EXTRA ECCLESIAM NULLUS OMINO SALVATUR (6)

EXTRA ECCLESIAM NULLUS OMNINO SALVATUR (6)

IL DOGMA CATTOLICO:

Extra Ecclesiam Nullus Omnino Salvatur

[Michael Müller C. SS. R., 1875]

CAPITOLO V.

Introduzione

[Confutazione delle false asserzioni dei reverendi S. O., Cronin e Young.]

Come commenti S. O. le seguenti domande e risposte contenute nella “Familiar Explanation”.

« D.: I protestanti hanno fede in Cristo?

R.: No, non l’hanno mai avuta

D.: Perché no?

R.: Perché essi hanno sempre conosciuto un Cristo come loro immaginano e credono.

D.: In che tipo di Cristo credono?

R.: In una di quelle persone che essi rendono impunemente un bugiardo e le cui dottrine possono essere interpretate a loro piacimento e che non importa a cosa creda un uomo, purché appaia  onesto al cospetto del mondo.

D.: Una tale fede in tale Cristo salverà i protestanti?

R.: Nessun uomo ragionevole asserirà mai una simile assurdità.

D.: Cosa dirà loro Cristo nel giorno del giudizio?

R.: Io non vi conosco, perché voi non mi avete mai conosciuto:

D.: I protestanti sono disposti a confessare i loro peccati ad un Vescovo o ad un Sacerdote Cattolico, che solamente hanno il potere da Cristo di perdonare i peccati? “… a chi perdonerete i peccati, saranno perdonati.”.

R.: No; poiché generalmente hanno una totale avversione alla Confessione, e quindi i loro peccati non saranno perdonati mai per tutta l’eternità.

D.: Cosa ne consegue?

R.: Che morendo nei loro peccati, saranno dannati. »  –

Il commento che il vescovo Coxe ha fatto a queste domande e risposte, è quello che, si dice, abbia dato occasione a « … il più eminente sacerdote degli Stati Uniti » di esprimere il proprio parere sulle stesse domande e risposte. – Ci sono delle regole per interpretare la Sacra Scrittura; così come ci sono delle regole per interpretare le leggi e l’ultima volontà di un uomo; e ci sono delle regole anche per interpretare la dottrina di un autore. Una di queste regole è quella di comprendere bene lo status quæstionis ed esprimerlo con parole semplici, ma questo il “sacerdote più eminente” degli Stati Uniti … lo ha volutamente ignorato. – Un’altra regola per interpretare la dottrina di un autore è che, se un autore ha pubblicato un piccolo lavoro, e ha scritto con più ampiezza sullo stesso argomento, dobbiamo intendere il suo lavoro minore in base a ciò che dice nel suo lavoro più grande e nell’ultima edizione di tale suo lavoro. Ora, quale Vescovo, quale Prete, quale redattore cattolico di un giornale non sa che il Rev. M. Muller, C.SS.R., ha pubblicato nove grandi volumi della spiegazione della Dottrina Cattolica? Chi può credere che S. O. non sia a conoscenza di questo fatto? Forse allora la carità e la giustizia non gli dicevano chiaramente che, nello spiegare il piccolo volume di Padre Muller sulla Dottrina Cristiana, dovesse seguire la Spiegazione della Dottrina Cristiana che lo stesso Padre Muller ha illustrato nella sua vasta opera di Dottrina Cristiana? – Un’altra regola per interpretare la dottrina di un autore è quella di spiegarla in relazione al contesto. Ma nessuna meraviglia che il protestante Mons. Coxe abbia disonestamente omesso tutte le prove che abbiamo fornito in “Spiegazione della Dottrina Cristiana” dalle pp. 10 a pag. 86; … che abbia disonestamente ripreso delle frasi avulse dalle prove che le precedono, dalla pp. 87 alla 97, e le seguono dalla pp. 98 alla 116, e che dimostrano che non c’è salvezza possibile fuori dalla Chiesa Cattolica Romana; … che le abbia interpretate in modo errato, possiamo facilmente spiegarlo, visto che sa bene persino come riportare erroneamente la Sacra Scrittura e interpretarne erroneamente il significato! Tutti gli eretici hanno fatto questo. C’è bisogno di spiegarci la sua disonestà nel rimescolare ed interpretare erroneamente la sana dottrina di un autore cattolico? Nessun Cattolico si meraviglia di questo, perché sappiamo tutti che le eresie sono state sostenute per tanto tempo dagli stessi falsi princìpi da cui sono nate. Sappiamo che ci sono molti protestanti che vivono nell’ignoranza vincibile o colpevole della vera Religione, cioè della vera Chiesa di Cristo. Non essendo disposti a rinunciare alla loro falsa religione umana, sono contenti di trovare ragioni anche futili per calmare le loro inquiete coscienze e rimanere così come sono. Anche i predicatori protestanti lo sanno dalla loro stessa esperienza, e per questo citano i testi della Sacra Scrittura per tranquillizzarli e farli sentire a proprio agio, così come fa pure il più “eminente sacerdote” degli Stati Uniti, quando a loro favore dice: « Loro (i protestanti) dicono con noi, con la lingua e nel significato dell’Apostolo: non c’è altro Nome (Gesù Cristo) sotto il cielo dato agli uomini, per cui possiamo essere salvati. » Allo stesso modo, i predicatori protestanti tratteranno erroneamente e interpreteranno erroneamente alcune dottrine degli autori cattolici distaccate dal contesto, e traggono da esse ragioni fatue per cui tranquillizzano le coscienze inquiete di alcuni membri delle loro congregazioni riguardo alla vera Religione. Sapendo che i predicatori disonesti hanno, in questo modo, manipolato alcune risposte avulse dal contesto nella nostra “Familiar Explanation of Christian Doctrine” prima edizione, abbiamo, più di un anno fa, cambiato, nella seconda edizione, quelle risposte, anche se erano essenzialmente vere nel senso dato. Ma ahimè! che la disonestà, la tortuosità ed il funambolismo delle menti dei predicatori protestanti, dovessero essere imitati da un fratello Sacerdote, che avrebbe invece dovuto confermare ai protestanti colpevoli e agli incolpevolmente ignoranti, la loro errata credenza; e non avrebbe dovuto nel contempo rendere i Cattolici già deboli nella fede, ancora più deboli in essa, rafforzando i cattolici liberali nelle loro idee sbagliate, è qualcosa che confonde quasi ogni credo.  – Ora, per mostrare chiaramente e comprendere bene i suoi gravissimi errori, dobbiamo indicare chiaramente il punto in questione. Questo punto è: « Fuori dalla Chiesa Cattolica Romana non c’è salvezza … – Gli eretici sono fuori dalla Chiesa Cattolica Romana; quindi, se muoiono come eretici, sono persi per sempre. »  Qui sorge la domanda: “Chi è un eretico ?”  La parola eretico deriva dal greco e significa “scegliere” o aderire ad una certa cosa. Pertanto un battezzato, professando il Cristianesimo e scegliendo da sé cosa credere e cosa non credere a suo piacimento, in ostinata opposizione ad una particolare verità che sa essere insegnata dalla Chiesa Cattolica come una verità rivelata da Dio, è un eretico! – Per rendere una persona colpevole del peccato di eresia, sono necessarie tre cose:

1. Deve essere battezzato e professare il Cristianesimo. Questo lo distingue da un ebreo e da un idolatra;

2. Deve rifiutarsi di credere in una verità rivelata da Dio ed insegnata dalla Chiesa come rivelata;

3. Deve ostinatamente aderire all’errore, preferendo il proprio giudizio privato, in materia di fede e morale, all’insegnamento infallibile della Chiesa Cattolica. Ne segue quindi che sono colpevoli del peccato di eresia le seguenti persone:

1. Tutti quei battezzati che professano il Cristianesimo e rifiutano ostinatamente una verità rivelata da Dio ed insegnata dalla Chiesa come rivelata;

2. Coloro che abbracciano un’opinione contraria alla fede, la mantengono ostinatamente e rifiutano di sottomettersi all’autorità della Chiesa Cattolica;

3. Coloro che volontariamente dubitano della verità di un articolo di fede, poiché, con tale dubbio intenzionale, mettono in dubbio la conoscenza e la verità di Dio, e nel farlo si è colpevoli di eresia;

4. Coloro che riconoscono la Chiesa Cattolica come l’unica vera Chiesa, ma non abbracciano la sua fede;

5. Coloro che potrebbero conoscere la Chiesa, se la cercassero sinceramente, ma che, a causa dell’indifferenza e di altri colpevoli motivi, trascurano di farlo;

6. Quegli anglicani che riconoscono la vera Chiesa, ma non diventano Cattolici, pensando di avvicinarsi molto alla Chiesa Cattolica, perché le loro preghiere e le loro cerimonie sono simili a molte preghiere e cerimonie della Chiesa Cattolica, e perché il loro credo è il Credo degli Apostoli: questi sono eretici in linea di principio, poiché « il vero carattere dell’eresia retta – dice San Tommaso d’Aquino – consiste nella mancanza di sottomissione all’autorità dell’insegnamento divino nel Capo della Chiesa ». – L’eresia, quindi, è una corruzione della vera fede. « Questa corruzione –  dice San Tommaso d’Aquino – ha luogo sia alterando le verità che costituiscono i principali articoli di fede, sia negando ostinatamente quelli che ne derivano, ma, siccome l’errore di un geometra non influenza i principi della geometria, così l’errore di una persona che non influisce sulle verità fondamentali della fede, non costituisce nessuna vera eresia ». – Se una persona ha abbracciato un’opinione contraria alla fede, senza sapere che sia contraria alla fede, non è, in questo caso, un eretico, oltretutto se è disposto a rinunciare al suo errore non appena viene a conoscere la verità.  Ma è falso dire che siano verità di fede solo quelle che sono state definite dalla Chiesa, e che quindi è un eretico solo chi nega una verità definita. – Se un uomo ruba una grande somma di denaro al suo vicino, non è forse quell’uomo un ladro già prima che il tribunale lo abbia dichiarato colpevole di furto?  Gesù Cristo ha rivelato alla sua Chiesa un certo numero di verità. Essa sa quali sono queste verità. Essa le ha sempre credute e insegnate come verità rivelate. « Ogni verità rivelata – dice il Cardinale Manning – è precisa e certa, tuttavia non tutte sono definite, e d’altra parte la Chiesa ha definito molte di queste verità, in termini precisi, solo quando sia stato formale o necessario farlo; e questa forma opportuna o necessaria, sorse quando una verità rivelata fu oscurata o contestata, o negata da un’ignoranza vincibile o invincibile. Quelli che, per invincibile ignoranza, negarono certe verità rivelate, furono scusati dall’eresia finché la Chiesa li liberò dall’ignoranza di queste verità dichiarandole e definendole in termini precisi. La definizione, tuttavia, non aggiunge nulla alla sua intrinseca certezza, poiché questa deriva dalla Rivelazione divina, solo la definizione aggiunge la certezza estrinseca della promulgazione universale dell’autorità dottrinale della Chiesa, imponendone l’obbligo a tutti i fedeli »  – Senza dubbio, Lutero, Calvino e gli altri eresiarchi del sedicesimo secolo furono considerati dalla Chiesa come eretici ancor prima che Essa avesse definito quelle verità che erano state negate da quegli uomini empi; e quelle verità negate erano degli articoli di fede, e ad essi come tali si credeva fermamente sia prima che dopo la loro definizione nel Concilio di Trento. « Così allo stesso modo – dice il cardinale Manning – l’esistenza di Dio è sempre stata un articolo di fede, eppure è stata definita, solo pochi anni fa, nel Concilio Vaticano, per cui tutte queste verità sono articoli di fede che vengono insegnati dalla Chiesa come verità rivelate, indipendentemente dal fatto che siano definite o meno. » (Ad esempio, la Chiesa insegna l’Assunzione della Beata Madre di Dio, corpo e anima, in cielo, avendo istituito la festa dell’Assunzione della Beata Vergine Maria, nel suo Ufficio e nella santa Messa di questa festa, e chiaramente Essa potrebbe insegnarla definendo questa verità – dogma poi definito da Pio XII –ndr.-). « Chiunque, quindi, sa che la Chiesa insegna una verità rivelata, è obbligato in coscienza a crederla come un articolo di fede, e se non la crede così, egli è un eretico davanti a Dio ». (Dal: Vat. Counc. Cardinal Manning)  – Chiunque, quindi, conosca a sufficienza le verità della vera Religione e ne neghi anche una sola, commette uno dei più grandi peccati. Rifiutare ciò che sappiamo essere stato rivelato da Dio non è solo  staccarci da tutte i benefici della Religione, ma è mettere in discussione il fatto che il Signore del cielo e della terra sia un Dio di verità, e colui che mette in discussione questa Verità, rivolge a Dio il più grande insulto. Noi crediamo alle Verità della fede, perché Dio le ha rivelate e le propone per mezzo della sua Chiesa infallibile alla nostra fede. Ora, credere in alcune di queste verità e respingerne una o più di una, equivale a dire: credo che Dio abbia detto la verità in questo punto, ma non in quell’altro. Questa è una bestemmia orribile. L’eresia volontaria, quindi, riguardo anche a una sola sacra verità della Religione, distrugge ogni fede, attaccando, come fa, l’autorità di Dio, che ne ha rivelato la verità. Se un uomo che avvelena il cibo dei suoi simili è più condannabile agli occhi di Dio, quanto più condannabili non sono quelli che avvelenano le anime degli uomini con il seme dell’eresia? Portare via la vita del corpo è un peccato mortale. Ora, non è un crimine più grande rubare la vita dall’anima, la grazia di Dio, e condurla alla perdizione eterna mediante false dottrine? Quindi ecco perché la Sacra Scrittura condanna il peccato di eresia nei termini più forti.  – « Un uomo – dice San Paolo – che è un eretico, dopo la prima e la seconda ammonizione, evitalo, sapendo che chi è tale è pervertito e pecca, essendo condannato dal suo stesso giudizio » (Tit. III. 10.). E ancora dice:  « Anche se noi, o un Angelo del cielo, vi predicassimo un altro Vangelo, oltre a quello che vi abbiamo predicato, sia anatema », cioè maledetto. (Galati I, 8, 9). San Paolo classifica anche le sette o le eresie tra le opere della carne, e dice che coloro che fanno tali cose non otterranno il regno di Dio (Galati I, 8, 9). – Ma non tutti quelli che vivono nell’eresia sono colpevoli del peccato di eresia. Quindi distinguiamo due tipi di eretici: quelli che sono, e quelli che non sono colpevoli del peccato di eresia. Abbiamo fatto questa distinzione tra eretici nel nostro piccolo lavoro Familiar Explanation of Christian Doctrine, come testimonia S. O. quando dice: 1. È evidente che l’autore di Explanation “… aveva in mente un ostinato, pertinace, irriducibile, che sfidava Dio, rigettante la verità, un eretico impenitente;” 2. quando, dalla “Spiegazione Familiare”, cita la seguente domanda e risposta:

D.: Che cosa dobbiamo pensare della salvezza di coloro che sono fuori dalla Chiesa senza colpa loro, e che non hanno mai avuto alcuna possibilità di conoscerla meglio? R.: La loro invincibile ignoranza non li salverà, ma se temono Dio e vivono la loro coscienza, Dio, nella sua infinita misericordia, fornirà loro i mezzi necessari per la salvezza, anche mandando, se necessario, un Angelo ad istruirli nella Fede Cattolica, piuttosto che lasciarli morire a causa dell’ignoranza invincibile. –

Secondo questa distinzione tra eretici, dividiamo la dottrina della Chiesa sugli eretici in due parti. Nella parte I. parleremo di quelli che sono i veri eretici, cioè di coloro che sono colpevoli del peccato di eresia e che muoiono in esso; e nella parte II. parleremo di coloro che non sono colpevoli del peccato di eresia.

CAPITOLO V

Parte I.

[Non c’è salvezza fuori dalla Chiesa Cattolica Romana per coloro che muoiono senza essere uniti ad Essa.]

§ 1. S. O. (Signor Oracolo) COSÌ COMINCIA A COMMENTARE LE DOMANDE E LE RISPOSTE DI CUI SOPRA.

S. O. dichiara con enfasi che:

“Tali esposizioni della dottrina della Chiesa applicate ai moderni protestanti hanno, a mia conoscenza, fatto molti danni a persone oneste, ben intenzionate e coscienziose, e danno un’idea completamente falsa del credo dei protestanti. Non c’è nulla da guadagnare se si cerca di travisare le nostre stesse dottrine, ed ancor meno se si travisano le dottrine di coloro  che non credono a tutto ciò che facciamo “.

Non c’è molta ignoranza contenuta nelle suddette parole di S.O.? Rappresentare in modo errato le nostre stesse dottrine cattoliche significa travisare Dio che le ha rivelate; significa travisare la Chiesa di Cristo che le insegna; e fare tutto questo è un crimine terribile. Ora, cosa può significare, travisare le dottrine protestanti? Molto probabilmente questo: « è molto sbagliato dipingere il diavolo più nero di quanto non sia, e chiamarlo l’autore del protestantesimo; è molto sbagliato dire che la credenza protestante è solo una credenza umana e non serve a nulla per la salvezza; che questa loro fede non è una fede assoluta, divina in Cristo e nella sua Religione; in una parola, è molto sbagliato rappresentare il protestantesimo così com’è. »  – Nulla, egli dice, si acquisisce presentando erroneamente Dio e il diavolo, gli insegnanti di Dio e quelli del diavolo, la verità e la menzogna, la fede divina e la umana, il vero e il falso Cristianesimo. – Ma non c’è nulla da guadagnare dal travisare Dio e la sua Religione? Non c’è nulla da guadagnare nel rappresentare il credo protestante come è? Ahimè, S.O. sembra non vedere perdite nel primo, né il guadagno in quest’ultimo modo di agire! Sarà, quindi, un atto di carità continuare a mostrargli, nel seguito di questo trattato, le cattive conseguenze del travisamento di Dio e della sua Religione, e il buon risultato nel rappresentare chiaramente il diavolo e la sua religione contraffatta.

EXTRA ECCLESIAM NULLUS OMNINO SALVATUR (5)

EXTRA ECCLESIAM NULLUS OMNINO SALVATUR (5)

IL DOGMA CATTOLICO:

Extra Ecclesiam Nullus Omnino Salvatur

[Michael Müller C. SS. R., 1875]

CAP. IV

La disonestà del vescovo Coxe.

[Assurdità del protestantesimo]

La storia racconta di un treno diretto verso ovest, che viaggiava alla velocità di un fulmine; era poco dopo il tramonto. All’improvviso si udì rumore come di un incidente: il treno si fermò. “Qual è il problema?” i passeggeri si sono chiesti l’un l’altro. Un enorme gufo, abbagliato dallo splendore dei fari, aveva urtato contro il riflettore anteriore al motore, aveva raffreddato il vetro e cercato di spegnere la luce, mentre un grande toro aveva urtato la testa contro il motore, per fermare il treno. La lampada si riaccese, il motore riprese la sua funzione, ma lo stupido gufo ed il toro ostinato, furono gettati via tramortiti, lasciati a marcire e divorati dalle bestie feroci. Un irlandese, vedendoli, esclamò: « Ammiro il vostro coraggio, ma condanno il vostro giudizio ». – Questo treno può essere paragonato alla santa Chiesa Cattolica che, inviata dal cielo, corre con la sua missione di condurre gli uomini in cielo alla luce della sua divina Dottrina. Lo sciocco gufo, nemico della luce e amico delle tenebre, rappresenta lucifero, che, come nemico di Dio e della luce della santa Religione di Dio, ha sempre cercato di estinguere la luce della vera Religione. Il toro rappresenta invece i re e gli imperatori, gli eretici ed i membri delle società segrete, che lucifero usa per fermare, se possibile, i progressi della Chiesa Cattolica, portatrice della luce della fede. Anche se è difficile, in un certo senso, non ammirare il coraggio degli agenti di lucifero, non possiamo però non condannare il loro giudizio, la loro follia e la malvagità nell’opporsi all’opera di Dio, attirando così su se stessi l’eterna maledizione dell’Onnipotente.  – Il nostro divin Salvatore, Gesù Cristo, è venuto per infrangere il potere del diavolo sull’umanità; è venuto a bandire l’idolatria, cioè l’adorazione del diavolo tra gli uomini, e così ricondurli all’adorazione ed al servizio del Padre suo celeste con il suo santo esempio e la sua dottrina divina. Ma non appena aveva iniziato a insegnare agli uomini la sua Dottrina salvifica, ecco che satana gli si oppose: satana è chiamato, nella Sacra Scrittura, il padre della menzogna; dall’inizio del mondo egli ha cercato sempre di travisare ogni verità religiosa. Ha praticato quest’arte tenebrosa già in Paradiso; e da quando l’ha praticata con tanto infelice successo, si è adoperato sempre per propagare l’errore ed il vizio tra gli uomini. Quando il Salvator nostro cominciò a predicare la sua santa Religione, satana praticava la sua arte tenebrosa, anche alla presenza di Cristo stesso. Cristo fu contraddetto da uomini malvagi, i ministri di satana, e travisato nella sua dottrina; ed infatti, invece di essere creduto, fu considerato un sacrilego e come un bestemmiatore, per aver insegnato che Egli era il Figlio di Dio, come l’empio Caifa appunto dichiarò, dicendo: « Egli ha bestemmiato, è colpevole di morte! » (Matt. XXVI, 65.); fu travisato nella sua reputazione: perché Egli era nobile, di stirpe reale, e tuttavia era disprezzato: « … non è questi il figlio del falegname? » (Matteo XIII, 55.). Egli è la Sapienza stessa, e veniva considerato un uomo ignorante: « … come quest’uomo conosce le scritture, non avendole mai studiate? » (Giovanni VII, 17). Fu considerato come un falso profeta: « … lo bendarono e gli diedero schiaffi sul volto schernendolo: … profetizza chi ti ha colpito! » (Luca, XXII, 64). Venne considerato un folle: « … è pazzo, perché ascoltarlo? » (Giovanni, X, 20); rappresentato come un ubriacone, un ghiottone e un amico di peccatori: « … ecco un uomo che è un mangione e un bevitore di vino, un amico dei pubblicani e dei peccatori ». (Luca, VII, 34); considerato alla stregua di uno stregone: « … per mezzo del principe dei diavoli scaccia i demoni » (Mt. IX, 34); ritenuto un eretico ed un posseduto: « … non diciamo noi bene di te, che sei un samaritano e hai un demonio? » (Giovanni, VIII, 48). In una parola, Gesù fu rappresentato al popolo come un uomo così cattivo e famigerato, che non fu ritenuto necessario nessun processo per condannarlo, come gli Ebrei dissero a Pilato: « … se Egli non fosse un malfattore, noi non te lo avremmo consegnato! » (Giovanni, XVIII, 30). Se mai un’infame calunnia sia stata portata all’eccesso, questo avvenne senza dubbio nel caso del nostro Salvatore, « … che non conosceva il peccato », che non aveva mai pronunciato una parola ingannevole, che « … ha fatto bene tutte le cose », e che « … ha passato la sua vita a fare il bene e a guarire ogni sorta di infermità ». La santa Dottrina di Cristo e della sua santa Chiesa, la Maestra delle sue Dottrine divine, finanche ora che è sul suo trono, regnante gloriosamente in cielo, è travisata dagli agenti di lucifero. Il nostro divin Salvatore e i suoi santi Apostoli hanno parlato di questi agenti e hanno avvertito i Cristiani di stare in guardia contro di essi. Che il protestante Mons. Coxe sia uno di questi è un fatto ben noto. Di lui si parla in diversi passaggi della Sacra Scrittura. Ne citiamo alcuni a proposito:  

1. Il nostro santo Salvatore, predicendo la venuta di falsi maestri, dice: « … Attenti ai falsi profeti, che vengono da voi con vesti di pecore, ma interiormente sono dei lupi rapaci, dai loro frutti li conoscerete »; e poi ci dice, procedendo con la similitudine di un albero, quale sarà la caratteristica di tali falsi profeti: « Ogni albero che non produce frutti buoni sarà tagliato e gettato nel fuoco ». (Mt. VII. 15, 19.) Tale è il destino dei falsi maestri, secondo Gesù Cristo. – San Paolo li descrive nella stessa luce prospettica, ed esorta i pastori della Chiesa a vegliare su di loro, affinché possano impedire la seduzione del gregge. « … So che dopo la mia partenza i lupi rapaci entreranno in mezzo a voi, non risparmiando il gregge; e tra voi stessi sorgeranno uomini che parlano di cose perverse, per attirare i discepoli dietro a loro, quindi guardatevi da essi ». (Atti: XX, 29.) Tale è l’idea che la parola di Dio dà di tutti coloro che si allontanano dalla Dottrina della Chiesa di Cristo ed insegnano la menzogna; sono lupi famelici, seduttori del popolo, che parlano di cose perverse e la cui fine è il fuoco!  –

2. San Paolo, concludendo la sua Epistola ai Romani, li mette in guardia contro tali maestri con queste parole: « Ora, vi raccomando, fratelli, di ben guardarvi da coloro che causano dissidi ed ostacoli contrari alla Dottrina che avete imparato, e di evitali, perché quelli che sono tali non servono Cristo nostro Signore, ma il loro proprio ventre, e con piacevoli discorsi e buone parole seducono il cuore degli innocenti ». (Rm XVIII 17.) Possono, questi che causano dissidi contrari all’antica Dottrina, sedurre le anime riscattate dal Sangue di Gesù, essi che non sono servitori di Cristo, ma suoi nemici, e schiavi del loro stesso ventre. Possono costoro – dico – essere sulla via della salvezza? Ahimè! Lo stesso santo Apostolo descrive il loro destino in un altro testo: « Questi sono nemici della croce di Cristo, la cui fine è la distruzione, il cui dio è il loro ventre e la cui gloria è nella loro vergogna ». (Filipp. III, 18.)

3. Durante l’assenza di San Paolo, tra i Galati erano entrati alcuni falsi maestri, e volevano persuaderli che fosse necessario per la salvezza che si unisse la circoncisione con il Vangelo; per questo motivo l’Apostolo scrive la sua epistola per correggere questo errore; e sebbene non fosse che un errore su un solo punto, e apparentemente nemmeno di grande importanza, tuttavia, poiché era comunque una falsa dottrina, il santo Apostolo lo condanna: “… Mi meraviglio che così in fretta, da colui che vi ha chiamati con la grazia di Cristo, passiate ad un altro vangelo. In realtà, però, non ce n’è un altro; solo che vi sono alcuni che vi turbano e vogliono sovvertire il Vangelo di Cristo. Orbene, se anche noi stessi o un Angelo dal cielo vi predicasse un Vangelo diverso da quello che vi abbiamo predicato, sia anàtema! ” (Galati I, 7-9.) Questo dimostra, in pratica, qual sia il crimine ed il destino dei falsi maestri, sebbene la loro dottrina possa essere falsa solo circa un singolo punto.

4. San Pietro descrive questi uomini infelici con le tinte più fosche. « Ci sono stati anche falsi profeti tra il popolo, come pure ci saranno in mezzo a voi falsi maestri che introdurranno sette di perdizione (o, come dice la traduzione protestante, maledette eresie), rinnegando il Signore che li ha riscattati e attirandosi una pronta rovina; » (II Piet. II. 1.) e continuando a descriverli, dice: « … ma la loro condanna è già da tempo all’opera e la loro rovina è in agguato ». (v 3.) – « Il Signore sa liberare i pii dalla prova e serbare gli empi per il castigo nel giorno del giudizio … soprattutto coloro che nelle loro impure passioni vanno dietro alla carne e disprezzano la potestà, audaci, amanti di loro stessi, non temono di introdurre delle sette bestemmiando.  (v 9.); « … Abbandonando la retta via si sono sviati … ». (v 15). « Questi sono pozzi senza acqua e nuvole sbattute dai turbini  per i quali si serba caligine tenebrosa » (v 17.) Dio santo, in che stato terribile essi sono!

