QUARE ERGO RUBRUM EST INDUMENTUM TUUM, ET VESTIMENTA TUA SICUT CALCANTIUM IN TORCULARI? … ET ASPERSUS EST SANGUIS EORUM SUPER VESTIMENTA MEA, ET OMNIA VESTIMENTA MEA INQUINAVI . – Gestito dall'Associazione Cristo Re Rex Regum"Questo blog è un'iniziativa privata di un’associazione di Cattolici laici: per il momento purtroppo non è stato possibile reperire un esperto teologo cattolico che conosca bene l'italiano, in grado di fare da censore per questo blog. Secondo il credo e la comprensione del redattore, tutti gli articoli e gli scritti sono conformi all'insegnamento della Chiesa Cattolica, ma se tu (membro della Chiesa Cattolica) dovessi trovare un errore, ti prego di segnalarlo tramite il contatto (cristore.rexregum@libero.it – exsurgat.deus@libero.it), onde verificare l’errore presunto. Dopo aver verificato l’errore supposto e riconosciuto come tale, esso verrà eliminato o corretto. Nota: i membri della setta apostata del Novus Ordo o gli scismatici ed eretici sedevacantisti o fallibilisti, o i "cani sciolti" autoreferenti falsi profeti,non hanno alcun diritto nè titolo per giudicare i contenuti di questo blog. "
ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉSET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS.
[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e
meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte
testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più
rinomati da …]
Par M. l’Abbé
J.-M. PÉRONNE,
CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.
TOME PREMIER.
PARIS
LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR – RUE DELAMMIE, 13
1878
IMPRIM.
Soissons, le 18 août 1878.
f ODON, Evêque de Soissons et Laon.
SALMO XXVIII
[1] Psalmus David, in consummatione tabernaculi.
Afferte Domino, filii Dei,
afferte Domino, filios arietum.
[2] Afferte Domino gloriam et honorem; afferte Domino gloriam nomini ejus; adorate Dominum in atrio sancto ejus.
[3] Vox Domini super aquas; Deus majestatis intonuit; Dominus super aquas multas.
[4] Vox Domini in virtute; vox Domini in magnificentia.
[5] Vox Domini confringentis cedros, et confringet Dominus cedros Libani;
[6] et comminuet eas tamquam vitulum Libani: et dilectus quemadmodum filius unicornium.
[7] Vox Domini intercidentis flammam ignis.
[8] Vox Domini concutientis desertum et commovebit Dominus desertum Cades.
[9] Vox Domini praeparantis cervos, et revelabit condensa; et in templo ejus omnes dicent gloriam.
[10] Dominus diluvium inhabitare facit, et sedebit Dominus rex in æternum. Dominus virtutem populo suo dabit; Dominus benedicet populo suo in pace.
[Vecchio Testamento secondo la Volgata Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.
Vol. XI
Venezia, Girol.
Tasso ed. MDCCCXXXI]
SALMO XXVIII
Salmo di David
nel terminarsi il tabernacolo.
1. Presentate al Signore, o figliuoli di
Dio, presentate al Signore gli agnelli.
2.
Presentate al Signore, la gloria e l’onore, presentate al Signore la gloria
dovuta al suo nome; adorate il Signore nell’atrio del suo santuario.
3. La voce del Signore sopra le acque; il Signore della maestà tuonò, il Signore sopra le molte acque.
4.
La voce del Signore è possente, la voce del Signore è piena di magnificenza.
5.
La voce del Signore che spezza i cedri, e il Signore spezzerà i cedri del
Libano.
6.
E gli farà in pezzi come un vitello del Libano, e il diletto (è) come il figlio
dell’unicorno.
7.
La voce del Signore, che divide la fiamma del fuoco;
8.
La voce del Signore, che scuote il deserto, e il Signore scuoterà il deserto di
Cades.
9 .
La voce del Signore, che prepara i cervi e le folte macchie rischiara; e nel
tempio di lui tutti gli daran gloria.
10.
Il Signore vi manderà un diluvio, e sarà assiso il Signore qual Re in eterno.
Il Signore darà fortezza al suo popolo; il Signore darà al popol suo
benedizione di pace.
Sommario
analitico
L’oggetto di questo salmo, che è uno
di quelli che furono composti durante la traslazione dell’arca sulla montagna
di Sion, essendo duplice, secondo il parere che tutti gli interpreti ne danno,
per maggior chiarezza, merita una doppia analisi; una secondo il senso
letterale, l’altro secondo il senso allegorico.
PRIMO SOMMARIO ANALITICO.
Davide pieno di ammirazione alla
vista delle opere di Dio: 1° invita gli uomini a riconoscere ed a celebrare la
sua grandezza, offrendogli le vittime perfette che Gli sono dovute come al
sovrano Signore (1). – 2° Indica loro come debbano essere queste offerte, a)
con riti e canti esteriori, b) con le disposizioni interiori di adorazione (2).
– 3° Egli dà la ragione di questo invito, cioè la grande potenza di Dio, di cui
enumera i meravigliosi effetti:
a) Nelle acque superiori,
quando fa tuonare nelle nubi e ne fa discendere sulla terra una pioggia
abbondante! (4).
b) Nell’aria, – 1)
quando eccita i venti e le tempeste che abbattono i cedri senza resistenza
alcuna (5, 6); – 2) quando solca le nubi con fulmini e saette, per imprimere il
terrore nel cuore degli uomini (7);
c) Sulla terra, quando
– 1) la colpisce nelle parti più recondite; – 2) riempie gli animali di
spavento; – 3) spoglia le foreste degli alberi e del fogliame (9); – 4) eccita
con questo gli uomini a lodarlo perché: a) li ricolmi di grazia come loro Dio,
b) li governi come loro re (10), c) venga in loro soccorso, nella guerra, come
loro capo, d) li renda sempre felici, in pace, come loro padre (11).
SECONDO SOMMARIO ANALITICO.
Davide, contemplando interiormente
la promulgazione della legge evangelica:
I. – Esorta il Cristiano ad offrire
a Dio il culto esteriore ed interiore che Gli è dovuto (1, 2).
II. – Da le ragioni di questa
esortazione e celebra il Dio che si degna di dare la sua legge agli uomini:
1°A causa della sua maestà e della sua potenza
che si manifesta a) nella voce che fa intendere dall’alto dei cieli, per
chiamare a Sé tutti i popoli della terra (3); b) nei miracoli stupefacenti che
opera (4); c) nella forza con la quale distrugge gli sforzi degli orgogliosi e
tutte le loro resistenze (5, 6).
2° A causa della sua bontà e della sua
misericordia per la quale
a) si mostra amabile a tutti, benché
forte (6);
b) effonde su tutti gli uomini la
fiamme e i doni dello Spirito Santo (7);
c) allontana dal culto degli idoli i
gentili condannati alla sterilità ed i Giudei dalla legge infeconda di Mosè
(7);
d) nella via purgativa, Egli
prepara, con il timore, gli inizianti, a diventare fecondi di buone opere (8);
e) nella via illuminativa, illumina
coloro che sono più avanzati;
f) nella via unitiva: – 1) li eccita
a rendere gloria a Dio (9); – 2) ne arricchisce l’anima di abbondanza di
grazie; – 3) Egli stabilisce il suo regno nell’anima (10); – 4) comunica loro una
forza tutta divina contro i suoi nemici; – 5) colma tutte le facoltà
dell’anima, tutti i sensi del corpo, dei doni e delle grazie che accompagnano
la pace (11).
Spiegazioni e Considerazioni
I. — 1, 2.
ff. 1. – Dio non gradisce ogni sorta di doni, ma solo quelli
che Gli vengono offerti con cuore puro: ecco perché il Salmista vuole che noi
siamo innanzitutto figli di Dio prima di avvinarci a Lui per offrirgli i nostri
doni, non i doni come tali, ma quelli stessi che Egli ci prescrive. Dite dunque
innanzitutto a Dio: Padre mio, ed indirizzate poi le vostre domande.
Esaminatevi coscienziosamente, vedete qual sia la vostra vita, siate degni di
chiamare vostro Padre, il tre volte Dio. Gli si facciano ricche offerte, e si
scelgano dunque uomini d’élite perché a Lui si offrano. È gran cosa l’essere
figlio di Dio, ed è opportuno che l’offerente sia all’altezza della grandezza
di questo titolo. « Offrite i piccoli degli arieti ». L’ariete è come il capo
del gregge, e precede la pecore per condurle nei grassi pascoli, ai ruscelli
ove si disseteranno, e poi ricondurle al riparo. Tali sono i capi del gregge di
Gesù Cristo che lo conducono nei pascoli fioriti ed odorosi della dottrina
spirituale, lo dissetano con le acque vive delle quali lo Spirito Santo è la
fonte, lo nutrono perché produca frutti, lo difendono da ogni pericolo e lo
riportano al luogo di riposo. Sono i figli di questi capi coloro ai quali il
Salmista comanda ai figli di Dio di offrire al Signore. Se gli arieti sono i
capi del gregge, Egli vuole che abbiano dei figli che con la loro applicazione
alle buone opere, diventino essi stessi modelli di virtù (S. Basilio).
– « Portate al Signore i piccoli degli arieti ». Portategli coloro che devono
essere battezzati, coloro che devono essere concepiti, non dalla carne, ma
dalla fede; portate coloro che devono diventare agnelli con l’innocenza;
portate coloro che non possono venire da se stessi, o perché è necessità
difenderli, o perché l’età glielo impedisce, o l’ignoranza li ritarda, o i vizi
li incatenano, o i peccati li trattengono, lo spettacolo delle cose esteriori
li seduce, o la povertà li copre di vergogna; portate coloro che lo consentono,
fate entrare coloro che resistono, fatevi necessità ove essi sono soggetto di
ricompensa (S. Piet. Chris. Serm. X). – Ad esempio del santo Re
Davide, non bisogna contentarsi di lodare il Signore in particolare, ma si
devono invitare gli altri fedeli, eccitarli con i nostri discorsi ed i nostri
esempi, a rendere omaggio all’Altissimo. – I sacrifici dei Giudei sono figura
del Sacrificio dei Cristiani. Dio faceva loro conoscere, per mezzo del suo Profeta,
che il sacrificio che Gli era veramente gradito non consisteva nell’immolare
dei capri o degli agnelli, ma in cuore contrito ed umiliato. « Cosa offrirò a
Dio che sia degno di Lui, dice il Profeta? » Piegherò il ginocchio davanti a
Dio l’Altissimo? Gli presenterò degli olocausti e dei nati di un anno? Il
Signore si placherà con l’offerta di mille capri, con libazioni di barili di
olio? O uomo, Io vi mostrerò ciò che è buono e che il Signore vi comanda:
praticate la giustizia, amate la misericordia, camminate con timore alla
presenza del Signore (Mich. VI, 7,8).
ff. 2. – « Adorate il Signore nel suo tabernacolo ».
L’adorazione che è qui comandata deve farsi non fuori dalla Chiesa, ma nella “vera”
Chiesa, nella Chiesa santa, che è una … Vediamo molti che sono in attitudine di
preghiera, e ciò nonostante non sono nella Chiesa di Dio, a causa delle
divagazioni del loro spirito e delle distrazioni in cui cadono a causa delle
vane preoccupazioni (S. Basilio). – Si possono distinguere tre
gradi nella gloria che è dovuta a Dio: – 1) riconoscere le sue grandezze; – 2)intendere
la gloria del suo nome; – 3) adorarlo nel suo tempio santo con il culto
pubblico ed esterno.
II. — 3-6.
ff. 3, 4. – Chi di noi ascoltando il rumore del
tuono, non ha immaginato questa voce del Signore di cui parla il Re-Profeta?
Sembra effettivamente che l’ascolto del tuono non sia per le nostre orecchie
che un’eco lontano di questa parola divina della quale un soffio scuote la
natura ed è sufficiente a ridurla in polvere. È dal rombo del tuono che Dio
parla al suo popolo, con la bocca di Mosè, e come in un concerto, l’armonia
degli strumenti si mescola alla voce umana, così sul monte Sinai si direbbe che
il tuono e la voce di Mosè si confondono per formare una sola parola, quella di
Dio, per dettare i Comandamenti al suo popolo. Il tuono esce dalla nube nello
stesso momento in cui il fulmine lo annuncia. Nel linguaggio della santa
Scrittura, le nubi significano i predicatori della parola evangelica. Queste
nubi, dice S. Agostino, ci mostrano di sfuggita il fulmine e il tuono: il
fulmine è il miracolo che si aggiunge alla predicazione della parola; il tuono
è il precetto ritenuto nell’orecchio del peccatore intimorito (Mgr. De La
Bouillerie, Symbol. de la nat., I, 177). – Le sette voci di cui parla
qui il profeta possono ben applicarsi alla predicazione del Vangelo. La prima
voce si è fatta ascoltare sulle acque, quando dal cielo semiaperto discese
questa voce magnifica che fu intesa al momento del Battesimo di Gesù Cristo: «
è nel mio Figlio diletto che ho posto tutte la mia affezione ». – « Il Dio di
maestà tuonò e si fece intendere su una grande abbondanza di acque », perché il
Battesimo fu da allora istituito e tutte le acque del mondo ricevettero la
virtù di rigenerare i Figli di Dio. Le altre voci hanno per oggetto le tante
meraviglie della predicazione evangelica. – La voce del Signore è potente:
nella Creazione, da una sola parola essa fa uscire dal nulla il cielo e la
terra e tutto ciò che esse racchiudono; con la predicazione del Vangelo, essa
non è stata un brusio vano e senza effetto, un bronzo tinnante ed un cembalo
altisonante, come i discorsi della maggior parte degli oratori e dei filosofi,
ma una voce potente che ha operato la conversione del mondo, una voce piena di
magnificenza per il bagliore dei miracoli che l’hanno accompagnata (Dug.).
ff. 5, 6. – Il Re-Profeta continua a dipingere in stile orientale
le grandi conquiste del Cristianesimo mediante la predicazione evangelica. I
cedri del Libano sono alberi molto duri, molto elevati e dall’odore molto
gradevole. La loro durezza, è figura dei peccatori incalliti e di coloro che si
ostinano nei loro errori. – La loro elevazione, è figura degli uomini superbi
che si inorgogliscono, sia dell’ampiezza della loro potenza, sia dell’eminenza
della loro saggezza, sia dello splendore della loro eloquenza; il loro gradevole
odore, è la figura degli uomini amici dei piaceri e delle voluttà. La
predicazione del Vangelo ha distrutto tutti i cedri, ha persuaso all’umiltà
tutti coloro che si erano elevati al di sopra degli altri, alla mansuetudine e alla
docilità gli incalliti ed i protervi, allo spirito di penitenza e di
mortificazione i sensuali ed i voluttuosi (Duguet). Non soltanto essa ha
abbattuto gli alti cedri del Libano, abbattendo cioè l’orgoglio e la durata di
questi uomini superbi, ma ha sradicato gli stessi cedri, li ha trasportati in
un altro luogo, facendoli rinunziare alle loro affezioni carnali e legate alla
terra per passare ad una vita simile a quella degli Apostoli (Dug.).
