governo ateo al capo d’un paese non ateo? Non è possibile. – Io voglio ateo il governo e atea la legge perché sia rispettata la libertà e la religione di ciascuno. – Ma come volete – ripigliai – che un governo e una legge che non riconoscono religione alcuna e che per conseguenza tutte le disconoscono, possano poi rispettarle e farle rispettar tutte? – Così è, rispose; quelli che governano, ciascuno come cittadino privato, possono osservare quella religione che credono meglio; come uomini di governo, come uomini pubblici, non ne devono avere alcuna. – Ditemi: per voi l’ateismo è assurdo? – Ed egli: assurdissimo. – Ed io: e con un principio assurdissimo volete reggere uno Stato? Il massimo degli errori, qual è l’ateismo, può mai diventare la base dell’ordine, della giustizia, della sana politica? – Mi guardava e taceva. Ed io continuavo: L’individuo è egli tenuto moralmente di essere soggetto a Dio, di ubbidirgli e praticare la Religione che crede e sa venire da Lui? – E chi ne può dubitare? fu la sua risposta. – E perché, soggiunsi, non sarà tenuto a tutto questo l’individuo collettivo, cioè la Società e il governo, quale che sia la sua forma che la rappresenta e la regge? – Ed egli: L’individuo, sì; la società e il suo governo, no! Perché in tal caso il governo dovrebbe imporre la Religione anche a chi non la vuole e andremmo diritti alla Inquisizione. – Ed io: No, non si va alla Inquisizione, perché il governo, professando esso la Religione, non può, non deve imporla mai a chicchessia con la forza. – Ed egli: Se lo stato e il governo, come stato e governo riconoscono e professano la Religione, la devono imporre, e mettere fuori della legge chi non la crede e non la osserva. – Ed io: Non mai; la riconosca, la professi, la difenda nella misura della prudenza e delle sue forze, ma non costringa un solo cittadino a fare atto di ipocrisia. – Ed egli: i diritti religiosi dei cittadini sfuggono all’azione dello Stato; esso non deve immischiarsene; se lo fa, esce dal suo campo. – Ed io: Se questi diritti rimanessero chiusi nel santuario del pensiero, della volontà e della coscienza, direste bene; ma essi naturalmente si svolgono negli atti esterni della Gerarchia e della professione, del culto, delle leggi religiose in mille modi. E se voi, uomini del governo, avete il dovere di rispettare e difendere i miei diritti di proprietario, di padre, di figlio, di cittadino, perché non avrete il dovere di rispettare e difendere i miei diritti religiosi, che mi sono più cari dei civili? Perché mi assicurate questi e non volete occuparvi di quelli? – Ed egli: perché i diritti civili spettano a noi; i religiosi spettano ad un’altra autorità; essa vi provveda! – Ed io: Ma questa autorità divina e religiosa sta sopra voi pure, perché Dio sta sopra noi tutti; se dunque vi impone di riconoscere e difendere questi diritti, come potrete voi rifiutarvi? Se la Religione è vera e d’un interesse sovrumano e comune, come potrete passarvene col dire: non ce ne curiamo? È dovere di tutti difendere nei modi possibili e convenienti la verità. – Negli uomini di Stato vi sono due persone, il cittadino magistrato od uomo pubblico, e il Cristiano, se sono Cristiani: il Cristiano è in Chiesa e, se gli pare, negli atti della vita privata: nel cittadino magistrato od uomo pubblico non c’è che l’uomo di Stato, come nel giudice cessa il padre, il marito, l’ingegnere, il ricco e via dicendo, e non esiste che il giudice. – Ed io: Che gli uomini di Stato vestano doppia persona, lo concedo; che siano distinte le due qualità, è vero, è giusto; ma che siano separate e l’una possa operare contrariamente all’altra, non mai. L’uomo è sempre un solo e i suoi doveri e diritti devono armonizzarsi, non opporsi. L’uomo sui seggi del potere non è più soggetto a Dio? Là cessa forse di essere Cristiano? Entrando nell’aula dei legislatori può egli pigliare la sua coscienza e appenderla sulle pareti dell’atrio per ripigliarla uscendo e riportarla in casa e in Chiesa? La verità è sempre verità, in casa, sulla via, in piazza, nel Parlamento, in Chiesa, dovunque e non è mai lecito rinnegarla od offenderla in qualsiasi luogo e tempo. Non dividiamo ciò che è essenzialmente uno: l’uomo ed il Cristiano. Non potremo mai separarlo in due per darne la metà a Dio e l’altra metà al mondo, per mandarne una metà in cielo e l’altra metà gettarla nell’inferno. Tutto l’essere nostro viene da Dio e a Dio tutto e sempre deve servire. Sono verità d’una evidenza matematica –. Il mio nobile interlocutore sorrise e pose fine alla conversazione, separandoci più amici di prima. Parmi di avere messo in luce abbastanza chiara la contraddizione del principio oggidì in voga della separazione dello Stato dalla Chiesa. Esso ha già fatto in alcuni Stati le sue prove e sono riuscite infelici e giova credere che molti dalla rea natura dei frutti conosceranno la rea natura dell’albero che li produce. – Là dove se ne fece la esperienza la Chiesa non ebbe a soccombere, anzi se ne trovò men male che là dove in compenso d’una protezione accordata ad oncia ad oncia le si chiedeva il sacrificio d’una parte della sua libertà. Se non che per molti e chiari indizi si fa manifesto che il principio della separazione dello Stato dalla Chiesa va guadagnando terreno e secondo ogni verosimiglianza in un tempo forse non lontano sarà universalmente attivato nelle nostre Società informate alla moderna libertà. Il grido, che ci si fa udire qua e là in alto e in basso, dagli uomini della politica e dagli agitatori della moltitudine: “Noi non abbiamo a che fare con la Chiesa; la società civile deve essere puramente laica; noi pensiamo a noi, e la Chiesa pensi a sé; non persecuzioni, non protezioni per qualsiasi religione, ma libertà per tutte; noi faremo da noi e la Chiesa faccia da sé”. – Questo grido diventerà universale e diventerà la parola d’ordine del secolo futuro. Sarà una prova novella per la Chiesa e una solenne ingiustizia della Società moderna. Questa società, nata e cresciuta all’ombra della Chiesa, fatta grande dal soffio divino del Vangelo, aveva l’obbligo d’essere grata alla Chiesa, d’essere la proteggitrice e propagatrice del Vangelo; questa società, che ha conosciuta e proclamata da tanti secoli divina la Religione Cristiana e la Chiesa, che la concreta in sé, aveva il dovere di farsene la discepola fedele, la figlia amorevole e per conseguenza la difenditrice risoluta nel limite voluto dai tempi e dalle condizioni speciali della società stessa. Oggi non vuole più essa adempire i suoi doveri di gratitudine e di giustizia? Ora ai suoi occhi si devono pareggiare l’errore e la verità, il Cattolicismo, il protestantismo, il mussulmanismo, tutte le religioni? Per questa Società alla Madre antica, la Chiesa Cattolica, è fatta la stessa condizione che alle usurpatrici dei suoi titoli e al suo diritto di Sposa unica di Cristo? È una offesa atroce, una umiliazione senza nome per una madre l’essere disconosciuta dai suoi figli; ma Essa, fidente nel suo diritto e nella sua forza divina, entrerà animosa nel nuovo campo che le si apre dinanzi. Vinse i nemici armati a suoi danni; vinse i protettori, congiunti a farla schiava; più facilmente vincerà quelli che professano di non volerla aiutare e nemmeno combattere, gli uomini della sistematica indifferenza. – Anzi dalla nuova condizione di cose, che le si apparecchiano, la Chiesa troverà non lievi vantaggi: Ella mostrerà una volta di più al mondo che la sua origine e conservazione, non viene dalle forze umane che le sono sottratte, ma dall’alto, da Dio stesso. Più: Essa sapendo di non poter contare sulle forze degli nomini, sugli aiuti delle leggi e dei governi della terra, domanderà alla scienza, alla virtù, alla santità, alla propria energia, quei presidii terreni che le vengono meno, e non dubitate, la perdita si muterà in guadagno. Una cosa sola la Chiesa domanda ed esige dai principi, dalle repubbliche e dai governi, che vogliono fare pieno divorzio da Lei e levano alta la bandiera, su cui sta scritto: – Separazione dello stato dalla Chiesa; libertà eguale per tutti – ed è, che questa separazione dello stato dalla Chiesa sia sincera e franca e non si risolva nell’assorbimento di questa nello stato; che la libertà eguale per tutti sia vera, stabile, leale, amplissima, in casa, nella scuola, sulla piazza, nel tempio, fuori del tempio, negli uffici privati e pubblici, dalla culla al cimitero. Ritirate pure, o legislatori, i vostri privilegi e la vostra protezione, dalla quale spesso sentimmo più che i benefici, i danni e gli incomodi; protezione che talora ci rendeva quasi solidali dei vostri errori e delle vostre colpe; lasciateci la libertà comune, quella che Giustino, Tertulliano e i primi Apologisti chiedevano agli Imperatori pagani. La Chiesa non ha paura della libertà vera, ma solo della schiavitù, perché sa che nelle lotte tra la verità e l’errore, quella è facilmente vincitrice, se questo non trovi l’alleanza della forza. Lo vinse alleato alle maggiori forze della terra; come non lo vincerebbe abbandonato a se stesso? Se un giorno (e forse può essere vicino), se un giorno, voi, reggitori di popoli, [oggi tutti, “TUTTI”, adoratori prostrati alle logge massonico-giudaiche -ndr. -], dopo aver compiuto il vostro divorzio dalla Chiesa, atterriti dalle procelle, che rumoreggiano sul vostro capo, che minacciano di sommergere la vostra nave, giuoco dei flutti, chiederete l’opera della Chiesa, fin d’ora Essa vi dice che potete contare sopra di lei; Essa, obliando il divorzio invocato e consumato, volerà al vostro soccorso. V’era una madre: aveva un figlio: lo aveva nutrito del suo latte, istruito sulle sue ginocchia, accarezzato, coperto di baci: lo amava senza misura: crebbe il figlio, bello, robusto, pieno d’ingegno, divenne ricco, potente, era l’orgoglio legittimo della madre, che lo seguiva dovunque con l’occhio e più col cuore. Ma il figlio, fatto adulto, pervenuto al pieno sviluppo delle sue forze, si inorgoglì, aperse il cuore ad amori colpevoli, amici corrotti lo allontanarono dalla madre, la cui presenza suonava rimprovero e le cui parole di consiglio, di preghiera, di ammonimento svegliavano rimorso e spargevano di assenzio i mal gustati piaceri. Un giorno, stanco della presenza e delle affettuose correzioni della madre, la cacciò, le volse le spalle, le disse ingiurie e non la volle più vedere. Continuò la mala via: diede fondo al ricco patrimonio, fu abbandonato dagli amici seduttori e complici delle sue tresche e si vide ridotto sopra un miserabile giaciglio. La madre lo seppe, dimenticò tutto, corse presso il figlio, lo curò, lo guarì, lo rivesti, gli rifece il patrimonio dissipato. Fratelli carissimi! In questo figlio, simile in tutto al prodigo figliuolo, voi vedete raffigurato lo stato moderno: in questa madre, piena d’amore, voi vedete adombrata la Chiesa. La prima parte della storia è ornai al suo termine: i nostri figli e nipoti vedranno compiersi la seconda.

Credo…

Offertorium
Orémus
Ps LXXI:10-11
Reges Tharsis, et ínsulæ múnera ófferent: reges Arabum et Saba dona addúcent: et adorábunt eum omnes reges terræ, omnes gentes sérvient ei.
[I re di Tharsis e le genti offriranno i doni: i re degli Arabi e di Saba gli porteranno regali: e l’adoreranno tutti i re della terra: e tutte le genti gli saranno soggette.]

Secreta
Ecclésiæ tuæ, quǽsumus, Dómine, dona propítius intuere: quibus non jam aurum, thus et myrrha profertur; sed quod eisdem munéribus declarátur, immolátur et súmitur, Jesus Christus, fílius tuus, Dóminus noster: [Guarda benigno, o Signore, Te ne preghiamo, alle offerte della tua Chiesa, con le quali non si offre più oro, incenso e mirra, bensì, Colui stesso che, mediante le medesime, è rappresentato, offerto e ricevuto: Gesù Cristo tuo Figlio e nostro Signore:

Communio
Matt II: 2
Vídimus stellam ejus in Oriénte, et vénimus cum munéribus adoráre Dóminum.
[Vedemmo la sua stella in Oriente, e venimmo con doni ad adorare il Signore.]

Postcommunio
Orémus.
Præsta, quǽsumus, omnípotens Deus: ut, quæ sollémni celebrámus officio, purificátæ mentis intellegéntia consequámur.
[Concedici, Te ne preghiamo, o Dio onnipotente, che i misteri oggi solennemente celebrati, li comprendiamo con l’intelligenza di uno spirito purificato.]

 

LO SCUDO DELLA FEDE (XLIV)

 

[A. Carmignola: “Lo Scudo della Fede”. S.E.I. Ed. Torino, 1927]

XLIV.

IL SOCIALISMO. (1)

Il socialismo come la massoneria fa guerra alla Chiesa di Gesti Cristo. — Una esecranda bestemmia. — Mire sataniche del socialismo. — Calunnie e violenze di cui si serve. — Quale dovrebbe essere l’azione dei governi contro il socialismo che offende la religione. — Il gran rimedio del Vangelo e consigli pratici.

(1) Oggi il socialismo sembra estinto, come il comunismo, suo sottoprodotto. Si tratta in realtà di un lupo che perde il pelo, di una serpe che cambia pelle, ed infatti oggi è diventato il “Mondialismo democratico”, il “Nuovo Ordine Mondiale” riversato in una serie di partiti e di “movimenti” ideologici solo apparentemente diversi, onde alimentare l’illusione democratica e progressista, ma gli scopi veri del lupo travestito, della serpe velenosa con la pelle nuova, sono sempre identici nella sostanza, diversi negli accidenti e nelle maschere di cui si adorna per ingannare gli sciocchi presuntuosi ed i non pensanti. Oggi poi il c. d. “Nuovo Ordine” ha invaso pure la Chiesa, cacciandola dai sacri palazzi, e sostituendola con una sinagoga satanica, la chiesa dell’uomo, ivi insediata dal 29 giugno del 1963 in una doppia messa nera con l’intronizzazione di satana nella Cappella Palatina in Vaticano. [ndr.]

— Il socialismo adunque viene dalla massoneria?

Sì, ancorché il socialismo rinneghi oggidì colei che l’ha generato, nondimeno esso è massimamente l’opera della setta, e ad ogni modo sul terreno dei principii avversi alla Chiesa di Gesù Cristo, e delle relative conseguenze vanno completamente d’accordo. La massoneria, ha scritto ultimamente un ottimo periodico, è verissimo, quanto alla sua costituzione meccanica, è sempre stata essenzialmente borghese e monetaria, ed ha da sé respinto i meno abbienti: il socialismo invece fa pompa teatrale di sostenere gl’interessi dei diseredati. Quindi quanto all’effetto scenico, socialisti e massoni sarebbero in opposizione. Ma è tutta roba di apparenza. Massoni e socialisti non hanno che un duplice intento, vero e reale, perfettamente comune alle due sette: impinguare le borse proprie, allo scopo di godere il più che si possa dei beni di questo mondo; far guerra accanita alla Chiesa di Dio, che mette un ostacolo all’immorale godimento dei beni di quaggiù. In questo programma che è l’essenza delle due sètte, esse son perfettissimamente concordi. È inutile quindi che essi si sbraccino a protestare che fra di loro passa grande diversità. Questa sarà vera, quanto ad accidentalità minute, ma non è vera se si riguarda il vero e primo scopo, a cui da una parte e dall’altra si mira. Uno degli scopi, cioè il « prendiamo quanto si può » non si enuncerà mai alla sfacciata, contenti di metterlo in opera; quanto invece alla guerra alla Chiesa, il grido di: Ecco il nemico! li accoglierà tutti sotto le stesse tende!

— Eppure io ho inteso dire che il socialismo non impedisce di essere Cattolico ed anche buon Cattolico.

Così davano ed intendere da principio i caporioni dei socialisti, specie ai semplicioni, per potere più facilmente tirarli dalla loro, ma oggidì è ornai a tutti palese che il socialismo, come la massoneria, odia Iddio, la Chiesa, i preti e tuttociò che appartiene alla Religione di Gesù Cristo.

— Ma pure si dice persino che Gesù Cristo sia stato Egli il primo socialista!

Così purtroppo si è detto e stampato con esecranda bestemmia. Ma se vi è cosa che sia apertamente condannata dal Vangelo di Gesù Cristo, dai suoi insegnamenti e dai suoi esempi, non è forse il socialismo? Gesù Cristo non è Egli tutto nel raccomandare e praticare la giustizia, la carità, la fraternità, il rispetto vicendevole, l’amore al lavoro, la rassegnazione nel proprio stato, il distacco dai beni terreni, tutto ciò insomma che il socialismo apertamente avversa? Gesù Cristo socialista!! Vedi, a quali insensate e orribili calunnie si appigliano i ministri di satana, pur di riuscire ad ingannare il popolo e a trascinarlo alla rovina, allontanandolo da Dio e dalla sua Chiesa!

— Ma il socialismo non mira soltanto a far scomparire questa immensa disuguaglianza sociale che regna nel mondo?

Anche allora che mirasse solo a questo scopo, come vi mira realmente il Cristianesimo, per non essere malvagio dovrebbe valersi dei giusti mezzi, di cui appunto il Cristianesimo si vale, e non già dei disordini, delle rivolte, delle manomissioni dell’altrui proprietà, dell’odio e dell’avversione ai ricchi, della resistenza alla legittima autorità, eccetera. Ma poi non è manifesto altresì che il socialismo mira direttamente a far scomparire, se fosse possibile, Dio, Gesù Cristo e la sua santissima Religione dalla faccia della terra? Ascolta alcune sue asserzioni e alcuni suoi propositi, dichiarati pubblicamente nei congressi e su pei giornali. « Dio è il nemico, Dio è la menzogna, Dio è la pietra angolare della ciarlataneria religiosa, inventata da quei mostruosi vampiri, che si chiamano preti. — La morale evangelica è falsa, dannosa, depravatrice delle anime. La religione dev’essere abolita. Il solo culto deve essere quello dell’ateismo. Il paradiso noi non lo vogliamo: vogliamo l’inferno con tutte le voluttà che lo precedono; il paradiso dell’altro mondo lo lasciamo al Dio de papisti e dei suoi infami beati. — Bisogna distruggere con accanimento la Chiesa, e i confessionali, che sono i macelli delle intelligenze. Sarà per noi giorno di trionfo e di festa quello, in cui avremo il piacere di contemplare le agonie dei preti; per questo piacere noi venderemo volentieri il nostro posto in cielo ». Che ti pare di questo piccolo saggio!

— Mi pare che il diavolo in persona non potrebbe parlare peggio.

A queste orrende bestemmie ed empietà profferite nei congressi di Liegi, di Gand, di Lione e di varie nostre città italiane, aggiungi tutte le più nefande calunnie e falsità, che ogni dì si vanno spargendo dai socialisti per mezzo della stampa. Tutti i giorni si scaglia contro il Cattolicismo ogni sorta di insulti; le vignette le più oscene vanno tappezzando i muri, e in esse si pone in dileggio tutto ciò che è sacro pei Cattolici, facendo apparire la nostra Religione come la cosa più assurda, i suoi dogmi come ridicoli, i suoi ministri come ingordi trafficanti di Sacramenti o di indulgenze, come i corrompitori dei buoni costumi, come la pianta parassita che tutto e tutti sfruttano a loro vantaggio. E dopo tutto ciò come non riconoscere nel socialismo uno dei più accaniti nemici della Chiesa, degnissimo per ogni riguardo di stare alla pari colla massoneria?

— Ma il socialismo è già esso riuscito ne’ suoi veri divisamenti?

Almeno in parte, pur troppo; i fatti sono lì, chiari, a dimostrarlo. E a tal fine non si sono contentati i socialisti di parole, ma fecero ricorso altresì alle più audaci provocazioni e violenze, sia levando la voce contro i predicatori nelle chiese, sia disturbando e profanando le sacre funzioni, le processioni dei fedeli ed altre pubbliche manifestazioni di fede, sia insultando Vescovi; assalendo, ferendo e talora dando morte senza ombra di ragione, per solo odio alla Religione, a Sacerdoti ed a spiccati Cattolici. E ciò essi fecero e vanno tuttora facendo tanto più facilmente, in quanto che per la sconfinata libertà di stampa, e per una incredibile tolleranza da parte dei governi, non hanno più alcun freno nei loro insulti divenuti sistematici e nelle loro calunnie fatte a getto continuo.

— I governi adunque dovrebbero punire le offese che i socialisti fanno alla Religione?

Senza dubbio. Pur lasciando la libertà di pensare come si crede ai socialisti come ai Cattolici, i governi dovrebbero però procurare che tale libertà sia anche al sicuro dalle intolleranze di coloro che la pensano diversamente. Non ti pare?

— Ciò è giustissimo.

