LO SCUDO DELLA FEDE (59)

LO SCUDO DELLA FEDE (59)

[S. Franco: ERRORI DEL PROTESTANTISMO, Tip. Delle Murate, FIRENZE, 1858]

CAPITOLO X.

IL PROTESTANTISMO È FALSO PERCHÈ COL SUO PRINCIPIO RENDE IMPOSSIBILE LA SALVEZZA.

Gesù Cristo è venuto sulla terra perché  tutti gli uomini acquistassero la salute, ciò è indubitabile: e però con la sua predicazione spianò il sentiero del Cielo in molti modi. Lo spianò con la cognizione più ampia che apportò al mondo delle verità necessarie a sapersi, lo spianò col magistero che lasciò permanente nella sua Chiesa per mezzo della quale tutti possono con facilità arrivarvi, lo spianò con l’abbondanza delle grazie che ci conferì interiormente, lo spianò per mezzo dei santi Sacramenti che sono a guisa di tanti canali che le portano sempre più copiose alle anime nostre, lo spianò co’ suoi esempli onde ci muove sì efficacemente, lo spianò con le nuove virtù che egli fece conoscere agli uomini. Parve però che i Protestanti avessero invidia di tanti beni che Gesù ci aveva procacciati. Che hanno fatto adunque? Hanno chiusa ad anime senza numero la via del Cielo. Voi non crederete facilmente tanta nequizia, ma ponete mente che io ve lo farò vedere chiaro chiaro. – Noi Cattolici per conoscere sicuramente la verità e per praticarla abbiamo un mezzo semplicissimo, alla portata di tutti, l’insegnamento vivo dei Sacri Pastori. Gesù Cristo stabilì i Vescovi e questi subordinò al Sommo Pontefice. I Vescovi mandano i Sacerdoti, i Sacerdoti insegnano a noi quello che abbiamo da credere, quello che abbiamo ad operare. In questo modo noi sappiamo per l’appunto quali verità e quali misteri abbiamo da credere, quali Sacramenti da ricevere e con quali disposizioni, quali orazioni da fare, quali sono gli obblighi dello stato di ciascheduno e da quali peccati ci abbiamo da guardare per non cadere nel fuoco eterno. Questo mezzo che è semplicissimo è ancora sommamente sicuro perché essendo infallibile la S. Chiesa, ed i Sacerdoti sotto la sorveglianza dei Vescovi, i Vescovi sotto quella del Sommo Pontefice, non potendo insegnar altro che quello che tiene tutta la Chiesa, i semplici fedeli sono al tutto certi di possedere la verità. Mirabile trovato della sapienza di Dio, la quale dispone tutte le cose a suoi fini con semplicità ed efficacia divina! I Protestanti però rovesciando questo bell’ordine di cose hanno preteso che non si debba stare alle autorità né dei Sacerdoti, né dei Vescovi, né del Papa, né di tutta la Chiesa, ed hanno stabilito come principio che ognuno debba da sé leggere la S. Bibbia, da sé intenderla ed interpretarla, da sé cavarsene fuori le verità da credere, da sé applicarsela e non stare in nulla agli altrui insegnamenti; la qual cosa se fosse vera (come per grazia di Dio non è) bisognerebbe che quasi tutto il genere umano si rassegnasse ad andare all’Inferno. Ed è chiaro perché prima di tutto come farebbero i più dei Cristiani a leggere la S. Bibbia? Nel passato prima che ci fosse la stampa non era possibile neppure averne una copia senza grandi spese, ed i più non potevano procurarsela. Inoltre i più non sapevano neppur leggere, perché allora non solo i poverelli ed i lavoratori l’ignoravano, ma non sapevano spesso neppure i Signori. Sarebbe stato anche necessario che avessero conosciuto questo precetto, ma nessuno lo conosceva: e certamente questi grandi maestroni che sempre gridano bibbia, bibbia, non sapranno davvero indicarvi il capitolo della Bibbia dove si trovi un tal precetto. Anche al presente il maggior numero dei contadini, dei lavoranti, degli artieri, delle donne non sa leggere. Bisognerebbe dire che come nel passato, così nel presente il maggior numero dei poverelli dovesse dannarsi: e tuttavia Gesù Cristo ha insegnato tutto l’opposto dicendo anzi che il Regno dei Cieli, il Santo Paradiso è fatto principalmente pei poverelli. E però è falso il Protestantismo che col suo principio li esclude senza lor colpa dal Regno di Dio. – Del resto fingete pure che tutti sapessero leggere, oppure che potessero supplire col sentire gli altri a leggere la S. Bibbia. dunque potrebbero salvarsi almeno così? No, miei cari, se fosse vero il principio dei Protestanti il maggior numero dei Cristiani non avrebbe neppure allora modo di salvarsi. Imperocché che cosa giova il leggere la Bibbia se poi non s’intende, oppur s’intende a rovescio? In cambio di averne la vita se ne avrebbe la morte. Se io credo che Dio prescriva una cosa, quando invece ne prescrive un’altra, se io credo che sia una verità quello che è una mia immaginazione, non è egli vero che mi riuscirebbe un veleno quello che dovrebbe darmi la sanità? Or qui è il punto. L a S. Scrittura è molto oscura e molto difficile e ciò per più ragioni. L’antico Testamento comprende la storia di 40 secoli e ne tocca i fatti principali ma con molta brevità, è tutta figurativa dei tempi del Cristianesimo; del quale poi i Profeti accennano più o meno chiaro le vicende mescolandole coi fatti che allora accadevano: richiede però molto acume d’ingegno e molta penetrazione, perché s’intenda. Bisogna avere cognizioni ampie di storia, di critica, di geografia, di lingue antiche, e soprattutto delle usanze di quei tempi, e delle consuetudini di quegli uomini, altrimenti o non s’intende nulla, o s’intende a rovescio come accade frequentemente. Il nuovo Testamento poi oltre alle difficoltà dell’antico, ha oscurità tutte sue proprie per la profondità dei misteri e delle verità che tratta, come sono la SS. Trinità, l’Incarnazione, la grazia, i Sacramenti, ed andate dicendo. Più, in quelle carte divine tutti questi misteri sono spesse volte appena adombrati perché nella S. Chiesa dovevano poi insegnarsi di viva voce, epperò è sommamente arduo il comprenderli. Come dunque ha da fare il più dei Cristiani ad intendere da sé tutte quelle profondità? Costoro vogliono mettervi sulle spalle un peso che affatto vi è importabile. Da giovani non avete certo potuto occuparvi di questi studi nella vostra condizione. Adesso chi ha la moglie ed i figliuoli che vogliono del pane, chi ha il mestiere, e davvero che non vi è possibile di attendere allo studio della S. Scrittura. E le donne che pur sono una metà dell’uman genere come faranno ancor esse? Come, le povere contadine? Come, le persone di servizio? Come, le coniugate? Davvero che se non basta l’insegnamento dei Sacri Pastori, se non basta apprendere le verità alla Parrocchia, se è necessario intendere da sé la S. Scrittura, possono rinunziare alla eterna salute per sempre. Ora che stranezza, e che crudeltà è mai questa? A queste ragioni sì chiare sapete che rispondono poi i Protestanti? Prima si sdegnano che noi diciamo che la S. Scrittura è difficile ed oscura poi affermano che lo Spirito Santo c’illumina ad intenderne tutto quello che è necessario alla salute. Ma se l’andare in collera bastasse per aver ragione, alla buon’ ora: come però non basta; né il loro sdegno, né le loro pretensioni sullo Spirito Santo valgono punto a sciogliere le difficoltà. Imperocché che la S. Bibbia sia oscura è verissimo, e lo afferma la S. Scrittura. L’Apostolo S. Pietro parlando delle lettere di S. Paolo dice espressamente che vi sono in esse delle cose difficili ad intendersi, che perciò alcuni le depravano siccome fanno di tutte le altre Scritture. Lo dimostrano anche i Santi Padri della Chiesa, i quali tutto che dottissimi e pieni del lume di Dio, tuttavia hanno impiegato immenso studio e grandi volumi per spiegarla. Ma lo dimostra assai chiaramente l’esperienza stessa dei Protestanti. Conciossiachè se la Scrittura è tanto chiara, come essi dicono, perché vi hanno sprecato intorno tanti volumi di spiegazioni? Perché in queste spiegazioni non si trovano mai due che siano di accordo? Perché le credenze che fondano sopra queste spiegazioni sono così disparate? Son divisi in tante sette, quante sono le teste, e poi dicono che la Bibbia è chiara. Un bel giorno ci potranno persuadere che gli asini volano se ci trovano così dolci di sale da credere ai loro paradossi. Queste contraddizioni poi in che cadono mostrano fino all’evidenza quanto sia vero quel che soggiungono dell’assistenza dello Spirito Santo. Imperocché se ognuno avesse cotesta assistenza sarebbe mai possibile che si contrariassero sì fattamente? Lo Spirito Santo non può insegnare altro che la verità, e siccome la verità è una sola, così dovrebbe insegnare a tutti lo stesso. Mentre dunque si avversano, si lacerano, si scomunicano a vicenda, è chiaro come la luce del sole che è una fandonia quell’assistenza che vantano dello Spirito Santo. Resta dunque che se la fede cristiana non può formarsi altro che sulla Bibbia spiegata da ognuno che la legge, è impossibile la fede al più degli uomini. Epperò Gesù Cristo che è venuto sulla terra per apprestare a tutti gli uomini i mezzi della salute ha posto il maggior numero degli uomini (bestemmia orribile) in condizione di non potere giungere alla salute. E che sia così io voglio che ve ne convinciate da quello che fanno e dicono poi essi stessi. Osservate. Insegnano che non si deve credere ad altro che alla Bibbia e poi che cosa fanno dopo d’avervi dato un tale insegnamento? Lo trasgrediscono essi i primi ed invece degli insegnamenti della Bibbia, vi danno i loro. Montano essi in pulpito, leggono la Scrittura, e poi si fanno ad esporvela. Vogliono che la intendiate così e così, che non accettiate la spiegazione che ne dà la S. Chiesa Cattolica, ma che crediate che solo la spiegazione loro è buona. Ora che cosa è tutto ciò? Se la S. Scrittura è così chiara, perché vengono essi a spiegarla? Se lo Spirito Santo assiste tutti quei che la leggono, perché vengono essi a guastare l’opera dello Spirito Santo? Se non si ha da stare all’autorità neppur della Chiesa, perché pretendere che si stia alla loro? Sapete che cosa è? Che veggono ancor’essi che con la sola Bibbia, i fedeli mai non saprebbero né che cosa credere, né che cosa operare, e però sono costretti se vogliono mantenere in piedi le loro sette ad insegnare qualche cosa di viva voce. Il che mostra con ogni chiarezza quel che dicevamo, che la fede è al tutto impossibile con le sole Scritture. Frattanto però che si sono messi all’opera d’insegnare si contentino un poco così per nostra curiosità di manifestarci con qual titolo e con qual autorità il facciano. Sarà non ne dubitate un’edificazione il conoscerlo. Essi hanno rigettato l’insegnamento di S. Chiesa sul pretesto che era composta d’uomini, e che gli uomini son sempre soggetti ad errare, orsù come insegnano essi? Non sono anche essi uomini, e soggetti ad errare? Che privilegio hanno? Forse la scienza, l’erudizione, la critica, la cognizione delle lingue, la storia, la cronologia, la cognizione dell’antichità? Lasciamo stare che tutto ciò nella Chiesa non conferisce l’autorità, lasciamo stare che la scienza di questi propagandisti della Bibbia se non l’han trovata nei caffè, nelle bettole, nelle taverne, nei biliardi non si sa donde sia potuta venire loro in corpo, poniamo pure che siano dotti e sapienti, ci dicano però di grazia, e la scienza s’è andata tutta a rifuggire in loro, sicché non ne sia più rimasta un briciolo nei Sacerdoti, nei Vescovi, nei Prelati, nei Dottori Cattolici? Hanno forse la missione affidata loro da una legittima autorità? Si hanno quella missione che ognuno si è presa da sé medesimo facendosi propagatore della Bibbia, e taluno anche espositore, e taluno perfino (trattenete le risa se potete) mitriandosi da sé sé Vescovo. Avranno forse la Santità della vita che li renda cospicui? Ma facciano dunque qualche miracolo in prova della loro Missione, e poi crederemo loro. Alcuni li ho io uditi rispondere in questa occasione che essi insegnavano perché lo Spirito Santo rivelandosi agli umili ed ai rozzi, essi … non osavano per modestia finir la frase, ma volevano dire che erano proprio gli eletti dello Spirito Santo, perché umili e semplici. Manco male che negli Apostoli sta sempre bene un poco di umiltà: solamente sarebbe da fare qualche osservazione a questi umili e semplicetti, ed è che ogni qual volta Iddio si rivelò ai semplici sempre inculcò loro che abbassassero il loro orgoglio, che si sottoponessero in tutto ai Ministri di S. Chiesa, che non si preferissero a veruno, che anzi si stimassero da meno di tutti. Laddove questi umili e semplicetti di nuova stampa per umiltà si arrogano essi soli l’intelligenza della S. Scrittura, per umiltà la negano a tutta la S. Chiesa, per umiltà chiamano illusi tutti i sacri Pastori, per umiltà rinnegano l’autorità di tutti i Sommi Pontefici, per umiltà antepongono il proprio giudizio a tanti milioni di Cattolici, e tanti gran Santi che hanno riempito il mondo di miracoli, che hanno convertiti tutti i Paesi più barbari suggellando infine la loro fede col loro sangue. Ecco la sola osservazione che abbiamo da far loro. Possono dunque comprendere che se per ora non siamo disposti a creder loro, non ce ne manca qualche ragione. – Ma rimettiamoci in via dopo questa breve digressione. Per ottenere la salute è necessario altresì appartenere alla vera Chiesa, e possedere la vera fede. Ciò è indubitato anche ai Protestanti, i quali non per altro vogliono tirarvi alla loro setta se non sul pretesto di darvi la vera fede, e farvi appartenere alla vera Chiesa. Ora sappiate che se fosse vero quel che insegnano essi che ognuno debba da sé medesimo cercarsi nella Bibbia quello che ha da credere, sarebbe al tutto impossibile la salute perché sarebbe impossibile secondo quel principio giungere alla fede, e ritrovare la Chiesa. Attendete a queste due belle ragioni che sono sì chiare che ponderate da parecchi onesti Protestanti bastarono loro per aprir gli occhi alla verità. La fede per esser tale deve essere pienamente certa; altrimenti sarà un’opinione, una maniera di vedere, una probabilità e nulla più. Ora chi si forma la sua fede solamente leggendo la Bibbia, e senza un’autorità infallibile che gliela dichiari, è impossibile che abbia mai una tale certezza. Imperocché come sarà mai sicuro di averlo colto il vero senso di essa? È costretto tanto più a dubitarne quanto che vede degli altri, i quali sanno più di lui, o quanto lui, e che dicono che hanno la stessa assistenza dello Spirito Santo che lui, e che hanno la stessa sincerità nel ricercare il vero, i quali pure la spiegano affatto diversamente: non potrà dunque a meno di dubitare di essere in errore. Il Luterano vede che il Calvinista la spiega in un altro modo ed in un altro l’Anglicano, il Sociniano in un terzo, il Mormone in un quarto, e poi ancora diversamente il Quacchero, lo Syedemborgiano, il Battista, 1’Unitario, ecc. ecc. – In mezzo a tante spiegazioni chi potrà adulare se stesso fino a credere di essere solo il privilegiato a cogliere nel segno delle verità? Se già non giunge costui a credere infallibile se stesso, dopo che ha negata l’infallibilità a tutta la Chiesa, sarà costretto sempre a dubitare. Ora chi dubita di una verità, non può di quella verità averne fede, che è una certezza che esclude ogni dubbio. Di che ne conseguita che è proprio vero che il Protestantismo ha chiusa la via del Cielo ai suoi seguaci; perché ha strappata loro dal cuore la santa Fede. Inoltre per ottenere salute, è necessario altresì appartenere alla vera Chiesa; la quale è come l’Arca fabbricata da Noè, dicono i Santi, fuori della quale niuno si salva da naufragio. E lo Spirito Santo ci fa sapere che chi non ascolta la Chiesa debba essere riguardato come un gentile ed un pubblicano che è quanto dire che debba riputarsi come fuori della via di salvazione. Ebbene, miei cari, se fosse vero il principio dei Protestanti che ognuno è obbligato a formarsi da sé la sua fede leggendo la Bibbia, sarebbe impossibile a tutti noi appartenere alla vera Chiesa e così salvarci. Questa è la seconda ragione fortissima che io vi proponeva. – Ma come mai, direte voi, i Protestanti non possono appartenere alla S. Chiesa? Per due motivi, primo perché non possono aver Chiesa, secondo perché quando tra loro vi fosse anche la vera Chiesa, essi non potrebbero mai conoscerla. Ed è chiaro che non possono averla, perché che cosa vuol dire Chiesa? Chiesa vuol dire al nostro proposito moltitudine di coloro che professano la stessa fede. Ora come volete che si trovi una moltitudine di quelli che professano la stessa fede tra coloro che interpretano a modo loro la S. Scrittura ? Perché si potesse fare una moltitudine di quelli che pensano lo stesso bisognerebbe che vi fosse una moltitudine di quelli che interpretano allo stesso modo la S. Scrittura. Ora questo è ben possibile, anzi facilissimo a noi Cattolici, perché tutti la spieghiamo come la spiega la S. Chiesa Cattolica, ma tra i Protestanti bisogna per necessità che vi siano quante teste, tante sentenze. E nel fatto poi è veramente così, che niuno vuole stare al detto altrui e Io proclamano altamente, e se ne fanno vanto. Dov’è dunque presso di loro la Chiesa, cioè una moltitudine di quelli che professano la stessa fede? Non v’è, non v’è per quanto la cerchino. Dite sarebbe possibile aver del buon grano, se non si ha neppur del grano? Aver del buon vino, se non si ha neppur del vino? Poveri Protestanti che separatisi dalla cattolica Chiesa, son rimasti orfani al tutto e senza madre! Avessero almeno il buon senso, se pure non vogliono ritornare al seno di Lei, di non strapparne gli altri! Che cosa hanno fatto però? Non avendo una Chiesa vera, ne hanno fabbricate molte con le loro mani, ed ognuno ci vanta poi la sua, quasi fosse proprio quella stabilita da Gesù. Ne hanno fabbricate in Inghilterra, nella Germania, in Prussia, negli Stati Uniti di America, una moltitudine e l’una sempre diversa dall’altre: anzi ogni giorno sono al lavoro di foggiarne qualcuna nuova. Ma che? Fingendo anche che fra tante false ve ne fosse una buona (e dico con ragione fingendo poiché certamente son tutte false) come faranno mai i Protestanti a conoscerla, a ravvisarla fra le altre ? Noi Cattolici abbiamo i miracoli, i martiri, le profezie, la santità, l’apostolicità, e andate dicendo tanti altri segni che ci scorgono a ravvisare e distinguere la vera Chiesa tra tutte quelle che pretendono di esser tali; ma i Protestanti alla cui Chiesa mancano evidentemente tutti questi segni, in qual guisa potranno riconoscere che la loro è la vera indubitatamente? Non è possibile. Che se non possono riconoscerla come faranno a salvarsi? Gesù promise i suoi doni, la sua assistenza e la salute, non a qualunque Chiesa, ma solo alla sua; queste altre non le riconosce, anzi le abomina, che cosa adunque diventeranno quegli infelici che ne fan parte? E d ecco la tristissima condizione a cui vorrebbero condurre anche voi. Gesù nelle sue misericordie vi ha concesso il dono della S. Fede che è la vera radice della salute, vi ha collocati come piante avventurate nel bel giardino di S. Chiesa, perché possiate crescere e portare frutti di eterna vita, e questi sgraziati vi vogliono levare dal cuore la fede, e svellendovi dalla S. Chiesa, mettervi pel cammino di perdizione. Per quanto dunque amate Gesù che vi ha fatto sì gran grazia, per quanto vi è caro il S. Paradiso, per quanto vi preme ruggir l’inferno guardatevi cara la S. Fede, tenetevi stretti alla vostra Madre la Chiesa, ed aborrite quelli che con tanta perfidia tentano di rovinare le vostre anime.

IL SACRO CUORE DI GESÙ (16): Il Sacro Cuore di GESÙ e la sua dottrina

[A. Carmagnola: IL SACRO CUORE DI GESÙ – S. E. I. Torino, 1920]

DISCORSO XVI.

Il Sacro Cuore di Gesù e la sua dottrina.

Un giorno il santo re David pieno di sacro entusiasmo cantava: Dalla pienezza del mio cuore è sgorgata una buona parola, una parola che consacra al mio divin Re tutte le mie opere: Eructavit cor meum verbum bonum, dico opera mea regi. (Ps. XLIV, l) Ciò che Davide asseriva come un fatto particolare fu più tardi da Gesù Cristo affermato come un fatto generale e una specie di legge col dire: La bocca parla dalla pienezza del cuore; ex abundantia cordis os loquitur. (MATT. XII) Ed in vero come non è possibile che mandi fuori dalla bocca buone parole un cuore pieno di tenebre, di superbia, di invidia, di malignità, come era quello dei Farisei, per cagion dei quali Gesù Cristo proferì questa sentenza, così non è possibile che un cuore pieno di luce, di sapienza, di amore, di santità non faccia erompere dalla sua bocca parole buone e sante. – Ora il cuore Sacratissimo di Gesù è propriamente quel cuore, nel quale sono riposti tutti i tesori della sapienza e della scienza di Dio: In quo sunt omnes thesauri sapientiæ et scientiæ Dei absconditi; (Col. II, 3) è il cuore della Sapienza divina stessa incarnata, e per di più è il cuore più nobile, più amante,più liberale, più generoso che mai si possa immaginare. Epperò un cuor tale come avrebbe potuto ritenere nascosti in sé i tesori della sua sapienza? Il Savio dell’antica legge diceva di sè: « Dappoiché io vidi l’uomo pieno di infermità e d’ignoranza, io bramai e chiesi a Dio con istanza l’intelligenza e lo spirito di sapienza e la ottenni. E questa io preferii ai regni o ai troni, e stimai un nulla tutti i tesori del mondo in suo confronto, perciocché riconobbi che ella è di gran lunga più preziosa delle perle, dell’oro, dell’argento, della bellezza, della sanità, della luce istessa, la quale pur si spegne, mentre lo splendore della sapienza è inestinguibile. Ma questa sapienza che io appresi con pura intenzione e con retto fine non voglio tenerla per me, ma senza invidia la comunico agli altri, facendoli partecipi delle sue ricchezze, giacché ella è un tesoro infinito per gli uomini e coloro che la impiegano a loro vantaggio hanno parte all’amicizia di Dio, divenuti commendevoli perciò appunto che della loro sapienza fanno generoso dono agli altri. » (Sap. VII, 7-14) Or bene ciò che Salomone affermava di sé non era su non una pallida immagine di ciò che avrebbe fatto N. S. Gesù Cristo, il Savio, il Maestro, il Dottore per eccellenza. Ed in vero poiché Egli era venuto altresì sopra la terra illuminare his qui in tenebris et in umbra mortis sedent, ad dirigendos pedes nostros in viam pacis, (Luc. I, 79) ad illuminare quelli che giacciono nelle tenebre e nell’ombra di morte e a indirizzare i nostri piedi per la via che conduce al godimento della vera pace nel tempo e nell’eternità, giunto che fu il tempo conveniente, uscito dalla sua vita privata si accinse alla grand’opera della predicazione della sua celeste dottrina, facendola uscire come alito divino da quel Cuore Santissimo, che n’era traboccante. La dottrina adunque di Gesù Cristo è pur essa una splendida e specialissima prova dell’amor suo per noi, e ben la simboleggiano quelle fiamme che circondano ilsuo Divin Cuore, giacché nell’ordine spirituale la dottrina di Gesù Cristo è luce e calore come lo è nell’ordine materiale la fiamma. E quest’altra dimostrazione dell’amore divino del Sacro Cuore per noi la studieremo in questo discorso.