5. San Paolo, parlando di coloro che sono portati via da ciò che San Pietro chiama dannate eresie, dice: « Un uomo che è un eretico, dopo la prima e la seconda ammonizione, sfuggilo, sapendo che questo tale è pervertito e pecca, come quegli che per suo proprio giudizio è condannato. » (Tit. III. 10.) “Alcuni offensori sono giudicati e cacciati fuori dalla Chiesa per la sentenza dei pastori; ma gli eretici, più infelici, lasciano la Chiesa da soli e, così facendo, giudicano e condannano le loro anime”. (Il Cristiano Sincero del Vescovo HAY)  – Nello scrivere questo, ci sovviene un evento straordinario accaduto in Francia, nel 1556, la cui conoscenza potrebbe essere utile al signor Coxe. È risaputo che la Chiesa Cattolica ha ricevuto il potere da Gesù Cristo di scacciare i demoni per impedir loro di recare danno alle creature di Dio. La Chiesa spesso fa uso di questo potere. Essa ha istituito alcuni riti e preghiere perché siano utilizzati da Vescovi e Sacerdoti per cacciare i demoni dai posseduti. Nel nostro piccolo lavoro, Trionfo del Santissimo Sacramento, abbiamo raccontato come Dio Onnipotente permettesse agli spiriti maligni di possedere una donna di nome Nicole Aubry, della città di Vervins, in Francia. La possessione avvenne nel 1565 e durò diversi mesi. Il Vescovo di Laon, con Cristo nel Santissimo Sacramento, espulse gli spiriti maligni per sempre, l’8 febbraio 1566.  Quando le strane circostanze della possessione di Nicole divennero note ovunque, diversi predicatori calvinisti vennero con i loro seguaci per « … smascherare questo imbroglio papista », come essi dicevano. Al loro ingresso, il diavolo li salutò beffardamente, chiamandoli per nome ed annunciò ad essi che erano venuti in obbedienza a lui. Uno dei predicatori prese il suo libro di preghiere protestanti e cominciò a leggerlo con una espressione molto solenne. Il diavolo prese a ridere di lui e, assumendo un’espressione molto divertita, disse: « Oh! Oh mio buon amico! Hai intenzione di espellermi con le tue preghiere e con i tuoi inni? Pensi che mi facciano male? Ma come, tu non sai che sono miei? Non sai che sono io che ne suggerisco la composizione? » –  « Ti caccerò nel nome di Dio – disse solennemente il predicatore ». – «Tu – disse il diavolo beffardamente – non mi caccerai, né nel nome di Dio, né nel nome del diavolo. Hai mai sentito, infatti, di un diavolo che ne cacci un altro? »  – « Io non sono un diavolo – disse il predicatore con rabbia – io sono un servo di Cristo! » – « Un servitore di Cristo, ma davvero?! – disse satana con un sogghigno – Ma guarda … ! Io ti dichiaro invece che tu sei peggio di me: io credo, tu invece non vuoi credere. Supponi che tu possa espellermi dal corpo di questa miserabile disgraziata! Allora io ti dico: Va’ prima ad espellere tutti i demoni che sono nel tuo cuore! ». A questo punto il predicatore si congedò, un po’ frastornato, e andandosene, disse, mostrando il bianco dei suoi occhi: « Oh Signore, ti prego, aiuta questa povera creatura! » – « Ed io prego lucifero – sogghignò lo spirito – che possa non lasciarti mai, ma ti tenga sempre saldamente in suo potere, proprio come fa ora. Va’, fai i tuoi affari ora: tu sei tutto mio, e sono io il tuo padrone ». I calvinisti quindi se ne andarono. … avevano visto e sentito già abbastanza, … certo più di quello che volevano. – Mons. Coxe è ben noto come un famoso esorcista. Fa tutto ciò che è in suo potere per impedire che il diavolo (anche se quello che fa, lo attinge dalla fede cattolica) si impossessi dei protestanti. Egli sa però che, se questa possessione dovesse davvero aver luogo, egli non avrebbe alcun potere di espellere il diavolo dell’idolatria. Un’oncia di prevenzione è, a suo avviso, migliore di un chilo di cura. In questo, imita i suoi antenati. Sant’Agostino ci dice che i Manichei e i Donatisti fecero tutto ciò che era in loro potere per suscitare pregiudizi nella mente del popolo contro la Chiesa Cattolica Romana. Essi dicevano agli uomini che l’insegnamento della Chiesa era una dottrina infondata e profana, piena di princìpi malvagi ed invenzioni umane, invece che essere la fede Divina; e tutte queste calunnie si diffondevano all’esterno tra la gente, in modo che non pensassero più di andare in Chiesa per apprendere la verità, e persino sospettando che Essa non fosse la Chiesa di Cristo. « La ragione principale – dice Sant’Agostino – perché ho continuato a vivere così a lungo negli errori dei Manichei e ho messo in discussione la Chiesa Cattolica con così tanta violenza, era che io pensavo che tutto ciò che avevo sentito contro la Chiesa fosse vero! Ma quando ho scoperto che era tutto falso, ho fatto conoscere questa falsità al mondo, per disingannare gli altri che erano stati catturati nella stessa trappola. Ho mescolato gioie e rossori, e mi vergognavo di aver emesso, per così tanti anni, latrati e ragli, non contro la Fede cattolica, ma solo contro la falsità delle mie presunzioni carnali. Io ero così avventato e empio, che quelle cose che avrei potuto apprendere dai Cattolici con semplici domande, le ho caricate di accuse. Ero pronto più ad accettare la menzogna che ad essere informato della verità. » Questo lo fece, illuso e ingannato dai Manichei. Ahimè! Questo non è stato solo il caso di S. Agostino, ma di quasi tutti quelli che hanno dato ascolto ai disertori di questa Chiesa; anzi, è proprio di questi giorni il caso di un numero infinito di protestanti e di infedeli che, seguendo sant’Agostino nei suoi errori, non indagano su come queste cose siano credute o comprese dalla Chiesa, ma si oppongono a tutti in modo riluttante, come se questi capissero ciò che loro immaginano. Non fanno differenza tra ciò che insegna la Chiesa Cattolica, e ciò che essi pensano che essa insegni. Così credono che Essa sia colpevole di tante assurdità, follie ed impietà, come facevano i pagani di un tempo. Questo è un protestante: egli considera l’antichità della Chiesa Cattolica Romana; la sua unità nella fede; la purezza e la santità della sua Dottrina; il suo stabilimento da parte di poveri pescatori in tutto il mondo, nonostante tutti i tipi di opposizione; la sua durata invariabile dal tempo degli Apostoli; i miracoli che sono avvenuti in Essa; la santità di tutti coloro che vivono secondo le sue leggi; la profonda scienza dei suoi dottori; il numero quasi infinito dei suoi martiri; la pace della mente e la felicità dell’anima vissuta da coloro che sono entrati nel suo seno; il fatto che tutti i protestanti ammettano che un fedele Cattolico possa essere salvato nella sua Religione; la terribile punizione inflitta da Dio a tutti i persecutori della Chiesa Cattolica; la morte infelice degli autori delle eresie; l’adempimento costante delle parole di nostro Signore, che la sua Chiesa sarebbe sempre stata perseguitata. Egli considera seriamente tutto questo; è illuminato dalla grazia di Dio per vedere che la Chiesa Cattolica Romana è la sola vera Chiesa di Gesù Cristo; è convinto che la sua autorità provenga da Dio e che ascoltare e obbedire alla sua autorità sia ascoltare e obbedire a Dio stesso: e così accetta e crede a tutto ciò che insegna; perché le viene dall’autorità di Dio, e quindi deve essere vero; non perché lui stesso vede come o perché sia vero. Questa è la vera fede divina – questo è il modo giusto per diventare Cattolici. Tale fede è assolutamente necessaria. È necessario per necessità di precetto. Il nostro benedetto Signore dice: « Chi crede e sarà battezzato sarà salvato, ma chi non crede sarà condannato! ». Questo precetto è affermativo, nella misura in cui ci obbliga a credere a tutto ciò che Dio ha rivelato; è negativo, nella misura in cui ci vieta di esprimere opinioni contrarie alla verità rivelata. – Tale fede è necessaria per necessità di mezzo, perché « …  senza fede è impossibile piacere a Dio ». (Ebr. XI.) « Se non credete, morrete nei vostri peccati ». (Giovanni, VIII, 24.). Ora, un protestante così, sta per unirsi alla Chiesa Cattolica. Coxe lo sente … così va e tiene lezioni sull’idolatria e gli errori della Chiesa Cattolica Romana, per impedirgli di cadere, come lui stesso le chiama, “in mani cattive”.  Lord Stafford era un buon Cattolico, ma sua moglie era una protestante severa. Aveva vissuto diversi anni ad Abbeville, in Francia. Pregò il vescovo di Amiens, monsignor De la Motte, di convertire sua moglie. « Dio solo può convertire l’anima – rispose il Vescovo – puoi farle più bene tu pregando per lei, che io parlando con lei. » – Ora Lady Stafford aveva una grande stima per San Francesco di Sales. « Se potessi incontrare un Vescovo come lui – diceva – potrei diventare Cattolica ». Ebbe così un colloquio con il Vescovo di Amiens. All’inizio egli evitò l’argomento della Religione e cercò di ottenere la sua fiducia. Un giorno le chiese se la sua coscienza fosse completamente tranquilla, e, se non avesse dubbi sulla sua religione, vivendo così separata com’era dalla Chiesa. « Con la Bibbia in mano – ella rispose – non temo nessuno, sono abbastanza soddisfatta ». Le parole del Vescovo, tuttavia, le fecero una profonda impressione. Cominciò allora a dubitare seriamente della verità della sua setta. Venne di nuovo a consultare il Vescovo. Ella ascoltò uno dei suoi sermoni e concepì un grande desiderio di poter professare la stessa fede religiosa di questo santo prelato. Aveva ancora dei dubbi sulla santa Messa e sul Purgatorio. Consultò ancora una volta il Vescovo. Ma invece di risolvere immediatamente i suoi dubbi, il Vescovo le disse: « Madame, voi conoscete bene il vescovo protestante di Londra, avete evidentemente una grande fiducia in lui. Andate, dunque, e riferitegli ciò che ora vi dico: il Vescovo di Amiens dichiara che diventerà protestante, se puoi confutare il fatto che S. Agostino, che tu consideri una delle più grandi luci della Chiesa, abbia offerto la santa Messa, … ed  offerta per i morti, vale a dire per la madre sua defunta. » La proposta venne accettata. Lady Stafford chiese al marito di andare a Londra, e lì, in incognito, pose il messaggio scritto nelle mani del vescovo protestante, riportandone la risposta scritta. Il vescovo protestante lesse il messaggio e, alla richiesta di scrivere una risposta, disse: « Questa signora è caduta in cattive mani, sarà pervertita, qualsiasi cosa io possa dire non ostacolerà il male, ma darà adito a incomprensioni e recriminazioni spiacevoli ». Come possiamo immaginare, Lady Stafford fu molto sorpresa da questa risposta. Era sincera: era evidente che il vescovo non desiderava rispondere, perché non poteva. In particolare, l’hanno spinta a compiere il passo finale questi due pensieri: « 1. Nessun Cattolico è mai diventato un protestante facendo penitenza per i propri peccati per ritornare a Dio, mentre molti protestanti sono diventati Cattolici proprio per questa ragione.  – 2. I protestanti onorano come santi, molti dottori e padri della Chiesa che hanno insegnato una dottrina proprio contraria al protestantesimo e, di conseguenza, i protestanti devono ammettere che si possa diventare santi imitando questi santi dottori e vivendo e morendo nella loro fede. Lady Stafford fece gli esercizi spirituali per alcuni giorni in un convento, e finalmente divenne una buona e fervente cattolica. » (Herbert.)  – Come il vescovo protestante di Londra, anche il vescovo Coxe sa che molti non Cattolici sono caduti in “cattive” mani e sono diventati Cattolici molto edificanti. Egli sa pure che i buoni libri cattolici, che spiegano chiaramente la Religione Cattolica, sono anch’essi delle “cattive mani” con cui molti non Cattolici si sono convertiti alla Chiesa Cattolica. Sa quindi che anche “Familiar Explanation of Christian Doctrine è una di queste “cattive mani”. Ma con l’evitare che i non Cattolici leggano questo piccolo libro, egli dimostra così chiaramente che solo la Chiesa Cattolica Romana è la “vera” Chiesa di Cristo, e che nessuna salvezza è possibile fuori da Essa; pertanto egli estrapola alcune domande e risposte, disonestamente avulse dal contesto, e le ingarbuglia, come fa con la Sacra Scrittura, per la distruzione di se stesso e quella del suo prossimo.  Non abbiamo saputo cosa abbia detto Mons. Coxe su queste domande e risposte; ma, a giudicare dall’articolo anonimo: Queer Explanation, (una spiegazione strana) possiamo capire che le abbia usate come argomenti per denunciare l’idolatria e l’errore della Religione Cattolica.  Il signor Coxe non è del parere di dichiarare che la Religione Cattolica sia idolatra e piena di errori, poiché sa troppo bene che l’idolatria è stata eliminata dalla Chiesa Cattolica e che, se non fosse stato per Essa, egli stesso sarebbe stato un idolatra. Se Coxe calunnia la Sposa di Cristo in modo tanto empio, ciò dipende da un odio diabolico che nutre per Essa. E perché egli e molti altri protestanti nutrono un odio diabolico verso la Chiesa cattolica? « I cosiddetti riformatori – dice il dottor O. A. Brownson – supponevano, in un primo momento, di poter mantenere la religione dogmatica per mezzo della Bibbia, senza alcun interprete o maestro divinamente autorizzato, poiché non erano a conoscenza di quanto la loro interpretazione delle Scritture dipendesse dalla tradizione della Chiesa nella quale erano stati educati tutti. Quando questo fu evidenziato dai Cattolici, che dimostrarono pure che la Bibbia, interpretata dalla tradizione, sosteneva le affermazioni del Papato e della Chiesa Cattolica, dalla quale essi si erano separati, furono costretti, per essere coerenti con se stessi, a ritornare alla Chiesa Cattolica o a rifiutare l’interpretazione tradizionale della parola scritta, e ad affidarsi perciò esclusivamente, da allora in poi, nella loro interpretazione del testo sacro, alla grammatica e al lessico. Ma interpretando unicamente con la grammatica e con il lessico, fu presto scoperto che non si potesse evincere alcun sistema dogmatico uniforme e coerente in grado di avere un qualsiasi grado di certezza tollerabile dalle Sacre Scritture. Questo è un fatto innegabile. Le variazioni del protestantesimo, anche durante la vita dei riformatori, la moltiplicazione delle sette protestanti, tutte attingenti al testo sacro, e l’esperienza di trecento e più anni, lo rendono indubitabile. I protestanti, spinti dai loro oppositori Cattolici, furono spinti alla triste alternativa di condannare la loro separazione dalla Chiesa e tornare alla sua comunione, o di rinunciare alla religione dogmatica come fatto non essenziale, ricorrendo alle emozioni o al sentimento interiore. – “I riformatori immaginavano di essersi opposti mediante una verità all’autorità della Chiesa nell’ostentare l’autorità della Bibbia, ma in tal modo cambiarono solo la forma della loro negazione: la loro affermazione circa l’autorità della Bibbia era puramente negativa: questo era in realtà semplicemente la negazione dell’autorità della Chiesa di interpretarla o declamarla e applicarne il senso, e non significa né più né meno quel che la Chiesa ha sempre affermato nel dichiarare l’autorità della Bibbia, interpretata e giudicata dal tribunale divinamente istituito all’uopo. La Bibbia, come l’esperienza protestante ha poi dimostrato, senza la Chiesa come tribunale, non ha alcuna autorevolezza, come lo sono gli statuti di un regno o di una repubblica lasciati al giudizio privato del cittadino o del soggetto, senza che il tribunale civile li interpreti e li applichi su di un caso in esame; essi non si opponevano alla Chiesa se non come principio della negazione di ogni verità o autorità: nient’altro che la pura negazione, storicamente e logicamente; il protestantesimo, nonostante le scappatoie o i sotterfugi, ha raggiunto il suo inevitabile fine, cioè: la negazione di ogni autorità, esterna o interna, spirituale o secolare, e quindi di ogni fede, di ogni verità oggettiva e di ogni Religione; poiché la natura stessa della Religione è quella di legare la coscienza con l’obbligo dell’uomo di obbedire a Dio. « Quindi – dice Sant’Alfonso – Rifiutare l’insegnamento divino della Chiesa Cattolica, è rifiutare la base stessa della ragione e della rivelazione, poiché né i principi dell’una, né quelli dell’altra hanno più alcun solido sostegno su cui reggersi; perché questo può quindi essere interpretato da ognuno a suo piacimento, si possono negare tutte le verità che si vuol negare; pertanto ripeto: se l’autorità divina di insegnamento della Chiesa e l’obbedienza ad Essa sono respinte, ogni errore sarà approvato e potrà essere tollerato.” (Appendice al suo lavoro “Il Concilio di Trento”). « In effetti, negando il fondamento stesso della Religione, o rifiutando la verità rivelata – dice Brownson – priviamo la ragione stessa della sua forza e ne oscuriamo la luce, smettendo di essere in grado di mantenere, con una solida comprensione, la verità che giace nel suo stesso ordine, come dimostra l’immensa superiorità intellettuale dei Cattolici sui protestanti: paragona un contadino irlandese o spagnolo ad un contadino inglese o ad un protestante-tedesco, o i dotti benedettini di San Maur o i Bollandisti ai tuoi eruditi studiosi e critici protestanti, o i grandi dottori medievali ai teologi protestanti più lodati: la differenza di lucidità mentale, l’acutezza e la forza è così grande da rendere quasi completamente ridicolo il confronto ».  – « L’età attuale – dice il dottor O. A. Brownson – si vanta della sua liberalità, ma la sua sfacciata liberalità è il risultato del suo indifferentismo alla teologia dogmatica e della sua mancanza di ferma convinzione in ogni verità positiva o affermativa. Le sette hanno smesso di sgozzarsi a vicenda, poiché non vale la pena discutere le differenze tra esse, dal momento che sono tutte animate da un solo e medesimo spirito e si muovono nella stessa direzione. Tuttavia, quantunque l’epoca sia più seria, è comunque intollerante come qualsiasi epoca precedente. Ci possono essere individui che detestano onestamente l’intolleranza in ogni modo o forma, ma questi si trovano principalmente tra i Cattolici che prendono sul serio la dottrina popolare della libertà religiosa, e fanno di tutto per rifiutare ogni solidarietà con la storia passata della loro Chiesa, e protestare contro lo spirito, se non proprio contro la lettera, del Sillabo. La Chiesa insegna la verità, e tutta la verità è intollerante, e rifiuta di tollerare anche la parvenza dell’errore; l’impopolarità di un principio o di una dottrina non ha nulla a che fare con la sua verità o con l’obbligo di osservarla. Dove i Cattolici sono in minoranza, come da noi, la prudenza del mondo può sembrare che consigli la difesa di quella che viene chiamata, ma falsamente chiamata, la libertà di coscienza, cioè il diritto di ogni uomo di formare o di scegliere da sé il proprio credo religioso e rispettarlo; ma una prudenza più alta, la Prudenza divina, consiglia l’adesione al principio cattolico, a ciò che è vero sempre e dappertutto. Né i principi né le dottrine della Chiesa cambiano o subiscono alcuna modifica con i cambiamenti o le variazioni del tempo o del luogo. Nessun uomo ha il diritto di fronte a Dio, per quanto possa averlo davanti allo Stato, di professare una qualsiasi religione tranne l’unica e vera Religione, la Cattolica, e nessuno può aderire a nessun’altra se non a proprio rischio e pericolo.  « Eppure, con tutta la loro sfacciata liberalità, i protestanti affermano solo la libertà di negare la verità, e se la loro intolleranza alla Cattolicità ha cambiato la sua forma, non è diminuita però nella sua intensità. Il loro odio per la Chiesa non è diminuito in alcun modo. Le nazioni ora non perseguitano i Cattolici, come hanno fatto all’inizio, per la paura dell’intervento dei governi cattolici stranieri, anche se, in senso stretto, non ci sono più governi cattolici sulla terra, ma il loro terrore per la Chiesa e l’ostilità a tutto ciò che è Cattolico sono più grandi che mai, e proprio perché il termine cattolico si oppone direttamente alla negazione della verità oggettiva, con il dissolvimento della Religione in un sentimento o in un’emozione soggettiva, che varia con il luogo e il tempo, da individuo a individuo, essi sentono che la Cattolicità è l’affermazione della verità cattolica, e quindi che la Chiesa differisce da loro non semplicemente nel grado, come un più o un meno, ma nella natura, e contraddice direttamente il loro intero ordine di pensiero. Quindi l’intolleranza dei protestanti verso la Cattolicità non è ispirata dall’amore per la verità o dallo zelo per la parola di Dio, ma dalla loro mancanza di fede, per cui desiderano sentirsi liberi da ogni obbligo di credere e di osservare strettamente la verità, di seguire la ragione o la rivelazione, soddisfatti delle proprie opinioni, qualunque esse siano, e soddisfatti di vivere e morire nel loro indifferentismo religioso o semplicemente nel soggettivismo religioso. Questo non possono farlo più nel confrontarsi con la Chiesa Cattolica per cui essi devono distruggerla per essere in grado di godere con tranquilla coscienza delle proprie convinzioni o meglio delle loro “non credenze”. – « L’ostilità verso la Chiesa non deriva dalle sue dottrine o da dogmi speciali, né da alcuna convinzione intellettuale che siano falsi o irragionevoli, ma dal fatto che Essa insegna che la verità è oggettiva, indipendente dal credente, ed è obbligatoria, e nessuno ha o può avere il diritto di opporsi a Dio. I protestanti odiano la Chiesa per due ragioni: 1° perché afferma di insegnare infallibilmente con l’assistenza divina, e 2° perché sostiene che la verità è cattolica e lega sia la ragione, che la coscienza. Il diritto della Chiesa di insegnare tramite l’autorità divina attraverso il Papa e i Concili, era l’oggetto principale dell’ostilità all’inizio, una necessità assoluta della posizione assunta dai riformatori, ma abbiamo visto che, col passare del tempo, si è reso necessario, per sostenere la loro posizione contro la pressione degli argomenti Cattolici, il negare non solo l’autorità della Chiesa, ma anche l’autorità della Verità stessa, e quindi non si ritengono obbligati nell’osservarla, ma si considerano liberi di resisterle ogni volta che possono scegliere.La presenza e l’influenza della Chiesa si oppone a questa libertà interiore dalla Verità, che i non credenti chiamano “libertà di pensiero”, e i protestanti “libertà religiosa”, ed entrambi fanno guerra ad Essa, una guerra all’ultimo sangue, perché Essa non può e non può assolutamente favorirli: essi, increduli e protestanti, formano un’alleanza contro di Essa e cercano, con tutte le arti e i dispositivi in ​​loro potere, la sua totale distruzione dalla faccia della terra; perché entrambi sentono istintivamente che o Essa o loro devono perire. « È degno di nota che nella guerra che i protestanti e gli infedeli hanno finora condotto contro la Chiesa, non hanno né pretendono di avere alcuna verità o principio per opporsi ad Essa. Essi non combattono per la verità, né per alcun principio affermativo o Cattolico che negano o trascurano, ma per quello che chiamano i “diritti della mente”, che, tradotto in un inglese semplice, significa l’emancipazione della mente umana dall’autorità della Verità, e quindi da Dio che è la Verità, o, in termini più semplici ancora, la libertà di trattare la Verità e la menzogna come se avessero uguale valore, siano ugualmente indifferenti, o di negare ogni reale distinzione tra loro, e quindi tra il giusto e l’errato. Né la Ragione né la Rivelazione possono tollerare questo tipo di libertà, piuttosto questa è una licenziosità intellettuale e morale, e la sola stessa esistenza e la presenza della Chiesa la condannano, da qui l’inconciliabile antagonismo tra la Chiesa e le sette; ma c’è una notevole differenza tra il temperamento e le motivazioni delle due parti: ad esempio La Chiesa è sempre calma e raccolta, perché sa che ha la Verità; non indulge a nessuna passione, non ricorre ad alcuna violenza, a nessuna crudeltà o durezza contro i suoi nemici, perché sa che stanno solo facendo del male a se stessi, e non ad Essa; e quindi si commuove nella sua resistenza alla loro rabbia cieca, solo per quella carità divina che cerca di salvare le anime, non di distruggerle. È mossa dall’amore per i suoi nemici e cerca sempre, con tutti i mezzi in suo potere, di renderli buoni, buoni per il tempo e per l’eternità. Il suo atteggiamento verso di loro è quello di tenerezza e di compassione infinite. Ma il temperamento dei suoi nemici verso di Essa è quello della stizza e dell’odio immotivato; essi non sono mossi né dalla carità, né dall’amore per le anime; perché, se credessero nella salvezza, saprebbero che le anime possono essere salvate solo nella Chiesa, e non al di fuori di Essa, e quindi, ecco che i traditori nelle loro stesse odiose passioni, non pongono un limite alla violenza o alla crudeltà a cui potrebbero ricorrere, avendone il potere, se lo dovessero giudicare necessario o utile alla loro causa. Ne vediamo le prove nella legislazione anticattolica e nelle misure della Prussia, della Svizzera, dell’Italia protestante, della Spagna rivoluzionaria e delle misere repubbliche del Sud di questo Continente, dove l’influenza della nostra repubblica è stata più ostile alla Religione, alla pace e all’ordine della società.  – « Tutte queste cose provano, in primo luogo, che il partito protestante non si oppone alla Chiesa, come essi pretendono, per ragioni puramente politiche, perché essa non ha alcun potere politico o connessione ad esso e, in secondo luogo, perché davvero, qui e dappertutto, si oppongono ad Essa, perché è Cattolica nel suo insegnamento, afferma la Verità come vincolante per l’intelletto e la coscienza, in diretta contraddizione con la loro dottrina dell’indifferenza alla Verità e alla menzogna, secondo la quale ogni uomo ha il diritto naturale di professare qualsiasi religione, anche non Cattolica, o nessuna religione, a suo piacimento ». – « Ci sono, senza dubbio, un gran numero di protestanti che si attengono ai principali misteri cristiani così come insegnati dalla Chiesa e tramandati dalla Tradizione, ma essi, come abbiamo detto, li professano non come verità cattolica, ma come opinioni, che non rendono vincolante l’intelletto o la coscienza, e che essi sono liberi di accettare o respingere a loro gusto, secondo la loro convenienza o il loro capriccio. Nel linguaggio popolare del giorno, sono chiamati semplicemente opinioni religiose, non “dogmi” e raramente “articoli di fede”. Alcuni potrebbero considerarli come delle dottrine essenziali del Cristianesimo, ma il Cristianesimo stesso è considerato un’opinione, o un sentimento interiore, non come una legge che nessuno ha il diritto di contestare e a cui ognuno è tenuto ad obbedire. Essa è solo una tra molte religioni, nessuna delle quali è del tutto falsa o del tutto vera.  « Ci sono, ci piace credere, tra i protestanti, molte persone che sono molto superiori al loro protestantesimo, che non hanno ancora imparato a diffidare della ragione, che ritengono che la verità sia obbligatoria, che la Religione sia la legge della coscienza, che sono onesti, retti, gentili e benevoli secondo la loro luce, e che intendono essere veri credenti Cristiani: con questi si può ragionare e possono essere più o meno influenzati dalle argomentazioni; essi non sono autentici protestanti, potrebbero non capire molto bene le dottrine predicate dalla Chiesa dai primi riformatori, ma credono che siano Verità rivelate, che per loro sarebbe peccaminoso negare, e non delle semplici opinioni che si è liberi di accettare o meno, professandole secondo il proprio piacere. Questo serve a mantenere una parvenza di religione nelle diverse sette protestanti, ma essi non sono governati dallo spirito protestante e, se portati via dal movimento protestante, poiché non ne sono i leaders, sono i ritardatari della marcia in avanti del protestantesimo. Se ne trovano alcuni a Ginevra, che condannano seriamente le misure adottate dal Concilio contro il vescovo Mermillod e il clero cattolico; alcuni, come il signor von Gerlach, in Prussia, che resistono con tutti i mezzi in loro potere alla legislazione adottata dal governo contro la Chiesa e i suoi fedeli pastori; e un piccolo numero anche in questo Paese che si oppone apertamente all’ingiustizia di tassare i Cattolici per il sostegno delle scuole a cui le loro coscienze vietano di mandare i propri figli. Non sono questi, come uomini, come individui, che noi denunciamo, perché molti di loro li onoriamo e li stimiamo, bensì il “protestantesimo” a cui sono associati. – « Che i protestanti, almeno i cosiddetti protestanti ortodossi, professino di osservare e rivendichino al loro protestantesimo, molte cose che sono professate anche dai Cattolici, nessuno lo nega, ma queste cose non fanno parte del protestantesimo, perché la Chiesa le ha professate ed insegnate secoli prima che nascesse il protestantesimo: sono parte integrante dell’unica fede cattolica e appartengono solo ai Cattolici; i protestanti possono legittimamente rivendicare, come protestanti, solo quelle cose in cui si differenziano dalla Chiesa, e che la Chiesa nega, e che essi asseriscono, vale a dire, ciò che è peculiare o distintamente protestante: non possiamo permettere che rivendichino come loro ciò che è, e che è sempre stato nostro, accordiamo ad essi volontariamente ciò è loro, ma niente di più: tutto ciò che essi professano e conservano insieme a noi, è solo nostro, non loro. Adottando questa regola, che è giusta e inoppugnabile, praticamente nulla appartiene loro, ma solo le smentite, e siccome tutte le loro negazioni sono, come abbiamo visto, prive del principio o della verità cattolica, costituiscono delle pure eguaglianze; poiché il protestantesimo è puramente negativo, di conseguenza in esso non c’è religione, perché la vera Religione è solo affermativa.  – « Niente di tutto questo! Noi abbiamo visto che le negazioni protestanti, in entrambi i loro sviluppi logici e storici, portano alla negazione di ogni Religione dogmatica, di ogni Verità oggettiva, e riducono le verità della ragione e della rivelazione a mere opinioni personali, e quindi implicano la negazione di quelle stesse dottrine che i protestanti professano di tenere in comune con noi. L’immensa maggioranza dei protestanti abbandonerà queste dottrine, o acconsentirà a considerarle semplicemente come opinioni prive di autorità oggettiva, prima di abbandonare il movimento protestante o respingere i dinieghi che sono l’essenza del protestantesimo, quando comprenderà che l’essenza di una negazione, è quella di non avere un essere in sé stessa o altrove. Alcuni dei più recenti protestanti potranno essere occasionalmente coinvolti, ma la maggior parte di essi accelererà il passo e chiuderà con il corpo principale. Le conversioni individuali, in effetti, avvengono, ed in generale sono considerevoli, ma sono poco più che polvere nell’equilibrio generale rispetto al numero intero di protestanti, anche se sono di gran lunga più numerosi dei Cattolici che cadono, qui e altrove, nel protestantesimo o nell’infedeltà.  – « È ovvio quindi che per portare avanti una polemica, i protestanti, come se fossero dei Cristiani semplicemente erranti in merito a certi aspetti della fede cristiana, non possono esprimersi, non possono essere convinti dalle argomentazioni, perché non posseggono fermamente nulla che possa servire loro come base di un argomento: ci sembra molto più importante spogliarli di tutte le pretese cristiane, privarli del loro prestigio e del potere di seduzione che la loro professione cristiana dà loro, mostrando loro la totale nudità come dei veri e propri infedeli, piuttosto che faticare per far loro accettare le dottrine cattoliche che dichiaratamente rifiutano. Gli infedeli sono così, e non è poco importante dimostrare che nessun uomo può essere un protestante ed essere allo stesso tempo un Cristiano o un seguace di Nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo. Dobbiamo questo ai non istruiti o a quelli imperfettamente istruiti, e specialmente ai nostri Cattolici dalla visione mondana, che sono esposti alle influenze e alle seduzioni protestanti e che si allontanerebbero con orrore dall’infedeltà e dalla negazione del Signore che ci ha comprati, e tuttavia sono tentati di fraternizzare con i protestanti che fingono di essere Cristiani e di avere l’essenziale della fede cristiana, se scoprono che i Cattolici stessi ammettono che i protestanti sono Cristiani, anche se Cristiani eterodossi. Lo dobbiamo anche a coloro che, tra le fila dei protestanti, si sentono destinati ad essere Cristiani e vorranno essere Cristiani. Entrambe le classi dovrebbero essere istruite per capire come sia vero che il protestantesimo non è il Cristianesimo, non è una Religione, ma è, quando viene spinto alla sua ultima conseguenza, la negazione della Rivelazione, la negazione della Ragione, la negazione di Dio, l’autore della Ragione, ed è solo un ateismo mascherato, o una forma sottile di negazione universale o nichilismo. Ogni protestante onesto dovrebbe, per quanto possibile, impegnato a capirlo, in modo che possa comprendere il rischio che corre se rimane nei ranghi dei protestanti; e ogni Cattolico dovrebbe pure capirlo, in modo che possa vedere chiaramente che, se cede alla seduzione del protestantesimo, si separa completamente e interamente da Cristo nostro Signore, e si assicura la sua eterna perdizione. » Non conosciamo nulla di più riprovevole del mambypambyismo (buonismo accomodante) balbettato dai Cattolici sentimentali sulla buona fede dei “nostri fratelli separati”. Ci possono essere persone in buona fede tra i protestanti, ma, in tal caso, non mancano le opportunità di poterlo dimostrare ed uscire dalla Babilonia in cui sono stati allevati. Gli uomini non possono essere salvati senza Cristo, perché non c’è altro Nome dato sotto il cielo per cui possono essere salvati: senza la fede è impossibile piacere a Dio, e chi viene a Dio deve esserne consapevole, Egli stesso è il compenso di coloro che lo cercano, e come si può essere salvati da Cristo se si aderisce ad una fazione che lo respinge e che gli fa guerra? E come si può avere fede o credere in Dio se si è in comunione con coloro che riducono tutta la fede, tutte le convinzioni, tutte le verità, in realtà, ad una semplice opinione, o ad un sentimento interiore che varia in base a ciascun individuo? Se la Cattolicità è essere Cristiano, se la Ragione è autorevole e per se stessa competente, nulla è più certo del fatto che il protestantesimo non è in alcun senso cristiano, e che le persone che vivono e muoiono protestanti non possono essere salvate. È stoltezza del senso comune voler affermare il contrario, e questo praticamente neutralizza tutti i nostri sforzi per convertire i protestanti e per portarli a vivere e salvarsi nella fede in Cristo. – « Noi sappiamo ciò che dicono i teologi dell’ignoranza invincibile e non osiamo contraddirli: l’ignoranza invincibile scusa dal peccato in ciò di cui uno è invincibilmente ignorante (ignoranza non rimediabile), ma essa non dà la fede, non ha virtù, e senza fede, senza virtù positiva, nessun uomo può essere salvo. L’uomo che detiene implicitamente la Fede Cattolica, ma errando a causa dell’invincibile ignoranza nei confronti di alcuni dei suoi precetti e persino dei dogmi, può essere salvato, ma come si può dire che un uomo abbia implicitamente la Fede Cattolica, se non detiene affatto, o rifiuta ogni principio che la sottintende? Non è quindi certa questa  applicazione ai protestanti, che in realtà negano tutto ciò che sia Cattolico, regola che invece è oltremodo giusta se applicata ai Cattolici sinceri ma ignoranti o ai Cattolici che errano a causa della ignoranza incolpevole. Il protestantesimo non regge al confronto dell’eterodossia ordinaria, esso non è più cristiano del paganesimo greco e romano. – Senza dubbio, questo sarà recepito come illiberale, come troppo severo, ma l’unica domanda che dobbiamo porre è: è questa la Verità? È questa la legge? Se questa è la legge di Dio, essa è vera; è ciò che insegna la Chiesa, e non abbiamo nulla da recriminare per la questione della sua libertà o illiberalità, della sua severità o della sua clemenza. Tutto ciò di cui dobbiamo guardarci è affermare la Verità, seppure in uno spirito duro o illiberale, con un temperamento severo e crudele o con qualsiasi altra mancanza di carità, perché è  salvaguardia per coloro che si espongono alle terribili conseguenze del rigetto di Cristo e della sua legge, o che si rifiutano di accettare che Egli regni su di loro. Possiamo amare e pregare per loro, ma cercare di alterare la divina costituzione del suo regno è un incorrere nella colpa della ribellione: c’è solo una via giusta, e mentre è nostro dovere incamminarci in essa, è anche nostro dovere fare del nostro meglio per mostrarla a coloro che ne siano fuori, e cercare di riportarli a rientrare in essa. Sarebbe un peccato contro la carità lasciare che essi pensino di poter essere salvati al di fuori di questa unica via, o in altro modo. Non cambierebbe nulla nella legge esistente, indipendentemente da loro e da noi, se dovessimo farlo. Un uomo può essere liberale quanto gli piace con ciò che è suo, ma dare via ciò che è di un altro è un’ingiustizia. Dio è giusto e misericordioso, e ama tutte le opere delle sue mani, perché non avrebbe mai fatto nulla, se l’avesse odiato. Cristo ha tanto amato anche i peccatori, che ha dato la sua vita per loro, ed è una mancanza di fede in Lui il dubitare della saggezza o della giustizia, della bontà o della misericordia della sua legge. La Chiesa non può salvare coloro che la respingono, ma piange come una madre amorevole su coloro che sono fuori strada e si avviano verso una sicura perdizione. La carità è più alta e più ampia del cieco sentimentalismo, Essa ama tutti gli uomini, ma li ama in Dio. » (Review, ottobre 1873). –  Ogni Cattolico bene istruito conosce e comprende questa grande verità della nostra Religione e si sentirebbe molto indignato per il suggerimento circa la minima cosa contraria ad essa. Circa cinque anni fa, se ricordiamo bene, un predicatore protestante di New Orleans ha agito come il vescovo protestante Coxe. Scelse, dalla Familiar Explanation of Christian Doctrine, le stesse frasi avulse, citate da Coxe, per provare da esse l’idolatria e l’errore della Religione Cattolica. Egli fece inserire il suo lungo discorso in un giornale protestante di New Orleans. Il suo scopo era di impedire alle donne protestanti di prendere parte ad una fiera, i cui profitti dovevano andare a pagare i debiti di alcune chiese cattoliche. In risposta a questo articolo malevolo, il giudice McGloin, un erudito e devoto Cattolico di New Orleans, inserì nello stesso giornale un articolo elaborato, in cui dimostrava chiaramente, come fanno i buoni autori Cattolici, che la spiegazione che avevamo dato della Dottrina Cattolica in questione era perfettamente corretta.

EXTRA ECCLESIAM NULLUS OMNINO SALVATUR (4)

EXTRA ECCLESIAM NULLUS OMNINO SALVATUR (4)

IL DOGMA CATTOLICO:

Extra Ecclesiam Nullus Omnino Salvatur

[Michael Müller C. SS. R., 1875]

CAPITOLO III

La grande rivolta contro Cristo.