Quindi le offese alla Religione devono essere punite, perché nella Religione si personifica la fede del popolo; debbono essere punite le offese al clero, perché il clero è composto di individui, che hanno diritto al pubblico rispetto; debbono essere perseguitati come calunniatori coloro che fanno del socialismo, dell’anticlericalismo e del massonismo un’arma di offesa intaccante l’onorabilità e l’onestà dei loro avversari. Se così si operasse, certi vergognosi eccessi non accadrebbero; e se così non si opererà, qualora il socialismo giunga presso di noi all’apice delle sue aspirazioni anticlericali, allora, una delle due: o i Cattolici dovranno ridiscendere nelle catacombe [questa previsione del Carmagnola, si è avverata oggi in tutta la sua drammaticità – ndr. -], oppure si dovranno preparare alla guerra civile nelle chiese, in mezzo alle strade e per le piazze.

— Che cosa converrebbe adunque di. Fare per impedire l’opera nefasta del socialismo?

Bisogna ricorrere alla pratica esatta, quanto più è possibile, del santo Vangelo. Senza dubbio è pur necessario giovarsi di alcuni mezzi umani, suggeriti dall’esperienza pratica e dalle diverse condizioni dei tempi in cui viviamo, mezzi che la Chiesa non solo non trascura, ma sommamente raccomanda ed efficacemente adopera nell’azione popolare cattolica o democrazia cristiana, coll’istituzione di società operaie, di corporazioni professionali, di riunioni agricole, di casse rurali, di cooperative di consumo, di segretariati del popolo, di conferenze sociali popolari, eccetera, eccetera; ma tutto deve essere regolato e subordinato alla dottrina di Gesù Cristo, a quella dottrina, che in proposito ci mostra la necessità delle differenti classi sociali, intima all’operaio il dovere di lavorare coscienziosamente e di rispettare il suo padrone ed ogni altra legittima autorità, e l’obbligo al padrone di retribuire convenientemente l’operaio e di rispettare in lui la dignità dell’umana natura e il carattere di Cristiano, comanda la carità, la fraternità, la giustizia, e rammenta che la nostra vita non è tutta quaggiù, ma che invece la nostra eterna dimora ci è preparata in cielo. – Se la società presente accettasse e praticasse questi insegnamenti di Gesù Cristo, credi, che se le disuguaglianze sociali, dalle quali il socialismo ha preso le mosse per le sue dottrine e pei suoi disordini, non scomparirebbero del tutto, essendo ciò impossibile finché dura il mondo come piacque a Dio di ordinarlo, si mitigherebbero tuttavia per guisa tale da rendere la civile convivenza non solo sicura e tranquilla, ma felice e lieta. – Di fatti, il ricco riconoscendo allora che se egli è tale, non lo è affatto per suo merito, ma perché Dio lo ha fatto nascere tale o gli ha dato ingegno e abilità da diventar tale, e che perciò delle ricchezze, che possiede, non è egli vero padrone, ma solo amministratore, delle ricchezze non si servirà mai come strumento di insulto alla miseria del povero, e quando di esse avesse impiegato tutto ciò che basta al giusto decoro della casa, tutto il rimanente come superfluo lo impiegherebbe a far del bene al prossimo, sarebbe largo di acconce donazioni a prò dell’indigenza, e farebbe così quanto è da parte sua per avvicinarsi agli uomini di più bassa condizione. – Il padrone non imporrebbe mai lavori sproporzionati alle forze dell’operaio e del servo, o mal confacenti alla sua età o al suo sesso. E non solo non defrauderebbe dell’equa mercede i suoi servi ed operai, non solo rifuggirebbe dalle ingorde e spietate usure, non solo si ritrarrebbe da ogni speculazione ingiusta e rovinosa per gli altri, ma si metterebbe volentieri al contatto dell’operaio e del servitore, perché non trattenuto da una etichetta glaciale potrebbe scambiare con lui i propri sentimenti, parteciperebbe alle sue gioie, compatirebbe le sue pene, s’interesserebbe della sua famiglia, lo conforterebbe all’onestà e al bene, lo correggerebbe nei suoi bisogni, ma senza avvilirlo, insomma riguarderebbe in lui il fratello di quella grande famiglia cristiana, di cui Dio è Padre.

— E i poveri, gli operai che farebbero?

Discaccerebbero dall’animo ogni sentimento di invidia per la sorte dei ricchi, non uscirebbero in parole di lamento e di imprecazione contro di essi e contro di Dio; anche allora che giungono dei momenti critici e dolorosi, vivrebbero affidati alla divina Provvidenza, che non lascia mai mancare il pane a chi in lei si abbandona. Riguarderebbero nei loro signori e padroni la vera immagine di Dio, anche allora che taluni tra di essi non la facessero troppo risaltare. E come a rappresentanti di Dio starebbero volentieri sottomessi, li stimerebbero, li riverirebbero, li obbedirebbero nei loro comandi, li servirebbero con fedeltà ed amore, lavorerebbero non solo quando sono veduti da loro, ma sempre, secondoché loro impone la coscienza e la giustizia, non sperderebbero né guasterebbero mai a bella posta la loro roba, per recar loro danno e offesa, e se talvolta dovessero difendere i propri diritti calpestati, non sarebbe mai che si appigliassero agli atti violenti, agli ammutinamenti, alle ribellioni, ma alle calme e rispettose ragioni. –  Tale sarebbe l’efficacia, che sull’animo dei ricchi e dei padroni, dei poveri e degli operai eserciterebbe il Vangelo di Gesù Cristo, quando fosse tenuto nel debito conto.

— Sì, lo credo anch’io.

Tu intanto bada bene per carità a star lontano da coloro, che anche per poco ti pongono in dileggio la Chiesa e ti parlano del socialismo come del gran mezzo per rifare la società ed apportare nel mondo la felicità a tutti, e specialmente a quelli che stanno in basso. Non ascriverti mai ad alcuna società, senza esserti prima consigliato con qualche buon sacerdote o con altra persona di sano e cristiano giudizio. In quella vece entra volentieri a far parte di quelle associazioni e istituzioni cattoliche d’indole sociale, che i Pontefici giustamente hanno indicato come gran mezzo per far argine al socialismo, e che, grazie a Dio, si vanno ogni giorno più rassodando e dilatando per le nostre città e pei nostri paesi; e dato che avrai il nome a tali associazioni e istituzioni, procura di far loro onore coll’integrità della tua condotta, colla fermezza nei tuoi principii cattolici, con la aperta e coraggiosa manifestazione dei medesimi, e col combattere anche tu, per quel che ti spetta, e sotto la disciplina della Chiesa, tutto ciò che sgraziatamente la avversa.

— Mi darò il massimo impegno per seguire in proposito i suoi buoni consigli.

MARTIRE DELLA FEDE E MAESTRO DI TRAVESTIMENTI: SACERDOTE MIGUEL AGUSTIN PRO

Miguel Agustin Pro:

Prete, Maestro di travestimenti, Martire della fede.

 Foto 1

“Eludendo le autorità, a volte appariva come uno spazzino, a volte un ricco uomo d’affari …”.

Lo sfondo storico: Era un periodo della storia messicana opportunamente e volutamente dimenticato, fino a poco tempo fa, dal governo messicano e da tutti i media asserviti: gli anni ’20 del secolo scorso videro una tremenda persecuzione della Chiesa Cattolica.

Proprio come nel regime comunista bolscevico in Russia, la pratica religiosa era vietata, le chiese erano chiuse ed i Sacerdoti venivano espulsi od occultati ed imprigionati. Il governo era particolarmente concentrato nello scovare  e nel  perseguitare i preti, il tutto in un Paese in cui la stragrande maggioranza della popolazione era di Religione Cattolica Romana. Il risultato di questa persecuzione furono gli eventi della guerra dei Cristeros, o Cristiada.

A proposito di Miguel Pro:  

Miguel Agustin Pro era nato il 13 gennaio 1891 a Guadalupe de Zacates, in Messico. Fin dalla sua infanzia, era noto per il suo buon umore e la sua personalità brillante. Figlio di un ricco ingegnere minerario  e di madre pia e caritatevole, Miguel aveva un’affinità speciale per le classi lavoratrici.

Foto 2

Foto di p. Pro alla Clinique St. Rémi a Bruxelles, Belgio, dicembre 1925.

A 20 anni, divenne novizio gesuita e poco dopo fu esiliato a causa della rivoluzione messicana di stampo massonico. Viaggiò  negli Stati Uniti, in Spagna, in Nicaragua e in Belgio, dove venne ordinato nel 1925. Padre Pro  soffriva molto di un grave disturbo allo stomaco. Quando la sua salute migliorò, dopo diversi interventi chirurgici, i suoi superiori gli permisero di tornare in Messico nel 1926.

Padre Pro divenne un grande maestro del travestimento e passò il resto della sua vita conducendo un apostolato segreto presso i Cattolici messicani che lo aiutarono a nasconderlo alle autorità.

Foto 3

 Padre Pro mascherato da spazzino

Eludendo le autorità, appariva a volte travestito da spazzino, altre volte nei panni di ricco uomo d’affari (si noti il poliziotto che passeggia ignaro di Padre Pro nella foto 1, all’inizio di questo post ), e di molti altri personaggi che al bisogno assumeva. Una volta è andato finanche in una stazione di polizia a chiedere delle informazioni!

Oltre che a soddisfare i loro bisogni spirituali, Padre Pro assisteva anche i poveri di Città del Messico  nei loro bisogni temporali. Visitava spesso persone in carcere, sotto mentite spoglie, per amministrare i Sacramenti a coloro che stavano per essere giustiziati dal governo. In tutto ciò che fece, rimase pieno della gioia di servire Cristo, il suo Re.

Foto 4

Lui ed il fratello Roberto furono arrestati con l’accusa falsa di aver tentato di assassinare il presidente  messicano. Roberto fu risparmiato, ma…

padre Pro fu condannato a morte mediante fucilazione, e giustiziato  il 23 novembre 1927.

Foto 5

I carnefici volevano essere sicuri che il destino di questo Prete cattolico, padre Pro, fosse conosciuto da tutti, e così convocarono giornalisti e fotografi a testimoniare l’evento. Nelle loro truci intenzioni questo doveva essere un avvertimento per gli altri, ma essi ottennero l’effetto opposto con il risultato di irrigidire la resistenza alla repressione.

Padre Pro si inginocchiò per pregare e perdonare coloro che stavano per giustiziarlo.

Foto 6

Rifiutando una benda e stringendo il Rosario in una mano, esclamò con forza: Viva Cristo Rey!” mentre il plotone di esecuzione lo colpiva nortalmente solo perché  era un Prete cattolico che serviva fedelmente il suo gregge .

Foto 7

Processione funebre dell’eroe della Fede

– Il Rev. P. Miguel Agustin Pro

Nonostante gli sforzi del regime massonico per reprimere la partecipazione al suo corteo funebre, accorsero decine di migliaia di fedeli. Si trattava di una delle più grandi folle viste in città e doveva aver causato grande preoccupazione a quelli del governo, che avevano pensato invece che l’esecuzione di Padre Pro avrebbe messo fine alla resistenza. Tale afflusso nei confronti dell’opposizione governativa non era certo quello che si aspettavano ….

Fig. 8

La Chiesa cattolica sotterranea

Mani violente saranno poste sul Capo supremo della Chiesa Cattolica …

Sì, sì, il gregge diventerà piccolo.

(Profezia della fine dei tempi del Vescovo Wittman )

[fonte: TCW Blog.com]

DEVOZIONE AL CUORE DI GESÙ (12): pietà verso il Sacro Cuore.

 

DISCORSO XII.

[A. Carmagnola: Il Sacro Cuore di Gesù – S. E. I., Torino, 1920 – imprim.]

Pietà verso il Sacro Cuore di Gesù.

Dopo che a Dio, o miei cari, l’uomo è tenuto prima che ad altri ai parenti ed alla patria; ai parenti che lo hanno generato e nutrito, alla patria per la quale si è nati e si vive. L’uomo pertanto, che sente abitualmente questo dovere, e si reca a coscienza di compierlo, rendendo ai parenti ed alla patria gli omaggi dovuti, è adorno di quella virtù morale tanto bella e tanto stimata, che si chiama pietà. Ma se la pietà è già così bella e stimabile in quanto ha per oggetto la patria ed i parenti, diventa oltre ogni dire sublime, quando non solo come virtù, ma come dono dello Spirito Santo, ha per oggetto Iddio, Padre nostro per eccellenza. Perciocché il Cristiano che la possiede, non riguardando Iddio soltanto come suo Creatore e padrone, ma riconoscendolo sopra tutto come il più affettuoso dei Padri, per un istinto prodotto in cuor suo dallo Spirito del Signore, sente verso di Lui un affetto veramente figliale, e si volge ad onorarlo come il più tenero dei figli. La pietà cristiana adunque è il più delicato, il più nobile, il più perfetto dei sentimenti cristiani; è la prima, la più grande, la più importante delle cristiane virtù; essa è la fioritura della fede, il profumo della speranza, lo splendore della carità; ed è perciò che S. Paolo ha detto, che la pietà è utile a tutto, che la pietà è tutto, ch’essa è la sorgente di tutte le grazie, di tutte le consolazioni nella vita presente ed il pegno più sicuro della salute nella vita avvenire: Pietas ad omnia utilis est, prommissionem habens vitæ quæ nunc est, et futuræ. (I Tim. IV, 6). Ma come vi ha l’oro vero e l’oro falso, così pure si dà una pietà vera ed una pietà falsa. Vi hanno taluni, che si danno a credere di avere della pietà, perché hanno le pareti delle loro case tutte adorne di sacre immagini, perché dicono ogni giorno una gran moltitudine di orazioni, e passano anche lunghe ore in chiesa; sebbene con tutto ciò siano sempre pieni di collera, di superbia e vadano privi di purezza, di carità; e di pazienza e di altre cristiane virtù. Costoro purtroppo non hanno che una falsa pietà, habentes speciem pietatis, virtutem autem abnegantes, (II Tim. III) perché, come dice S. Tommaso, le anime veramente pie sono anime veramente mansuete, umili, pure, caritatevoli e pazienti, e non può essere, che la pietà, che è il fiore delle cristiane virtù, vada da esse disgiunta. Ma come non vi è vera pietà in sole pratiche devote senza la base delle virtù cristiane, così non vi ha neppur vera pietà nell’apparenza delle virtù cristiane, senza le pratiche devote.No, non è che un assurdo il dire: Io credo, solamente non faccio le pratiche di pietà; perché non si può essere Cristiani a mezzo, ed il vero Cristiano è colui, che ha la fede con le opere, tra le quali tengono il primo posto le pratiche di pietà. Pertanto non recarsi alla chiesa, non assistere alla Messa, non ascoltar la parola di Dio, non frequentare i Sacramenti, non venerare le sante immagini e vantarsi Cristiano, non è che un illudersi grandemente e tralasciare una parte essenziale dei doveri cristiani. Ciò premesso, voi dovete tosto riconoscere, che se il devoto del Sacro Cuore di Gesù ad esercitare la pietà verso di Lui, che è cuore di padre, di fratello, di sposo e di amico, deve studiarsi anzi tutto di ricopiarne le più belle virtù, deve pure con sollecitudine compiere verso di Lui quelle pie pratiche, che più possono riuscirgli gradite. Epperciò dopo avervi animati nei passati giorni a seguire l’esempio delle speciali virtù del Divin Cuore, prendo oggi ad eccitarvi ad alcune pie pratiche in suo onore, e sono: 1° La venerazione della sua immagine. L’apostolato della preghiera. La visita al SS. Sacramento.

I. — Come la terra tende al sole con tutta la sua massa, così l’uomo tende a Dio con tutto il suo essere, vale a dire non solamente con lo spirito, ma anche col suo cuore materiale, con la sua carne e con le sue ossa, umiliate dal peccato; perciocché anche queste, come dice la Santa Scrittura, esultano alla presenza di Dio: Cor meum et caro mea exsultaverunt in Deum vivum. (Ps. LXXXIII, 3) Exsultabunt Domino ossa (Ps. L, 10) Per la qual cosa l’uomo non è, e non può essere appieno soddisfatto nel possedere Iddio nella sua intelligenza per la fede e nella sua anima per la grazia, ma egli aspira ancora a vederlo con i suoi occhi, a toccarlo con le sue mani, a stringerlo tra le sue braccia, a trovarsi insomma anche in relazioni sensibili con Lui. Ed è questa aspirazione così profonda e così invincibile, che ha indotto l’uomo lungo il corso dei secoli a dipingere e scolpire Iddio, a rappresentarselo cioè sotto forme sensibili. È questa aspirazione, che tra i popoli pagani ha moltiplicato all’infinito gli idoli e le immagini di falsi dèi, e ne ha riempiuti i loro templi, le loro case, le loro campagne, le loro ville, le loro piazze, tutti i loro pubblici edifìzi. Ma è pur questa aspirazione, che ha generato tra i Cristiani quella sollecitudine così viva di fare immagini senza numero, d’ogni qualità e grandezza, del vero Dio e dei Santi, veri amici di Dio, di porle ancor essi dappertutto, non solo nelle chiese, ma anche nelle case, negli angoli delle vie, nelle pubbliche piazze, e di portarle eziandio sopra se stessi, di stringerle al cuore, di baciarle e render loro un culto di religione e di amore. La qual cosa essendo così istintiva nel cuore umano, epperò così ragionevole e così piena di buon senso e di filosofia, come mai gli eretici e gli increduli osano beffare ed accusare di superstizione? Porse che non praticano essi la stessa cosa con quegli oggetti, che sostituiscono ed antepongono a Dio? Purtroppo, è quello che si vede tuttodì, l’uomo distolto dal figurare Iddio, figura satana; distolto dal rappresentare le magnifiche prosopopee della virtù, dipinge le orribili scene del vizio; distolto dal mettere nella sua casa e di portare su di sé le immagini di Gesù Cristo, della Vergine dei Santi, empie la sua casa di immagini indecenti ed impudiche, e porta sopra del cuore un simbolo od un ricordo di corruzione e di peccato. E così gli eretici e gli empi colle stesse pratiche, benché erronee e peccaminose, concorrono a confermare la convenienza e la bontà delle pratiche cristiane. – Se adunque il disegnare le immagini di Dio ed il venerarle è cosa sì conforme al cuor dell’uomo, bisogna riconoscere che è Dio stesso Colui che desidera che si segua una tal pratica, perciocché non è altri che Iddio, che ha posto nel cuor dell’uomo una tale aspirazione. E quando ne mancassero altre prove basterebbe per tutte quella che abbiamo in relazione all’immagine del Sacro Cuore di Gesù. Ed in vero fu Gesù Cristo medesimo Colui, che a Santa Margherita Maria Alacoque espresse il desiderio, che si formasse l’immagine del suo Cuore e si prendesse a venerarla. Udite. L’anno 1674 nel giorno di S. Giovanni Evangelista, 27 dicembre, la Margherita, rapita in estasi d’amore, ricevette una grazia, somigliante a quella che ebbe il santo Apostolo nell’ultima cena con Gesù. E durante tale rapimento il divin Cuore le si rappresentò tutto fiamma e fuoco vibrante per ogni verso raggi luminosi, e trasparente come limpido cristallo. La trafittura ricevuta dalla lancia vi appariva visibilmente; una corona di spine lo circondava, ed una croce vi era piantata sopra. E fu allora che le disse, che gli sarebbe stato di piacere singolare l’essere onorato sotto la figura di quel Cuore, in una immagine esposta alla pubblica venerazione, per meglio toccare il cuore così insensibile degli uomini. E per ottenere che si eseguisse il suo così vivo desiderio, promise che là ove fosse esposta pubblicamente la sua immagine avrebbe sparso ogni sòrta di benedizioni. E questo desiderio di Gesù Cristo fu assecondato la prima volta il 20 luglio del 1685. La festa di S. Margherita, vergine e martire, cadeva in quell’anno, in giorno di venerdì e le novizie del monastero di Paray-le-Mouial, dipendenti da Santa Margherita Alacoque per festeggiarla nel modo più gradito alla loro Maestra, stabilirono fra di loro di offrire i primi onori pubblici al Sacratissimo Cuore. Ma tutto mancava, persino una sua immagine. Tuttavia quelle prime adoratrici del Cuore di Gesù non si perdettero d’animo. Presero un semplice foglio di carta, con penna ed inchiostro delinearono in fretta la figura di un cuore infiammato, circondato di spine, sormontato da una croce. Vi scrissero in mezzo la parola Charitas, e dintorno i benedetti nomi Iesus, Maria, Ioseph, Anna, Ioachim. Questa primitiva poverissima immagine, che si conserva tuttora nel monastero della Visitazione di Torino, fu collocata sopra un altarino, nella sala del noviziato, tutta adorna di fiori. E fu davanti a questa immagine, che Santa Margherita umilmente prostrata, con ardore da serafino consacrò se stessa e le sue novizie al Sacratissimo Cuore. In seguito propagandosi la divozione di questo Cuore Santissimo, si propagò eziandio la pratica di farne delle immagini, di esporle sopra degli altari, di porle nelle case e di portarle indosso. E il Sacro Cuore di Gesù fu mai sempre fedele alla sua promessa, e fece discendere mai sempre in gran copia le sue benedizioni là dove la sua immagine era venerata. – La storia ecclesiastica racconta che nell’anno 528 nella città di Antiochia essendovi delle scosse terribili di terremoto i Cristiani con fede scrivevano sopra le porte delle loro case queste parole: Christus nobiscum, state: Cristo è con noi, state in piedi; e per virtù di queste parole, le case non crollavano. Nella Storia Sacra poi leggiamo che l’Angelo del Signore, essendo disceso nell’Egitto a sterminare tutti i primogeniti degli Egiziani, non entrava tuttavia nelle case degli Ebrei, perché questi, dietro l’ordine di Dio, ne avevano segnate le porte col sangue dell’agnello. Or ecco il prodigioso benefizio, che arrecò mai sempre l’immagine del Sacro Cuore di Gesù. Nel 1720, infierendo la peste nella città di Marsiglia, la venerabile serva di Dio Anna Maddalena Kemuzat sparge largamente fra i suoi concittadini l’immagine del Sacro Cuore di Gesù a forma di scapolare su cui stava scritto: « Fermati! Il Cuore di Gesù è con me. » E quanti portavano indosso una tal immagine erano scampati dal flagello il quale poi cessava del tutto, quando il vescovo Monsignor di Belzunce consacrava al Sacro Cuore tutta la città. Ma oltre a questo fatto pubblico, quanti altri privati se ne potrebbero raccontare! Se adunque Gesù benedetto ha espresso Egli medesimo il desiderio, che si onori l’immagine del Sacro Cuore ed ha promesso le benedizioni più elette a quelle abitazioni, dove sarà esposta, ed a quelle persone, che la porteranno con sé, che altro ci vorrà per animarci a questa pratica di pietà? Sia pur dunque che i mondani adornino le loro case di immagini profane e pur anche indecenti, noi le adorneremo di immagini di Dio, della Vergine e dei Santi, e soprattutto del Cuore Santissimo di Gesù. Sia pure che gli eretici e gli increduli portino presso di sé le immagini delle creature che adorano invece di Dio, ed i simboli di empietà e di superstizione, noi ci gloriamo di portare con noi le immagini e le medaglie del sacratissimo. Cuore, e seguendo questa prima pratica, così gradita a Gesù Cristo, siamo certi di averne in ricambio le più belle grazie. Ma passiamo alla seconda.