– Dio ha le tempeste nella sua mano, e non compete che a lui il far scoppiare
il rombo del tuono nelle coscienze e fondere i cuori induriti con i bagliori
dei fulmini; e se pur Egli avesse un predicatore temerario per produrre questi
grandi effetti con la sua eloquenza, mi sembra che Dio gli dica, come a Giobbe:
se tu credi di avere un braccio come Dio, e tuonare con una voce simile, agisci
e fa’ Dio al mio posto: « Elevati nelle nubi, mostrati nella tua gloria, abbatti
i superbi nel tuo furore, e disponi a tuo piacimento delle cose umane » (Bossuet,
Serm. Parol. de Dieu).
III. — 7-11.
ff. 7, 8. – La voce di Dio, voce di verità, comparata alla
folgore; ora cosa che cose c’è di più potente e terribile del tuono? Al suo
scoppio fa seguito lo sgomento, lo spavento, la paura mortale; esso fa impallidire
il più altero, scuote i palazzi superbi e l’umile capanna, cade sulle alture
delle montagne e sulle onde dell’oceano. È l’immagine naturale della potenza
della verità, che è sempre inflessibile, sempre tuonante in fondo a tutti i
cuori, non è sopraffatta né dalla forza dei pregiudizi, né dai torrenti degli
abusi, né dal vizio possente e dominante, né dal numero dei reprobi. Essa fa da
sfondo ai tiranni che non vogliono vedere nulla sopra le loro teste, o ai
potenti che si adagiano nella loro gloria. Essa turba la solitudine dell’empio,
che fugge sempre fuori di sé, ha paura di sé, si evita, non osa ritrovarsi da
solo con la ragione e la fede. Essa spande sul peccato un’amarezza dolorosa,
porta l’angoscia e la tribolazione nell’anima del colpevole, perché l’iniquità
non è che un lungo e difficile travaglio. Il crimine vuole ben sprofondare
nella notte, ma essa andrà a cercarlo fino al fondo dell’abisso (De
Buologne, sur la verité). – Questi bagliori di fiamma, che si
sprigionano quando cade il fulmine, sono la figura dei doni dello Spirito
Santo, i cui effetti sono così variati, sono così appropriati ai disegni della
Provvidenza ed ai bisogni degli uomini. – La predicazione evangelica diviene
soprattutto simile al tuono quando risuona nei deserti, ispirando alle anime
una santo terrore dei giudizi di Dio. In mezzo ad una vita dissipata e mondana,
nella quale facilmente dimentichiamo i nostri doveri, ove unicamente
preoccupati dei nostri interessi e dei nostri piaceri, ci lasciamo andare ad
una colpevole indifferenza, è bene per noi che il tuono della santa parola si
faccia intendere dalle nostre orecchie, scuota il nostro torpore, e ci richiami
incessantemente il ricordo dei nostri fini ultimi. Il terrore che il fulmine
ispira alle cerve, terrore che le dispone a partorire più facilmente i loro
piccoli, è figura della bontà di Dio che, per la paura salutare dei suoi
giudizi, facilita il parto spirituale dal peccato alla grazia, che è così
penoso in natura. – Questa voce scopre in questo parto quel che c’è di più
denso, di più nascosto in queste anime, partorite nuovamente, e che si
congiungono con i veri figli di Dio per rendere tutti insieme gloria a Dio nel
suo tempio (Duguet). – La voce del Signore fa penetrare ancora il giorno
nelle dense foreste, quando illumina con i suoi bagliori i luoghi oscuri, dei
libri divini ed i tratti ombreggiati dei misteri in cui fa ritrovare libere
pasture.
ff. 9, 10. – Si chiama diluvio una inondazione
straordinaria che copra tutta la superficie della terra, e ne asporti tutte le
immondizie. Il Re-Profeta compara dunque ad un diluvio la grazia del Battesimo,
perché esso purifica l’anima dai propri peccati, e distrugge in essa l’uomo
vecchio rendendolo atto a divenire abitazione di Dio (S. Basilio, Ps.
XXVIII). – Il timore dei giudizi di Dio è un tuono che scuote il
deserto, distrugge i cedri, abbatte l’orgoglio, e, con scosse violente,
comincia a sradicare le cattive abitudini. Ma per rendere la terra feconda,
occorre che questo tuono rompa le nubi, e faccia colare la pioggia che rende
feconda la terra (Bossuet, Serm. Sur la Trist. des enf. de Dieu).
– È il Diluvio delle acque della grazia su di un’anima che ha partorito la
salvezza. – È il Diluvio delle acque della penitenza nel cuore di quest’anima
penetrata dal dolore per i suoi peccati passati. – È il Diluvio di grazie e di
favori sui buoni, che Dio colmerà di ogni sorta di beni. – È il Diluvio di mali
sui peccatori che distruggerà ogni tipo di male. – Essendo tutto sottomesso a
Dio, o per amore o per forza, il Signore sarà seduto come un Re sovrano per
tutta l’eternità (Duguet). – È solo il Signore che dà la forza al suo popolo, per
avvertirci che noi non possiamo nulla senza di Lui, sia nell’ordine della
natura, sia nell’ordine della grazia: forza per resistere ai nostri nemici, e benedizione
per crescere in virtù ed arrivare tranquillamente al porto della salvezza e
della eterna pace.
« Questa è la fede dei padri, questa è la fede degli Apostoli. Tutti crediamo così, gli ortodossi credono così. Sia scomunicato chi non crede così. Pietro così ha parlato per bocca di Leone ». Questo è il cuore della Enciclica in oggetto, una dotta e magistrale esposizione della teologia cristologica come definita nel corso del Concilio di Calcedonia che il Santo Padre vuole celebrare in occasione del suo XV centenario. Ardente è il desiderio- qui espresso per l’ennesima volta – del Sommo Pontefice, che vi sia un solo gregge ed un sol Pastore nella Chiesa di Cristo, richiamando all’unità in particolare gli scismatici d’Oriente, ai quali la Santa Sede ha concesso già per il passato tanti privilegi. Oltre alle definizioni cristologiche dogmaticamente ineccepibili e storicamente documentate, Pio XII, ribadisce il ruolo centrale e fondamentale nella costruzione ecclesiale, Corpo mistico del Cristo, del Vicario di Cristo, pietra visibile angolare del tempio di Dio, tempio che accoglie coloro che sono destinati alla salvezza eterna, a differenza di coloro che, pur sembrando pietre – ma pietre morte ed inattive come tralci da bruciare – restano fuori dalla costruzione stessa a loro eterna perdizione e dannazione. Pietre morte, sono oggi, oltre ai dissidenti storici, protestanti di miriadi di sette, ortodossi, eretici nestoriani, monofisiti, monoteliti, veterocattolici di Utrecht, eretici feeneysti, pure i modernisti ed ultra modernisti del Novus ordo con i loro fiancheggiatori ipocriti della galassia sedevacantista e dei gallicani fallibilisti disobbedienti, i non-preti-kadosh di Sion-Ecôn. Povero Gesù-Cristo, tradito e sbeffeggiato da nemici (i soliti che odiano Dio e tutti gli uomini) e soprattutto da apparenti amici, dai ladri e dai briganti che non entrano dalle porte ma si arrampicano per camini e tralicci onde penetrare nel gregge a divorare anime. Non resta, al sempre più sparuto pusillus grex, che abbeverarsi alla fonte di acqua cristallina del Magistero infallibile del Vicario di Cristo, in attesa, dopo la persecuzione profetizzata, del soffio della bocca di Cristo che brucerà l’anticristo ed i suoi corifei di ogni risma, in particolare quelli in talare, nera, rossa, porpora o … bianca. Che Dio ci liberi e la Vergine Maria ci scansi!
PIO XII
LETTERA ENCICLICA
SEMPITERNUS REX CHRISTUS(1)
XV CENTENARIO
DEL CONCILIO ECUMENICO DI CALCEDONIA
L’eterno re Cristo, prima di promettere a Pietro, figlio di Giovanni, il governo della Chiesa, avendo domandato ai discepoli che cosa pensassero di lui gli uomini e gli stessi Apostoli, lodò con singolare encomio quella fede che doveva vincere gli assalti e le tempeste infernali, e che Pietro, illuminato dalla luce del Padre celeste, aveva espresso con queste parole: «Tu sei il Cristo Figlio del Dio vivente» (Mt XVI, 16). Questa fede, che produce i serti degli Apostoli, le palme dei Martiri, i gigli delle Vergini, e che è virtù di Dio per la salvezza d’ogni credente (cf. Rm I, 16), è stata efficacemente difesa e splendidamente illustrata in modo particolare da tre concili ecumenici, quello di Nicea, quello di Efeso e quello di Calcedonia, di cui ricorre alla fine di quest’anno il XV centenario. È conveniente che questo lietissimo avvenimento sia celebrato così a Roma come in tutto il mondo cattolico con quelle solennità che, con soave commozione dell’animo, ordiniamo, dopo aver reso grazie a Dio, ispiratore d’ogni consiglio salutare. Come infatti Pio XI, Nostro predecessore di f. m., nell’anno 1925 in quest’alma città volle solennemente commemorare sacro Concilio di Nicea, e parimenti nell’anno 1931 rievocò nell’enciclica Lux veritatis il sacro Concilio di Efeso, così Noi in questa lettera, con uguale apprezzamento e premura, ricordiamo il concilio di Calcedonia; poiché i sinodi di Efeso e di Calcedonia, riguardando l’unione ipostatica del Verbo incarnato, sono tra loro indissolubilmente legati; l’uno e l’altro fin dall’antichità furono tenuti in sommo onore sia presso gli orientali, che ne fanno memoria anche nelle loro liturgie, sia presso gli occidentali, come attesta lo stesso san Gregorio Magno, il quale esaltandoli non meno dei due Concili ecumenici celebrati nel secolo precedente, cioè il Niceno e il Costantinopolitano, scrisse queste memorande parole: «Su questi, come su di una pietra quadrata, si eleva l’edificio della santa Fede, e chi non si appoggia alla loro solidità, qualunque sia la sua vita e la sua azione, anche se può sembrare una pietra, tuttavia giace fuori dell’edificio».(2) – Ma se si considerano attentamente questo avvenimento e le sue circostanze, due punti chiaramente emergono, che Noi vogliamo, quant’è possibile, mettere in luce: cioè il Primato del Romano Pontefice, che rifulse manifestamente dalla gravissima controversia di fede cristologica, e la grandissima importanza della definizione dogmatica del concilio di Calcedonia. Al Primato del Pontefice Romano rendano senza esitazione il debito omaggio riverente, seguendo l’esempio e le orme dei loro padri, coloro che, per la malvagità dei tempi, specialmente nei paesi orientali, sono separati dal seno e dall’unità della Chiesa; questa dottrina, guardando all’interno del mistero di Cristo con più puro intuito della mente, accolgano finalmente intera quelli che sono irretiti negli errori di Nestorio e di Eutiche; e la stessa dottrina considerino con più profonda aderenza al vero coloro che, animati da esagerato desiderio di novità, osano scardinare in qualche modo i termini legittimi e inviolabili, quando scrutano il mistero con cui siamo stati redenti. Finalmente tutti coloro che portano il nome di Cattolici prendano di qui un forte incitamento a coltivare col pensiero e con la parola la preziosissima perla evangelica, professando e conservando intemerata la Fede, con l’aggiunta però di quel che vale di più: la testimonianza cioè della propria vita, in cui, allontanato con l’aiuto della divina misericordia tutto ciò che sa di dissonante, di indegno e di riprovevole, risplenda la purezza delle virtù; e in tal modo avverrà che essi partecipino alla Divinità di Colui che si è degnato farsi partecipe della nostra umanità.