I . — Per ben apprendere la grande prova di amore che il Cuore di Gesù ci ha dato con l’insegnamento della sua dottrina,  dobbiamo riconoscere anzitutto che Egli ebbe realmente una vera dottrina. Perciocché tra i più gravi errori sparsi ai di nostri da certi empi scrittori della vita di Gesù Cristo vi ha pur questo che Egli una vera dottrina nel vero senso della parola non l’abbia né avuta né predicata giammai, ma che in quella vece quella dottrina che oggi ci propone a credere e seguire la Chiesa, come opera di Gesù Cristo, siasi formata a poco a poco per opera degli Apostoli, dei Padri e dei Dottori, dei Pontefici, dei filosofi cristiani, in una parola per opera degli uomini. – Or bene egli è certo che Gesù Cristo non formulò Egli in termini né un simbolo, né un codice morale; egli è certo che il piano della sua dottrina non si manifesta in un metodo conforme a quello che sono soliti ad usar gli uomini nell’ammaestrare; egli è certo che nel suo insegnamento non vi ha la prefazione che previene il lettore, né la distribuzione delle materie che solleva l’intelligenza, né l’ordine, la concatenazione ed il progresso che fanno vedere l’unità dell’opera; ma con tutto ciò è pur certissimo che il simbolo ed il codice morale che la Chiesa ci propone a credere e seguire sono racchiusi negli insegnamenti di Gesù Cristo; è pur certissimo che tutti gli insegnamenti suoi sono tra di loro collegati, ordinati e dipendenti gli uni dagli altri per guisa da non essere difficile a qualsiasi uomo dotato di un po’ d’intelligenza e di buona volontà, scoprire una vera dottrina e rilevare l’impronta della più alta sapienza. – Ed ecco perché leggendo il Santo Vangelo si trova ad ogni tratto che Gesù Cristo parla della sua dottrina, de’ suoi precetti, delle verità alle quali è venuto a rendere testimonianza, della luce che ha portata al mondo e della fede che devesi dare alla sua parola. Ecco perché gli Apostoli cominciando la loro predicazione si presentano agli uomini come i testimoni delle virtù, dei miracoli è dei discorsi di Gesù Cristo ed annunziando la sua parola le danno sempre il nome di parola di Dio! Ecco perché S. Paolo dichiara che l’Evangelo che egli va evangelizzando non è secondo l’uomo, né dall’uomo l’ha ricevuto od appreso, ma bensì per rivelazione da Gesù Cristo stesso. Ecco perché ancora i primitivi Cristiani da per tutto, a Gerusalemine, a Roma, a Filippi, a Colossi, ad Efeso, a Corinto, a Tessalonica, a Lione, apprendono e credono la dottrina di Gesù Cristo, osservano i suoi precetti, praticano levirtù che Egli ha predicato con la parola e con l’esempio, s’appoggiano nella loro speranza alle sue promesse, credono e professano in una parola il suo Vangelo, quel Vangelo che leggiamo,apprendiamo e professiamo noi senza differenza di sorta.Come dunque è possibile il dire che la dottrina cristiana non è opera di Gesù Cristo, ma una lenta e graduata creazione degli uomini?Ma quando pure mancasse in ciò la testimonianza dei fatti, non ne mostrerebbe l’impossibilità lo stesso più volgare buon senso? Non credo vi sia alcuno di noi che non abbia veduto qualche bella opera d’arte, ad esempio qualche stupendo quadro. Ora supponiamo che trattandosi del quadro della Trasfigurazione, che forma il capolavoro di Raffaello ci si volesse dare ad intendere che non è già il celebre Urbinate quegli che lo ha fatto, ma che in quella voce ò una moltitudine di pittori diversi, i quali a poco a poco, l’uno dopo l’altro hanno dato sulla tela ciascuno alcune pennellate, donde alfine n’è uscito quella grande meraviglia. Non è egli vero che ci porteremmo a ridere? Che così possa essere stato fatto il quadro della Trasfigurazione è impossibile. Qualsiasi quadro nel quale apparisca unità, armonia, bellezza mostra una stessa intelligenza che l’ha concepito ed una stessa mano che l’ha dipinto; e quando pure, come accadde pel quadro della Trasfigurazionenon finito a tempo da Raffaello, un’altra mano vi entrasse, non tornerebbe difficile a scoprirla. Or bene la dottrina di Gesù Cristo è come un quadro perfettissimo, un disegno a cui nulla manca, un complesso di verità, che non ostante l’apparenza del contrario si legano, si compenetrano tra di loro come i colori di una magnifica tela, e formano un’ammirabile unità. Giacché in questa dottrina tutto mira a farci riconoscere che Gesù Cristo è Figliuolo di Dio, incarnatosi e fattosi uomo per operare la nostra salute, e a questo dogma fondamentale e centrale fanno capo e per questo raggiano tutte le altre verità e dogmatiche e morali. Or come sarebbe possibile che questa dottrina così perfetta, così unita, che non ha che un unico scopo, sia l’opera lenta e graduata di molti? non già di quel solo Gesù Cristo, da cui la Chiesa, appoggiata alle più irrefragabili testimonianze, la riconosce? Gesù Cristo adunque ebbe una dottrina, e questa dottrina Egli la predicò, sia pure in un angolo oscuro della terra, nella piccola regione della Giudea, senza apparato esenza tono di pomposità negli angoli, per le vie e nelle piazze, sul dosso dei monti e sulle rive dei laghi, nel tempio e nei deserti, dovunque vi erano persone ad ascoltarlo, ma la predicò.E a differenza di quei filosofi avari dell’antichità, che riserbavano la comunicazione dei loro pensieri agli spiriti eletti, a differenza di quei Platonici che vedendosi contrastati nell’insegnare la dottrina del loro maestro preferivano di tenerla occulta, Gesù Cristo predicò la sua dottrina a tutti e nel modo più palese: Ego autem palam locutus sum mundo. (Io.XVIII, 20) Egli fu davvero quel seminatore evangelico che sparge da per tutto la sua semenza per la via e sull’arida pietra, tra le spine e il buon terreno, insegnando ai grandi e ai piccoli, ai dotti, e agli idioti, ai ricchi e ai poveri, agli amici ed ai nemici, a tutti. Che se ebbe nel suo insegnamento delle preferenze, queste furono propriamente per gli spiriti rozzi, per i meschini, pei poverelli: Pauperes evangelizzantur.

II. — Ma non solo Gesù Cristo ebbe e predicò una dottrina, ma una dottrina tutta sua propria, che appartiene interamente a Lui. Vi furono di coloro che parlando della morale asserirono che Socrate ne fu l’inventore. Ma lo stesso Gian Giacomo Rousseau rispose a costoro dicendo: No, inventore della morale non fu Socrate. Altri prima di lui l’avevano messa in pratica, ed egli non fece che dire ed insegnare ciò che altri avevano fatto, egli non fece che ridurre i loro esempi in lezioni. Aristide era stato giusto prima che Socrate dicesse ciò che è giustizia; Leonida era morto per il suo paese, prima che Socrate avesse fatto un dovere dell’amor di patria; Sparta era sobria prima che Socrate avesse lodato la sobrietà; e prima che egli avesse definito la virtù, la Grecia abbondava di uomini virtuosi. (Emil. lib. V) Ora se si potesse adoperare il vocabolo inventare quando si tratta di giustizia e di verità che sono cose eterne, dovremmo aggiungere a quanto disse il filosofo Ginevrino, che inventore della morale fu Gesù Cristo. Ma diciamo piuttosto: Gesù Cristo insegnando fu del tutto originale, sicché ben avevano ragione i suoi contemporanei di esclamare udendolo: Nunquam sic locutus est homo sicut hic; (Io. VII, 46) Nessuno mai ha parlato come egli parlò. – Ah, per certo fanno veramente ridere quei saputi moderni i quali, non potendo negare che Gesù Cristo ebbe una dottrina, asseriscono che egli la tolse in gran parte dai libri ebraici e dai Savii dell’antichità, e che però la sua dottrina non ha nulla di nuovo. Ma vorrebbero dunque costoro che Gesù Cristo per essere originale ne’ suoi insegnamenti avesse rigettate quelle verità che Iddio fece rifulgere al popolo ebreo ed agli stessi Gentili? Se Egli stesso era Dio, poteva Egli mettere da banda ciò che come Dio aveva rivelato e fatto conoscere agli uomini prima di incarnarsi? Non solo non poteva, ma ponendo nella sua dottrina certe verità già rivelate al popolo ebreo e conosciute degli stessi Gentili, Egli non fece altro che appropriarsi legittimamente ciò che da tutta la eternità gli apparteneva e che lungo il corso dei secoli aveva agli uomini comunicato. Ma pur ponendo nella sua dottrina queste verità, quante altre ne proclamò interamente nuove! Egli fu propriamente quello scriba dotto che a somiglianza del padre di famiglia trae fuori dal suo tesoro cose nuove e vecchie. Ed invero chi mai tra i savi antichi diede insegnamenti somiglianti a quelli di Gesù Cristo, per esempio, riguardo a Dio, alla sua bontà, alla tenerezza del suo amore paterno per noi, alle tre Persone perfettamente uguali, Padre, Figliuolo, Spirito Santo, che in esso vi sono? Chi apprese agli uomini come Lui ad adorare Iddio in ispirito e verità e ad implorarne i favori con un’orazione che sebbene brevissima contiene nondimeno tutto ciò che dobbiamo sperare e domandare da Dio, al Quale vi si volge il più dolce dei nomi, quello di Padre? Chi, come Gesù Cristo, diede la vera nozione del bene e del male? Chi al par di Lui fece conoscere in che propriamente consista la virtù? Chi rivelò, come Egli fece, la vera dignità e libertà dell’uomo? Chi die’ precetti simili ai suoi, riguardo alla carità, alla dilezione dei nemici, all’universale fratellanza, all’abolizione d’ogni schiavitù, all’unità e indissolubilità del matrimonio, alla castigazione del corpo, all’obbedienza della civile autorità? Qual savio eruppe come Gesù Cristo in queste esclamazioni: «Beati i poveri di spirito perché di essi è il regno dei cieli; beati i mansueti perché possederanno la terra: beati i mondi di cuore perché vedranno Dio; beati coloro che piangono perché saranno consolati; beati quelli che hanno fame e sete della giustizia perché saranno saziati; beati i misericordiosi perché troveranno misericordia; beati quelli che sono odiati, calunniati, perseguitati, perché di essi è il regno dei cieli! » Chi mai disse questo? Nessuno, nessuno mai: Nunquam sic locutus est homo, sicut hic. Né solamente nessuno mai diede certi insegnamenti e precetti dati da Gesù Cristo, ma nessuno mai per quanto sia apparso agli uomini siccome uno de’ più grandi dottori, diede una dottrina per ogni verso perfetta come è quella di Lui. Fate pur passare dinnanzi alla vostra mente tutte le dottrine che portano nomi umani, e in tutte o troverete lacune o troverete errori. Qua ci si dice che tutta la materia è Dio, là che Dio è un’egoista che ignora le nostre miserie, altrove che vi sono due sommi principii, l’uno da cui viene tutto il bene, l’altro da cui origina tutto il male; altrove che ogni cosa è regolata dal fato, altrove che la virtù è la stessa cosa che il piacere, altrove che l’anime finiscono nel nulla, oppure in goffe trasmigrazioni, oppure in un paradiso dei sensi, in un harem eterno. Persino nella dottrina che Iddio stesso diede al popolo ebreo, se non vi sono errori, ciò che sarebbe impossibile, vi sono tuttavia delle lacune, che Iddio lasciò a bella posta avendo Egli stabilito di compiere e chiudere la divina rivelazione nel Figliuol suo incarnato. Ma invece nella dottrina di Gesù Cristo non manca nulla. Cercate pure in essa chi è Dio, chi siamo noi, donde veniamo, a che fare siamo posti su questa terra, dove andiamo, qual è la regola della nostra vita, quali doveri abbiamo col nostro Creatore e Redentore, quali con noi stessi e col nostro prossimo, quali le virtù che dobbiamo esercitare, quali si convengono ad ogni umana condizione, ai principi e ai sudditi, ai padroni e ai servi, ai genitori e ai figliuoli, ai maestri e ai discepoli, ai ricchi e ai poveri, ai felici e ai tribolati, quale premio infine ci sia riservato se faremo il bene, quale castigo ci aspetti se opereremo il male, e a tutto troverete una risposta esatta, precisa, sicura. E con tutto ciò in tutta la dottrina di Gesù Cristo non il più piccolo sbaglio, non il minimo errore. Si potrà certamente da un cuore maligno a bello studio malamente interpretarla or in questo or in quell’insegnamento, ma le anime che l’accettano e la seguono fedelmente si elevano a tale giustizia e perfezione che anche le anime oneste e più irreprensibili secondo il giudizio del mondo impallidiscono e diventano volgari di fronte a quelle. La dottrina di Gesù Cristo fa i santi.

III. — Sì, la dottrina di Gesù fa i santi perché non solo è dottrina originale, ma dottrina al tutto sicura perché al tutto divina. Un giorno quel Socrate che fu tanto celebrato nell’antichità parlando ai suoi discepoli diceva loro: « Voi credete a me in guisa da far più conto della verità che non di Socrate. Che se a voi parrà che io dica il vero accordatevi meco, se non vi parrà, con ogni maniera di ragioni contrastatemi, guardando che per l’ardente desiderio io non induca in errore me stesso con voi. » (Plat. nel Fedone). Or bene come ha parlato questo gran maestro greco, così hanno parlato tutti gli altri grandi Savi. In tutti si manifesta sempre l’uomo, vi ha sempre in essi l’esistenza, l’incertezza, il timore di errare, lo sforzo per concepire la verità, il dubbio di averla appresa e di farla accettare dagli altri, e non di rado una grande sfiducia su tutta la loro dottrina. Quale diversità in Gesù Cristo! Egli si fa ad insegnare dicendo: La mia dottrina è celeste: Io sono la luce, la via, la verità e la vita. Le parole che Io vi parlo sono spirito e vita. Epperò Egli parla con sicurezza, con decisione di linguaggio, disdegnando gli umani argomenti. Ad ogni tratto dalle sue labbra escono fuori queste espressioni al tutto proprie di Lui: « In verità, in verità vi dico — Io, vel dico Io, che parlo — Credete alla mia parola — Fate così Lasciate questo. » Insomma Egli afferma e conclude con l’autorità d’un maestro supremo, che non sente al di sopra di sé  alcun giudice, che non tollera discussioni, che non teme smentite: Erat docens sicut potestatem habens. (MATT. VII, 29) così appunto insegnava Gesù Cristo perché era Dio. – Ed ecco altresì il perché la dottrina di Gesù Cristo è passata e passerà a tutti i paesi e a tutti i secoli fino alla fine del mondo. Ah per certo nessun’altra dottrina di nessun Savio, di nessun Dottore per quanto grande ha ottenuto una tal ventura. Che anzi forse non vi è stato mai dottore alcuno che abbia avuto in cuore tale aspirazione per la sua dottrina se pure vi fu chi l’abbia avuta, certamente nessuno mai ha osato di esprimerla. Gesù Cristo al contrario pur predicando la sua dottrina tra gli stretti confini della Giudea, vede profeticamente questa dottrina spargersi per tutto il mondo e ciò che Egli vede lo annunzia chiaramente, dicendo che la suaparola è un piccolo seme che grandeggerà e diventerà un albero immenso che coprirà tutta la terra. (MATT. VIII , 31). – Forse cheEgli basava tale sicurezza o sulla valentia intellettuale de’ suoi discepoli o sulla potenza di qualche libro magistrale che egli avrebbe scritto? Ah tutt’altro! Egli si sa troppo grande maestro per prendere la volgare cautela di scrivere dei libri, e in quanto ai suoi discepoli, non sono altro che dodici rozzi pescatori. Eppure è a questi che Egli dice: Andate ed ammaestrate tutte le genti: euntes docete omnes gentes. Ed ecco che così succede e la dottrina di Gesù Cristo dapprima per mezzo degli Apostoli, poscia per mezzo dei loro successori si spande sino agli estremi confini della terra e attraverso a tutte le età. E ciò senza che avvenga in tale dottrina la menoma alterazione, giacché anche oggi si insegna ciò che Gesù Cristo ha insegnato, e quel che si insegna qui nella nostra Italia è ciò che si insegna anche nella landa più inospitale della terra, pur che vi giunga l’apostolo di Gesù Cristo. Ecco la potenza di comunicazione che possiede in se stessa la dottrina del divino Maestro, e la possiede appunto per ciò che è la dottrina di un Dio. Oh quale prova di amore adunque ci ha dato Gesù Cristo facendo sgorgare dal suo Cuore divino la sua celeste dottrina! Quale benefizio immenso ci ha fatto! Mercé questa divina parola, che Egli ha affidato alla Chiesa in sicuro deposito, anche noi benché alla distanza di diciannove secoli dalla sua predicazione siamo illuminati, ammaestrati, diretti, santificati, anche noi apprendiamo a conoscere, ad amare e servire Iddio, anche noi vediamo rischiarato il cammino pel quale possiamo giungere alla vita eterna. Se non che a tal fine è necessario assolutamente di corrispondere a tanta prova di amore, e la corrispondenza in questo caso esige che noi ci applichiamo seriamente .a ben conoscere la dottrina di Gesù Cristo. E qui ammiriamo ancora a questo riguardo la previdente delicatezza della bontà del divin Cuore. Non solamente Egli ne ha fatto uscir fuori la sua dottrina, ma ancora quella grazia che trasfondendosi nel cuor nostro per mezzo del Santo Battesimo ci rende atti ad apprendere la dottrina sua. Perciocché per mezzo del Sacramento di rigenerazione il Cristiano contrae delle abitudini di ordine soprannaturale che in rapporto alla dottrina di Gesù Cristo sono ciò che il senso dell’udito è in rapporto ai suoni, ciò che l’apparato digestivo è in rapporto al nutrimento. Ma ad essere veri Cristiani e specialmente devoti del Cuore di Gesù è troppo necessario non lasciar assopite queste abitudini, bisogna tenerle deste ed esercitate nell’apprendere la dottrina del divino Maestro. Questa dottrina cristiana voi l’avete appresa un giorno sulle ginocchia della vostra madre tra le sue amabili carezze e i suoi dolci sorrisi. In seguito, giova crederlo, allargandosi la vostra intelligenza ed essendo ornai giunto il tempo di accostarvi a ricevere Gesù nel vostro cuore per la prima volta, voi avete appreso la dottrina cristiana anche più largamente, seduti sui banchi della Chiesa dal labbro di un buon catechista. E poi? E poi? Ahimè! quanti si credono per tal guisa di aver fatto tutto ciò che importava di fare riguardo alla dottrina cristiana. Ed oh! che grande errore, contro del quale noi rappresentanti, benché indegni, di Gesù Cristo non protesteremo mai abbastanza. La dottrina cristiana che si apprese da fanciulli era quella che bastava all’età nostra di fanciulli; ma come potrà essa bastare quando si è giunti ai quindici, ai sedici anni? Più ancora, come basterà di mano in mano che avanzandosi la nostra vita si arriva ai venti, ai trenta, ai quarant’anni? Chi non sa, chi non vede, chi noi tocca con mano che col crescere dell’età, oltre che crescono in noi le passioni contro le quali dobbiamo premunirci, gli errori e le massime del mondo moltiplicano spaventosamente contro di noi le loro cospirazioni? Non sarà dunque un dovere stringente per ogni età della nostra vita studiare la dottrina di Gesù Cristo, meditarla e custodirla nel nostro cuore per essere costantemente forti e vittoriosi contro gli assalti delle nostre passioni e contro gli errori e le massime del mondo! Deh! adunque, o miei cari, compite sempre volenterosi questi dovere. Venite mai sempre volonterosi a stringervi attorno a queste cattedre, dalle quali a voi si spiega la dottrina di Gesù Cristo. Col vostro gusto al tutto cristiano non cercate e né assaporate mai altro in essa che la verità. Studiatela la dottrina cristiana e meditatela anche da voi con la lettura attenta ed amorosa di quei santi libri che la contengono; e soprattutto praticatela! – E voi, o Cuore SS. di Gesù, con quella dottrina che è proprio tutta vostra, siate luce alle anime nostre per tirarle a voi, siate spada per trafiggerle, siate fuoco per divorarle, siate rugiada per refrigerarle, siate balsamo per confortarle. Discacciate ogni tenebra dalla nostra intelligenza, dissipate ogni dubbio del nostro cuore, rendeteci forti contro gli assalti dell’errore e fateci ben comprendere che tutto il sapere consiste nel conoscere Voi e la vostra dottrina. Perciocché a che cosa ci gioverà un dì l’aver appreso anche tutte le scienze umane, se non avremo appresa la scienza vostra? Voi l’avete detto, e fate che si avveri per ciascuno di noi: In questo si fa acquisto della vita eterna, nel ben conoscere Iddio ed il suo divin Figliuolo, ch’Egli ha mandato a redimerci: Hæc est vita æterna ut cognoscant te solum Deum verum et quem misisti Jesum Christum. (Io. XVII, 3).

I SERMONI DEL CURATO D’ARS: 3 MAGGIO, INVENZIONE DELLA S. CROCE

3 Maggio.

INVENZIONE DELLA SANTA CROCE.

[I Sermoni del B. GIOVANNI B. M. VANNEY, trad. It. Di Giuseppe D’Isengrad P. d. M. – vol. IV, Torino, Libreria del Sacro Cuore – 1908- imprim.Can. Ezio Gastaldi-Santi, Provic. Gen., Torino, 8  apr. 1908]

SULLA CROCE

Complacuit per eum reconciliare

omnia in ipsum, pacificans

per sanguinem crucis

eius, sive quæ in territ, sive

quæ in cœlis sunt.

[Piacque a Dio per Gesù Cristo riconciliar seco ogni cosa, pacificando pel sangue della sua croce tutto ciò ch’è in terra e tutto ciò che è in cielo]. (COLOSSESI: I, 20) .