[L’origine del protestantesimo dallo spirito di lussuria, di orgoglio, di cupidigia – Le atrocità dei protestanti]

Dall’inizio del mondo ci sono stati due elementi – il bene e il male – che si combattono l’un l’altro. “Devono esserci scandali”, dice il nostro Signore; San Michele e lucifero si combattono l’un l’altro in cielo; Caino e Abele nella famiglia di Adamo; Isacco e Ismaele nella famiglia di Abramo; Giacobbe ed Esaù nella famiglia di Isacco; Giuseppe e i suoi fratelli nella famiglia di Giacobbe; Solomone e Assalonne nella famiglia di Davide; San Pietro e Giuda in compagnia di Nostro Signore Gesù Cristo; gli Apostoli e gli imperatori romani nella Chiesa di Cristo; San Francesco d’Assisi e fratello Elia nell’Ordine Francescano; San Bernardo e suo zio Andrea nell’ordine cistercense; Sant’Alfonso e padre Leggio nella Congregazione del Santissimo Redentore; Fede ortodossa ed eresia e infedeltà, nel Regno di Dio sulla terra; il giusto e il malvagio, in tutti i luoghi; infatti, dov’è il paese, la città, il villaggio, la comunità religiosa o la famiglia, per quanto piccola possa essere, in cui questi due elementi non si trovino in opposizione. La parabola del seminatore e della zizzania è dappertutto verificata; anche se si dovesse essere completamente soli, la grazia e la natura si combattono a vicenda. « E i nemici di un uomo saranno quelli della sua stessa casa » (Matth. X, 36). Strano a dirsi, non solo il bene e il male si trovano in conflitto perpetuo; ma Dio, per fini sapienti, permette che anche che il più santo e il migliore degli uomini a volte siano diametralmente opposti l’uno all’altro, e persino incitino alla persecuzione, l’uno contro l’altro, sebbene ciascuno possa essere guidato dal più puro e più santo dei motivi. Ci devono essere scandali, un avvertimento fatale, benché divino! Ci devono essere tempeste in natura per purificare l’aria dagli elementi pericolosi. Allo stesso modo, Dio permette le “tempeste–eresie” che sorgono nella sua Chiesa sulla terra, di modo che le dottrine errate ed empie degli eretici possano, per contrasto, esporre in modo più chiaro le vere e sante dottrine della Chiesa. Come la luce è nel mezzo dell’oscurità, l’oro è in contrasto con il piombo, il sole è tra i pianeti, il saggio è tra gli sciocchi, così la Chiesa Cattolica Romana è tra i non Cattolici. « Se due cose di diversa natura – dice il Saggio – sono messe in opposizione, l’occhio ne percepisce subito la differenza ». Il bene è contro il male e la vita contro la morte: così anche il peccatore è contro l’uomo giusto, e così guarda tutte le opere dell’Altissimo: «Considera perciò tutte le opere dell’Altissimo; due a due, una di fronte all’altra ». (Eccl. XXXIII, 15.)  – Cristo, quindi, permette alle tempeste delle eresie di abbattersi sulla sua Chiesa, al fine di portare una luce più chiara sulla sua dottrina divina, e di rimuovere gli elementi pericolosi dal suo Corpo Mistico, la Chiesa Cattolica Romana. All’inizio del sedicesimo secolo, con l’eccezione degli scismatici greci, di pochi lollardi in Inghilterra, di alcuni valdesi in Piemonte, di dispersi albigesi o manichei, e di alcuni seguaci di Huss e Zisca tra i boemi, tutta l’Europa era Cattolica. Inghilterra, Scozia, Irlanda, Spagna, Portogallo, Francia, Italia, Germania, Svizzera, Ungheria, Polonia, Olanda, Danimarca, Norvegia e Svezia, ogni nazione civile era nell’unità della fede Cattolica. Molte di queste nazioni erano all’apice della loro potenza e prosperità. Il Portogallo stava spingendo le sue scoperte oltre il Capo di Buona Speranza e stava formando insediamenti cattolici nelle Indie Orientali. Cristoforo Colombo, un Cattolico Romano, aveva scoperto l’America, sotto il patrocinio della Cattolica Regina Isabella di Spagna. L’Inghilterra era in uno stato di grande prosperità: le sue due università cattoliche di Oxford e Cambridge contavano, insieme, più di cinquantamila studenti; il Paese era coperto da nobili chiese, abbazie e monasteri e da ospedali in cui i poveri venivano nutriti, vestiti e istruiti. Tuttavia, i progressi della civiltà tendevano a promuovere uno spirito di orgoglio e incoraggiavano la brama delle novità. La prosperità della Chiesa portò al lusso e in molti casi ad un rilassamento della disciplina. C’erano, come sempre, in ogni periodo della Chiesa, giorni in cui gli Apostoli non erano accettati, e cattivi uomini nella Chiesa. Il grano e le zizzanie crescono insieme fino alla mietitura. La rete della Chiesa racchiude il bene e il male. Gli scritti di Wickliffe, Huss e dei loro seguaci avevano turbato la mente di molti. I prìncipi erano irrequieti a causa del controllo operato dalla Chiesa sulla loro rapacità e concupiscenza. Enrico VIII, per esempio, voleva divorziare da una moglie con la quale era sposato da vent’anni, per sposare una donna giovane e bella. Non poteva farlo, dovendo riconoscere la supremazia spirituale del Papa. Philip, Landgrave d’Assia, voleva due mogli. Nessun Papa gli avrebbe dato una dispensa per risposarsi e vivere con due donne contemporaneamente. Poi c’erano moltitudini di nobili cattivi e avari, che volevano solo un pretesto per saccheggiare le chiese, le abbazie e i monasteri, le cui proprietà erano adibite all’educazione del popolo e alla cura dei poveri, degli anziani e degli ammalati, in tutta Europa. Poi c’erano preti e monaci desiderosi di abbracciare una disciplina rilassata, e molte persone che, incitate al grido di libertà, erano pronte a correre in soccorso, e fare la guerra per ogni principio di religione e di ordine sociale, non appena le circostanze avessero favorito lo scoppio di questo spirito ribelle negli individui e nelle masse. Ora, quando Dio, dice san Gregorio, vede nella Chiesa molti che guazzano nei vizi, e, come osserva San Paolo, pur credendo in Dio e confessando la verità dei suoi misteri, sminuiscono la loro fede con le loro opere, Egli li punisce permettendo che dopo aver perso la grazia, perdano anche la santa conoscenza che avevano dei suoi Misteri, e che, senza alcuna altra persecuzione se non quella dei loro vizi, neghino la fede. È di questi David che parla, quando dice: “Distruggi Gerusalemme fino alle sue fondamenta”; (Salmi CXXXVI, 7) … non lasciare pietra su pietra. Quando gli spiriti malvagi hanno rovinato in un’anima l’edificio della virtù, ne fiaccano il fondamento, che ne è la fede. San Cipriano, quindi, disse: « Nessuno pensi che uomini virtuosi e buoni Cristiani lasciano mai il seno della Chiesa, non è il grano che il vento solleva, ma la paglia; gli alberi profondamente radicati non vengono abbattuti dalla brezza, ma solo quelli che non hanno radici; è dagli alberi insani che cadono frutti marci; i cattivi Cattolici diventano eretici, come una malattia è generata dai cattivi umori. In primo luogo, la fede languisce in loro, a causa dei loro vizi; diventano malati, poi muoiono, poiché il peccato è essenzialmente una cecità di spirito: più un uomo pecca, più è cieco, e la sua fede diventa sempre più debole, la luce di questa torcia divina diminuisce, e presto il minimo vento della tentazione o del dubbio è sufficiente per estinguerlo ». Testimone ne è la grande defezione dalla fede nel XVI secolo, quando Dio permise alle eresie di sorgere, al fine di esercitare la sua giustizia contro coloro che erano pronti ad abbandonare la verità, e la sua misericordia verso coloro che rimanevano attaccati ad essa; per scrutare, attraverso le prove, coloro che erano fermi nella fede e separarli quindi da quelli che avevano commesso l’errore; … per esercitare la pazienza e la carità della Chiesa e santificare gli eletti; … per dare l’occasione che si illustrasse la verità religiosa e della Sacra Scrittura; … per rendere i pastori più vigili e valorizzare ancor più il sacro deposito della fede; in fine, … per rendere l’autorità della tradizione più chiara ed incontestabile. L’eresia sorse in tutta la sua forza: Martin Lutero ne fu il capo e il portavoce. Martin Lutero, un frate agostiniano, un uomo audace e declamatore veemente, avendo assorbito i sentimenti errati dagli scritti eretici di John Huss di Boemia, prese l’occasione dalla pubblicazione delle indulgenze, promulgate da Papa Leone X, per rompere con la Chiesa Cattolica, e propagare i suoi nuovi errori, nel 1517, a Wittenberg, in Sassonia. In un primo momento protestò contro l’abuso delle indulgenze; poi ne mise in discussione l’efficacia, ed infine le respinse totalmente. Poi si espresse contro la supremazia della Sede di Roma e condannò tutta la Chiesa, adducendo il pretesto che Cristo l’avesse abbandonata, e che egli voleva riformarla, oltre che nella fede, anche nella disciplina. Così questo nuovo “evangelista” iniziò quella defezione fatale dall’antica fede, che fu definita “Riforma”. Le nuove dottrine, essendo mirate a soddisfare le viziose inclinazioni del cuore umano, si diffusero con la rapidità di un’inondazione. Federico, elettore di Sassonia, John Frederick, suo successore, e Filippo, Landgravio d’Assia, divennero discepoli di Lutero. Gustavus Ericus, re di Svezia, e Christian III., Re di Danimarca, si dichiararono pure a favore del luteranesimo, che si assicurò anche un posto in Ungheria. La Polonia, dopo aver vagliato una grande varietà di dottrine, lasciò ad ogni individuo la libertà di scegliere per se stesso. Munzer, un discepolo di Lutero, si autonominò dottore e, con Nicholas Stark, diede vita alla setta degli anabattisti, che fu propagata in Svevia, in altre province della Germania, e nei Paesi Bassi. Calvino, uomo di spirito audace e ostinato, instancabile nelle sue fatiche, ad imitazione di Lutero, divenne anch’egli riformatore. Riuscì ad elaborare le sue nuove dottrine esponendole a Ginevra, nel 1541. Dopo la sua morte, Beza predicò la stessa dottrina; questi si infiltrò in alcuni luoghi della Germania, dell’Ungheria, della Boemia e in Olanda impose questa religione. Questa poi fu importato da John Knox, un prete apostata, in Scozia dove, sotto il nome di Presbiterianesimo, mise profonde radici e si diffuse nel regno. Ma tra le nazioni illuse, nessuno più dell’Inghilterra beveva in profondità nel calice dell’errore. Per molti secoli questo Paese era stato di notevole importanza nel mondo cristiano per l’ortodossia della sua fede, come anche per il numero dei suoi Santi. Ma per la sfortuna di non essersi mai sufficientemente ribellata, e per un insondabile giudizio dall’alto, la sua Chiesa condivise un destino che sembrava lungi dal minacciarla. La concupiscenza e l’avarizia di un sovrano dispotico, abbatterono il fiero edificio e lo strapparono dalla roccia su cui si era assestato fino a quel momento. Enrico VIII, dapprima valoroso sostenitore della Fede Cattolica contro Lutero, lasciando il posto alle violente passioni che non aveva abbastanza coraggio di frenare, si pronunciò contro la giurisdizione suprema che il Papa aveva sempre tenuto nella Chiesa, presuntuosamente arrogando a sé medesimo quel potere nei suoi stessi domini, e dando quindi un colpo mortale alla Religione. Quindi costrinse i suoi sudditi alla stessa fatale defezione. Una volta introdotto gli errori, presto questi infestarono tutta la nazione. Essendo, per sua natura, non limitato da nessun principio fisso, il protestantesimo ha assunto centinaia di forme diverse, con nomi diversi, come: Calvinisti, Arminiani, Antinomiani, Indipendenti, Kilhamiti, Glassiti, Haldaniti, Bereani, Swedenborgiani, Nuovi-Jerusalemiti, Quaccheri ortodossi, Hicksiti, Agitatori, Cercatori, Cercatori, Saltatori, Metodisti riformati, Metodisti tedeschi, Metodisti Albright, Metodisti episcopali, Metodisti Wesleyan, Metodisti del Nord, Metodisti del Sud, Metodisti protestanti, Episcopaliani, Episcopali della Chiesa alta, Episcopaliani della Chiesa bassa, Ritualisti, Puseyiti, Riformati olandesi, Israeliani cristiani, Battisti, Battisti particolari, Battisti del settimo giorno, Battisti di Hardshell, Battisti di conchiglie, Battisti quarantisti, Battisti sessantisti, Battisti africani, Battisti del libero arbitrio, Battisti della chiesa di Dio, Battisti regolari, Battisti anti-missione, Battisti dei sei principi, Fratelli del fiume, Vitivinicoltori, Mennoniti, Secondi Avventisti, Milleriti, Cristiani Universalisti, Congregazionalisti ortodossi, Campbelliti, Presbiteriani, Presbiteriani della vecchia scuola e Presbiteriani della Nuova Scuola, Presbiteriani del Cumberland, Presbiteriani Uniti, L’unica vera chiesa di Cristo, 573 Bowery, NY, su per le scale, 5 ° storia, Santi degli ultimi giorni, Restauratori, chiesa di Schwenfelder, Spiritualisti, Mormoni, Perfezionisti cristiani, etc., etc., etc. Tutte queste sette sono chiamate “protestanti” perché tutte si uniscono per protestare contro la loro Madre, la Chiesa Cattolica Romana. Qualche tempo dopo, quando lo spirito riformatore aveva raggiunto la sua piena crescita, Dudithius, un erudito protestante, nella sua epistola a Beza, scrisse: « Che tipo di persone sono i nostri protestanti, che vanno e vengono da ogni vento di dottrina, a volte da questa parte, a volte a quella. … Potresti forse sapere quali sono i loro sentimenti in materia di religione oggi, ma non puoi mai dire con esattezza cosa essi saranno domani. » In quale articolo di religione convengono queste chiese che hanno respinto il Vescovo di Roma? Esamina tutto da cima a fondo, e non troverai una cosa affermata da una che non sia stata immediatamente condannata da un’altra come cattiva dottrina. La stessa confusione di opinioni è stata descritta da un protestante inglese, il dotto Dr. Walton, verso la metà del secolo scorso, nella sua prefazione al suo “Poliglotta”, dove dice: « Aristarco non ha potuto allora trovare sette saggi in Grecia; presso di noi al contrario si trovano così tanti idioti, perché tutti sono dottori, tutti sono divinamente ispirati: non c’è nemmeno il più meschino fanatico che non ti dia i suoi sogni come parola di Dio. I pozzi senza fondo sembra siano stati aperti, da essi è sorto un fumo che ha oscurato il cielo e le stelle, e ne sono venute fuori come locuste pungenti, numerose razze di settari e di eretici, che hanno rinnovato tutte le antiche eresie ed hanno inventato molte mostruose opinioni personali, e questi hanno riempito le nostre città, villaggi, campi, case, anzi, i nostri pulpiti, e conducono i poveri illusi con loro, fino alla fossa della perdizione.» – « Sì – scrive un altro autore – ogni dieci anni, o quasi, la letteratura teologica protestante subisce una rivoluzione completa: ciò che è stato affermato durante il primo decennio, viene respinto nel successivo, e l’immagine che hanno adorato viene bruciata, lasciando il posto a nuove divinità; i dogmi che sono stati tenuti in onore, cadono poi in discredito; il trattato classico di moralità è bandito tra i vecchi libri scaduti, la critica stravolge le critiche, il commento di ieri ridicolizza quello del giorno successivo, e quel che fu chiaramente dimostrato nel 1840, non è meno chiaramente confutato nel 1850. I sistemi teologici del protestantesimo sono numerosi quanto le costituzioni politiche della Francia! una rivoluzione attende solo un’altra ». – (Le Semeur, giugno 1840). È davvero impossibile trattenere i vari membri di una sola setta dalle dispute perpetue, persino riguardo alle verità essenziali della Religione rivelata. E quelle differenze religiose esistono non solo nella stessa setta, non solo nella stessa nazione e città, ma anche nella stessa famiglia. Anzi, lo stesso individuo, in diversi periodi della sua vita, è spesso in flagrante contraddizione con se stesso. Oggi proferisce opinioni che ieri ha aborrito, e domani le scambierà di nuovo per altre più nuove. Alla fine, dopo aver fatto parte successivamente di varie sette nuove di zecca, in genere si finisce per professare un assoluto disprezzo per tutte loro. Con le loro continue dispute e battibecchi, dividendosi e suddividendosi, le varie sette protestanti sono state svergognate dalle menti oneste, hanno fatto sghignazzare i pagani e gli infedeli. Queste sette umane, le « opere della carne », come le chiama San Paolo, alterano la loro forma, come le nuvole, ma « non risentono alcun colpo – dice Marshall – perché non hanno sostanza ». Lottano molto l’una con l’altra, ma nessuno se ne accorge, nemmeno loro stessi, né ci si cura di cosa ne sia di loro: se una setta umana perisce, è sempre facile crearne un’altra o una mezza dozzina, esse hanno la vita dei vermi e si propagano per corruzione La loro vita è così simile alla morte che, se non altro che per il putridume che espongono in entrambe le fasi, è impossibile dire quali siano ancor vive e, quando sono alfine sepolte, nessuno può trovare le loro tombe: sono semplicemente scomparse! Lo spirito del protestantesimo, o lo spirito di rivolta contro Dio e la sua Chiesa, è sorto dallo spirito di incontinenza, di ostinazione e di bramosia dei riformatori. Lutero, nonostante il voto fatto solennemente a Dio di mantenere la continenza, sposò una monaca ugualmente, essa stessa, legata a quella sacra promessa religiosa; ma, come dice San Girolamo, « è raro trovare un eretico che ami la castità ». – L’esempio di Lutero era stato in effetti anticipato da Carlostadtius, un prete e capo dei Sacramentari, che si era sposato poco prima; e fu presto seguito dalla maggior parte dei capi della Riforma.  Zwinglius, un prete e capo della setta che portava il suo nome, prese una moglie. Bucer, un membro dell’ordine di San Domenico, divenne luterano, lasciò il suo chiostro e sposò una suora. Œcolampadius, un monaco Brigidino, divenne Zwingliano e poi sposato.  Cranmer, arcivescovo di Canterbury, aveva anche egli moglie.  Peter Martyr, un canonico regolare, abbracciò la dottrina di Calvino, ma seguì l’esempio di Lutero e sposò una suora.  Ochin, generale dei cappuccini, divenne un luterano ed anch’egli prese moglie. Così i principali dirigenti della Riforma andarono avanti, predicando il nuovo vangelo, con due sigilli su di essi: l’apostasia dalla fede e l’aperta violazione dei sacri voti. La passione della lussuria, come è già stato detto, spinse anche Enrico VIII d’Inghilterra ad una separazione dalla Chiesa Cattolica, e lo si classificò tra i riformatori. Non ci si poteva aspettare che quei malvagi insegnassero una santa dottrina; predicavano una “libertà evangelica” fino ad allora inaudita, mentre la disdegnavano. Dissero ai loro simili che non erano più obbligati a sottomettere la loro comprensione ai Misteri della fede ed a regolare le loro azioni secondo le leggi della morale cristiana; dissero che tutti erano liberi di modellare le proprie convinzioni e le proprie pratiche sulla base delle proprie inclinazioni. Seguendo questa dottrina accomodante, hanno spolpato la Fede Cattolica fino a ridurla a un semplice scheletro; ne hanno asportato la realtà del Corpo e del Sangue di Cristo nella Santa Eucaristia, il Sacrificio cristiano divino offerto nella Messa, la Confessione dei peccati, la maggior parte dei Sacramenti, gli esercizi penitenziali, molti dei libri canonici della Scrittura, l’invocazione dei santi, il celibato sacerdotale, la maggior parte dei Concilii generali della Chiesa e tutte le autorità della Chiesa esistenti; hanno pervertito la natura della giustificazione, affermando che la sola fede basta a giustificare l’uomo; hanno reso Dio l’autore del peccato e hanno ritenuto impossibile l’osservanza dei comandamenti. Come esempi della dottrina di Lutero, si apprenda quanto segue: « I comandamenti di Dio sono tutti ugualmente impossibili ». (De Lib. Cristo., T. II, Fol. 4.) « Nessun peccato può dannare un uomo, ma solo l’incredulità. » (De Captiv. Bab., T. II., 171.) « Dio è giusto, anche se per sua volontà ci pone sotto la necessità di essere dannati, e sebbene danneggi coloro che non lo hanno meritato ». (Tom II, cad. 434, 436.) « Dio opera in noi sia il bene che il male ». (Tom, II .., 444.) « Il corpo di Cristo è in ogni luogo, non meno della stessa divinità ». (Tom, iv., 37.) Quindi, per il suo principio a lui caro della giustificazione mediante la fede, nel suo undicesimo articolo contro Papa Leone, dice: « Credi fermamente che sei assolto, e assolto sarai, che tu abbia o non la contrizione. ». Ed ancora, nel suo sesto articolo: « La contrizione che si acquisisce esaminando, ricordando e detestando i propri peccati, per cui un uomo richiama alla mente il passato della vita sua, nell’amarezza della sua anima, riflettendo sull’enormità e sulla moltitudine delle sue offese, che determina la perdita della beatitudine eterna e la condanna ad un dolore eterno, questa contrizione, dico, rende un uomo ipocrita, anzi, persino un peccatore più grande di prima. » – Così, dopo la vita più immorale, un uomo ha un metodo tanto comodo per salvarsi, semplicemente credendo che i suoi peccati siano rimessi per i meriti di Cristo.  Siccome Lutero previde lo scandalo che sarebbe sorto dai suoi e da simili matrimoni sacrileghi, preparò il mondo ad esso, scrivendo contro il celibato del clero e contro tutti i voti religiosi; e fino in fondo, fin dai suoi tempi, ha avuto imitatori. Ha proclamato che tutti questi voti « erano contrari alla fede, ai Comandamenti di Dio e alla libertà evangelica ». (De Votis Monast.) Ha detto ancora: « Dio disapprova un tale voto di vivere in continenza, allo stesso modo come se dovessi giurare di diventare la madre di Dio, o di creare un nuovo mondo ». (Epist. Ad Wolfgang Reisemb.) E ancora: « Tentare di vivere senza sposarsi, è chiaramente combattere contro Dio ». Ora, quando gli uomini danno libero sfogo alla depravazione della natura, qual meraviglia se ne derivano le pratiche più scandalose? Come conseguenza, apparve un esempio eclatante di questo genere di pensiero nella licenza concessa, nel 1539, a Philip, Landgravio d’Assia, di avere due mogli contemporaneamente, licenza firmata da Lutero, Melanchthon, Bucer e altri cinque predicatori protestanti.  D’altra parte, fu aperta una grande porta ad un’altra specie di scandalo: la dottrina della Riforma ammise i divorzi nello stato del matrimonio in certi casi, contrariamente alla dottrina del Vangelo, e permise anche alle parti così separate di sposarsi con altre mogli ed altri mariti. – Per elencare gli errori di tutti i riformatori supereremmo i limiti di questo trattato. Perciò aggiungerò solo i principali capi della dottrina di Calvino e dei calvinisti: 1. Che il Battesimo non è necessario per la salvezza; 2. Che le buone opere non sono necessarie; 3. Che l’uomo non ha libero arbitrio; 4. Adamo non poté evitare la sua caduta; 5. Una gran parte dell’umanità viene creata per essere dannata, indipendentemente dai propri demeriti; 6. L’uomo è giustificato dalla sola fede, e quella giustificazione, una volta ottenuta, non può essere persa, neppure con i crimini più atroci; 7. I veri fedeli sono anche infallibilmente certi della loro salvezza; 8. L’Eucaristia non è altro che una figura del Corpo e del Sangue di Cristo. In tal modo fu rovesciato l’intero sistema di fede e moralità. Essi abolirono completamente tutta la tradizione; e sebbene non potessero rifiutare l’intera scrittura, universalmente riconosciuta come parola di Dio, ebbero tuttavia la presunzione di cancellare alcuni libri che non coincidevano con le loro opinioni, e presumevano di sentirsi in diritto di spiegare il resto come meglio credevano. Alle anime pie, avevano promesso un ritorno al fervore del Cristianesimo primitivo; agli orgogliosi, la libertà del giudizio privato; ai nemici del clero, la divisione del loro bottino; ai sacerdoti e ai monaci che erano stanchi del giogo della continenza, l’abolizione di una legge che, dicevano, era contraria alla natura; ai libertini di tutte le classi, la soppressione del digiuno, dell’astinenza e della Confessione. Dissero ai re che volevano mettersi a capo della Chiesa e degli Stati, che sarebbero stati liberati dall’autorità spirituale della Chiesa; ai nobili, che avrebbero visto un ordine rivale umiliato e impoverito; alle classi medie e ai vassalli della Chiesa, che sarebbero stati emancipati da tutti i debiti e dai servizi forzati. Diversi principi della Germania e dei cantoni svizzeri sostennero con le armi i predicatori delle nuove dottrine. Enrico VIII impose la sua dottrina ai suoi sudditi: il re di Svezia attirò il suo popolo nell’apostasia. Il Tribunale di Navarra accolse i calvinisti; la Corte di Francia li favorì segretamente. Alla fine Papa Paolo III convocò un Concilio generale a Trento, nel 1545, a cui gli eresiarchi avevano fatto appello. Non solo furono invitati a venire tutti i Vescovi Cattolici, ma anche tutti i principi cristiani, anche i protestanti. Ma in tal modo lo spirito di orgoglio e l’ostinazione divenne più evidente. Enrico VIII rispose al Papa che non avrebbe mai affidato l’opera di riforma della religione nel suo regno a nessuno tranne che a se stesso. I principi apostati della Germania dissero al legato papale che riconoscevano solo l’imperatore come loro sovrano; il viceré di Napoli consentì a quattro Vescovi di andare al Concilio; il re di Francia mandò solo tre prelati, che ritirò poco dopo. Carlo V, creò difficoltà e mise ostacoli sulla strada. Gustavo Vasa non permetteva a nessuno di andare al Concilio. Anche gli eresiarchi rifiutarono di apparire. Il Concilio, tuttavia, si svolse nonostante queste difficoltà. Durò più di diciotto anni, perché fu spesso interrotto dalla peste, dalla guerra e dalla morte di coloro che dovevano presiederlo. Le dottrine degli innovatori furono esaminate e condannate dal Concilio nell’ultima sessione alla quale furono presenti e parteciparono più di trecento Vescovi; tra questi c’erano nove Cardinali, tre Patriarchi, trentatré Arcivescovi, per non parlare di sedici Abati o Generali di ordini religiosi e cento quarantatré teologi. Tutti i decreti pubblicati dall’inizio sono stati letti e sono stati nuovamente approvati e sottoscritti dai Padri conciliari. Di conseguenza, Pio IV, in un concistoro tenuto il 26 gennaio, nel 1564, approvò e confermò il Concilio in un libro che fu firmato da tutti i Cardinali. Redasse poi, nello stesso anno, una professione di fede conforme a tutti gli effetti, alle definizioni del Concilio, ed in cui si dichiarava che la sua autorità veniva universalmente accettata; e da quel momento, non solo tutti i Vescovi della Chiesa Cattolica, ma tutti i Sacerdoti chiamati ad insegnare la via della salvezza anche ai bambini, anzi, tutti i non Cattolici, abiurando i loro errori e tornando in seno alla Chiesa, giuravano di non avere altra fede che quella del santo Concilio. – I nuovi eresiarchi, tuttavia, continuarono ad oscurare e sfigurare il volto della Religione. Per quanto riguarda i sentimenti di Lutero nei confronti del Papa, dei Vescovi, dei Concili, ecc., egli dice, nella prefazione al suo libro, De Abroganda Missa Privata: « Con quanti potenti rimedi e con le più evidenti Scritture, ho scarsamente potuto fortificare la mia coscienza per osare da solo contraddire il Papa, e credo che egli sia l’Anticristo, i Vescovi suoi apostoli e le università le sue case-bordelli »; e nel suo libro, De Judicio Ecclesiæ de Grave Doctrina, dice: « Cristo prende dai Vescovi, dai dottori e dai Concili, sia il diritto che il potere di giudicare le controversie, e le dà a tutti i Cristiani in generale ». La sua censura sul Concilio di Costanza e su quelli che vi avevano partecipato è la seguente: « Tutti gli articoli di John Huss furono condannati a Costanza dall’Anticristo e dai suoi apostoli » (nel senso del Papa e dei Vescovi), « in quel sinodo di satana, composto da molti sofisti malvagi; a te, Santissimo Vicario di Cristo, dico chiaramente in faccia, che tutte le dottrine condannate da John Huss sono evangeliche e cristiane, ma tutte le tue sono empie e diaboliche. Egli, parlando ai Vescovi, « … che per il futuro non ti garantirò tanto onore da sottomettere la dottrina al tuo giudizio, o a quello di un Angelo dal cielo ». (Prefazione al suo libro Adversus falso nominatum ordinem Episcoporum). Tale era il suo spirito di orgoglio che rese aperta la professione di disprezzo per l’autorità della Chiesa, dei concili e dei Padri, dicendo « Tutti quelli che si avventureranno nelle loro vite, nelle loro proprietà, il loro onore e il loro sangue, in un’opera così cristiana da sradicare tutti i vescovati e i Vescovi, che sono i ministri di satana, e strappano fino alle radici tutta la loro autorità e giurisdizione nel mondo, queste persone sono i veri figli di Dio e obbediscono ai suoi comandamenti “. (Contra Statum Ecclesia et falso nominatum ordinem Episcoporum). Questo spirito di orgoglio e di ostinazione è anche più evidenziato dal fatto che il protestantesimo non si è mai vergognato di usare argomenti, sebbene mai così frivoli, incoerenti o assurdi, per difendere i suoi errori, diffamare e travisare la Religione Cattolica in ogni modo possibile. Si dimostra questo di nuovo nelle guerre che il protestantesimo ha intrapreso per introdurre e sostenere se stesso. I principi apostati di Germania entrarono in una lega, offensiva e difensiva, contro l’imperatore Carlo V., e si levarono in armi per fondare il protestantesimo. Lutero aveva predicato la licenziosità e offeso l’imperatore, i principi e i Vescovi. I contadini non persero tempo a liberarsi dai loro padroni. Essi invasero il paese con bande senza legge, bruciato castelli e monasteri, e commesso le più efferate crudeltà tra la nobiltà e il clero. La Germania divenne infine la scena della desolazione e delle atrocità più crudeli durante la Guerra dei Trent’anni (1618-1648). Più di centomila uomini caddero in battaglia; sette città furono devastate; un migliaio di case religiose furono rase al suolo; trecento chiese e immensi tesori di statue, dipinti, libri, ecc. furono distrutti. Ma cosa è più evidente e più noto dello spirito di avidità del protestantesimo? Ovunque il protestantesimo mettesse piede, saccheggiava le chiese, usurpava ogni proprietà della Chiesa, distruggeva i monasteri e si appropriava delle sue entrate. In Francia, i calvinisti distrussero ventimila chiese cattoliche; uccisero solo nel Delfinato duecento e venticinque preti, centododici monaci e bruciarono novecento città e villaggi. In Inghilterra, Enrico VIII, ebbe confiscato alla corona, o distribuito tra i suoi favoriti, la proprietà di seicento quarantacinque monasteri e novanta collegi, centodieci ospedali, e duemila trecentosettantaquattro cappelle e  liberi oratori. Hanno persino osato profanare, con mani sacrileghe, i resti dei martiri e dei confessori di Dio. In molti luoghi hanno forzatamente preso i corpi dei Santi dai sepolcri in cui erano stati deposti, ne hanno bruciate e disperso le ceneri all’estero. Quale altra atroce indegnità potevano ancora essere concepite? Sono mai stati trattati peggio assassini o criminali? Tra gli altri esempi, nel 1663, i calvinisti aprirono il santuario di San Francesco di Paola, a Plessis-Lestours; e trovando il suo corpo incorrotto cinquantacinque anni dopo la sua morte, lo trascinarono per le strade e lo bruciarono in un incendio che avevano fatto con il legno di un grande crocifisso, come raccontano Billet ed altri storici.  Così a Lione, nello stesso anno, i calvinisti presero il santuario di San Bonaventura, lo spogliarono delle sue ricchezze, bruciarono le reliquie del Santo nella piazza del mercato e gettarono le sue ceneri nel fiume Saone, come riferito da Pœsevinus, che a quel tempo era a Lione. Anche i corpi di Sant’Ireneo, di S. Ilario e di San Martino, come asserisce Surius, furono trattati nello stesso modo ignominioso. Tale era anche il trattamento riservato alle reliquie di San Tommaso, arcivescovo di Canterbury, il cui ricco santuario, secondo le parole di Stowe, nei suoi annali, « … fu adibito ad uso del re, e le ossa di San Tommaso, per ordine di Lord Cromwell, furono ridotte in cenere nel settembre del 1538.  La Religione Cattolica ha coperto il mondo con i suoi magnifici monumenti. Il protestantesimo ora dura da trecento anni; era potente in Inghilterra, in Germania, in America … che cosa ha provocato? Ci mostrerà le rovine che ha prodotto tra le quali ha piantato dei giardini o stabilito alcune fabbriche. La Religione Cattolica è essenzialmente un potere creativo, costruito non per distruggere, perché è sotto l’influenza immediata di quello Spirito Santo che la Chiesa invoca come Spirito Creativo, “Creator Spiritus”. Il protestante, o lo spirito filosofico moderno, è un principio di distruzione, di perpetua decomposizione e di disunione. Sotto il dominio del potere protestante inglese, per quattrocento anni, l’Irlanda stava rapidamente diventando spoglia e svuotata degli antichi memoriali, al pari delle terre selvagge dell’Africa. I Riformatori stessi si vergognavano così tanto del progresso dell’immoralità tra i loro proseliti, che non potevano fare a meno di lamentarsi. Così parlava lo stesso Lutero: « Gli uomini sono ora più vendicativi, avidi e licenziosi, di quanto non siano mai stati nel Papato ». (Postil. Super Evang. Dom. I., Avvento.). Poi ancora: « Fino ad allora, quando eravamo sedotti dal Papa, ogni uomo compiva volentieri buone opere, ma ora nessuno dice o sa nient’altro, se non accaparrare ciò che può con le rapine, il saccheggio, il furto, la menzogna, l’usura ». (Postil. Super Evang. Dom XXVI., P. Trinit.). Calvino ha scritto nello stesso tono: « Di così tante migliaia – disse – che, rinunciando al Papato, sembravano desiderose di abbracciare il Vangelo, quanti pochi hanno modificato le loro vite! No, cos’altro faceva la maggior parte di loro fingendo di scrollarsi di dosso il giogo della superstizione, se non darsi più libertà nel seguire ogni tipo di licenziosità? » ( Liber de scandalis. ) Il Dr. Heylin, nella sua Storia della Riforma, lamenta anche « il grande aumento della malvagità » in Inghilterra, nel regno riformatore di Edoardo VI. Erasmo dice: « Prendi visione di questo popolo evangelico, i protestanti, forse è per mia disgrazia, ma io non ho mai incontrato uno che non sembri cambiato in peggio ». (Epist. Ad Vultur. Neoc.) E ancora: « Alcune persone – egli dice – che conoscevo precedentemente come innocenti, leali e senza inganno, non appena li ho visti unirsi alla setta (i Protestanti), hanno cominciato a parlare di donne, a giocare a dadi, a smettere di pregare, a diventare estremamente mondani, più impazienti, vendicativi, vanitosi, come vipere, ad aggredirsi l’un l’altro. » (Ep. Ad Fratres Infer. Germania.). M. Scherer, il principale esponente di una scuola protestante in Francia, scrisse, nel 1844, che egli vede nella sua Chiesa riformata « … la rovina di ogni verità, la debolezza di una divisione infinita, la dispersione del gregge, l’anarchia ecclesiastica … il socinianismo si vergogna di se stesso; il razionalismo edulcorato come una pillola, senza dottrina, senza coerenza. … Questa chiesa, privata della sua struttura e del suo carattere dogmatico, della sua forma e della sua dottrina, privata di tutto ciò che la rendeva una Chiesa cristiana, ha in realtà cessato di esistere nelle file delle comunità religiose. Il suo nome continua ad esistere, ma rappresenta solo un cadavere, un fantasma o, se vogliamo, un ricordo o una speranza. Per mancanza di una autorità dogmatica, l’incredulità si è fatta strada in tre quarti dei nostri adepti. » (L ‘Etat Actual de l’Eglise Reformée in Francia, 1844). Tale è stato il protestantesimo fin dall’inizio. È scritto con il sangue e il fuoco sulle pagine della storia. Se si considera la forma del luteranesimo in Germania, in Danimarca e in Svezia; dell’Anglicanesimo in Gran Bretagna, o del Calvinismo e Presbiterianesimo in Svizzera, Francia, Olanda, Scozia e America, si vede che è stato ovunque sempre lo stesso. È alimentato dal tumulto e dalla violenza; si è propagato con la violenza e la persecuzione; si è arricchito con i saccheggi e non ha mai cessato, con aperta aggressione, perseguitando con leggi o con la calunnia, di alimentare il suo tentativo di sterminare la fede Cattolica, e distruggere la Chiesa di Cristo, che i padri del protestantesimo lasciarono guidati dallo spirito di lussuria, di orgoglio e di cupidigia, uno spirito che ha indotto molti dei loro compatrioti a seguire il loro turpe esempio; uno spirito per il quale si sarebbero persi in ogni caso, anche se non avessero lasciato la loro Madre, la Chiesa Una, Santa, Cattolica e Apostolica. Lo spirito principale del protestantesimo, quindi, è sempre stato quello di dichiarare ogni uomo indipendente dall’autorità divina della Chiesa Cattolica Romana e di sostituire a questa autorità divina, l’autorità umana. – Papa Pio IX ha parlato del protestantesimo, in tutte le sue forme, come di una « … rivolta contro Dio, essendo il tentativo di sostituire un’autorità umana alla divina, e una dichiarazione di indipendenza della creatura dal Creatore. » – « Un vero protestante, quindi – dice Marshall, – non riconosce che Dio abbia il diritto di insegnargli; oppure, se riconosce questo diritto, non si sente obbligato a credere a tutto ciò che Dio gli insegna attraverso coloro che Dio ha designato per insegnare all’umanità. Egli dice a Dio: « Se mi istruisci, io mi riservo il diritto di esaminare le tue parole, di spiegarle come scelgo e ammettere solo ciò che mi sembra vero, coerente e utile ». – « Perciò – Sant’Agostino dice – … tu, che credi ciò che ti piace e respingi ciò che vuoi, credi alla tua fantasia piuttosto che al Vangelo ». – « La fede del protestante, quindi, si basa solo sul suo giudizio privato, che è umano. » –  « Siccome il suo giudizio è modificabile – dice Mr. Marshall – sostiene naturalmente che la sua fede e la sua dottrina siano modificabili a piacimento, ed infatti la stanno continuamente modificando. Evidentemente, quindi, non si ritiene che esso sia la verità, perché la verità non cambia mai, né ritiene che sia la legge di Dio, alla quale è tenuto ad obbedire, perché se la legge di Dio fosse modificabile, essa può essere modificata solo da Dio stesso, mai dall’uomo, da alcun corpo di uomini o da qualsiasi creatura di Dio ».