I
Ma, per procedere con ordine, bisogna rifarsi all’origine dei fatti da commemorare. L’autore di tutta la controversia, che si agitò nel concilio di Calcedonia, fu Eutiche, sacerdote e archimandrita di un celebre monastero di Costantinopoli. Datosi a combattere a fondo l’eresia di Nestorio, che affermava due Persone in Cristo, cadde nell’errore opposto. «Molto imprudente e assai ignorante»,(3) con incredibile pertinacia faceva queste asserzioni: bisogna distinguere due momenti: prima dell’Incarnazione le nature di Cristo erano due, cioè l’umana e la divina; ma dopo l’unione non vi fu che una sola natura, avendo il Verbo assorbito l’uomo; da Maria Vergine ha avuto origine il corpo del Signore, che però non è della stessa sostanza e materia nostre, giacché esso è umano, ma non consostanziale a noi né a Colei che ha partorito Cristo secondo la carne;(4) perciò Cristo non è nato né ha patito né è stato crocifisso né è risorto in una vera natura umana. – Ciò dicendo Eutiche non si accorgeva che prima dell’unione, la natura umana di Cristo non esisteva affatto, perché cominciò a esistere dal momento della sua concezione; che dopo l’unione è assurdo pensare che di due nature se ne faccia una sola, perché in nessun modo le due nature vere e reali si possono ridurre ad una, tanto più che la natura divina è infinita e immutabile. – Chi considera con sano giudizio tali opinioni, vede facilmente che tutto il mistero della divina economia svanisce in ombre vane e impalpabili. – Alle persone assennate l’opinione di Eutiche apparve evidentemente del tutto nuova, assurda, in assoluta contraddizione con gli oracoli dei profeti e i testi del Vangelo, come pure col Simbolo apostolico e col dogma di fede sancito a Nicea: un’opinione attinta alle fonti impure di Valentino e di Apollinare. – In un sinodo particolare, riunito a Costantinopoli e presieduto da san Flaviano vescovo della medesima città, Eutiche, che andava disseminando ostinatamente e largamente i suoi errori per i monasteri, su formale accusa di eresia del Vescovo Eusebio di Dorileo, fu condannato. Ma Eutiche, come se la condanna fosse ingiusta per lui, che reprimeva la rinascente empietà di Nestorio, si appellò al giudizio di alcuni Vescovi di grande autorità. Una siffatta lettera di protesta ricevette lo stesso san Leone Magno, Pontefice della Sede Apostolica, le cui splendide e solide virtù, la vigile sollecitudine per la Religione e per la pace, la strenua difesa della verità e della dignità della Cattedra Romana, l’abilità nel trattare gli affari, pari all’armoniosa eloquenza, riscuotono l’inesauribile ammirazione di tutti i secoli. Nessuno più di lui sembrava capace e idoneo a rintuzzare l’errore di Eutiche, perché nelle sue allocuzioni e nelle sue lettere con magnificenza pari alla pietà, egli soleva esaltare e celebrare il mistero, mai abbastanza predicato, dell’unica Persona e delle due nature in Cristo: «La Chiesa Cattolica vive e prospera di questa Fede, per cui in Gesù Cristo non si crede né l’umanità senza la divinità né la divinità senza l’umanità».(5) – Ma l’archimandrita Eutiche, avendo poca fiducia nel patrocinio del Romano Pontefice, appigliandosi alle astuzie e agli inganni, per mezzo di Crisafio, al quale era legato da stretta amicizia e che era molto accetto all’imperatore Teodosio II, ottenne dallo stesso imperatore che la sua causa fosse riveduta e si riunisse ad Efeso un altro Concilio, cui presiedesse Dioscoro, Vescovo di Alessandria. Questi, intimo amico di Eutiche, ma avverso a Flaviano, Vescovo di Costantinopoli, ingannato da falsa analogia di dogmi, andava dicendo che come Cirillo, suo predecessore, aveva difeso una sola Persona in Cristo, così egli voleva difendere con tutte le forze una sola natura in Cristo dopo l’«unione». San Leone Magno, per motivo di pace, non ricusò di mandarvi i suoi legati, che portassero, insieme con altre due lettere – una al sinodo, l’altra a Flaviano, in cui gli errori eutichiani erano confutati con la chiarezza di una dottrina perfetta e copiosa. – Ma in questo sinodo Efesino, che Leone denominò giustamente latrocinio, arbitri Dioscoro ed Eutiche, tutto fu manipolato con violenza; fu negato ai legati apostolici il primo posto nel consesso; fu proibito di leggere le lettere del Sommo Pontefice, i voti dei Vescovi furono estorti per via d’inganni e di minacce; insieme con altri Flaviano fu accusato di eresia, privato dell’ufficio pastorale e gettato in carcere, dove morì. E la temerità del furibondo Dioscoro arrivò a tal punto che (nefando delitto!) osò lanciare la scomunica alla suprema Autorità Apostolica. Appena Leone venne a sapere per mezzo del diacono Ilaro le malefatte del conciliabolo brigantesco, disapprovò tutto ciò che là si era fatto e decretato, ordinandone un nuovo esame, e ne soffrì acerbo dolore, alimentato dai frequenti appelli al suo giudizio da parte di molti Vescovi deposti. – Degno di menzione è ciò che scrissero in quella circostanza Flaviano e Teodoreto di Ciro al supremo Pastore della Chiesa. Così si esprime Flaviano: «Volgendo, come per un partito preso, tutte le cose iniquamente a mio danno, dopo quell’ingiusta sentenza pronunziata contro di me [da Dioscoro], come a lui piacque, mentre io mi appellavo al trono dell’Apostolica Sede di Pietro, Principe degli Apostoli, e a tutto il beato sinodo soggetto a vostra Santità, subito mi vidi circondato da molti soldati, che non mi permettevano di rifugiarmi presso il santo altare, ma cercavano di tirarmi fuori della chiesa».(6) E questo scrive Teodoreto: «Se Paolo, araldo della verità, si recò dal grande Pietro, molto più noi umili e piccoli ricorriamo alla vostra Apostolica Sede, per ottenere da voi rimedio alle piaghe delle chiese. Perché a voi spetta esercitare il Primato su tutte. … Io aspetto il giudizio della vostra Apostolica Sede. … Anzitutto io prego di essere istruito da voi, se debba rassegnarmi a questa ingiusta deposizione oppure no; attendo la vostra sentenza». (7) – Per cancellare tanta macchia, Leone spinse con insistenti lettere Teodosio e Pulcheria a porre rimedio a così tristi condizioni di cose e perciò a radunare nei confini dell’Italia un nuovo Concilio che riparasse le malefatte di quello Efesino. Un giorno ricevendo nella Basilica Vaticana Valentiniano III, la madre di lui Galla Placidia e la moglie Eudossia, circondato da una fitta corona di Vescovi, con gemiti e pianto li indusse a provvedere immediatamente secondo le loro forze al crescente disagio della Chiesa. Allora scrisse un imperatore all’altro; scrissero le stesse regine. Ma invano: Teodosio, circondato da astuzie e da inganni, non una riparò delle ingiustizie commesse. Ma quando l’imperatore inopinatamente morì, sua sorella Pulcheria assunse il governo e prese come marito, associandolo nell’impero, Marciano, ambedue stimati per pietà e saggezza. Allora Anatolio, che Dioscoro aveva messo arbitrariamente sulla cattedra di Flaviano, sottoscrisse la lettera di Leone a Flaviano intorno all’Incarnazione del Verbo; la salma di Flaviano fu trasportata con grande pompa a Costantinopoli; i Vescovi deposti furono restituiti alle loro sedi; unanime divenne la riprovazione dell’eresia eutichiana, sicché non si vedeva più la necessità di un nuovo Concilio, tanto più che le condizioni dell’impero romano erano malsicure a causa delle invasioni barbariche. – Tuttavia il Concilio si radunò e si celebrò per desiderio dell’imperatore e col consenso del Sommo Pontefice. – Calcedonia era una città della Bitinia, presso il Bosforo di Tracia, di fronte a Costantinopoli, situata sull’opposta sponda. Quivi nell’ampia basilica suburbana di S. Eufemia vergine e martire, l’8 ottobre, partiti da Nicea, dov’erano già a tale scopo raccolti, si riunirono i Padri, in numero di circa seicento, tutti dei paesi orientali, eccetto due africani profughi dalla patria. – Collocato in mezzo il libro dei Vangeli, davanti ai cancelli del santo altare prendevano posto diciannove rappresentanti dell’imperatore e del senato. Il compito di legati pontifici fu affidato ai piissimi personaggi Pascasino, vescovo di Lilibeo in Sicilia, Lucenzio, vescovo di Ascoli, Bonifacio e Basilio sacerdoti, ai quali si aggiunse Giuliano, vescovo di Cos, per aiutarli con la sua diligente opera. I legati del Romano Pontefice occupavano il primo posto tra i Vescovi; per primi sono nominati, per primi prendono la parola, per primi firmano gli atti e, in forza della loro autorità delegata, confermano o rigettano i voti degli altri, come avvenne apertamente nella condanna di Dioscoro che essi ratificarono con queste parole: «Il santissimo e beatissimo Arcivescovo della grande e antica Roma, Leone, per mezzo di noi e di questo santo sinodo, insieme col beatissimo e degnissimo di lode Pietro Apostolo, che è la pietra e la base della Chiesa Cattolica, e il fondamento della fede ortodossa, ha spogliato lui [Dioscoro] della dignità episcopale come anche lo ha rimosso da ogni ministero sacerdotale».(8) – Del resto, che non solo i legati pontifici abbiano esercitato l’autorità di presiedere, ma che il diritto e l’onore di presiedere sia stato anche riconosciuto loro da tutti i padri del Concilio, senza alcuna opposizione, risulta chiaro dalla lettera sinodica inviata a Leone: «Tu in verità – essi scrivono – presiedevi come il capo alle membra dimostrando benevolenza in coloro che tenevano il tuo posto».(9) – Non vogliamo qui passare in rassegna i singoli atti del Concilio, ma soltanto toccarne brevemente i principali, in quanti sono utili a porre in luce la verità e a giovare alla Religione. Pertanto non possiamo, dal momento che si agita la questione della dignità della Sede Apostolica, passare sotto silenzio il canone 28 di quel Concilio, nel quale si attribuiva il secondo posto di onore dopo la Sede Romana alla Sede Episcopale di Costantinopoli, come città imperiale. Sebbene nulla vi sia stato fatto contro il divino Primato di giurisdizione, che da tutti era riconosciuto, tuttavia quel canone, compilato in assenza e contro la volontà dei legati pontifici, e perciò clandestino e surrettizio, è destituito di ogni valore giuridico e da san Leone fu riprovato e condannato in molte lettere. E del resto a tale sentenza di annullamento aderirono Marciano e Pulcheria, anzi lo stesso Anatolio, il quale, scusando la riprovevole audacia di quell’atto; così scrisse a Leone: «Di quelle cose che nei giorni scorsi sono state decretate nel Concilio universale di Calcedonìa a favore della Sede costantinopolitana, sia certa vostra beatitudine che io non ho alcuna colpa …, ma è il reverendissimo clero della chiesa costantinopolitana, che ha avuto questo desiderio …; essendo state riservate all’autorità di vostra Beatitudine tutta la validità e l’approvazione di tale atto».(10)
II
Ma veniamo ormai al cardine di tutta la questione, e cioè alla solenne definizione della Fede cattolica, con cui fu rigettato e condannato il pernicioso errore di Eutiche. Nella quarta sessione dello stesso sacro Sinodo, fu richiesto dai rappresentanti imperiali che si componesse una nuova formula di Fede; ma il legato pontificio Pascasino, interpretando il voto di tutti, rispose che ciò non era affatto necessario, essendo sufficienti i Simboli di fede e i canoni già in uso nella Chiesa, prima tra essi, nel caso presente, la lettera di Leone a Flaviano: «In terzo luogo poi (cioè dopo i Simboli Niceno e Costantinopolitano e la loro esposizione fatta da san Cirillo nel Concilio Efesino) gli scritti inviati dal beatissimo e apostolico Leone, Papa della Chiesa universale, contro l’eresia di Nestorio e di Eutiche, hanno già indicato quale sia la vera fede. Similmente anche il santo sinodo questa stessa fede tiene e segue».(11) – Giova qui ricordare che questa importantissima lettera di san Leone a Flaviano intorno all’Incarnazione del Verbo fu letta nella terza sessione del Concilio; e appena tacque la voce del lettore, tutti i presenti gridarono insieme unanimi: «Questa è la fede dei padri, questa è la fede degli Apostoli. Tutti crediamo così, gli ortodossi credono così. Sia scomunicato chi non crede così. Pietro così ha parlato per bocca di Leone».(12) – Dopo questo, in pieno consenso tutti dissero che il documento del Romano Pontefice concordava perfettamente con i Simboli Niceno e Costantinopolitano. Nondimeno nella quinta sessione sinodale, su rinnovata richiesta dei rappresentanti di Marciano e del senato, fu preparata una nuova formula di Fede da un consiglio scelto di Vescovi di varie regioni, che si erano riuniti nell’oratorio della Basilica di Santa Eufemia; essa è composta di un prologo, del Simbolo Niceno e del Simbolo Costantinopolitano, allora promulgato per la prima volta, e della solenne condanna dell’errore eutichiano. Tale formula fu approvata dai Padri del Concilio con unanime consenso. – Crediamo ora di fare cosa degna, venerabili fratelli, se Ci fermiamo un poco a spiegare il documento del Romano Pontefice, che rivendica splendidamente la Fede cattolica. Anzitutto contro Eutiche che andava dicendo: «Confesso che il Signore nostro era di due nature prima dell’unione; dopo l’unione invece confesso una sola natura»,(13) non senza sdegno così il Santissimo Pontefice contrappone la luce della folgorante verità: «Mi meraviglio che una sua formula così assurda e così perversa non sia stata riprovata da alcuna protesta dei giudici…; mentre è egualmente empio asserire nel Figlio unigenito di Dio due nature prima dell’incarnazione come ammettere in Lui una sola natura dopo che il Verbo si è fatto carne».(14) Né con minore energia il Papa colpisce Nestorio, che nell’errore va all’eccesso contrario: «In forza di quest’unità di persona da ammettersi nelle due nature, si legge che il Figlio dell’uomo è disceso dal cielo, quando il Figlio di Dio assume la carne dalla Vergine, dalla quale è nato. E ancora si dice che il Figlio di Dio è stato crocifisso e sepolto, mentre Egli ha sofferto queste cose non nella divinità stessa, per la quale l’Unigenito è coeterno e consostanziale al Padre, ma nella sua debole natura umana. Sicché tutti professiamo anche nel Simbolo che l’unigenito Figlio di Dio è stato crocifisso e sepolto».(15) – Oltre la distinzione delle due nature in Cristo, vien qui rivendicata con molta chiarezza anche la distinzione delle proprietà e delle operazioni dell’una e dell’altra natura: «Salva dunque – egli dice – la proprietà dell’una e dell’altra natura, confluenti nell’unica Persona, è stata assunta l’umiltà dalla maestà, la debolezza dalla forza, la mortalità dall’eternità».(16) E ancora: «L’una e l’altra natura conservano senza minorazione la loro proprietà».(17) – Ma la duplice serie di quelle proprietà e operazioni si attribuisce all’unica Persona del Verbo, perché «Uno … e il medesimo è veramente Figlio di Dio e veramente Figlio dell’uomo».(18) per cui: «Operano dunque l’una e l’altra natura con mutua comunione ciò che loro è proprio, cioè il Verbo opera ciò che è proprio del Verbo e la carne esegue ciò che è proprio della carne».(19) Qui appare la ben nota comunicazione degli idiomi, come si suol dire, che Cirillo giustamente difese contro Nestorio, appoggiandosi al solito principio che le due nature di Cristo sussistono nell’unica Persona del Verbo, del Verbo cioè generato dal Padre prima di tutti i secoli, secondo la divinità, è nato da Maria nel tempo, secondo l’umanità. – Questa profonda dottrina, attinta dal Vangelo, senza sconfessare ciò che era stato definito nel concilio Efesino, condanna Eutiche, mentre non risparmia Nestorio; e con essa concorda perfettamente la definizione dogmatica del concilio Calcedonese, la quale parimenti afferma con chiarezza ed energia due distinte nature e una Persona in Cristo con queste parole: «Il santo, grande e universale sinodo condanna (quelli) che fantasticano di due nature del Signore prima dell’unione, e ne immaginano una dopo l’unione. Noi dunque, sulle orme dei santi Padri, insegniamo in pieno accordo a confessare un solo e medesimo Figlio e Signore nostro Gesù Cristo; il medesimo perfetto nella divinità e perfetto nell’umanità, Dio vero e uomo vero, fatto di anima razionale e di corpo, consostanziale al Padre secondo la divinità, consostanziale a noi secondo l’umanità, simile a noi in tutto fuorché nel peccato; generato dal Padre prima dei secoli secondo la divinità, da Maria Vergine genitrice di Dio, secondo l’umanità, negli ultimi tempi, per noi e per la nostra salvezza; un solo e medesimo Cristo, Figlio, Signore, Unigenito da riconoscersi in due nature senza confusione, senza separazione, in nessun modo tolta la differenza delle nature per ragione dell’unione, e anzi salva la proprietà dell’una e dell’altra natura concorrenti in una sola Persona e sussistenza: non in due persone scisso o diviso, ma un solo e medesimo Figlio e Unigenito Dio Verbo, Signore Gesù Cristo».