Chi di noi, miei fratelli, potrà volger lo sguardo a questa Croce sacrosanta, su cui Gesù Cristo ha sacrificato la vita, e non sentirsi compreso dalla più viva riconoscenza? Ecchè, miei fratelli, Gesù Cristo, eguale al Padre, muore per salvarci! O santa Croce! O Croce preziosa! Senza di te non ci sarebbe toccato il cielo! Senza di te non avremmo avuto parte con Dio! Senza di te avremmo dovuto piangere eternamente nell’inferno! Senza di te non avremmo avuto felicità nell’altra vita! Sì, questa Croce ha fatto scendere dal cielo il Figliuol di Dio, pel desiderio, ond’era acceso, di morire sopr’essa e così redimere il mondo intero. Quanti beni rammenta la vista della Croce ad un Cristiano che non ha perduta la fede! Ohimè! Che cos’era di noi prima che questa Croce fosse tinta del Sangue adorabile del Figliuol di Dio! Eravamo sbanditi dal paradiso, separati per sempre da Dio, condannati a vivere eternamente nelle fiamme, e piangere e soffrire per giorni senza fine. Torniamo spesso ai piedi della Croce, e in essa vedremo la chiave che ci ha aperto le porte del cielo e chiuso l’inferno. O mio Dio! se per mezzo della Croce ci furono dati tanti beni, in qual rispetto e in quale stima dobbiamo tenerla! Per accrescere in voi questo rispetto vi mostrerò: 1° quali benefizi riceviamo dalla Croce; 2° quale stima dobbiamo farne.

I. — Prima che la Croce fosse santificata dalla morte di un Dio fatto uomo, i demoni erano padroni sulla terra, e, simili a leoni, divoravano tutto ciò che si faceva loro innanzi. Questo spirito delle tenebre lo confessò un giorno di sua bocca a S. Antonio, dicendogli che, dopo la venuta del Messia, era stato incatenato, e non poteva nuocere che a chi l’avesse voluto. S. Antonio, in tutte le sue tentazioni così frequenti e violente, non aveva altr’arma che il segno salutare della Croce (Vite dei Padri del deserto, T. I , pag. 32, 39); e perciò fu sempre vincitore del suo nemico. Santa Teresa con un solo segno di Croce mise in fuga il demonio, che le apparve un giorno in figura d’una montagna aperta e pronta ad inghiottirla. Non entrerò in lunga enumerazione dei beni che ci vengono dalla Croce. La Croce ci è valsa un’eternità felice; essa ha mutato in amore senza confini la collera del Signore; essa ha strappato i fulmini dalle mani dell’eterno Padre per riempirle d’ogni sorta di doni e di benedizioni. La Croce ci procura altresì e i buoni pensieri, e i buoni desideri, e i rimorsi della coscienza e il dolore delle colpe passate. Ah! non basta ancora! Per mezzo di questa Croce siam divenuti figli ed amici di Dio, fratelli e membri di Gesù Cristo, eredi della sua eterna felicità; sopr’essa è pur nata quella bella Religione, che, con le sue consolazioni, ci dà speranza di felice avvenire. Da questa Croce traggono ogni loro efficacia i Sacramenti. O bella e santa Croce, quanti beni ci hai meritati! Tu fai ogni giorno scorrere sui nostri altari il Sangue adorabile di Gesù Cristo per placare la collera di Dio! Dalla Croce germogliò la manna celeste, cioè l’adorabile sacramento dell’Eucaristia, che, sino alla fine de’ secoli, sarà cibo delle anime nostre. La Croce ha prodotto quelle uve misteriose, il cui succo abbevera l’anima nostra nei giorni di quest’esiguo. Il peccatore vi trova la conversione, il giusto la perseveranza. O Croce bella e preziosa! Sarebbe pur forte e terribile contro le potenze infernali chi venisse spesso a’ tuoi piedi! Dico inoltre che la vista della Croce costituisce la gloria de’ Santi in cielo, e la disperazione dei dannati nell’inferno. Infatti gli eletti in cielo vedono che dalla Croce provennero la gloria e la felicità di cui godono, e che su questo santo legno nacque quell’amore che deve inebriarli eternamente. Invece la vista soltanto della Croce metterà ne’ dannati la disperazione. Ricorderanno che avrebbe potuto esser per essi mezzo di salute, via per sfuggire l’eterna infelicità, sorgente copiosa di aiuti e di grazia. Ah! triste ricordo di tanti beni non curati! Soltanto per via della Croce possiamo giungere al cielo. Vi sono varie specie di croci: le une interiori ed invisibili, le altre visibili o sensibili. Le prime s’aggravano su tutti gli uomini senza alcuna eccezione; ciascun di noi ha la sua. Trattiamo di questo famigliarmente. 1° Mi chiedete che cosa sia una croce invisibile? Con questo nome intendo, p. es., una violenta tentazione che vivamente v’incalza per farvi cadere in peccato; una calunnia che si spaccia contro di voi; la perdita di beni di fortuna; un torto che vi si fa; una malattia che sembri non volervisi più toglier di dosso. Son pure croce invisibile quelli scherni, quei dispregi di cui vi si caricherà senza posa. Tutte codeste croci sono addolcite e perdono quasi tutta la loro amarezza se si riguarda la Croce su cui il nostro buon Salvatore è morto per strapparci dagli artigli del demonio. Volete che le vostre pene vi riescano leggere, anzi dolci e gradevoli? Venite un momento con me ai piedi della Croce, su cui fummo rigenerati in Gesù Cristo. Vi si dispregia? Considerate il vostro DIO tra le mani de’ Giudei, trascinato pei capelli, spinto contro i muri, con gli occhi bendati, con le mani legate a tergo, battuto con violenti colpi di pugno e di bastone, mentre gli si chiede chi l’ha percosso. Siete povero? Ebbene, mirate questo DIO in un presepio, steso su poca paglia. Volete di più? Volgete i vostri sguardi alla Croce, e vedrete questo DIO morire spogliato delle sue vesti. Siete calunniato? Udite le bestemmie e le maledizioni che si vomitano contro un Dio venuto sulla terra per ricolmarla di benedizioni. Tutto quello che si dice contro di Lui è falso; e in che modo si vendica? Pregando per quei che lo calunniano. Siete sotto il peso delle sofferenze e delle malattie? Alzate gli occhi a questa Croce, considerate il vostro DIO appeso ad essa, che muore della morte più crudele e più dolorosa. Padre, deh! perdonate a quei che mi danno la morte: per essi perdo la vita, soffro per i loro peccati. Che cos’è, amici miei, ciò che soffriamo noi, se lo paragoniamo a ciò che Gesù Cristo ha patito per noi? Ah! fratelli miei, i Santi conoscevano pur meglio di noi il pregio de’ patimenti! Vedete S. Giovanni della Croce battuto dai suoi religiosi a segno da cadere immerso nel suo sangue. Gli apparve Nostro Signore e gli disse: « Giovanni, che cosa vuoi che ti dia in ricambio di ciò che soffri con tanto amore? » — « Ah! Signore, non diminuite di grazia i miei patimenti; ma fate invece per tutta ricompensa ch’io soffra sempre più, poiché Voi, che siete l’innocenza medesima, avete sofferto tanti tormenti » ((Ribadeneira, ai 14 di Dicembre). S. Bernardo non poteva guardare la Croce senza versar lagrime vedendo quant’ha patito un Dio per noi. Udite che cosa disse un giorno Gesù Cristo a San Pietro martire, quando si lamentava degli oltraggi che gli venivano fatti: « Ed io, che cosa ho fatto, o Pietro, quando m’hanno crocifisso? » (Ribadeneira ai 29 d’Aprile). Sì, miei fratelli, ai piedi della Croce impareremo che cos’è il peccato, quanto grande è il pregio dell’anima nostra e l’amore di un DIO per gli uomini. Ai piedi della Croce troveremo le più dolci consolazioni nelle nostre pene, la forza più valida nelle tentazioni e all’ora della morte la più ferma fiducia. Torniamo adunque spesso ai piedi della Croce ad espandere il nostro cuore, e vi impareremo che cosa ha fatto un DIO per noi e che cosa dobbiamo fare per Lui.

II. — In primo luogo ho detto che a’ piedi della Croce impareremo che cos’è il peccato e qual orrore dobbiamo averne. Pare, sì, che il fuoco dell’inferno ci faccia intendere in qualche parte l’enormità del peccato, perché per un pensiero di superbia, che sarà durato appena uno o due minuti, se moriamo in tale peccato, saremo condannati ad ardere nelle fornaci accese dalla collera di Dio Onnipotente (Il Beato suppone qui manifestamente un peccato di superbia che sia peccato mortale; ma convien confessare che tal peccato di superbia è raro assai. – Nota degli editori francesi). Un tale avrà rubato cinquanta soldi o tre franchi al vicino; se, potendo, non ha restituito, questo solo peccato lo farà precipitar per sempre negli abissi (Quando il Beato scriveva così, il denaro era più raro, e aveva maggior valore; quindi il furto di cinquanta soldi o tre franchi, specialmente fatto ad un campagnuolo, era materia grave; oggi che il denaro è più abbondante e di minor valore quest’asserzione del Beato parrà severa. I Teologi richiedono comunemente materia più considerevole, perché vi sia peccato mortale. – Nota degli editori francesi – Ben inteso che a decidere della gravità della materia nel furto non si deve badar soltanto alla quantità in sé, ma in relazione alle circostanze del caso. – Aggiunta del Traduttore). E così d’ogni altro peccato; il che fa fremere o mio DIO! è pur cieco l’uomo che lo commette! Ma più cieco ancora è colui che l’ha commesso e, vedendosi in tale stato, spinge la demenza a segno da rimanervi. Tuttavia oso dire che l’amore d’un DIO morente sulla Croce, mostra in modo anche più vivo la malizia e la follia del peccato. In vero se consideriamo tutto quello che Gesù Cristo ha patito per esiliarlo, le sue umiliazioni, gli oltraggi, le bestemmie vomitate contro di Lui, la sua crocifissione e la sua morte, deve dirsi: Solo un DIO può conoscere che cos’è il peccato. Ho detto in secondo luogo che la Croce ci fa conoscere l’amore infinito d’un DIO per le sue creature. Ah! figliuoli miei, ci dice dall’alto della Croce su cui è confitto, vedete se vi è possibile trovar amore simile al mio: poteva Io far di più che morire per voi? Ah! se guardassimo la croce con gli occhi della fede, potremmo forse trattenerci dall’esclamare con S. Paolo: O Croce sacrosanta! O Croce d’amore, quanti beni ci porti! Ah! figliuoli miei, non amerete dunque il vostro DIO? Sì, miei fratelli, se amassimo veramente Iddio, vivremmo solo per Lui! Voglio dir con questo che dobbiamo prenderlo  per modello, aver piacere d’essere umiliati, disprezzati, calunniati, e, anziché vendicarci, riguardare invece tutto questo come cosa venuta dalle mani di DIO e come grazia grande ch’Egli ci concede. Se voleste imitar Gesù Cristo, fuggireste i piaceri, i balli, i festini, i giuochi e le bettole; perché Gesù Cristo ha condannato tutte queste cose coll’esempio di una vita penitente e ritirata. Imitate Gesù Cristo e non temerete punto la morte; anzi sarà per voi una felicità, perché vi riunirà a Lui. Se vivrete staccati dalle cose della terra il vostro cuore sarà tutto pel cielo. Ho detto poi, miei fratelli, che la Croce sarà la consolazione del Cristiano che l’avrà portata con gioia nel corso della vita. In vero quale aiuto avrete in quel terribile momento che deciderà della vostra sorte eterna? Dove volgerete lo sguardo, dove indirizzerete i vostri sospiri e le vostre preghiere, se non verso la Croce? Che cosa vi si metterà sott’occhio, che cosa vi si porrà tra le mani, che cosa vi si accosterà alle labbra? Solo la Croce, fratelli miei. Qual nome vi si farà ripetere in quel momento? Il nome di Gesù e di Gesù crocifisso. Oh! qual consolazione sarà pel Cristiano tenere all’ora della morte tra le sue mani la Croce, se nel corso della sua vita essa fu oggetto delle sue meditazioni e del suo amore! Potrà allora dire al suo Giudice: « Signore, vedete che non ho mai fuggita o spregiata la vostra Croce; l’ho portata con gioia; le umiliazioni, le ingiurie e i patimenti, anziché abbattermi o disanimarmi, mi riempirono di gioia e di coraggio ». O mio Dio, se potessimo intender bene quanto gran dono della vostra mano sono le croci! Non dimentichiamo mai, miei fratelli, che, all’ora della morte, solo nostro aiuto sarà la Croce. Ma qual disperazione per colui che all’ultima sua ora si vedrà dinanzi la Croce, sprezzata nel corso della vita e di cui arrossì per timore d’uno scherno! Quale disperazione quando Gesù Cristo raffronterà la sua vita con quella di questo peccatore! Quando contrapporrà la sua umiltà, e i disprezzi che ha tollerato all’orgoglio di quel peccatore, la sua povertà all’avarizia di lui, la sua purezza alle azioni infami, il perdono dato ai suoi nemici alle vendette, i suoi digiuni alle golosità di quello sciagurato! Che sarà allora di quei poveri infelici che, nel corso della vita, non ebbero alcun tratto di rassomiglianza col loro Salvatore? O mio DIO! Si può pensarvi e non morir di dolore? Un DIO vive e muore ne’ patimenti, e un Cristiano, sebbene carico di peccati, non vuol soffrire nulla! Ohimè! Quanti pentimenti all’ora della morte! Ma sarà troppo tardi.

III. — Vi parlerò adesso delle croci visibili, e vi darò ragione della loro molteplicità, delle benedizioni, di cui son fonte, e dei grandi onori che la Chiesa rende loro. Se le croci interiori sono così numerose, se le croci visibili, immagini di quella su cui è morto il nostro DIO, son pure in gran numero, ciò accade perché abbiam sempre dinanzi agli occhi che siam figli d’un DIO crocifisso. Non ci meravigliamo, fratelli miei, dell’onore che la Chiesa rende a questo sacro legno, da cui ci vengono tante grazie e sì grandi vantaggi. Vediamo che la Chiesa in tutte le sue cerimonie e nell’amministrazione di tutti i Sacramenti fa il segno della Croce. — E perché? domanderete. — Eccolo, amico mio: perché tutte le nostre preghiere e tutti i Sacramenti traggono dalla Croce la loro forza e la loro efficacia. Durante il santo Sacrificio della Messa, ch’è l’azione più grande, più augusta, più sublime di tutte quelle che possono glorificare Iddio, ad ogni tratto il Sacerdote fa il segno della Croce. DIO vuole che non ne perdiamo mai la memoria, come del mezzo più sicuro della nostra salute, e come della cosa più formidabile al demonio. Ci ha pur creati in forma di croce, perché ogni uomo fosse immagine della Croce, su cui Gesù Cristo è morto per salvarci. Vedete come la Chiesa si adopra sollecitamente a moltiplicarne il numero: le pone, ornamento principale, nelle nostre chiese e su tutti gli altari; le pone nei luoghi più elevati per ricordarci il trionfo riportato sul nemico della nostra salute. Qual cosa può esser più commovente di quel monumento glorioso che ci mette dinanzi il compendio dei patimenti del nostro buon Salvatore? Non par ch’Egli ci dica: Vedete, figliuoli miei, che cosa ho fatto per meritare i vostri omaggi? O mio DIO, un tale spettacolo non sarà capace di muovere il cuore più duro e più immerso nelle sozzure del peccato? O mio DIO, quante consolazioni e quante lacrime vi trova un cuore alquanto sensibile! Potrà un Cristiano posar lo sguardo su questo sacro legno e non sentire risvegliarsi i rimorsi della coscienza, e non riconoscere in quale stato sia e che cosa debba fare?

1° Perché si mettono croci vicino alle città ed ai villaggi? Per significare la professione pubblica che il Cristiano deve fare della Religione di Gesù Cristo, e ricordare a chi passa che non si deve perder mai la memoria della morte e della passione del Salvatore. Questo segno salutare ci distingue dagli idolatri, come la circoncisione distingueva già il popolo giudaico dagli infedeli. Perciò vediamo che, quando si vuol distruggere la Religione, si comincia dall’abbattere questi monumenti. I primi Cristiani riguardavano come loro più grande ventura portar sopra sé stessi questo segno salutare della nostra Redenzione. Nei tempi andati le donne e le fanciulle portavano una croce che riguardavano come il più prezioso ornamento: la portavano pendente dal collo, mostrando così ch’erano serve d’un DIO crocifisso. Ma di mano in mano che la fede è scemata, e la Religione si è affievolita, questo segno santo è divenuto raro, o, a meglio dire, è quasi scomparso. Osservate come il demonio conduca al male per gradi. Han cominciato dal lasciar da parte l’immagine del Crocifisso e della SS. Vergine, contente di portare una croce che chiamano papillon (È parso meglio conservare il termine francese, che, come ognun sa, significa: farfalla. – Nota del Traduttore). Ciò fatto, il demonio le ha spinte più oltre: a tenere il luogo di quel segno sacro han messo una catena ch’è un mero ornamento di vanità, e che, invece d’attirar loro le benedizioni di DIO, le impegna anzi nelle vie e negli agguati del demonio. Notate la differenza tra la catena e la croce: per via della Croce siam divenuti figliuoli liberi; per via della Croce Gesù Cristo ci ha liberati dalla tirannia del demonio, a cui il peccato ci aveva soggettato. La catena all’incontro è segno di schiavitù; cioè con questo segno di vanità s’abbandona DIO per darsi al demonio. Signore, il mondo ha pur cangiato dopo i tempi dei primi Cristiani, che ritenevano come onore e santa gioia portar questo segno sacro della nostra Religione!

2° È intenzione della Chiesa che tutti abbiamo la Croce nelle nostre case, per non dimenticar mai che siamo Cristiani e discepoli d’un DIO crocifisso. Se la Religione regna in una casa, si riconosce subito dalle croci e dalle immagini che vi s’incontrano. Entrando in una casa io cerco collo sguardo tutto intorno il segno della nostra Redenzione. Se non lo trovo, non posso non deplorare la sciagura di quella casa e di quei che vi son dentro. Oh! fratelli miei, è pur salutare la presenza e la vista d’una Croce! Basta spesso uno sguardo al Crocifisso per addolcire le pene più profonde e più dolorose, farci fare i sacrifici più grandi e praticare le più sublimi virtù. Chi, vedendo un Dio confitto ad una Croce, potrà ancora aver il coraggio di soddisfare una passione qualsiasi? Chi troverà troppo grandi i suoi patimenti, considerando un DIO il cui corpo è ridotto a brandelli pei colpi che ha ricevuto nella sua flagellazione? Chi potrà trovar ardua la pratica della virtù, vedendo un DIO che nulla ha intimato se prima non l’aveva Egli in persona praticato? Niuno dunque deve lasciar la sua casa senza questo segno salutare, affinché chi entra possa riconoscere che siete Cristiani e che ne fate pubblica professione. Un Cristiano dabbene deve dunque avere un bel Crocifisso e alcune belle immagini, e considerarle come il miglior ornamento e l’onore della propria casa. Di tratto in tratto volgete gli sguardi sulle immagini e sul Crocifisso, fate breve considerazione su ciò che Gesù Cristo ha patito per noi e ripensate quanto ci ha amato. Vedendo l’immagine della SS. Vergine (poiché non dovete lasciar mai le vostre case senza un’effigie di questa buona Madre), pregatela d’accoglier voi e la vostra famiglia sotto la sua santa protezione. Quando riguardate le immagini dei Santi, pensate alle virtù da essi praticate, alle penitenze che han fatto nel corso della vita per meritare la sorte felice di cui godono adesso in cielo. Che cosa pensar d’una casa in cui non si trova né un Crocifisso, né altro segno di Religione? Ohimè! si penserà ch’è abitata da uomini i quali han perduto la fede, son divenuti nemici della Croce, non son più Cristiani che di nome. Ah! quant’è grande il numero di quelli che son Cristiani solo di nome, e che si comportano in modo simile a quello de’ pagani! Ah! (direte forse) è un po’ troppo! Non ci spiace l’esser Cristiani; anzi la cosa è tutt’al contrario: spiegateci in che modo, di Cristiani abbiamo il nome soltanto.

— Eh! amici miei, è cosa facile. Quando temete di compiere i vostri doveri religiosi sotto gli occhi del mondo; quando, trovandovi in qualche casa, non osate, prima di prender cibo, farvi il segno della Croce, o, per farlo, vi voltate dall’altra parte per timore d’essere veduto e schernito; quando, udendo suonar l’Angelus, fate mostra di non udire e non lo dite, per paura che qualcuno si faccia beffe di voi, allora mostrate d’esser Cristiano soltanto di nome. O anche quando DIO vi ispira il pensiero d’andarvia confessare, e dite: « Oh! non vi vado, perché si farebbero beffe di me ». Se vi comportate così, non potete dire d’essere Cristiani. No, amici miei, foste, come già gli Ebrei, rigettati, o piuttosto vi siete da voi medesimi separati; siete apostati; lo mostra il vostro linguaggio, e la vostra maniera di vivere lo fa molto chiaramente manifesto. Perché, miei fratelli, s’era dato il nome d’apostata all’imperator Giuliano? — Perché, mi direte, era prima Cristiano e poi visse da pagano. — Ebbene, amici miei, qual differenza passa tra la vostra condotta e quella de’ pagani? Sapete quali vizi regnano d’ordinario tra i pagani? Gli uni, corrotti dal vizio infame dell’impurità, vomitano dalla lor bocca ogni sorta d’abominazioni; altri, dediti alla gola, non cercano altro che buoni bocconi o si riempiono di vino; tutta l’occupazione delle loro figliuole è attendere ad abbigliarsi e desiderar di piacere. Che vi pare di questa condotta, fratelli miei? — È la condotta di gente che non ispera in un’altra vita. — Avete ragione. Ora qual differenza v’è tra la vostra vita e la loro? Se volete parlar sincero, riconoscerete che non ve n’è alcuna, e che quindi siete Cristiani soltanto di nome. O mio Dio! Quanto pochi tra i Cristiani attendono ad imitarvi! Ohimè! Se così pochi portano la loro croce, ben pochi del pari verranno a benedirvi nell’eternità!