UN’ENCICLICA AL GIORNO TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO: S. S. PIO IX – SÆPE VENERABILES

In questa breve lettera enciclica, il Santo Padre ringrazia tutti coloro che gli sono stati vicini, materialmente, con doni ed offerte varie, e soprattutto con preghiere ed intenzioni spirituali, nelle turbinose vicende che hanno interessato i suoi ventisei anni di Pontificato, anni intensi e pieni di avvenimenti e vicende apparentemente funeste per la Chiesa Cattolica combattuta e perseguitata dagli empi nemici, e dai servi del demonio delle conventicole massoniche e delle società annesse, oltre che dai soliti marrani infiltrati anche tra il clero. Ma il Sommo Pontefice, memore delle parole del divin Maestro e Salvatore … non prævalebunt!, incoraggia tutti a resistere ed a persistere senza cedere di un palmo, nelle pratiche spirituali ove possibili. Queste espressioni di incoraggiamento e di fiducia cieca nella parola evangelica, nella certezza della vittoria finale, anche se umanamente non sia possibile intravvederla tra le dense fumate nere dei persecutori indomiti ed accaniti, i kazari mondialisti, i satanisti delle logge, i politici e governanti corrotti ed asserviti ad occulti tenebrosi poteri luciferini, sono di speciale aiuto per il “pusillus grex” Cattolico odierno, sempre più sparuto, ma a sua volta indomito e cocciuto nella fede in Dio e nel suo Cristo, a costo di persecuzioni violente e della propria vita se necessario, a camminare con le parole evangeliche stampate nel cuore e nella mente: « … non temete, Io ho vinto il mondo » e: « … non temete coloro che possono uccidere il vostro corpo e poi non possono fare più nulla … temete piuttosto colui che può uccidere l’anima ed il corpo e trascinarvi all’eterna dannazione ». Sentiamo particolarmente nostre le parole del Santo Padre, che sono le parole del Vicario di Cristo in terra, ed in definitiva di Cristo-Dio stesso, parole che oggi assumono significato particolarmente incoraggiante: « … specialmente rivolgete il pensiero e le forze affinché, sempre più strettamente congiunti tra Voi come una serrata falange, possiate affrontare i nemici di Dio, i quali, con arti e con impeto sempre nuovi, assaltano la Chiesa (che da nessuna forza può mai essere distrutta), e più facilmente e più efficacemente possiate resistere al loro urto e sbaragliare le loro schiere. Queste cose, che vivamente desideriamo e con ardore invochiamo, di tutto cuore auguriamo a Voi ed a tutta la famiglia cattolica », famiglia cattolica, come accennato, ridotta al profetizzato “Pusillus grex” che, oltre ai nemici summenzionati, deve oggi guardarsi dalle blasfeme e sacrileghe falangi del pseudotradizionalismo – gli scismatici sedevacantisti ed i fallibilisti gallicani – e soprattutto dal potente modernista “novus ordo” della falsa ed aberrante “chiesa dell’uomo”, parto distocico del “signore dell’universo”, il baphomet-lucifero, camuffato ed adorato nei templi e nei palazzi apostolici una volta cattolici e persino sulla Cattedra di Pietro usurpata, il nemico il più subdolo e mostruoso che mai abbia scosso la Chiesa Cattolica. Ma anche questa volta la Vergine Maria, alla testa del piccolo esercito schierato in battaglia, schiaccerà la testa del serpente infernale, proprio quando questi penserà di aver vinto e soppresso la Chiesa di Cristo. Ma « … non prævalebunt … et IPSA conteret caput tuum! »

S. S. Pio IX


Sæpe, Venerabiles

Spesse volte rivolgendoci a Voi, Venerabili Fratelli, in questo lungo Pontificato Vi manifestammo con quanta gratitudine accogliessimo sempre le espressioni di quella devozione ed affetto che in Voi e nei fedeli affidati alla vostra cura il Dio delle misericordie ha suscitato verso Noi e questa Sede Apostolica. Invero, quando i nemici di Dio cominciarono ad invadere il suo civile Principato, per prevalere infine, se fosse possibile, contro Gesù Cristo e la Chiesa, che è il Suo corpo e la Sua pienezza, Voi, Venerabili Fratelli, ed il popolo cristiano non cessaste mai dal supplicare Iddio, cui obbediscono i venti e il mare, perché volesse calmare la procella, né tralasciaste mai di rinnovare le testimonianze del vostro amore e di adoperare tutti i mezzi coi quali poteste consolarci nella Nostra tribolazione. Ma dopo che fummo spogliati di questa stessa città, centro di tutto l’orbe cattolico, e lasciati all’arbitrio di coloro che Ci avevano oppresso, Voi, insieme alla maggior parte dei fedeli delle vostre Diocesi, raddoppiaste le preghiere, e con frequenti indirizzi confermaste i sacrosanti diritti della Religione e della giustizia, che con incredibile attentato sono conculcati. – Ora poi, con avvenimento nuovo dopo San Pietro, ed assolutamente straordinario nella serie dei Romani Pontefici, avendo Noi raggiunto il vigesimo sesto anno dal Nostro Apostolico ministero nella Cattedra Romana, avete dato così splendide prove del vostro giubilo per questo insigne beneficio concesso alla Nostra pochezza, e così chiaramente dimostraste il floridissimo vigore del quale è dappertutto informata la famiglia cristiana, che ne fummo profondamente commossi; ed aggiungendo i Nostri voti ai vostri, nuove forze attingemmo per aspettare con maggior fiducia il pieno ed assoluto trionfo della Chiesa. Ci fu poi oltremodo gradito constatare che da ogni parte numerosissime schiere di supplicanti affluirono ai templi più venerati e che in questi, per tutto il mondo, fu grandissimo il concorso dei fedeli, i quali insieme al loro Pastore, con pubbliche preghiere e con l’accostarsi ai Sacramenti, rendevano grazie a Dio del beneficio a Noi concesso ed a Lui continuamente domandavano la vittoria della Chiesa. – Sentimmo inoltre non solamente alleviarsi di molto la Nostra afflizione e i Nostri travagli, ma mutarsi anche in allegrezza per i rallegramenti, gli ossequi ed i voti espressi nelle vostre lettere, per la presenza di numerosissimi fedeli qui convenuti da ogni dove, fra i quali moltissimi risplendevano per nobiltà di natali, od erano insigniti di dignità ecclesiastiche e civili: ma assai più nobili per la loro fede, coloro i quali, tutti congiunti insieme nell’affetto e nell’opera alla maggior parte dei cittadini di questa città e delle province occupate, accorsero qua anche da lontane regioni e vollero affrontare gli stessi pericoli e le stesse contumelie a cui Noi siamo esposti, per testimoniare palesemente i loro sentimenti e quelli dei loro concittadini verso di Noi, e portarci volumi nei quali molte centinaia di migliaia di fedeli d’ogni nazione, con la propria firma, fortemente condannavano l’invasione del Nostro Principato e ne domandavano vivamente la restituzione, reclamata ed imposta dalla religione, dalla giustizia e dalla stessa civiltà.

In questa occasione, poi, più abbondante del solito giunse a Noi l’obolo, con il quale poveri e ricchi si sono sforzati di soccorrere la povertà a Noi cagionata: ad esso si aggiunsero molteplici, svariati e nobilissimi doni, splendido tributo delle arti cristiane e degli ingegni, specialmente acconcio a far risaltare la duplice potestà, spirituale e regia, a Noi concessa da Dio. Inoltre Ci fu donata una copiosa e splendida suppellettile di sacre vesti ed utensili, con la quale potessimo alleviare in ogni parte lo squallore e la povertà di tante Chiese. Meraviglioso spettacolo, invero, dell’unità cattolica, che dimostra evidentemente come la Chiesa Universale, quantunque sparsa per tutto il mondo e composta di popoli diversi per costumi, per ingegno, per studi, sia informata dal solo spirito di Dio; e tanto più prodigiosamente sia da Lui sostenuta, quanto più furiosamente l’empietà la persegue e le fa guerra, e quanto più astutamente tenta sottrarle ogni aiuto umano. – Si rendano dunque fervide ed altissime grazie a Colui che, mentre così glorifica il Suo nome con la presente manifestazione della Sua virtù e del Suo aiuto, solleva le menti alla speranza d’indubitato trionfo. Ma se dal Datore di ogni bene riconosciamo questi doni, proviamo insieme un sentimento di gratissima riconoscenza anche verso coloro che, facendosi strumenti della provvidenza divina, Ci hanno prodigato ogni testimonianza d’aiuto, di conforto, d’ossequio, di devozione e di amore. Sollevati al cielo gli occhi e le mani, tutto ciò che per Noi hanno fatto i Nostri figli in nome di Dio a Lui offriamo, supplicandolo con ardore, affinché più sollecitamente accolga i comuni loro voti per la libertà di questa Santa Sede, per la vittoria della Chiesa, per la tranquillità del mondo, e largamente a ciascuno di essi dia quelle grazie, sia celesti sia terrene, che Noi non possiamo ricambiare. Sarebbe certamente Nostro desiderio manifestare particolarmente a tutti e ai singoli la Nostra gratitudine ed attestare la Nostra profondissima riconoscenza; ma la stessa copiosissima quantità di dimostrazioni dateci da ogni parte con fatti, con scritti, con parole, non lo consente assolutamente. – Per conseguire dunque in qualche modo ciò che è nei Nostri desideri, preghiamo Voi, Venerabili Fratelli, cui indirizziamo la parte principale di questi Nostri sentimenti, di annunciarli e manifestarli distintamente al vostro Clero e al popolo. Esortate poi tutti a perseverare con Voi costantemente nell’orazione, con animo pienamente fiducioso. Infatti, se l’assidua preghiera del giusto penetra le nubi, né si diparte finché l’Altissimo non l’accolga – e Cristo promise che Egli si sarebbe trovato in mezzo a due uniti insieme nel Suo nome ed animati da una medesima volontà, e che il Padre celeste avrebbe concesso tutto ciò che essi avessero domandato – tanto più certamente la Chiesa Universale, con la preghiera costante ed unanime, otterrà che, placata la divina giustizia, possa finalmente vedere distrutte le forze dell’inferno, sconfitti ed annientati gli sforzi della malizia umana, e ricondotte sulla terra la pace e la giustizia. – Per ciò che Vi riguarda, Venerabili Fratelli, specialmente rivolgete il pensiero e le forze affinché, sempre più strettamente congiunti tra Voi come una serrata falange, possiate affrontare i nemici di Dio, i quali, con arti e con impeto sempre nuovi, assaltano la Chiesa (che da nessuna forza può mai essere distrutta), e più facilmente e più efficacemente possiate resistere al loro urto e sbaragliare le loro schiere. Queste cose, che vivamente desideriamo e con ardore invochiamo, di tutto cuore auguriamo a Voi ed a tutta la famiglia cattolica. Intanto, auspice del sospiratissimo evento e del divino favore, testimonianza non dubbia della particolare Nostra benevolenza e gratitudine, dal più profondo del cuore affettuosissimamente impartiamo l’Apostolica Benedizione a ciascuno di Voi, Venerabili Fratelli, ed al Clero e all’intero popolo affidato alle cure di ciascuno di Voi.

Dato a Roma, presso San Pietro, il 5 agosto 1871, festa di Santa Maria all’Esquilino, anno vigesimosesto del Nostro Pontificato.

DOMENICA TRA L’ASCENSIONE (2019)

DOMENICA TRA L’ASCENSIONE (2019)

Incipit

In nómine Patris, ✠ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Ps XXVI: 7, 8, 9 Exáudi, Dómine, vocem meam, qua clamávi ad te, allelúja: tibi dixit cor meum, quæsívi vultum tuum, vultum tuum, Dómine, requíram: ne avértas fáciem tuam a me, allelúja, allelúja. [Ascolta, o Signore, la mia voce, con la quale Ti invoco, allelúia: a te parlò il mio cuore: ho cercato la Tua presenza, o Signore, e la cercherò ancora: non nascondermi il Tuo volto, allelúia, allelúia.]

Ps XXVI: 1 Dóminus illuminátio mea et salus mea: quem timébo? [Il Signore è mia luce e la mia salvezza: di chi avrò timore?].

Exáudi, Dómine, vocem meam, qua clamávi ad te, allelúja: tibi dixit cor meum, quæsívi vultum tuum, vultum tuum, Dómine, requíram: ne avértas fáciem tuam a me, allelúja, allelúja. [Ascolta, o Signore, la mia voce, con la quale Ti invoco, allelúia: a te parlò il mio cuore: ho cercato la Tua presenza, o Signore,e la cercherò ancora: non nascondermi il Tuo volto, allelúia, allelúia.]

Oratio.

Orémus. – Omnípotens sempitérne Deus: fac nos tibi semper et devótam gérere voluntátem; et majestáti tuæ sincéro corde servíre. [Dio onnipotente ed eterno: fa che la nostra volontà sia sempre devota: e che serviamo la tua Maestà con cuore sincero].

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Petri Apóstoli. 1 Pet IV: 7-11

“Caríssimi: Estóte prudéntes et vigiláte in oratiónibus. Ante ómnia autem mútuam in vobismetípsis caritátem contínuam habéntes: quia cáritas óperit multitúdinem peccatórum. Hospitáles ínvicem sine murmuratióne: unusquísque, sicut accépit grátiam, in altérutrum illam administrántes, sicut boni dispensatóres multifórmis grátiæ Dei. Si quis lóquitur, quasi sermónes Dei: si quis minístrat, tamquam ex virtúte, quam adminístrat Deus: ut in ómnibus honorificétur Deus per Jesum Christum, Dóminum nostrum.” [Carissimi: Siate prudenti e perseverate nelle preghiere. Innanzi tutto, poi, abbiate fra di voi una mutua e continua carità: poiché la carità copre una moltitudine di peccati. Praticate l’ospitalità gli uni verso gli altri senza mormorare: ognuno metta a servizio altrui il dono che ha ricevuto, come si conviene a buoni dispensatori della multiforme grazia di Dio. Chi parla, lo faccia come fossero parole di Dio: chi esercita un ministero, lo faccia come per virtù comunicata da Dio: affinché in tutto sia onorato Dio per Gesù Cristo nostro Signore.]

L’Apostolato

“Carissimi: Siate prudenti e vegliate nella preghiera. Ma soprattutto ci sia tra di voi una carità scambievole e continua; poiché la carità copre una moltitudine di peccati. Datevi ospitalità senza mormorare. Da buoni amministratori dalla svariata grazia di Dio, ciascuno metta a servizio degli altri il dono ricevuto. Se uno parla, parli secondo i dettami di Dio. Se uno esercita un ministero, lo eserciti come usando una forza che viene da Dio, affinché in ogni cosa sia glorificato Dio per mezzo di Gesù Cristo Signor nostro”. (1 Piet. IV, 7-11).

Il brano è tolto dalla I lettera di S. Pietro. Passerà il mondo, passerà la vita presente. Presto per noi verrà la fine di tutte le cose e il giorno del giudizio. È necessario che i Cristiani vi si preparino con la prudenza, la vigilanza, la preghiera e, soprattutto, con la carità scambievole. Questa si dimostrerà con l’ospitalità cordiale; — così necessaria in oriente ai tempi di S. Pietro — con il buon uso dei doni spirituali, sia in parole, sia in opere. I Cristiani devono considerare questi doni come ricevuti da Dio per usarne a vantaggio degli altri, e non devono proporsi altro fine che l’onore e la gloria del Signore. Le esortazione di S. Pietro ci suggeriscono di parlare dell’Apostolato.

L’Apostolato:

1. È vario,

2. È doveroso per tutti,

3. È facile per chi cerca la gloria di Dio.

1.

Da buoni amministratori della svariata grazia di Dio, ciascuno metta a servizio degli altri il dono ricevuto. – I doni e i favori che Dio concede ai Cristiani, e peri quali essi possono rendersi utili al prossimo sono vari. Se sono varie le attitudini e i talenti dati da Dio a ciascuno, è chiaro che vario è pure il campo dell’apostolato che ciascuno deve esplicare. Non è necessario che tutti si trovino nelle medesime condizioni e nelle medesime circostanze. Secondo le condizioni di ciascuno, e sempre usandoquella discrezione e quella prudenza che sono suggerite dalle varie circostanze, gli uni saranno apostoli nella famiglia, gli altri nella scuola, nei campi, nelle officine, nelle botteghe, nei salotti, negli uffici, nei ritrovi, nei viaggi, ecc.Non è neppure necessario che l’apostolato prenda delle forme appariscenti. Chi ha la dovuta attitudine e preparazione faccia dell’apostolato, osservando le dovute norme, con istruzioni, con conferenze, con manifestazioni grandiose. Chi ha danari faccia dell’apostolato aiutando istituzioni benefiche, istituzioni che curano la formazione cristiana della fanciullezza; sostenga le opere di culto; aiuti la buona stampa, che tanta diffidenza e noncuranza trova anche da parte dei Cattolici, e che pure è tanto necessaria per contrastare alle conseguenze della stampa atea e immorale.Ma si può portare il sassolino all’edificio dell’apostolato, anche con mezzi, all’apparenza, più modesti. Un’affermazione fatta a proposito, un ammonimento dato a tempo opportuno, una verità fatta sentire a chi ne ha bisogno; un rimprovero fatto con carità, un consiglio a uno che non sa decidersi, possono ben spesso ottenere l’effetto di un lungo e dotto discorso. Chi non può sostenere le opere buone con mezzi finanziari, può aiutare i promotori e gli apostoli di queste opere, con parole di approvazione e di incoraggiamento, che tante volte son più necessarie del danaro. C’è, poi, una forma d’apostolato che può dirsi la più necessaria, ed è possibile a tutti indistintamente, l’apostolato della preghiera. Senza la grazia di Dio tutte le nostre opere non approderanno a nulla, come non approdò a nulla, senza la presenza di Gesù, la pescagione fatta dagli Apostoli per un’intera notte. Senza l’aiuto di Dio, alla fine di tutte le nostre fatiche dovremmo confessare, come gli Apostoli: «Abbiam affaticato tutta la notte, e non abbiamo preso niente » (Luc. V, 5). E l’aiuto di Dio si ottiene con la preghiera. A essa tutto è stato promesso:« Tutte le cose che domanderete nella preghiera, abbiate fede di ottenerle, e le otterrete » (Marc. 11, 24), disse Gesù. E anche voi, o vecchi, che non avete più il vigore necessario per le opere materiali, potete essere apostoli con i lumi della vostra esperienza, con l’offerta a Dio delle noie della vita. Voi, infermi, che state inchiodati sul letto, potete essere apostoli, unendo i vostri dolori a quelli di Gesù Cristo in offerta per la salvezza delle anime.

2.

S. Pietro vuole che ciascuno metta a profitto degli altri il dono ricevuto. Se i doni della grazia sono vari, e c’è chi ha ricevuto uno, e chi ha ricevuto cinque, nessuno ne è senza. Perciò sbagliano quei timidi, e quegli amanti del dolce far nulla, che vorrebbero l’apostolato come opera esclusiva dei Sacerdoti e dei religiosi. In guerra ci sono i capi che guidano, e che hanno maggior responsabilità degli altri. Ma tutti, dal comandante in capo all’ultimo soldato, combattono per lo scopo comune, che è la vittoria. Tutti i Cristiani sono soldati che devono combattere per il trionfo del regno di Gesù Cristo. Chi ha una parte principale, chi una parte secondaria, ma l’azione dev’essere comune a tutti. Clero e laicato, uomini e donne, adulti e giovani, padroni e dipendenti, professionisti e operai devono formare una esercito unico, che riconduca Gesù Cristo nella mente e nel cuore della nostra società. Qui la parola, là la penna. Ora il prestigio del proprio nome e della propria condizione; ora il contributo materiale. Quando l’opera privata, e quando l’opera collegata delle associazioni. Che l’Apostolato debba interessare tutti i Cristiani di qualsiasi condizione è cosa chiarissima per se stessa. È possibile che un Cristiano soffra indifferentemente che l’onore di Dio venga offeso, che il nome del Signore sia disconosciuto, magari bestemmiato, che la sua legge sia calpestata?« I miei occhi — dice il salmista, rivolto al Signore — spargono rivi di lagrime, perché non si osserva la tua legge » (Salm. CXVIII, 136).Non piange sulle sventure toccategli, sulle umiliazioni subite, piange perché i nemici non osservano la legge del Signore. Non si può rimanere indifferenti a vedere la rovina delle anime per le quali Gesù Cristo ha versato il suo sangue. Ci commoviamo alla notizia di un terremoto, di un’alluvione, di un incendio, che hanno seppellito e distrutto ricchezze e preziose opere d’arte; tanto più dobbiam commuoverci alla rovina delle anime create da Dio a sua immagine, e rese preziosissime, perché riscattate col prezzo del suo sangue. Le anime fredde provocano il disgusto di Dio. Ma « nulla è più freddo — dice il Crisostomo — d’un Cristiano che non si cura della salvezza delle anime» (In Act. Ap. Hom. 20,  4). Gesù Cristo ci ha detto di chiedere al Padre l’adempimento della sua volontà. È un’invocazione e, nello stesso tempo, un impegno che ci assumiamo di cooperare al trionfo di questa volontà. Ci impegniamo presso Dio a operare per le anime dei nostri fratelli poiché: « Volontà di Lui sopra ogni altra è la salvezza di coloro che ha Adottato » (Tertulliano – De orat. 4).

3.

Anche quelli che sono persuasi di dover essere apostoli, secondo la propria condizione, non trovano mai il momento di cominciare sul serio il loro apostolato. Ora la preoccupazione di non urtare i sentimenti degli altri, ora lo spirito d’inerzia impediscono di mettersi a lavorare davvero e alacremente per la gloria di Dio. Costoro pensano poco alla santità del fine dell’apostolato, quale ci viene descritto da S. Pietro: Se uno esercita un ministero, lo eserciti come usando una forza che vieti da Dio, affinché in ogni cosa sia glorificato Dio per mezzo dì Gesù Cristo Signor nostro. Il Cristiano non deve servire il prossimo per far risaltare il proprio io, per far pompa dei doni che Dio gli ha dato. Egli deve essere apostolo per un fine ben diverso: perché sia glorificato Dio. È un fine che, per chi ama Dio, ha una forza che tutto vince. Quanto più è grande l’amore che si porta a Dio, tanto più ci si sente spinti a operare per il suo onore e per la sua gloria. Dove manca l’amor di Dio si spiegano troppo bene le incertezze, i « se », i « ma », i « poi », e tutte le tergiversazioni, suggerite dalla paura della fatica e del sacrificio. Amiamo il Signore e la sua gloria e ci sembrerà facile ogni cosa difficile; stimeremo breve tutto ciò che è lungo» (S. Gerolamo. Epist. 22, 40 ad Eust.). Amore non sente peso né fatica. Chi fa le cose per amore non dice mai: adesso basta; ho fatto anche troppo. Facciano gli altri la loro parte, che io ho fatto la mia. – Tra coloro che negli ultimi anni si dedicarono con zelo instancabile alle opere dell’apostolato per trarre anime a Dio, non è ultimo il Servo di Dio, Don Luigi Guanella, Trattato da pazzo, da visionario, sul suo cammino non incontrò che amarezze e avversità. Ma le avversità degli uomini e dei tempi non fiaccarono la tempra di questo apostolo invitto. Un giorno gli si rivolse una domanda, che le circostanze giustificavano: « E se tutto crollasse? E se contro di voi si scatenassero le persecuzioni più violente, e se i vostri preti e le vostre suore vi abbandonassero, che cosa fareste? ». A questa domanda inquietante Don Luigi Guanella rispose con calmo sorriso: Tornerei da capo» (Mons. C. Salotti: Prefaz. Al libro – Pietro Alfieri Tognini, Don Luigi Guanella. – Roma 1927). Così son disposti a fare gli uomini, che nel compiere opere di apostolato cercano la gloria di Dio. Cacciati da una porta ritornano per un altra. Fermati da un ostacolo, trovano presto il modo di riprendere il cammino con la stesso alacrità di prima; come la corrente che, urtata e divisa dallo scoglio, tosto lo supera, e continua la sua rapida corsa. Distrutto il frutto delle loro fatiche non posano sfiduciati; ma ritornano al lavoro con la stessa fermezza e con la stessa speranza che sostenevano i primi tentativi. E se dopo anni e anni di lavoro non vedono alcun frutto, se non c’è speranza d’una adeguata corrispondenza? Non sostano ancora, perché sanno di far piacere a Dio. « Negli amici infatti non si richiede l’effetto, ma la volontà » (S. Girol. Epist. 68 ad Castrut.).

Alleluja

Allelúja, allelúja Ps XLVI: 9

V. Regnávit Dóminus super omnes gentes: Deus sedet super sedem sanctam suam. Allelúja. [Il Signore regna sopra tutte le nazioni: Iddio siede sul suo trono santo. Alleluja.]

Joannes XIV: 18 V. Non vos relínquam órphanos: vado, et vénio ad vos, et gaudébit cor vestrum. Allelúja. [Non vi lascerò orfani: vado, e ritorno a voi, e il vostro cuore si rallegrerà. Allelúia].

Evangelium

Sequéntia ✠ sancti Evangélii secúndum Joánnem.

Joannes XV: 26-27; XVI: 1-4

“In illo témpore: Dixit Jesus discípulis suis: Cum vénerit Paráclitus, quem ego mittam vobis a Patre, Spíritum veritátis, qui a Patre procédit, ille testimónium perhibébit de me: et vos testimónium perhibébitis, quia ab inítio mecum estis. Hæc locútus sum vobis, ut non scandalizémini. Absque synagógis fácient vos: sed venit hora, ut omnis, qui intérficit vos, arbitrétur obséquium se præstáre Deo. Et hæc fácient vobis, quia non novérunt Patrem neque me. Sed hæc locútus sum vobis: ut, cum vénerit hora eórum, reminiscámini, quia ego dixi vobis”.

[In quel tempo: Disse Gesù ai suoi discepoli:

Alleluja

Allelúja, allelúja Ps XLVI: 9

V. Regnávit Dóminus super omnes gentes: Deus sedet super sedem sanctam suam. Allelúja. [Il Signore regna sopra tutte le nazioni: Iddio siede sul suo trono santo. Alleluja.]

Joannes XIV: 18 V. Non vos relínquam órphanos: vado, et vénio ad vos, et gaudébit cor vestrum. Allelúja. [Non vi lascerò orfani: vado, e ritorno a voi, e il vostro cuore si rallegrerà. Allelúia].

Evangelium

Sequéntia ✠ sancti Evangélii secúndum Joánnem.

Joannes XV: 26-27; XVI: 1-4

“In illo témpore: Dixit Jesus discípulis suis: Cum vénerit Paráclitus, quem ego mittam vobis a Patre, Spíritum veritátis, qui a Patre procédit, ille testimónium perhibébit de me: et vos testimónium perhibébitis, quia ab inítio mecum estis. Hæc locútus sum vobis, ut non scandalizémini. Absque synagógis fácient vos: sed venit hora, ut omnis, qui intérficit vos, arbitrétur obséquium se præstáre Deo. Et hæc fácient vobis, quia non novérunt Patrem neque me. Sed hæc locútus sum vobis: ut, cum vénerit hora eórum, reminiscámini, quia ego dixi vobis”.

[In quel tempo: Disse Gesù ai suoi discepoli:

OMELIA II

[A. Carmignola, Spiegazione dei Vangeli domenicali, S. E. I. Ed. Torino,  1921]

SPIEGAZIONE: XXVII

“In quel tempo disse Gesù ai suoi discepoli: Venuto che sia il Paracleto, che io vi manderò dal Padre, Spirito di verità, che procede dal Padre, Egli renderà testimonianza per me, e voi ancora renderete testimonianza, perché siete meco fin da principio. Ho detto a voi queste cose, affinché non siate scandalizzati. Vi cacceranno dalle sinagoghe: anzi verrà tempo che chi vi ucciderà, si creda di rendere onore a Dio. E vi tratteranno così perché non hanno conosciuto né il Padre né me. Ma vi ho dette queste cose, affinché, venuto quel tempo, vi ricordiate che io ve le ho dette” (Jo. XV, 26-27; XVI, 1-4).