(20) – Se si domanda per qual motivo il linguaggio del Concilio di Calcedonia si distingua per chiarezza ed efficacia nell’impugnare l’errore, crediamo dipenda dal fatto che, messa da parte ogni ambiguità, si adoperano termini molto appropriati. Difatti, nella definizione calcedonese, alle voci persona e ipostasi (prósôpon e ypóstasis) si attribuisce uguale significato; invece al termine natura (fýsis) si dà un senso diverso, né mai il significato di esso è attribuito ai due primi. – Pertanto a torto pensavano una volta nestoriani ed eutichiani e oggi vanno dicendo alcuni storici, che il concilio di Calcedonia ha corretto ciò che si era definito nel concilio di Efeso. L’uno completa l’altro; la sintesi poi armonica della dottrina cristologica fondamentale appare definitiva nel secondo e nel terzo concilio di Costantinopoli. – È veramente doloroso che alcuni antichi avversari del Concilio Calcedonese, detti anch’essi monofisiti, abbiano respinto una fede così pura, così sincera e integra, a causa di alcune espressioni di antichi mal comprese. Difatti, sebbene essi fossero avversi ad Eutiche, che parlava assurdamente di mescolanza delle nature di Cristo, pure si attaccarono tenacemente alla nota formula: «Una è la natura del Verbo incarnata», di cui si era servito san Cirillo Alessandrino, come se fosse di sant’Atanasio, ma in senso ortodosso, perché egli intendeva la natura nel significato di persona. I padri di Calcedonia però avevano eliminato ogni equivoco e ogni incertezza da quei termini: giacché essi, equiparando la terminologia trinitaria a quella cristologica, identificarono la natura e l’essenza (ousía) da una parte e la Persona e l’ipostasi dall’altra, distinguendo bene tra loro le due coppie di termini, mentre i suddetti dissidenti identificarono con la Persona la natura, ma non l’essenza. Si deve perciò dire, secondo il linguaggio comune e chiaro, che in Dio c’è una natura e tre persone, ma in Cristo c’è una Persona e due nature. – Per il motivo qui addotto accade che ancora oggi alcuni gruppi di dissidenti sparsi in Egitto, in Etiopia, in Siria, in Armenia e altrove, nel formulare la dottrina dell’Incarnazione del Signore sembrano deviare dal retto sentiero piuttosto con le parole; il che si può arguire dai loro documenti liturgici e teologici. – Del resto già nel secolo XII, un uomo, che presso gli armeni godeva di grande autorità, confessava candidamente il suo pensiero intorno a questa materia: «Noi diciamo che Cristo è una natura non per via di confusione, alla maniera di Eutiche, né di mutilazione, come voleva Apollinare, ma secondo la mente di Cirillo Alessandrino, il quale nel libro Scholia adversus Nestorium dice: Una è la natura del Verbo incarnato, come hanno insegnato i padri. … E noi pure l’abbiamo appreso dalla tradizione dei santi, non introducendo nell’unione di Cristo confusione o mutazione o alterazione secondo il pensiero degli eterodossi, asserendo una natura, ma nel senso d’ipostasi, che voi stessi ponete in Cristo; il che è giusto e noi lo riconosciamo, ed equivale perfettamente alla nostra formula “Una natura…”. Né ricusiamo di dire “due nature” purché non s’intenda per via di divisione come vuole Nestorio, ma si mantenga chiara l’inconfusione contro Eutiche e Apollinare».(21) – Se il gaudio e la santa letizia toccano l’apice quando si realizza la parola del salmo: «Ecco come è bello e giocondo che i fratelli si trovino insieme uniti» (Sal CXXXII,1); se la gloria di Dio allora specialmente risplende congiunta all’utilità di tutti quando la piena verità e la piena carità legano insieme le pecorelle di Cristo, vedano coloro che con amore e dolore abbiamo qui sopra ricordato, se sia lecito e utile tenersi ancora lontano, specialmente per un iniziale equivoco di parole, dalla chiesa una e santa, fondata sugli zaffiri (cf. Is LIV,11) cioè sui profeti e gli apostoli, sulla stessa pietra angolare somma, Gesù Cristo (cf. Ef. II,20). – È del tutto contraria anche alla definizione di fede del concilio di Calcedonia l’opinione, assai diffusa fuori del Cattolicesimo, poggiata su un passo dell’epistola di Paolo apostolo ai Filippesi (Fil II,7), malamente e arbitrariamente interpretato: la dottrina chiamata kenotica, secondo la quale in Cristo si ammette una limitazione della divinità del Verbo; un’invenzione veramente strana che, degna di riprovazione come l’opposto errore del docetismo, riduce tutto il mistero dell’incarnazione e redenzione a ombre evanescenti. «Nell’integra e perfetta natura di vero uomo così insegna eloquentemente Leone Magno, è nato il vero Dio, intero nelle sue proprietà, intero nelle nostre».(22)
Sebbene nulla vieti di scrutare più a fondo l’umanità di Cristo, anche sotto l’aspetto psicologico, tuttavia nell’arduo campo di tali studi non mancano coloro che abbandonano più del giusto le posizioni antiche per costruirne delle nuove, e si servono a torto dell’autorità e della definizione del concilio Calcedonese per sorreggere le proprie elucubrazioni. – Costoro spingono tanto innanzi lo stato e la condizione della natura umana di Cristo da sembrare che essa sia ritenuta un soggetto autonomo, come se non sussistesse nella Persona dello stesso Verbo. Ma il Concilio Calcedonese, in tutto concorde con quello Efesino, afferma chiaramente che le due nature del nostro Redentore convergono «in una sola persona e sussistenza» e proibisce di ammettere in Cristo due individui, di maniera che accanto al Verbo sia posto un certo «uomo assunto», dotato di piena autonomia. – San Leone, poi, non solo tiene la stessa dottrina, ma indica e dimostra anche la fonte da cui attinge questi puri principi: «Tutto ciò – egli dice – che da noi è stato scritto si prova che è stato preso dalla dottrina apostolica ed evangelica».(23). – Difatti la Chiesa fin dai primi tempi, sia nei documenti scritti, sia nella predicazione, sia nelle preci liturgiche, professa in modo chiaro e preciso che l’unigenito Figlio di Dio, consostanziale al Padre, nostro Signore Gesù Cristo, Verbo incarnato è nato sulla terra, ha patito, è stato confitto in croce e, dopo essere risorto dal sepolcro, è asceso al cielo. Inoltre la sacra Scrittura attribuisce all’unico Cristo, Figlio di Dio, proprietà umane, e al medesimo, Figlio dell’Uomo, proprietà divine. – Difatti l’evangelista Giovanni dichiara: «Il Verbo si fece carne» (Gv 1, 14); Paolo poi scrive di lui: «Il quale, già sussistente nella natura di Dio … si è umiliato, fatto obbediente fino alla morte» (Fil. II, 6-8); oppure: «Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il Figlio suo fatto da donna» (Gal IV, 4); e lo stesso divino Redentore afferma in modo perentorio: «Io e il Padre siamo una cosa sola» (Gv. X, 30); e ancora: «Sono uscito dal Padre e son venuto nel mondo» (Gv. XVI, 28). L’origine celeste del nostro Redentore risplende anche in questo testo del Vangelo: «Son disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato» (Gv. VI, 38). E da quest’altro: «Colui che discende, è quello stesso che ascende sopra tutti i cieli» (Ef. IV, 10). Affermazione che san Tommaso d’Aquino così commenta e illustra: «Chi discende è quegli stesso che ascende. Nel che è designata l’unità della Persona del Dio uomo. Discende infatti … il Figlio di Dio assumendo la natura umana, ma ascende il Figlio dell’uomo secondo l’umana natura alla sublimità della vita immortale. E così lo stesso è il Figlio di Dio, che discende, e il Figlio dell’uomo che ascende». (24) – Questo stesso concetto già l’aveva felicemente espresso il Nostro predecessore Leone Magno con queste parole: «Poiché alla giustificazione degli uomini questo principalmente contribuisce, che l’Unigenito di Dio si è degnato di essere anche il Figlio dell’uomo in maniera che quello stesso che è Dio, homooúsios al Padre, ossia della stessa sostanza del Padre, fosse anche vero uomo e consostanziale alla Madre secondo la carne; noi godiamo dell’uno e dell’altro giacché non ci salviamo che in virtù di ambedue, non dividendo affatto il visibile dall’invisibile, il corporeo dall’incorporeo, il passibile dall’impassibile, il palpabile dall’impalpabile, la forma del servo dalla forma di Dio; perché, sebbene uno sussista fin dall’eternità e l’altro sia cominciato nel tempo, tuttavia, essendo convenuti nell’unione, non possono più avere né separazione né fine». (25) – Solo dunque se con santa e pura fede si crede che in Cristo non c’è altra Persona che quella del Verbo, in cui confluiscono le due nature, l’umana e la divina, del tutto distinte fra di loro, diverse per proprietà e operazioni, appaiono la magnificenza e la pietà della nostra redenzione, mai abbastanza esaltata. – O sublimità della misericordia e della giustizia divina, che portò soccorso ai colpevoli e si procurò dei figli! O cieli curvati in basso affinché, allontanate le brume invernali, apparissero i fiori sulla nostra terra (cf. Ct. II, 11s) e noi diventassimo uomini nuovi, nuova creatura, nuova fattura, gente santa e prole celeste! Il Verbo ha veramente patito nella sua carne, ha sparso il suo sangue sulla croce e all’eterno Padre ha pagato un sovrabbondante prezzo di soddisfazione per le nostre colpe; onde avviene che risplende sicura la speranza di salvezza a coloro che con fede sincera e con carità operosa aderiscono a Cristo e, con l’aiuto della grazia da lui procurata, producono frutti di giustizia.
III
L’evocazione di fasti così gloriosi e così insigni della Chiesa, di natura sua fa sì che Noi con amore più vivo rivolgiamo il pensiero agli orientali. Infatti il sacrosanto Concilio ecumenico di Calcedonia è soprattutto un loro monumento glorioso, che certamente durerà per tutti i secoli: giacché là, sotto la guida della Sede Apostolica, da un’assemblea di circa seicento Vescovi orientali la dottrina dell’unità di Cristo, per cui le due nature, divina e umana, concorrono distintamente e senza confusione in una sola Persona, essendo stata adulterata con empia audacia, fu tempestivamente difesa e mirabilmente dichiarata. Ma purtroppo molti nei paesi orientali si sono miseramente allontanati per una lunga serie di secoli dall’unità del Corpo mistico di Cristo, di cui l’unione ipostatica è fulgido esemplare. Non è forse cosa santa, salutare e conforme alla volontà di Dio che tutti finalmente ritornino all’unico ovile di Cristo?Per quanto spetta a Noi, vogliamo che essi sappiano bene che i nostri pensieri sono di pace e non di afflizione (cf. Ger. XXIX, 11). Peraltro è ben noto che questa disposizione d’animo Noi l’abbiamo dimostrata anche coi fatti e se, per necessità di cose, Ci gloriamo in questo, Ci gloriamo nel Signore, il quale è il datore d’ogni buona volontà. Seguendo dunque le orme dei Nostri predecessori, Ci siamo adoperati assiduamente perché sia facilitato agli orientali il ritorno alla Chiesa Cattolica: abbiamo difeso i loro legittimi riti, promosso gli studi che li riguardano, promulgato per loro provvide leggi, circondato di cura particolare la Congregazione per la Chiesa Orientale istituita nella Curia romana; abbiamo insignito dello splendore della porpora romana il Patriarca degli armeni. – Mentre infieriva la recente guerra con la sequela di miseria, di fame e di malattie, Noi, senza distinzione tra dissidenti e coloro che sogliono chiamarci Padre, Ci siamo adoperati ad alleviare dappertutto il peso delle sciagure: Ci siamo sforzati di aiutare le vedove, i fanciulli, i vecchi, i malati e saremmo stati più felici se avessimo potuto adeguare i mezzi ai desideri. A questa Sede Apostolica dunque, per cui il presiedere è giovare, a quest’incrollabile rupe di verità piantata da Dio, quelli che per calamità di tempi si sono da essa separati – guardando e imitando Flaviano, nuovo Giovanni Crisostomo nel sopportare le prove più dure per la giustizia, i padri calcedonesi, eletti membri del Corpo mistico di Cristo, il forte Marciano, mite e saggio principe, Pulcheria, giglio fulgido di regale e intemerata bellezza – non tardino a rendere il dovuto omaggio: Noi prevediamo quale ricca fonte di beni a comune vantaggio dell’orbe cristiano scaturirà da questo ritorno all’unità della Chiesa. Certo non ignoriamo quale cumulo inveterato di pregiudizi impedisca tenacemente che si realizzi la preghiera innalzata da Cristo all’eterno Padre per i seguaci dell’evangelo, nell’ultima cena: «Che tutti siano una cosa sola» (Gv XVII, 21). Ma conosciamo anche che la forza della preghiera è così grande, se gli oranti, in compatta schiera, ardono di sicura fede in una coscienza pura, che si può spostare perfino una montagna e precipitarla nel mare (cf. Mc XI, 23). Desideriamo dunque ardentemente che tutti coloro cui sta a cuore il caldo richiamo ad abbracciare l’unità cristiana (e nessuno che appartenga a Cristo può far poco conto di una cosa così grave), innalzino preci e suppliche a Dio, Autore e fonte di ordine, unità e bellezza, affinché i voti lodevoli degli uomini migliori si realizzino quanto prima. A spianare certamente il cammino per cui si deve raggiungere tale meta, vale l’indagine senza ira e passione con cui, oggi più che nel passato, sogliono ricostruirsi e vagliarsi i fatti antichi. – Ma c’è un altro motivo che con grande urgenza esige che le schiere denominate cristiane quanto prima si uniscano e combattano sotto un solo vessillo contro i tempestosi assalti del nemico infernale. Chi non ha orrore dell’odio e della ferocia con cui i nemici di Dio, in molti paesi del mondo, minacciano di distruggere o cercano di sradicare tutto ciò che c’è di divino e di cristiano? Contro le associate schiere di costoro, non possono continuare, divisi e dispersi, a perder tempo tutti quelli che, segnati dal carattere battesimale, sono destinati per dovere alla buona battaglia di Cristo. – I ceppi, le sofferenze, i tormenti, i gemiti, il sangue di coloro che, noti o ignoti, moltitudine senza numero, in questi ultimi tempi e ancora oggi, per la costanza della virtù e la professione della fede cristiana hanno sofferto e soffrono, con voce sempre più alta eccitano tutti ad abbracciare questa santa unità della Chiesa. – La speranza del ritorno dei fratelli e dei figli già da lungo tempo separati da questa Sede Apostolica è rafforzata dalla croce inasprita e insanguinata dalle sofferenze di tanti altri fratelli e figli: nessuno impedisca o trascuri l’opera salutare di Dio! Ai benefici e al gaudio di questa unità, con paterna esortazione, invitiamo e richiamiamo anche coloro che seguono gli errori nestoriani e monofisitici. Si persuadano essi che Noi reputiamo come una fulgidissima gemma della corona del Nostro apostolato, se Ci sia dato di poter abbracciare con amore e onore coloro che sono tanto più cari a Noi, quanto più il loro lungo distacco Ce ne ha acuito il desiderio. – Finalmente è Nostro voto che, quando per la vostra sollecita opera, venerabili fratelli, sarà celebrata la commemorazione del sacrosanto concilio Calcedonese, tutti ne traggano impulso ad aderire con solidissima fede a Cristo nostro Redentore e Re. Nessuno, allettato dalle aberrazioni dell’umana filosofia e ingannato dalle tortuosità del linguaggio umano, osi scuotere col dubbio o pervertire con nocive innovazioni il dogma definito a Calcedonia, che cioè in Cristo ci sono due vere e perfette nature, una divina e l’altra umana, congiunte insieme ma non confuse, e sussistenti nell’unica Persona del Verbo. Anzi, uniti strettamente con l’Autore della nostra salvezza, che è «Via di santi costumi, Verità di divina dottrina e Vita di eterna beatitudine», (26) tutti riamino in Lui la propria natura restaurata, onorino la libertà redenta e, rigettata la stoltezza del mondo vecchio, passino con piena letizia alla sapienza dell’infanzia spirituale, che non conosce vecchiezza. – Accolga questi ardentissimi voti Dio uno e trino, la cui natura è bontà e la volontà è potenza, per intercessione della vergine Maria Madre di Dio, dei santi apostoli Pietro e Paolo, di Eufemia vergine calcedonese e martire trionfatrice. E voi, venerabili fratelli, unite per questo le vostre alle Nostre preghiere e fate che quanto vi abbiamo scritto venga a conoscenza di quanti più è possibile. Grati fin d’ora di questo aiuto, a voi e a tutti i sacerdoti e i fedeli affidati alla vostra cura pastorale, impartiamo di gran cuore l’apostolica benedizione, nel cui auspicio possiate sottomettervi più volentieri al giogo leggero e soave di Cristo Re ed essere sempre più simili nell’umiltà a Colui del quale volete partecipare la gloria.