3° Si piantano croci benedette ne’ campi, e se ne pongono ne’ luoghi ove sono i raccolti; ed eccone la ragione: par che i nostri peccati sollecitino continuamente la giustizia di DIO per attirar su noi i flagelli della sua collera: le grandinate, i geli, le siccità, le inondazioni. Siccome per mezzo della Croce il Figlio di DIO ci ha riconciliati col Padre suo e meritato i tesori celesti, è intenzione della Chiesa, piantando le croci ne’ campi, di tenerne lontane le calamità. La benedizione che ricevono ha per fine di chiedere a DIO che non allontani dai campi, ove sono piantate, i suoi occhi misericordiosi e vi spanda le sue benedizioni. Ma non basta piantar croci, bisogna altresì farlo piamente e con fede, e specialmente non essere in quel momento in istato di peccato. Se le pianterete con tali sentimenti, sarete certi che Dio benedirà i vostri terreni e li preserverà da’ flagelli temporali. Se le vostre croci non producono l’effetto che dovevate aspettarne, non è difficile saperne il perché: voile piantate senza fede e senza pietà; piantandole non avete forse neppur recitato un Pater ed un’Ave in ginocchio; o se avete pregato, forse l’avete fatto con un ginocchio in terra e l’altro in aria. Se la cosa è così, come volete che Dio benedica i vostri raccolti? Ma quando le incontrate al momento della raccolta cadete in ben più grave abominazione! Oh! quant’ha perduto la Religione della sua antica bellezza! Sì, quelle croci sono veramente piantate in campi di pagani, e non di Cristiani! O mio DIO! A quale secolo disgraziato siam dunque giunti! Quando la Chiesa istituì questa sacra cerimonia ciascuno ambiva la sorte felice di por croci ne’ suoi campi, e si faceva col più profondo rispetto. Quando s’incontravano o mietendo o vendemmiando, tutti si prostravano con la faccia per terra per adorar Gesù Cristo, morto in croce per noi, e si mostrava così la riconoscenza che gli si aveva per aver voluto conservare e benedire il raccolto. Tutti, con le lacrime agli occhi, baciavano il segno santo della nostra Redenzione. Ohimè! mio DIO, i Cristiani non vi attestano più così la loro riconoscenza! Oserò dirlo? Imitano Giuda e i Giudei! Rassomigliano ai Giudei, quando piegavano il ginocchio per insultare la sua dignità regale; imitano Giuda che lo baciò con la bocca macchiata dai più gravi delitti. Gli uni e l’altro gli rendevano quest’apparenza di rispetto solo per derisione; e non è appunto ciò che fate voi, quando incontrate una Croce? Invece di mostrare a DIO la vostra riconoscenza perché ha voluto benedire e conservare i frutti della terra, non gli fate ingiuria col baciar la Croce ridendo? Non è una derisione, anzi un’idolatria presentargli un pugno di frumento, come se incensaste la persona che tiene fra mano la Croce? Andate, sciagurati, Dio vi punirà o in questo mondo o nell’altro. Padri di famiglia, non vi aveva detto due anni or sono che al tempo della mietitura dovevate togliere tutte le croci ch’erano nei vostri campi per evitarne la profanazione? Non vi aveva raccomandato di rimetterle nel luogo ove accumulate i vostri covoni, e, battuto che abbiate il vostro grano, farle bruciare, per timore che abbiano ad essere profanate? Se non l’avete fatto, siete colpevoli assai, e non dovete lasciare di confessarvene. Ohimè! Chi potrà noverare tutti gli orrori che si commettono in tempo della mietitura o delle vendemmie, in quei tempi nei quali Iddio, nella sua bontà e carità, colma la terra dei doni della sua Provvidenza! L’uomo ingrato pare che allora appunto raddoppi le sue ingiurie e moltiplichi le sue offese. E come osate lagnarvi perché le raccolte vengono meno, perché la grandine o la gelata ve le distruggono? Ah! stupite piuttosto che, non ostante tanti peccati, Dio voglia darvi ancora il necessario, ed anche più di ciò che vi abbisogna! O mio Dio, l’uomo è pur perverso ed accecato!

4° Il segno della Croce è l’arma più terribile contro il demonio; perciò la Chiesa vuole non solo che l’abbiamo continuamente dinanzi agli occhi, per ricordare quanto vale l’anima nostra e quanto è costata a Gesù Cristo; ma di più, che ad ogni tratto lo facciamo su noi: andando a letto, la notte quando ci svegliamo, levandoci, sul cominciar delle nostre azioni, e specialmente quando siamo tentati. Possiam dire che un Cristiano, il quale si fa il segno della Croce con sentimenti di pietà, cioè ben compreso dell’atto che compie, fa tremare l’inferno (Infatti nulla fa più viva impressione che questo seguo il quale rappresenta: 1° il mistero della SS. Trinità; 2° ci ricorda col movimento che fa la mano dalla fronte al petto la discesa di Gesù Cristo dal seno del Padre in grembo alla SS. Vergine; 3° con la croce che facciamo la crocifissione di Gesù Cristo; 4° il giudizio finale col movimento che fa la mano da sinistra a destra. – Nota del Beato). Un Cristiano tentato, che fa con viva fede il segno della Croce, può dir con certezza che vince il demonio e rallegra la corte celeste. Vedete S. Antonio a cui i demoni facevano guerra violenta e continua; di qual mezzo si valeva a sua difesa, se non del segno della nostra Redenzione? Un giorno, che i demoni lo tentavano, disse loro: « Quanto poca cosa siete mai! Io, povero solitario, che a stento mi reggo in piedi, oppresso dalla penitenza, con un solo segno di Croce vi metto tutti in fuga » (Vite dei Padri del deserto, T. I, p. 32). Nella vita di Santa Giustina (RIBADENEIRA, ai 26 di Settembre) si narra che il mago Cipriano, invaghito della sua bellezza, s’era dato al demonio perché usasse tutti i suoi artifizi per trarla al male. Ma il demonio poco tempo dopo gli confessò che non poteva nulla sopr’essa, perché alla prima tentazione si faceva il segno della Croce, e in tal modo rendeva vani i suoi sforzi. Ma quando si fa il segno della Croce bisogna farlo non per abitudine, sì con rispetto, con attenzione, pensando a ciò che si fa. O mio Dio! Di qual santo timore saremmo compresi se, facendo questo segno su noi, ricordassimo che pronunziamo quanto v’ha nella Religione di più santo e più sacro. Pensate da qual devozione saremmo animati se riflettessimo che nominiamo le tre Persone della santissima ed adorabilissima Trinità: il Padre, che ci ha creati e tratti dal nulla, come ha creato tutto ciò che esiste; il Figliuolo che ha preso un corpo ed un’anima nel seno della SS. Vergine per salvarci tutti dall’inferno e meritarci la felicità eterna; lo Spirito santo, a cui siam debitori di tutte le buone ispirazioni e di tutti i nostri buoni desideri. Vedete, miei fratelli, se faceste tutte queste riflessioni, quanto sareste pieni d’amore e di riconoscenza verso questo Dio in tre Persone, specialmente quando, nell’entrare in chiesa, prendete l’acqua benedetta. Oh! se fosse così, vi si entrerebbe tremando. Perciò quando i vostri figliuoli cominciano a muover le braccia, bisogna far loro fare tosto questo santo segno, e ispirarne loro il più grande rispetto.

5° Forse mi domanderete che cosa significano le parole: Invenzione della santa Croce, Esaltazione della santa Croce. Amici miei, son due feste di cui l’una si celebra il 3 di maggio, l’altra il 14 di settembre. Ecco l’origine della prima. Erano 326 anni dacché Gesù Cristo era morto (L’era volgare parte dalla nascita, non dalla morte di Gesù Cristo. – Nota degli editori francesi . Secondo i computi più accurati comincia circa cinque anni dopo la nascita del Salvatore. L’anno poi della vittoria di Costantino non fu il 326, ma il 312. – Aggiunta del Traduttore), quando l’imperator Costantino combattendo contro il tiranno Massenzio, vide  in aria una croce più splendente che il sole, su cui erano scritte queste parole: « Per mezzo di questo segno sarai vincitore del tuo nemico ». L’imperatore, colpito da tale prodigio, fece tosto dipingere questo segno sacrosanto sulle sue armi e sulle sue bandiere, e riportò splendida vittoria. S. Elena, sua madre, concepì tal devozione per la Croce di Gesù Cristo, che non s’acquietò finché non l’ebbe ritrovata. Andò a tal fine a Gerusalemme; e avendole Dio fatto conoscere il luogo dov’era, dopo faticose ricerche la rinvenne insieme alle due croci su cui erano stati confitti i due ladri. Per distinguere qual fosse quella del Salvatore si fece portar là un morto, il quale, posto sulle due prime croci, non risorse: ma appena posto sulla terza s’alzò e cominciò a camminare (La maggior parte degli storici, Eusebio. Teodoreto, Rufino, Socrate, Sozomeno, Teofane, riferiscono che S. Macario, Vescovo di Gerusalemme, fece portar le tre croci in casa d’una ragguardevole dama agonizzante. La sua improvvisa guarigione fece conoscere qual fosse la croce del Salvatore. Secondo S. Paolino e Sulpizio Severo non la guarigione d’una soltanto moribonda, ma la resurrezione d’un morto rese testimonianza alla vera croce. – Nota degli editori francesi). Questa croce fu fonte d’innumerevoli miracoli. S. Giovanni Crisostomo la chiama speranza de’ Cristiani, resurrezione de’ morti, consolazione dei poveri, speranza de’ ricchi, confusione dei superbi e tormento dell’inferno. O miei figliuoli, dice S. Epifanio, stampiamo questo segno santo sull’alto delle nostre porte, sulle nostre fronti, sulla nostra bocca, sul nostro petto; rivestiamoci spesso di quest’armatura impenetrabile al demonio. Badiamo di non restar mai senza questo segno santo su noi. DIO , per farci vedere quanto avesse a cuore che il sacro legno, su cui è morto, fosse venerato in tutto l’universo qual fonte di benedizione, permise che per parecchi secoli il legno della santa Croce non diminuisse, non ostante che se ne prendesse continuamente. Poi, quando questa santa reliquia fu esposta in tutto il mondo cristiano, cominciò a diminuire; ed ora è a credere che non vi sia luogoin cui non s’abbia un frammento di quel legno, su cui Gesù Cristo ha operato la nostra salute. Tal è l’origine della festa detta dell’Invenzione della santa Croce, perché si celebra il giorno in cui la Croce fu ritrovata da S. Elena, madre dell’imperator Costantino. La festa, che si celebra il 14 di settembre, ricorda come essendo questa santa Croce rimasta quattordici anni in mano dei barbari, che l’avevano rapita a Gerusalemme, l’imperatore Eraclio, vincitor de’ Persiani, stipulò nel trattato di pace che gli si dovesse restituire il santo legno; il quale fu riportato trionfalmente a Gerusalemme; e perciò si celebra il 14 di settembre la festa dell’Esaltazione della santa Croce. I Santi tutti, fratelli miei, amarono la Croce, e vi trovarono forza e consolazione. Vedete S. Liduina, a cui trent’otto anni di patimenti sembrano un lampo: tanto si dilata il suo cuore in questa fonte d’amore! (Ribadeneira, 14 d’Aprile) … — Ma, direte, si dovrà dunque aver sempre qualche cosa da patire! Ora malattie o povertà; ora maldicenze o calunnie; ovvero perdita di beni o indisposizioni? — Siete calunniato, amico mio? Siete caricato d’ingiurie? O vi si fa qualche ingiustizia? Tanto meglio: è buon segno; non ve ne inquietate punto: siete sulla via che conduce al cielo. Sapete quando si dovrebbe piangere? Non so se l’intendiate; ma sarebbe appunto da piangere se invece non aveste nulla da patire, e tutti vi stimassero e vi rispettassero; dovreste invidiar coloro che hanno la lieta sorte di passar la vita nei patimenti, nei dispregi e nella povertà. Dimenticate forse che nel vostro Battesimo accettaste una croce, cui non dovete abbandonare sino alla morte, ed è la chiave di cui vi servirete per aprirvi le porte del cielo? Non ricordate forse le parole del Salvatore: « Figliuol mio, se vuoi venir dietro a me, prendi la tua croce e seguimi », non per un giorno, non per una settimana, non per un anno, ma per tutta la vita? ( « Si quia Vult post me venire, obneqet semetipsum, et tollat crucem suam quotidie, et sequatur me» (S. LUCA IX, 23) I Santi temevano di passare anchesol pochi istanti senza patire, perché consideravanoquel tempo come perduto. Secondo S. Teresa l’uomoè in questo mondo solo per patire, e quando finiscedi patire deve finir di vivere. S. Giovanni della Crocechiedeva piangendo a DIO, qual unico premio de’ suoitravagli, la grazia di patir sempre più.Da tutto questo che cosa dobbiamo concludere, fratellimiei? Eccolo. Risolviamo di aver gran rispettoper tutte le croci, che sono benedette e ci rappresentano compendiosamente quanto IDDIO ha patito per noi. Ricordiamo che dalla Croce provengono tutte le grazie che ci si concedono, e che perciò una Croce benedetta è sorgente di benedizioni; che dobbiamo fare spesso su noi il segno della Croce, e sempre con grande rispetto; e finalmente che nelle nostre case non deve mancar mai questo simbolo salutare. Istillate ai vostri figliuoli, fratelli miei, il massimo rispetto per la Croce, e portate sempre su voi una Croce benedetta, che vi difenderà dal demonio, dal fulmine e da ogni pericolo (Ognuno intende che si tratta qui di effetti che possono provenire dalla fede di chi porta l’oggetto benedetto, non di effetti ch’esso produca per intrinseca virtù. – Nota del Traduttore). Ah! miei fratelli, qual forza dà la Croce a coloro che han fede1 … Quanta poca cosa sono i patimenti per chi contempla quest’istrumento di salute! O bella e preziosa Croce! Quante anime felici anche in questo mondo e quanti Santi fate per l’altro! … Così sia.

CONFIDENZA NEI MEDICI E NELLE MEDICINE

Della Conformità alla volontà di DIO:

La confidenza nei medici e nelle medicine.

[S. A. Rodriguez: Esercizio di Perfezione, Vol. II, Tratt. VIII, cap. XVII. Marietti ed. Torino, 1917]

CAPO XVII.

Che non abbiamo da mettere la nostra confidenza nei medici né nelle medicine, ma in Dio; e che dobbiamo conformarci alla volontà sua non solo in ordine all’infermità, ma anche in ordine a tutte le altre cose che sogliono accadere in essa.

Quel che s’è detto dell’infermità si ha da intendere ancora delle altre cose che sogliono occorrere nel tempo di essa. S. Basilio dà una dottrina molto buona per quando siamo infermi (D. Basil. In reg. fusius disp. 55). Dice, che talmente abbiamo da valerci dei medici e delle medicine, che non mettiamo in ciò tutta la nostra fiducia; il che non avendo fatto il re Assa, per ciò la sacra Scrittura ne lo riprende: Nec in infìrmitate sua quæsivit Dominum, sed magis in medicorum arte confìsus est (II. Paralip. XVI, 18. 3). Non abbiamo d’attribuire a questo tutta la cagione del guarire, o non guarire dall’infermità; ma abbiamo da mettere tutta la nostra fiducia in Dio, il quale alcune volte vorrà darci la sanità col mezzo di queste medicine, ed altre volte no. E così quando ci mancherà il medico e la medicina, dice S. Basilio, che né anche abbiamo perciò da sconfidarci della sanità; perché, siccome leggiamo nel sacro Evangelio, che Cristo nostro Redentore alcune volte risanava con la sola volontà (nel qual modo risanò quel lebbroso che gli disse: Domine, si vis, potes me mundare (Matth. VIII,2.): Signore, se tu vuoi, mi puoi mondare; ed egli rispose: Volo: mundare (Ibid. 3: Voglio: sii mondo), altre volte risanava applicando qualche cosa [come quando fece il loto con lo sputo, ed unse gli occhi del cieco, e gli comandò che andasse a lavarsi nella natatoria, o fontana di Siloe (Giov. IX, 11)], ed altre volte lasciava gli infermi nelle loro infermità, e non voleva che guarissero, ancorché spendessero tutte le facoltà loro in medici e medicine (Marc, V, 26; Luc. VIII, 43); così anche adesso, alcune volte Dio da la sanità senza medici e senza medicine, per mezzo della sola volontà sua; alcune altre le dà col mezzo delle medicine; e alcune altre, benché uno chiami e consulti con molti medici, e gli siano applicati grandi rimedi, Dio non gli vuol dare la sanità; acciocché con questo impariamo a non metter la nostra fiducia ne’ mezzi umani, ma solamente in Dio. Siccome il re Ezechia non attribuì la sua guarigione a quella massa di fichi che Isaia pose sopra la sua piaga (IV. Reg. XX, 7), ma a Dio, così tu quando guarirai dall’infermità, non hai da attribuirlo ai medici né alle medicine, ma a Dio, che è quegli che risana tutte le nostre infermità. Etenim neque herba, neque malagma sanavit eos: sed tuus, Domine, sermo, qui sanat omnia (Sap. XVI, 12.): Che non sono le erbe né gl’impiastri quei che guariscono, ma Dio. E quando non guarirai, né anche ti hai da lamentare de’ medici né delle medicine; ma hai da attribuire ogni cosa a Dio, il quale non vuol darti la sanità, ma vuole che stia infermo. Similmente quando il medico non ha conosciuta l’infermità, ovvero ha fatto errore nel medicare (cosa che accade assai spesso anche a gran medici e in gran personaggi), hai da pigliar quell’errore per un effetto e adempimento della volontà di Dio, e così ancora la trascuraggine e negligenza e il mancamento dell’infermiere: onde non hai da dire, che per lo tal mancamento fatto teco ti sia tornata la febbre; ma ogni cosa hai da pigliare come venuta dalla mano di Dio, e dire: È piaciuto al Signore che mi sia cresciuta la febbre e che mi sia venuto il tale accidente. Perciocché è cosa certa, che quantunque relativamente a quei che ti governano questo sia stato errore;  nondimeno relativamente a Dio è stato effetto e adempimento della sua volontà, atteso che rispetto a Dio non succede cosa alcuna a caso. Pensi tu, che il passare delle rondinelle e l’acciecare col loro sterco il santo Tobia fosse a caso? non fu a caso, ma una molto particolare disposizione e volontà di Dio per darci in questo santo uomo un raro esempio di pazienza, come nel santo Giob: e cosi lo dice la divina Scrittura: Hanc autem tenlationem permisit Dominus evenire , ut posteris daretur exemplum patientice ejus, sicut et sancii Job (Tob. I, 12). E l’Angelo gli disse poi: Quia acceptus eras Deo, necesse fuit, ut tentatio probaret te (Ibid. XII, 13): Per provarti, Dio ti ha permessa questa tribolazione. Nelle Vite dei Padri si racconta dell’abbate Stefano (De abb. Steph refert etiam D. Dor. doctr.7), che essendo infermo volle il compagno fargli una frittatella, e pensandosi di farla con olio buono, la fece con olio di seme di lino, che è molto amaro, e gliela diede. Stefano, tosto che l’ebbe sentita, ne mangiò un poco, e tacque. Un’altra volta gliene fece un’altra nel medesimo modo, e gustandola e non volendola mangiare, il compagno gli disse: Mangia, Padre, che è molto buona: e fattosi ad assaggiarla egli stesso per indurlo a mangiare, sentita l’amarezza, cominciò ad affannarsi e a dire: Io sono omicida. Allora gli disse Stefano: Non ti turbare, figliuolo, che se Dio avesse voluto, che tu non errassi in pigliar un olio per un altro, non l’avresti fatto. E di molti altri Santi leggiamo, che pigliavano con grande conformità e pazienza i rimedi che si facevano loro, ancorché fossero contrari a quello che ricercava la loro infermità. Ora in questa maniera abbiamo noi altri da pigliar gli errori, le trascuraggini e le negligenze sì del medico, come dell’infermiere senza lamentarci dell’uno né incolpar l’altro. Questa è una cosa nella quale si scopre e si dimostra grandemente la virtù di un uomo: onde edifica grandemente un Religioso infermo il quale piglia con tranquillità d’animo e con allegrezza ogni cosa come venuta dalla mano di Dio, e si lascia guidare e governare dai Superiori e dagli infermieri, dimenticandosi, e deponendo totalmente ogni cura e sollecitudine di se stesso. Dice S. Basilio: Se hai confidata l’anima tua al Superiore, perché, non gli confidi ancora il tuo corpo? Se hai posta nelle mani di Lui la salute eterna, perché non v’hai da mettere ancora la temporale (D. Basil, in reg. fusius disp. reg. 48)? E poiché la Regola ci dà licenza di deporre allora ogni pensiero del nostro corpo, e ce lo comanda (3 p. Coost. c. 2, litt. a. 2); dovremmo stimar grandemente questa cosa e valerci di così giovevole licenza. Al contrario dà molto mala edificazione il Religioso infermo, quando ha gran cura di sé, e di quel che gli hanno da dare, e come glielo hanno da dare, e se lo servono a puntino; e quando no, sa molto ben lamentarsi, e ancora mormorare. Dice molto bene Cassiano: L’infermità del corpo non è impedimento alla purità del cuore, anzi le serve d’aiuto, se si sa pigliare come deve essere pigliata. Ma guardati, dice (CASS. lib. 5, de inst. renun. c.7), che l’infermità del corpo non passi all’anima: che se uno s’inferma in questa maniera, e piglia occasione dall’infermità di far la volontà sua, e di non essere ubbidiente e rassegnato; allora l’infermità passerà all’anima, e farà che l’infermità spirituale dia più da pensare al Superiore, che la corporale. Non per esser uno infermo deve lasciar di mostrarsi Religioso, né pensare, che non vi sia più Regola per esso, e che può mettere ogni sollecitudine per pensare alla sua sanità e al buon governo del suo corpo, e dimenticarsi di quel che concerne il suo profitto. L’infermo, dice il nostro S. Padre, dimostrando la sua umiltà e pazienza, non meno procuri di dare edificazione nel tempo dell’infermità a coloro che lo visiteranno, e seco converseranno e tratteranno, che quando era sano, per maggior gloria di Dio (Reg. 50 Summ.). S. Giovanni Crisostomo sopra quelle parole del Profeta, Domine, ut scuto bonæ voluntatis tuæ coronasti nos, trattando, come finché dura questa nostra vita, sempre v’è battaglia: Sempre, dice, abbiamo d’andar armati per essa; et ægroti, et sani: morbi enim tempore hujus maximæ pugnæ tempus est; quando dolores undique conturbant animam; quando tristitiæ obsident; quando adest diabolus incitans, ut acerbum aliquod verbum dicamus (D. Chrys. in Psal. V, 13): Il tempo dell’infermità è tempo molto proprio da star bene armati e ben preparati per combattere, quando da una banda i dolori ci turbano, la tristezza ci assedia, e il demonio, presa da ciò l’occasione, c’incita e stimola a parlare con impazienza e a lamentarci soverchiamente: e così allora è tempo di esercitare e mostrarla virtù. Per fin Seneca disse colà (Sen. Ep. 78), chel’uomo forte ha occasione di esercitare lasua fortezza non meno nel letto mentre patisce infermità, che nella guerra combattendo contro i nemici; perché la principal parte della fortezza consiste più nel soffrire che nell’assalire: e così il Savio disse, cheè migliore l’uomo paziente che il forte: Melior est patiens viro forti, et qui dominatur animo suo, expugnatore urbium (Prov. XVI, 32).