II. — La seconda pratica speciale di pietà, che noi posiamo esercitare ad onore del Sacro Cuore, e col suo più vivo gradimento, è l’apostolato della preghiera. Secondo l’insegnamento di S. Basilio, di S. Agostino, di S. Giovanni Crisostomo, di S. Clemente Alessandrino, e di molti altri Santi Padri, la preghiera è necessaria alla nostra eterna salute di necessità di mezzo: vale a dire senza pregare è a noi assolutamente impossibile il conservarci in grazia e salvarci. Ed in vero, essendo tanti i nemici dell’anima nostra, che continuamente ci combattono e noi essendo al contrario tanto deboli, se Iddio non ci soccorre con speciali aiuti, non possiamo certamente star lungo tempo in grazia, senza cadere in qualche colpa grave. Questa è dottrina di fede, dichiarataci dal sacro Concilio di Trento. Ora questi aiuti speciali a perorare in grazia, Iddio, almeno ordinariamente parlando, non li concede se non a chi glieli domanda. Quindi chiaro apparisce, che dopo il Battesimo, agli adulti la preghiera è un mezzo assolutamente indispensabile a conseguire l’eterna salute. Epperò è certo, che tutti i dannati dell’inferno si sono dannati perché non pregarono; se avessero pregato, non si sarebbero perduti; e tutti i santi del paradiso si son fatti santi col pregare: se non avessero pregato, non si sarebbero né santificati, né salvati. Ma quando pure si potesse mettere in dubbio, che la preghiera sia necessaria di necessità di mezzo, non si potrà certamente dubitare, che essa sia necessaria di necessità di precetto, vale a dire, perché ci fu comandata da Dio. Già ripetemmo più volte che il Cuore di Gesù è Cuore di Dio, di quel Dio, che è il nostro padrone assoluto. Come tale adunque ha tutti i diritti di comandarci quel che gli piace, e noi abbiamo tutto il dovere di obbedirlo senza ricercare minimamente il perché dei suoi comandi. Ora tra i vari comandi che il Cuore di Gesù ci ha fatto ripetutamente, tiene un posto principalissimo quello della preghiera: « Domandate, pregate, bisogna sempre pregare, » Egli ci ha detto: « Questa è la legge, che vi impongo, se da me volete ricevere i miei benefizi. Chi domanda riceve, chi cerca trova, a chi bussa sarà aperto. » E notate bene, o carissimi, che il divin Redentore non ci disse: « Vi invito a pregare, vi consiglio di pregare, vi esorto a pregare; » ma disse senz’altro: « pregate, domandate, bisogna pregare: » appunto perché intendessimo che questo era un comando formale ed assoluto, che noi avremmo avuto il dovere di praticare. Di fatti, anche durante la sua mortal vita, benché sì generoso e sì facile a largheggiare, tuttavia il più delle volte non concedeva le sue grazie, non dopo esserne stato richiesto con la preghiera, e non di rado, come col centurione, con la cananea e con altri sventurati la andava sollecitando col fingersi sordo alle pressanti loro istanze. – Ma quasi che il suo comando e la sua condotta non fossero ancor stato sufficienti a farci ben comprendere la sua volontà, volle aggiungere il suo illustre esempio. In mezzo alle sue apostoliche fatiche, alla sua vita di carità, soleva togliersi sovente di mezzo agli uomini, e ritirarsi in luogo solitario, al far che? Celo dice il Vangelo: a pregare il suo Divin Padre, e mentre spendeva il giorno in servizio delle anime, consacrava la notte ad un’assidua orazione: et erat pernoctans in oratione Dei. (Luc. VI, 12) E questa pratica così ammirabile Egli accentuò con atti più espressivi e solenni la vigilia della sua morte nel giardino degli ulivi, e nelle stesse ultime ore del sua agonia sulla croce. Ma forse che Egli avesse bisogno pregare? No, senza dubbio, ma Egli pregò pei bisogni nostri e per confermare con il suo esempio il comando della preghiera. Da ultimo perché nessun pretesto, neppur quello di non saper pregare, ci avesse potuto esimere dall’adempimento del suo precetto, il buon Gesù, così desideroso di donarci le sue grazie ci ha insegnato le formole, di cui dobbiamo valerci a domandarle, e in una delle sue escursioni apostoliche, fermandosi sul ciglio d’una strada con i suoi discepoli, apprende e a loro e a noi a recitare il Pater, quella preghiera così semplice così sublime, che contiene tutto quello, che possiamo desiderar e domandare da Dio. – Dopo tutto ciò vi potrebbe essere ancora alcun Cristiano che non attendesse alla pratica della preghiera colla massima sollecitudine? Eppure quanti vi sono, i quali per tutto il giorno aprendo il labbro alle più orride bestemmie, da anni ed anni non l’aprono alla più breve e più piccola preghiera! E quanti altri vi hanno, che sebbene preghino, tuttavia non recano che disgusto e nausea al Cuore di Gesù, tanto pregano malamente! Ah! se noi amiamo il Divin Cuore dobbiamo pregarlo con le dovute disposizioni. Dobbiamo pregarlo anzi tutto per noi, perché ci mantenga e ci accresca il suo amore, perché ci difenda nei pericoli e ci rafforzi nelle tentazioni, perché ci protegga e ci assista nei nostri interessi materiali e spirituali, perché sopra ogni altra grazia ci doni quella della perseveranza finale, onde possiamo andarlo un giorno a vedere e godere in cielo. – Ma il devoto del Sacro Cuore di Gesù non deve contentarsi di pregare per sé: non è soltanto la preghiera ch’ei deve praticare, ma l’apostolato della preghiera. Gesù Cristo è venuto sulla terra a morir sulla croce per salvare le anime: questa la brama ardentissima del suo Divin Cuore, e niun’altra cosa può attristarlo, che la perdita delle anime. Ora i suoi devoti non devono adoperarsi col massimo impegno per farne interessi e soddisfarne le brame? Noi dobbiamo dunque piegare oziando per la salute altrui, e massimamente per la conversione dei peccatori. Così fece lo stesso Cuore di Gesù durante la sua mortal vita: « Come il sacerdote, dice l’Apostolo, è preso di mezzo agli uomini, affinché offerisca sacrifici pei loro peccati, così Gesù Cristo, Sacerdote eterno secondo l’ordine di Melchisedech, nei giorni della sua carne offerse a Dio per i peccati nostri preghiere e suppliche con forti grida e con lacrime. (Hebr. v, 1-7) Così fa tuttora lassù in Cielo, tutto sfolgoreggiante della sua gloria, e quaggiù in terra tutto nascosto nel santo tabernacolo; Egli sembra, che non viva che per implorare pietà dal suo divin Padre per l’umanità peccatrice, mostrandogli il suo Cuore squarciato: Semper vivens ad interpellandum prò nobis. (Hebr. VII, 25) E così dobbiamo far noi, pregare ed offrire al Cuore di Gesù le nostre preghiere, perché si dissipino gli errori e le eresie, perché cessi l’incredulità ed il vizio, perché si convertano i peccatori e tornino a lui, e così trionfi la virtù e la Religione. E poiché Gesù ha detto che quando « due o tre persone si raduneranno a pregare nel suo nome, Egli si trova in mezzo a loro, » (MATT. XVIII, 20) così ad accrescere il merito della nostra preghiera facciamoci volentieri ascrivere all’Opera dell’Apostolato della preghiera, opera tanto commendata dal Romano Pontefice, e nella quale trovandosi uniti a pregare in uno stesso spirito e come con un sol cuore un numero immenso di devoti del Sacro Cuore, questi non mancherà di esser fedele alla sua promessa. Oh! il Cuore di Gesù è infinitamente ricco e infinitamente buono. Niuno per certo potrà mai misurare i tesori infiniti di grazia, che esso tiene presso di sé, per dispensarli a chi glieli domanda. Contiamo pure, se ci è possibile, le stelle del cielo, le arene del mare, le gocce d’acqua dell’oceano, i fiori e le foglie delle piante… Tuttavia i tesori di grazia, che il Cuore di Gesù possiede superano di gran lunga tutte le cifre, che possiamo mettere insieme, perché tali tesori sono muniti. Ma questo divin Cuore, non è già come tanti ricchi del mondo, che pur possedendo ingenti ricchezze le posseggono unicamente per sé, senza farne parte alcuna a quei poverelli che pur ne avrebbero diritto. Esso invece, oltre all’essere infinitamente ricco, è pure infinitamente buono e vuole nella sua infinita bontà distribuirci i suoi tesori. Mirate come Egli li distribuisce a tutto il creato. È desso il buon Gesù, che invia incessantemente la sua benedizione ai fiori ed alle piante della terra, agli uccelli dell’aria, ai pesci dell’acqua ed agli animali del bosco, e persino ai più piccoli insetti, che non contano che l’esistenza di una qualche ora. Lo disse il re Davide: Aperis tu manum tuam et imples ormne animal benedictione. (Ps. CXLIV) Che se tanta è la bontà che adopera verso le stesse creature irragionevoli, chi può dire la bontà con cui è pronto a trattar noi creature ragionevoli! Anzi noi, suoi particolari amanti? Oh sì! Questo Santissimo Cuore, mercé l’apostolato della preghiera, darà a noi tutte le grazie necessarie alla salute dell’anima nostra, e ci farà l’onore di salvarne delle altre.

III. — Finalmente la terza pratica di pietà, che può riuscire di sommo gradimento al Cuore Sacratissimo di Gesù, è la visita quotidiana al SS. Sacramento e la Comunione riparatrice. Oh quanto fu grande la bontà del Cuore di Gesù per noi! Benché infinitamente beato in se stesso, non gli parve tuttavia essere pienamente felice, se con l’istituzione della Santissima Eucaristia non trovava il modo di restare perpetuamente tra di noi e di diventare il cibo spirituale delle anime nostre. E per tale Sacramento egli anzitutto è naturalmente presente nel Santo Tabernacolo, come lo è in cielo, e finché vi sarà una zolla di terreno su cui si eriga un altare, ed un sacerdote che ne celebri il santo Sacrificio, Egli continuerà a tenere la sua abitazione fra noi. Che sterminato amore! E che cosa mai vi era di bello, di buono e di grande in noi da eccitare un Cuore divino a trovare la sua delizia nel fermare tra di noi la sua dimora? Ah! si accresca pure il nostro stupore, che ben ve n’ha ragione: ciò che ha indotto il Cuore di Gesù a restare con noi, tutt’altro che la nostra grandezza, è stata la nostra miseria. Egli ha considerato i nostri grandi bisogni, e pieno di compassione, come un dì si commoveva copra le turbe fameliche, così si commosse sopra le nostre necessità, sopra le nostre afflizioni, e per aiutarci e consolarci in esse, si è posto in mezzo a noi nel Santo Tabernacolo. E da quel Tabernacolo, che Egli a sé ci chiama continuamente col dire: Venite ad me omnes, qui laboratis et onerati estis et ego reficiam vos. (MATT. XI, 28) « Venite a me, voi che siete travagliati dalle sventure, dalle traversie, dalle infermità della vita, ed Io vi ristorerò. Venite a me, voi che già vi apprestate al tramonto della vita, ed io vi sosterrò nei vostri stanchi anni, e vi disporrò a ben compiere il passo da questo mondo all’eternità. Venite a me voi, o figliuoli, che siete ancor nel fior degli anni, ed Io vi insegnerò il santo timor di Dio, per mezzo del quale lascerete i piaceri della terra per inebriarvi soltanto di quelli del cielo. Venite a me, voi, o genitori, cui riesce sì arduo il compito dell’educazione cristiana dei vostri figli, ed Io svelandovene i segreti, ve lo alleggerirò. Venite a me, voi, o poverelli; Io di voi mi compiaccio, e tra voi ho chiamato i primi adoratori della mia umanità e del mio Cuore, e continuerò a evangelizzarvi, ad animarvi alla rassegnazione ed alla brama delle ricchezze imperiture del cielo. Venite a me, voi, o anime giuste, ed io vi arricchirò di nuova grazia perché abbiate a perseverare nelle vie della giustizia e della santità; venite anche voi, o anime peccatrici; Io sto qui come al pozzo di Sichem, aspettando che voi veniate a me, pentiti dei vostri traviamenti, per darvi a bere dell’acqua di vita eterna; venite, venite tutti, perché di tutti conosco i bisogni e per sovvenirli sono qui in mezzo a voi, aspettando solo che veniate a visitarmi. » Oh parole tenerissime! Oh dolcissimo invito! Ben a ragione la Chiesa, considerando questi amorosi accenti, nell’ufficiatura del Sacratissimo Cuore di Gesù, per spronarci ad assecondarne l’intento si volge a noi e ci dice: Auditis ut suavissimis – Invitet omnes vocibus? Udite, con che voci soavissime a sé c’invita, a sé ci chiama?Ora se questo è il motivo per cui Gesù Cristo è rimasto tra di noi nel SS. Sacramento dell’altare, e così grande è la sua brama che noi ci rechiamo a visitarlo e domandargli ivi le grazie di cui abbiamo bisogno, non ci faremo sollecitudine di venire almeno una volta ogni giorno a trovarlo? Ah! io dico, che un devoto del Sacro Cuore di Gesù, che non trovasse modo e tempo di fargli ogni dì anche una breve visita, avrebbe in cuor suo ben poco amore per Lui. Difatti i santi che amavano davvero Gesù trovavano le loro delizie in visitarlo di spesso, e nello sfogarsi con Lui in dolci affetti! S. Vincenzo de’ Paoli lo visitava più spesso che gli era possibile, e il principale sollievo che prendeva tra le gravi sue occupazioni, era quello di starsi lungo tempo dinnanzi al sacro Tabernacolo. Vi si tratteneva poi con un contegno così umile, modesto e devoto, che sembrava vedere co’ propri occhi la Persona adorabile di Gesù Cristo. Quando gli occorrevano negozi difficili, egli ricorreva, come Mosè, al sacro Tabernacolo per consultare l’oracolo della verità. Quando usciva di casa, andava a chiedergli la santa benedizione; appena ritornatovi, andava a ringraziarlo dei benefìci ricevuti ed a umiliarsegli per i mancamenti che poteva aver commessi. S. Luigi Gonzaga era tutto in festa quando poteva fare compagnia al suo caro Gesù: ivi, come dice S. Maddalena de’ Pazzi, saettava il Cuore del Verbo, e non sapeva partirsene che con pena. S. Francesco Saverio, in mezzo alle immense sue fatiche, trovava un grandissimo ristoro nel passare gran parte della notte avanti a Gesù Sacramentato. Lo stesso soleva fare S. Francesco Regis, il quale, trovando chiusa talvolta la chiesa, si tratteneva di fuori genuflesso avanti alla porta, esposto all’acqua e al freddo per far corteggio, almeno così da lontano, al suo Sacramentato Signore. Così facevano i veri amanti del Cuore di Gesù. E non faremo così anche noi? Sì, per amore di Gesù, prendiamo tutti questa bella pratica, ed anzi, per impegnarci sempre più alla stessa, facciamoci ascrivere altresì all’Adorazione quotidiana universale, la quale, sorta da pochi anni in Torino, città del SS. Sacramento, elogiata dai Vescovi, ed eretta in molte diocesi, fu ripetutamente benedetta ed arricchita di speciali indulgenze dal Sommo Pontefice. Chi vi si ascrive non si impone altro obbligo, che di entrare ogni giorno in una chiesa ove si conservi il SS. Sacramento per fermarvisi anche solo pochi minuti a recitarvi una preghiera, a rivolgere un pensiero, a mandare un sospiro al Cuore Sacramentato di Gesù. E chi mai, nell’andare o venire pe’ suoi interessi materiali, per i suoi negozi e pe’ suoi lavori, non incontra una chiesa, non trova un minuto almeno di tempo per passarvi entro a salutare Gesù?Ma æmulamini charismata meliora: (I Cor. VII, 31) aspirate a qualche cosa di meglio. Non contentatevi di visitare Gesù nel suo SS. Sacramento, ma recatevi ancora di spesso a riceverlo ne’ vostri cuori e ciò specialmente per ripararlo meglio che sia possibile delle gravissime ingiurie che in questo Sacramento di amore pur troppo riceve. Il medesimo Gesù nelle sue apparizioni a Santa Margherita Alacoque parlandole del modo di celebrare la sua festa, le raccomandò che in essa si riparassero colla comunione gli indegni trattamenti a cui è fatto segno nella SS. Eucaristia. Altra volta le suggerì allo stesso fine di comunicarsi ogni primo venerdì del mese e quante altre volte le fosse concesso dall’obbedienza. Quale contento adunque noi daremo al Cuore di Gesù soddisfacendo le sue ardentissime brame! E nel tempo stesso che gran bene arrecheremo alle anime nostre! Venite adunque, o devoti del Sacro Cuore, venite a questi altari ad unirvi ai Cori degli Angeli e a condividere il loro ufficio di star prostrati innanzi alla maestà di Dio; venite come pecorelle privilegiate a stringervi attorno al pastore delle anime; venite come discepoli prediletti a posare la vostra testa sul Cuore di Gesù, venite come Maddalene feriti di carità a trovar qui il vostro paradiso. Venite, e cibatevi di Lui, e adoratelo, e sfogate con Lui la vostra pietà, il vostro amore, piangendo ai suoi piedi i vostri peccati e i peccati di tutti gli uomini, offrendovi a Lui mille volte per risarcirlo delle offese che riceve, massime in questo Sacramento, implorando le sue grazie per voi, per i vostri cari, per i vostri parenti lontani da Dio, per tutti i peccatori, per i sacerdoti, per i Vescovi, per il Papa, per la Chiesa, per le anime sante del purgatorio. Oh voi felici! Mentre il Cuor vostro nella vicinanza e nell’unione di Gesù, come quello dei discepoli di Emmaus, arderà e languirà di amore per Lui, il Cuor suo spanderà in voi torrenti di luce, di benedizioni e di grazie; ed abituandovi a menar la vostra vita in unione alla sua, vi assicurerete ognor più la fortuna di essere a lui uniti per tutta l’eternità.Intanto prostrati dinnanzi all’immagine del Sacro Cuore di Gesù facciamogli queste belle promesse: O Cuore Santissimo, poiché conosciamo quanto vi torni gradita la venerazione dell’immagine vostra, e di quante benedizioni siete largo a chi in essa vi onora, non lasceremo di adornarne le nostre case e di coprirne le nostre persone. E dinnanzi alle vostre immagini noi eserciteremo con ardore l’apostolato della preghiera, affine di ottenere da voi la grazia di salvare l’anima nostra e quella ancora di guadagnacene moltissime altre. Ma soprattutto verremo sovente a visitarvi nei vostri santi tabernacoli, a disfogare ivi con voi il nostro cuore, a lodarvi, a benedirvi; verremo a ricevervi soventi nei nostri Cuori per ripararvi degli oltraggi, che ricevete da tanti cattivi Cristiani, e domandarvi quegli aiuti di cui abbisogniamo per mantenerci nella santa perseveranza. E voi, o Cuore amantissimo di Gesù, degnatevi di gradire in odore di soavità queste pratiche nostre e di compensarle con speciali aiuti, secondo la vostra divina parola.

CONOSCERE SAN PAOLO (36)

LIBRO QUARTO

L’OPERA DELLA REDENZIONE.