Roma,
presso San Pietro, l’8 settembre, festa della natività di Maria vergine,
nell’anno 1951, XIII del Nostro pontificato.
PIO PP.
XII
(1) PIUS PP. XII, Litt. enc. Sempiternus Rex de œcumenica Chalcedonensi Synodo quindecim abhinc sæculis celebrata, [Ad venerabiles Fratres Patriarchas, Primates, Archiepiscopos, Episcopos aliosque locorum Ordinarios, pacem et communionem cum Apostolica Sede habentes], 8 septembris 1951: AAS 43 (1951), pp. 625-644.
Celebrazioni
del XV centenario del concilio di Calcedonia. Premesse dottrinali e storiche di
quel concilio (8 ottobre -1 ° nov. 451). Le prime vicende dell’eresia di Nestorio
e di Eutiche. Il «latrocinio» di Efeso. Ricorso di Flaviano e di altri vescovi
alla sede apostolica di Roma e intervento di papa Leone. Il concilio:
definizione delle due nature nell’unica persona del Verbo e primato della sede
apostolica di Roma. «Pietro ha parlato per bocca di Leone». Chiarezza e
precisione di termini nella definizione di Calcedonia. Alcune moderne
deviazioni. Dottrina evangelica e apostolica. Appello ai fratelli separati
perché tornino all’unico gregge; unità contro i nemici di Dio e di Cristo;
comunanza di martirio e di sangue.
(2) Registrum Epistularum, I, 25 (al. 24): PL 77, 478; ed. EWALD, I, 36.
(3) S. LEO M., Ep. 28 (Ad Flavianum), 1: PL 54, 755s.
(6) SCHWARTZ, Acta Conciliorum Oecumenicorum, II, vol. II, pars 1. p 78.
(7) THEODORETUS, Ep. 52 (Ad Leonem M.), 1.5.6: PL 54, 847 et 851; cf. PG 83, 1311s et 1315s.
(8) MANSI, Conciliorum amplissima collectio, VI, 1047 (Act. III); SCHWARTZ, II, vol. I, pars altera, p. 29 [225] (Act. II).
(9) SYNODUS CHALCEDONENSIS, Ep. 98 (Ad Leonem M.), 1: PL 54, 951; MANSI, VI, 147.
(10) ANATOLIUS, Ep. 132 (Ad Leonem M.), 4: PL 54, 1084 MANSI, VI, 278s.
(11) MANSI, VII, 10.
(12) SCHWARTZ, II, vol. I, pars altera, p. 81 [277] (Act; III); MANSI, VI, 971 (Act. II).
(13) S. LEO M., Ep. 28, 6: PL 54, 777.
(14) Ibid.
(15) S. LEO M., Ep. 28, 5: PL 54, 771; cf. S. AUGUSTINUS, Contra sermonem Arianorum, c. 8: PL 42, 688.
(16) S. LEO M., Ep. 28, 3: PL 54, 763; cf. S. LEO M., Serm. 21, 2: PL 54,192.
(17) S. LEO M., Ep. 28, 3: PL 54, 765; cf. Serm. 23, 2: PL 54, 201:
(18) S. LEO M., Ep. 28, 4: PL 54, 767.
(19) Ibid.
(20) MANSI, VII, 114 et 115.
(21) Ita NERSES IV ( 1173) in Libello confessionis fidei, ad Manuelem Com nenum imperatorem byzantinum: I. CAPPELLETTI, S. Narsetis Claiensis, Armeno rum Catholici, opera, I, Venetiis 1833, pp. 182-183.
(22) S. LEO M., Ep. 28, 3: PL 54, 763; cf. Serm. 23, 2: PL 54, 201.
(23) S. LEO M., Ep. 152: PL 54, 1123.
(24) S. THOMAS AQ., Comm. in Ep. ad Ephesios, c. IV, lect. III, circa finem.
In nómine Patris, ☩ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.
Introitus
LXIX: 2-3 Deus, in adjutórium meum inténde: Dómine, ad adjuvándum me festína: confundántur et revereántur inimíci mei, qui quærunt ánimam meam. [O Dio, vieni in mio aiuto: o Signore, affrettati ad aiutarmi: siano confusi e svergognati i miei nemici, che attentano alla mia vita.]
Ps LXIX: 4
Avertántur retrórsum et erubéscant: qui cógitant mihi mala. [Vadano delusi e scornati coloro che tramano contro di me.]
Deus, in adjutórium meum inténde:
Dómine, ad adjuvándum me festína: confundántur et revereántur inimíci mei, qui
quærunt ánimam meam. [O Dio, vieni in mio aiuto: o Signore, affrettati
ad aiutarmi: siano confusi e svergognati i miei nemici, che attentano alla mia
vita.]
Oratio
Orémus. Omnípotens et miséricors Deus, de cujus múnere venit, ut tibi a fidélibus tuis digne et laudabíliter serviátur: tríbue, quǽsumus, nobis; ut ad promissiónes tuas sine offensióne currámus. [Onnipotente e misericordioso Iddio, poiché dalla tua grazia proviene che i tuoi fedeli Ti servano degnamente e lodevolmente, concedici, Te ne preghiamo, di correre, senza ostacoli, verso i beni da Te promessi.]
Lectio
Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Corinthios. 2 Cor III: 4-9.
“Fratres: Fidúciam talem habémus
per Christum ad Deum: non quod sufficiéntes simus cogitáre áliquid a nobis,
quasi ex nobis: sed sufficiéntia nostra ex Deo est: qui et idóneos nos fecit
minístros novi testaménti: non líttera, sed spíritu: líttera enim occídit,
spíritus autem vivíficat. Quod si ministrátio mortis, lítteris deformáta in
lapídibus, fuit in glória; ita ut non possent inténdere fili Israël in fáciem
Moysi, propter glóriam vultus ejus, quæ evacuátur: quómodo non magis
ministrátio Spíritus erit in glória? Nam si ministrátio damnátionis glória est
multo magis abúndat ministérium justítiæ in glória.”
OMELIA I
[A. Castellazzi: La scuola degli Apostoli – Sc. Tip. Vescov. Artigianelli, Pavia 1920)D
Il SACERDOZIO
“Fratelli: Tanta fiducia in Dio noi l’abbiamo per Cristo. Non che siamo capaci da noi a pensar qualche cosa, come se venisse da noi; ma la nostra capacità viene da Dio, il quale ci ha anche resi idonei a essere ministri della nuova alleanza, non della lettera, ma dello spirito; perché la lettera uccide ma lo spirito dà vita. Ora, se il ministero della morte, scolpito in lettere su pietre, è stato circonfuso di gloria in modo che i figli d’Israele non potevano fissare lo sguardo in faccia a Mosè, tanto era lo splendore passeggero del suo volto; quanto più non sarà circonfuso di gloria il ministero dello Spirito? Invero, se è glorioso il ministero di condanna, molto più è superiore in gloria il ministero di giustizia” (2 Cor. III, 4-9).
La severa lettera di San Paolo a quei di Corinto aveva prodotto un salutare effetto. Quella comunità aveva preso ora un andamento più consolante; e, sebbene gli sconvenienti non fossero tutti scomparsi, c’era fondata speranza che l’ulteriore azione di S. Paolo riuscisse al compimento dell’opera incominciata. Non dormivano, è naturale i suoi nemici; anzi lo combattevano più aspramente di prima. Cercavano soprattutto di metterlo in discredito negandogli la dignità e l’autorità di Apostolo e criticando il suo modo di operare. Era in gioco la missione di Apostolo, affidata da Dio a Paolo, e questi crede suo dovere di difendersi dai falsi apostoli, perché non riuscissero a trar dalla loro parte i fedeli, specialmente i neofiti. Ed ecco che dalla Macedonia, pochi mesi dopo la prima, invia a Corinto una seconda lettera, in cui rivendica la sua autorità di Apostolo, e ribatte le calunnie dei suoi avversari. L’epistola di quest’oggi è un passo della lettera dove San Paolo difende il suo ministero. Se egli si presenta come predicatore della fede non lo fa per vana gloria, ben riconoscendo la sua insufficienza. Tutto il suo vanto lo ripone in Dio, per la cui grazia, datagli per mezzo di Gesù Cristo, egli compie il suo ministero tra loro. Dio ha scelto lui e i suoi compagni a essere ministri idonei del nuovo Testamento, in cui non regna più la lettera che uccide come nell’antico, ma lo spirito che dà la vita della grazia. È un ministero superiore all’antico per la gloria di cui è circonfuso. Il ministero della legge che uccide — non dando la forza di praticare ciò che prescrive — fu circondato di gloria, come si vide sul volto di Mosè, che portava questa legge scolpita in tavole di pietra. Questa gloria dev’esser sorpassata da quella che circonda il ministero dello spirito che vivifica. La gloria del ministero che vivifica è, senza confronto, superiore alla gloria del ministero di condanna. Il contenuto dell’Epistola di quest’oggi ci porta a parlare del Sacerdote Cattolico, il quale:
1. È banditore d’una dottrina sublime,
2. È dispensatore dei divini misteri,
3. Merita il nostro rispetto e le nostre
premure.
1.
La nostra capacità viene da Dio, il quale ci ha anche resi idonei a esser ministri della nuova alleanza, non della lettera, ma dello spirito. L’Apostolo compie il suo ministero per la grazia di Dio. Egli, che lo ha scelto a suo ministro, lo ha reso idoneo a predicare la dottrina del Vangelo, nel quale regna lo spirito, e non più la lettera come nell’antico testamento. Come San Paolo, ogni Sacerdote è scelto da Dio, che lo rende idoneo a predicare la dottrina del Vangelo. Con la dottrina del Vangelo il sacerdote si fa guida agli uomini in questo terreno pellegrinaggio. Satana, il padre della menzogna, fa deviare dal retto sentiero i nostri progenitori nel paradiso terrestre. Fa deviare, dopo di essi, continuamente, i loro discendenti. Ha, in questo, ai suoi ordini una schiera di alleati. Insegnanti, conferenziere, settari, gaudenti, beffardi, libri, riviste, giornali, direttamente o indirettamente, tolgono di vista all’uomo la meta, cui deve arrivare. E l’uomo comincia ad essere indeciso; smarrisce il sentiero e, smarritolo, non ha più la volontà di rifare la via da capo. Il Sacerdote è posto da Dio a illuminare la via che l’uomo deve percorrere. Egli addita i pericoli da schivare, indica la via sicura, e la rischiara con gli insegnamenti di Colui che proclamò:« Io sono la via » (Giov. XIV, 6.). Ismaele va errando nel deserto di Betsabea, tormentato dalla sete. Questa è ormai divenuta insostenibile, e la madre per non vedere il figlio morire, lo abbandona sotto un arbusto. Dio ascolta il grido di Agar e di Ismaele, e manda il suo Angelo a mostrare il pozzo d’acqua ristoratrice (Gen. XXI, 14 segg.). Il Sacerdote è l’Angelo che al viandante diretto alla patria celeste, ormai privo del primo fervore, annoiato dalla lunghezza del cammino, stanco per la sua asprezza, indeciso a continuarlo, solleva lo spirito e infonde nuova forza e coraggio, facendogli porre la fiducia in Colui che dice: «Non si turbi il vostro cuore. Abbiate fede in Dio, e abbiate fede anche in me» (Giov. XIV, 1). – La parola del Sacerdote è l’unica che sappia veramente appagare il cuore e l’intelligenza dell’uomo. La sua dottrina «non è cosa umana» (Gal. I, 4) Perciò avvince tutte le intelligenze, fa superar tutte le difficoltà. Le scoperte, il progresso, le migliorate condizioni sociali non possono togliere nulla alla efficacia e alla bellezza della dottrina del Vangelo. La parola di Dio non può scolorire davanti alla parola degli uomini. È una dottrina che non invecchierà Mai, che non avrà mai bisogno d’essere sfrondata o corretta.
2.