ISTRUZIONE SULLA TRADIZIONE DIVINA E SULLA SACRA SCRITTURA

ISTRUZIONE SULLA TRADIZIONE DIVINA E SULLA SACRA SCRITTURA

[Goffiné: Manuale per la santificazione delle Domeniche e delle Feste, ed. Francese di Besançon, 1852 – traduz. A. Ettorri delle Scuole Pie;  Tipogr. Calas. Dir. da A. Ferroni. Firenze, 1872]

La tradizione divina è la parola di Dio non scritta, ma uscita dalla bocca stessa di Gesù Cristo, o rivelata agli Apostoli dallo Spirito Santo, e comunicata dagli stessi Apostoli ai primi Fedeli, che l’hanno trasmessa ai loro successori, da cui noi successivamente e come di mano in mano l’abbiamo ricevuta. Quando si dice che la tradizione è la parola di Dio non scritta, s’intende dire che non è stata scritta subito dagli autori sacri, come i libri canonici dei due Testamenti, quantunque sia stata scritta in séguito o dai Concili, o nelle opere dei Santi Padri e degli altri autori ecclesiastici, o nei decreti dei Sommi Pontefici etc. La tradizione divina è assolutamente necessaria: la sua necessità e la sua autorità sono fondate sulla Scrittura e sui Padri. – La santa Scrittura è la parola di Dio scritta sotto la ispirazione di Lui: non si dice santa precisamente, perché mira a Dio, né perché è stata scritta col soccorso e con l’assistenza di Dio, ma perché ha Dio per autore, che l’ha ispirata e dettata ai sacri scrittori. – La Scrittura si divide in Antico e Nuovo Testamento:  l’antico Testamento contiene i libri santi scritti avanti Gesù Cristo, che sono in numero di quarantacinque. Il nuovo Testamento contiene i libri che riguardano la legge evangelica, e sono stati scritti da Gesù Cristo in poi: sono ventisette. Si chiama la Scrittura Testamento perché racchiude l’alleanza che Dio ha fatta con gli uomini, e la sua ultima volontà, con la quale lascia loro i suoi beni, come avviene nei testamenti che si fanno tra gli uomini. – Ecco l’ordine e il catalogo dei libri della Scrittura, secondo il decreto del Concilio di Trento, Sess. IV. cap. 1. I libri dell’antico Testamento sono: la Genesi, l’Esodo, il Levitico, i Numeri, il Deuteronomio, Giosuè, i Giudici, Ruth, i quattro libri dei Re, i due libri dei Paralipomeni, i due libri d’Esdra, Tobia, Giuditta, Ester, Giobbe, i Salmi, i Proverbi, l’Ecclesiaste, il Cantico dei Cantici, la Sapienza, l’Ecclesiastico, Isaia, Geremia, Baruch, Ezechiele, Daniele, i dodici Profeti minori, cioè: Osea, Gioele, Amos, Abdia, Giona, Michea, Nahum, Habacuc, Sofonia, Aggeo, Zaccaria, Malachia; i due libri dei Maccabei. I Libri del Nuovo Testamento sono: il Vangelo di s. Matteo, il Vangelo di s. Marco, il Vangelo di s. Luca, il Vangelo di s. Giovanni, gli Atti degli Apostoli, le quattordici Lettere di s. Paolo: una ai Romani, due ai Corinti, una ai Galati, una agli Efesini, una ai Filippesi, una ai Colossesi, due ai Tessalonicesi, due a Timoteo, una a Tito. una a Filemone, una agli Ebrei; le due Lettere di s. Pietro, le tre di s. Giovanni, una di s. Giacomo, una di s. Giuda, e l’Apocalisse di s. Giovanni. Alla sola Chiesa appartiene di determinare infallibilmente il senso ed i libri della Scrittura.

DELLA LETTURA DELLA BIBBIA IN VULGARE

[Dell’Abate Glaire]

La lettura della Bibbia in volgare è stata il tèma di vive discussioni. Così i Protestanti e i Giansenisti hanno accusato la Chiesa Cattolica: – 1° di non leggere la santa Scrittura in volgare nella celebrazione della sua liturgia; – 2° di non permettere generalmente a tutti i Fedeli di leggerla; – 3° di abusare della sua autorità col proibirne la lettura. – Ma non ci sembra difficile il difender la Chiesa su questi differenti appunti.

l.° Quando la Religione Cristiana si stabiliva, la Sinagoga celebrava i suoi ufizi pubblici in ebraico, lingua che non era più l’usuale; e Gesù Cristo e gli Apostoli, che rimproverarono ai Giudei tante loro costumanze, non condannarono mai, per quanto si sa, quest’uso. Ora abbiam noi più ragione di condannarlo? Aggiungiamo che se vi fosse un obbligo rigoroso per la Chiesa di leggere la Scrittura in volgare, gli Apostoli non avrebbero mancato di farla tradurre nella lingua di tutti i popoli che essi convertirono alla fede. Qal monumento storico vi è, che comprovi un simil fatto? e qual critico oserebbe sostenerlo? – Vi sono ben altri motivi ancora che possono giustificare la Chiesa Cattolica. In primo luogo vi è la grande difficoltà del tradurre i libri liturgici, senza alterarne il senso, e senza porre in pericolo la forma dei Sacramenti: cosa che può dare motivo ad errori ed eresie. – In secondo luogo la diversità delle lingue usate negli ufizi pubblici, non nocerebbe alla comunicazione delle varie chiese della cristianità? Un prete italiano, per esempio, non potrebbe offrire il santo sacrifizio della Messa che nel suo paese, poiché, secondo i principj dei nostri avversari [tra i quali oggi vi sono in prima fila gli ultra protestanti apostati della setta del “Novus Ordo” che, usurpando gli uffizi della Santa Chiesa di Cristo e la Cattedra di s. Pietro, si spacciano fraudolentemente per Cattolici – ndr.-], i semplici Fedeli debbono intender la lingua usata nel pubblico esercizio del culto religioso, e principalmente per questa ragione essi vogliono imporre alla Chiesa l’obbligo di leggere la Scrittura in volgare. – In terzo luogo finalmente la maestà e la dignità dei nostri divini Misteri sono tali, che non si potrebbero senza abbassarli ed avvilirli volgere in certe lingue rozze ed imperfette.

2.° Ma almeno, dicono gli avversari, perché la Chiesa non ne permette la lettura senza distinzione a tutti i suoi figli? Perché ella sa, come insegna l’Apostolo s. Pietro, che vi sono nella santa Scrittura dei passi che gli uomini ignoranti e di fede non salda potrebbero intender male a danno della loro salute. Pensano inoltre i Padri, e molti lo hanno notato, che vi siano nella Scrittura molte cose, le quali invece di edificare certi lettori gli scandalizzerebbero. In fatti quanti giovani non sarebbero posti al pericolo di guastarsi, se loro si mettesse in mano l’intera raccolta dei nostri santi libri? Quanti Cristiani d’ogni età, se leggessero un libro ove incontrassero ad ogni pagina cose di cui non intendessero il senso, correrebbero rischio di far naufragio nella fede! Bisogna prima aver fatto uno studio particolare del linguaggio familiare agli scrittori sacri, per non cadere a ogni momento in qualche sbaglio. Quante cose a prima giunta urtano, e quando sono spiegate appariscono naturali, buone e lodevoli! Aggiungi che permessa una volta indistintamente la lettura della Bibbia, un gran numero di persone la leggerebbero senza fede, senza umiltà, senza purità d’intenzione, come confessano che avviene gli stessi Protestanti più dotti, e come l’esperienza d’ogni giorno dimostra chiaro: e allora essa diverrà senza dubbio una cagione di scandalo e di caduta. Che se i nostri avversari ci dicano ancora, che i santi Padri esortano tutte quante le persone a legger la Scrittura, risponderemo: « Dateci dei Cristiani così istruiti, così docili e così sottomessi come erano quelli a cui son dirette le loroesortazioni, e noi terremo loro il medesimo linguaggio. »

3.° Queste avvertenze sono più che sufficienti per giustificare  la Chiesa dalla terza accusa lanciatale contro, di abusare cioè della sua autorità vietando la lettura della Bibbia ai Fedeli: poiché, se si è dimostrato che ci è pericolo per una certa classe di persone a leggere la santa Scrittura, non si vede come potrebbe contrastarsi alla Chiesa il diritto di proibire in certe circostanze questa lettura. Se la Sinagoga ha esercitata questa autorità vietando la lettura dei primi capitoli della Genesi, di Ezechiello e del Cantico de’ Cantici, alle persone che non erano arrivate ad una certa età, perché negare il medesimo diritto ai pastori della Chiesa Cristiana; mentre sta ad essi il proibire ai Fedeli a loro affidati ciò che può nuocere? Così ne hanno usato in più Concilj, senza che mai alcun Cattolico gli abbia accusati di usurpazione (Concilio di Tolosa, 1229; terzo di Milano sotto s. Carlo Borromeo; Concilio di Cambrai, 1586; concilio di Trento). – Dopo testimonianze sì autorevoli, non fa meraviglia che i più gravi autori e i più rinomati teologi, come gli addetti alla facoltà teologica di Parigi, Gersone, Alfonso di Castro, il Soto, il Catarina, i Cardinali Du Pirron e Bellarmino, il Fromont e l’Ertius, abbiano riconosciuto il diritto che la Chiesa ha di una tal proibizione. Ma non sarà cosa inutile il dimostrare la falsità del principio, su cui i nostri avversari fondano le loro accuse. Il principio sta nel considerare come cosa necessaria, o almeno sempre vantaggiosa a tutti i Fedeli, il leggere la santa Scrittura. Or nulla vi è di più falso. Primieramente, non si verrà mai a provare la necessità di questa lettura per i semplici fedeli; non essendovi nessun testo della Scrittura ove questa verità sia asserita, e dall’altra parte la tradizione prova il contrario. (V. s. Iren., adv. hæres. 1. III, c. IV.; Tertull., de Præscript., c. XIV.; Clem. Alex. Pedagog., 1. III, c. II.; s. August., de Doct. Christ.). – Dopo tutto ciò e perché la lettura della Bibbia sarà assolutamente necessaria ai semplici Fedeli? forse per conoscere le verità della fede? ma non possono apprenderle nei Catechismi e nelle predicazioni dei loro Pastori? Forse per credere? ma la fede è il frutto della sommissione alle verità insegnate dalla Chiesa, e non dell’esame. O finalmente per santificare il giorno del Signore? Ma dopo l’assistenza al santo sacrifizio, e alle istruzioni cristiane, a quante altre opere di pietà non ci possiamo applicare? In secondo luogo, la lettura della santa Scrittura non è sempre utile ai Fedeli. Abbiamo provato di sopra che potrebbe anche esser loro dannosa. Il principio da cui si partono i nostri avversari è dunque falso, per conseguenza i capi d’accusa che ne deducono sono senza fondamento. Per riassumere adunque ciò che avevamo da dire in quest’ultimo articolo concernente la Bibbia, diciamo: 1.° Che le versioni in volgare non sono proibite in modo assoluto dalla Chiesa universale; 2.° Che le Chiese particolari, le quali le hanno proibite, non l’hanno fatto assolutamente e per tutti i Fedeli, ma solamente per quelli a cui questa lettura potrebbe recar danno; 3.° Che queste versioni non sono state proibite se non per certe circostanze, talché se tali circostanze cessassero, queste Chiese cesserebbero di proibir l’uso di quelle versioni; 4.° Che sebbene non sia generalmente proibito di leggere le versioni della Scrittura in volgare, quando sono state approvate dai Vescovi, nondimeno vi è il pericolo per i semplici fedeli a farne uso senza averne chiesto consiglio al proprio parroco o al Confessore.

MESSA DI SAN GIUSEPPE LAVORATORE

Incipit

In nómine Patris, ✠ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Sap. X: 17
Sapiéntia réddidit iustis mercédem labórum suórum, et dedúxit illos in via mirábili, et fuit illis in velaménto diéi et in luce stellárum per noctem, allelúia, allelúia.

[La sapienza ai santi ha pagato la ricompensa delle loro fatiche: li ha guidati per una via stupenda; diviene per essi riparo di giorno e luce di stelle durante la notte, alleluia, alleluia].
Ps CXXVI: 1
Nisi Dóminus aedificáverit domum, in vanum labórant qui aedíficant eam. [Se non fabbrica la casa il Signore, vi faticano invano i costruttori].


Sapiéntia réddidit iustis mercédem labórum suórum, et dedúxit illos in via mirábili, et fuit illis in velaménto diéi et in luce stellárum per noctem, allelúia, allelúia. [La sapienza ai santi ha pagato la ricompensa delle loro fatiche: li ha guidati per una via stupenda; diviene per essi riparo di giorno e luce di stelle durante la notte, alleluia, alleluia]

Oratio

Orémus.
Rerum cónditor Deus, qui legem labóris humáno géneri statuísti: concéde propítius; ut, sancti Ioseph exémplo et patrocínio, ópera perficiámus quae praecipis, et praemia consequámur quae promíttis.

[O Dio, creatore del mondo, che hai dato al genere umano la legge del lavoro; concedi benigno, per l’esempio e il patrocinio di san Giuseppe, di compiere le opere che comandi e di ottenere la ricompensa che prometti].

Lectio
Léctio Epístolae beáti Pauli Apóstoli ad Colossénses.
Col. III:14-15, 17, 23-24
Fratres: Caritátem habéte, quod est vínculum perfectiónis, et pax Christi exsúltet in córdibus vestris, in qua et vocáti estis in uno córpore, et grati estóte. Omne quodcúmque fácitis in verbo aut in ópere, ómnia in nómine Dómini Iesu Christi, grátias agéntes Deo et Patri per ipsum. Quodcúmque fácitis, ex ánimo operámini sicut Dómino, et non homínibus, sciéntes quod a Dómino accipiétis retributiónem hereditátis. Dómino Christo servíte.

[Fratelli, abbiate la carità, che è il vincolo della perfezione. Trionfi nei vostri cuori la pace di Cristo, alla quale siete stati chiamati nell’unità di un sol corpo: e vivete in azione di grazie! Qualunque cosa facciate, in parole od in opere, tutto fate in nome del Signore Gesù Cristo, rendendo grazie a Dio Padre, per mezzo di lui. Qualunque lavoro facciate, lavorate di buon animo, come chi opera per il Signore e non per gli uomini: sapendo che dal Signore riceverete in ricompensa l’eredità. Servite a Cristo Signore.]

Alleluia

Allelúia, allelúia.
De quacúmque tribulatióne clamáverint ad me, exáudiam eos, et ero protéctor eórum semper. Allelúia.
V. Fac nos innócuam, Ioseph, decúrrere vitam: sitque tuo semper tuta patrocínio. Allelúia.

[In qualsiasi tribolazione mi invocheranno, io li esaudirò, e sarò sempre il loro protettore. Alleluia.
V. O Giuseppe, concedici di vivere senza colpe. e di godere sempre la tua protezione. Alleluia]

Evangelium

Sequéntia +︎ sancti Evangélii secúndum Matthǽum.

Matt XIII: 54-58
In illo témpore: Véniens Iesus in pátriam suam, docébat eos in synagógis eórum, ita ut miraréntur et dícerent: Unde huic sapiéntia haec et virtútes? Nonne hic est fabri fílius? Nonne mater eius dícitur María, et fratres eius Iacóbus et Ioseph et Simon et Iudas? Et soróres eius nonne omnes apud nos sunt? Unde ergo huic ómnia ista? Et scandalizabántur in eo. Iesus autem dixit eis: Non est prophéta sine honóre nisi in pátria sua et in domo sua. Et non fecit ibi virtútes multas propter incredulitátem illórum.

[In quel tempo, Gesù giunto nel suo paese, insegnava loro nella sinagoga, così che meravigliati si chiedevano: «Di dove gli vengono questa sapienza e i miracoli? Non è costui il figlio del falegname? Sua madre non si chiama Maria, e i suoi fratelli Giacomo, Giuseppe, Simone e Giuda? E le sue sorelle non sono tutte fra noi? Da dove, dunque, gli viene tutto questo?». Ed erano scandalizzati riguardo a lui. Ma Gesù disse loro: «Non c’è profeta senza onore, se non nella sua patria e nella sua casa». E non fece là molti miracoli, a causa della loro incredulità.]

Omelia

[A. Carmignola: S. Giuseppe, modello, maestro e protettore dei Cristiani; Tipog. e Libr. Salesiana, Torino, 1896]

RAGIONAMENTO IV.

S. Giuseppe modello di facile imitazione per tutti.

Imitare nostro Signor Gesù Cristo, ecco l’indispensabile nostro dovere per potere un giorno entrare nel regno de’ cieli e appartenere a Gesù Cristo in eterno. Ma se tuttavia Gesù Cristo per la sua sublimità ci sembra un modello troppo difficile ad imitarsi da noi, che ne siamo tanto lontani, ecco che lo stesso Gesù Cristo si accontenta che noi pieghiamo lo sguardo sopra di coloro che riuscirono a diventare sue bellissime copie, vale a dire sopra dei Santi, i quali appunto perché sono della nostra sola natura sembrano per noi più facilmente imitabili. Senonché i Santi, come non sono tutti uguali nel grado di santità, così non tutti risplendono alla stessa guisa in tutte le virtù, ma gli uni di più in questa, gli altri di più in quella. Così vi ha tra i Santi chi spicca maggiormente per la fede, chi invece per la carità, chi per la castità, chi per l’umiltà, chi per la dolcezza, chi per la povertà, chi per la pazienza e chi nelle altre diverse virtù. Epperò la Chiesa, considerando questa varietà di perfezione, che rifulge nei Santi, li propone come particolari modelli ora di questa, ora di quell’altra condizione di persone. Così ad esempio S. Luigi Gonzaga, che morì giovane, viene offerto come modello alla gioventù, e per aver praticato in modo eminente la santa purità è offerto a tutti come modello di questa virtù. San Tommaso d’Aquino, che scrisse tante opere teologiche e filosofiche, è offerto come modello agli studenti ecclesiastici. S. Isidoro, contadino, è offerto modello ai contadini. S. Francesco Zaverio, apostolo delle Indie, ai missionari: S. Luigi re di Francia, ai re; e così dicasi di altri Santi. Ma non vi sarà fra i Santi alcuno che la Chiesa possa presentare come modello facile ad imitarsi da tutti e in ogni genere di virtù? Sì, vi ha, e questo Santo è il nostro caro S. Giuseppe. Egli, essendo il più perfetto imitatore di Gesù Cristo dopo Maria, ne è ancora, dopo Maria, la più perfetta copia in ogni genere di virtù e quasi in ogni condizione di vita; per modo che, anche con maggior ragione dell’Apostolo Paolo può rivolgersi a tutti noi e dire: Siate imitatori miei, come io lo sono di Gesù Cristo: Imitatores mei estote, sicut et ego Christi (1. Cor. IV, 16). Ed ecco l’argomento, che vi propongo per quest’oggi: S. Giuseppe modello di facile imitazione per tutti. Incominciamo.

PRIMA PARTE.