Come una madre veramente affettuosa e saggia pone ogni attenzione per dare agli amati suoi figli i più utili ammonimenti secondo la diversa opportunità delle circostanze, così la Chiesa, nostra madre affettuosissima e sommamente saggia, non trascura mai secondo la diversa opportunità dei tempi di richiamare la nostra attenzione su quegli ammaestramenti di Gesù Cristo, che ci possano tornare più utili. Così fa, ad esempio, in prossimità delle feste del S. Natale; così soprattutto fa durante la Quaresima per degnamente prepararci alla santa Pasqua, e così fa pure in questa domenica fra l’ottava dell’Ascensione, che precede immediatamente la grande solennità di Pentecoste, in cui celebriamo la venuta fra di noi dello Spirito Santo. Di fatti il tratto di Vangelo che ci fa leggere oggi nella S. Messa, e che è ancora un tratto del discorso di Gesù Cristo nell’ultima cena, è, come vedrete, uno dei più acconci alla circostanza, in cui ci troviamo. Facciamoci pertanto a considerarlo brevemente.

1.  Disse adunque Gesù ai suoi discepoli: Venuto che sia il Paracleto, che io vi manderò dal Padre, Spirito di verità, Egli renderà testimonianza per me. Con queste parole il divino Maestro ci apprende anzi tutto alcune proprietà dello Spirito Santo. Ci apprende che lo Spirito Santo è il nostro Consolatore, giacché Paracleto (parola greca) significa ciò per l’appunto. Epperò in mezzo alle nostre pene, ai nostri dolori, ai nostri affanni ecco a chi noi dobbiamo fare ricorso per essere consolati, allo Spirito Santo, ed Egli che è Consolatore ottimo, Dio di ogni consolazione, non mancherà di consolarci in ogni tribolazione nostra. Ci apprende la fonte ed il principio donde ci viene questo Spirito di consolazione. Questa fonte e questo principio sono il divin Padre e lo stesso divin Figliuolo Gesù Cristo, i quali ce lo comunicano per farci consorti della divina natura e per farci entrare nella loro più intima ed ineffabile unione. Il divin Redentore nel cenacolo volse al divin Padre a pro dei suoi seguaci questa commovente preghiera: «Padre mio, che i miei discepoli siano una cosa sola, come voi ed Io siamo uno. » Or bene, o carissimi, il vincolo di unione designato da Gesù Cristo e da Lui chiesto al suo divin Padre in questa preghiera è appunto lo Spirito Santo. Epperò se tutti i popoli della terra conoscessero e possedessero lo Spirito Santo, è certo che sarebbero tra di loro uniti con la più ammirabile carità. Gesù Cristo ci apprende altresì, che lo Spirito Santo è Spirito di verità. La verità, o miei cari è il primo bisogno della nostr’anima; senza di essa nulla vediamo di quel mondo spirituale, nel quale è forza respirare e vivere, se vogliamo giungere alla patria celeste, in quella guisa che senza gli occhi, organi della vista, niente conosceremmo di questo mondo della natura, nel quale siamo posti. Oh! quanto è da compiangere il cieco, privo della luce, e che non può veder nulla di quelle meraviglie senza numero, che tutto giorno noi ammiriamo! Ma molto più sono da deplorare i ciechi spirituali, estranei alla viva luce della verità! coloro cioè che non sono illuminati dallo Spirito Santo. Camminano essi con una benda sugli occhi; ignorano e il loro punto di partenza e la via che devono tenere, e il termine del loro corso; si riguardano come un prodotto dal caso gettato su questa terra, e s’immaginano che in questo corto spazio di tempo che separa la culla dalla tomba, non abbiano a pigliarsi altra cura, che di evitare ciò che può contristarli e di cercare all’opposto tutto ciò, che può loro procurare qualche godimento e qualche piacere; e con tali errori per la mente corrono, senza avvedersene, all’eterna perdizione. E Dio volesse che fosse scarso il numero di questi ciechi! Ma pur troppo con tante menzogne, con tante infamie, con tanti errori sparsi a piene mani nelle scuole, nelle officine, sui libri, sui giornali, il numero di questi disgraziati ingrossa ognor più. Epperò qual bisogno vi ha mai anche ai dì nostri dello Spirito di verità. Che Egli discenda abbondante a distruggere questi inganni, che travolgono tante povere menti, massime quelle del popolo e della gioventù! Che egli discenda abbondante sopra di noi, perché non abbiamo a restar vittima anche noi delle menzogne e degli errori moderni! Gesù Cristo ci apprende ancora che lo Spirito Santo avrebbe resa testimonianza per lui. Questa testimonianza l’aveva già resa pubblica e solenne nel battesimo di nostro Signore. Gesù, essendo giunto all’età di trent’anni, da Nazaret si recò alle rive del Giordano, ove si trovava San Giovanni Battista, per essere da lui battezzato. Sebbene questi non lo conoscesse ancora di vista, tuttavia illuminato dallo Spirito Santo, gli andò incontro e gli disse: Come? tu vuoi essere battezzato da me, mentre io dovrei essere battezzato da te? Gesù rispose: lascia fare per ora, imperciocché conviene che si compia da noi ogni giustizia. Giovanni allora accondiscese, e, come l’ebbe battezzato, d’improvviso si aprirono i cieli, e lo Spirito Santo discese in forma di colomba sopra Gesù. Nel tempo stesso si udì una voce, che disse: Questi è il mio Figlio diletto, nel quale io mi sono compiaciuto. Di questa guisa Gesù Cristo dal divin Padre e dallo Spiritò Santo fu con solenne testimonianza dichiarato vero Figlio di Dio, mandato per salvare gli uomini. Ma nel giorno della Pentecoste lo Spirito Santo gli avrebbe resa una nuova testimonianza, confermando la verità dei suoi insegnamenti e dando agli Apostoli, secondo la promessa di Gesù, tutto ciò che loro mancava per compiere la loro missione. Ecco, o miei cari, gli importanti insegnamenti che Gesù Cristo ci diede riguardo allo Spirito Santo in questo primo tratto del Vangelo di questa Domenica. E tutto ciò non è forse per farci almeno indirettamente comprendere l’importanza della prossima venuta dello Spirito Santo nel dì della Pentecoste e della necessità che abbiamo di ben disporci alla medesima? Sì, senza dubbio, epperò, secondo il desiderio di Gesù Cristo e ad imitazione degli Apostoli, raccolti insieme nel cenacolo, prepariamoci convenientemente ad una sì grande solennità. Prepariamoci come essi con una preghiera fatta in questa settimana con maggior fervore e raccoglimento: prepariamoci come essi con un attaccamento più vivo a Maria SS. nostra Madre: prepariamoci come essi con la mondezza dell’anima nostra. Ed allora possiamo sperare che Gesù benedetto manderà anche sopra di noi il suo Santo Spirito, che anzi lo porterà a noi nella santa Comunione di quel giorno, riempiendo l’anima nostra dei suoi preziosissimi doni, e facendoci ricchi di ogni sorta di bene per il tempo e per l’eternità.

2. Il divin Salvatore dopo aver detto agli Apostoli che lo Spirito Santo avrebbe reso testimonianza di Lui, soggiunse che ciò l’avrebbero fatto ancor essi: E voi ancora renderete testimonianza, perché siete meco fin da principio. E come Gesù predisse, così avvenne. Anche gli Apostoli resero a Gesù la loro testimonianza: anzi tutto quella della parola col predicare il Vangelo in tutte le parti del mondo, e poi quella ancor più eloquente e dimostrativa, la testimonianza del sangue, poiché tutti immolarono la loro vita per l’amore di Colui, che li aveva scelti ed innalzati all’onore dell’Apostolato. E voi ancora renderete testimonianza: queste parole il divin Redentore rivolge pure a noi, o carissimi, a noi che fummo trascelti per essere i membri di quel corpo, di cui Egli è capo, a noi, che portiamo il titolo di figliuoli di Dio a noi che siamo stati fatti soldati di Gesù Cristo, a noi che dobbiamo un giorno essere i fortunati abitanti del cielo. Quando un Generale mostra ai suoi soldati la bandiera, che debbono amare e difendere, e lor dice: Soldati, ecco la bandiera della patria! chi tra di voi non sarà disposto a renderle la testimonianza del valore, del sangue, della morte? tutti si levano e con la mano sull’arme giurano di piuttosto morire, anzi che tradire ed abbandonare ai nemici la loro bandiera. Or ecco quel che dobbiam fare ancor noi. Noi tutti apparteniamo a Gesù Cristo, che ci ha dato mille testimonianze dell’ineffabile suo amore per noi; epperò è dover nostro di rendere a Lui testimonianza del nostro amore, anche in mezzo alle più dure prove. Molte volte ci accadrà di trovar di coloro che vogliono farci un’onta della nostra sommissione a Dio, della pratica della nostra fede, dell’adempimento dei nostri doveri. Essi ci sono larghi di beffe e di sarcasmi; ci mostrano a dito come insensati, ci trattano con disprezzo e con disdegno. E noi, veri e coraggiosi soldati di Gesù Cristo, non dobbiamo sbigottirci, ma a somiglianza del valoroso soldato, che si avanza tra le palle e la mitraglia, dobbiamo andar innanzi a fare il bene anche attraverso alle ingiurie ed agli oltraggi. Se fosse d’uopo, dovremmo, come gli Apostoli, essere pronti a dare il sangue per testimoniare la nostra fede e il nostro amore per Dio. Or bene, o carissimi, siamo davvero questi soldati forti e coraggiosi, che rendono sempre la testimonianza di fedeltà al loro capitano? Ahimè! Taluni di noi dovranno forse confessare di essere soldati di carta, che cadono al più leggiero soffio di rispetto umano, e che per il minimo rispetto umano lasciano di piacere a Dio per piacere invece agli uomini. Che cosa è infatti quel rispetto umano, da cui tanti giovani e tanti Cristiani sono dominati, se non un vano timore che ci impedisce di far il bene o che ci spinge a fare il male per non dispiacere agli uomini? E non si può dire quanto sia grande il numero di coloro, che si fanno vittima del rispetto umano e che non rendendo a Dio la testimonianza dovuta se ne vanno perciò all’eterna perdizione. Molti certamente camminerebbero per la via della virtù, se questo vano timore non li ingannasse e non facesse loro abbandonare il bene che debbono fare, spingendoli ad operare quel male, che in cuor loro abborriscono. Quel Cristiano vuol darsi a Dio, frequentare i Sacramenti, regolarsi bene nell’adempimento de’ suoi doveri, ma egli teme che i suoi conoscenti lo burlino. Quel giovane vorrebbe recarsi alla chiesa per ascoltare la Messa, per confessarsi e fare la santa Comunione, vorrebbe astenersi dal prender parte a certi discorsi alquanto liberi, vorrebbe lasciare una cattiva compagnia, vorrebbe farsi ascrivere a qualche pia congregazione od a qualche società cattolica; ma non lo fa, sempre per timore delle chiacchere altrui. E per questi vani timori si continua nel male e si ommettono le pratiche più belle di nostra santa Religione. E quante volte ancora vi sono di coloro, che per umano rispetto, per evitare le burle dei compagni si danno a bella posta a commettere il peccato ed arrivano persino alla stoltezza di vantarsi talora dei peccati, che non hanno commesso mai, e di una malvagità superiore a quella che realmente hanno in cuore! Oh quanto adunque sono infelici costoro, che giacciono nella misera schiavitù del rispetto umano e lasciano di rendere a Dio la dovuta testimonianza della loro fede e del loro amore! E tanto più perché ordinariamente le chiacchere altrui, che si temono, non ci sono affatto, ma è solo un timor vano che le fa pensare. Poiché, credete, o miei cari, che chiunque vi vedrà seriamente costanti nell’adempimento dei vostri doveri cristiani non può far a meno di sentire per voi una grande venerazione. D’altronde quando anche dicessero le cose che voi temete, ne avverrebbe forse qualche danno alla vostra roba ed alla vostra riputazione? E supposto pure che vi avvenisse qualche danno, dovreste forse perciò lasciare di fare quel che dice Iddio per fare quel che dice il mondo? Ecco: parla il mondo e parla Gesù Cristo; chi è più degno di essere ascoltato? È meglio ascoltare Gesù Cristo e andare alla vita eterna, oppure ascoltare il mondo e andare all’inferno? Oh pazzi! diceva un buon Cristiano a taluni che volevano lusingarlo al male, pazzi che siete; se per ascoltare voi io vado all’inferno, chi di voi verrà poi a cavarmi fuori? Oh ci risolva adunque l’invito che Gesù Cristo ci rivolge oggi con quelle parole: E voi ancora renderete testimonianza. Che se questo invito non bastasse a farci disprezzare i rispetti umani ci risolva almeno quello che Gesù Cristo stesso ha minacciato: Chiunque confesserà me dinnanzi agli uomini, anch’Io confesserò lui dinnanzi al mio Padre celeste; chi poi si vergognerà di confessar me avanti agli uomini, Io pure avrò vergogna di confessare lui in presenza del mio celeste Padre. Animo adunque, o carissimi, siate forti nel vincere il rispetto umano, e per dare testimonianza del vostro amore a Gesù Cristo operate il bene ed evitate il male con una santa baldanza. Se così facendo vi è chi ride di voi, lasciate che ei rida; verrà un giorno nel quale si morderà le labbra per il dispetto e per la vergogna, e sarà il giorno dell’universale giudizio, nel quale i malvagi alla sinistra mirando i giusti alla destra diranno con angoscia suprema: Noi insensati, stimavamo stoltezza la loro vita e la loro fine senza alcun onore; ecco invece che ora sono annoverati fra i figliuoli di Dio e toccano la stessa sorte dei Santi.

3. Da ultimo il divin Redentore per animare gli Apostoli a non temere per nulla degli ostacoli, che avrebbero incontrato nel rendergli testimonianza, e dello stesso sacrifizio della vita, che avrebbero dovuto fare, soggiungeva: Ho detto a voi queste cose, affinché non siate scandalizzati. Vi scacceranno dalle sinagoghe; anzi verrà tempo che chi vi ucciderà, si crede rendere onore a Dio. E vi tratteranno così, perché non hanno conosciuto né il Padre, né me. Ma vi ho dette queste cose, affinché venuto quel tempo, vi ricordiate che io ve le ho detto. Ecco che cosa dice Gesù Cristo agli Apostoli per animarli alla loro missione: « Vi accadrà ben anche di essere uccisi da coloro che si ostineranno a non volermi conoscere, ma allora ricordatevi che questo ve l’ho detto Io; Io, che sono il vostro Creatore, il vostro Redentore, il vostro Dio; Io, che non lascerò perciò di aiutarvi in tutti i pericoli, che correrete, Io che saprò e potrò anche ricompensarvi di tutto ciò che farete per la mia fede e pel mio amore ». Or bene, o carissimi, con le stesse parole Gesù Cristo, volgendosi a noi, anima ancor noi a riporre in tutto e per tutto la nostra confidenza in Dio, persuasi che Iddio in mezzo a tutte le necessità, a tutti i pericoli, a tutte le tentazioni, in cui ci troveremo non lascerà di darci, come amorosissimo Padre, tutti gli aiuti che ci abbisognano. Oh quanto bella, quanto giovevole è per ogni Cristiano la virtù della confidenza in Dio! Benedetto, esclama Geremia, l’uomo che confida nel Signore! Questi sarà suo sostegno. Egli crescerà come arboscello piantato sulle sponde d’un fiume, che bagna le sue radici nell’acqua, non temerà le arsure dell’estate; sempre verdeggianti mostrerà i suoi rami, non appassirà nei giorni della siccità e non cesserà mai dal produrre frutti. Iddio pertanto per mezzo di questo Profeta dice che benedirà l’uomo che a lui s’affida; imperocché la confidenza onora infinitamente Dio. Quegli infatti che confida in Dio, che si getta nel suo seno, come bambolo nelle braccia di buona e tenera madre, pubblica altamente che Dio è buono, fedele nelle sue promesse, pieno di misericordia e di generosità. Ecco dunque perché Iddio soccorre e prospera con prontezza e larghezza grande chi in lui si arrìda. Ponete ben mente. Abramo ebbe confidenza contro ogni speranza, perciò Dio gli diede per miracolo una prosperità numerosa, lo colmò di benedizioni, l’illustrò con l’incomparabile ed ineffabile onore di veder uscire dalla sua progenie Gesù Cristo e la Santa Vergine. Daniele è gettato nella fossa dei leoni; i leoni non lo toccano, egli esce di là senza riportarne scalfittura; donde tal miracolo? da ciò che Daniele ha posto ogni sua fiducia in Dio. Armato di questa forza che viene dalla confidenza in Dio, S. Giovanni Elemosiniere diceva: Quando tutti gli uomini, che abitano la terra, si versassero a un tempo in Alessandria per domandar l’elemosina, io la farei a tutti, perché il mondo intero non può esaurire i tesori di Dio. Ed in vero quanto più egli dava, tanto più riceveva da Dio. E Santa Clara vedendo la città ed il convento, che abitava, in sul punto di cader preda dei nemici, s’avanza tutta sola, ma piena di confidenza, sulle mura; e là sotto gli occhi degli assediati manda al Signore questa preghiera del Profeta: Non abbandonar alle branche delle bestie i tuoi servi: e in sull’istante colpiti da timore panico i Saraceni si danno a precipitosa fuga. Ecco le meraviglie della confidenza in Dio. – Al contrario deve grandemente temere che non riescano a bene le opere sue colui, che con la sua condotta mostra di diffidare di Dio; giacché chi manca di confidenza in Dio gli arreca grave ingiuria. Difatti la diffidenza può provenire da due cose. Anzi tutto da mancanza di fede, perché chi diffida non crede vivamente che Dio è onnipotente, previdentissimo e buono: e poi anche dalla speranza che si mette negli uomini e nelle creature, quasi che essi avessero più potenza e più volontà d’aiutarci essi che non Iddio. Or chi non vede essere questa una condotta da pagani e ingiuriosissima a Dio? Quindi Egli assai di spesso la punisce, permettendo che le creature, in cui taluno si è confidato, abbandonino, ingannino, nuocciano, ed impediscano la buona riuscita delle cose; mentre al contrario fa sempre che prosperino e trionfino, soprattutto spiritualmente, quelli che a Lui affidano i loro interessi. Qual innocente, grida Giobbe, è giammai perito! chi vide il giusto soccombere? Riponiamo adunque, o cari giovani e cari Cristiani, tutta la nostra confidenza in Dio per la riuscita di qualsiasi opera buona che abbiamo alle mani. Non tralasciamo, no, di fare la parte nostra, perché anche questa Dio la esige: ma facendo noi tutto quello che possiamo, sia per provvederci quel che abbisogna alla nostra vita, sia per vincere le difficoltà degli studi o degli uffizi, sia per guarire da qualche infermità, sia molto più per superare le tentazioni del demonio, le lusinghe del mondo, gli assalti delle nostre passioni, per evitare il male ed operar il bene, confidiamo interamente nell’aiuto di Dio, e Dio, secondo la sua promessa, non mancherà di venire in nostro soccorso e dare a noi quell’aiuto, che maggiormente servirà a procacciarci l’eterna salute.

Credo …

Offertorium

Orémus

Ps XLVI:6. Ascéndit Deus in jubilatióne, et Dóminus in voce tubæ, allelúja.

 Secreta

Sacrifícia nos, Dómine, immaculáta puríficent: et méntibus nostris supérnæ grátiæ dent vigórem. [Queste offerte immacolate, o Signore, ci purífichino, e conferiscano alle nostre ànime il vigore della grazia celeste.].

Communio

Joannes. XVII:12-13; 15 Pater, cum essem cum eis, ego servábam eos, quos dedísti mihi, allelúja: nunc autem ad te vénio: non rogo, ut tollas eos de mundo, sed ut serves eos a malo, allelúja, allelúja. [Padre, quand’ero con loro ho custodito quelli che mi hai affidati, allelúia: ma ora vengo a Te: non Ti chiedo di toglierli dal mondo, ma di preservarli dal male, allelúia, allelúia.]

Postcommunio.

Orémus.

Repléti, Dómine, munéribus sacris: da, quæsumus; ut in gratiárum semper actióne maneámus. [Nutriti dei tuoi sacri doni, concedici, o Signore, Te ne preghiamo: di ringraziartene sempre.]

DEVOZIONE AL CUORE SS. DI GESÙ

Divozione al Cuore SS. di Gesù.

[p. Secondo Franco: “il Mese di Giugno”, Tip. Orat. di s. Franc. Di Sales, 1872]

Qualunque persona che sia d’indole buona, di belle virtù e di eccellente santità, non può esser a meno che non abbia un bel cuore, e che non cerchi diffondere anche negli altri la sua bontà: Bonus homo de bono thesauro cordis sui proferì bonum (Luc. VI, 44). Ma quanto più l’Uomo-Dio, Gesù Signor nostro, il quale è la bontà e la santità medesima, quegli ch’ è venuto a bella posta nel mondo e che ha conversato con gli uomini per beneficarli! Che cosa dunque non devono sperare da Lui i devoti d’un Cuore sì buono e sì benefico? Il primo motivo di questa speranza è la natura stessa del Cuore amoroso di Gesù Cristo. Imperocché avete mai considerato, che cosa è il Cuore di Gesù? È il Cuore dell’Uomo-Dio, un Cuore ipostaticamente unito alla persona del Verbo e alla divinità. Dunque è un Cuore infiammato e compreso con tutta la pienezza e senza misura dagli influssi di quell’amore infinito, di cui il Verbo medesimo arde per noi sino dall’eternità; amore che lo ha condotto in terra a conversare coi figliuoli degli uomini e a farsi uno di loro. Egli è un Cuore che è stato ed è l’organo materiale e sensibile degli affetti più santi e più eccellenti dell’anima santissima di Gesù Cristo, e che ha corrisposto con i suoi naturali movimenti a quel perfetto amore, onde ella avvampa per noi. Dunque è un Cuore sensibile alle nostre afflizioni, alle nostre disgrazie e a tutti i nostri mali; è un Cuore compassionevole, un Cuore pieno di tenerezza per noi e sommamente desideroso del nostro bene. Il Cuore di Gesù Cristo è il Cuore del nostro Padre il più tenero, il più amoroso e il più sollecito; è il Cuore del fratello, e dell’amico, e dello Sposo il più fedele; è il Cuore del re il più magnifico, il più potente e più liberale che siavi stato e che possa esservi mai perché è il Cuore del re del cielo e della terra. Dunque è un Cuore più interessato al nostro bene, e più costante nel suo amore per noi del cuore di qualunque padre, amico e sposo di questa terra, che ami svisceratamente la sposa, l’amico, il figlio; è un Cuore che vuol farci ogni bene, e può farlo senza ostacolo e senza misura. Il Cuore di Gesù Cristo è un Cuore fabbricato e organizzato dallo Spirito Santo, il quale è l’amore del Padre e del Figliuolo, un Cuore conformato e preparato da Lui alle impressioni più sensibili e più efficaci dell’amore; un Cuore che non potendo più trattenere imprigionate le sue fiamme si è lasciato ferire ed aprire da una lancia, quasi per trovare uno sfogo a quel fuoco che lo consuma per diffondere le sue vampe in tutto il mondo, e per aprire un asilo di rifugio, un luogo di delizie, un porto di pace alle anime tentate, tribolate e penitenti: Ad hoc perforatum est Latus tuum, ut nobis patescat introitus. Ad hoc vulneratum est Cor tuum, ut in illo, et in te, ab exterioribus perturbationibus absoluti habitare possimus (Auctor. Serm. de Passione. Domini, cap. III). – Dunque che cosa non deve sperare un Cristiano dal Cuore d’un Dio, in cui concorrono tante cagioni e tante sorgenti d’incomprensibile, instancabile e potentissimo amore? Noi speriamo nei meriti di Gesù. Ma che meriti non ci ha acquistati Gesù con le sofferenze, con la pazienza, con la rassegnazione, con le umiliazioni e con la carità del suo Cuore? Noi speriamo nella Passione di Gesù. Ma che cosa non ha patito per noi specialmente quel Cuore divino? Tutti i tormenti da Gesù sofferti nel corpo si possono quasi chiamare una piccola cosa a confronto delle angustie e delle agonie da Lui sofferte nel Cuore. Noi speriamo nel Sangue di Gesù. Ma appunto il suo Cuore è la viva e perenne sorgente di quel sangue prezioso che si è diffuso nel corpo, che si spremé per tristezza a ruscelli dalle sue membra e si versò a torrenti dalle sue vene. – Noi speriamo nelle piaghe di Gesù. Ma qual piaga più salutare e più potente ad ottenerci dal suo divin Padre il perdono e la grazia, quanto la piaga del costato e del Cuore, il quale si può dire che parla, e prega, e geme continuamente per noi? Oh felice adunque chi ha ritrovato questo Cuore, e lo ama, e ne pratica fedelmente la devozione! Egli ha ritrovato il Cuore di un re il più magnifico e liberale che v’abbia e possa ritrovarsi sulla terra: ha ritrovato il Cuore di un fratello, d’un amico, e di uno sposo il più sviscerato, benefico e fedele. Quel Cuore è cuor nostro, perché è Cuor di Gesù Cristo capo di quella Chiesa, di cui ancora noi siamo le membra; e se il cuor nostro è troppo freddo nell’amare Iddio, abbiamo il Cuor di Gesù nostro ancor esso, con cui amarlo e pregarlo degnamente per essere esauditi: Inveni cor meum, ut orem Deum meum (II. Reg. VII, 27). Et ego inveni cor regis, fratris et amici benigni Jesu, Cor illius meum est, quia caput meum Christus est (Idem Auct. ibidem). Un secondo motivo di speranza ci deve portare la qualità stessa di questa devozione, la quale di sua natura è sommamente idonea ad impegnar Gesù Cristo a compartirci tutte le grazie. Imperocché qual è il fine di questa devozione? Primieramente di dare un attestato e contrassegno della nostra gratitudine al Cuor di Gesù per il beneficio incomparabile della istituzione del Sacramento dell’Eucaristia. Ora non vi è cosa che impegni tanto un amico a farci dei nuovi benefizi; quanto il mostrar gratitudine per quelli che si sono ricevuti. Questa gratitudine è la mercede che l’amico aspetta de’ suoi benefizi; è quella che gli fa conoscere che i suoi benefizi sono ricevuti ed accettati con piacere; è quella infine che gli fa scoprire le buone disposizioni e il buon cuore dell’amico, e in conseguenza ch’è degno e meritevole dei suoi favori. Ma questa verità quanto più risalta in faccia a Dio ed al sacro Cuor di Gesù il quale è stato il primo ad amarci, ci ha dato tutto il suo, ci ha donato per fin se stesso, e il quale non può aspettare altra mercede e ricompensa dalle sue creature che amore e gratitudine? Se dunque noi ci mostreremo grati al suo divin Cuore, Egli vedrà per prova che conosciamo e accettiamo di buon grado le sue grazie, che non sono in noi mal collocati i suoi benefizi, e che può sperare sempre maggior corrispondenza, se vorrà compartirne degli altri; ed in conseguenza cercherà di provocare con maggior calore il nostro amore e la nostra gratitudine per avere la soddisfazione d’esser da noi corrisposto. L’altro fine di questa divozione è il consolare il Cuor di Gesù nelle sue afflizioni e agonie. Ora riflettete che un padre addolorato e abbandonato da tutti ne’ suoi dolori, se vede un figlio amoroso che prende parte nelle sue pene, che gli tiene assidua compagnia nelle sue tristezze, che si ingegna di trovar motivi e parole per consolarlo, e studia tutti i modi per procurargli sussidio e conforto, egli allora diviene così sensibile a questa continua assistenza, si compiace a tal segno della sua compassione e amorevolezza, sì lo distingue a preferenza degli altri figliuoli nei beni dell’eredità, come questi si è distinto verso di lui nell’amore e nella gratitudine. Ah! che il Cuor di Gesù ferito, desolato, abbandonato in un mar di angosce e di pene dagl’ingrati suoi figliuoli, se ritrova qualcuno di loro che sappia trattenersi con lui, compatirlo e consolarlo, è impossibile che non gli faccia parte e non l’arricchisca a preferenza degli altri dei suoi inestimabili tesori e delle sue segrete delizie. – L’imitazione delle virtù sovrumane nel Cuor di Gesù Cristo è anch’ essa uno dei fini principali di questa divozione. Ma può forse Gesù Cristo non riguardare con particolar dilezione quelli che si studiano di ricopiare nel proprio cuore la mansuetudine, l’umiltà, la rassegnazione e l’amore di suo Cuor divino? Allora egli trova in quel Cuore un giardino dove deliziarsi per la fragranza dei fiori che vi nascono, ed egli stesso gli innaffia coll’acqua prodigiosa che usci dal suo costato, li fa crescere, li difende dagli insulti e li conserva sempre verdeggianti e odorosi. Finalmente il devoto del Cuore di Gesù è impegnato a risarcirlo dei torti e degli affronti, ch’Egli soffre ogni giorno specialmente nel Sacramento dell’Altare. Ora questa premura d’un devoto quanto deve provocare quel Cuore divino a favore di Lui! Se noi abbiamo ricevuta una qualche ingiuria e un qualche discapito nelle sostanze o nella fama, e se troviamo un amico che prenda a suo carico di riparare tutti quei danni e compensarci di tutte le perdite, quello diventa il vero e solo nostro amico. Non possiamo stancarci di raccontare a tutti questo prodigio di vera amicizia, e se egli si troverà in simili circostanze, noi ci crederemo obbligati a rendergli il contraccambio col difendere ad ogni costo la sua fama, la sua roba, la sua persona. Se non ci adoprassimo in questa maniera il nostro cuore medesimo ci farebbe sentire gagliardi rimproveri di una sì nera ingratitudine, e se non altro per vergogna di esser tacciati come anime vili, faremmo ogni sforzo per corrispondergli in qualche maniera. Ah! sarà egli possibile che il Cuor di Gesù sia men grato del cuor d’un uomo, se con le visite frequenti, con le comunioni fervorose, con la quotidiana assistenza al divin Sacrificio, con procurare ancora il suo onore estrinseco nelle suppellettili delle di Lui chiese, e il suo maggior culto nel cuore de’ fedeli, noi studieremo di risarcirlo degli affronti che sol in tanti modi, e specialmente in questi tempi? Egli non vorrà certamente comparire meno liberale e generoso con noi, né ci lascerà in abbandono nelle nostre miserie e disgrazie senza compensarci almeno con le delizie del suo Cuore dolcissimo, le quali sorpassano tutti i beni caduchi e menzogneri di questa terra.

Fate dunque animo, abbracciate coraggiosamente la pratica di questa divozione, cominciate una volta a gustare quanto è dolce e amoroso quel Cuore, e sperate, sperate, che gli fareste un gran torto a mostrare la minima diffidenza delle sue promesse. Ed ecco l’ultimo motivo che vi propongo di santa fiducia di godere gli effetti di questa divozione. Gesù Cristo medesimo ha promesso ogni sorta e ogni abbondanza di grazie ai devoti del suo sacratissimo Cuore. E che volete dunque di più? Ma quali grazie ha promesso? Grazie di conversione ai peccatori, i quali ricorrono al fonte delle misericordie. Il mio Cuore, disse Gesù alla beata Margherita Alacoque, vuol manifestarsi agli uomini per arricchirli con quei preziosi tesori che racchiudono grazie santificanti valevoli a ritrarli dalla loro perdizione (Vita, 1, iv, §51). Grazie di celeste amore di salute e di santificazione. Così dichiarò lo stesso Gesù alla sua serva dicendo, che nel suo cuore apriva tutti i tesori d’amore, di grazie, di misericordia, di santificazione e di salvezza 1, VII, §39). Grazie di convertire e di santificare anche gli altri. Il mio divin Salvatore mi ha fatto intendere, dice la suddetta, che chi si affatica per la salvezza delle anime, avrà l’arte di muovere i cuori i più indurati, e faticherà con meraviglioso profitto, se nutrirà egli stesso una tenera divozione al suo Cuore (1, VI, §90). Grazie anche temporali. Per ciò che riguarda le persone secolari, troveranno con questo mezzo tutti i soccorsi necessari al loro stato, la pace nella famiglia, il sollievo nelle fatiche, e le benedizioni del Cielo nelle loro intraprese (Ivi). Grazie per tutto il tempo della vita, e specialmente in punto di morte. In quel Cuore adorabile troveranno un luogo di rifugio nel tempo della loro vita, e molto più nell’ora della loro morte. Ah che dolce morire dopo avere avuta una costante divozione al Sacrosanto Cuore di chi dovrà giudicarci!(Ivi). – Ma che dico grazie? Ogni grazia si trova in questa divozione, lo ti prometto, son voci di Gesù alla sua serva, Io ti prometto che à chiunque professerà divozione al mio santissimo Cuore, verserò in seno ogni grazia, ma soprattutto a quelli che procureranno l’avanzamento della divozione al divin Cuore.Accostiamoci dunque con fiducia aquel divin Cuore, e troveremo la pace,la consolazione, il gaudio, ricordandociche questo è un Cuore che ardentementedesidera ed efficacementeprocura la nostra santificazione e salute.

Accedamus ergo ad te, et exultabimus, et lætabimur in te memores Cordis tui (Auct., de Passion. Domin., cap. III).