CAPO I.

La missione redentrice

I. L’INVIATO DA DIO

1. SCOPO DELLA MISSIONE REDENTRICE. – 2. IL MEDIATORE DELLA NUOVA ALLEANZA. – FUORI DI LUI NON VI È ALTRO MEDIATORE.

[F. Pratt: La teologia di San Paolo – Parte SECONDA,  S.E.I. Ed. – Torino, 1927 – impr.]

1. Già abbiamo detto che l’iniziativa della nostra salvezza spetta sempre al Padre celeste. A Lui san Paolo si compiace di riferire il complesso dei disegni di redenzione la cui esecuzione è affidata al Figlio, mediatore naturale tra Dio e gli uomini: Quando venne la pienezza dei tempi, Dio mandò suo Figlio, nato da una donna, messo sotto la Legge, per riscattare coloro che erano sotto la Legge, per farci ricevere la filiazione adottiva. Questo breve passo esprime il fatto, il tempo, il modo, lo scopo della missione redentrice. — Il fatto: Dio Padre manda il suo unico Figlio, assai bene distinto da tutti coloro che parteciperanno al nome di figli, per lo stesso suo isolamento e per la relazione incomunicabile che lo unisce al Padre; egli lo manda da vicino a sé, dall’alto dei cieli, secondo la forza della parola composta (= exapesteilen) adoperata dall’Apostolo; lo manda in un momento preciso della durata, ma non lo costituisce Figlio nel mandarlo, perché questa missione suppone evidentemente la preesistenza reale del Figlio. — Il tempo: è la pienezza dei secoli, espressione che indica ad un tempo lo spirare degli indugi liberamente fissati dal Padre e la fine delle preparazioni provvidenziali che dovevano disporre il mondo a quel grande avvenimento. Dopo sarebbe stato troppo tardi; prima sarebbe stato troppo presto: il termine delle profezie messianiche doveva coincidere con la maturità del genere umano. — Il modo è sintetizzato in questa breve formula: « nato da una donna, messo sotto la Legge ». Conveniva infatti che il Figlio partecipasse alla natura di coloro che veniva a riscattare, col nascere da una donna, come tutti gli altri uomini, per avere il diritto di chiamarli suoi fratelli e per farli partecipi della sua qualità di figlio; conveniva pure che fosse sottomesso alla Legge, per liberare i suoi compatrioti dal giogo della Legge; convenienza che diventa necessità nel disegno attuale della redenzione, secondo il quale Dio ha stabilito di salvare gli uomini mediante il principio della solidarietà. — Lo scopo doppio della missione corrisponde al doppio stato dell’inviato divino: sottrarre gli Ebrei dalla tirannia della Legge per sottometterli al Vangelo; conferire a tutti gli uomini Ebrei e Gentili, la filiazione adottiva. Un altro testo, celebre tanto per la sua difficoltà intrinseca, quanto per le divagazioni degli esegeti, è assai simile al precedente, ma ne differisce in un punto: l’idea principale, espressa dal verbo in modo personale, non è più la stessa missione del Figlio, ma la condanna del peccato nella carne, che risulta da tale missione: « Cosa che era impossibile alla Legge, perché era indebolita dalla carne, Dio, mandando il suo proprio Figlio in una carne simile alla carne del peccato e per il peccato, condannò il peccato nella carne, affinché si compisse in noi la giustizia della Legge » (Rom. VIII, 3-4). Fatta astrazione da tutti i punti dubbi, da questo complesso periodo risulta chiaramente come uno dei motivi di Dio, nel mandare suo Figlio, era di rimediare all’impotenza, oramai riconosciuta, della Legge mosaica. La Legge mostrava all’uomo la via della giustizia e ve lo doveva condurre; ma essa era stata intralciata e paralizzata dalla carne, cioè dall’inclinazione al male che ora infetta la natura umana. Per vincere e annientare il peccato nel suo stesso dominio, Dio manda suo Figlio « nella somiglianza di una carne di peccato ». Paolo non dice « nella somiglianza della carne », poiché così lascerebbe capire o che il Cristo non aveva vera carne, o che la sua carne era di natura diversa dalla nostra. Non dice neppure « in una carne di peccato », perché così si potrebbe intendere che il Cristo rivestì una carne peccatrice. Egli dice invece, con espressione veramente felice, « nella somiglianza di una carne di peccato »; in fatti la carne del Cristo è proprio una carne reale che fisicamente non si distingue per nulla dalla nostra, ma essa è soltanto in apparenza una carne di peccato, poiché non è né l’eredità, né la sede, né il fomite, né lo strumento del peccato. Siccome aveva la missione di condannare il peccato nella carne, Gesù Cristo non doveva avere nulla di comune col peccato. Dio lo manda espressamente « in vista del peccato », cioè per espiare e per riparare il peccato; e non solamente il peccato originale, ma il peccato in generale, qualunque ne sia la natura e la sorgente. I migliori esegeti di tutte le scuole hanno veduto benissimo che non si tratta qui di una semplice condanna per comparazione, come sarebbe quella che risulterebbe, per l’uomo peccatore, dallo spettacolo della carne innocente del Cristo, e neppure di una sentenza platonica la quale lascerebbe le cose nello stato di prima. Essi danno al verbo « condannare » gli equivalenti più forti « vincere, abbattere, distruggere, abolire, annullare, espellere, uccidere, sterminare »; essi hanno ragione senza dubbio, poiché la condanna di Dio, essendo efficace, deve necessariamente sortire il suo effetto; ma l’idea di condanna effettiva di cui si contenta san Paolo, è abbastanza chiara, ed è meglio fermarsi a questa. Dio condanna all’impotenza il peccato che regnava nella carne; e lo condanna nella stessa carne, poiché la carne del Cristo è la nostra. La maggior parte dei commentatori, per aver voluto cercare in questo testo quello che san Paolo non vi ha messo, se ne sono chiusa la via per capirlo. Essi lo hanno completato arbitrariamente, e ciascuno a modo suo, o intendendo l’espressione « per il peccato » nel senso di « sacrificio per il peccato »; oppure supponendo che la condanna del peccato abbia luogo nella sola carne del Cristo, quasi che il testo dicesse « nella sua carne »; oppure dimenticando che la condanna del peccato è qui l’opera del Padre il quale incarica il Figlio di metterla in esecuzione.

2. Questa missione costituisce Gesù Cristo mandatario di Dio e rappresentante degli uomini, in altri termini, mediatore. Nella religione giudaica, vi furono tre sorta di mediatori: i re, i sacerdoti e i profeti. Il profeta porta agli uomini i messaggi di Dio; il sacerdote amministra a nome degli uomini le cose di Dio; il re teocratico era il luogotenente di Dio. Sacerdoti e profeti sono egualmente mediatori tra Dio e l’uomo; però su la scala misteriosa che unisce il cielo con la terra, il sacerdote sale, e il profeta discende: il profeta inviato da Dio, discende verso gli uomini; il sacerdote, delegato dagli uomini, sale verso Dio. Senza dubbio, compiuta la loro missione, essi eseguiscono un movimento inverso: il profeta, risale verso Dio per rendergli conto del suo messaggio, e il sacerdote scende di nuovo verso quelli che lo hanno mandato, per distribuire loro le benedizioni del cielo; ma la prima direzione è quella che li caratterizza. In quanto poi al re teocratico, ti suo trono è « il trono di Jehovah » adesso (Ps. XLIV, 7); Davide, vestito dell’ephod, benedice il popolo in nome di Dìo (II Sam. VI, 18); nei salmi messianici, il re discendente di Davide si presenta come l’intermediario titolato tra Dio e il popolo. – Gli Ebrei contemporanei di Gesù Cristo, pensavano alla triplice mediazione del Messia, re, profeta e pontefice? Avevano essi l’idea di un sacerdozio diverso dal sacerdozio levitico, e riconoscevano essi generalmente il Messia nel « sacerdote eterno secondo l’ordine di Melchisedech »? Il profeta che aspettavano era egli lo stesso Messia o un precursore del Messia? Questioni spinose, rese più intricate dalle controversie e oscurate dall’incertezza e dalla forma poco precisa dei dati contrari. Gli scrittori del Nuovo Testamento ci mostrano bensì la regalità spirituale, la pienezza dello spirito profetico ed il sacerdozio eterno in Gesù Cristo, ma senza mai unire insieme queste tre attribuzioni; sembra anzi che essi se le dividano, poiché i Sinottici mettono in rilievo la qualità del re messianico, san Giovanni, l’autorità del profeta per eccellenza, l’Epistola agli Ebrei, la dignità del pontefice che per il primo apre la via del cielo. Paolo invece non chiama il Cristo né re né sacerdote né profeta; e benché gli attribuisca funzioni regali, sacerdotali e profetiche, questa divisione ternaria delle mansioni del Cristo, estranea alle speculazioni messianiche degli Ebrei, quasi sconosciuta ai Padri, introdotta o messa in voga, dopo curiosissimi brancolamenti, dai riformatori del secolo XVI, non conviene punto alla teologia paolina. – L’Apostolo soltanto una volta dà a Gesù Cristo il nome di mediatore. « Unico è Dio, unico pure il mediatore di Dio e degli uomini, Gesù Cristo uomo, il quale ha dato se stesso come riscatto per tutti (I Tim. II, 5)». L’estendere a tutti il benefizio della volontà di salvare, rendendo propizio Iddio col sacrificio spontaneo della vita che egli offre come rappresentante del genere umano, questo era lo scopo, il mezzo e la condizione della sua mediazione onnipotente. Siccome l’uffizio speciale del mediatore è quello di servire come mezzo per unire le due parti, per riconciliarle se sono in guerra, per stringere di più i loro vincoli se sono in pace, l’Uomo-Dio era eminentemente adatto per compiere questa parte; infatti con le sue due nature egli s’identifica con i due estremi, e, col suo composto teandrico, li lega con una unione indissolubile. Gesù Cristo fu dunque mediatore non solamente per il suo stato, intermediario tra la via e il termine, tra la prova e la corona, e neppure solamente con la sua persona, unione armonica della umanità e della divinità, ma soprattutto come dispensatore dei benefizi divini dei quali è l’unico depositario. Infatti il Cristo di san Paolo non è un semplice mediatore naturale, come il Logos di Filone, ma è un mediatore di vita soprannaturale. – Per mezzo di Lui infatti noi abbiamo la grazia (Rom. I, 5; V, 21), la salvezza, cominciata su questa terra e consumata in cielo (I Tess. V, 9; II Tim. III, 15); per mezzo di Lui abbiamo la giustizia e il frutto della giustizia (Rom. III, 27; Fil. I, 11); per mezzo di Lui abbiamo la giustificazione (Rom. V, 18; Gal. II, 16), la redenzione (Rom. III, 24; Efes. I, 7) e la riconciliazione (Rom. V, 10-11, etc.); per mezzo di Lui abbiamo la pace (Rom. V, 1) e la pacificazione generale (Col. I, 20); per mezzo di Lui abbiamo il libero accesso a Dio (Rom. V, 2) e un rifugio sicuro contro l’ira divina (Rom. V, 9); per mezzo di Lui abbiamo la consolazione spirituale (II Cor. I, 5) e la fiducia che nulla può turbare (II Cor. III, 4); per mezzo di Lui abbiamo il dono dello Spirito Santo (Tit. III, 6) e la filiazione adottiva (Efes. I, 5); per mezzo di Lui abbiamo la vittoria sopra tutti i nostri nemici (Rom. VIII, 37; I Cor. XV, 57); per mezzo di Lui abbiamo il regno senza fine (Rom. V, 17). Per mezzo di Lui solo noi possiamo gloriarci in Dio (Rom. V, 11) e dobbiamo rivolgergli i nostri ringraziamenti (Rom. I, 8; VII, 28); poiché come tutte le promesse divine ebbero in Lui il loro sì, cioè il loro compimento, per mezzo pure di Lui i fedeli pronunziano il loro amen, in un atto di fede sincera e riconoscente, per far risalire a Dio tutto l’onore e la gloria (II Cor. I, 20). In una parola, nell’ordine della grazia, più ancora che nell’ordine della natura, « tutto è per mezzo di Lui (o per Lui) e noi siamo per mezzo di Lui (I Cor. VIII, 8) » poiché Egli è il principio della nostra vita e di tutto il nostro essere.

3. Perciò non vi è più nessun altro mediatore o superiore o uguale a Lui. I Colossesi, con un malinteso culto degli Angeli, che nel loro pensiero si collegava con l’osservanza della Legge mosaica, derogavano alla mediazione universale del Cristo. « Si andava dicendo loro che la Legge era stata data per mezzo degli Angeli, perché questi avevano prestato il loro ministero nella sua promulgazione e non potrebbero perciò vedere con occhio indifferente il disprezzo della Thora » della quale erano essi i custodi. Col violare la Legge, si andava dunque incontro allo sdegno e alla vendetta degli spiriti celesti. Ma l’Apostolo li assicurava che questo non è punto vero: Dio spogliando (delle loro funzioni passate) i principati e le potestà, li ha esposti ostensibilmente agli sguardi (di tutti, così spogliati e privati dei loro onori), trascinandoli in trionfo (al seguito del Cristo vincitore, assiso) in croce (o per mezzo della croce) (Col. II, 15). – San Paolo conosce soltanto due specie di esseri sovrumani, i buoni ed i cattivi, gli spiriti della luce e gli spiriti delle tenebre, gli Angeli di Dio e gli angeli di satana. In nessun luogo dei suoi scritti appare il concetto di esseri intermedi destinati forse a diventare angeli o demoni, ma che attualmente non sarebbero né Angeli né demoni. Per gli Ebrei contemporanei di san Paolo, e per lo stesso san Paolo, gli angeli associati alla promulgazione della Legge erano gli Angeli buoni, e non veniva a nessuno l’idea che essi fossero venuti meno al loro mandato o avessero rivolto contro Dio l’autorità di cui erano investiti. I Colossesi che li veneravano, non ne avevano affatto un’idea diversa, e l’Apostolo parlerebbe in modo incomprensibile se li mettesse in un’altra ipotesi. Non vi è dunque nulla che insinui una prevaricazione di quegli Angeli; ma dopo l’abolizione della Legge, il loro compito fu terminato e la loro mediazione non ebbe più il suo oggetto. Gesù Cristo, infinitamente elevato sopra le potenze sopraterrestri, il solo capace di rivelarci il Padre del quale è l’immagine perfetta, il solo intermediario titolato tra Dio e gli uomini, si sostituisce oramai agli spiriti celesti promulgatoli e custodi di una legge che, invece di favorire il disegno della redenzione, gli è piuttosto di ostacolo. Perciò quando la Legge vien messa in disparte, essi partecipano in certo modo alla sua disgrazia, e il loro ministero non ha più ragione di essere. – Dio li fa servire come di scorta al Cristo trionfatore: per sé, questo sarebbe un onore, ma è anche una diminuzione perché rappresenta la fine della loro autonomia ed è la prova che essi sono soltanto i subalterni ed i satelliti del gran mediatore. – Perché dunque san Paolo, parlando del Cristo, è così avaro del nome di mediatore? Sarebbe forse perché, nell’opinione e nel linguaggio comune degli Ebrei di quel tempo, Mosè era il mediatore per eccellenza? (Gal. III, 19). Eppure l’Epistola degli Ebrei che non ignora tale usanza, chiama Gesù Cristo mediatore della nuova alleanza (Ebr. VIII, 6). La ragione si deve cercare altrove: il mediatore, nel senso usuale della parola, è estraneo alle due parti che deve mettere in relazione tra loro; non così è d i Gesù Cristo, nel quale la pienezza della divinità abita corporalmente, e che realmente è entrato nella famiglia umana. Egli è mediatore, ma non è un mediatore ordinario; egli è il nuovo Adamo: questo è un titolo che san Paolo crea apposta per Lui e che, contenendo eminentemente quello di mediatore, lo rende perciò inutile.

II. IL NUOVO ADAMO.

1. PARALLELO TRA I DUE ADAMI. — 2. COMPITO E QUALITÀ DEL SECONDO ADAMO.

1. L’immagine più completa, più feconda, più originale che l’Apostolo ci dà della missione redentrice del Cristo, è quella del nuovo Adamo. È più che dubbio che tale immagine gli sia stata suggerita dalla teologia ebraica contemporanea, perché la denominazione di secondo Adamo o di ultimo Adamo si trova soltanto in certi scritti di ben poca autorità e di assai bassa epoca, e si può benissimo credere che la locuzione tanto frequente Adam ha-Eishon non significhi il primo Adamo, ma semplicemente il primo uomo. Ad ogni modo era riservato a Paolo di esprimerne il valore dottrinale e di far vedere le armoniche relazioni che essa stabilisce nel complesso della soteriologia cristiana. Adamo e il Cristo riassumono i due periodi dell’umanità; essi non li simboleggiano soltanto, ma li realizzano nella loro persona con una misteriosa identificazione. La prima volta che il parallelo si presenta sotto la penna di Paolo prende questa forma antitetica: « Se vi è un corpo psichico, vi è un corpo spirituale. – Così sta scritto: Il primo uomo, Adamo, diventò un’anima vivente; l’ultimo Adamo (diventa) uno spirito vivificante. Ma non è lo spirituale (che passa) prima; è quello psichico, poi lo spirituale. Il primo uomo, (tratto) dalla terra, (è) terrestre; il secondo uomo (viene) dal cielo. Quale il terrestre, tali anche i terrestri; e quale il celeste, tali anche i celesti; e come noi abbiamo portato l’immagine del terrestre, porteremo (o portiamo) anche l’immagine del celeste » (I Cor. XV, 44-49). Senza lasciarci distrarre dalle idee accessorie e dalle parentesi esplicative — esistenza e origine del corpo spirituale, origine, natura e priorità del corpo psichico — fermiamoci all’idea centrale. L’Apostolo ha detto prima: « Un corpo psichico è seminato, un corpo spirituale risuscita »; egli conclude, dopo la sua lunga spiegazione: « Come noi abbiamo portato l’immagine del terrestre, porteremo anche l’immagine del celeste ». Il corpo psichico è il corpo perituro tale e quale viene restituito alla terra, tale e quale ebbe il primo uomo dalle mani del Creatore. Il corpo di Adamo fu fatto di terra o più particolarmente dal limo della terra; ma quando Dio gli ebbe ispirato il soffio della vita, diventò un’anima vivente; così la Scrittura indica un essere animato, dotato di un principio vitale. Adamo non può trasmettere ai suoi discendenti più di quello che possiede per natura, cioè un corpo psichico e mortale. Né si può obiettare che egli fu ornato della grazia santificante e fu destinato all’immortalità: questi doni soprannaturali che non erano inerenti a lui e che egli non seppe conservare, non fanno parte del suo retaggio. Egli è terrestre e non può dare origine che a uomini terrestri. – Ben altra è la condizione del secondo Adamo. Egli è del cielo, non solamente perché il cielo è il suo centro di gravitazione e il luogo attuale della sua dimora, dal quale ritornerà glorioso al momento della parousia, ma soprattutto per la sua preesistenza divina e per i doni celesti che questa gli conferisce per Lui e per i suoi (I Cor. XV, 47). Egli è celeste per tutti i titoli, e il suo corpo risuscitato è spirituale perché è sciolto dalle limitazioni della materia ed è interamente dominato dallo Spirito. Se il corpo psichico è quello che serve di organo all’anima sensitiva ed è proporzionato alla medesima, il corpo spirituale sarà quello che serve di strumento ad un principio di operazione di un ordine superiore — chiamato da san Paolo spirito — e che partecipa alle sue perfezioni. Il momento della risurrezione è quello in cui Gesù Cristo prende effettivamente questo corpo spirituale al quale gli danno diritto la pienezza dello Spirito Santo posseduta fin dalla sua miracolosa concezione e il merito acquistato nell’opera redentrice; ed è pure il momento della risurrezione quello in cui diventa spirito vivificante, capace di effondere e di trasfondere la vita soprannaturale di cui è dotato. Perciò mentre il primo Adamo tramanda la morte a tutti quelli che sono una sola cosa con lui per il fatto della generazione naturale, il secondo Adamo trasmette la vita a tutti quelli che sono una cosa sola con Lui per il fatto della generazione soprannaturale. Adamo è « di terra », è « terrestre », e diventa « un’anima vivente » nell’istante della sua creazione, quando comincia ad essere capo dell’umanità; il parallelismo c’invita a mettere i tre termini opposti in rapporto col momento in cui Gesù Cristo diventa il capo glorioso dell’umanità redenta. L’Apostolo, dopo un lungo giro, ritorna al suo punto di partenza: « La morte è per mezzo di un uomo ed anche per mezzo di un uomo la risurrezione dei morti; poiché come in Adamo muoiono tutti, così pure nel Cristo tutti saranno vivificati (I Cor. XV, 21-22) ». Il carattere di Adamo, tanto del primo quanto del secondo, è essenzialmente rappresentativo. Adamo porta in sé tutto il genere umano: dunque ciò che conviene al padre conviene anche ai figli. Noi, discendenti secondo la carne da un uomo terrestre, saremo terrestri come lui; discendenti secondo lo spirito da un uomo celeste, saremo celesti come Lui (I Cor. XV, 48-49). Noi riceviamo a volta a volta l’immagine dell’uno e dell’altro. – Il testo che abbiamo ora esaminato è tutto fatto di antitesi: differenze di origine, di natura, di azione e di destino tra i due Adami; quello che vedremo ora unisce il parallelismo al contrasto, benché vi domini il contrasto: « Perché come per mezzo di un solo uomo il peccato entrò nel mondo, e per mezzo del peccato la morte », così per mezzo di un solo uomo la giustizia è rientrata nel mondo e, per mezzo della giustizia la vita perduta in « Adamo che è il tipo dell’Adamo futuro ». — Prima somiglianza. « Ma non è del dono gratuito come delia colpa: perché se per la colpa di un solo molti, (tutti nonostante il loro numero) sono morti, quanto più la grazia di Dio e il dono gratuito che derivano da un solo uomo, Gesù Cristo, si riversarono sopra molti », cioè su tutti. — Primo contrasto. « E non è del dono come (dell’atto compiuto) da un solo peccatore: poiché il giudizio (parte) da un solo (atto delittuoso e  arriva) alla sentenza di condanna; ma il dono gratuito (parte) da una moltitudine di colpe (e arriva) ad una sentenza di giustificazione ». — Secondo contrasto.