Ed anzi tutto io dico che S. Giuseppe è un Santo di facile imitazione. Noi ordinariamente riguardiamo siccome difficili ad imitarsi, per non dire quasi inimitabili, quei Santi che nella loro vita hanno molto del prodigioso e dello straordinario; quelli che hanno operato molti e strepitosi miracoli, quelli che ebbero delle continue estasi, quelli che abbandonarono il mondo e andarono a vivere da solitami nei deserti e nelle caverne, quelli che si diedero alle più aspre penitenze, alle flagellazioni, ai digiuni, alle veglie; quelli insomma, che sebbene siano vissuti in questo mondo, a noi paiono piuttosto Angeli calati quaggiù dal cielo. E ciò non è senza un po’ di ragione; perché, sebbene in ogni Santo vi sia ciò che è imitabile, tuttavia in taluni di essi molte cose sono soltanto degne di ammirazione, sia perché noi non dobbiamo aspirare di imitare altrui nei miracoli e nelle estasi, sia perché non è ciò che il Signore esige, che noi imitiamo nei Santi. Or bene il nostro S. Giuseppe appartiene egli forse al numero di questi Santi, che a noi si mostrano come difficili ad imitarsi? Oh no! Tutt’altro. Egli si mostra a noi come modello di facilissima imitazione, perché appunto in lui non vi ha nulla in apparenza di prodigioso e di straordinario. Ed infatti da quel poco che ci dice di lui il Vangelo e la tradizione non apparisce che egli abbia mai compiuto alcun miracolo, si conosce che egli era di nobile stirpe, ma decaduto, che esercitava perciò il mestiere di fabbro falegname, che non passò la vita nel deserto, che non si diede a rigide penitenze, che insomma visse una vita comunissima. Or dunque non è egli vero, che si presenta perciò a noi come modello di facile imitazione? Che non vi ha perciò alcuno, che possa esimersi dall’imitarlo, col dire che ciò è impossibile? Ma non solamente tutti possono imitare S. Giuseppe, perché modello di facile imitazione, ma ancora perché egli è modello universale. Vediamolo in breve. S. Giuseppe è modello ai religiosi, a coloro cioè che sono consacrati a Dio coi tre voti di povertà, di castità e di obbedienza e si sono in certa guisa separati dal mondo, poiché S. Giuseppe visse una vita tutta nascosta e ritirata, consacrato interamente al suo Dio, perfettamente povero, casto ed obbediente. S. Giuseppe è modello ai sacerdoti, a coloro cioè che hanno ricevuta una speciale consacrazione nel Sacramento dell’Ordine e sono destinati a trattare con le loro mani le carni adorabili di Gesù Cristo, poiché S. Giuseppe con vi va fede, con ardente carità, con pietà e riverenza profonda trattò mai sempre il suo caro figlio putativo Gesù. S. Giuseppe è modello a coloro che sono dedicati all’apostolato della fede cattolica, poiché S. Giuseppe, sia nella sua dimora in Nazaret, come ne’ suoi viaggi e nel suo esilio in Egitto non tralasciò mai di fare quanto poteva per essere vero apostolo ed eccitare sia i cattivi ebrei che i gentili e gli idolatri a convertirsi sinceramente a Dio. S. Giuseppe è modello degli sposi cristiani, perché essendo stato sposo purissimo di Maria Vergine, offre loro l’esempio del più perfetto e del più puro amore scambievole. S. Giuseppe è modello dei padri e delle madri di famiglia, perché essendo stato quale padre in terra di nostro Signor Gesù Cristo, insegna ai genitori quale debba essere la loro sollecitudine nella santa educazione dei loro figli. S. Giuseppe è modello ai maestri ed agli educatori della gioventù, perché ancor egli la fece da educatore al suo caro Gesù. S. Giuseppe è modello ai re, ai nobili, ai potenti della terra, perché anch’egli fu di sangue reale ed insegna loro a non vanagloriarsi punto né della nobiltà dei loro natali, né degli onori che ricevono nel mondo, né delle alte cariche che esercitano nella società. S. Giuseppe è modello ai padroni, perché anch’egli fu padrone di bottega ed insegna ai medesimi di praticare mai sempre la giustizia verso dei loro clienti, come verso dei loro dipendenti. S. Giuseppe è modello agli operai, perché  esercitò appunto durante tutta la sua vita l’umile mestiere di fabbro falegname e nell’esercizio di questo mestiere operò tuttavia la sua grande santificazione, lavorando sempre coscienziosamente, impiegando utilmente i suoi guadagni per i bisogni della sua famiglia e santificando sempre i giorni festivi. Fu modello ai poveri col vivere contento nello stato di povertà, fu modello ai ricchi con l’impiegare il soprappiù de’ suoi guadagni nel far elemosine; fu modello ai felici, perché non abusò mai della felicità somma in cui si trovava dall’essere sposo di Maria e Custode di Gesù; fu modello ai tribolati perché in mezzo alle pene e ai dolori più acerbi chinò sempre umilmente la testa ai voleri di Dio e benedisse la sua mano, che lo metteva alla prova; fu modello ai giovani perché santo da giovane, e modello ai vecchi perché col crescere della vita crebbe eziandio nella santità; fu insomma modello universale: talché non vi è alcuno, a qualsiasi condizione egli appartenga, che possa dire: Io non posso prendere S. Giuseppe per mio modello. – E come è modello a tutti, così lo è di ogni virtù. Egli lo è anzi tutto delle virtù teologiche, della fede, della speranza e della carità. Nessuno al certo, dopo la beata Vergine, ebbe una fede più viva, una speranza più ferma, una carità più ardente di S. Giuseppe. S. Paolo diceva che il giusto vive di fede: iustus ex fide vivit(Ebr. X, 38), e S. Giuseppe è proprio quel desso: egli credette sempre, prontamente, umilmente non ostante che gli fossero proposti a credere misteri altissimi. Davide diceva di sé, chegli era cosa buona abbandonarsi in Dio e riporre in lui tutta la sua speranza: Mihi autem adhærere Deo bonum est, ponere in Deo spem meam (Salm, LXXII, 28), e S. Giuseppe, suo discendente, ripeteva queste parole anche con uno slancio di gran lunga superiore. Davide ancor protestavano di non voler amare che Iddio, sua fortezza: Diligam te, Domine, fortitudo mea (Salm. XVII, 1), e Giuseppe con un ardore incomprensibile si slanciava ad ogni istante ad amare il suo caro Gesù e suo Dio. Così S. Giuseppe era modello delle teologiche virtù.Nello stesso modo lo era delle virtù cardinali, della prudenza, della giustizia, della fortezza e della temperanza. Non è che guidato dalla prudenza che non ostante il voto di verginità col quale erasi consacrato a Dio, consigliato come piamente si crede dal Sommo Sacerdote, si unì in matrimonio con Maria SS., Vergine Ella pure. Ed è ancora per prudenza che fu sul punto di abbandonarla nascostamente, quando egli non ancora edotto del mistero che erasi operato in Lei, si avvide che era divenuta madre. È per la sua somma giustizia, che è appunto chiamato dal Vangelo giusto per eccellenza, perché egli dava a Dio quel che a Dio si conveniva, al prossimo quel che si conveniva al prossimo, e da se stesso quel che a se stesso doveva. È per la sua fortezza che resistette intrepido e fidente in Dio a tutte le avversità, a tutti i disagi, a tutti i patimenti cui dovette andare incontro come sposo di Maria e come Custode di Gesù. Ed è per la sua temperanza, che egli regolò mai sempre i suoi sensi secondo la ragione e la fede e non permise mai che questi creassero il minimo intoppo nell’esercizio delle virtù. Da ultimo, oltre all’essere stato modello delle virtù teologiche e cardinali, lo fu ancora di tutte quante le virtù morali; e dell’obbedienza, facendo subito ed appuntino quel che Iddio per mezzo degli Angeli gli comandava, né obbedendo solo a Dio, ma ancora agli uomini, come fece allora che si recò a Betlemme a dare il proprio nome; e dell’umiltà, non parlando mai di sé, non menando mai con alcuno il minimo vanto del suo altissimo ufficio, anzi tacendo fino allora che a noi sembra avrebbe dovuto parlare; e della castità, e della dolcezza, e della mansuetudine, e della pazienza, e della rassegnazione ai voleri di Dio, e dello spirito di preghiera, e di qualsiasi altra virtù possa da un uomo praticarsi sopra di questa terra, avendo egli, come già dicemmo ieri, copiato in sé tutte quelle virtù di cui Gesù Cristo, nostro primo modello, ci lasciò l’esempio. Or dunque non è egli vero che S. Giuseppe può volgersi a noi e dire con tutta ragione: Siate imitatori miei come io lo sono di Gesù Cristo?Imitatores mei estote sicut et ego Christi? Sì, senza alcun dubbio, e noi dobbiamo imitarlo. Dobbiamo imitarlo, perché modello di facile imitazione; dobbiamo imitarlo, perché modello a tutti, di qualsiasi condizione; dobbiamo imitarlo, perché modello bellissimo di tutte quante le virtù. Molti Cristiani si trovano in gravissimi errori per ciò che riguarda la vera divozione ai Santi. Ed in vero taluni si pensano che la divozione a qualche Santo consista in nient’altro che in una certa qual simpatia speciale per lui. Costoro nutrono nel loro animo un certo qual sentimento che io chiamerei di parzialità per il Santo di cui sono devoti, epperò se accade che ne abbiano a parlare, lo fanno con entusiasmo e con esagerazione tale che secondo loro la Madonna Santissima e Iddio stesso sono al di sotto assai del loro Santo. E cadono appunto in questo eccesso costoro, perché la loro divozione è falsa, essendoché si ferma tutta lì a quel sentimento di special simpatia. Difatti, li vedete voi mai costoro a far opere buone ad onor del loro Santo? Ecchè? Son Cristiani, che non vanno neppur più in Chiesa. Altri poi ve ne sono che si pensano che la divozione ai Santi consista unicamente nell’invocare il loro aiuto, massime nei momenti del bisogno e per quelle necessità in cui i Santi si mostrano particolari patroni. Così certa gente non appena è presa dal mal di denti ricorre a S. Apollonia; se è travagliata dal mal di gola prega S. Biagio; se corre pericolo della vista si raccomanda a S. Lucia; se ha perduto qualche cosa recita dei Pater a S. Antonio per ritrovarla, e così via via: e se poi è accaduta qualche grave sciagura, dalla quale troppo le importi di sorgere, va all’altare della Madonna e fa il voto di un cuore d’argento. Ma intanto anche questa gente non si cura troppo di chiesa; è forse anche da gran tempo che non va ai Sacramenti, è in continuo stato di peccato mortale. E questa gente avrà essa la vera divozione ai Santi?Altri poi spingono l’errore anche più in là. Poiché sebbene non possano ignorare che sia peccato il rubare, il vendicarsi delle ingiurie, il fornicare e simili, arrivano a tale da invocare l’aiuto dei Santi per riuscire a fare destramente quella ladreria, quella vendetta, quel peccato che hanno in animo di fare. Par quasi incredibile, eppure non ne mancano degli esempi. Ed altri poi nella loro devozione portano una presunzione tale, da non poter immaginare la maggiore. Poiché mentre si avvedono della mala vita che conducono e vogliono tuttavia persistere nella medesima, non dimeno perché dicono qualche Pater o qualche Ave Maria o a questo o a quel Santo, si tengono come certi di potersi salvare. Or dite non è egli chiaro, chiarissimo che tutti costoro sono falsi devoti? Invocare l’aiuto dei Santi è cosa che certamente fa parte della loro devozione, ma non è il tutto, ed invocarli poi per essere aiutati a fare il male è il più grave oltraggio che loro si possa fare. La vera divozione ai Santi consiste in tre cose massimamente: anzitutto nell’ammirare le loro grandezze, in secondo luogo nell’imitare le loro virtù, in terzo luogo nell’invocare il loro aiuto. Ma di tutte queste tre cose, la più importante e la più essenziale si è quella di mezzo, l’imitazione delle loro virtù. È S. Agostino che ce lo insegna: Vera devotio est imitari quod colimus. La vera divozione è imitare colui che onoriamo. Di qui pertanto noi possiamo farci un’idea esatta della divozione nostra verso di S. Giuseppe e ad ogni modo possiamo imparare come ci convenga essere suoi veri devoti. È dunque certamente bello venire in chiesa nel corso del mese di marzo, a sentire le sue glorie e le sue grandezze, oppure leggerle in qualche libro che parli di lui; è bello adornare il suo altare e la sua immagine di fiori e di ceri, è bello rivolgere a lui con fiducia la nostra preghiera, ma pur facendo tutto ciò, questo ha da essere il nostro principalissimo studio: imitarlo nelle sue virtù. Se così adunque e non altrimenti noi possiamo essere veri devoti di questo caro Santo, gettiamo attentamente sopra di lui il nostro sguardo per apprendere bene i suoi grandi esempi e con tutta la più buona volontà ricopiarli in noi medesimi: insomma mettiamo in pratica l’esortazione che ci fa lo stesso S. Giuseppe: Siate imitatori miei come io lo sono di Gesù Cristo: Imitatores mei estote sicut et ego Christi.

Credo

https://www.exsurgatdeus.org/2019/10/12/il-credo/

Offertorium

Orémus
Ps LXXXIX: 17
Bónitas Dómini Dei nostri sit super nos, et opus mánuum nostrárum secúnda nobis, et opus mánuum nostrárum secúnda, allelúia. [E’ con noi la grazia del Signore Dio nostro: essa conferma su di noi l’opera delle nostre mani, conferma l’opera delle nostre mani, alleluia]

Secreta

Quas tibi, Dómine, de opéribus mánuum nostrárum offérimus hóstias, sancti Ioseph interpósito suffrágio, pignus fácias nobis unitátis et pacis. [O Signore, questa offerta che è frutto del lavoro delle nostre mani, per l’intercessione di san Giuseppe ci sia pegno di unità e di pace].

Praefatio de S. Ioseph

Vere dignum et iustum est, æquum et salutáre, nos tibi semper et ubíque grátias ágere: Dómine sancte, Pater omnípotens, ætérne Deus: Et te in Solemnitáte beáti Ioseph débitis magnificáre præcóniis, benedícere et prædicáre. Qui et vir iustus, a te Deíparæ Vírgini Sponsus est datus: et fidélis servus ac prudens, super Famíliam tuam est constitútus: ut Unigénitum tuum, Sancti Spíritus obumbratióne concéptum, paterna vice custodíret, Iesum Christum, Dóminum nostrum. Per quem maiestátem tuam laudant Angeli, adórant Dominatiónes, tremunt Potestátes. Coeli coelorúmque Virtútes ac beáta Séraphim sócia exsultatióne concélebrant. Cum quibus et nostras voces ut admítti iúbeas, deprecámur, súpplici confessióne dicéntes:  [E’ veramente cosa buona e giusta, nostro dovere e fonte di salvezza, rendere grazie sempre e dovunque a te, Signore, Padre santo, Dio onnipotente ed eterno: noi ti glorifichiamo, ti benediciamo e solennemente ti lodiamo di S. Giuseppe. Egli, uomo giusto, da te fu prescelto come Sposo della Vergine Madre di Dio, e servo saggio e fedele fu posto a capo della tua famiglia, per custodire, come padre, il tuo unico Figlio, concepito per opera dello Spirito Santo, Gesù Cristo nostro Signore. Per mezzo di lui gli Angeli lodano la tua gloria, le Dominazioni ti adorano, le Potenze ti venerano con tremore. A te inneggiano i Cieli, gli Spiriti celesti e i Serafini, uniti in eterna esultanza. Al loro canto concedi, o Signore, che si uniscano le nostre umili voci nell’inno di lode:]

https://www.exsurgatdeus.org/2019/10/20/comunione-spirituale/

Communio

Matt XIII: 54-55
Unde huic sapiéntia haec et virtútes? Nonne hic est fabri fílius? Nonne mater eius dícitur María? Allelúia. [Da dove vengono a lui tanta sapienza e sì grandi portenti? Non è forse lui il figlio dell’operaio? Non è forse sua madre Maria? alleluia.]

Postcommunio

Orémus.
Haec sancta quae súmpsimus, Dómine, per intercessiónem beáti Ioseph; et operatiónem nostram cómpleant, et praemia confírment. [
O Signore, per l’intercessione di san Giuseppe, questo sacramento che abbiamo ricevuto renda perfetto il nostro lavoro e ci assicuri la ricompensa.]

https://www.exsurgatdeus.org/2019/10/20/preghiere-leonine-dopo-la-messa/

https://www.exsurgatdeus.org/2018/09/13/ringraziamento-dopo-la-comunione-1/

https://www.exsurgatdeus.org/2019/05/20/ordinario-della-messa/

CALENDARIO LITURGICO DELLA CHIESA CATTOLICA: MAGGIO 2019

MAGGIO È IL MESE CHE LA CHIESA CATTOLICA DEDICA ALLA SANTISSIMA VERGINE MARIA

 …. La divozione a Maria Santissima è una cara eredità, che abbiamo ricevuto dai padri nostri. Sì, la divozione a Maria è una delle più splendide glorie della nostra Italia. E non poteva essere altrimenti. Da questo nostro fortunato Paese, che è il centro della Cattolica Chiesa, doveva partire altresì per le altre nazioni l’esempio di un culto, che nella Chiesa forma una parte tanto importante. Epperò non vi è monte, non vi è valle, per quanto remota e solitaria, dove non si scontri una sua immagine, che inviti il viandante a porgerle un riverente saluto. Non vi è paese e non vi è città che non abbia, oltre alle feste della Chiesa, consacrato a Lei una festa particolare, che sia come la festa che si celebra in famiglia ad onore della propria madre, e nella quale si vada a gara per solennizzarla e con sfarzo di ceri, e con sceltezza di musica e con splendore di rito. I geni poi della nostra poesia alla Vergine innalzarono i loro cantici più ispirati e sublimi, dall’Alighieri e dal Petrarca sino al Manzoni ed al Pellico. I geni della pittura, e Raffaello, e Tiziano, e Caravaggio, e frate Angelico, ritrassero la venerata effigie di Maria nelle loro tele più celebrate. I geni della musica trovarono per lei le note più tenere e soavi, e quelli della pietà e della scienza quali un S. Ambrogio, un S. Tommaso, un S. Bernardo, un S. Bernardino, un S. Filippo, un S. Alfonso ebbero per Maria il linguaggio più entusiastico ed espressivo. Tutti poi e dotti e idioti e grandi e piccoli, giovani e vecchi ebbero mai sempre come naturale in cuore la devozione a Maria, che può ben dirsi trasfusa dai padri ai figli, di generazione in generazione, col trasfondersi della vita. E Maria in ogni tempo rispose allo slancio dei padri nostri e ben possiamo asserire con gloria, che come non vi ha spazio considerevole di tempo, così non vi ha paese o città italiana, che non abbia ricevuto da Maria un qualche peculiar segno del suo amore. Tutta Italia ebbe in dono da Lei quella casa benedetta, nella quale nacque, trascorse tanto tempo della vita e divenne Madre del Verbo incarnato. Ed ogni provincia, ogni città e direi quasi ogni paese conta autenticamente le miracolose apparizioni di Lei, le sue speciali benedizioni, i suoi celesti insegnamenti, i suoi stupendi prodigi. Cosi Maria dando prova evidentissima del suo particolare affetto per la nostra Italia, corrispose all’affetto dei nostri padri. E noi non cammineremo sulle loro orme gloriose!? Non ci mostreremo veri eredi della loro antica pietà? Non cercheremo anzi di santamente emularli? Sì, senza dubbio, e ciò particolarmente in questo bel mese, che stiamo per consacrare a Maria. E fin di quest’oggi, prostrati dinnanzi al suo altare, esaltiamola e preghiamola col dirle: Ave, o Regina dei Cieli, Ave, o Signora degli Angeli; salve, radice e porta, dalla quale è nata al mondo la luce. Ti allieta, o Vergine gloriosa, bella sopra tutte; vale, o adorna d’ogni grazia, e prega per noi il tuo caro Gesù. Fanne degni di lodarti, o Vergine benedetta e dacci forza contro ad ogni tuo nemico. Così sia. [A. Carmagnola: La porta del cielo. S. E. I. Torino, 1986]

EXERCITIA

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Fidelibus, qui mense maio pio exercitio in honorem beatæ Mariæ Virginis publice peracto devote interfuerint, [Ai fedeli che nel mese di Maggio praticheranno in pubblico un pio esercizio in onore della Beata Vergine Maria, per ogni giorno del mese si concede …] conceditur:

Indulgentia septem annorum quolibet mensis die:

Indulgentia plenaria, si diebus saltem decem huiusmodi exercitio vacaverint et præterea sacramentalem confessionem instituerint, ad sacram Synaxim accesserint et ad mentem Summi Pontifìcis oraverint [se lo avranno praticato almeno per 10 giorni, s. c.].

Iis vero, qui præfato mense preces vel alia pietatis obsequia beatæ Mariæ Virgini privatim præstiterint, [a coloro che lo praticheranno privatamente …] conceditur:

Indulgentia quinque annorum semel, quolibet mensis die;

Indulgentia plenaria suetis conditionibus, si quotidie per integrum mensem idem obsequium peregerint; at ubi pium exercitium publice habetur, huiusmodi indulgentia ab iis tantum acquiri potest, qui legitimo detineantur impedimento quominus exercitio publico intersint (Secret. Mem. 21 mart. 1815; S. C . Indulg., 18 iun. 1822; S. Pænit. Ap., 28 mart. 1933).

QUESTE SONO LE FESTE DEL MESE DI MAGGIO

1 Maggio S. Joseph opificis. I. Duplex I. classis

2 Maggio S. Athanasii Episcopi Confessoris et Ecclesiæ Doctoris    Duplex

3 Maggio Inventione Sanctæ Crucis    Duplex II. classis *L1*

1° Venerdì

4 Maggio S. Monicæ Viduæ    Duplex

1° Sabato

5 Maggio Dominica II Post Pascha    Semiduplex Dominica minor

  S. Pii V Papæ et Confessoris    Duplex

6 Maggio S. Joannis Apostoli ante Portam Latinam    Duplex majus *L1*

7 Maggio S. Stanislai Episcopi et Martyris    Duplex

8 Maggio In Apparitione S. Michaëlis Archangeli    Duplex majus *L1*

9 Maggio S. Gregorii Nazianzeni Episcopi Confessoris et Ecclesiæ Doctoris    Duplex

10 Maggio S. Antonini Episcopi et Confessoris    Duplex

11 Maggio Ss. Philippi et Jacobi Apostolorum    Duplex II. classis *L1*_

12 Maggio Dominica III Post Pascha    Semiduplex Dominica minor *I*

                   Ss. Nerei, Achillei et Domitillæ Virg. atque Pancratii Martyrum    Semiduplex

13 Maggio S. Roberti Bellarmino Episcopi Confessoris et Ecclesiæ Doctoris    Duplex

14 Maggio S. Bonifatii Martyris    Feria

15 Maggio S. Joannis Baptistæ de la Salle Confessoris    Duplex

16 Maggio S. Ubaldi Episcopi et Confessoris    Semiduplex

17 Maggio S. Paschalis Baylon Confessoris    Duplex

18 Maggio S. Venantii Martyris    Duplex

19 Maggio Dominica IV Post Pascha    Semiduplex Dominica minor *I*

               S. Petri Celestini Papæ et Confessoris    Duplex

20 Maggio S. Bernardini Senensis Confessoris    Semiduplex

25 Maggio S. Gregorii VII Papæ et Confessoris    Duplex

26 Maggio Dominica V Post Pascha    Semiduplex Dominica minor *I*

                    S. Philippi Neri Confessoris    Duplex

27 Maggio S. Bedæ Venerabilis Confessoris et Ecclesiæ Doctoris    Duplex

                   Feria Secunda in Rogationibus    Semiduplex

28 Maggio S. Augustíni Episcopi et Confessoris    Duplex

                   Feria Tertia in Rogationibus    Semiduplex

29 Maggio In Vigilia Ascensionis    Feria

                    S. Mariæ Magdalenæ de Pazzis Virginis    Feria

30 Maggio In Ascensione Domini    Duplex I. classis *I*

31 Maggio S. Angelæ Mericiæ Virginis    Duplex

MAGGIO, IL MESE DELLA MADONNA

MAGGIO, IL MESE DELLA MADONNA

[A. Carmignola: La porta del cielo; S. E, I. Torino, 1896 – rist. 1944 imprim. L. Piscetti, revis. Arciv. Torino, 26 marzo 1896]

DISCORSO D’INTRODUZIONE

Della vera divozione a Maria.

Eccoci al mese di Maggio, che è il più bel mese dell’anno. In questo mese le campagne sono del tutto verdeggianti; i fiori sbocciando spargono le più soavi fragranze, e gli uccelli volando su pei rami degli alberi fauno sentire i loro dolcissimi gorgheggi. Oh quanto è bello il mese di Maggio! E questo bellissimo tra i mesi dell’anno la Chiesa consacra a Colei, che è la più pura, la più santa, la più bella fra tutte le creature, a Maria. Oh! potevasi scegliere meglio un altro mese a questo fine? No, certo. Ma che cosa vuol dire consacrare a Maria il mese di Maggio ogni buon Cristiano, di voto di Maria, lo sa: vuol dire praticare in questo mese in un modo tutto particolare la sua divozione. Tuttavia molti non sanno bene in che cosa consista la vera devozione a Maria, e però sebben consacrino a Lei questo mese, non fanno ciò in modo, che torni a Lei del tutto gradito. Poiché molti si pensano, che la divozione a Maria consista del tutto in certe pratiche esteriori, nel recitare in suo onore qualche Rosario, nel portare al collo la sua medaglia od il suo abitino, nel recarsi durante questo mese alle prediche o nel fare qualche devota lettura, e specialmente nel ricorrere a Lei per guadagnare qualche favore, per evitare qualche pericolo, per guarire da una malattia o per altro somigliante bisogno. Costoro sono in un gravissimo errore: perché sebbene tutto ciò faccia parte della divozione alla SS. Vergine, non è tuttavia ciò, che solamente la costituisca. È perciò di una somma convenienza che, stando per cominciare il mese di Maggio, in cui intendiamo più che mai di manifestare la divozione nostra a Maria, ci facciamo di questa divozione una chiara e giusta idea e riconosciamo che essa consiste massimamente in queste tre cose:

1° Nell’ammirare le grandezze di Maria.

2° dell’imitare le sue virtù.

3° dell’implorare i suoi benefizi.