L’Apostolo, facendo il confronto tra l’antica alleanza, che si fondava sulla lettera, cioè sulla legge scritta, e la nuova alleanza, che è opera dello Spirito Santo, osserva: la lettera uccide, ma lo spinto dà vita. La lettera, ossia la legge scritta uccide, perché non dando la grazia necessaria a compiere ciò che è comandato e ad evitare ciò che è proibito, era, indirettamente, occasione di peccato, e quindi di morte eterna. Lo spirito dà vita, perché nella nuova legge, lo Spirito Santo dà la grazia, con cui l’uomo può osservare ciò che esternamente viene comandato o proibito. E il Sacerdote, in questa nuova legge, è fatto da Dio l’idoneo dispensatore della grazia. – L’uomo nasce figlio di questa valle di lagrime, spoglio d’ogni bene soprannaturale. Il Sacerdote versa sul suo capo l’acqua battesimale, ed egli rinasce figlio del cielo, adorno dei beni della grazia. Per il ministero del Sacerdote gli è aperta la porta al regno di Gesù Cristo, la Chiesa, e acquista il diritto a ricevere gli altri Sacramenti con l’abbondanza delle grazie, che li accompagnano. – Ogni uomo è destinato preda alla morte. Chi nasce muore. Quando arriva questo giorno, l’uomo si trova ancora di fianco il Sacerdote. «E’ infermo alcuno tra voi? — è scritto nel Nuovo Testamento — chiami i Sacerdoti della Chiesa e facciano orazione su lui, ungendolo con l’olio nel nome del Signore» (Giac. V, 19). Così si pratica nella Chiesa Cattolica. Presso il morente accorre il Sacerdote, che gli amministra il Sacramento dell’olio Santo, il quale con la sua grazia porta sollievo spirituale e corporale ai Cristiani gravemente infermi. L’uomo ha pur sempre bisogno dei soccorsi della grazia durante la sua vita. La grazia santificante, che ci viene infusa nel Battesimo, generalmente non rimane a lungo. Al primo svegliarsi delle passioni si perde facilmente. E con la perdita della grazia santificante è perduto anche il diritto alla eredità celeste. L’uomo che ha perduto la grazia santificante è un povero figlio diseredato, che ha bisogno di essere riconciliato con il Padre. Anche questa volta è il Sacerdote che avvicina il figlio al Padre. Egli, pronunciando nel tribunale di penitenza le parole dell’assoluzione, apre al figlio pentito la casa del Padre, lo rimette nelle sue grazie, e gli riacquista i diritti perduti. Ma chi aveva strappato il figlio dalla casa del padre, non si dà pace ora che ve lo vede riammesso. È questa per lui una sconfitta insopportabile, che lo spinge alla rivincita. Occorrono forze raddoppiate per resistere ai suoi assalti. Il Sacerdote procurerà queste forze, somministrandogli un pane che è la fonte delle grazie. Nelle vicinanze di Betsaida Gesù Cristo, mosso a compassione delle turbe che da tre giorni l’avevano seguito, pensa a ristorarle, perché nel ritorno alle loro case, sfinite di forze, non abbiano a venir meno per via. Moltiplicati dei pani che gli furono presentati, « li diede ai suoi discepoli, perché li ponessero davanti alle turbe ». (Marc. VIII, 6). Nell’ultima cena dà incarico ai discepoli di distribuire con le loro mani ai fedeli il Pane eucaristico, perché possano fortificarsi nel combattimento spirituale, e non venir meno sotto gli assalti del demonio, del mondo, della carne. Difatti, « mentre mangiavano Gesù prese del pane, lo benedisse, lo spezzò e lo diede ai suoi discepoli dicendo: — Prendete e mangiate, questo è il mio corpo, (Matt. XXVI, 26) il quale è dato per voi: fate questo in memoria di me » – E i Sacerdoti, seguendo il comando di Gesù Cristo, continuano a rinnovare nella santa Messa la consacrazione eucaristica e a distribuire ai fedeli questo Pane di vita. – Il Beato Giovanni de Brébeuf, martire canadese, si trovava in un villaggio di Uroni, quando all’improvviso giungono gli Irochesi, loro terribili nemici. I capitani presenti fanno uscire dal villaggio le donne e i fanciulli, e pregano il Beato e il suo compagno, padre Gabriele Lalemant a seguire i fuggiaschi. «La vostra presenza — dicono essi — non ci può esser di servizio alcuno. Voi non sapete maneggiare né l’accetta né il fucile». — «C’è qualcosa ch’è più necessaria delle armi, — risponde il de Brébeuf — e sono i Sacramenti che noi soli possiamo amministrare. Il nostro posto è in mezzo a voi». E rimasero infatti ad amministrare i Sacramenti, ricevendo in premio la corona del martirio (Nicola Risi, Gli otto Martiri Canadesi della Compagnia di Gesù. Torino, 1926. p. 63-64). Nessuno può dispensare ai fedeli i tesori spirituali che dispensa il sacerdote. S. Paolo esalta tutta l’importanza del ministero sacerdotale con una semplice frase, chiamandolo ministero circonfuso di gloria. È, dunque, un ministero che merita tutto il nostro rispetto e il nostro interessamento. Ma questo contegno non è, pur troppo, il contegno della maggior parte. Per alcuni il Sacerdote non esiste che per esser bersaglio alle critiche, alle calunnie, alle persecuzioni. I preti, secondo essi, sono la cagione di tutti i malanni che succedono, o che potrebbero succedere. Ci sono i settari, i nemici della Religione, che combattono il Sacerdote per i loro fini. In battaglia si cerca di colpire specialmente gli ufficiali. Tolti di mezzo questi, i battaglioni si disgregano. I nemici della Religione Cattolica cercano di colpire specialmente i Sacerdoti per scristianizzare il popolo. – Altri si interessano del Sacerdote e lo stimano finché fa comodo. Diventa loro insopportabile quando, costretto dal proprio dovere, dà qualche ammonimento o fa qualche osservazione. «Chi vien biasimato o ripreso — nota in proposito il Grisostomo — chiunque egli sia, tralasciando affatto di essere riconoscente, diventa nemico » (In 1 Epist. ad Thess. Hom. 10, 1). E il Cristiano che viene avvisato, ammonito, ripreso dal Sacerdote gli diventa nemico. – Per altri il Sacerdote non esiste. Non gli si fanno critiche, ma neppure si pensa a lui. Lo si lascia stare. È considerato come uno che compie una funzione sociale qualsiasi, e niente di più. Questo non è un tributare l’onore, il rispetto, che s’addicono alla dignità dei ministri del nuovo Testamento. I Sacerdoti siano uomini; avranno anch’essi i loro difetti. Noi dobbiamo, però, considerare la loro dignità e non voler scrutare le loro azioni. «Non mi accada mai — scrive S. Gerolamo — che io dica qualcosa di sfavorevole rispetto a coloro, che, succeduti alla dignità apostolica, con la bocca consacrata ci danno il Corpo di Cristo, e per mezzo dei quali noi siamo Cristiani; e i quali, avendo le chiavi del regno celeste, in certo qual modo giudicano prima del giudizio» (Epist. 14, 8 ad Heliod.). – La nostra deferenza verso i Sacerdoti dobbiamo dimostrala, pure, nell’ascoltar volentieri la parola del Vangelo, da essi predicata, nel mostrarci docili alle loro cure. « Poiché — nota S. Cipriano — le eresie e gli scismi non trassero origine da altro, che dalla disubbidienza al Sacerdote di Dio» (Epist. 13, 5). – Se per mezzo del Sacerdote riceviamo i Sacramenti, partecipiamo ai divini misteri, usufruiamo delle celesti benedizioni, non possiamo disinteressarci di lui. Non basta il rispetto, la docilità alla sua parola. La riconoscenza deve spingerci a pregare per lui. La Chiesa ha stabilito giorni particolari di preghiere e di penitenza pei sacerdoti: le quattro tempora. Il Cristiano, però, non deve limitarsi a pregare pei Sacerdoti che salgono l’altare la prima volta. Deve pregare per i novelli Sacerdoti, deve pregare per quelli che sono incanutiti nel ministero, e deve pregare pei Sacerdoti futuri. Lo comanda Gesù: « La messe è veramente copiosa, ma gli operai sono pochi. Pregate il padrone della messe che mandi gli operai a lavorare nel suo campo (Matt. IX, 37-38). E che gli operai oggi siano pochi lo constatiamo tutti. Concorriamo adunque con la preghiera, e anche con quel contributo materiale che ci è possibile, a mandar nuovi operai nella vigna del Signore. Favorendo le vocazioni al Sacerdozio, faremo opera graditissima a Gesù perché concorreremo a procurargli dei collaboratori; faremo opera di carità squisita al prossimo, concorrendo a procurargli una guida spirituale; faremo il nostro migliore vantaggio perché ci faremo partecipi, in qualche modo, dei meriti che si acquista il Sacerdote nel salvar le anime.
Graduale
Ps XXXIII: 2-3.
Benedícam Dóminum in omni
témpore: semper laus ejus in ore meo. [Benedirò il Signore in ogni
tempo: la sua lode sarà sempre sulle mie labbra.]
V. In Dómino laudábitur ánima mea: áudiant mansuéti, et læténtur. [La
mia ànima sarà esaltata nel Signore: lo ascoltino i mansueti e siano
rallegrati.]
Alleluja
Allelúja, allelúja
Ps LXXXVII: 2
Dómine, Deus salútis meæ, in die clamávi et nocte coram te. Allelúja. [O Signore Iddio, mia salvezza: ho gridato a Te giorno e notte. Allelúia.]
Evangelium
Sequéntia ✠ sancti Evangélii secúndum S. Lucam.
Luc. X: 23-37
“In illo témpore: Dixit Jesus discípulis suis: Beáti óculi, qui vident quæ vos videtis. Dico enim vobis, quod multi prophétæ et reges voluérunt vidére quæ vos videtis, et non vidérunt: et audire quæ audítis, et non audiérunt. Et ecce, quidam legisperítus surréxit, tentans illum, et dicens: Magister, quid faciéndo vitam ætérnam possidébo? At ille dixit ad eum: In lege quid scriptum est? quómodo legis? Ille respóndens, dixit: Díliges Dóminum, Deum tuum, ex toto corde tuo, et ex tota ánima tua, et ex ómnibus víribus tuis; et ex omni mente tua: et próximum tuum sicut teípsum. Dixítque illi: Recte respondísti: hoc fac, et vives. Ille autem volens justificáre seípsum, dixit ad Jesum: Et quis est meus próximus? Suscípiens autem Jesus, dixit: Homo quidam descendébat ab Jerúsalem in Jéricho, et íncidit in latrónes, qui étiam despoliavérunt eum: et plagis impósitis abiérunt, semivívo relícto. Accidit autem, ut sacerdos quidam descénderet eádem via: et viso illo præterívit. Simíliter et levíta, cum esset secus locum et vidéret eum, pertránsiit. Samaritánus autem quidam iter fáciens, venit secus eum: et videns eum, misericórdia motus est. Et apprópians, alligávit vulnera ejus, infúndens óleum et vinum: et impónens illum in juméntum suum, duxit in stábulum, et curam ejus egit. Et áltera die prótulit duos denários et dedit stabulário, et ait: Curam illíus habe: et quodcúmque supererogáveris, ego cum redíero, reddam tibi. Quis horum trium vidétur tibi próximus fuísse illi, qui íncidit in latrónes? At ille dixit: Qui fecit misericórdiam in illum. Et ait illi Jesus: Vade, et tu fac simíliter.”
OMELIA II
[A.
Carmignola, Spiegazione dei Vangeli domenicali, S. E. I. Ed. Torino, 1921]
SPIEGAZIONE XL
“In quel tempo Gesù disse a’ suoi discepoli: Beati gli occhi che veggono quello che voi vedete. Imperocché vi dico, che molti profeti e regi bramarono di vedere quello che voi vedete, e no videro; e udire quello che voi udite, e non l’udirono. Allora alzatosi un certo dottor di legge per tentarlo, gli disse: Maestro, che debbo io fare per possedere la vita eterna? Ma Egli disse a lui: Che è quello che sta scritto nella legge? come leggi tu? Quegli rispose, e disse: Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuor tuo, e con tutta l’anima tua, e con tutte le tue forze, o con tutto il tuo spirito; e il prossimo tuo come te stesso. E Gesù gli disse: Bene hai risposto: fa questo e vivrai. Ma quegli volendo giustificare se stesso, disse a Gesù: E chi è mio prossimo? E Gesù prese la parola, e disse: Un uomo andava da Gerusalemme a Gerico, e diede negli assassini, i quali ancor lo spogliarono; e avendogli date delle ferite, se n’andarono, lasciandolo mezzo morto. Or avvenne che passò per la stessa strada un sacerdote, il quale vedutolo passò oltre. Similmente anche un levita, arrivato vicino a quel luogo, e veduto colui, tirò innanzi: ma un Samaritano, che faceva suo viaggio, giunse presso lui; e vedutolo, si mosse a compassione. E se gli accostò, e fasciò le ferite di lui, spargendovi sopra olio e vino; e messolo sul suo giumento, lo condusse all’albergo, ed ebbe cura di esso. E il dì seguente tirò fuori due danari, e li diede all’ostiere, e dissegli: Abbi cura di lui: e tutto quello che spenderai di più te lo restituirò al mio ritorno. Chi di questi tre ti pare egli essere stato prossimo per colui che diede negli assassini? E quegli rispose: Colui che usò ad esso misericordia. E Gesù gli disse: Va’, fa’ anche tu allo stesso modo.” (Luc. X. 23-37)
Nostro Signor Gesù Cristo disse nel Santo Vangelo che Egli era venuto sulla terra a portare il fuoco della carità, e che nient’altro Egli voleva così ardentemente quanto che si accendesse un tal fuoco. Quindi non deve far meraviglia che tante e tante volte nella sua predicazione tornasse sopra l’importante argomento della carità, ed ora la raccomandasse direttamente o indirettamente colle sue magnifiche parabole. La Chiesa poi, fedelissima interprete della volontà di Gesù Cristo, suo sposo, fa ancor essa come Gesù, epperò più volte nel corso dell’anno nei Santi Vangeli della Domenica, che sono quelli che propone al nostro studio più attento, ci rinnova i precetti e le raccomandazioni di Gesù Cristo riguardo alla carità. Così fa pure questa Domenica, mettendoci sotto gli occhi uno dei più bei passi del Santo Vangelo, una di quelle più ammirabili parabole, che sono una tra le più espressive rivelazioni del Cuore di Gesù Cristo e de’ suoi santi voleri. Ascoltate.
1. I Farisei, sempre pieni di livore contro di Gesù, così mansueto e dolce, non facevano altro che cercare occasioni per sfogare la loro malignità. Ora trovandosi Gesù sulle frontiere della Samaria, stando per ritornare nella Galilea, occorse contro di Lui, da parte di quei perversi un attacco più violento di ostilità. Il divino Maestro volendo più profondamente scolpire nella mente de’ suoi discepoli ciò che doveva formar la loro felicità e la loro gioia, rivolto ad essi aveva loro detto: Beati gli occhi che veggono quello che voi vedete.Imperocché vi dico, che molti profeti e re bramaronodi vedere quello che voi vedete e nol videro,e di udire quello che voi udite e non l’udirono. Alloraalzatosi un certo dottore della legge (fingendosiignorante) per tentare Gesù, gli disse: Maestro, chedebbo io fare per possedere la vita eterna? Ma Gesùrispose a lui: Che è quello che sta scritto nella legge?come leggi tu? Quegli allora rispose e disse: Ameraiil Signore Dio tuo con tutto il cuor tuo, e con tuttal’anima tua, e con tutte le tue forze e con tuttoil tuo spirito; e il prossimo tuo come te stesso. EGesù gli disse: Bene hai risposto: fa questo e vivrai.Ma quegli volendo giustificare se stesso, dissea Gesù: E chi è il mio prossimo? Nella quale domanda era nascosta la più fina perfidia. Perciocché in quel tempo anche presso gli Ebrei la parola prossimo non presentava che l’idea di parente, di congiunto, di connazionale, mentre uno straniero, uno sconosciuto era quasi riguardato come nemico. Quindi questo dottor della legge credendo che neppur Gesù volesse spingere l’obbligo dell’amore fraterno oltre i confini della stessa nazione, avrebbe avuto la soddisfazione di farsi conoscere come esatto osservatore della legge, o in caso che Gesù Cristo avesse esteso il nome di prossimo anche agli stranieri, ai gentili, questo ipocrita avrebbe avuto il maligno piacere di udire Gesù a contraddire alla comune dottrina dei maestri della Sinagoga. Ora, non è veramente detestabile la condotta di questo Fariseo? Ma pure, miei cari, alla condotta di costui è molto somigliante la condotta di certi giovani, di certi Cristiani ai tempi nostri, i quali avendo cattivi sentimenti ed operando male e pur volendo giustificare se stessi, o adducono la ignoranza dei loro doveri, o cercano nella legge di Dio, nei precetti della Chiesa, negli insegnamenti e negli ordini del Vicario di Gesù Cristo, in quelli dei genitori e superiori, di trovare delle contraddizioni. Quanto è comune, in quelli che hanno commesso un qualche grave mancamento, il dire: Io non credevo che fosse male; mentre invece anche ignorando la legge, il precetto o la proibizione, si sentiva benissimo nel fondo della coscienza la legge stessa di natura, che o prescriveva o proibiva la tal cosa! Quanto è facile il sentire certi Cristiani domandare malignamente: E perché si deve pregare? Perché non si deve lavorare alla festa? Perché bisogna perdonare? Perché bisogna astenersi da certi piaceri? perché non si può almeno pensare e desiderare certe cose? Perché in certi giorni si deve far magro? Perché certi libri sono proibiti? Perché il Papa non vuol smettere le sue pretese? Perché questo? Perché quello? Eh, miei cari, se veramente non sapete darvi una risposta conveniente ai vostri perché, bisogna anzitutto che confessiate di essere molto ignoranti e riconosciate come l’ignoranza vostra sia inescusabile, avendo voi tanta facilità per mezzo delle istruzioni religiose, delle buone letture e dello studio della dottrina cristiana, di togliere dalla mente vostra tale ignoranza. Ma se invece, come può accadere in taluni, questi perché non son messi fuori che per far dello spirito, quasi per mettere in imbarazzo i Sacerdoti o i buoni Cristiani a cui li rivolgete, dovete pur dire a voi stessi in fondo al cuore, che siete maligni e perfidi come il Fariseo, di cui parla oggi il Vangelo. – Miei cari giovani e cari Cristiani, amate adunque di istruirvi nella verità di nostra santa Religione, nei doveri che essa impone a tutti in generale ed a ciascuno in particolare: questo amore di conoscere la fede di Gesù Cristo non sarà mai soverchio, perché quanto più si conoscerà tanto più si amerà e si praticherà. E se nello studio della fede cristiana vi accadrà molte volte di incontrare delle verità o dei precetti di cui non intendiate il significato e la forza, quando ne avete la comodità, domandate pure a chi può darvele, le necessarie spiegazioni. Ma procurate sempre di far questo con un cuor umile e docile; e non sia mai che, fingendo ignoranza che in voi non c’è, moviate delle domande per cattivo fine, o per mostrarvi in faccia agli altri diffidenti dell’insegnamento della Chiesa o per fare stoltamente mostra di ingegno nel discoprire contraddizioni, le quali non esisterebbero che nella vostra testa piccola e superba.