« Perché se, per la colpa di uno solo, la morte regnò per il (fatto del) solo (Adamo), quanto più quelli che hanno ricevuto l’abbondanza della grazia e del dono della giustizia regneranno nella vita per il solo Gesù Cristo ». — Terzo contrasto.

« Così dunque come per una sola colpa (il giudizio cade) sopra tutti gli uomini in sentenza di condanna, anche per un solo atto meritorio (la grazia discende) sopra tutti gli uomini in giustificazione di vita ». — Seconda somiglianza.

« Poiché come per la disobbedienza di un solo uomo molti (= tutti nonostante il loro numero) sono stati costituiti peccatori, così, per l’obbedienza di un solo, molti (ossia tutti, qualunque ne sia il numero) saranno costituiti giusti ». — Terza somiglianza.

« Ora la Legge interviene per far abbondare la colpa; ma là dove il peccato abbondava, la grazia è sovrabbondata; affinché, come il peccato regnò per mezzo della morte, così la grazia regni per mezzo della giustizia per la vita eterna, per mezzo di Gesù Cristo Nostro Signore » (Rom. V, 12-21). —

Riassunto del parallelo e del contrasto. – Vi sono dunque, senza contare la conclusione finale, tre analogie e tre disparità. La prima analogia riguarda un fatto, cioè l’introduzione nel mondo e la diffusione universale del peccato e della morte per parte di Adamo, della giustizia e della vita per parte del Cristo. Una parentesi abbastanza lunga, la quale spiega come tutti gli uomini muoiono in Adamo per aver peccato tutti in Adamo, turba un poco il parallelismo; ma il rapporto tipologico, ricordato con una parola (τύπος = tupos), non resta meno chiaro. La seconda analogia riguarda il modo: l’unione di solidarietà che vi è tra l’intera stirpe ed i suoi capi rispettivi, qualunque sia il numero degli individui rappresentati. La terza analogia riguarda la causa meritoria: da una parte l’obbedienza del Cristo, e dall’altra la disobbedienza di Adamo; la prima ha costituito peccatori tutti gli uomini, come la seconda li ha costituiti giusti. Accanto alle analogie vi sono i contrasti. Il primo oppone tra loro gli strumenti: il peccato e la grazia; ma il bene la vince sul male, e la grazia è più potente a salvare, che il peccato a perdere. Il secondo contrasto paragona gli effetti: da una parte un solo peccato che si trasmette, dall’altra un solo atto di grazia che scancella e ripara peccati senza numero; vi è un evidente eccesso da parte della grazia. Il terzo contrasto paragona le persone: da una parte vi è soltanto un uomo, e dall’altra vi è Gesù Cristo il cui nome è sopra ogni nome.

2. Riparare il peccato e vincere la morte è il compito del secondo Adamo. Egli riparerà il peccato col dono della giustizia, e vincerà la morte con associare noi alla sua vita. « Il Cristo Gesù è venuto in questo mondo a salvare i peccatori (I Tit. I, 9) » : ci voleva questo motivo per attirarlo quaggiù. Su questo punto l’insegnamento dell’Apostolo non ha nulla di caratteristico; san Giovanni, san Pietro, come pure l’autore dell’Epistola agli Ebrei ed i Sinottici, parlano precisamente come lui. Tutti mettono la missione del Cristo in relazione col peccato; tutti presentano la sua morte come l’espiazione delle nostre colpe; nessuno lascia capire che Egli sarebbe venuto su questa terra, se non v i fossero stati peccatori da salvare (Ebr. X, 4-7). Siccome non vi è nulla che possa supplire al silenzio della rivelazione, quando si scruta il mistero dei consigli divini, l’ipotesi dell’incarnazione per un altro ordine di provvidenza non può avere che una base precaria (S. Th. III q. 1, art. 3), eccetto che si voglia imporre a Dio, nelle sue operazioni ad extra, l’obbligo di fare il più perfetto, il che sarebbe la negazione stessa della libertà. Oltre la missione speciale per la quale è accreditato, il secondo Adamo deve avere due qualità essenziali: la natura umana e l’esenzione dal peccato. – Che Gesù Cristo sia esente dal peccato, lo insegnarono così chiaramente come san Paolo, anche san Giovanni, san Pietro e il redattore dell’Epistola agli Ebrei. In san Giovanni, Gesù sfida i suoi nemici a trovare in Lui una colpa: Quis ex vobis arguet me de peccato? Per lui, come per gli altri evangelisti, l’immunità dal peccato in Gesù, è un dato dell’esperienza che risulta da una vita tutta pura, tutta santa. Il redattore dell’Epistola agli Ebrei la deduce dal sacerdozio del Cristo; il pontefice ideale dev’essere « santo, senza macchia, separato dai peccatori » con una barriera insormontabile, « simile quanto è possibile ai suoi fratelli, eccetto il peccato ». San Pietro la deduce dalla qualità di vittima: « Il Cristo è morto per (espiare) i peccati (degli uomini); Egli giusto, per gli ingiusti »; e noi siamo stati riscattati « dal sangue prezioso dell’agnello senza difetto e senza macchia, il Cristo ». San Paolo invece fonda l’impeccabilità del Salvatore sopra la missione di secondo Adamo. Gesù Cristo riceve la missione di « vincere il peccato nella carne » e non lo può vincere negli altri se non dopo di averlo vinto in se stesso; perciò, benché abbia una carne affatto simile alla nostra, Egli ha soltanto in apparenza una carne peccatrice. Non solamente Egli non ha nessuna esperienza del peccato, ma non potrebbe avere nulla di comune col peccato; ecco perché « Dio lo fece peccato, affinché noi diventassimo giustizia di Dio in lui », certo che, lungi dall’essere macchiato dal contatto dei peccatori, il Cristo avrebbe loro comunicato la sua giustizia. – Ma altra cosa è il peccato, e altra cosa è la natura umana. « Se il Cristo non fosse veramente uomo, dice Tertulliano, tutta la sua vita non sarebbe altro che menzogna »: menzogna la sua nascita verginale, la sua agonia e la sua passione, la sua morte in croce, la sua risurrezione gloriosa; menzogna, conchiude sant’Ireneo, sarebbe tutta quanta la redenzione. Difatti se Gesù Cristo non fosse veramente uomo, non sarebbe nostro fratello; se non fosse nostro fratello, non sarebbe nostro capo nel senso stretto della parola; se non fosse nostro capo, non sarebbe nostro rappresentante; la sua grazia gli sarebbe personale, e la sua giustizia non sarebbe la nostra per nessun titolo. Perciò si spiega l’insistenza con cui san Paolo inculca continuamente la realtà della natura umana nel Cristo.

2 GENNAIO: FESTA DEL NOME SS. DI GESÙ

 Del Ss. Nome di Gesù.

[J. Thiriet: Prontuario evangelico, vol. VII, Libr. Arciv. G. Daverio, Milano, 1916]

Vocatum est nomen eius Jesus.

 Perché il S. Vangelo richiama le nostre attenzioni sul nome divino e significativo di Gesù? Per eccitarci a meditarne del continuo la sua eccellenza e la sua virtù. « O Gesù, gridava S. Girolamo Emiliani, non siate mio giudice, ma mio Salvatore! » Inoltre perché gli uomini l’onorassero come si conviene: Sanctum et terribile nomen ejus…. Sit nomen Domini benedictum…

I. — Eccellenza del nome di Gesù.

1. — Questo nome non è stato creato dagli uomini. Viene da Dio Padre: da tutta l’eternità l’ha imposto al suo Unigenito Figliuolo e per mezzo ‘dell’Arcangelo Gabriele l’ha reso manifesto a Maria e a Giuseppe: Vocabis nomen ejus Jesum. Iddio solo poteva dare al Verbo fatto carne un nome che Gli fosse conveniente, perché Lui solo conosceva perfettamente da tutta l’eternità la natura e la missione di Cristo Gesù.

2. — Difatti questo nome non solo significa che N. S. è Dio, ma che è altresì il Salvatore degli uomini. Donde i Santi dissero che il nome di Gesù è al di sopra del Nome stesso di Dio, perché quest’ultimo nome designa solo Iddio, come Creatore e Signore, mentre quello di Gesù lo designa altresì come Salvatore e Redentore. Ora l’opera della Redenzione sorpassa quella della Creazione: il che rilevasi dalle parole che la S. Chiesa ogni giorno mette sulle labbra de’ suoi sacerdoti: « Deus, qui humanæ substantiæ dignitatem mirabiliter condidisti, et mirabilius reformasti ». S. Bernardo diceva: « Io devo tutto me stesso al mio Creatore: non devo io di più al mio Redentore e al mio Riparatore? Creandomi, ha detto una parola; ma per redimermi, quante parole ha dovuto pronunziare ,quante meraviglie ha dovuto compiere, quante sofferenze ha dovuto sostenere.. ! »

3. — Questo nome è grande e glorioso: In Israel magnum nomen ejus Deus exaltavit Filium, et donavit illi nomen quod est super omne nomen, ut in nomine Jesu omne genuflectatur cœlestium, terrestrium et infernorum…. In cielo lo lodano e lo esaltano gli Angeli e i santi; in terra la Chiesa l’onora e si sforza di farlo conoscere per ogni dove; nell’inferno…. fa tremare i demonii… Magnificasti super omne, nomen sanctum

II. — La potenza del nome di Gesù.

1. — È terribile agli stessi demoni. In nomine meo dæmonia ejicient: gli esorcismi della Chiesa… Vedete Davide: con una sola fionda s’avanza coraggioso contro Golia, e gli dice che è sicuro di prostrarlo: Ego venio ad te in nomine Domini. Parimenti nel nome di Gesù noi riporteremo vittoria sulle potenze d’averno. Sarà terribile agli empi, nell’ora di loro morte e del conseguente giudizio particolare. Quanti perversi furono quaggiù visibilmente castigati per aver bestemmiato il nome di Gesù!… Ario, Voltaire…

2. — È un nome pieno di potenza per rovesciare ed infrangere gli idoli, per convertire gl’infedeli e i peccatori più ostinati. S. Paolo è convertito dal nome di Gesù: Quis es Domine? Ego sum JESUS, quem tu persequeris!… Convertitosi a Cristo è infaticabile nel diffondere le glorie dei nome di Gesù : Vas electionis est mihi iste, ut portet nomen meum coram gentibus S. Bernardo dice: «Portabat Nomen tamquam lumen. – È altresì pieno di potenza per aiutarci a domare le nostre passioni. Nelle prove e nell’avversità c’inspira vigore e coraggio. Vedete gli Apostoli: Ibant gaudentes a conspectu concila, quoniam digni habiti sunt prò nomine Jesu contumeliam patì. – S. Pietro diceva ai fedeli del suo tempo: Si exprobramini in nomine Christi, beati eritis… S. Stefano: Domine Jesu, suscipe spiritum meum. San Ignazio M.: « Hoc nomen cordi meo inscriptum habeo ». Nel nome di Gesù i martiri trovarono la costanza per soffrire e per morire. Giovanna d’Arco muore sul rogo, pronunziando tre volte il nome di Gesù…. Agli agonizzanti si suggerisce d’invocare il nome di Gesù, per sostenerli nell’ultimo combattimento.

3 – — È un nome salutare —

a) per l’anima; Ipse enim salvum faciet populum suum a peccatis corum… Non est aliud nomen datum hominibus, in quo oporteat nos salvos fieri…. Quicunque invocaverit nomen Domini, salvus erit….  Eutimio diceva: Giuda si sarebbe salvato, se avesse invocato il nome di Gesù. Per la virtù del nome di Gesù noi tutti siamo santificati e purificati; —

b) per il corpo: in nomine meo serpentes tollent, et si mortiferuni quid biberint, non eis nocebit. – S. Pietro disse allo storpio: In nomine Jesu, surge et ambula. Nella vita dei santi leggiamo a migliaia di siffatti miracoli.

4. — È sovranamente efficace per allontanare tutti i mali, e per colmarci d’ogni sorta di beni. È la vera sorgente d’ogni fatta di grazie: Amen dico vobis, si quid petieritis Patrem in nomine meo, dabit vobis… – Bernardo, commentando quelle parole della Cantica: Oleum effusum nomen tuum, scrive che il nome di Gesù è come l’olio « Lucet, pascit, et ungit », cioè è luce, cibo e medicina «Jesus cognitus illuminat meutes, exoratus sanat infirmitates, invocatus roborat in periculis, cogitatus in tristitia consulatur et lætificat ».

5. — È infinitamente amabile. È il nome del nostro dolce Salvatore, del fratel nostro, del nostro amico, dello sposo diletto dell’anima nostra… È un nome di fede, di speranza e di amore…. Scrive ancora S. Bernardo : « Jesu, in aure dulce canticum, in ore mei mirificum, in corde nectar cœlicum. Nil canitur suavius, nil auditur jucundius, nil cogitatur dulcius, quam Jesus Dei Filius … »

III. — Come dobbiamo onorarlo?

1. — Pronunziamolo spessissimo… S. Paolo, tutto ripieno d’amore pel nome di Gesù, nelle sue lettere lo ripete più di 240 volte: decapitato, la sua lingua ancor tre volte lo proferisce. Pronunziamolo con gran rispetto, chinando il capo, facendo qualche volta la genuflessione: In nomine Jesu omne Senu flectatur… terrestrium... con grande divozione, riconoscenza ed affetto.

2. — Ad esempio di Dio e dei Santi, abbiamo la pia costumanza di non rifiutare mai qualunque cosa che ci venga chiesta nel nome di Gesù, tranneché non si possa farlo da noi.

3. — Siamo premurosi di fare sempre ogni nostra cosa nel nome di Gesù: Quodcunque facitis in verbo aut in opere, omnia in nomine D. N. . C… Sia che vegliate, sia che riposiate, sia che camminiate; se studiate, se scrivete, se pregate o lavorate…. fate ogni cosa in unione a Gesù Cristo, perché dice l’Autore dell’Imitazione « è un dolce paradiso l’essere uniti a Gesù ». Se sono ammalato, Gesù sarà il mio aiuto, il mio medico. Voglio spirare l’anima mia fra le braccia di Gesù; voglio che l’ultima mia parola sia: Gesù « Jesu, esto mihi semper Jesu, et salva me ».

4. — Giacché Gesù è stato il nostro Salvatore, attestiamogli tutta la nostra più viva gratitudine: amiamolo ardentemente, e prova di questo nostro amore, sia il profitto che dobbiamo trarre dalle sue grazie. Provvediamo a santificare e a salvare noi, e pensiamo e adoperiamoci per la santificazione e per la salvezza del nostro prossimo.

Conclusione.

— Fratelli miei! meditate attentamente tutto questo, riandate spesse volte la eccellenza e la possanza del nome di Gesù. Questo ricordo vi fortificherà, vi consolerà, vi farà vieppiù degni di Gesù e del cielo.

Vocatum est nomen ejus JESUS.

Gli uomini hanno la smania di voler circondare di celebrità il loro nome… All’uopo indurano nelle fatiche, ricorrono a qualunque mezzo. Vedete i discendenti di Noè!… Innalzarono la famosa torre di Babele… ut celebremus nomen nostrum…. Era una vera pazzia… Anche dei conquistatori, per lo stesso obbiettivo, hanno seminato di stragi il mondo, hanno minato le nazioni…. Fu una follìa selvaggia, crudele!… I loro nomi non si ricordano senza un senso di raccapriccio. Venne sulla terra il Figlio di Dio per salvare gli uomini e per fare del bene… Anche il suo Nome benedetto è degnissimo di lode e della nostra riconoscenza. Questo Nome è un nome di potenza, di speranza e di amore.

I. — Nome di potenza.

Gesù è il Nome del Figliuol di Dio: designa la maestà infinita del Verbo fatto carne, del Re della gloria, a cui è stato dato ogni potere sì in cielo come in terra…. Di sé stesso ha detto: Per me reges regnant…. S. Giovanni, l’ha completato: Rex regum, Dominus dominantium. Il suo nome:

1. — È possente in cielo. Gli Angeli l’odono ripetersi, osannano a Lui, tremebondi circondano il suo trono. I santi lo cantano in un impeto di eterna riconoscenza: a questo Nome divino devono la loro salvezza, la lor gloria, la loro felicità. Questo Nome benedetto ha il potere di aprire per noi i tesori del cielo A questo nome sacro si piega Iddio Padre — niente rifiuta: Si quid petieritis Patrem in nomine meo, dabit vobis.

2. — È possente sulla terra. Predicandolo, gli Apostoli hanno compiuto dei veri miracoli, hanno infranti gli altari e le false divinità, hanno evangelizzato i popoli, hanno cacciato via le tenebre della barbarie. Questo nome ha recato al mondo intero luce e salute…. Quicumque invocaverit nomen Domini, salvus erit … « Paulus, scrive S. Bernardo, portabat Nomen tamquam lumen, et illuminabat patriam ». Ha il potere di liberarci da ogni sorta di pericoli, di consolare gli afflitti, di convertire i peccatori, di confortare ed aiutare i moribondi. « Ire della terra, diceva S. Pier Crisologo, si fanno chiamare dal nome dei popoli vinti e soggiogati: il Figlio di Dio ha preso quaggiù il suo nome dai benefici che ci ha fatto ». Quante vittorie ha riportato questo nome sui nemici della fede e della Chiesa!

3. — È possente laggiù nell’inferno. Al pronunciarsi del nome di Gesù, i demoni si turbano, tremano, ruggiscono. Nel nome di Gesù i Santi hanno riportato moltissime vittorie sugli spiriti delle tenebre!

II. — Nome di speranza.

1. — Positus est hic… in resurrectionem multorum. Questo nome divino ci protegge contro ogni sorta di malattie, di mali spirituali e temporali, che potrebbero esserci procacciati, dalla cattiveria dei demoni o del mondo. Siete infermi? Invocate il Nome di Gesù, vi guarirà o almeno vi consolerà. Siete afflitti? invocate il Nome di Gesù, vi sosterrà e vi conforterà… Può sviare da voi i castighi che avete meritato co’ vostri peccati

2. — Ci ottiene ogni sorta di beni: innanzi tutto il perdono dei nostri trascorsi, poi le grazie necessarie per vivere santamente, per praticare le virtù cristiane, per morire piamente tra le braccia di N. S.

3. — Finalmente possiamo sperare, in virtù di questo Ss. Nome, d’entrare, quandochessia, incielo. Ne è come la chiave: Non est aliud nomcn datum hominibiis, in quo oporteat nos salvos fieri… Ci pensiamo noi a tutti questi motivi di consolazione e di speranza?

III. — Nome d’amore.

Ci ricorda tutte le meraviglie Cuor di Gesù. Dice il P. Coleridge che è un compendio completo, una descrizione perfetta del carattere del Verbo Incarnato, nonché della sua divina missione. Ci squaderna dinnanzi allo sguardo:

1. — I suoi innumeri benefici. Innanzi tutto verso la Madre Sua: « Cui Virgini, dice S. Pier Crisologo, merito salva sunt omnia, quæ omnium genuit Salvatorem »; poi verso tutti noi a partire dal momento in cui discese dal cielo… Se si considera la disposizione che il Divin Verbo ebbe di salvarci, il nome di Gesù gli conviene dal primo istante del suo concepimento: se si considera l’atto col quale meritò di salvarci, questo stesso nome gli conviene a datare dal giorno della circoncisione, in cui effuse le prime stille di quel sangue, che più tardi avrebbe in larga copia versato sulla Croce.

Questo Nome, mirabilmente espressivo, ricorda nello stesso tempo l’Incarnazione e la Redenzione, lo stabilimento della Chiesa, l’istituzione dei Ss. Sacramenti, specie quello della Eucarestia, e finalmente la glorificazione degli eletti in cielo, ove l’opera del Salvatore avrà il suo compimento.

2. — Le pene indicibili, che ha tollerato per noi. Questo Nome di Salvatore non è un nome vano. Ha operato la nostra salvezza a prezzo del suo sangue…. Empti estis pretio magno…. dice l’Apostolo. Il Nome di Gesù ricorda agli uomini tutti quello che per loro ha sofferto dalla Circoncisione fino al Calvario.