I. — Quando un oggetto si presenta al nostro sguardo adorno di tutte o quasi tutte le perfezioni, di cui è capace, allora noi diciamo che è ammirabile. Così pure diciamo ammirabile quell’uomo, quella donna, quel giovane, che o nella sua vita o ne’ suoi atti, elevandosi al di sopra della vita e degli atti comuni alla maggior parte degli altri, ha dello straordinario. Or bene, qual mai fra le creature più di Maria ha da essere meritevole della nostra ammirazione? Ed invero, chi è Maria? Maria è la Madre di Dio, Colei che Iddio ha amata da tutta l’eternità sopra ogni altra sua creatura, epperò Colei che forma il più eccellente capolavoro, che sia uscito dalle mani dell’Altissimo. Maria, dobbiamo dire coi Santi, è quel grande e divino mondo, dove Iddio ha versato bellezze e tesori ineffabili: è quel paradiso terrestre, nel quale Gesù Cristo, novello Adamo, incarnandosi, ha operato meraviglie incomprensibili, ha recato quanto vi ha di più eccellente e bello. Che cosa sono mai gli ori e le perle più preziose dei mari e dei monti in confronto delle grandezze e dei privilegi, di cui venne arricchita Maria? Per certo è proprio qui il caso di esclamare coll’Apostolo : Nec oculus vidit, nec auris audivit, nec in cor hominis ascendit« e occhio vide, né orecchio intese, né il cuor dell’uomo ha compreso quanto sia grande Maria ». Epperciò i Santi medesimi, dopo di aver parlato e scritto di lei nel modo più eloquente, confessarono con rammarico di aver detto troppo poco in suo onore, essendo essa un’altezza inarrivabile, una larghezza incomprensibile,una profondità impenetrabile, una grandezza smisurata. E la Chiesa ancor essa si duole di non trovare lodi abbastanza atte ad è saltarla come meriterebbe: Quibus te laudibus efferata nescio(Uff. della B. V.). In somma così straordinarie sono le grandezze di Maria, che Ella medesima, non ostante la sua profonda umiltà, è stata costretta a dirlo in quel Cantico, che innalzavaa Dio incontrandosi colla sua cugina Elisabetta: Fecit mihi magna, qui potens est; « Colui che è potente ha fatto a me cose grandi ». Or dunque se tale è la Vergine non dovremo noi anzi tutto manifestarle la nostra divozione con l’avere per Lei l’animo nostro ripieno di santa ammirazione. Tuttavia poco gioverebbe questa ammirazione nostra, se non fosse feconda di quelle più belle e più vive lodi, che da noi le si possono tributare. Così per l’appunto si esplica ad ogni istante l’ammirazione, che hanno per Lei gli Angeli del paradiso. Essi tutti, dal primo all’ultimo coro, dice S. Bonaventura, le gridano incessantemente: Sancta, sancta, sancta Maria, Dei Genitrix et Virgo; e milioni e milioni di volte il dì le ripetono la salutazione dell’Arcangelo Gabriele: Ave Maria, e le si prostrano innanzi e le chiedono in grazia, che li onori con qualche comando. S. Michele, dice S. Agostino, sebbene principe della corte celeste, è il più zelante nel renderle e farle rendere ogni sorta di onori. Così pure hanno fatto i Santi; epperò pieni di ammirazione per Lei sono andati a gara per trovare le più ingegnose espressioni, che meglio valessero ad esaltarla, chiamandola chi il miracolo dei miracoli della grazia, della natura e della gloria, chi l’opera più bella che uscisse dalle mani del Creatore, chi lo specchio del potere divino, chi il teatro della divina gloria, chi il più splendido dei prodigi, chi altrimenti ancora. Così pure fa la Chiesa, la quale mai non lascia di lodare Maria e di eccitare i suoi figli a lodarla. E così facciamo anche noi: lodiamola nelle nostre preghiere, lodiamola nei nostri discorsi, lodiamola nei nostri cantici; e perché la nostra lode riesca a Lei più accetta, a Lei medesima raccomandiamoci, che ci renda ognora più degni di lodarla, dicendole sempre con tutto l’affetto del cuore: Fatemi degno di lodarvi, o Vergine santa. Dignare me, laudare te, Virgo sacrata.

II. — Ma se noi dobbiamo essere veri devoti di Maria anzitutto con l’ammirare le sue grandezze dobbiamo esserlo in secondo luogo con l’imitare le sue virtù. È più che naturale, che dal sentimento dell’ammirazione nasca in noi il desiderio della imitazione. Nel vedere il nostro prossimo compiere atti di virtù, di valore, di eroismo, se siamo di animo retto, diciamo tosto nel nostro cuore: oh se anch’io potessi fare il somigliante! Ora gettando il nostro sguardo sopra di Maria troviamo, è vero, delle grandezze che formano il suo esclusivo privilegio e delle quali il pretendere l’imitazione sarebbe senza dubbio una stoltezza, ma troviamo eziandio delle virtù, le quali non solo si debbono ammirare e venerare, ma ancora ai possono imitare; della vita di Maria, dice il grande S. Ambrogio, vi ha una regola di vivere, che serve di modello alle anime tutte di ogni età, di ogni sesso, di ogni condizione: Talis fuit Maria ut eius unius vita omnium sit disciplina(De Virginibus). Essa è modello ai sacerdoti, modello ai coniugati, modello ai padri ed alle madri di famiglia, modello ai figliuoli, modello ai giovani, modello ai vecchi, modello ai ricchi, ai poveri, ai dotti, agli idioti, ai giusti, ai tribolati, a tutti; sì, perché a motivo della sua condizione di Madre di Gesù Cristo si trovò nel caso di dare a tutti luminosisimi esempi, e di ogni genere di virtù. Sì, riandate pure col vostro pensiero tutte le virtù e infuse e morali: la fede, la speranza, la carità, la prudenza, la giustizia, la temperanza, la fortezza, l’umiltà, la pazienza, la rassegnazione, la modestia, la purità. Essa tutte le ebbe, niuna eccettuata: e tutte nel modo più perfetto, senza difetto di sorta, senza ombra benché minima di colpa. Or se Maria, nostra Madre, è questo nostro stupendo esemplare, noi che vogliamo essere i suoi veri figliuoli, non sentiremo vivamente il dovere di ricopiarlo nella nostra vita? Noi che diciamo e ripetiamo tante volte di amare Maria, non riconosceremo l’obbligo di renderci più che sia possibile a Lei somiglianti, imitandola nelle sue virtù? Ah! se così fosse, noi non professeremmo a Maria che una devozione falsissima. E come può dirsi vero devoto di Maria chi non fa violenza alcuna per evitare il peccato che tanto si oppone alla sua santità e tanto la disgusta! Chi asseconda del continuo le sue cattive passioni! Chi dorme in pace nelle sue perverse abitudini? Chi è sempre orgoglioso, avaro, impudico, collerico, maldicente, ingiusto, peccatore, vizioso? Egli ha un bel dire qualche Rosario, ha un bel digiunare qualche sabato, ha un bel accendere qualche candela alla Madonna, un bel portare indosso la sua medaglia o il suo abitino, con tutto ciò egli non è altro che un devoto esteriore di Maria, e se con queste esteriorità esso pretende ottenere delle grazie da Lei e massimamente quella della sua eterna salvezza, è per di più un disgraziato presuntuoso, il quale perciò della vera divozione a Maria non coglierà mai i frutti. Ah! la vera devozione, dice S. Agostino, consiste nell’imitare chi si onora: vera devotio imitari quod colimus. E se noi vogliamo essere veri devoti di Maria, dobbiamo assolutamente imitarla nelle sue virtù; imitarla nell’amor di Dio e staccare il cuor nostro dalle creature e dai beni miserabili di questa terra; imitarla nell’amor del prossimo e prestarci quanto più ci è possibile a soccorrerlo; imitarla nella fede ed allontanare da noi qualsiasi dubbio intorno alle verità di nostra santa Religione; imitarla nella purità e fuggire prontamente tutti i pericoli contro a questa così bella virtù, imitarla nella umiltà e combattere il nostro orgoglio, imitarla nella pazienza e portare volentieri la croce, che Iddio per nostro bene ci ha posto sulle spalle, imitarla in somma in tutte le sue virtù ricopiando nel modo più perfetto che ci sia possibile i pregi del suo bellissimo e santissimo animo. Allora sì noi potremo dire di amare davvero Maria, di amarla a fatti e non solo a parole; allora sì noi potremo rallegrarci di essere suoi veri figliuoli; allora noi potremo con grande fiducia appressarci al suo trono di grazia e compiere sicuramente la terza parte della sua divozione, che consiste nell’implorare i suoi benefizi.

III. — Sì, implorare i suoi benefizi, perché come Maria è il tesoro di ogni grandezza, il modello di ogni virtù, così Ella è la dispensiera di ogni grazia. Madre di Dio, quale Ella è, esercita sopra il suo cuore a nostro vantaggio tale potenza, che, come dice Riccardo da S. Lorenzo, essendo Gesù Cristo onnipotente per natura, essa lo è per grazia; e, come attesta S. Bernardino da Siena, la preghiera sua è un vero comando a cui Iddio benignamente si inchina, e, come soggiunge S. Bernardo, basta che essa voglia e tutto vien fatto. Quale Madre nostra poi ha tale per noi un cuore, che è mille volte più pronta essa a soccorrerci nei nostri bisogni, di quello che siamo pronti noi a ricorrere a Lei per aiuto, e così universale è la sua carità, che come Gesù Cristo ha escluso nessuno dal benefizio della sua redenzione, così Ella non esclude alcuno dai benefizi del suo amore. I giusti hanno da Lei le grazie per conservarsi e crescere nella virtù, i peccatori le ispirazioni, gli eccitamenti e gli aiuti a convertirsi, gli afflitti trovano in Lei consolazione, gli infermi la santità, i poveri soccorso, i tribolati d’ogni maniera sollievo e conforto, tutti ogni sorta di grazie e di favori celesti. E quello che è ancor più consolante, si è che questa nostra amorosissima Madre imitando la generosità di Dio, il quale è dives in omnes qui invocant Illum, è ricco verso tutti coloro che lo invocano, dispensa ancor Ella i suoi benefizi con tale sovrabbondanza da dare sempre di più di quello che a Lei si chiede. Largitas Mariæ, dice Riccardo, assimilat largitatem Filii sui, dal amplius quam petatur. E se talvolta pare, che Ella chiuda le orecchie alle nostre preghiere e non le esaudisca, egli è perché o non è bene per l’anima nostra che siamo subito ascoltati o domandiamo cose che all’anima nostra tornerebbero certamente di danno, sicché in queste medesime apparenti ripulse essa ci dà una prova bellissima del suo amore per noi e sommamente ci benefica. Se pertanto Maria ha per noi animo così generoso, ricorriamo a Lei con fiducia, invochiamo il suo santo aiuto, imploriamo i suoi benefizi. E ciò facciamo massimamente in questo mese che a Lei consacriamo. Certo in questo mese a ricambio delle nostre preghiere Ella tiene apparecchiate per noi particolarissime grazie, grazie che Ella verserà abbondanti sul nostro capo, se noi ammirando le sue grandezze, imitando le sue virtù, implorando il suo aiuto potremo addimostrarle col fatto, che noi siamo i suoi veri devoti.

FIORETTO

Consacrare a Maria tutte quante le azioni, che faremo nel mese di Maggio e recitare tre Ave Maria, perché ci aiuti a farle tutte sante.

GIACULATORIA.

Santa Maria, pregate per noi. Sancta Maria, ora prò nobis.

Esempio e preghiera.

La divozione a Maria Santissima è una cara eredità, che abbiamo ricevuto dai padri nostri. Sì, la divozione a Maria è una delle più splendide glorie della nostra Italia. E non poteva essere altrimenti. Da questo nostro fortunato Paese, che è il centro della Cattolica Chiesa, doveva partire altresì per le altre nazioni l’esempio di un culto, che nella Chiesa forma una parte tanto importante. Epperò non vi è monte, non vi è valle, per quanto remota e solitaria, dove non si scontri una sua immagine, che inviti il viandante a porgerle un riverente saluto. Non vi è paese e non vi è città che non abbia, oltre alle feste della Chiesa, consacrato a Lei una festa particolare, che sia come la festa che si celebra in famiglia ad onore della propria madre, e nella quale si vada a gara per solennizzarla e con sfarzo di ceri, e con sceltezza di musica e con splendore di rito. I geni poi della nostra poesia alla Vergine innalzarono i loro cantici più ispirati e sublimi, dall’Alighieri e dal Petrarca sino al Manzoni ed al Pellico. I geni della pittura, e Raffaello, e Tiziano, e Caravaggio, e frate Angelico, ritrassero la venerata effigie di Maria nelle loro tele più celebrate. I geni della musica trovarono per lei le note più tenere e soavi, e quelli della pietà e della scienza quali un S. Ambrogio, un S. Tommaso, un S. Bernardo, un S. Bernardino, un S. Filippo, un S. Alfonso ebbero per Maria il linguaggio più entusiastico ed espressivo. Tutti poi e dotti e idioti e grandi e piccoli, giovani e vecchi ebbero mai sempre come naturale in cuore la divozione a Maria, che può ben dirsi trasfusa dai padri ai figli, di generazione in generazione, col trasfondersi della vita. E Maria in ogni tempo rispose allo slancio dei padri nostri e ben possiamo asserire con gloria, che come non vi ha spazio considerevole di tempo, così non vi ha paese o città italiana, che non abbia ricevuto da Maria un qualche peculiar segno del suo amore. Tutta Italia ebbe in dono da Lei quella casa benedetta, nella quale nacque, trascorse tanto tempo della vita e divenne Madre del Verbo incarnato. Ed ogni provincia, ogni città e direi quasi ogni paese conta autenticamente le miracolose apparizioni di Lei, le sue speciali benedizioni, i suoi celesti insegnamenti, i suoi stupendi prodigi. Cosi Maria dando prova evidentissima del suo particolare affetto per la nostra Italia, corrispose all’affetto dei nostri padri. E noi non cammineremo sulle loro orme gloriose!? Non ci mostreremo veri eredi della loro antica pietà? Non cercheremo anzi di santamente emularli? Sì, senza dubbio, e ciò particolarmente in questo bel mese, che stiamo per consacrare a Maria. E fin di quest’oggi, prostrati dinnanzi al suo altare, esaltiamola e preghiamola col dirle: Ave, o Regina dei Cieli, Ave, o Signora degli Angeli; salve, radice e porta, dalla quale è nata al mondo la luce. Ti allieta, o Vergine gloriosa, bella sopra tutte; vale, o adorna d’ogni grazia, e prega per noi il tuo caro Gesù. Fanne degni di lodarti, o Vergine benedetta e dacci forza contro ad ogni tuo nemico. Così sia.

L’ECLISSE DELLA RELIGIONE

L’eclisse della religione

[Abate GIBIER: LE OBBIEZIONI CONTEMPORANEE CONTRO LA CHIESA; Serie Prima, Scuola Tipogr. Salesiana, FIRENZE, 1905]

CONFERENZA I

Signori,

Oggi inauguriamo il nostro undicesimo anno di Conferenze. Dopo avere confutate per ben due anni le obbiezioni rivolte contro la religione in generale, mi propongo in altri due anni di confutare le obbiezioni particolari rivolte contro la Chiesa Cattolica, contro il suo Fondatore, la sua fondazione e la sua storia. Ma, prima di tutto, la Chiesa Cattolica sta essa per morire o per rinascere? Mi sembra di dover rispondere a questa domanda: Presentemente assistiamo a un fenomeno che si potrebbe chiamare l’eclisse della idea religiosa. È bene guardare in faccia questo fenomeno, decomporlo, spiegarlo, per mettersi così in grado di non spaventarsene. – La Religione Cattolica subisce presso di noi un’eclisse. È misconosciuta dagli ignoranti, detestata dai corrotti, perseguitata dai rinnegati, abbandonata dai deboli.

È misconosciuta dagli ignoranti.

Se qualcuno pretendesse discutere di chimica perché  si serve di prodotti chimici come il sapone e la margarina, di fisica perché fa uso del gas e del petrolio, di procedura e di giurisprudenza perché di tanto in tanto ha qualche lite col vicino, col padrone di casa o con la serva, del mondo sidereo perché s’accorge che d’inverno il sole tramonta più presto che d’estate se qualcuno pretendesse di pronunziare degli oracoli a proposito di tutto ciò senza essersene occupato in modo speciale, senza averne perciò la dovuta competenza, si esporrebbe al rischio di farsi rider in faccia. Non sarebbe preso sul serio; sarebbe messo in ridicolo e se lo sarebbe meritato. Ma in fatto di Religione nessuno ha più scrupoli. Tutti ne parlano senza conoscerne neppur gli elementi. I più incompetenti la bistrattano, la giudicano, la condannano senza riflettere. A motivo dell’ignoranza, la Religione subisce, presso di noi, un’eclisse. Ma corre anche altri pericoli.

È detestata dai corrotti.

Dirsi seguace di Gesù Cristo, esser Cristiano, è un dichiararsi in favore della castità, della carità, dell’umiltà, del perdono delle offese, della giustizia riparatrice e senza compromessi, cose tutte che la natura umana paventa, e da cui istintivamente rifugge. C’è una quantità di gente che ha in orrore la Religione, che la respinge e la detesta, non per i suoi misteri, ma per i suoi precetti. “La vostra Religione è bella, buona, ed è migliore della nostra, ma bisogna riempirci il ventre, risponde al missionario l’Indiano goloso”. — “Come volete che faccia a esser contento di una sola donna? risponde il voluttuoso Asiatico”; — “ … come posso perdonare ai nemici miei e della mia tribù? dice il selvaggio feroce”; — “come posso stare senza far baldoria? grida l’Europeo corrotto”. « Lasciate le vostre passioni e crederete », dice Pascal. Ne dubitate? Guardate un po’. Quando lascia la fede il vostro cuore? Quando le passioni v’introducono il disordine. E quando vi ritorna? Quando la vecchiaia, o la morte vicina vi riconduce la calma. Non si assale quasi mai il Simbolo prima d’aver aperta una breccia nel Decalogo. Oggigiorno la sensualità dilaga da ogni parte; e il vizio è il padre dell’empietà. A motivo della corruzione invadente, la Religione subisce un’eclisse presso di noi. Essa è misconosciuta dagli ignoranti, è detestata dai corrotti.

È perseguitata dai rinnegati.

Il tempo nostro abbonda di falsi scettici, di falsi impassibili, di falsi indifferenti i quali avevano delle credenze e le hanno rinnegate, ma non le hanno dimenticate. Hanno abbandonata la Chiesa, sbattendone la porta e bestemmiando, ma l’immagine della casa paterna li segue dovunque e li invade. Dicono di non creder più, ma una volta credevano, e l’anima loro resta inquieta come se credessero ancora. La Religione, che hanno scacciata dalla loro vita, rimane allo stato di rimorso nella loro memoria, nella loro coscienza. Se ne sono liberati malamente. Essa li importuna, li tormenta, li rende aspri, risentiti, furibondi, battaglieri. – Gli ignoranti e i corrotti sono talvolta indifferenti; i rinnegati non lo sono mai. « Questo tempio lo importuna, e l’empietà sua vorrebbe annientare il Dio da esso abbandonato. » Sono invasi ed agitati da una continua invasione d’odio antireligioso, che li rende capaci di ogni audacia e di ogni provocazione. In nome del libero pensiero, sopprimono ogni più elementare e più essenziale libertà: in nome della ragione si slanciano fino al delirio nel fanatismo, e in nome dell’unità morale della patria, compromettono la pace dei cittadini e l’avvenire dellanazione. – Il tempo nostro, in cui l’incredulità è insieme una moda, una forma d’orgoglio, e un mezzo di salire in alto, formicola di questi falsi spiriti forti i quali non son altro che dei rinnegati. E a motivo dell’apostasia la Religione subisce presso di noi un’eclisse. Essa è misconosciuta dagli ignoranti, detestata dai corrotti, e perseguitata dai rinnegati.

È abbandonata dai deboli.

Questo è il fenomeno che ci deve dar più da pensare. Ignoranti, corrotti e rinnegati più o meno ce n’è sempre, ma oggi più che mai gl’ignoranti, i corrotti, i rinnegati hanno influenza sui deboli, e li trascinano negli abissi della irreligiosità. Abbiamo al fianco nostro una piaga schifosa che potrebbe diventare mortale, e che io chiamo: l’apostasia dei deboli, delle classi popolari. Non voglio andare nella esagerazione. Abbiamo già, e avremo sempre più ottimi operai e capisquadra cristiani, è innegabile, tuttavia, nel suo insieme, il popolo rimane indifferente quando non è ostile. Sta lontano dalla Religione, e se gli si domandasse il perché, non saprebbe dirlo. Al più risponderebbe: « Signore, non andiamo alla Messa perché non ci si va » oppure: « Signore, non si usa ». Così fa l’umanità presa in massa. Non è ostile, ma fa come le pecore. In generale, gli uomini pendono dalla parte del vento. Obbediscono più agli impulsi che ai convincimenti; in altri tempi, la Religione ne ha avuto vantaggio, oggi ne soffre. Essa è abbandonata dai deboli, perseguitata dai rinnegati, detestata dai corrotti, misconosciuta dagli ignoranti.

La Religione presso di noi subisce un’eclisse. C’è da stupirsene, spaventarsene, perderci di coraggio? Niente affatto. Abbiamo fiducia in Dio. Pratichiamo la nostra Religione, e per difenderla meglio, cerchiamo di conoscerla bene.

Abbiamo fiducia in Dio. Durante una tempesta, un ragazzetto di dodici anni se ne stava tranquillo. « Non ho paura di nulla, diceva; al timone c’è mio padre. »

Il nostro Dio, Signori, sta al timone del mondo.

« Chi mette un freno all’infuriar dei flutti

Sa pur frenare dei malvagi l’ire;

Temo Dio, caro Abner, altro non temo…»

Ma, dite voi, non siamo soltanto in mezzo alla tempesta, siamo in mezzo alla notte. La Religione subisce, intorno a noi, un’eclisse. E che importa ciò? I teologi turchi hanno un assioma che i Cristiani farebbero bene a meditare. Essi dicono: « Se nella notte più nera, una formica nera camminasse su di un marmo nero. Dio la vedrebbe e sentirebbe il rumore delle sue zampette. » O Cattolici, Dio ci prova, ma non ci dimentica. Egli ci vede, ci sente, ed è con noi fino alla consumazione dei secoli. La Chiesa da Lui fondata, e di cui siamo i figlioli, è immortale. Abbiamo fiducia in Dio.

Pratichiamo apertamente la Religione. Subisce una eclisse? È il momento di glorificarla col nostro risoluto atteggiamento, con la nostra fedeltà incrollabile, col nostro esempio valoroso. Non ci vogliono né dispute, né recriminazioni, né anatemi, ma semplicemente affermazione della verità, diffusione del bene, divulgazione pacifica del Vangelo… Renderci forti, purificare il nostro proprio giardino, esporre le nostre dottrine, vivere la vita cristiana, palesare con le azioni nostre che siamo una forza, una utilità, una necessità, il grande serbatoio dell’ideale e della dignità morale… ecco il dovere dei Cattolici, e il mezzo per essi d’imporre la stima e l’obbedienza… E coloro i quali stanno più in alto, e che son veduti da più lontano, siano i più premurosi a dar l’esempio d’una vita cristiana sincerissima e della Religione professata apertamente! Il generale de Sonis diceva: Non ho mai trovato funzioni religiose troppo lunghe, e son sempre venuto via di chiesa con dispiacere. Posso dire che il tempo che vi ho passato è il migliore della mia vita. » Che belle parole, o Signori! Facciamole nostre. Amiamo la Chiesa, e veniamoci regolarmente. È nostro dovere. Se noi dobbiamo sempre rendere testimonianza alla nostra fede, in certe circostanze, come al giorno d’oggi, quest’obbligo diventa imperioso in modo particolare. In questo caso, l’astensione è un tradimento. – Ma bisognerà per far questo disturbarsi, bisognerà scomodarsi, bisognerà forse compromettersi, bisognerà di certo andar contro la corrente generale. Che cosa importa? La vita è azione, e l’azione, qualunque sia la forma che può prendere, è lotta. Son passati i tempi del « dolce far niente. » Abbiamo fiducia in Dio, è necessario: pratichiamo apertamente la Religione, è necessario del pari. E finalmente, giacché la Religione presso di noi subisce un’eclisse, cerchiamo di farla risplendere ….