LO SCUDO DELLA FEDE (62)

LO SCUDO DELLA FEDE (62)

[S. Franco: ERRORI DEL PROTESTANTISMO, Tip. Delle Murate, FIRENZE, 1858]

CAPITOLO XIV.

IL FROTESTASTISMO È FALSO PERCHÉ NON HA SACRIFIZIO.

Coll’errore di che abbiamo discorso nel Capitolo precedente, congiungono i Protestanti un altro gravissimo errore, per cui si dimostra di nuovo che è falsa la loro credenza: ciò è  che essi non riconoscono, e rigettano il Santo Sacrifizio della Messa. Perché intendiate bene questo errore, dovete prima sapere, che il più gran dovere che gli uomini abbiano sulla terra verso Dio, è riconoscere la sua grandezza e la sua Maestà. Dio è nostro Creatore e noi siamo sua opera: Dio è nostro Padrone e noi siamo suoi servi: Dio è nostro Padre e noi siamo suoi figliuoli: epperciò come figliuoli, come servi, come creature, dobbiamo rendergli ossequio di adorazione, di servitù, di timore e d’amore. Questo è indubitabile, ma vi è ancora di più: perché l’uomo avendo peccato in Adamo, ed a quel primo peccato avendone poi noi aggiunti tanti altri, siamo debitori a Lui di una soddisfazione che mai non potremmo dargli, attesa la nostra meschinità. Come fare adunque a pagare a Dio questi gran debiti ? Con le preghiere, col chieder perdono, ma specialmente con le oblazioni e coi sacrifizi. Offrendogli le nostre cose benché meschine, noi veniamo come a riconoscere che Egli è il padrone di tutto: sacrificandogli qualche cosa, noi veniamo, come ad esprimere, che se potessimo gli sacrificheremmo la nostra stessa persona in segno di quella riverenza che gli dobbiamo, ed in isconto delle colpe che abbiamo commesse. Epperò è che fino dai primi tempi del mondo subito furono in uso le offerte ed i sacrifizii. Caino offriva i frutti delle sue campagne a Dio, Abele offriva gli agnelli e le pecore della sua greggia. Più tardi furono istituite da Dio stesso le offerte del pane e del vino e delle primizie delle campagne e dei bestiami, come ancora i sacrifizii nei quali s’immolavano agnelli e tori. Sebbene tutto ciò era troppo poco per la Maestà infinita del Signore. – Quando ecco che l’Unigenito Figliuolo di Dio, compatendo alla nostra piccolezza che non aveva offerte e sacrifizii degni di quell’infinita maestà, venne sulla terra, e preso un corpo come il nostro si offerse e si sacrificò sull’Altare della Croce per pagare tutti i nostri debiti e per onorare degnamente la Divinità. Con quell’offerta fu finalmente placato Iddio, e Dio ebbe un culto quale gli si conveniva di valore infinito. Che però? fatta già quella grande offerta, la S. Chiesa fondata da Gesù Cristo rimarrà poi priva di Sacrifizio? E noi che siamo i figliuoli di Dio nella legge dell’amore e della grazia, saremo privi di quello che non mancava neppure agli antichi Padri ed ai Giudei? No no: anche noi abbiamo il Sacrifizio, degno affatto della Maestà di Dio; noi offriamo sempre alla SS. Trinità quello stesso Gesù che si è immolato sopra la Croce, e rinnoviamo, sebbene senza spargimento di sangue, quel medesimo Sacrifizio che allora tu fatto; Sacrifizio ammirando, che come un incenso prezioso sale al Trono della Divinità; Sacrifizio che placa dolcemente il Signore, che mitiga la sua collera, che lo ringrazia debitamente di tutti i favori che ci ha fatti, che impetra una pioggia feconda di ogni bene sopra la terra, che soprattutto riconosce degnamente a nome di tutti gli uomini la suprema ed eccelsissima Divina Maestà. Oh che bei misteri sono questi! Oh che mirabile invenzione dell’amor Divino a nostro riguardo! Ma come sappiamo poi noi che Gesù abbia veramente istituito questo gran Sacrifizio? Miei cari, lo sappiamo dallo stesso Gesù, il quale nell’ultima cena, prima offerse Egli questo gran Sacrifizio, poi ordinò agli Apostoli ed ai loro successori che facessero altrettanto. Come questo gran Sacrifizio è riposto nella Consacrazione che rappresenta la separazione del Corpo dal Sangue di Gesù e per conseguente la sua morte: così Gesù consacrando separatamente prima il pane, poi il calice, venne a consumare Egli stesso questo gran Sacrifizio e comandando poi agli Apostoli che facessero lo stesso, venne ad istituirlo per tutta la Chiesa. Così si verifica quello che disse David di Gesù Cristo, che sarebbe stato sacerdote secondo l’ordine di Melchisedek (Ps. CIX, 4), il quale sacrificò nel pane e nel vino. Così si verifica un’altra bella Profezia di Malachia, che rigettati i sacrifizi antichi, si sarebbe dall’ Oriente all’ Occideute in mezzo anche ai popoli una volta gentili offerta un’oblazione monda e fatto un Sacrifizio puro (Malach. I, 11).Così si verifica quello di S. Paolo che noi abbiamo un Altare di cui non possono partecipare i Giudei (Hebr. XIII, 10). Fondati sopra l’esempio di Gesù Cristo e sulla S. Scrittura, cominciarono subito i Santi Apostoli a celebrare questo gran Sacrifizio in tutta la terra. L’Apostolo S. Andrea, come si ha dagli Atti del suo martirio, « io sacrifico – diceva – ogni giorno non le carni dei tori, ma l’Agnello immacolato sopra l’Altare, le cui carni dopo che tutto il popolo dei credenti ha mangiato, ed il cui sangue dopo che ha bevuto, l’agnello sacrificato resta vivo ed intatto. Gli altri Apostoli stabilirono pur essi in tutte le Chiese che fondarono, questo gran Sacrifizio, e noi ne abbiamo la prova nelle Liturgie, cioè nell’ordine della Messa, che vanno sotto il nome di S. Pietro, di S. Giovanni, di S. Matteo, di S. Marco. Gli stessi antichissimi Eretici, che tanto inimicarono la S. Chiesa e che da Essa si separarono, pure portarono con sé e sempre mantennero la celebrazione della S. Messa: gli antichissimi Padri, come S. Clemente discepolo di S. Pietro, S. Giustino Martire, S. Ignazio, S. Cipriano, S. Giovanni Grisostomo e S. Agostino non solo lodavano grandemente la S. Messa, ma la celebravano con gran riverenza e divozione: i Santi più dotti e più illuminati fino ai dì nostri formarono sempre la loro delizia di questo grande Mistero. S. Tommaso si struggeva tutto di amore nel celebrare, S. Filippo Neri e S. Ignazio non si sapevano distaccare dall’Altare, poiché provavano delizie di Paradiso nel celebrare, e servivano anche alla S. Messa con fervore, stimandolo, com’è veramente, un uffizio angelico. Ma dopo tanti secoli che questa verità è così bene stabilita, così autentica, ecco che vengono i Protestanti a negare tutto ciò, a distruggere tutto e ad insegnare dalla loro Cattedra di pestilenza che non vi è la Messa, che non è necessario un tal Sacrifizio e giungono alcuni fino a chiamarla una idolatria. Ah perfidi nemici di Gesù Cristo, e perturbatori del popolo Cristiano! Diteci dunque almeno perché non è necessaria la Messa? Ecco il perché: perché Gesù Cristo, dicono, ha già compita la Redenzione, e celebrare altri Sacrifizi è fargli un torto, quasi il suo non bastasse. Ma in questa ragione quanta ignoranza si contiene e quanta malizia! E che? Forse i Cattolici vogliono fare altri Sacrifizi, perché non sia bastante la Redenzione? No, offrono il Sacrifizio della S. Messa, per impetrare l’applicazione ed i frutti del S. Sacrifizio della Croce.Avete da sapere adunque in proposito che Gesù Cristo con la sua Passione e Morte ha bensì meritato a tutti gli uomini il perdono dei peccati, la riconciliazione con Dio, gli aiuti necessari per la salvezza, ma tutte queste grazie non ci giovano se non ci sono applicate. Egli ha accumulato, dirò così, un gran tesoro, ma questo tesoro, che Gesù potrebbe dispensare senza che noi ci dessimo nessuna briga, non vuol dispensarlo se anche noi non ci mettiamo l’opera nostra. Vuole rigenerarci ad una nuova vita quando veniamo al mondo, ma vuole che v’impieghiamo il Battesimo; vuol perdonarci le nostre colpe, ma vuole che noi ci sforziamo col suo santo aiuto a detestarle con tutto il cuore; vuole unirci a sé e stringerci di santo amore, ma vuole che ancor noi facciamo i nostri sforzi per arrivarvi, sia con atti di carità, sia con la S. Comunione; ci vuol dare il Paradiso che Egli ci ha meritato, ma vuole che anche noi con le nostre buone opere ci studiamo di conseguirlo: e così nel caso nostro se vuole farci partecipi di tutti i frutti del S. Sacrifizio della Croce, vuole che noi rinnovando quel gran Sacrifizio all’Altare, facciamo commemorazione con affetto, con riverenza, con fede, con amore, di tutto quello che Egli fece patendo e morendo per noi. E così s’intende quel che diceva S. Paolo « di adempire nel suo corpo quello che manca alla Passione di Cristo per la sua Chiesa (Col. I, 24). Che è quanto dire, che sebbene Gesù Cristo abbia soddisfatto per tutti con prezzo sovrabbondante, nullameno vuole che ognuno con orazioni, con patimenti, con sacrifizi sel faccia proprio, applicando tal prezzo a sé medesimo: e così le nostre opere non sono prezzo, ma sono condizione e mezzo per applicare la Redenzione a noi stessi. E questa dottrina invece di far torto a Gesù, come sognano i Protestanti, gli rende il massimo onore; prima perché noi riconosciamo che senza Gesù mai non avremmo avuto quel tesoro di meriti e di grazie che sono necessarie alla nostra salute: poi perché riconosciamo che senza Gesù non ci sarebbe conferita questa grazia, né questi meriti applicati. In secondo luogo confonde la malizia dei Protestanti, i quali sul pretesto che i nostri sforzi, le nostre buone opere, il Sacrifizio dei nostri Altari facciano torto al Sacrifizio della Croce, si danno a credere di non avere più obbligo di far nulla e se ne vivono spensierati di loro salute, con una confidenza presuntuosa nei meriti di Gesù. Il che quanto sia alieno dallo Spirito Cristiano, lo può intendere chiunque non abbia perduto il senso comune, e che abbia inteso un poco il Santo Vangelo il quale inculca in ogni pagina all’uomo di astenersi, combattendo contro di sé, da ogni male, e di praticare, costi che vuol costare, ogni sorta di opere buone e di virtù. Il perché quando vi dicono che il S. Sacrifizio della Messa fa torto a Gesù, dite loro, che quello che fa torto a Gesù è la loro perfidia nel disconoscerlo, è la loro malizia nel disseminare sì grandi errori, ed il ridurre i Cristiani, come essi vorrebbero, ad essere senza Sacrifizio, come i selvaggi dei paesi più barbari e come le bestie. – Non vi contentate poi neppure di avere in altissimo orrore quelli che discreditano sì gran Sacrifizio, ma procacciate di essere di quelli che immensamente lo pregiano, poiché di tutte le preghiere che voi potete fare, niuna è comparabile a quella della S. Messa. Allora è Gesù che viene sull’Altare, Egli che si sacrifica, Egli che si offre al Padre celeste, Egli che con la sua divina mediazione impetra per noi: epperò allora le grazie piovono sulla terra in gran copia, e niente ci si nega di quello che è necessario alla nostra salute. Guai alla terra se non vi fosse sì gran Sacrifizio! Cheforse Iddio l’avrebbe mille volte distrutta come fece ai tempi del diluvio! Ma guai a noi se cessasse sì gran Sacrifizio nel nostro paese!

CALENDARIO LITURGICO DELLA CHIESA CATTOLICA: GIUGNO 2019

GIUGNO È IL MESE CHE LA CHIESA CATTOLICA DEDICA AL SACRO CUORE DI GESÙ

… In quel Cuore adorabile troveranno un luogo di rifugio nel tempo della loro vita, e molto più nell’ora della loro morte. Ah che dolce morire dopo avere avuta una costante divozione al Sacrosanto Cuore di chi dovrà giudicarci! – Ma che dico grazie? Ogni grazia si trova in questa devozione, lo ti prometto, son voci di Gesù alla sua serva, Io ti prometto che à chiunque professerà divozione al mio santissimo Cuore, verserò in seno ogni grazia, ma soprattutto a quelli che procureranno l’avanzamento della devozione al divin Cuore.Accostiamoci dunque con fiducia a quel divin Cuore, e troveremo la pace, la consolazione, il gaudio, ricordandoci che questo è un Cuore che ardentemente desidera ed efficacemente procura la nostra santificazione e salute.

Accedamus ergo ad te, et exultabimus, et lætabimur in te memores Cordis tui.

[p. Secondo Franco: “il Mese di Giugno”, Tip. Orat. di s. Franc. Di Sales, 1872]

Indulgenze per il mese di giugno:

253

Mensis sacratissimo Cordi Iesu dicatus Fidelibus, qui mense iunio (vel alio, iuxta Rev.mi Ordinari prudens iudicium), pio exercitio in honorem Ssmi Cordis Iesu publice peracto devote interfuerint, conceditur:

Indulgentia decem annorum quolibet mensis die;

Indulgentia plenaria, si diebus saltem decem huiusmodi exercitio vacaverint et præterea peccatorum veniam obtinuerint, eucharisticam Mensam participaverint et ad Summi Pontificis mentem preces fuderint. Iis vero, qui præfato mense preces vel alia pietatis obsequia divino Cordi Iesu privatim praestiterint, conceditur:

Indulgentia septem annorum semel quolibet mensis die;

Indulgentia plenaria suetis conditionibus, dummodo quotidie per integrum mensem idem obsequium peregerint; at ubi pium exercitium publice habetur, huiusmodi indulgentia ab iis tantum acquiri potest, qui legitimo detineantur impedimento quominus exercitio publico intersint (S. C. Indulg., 8 maii 1873 et 30 maii 1902; S. Pæn. Ap., 1 mart. 1933).

(A coloro che nel mese di giugno praticano un pio esercizio in onore del Sacro Cuore di Gesù in pubblico, si concedono 10 anni ed in privato 7 anni, e Indulgen. Plenaria se esso verrà praticato almeno per 10 giorni con le s. c.).

Altre indulgenze ove viene celebrato solennemente il Cuore Sacratissimo di Gesù con corso di predicazione.

Queste sono le feste del mese di GIUGNO

1 Giugno Sanctae Mariae Sabbato    Simplex

               I sabato

2 Giugno Dominica post Ascensionem    Semiduplex Dominica minor *I*

                   Ss. Marcellini, Petri, atque Erasmi Martyrum    Simplex

3 Giugno Feria II post Ascensionem    Semiduplex

4 Giugno S. Francisci Caracciolo Confessoris    Duplex

5 Giugno S. Bonifatii Episcopi et Martyris    Duplex

6 Giugno S. Norberti Episc. et Confessoris    Duplex

                I Venerdì

8 Giugno Sabbato in Vigilia Pentecostes    Semiduplex *I*

9 Giugno Dominica Pentecostes    Duplex I. classis

10 Giugno Die II infra octavam Pentecostes    Duplex I. classis

11 Giugno Die III infra octavam Pentecostes    Duplex I. classis

                          S. Barnabæ Apostoli    Duplex *L1*

12 Giugno Feria Quarta Quattuor Temporum Pentecostes    Semiduplex

                         S. Joannis a S. Facundo Confessóris    Duplex

13 Giugno Die Quinta infra octavam Pentecostes    Semiduplex

                          S. Antonii de Padua Confessóris et Ecclesiæ Doctoris    Duplex

14 Giugno Feria Sexta Quattuor Temporum Pentecostes    Semiduplex

                          S. Basilii Magni Confessóris et Ecclesiæ Doctoris    Duplex

15 Giugno Sabbato Quattuor Temporum Pentecostes    Semiduplex

16 Giugno Dominica Sanctissimæ Trinitatis    Duplex I. classis

18 Giugno S. Ephræm Syri Confessoris et Ecclesiæ Doctoris    Duplex

19 Giugno S. Julianæ de Falconeriis Virginis    Duplex

20 Giugno Festum Sanctissimi Corporis Christi    Duplex I. classis

                          S. Silverii Papæ et Martyri    Simplex

21 Giugno S. Aloisii Gonzagæ Confessoris    Duplex

22 Giugno S. Paulini Episcopi et Confessoris    Duplex

23 Giugno Dominica II Post Pentecosten    Semiduplex Dominica minor

24 Giugno In Nativitate S. Joannis Baptístæ    Duplex I. classis *L1*

25 Giugno S. Gulielmi Abbatis    Duplex

26 Giugno Ss. Joannis et Pauli Martyrum    Duplex

27 Giugno

28 Giugno Sanctissimi Cordis Domini Nostri Jesu Christi    Duplex I. classis

29 Giugno SS. Apostolorum Petri et Pauli    Duplex I. classis *L1*

30 Giugno Dominica III Post Pentecosten    Semiduplex Dominica minor

                    In Commemoratione S. Pauli Apostoli    Duplex

LA DEVOZIONE A MARIA, PEGNO DI PREDESTINAZIONE

La devozione a Maria pegno di predestinazione.

[A. Carmagnola: La porta del cielo; S. E. I. Torino, 1895]

Eccoci al termine del caro mese di Maggio, consacrato a Maria! Come è volato questo mese! Sembra ieri che gli dessimo principio ed oggi è già finito. E che cosa ce lo ha fatto trascorrere sì veloce? Che cosa ci ha reso così brevi i suoi giorni? L’amore e la gioia. Sì, è l’amore e la gioia, che fanno passare rapidamente le ore che si trascorrono in compagnia della persona amata. E noi amando Maria, trattenendoci con Lei, pensando a Lei, venendo dinnanzi al suo altare, considerando le sue grandezze, le sue virtù, i suoi titoli, cantando pieni di santo giubilo le sue lodi, non ci siamo avveduti che i giorni si sono rapidamente inseguiti l’ira l’altro fino a che è pur giunto questo che dei giorni di Maggio è l’ultimo. Ed ora che provavamo tanta delizia nelle pratiche devote di questo mese dobbiamo farne la chiusa. Farne la chiusa? Del mese, sì certo: ma della divozione praticata in esso, no. Anzi se in questo mese siamo riusciti a ben comprendere chi sia Maria, che cosa abbia fatto e faccia per noi. che cosa sia ancora disposta a fare, non solo dobbiamo menomamente desistere dall’amore e dalla devozione, che le abbiamo professato finora, ma dobbiamo per di più oggi rinnovare la nostra totale consacrazione a Lei e fare ai suoi piedi il santo proposito di crescere sempre più nella sua divozione e nel suo amore. E quale sarà la considerazione che varrà a farci fare oggi questa consacrazione e questo proposito? Sebbene dovrebbe prevalere in noi il sentimento dell’amore, tuttavia, miserabili come siamo, diamo sempre maggior ascolto al sentimento dell’interesse. E poiché nessun interesse maggiore possiamo noi avere che di celebrare poi l’eterno maggio in cielo, considereremo perciò come la consacrazione e divozione a Maria è pegno sicuro di eterna salute.

1° Come tale la dimostra Iddio.

Come tale la predica la Chiesa.

3° Come tale la conferma la ragione.

I . Allorché Iddio in sul principio dei secoli, creata la terra vi ebbe introdotto l’uomo a dominarla, non credette d’aver Egli perfettamente operato se non avesse dato allo stesso uomo una compagna, che a lui rassomigliando, con lui dividesse l’onore e la gloria di eseguire i divini disegni nell’accrescimento e nella moltiplicazione del genere umano. Non est bonum esse hominem solum. Epperò un’altra volta il labbro di Dio si apre al solenne faciamus, e, facciamo, disse Egli, un aiuto che all’uomo rassomigli: Faciamus ei adiutorium simile sibi. Or bene, non dissimili parole si dovettero pronunziare nell’angusto consesso della SS.Trinità, allorché propostosi il piano della redenzione del mondo fu stabilito di introdurvi ad operarla l’Unigenito Figliuolo di Dio, Gesù Cristo. Si, anche allora con infinito amore furono pronunziate queste parole: Facciamo un aiuto, che rassomigli al Redentore e Salvatore del mondo: diamo a Gesù Cristo una compagna, che con Lui divida l’onore e la gloria di redimere e salvare il genere umano: Faciamus ex adiutorium simile sibi. Ed in vero sin dai primordi del mondo Iddio, coll’annunzio di Maria, risollevò l’animo dei nostri progenitori, avviliti sotto il peso della colpa e punì l’infernale serpente, loro seduttore: Io porrò inimicizia tra te e la donna, disse, tra il seme tuo ed il seme di Lei, ed Ella ti schiaccerà il capo. Venuta poscia la pienezza dei tempi, di Maria si servì Iddio per adempiere le sue promesse, per dare al mondo il sospirato di tutti i secoli, il desiderato di tutte le genti, per spandere in sulla terra una pioggia non interrotta di benedizioni temporali ed eterne secondo la sua antica parola ad Abramo: Et benedicentur in te cunctæ tribus terræ. Di Maria, già sua Madre, si valse Gesù medesimo per comunicare la grazia di santificazione al suo eccelso Precursore Giovanni Battista, movendola a recarsi nella casadi Zaccaria e di Elisabetta ed a rimanervi per ben tre mesi. Da Maria aspettò Gesù di essere pregato per operare il suo primo miracolo a confortodegli sposi di Cana in Galilea, per il quale un gran numero di persone credettero in lui e si misero per la via della salute, onde fosse a tutti manifesta la benefica influenza, che Ella doveva esercitare presso di Lui a vantaggio dei suoi devoti. A Maria nella persona del discepolo prediletto Egli affidò la cura, la protezione, la difesa de’ suoi seguaci; ed affinché agli Apostoli ed ai primitivi Cristiani fosse guida, maestra, consigliera e salvezza, lasciolla per più anni ancora sulla terra, sebbene già matura pel cielo. E tutto questo non dimostra chiaramente che Gesù Cristo volle associarsi la sua cara Madre nell’opera di nostra salute e che la fiducia, la consacrazione e divozione a Lei è da Lui medesimo riguardata come un pegno sicuro della nostra predestinazione? Sì, come Iddio si vale del ministero degli Apostoli e dei loro successori per illuminare le nostre anime con la luce della verità, come si vale del ministero degli Angeli per assisterci e custodirci in mezzo a tanti pericoli, come si vale del mezzo dei Sacramenti per comunicarci la grazia ed accrescerla in noi, così si compiace valersi dell’opera della Madre sua, della sua potenza, del suo amore, della sua intercessione per compiere nelle anime l’opera dell’eterna salute, sicché ben a ragione dice s. Giovanni Damasceno che l’essere devoti di Maria è un’arma di salute che Iddio dona a coloro, che vuol salvare: Tibi, o Maria, devotum esse est arma quædam salutis, quæ Deus dat illis quos vult salvos fieri. Or che vorremmo di più per essere certi dell’efficacia della consacrazione e divozione nostra a Maria?

II. — Ma poiché si tratta qui di una verità così importante, affinché non ci accada di prendere abbaglio vediamo un poco che cosa ne pensa la Chiesa. I suoi santi Padri, per cominciare da essi, si può dire che ad una voce hanno riconosciuto ed insegnato, che come il non avere punto stima ed amore per la Santissima Vergine è un segno infallibile di riprovazione, così per contrario è un segno infallibile di predestinazione essere a Lei interamente consacrati e devoti. Così pensano fra gli altri S. Agostino, S. Efrem, S. Cirillo, S. Germano, S. Giovanni Damasceno, S. Anselmo, S. Bernardo, S. Bernardino, S. Tommaso, S. Bonaventura, il pio Suarez, S. Francesco di Sales e S. Alfonso de Liguori: e sono del tutto ammirabili i sentimenti, i discorsi, gli esempi coi quali essi provano invincibilmente una tale loro asserzione. I Pastori delle anime poi, i Vescovi, i Pontefici soprattutto furono mai sempre così persuasi dell’efficacia della devozione e consacrazione a Maria per ottenere l’eterna salute, che messi dallo Spirito Santo a reggere quella Chiesa nella quale soltanto si può trovar la salute, ogni qual volta si avvidero che satana e i suoi seguaci cercavano con nuovi mezzi di rapire ai fedeli o il tesoro della fede, o quello della morale cristiana, facevano pronto ricorso a Maria e di nulla si mostravano maggiormente solleciti che di richiamare e riaccendere i fedeli all’amore ed alla divozione per Lei. E ciò fecero e fanno tuttora riconoscendo come la divozione a Maria è il gran mezzo per vincere i nemici di nostra eterna salute ed ottenerla con sicurezza non ostante le loro insidie. Ma di ciò non contenta la Chiesa, quasi che il suo sentimento non fosse abbastanza palese, che cosa fa Essa ancora? Nelle Messe composte ad onor della Vergine, nelle varie officiature ordinate per le sue feste è in un continuo esaltare la Vergine, siccome Colei da cui ci è venuto ogni bene e ce ne verrà ancora ogni altro che possiamo aspettarci, nel cantare che Maria è la cagione di nostra allegrezza, è la fonte delle grazie tutte, la porta per cui entriamo nel cielo, nel riguardarla come l’arca benedetta che scampa dal diluvio d’inferno quelli che in Lei si ricoverano, come la scala di Giacobbe per la quale dalla terra si sale con sicurezza al cielo, come la celeste Giuditta che scampa dalla morte eterna quanti ripongono in Lei la loro speranza, e finalmente nel mettere in bocca a Maria quelle parole così chiare e precise del libro della Sapienza: Qui me invenerit inveniet vitam et hauriet salutem a Domino. Qui elucidant me vitam æternam habebunt. Chi ha trovato me, ha trovato la vita ed attingerà dal Signore la salute: Quelli che mi amano, mi onorano e mi sono devoti avranno lavita eterna. Oh! potrebbe più efficacemente la Chiesa farci comprendere come Essa pensi e ritenga che la divozione e consacrazione a Maria Santissima è un pegno dei più sicuri della nostra predestinazione? Potrebbe Essa con più ardore animare i suoi figli a gettarsi fidenti nelle braccia di Maria, e consacrarsi del tutto a Lei, a professarle la più tenera divozione?

III. Del resto, per poco che si rifletta, si vedrà dalla ragione istessa non dover essere altrimenti. Lo stesso divin Redentore nel santo Vangelo ci dice che questo è che vale ad ottenerci la vita eterna, la conoscenza efficace di Dio e di Gesù Cristo, quella conoscenza che di Lui ci innamora e facendoci vivere in Lui e per Lui ci fa produrre frutti di eterna vita: Hæc est vita æterna, ut cognoscant te solum Deum verum, et quem misisti Jesum Christum (Io., XVII, 3). Ciò posto, che cosa vi ha di meglio ad ottenere questa unione con Dio, della divozione a Maria Santissima? Questa divozione anzitutto facendoci studiare le grandezze di Maria ci fa studiare necessariamente le grandezze di Gesù, che di quelle di Maria sono la radice e la fonte. Facendoci conoscere Gesù Cristo ci eccita ad amarlo, poiché è come impossibile conoscere quanto Gesù sia amabile e quanto ci abbia amato e non ricambiarlo del nostro amore. Facendoci amare Gesù ci sprona ad osservare esattamente la sua santa legge, perché, come dice un Santo, próbatio amoris exibitio est operis, la prova dell’amore è l’esibizione dell’opera, né si può amare veramente una persona senza conformarsi alla sua volontà. La divozione a Maria in secondo luogo eccitandoci ad imitare le sue perfezioni e le sue virtù, non solo ci fa praticare la legge di Dio, ma suscita in noi il santo desiderio di renderci perfetti e santi e ci induce a prendere per ciò tutti i mezzi necessari. E poiché uno di questi mezzi più efficaci si è la frequenza dei Sacramenti, è di questa per l’appunto che ci invoglia. Oh! questa divozione non permette che passi solennità sacra a Maria senza che ci accostiamo a ricevere nella santa Comunione il suo caro Gesù, quel caro Gesù che ha promesso la vita eterna a chi mangia la sua carne e beve il suo sangue, anzi ci incoraggia a riceverlo più spesso, ogni quindici, ogni otto giorni, più volte alla settimana ed i più ferventi anche tutti quanti i giorni. Or che vi ha di più utile della Comunione frequente per accrescere in noi la vita della grazia, per ascendere nella via della perfezione, per operare la nostra santità? E finalmente la divozione a Maria ci fa pregare; poiché non potrebbe chiamarsi devoto di Maria, chi non le dimostrasse almeno il suo affetto, nell’invocarla sovente con l’indirizzarle le sue preghiere. Ora una tal pratica conduce appunto a conseguire, per mezzo di Lei, l’eterna salute. Donde viene che la conversione della maggior parte dei peccatori non è duratura? Donde viene che uno ricade sì facilmente nel peccato? E donde viene ancora che la maggior parte dei giusti, invece di avanzare di virtù invirtù e di acquistare nuove grazie, perdono spesso quel po’ di virtù e di grazie che avevano? Questa disgrazia viene ordinariamente da ciò, che l’uomo, essendo sì corrotto, sì debole e sì incostante, si fida di sé stesso, si appoggia sopra le proprie forze e si crede capace senza l’aiuto divino di custodire da sé il tesoro delle sue grazie, delle sue virtù e de’ suoi meriti. Ma non è così che opera colui che prega Maria. Con la sola preghiera che costantemente le indirizza riconosce il suo nulla, la sua debolezza e la sua miseria, il bisogno continuo che ha dell’aiuto celeste, e per questo appunto si diporta umilmente al cospetto di Dio, riceve con abbondanza le sue grazie e fra le altre quella della perseveranza finale. Poiché, come dice S. Agostino, la perseveranza si ottiene davvero col domandarla quotidianamente e non in altro modo, e quotidianamente la domanda colui, che, devoto di Maria, le ripete ogni giorno ed anche più volte al giorno: Ora prò nobis nunc et in hora mortis nostræ. Con somma gioia pertanto possiamo conchiudere con la sentenza consolantissima di Guerrico abate, riferita da S. Alfonso de Liguori nelle Glorie di Maria, con la quale si dà precisamente ai suoi devoti la sicurezza della loro eterna salute: QUI VIRGINI FAMULATUR ITA SECURUS EST DE PARADISO AC SI ESSET INPARADISO. Chi si dedica a servir Maria, chi si consacra a Lei, si tenga così certo di ottenere per mezzo suo la gloria eterna del cielo, come se già entrato in quella città, si trovasse al possesso di quei gaudi sempiterni. Oh sentenza! Oh parole! Perché non mi è dato di scriverle sulle mura di tutte le case, sugli angoli di tutte le vie, sui frontoni di tutte le chiese, e più ancora nel cuore di tutti gli uomini? Le stamperemo per lo meno in tutte le anime nostre, e con queste parole in cuore cominceremo oggi a consacrarci a Maria in un modo più perfetto che non abbiamo fatto per il passato, a Lei daremo il nostro corpo con i suoi sensi, la nostra anima con le sue potenze, il nostro cuore co’ suoi desideri ed affetti, a Lei tutto quel po’ di bene che abbiamo fatto per il passato e tutto quello che speriamo di fare per l’avvenire; e nel darci tutti interamente a Lei, prometteremo sinceramente di voler essere sempre per tutta la nostra vita suoi veri devoti, di amarla con tutta l’espansione del nostro cuore, di lodarla e di benedirla, di farla amare, lodare e benedire da quanti cuori e lingue ci sarà possibile, per poter poi al fine amarla, lodarla e benedirla per tutta la eternità.

FIORETTO.

Consacrare interamente e per sempre il nostro cuore a Maria.

GIACULATORIA.

O Maria, porta del cielo, pregate per noi.

Maria, Janua caeli, ora prò nobis.

Esempio e preghiera.