3. — Le virtù, che ha esercitato. Quand’io pronuncio il nome di Gesù, mi rappresento un uomo dolce e umile di cuore, un uomo buono, compassionevole, ripieno d’ogni virtù, un Dio, la stessa Bontà, la Potenza e la Santità infinita; venuto dal cielo per mostrarci la via che al cielo mena e per salvarci. – Quando dico Gesù, dico tutte le perfezioni divine ed umane in tanto in quanto quest’ultime possono convenirgli…. Non sono questi possenti motivi per amarlo di amor vero, per seguirlo con generosità, per servirlo con fedeltà, per imitarlo? « Sit tibi Jesus semper in corde, hic sit cibus, dulcedo et consolation tua » (S. Anselmo). « Nec lingua valet dicere, nec littera exprimere: expertus potest credere quid sit Jesum diligere ».

Conclusione.

— Siate pieni di rispetto, di riconoscenza, e di amore per il Nome Ss. di Gesù. Questo nome benedetto vi sia come di stimolo per amare vieppiù il Divin Salvatore, e per imitarlo. « Sis. Jesu, nostrum gaudium, qui es futurum proeminium: sit nostra in te gloria, per cuncta semper sæcula ».

Dei significati del Nome di Gesù.

Vocatum est nomen ejus JESUS, quod vocatum est ab Angelo.

Se noi comprendessimo bene tutti i sigriificati misteriosi e meravigliosi del santo nome di Gesù, con quale rispetto e con quanto amore lo pronunceremmo! – Consideriamone qualcuno. « Àdmirabile nomen Jesu, quod est super omne nomen, venite adoremus ».

I. — Gesù il nome del nostro Iddio e Sovrano Signore.

Isaia anticipatamente salutava il Verbo Incarnato in questi termini: Puer natus est nobis…. et vocabitur nomen ejus Admirabilis. Consiliarius. Deus, Fortis, Pater futuri sæculi, Princeps pacis… GESÙ significa tutto questo, perché Gesù è il Figlio unico di Dio, il Dio eterno e onnipossente, il Creatore del cielo e della terra, il Sovrano Signore di tutto il creato…. Sanctum adunque et terribile nomen ejus. Gli Angeli lo pronunciano venerabondi e tremebondi: Deus exaltavit illum, et donavit illi nomen, quod est super omne nomen… Pronunziamolo adunque col più grande rispetto, con la più profonda venerazione…. Domine, Dominus noster, quam àdmirabile est nomen tuum in universa terra… Confitemini Domino, et invocate nomen ejus; mementote quoniam excelsum est nomen ejus Sit nomen Domini benedictum, ex hoc nunc, et usque in sæculum.

 II. — Gesù è il nome del nostro dolce Salvatore.

Ecce concipies et paries filium, disse Gabriele a Maria, et vocabis nomen ejus JESUM. Mentre l’Arcangelo diceva a Giuseppe di imporre questo nome al nascituro, soggiungeva che l’infante avrebbe salvato populum suum a peccatis eorum. Difatti il Figlio di Dio è venuto per salvarci: la sua missione fu questa: quærere et salvum facere quod perierat. Appunto per questo motivo Dio Padre da tutta l’eternità gl’impose il nome di Gesù che vuol dire: Salvatore. Ma Gesù, avendo perfettamente qua in terra realizzato il significato del suo nome, ne consegue che questo nome fa a noi rifluire tutto quello che ha fatto e sofferto per salvarci: tutti i misteri della sua vita, i suoi sacramenti, l’invio degli Apostoli per omnem terram, la sua perpetua presenza nella Chiesa e nella Ss. Eucarestia…. brevemente « tutto l’ordine e tutta l’economia della redenzione umana » come s’esprime bellamente il Catechismo Romano. – Gioia, riconoscenza, amore, ecco i sentimenti che il nome di Gesù dovrebbe ridestare nel nostro cuore! Non est aliud nomen datum hominibus, in quo oporteat nos salvos fieri… Dedìt se ut liberaert populum, et acquireret sibi nomen æternum Propter gloriam nominis tui, Domine, libera nos, et propitius esto peccatis nostris propter nomen tuum….

III. — Gesù è il nome del nostro Divin modello.

Di fatti il nome di Gesù ci ricorda la sua santa vita, tutte le sue adorabili perfezioni, tutte le virtù ammirabili che ha praticato per salvarci, per insegnarci la via del cielo: giacché N. S. cœpit facere et docere… – Adunque Gesù è l’umiltà, la dolcezza, la bontà, la misericordia; è la purezza, la modestia; è la povertà, l’obbedienza, l’abnegazione, la pazienza… – Qui sequitur me, non ambulat in tenebris. Discite a me… exemplum dedi vobis… Inspice et fac secundum exemplar ejus… 0 Jesu, oleum effunsum nomen tuum, adolescentulæ dilexerunt te. Questo Nome dolcissimo, ecciti pertanto in noi tutti un ardente desiderio di imitare un sì amabile Salvatore, un sì splendido Modello; riproduciamo in noi stessi le sue virtù, la sua vita. Con lo sforzo di rassomigliarci a Lui, diventeremo suoi discepoli e degni di essere accolti in cielo… Pensiamo sovente al santo Nome di Gesù.

IV. — Gesù è quel premio che avanza ogni umano desiderio.

Lo ha detto Lui stesso: Ego ero merces tua magna nimis. Con quale trasporto d’amore i Santi lo lodano e lo ringraziano in Cielo!…. Magnificate Dominum mecum, et exaltemus nomen eius in idipsum. Dopo d’averci sulla terra insegnata la via del paradiso, ascese al cielo per preparare un posto a ciascun di noi…. Vado parare vobis locum… Pater, volo ut ubi sum ego, et ubi sint mecum. Siamogli fedeli, amiamolo, imitiamolo. Viviamo quaggiù della vita sua, e un dì gioiremo eternamente in cielo: sappiate che « esse cum Jesu dulcis paradisus »! così l’autore dell’Imitazione. Sursum corda! perocché ubi thesaurus vester est, ibi et cor vestrum erit. Distacchiamo il nostro cuore dalla terra; in alto le menti e i cuori, aneliamo alle gioie imperiture del cielo: Si consurrexistis cum Christo, quae sursum sunt quaerite, ubi Christus est in dextera Dei sedens: quæ sursum sunt sapite, non quæ super terram.

Conclusione. — Amiamo, lodiamo, ringraziamo Gesù per tutto il tempo di nostra vita. Pronunciamo frequentemente il suo Santo Nome, chiediamogli la grazia di vivere per Lui, di fare in ogni cosa la sua santa volontà, acciocché possiamo andarlo a godere per sempre in Paradiso: « Jesum omnesagnoscite: amorem ejus poscite; Jesum ardenter quærite, quærendo inardescite. Sis, Jesu, nostrum gaudium, qui es futùrum prœmium: sit nostra in gloria, per cuncta semper sæcula». Amen!

MESSA DI CAPODANNO (2019)

MESSA DI CAPODANNO

Incipit
In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus
Isa IX: 6
Puer natus est nobis, et fílius datus est nobis: cujus impérium super húmerum ejus: et vocábitur nomen ejus magni consílii Angelus. [Ci è nato un bambino, ci è stato dato un figlio, il cui impero poggia sugli ómeri suoi: e il suo nome sarà: Angelo del buon consiglio.
Ps XCVII: 1
Cantáte Dómino cánticum novum: quia mirabília fecit. Cantate al Signore un cantico nuovo: perché ha fatto cose mirabili.
Puer natus est nobis, et fílius datus est nobis: cujus impérium super húmerum ejus: et vocábitur nomen ejus magni consílii Angelus. [Ci è nato un bambino, ci è stato dato un figlio, il cui impero poggia sugli ómeri suoi: e il suo nome sarà: Angelo del buon consiglio.]

Oratio
Orémus.
Deus, qui salútis ætérnæ, beátæ Maríæ virginitáte fecúnda, humáno géneri praemia præstitísti: tríbue, quǽsumus; ut ipsam pro nobis intercédere sentiámus, per quam merúimus auctórem vitæ suscípere, Dóminum nostrum Jesum Christum, Fílium tuum:  [
O Dio, che mediante la feconda verginità della beata Maria, hai conferito al genere umano il beneficio dell’eterna salvezza: concédici, Te ne preghiamo: di sperimentare in nostro favore l’intercessione di Colei per mezzo della quale ci fu dato di ricevere l’autore della vita: il Signore nostro Gesú Cristo, tuo Figlio:]

Lectio
Léctio Epístolæ beati Pauli Apóstoli ad Titum.
Tit II: 11-15
Caríssime: Appáruit grátia Dei Salvatóris nostri ómnibus homínibus, erúdiens nos, ut, abnegántes impietátem et sæculária desidéria, sóbrie et juste et pie vivámus in hoc saeculo, exspectántes beátam spem et advéntum glóriæ magni Dei et Salvatóris nostri Jesu Christi: qui dedit semetípsum pro nobis: ut nos redímeret ab omni iniquitáte, et mundáret sibi pópulum acceptábilem, sectatórem bonórum óperum. Hæc lóquere et exhortáre: in Christo Jesu, Dómino nostro.

OMELIA I

CIRCONCISIONE

IL PROGRAMMA DELLA NOSTRA VITA

[A, Castellazzi: Alla Scuole degli Apostoli. Ed. Artigian. Pavia, 1929 – imprim. ]

“Carissimo: La grazia di Dio nostro Salvatore si è manifestata per tutti gli uomini, insegnandoci che, rinunciata l’empietà e i desideri mondani, viviamo con temperanza; con giustizia e con pietà in questo mondo, in attesa della beata speranza e della manifestazione gloriosa del grande Dio e Salvatore nostro Gesù Cristo; il quale ha dato se stesso per noi, per redimerci da ogni iniquità, e formarsi un popolo puro che gli fosse accetto, zelante delle buone opere. Così insegna ed esorta in Cristo Signor nostro” (Tit. II, 11-15). –

Quando S. Paolo si recò nell’isola di Creta col suo discepolo e collaboratore Tito, vi trovò parecchi gruppi di Cristiani, che non erano organizzati in una gerarchia regolare. Non potendo l’Apostolo trattenersi a lungo nell’isola, vi lasciò Tito a organizzare quella Chiesa. Più tardi gli scrive una lettera. In essa gli dà norme da seguire nell’adempimento del suo ufficio pastorale rispetto agli uffici ecclesiastici, ai doveri delle varie classi di persone e ai doveri generali dei Cristiani. Nel brano riportato, avendo prima stabiliti i doveri secondo i differenti stati, reca la ragione per la quale i Cristiani sono tenuti a questi doveri. Sono tenuti perché Dio, che nella sua bontà è sceso dal cielo per tutti, ha insegnato a tutti a rinunciare all’empietà e ai desideri del secolo per vivere nella moderazione, nella giustizia, nell’amor di Dio. Così vivendo saranno consolati dalla presenza della venuta del Redentore, il quale ha dato in sacrificio se stesso per riscattarci dal peccato, e così formare di noi un popolo veramente eletto, tutto dato alle buone opere. Sul cominciare dell’anno la Chiesa ripete a noi questo insegnamento, per esortarci a vivere secondo:

1. Pietà,

2. Temperanza,

3. Giustizia.

1.

 L’Incarnazione e la vita su questa terra del Figlio di Dio, sono una scuola efficacissima per tutti gli uomini. « Tutta la sua vita mortale — dice S. Agostino — fu una scuola di ben vivere per mezzo della natura umana che si è degnato di assumere» (De vera Relig. 16, 32). In primo luogo Gesù Cristo ci insegnò che per attendere la beata speranza dobbiamo aver rinunciata l’empietà e i desideri mondani. – Nella religione pagana, che i novelli Cristiani avevano abbandonata, il culto della verità non esisteva. Si aveva qualche conoscenza di Dio, ma non si adorava come Dio. Il culto che gli si prestava era superstizioso quando non era immorale. Dell’ultimo fine dell’uomo si aveva un’idea sbagliata. Non si cercava tanto di condurre una vita terrena, che fosse preparazione alla vita celeste, quanto di godere quaggiù più che fosse possibile, come se tutto dovesse finire in questa valle di lacrime. Non si alzava a Dio la mente, la quale non sapeva sollevarsi da quanto cadeva sotto gli occhi. Tra queste dense tenebre di errori e di corruzione apparve Gesù, sapienza increata, che insegnò la vera dottrina rispetto a Dio uno ed eterno: che ci manifestò le verità che riguardano la seconda vita; ne indirizzò le menti e i cuori a Dio, nostro principio e nostro fine. – I novelli convertiti avevano rinunciato alle dottrine empie del paganesimo, ma ciò non era tutto. L’edificio vecchio dell’empietà era stato demolito, e al suo posto bisognava innalzare l’edificio della pietà. Quanti esempi ci ha lasciato Gesù Cristo in proposito! A dodici anni sale al tempio con Maria e con Giuseppe per la solennità di Pasqua. Terminata la solennità, rimane in Gerusalemme. Quando, dopo tre giorni di ricerche, Maria e Giuseppe lo ritrovano, al lamento della Madre Gesù risponde: « Perché mi cercavate? Nulla sapevate che io devo attendere a ciò che riguarda il Padre mio? » (Luc. II, 49). E come attendeva Gesù in quei giorni alle cose del Padre suo? Stando nel tempio seduto in mezzo ai dottori in atto di ascoltarli e interrogarli. Grande scuola di pietà pei fanciulli, i quali dall’apprendimento delle cognizioni profane non devono disgiungere l’apprendimento delle cognizioni divine. Appena la loro mente si apre devono incominciare a interessarsi della loro sorte celeste, a conoscer Dio, a conoscere la sua volontà. Grande scuola anche per gli adulti. L’obbligo di interessarsi di Dio, del nostro ultimo fine incomincia alla soglia, della vita, e non cessa che alla nostra partenza da questo mondo. Se le verità che riguardano Dio le abbiam dimenticate, bisogna richiamarle alla mente con lo studio del Catechismo, con la frequenza alle prediche. – Interessarsi di Dio vuol dire procurare la sua gloria. Questa procurò sempre Gesù in tutta la sua vita. E la sera che precedette la sua passione poteva dire : «Padre, io ti ho glorificato sulla terra» (Giov. XVII, 4). Noi possiamo dar gloria a Dio mostrandoci Cristiani pubblicamente, edificando gli altri con la frequenza ai santi Sacramenti, con la pratica degli esercizi di pietà. Interessarsi di Dio vuol dire intrattenersi con Lui mediante la preghiera. Gesù Cristo, che ci ha insegnato ed esortato a pregare con la parola, ci ha anche grandemente confortato alla pratica della preghiera col suo esempio. Egli prega nel tempio e prega sul monte quando ha cessato di ammaestrare le turbe. Prega nel deserto e prega nella gloria della trasfigurazione; prega di giorno e prega di notte. Prega quando risuscita Lazzaro, quando istituisce l’Eucaristia. Con la preghiera incomincia e chiude la sua passione. In una parola, Egli ha praticamente dimostrato come «bisogna pregar sempre, senza stancarsi mai» (Luc. XVIII, 1).

2.

E ‘ naturale che nella religione pagana l’uomo non fosse portato alla rinuncia, al sacrificio. Il piacere, l’accontentamento delle passioni non vi trovavano ostacolo alcuno. Tutt’altro, invece, è nella Religione Cristiana. Gesù Cristo venne su questa terra a darci insegnamenti ed esempi affatto opposti agli insegnamenti e agli esempi pagani. Egli è venuto a insegnarci che rinunciati i desideri mondani viviamo con temperanza. Si tratta di una vera riforma della vita. Non solo bisogna voltare la schiena alle antiche abitudini: bisogna formarsi abitudini nuove. Uno può voltare la schiena alle antiche abitudini, senza allontanarsene troppo. Senza staccare da esse il cuore. È un addio forzato col desiderio, se non sempre con la speranza, dell’a rivederci. Non siamo noi che ci distacchiamo da ciò che domina in questo mondo: sono spesso le circostanze che ce ne staccano: sono questi beni apparenti che spesso ci abbandonano, lasciando noi nell’amarezza. Questa non è la sobrietà e la temperanza insegnataci da Gesù Cristo e dai suoi Apostoli. Gesù Cristo ci ha insegnato la rinuncia ai desideri sregolati dei beni di questo mondo. E rinuncia vuol dire staccarsene senza rimpianto, e senza desiderio di ritornarvi. Rinuncia vuol dire essere pronto a sostenere qualunque sforzo, a impegnarsi in un combattimento lungo e faticoso, a provare avversione per ciò che prima si amava, ad amare e praticare ciò che prima si odiava. « Gesù Cristo ci ha redenti, affinché, conducendo una vita illibata e ricca di buone opere possiamo divenire eredi del regno di Dio» (Ambrosiaster, in Ep. ad Tit.. cap. II, v. 11). Il Cristiano che vuol conseguire l’eredità del regno celeste, deve saper porre un freno alle proprie tendenze; altrimenti non riuscirà a condurre una vita illibata, ad arricchirsi di buone opere. Senza la temperanza saremo ben presto travolti dalle passioni. La malerba cresce presto: tagliata, ricompare ben tosto. Le passioni, anche rintuzzate, rialzano subito il capo. L’odio, la superbia, l’avarizia, la lussuria, la gola si fanno sentire a nostro dispetto. Che avverrà se, invece di combatterle con la mortificazione ne porgiamo loro alimento, con l’assecondarle? Presto ci prenderanno la mano e ci trasporteranno dove esse vogliono. – Tanto, coloro che non sanno mai porre un limite alle loro brame non possederanno mai neppure su questa terra il godimento che vanno immaginandosi. Un viandante si propone di arrivare a quell’altura che si presenta al suo sguardo. Quando vi è giunto vede che, dopo uno spazio più o meno esteso di terreno piano, si trova un’altra altura. Non si dà pace finché non ha raggiunta anche quella. Arrivato vi vede ripetersi la scena di prima. Nuova altura, e dopo quella un’altra ancora, ed egli è inquieto perché non può raggiungerle tutte. Così, coloro che non sanno mai mettere un limite ai loro desideri, che non sanno imporsi delle privazioni saranno sempre malcontenti e irrequieti per le disillusioni che provano. I volti sereni, l’allegria schietta, che è il riflesso della pace dell’anima, si cercherebbero invano tra coloro che si fanno un idolo del ventre, degli onori, delle ricchezze, dei piaceri. Chi vuol trovarli li deve cercare tra coloro che sanno porsi un freno nell’uso dei beni di questa vita, e sanno moderare le loro voglie.

3.

Gesù Cristo ci ha anche insegnato a vivere con giustizia rispetto al prossimo. Questa giustizia richiede « che nessuno desideri ciò che è del prossimo » (S. Efrem). Molto più richiede che non si tolga ciò che è del prossimo. Richiede che non gli tolgano i beni materiali coi furti, con le appropriazioni indebite, con le dannificazioni, con le frodi, con la sottrazione della paga dovuta, col non mettersi in grado di pagare i debiti ecc. Richiede che non gli si tolgano i beni morali con le calunnie, con le mormorazioni, con le critiche ingiuste, con le insinuazioni. Richiede che non gli si tolgano i beni spirituali con il cattivo esempio, con la propaganda dell’errore, con toglierlo alle pratiche di pietà, con avviarlo alle usanze mondane. – L’uomo è creato per vivere in società. La vita sociale ha molti privilegi; ma, si sa: ogni diritto ha il suo rovescio. La vita sociale porta con sé anche i suoi pesi. Caratteri perfettamente uguali non si trovano. Ogni creatura ha la sua natura. E questo basta perché possano sorgere dissensi, contrasti tra coloro che, o per un motivo o per un altro, si trovano a contatto. Lo spirito della giustizia vuole che in questi casi non si abbia a scendere a liti o a recriminazioni. « Gli uni portate i pesi degli altri, e così adempirete la legge di Cristo », ci dice l’Apostolo (Gal. VI, 2). I l quale ancor più chiaramente dice ai Corinti: « In tutti i modi è già un mancamento l’aver delle liti gli uni con gli altri. E perché piuttosto non sopportate qualche ingiustizia? Perché piuttosto non soffrite qualche danno? » (I Cor. VI, 7). Invero se domandiamo a Dio che sopporti noi, è troppo giusto che noi sopportiamo gli altri. Sentiamo l’Ecclesiastico: «Un uomo nutre lo sdegno contro un altr’uomo, e chiede che Dio lo guarisca? Egli non usa misericordia verso il suo simile, e chiede perdono de’ suoi peccati? Egli che è carne conserva rancore, e chiede che Dio gli sia propizio?» (Eccli XXVIII, 3-5). – È spirito di giustizia non restringere la mano quando si tratta di soccorrere i fratelli bisognosi. La solennità di quest’oggi c’insegna che Gesù Cristo ha dato per noi il suo sangue. E noi, seguaci di Gesù Cristo, non faremo cosa straordinaria se daremo al nostro prossimo un po’ di quei beni, che Dio ci ha largiti. Dovessimo dare al nostro prossimo tutto quanto possediamo non daremo mai quanto a noi ha dato Gesù Cristo, il quale ha dato se stesso per noi, per redimerci da ogni iniquità. Non lesiniamo nel dimostrare la nostra giustizia verso il prossimo, se vogliamo sperare l a manifestazione gloriosa del grande Dio e Salvatore nostro Gesù Cristo. « Chiunque, pertanto, vuol pervenire al regno celeste, viva con temperanza verso se stesso, con giustizia verso il prossimo, con pietà perseverante verso Dio» (S. Fulgenzio, De remiss. Pacc. L. 1 c. 23). Cominciamo subito da quest’oggi a mettere in pratica questo programma affinché, se il Signore volesse chiamarci al rendiconto nel corso di quest’anno, in qualunque momento ci chiami abbia a trovarci pronti.Mons. Francesco Iannsens, Vescovo di Nuova Orleans, venerato dai suoi figli come un santo, viaggiando sopra un piroscafo alla volta d’Europa, è colpito improvvisamente dalla morte. Non gli rimane che il tempo di inginocchiarsi in cabina e dire: «Mio Dio, v i ringrazio che son pronto» (La Madre Francesca Zaverio Cabrini; Torino 1928, p. 144-45). Che d’ora innanzi la nostra vita sia tale, da poter anche noi dare questa risposta alla divina chiamata, in qualunque momento e in qualunque circostanza si faccia sentire!