Studiamo la Religione per metterci in grado di meglio difenderla. È conosciuta la Religione? Ahimè! a dodici anni si conosce un po’, a quindici, a vent’anni, non si conosce quasi più punto; a quarant’anni non si conosce più affatto. Eppure si deve difendere contro i più perfidi assalti d’un ambiente scettico e sofista. Venite, o Signori, ad armarvi a pie’ dell’altare e a pie’ del pulpito. Venite a cercare ai pie’ del pulpitola luce di Dio, la quale vi indicherà la vostra strada; ai pie’ dell’altare la grazia di Dio, la quale vi aiuterà a camminare senza debolezza. Sentite; finisco lasciandovi l’eco di questi bei versi di Lamartine:

Per me, s’erga o soccomba il nome tuo,

O Dio della mia culla sarai pure

Il Dio della mia tomba! Più la notte

Oscura diverrà, più gli occhi miei

S’affisseran nel lume che nei cieli

Risplende! E quando lo sprezzato altare,

Che la folla abbandona, ricadesse

A me sul capo… o tempio tanto amato,

Tempio dov’ebbi tutto, e tutto appresi.

L’ultima tua colonna abbraccerei;

Dovessi pur sotto le tue ruine

Sacre rimaner vittima informe..

Amen!

CONFERENZA II

Il Rinascere della religione

Signori,

Noi studieremo per due anni le obbiezioni rivolte contro la Chiesa, il suo Fondatore, la sua fondazione e la sua storia. Ma prima di tutto rispondo a una domanda preliminare. La Chiesa sta per morire o per rinascere? Io sostengo che sta per rinascere. L’eclisse della Religione Cattolica è soltanto locale, momentanea e superficiale. Il suo rinascere è necessario, certo e già visibile. Lo sostengo e ve lo provo.

I. L’eclisse della religione Cattolica è:

1 Locale. Avviene soltanto da noi. Guardiamo un po’ all’estero, che cosa vediamo? In Germania noi vediamo la Religione Cattolica in piena efflorescenza. Uno dei mei Vicari ha assistito poco tempo fa al Congresso dei Cattolici tedeschi a Colonia, ed ha visto e toccato con mano il loro numero sempre crescente, il loro organismo, le loro opere sempre più floride, la loro incontestata potenza. Hanno vinto Bismarck, hanno costretto i protestanti e i socialisti a rispettarli, ed ora sono gli arbitri del Reichtag e i padroni dell’Impero. Negli Stati Uniti vediamo del pari la Religione Cattolica in piena efflorescenza. Il 30 aprile ultimo, il presidente Roosevelt assisteva a una discussione di tesi teologiche all’Università cattolica di San Luigi, e si congratulava pubblicamente col Cardinal Gibbons, e coi Padri Gesuiti. Nel 1900, nella grande repubblica americana, le suore autoctone avevano nelle loro scuole 516 000 alunni, e le suore di Ordini la cui casa madre è in Francia, ne avevano 235.000. Nel momento attuale i nostri religiosi e le nostre religiose cacciati dalla madre patria se ne vanno, a centinaia e centinaia, negli Stati Uniti, dove sono ricevuti a braccia aperte, dove svolgeranno l’azione cristiana e civilizzatrice che è loro impedito di svolgere in Francia [oggi non saprebbero più dove andare … -ndr.]. L’eclisse della Religione Cattolica non è dunque così spaventevole come sembra a prima vista. È soltanto locale. Essa è:

Momentanea. Guardate un po’ il chicco di grano che si getta in terra. Anch’esso sparisce, s’eclissa. Non si vede più, si crede sia perduto per sempre. Aspettate un poco; lasciate che la terra lo ricopra e lo nasconda agli sguardi; lasciate che i passeggieri lo calpestino senza nemmeno supporre che esista; lasciate che la pioggia, la neve, il vento, le brine cadano sopra di lui e si accaniscano per distruggerlo. Ben presto, dopo aver germinato in silenzio, spunterà timidamente dal suolo, verdeggerà sotto le prime carezze del sole, diventerà uno stelo, poi una spiga, poi una messe, e finalmente un pane saporito e sostanzioso. Così è della Religione. Ha delle ore di accasciamento, ore di disfatta che si crederebbe definitiva. S’eclissa. Sembra vinta, morta, annichilita. No; germina e si prepara a rinascere. Dopo un accesso di febbre calda, i popoli rinsaviscono. Alle brume della persecuzione succede il sole della bella libertà. L’eclisse è stata solo momentanea. Noi sappiamo, o Signori, che la Chiesa è paziente perché è immortale, e che l’eternità sta per noi. I trionfi dell’empietà sono soltanto vittorie senza domani. L’avvenire è un chicco di grano, l’avvenire è il frumento evangelico che nutre il mondo; l’avvenire è la Religione Cattolica. La sua eclisse è locale e momentanea. Essa è …

Superficiale. Quanta gente c’è in cui si crede sia morta la Religione, e che pure le resta attaccata dal fondo delle proprie viscere! Guardate quel giovane che posa da spirito forte. Sa benissimo che non può far senza Religione, e infatti non vuol farne senza. Una sera, vergognandosi di se stesso, va a versare lacrime di pentimento nel fondo d’un confessionale. Fidanzato, conduce all’altare colei che ha scelta a compagna della sua vita; padre, fa battezzare i suoi figli e versa lacrime di dolcezza sulla loro prima comunione. Quando la morte viene a battere al suo focolare, quando gli rapisce un padre venerato, una sposa diletta, un bambino adorato, esso chiede consolazione e speranza a Dio ed alla sua santa Religione. In pubblico forse esso parla male della Religione e non la pratica, ma in privato, nel cuor suo, nella sua casa, chiede a Dio di perdonargli, ed apre le sue labbra alla preghiera. Libero pensatore, e mangiatore di preti da vivo, in punto di morte repudia la sua incredulità la quale non si mostra che alla superficie. Signori, in molti l’irreligione è soltanto apparente e superficiale. Guardate, a chi vanno a confidare le pene della loro coscienza, le loro pene del cuore, e anche le loro pene di affari? A chi vanno a domandar consiglio nelle loro ansie di famiglia, per esempio quando si tratta di accasare i loro figli e le loro figlie? Vanno forse a consultare i grandi oratori o i politici di professione? Vanno forse a consultare i giornalisti, la cui prosa leggono ogni mattina? No, vanno a cercare la luce, il buon consiglio, l’affetto disinteressato, la devozione vera, là dove sanno che tutte queste cose si trovano, cioè, dal ministro della Religione. Si è empi perché ciò è più comodo per far baldoria, ma quando si vuol diventar seri, e quando l’anima è addolorata ci si ritrova Cristiani. – L’eclisse della Religione non è tanto reale quanto sembra. Essa è locale, momentanea, molto spesso superficiale e apparente.

II. Il rinascere della religione cattolica è:

Necessario. Vogliamo che la società si tenga in piedi e cammini?Il rinascere della Religione è necessario. Nel 1787 Washinghton e i suoi compagni — erano cinquantacinque— stavano deliberando sulla futura costituzionedegli Stati Uniti. A un tratto, il vecchio Franklin si alzae dice: « Signori, preghiamo. Ho vissuto molto, e piùvado avanti negli anni, più sono colpito da questa verità,che è Dio colui il Quale governa gli affari degli uomini. Seun passerotto non può cadere a terra senza il suo permesso,potrà innalzarsi un impero senza il suo aiuto? »Vogliamo esser forti? È necessario il rinascere della Religione. Soltanto le forti credenze fanno i popoli forti.Vincitore dell’Austria, della Prussia e della Russia, Napoleoneviene a urtare contro la Spagna credente, laquale rende nulla la scienza dei generali dell’Impero,e divora un esercito francese di più di 300 000 uomini.Un popolo che oggi non crede più, firma la sua sentenzadi morte per domani. Vogliamo vivere? E ‘ necessarioil rinascere della Religione. Poche settimane fa, il generaleHartschmidt rendendo gli estremi onori a un suofratello d’armi, il generale Giovanninelli esclamava:« Sì, o Signori, la Religione è necessaria. Senza la fede, senza la Religione, l’esercito è perduto, è perduta la società, è perduta la patria! » Ahimè! lo vediamo pur troppo. La guerra fatta alla Religione disgrega, demoralizza, esaurisce la nazione. È tanto vero che lo stesso Renan,in un momento di sincerità, scrisse: « lo non sono Cattolico,ma son ben contento che vi siano Cattolici, suore di carità, curati di campagna, carmelitani, e se il sopprimere tutto ciò dipendesse da me, non lo farei davvero ». E in un altro luogo aggiunge: « L’uomo vale in proporzione del sentimento religioso che porta seco dalla sua prima educazione e che profuma la sua vita. » Il rinascere della Religione è necessario. Esso è:

Certo. Cent’anni fa, dopo le inenarrabili rovine della rivoluzione, la Chiesa di Francia rialzava le sue tende atterrate dall’uragano, e ricominciava ad insegnare, a combattere, a soffrire, a perdonare ed amare. In questi cento ultimi anni, non le sono state certamente risparmiate le prove. Che cosa ha fatto? Al pari di un illustre sopravvissuto al Terrore, essa può rispondere : « Ho vissuto! » Può rispondere anche meglio : « Sono rimasta in piedi! » Ma non basta. In mezzo a tante cose che, ai tempi nostri, sono cadute e continuano più che mai a cadere intorno a noi, è giusto il dire non solo che essa è rimasta in piedi, ma che vi è rimasta essa sola. Dopo la guerra del 1870, durante la quale il clero di Francia s’era mostrato tanto ardentemente patriota e nazionale, Bismarck diceva: « Non abbiamo trovato in piedi che il clero. » Ebbene, dopo trent’anni noi non abbiamo ancora piegato, e nel momento attuale non siamo punto disposti a piegare. Ci potranno disconoscere e calunniare, ma noi seguiteremo lo stesso a fare del bene a tutti. Ci potranno maledire per la imperiosità delle nostre dottrine e per l’immensità dei nostri benefici, ma non uccideranno il Vangelo di cui siamo i depositari ed i custodi, non sopprimeranno Gesù Cristo che è la sorgente d’ogni civiltà. Si può tentare molte cose contro di noi?… mi non si farà nulla senza di noi; altro che rovine sopra rovine. L a Chiesa rivivrà perché la Francia non vuol morire. È necessario il rinascere della religione.

Esso è certo. Esso è:

3″ Già visibile. Lo spirito pubblico si va strappando al gelo dell’indifferentismo. Un succo religioso, latente, si agita nelle viscere nostre. Siamo ripresi da una viva passione di curiosità per i grandi problemi. Ogni nostra facoltà: spirito, immaginazione, cuore, anima fanno ritorno alle vecchie divine canzoni che hanno cullato i nostri antenati. Qualcuno molto bene informato mi diceva non è molto: « Oggi il pubblico non cerca e non compra che due specie di libri: i libri di Religione o i libri di pornografia ». Questo è un fenomeno rivelatore. Il mondo si divide. Da un lato, tutto ciò che è retto ed onesto s’orienta verso la Religione, dall’altro, tutto il resto va al fango. Il campo si divide: per gl’indifferenti non c’è quasi più posto. Voi sentite dire talvolta che tutti i grandi uomini del tempo nostro non hanno più Religione. Nulla di più sciocco, perché nulla di più falso. I migliori spiriti invece, i più elevati, i più disinteressati professano il Cristianesimo e s’incamminano verso di lui. L’Huysman s’è ricondotto alla fede dall’arte, e Francesco Coppe dal soffrire. Il Bourget si convertì studiando la psicologia delle passioni; e logico senza rivali, vinto dalla sua propria ragione, il Brunetière mette a servizio della causa cattolica una teologia di buona lega com’è la sua critica letteraria, e una metafìsica impeccabile com’è la sua erudizione. Sì, il rinascere della Religione è visibile. Si manifesta sulle cime, ma ben presto farà trasalire le vallate.

— Tocca a voi, uomini, tocca soprattutto a voi di affrettare questo rinnovellamento della vita cristiana, questa primavera riparatrice che il mondo aspetta con impazienza. Il figlio di Tarquinio il Superbo assediava la città di Gabio, e mandava ambasciatori al padre suo per domandargli consiglio. Tarquinio non rispose: si contentò di atterrare, col suo bastone, davanti agli ambasciatori, nel giardino, la testa ai papaveri più alti. Ciò voleva dire che per prender Gabio bisognava disfarsi prima di tutto dei cittadini più influenti, il che fu subito fatto e con buon resultato. Gabio privata de’ suoi capi, cadde sotto il giogo di Tarquinio. La testa della società è l’uomo, siete voi, o Signori. Tenetevi fermi nella fede: non vi lasciate corrompere dall’empietà. Lavorate anzi per la conservazione e la diffusione dell’idea religiosa, e salvando l’anima vostra, voi salvate al tempo stesso il vostro focolare domestico, i vostri fratelli, il vostro paese!

Amen!

UN’ENCICLICA AL GIORNO, TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO: S. S. LEONE XIII – CHRISTI NOMEN

L’intento del Sommo Pontefice, in questa Lettera Enciclica, è quello di estendere il Nome ed il Regno di Cristo in ogni parte del pianeta non ancora convertito all’unico e vero Dio, e che non appartiene al suo vero gregge, cioè alla sua unica e vera Chiesa, la Chiesa Cattolica Romana, fuori dalla quale non c’è speranza assoluta di salvezza … extra quam nullus omnino salvatur! La conoscenza della vera fede, della retta dottrina scaturita dalla Tradizione Apostolica in primo luogo, e poi dalla Scrittura Sacra sapientemente interpretata dai Padri e dai Dottori orientali ed occidentali, e a seguire dal Magistero infallibile della Chiesa divinamente istituita, e guidata dal Santo Padre, è pilastro sul quale poggia tutta l’impalcatura del nostro edificio salvifico. Da qui l’assoluta preminenza dell’impegno di tutti, i prelati dell’intera Gerarchia, di tutti i pastori, anche i più umili e lontani, nonché di tutti i fedeli di ogni condizione, a concorrere con ogni mezzo, spirituale ed anche materiale ed economico, nell’assecondare gli auspici di Papa Leone XIII per l’opera di Propagazione della Fede, di quella fede cattolica foriera di benessere, innanzitutto spirituale per l’eterna salvezza dell’anima, e fonte pure limpida di vero progresso e di giustizia sociale, senza i quali non può esservi né pace né stabilità tra i popoli. Oggi un appello del genere non troverebbe naturalmente alcun seguito, anzi procurerebbe una violenta levata di scudi da parte degli operatori del nemico maligno, compresi gli apostati del “novus ordo con le stampelle maldestre delle “fraternità” e degli scismatici sedevacantisti, oltre che dei soliti avversari storici di Cristo, i kazari innanzitutto, gli gnostici occulti o palesi, con il codazzo delle obbedienze massoniche più o meno “illuminate”, degli atei increduli e dei filosofastri-scienziati azzeccagarbugli e prezzolati vari, dei mondialisti della finanza usuraia, tutti uniti come recita il salmo II “… Astiterunt reges terras, et  principes convenerunt in unum: adversus Dominum, et adversus Christum ejus …”, che però subito aggiunge: “… Qui habitat in cœlis, irridebit eos: et Dominus subsannabit eos. Tunc loquetur ad eos in ira sua: et infurore suo conturbabit eos” …. (chi ha intelletto comprenda, chi non ce l’ha… si arrangi!!).

CHRISTI NOMEN

L’Opera della Propagazione della Fede

Qua institutum “a Propagatione fideis fovetur et commendatur,

Ad Patriarchas, Primates, Archiepiscopos,

Episcopos aliosque locorum Ordinarios,

pacem et communionem cum Apostolica Sede habentes.

Portare il nome ed estendere ogni giorno più il regno di Cristo tra le nazioni, condurre e ricondurre nel seno della Chiesa coloro che ne sono separati e le sono divenuti ostili, certamente, nessuno lo mette in dubbio, è uno degli obblighi fra tutti gli altri sacrosanti del sublime ministero a Noi affidato e ispirato dalla apostolica carità. Noi ne abbiamo fatto da lungo tempo l’oggetto delle Nostre preoccupazioni e della Nostra sollecitudine Quindi non abbiamo mai cessato di favorire e moltiplicare le tante missioni che spandono il lume della sapienza cristiana fra gli erranti e le opere che le sostengono coi sussidi raccolti fra i popoli cattolici. Lo abbiamo fatto specialmente nel terzo anno del Nostro pontificato con l’enciclica “Sancta Dei Civitas”, che aveva lo scopo di accrescere l’amore e la generosità dei Cattolici per l’Opera illustre della «Propagazione delle Fede». Ci piacque allora esaltare con le Nostre raccomandazioni  un’opera, i cui umili inizi erano stati seguiti da sviluppi tanto rapidi e meravigliosi, e che i nostri illustri predecessori, Pio VII, Leone XII, Pio VIII, Gregorio XVI, Pio IX, avevano colmato di elogi e di spirituali favori; un’opera che aveva offerto alle missioni di tutto il mondo un aiuto tanto efficace e che permetteva per l’avvenire soccorsi ancor più copiosi. E a Dio piacendo, le Nostre parole ottennero un felice risultato: le elargizioni dei fedeli corrisposero ai calorosi appelli dei Vescovi, e l’opera tanto benemerita fece in questi ultimi anni considerevoli progressi. Or ecco, nondimeno, che più stringenti bisogni richiedono dai Cattolici un nuovo slancio di zelo e di generosità; da voi, venerabili fratelli, tutta la vostra sagace operosità.- Voi lo sapete, con la Nostra lettera apostolica “Præclara” dello scorso giugno, Noi abbiamo creduto obbedire alla divina provvidenza, chiamando instantemente i popoli di tutto l’universo all’unità della fede cristiana; infatti Noi conseguiremmo il pieno adempimento di Nostri voti, se ci fosse dato di affrettare l’arrivo di quel tempo da Dio promesso nel quale «non vi sarà più che un solo ovile e un solo pastore» (Gv. X, 16). – Con quale particolare affetto Noi pensiamo all’Oriente e alle sue chiese illustri e venerande, ve l’ha indicato abbastanza la Nostra lettera apostolica sulla necessità di conservare e difendere la disciplina degli orientali. Lo avete egualmente compreso dalle disposizioni che abbiamo adottate per raggiungere il medesimo intento, dopo averne conferito coi patriarchi di quelle nazioni. Non ci nascondiamo, tuttavia, le grandi difficoltà di tale impresa e la Nostra impotenza a trionfarne; quindi riponiamo con invincibile fiducia in Dio tutta la Nostra speranza ed il successo dei Nostri sforzi. La sua sapienza Ce ne ha ispirato il pensiero e fatto iniziare l’esecuzione; la sua suprema bontà ci darà la forza e i mezzi di compierla. Le Nostre fervide preghiere non cessano d’implorare da Lui questa grazia, e Noi esortiamo insistentemente i fedeli a unire nella medesima intenzione le loro suppliche alle Nostre. Ma all’aiuto dall’alto che noi invochiamo con fiducia, è d’uopo aggiungere i mezzi umani, e Noi non dobbiamo trascurare nulla per cercare e indiare i passi buoni a condurci alla bramata mèta. – Per ricondurre all’unica Chiesa tutti gli orientali, quali che siano, che se ne sono separati, voi lo sentite, venerabili fratelli, nulla è più essenziale che reclutare anzitutto un numeroso clero di mezzo ad essi stessi, un clero encomiabile per dottrina e pietà e capace d’ispirare agli altri il desiderio dell’unione; poi, moltiplicare quanto più si può gli istituti ove la scienza e la disciplina cattolica verranno insegnate e armonizzate col particolare genio della nazione. È perciò opportunissimo aprire, dovunque sia vantaggioso, case speciali per l’educazione della gioventù, collegi in numero proporzionato alla densità della popolazione, affinché ogni rito possa esercitarsi con dignità, e affinché la diffusione dei loro migliori libri introduca tutti i fedeli alla conoscenza della verità religiosa. Il compimento di questo e altri simili disegni richiederà, lo intendete facilmente, grandi spese, e le chiese orientali non possono sopperire da sole a tante e così gravi esigenze, né Ci è possibile, nei calamitosi tempi che attraversiamo, concorrervi Noi stessi nella misura di quanto vorremmo. – Non ci resta perciò che domandare, nei limiti della moderazione, la maggior parte dei necessari sussidi all’Opera che raccomandiamo e il cui scopo si accorda perfettamente con quello che ci sta a cuore. Soltanto, per non recare alcun pregiudizio alle missioni apostoliche privandole d’una parte dei mezzi onde vivono, non si può mai abbastanza insistere presso i fedeli, affinché le loro elargizioni verso quest’opera si accrescano in proporzione dei nostri bisogni. È giusto raccomandare altresì l’opera consimile e tanto utile nelle «Scuole d’Oriente», i cui direttori hanno ugualmente preso impegno di applicare all’intento la più larga parte possibile delle elemosine che raccoglieranno. – Per tutti questi motivi, venerabili fratelli, Noi domandiamo specialmente il vostro concorso, e non dubitiamo che voi, i quali con zelo così costante sostenete con Noi e con ogni mezzo  cercate di promuovere la causa della Religione e della Chiesa, Ci accorderete efficace soccorso. Fate, dunque, ogni sforzo, acciocché tra i fedeli affidati alle vostre cure l’Associazione della « Propagazione della fede » abbia il più grande sviluppo possibile. Siamo certi, infatti, che un numero assai più considerevole di fedeli darà volenteroso il proprio nome e recherà più generose offerte, se, da voi istruito, vedrà chiaramente quanto nobile sia quest’opera, quanto copiose ricchezze spirituali essa procuri, e quanti vantaggi possa giustamente sperarne per il tempo presente la causa cristiana. E certo i cattolici si sentiranno profondamente commossi, quando udranno come nulla possa essere più gradito a Noi e utile alla Chiesa che il loro rivaleggiare di zelo nel raccogliere i mezzi necessari per condurre a buon fine i disegni che Noi abbiamo formulati per il bene delle chiese orientali. Dio, alla cui gloria mira la propagazione del nome cristiano e l’unità della fede e del governo spirituale, si degni nella sua bontà di benedire i Nostri desideri, di favorire la Nostra impresa e come pegno dei più preziosi favori celesti, accordiamo affettuosamente la benedizione apostolica a voi tutti, venerabili fratelli, al vostro clero e al vostro popolo.

Roma, presso San Pietro, 24 dicembre 1894, anno XVII del Nostro Pontificato.