Oh quanto è bella e lodevole la pratica di quei genitori, che, non appena ebbero da Dio qualche figliuolo, lo consacrano a Lui ed alla SS. Vergine sua Madre! La madre di S. Andrea Corsini l’offerse a Maria prima ancora che nascesse. E ciò può riguardarsi come il motivo della sua santità. La notte innanzi alla sua nascita, a Pellegrina, madre di lui, parve in sogno che nascesse un lupo, il quale poi entrando in una chiesa tosto si tramutasse in agnello. Or bene il sogno non fu contrario alla realtà. Infatti Andrea, sebbene piamente educato, negli anni della gioventù urtò nello scoglio fatale delle vanità mondane, e messosi con cattivi compagni si abbandonò interamente ad una vita viziosa. La sua buona madre, in sull’esempio di Santa Monica, madre di S. Agostino, piangeva e pregava, non tralasciando di fare al figlio i più aspri rimproveri, ma sempre tralasciando di fare al figlio i più aspri rimproveri, ma sempre indarno. Un giorno lasciandosi trasportare dalla sua grande afflizione: figlio mio, gli disse con le lagrime agli occhi, tu sei veramente quel lupo, del quale io mi sognai. A che giova, che io ti abbia consacrato a Maria, se tu tanto la disonori e l’affliggi con la tua vita di scandalo? Queste parole pronunciate con una energia ed una pena insolita furono la spada, che trafisse a compunzione il cuor di Andrea. La notte seguente non poteva pigliar sonno, e tornandogli sempre in mente le parole di sua madre, andava seco ripetendo: Dunque io fui consacrato a Maria…? Maria è la mia Regina e la mia Madre…. ? Ed io non vorrò essere suo servo e suo figlio? Ah!…. sì, sì…. lo voglio, lo voglio. Appena spuntato il giorno si alzò e si portò subito alla chiesa dei Carmelitani e prostratosi dinnanzi all’altar di Maria, la supplicò ardentemente ad aiutarlo per potere da lupo rapace convertirsi sinceramente in mansueto agnello. Maria lo esaudì e d’allora in poi con una vita piena di fervore e di penitenza si fece santo. Ed ecco ciò, che con sicurezza possiamo fare anche noi, consacrandoci oggi a Maria e risolvendo di volere d’ora innanzi praticare costantemente e sinceramente la sua devozione. Vi può essere adunque chi si rifiuti per questo atto e per questa promessa? Ah! pensiamo e seriamente pensiamo, che alla fin fine una cosa sola importa: salvare eternamente l’anima nostra. Tutto il resto, piaceri, onori, ricchezze, a nulla giova e non è altro che vanità delle vanità ed afflizione di spirito. Se salviamo l’anima tutto è salvo, quando anche avessimo perduto ogni cosa in questo mondo; ma se perdiamo l’anima, tutto è perduto, quando anche avessimo guadagnato in questa vita il mondo intero. Ma questo affare così decisivo ed irreparabile dipende ora interamente da noi. È in nostro potere il procacciarci la eterna salute e lo scampare dalla eterna dannazione. Basta che noi ci consacriamo a Maria e sinceramente le siamo devoti. Questa sincera divozione per lei è veramente la nostra Porta del Cielo, quella porta, per la quale entreremo un giorno con tutta certezza nel bel paradiso ad essere felici in eterno. Oh! se è adunque così, non tardiamo più un istante. Tutti col più vivo slancio di amor filiale assecondiamo l’amoroso invito, che Maria istessa ci fa, di offrire e consacrare a Lei il nostro cuore per tutta la vita: Præbe, fili mi, cor tuum mihi. Con un atto vigoroso della nostra volontà mondiamolo da ogni affetto terreno, purifichiamolo e rendiamolo meno indegno che sia possibile della nostra cara Madre Maria; e prendendolo tutti nelle nostre mani, prostrati ai piedi di Lei, mettiamolo con grande fiducia nelle mani sue, recitando tutti insieme questo:

ATTO DI OFFERTA E DI CONSACRAZIONE

O Maria, Vergine Santissima, Madre di Dio e Madre nostra, nostra corredentrice, nostra avvocata e nostra salute, aiuto, consolazione e rifugio nostro, nostra vera porta del cielo, eccoci dinnanzi a Voi per offrirci al vostro servizio, per consacrarci interamente a Voi e per promettervi sinceramente di essere sempre tutti vostri. Nell’esaminare le vostre grandezze, nel considerare le vostre virtù, nel riconoscere la vostra bontà e la vostra potenza, noi ci siamo fermamente convinti, che è proprio per Voi, che passano tutte quante le grazie del vostro Figliuolo e che per conseguenza è per Voi, che noi abbiamo a conseguire la nostra eterna salvezza. A Voi adunque interamente ci affidiamo e ci appigliamo al vostro più vivo amore ed alla vostra più sincera devozione. E qual pegno di nostra solenne promessa, eccovi, o Maria, il nostro povero cuore. Sì, pur troppo, esso non è degno di Voi; ma Voi siete Madre e come Madre non lo respingerete, benché sì meschino e sì spoglio di meriti. Prendetelo adunque, e ponetelo, vi preghiamo, vicino al cuor vostro e non permettete che più mai si allontani da Voi. A Voi dappresso si infiammerà ognora più d’amore per Voi e pel vostro Figliuolo Gesù, e vi diventerà sempre più accetto. Ed ora, o Maria, con la vostra materna benedizione confermate questi nostri propositi e tutto quel bene, che vi siete degnata di operare in noi durante questo passato mese di Maggio. Benedite le nostre considerazioni, i nostri affetti e i nostri pensieri per Voi; benedite le nostre preghiere, i nostri ossequi, le nostre pratiche di pietà; benedite i consigli, le industrie, gli eccitamenti, di cui abbiamo fatto uso per animare altri ad amarvi; benedite tutto quel poco che abbiamo fatto per voi, affinché adorno della benedizione vostra tutto ascenda al trono di Dio come incenso gradito in odore di soavità. Benedite ancora, o Maria, il nostro corpo e l’anima nostra, i nostri interessi materiali e spirituali, benediteci nel tempo e nella eternità.

Nos cum prole pia benedicat Virgo Maria.

FESTA DELL’ASCENSIONE (2019)

NELLA FESTA DELL’ASCENSIONE [2019]

Incipit

In nómine Patris, ☩ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Acta I: 11.
Viri Galilæi, quid admirámini aspiciéntes in cœlum? allelúia: quemádmodum vidístis eum ascendéntem in coelum, ita véniet, allelúia, allelúia, allelúia.[Uomini di Galilea, perché ve ne state stupiti a mirare il cielo? allelúia: nello stesso modo che lo avete visto ascendere al cielo, così ritornerà, allelúia, allelúia, allelúia].

Ps XLVI: 2
Omnes gentes, pláudite mánibus: iubiláte Deo in voce exsultatiónis.
[Applaudite, o genti tutte: acclamate Dio con canti e giubilo.]

Viri Galilæi, quid admirámini aspiciéntes in cœlum? allelúia: quemádmodum vidístis eum ascendéntem in cœlum, ita véniet, allelúia, allelúia, allelúia.

[Uomini di Galilea, perché ve ne state stupiti a mirare il cielo? allelúia: nello stesso modo che lo avete visto ascendere al cielo, così ritornerà, allelúia, allelúia, allelúia].

Oratio

Orémus.
Concéde, quǽsumus, omnípotens Deus: ut, qui hodiérna die Unigénitum tuum, Redemptórem nostrum, ad coelos ascendísse crédimus; ipsi quoque mente in coeléstibus habitémus. [Concedici, Te ne preghiamo, o Dio onnipotente, che noi, che crediamo che oggi è salito al cielo il tuo Unigenito, nostro Redentore, abitiamo anche noi col nostro spirito in cielo].

Lectio

Léctio Actuum Apostólorum.Act 1:1-11
Primum quidem sermónem feci de ómnibus, o Theóphile, quæ coepit Iesus facere et docére usque in diem, qua, præcípiens Apóstolis per Spíritum Sanctum, quos elégit, assúmptus est: quibus et praebuit seípsum vivum post passiónem suam in multas arguméntis, per dies quadragínta appárens eis et loquens de regno Dei. Et convéscens, præcépit eis, ab Ierosólymis ne discéderent, sed exspectárent promissiónem Patris, quam audístis -inquit – per os meum: quia Ioánnes quidem baptizávit aqua, vos autem baptizabímini Spíritu Sancto non post multos hos dies. Igitur qui convénerant, interrogábant eum, dicéntes: Dómine, si in témpore hoc restítues regnum Israël? Dixit autem eis: Non est vestrum nosse témpora vel moménta, quæ Pater pósuit in sua potestáte: sed accipiétis virtútem superveniéntis Spíritus Sancti in vos, et éritis mihi testes in Ierúsalem et in omni Iudaea et Samaría et usque ad últimum terræ. Et cum hæc dixísset, vidéntibus illis, elevátus est, et nubes suscépit eum ab óculis eórum. Cumque intuerétur in coelum eúntem illum, ecce, duo viri astitérunt iuxta illos in véstibus albis, qui et dixérunt: Viri Galilaei, quid statis aspiciéntes in coelum? Hic Iesus, qui assúmptus est a vobis in coelum, sic véniet, quemádmodum vidístis eum eúntem in coelum.

OMELIA I

[Mons. G. Bonomelli: MISTERI CRISTIANI, Queriniana Brescia, 1896 vol. II, impr.]

“Io primieramente ho trattato, o Teofìlo, delle cose che Gesù prese a fare e ad insegnare in fino al dì, ch’Egli fu accolto in alto, dopo aver dato i suoi comandi per lo Spirito Santo agli Apostoli ch’Egli aveva eletti. Ai quali ancora, dopo aver sofferto, si presentò vivente, con molte e sicure prove, essendo da loro veduto per lo spazio di quaranta giorni e ragionando con essi delle cose del regno di Dio. E trovandosi con essi, comandò loro che non si partissero da Gerusalemme, ma aspettassero la promessa del Padre, che, diss’Egli, avete da me udita. Perocché Giovanni battezzò con acqua, ma voi sarete battezzati con lo Spirito Santo fra pochi giorni. Essi adunque, stando con Lui, lo domandarono, dicendo: Signore, sarà egli in questo tempo, che tu restituirai il regno ad Israele? Ma Egli disse loro: Non spetta a voi conoscere i tempi e le stagioni, che il Padre serba in poter suo. Ma voi riceverete la virtù dello Spirito Santo, che verrà sopra di voi e mi sarete testimoni e in Gerusalemme e in tutta la Giudea e nella Samaria e fino alle estremità della terra. E dette queste cose, levossi a vista loro: e una nuvola lo ricevette e lo tolse agli occhi loro. E com’essi tenevano ancora fissi gli occhi in cielo, mentre se ne andava, ecco due uomini si presentarono loro in candide vesti e dissero loro: Uomini Galilei, perché state riguardando verso il cielo? Questo Gesù che è stato accolto in cielo d’appresso voi, verrà nella stessa maniera che l’avete veduto andarsene in cielo” -. (Atti Apostolici, 1. I, 11). –

In questi primi undici versetti, che leggiamo nel principio del libro degli Atti Apostolici, che la Chiesa oggi fa recitare al sacerdote celebrante la Santa Messa e che ora vi ho riportato parola per parola nella nostra favella, S. Luca ci narra l’Ascensione di Gesù Cristo al Cielo. È il fatto strepitoso, è il mistero che la Chiesa festeggia in questo giorno, col quale si chiude la vita di Gesù Cristo quaggiù sulla terra. Mio compito è quello di ragionarvi di questo fatto: e qual miglior modo di sdebitarmene che quello di commentare la lezione sacra, che udiste? Eccovi il soggetto di questa, anziché Ragionamento, modesta Omelia, a cui vi piaccia porgere benigno l’orecchio. – S. Luca, nato nel gentilesimo, fornito di coltura greca più che comune, fu medico di professione. Abbandonò il paganesimo e abbracciò il Vangelo di Gesù Cristo per opera di S. Paolo, che seguì fedelmente ne’ suoi viaggi di terra e di mare fino a Roma, dove si trovava allorché l’Apostolo scrisse la sua seconda lettera a Timoteo, poco prima della morte. (II Tim. V. 11). S, Paolo si loda di lui e lo chiama carissimo. (Ai Coloss. IV, 12). Egli scrisse il suo Vangelo come l’aveva udito da S. Paolo e lo scrisse in lingua greca, allora abbastanza conosciuta in tutto l’Oriente e a Roma e lo scrisse per uso di quei Cristiani, che prima erano stati gentili. Dopo aver scritto il Vangelo pose mano a scrivere il libro, che porta il titolo Atti o Gesta degli Apostoli, particolarmente di S. Paolo, giacché la seconda metà del libro si restringe esclusivamente a narrare le opere di lui: cosa affatto naturale, essendo egli stato suo discepolo e compagno e testimonio di ciò che narra. Cominciando questo libro, lo lega col Vangelo, che prima aveva scritto e che racchiude per sommi capi la storia di circa trent’anni. Questo libro fa seguito al Vangelo e ci descrive l’origine della Chiesa e, come voleva la natura delle cose, si apre col racconto della Ascensione di Gesù Cristo, accennata appena nell’ultimo capo del Vangelo. Uditene il prologo: Primieramente, o Teofilo, ho ragionato di tutte le cose, che Gesù prese a fare e ad insegnare fino al giorno, nel quale, dati per lo Spirito Santo i suoi comandi agli Apostoli, da Lui eletti, levossi al cielo. S. Luca rivolge la parola a Teofilo. Chi è desso codesto Teofilo, al quale S. Luca si indirizza eziandio a principio nel suo Vangelo? Sembra fuori di dubbio che fosse un personaggio distinto, che aveva dato il suo nome a Gesù Cristo e la cui vita doveva rispondere al nome che portava, e che in nostra lingua significa Amatore di Dio. Gli ricorda il libro del Vangelo, che gli aveva mandato e nel quale aveva compendiato le opere e la dottrina di Gesù Cristo. – Quæ cœpit Jesus facere et docere. Ecco che cosa è il Vangelo: il compendio delle cose fatte e insegnate da Gesù Cristo; dal che è facile inferire che nel Vangelo le opere e la dottrina di Gesù Cristo non sono riferite tutte, ma le principali e per sommi capi. A ragione poi gli interpreti fanno osservare che S. Luca, compendiando la vita di Gesù Cristo nel Vangelo, alle parole di Lui manda innanzi le opere: – Cœpit facere et docere -. Prima fece e poi insegnò! E in vero: le opere sono assai più eloquenti delle parole e gli uomini apprendono più assai da quelle, che da queste: le parole non costano gran sacrificio, ma lo impongono spesso assai grave le opere. E poi, a che valgono le parole se non sono accompagnate dalle opere? Ciò che valgono le frondi senza i frutti; ed è per questo che di Gesù si dice che cominciò a fare e dopo ad insegnare. Imitiamolo, affinché gli uomini vedano le opere nostre e vedendole sollevino la mente a Dio e gli rendano lode. – Io, scrive S. Luca, vi ho narrata nel mio Vangelo la vita di Gesù dal suo miracoloso concepimento fino alla sua dipartita dalla terra, fino a quel dì nel quale, andandosene al Cielo, lasciò i suoi comandi agli Apostoli e li costituì esecutori dei suoi voleri. Quali siano questi comandi e quali i voleri di Gesù Cristo si fa manifesto dal Vangelo istesso, dove sono determinati. E badate bene, soggiunge S. Luca, che questi comandi sono dati da Lui, che come fu concepito per virtù dello Spirito Santo, cosi tutto fa e dice per virtù dello stesso Spirito Santo, di cui possiede la pienezza. I quali comandi e voleri manifestò a quegli Apostoli che elesse Egli medesimo e ammaestrò di sua bocca. Non è senza ragione e profonda che S. Luca, nominati gli Apostoli, volle tosto soggiungere quelle due parole: – Quos elegit – I quali egli elesse -. Scopo del libro è di far conoscere le opere compiute dagli Apostoli e singolarmente da San Paolo e quindi di mettere in rilievo l’organismo della Chiesa primitiva. Importava adunque che si facesse conoscere in chi risiedeva il potere di reggere quella Chiesa e da chi era dato; e S. Luca ce lo mostra negli Apostoli e qui ci dice ch’essi l’ebbero da Cristo, che li elesse. È questa, o cari, una verità che vuolsi spesso ricordare e inculcare in questi tempi, nei quali si tende a collocare la radice del potere nella moltitudine. Checché sia del potere civile, di cui non parlo, il potere della Chiesa viene dall’alto, deriva di Cristo e da Lui passa negli Apostoli e dagli Apostoli nei suoi successori fino al termine dei tempi, perché Egli li elesse ed eleggendoli li investì di quel potere, che non riceve da chicchessia,, ma trae da se medesimo. – Fino al giorno nel quale fu assunto in Cielo – E da chi fu assunto Egli, Gesù Cristo? Non da altri fuorché dalla sua stessa onnipotenza, perché Egli era Dio eguale in ogni cosa al Padre; il perché la frase – Egli fu assunto in Cielo – vuolsi riferire alla natura umana, che aveva assunto, non alla sua divina Persona, che essendo immensa e onnipotente non può né salire, né discendere e per agire non ha bisogno di qualsiasi forza a sé estranea. Il sacro scrittore prosegue e in un versetto solo riassume la vita di Gesù Cristo, dalla sua Risurrezione alla sua Ascensione così: – Ai quali Apostoli, dopo la Passione, si era eziandio mostrato redivivo per lo spazio di quaranta giorni in molte maniere, parlando loro del regno di Dio -. Il punto capitale della vita di Gesù Cristo e la prova massima della sua divina missione, era senza dubbio il fatto della sua Risurrezione e questa, dice S. Luca, non poteva essere più certa e più splendida. Per il periodo di quaranta giorni si mostrò redivivo ai suoi Apostoli e nei modi più svariati per dileguare ogni ombra di dubbio. Si mostrò alle donne, a Pietro, a Giacomo separatamente, a due discepoli lungo la via di Emmaus, a sette sulle rive del lago di Tiberiade, a dieci e poi ad undici insieme raccolti nel Cenacolo di Gerusalemme; poi finalmente allorché salì al Cielo fu visto da circa cento e venti persone [S. Luca, narrata la Ascensione di Gesù Cristo, dice che gli Apostoli (e dà il nome di tutti undici) insieme con Maria e le donne si raccolsero nel Cenacolo in Gerusalemme, e tra parentesi aggiunge: – Che erano circa 120 -. Dal contesto sembra chiaro che questi 120 furono sul colle degli Olivi spettatori della Ascensione di Cristo. Si noti poi che gli Ebrei, allorché danno il numero delle persone, non comprendono mai le donne, ed altra volta, che San Paolo afferma in modo solenne senza specificare il luogo e il modo, mostrossi insieme a cinquecento fratelli (I. Cor. XV. 6). Con loro parlò, con loro mangiò; volle che gli toccassero le mani e il costato perché si accertassero essere ben Egli il loro Maestro risuscitato, non ombra o spirito. La sua Risurrezione, considerata la lunghezza del tempo, la varietà delle apparizioni e delle prove e tenuto conto del numero dei testimoni, poteva ella essere più manifesta e più accertata? Mi appello a voi. – In tutte codeste apparizioni Gesù Cristo più o meno lungamente si trattenne e naturalmente parlò con gli Apostoli e con quanti erano presenti. E di quali cose parlò Egli con essi? Se noi scorriamo i quattro Evangeli e questo primo capo degli Atti Apostolici, troviamo alcuni cenni intorno alle cose che Gesù disse loro; ma ogni ragione vuole ch’Egli parlasse loro e ampiamente di tutto ciò che loro importava conoscere nell’esercizio dell’altissima missione loro affidata. S. Luca, con due sole parole, accenna il soggetto di queste istruzioni, che Gesù dava agli Apostoli e che dovevano essere la regola della loro condotta privata e specialmente pubblica, dicendo: – Loquens de regno Dei – Parlando del regno di Dio -. Qual regno di Dio? Certamente il regno di Dio sulla terra, cioè la Chiesa, che è la preparazione e il mezzo necessario per entrare nel regno di Dio, il Cielo e la vita beata. Ma se lo Scrittor sacro con estremo laconismo indicò l’argomento dei discorsi di Cristo con gli Apostoli in genere, non li significò in particolare, rimettendosi in questo alla tradizione orale. E qui riceve nuova e gagliarda prova la Dottrina Cattolica, che professa la Scrittura santa non contenere tutto l’insegnamento di Gesù Cristo, ma questo aversi pieno e perfetto nella tradizione orale. Dicano i fratelli nostri protestanti quante e quali furono le cose dette da Gesù Cristo agli Apostoli e comprese in quelle tre parole – Loquens de regno Dei? – E dovevano essere cose d’alto momento e perché venivano da tanto Maestro e perché riguardavano l’opera di Lui per eccellenza, la Chiesa, e perché  erano gli ultimi ricordi che loro lasciava. L’insegnamento orale adunque degli Apostoli e della Chiesa devesi considerare come il complemento non solo utile, ma necessario di. quello che abbiamo nei Libri Santi. – S. Luca nel versetto che segue ci fa sapere qual fu uno degli argomenti di queste conversazioni od istruzioni di Gesù Cristo, scrivendo: – Stando insieme a mensa, comandò loro non si dipartissero da Gerusalemme, ma vi aspettassero la promessa del Padre, che voi avete udito (disse) dalla mia bocca -. Dovevano fermarsi in Gerusalemme finché fosse adempiuta la promessa che Egli stesso aveva fatta a nome suo e del Padre – di mandare loro lo Spirito Santo. E perché  fermarsi in Gerusalemme? Perché là e non altrove, Gesù Cristo vuole che ricevano lo Spirito Santo? Perché là dove Gesù Cristo patì e morì, là se ne vedesse il primo frutto: perché là dove sul vertice della sua croce fu posta per ischerno la scritta: – Questi è il Re dei Giudei -, là cominciasse il suo regno, regno di tutti i secoli. Perché là dove Gesù Cristo lasciava i suoi Apostoli, là ricevessero lo Spirito consolatore, che doveva tenerne il luogo e continuarne l’opera. Perché là dove Gesù Cristo con la sua morte aveva posto fine alla legge mosaica, lo Spirito Santo proclamasse la nuova legge e dal centro della Sinagoga uscisse la Chiesa, che ne era la meta ed il termine. Accennata la promessa dello Spirito Santo che sarebbe disceso sugli Apostoli, Gesù ne tocca gli effetti, chiamando quella comunicazione miracolosa: Battesimo e altrove Battesimo di fuoco – Giovanni battezzò con l’acqua, dice Cristo, e voi sarete battezzati con lo Spirito Santo fra pochi giorni -. – Giovanni, così il divin Salvatore, battezzava il popolo sulle rive del Giordano, e voi ed Io con voi vi andammo. Che Battesimo era quello? Battesimo con acqua: esso, per sé, non mondava l’anima, ma solo il corpo. Per esso voi vi riconoscevate peccatori, bisognevoli di purificazione: esso non infondeva grazia alcuna nelle anime vostre; vi eccitava soltanto a desiderarla, destandovi la fede in Lui, che Giovanni annunziava e che ora vi parla. Voi ora siete mondi in virtù della mia parola: nell’anima vostra alberga la mia grazia e con essa il germe della vita divina. Ma la missione, che siete per cominciare domanda una forza più gagliarda, una vita più potente, un novello Battesimo, non di acqua, ma di fuoco e l’avrete tra pochi giorni -. È chiaro che Gesù Cristo in questo luogo col nome di Battesimo nello Spirito Santo designa la venuta dello Spirito Santo e la trasformazione operata negli Apostoli il giorno delle Pentecoste e la designa con questo nome perché vi è una certa somiglianza col Battesimo di acqua. Questo si riceve una sola volta e una sola volta in modo sensibile lo Spirito Santo discese sugli Apostoli: questo depose nell’anima una vita nuova, che si svolse nella vita cristiana, stampando in essi un segno incancellabile: e lo Spiritò Santo depose in essi una nuova energia, che si svolse nelle opere tutte dell’Apostolato. – Ma ritorniamo alla narrazione di S. Luca, il quale riporta una domanda degli Apostoli a Gesù, la quale se da una parte dimostra la semplicità e, diciamolo pure, la ignoranza degli Apostoli, dall’altra mette in piena luce la divinità del divino Maestro verso di loro e prova insieme l’ammirabile sincerità del sacro scrittore. Uditela: – Intanto i convenuti colà lo interrogarono dicendo: Signore, restituirai tu forse in questo tempo il regno ad Israele? – Per comprendere questa domanda, che sembra a noi molto strana, conviene conoscere le idee che allora fermentavano nel popolo giudaico non meno che nei suoi capi, alle quali naturalmente gli Apostoli non potevano essere estranei. E tanto più conviene conoscere queste idee, delle quali gli Apostoli si fanno interpreti presso del Maestro in quanto che esse ci danno la chiave per spiegare la terribile apostasia della nazione e la catastrofe che ne seguì. Scorrete i libri dell’antico Testamento e particolarmente i Salmi ed i Profeti: in moltissimi luoghi si promette il Messia e sotto le più svariate forme lo si presenta e si descrive. Si predicano, è vero, le sue umiliazioni, i suoi dolori, la sua morte in modo che sembrano una storia piuttostoché una profezia; ma lo si dipinge pure come un re potentissimo, un gran duce vincitore, un conquistatore glorioso, che strapperà il suo popolo dalle mani dei nemici, che lo rivendicherà a libertà e stenderà il suo scettro pacifico su tutta la terra. Che ne avvenne? Ciò che doveva avvenire in un popolo sì fiero della propria indipendenza, orgoglioso, tenacissimo e che dopo le terribili prove, da cui era uscito contro i Babilonesi e contro i re Siri, al tempo dei Maccabei, fremevano sotto il giogo romano. Come gli individui e più degli individui i popoli hanno il loro amor proprio, il loro egoismo nazionale, che può toccare i gradi estremi. Gli Ebrei tenevano salda la speranza del futuro Liberatore, del quale parlavano i profeti, i riti ed i simboli in tante forme rappresentavano; l’aspettavano, lo desideravano ardentemente. Ma la loro natura grossolana, il desiderio ardentissimo di scuotersi dal collo l’abbominata signoria straniera e l’orgoglio nazionale fecero sì che nel Messia promesso, nel Liberatore annunziato dai Patriarchi e dai Profeti, più che il Liberatore delle anime vedessero il liberatore dei corpi, più che il Redentore del mondo aspettassero il vindice della nazione, un Davide glorioso, un Maccabeo restauratore di Israele. Foggiatasi questa idea bizzarra e falsissima del Messia, che accarezzava il loro orgoglio e rispondeva alle condizioni politiche sì dolorose ed umilianti della nazione, è facile immaginare come i Giudei dovessero accogliere Gesù Cristo, che annunziava un regno spirituale, che voleva si rendesse a Cesare ciò che era di Cesare e che mandava in fumo le speranze di libertà e grandezza temporale, che si aspettavano. È questa la causa precipua della cecità de’ Giudei e del ripudio di Cristo e che trasse in rovina la nazione intera. Terribile lezione. che troviamo ripetuta sventuratamente anche in alcuni popoli cristiani! Perché l’Oriente ai tempi di Fozio e poi di Michele Cerulario si separò da Roma e cadde nello scisma e nella eresia, in cui giace ancora? La causa principale fu l’orgoglio nazionale dei Greci, ai quali pareva una umiliazione ubbidire al Pontefice di Roma e sottostare ai Latini. Perché la maggior parte della Germania consumò la sua separazione dal centro dell’unità cattolica, che risiede in Roma? Vuolsi ascriverne la causa principale alla gelosia nazionale: ai fieri Germani mal sapeva ricevere la legge da Roma, a loro, figli di Arminio. Perché l’Inghilterra ruppe i vincoli, che da secoli la tenevano unita a Roma? Perché le parve a torto minacciata la sua indipendenza nazionale. Se bene si guarda quasi tutti gli scismi e quasi tutte le grandi eresie, che desolarono la Chiesa, ebbero la loro funesta radice nel sentimento esagerato e male inteso della dignità e grandezza nazionale. È una prova tremenda per un popolo il sospetto, il solo timore, che gli interessi religiosi possano offendere il sentimento patriottico: nella lotta vera o immaginaria che sia v’è un grande pericolo, che il popolo agli interessi del Cielo anteponga i terreni e respinga una Chiesa od una Religione che gli sembra domandare il sacrificio della patria e tanto più grande è il pericolo quanto più ardente è l’amore della patria stessa. Ma guai a quel popolo che si lascia accecare! L’esempio d’Israele è là sotto gli occhi del mondo intero. Torniamo al sacro testo. – Gli Apostoli, benché poveri figli del popolo, rozzi pescatori, nati e cresciuti sugli estremi confini della nazione, ai piedi del Libano e lontani dal centro d’Israele, Gerusalemme, dove batteva il cuore della nazione e ardeva il focolare del patriottismo, non erano estranei alle speranze comuni, né insensibili al fremito del popolo. L’uomo nasce e vive patriota e tutto ciò che suona onore, libertà e grandezza della patria, trova sempre aperta la via del suo cuore e se vi è uomo, in cui l’amore della patria non trova eco, dite pure che è un miserabile, un essere degradato. Era dunque naturale che gli Apostoli, anime rette, forti e generose, ancorché prive d’ogni coltura, sentissero vivo l’amore della patria e partecipassero al sentimento comune, spingendolo fino al pregiudizio fatale di assegnare al Messia, e per conseguenza a Gesù Cristo, la missione di liberatore dal giogo straniero. E che gli Apostoli tutti fossero vittima di questo pregiudizio comune, figlio d’un patriottismo male inteso, e ciò fino alla Ascensione di Gesù Cristo al Cielo, apparisce in modo indubitato dalla domanda che ingenuamente e non senza qualche peritanza, gli mossero: – Signore, restituirai tu forse in questo tempo il regno ad Israele? – La domanda è fatta in modo, che sembra deliberata in comune, riserbata in sull’ultimo come cosa gravissima, nella speranza che il Maestro ne parlasse anche non richiesto e concepita in termini che esprimono l’angustia e l’incertezza dell’animo loro. Qual fu la risposta di Gesù? È semplicissima e l’avete udita. Egli, il divino Maestro, li lascia dire e li ascolta. Non una parola di stupore, non un accento solo di rimprovero per tanta ignoranza, dopo sì lungo tempo di scuola avuta da Lui, e tanta ignoranza sopra un punto capitale, che riguardava il fine della divina sua missione. Quanta benignità! Quanta carità con questi suoi cari Apostoli! Egli, vedendo le loro menti ingombre di sì gravi pregiudizi, tace e dissimula e non si prova nemmeno a dissiparli, perché non l’avrebbero compreso. Aspetta che il tempo e la luce che tra breve getterà nelle loro menti lo Spirito Santo, li rischiarino e mettano fine ai loro dubbi. Grande e sublime lezione per tutti e particolarmente per quanti hanno l’ufficio di ammaestrare il popolo! Quante volte accade di trovare persone piene di errori, che non si arrendono alle dimostrazioni più evidenti, che non sanno spogliarsi di certi pregiudizi succhiati col latte, che chiudono gli occhi della mente a verità chiarissime! Che fare? Talvolta sono vittime della educazione, dell’ambiente, come si dice, delle correnti popolari, di passioni per sé non sempre spregevoli. Combatterle risolutamente a viso aperto sarebbe forse cosa vana e talora anche nociva, perché ecciterebbe più vive le passioni facendosi l’amor proprio offeso loro patrocinatore. In molti casi giova tacere, dissimulare, attendere che le passioni sbolliscano, che il tempo ammaestri, e non è raro il caso che le menti si aprano da se stesse alla luce di quelle verità che prima si erano fieramente rigettate. L’esempio di Cristo lo prova. Egli lasciò cadere la domanda; non negò, né affermò; ma, riconducendo la mente dei suoi diletti Apostoli a ciò che maggiormente importava e dalle cose temporali richiamandoli, come sempre soleva fare, alle celesti, rispose: – Non spetta a voi conoscere i tempi e le congiunture, che il Padre ha serbato in sua balìa. – Che fu un dire: a che fermate il vostro pensiero sulle sorti future del regno d’Israele? Voi non potete mutarle; esse sono nelle mani di Dio, che solo le conosce e le regola nella sua sapienza. Ad altra impresa e troppo più alta e importante voi siete chiamati: di questa vi occupate, che è vostra, e quell’altra rimettete al divino volere. – Del resto qual era la sorte riserbata alla nazione giudaica e nominatamente alla sua capitale, Gerusalemme, cinquanta giorni innanzi l’aveva detto e descritto coi colori più vivi e la memoria doveva essere ancor fresca negli Apostoli. Non aveva lor detto, pochi giorni prima della sua passione, che sarebbe scoppiata una guerra sterminatrice con rivolte e tumulti? Non aveva chiaramente annunziato un assedio terribile, la presa della città, la distruzione del tempio, sì che non ne sarebbe rimasta pietra sopra pietra e ammonitili che fuggissero ai monti per non essere involti nella catastrofe? In quella profezia sì chiara e particolareggiata, che non potevano aver dimenticata, perché recentissima, si conteneva la risposta alla domanda: – È questo il tempo, nel quale restituirai il regno ad Israele? – Ma non è inutile il ripeterlo, quando un pregiudizio è profondamente abbarbicato nell’animo non valgono le ragioni più evidenti a svellerlo, ed è saggezza aspettare il beneficio del tempo e della esperienza, come fece Cristo, il quale, messo da banda questo argomento affatto umano e che allora non interessava, continuò, dicendo: – Piuttosto voi riceverete la potenza dello Spirito Santo, il quale verrà sopra di voi -. Ben altro regno che quello temporale d’Israele, del quale mi fate domanda, si deve fondare e tosto e per opera vostra. E come e quando? Appena avrete ricevuto lo Spirito Santo, che vi riempirà della sua forza divina tra pochi giorni e trasformandovi in altri uomini, vi renderà strumenti atti all’ardua impresa; e allora, da Lui supernamente illustrati, comprenderete qual sia il regno, ch’Io sono venuto a stabilire, regno della verità, regno dell’anime, che comincerà qui in Gerusalemme, si allargherà in tutta la Giudea e nella Samaria, che sono i confini del regno d’Israele, di cui parlate, e poi si distenderà fino agli estremi della terra. In tal modo Gesù Cristo accenna alla differenza immensa, che corre tra l’angusto e temporal regno sognato dagli Apostoli e quello senza confini e spirituale, ch’Egli per opera loro avrebbe fondato e implicitamente risponde alla domanda, che gli avevano fatta: – In questo tempo restituirai tu il regno ad Israele? – E qui cade in acconcio toccare alcune verità, che non sono senza importanza. E primieramente osservate tracciato agli Apostoli l’ordine della loro predicazione: essi dovevano cominciare la loro missione in Gerusalemme, poi spandersi nella Giudea, poi portarla in Samaria, che è quanto dire annunziare prima la buona novella ai figli di Abramo disseminati sul territorio delle dodici tribù, pigliando le mosse dalle due rimaste fedeli. Compiuta questa missione presso i figli d’Israele, il muro, che fino allora aveva separato il popolo eletto da tutti gli altri doveva cadere e aprirsi a tutti indistintamente la porta del novello regno, regno universale e duraturo fino al termine dei tempi. Disegno più audace di questo e umanamente di questo più impossibile non s’era mai visto, né mai era caduto in mente d’uomo e direttamente feriva l’orgoglio del popolo ebraico, sì tenace e sì geloso del suo più assoluto isolamento. Il carattere della più vasta universalità per ragione dello spazio e del tempo, che Cristo in questo luogo imprime al suo regno, siffattamente ripugna alle idee del mondo pagano e più ancora del mondo ebraico, che anche solo basta d’avvantaggio a mostrarli in Chi lo concepì e sì chiaramente l’annunzi la coscienza della propria forza al tutto sovra umana e divina. Osservate in secondo luogo che Cristo costituisce gli Apostoli testimoni – Eritis mihi testes – Testimoni di che? Dei fatti e dei miracoli (e per conseguenza della dottrina dai fatti e dai miracoli provata), che avevano veduto coi loro occhi. Ufficio adunque degli Apostoli e dei loro successori è quello di attestare e affermare costantemente e dovunque l’insegnamento di Cristo, la cui certezza poggia sui miracoli da Lui operati. Essi non sono che testimoni e perciò loro ufficio è quello di conservare pura e intatta la Dottrina di Cristo, quale uscì dalle sue labbra, senza aggiungere o levare ad essa pure un apice. Perciò il ponetevelo bene nell’animo, o dilettissimi, la Chiesa, continuatrice dell’opera degli Apostoli non crea una sola verità nuova, non altera, né dimentica, né omette una sola delle verità caduta dalle labbra di Cristo e degli Apostoli: tutte le conserva e le trasmette fedelmente, come un cristallo tersissimo trasmette i raggi del sole, benché le svolga più largamente e di nuove e più ampie prove secondo i tempi e i luoghi le avvalori. Finalmente non dimenticate mai, o dilettissimi, che questo doppio ufficio di propagatrice e conservatrice infallibile della Dottrina di Cristo la Chiesa lo adempì e adempirà sempre, non per virtù propria, ma sì unicamente per virtù di quello Spirito Santo, che Cristo promise agli Apostoli e che rimarrà nella Chiesa fino all’ultimo giorno de’ secoli, secondo la sua promessa solenne. È bene a credere che Cristo, trattenendosi con gli Apostoli a lungo e più volte per lo spazio di quaranta giorni, altre cose disse loro, che non sono registrate da S. Luca, ma che si conservarono religiosamente nell’insegnamento orale degli Apostoli stessi e della Chiesa. S. Luca, compendiate queste cose, narra che Gesù condusse gli Apostoli fuori, in Betania, il castello di Marta, Maria e Lazzaro, presso Gerusalemme (S. Luca, XXIV, 51) e benedicendoli amorosamente – sotto i loro occhi levossi in alto – Videntibus illis, elevatus est –  Cristo levossi da terra per virtù della sua divina persona e sembra che ciò facesse a poco a poco, volti sempre gli sguardi sorridenti e stese le braccia verso i suoi cari Apostoli e discepoli e sopra tutto verso la Madre sua, che indubitatamente era colà, come si rileva dal versetto quattordicesimo di questo primo capo degli Atti Apostolici. Levossi in alto – Elevatus est – cioè levossi al Cielo. Che vi sia un luogo dove Iddio si manifesta svelatamente nella sua gloria a quelli, che hanno meritato di vederlo e bearsi in Lui e che si dice cielo, non vi può essere dubbio alcuno e la natura stessa degli Angeli e particolarmente degli uomini, che vi sono chiamati, lo esige. Ma dove sia questo luogo e questo Cielo a noi è perfettamente ignoto. – L’idea cristiana del Cielo, elevandosi ai sublimi concetti di Dio, della sua immensità, degli spiriti, delle anime e dei corpi gloriosi, conserva pur sempre l’idea d’un luogo particolare, dove Dio mostra la sua presenza e la sua gloria, ma non determinò mai precisamente in qual regione sia posto questo luogo, se sopra o sotto di noi, se ad Oriente od Occidente, a tramontana o mezzogiorno. I Libri Santi tacciono, la tradizione è muta e la Chiesa, che n’è l’interprete, insegna che il Cielo de’ beati, il paradiso vi è, ma dove sia noi disse mai. E perché non potrebb’essere sulla terra istessa? Là dove è Dio svelato alle anime, là può essere il Cielo; e non potrebbe Iddio mostrarsi loro qual è qui sulla terra, campo dei loro combattimenti e delle loro vittorie e perciò anche luogo del loro trionfo? Che importa che noi non vediamo nulla? Chi può vedere Iddio, i puri spiriti, i corpi gloriosi? Cristo non vive sulla terra nel sacramento dell’altare invisibile? E certo dove è Cristo ivi è altresì il Cielo, di cui è il Re. Disse profondamente il poeta teologo che ogni dove è paradiso ed è questo il vero concetto del Cielo secondo la ragione e secondo la fede e questo teniamo. Ma voi direte: E pur sempre vero che il testo sacro, narrando l’ascensione di Cristo, ce lo descrisse in atto di salire in alto – Elevatus est -; e noi stessi, allorché accenniamo il Cielo, leviamo in alto le mani quasi fosse lassù sopra dei nostri capi. È vero: Cristo, salendo in Cielo, montò in alto, per mostrare che la sua presenza visibile cessava sulla terra e cominciava un’altra maniera differentissima di vita; e poiché le cose più nobili e più eccellenti per noi si dicono metaforicamente alte e ce le rappresentiamo, non in basso, ma in alto; così Cristo per farci conoscere il suo nuovo modo di esistere in Cielo, salì in alto. Per la stessa ragione, allorché noi parliamo del Cielo, leviamo in alto le mani e gli occhi come se il Cielo fosse sopra de’ nostri capi Poiché Gesù fu levato in alto, una nube, dice il sacro scrittore, lo tolse ai loro occhi. Qual nube? Porse fu vera nube, o come inclino a credere e mi sembra più conforme al fatto e alla maestà di Cristo, quella fu uno splendore di luce meravigliosa, che a guisa di nube lo circonfuse e lo rese invisibile agli occhi degli Apostoli, che lo seguivano con ansia amorosa, con gioia ineffabile e dolore vivissimo, come potete immaginare. – Allorché gli Apostoli stavano pur con gli occhi fissi in alto cercando di vedere il Maestro, che si era dileguato in mezzo a quei fulgori celesti, ecco ad un tratto due personaggi bianco vestiti stettero presso di loro, quasi inosservati, perché gli occhi loro erano fermi lassù in alto. S. Luca non dice che fossero Angeli, ma non è a dubitarne dal contesto. Li chiama personaggi (viri), non Angeli, perché apparvero con forme umane e certo non è questo il primo luogo, in cui gli Angeli si chiamano uomini. Essi, riscossi gli Apostoli da quella loro estasi, volsero loro la parola, dicendo: – 0 Galilei, che state a riguardare in Cielo? Questo Gesù, che di mezzo a voi fu assunto in Cielo, verrà al modo istesso, onde lo vedeste andarsene -. Quegli Angeli rammentarono agli Apostoli una verità, che più volte avevano udita dalla bocca di Cristo, cioè la sua venuta gloriosa al termine dei tempi. Vedete somiglianza tra i due fatti della salita di Cristo al Cielo e della futura sua venuta, toccata dal sacro Autore. E sempre sopra una nube, che Gesù si mostra, sia che parta dalla terra, sia che vi ritorni, per indicare la sua maestà e la piena signoria ch’Egli ha sopra ogni cosa. Nella stessa trasfigurazione la voce celeste si fa udire dal seno d’una nube e attraverso ad una nube Mosè intravvede Dio. Con la mente e col cuore abbiamo seguito Cristo, che sale al Cielo: prepariamoci con la mente e col cuore ad accoglierlo nella finale sua venuta per essergli compagni nel suo rientrare nella gloria celeste e vivere beati con Lui per tutti i secoli dei secoli.