Graduale
Ps XCVII: 3; 2
Vidérunt omnes fines terræ salutare Dei nostri: jubiláte Deo, omnis terra.
V. Notum fecit Dominus salutare suum: ante conspéctum géntium revelávit justitiam suam. Allelúja, allelúja.

[Tutti i confini della terra videro la salvezza del nostro Dio: acclami a Dio tutta la terra.
V Il Signore ci fece conoscere la sua salvezza: agli occhi delle genti rivelò la sua giustizi. Alleluia, alleluia.]

Heb I: 1-2
Multifárie olim Deus loquens pátribus in Prophétis, novíssime diébus istis locútus est nobis in Fílio. Allelúja. [Un tempo Iddio parlò in molti modi ai nostri padri per mezzo dei profeti, ultimamente in questi giorni ha parlato a noi per mezzo del Figlio. Allelúia.]

Evangelium

Munda cor meum, ac labia mea, omnípotens Deus, qui labia Isaíæ Prophétæ cálculo mundásti igníto: ita me tua grata miseratióne dignáre mundáre, ut sanctum Evangélium tuum digne váleam nuntiáre. Per Christum, Dóminum nostrum. Amen.
Jube, Dómine, benedícere. Dóminus sit in corde meo et in lábiis meis: ut digne et competénter annúntiem Evangélium suum. Amen.
Sequéntia sancti Evangélii secúndum S. Lucam.

Luc II: 21
In illo témpore: Postquam consummáti sunt dies octo, ut circumciderétur Puer: vocátum est nomen ejus Jesus, quod vocátum est ab Angelo, priúsquam in útero conciperétur.

OMELIA II.

Circoncisione — Battesimo — Nome di Gesù.

[Mons. G. Bonomelli, Misteri Cristiani, Queriniana ed. Brescia, 1898, . imprim.]

« Come furono compiuti gli otto giorni, per circoncidere il bambino, gli fu posto nome Gesù, come era stato chiamato dall’Angelo, prima di essere concepito nel seno » (S. Luca II 21).

In questo solo e non lungo versetto si contiene la lezione evangelica, che or ora solennemente si cantava e che la Chiesa ci mette innanzi affinché la meditiamo: se brevissima è la lezione evangelica, alto e gravissimo ne è il significato. Arte mirabile e veramente divina sapienza è questa della Chiesa di tener sempre viva nella mente de’ suoi figliuoli la memoria dei misteri principali della fede; misteri che si incontrano tutti e insieme si svolgono nella adorabile Persona di Gesù Cristo e a vari intervalli troviamo sparsi lungo la via dell’anno liturgico. Otto giorni or sono la Chiesa piena di gioia ci invitava a contemplare il divino Infante nella spelonca di Betlemme e a riconoscerlo ed adorarlo coi pastori; oggi ci chiama ancora a Betlemme, in quella stessa spelonca, giacché sembra che in questi otto giorni nessuno gli avesse offerto un asilo meno disagiato per assistere al doloroso rito della Circoncisione, alla quale gli piacque sottoporsi. Fra sei giorni lo rivedremo ancora in atto di ricevere gli omaggi dei primi credenti gentili, i Magi. Si direbbe che la Chiesa lungo il cammino che i suoi figliuoli devono percorrere, qua e là innalza alcune colonne, sulle quali sta scritta una pagina della vita del suo sposo, il Salvatore del mondo. I popoli, ivi passando, si fermano alcun poco, levano gli occhi, leggono quella pagina, pensano al divino Maestro, ricordano la sua vita e i suoi esempi, e, ristorate le forze, più, lieti ed animosi ripigliano la via, che dalla terra della schiavitù, l’Egitto, attraverso alle ardenti sabbie del deserto, conduce alla terra promessa, alla terra dove scorre latte e miele. – Nel corso dell’anno ecclesiastico è questa la seconda colonna, che troviamo. Che cosa vi leggiamo noi, o carissimi? Due sole parole, ma feconde di preziosi insegnamenti: Circoncisione e il nome di Gesù. Arrestiamoci un poco ai piedi di questa colonna e meditiamole con religiosa attenzione. – « Come furono compiuti gli otto giorni per circoncidere il Bambino, gli fu posto nome Gesù, com’era stato chiamato dall’Angelo prima d’essere concepito nel seno ». In questa sentenza evangelica, come dissi, due cose distinte sono accennate, la Circoncisione e il nome di Gesù, che il Bambino celeste ricevette nello stesso tempo; su queste due cose fermeremo le nostre considerazioni. – (In questo luogo S. Luca non dice veramente che Gesù ricevesse la Circoncisione, ma solo che erano compiuti gli otto giorni, nei quali doveva riceverlo; ma la maniera di scrivere dell’Evangelista congiunta alla tradizione costante, unanime ed universale e suggellata con la festa, che si celebra, ci dà la certezza assoluta che Gesù Cristo fu circonciso. – Il rito della Circoncisione si poteva compiere da chiunque, in qualunque luogo, e perciò possiamo credere che Gesù la ricevesse nel luogo stesso, dove nacque e da Giuseppe come pensano alcuni Padri.) – Che cosa era la Circoncisione, che la legge mosaica imponeva soltanto ai bambini di sesso maschile? Era un taglio doloroso, che si faceva sul corpo del bambino, od anche dell’uomo adulto, allorché questo voleva essere ascritto tra i figli di Abramo e abbracciare la legge mosaica. Quando fu essa istituita? Allorché Iddio fece ad Abramo la solenne promessa, che in lui sarebbero benedette le genti tutte e che dalla sua progenie verrebbe il Salvatore del mondo. Più tardi poi Mosè determinò il tempo, cioè l’ottavo giorno dopo la natività, stabilì i particolari del rito e la pena terribile per chi non l’avesse compiuto. Il rito della Circoncisione fu in uso non solo presso i Giudei, ma presso altri popoli d’Oriente e in parecchi luoghi è osservata anche al giorno d’oggi, come assicurano di alcune tribù selvagge d’Africa viaggiatori degni di fede. Quale fu il fine di questo rito e quale il suo significato? Dio chiamò Abramo: gli fece magnifiche promesse, come apprendiamo dai Libri Santi, somma delle quali ch’egli sarebbe padre d’un gran popolo, dal quale sarebbe nato il Messia, l’Uomo – Dio, il riparatore del genere umano: Abramo rispose fedelmente alla chiamata e non venne mai meno nelle più dure prove: tra Dio ed Abramo avvenne come un Patto sacro e simbolo di questo Patto fa la Circoncisione, e ciò apparisce ripetutamente dalla dottrina dell’Apostolo. Oltre di che una società religiosa è simile ad un esercito, ad un corpo qualunque ordinato. Trovate voi un corpo, una società, un esercito, un regno, un impero, una repubblica senza un segno qualunque, una bandiera, intorno alla quale i singoli membri si raccolgano e si rattestino? No, per fermo; similmente la Religione mosaica domandava un segno visibile, che la distinguesse dalle altre e sotto il quale, quasi vessillo, si stringesse. Questo segno fa dato da Dio, accolto prima da Abramo e sancito qual legge fondamentale da Mosè. Chi non era circonciso presso gli Ebrei era fuori della Sinagoga, era gentile, come presso di noi Cristiani chi non ha ricevuto il Battesimo è infedele. Il perché non deve recare meraviglia che i Padri, seguendo l’insegnamento di S. Paolo, abbiano considerata la Circoncisione come una figura ed un simbolo del Battesimo cristiano: e in vero non pochi, né oscuri sono i punti di somiglianza tra i due riti sacri. – La Circoncisione fu istituita da Dio, Autore dell’Antico Patto, il Battesimo fu istituito dall’Uomo – Dio, Gesù Cristo, Autore del Nuovo Patto; la Circoncisione imprimeva nel corpo un segno indelebile, il Battesimo lo imprime nell’anima: la Circoncisione si riceveva una sola volta e una sola volta si riceve il Battesimo: quella si poteva dare dal Sacerdote e dal laico e questo si può amministrare validamente da qualunque persona anche infedele. La Circoncisione non conferiva la grazia per virtù propria ma era segno ed eccitamento della fede, che giustificava: il Battesimo è segno e insieme strumento, o mezzo infallibile della grazia: per la Circoncisione il bambino e l’adulto che la riceveva, diventava figlio di Abramo, membro della Sinagoga: pel Battesimo il bambino e l’adulto diventa membro della Chiesa e figlio adottivo di Dio. Ben a ragione dunque la Circoncisione giudaica fu sempre considerata come una figura del nostro Battesimo. E perché dunque, mi domanderete voi, perché dunque Gesù Cristo volle sottoporsi alla Circoncisione, Egli che era la stessa santità e veniva per abolirla? Per quelle stesse ragioni per le quali osservò più tardi tutte l’altre prescrizioni della legge mosaica e che sono con tanta accuratezza indicate dai Padri. Ricevendo la Circoncisione, Gesù Cristo riconobbe la sua origine divina e con essa tutta la economia mosaica: ci diede un esempio efficacissimo di ubbidienza alle leggi, anche quando impongono gravi sacrifici e tal era senza dubbio la Circoncisione; essa era una implicita confessione del peccato, a cui tutti i figli di Adamo erano e sono soggetti; e Gesù Cristo, che veniva per assumerne la pena ed espiarla in se stesso, che volle avere la somiglianza dei peccatori – In similitudinem carnis peccati – volle altresì la Circoncisione. V’ha di più; Gesù Cristo veniva per ammaestrare gli uomini e prima i fratelli suoi, secondo la carne, gli Ebrei, e più volte lo disse nel santo Vangelo: Era dunque necessario che rimuovesse da sé tutto ciò che in qualsiasi modo rendeva la sua parola meno accetta agli Ebrei; ora s’Egli non fosse stato circonciso, naturalmente lo avrebbero respinto come un gentile e questo solo sarebbe bastato a far sì che turassero le orecchie alle sue parole e l’avessero in abbominazione. Altro motivo e nobilissimo Egli ebbe di volere per sé la Circoncisione del corpo quale figura della Circoncisione del cuore, che si può dire il fondo dell’insegnamento pratico del Vangelo; ma di questo argomento a maggior agio ragioneremo altrove. Dissi che la Circoncisione mosaica, alla quale Gesù Cristo in questo giorno con esempio sublime di umiltà, di abnegazione e di amore al patire volontariamente si sottomise, è figura del nostro Battesimo e ne accennai le ragioni. Non vi paia dunque cosa strana, che qui tocchi alcune verità troppo necessarie intorno al Battesimo e vi metta in guardia contro certi abusi e pregiudizi, che sventuratamente si aprono la via nella nostra società cristiana. – Era legge inviolabile presso gli Ebrei che ogni bambino maschio ricevesse la Circoncisione ed era stato determinato il giorno ottavo dopo il nascimento. Non uno dei figli d’Israele violava la legge. Ora, non Mosè, ma Cristo, nella forma più solenne ha stabilito, che ogni uomo, senza distinzione di sesso, d’ età o di condizione riceva il Battesimo: non Mosè, ma Cristo ha chiaramente stabilito, che chi non riceve il Battesimo, è fuori della sua Chiesa, è già giudicato e condannato: udite « In verità, in verità ti dico, che se alcuno non è nato d’ acqua e di spirito non può entrare nel Regno di Dio » (S. Gio. III, 5). E ancora « Chi avrà creduto e sarà stato battezzato, sarà salvo; ma chi non avrà creduto (e non sarà battezzato) sarà condannato » (San Marco, XVI, 16). A questa legge assoluta, sancita da Cristo stesso, nessuno può sottrarsi: non gli adulti, che la conoscono e la devono osservare: non i bambini, ai quali devono provvedere i loro genitori e che per essi devono rispondere dinanzi a Dio finché i bambini non sono arbitri di se medesimi.

1) Non occorre il dirlo, la condanna eterna a chi non riceve il S. Battesimo è intimata soltanto a quelli che ne conoscono l’obbligo e la necessità, come è manifesto dalle parole di nostro Signore, che dice: « Predicate ad ogni creatura: chi avrà creduto e sarà battezzato ecc. ». Dunque si parla degli adulti, che prima devono essere istruiti, devono credere, e poi, come conseguenza del credere, ricevere il Battesimo. Ora che vediamo noi, o carissimi fratelli? Lo dico con profondo dolore: noi vediamo alcuni genitori (pochissimi è vero, ma l’esempio è contagioso), i quali rifiutano di presentare al sacro fonte i loro figliuoli. Quale oltraggio alla fede, che professiamo, alla Chiesa, della quale siamo figli! Grande Iddio! Sarebbe mai, che in mezzo ad una società, che Cristo ha fatto tutta cristiana, vedessimo sorgere una società non cristiana, una società pagana? Sarebbero questi i segni paurosi di quella defezione o apostasia, di cui parla l’Apostolo? Che molti non si curino della Confessione, della S. Eucaristia, del Matrimonio cristiano, degli altri Sacramenti, istituiti da Voi, o divino Salvatore, è un male, una sventura, è una colpa, che piangiamo a calde lagrime; ma che si rifiuti di ricevere il vostro Battesimo, che si respinga il carattere di vostro discepolo, che si chiuda la porta della vostra Chiesa, ah! questo è troppo. E tal delitto, che, in una società già tutta vostra, non ha nome; è la guerra fatta a voi stesso, è il ripudio formale del vostro Vangelo, è un ricacciarci negli orrori del paganesimo, è un dirvi: Non vi vogliamo più e aboliamo il vostro nome per sempre -. E questi genitori non sono essi compresi di ribrezzo e di spavento, pensando che i loro figli non appartengono a Cristo, che non portano impresso nell’anima loro il carattere di Lui, che sono come stranieri in mezzo alla famiglia cristiana? A qual religione adunque appartengono essi? Qual Dio riconoscono essi se non vogliono saperne del Dio dei Cristiani, se rigettano Gesù. Cristo? Qual fede, quale speranza possono essi avere quaggiù? Mio Dio! Non avrei giammai creduto, che i n mozzo a questa società, che piglia il suo nome e deve riconoscere le sue grandezze intellettuali, morali e materiali da Gesù Cristo, sorgessero uomini, che pubblicamente lo ripudiassero. Preghiamo per loro e che tanto scandalo ci ispiri orrore! Gesù Cristo stabilì e promulgò la legge del Battesimo sotto pena di eterna perdizione: la Chiesa, depositaria e interprete di questa legge sovrana, ne determina il tempo e quasi seguendo le traccio della mosaica, prescrive, che i bambini siano portati al sacro fonte entro l’ottavo giorno dal dì della nascita. Legge facile, tutta ispirata al bene spirituale dei bambini e in tutto conforme ai doveri, che ci stringono innanzi a Dio. E questa legge sì giusta, sì facile, tutta intesa al bene delle anime di questi bambini, si osserva? Ah! figli e fratelli carissimi, lasciate che vi esprima tutta l’amarezza dell’anima mia. Nelle nostre città e anche in alcune delle nostre borgate più popolose, sventuratamente alcuni genitori, (e non son pochi), non rifiutano, ma differiscono il Battesimo dei loro figli un mese, parecchi mesi e perfino qualche anno. E come ciò, o carissimi? Voi non potete ignorare come il Battesimo sia necessario per modo, che senza di esso le porte de’ cieli son chiuse: voi non ignorate che una legge gravissima della Chiesa vi obbliga a procurar loro tanto bene entro l’ottavo giorno dopo il loro nascimento; perché dunque ritardare sì a lungo l’adempimento del vostro dovere? Perché calpestare una legge della Chiesa sì facile ad osservarsi e di tanta importanza? La vita di questi bambini è d’una estrema delicatezza; un lieve soffio la può estinguere; qual dolore per voi, o genitori, qual rimorso per tutta la vita, qual conto dovreste rendere a Dio, se per vostra trascuratezza il vostro bambino morisse senza Battesimo! Ne sareste inconsolabili! Appena adunque v i è possibile, prima dell’ottavo giorno, portatelo al Tempio, affinché il vostro figlio diventi figlio di Dio e col Battesimo riceva il diritto alla vita eterna. Voi dite: – Si ritarda il Battesimo per giusti motivi; si aspetta che la madre possa prender parte alla festa di famiglia; si attende il padrino; spesso vi sono altre ragioni, che obbligano a differire il rito solenne -. Tutto ciò che volete, o carissimi; ma la legge esiste, la si deve osservare e se ragioni speciali ne rendono necessaria la dispensa, la si domandi a quella Autorità, che sola la può concedere, e che, benigna com’è, la concederà, né vi sia mai chi in cosa di sì grave momento si faccia giudice di se stesso. E perché in questi casi non si provvede tosto alla sicurezza del bambino, conferendogli privatamente il Battesimo, rimettendo a miglior agio la celebrazione del rito solenne, come desiderate? La legge civile prescrive il tempo, nel quale il neonato debb’essere inscritto nei pubblici registri e nessuno di voi, o genitori, vien meno alla sua osservanza e sta bene. Perché dunque non si mostra almeno eguale rispetto alla legge della Chiesa? Forse che le leggi di questa sono da meno delle leggi civili? Porse ché gli interessi eterni dell’anima sottostanno agli interessi temporari del corpo? Voi stessi siatene giudici. E poiché qui viene a proposito, non v i spiaccia che tolga ad esaminare una difficoltà, che si oppone e che merita una risposta, tanto più che ha l’apparenza di verità. – Si dice: – Sarebbe ragionevole differire il Battesimo a quel tempo, nel quale l’uomo conosce ciò che fa e ha coscienza dei doveri, che assume. E cosa che non è conforme alla ragione e al rispetto, che devesi alla libertà umana, ascrivere ad una religione chi non la conosce, imporgli doveri gravi, che al tutto ignora e che un giorno, conosciutili, potrebbe disconoscere e rigettare. E ciò che voi fate allorché conferite il Battesimo ad un bambino. Aspettate che cresca, che conosca la Religione e i doveri, ch’essa impone e che liberamente l’abbracci, se così gli parrà. E ciò che si faceva in altri tempi nella Chiesa; è ciò che si fa con gli altri Sacramenti, che si ricevono dopo acquistato l’uso della ragione. Nessuno deve esser fatto Cristiano senza saperlo, per sorpresa, quasi per forza e tale è il bambino, che riceve il Battesimo. Breve è la risposta, ma chiara e recisa. Padri, che mi ascoltate, ditemi: Trovereste voi ragionevole e giusto aspettare che i vostri figli tocchino i dieci, o i dodici anni prima di ricordar loro i doveri, che a voi li legano? Vi parrebbe ragionevole e giusto attendere il pieno sviluppo della loro intelligenza e il pieno esercizio della loro libertà per domandar loro se accettano di riconoscervi per padri, se acconsentono a divenire vostri figli ed adempirne gli obblighi? Che dico? Dov’è lo Stato, il quale aspetti che i bambini raggiungano l’uso della ragione e acquistino la piena balìa di se stessi, prima di dichiararli suoi sudditi e di esigere l’osservanza delle sue leggi? Basta che siano nati nel suo territorio perché egli li consideri e tratti come suoi sudditi, né crede necessario domandar loro se acconsentano di divenir tali e accettare le sue leggi. Forseché i vostri figli non sono stati inscritti tra i cittadini del paese, che gli è patria, pochi giorni dopo nati e prima che potessero conoscere quali doveri imponeva loro quell’atto? E vorreste, che Dio, Padre supremo di tutti, attendesse l’assenso dei vostri figli, prima di pigliar possesso di loro col Battesimo? E vorreste che la Chiesa aspettasse che questi figli, nati nel suo seno, un giorno venissero a dirle:- Noi siamo contenti di diventare col Battesimo vostri figli? – Il diritto di Dio sopra di voi, o genitori, e sopra dei vostri figli non è forse maggiore del vostro? Non esiste prima dei figli e di voi stessi? E chi può sottrarli al diritto ch’Egli ha sopra di loro, diritto imprescrittibile, diritto pieno e assoluto? Essi, questi bambini, non conoscono il dovere che hanno, né lo possono conoscere ed adempire; ma lo conoscete voi, o genitori; e poiché i vostri bambini formano una cosa sola con voi finché, con l’acquisto dell’uso della ragione, diventano arbitri di se stessi, il dovere cade sopra di voi e voi dovete procurar loro il Battesimo come lo dovreste ricevere voi stessi se ancora non l’aveste ricevuto. Voi dovete rispondere di loro fino a quel dì, nel quale la responsabilità passando con l’uso della ragione in essi, cesserà la vostra. Ed è sì vero che voi formate con essi una sola cosa e che voi dovete rispondere di loro finché coll’uso della ragione saranno padroni di se stessi, che la Chiesa non permette di battezzare i vostri bambini senza il vostro assenso, come severamente vieta di battezzare chicchessia contro la sua volontà. È vero: i bambini ricevono il Battesimo senza conoscerlo; ma senza conoscerlo contraggono eziandio la colpa primitiva; e così se ricevono la ferita, ricevono anche la medicina, ignorando l’una e l’altra. Sommo benefìcio è il Battesimo: qual beneficio maggiore che ricevere la grazia di Dio, L’essere fatti figliuoli suoi per adozione, eredi dell’eterna felicità! E si può ritardare tanto benefìcio ai propri figliuoli? E si deve aspettare ch’essi prestino il loro assenso? E aspettereste il loro assenso se si trattasse di accettare per essi una pingue eredità, un’alta onorificenza? Se i vostri bambini fossero infermi, aspettereste voi il loro assenso per chiamare il medico e porgere loro la medicina? Se la loro vita corresse pericolo, aspettereste voi il loro assenso per salvarli? Perché dunque non si tiene la stessa regola allorché si tratta della vita dell’anima? Dov’è l’uomo che rifiuti un grande favore ? L’assenso è sempre e necessariamente supposto: la volontà dei vostri figli ancor bambini, o genitori, è la vostra e quali obblighi essa abbia in faccia a Dio, non lo potete ignorare. Lo sappiamo: ne’ tempi antichi, nei primi secoli il Battesimo si differiva in età più adulta; ma vi erano motivi e ben gravi: non si volevano esporre incautamente fanciulli al furore della persecuzione: si volevano preparare a quelle terribili prove. Cessati i pericoli delle persecuzioni, la Chiesa riprovò 1′ abuso di differire il Battesimo ai figli di genitori Cristiani: ed oggidì noi vorremmo rinnovare quell’abuso? Non sia dunque che nelle nostre città e borgate si vedano bambini di parecchi mesi e talvolta di qualche anno non ancora battezzati, per conseguenza privi della grazia di Dio, in balìa del peccato ed in pericolo di morire fuori della Chiesa. La digressione è stata alquanto lunga, ma non inutile: ritorniamo al nostro argomento. – Presso gli Ebrei, nell’atto in cui il bambino veniva circonciso riceveva altresì il nome: similmente presso di noi, nell’atto in cui è battezzato, gli viene anche imposto il nome ed a ragione. Per la Circoncisione il bambino diventava membro della società mosaica, e pel Battesimo diventa membro della Società Cristiana; è dunque giusto che in quell’atto, nel quale viene ascritto nella nuova società, riceva anche il nome, col quale possa essere riconosciuto e scritto nel numero de’ suoi membri. Al Figlio di Maria e di Dio, dice il Vangelo, fu posto nome Gesù – Et vocatum est nomen eius Jesus -. Gesù! nome adorabile e glorioso, che un giorno risuonerà su tutte le lingue, in tutti gli angoli più remoti della terra. Che cosa è il nome? E una parola, che indica e designa una persona, che gli uomini s’accordano di darle e che talvolta è la espressione e lo specchio più o meno fedele delle sue doti fisiche e morali. Il nome d’una persona, perché sia veramente il suo nome, dovrebbe essere la cornice, che racchiude il quadro, la corolla che contiene il fiore; dovrebbe essere il compendio delle qualità, onde va adorno chi lo porta. Ciò raramente avviene tra noi, ma perfettamente avvenne nel Salvatore. Né poteva essere altrimenti, perché quel nome non veniva dagli uomini, ma da Dio stesso ed esprimeva a meraviglia il carattere personale, la dignità e la missione di Lui. Gesù, in nostra lingua, significa Salvatore: Salvatore senza restrizione di sorta, senza limite di tempo, di luoghi, di popoli: Salvatore universale, perenne. “Vero è che prima di Lui questo nome augusto fu dato ad uomini; ma ad essi non conveniva (e non sempre) che in parte e sovente sembrava una ironia amara: erano uomini che lo imponevano! Qui il nome di Gesù o Salvatore, è dato da Dio ed esprime fedelmente ciò ch’esso suona: Salvatore degli uomini, di tutti gli uomini, quanto all’anima e quanto al corpo, solo, unico Salvatore, perché nella grande opera che compie, non ha bisogno d’altri, e tutta sua ne è la gloria. Meritamente i Libri Santi dicono, che non v’è sotto del cielo altro nome, nel quale si possa avere salute e che al suono di questo nome santo si piega ogni ginocchio in cielo, in terra e giù nell’abisso. Parrebbe dunque impossibile che tanto nome possa essere profanato e bestemmiato da chi lo conosce, crede in Lui e ne ha ricevuto il beneficio della salvezza. E così, o carissimi? Rispondete Ohimè! Quante volte questo nome benedetto per le vie, per le piazze, per le case, in privato ed in pubblico è orribilmente insultato e bestemmiato! Insultare e bestemmiare il nome di Colui, che non solo non ci fatto, né può farci la più lieve offesa, ma ci ha colmato di benefici, che è il nostro Salvatore, l’unica nostra speranza! Non sia mai, o dilettissimi, che sulla vostra lingua risuoni la parola della bestemmia e nemmeno della irriverenza contro questo nome santissimo! A Lui sia sempre, in cielo, in terra, in ogni luogo, lode, onore e gloria! – Lo dissi sopra: come gli Ebrei nell’atto della Circoncisione, cosi noi Cristiani tutti nell’atto del Battesimo diamo il nome ai nostri bambini. E qui, o carissimi, non vi è osservazione utile a fare? Si, v’è e voi non muoverete lamento se la dirò con tutta franchezza. – La Chiesa raccomanda e quasi prescrive che ai bambini nel Battesimo si impongano nomi sacri, i nomi di qualcuno degli innumerevoli eroi, onde Essa va meritamente altera. Quel nome del santo deve ricordare per tutta la vita il modello da imitare, l’avvocato e protettore, al quale ricorrere. Quel nome, che portano, è un richiamo continuo alla fede, è un eccitamento alla virtù, è una parola, che compendia in sé  le gesta d’un Apostolo, d’un martire, d’un santo è uno sprone potente ad imitarne la vita, è un rimprovero efficace se con la loro condotta lo disonorano. Il Cristianesimo ha trionfato del paganesimo e la grandezza e la gloria di quello sotto qualsivoglia rispetto trascendono al tutto la grandezza e la gloria di questo. Perché dunque disseppellire nomi prettamente pagani e talvolta nomi di famosi colpevoli, di grandi scellerati ed imporli a vostri figli? Non è questa brutta e inesplicabile contraddizione? Noi, Cristiani, mendicare i nomi dei nostri figli presso i gentili o presso i romanzieri, forse al disotto dei gentili! I nomi di Pietro, di Paolo, di Giovanni, di Tommaso, di Luigi, di Francesco, di Agnese, di Agata, di Cecilia, di Caterina e di cento e cento altri eroi ed eroine della Chiesa cattolica non vi presentano ideali stupendi di fortezza, di virtù senza macchia, di scienza, di grandezza morale? Questa simpatia pei nomi pagani o quasi pagani o romantici, che largamente si manifesta in mezzo a noi, pur troppo è argomento di un’altra simpatia, la simpatia delle idee e delle opere pagane e romantiche, che fermentano in seno alla nostra società cristiana. Siamo Cristiani e i nomi dei nostri figli e nipoti siano pur essi una professione della nostra fede e un ricordo delle virtù, delle quali deve essere ricca e bella la nostra vita! – (Un indizio del ritorno al paganesimo in una parte della società nostra è questo ritorno ai nomi pagani. Fa pena leggere scritto sui fianchi delle locomotive Plutone, Pallade, Mercurio, Saturno, Minerva, Cerere, Astrea e via tutti i nomi degli Dei pagani, e maggior pena fa l’udire i nomi di Cibele, di Adone, di Milziade, di Temistocle, di Vetturia ai figli ed alle figlie. I nomi cristiani non sono belli abbastanza!)