2. Ma tornando al Vangelo, la perfidia di quel dottore della legge diede occasione a Gesù di far scaturire dal suo cuore una delle sue più divine parabole: Un uomo, disse Egli, andava daGerusalemme a Gerico, e diede negli assassini, i qualiancor lo spogliarono; e avendogli date delle ferite,se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. Or avvenneche passò per la stessa strada un sacerdote,il quale vedutolo, passò oltre. Similmente anche unlevita, arrivato vicino a quel luogo, e veduto colui,tirò innanzi; ma un Samaritano, che faceva suoviaggio, giunse presso a lui; e vedutolo, si mossea compassione. E se gli accostò, e fasciò le feritedi lui, spargendovi sopra olio e vino; e messolo sulsuo giumento, lo condusse all’albergo, ed ebbe curadi esso. E il dì seguente tirò fuori due danari, eli diede all’ostiere, e dissegli: Abbi cura di lui: etutto quello che spenderai di più te lo restituirò almio ritorno. Terminata questa stupenda parabola,Gesù rivoltosi al dottore, che lo aveva interrogato,gli chiese: Chi di questi tre ti pare egli esser statoprossimo per colui che diede negli assassini? E queglirispose: colui che usò ad esso misericordia. EGesù gli disse: Va’, fa’ anche tu allo stesso modo. Gesù adunque con questa parabola fece conoscere al Fariseo che nostro prossimo sono indistintamente tutti gli uomini del mondo, anche quelli che non solo non ci sono amici o parenti, ma che o per nazionalità o per qualsiasi altra ragione possono parere od anche essere nostri avversari e nemici. Imperciocché tra i Samaritani e gli Ebrei eravi una grande divisione. I Samaritani avendo fabbricato un tempio sul monte Garizim e non andando più a sacrificare nel tempio di Gerusalemme, venivano riguardati come scismatici, scomunicati e nemici. E poiché Gesù aveva narrato essere stato uno di questi, che si fece a soccorrere l’ebreo ferito sulla strada, implicitamente diceva al dottore della legge: Se un Samaritano soccorse un Ebreo, quantunque nemico, deve far lo stesso un Ebreo verso un Samaritano, ossia un uomo qualsiasi verso chiunque si trovi nel bisogno di essere soccorso; perché tutti gli uomini del mondo per mezzo della mia legge, che è legge di amore, sono approssimati gli uni agli altri, e gli uni agli altri resi fratelli, perché figli tutti di un solo e medesimo Padre Celeste. – Ma l’ammaestramento che Gesù Cristo diede al Fariseo è quello che dà anche a noi. Epperò anche noi dobbiamo badare a non cadere nell’errore dei Farisei e non vedere il nostro prossimo soltanto negli amici e nei parenti. Se fosse così non avremmo maggior merito dei pagani. Tutti adunque riguardiamo come nostro prossimo e a tutti, senza eccezione di sorta, potendo, facciamo del bene. – Se non che qualcuno potrebbe qui domandare: Ma dunque si dovrà far del bene anche ai malvagi, ai peccatori? A questa domanda rispondo col dire che senza dubbio ci vuole una savia discrezione nell’esercitare la carità e specialmente nel far elemosina al prossimo. Lo stesso Spirito Santo nell’Ecclesiastico (XII) ci avverte di badare a chi facciamo del bene e di non farlo all’empio: Si bene feceris, scito cui feceris. Da bonoet ne suscipias peccatorem. Benefac humili et nondederis impio. Ma bisogna tuttavia notare che così ordinando, Iddio non vuole altro se non questo: che non facciamo la carità al peccatore, perché è peccatore, ma affinché non manteniamo in lui i peccati ed i vizi. Del resto sebbene questa discrezione sia lodevole, non è tuttavia necessaria, perché il bene fatto ad un malvagio per amor di Dio è sempre a Lui gradito e per noi meritorio. Così Gesù Cristo nel deserto moltiplicando il pane lo fece distribuire a tutti, senza badare chi era buono e chi era cattivo. Anche il B. Giordano, generale dell’Ordine dei Domenicani, ebbe l’incontro di un miserabile tutto nudo e tremante di freddo, che metteva compassione. Il buon religioso gli diede la sua cappa per ricoprirsi, e quel furfante andò a venderla e si mangiò i danari con alcuni altri ladroncelli nell’osteria. Il B. Giordano, saputo il successo disse: se colui ha gettato i danari, io non ho già perduta la cappa. L’ho veduta partire pel Paradiso, e diventar un manto da re per mia maggior gloria. Non è dunque necessario, perché l’elemosina sia semplicemente meritoria, fiscaleggiare ogni uomo e fargli un processo sopra la vita ed i miracoli, per dargli un pezzo di pane. Aprite la mano e date per amor di Dio, ed il merito è sempre in sicuro. D’altronde, o miei cari, quanto sarebbe facile alle volte ingannarsi e pensare malamente di chi non si dovrebbe, e negare perciò del bene a cui tanto importerebbe di farlo. Ed a convincerci di questo, valga ciò che si legge essere avvenuto al Santo Pontefice Gregorio Magno. S. Gregorio Magno prima di essere Papa, era abate nel monastero di S. Andrea in Roma. Un giorno fu introdotto a lui un pover’uomo, il quale con molta istanza faceva premura di dire una parola al padre abate. La parola che voleva dirgli, fu buttarglisi in ginocchio, ed esporgli come in un punto gli si era affondata una nave con sopra quanto aveva al mondo, e non essergli restato altro che i debiti, per cui correva pericolo di andar in prigione con sterminio della sua povera famiglia. L’abate, mosso a compassione, gli fece dare sei scudi d’oro. Di lì a poche ore torna lo stesso con pianti e grida più compassionevoli che mai, e si protesta che sei scudi al suo bisogno, sono come una goccia d’acqua al mare: e che per pietà gli dia qualche altro soccorso. L’abate tutto viscere di carità, gli fa dare altri sei scudi d’oro. Colui, vedendo che gli scudi venivano a sei a sei, tornò la sera del medesimo dì, a dare un’altra stretta alla borsa del monastero. L’abate, a quella terza venuta in così breve tempo, senza scomporsi, senza ricordargli la discrezione, gli dice: mio povero uomo, non so se vi sia più denaro in cassa; se ve ne sarà, ve lo farò dare. Chiamato il dispensiere, il quale gli disse non esservi più un soldo, egli rispose: Vedete se vi è qualche cosa da vendere. V’era un piatto d’argento, di una ricca dama romana, che in quel piattello aveva mandato un piccolo regalo. Dategli quel piatto d’argento. — E la padrona che dirà? — E questo povero uomo, che ha da fare? Quando la padrona lo ricerchi glielo farò pagare. Salito poi Gregorio al Pontificato ordinò al suo maggiordomo, che ogni mattina facesse l’invito di dodici poveri alla tavola papale. Una mattina ne vide tredici, e tutti li accolse. Ma finita la tavola interrogò quel decimoterzo povero, come era entrato a desinare col Papa, senz’essere invitato. Rispose « Io sono quello stesso, a cui, essendo tu abate, facevi sborsare dodici scudi d’oro, e quel piatto d’argento di soprappiù. Sono il tuo Angelo custode, che ho voluto far queste prove della tua carità. E ti faccio sapere che per le tue elemosine, Dio Ti ha promosso al sommo di tutti gli onori in terra, qual è il Pontificato, e che per le stesse elemosine Dio ti tiene preparati maggiori onori in Cielo ». E ciò detto disparve.
3. Ma ora, passando ad altre riflessioni, è da notare come i Santi Padri sotto il velo della parabola di quest’oggi, hanno trovato la storia dell’umanità all’ora della sua caduta. Adamo usciva innocente e puro dalle mani del suo Creatore e suo Dio; ma cadde tra le mani del demonio, e fu spogliato della grazia santificante, coperto delle vergognose piaghe del peccato. Una profonda ignoranza, ecco la piaga del suo intelletto; una terribile concupiscenza, ecco la piaga della sua volontà; non può rialzarsi dalla sua caduta, e tutta intera la sua posterità, coperta delle stesse piaghe, ridotta alla stessa nudità, è fatalmente condannata a morire. Avvenne poi che un sacerdote scendendo per la medesima via, vedutolo passò avanti. Similmente anche un levita, andando presso al luogo, vedutolo, trapassò oltre. Il sacerdote ed il levita, che passandogli vicino, si accontentano di vederlo senza soccorrerlo nella sua miserabile condizione, ci mostrano l’impotenza della legge e dei profeti per la salute dell’umanità decaduta. La legge, dice l’Apostolo, ha bensì potuto farci conoscere il peccato, ma non aveva rimedio efficace per la sua guarigione. – La povera umanità caduta da sì alto in quell’orrendo abisso del male, doveva dunque essere perduta senza riparo…? e dopo essere stata spogliata dall’infernale ladrone, avrebbe dovuto dividerne i supplizi per tutta l’eternità? No, miei cari. Gesù Cristo, quel buono e tenero Salvatore, che gl’ingiusti suoi nemici trattarono appunto da Samaritano, dall’alto del trono di sua gloria, Egli ha veduta la povera nostra umanità colpevole, decaduta, ferita a morte, condannata agli abissi; e a tal vista che provò Egli? la più profonda compassione: Misericordia motus est. E questa divina compassione doveva per noi produrre i frutti più felici. Il Salvatore ha intrapreso il viaggio dal cielo alla terra e, disceso fino a noi, prese tra le divine sue braccia questa umanità debole, languente, abbattuta; ne ha perscrutate tutte le piaghe, ha versato sulle sue ferite l’olio della sua grazia ed il prezioso vino dell’adorabile suo sangue per mezzo dei Sacramenti. E questa povera umana natura fortificata e rigenerata, venne da Lui condotta ad un mirabile albergo, la Chiesa, ch’Egli ha quaggiù fondata affine di perpetuare sino alla fine dei secoli la sua missione di misericordia e d’amore. Ed ai pastori di questa Chiesa Ei dice incessantemente: Abbiate cura di queste anime; non risparmiate i vostri sudori, né le vostre fatiche; più tardi Io vi rivedrò, e ricompenserò generosamente i vostri sforzi e i vostri lavori. Oh carità immensa del buon Samaritano, Gesù Cristo! Questo ammirabile esempio è quello che deve servir di regola anche a noi. Fin qui noi avremo forse creduto che per praticare la carità bastasse il non voler male ai nostri fratelli, non serbarne alcun rancore, non odiarli. Ah! questo non basta: la nostra carità, come quella del Samaritano, deve esser pietosa ed effettiva. Apriamo perciò il nostro cuore ad una tenera e dolce compassione, andiamo incontro alle umane miserie, cerchiamo mezzi di scoprirle e con l’olio della dolcezza nelle nostre parole, col vino della generosità nei nostri consigli, nelle nostre elemosine, portiamo rimedio alle tante piaghe, che trafiggono il nostro prossimo. Oh allora si, che potremo meritare ancor noi gli elogi che implicitamente fece Gesù Cristo al buon Samaritano; e non solo gli elogi, ma il premio ancora, perché tutto ciò che noi avremo fatto di bene al prossimo lo avremo fatto a Gesù Cristo stesso, che ne ha promessa e ne darà l’eterna ricompensa.
CREDO…
Offertorium
Orémus Exod XXXII: 11;13;14
Precátus est Moyses in conspéctu
Dómini, Dei sui, et dixit: Quare, Dómine, irascéris in pópulo tuo? Parce iræ
ánimæ tuæ: meménto Abraham, Isaac et Jacob, quibus jurásti dare terram fluéntem
lac et mel. Et placátus
factus est Dóminus de malignitáte, quam dixit fácere pópulo suo. [Mosè pregò in presenza del Signore Dio suo, e
disse: Perché, o Signore, sei adirato col tuo popolo? Calma la tua ira,
ricordati di Abramo, Isacco e Giacobbe, ai quali hai giurato di dare la terra
ove scorre latte e miele. E, placato, il Signore si astenne dai castighi che
aveva minacciato al popolo suo.]
Secreta
Hóstias, quǽsumus, Dómine, propítius inténde, quas sacris altáribus exhibémus: ut, nobis indulgéntiam largiéndo, tuo nómini dent honórem. [O Signore, Te ne preghiamo, guarda propizio alle oblazioni che Ti presentiamo sul sacro altare, affinché a noi ottengano il tuo perdono, e al tuo nome diano gloria.]
Communio
Ps CIII: 13; 14-15
De fructu óperum tuórum, Dómine,
satiábitur terra: ut edúcas panem de terra, et vinum lætíficet cor hóminis: ut
exhílaret fáciem in oleo, et panis cor hóminis confírmet. [Mediante la
tua potenza, impingua, o Signore, la terra, affinché produca il pane, e il vino
che rallegra il cuore dell’uomo: cosí che abbia olio con che ungersi la faccia
e pane che sostenti il suo vigore.]
Postcommunio
Orémus.
Vivíficet nos, quǽsumus, Dómine, hujus participátio sancta mystérii: et páriter
nobis expiatiónem tríbuat et múnimen. [O Signore, Te ne preghiamo, fa
che la santa partecipazione di questo mistero ci vivifichi, e al tempo stesso
ci perdoni e protegga.]
SETTEMBRE è il mese che la Chiesa dedica ai sette dolori della Madonna ed alla nascita della B. V. Maria
-381-
Fidelibus, qui mense septembri preces vel alia pietatis obsequia B. M. V. Perdolenti devote præstiterint, conceditur [A chi durante il mese di settembre, devotamente pregherà o compirà un esercizio di ossequio e pietà alla B. M. V. si concede]:
Indulgentia quinque annorum
semel, quolibet mensis die;
Indulgentia plenaria suetis
conditionibus, dummodo eidem pio exercitio quotidie per integrum mensem
vacaverint
(Breve Ap., 3 apr. 1857; S. C . Indulg., 26 nov. 1876 et 27 ian. 1888; S. Pæn. Ap., 12
nov. 1936).