Alleluia

Allelúia, allelúia.
Ps XLVI:6.
Ascéndit Deus in iubilatióne, et Dóminus in voce tubæ. Allelúia.
[Iddio è asceso nel giubilo e il Signore al suono delle trombe. Allelúia.]

Ps LXVII:18-19.
V. Dóminus in Sina in sancto, ascéndens in altum, captívam duxit captivitátem.
Allelúia.  [Il Signore dal Sinai viene nel santuario, salendo in alto, trascina schiava la schiavitú. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia ✠ sancti Evangélii secúndum Marcum.
Marc. XVI: 14-20
In illo témpore: Recumbéntibus úndecim discípulis, appáruit illis Iesus: et exprobrávit incredulitátem eórum et durítiam cordis: quia iis, qui víderant eum resurrexísse, non credidérunt. Et dixit eis: Eúntes in mundum univérsum, prædicáte Evangélium omni creatúræ. Qui credíderit et baptizátus fúerit, salvus erit: qui vero non credíderit, condemnábitur. Signa autem eos, qui credíderint, hæc sequéntur: In nómine meo dæmónia eiícient: linguis loquantur novis: serpentes tollent: et si mortíferum quid bíberint, non eis nocébit: super ægros manus impónent, et bene habébunt.
Et Dóminus quidem Iesus, postquam locútus est eis, assúmptus est in cœlum, et sedet a dextris Dei. Illi autem profécti, prædicavérunt ubíque, Dómino cooperánte et sermónem confirmánte, sequéntibus signis.

OMELIA II

[Ut supra: Perché Gesù Cristo sali al Cieloe che vuol dire: Siede alla destra del Padre?]

– “Mentre (gli undici Apostoli) stavano a mensa, Gesù apparve loro e rampognò la loro incredulità e durezza di cuore, perché a quelli, lo avevano veduto risorto, non avevano creduto, e disse loro: Andando per tutto il mondo, predicate il Vangelo ad ogni creatura; chi avrà creduto e sarà stato battezzato sarà salvo; ma chi non avrà creduto, sarà condannato. I segni poi che accompagneranno quelli, che avranno creduto, sono questi: Nel mio nome scacceranno demoni, parleranno nuovi linguaggi, torranno via serpenti e se alcun che di mortifero avranno bevuto, non ne avranno nocumento: porranno le mani sopra gli infermi e guariranno. E poiché il Signore ebbe parlato loro, fu accolto in Cielo e siede alla destra di Dio. Gli Apostoli intanto usciti, predicarono per tutto, cooperando il Signore e confermando la parola coi segni che seguitavano”. (S. Marco, XVI, 14, 20) –

La vita di Gesù Cristo sulla terra quale è narrata nei Vangeli è un continuo alternare di grandezze e di debolezze, di glorie e di umiliazioni, che tra loro mirabilmente si intrecciano, e così conveniva che fosse. Egli era insieme Dio e uomo, e se le grandezze e le glorie a Lui si convenivano come a Dio, le debolezze e le umiliazioni convenivano pure a Lui come uomo, fattosi nostro mallevadore e nostro modello: e poiché Dio tutto vince e signoreggia, così le grandezze e le glorie in Lui dovevano finalmente soverchiare e assorbire le debolezze, le umiliazioni e tutto doveva finire nello splendore del suo trionfo senza eguale. E in questo giorno, o carissimi, come sapete, è il finale trionfo di Gesù Cristo che celebriamo, la sua gloriosa Ascensione. Quel Bambino che le mani virginali di Maria, nel cuore d’una notte invernale, deponevano sulla paglia di una mangiatoia: quell’Uomo che scorreva le contrade della Giudea, della Galilea e della Samaria, seminando sui suoi passi i miracoli e spargendo dovunque parole di vita, ora salutato come figliuolo di Davide e aspettato Salvatore ed ora insultato e bestemmiato come seduttore e falso profeta: quell’Uomo che spirava sul patibolo della croce e calato nel sepolcro dopo tre dì risorgeva sfolgoreggiante di gloria, oggi, ammaestrati in ogni cosa gli Apostoli, lascia la terra, entra in Cielo e corona l’opera, per la quale era venuto. – Tutti i misteri della vita di Gesù Cristo sono fecondi di alti insegnamenti per chi li contempla e li medita alla luce della fede: tale senza dubbio è altresì l’odierno mistero della Ascensione, che chiude la vita di Cristo sulla terra. Con animo docile meditiamolo per pochi istanti e per non ismarrirci nel nostro cammino, seguitiamo una guida sicura e sia l’Angelo della scuola, e con Lui cerchiamo perché Gesù Cristo salì al Cielo e che cosa significa sedere alla destra del Padre. Nella risposta a queste due domande voi avete il soggetto delle mie parole e delle vostre considerazioni. – S’io interrogassi qualcuno tra di voi che mi ascoltate e dicessi: – Fratel mio, dimmi: A tuo giudizio sarebbe stata miglior cosa, che Gesù Cristo dopo la sua risurrezione fosse rimasto sempre sulla terra fino al termine de’ secoli, o se ne fosse dipartito, come veramente se ne dipartì? – Io penso che mi risponderebbe tosto: Oh! era meglio che fosse rimasto quaggiù stabilmente. Se noi lo vedessimo, l’udissimo, come gli Apostoli! Se tutti potessero andare a Lui, parlargli, pregarlo, adorarlo, qual gioia! Tutti crederebbero in Lui, tutti l’amerebbero, tutti vivrebbero santamente! La miscredenza sarebbe sbandita dalla terra, il trionfo della fede pronto e sicuro e Gesù Cristo regnerebbe pacificamente su tutti i cuori, su tutte le menti -. Ecco la risposta che mi farebbe: e non dubito che se interrogassi ad uno ad uno voi tutti e tutti i Cristiani sparsi sulla terra, tutti risponderebbero allo stesso modo e stimerebbero la loro risposta ispirata dall’amore più puro verso di Gesù Cristo e dal vero bene delle anime. Tant’è vero, o carissimi, che assai volte noi siamo ingannati dalle apparenze! Gesù Cristo, che è la stessa sapienza, che tutto dispone e vuole alla maggior gloria sua e al maggior bene delle anime, dopo la risurrezione non rimase sulla terra e andossene al Cielo. Da ciò ch’Egli fece è forza conchiudere, che i nostri desideri, ancorché buoni e santi, non sono quelli che consuonano alla infinita sua sapienza e che meglio rispondano al vero nostro bene. Ragioniamo seguendo il grande dottore e maestro S. Tommaso. – La terra è il luogo di prova, la palestra, l’arena del combattimento, il luogo d’esilio; è il campo, il deserto, che devono attraversare i pellegrini, che ritornano in patria; è l’oceano, che devono valicare tutti quelli che vanno in cerca d’un porto, in cui gettare l’ancora e riposare tranquilli. Il Cielo è il termine ultimo dei combattimenti, la meta suprema dei viaggiatori, il porto dei naviganti: se la terra è la dimora dei mortali, il Cielo è la dimora degli immortali: chi dunque ha compiuto il suo cammino quaggiù deve lasciare la terra, come chi ha compiuta la sua giornata di lavoro, si riduce sotto il suo tetto e gode il meritato riposo. Cristo con la morte ha compiuto il suo cammino e giunto al termine del suo stadio mortale, ha valicato l’oceano tempestoso della vita terrena: deve entrare in un’altra dimora, deve cominciare un’altra vita ed entrare in un altro luogo, che ad esso sia conforme: è il luogo degli immortali, dei risorti, dei gloriosi, è il Cielo. Entri adunque nel suo regno, ascenda al Cielo, che solo è sua degna dimora (p. III, q. 57, a. 1). – Ma se Cristo lascia la terra e sale al Cielo, lascia i suoi fratelli, pei quali venne, patì e morì: li lascia mentre sono alle prese col nemico, mentre grande è il bisogno della sua presenza e della sua parola. Perché abbandonarli nel dolore? Perché sottrarre loro il conforto ineffabile della sua vista? S’Egli li ama sì teneramente come disse e provò coi fatti, rimanga con loro: l’amore domanda la presenza della persona amata e la presenza alimenta e accresce l’amore. Sì, tutto questo è vero; ma è vero altresì che se Gesù sottrae ai suoi cari la presenza corporale con l’Assunzione, non sottrae loro la presenza e il conforto della sua divinità: anzi lascia loro anche la sua presenza corporale nascosta sotto le specie eucaristiche, sovrano conforto nelle prove sì amare della vita. Ma è pur sempre utile e necessario che Gesù se ne vada, com’Egli stesso protestò: – È utile per voi ch’Io me ne vada – Expedit vobis ut ego vadam Come ciò, o dilettissimi? Porgiamo ancora attento l’orecchio alle parole del Maestro. La fede è la base e il fondamento primo dell’edificio della nostra santificazione; per la fede la nostra mente, che è il vertice e la punta del nostro spirito, è illuminata dalla luce della verità divina, ad essa si unisce, e per essa si unisce a Dio. La fede è la radice, da cui germoglia l’albero, che poi ci darà i fiori della speranza e i frutti della carità. Senza la fede è impossibile piacere a Dio; a chi ha la fede, la fede viva, tutto è possibile; egli può trasportare i monti, ed ha Cristo che abita nel suo cuore. Voi sapete come i Libri santi, siano pieni degli elogi della fede e come ad essa Cristo attribuisca i miracoli per lui operati e la salvezza – Fides tua te salvum fecit. – È l’espressione che più spesso esce dalla sua bocca. Ora la fede, dice egregiamente S. Tommaso,  non può aversi di quelle cose o verità che si veggono e si toccano. Dove tu vedi chiaro con la tua ragione e ne hai sicura esperienza, la cessa la tua fede e con essa l’omaggio che presti a Dio e per conseguenza cessa il merito della fede: là è il regno della ragione e della scienza, non quello della fede. Ora ponete, o carissimi, che Cristo dopo la sua risurrezione, fosse rimasto nella sua forma visibile in mezzo a noi: ponete che dopo venti, cento, mille, mille ottocento anni vivesse qui sulla terra: che tutti lo potessero vedere ed udire; dite, la nostra fede in Lui, e nella sua dottrina sarebbe essa fede? No, sicuramente. Essa cesserebbe al tutto, perché al suo luogo sottentrerebbe la evidenza della verità dinnanzi a questo miracolo, che soggiogherebbe la intelligenza e toglierebbe ogni libertà di negarlo e perciò toglierebbe ogni merito dell’assenso. Perché dunque rimanesse intatta la fede e pieno il merito della fede istessa: perché l’amor nostro per Gesù Cristo fosse figlio della fede e camminassimo per la via della verità, fermi in essa per la sola sua parola, offrendogli il sacrificio della nostra ragione sì piena di sé, era necessario che Cristo ci togliesse la vista della sua umanità gloriosa e abbandonasse la terra. Se fosse rimasto quaggiù con noi visibile com’era agli Apostoli, la terra era portata in Cielo e il Cielo sulla terra, l’ordine presente confuso col futuro, il mezzo tramutato col fine e questa dimora passeggera sarebbe divenuta la città permanente. Cristo un giorno disse agli Apostoli: Beati quelli che non videro e credettero. Beati per ragione del merito e dell’onore che rendono a Dio! E perché fossimo nel numero di questi beati era necessario che non vedessimo Cristo e Cristo salì per questo al cielo. La sua Ascensione pertanto è un immenso beneficio, perché dopo avere confermata la nostra fede con la Risurrezione nelle tante apparizioni dei quaranta giorni, ce la lasciò intera allorché cominciava a cessare sotto la luce dell’evidenza, entrando in Cielo. Nuova e splendida prova della sua bontà e di quella provvidenza paterna, con cui Gesù Cristo veglia sopra di noi (III p. ar. 1, ad tertiam). – Se la fede esigeva la partenza di Cristo dalla terra e la sua Ascensione in Cielo, non lo esigeva meno la speranza. E sempre il Dottore angelico che ragiona. Udiamolo: La speranza s’appunta necessariamente nelle cose invisibili e future, giacché nessuno spera ciò che vede e possiede e perciò il grande Apostolo congiunge la speranza alla fede, scrivendo: La fede è la sussistenza o il fondamento delle cose che si sperano, cioè la fede addita i beni che Dio ci ha preparati e la speranza ci mette l’ali per tendere e volare ad essi. Quali sono questi beni, dei quali è fondamento la fede e a cui ci porta sull’ali sue la speranza? La grazia nel tempo che ci fa figli adottivi di Dio e la felicità piena nella eternità, dove saremo beati della sua stessa beatitudine: ecco l’oggetto della nostra speranza. Ora l’Ascensione di Gesù Cristo avvalora e compie questa nostra speranza. Essa ci mostra Gesù Cristo, il nostro capo, che oggi dischiude le porte dei Cieli e vi entra pel primo. – Egli oggi piglia possesso di quel regno, che ha conquistato a prezzo del suo sangue, ci segna la via, su cui possiamo e dobbiamo seguirlo e tacitamente di là ci grida: Dove son Io voi pure sarete: Io vi preparo il luogo e poi verrò a voi e vi condurrò meco. (S. Giov. XIV) . Sì, in Cristo, nostro Capo supremo, che oggi entra trionfante in Cielo, noi pure in qualche modo entriamo in Cielo. Oggi quella beata dimora vede per la prima volta in Cristo la misera nostra natura assunta nella gloria e collocata al di sopra di tutti gli spiriti angelici. Questo fatto non conferma ed avviva la nostra speranza, che anela a quel luogo di sempiterne delizie, non ci assicura che pari alla meta, cui aspiriamo, saranno i mezzi per raggiungerla? Come potrà essere scarso de’ suoi aiuti con noi Colui, che patì e morì per noi e che oggi ci precede nel regno dei Cieli e ci invita a seguirlo affine di compire in noi l’opera sua?  L’Ascensione di Cristo eleva e conserva la fede, nutre e rafforza la speranza; l’abbiamo veduto. Essa solleva in alto e purifica eziandio la carità: lo insegna il Maestro. Il nostro cuore è fatto per amare come i nostri polmoni per respirare e la lingua per favellare. L’amore è come una fune, che il cuore getta fuori di sé, con cui lega le cose e le trae a sé, facendole sue e formando con esse quasi un solo tutto. Con questo amore l’uomo può legarsi a sé e alle cose tutte, che lo circondano, visibili o invisibili. È naturale che più facilmente leghi il suo cuore alle cose visibili, che alle invisibili, perché quelle più di queste gagliardamente scuotono lo spirito e lo traggono a sé, e perché l’uomo è siffatto che ai sensi ubbidisce più che alla ragione. Dio è l’invisibile per eccellenza e perciò l’uomo non può sollevarsi sino a Lui con la mente e col cuore senza uno sforzo sopra se stesso, sciogliendosi dal mondo sensibile, che lo ingombra e d’ogni parte a sé lo avvince. Cristo, che in modo visibile lascia la terra ed entra in Cielo, entra cioè nel mondo invisibile, il mondo degli spiriti, ci insegna a staccare il nostro cuore, a liberare il nostro spirito dagli affetti delle cose tutte terrene e a portarli in alto, là dove Egli è salito e vive. Oggi più che mai contemplando l’Ascensione di Gesù Cristo ci risuonano all’orecchio le parole dell’Apostolo: « Cercate le cose che sono in alto, dove Cristo è a sedere alla destra di Dio: pensate alle cose di sopra, non a quelle che sono sopra la terra ». (Coloss. I. 1, 2). L’uomo vive ed è là dove sta l’oggetto del suo amore: ora l’oggetto sovrano dell’amor nostro è Gesù Cristo e Gesù Cristo è salito e regna in Cielo; in Cielo adunque debbono essere i nostri pensieri e i nostri affetti; in cielo dobbiamo vivere al presente con lo spirito se vogliamo un giorno vivere colà per tutti i secoli con Lui, che è la nostra vita. A chi vive lassù con la mente e col cuore diventa misera e spregevole la terra, la tocca appena con la punta de’ piedi e gli tarda di lasciarla per sempre. Mi direte: ma come, relegati, su questa terra, costretti ad occuparci senza tregua di queste cose fugaci, possiamo vivere in Cielo con Cristo? Ascoltate: Noi abbiamo o piuttosto portiamo questo corpo, simili a quel misero insetto che striscia sulla terra, portando sempre seco la sua casa: ma noi abbiamo anche lo spirito, che sulle due ali del pensiero e dell’amore spazia liberamente dove vuole. Pel corpo siamo confinati e costretti a vivere su quei due miserabili palmi di terra che occupiamo: ma chi può tarpare le ali dello spirito? Voi, che mi udite, ora col vostro corpo siete lì ciascuno nell’angusto spazio che occupate: ma non è egli vero che col vostro pensiero in questo stesso momento potete essere sulla vetta d’un monte, sulla riva del mare, in un deserto, nel sole, e nell’astro che si muove sull’estremo lembo dell’universo? Non vi è forza né sulla terra, né giù all’inferno, né su nel Cielo, che possa incatenare il vostro spirito e dirgli: Io voglio che tu rimanga li dov’è il tuo corpo. – Volete voi sapere, o carissimi, dove sta più spesso e più a lungo il vostro spirito? Là dove lo tira e lo tiene più gagliardo l’amore. E l’oro che maggiormente amate? Lo troverete maggiormente nella vostra mente e nel vostro cuore. Sono gli onori e le dignità e le grandezze mondane che vi allettano? Troverete che i vostri pensieri e i vostri affetti senza posa inseguono queste ombre fuggevoli. Sono i bassi piaceri della gola e quelli più bassi del senso, che vi signoreggiano? Troverete che questi vi stanno sempre a lato e vi seguono dovunque, come l’ombra segue il corpo. O spose, o madri, spesse volte voi rientrate nel fondo della vostra anima, spiate e sorprendete i vostri pensieri ed affetti: dove sono essi? Là dove gli sposi dimorano e invisibili conversate con loro: là presso la culla de’ vostri bambini, che forse dormono; li vedete, li contemplate, li baciate, vi beate di loro. Perché? Perché l’anima vostra è là dove sono i vostri amori anche quando i vostri corpi sono lontani. Ah! come è vero che noi con lo spirito viviamo là dove è l’oggetto del nostro amore, come disse il divino Maestro: « Dov’è il tuo tesoro, ivi è pure il tuo cuore ». Se è così, come ci insegnano la ragione e la fede, perché, o carissimi, perché il nostro spirito co’ suoi pensieri ed affetti si aggira sempre su questa bassa ragione? Perché a guisa di uccello palustre va errando su questi stagni pestilenziali, dove regna la morte del corpo e dello spirito? In alto la mente e il cuore! Gesù ha lasciato la terra; Gesù, la nostra vita e il nostro amore, ha valicato la soglia del cielo, ha immerso tutta la sua umanità nell’oceano di luce e di amore purissimo dell’Essere divino: dietro a Lui corrano le nostre menti e i nostri cuori; l’amore è più puro allorché l’oggetto non si vede, né si ode con gli occhi, né con gli orecchi del corpo, ma con quelli dell’anima: è per questo che Gesù diceva: s’Io non me ne andrò, lo Spirito Santo non verrà a voi; perché, spiega S. Agostino, non potete comprendere lo Spirito allorché vi ostinate a veder Cristo con gli occhi della carne. Seguitiamo dunque Cristo lassù nel mondo degli spiriti, restiamo con Lui, come oggi la Madre nostra, la Chiesa, canta pregando: « O Signore onnipotente, te ne supplichiamo, fa che pur noi, i quali crediamo l’Unigenito Figliuol tuo, Redentor nostro, oggi essere salito al Cielo, con la mente dimoriamo nelle cose celesti. ». Voi vedete, o cari, quali sublimi documenti si racchiudono nell’odierno mistero e come per esso, benché pellegrini ancora sulla terra, siamo iniziati alla vita e alle gioie del Cielo. –

Ma è tempo di passare alla seconda parte del mio assunto e vedere che cosa significhi sedere alla destra del Padre e lo faremo seguendo sempre la fida scorta, che fin qui ci ha guidati. Gesù Cristo salì al Cielo e siede alla destra del Padre: è la formula precisa e solenne, che troviamo in tutti i simboli e in moltissimi luoghi dei Libri santi, dirò meglio, in tutti i luoghi dove si accenna al fatto della Ascensione. Sedere alla destra del Padre!Dio, e Dio Padre ed ognuna delle tre auguste Persone della Santa Trinità, non ha, né può avere né destra, né sinistra, come non ha né piedi, né braccia, né petto, né capo. E come avrebbe destra o sinistra quell’Essere Sommo, che è purissimo spirito? E dunque forza intendere quella frase – Sedere alla destra del Padre – nel senso improprio e metaforico, che diamo a tante altre frasi bibliche, che si riferiscono alla Divinità e che prese nel senso rigorosamente letterale ripugnano alla sua natura. La ragione di questo linguaggio comune, biblico ed ecclesiastico allorché si parla di Dio e delle cose tutte spirituali e che dobbiamo sempre correggere mentalmente, lo dicemmo tante volte, lo si deve trovare nella nostra natura. Composti di spirito e corpo, non possiamo formarci mai un solo concetto, una sola idea puramente spirituale: l’elemento corporeo, l’ombra del fantasma sensibile si frammischia sempre all’idea di spirito e perciò ragionando di Dio, dell’anima e delle cose tutte spirituali, il nostro linguaggio è sempre imperfetto e si deve continuamente correggere. Che significa dunque sedere alla destra di Dio Padre? La parola sedere, così S. Tommaso, può avere due sensi: essa può significare il riposare d’una persona, o la sua dignità di giudice o monarca, che esercita pacificamente il suo potere e nell’uno e nell’altro senso compete a Cristo in Cielo. Gli compete nel primo senso in quanto Egli è immortale e eternamente vive beato col Padre e il suo riposo e la sua felicità non saranno mai soggetti a turbamento, né mai scemeranno. Allorché dite che Gesù siede alla destra del Padre, intendete, soggiunge Agostino, che Gesù abita o dimora con Lui, come diciamo d’un uomo, egli siede nella patria sua. Gli compete nell’altro senso, perché regna con Dio Padre e col Santo Spirito e perché dal Padre suo con la generazione eterna riceve ogni potere e ciò in quanto Dio; e in quanto uomo in modo speciale riceve pieno potere di giudice e re dell’umanità tutta, avendola riscattata a prezzo del suo sangue. Ed è in questo senso che Cristo dice nel Vangelo, il Padre avergli dato ogni potere in Cielo ed in terra e nominatamente quello di re e giudice supremo del mondo. Sedere pertanto a destra del Padre è proprio di Cristo come Dio e più particolarmente come uomo: come Dio, distinto dal Padre perché siede alla destra ed eguale al Padre perché siede con Lui ed ha con Lui comune la gloria (loc. cit. art. 4); come uomo, perché soltanto come uomo poté meritare l’onore d’essere Re e giudice dell’umanità da Lui ricomperata. Nessun uomo, nessun Angelo, nessuna creatura, quale che sia può sedere alla destra del Padre: è onore riservato al solo Cristo perché Dio e uomo e perciò di Lui solo si dice: Salì al Cielo e siede alla destra del Padre. Carissimi! Leviamo i nostri sguardi dietro a Cristo: contempliamolo nel seno del Padre: l’umana natura assunta, in cui siamo eguali a Lui, oggi per la prima volta è rivestita della gloria divina, tutta sfolgoreggiante di luce. Oggi per la prima volta le sterminate schiere degli spiriti celesti veggono meravigliando dentro la essenza divina … « Del suo colore istesso…. pinta della nostra effige » (Dante), e chinando la fronte l’adorano. Quale onore, qual gloria per noi, figli della polvere, veder lassù collocata sopra tutte le creature la natura nostra! Contemplarla immersa nella Divinità! E lassù il termine del nostro doloroso pellegrinaggio; lassù ci attende il nostro Capo e lassù saremo noi pure un giorno per sempre se ora porremo lassù i nostri pensieri e tutto l’amor nostro, giacché è nel tempo che si prepara la eternità e in Cielo fiorisce il buon grano che seminiamo sulla terra. Il sole che splende nell’alto del firmamento trae a sé tutti i semi, che la terra nasconde nel suo seno: essi si aprono, germogliano e drizzano verso di esso la loro cima: e noi pure verso il sole di giustizia, Gesù Cristo, che oggi è accolto nel più alto dei Cieli, drizziamo la punta del nostro spirito, inviamogli la soave fragranza dei nostri pensieri e dei nostri affetti finché venga il dì, nel quale dalla terra saremo trapiantati in Cielo, dove, belli della sua bellezza, felici della sua felicità, con Lui vivremo per tutti i secoli dei secoli. Amen.

Credo

Offertorium

Orémus
Ps XLVI: 6.
Ascéndit Deus in iubilatióne, et Dóminus in voce tubæ, allelúia. [Iddio è asceso nel giubilo e il Signore al suono delle trombe. Allelúia.]

Secreta

Súscipe, Dómine, múnera, quæ pro Fílii tui gloriósa censióne deférimus: et concéde propítius; ut a præséntibus perículis liberémur, et ad vitam per veniámus ætérnam. [Accetta, o Signore, i doni che Ti offriamo in onore della gloriosa Ascensione del tuo Figlio: e concedi propizio che, liberi dai pericoli presenti, giungiamo alla vita eterna.]

Communio

Ps LXVII: 33-34
Psállite Dómino, qui ascéndit super coelos coelórum ad Oriéntem, allelúia.

[Salmodiate al Signore che ascende al di sopra di tutti i cieli a Oriente, allelúia.]

Postcommunio

Orémus.
Præsta nobis, quǽsumus, omnípotens et miséricors Deus: ut, quæ visibílibus mystériis suménda percépimus, invisíbili consequámur efféctu.
[Concedici, Te ne preghiamo, o Dio onnipotente e misericordioso, che di quanto abbiamo ricevuto mediante i visibili misteri, ne conseguiamo l’invisibile effetto].