Offertorium
Orémus
Ps LXXXVIII: 12; 15
Tui sunt cœli et tua est terra: orbem terrárum et plenitúdinem ejus tu fundásti: justítia et judícium præparátio sedis tuæ. Tuoi sono i cieli e tua è la terra: Tu hai fondato il mondo e quanto vi si contiene: la giustizia e l’equità sono le basi del tuo trono.

Secreta
Munéribus nostris, quǽsumus, Dómine, precibúsque suscéptis: et coeléstibus nos munda mystériis, et cleménter exáudi. Ti preghiamo, o Signore, affinché gradite queste nostre offerte e preghiere, Ti degni di mondarci con questi celesti misteri e pietosamente di esaudirci.

Communio
Ps XCVII: 3
Vidérunt omnes fines terræ salutáre Dei nostri.
Tutti i confini della terra videro la salvezza del nostro Dio.

Postcommunio
Orémus.
Hæc nos commúnio, Dómine, purget a crímine: et, intercedénte beáta Vírgine Dei Genetríce María, cæléstis remédii fáciat esse consórtes.
[Questa comunione, o Signore, ci purífichi dal peccato e, per intercessione della beata Vergine Maria Madre di Dio, ci faccia partecipi del celeste rimedio.]

Initium ✠︎ sancti Evangélii secúndum Joánnem.
Joann. 1, 1-14.
Junctis manibus prosequitur:
In princípio erat Verbum, et Verbum erat apud Deum, et Deus erat Verbum. Hoc erat in princípio apud Deum. Omnia per ipsum facta sunt: et sine ipso factum est nihil, quod factum est: in ipso vita erat, et vita erat lux hóminum: et lux in ténebris lucet, et ténebræ eam non comprehendérunt.  Fuit homo missus a Deo, cui nomen erat Joánnes. Hic venit in testimónium, ut testimónium perhibéret de lúmine, ut omnes créderent per illum. Non erat ille lux, sed ut testimónium perhibéret de lúmine.
Erat lux vera, quæ illúminat omnem hóminem veniéntem in hunc mundum. In mundo erat, et mundus per ipsum factus est, et mundus eum non cognóvit. In própria venit, et sui eum non recepérunt. Quotquot autem recepérunt eum, dedit eis potestátem fílios Dei fíeri, his, qui credunt in nómine ejus: qui non ex sanguínibus, neque ex voluntáte carnis, neque ex voluntáte viri, sed ex Deo nati sunt.
Genuflectit dicens: Et Verbum caro factum est, Et surgens prosequitur: et habitávit in nobis: et vídimus glóriam ejus, glóriam quasi Unigéniti a Patre, plenum grátiæ et veritatis.
R. Deo gratias.

Oratio Leonis XIII

S. Ave Maria, gratia plena, Dominus tecum, benedicta tu in mulieribus et benedictus fructus ventris tui, Jesus.
O. Sancta Maria, Mater Dei, ora pro nobis peccatoribus, nunc et in hora mortis nostrae. Amen.
S. Ave Maria, gratia plena, Dominus tecum, benedicta tu in mulieribus et benedictus fructus ventris tui, Jesus.
O. Sancta Maria, Mater Dei, ora pro nobis peccatoribus, nunc et in hora mortis nostrae. Amen.
S. Ave Maria, gratia plena, Dominus tecum, benedicta tu in mulieribus et benedictus fructus ventris tui, Jesus.
O. Sancta Maria, Mater Dei, ora pro nobis peccatoribus, nunc et in hora mortis nostrae. Amen.

O. Salve Regina, Mater misericordiae, vita, dulcedo, et spes nostra, salve. Ad te clamamus, exsules filii Evae. Ad te suspiramus gementes et flentes in hac lacrymarum valle. Eia ergo, Advocata nostra, illos tuos misericordes oculos ad nos converte. Et Jesum, benedictum fructum ventris tui, nobis, post hoc exilium, ostende. O clemens, o pia, o dulcis Virgo Maria.
S. Ora pro nobis, sancta Dei Genitrix.
O. Ut digni efficiamur promissionibus Christi.

S. Orémus. Deus, refúgium nostrum et virtus, populum ad te clamantem propitius respice; et intercedente gloriosa, et immaculata Virgine Dei Genitrice Maria, cum beato Joseph, ejus Sponso, ac beatis Apostolis tuis Petro et Paulo, et omnibus Sanctis, quas pro conversione peccatorum, pro libertate et exaltatione sanctae Matris Ecclesiae, preces effundimus, misericors et benignus exaudi. Per eundem Christum Dominum nostrum. Amen.

CALENDARIO LITURGICO DELLA CHIESA CATTOLICA DI GENNAIO 2019

GENNAIO

è il mese che la CHIESA dedica al Nome di Gesù,

all’Epifania e al Battesimo di GESU’

EPIFANIA

Questa festa si celebrava in Oriente dal III secolo e si estese in Occidente verso la fine del iv secolo. La parola Epifania » significa: manifestazione. Come il Natale anche l’Epifania è il mistero di un Dio che si fa visibile; ma non più soltanto ai Giudei, bensì anche ai Gentili, cui in questo giorno Dio rivela il suo Figlio. Isaia scorge in una grandiosa visione, la Chiesa, rappresentata da Gerusalemme, alla quale « accorrono i re, le nazioni e la moltitudine dei popoli. Essi vengono di lontano con le loro numerose carovane, cantando le lodi del Signore e offrendogli oro e Censo ». – « I re della terra adoreranno Dio e le nazioni saranno sottomesse ». Il Vangelo mostra la realizzazione di questa profezia. – Mentre il Natale celebra l’unione della di\vinità con l’umanità di Cristo, l’Epifania celebra l’unione mistica delle anime con Gesù. – Oggi, dice la liturgia, « la Chiesa è unita al celeste Sposo, poiché, oggi Cristo ha voluto essere battezzato da Giovanni nei Giordano: oggi una stella conduce i Magi con i doni al presepio: oggi alle nozze l’acqua è stata trasformata in vino. » – Ad Alessandria d’Egitto pubblicavasi ogni anno, il 6 gennaio l’Epistola Festatis, lettera pastorale in cui il Vescovo annunciava la festa di Pasqua dell’anno corrente. Di qui nacque l’uso delle lettere pastorali in principio di Quaresima. In Occidente, il sinodo d’Orléans (541) ed il sinodo d’Auxerre (tra il 573 e il 603) introdussero la stessa usanza. Nel medioevo vi si aggiunse la data di tutte le feste mobili. Il Pontificale Romano prescrive di cantar oggi solennemente, dopo il Vangelo, detto annunzio.

(Liturgia, Paris, Bloud et Gay, 1931, pag. 628 sg.).

 

Di seguito le feste del mese di GENNAIO

I GENNAIO Die Octavae Nativitatis Domini    Semiduplex

2 Gennaio Sanctissimi Nominis Jesu    Duplex II. classis

4 Gennaio PRIMO VENERDI’

5 Gennaio Sanctae Mariae Sabbato    Simplex

                      PRIMO SABATO

6 Gennaio In Epiphania Domini    Duplex I. classis

12 Gennaio Sanctae Mariæ Sabbato    Simplex

13 Gennaio Sanctæ Familiæ Jesu Mariae Joseph    Duplex

In Commemoratione Baptismatis Domini Nostri Jesu Christi    Duplex II. clas

14 Gennaio S. Hilarii Episcopi Confessoris Ecclesiae Doctoris    Duplex

15 Gennaio S. Pauli Primi Eremitæ et Confessoris    Duplex

16 Gennaio S. Marcelli Papæ et Martyris    Semiduplex

17 Gennaio S.  Antonii Abbatis    Duplex

18 Gennaio Cathedræ S. Petri    Duplex majus

19 Gennaio Sanctæ Mariæ Sabbato    Simplex

               S. Marii et Soc. Mart. Feria

20 Gennaio Dominica II post Epiphaniam    Semiduplex Dominica minor

      Ss. Fabiani et Sebastiani Martyrum    Duplex

21 Gennaio S. Agnetis Virginis et Martyris    Duplex

22 Gennaio Ss. Vincentii et Anastasii Martyrum

Semiduplex

23 Gennaio S. Raymundi de Penafort Confessoris    Semiduplex

24 Gennaio S. Timothei Episcopi et Martyris    Duplex

25 Gennaio In Conversione S. Pauli Apostoli    Duplex majus

26 Gennaio S. Polycarpi Episcopi et Martyris    Duplex

27 Gennaio Dominica III Post Epiphaniam    Semiduplex Dominica minor

Joannis Chrysostomi Episcopi Confessoris Ecclesiae Doctoris Duplex

28 Gennaio S. Petri Nolasci Confessoris    Duplex

29 Gennaio S. Francisci Salesii Episcopi Confessoris Ecclesiæ Doctoris    Duplex

30 Gennaio S. Martinæ Virginis et Martyris    Semiduplex

31 Gennaio S. Joannis Bosco Confessoris    Duplex

ANNO LITURGICO 2019

L’ANNO LITURGICO 2019

6 Gennaio – Epifania

13 Gennaio – Sacra Famiglia   (Domenica entro l’Ottava dell’Epifania)

20 Gennaio – 2a Domenica dopo l’Epifania

27 Gennaio – 3a Domenica dopo l’Epifania

3 Febbraio – 4a Domenica dopo l’Epifania

10 Febbraio – 5a Domenica dopo l’Epifania

17 Febbraio – Domenica di Septuagesima

24 Febbraio – Domenica di Sessuagesima

3 Marzo – Domenica di Quinquagesima

6 Marzo – Marcoledì delle CENERI  – Inizio della Quaresima    

10 Marzo – 1a Domenica di Quaresima

(GIORNI DI QUATEMPORA IN QUESTA SETTIMANA )

17 Marzo – 2a Domenica di Quaresima

24 Marzo – 3a Domenica di Quaresima

31 Marzo – 4a Settimana di Quaresima

7 Aprile – DOMENICA DI PASSIONE

14 Aprile – DOMENICA DELLE PALME

21 Aprile – DOMENICA DI PASQUA

28 Aprile – Domenica in Albis

5 Maggio – 2a Domenica dopo Pasqua

12 Maggio – 3a Domenica dopo Pasqua

19 Maggio – 4a Domenica dopo Pasqua

26 Maggio – 5a Domenica dopo Pasqua

27 a 29 Maggio – Giorni delle Rogazioni

in preparazione della festa dell’Ascensione.

30 Maggio – GIOVEDI’ DELL’ASCENSIONE (40 giorni dopo Pasqua)

2 Giugno – Domenica entro l’Ottava dell’Ascensione

9 Giugno  – Domenica di Pentecoste

(GIORNI DI QUATEMPORA IN QUESTA SETTIMANA )

16 Giugno – Domenica della SS. Trinità

23 Giugno – Corpus Christi

28 Giugno– SACRO CUORE DI GESÙ (Venerdì dopo l’Ottava del Corpus Christi.)

30 Giugno – 3a Domenica dopo Pentecoste

7 Luglio – 4a Domenica dopo Pentecoste

14 Luglio – 5a Domenica dopo Pentecoste

21 Luglio – 6a Domenica dopo Pentecoste

28 Luglio – 7a Domenica dopo Pentecoste

4 Agosto – 8a Domenica dopo Pentecoste

11 Agosto – 9a Domenica dopo Pentecoste

18 Agosto – 10a Domenica dopo Pentecoste

25 Agosto – 11a Domenica dopo Pentecoste

1st Settembre – 12a Domenica dopo Pentecoste

8 Settembre – 13a Domenica dopo Pentecoste

15 Settembre – 14a Domenica dopo Pentecoste

(GIORNI DI QUATEMPORA IN QUESTA SETTIMANA)

22 Settembre – 15a Domenica dopo Pentecoste

29 Settembre – 16a Domenica dopo Pentecoste

6 Ottobre – 17a Domenica dopo Pentecoste

13 Ottobre – 18a Domenica dopo Pentecoste

20 Ottobre – 19a Domenica dopo Pentecoste

27 Ottobre – 20a Domenica dopo Pentecoste

                         FESTA DI CRISTO RE

3 Novembre – 21a Domenica dopo Pentecoste

10 Novembre – 22a Domenica dopo Pentecoste

17 Novembre – 23a Domenica dopo Pentecoste

24 Novembre – 24a Domenica dopo Pentecoste

1st Dicembre – 1a Domenica di Avvento

8 Dicembre – 2a Domenica di Avvento

15 Dicembre – 3a Domenica di Avvento

(GIORNI DI QUATEMPORA IN QUESTA SETTIMANA )

22 Dicembre – 4a Domenica di Avvento

25 Dicembre – GIORNO DI NATALE

26 Dicembre – SANTO STEFANO,  Primo Martire

27 Dicembre – SAN GIVANNI, Apostolo ed Evangelista

28 Dicembre – SANTI INNOCENTI

29 Dicembre – Domenica entro l’Ottava di Natale

30 Dicembre – SAN TOMMASO BECKET, Vescovo e Martire

31 Dicembre – SAN SILVESTRO I, Papa.

1 GENNAIO 2020 – CIRCONCISIONE DI NOSTRO SIGNORE

5 Gennaio – SANTO NOME DI GESÙ

6 Gennaio – FESTA DELL’EPIFANIA