-382-
Fidelibus, qualibet ex septem feriis
sextis utrumque festum B. M. V. Perdolentis immediate antecedentibus, si ad
honorem eiusdem Virginis Perdolentis septies Pater, Ave et Gloria recitaverint,
conceditur [Ai
fedeli che per sette venerdì antecedenti la festa della BMV Addolorata, in onore
della Vergine Addolorata reciteranno sette Pater, Maria, Gloria]:
~Indulgentia plenaria suetis
conditionibus, sequentia quotidie per integrum mensem devote reperita (S. C .
Indulg., 18 iun. 1876; S. Paen. Ap., 1 aug. 1934).
Festa della Natività della Beata Vergine Maria: 8 settembre 2016
Novena a Maria Bambina
Santa Maria Bambina della casa reale di David, Regina degli Angeli,
Madre di grazia e di amore, vi saluto con tutto il mio cuore. Ottenete per me
la grazia di amare il Signore fedelmente durante tutti i giorni della mia vita.
Ottenete per me una grandissima devozione a Voi, che siete la prima creatura
dell’amore di Dio.
Ave Maria,…
O celeste Maria Bambina, che come una colomba pura nasce immacolata e
bella, vero prodigio della saggezza di Dio, la mia anima gioisce in Voi. Oh!
Aiutatemi a preservare nell’Angelica virtù di purezza a costo di qualsiasi
sacrificio.
Ave Maria,…
Beata, incantevole e Santa Bambina, giardino spirituale di delizia,
dove il giorno dell’incarnazione è stato piantato l’albero della vita,
aiutatemi ad evitare il frutto velenoso della vanità ed i piaceri del mondo.
Aiutatemi a far attecchire nella mia anima i pensieri, i sentimenti e le virtù
del vostro Figlio divino.
Ave Maria,…
Vi saluto, Maria Bambina ammirevole, rosa mistica, giardino chiuso,
aperto solo allo Sposo celeste. O Giglio di paradiso, fatemi amare la
vita umile e nascosta; lasciate che lo Sposo celeste trovi la porta del mio
cuore sempre aperta alle chiamate amorevoli delle sue grazie ed ispirazioni.
Ave Maria,…
Santa Maria bambina, mistica Aurora, porta del cielo, Voi siete la mia
fiducia e speranza. O potente avvocata, dalla vostra culla stendete la mano per
sostenermi nel cammino della vita. Fate che io serva Dio con ardore e costanza
fino alla morte e così possa giungere all’eternità con Voi.
Ave Maria,…
Preghiera:
Beata Maria bambina, destinata ad essere la Madre di Dio e la nostra
tenera Madre, provvedetemi di grazie celesti, ascoltate misericordiosamente le
mie suppliche. Nei bisogni che mi opprimono e soprattutto nelle mie presenti
tribolazioni, ho riposto tutta la mia fiducia in Voi.
O Santa bambina, i privilegi che a Voi sola sono stati concessi
dall’Altissimo, i meriti che avete acquistato, mostrano che la fonte dei favori
spirituali ed i benefici continui che dispensate sono inesauribili, poiché il
vostro potere presso il cuore di Dio è illimitato. – Degnatevi attraverso
l’immensa profusione di grazie con cui l’Altissimo Vi ha arricchito fin dal
primo momento della vostra Immacolata Concezione, di esaudire, o celeste
Bambina, le nostre richieste e staremo eternamente a lodare la bontà del vostro
Cuore Immacolato.
[IMPRIMATUR: In Curia Archiep. Mediolani – 31
agosto 1931
Canon. CAVEZZALI, Pro Vic. Gen.]
.
Ecco le feste del mese di SETTEMBRE
1 Settembre Dominica XII Post Pentecosten I. Septembris Semiduplex Dominica minor *I* – S. Ægidii Abbatis
2 Settembre S. Stephani Hungariæ Regis Confessoris Semiduplex
3 Settembre S. Pii X Papæ Confessoris Duplex
4 Settembre S. Laurentii Justiniani Episcopi et Confessoris Semiduplex
6 Settembre I Venerdì del mese
7 Settembre Sanctæ
Mariæ Sabbato Simplex
I
sabato del mese
8 SettembreDominica XIII Post Pentecosten II. Septembris Semiduplex – Dominica minor –
In Nativitate Beatæ Mariæ Virginis Duplex II. classis
9 Settembre S. Gorgonii Martyris Feria
10 Settembre S. Nicolai de Tolentino Confessoris Duplex
11 Settembre Ss. Proti et Hyacinthi Martyrum Feria
12 Settembre S. Nominis Beatæ Mariæ Virginis Duplex
13 Settembre
14 Settembre In Exaltatione Sanctæ Crucis Duplex II. classis *L1*
15 SettembreDominica XIV Post Pentecosten III. Septembris – Semiduplex Dominica minor *I*
Septem Dolorum Beatæ Mariæ Virginis Duplex II. classis
16 Settembre Ss. Cornelii Papæ et Cypriani Episcopi, Martyrum Semiduplex
17 Settembre Impressionis Stigmatum S. Francisci Feria
18 Settembre S. Josephi de Cupertino Confessoris
Feria Quarta Quattuor Temporum Septembris
19 Settembre S. Januarii Episcopi et Sociorum Martyrum Duplex
20 Settembre S. Eustachii et Sociorum Martyrum
Feria Sexta Quattuor Temporum Septembris
21 Settembre S. Matthæi Apostoli et Evangelistæ Duplex II. classis
SABBATO Quattuor Temporum Septembris
22 Settembre Dominica XV Post Pentecosten IV. Septembris Semiduplex – Dominica minor *I* – S. Thomæ de Villanova Episcopi et Confessoris Duplex
23 Settembre S. Lini Papæ et Martyris Semiduplex
24 SettembreBeatæ Mariæ Virginis de Mercede Feria
26 Settembre Ss. Cypriani et Justinæ
27 SettembreS. Cosmæ et Damiani Martyrum Semiduplex
28 SettembreS. Wenceslai Ducis et Martyris Feria
29 SettembreDominica XVI Post Pentecosten I. Octobris Semiduplex Dominica minor *I* –
In Dedicatione S. Michaëlis Archangelis Duplex I. classis
*L1
30 SettembreS. Hierónymi Presbýteris Confessoris et Ecclesiæ
Doctoris Duplex
*L1*
[S. Franco: ERRORI DEL PROTESTANTISMO, Tip. Delle Murate, FIRENZE,
1858]
PARTE SECONDA.
FRODI PER CUI
S’INTRODUCE IL PROTESTANTISMO
CAPITOLO X
DECIMA PRODE: TRAFFICO DELLE INDULGENZE
Il lusso sformato qual è ne’ Prelati della Corte di Roma non può mantenersi senza un proporzionato dispendio, ed eccovi perciò la necessità di fare un mercimonio delle cose spirituali. Così la discorrono quegli infelici che vogliono strapparvi dal seno della S. Chiesa: e passano poi a raccontarvi, come per raccogliere denaro in Roma si vendono le Indulgenze, le dispense pei matrimoni, le facoltà di ergere Oratorii privati, le investiture dei benefizii ecclesiastici, le Reliquie dei Santi, ed andate dicendo. Chi li credesse, colà tutto è compera e vendita e permuta, senza un riguardo al mondo, né a Dio, né alle cose sante: e per esprimere tutto ciò hanno già inventato un termine tutto lor proprio, chiamando Roma la gran bottega dei Sacerdoti. Ora, miei cari, sentite una parola di tutte queste accuse; e prima d’ogni altra cosa delle Indulgenze, sopra le quali fan più rumore, che verrete da esse a conoscere sempre meglio qual sorta di Religione sia il Protestantismo, che per reggersi in piedi, ha bisogno di ricorrere a tali calunnie. – La prima occasione di accusa la tolgono dalle Indulgenze, le quali a detta loro, sono la merce che frutta a Roma le più larghe entrate. Ebbene per rispondere subito con dei fatti alle costoro parole, domandate loro, che abbiano mai speso per tutti quei giubilei ed indulgenze, che dopoché sono in vita, hanno udito annunciare al mondo? Che abbiano speso almeno in quest’ultimi pubblicati dal Sommo Pontefice Pio IX, inchiudendovi fino questo del cinquantotto? Chi ha mai loro chiesto un soldo per l’acquisto di tali beni spirituali? Vi potranno forse rispondere che non se ne sono mai curati. Tal sia di loro; ma se avessero voluto curarsene, avrebbero forse dovuto spendere qualche cosa? Inoltre nel corso dell’anno per varie solennità sono concesse le Sante Indulgenze, e vengono dichiarate ai fedeli dai sacri pergami, e ne sono avvisati fin con tabelle appese sulle porte delle Chiese, ora chi ha mai dovuto spendere un soldo per entrare a parteciparne? Questi favori spirituali sono accordati ad innumerevoli Congregazioni e Fraternità stabilite in tutto l’orbe, sono annesse ad una immensità di opere pie, e chi ha mai sognato che per acquistarli si richiedesse altro che l’adempimento delle pratiche ingiunte all’uopo? Dove vanno dunque a parare tutti i guadagni di Roma, e tutte le vendite delle S. Indulgenze? Ma se non è così al presente, fu però cosi in passato, ripigliano essi, e le storie ci ricordano che fu appunto per occasione di quelle vendite che Martin Lutero tolse a protestare contro la Chiesa. Ed io vi risponderò che hanno letto molto male le storie quelli che hanno trovato in esse tutte queste falsità, mentre la Chiesa né in passato né al presente ha venduto mai Indulgenze. Nella Chiesa Cattolica, il vendere beni spirituali è stimato non solo un peccato gravissimo, ma poco meno che un errore in fede, mentre in più d’un caso furono trattati come eretici i Simoniaci che sono appunto quelli che si contaminano di questa iniquità: ed in ogni tempo la S. Chiesa li ha perseguitati. Quanto alle Indulgenze poi si sa con quanti decreti la S. Chiesa abbia divietato qualunque abuso che alcuno dei suoi ufficiali avesse potuto commettere. Quello che ha dato ad alcuni ignoranti l’occasione di errare ed a molti tristi quella di malignare, ecco qual è. La S. Chiesa quando accorda questi favori così eccelsi, quali sono le S. Indulgenze suole imporre qualche opera di pietà e di penitenza ai fedeli sia perché se ne rendano più degni, sia perché questa sia come un qualche compenso per quello che loro vien perdonato. Le opere di penitenza poi, secondo la dottrina delle Sante Scritture si riducono a tre principali, preghiera, digiuno. e limosina, e lo sanno tutti quelli che sanno i primi elementi della fede cristiana. Ora siccome la S. Chiesa non ha ancora creduto per le dicerie dei suoi nemici ed anche per le mormorazioni di alcuni suoi figliuoli disamorati di levar dal Catalogo delle buone opere la limosina, né di rinunziare al diritto che ha di prescriverla ai fedeli, quando lo giudica conveniente ingiunge questa per l’acquisto delle Indulgenze nello stesso modo con cui ingiunge la preghiera od il digiuno. Che se alcune anime vili ed interessate ne tolgono poi occasione di calunnia contro la Chiesa, è tutta loro malizia: mentre il modo onde vien prescritta in questi casi la limosina è così savio, e così disinteressato che per quanto altri aguzzi l’occhio non potrà mai trovare nulla a riprendere. – In due maniere per lo più essa la ingiunge, o lascia in piena nostra libertà il farla a chi ne pare, oppure determina qualche fine speciale. Nell’un caso e nell’altro essa non si occupa punto de’ nostri denari. Così abbiamo veduto più di una volta tra l’opere ingiunte per l’acquisto del Giubileo, essere imposta in genere qualche limosina ed allora i fedeli scelgono quei poverelli che vogliono, quelle vedove, quei derelitti verso i quali si senton mossi, e qui certo non v’ha neppur l’ombra di traffico. – In altre occasioni sono state stabilite limosine o pel mantenimento de’ luoghi di Terra Santa, sì cari alla pietà cristiana, o per la propagazione della S. Fede o per i Cristiani che gemevano sotto la schiavitù dei Turchi, o per l’erezione di Ospedali, o per altra opera somigliante, ed in queste occasioni il denaro era versato nelle mani di quelli cui si apparteneva, e neppure qui si può rinvenire ombra di traffico. La grande pietra dello scandalo fu la limosina imposta da Leone X per l’erezione del tempio di S. Pietro in Roma. Questa somministrò primamente a Martin Lutero l’occasione d’insorgere contro la Chiesa, e fino ai dì nostri è l’argomento perpetuo delle calunnie dei Protestanti contro di lei. Del resto eccovi in poche parole il fatto genuino. Il gran Pontefice Leone X per recare ad effetto il disegno di Giulio II di formare in Roma un tempio dedicato al Principe degli Apostoli, che fosse meno indegno della Maestà della Cattolica Chiesa, e per riuscir nell’opera invitò tutti i fedeli dell’orbe cattolico a concorrervi colle loro limosine. Però per renderli più efficacemente promulgò alcune Indulgenze da lucrarsi da coloro i quali avessero colle loro limosine cooperato ad un’opera sì bella di divin culto, e di cristiana pietà. Or che cosa può esservi qui a riprendere? O negare che la S. Chiesa abbia facoltà di concedere le Indulgenze: ma questo in sulle prime non osò farlo neppur Martin Lutero, mentre non insorse, se non contro certi abusi introdotti dai banditori di esse indulgenze, abusi condannati subito e repressi dalla medesima S. Chiesa; oppure affermare che non sia opera di divin culto l’erezione di un tempio alla maestà del Signore. Ma i Protestanti che fanno tanto strepito colle Scritture, dovrebbero pur sapere che Dio fin dall’antica Legge ebbe tanto a cuore la magnificenza del tempio che ne rivelò egli stesso tutto il disegno, che ne prescrisse da sé tutti gli ornamenti, che infuse perfino la scienza a due artefici affinché ne conducessero perfettamente alcuni dei lavori più delicati. Dov’è dunque il traffico, la vendita dei beni spirituali? Finché i Protestanti non dimostreranno che le cose siano passate altrimenti, noi potremo dir sempre, che quando vilipendono in proposito la S. Chiesa, essi sono o ignoranti di quel che dicono, o calunniatori che vogliono trarre in errore i semplici. E poiché siamo a parlare delle indulgenze aggiungerò qui un’altra calunnia che per occasione di esse i Protestanti scagliano contro la Chiesa. Dicono che la facilità di questi perdoni e giubilei agevola in gran maniera il peccato, poiché, qual ritegno avranno più i fedeli a commettere la colpa, quando sanno essere tanto facile l’impetrarne il perdono? Inoltre come non saranno più rimessi nelle buone opere i Cristiani, mentre per loro diventa, mercé le Indulgenze, sì piana la via del Cielo? Ora, miei cari, son proprio curiose queste difficoltà sul labbro dei Protestanti! Essi insegnano che non sono necessarie al tutto le buone opere, che per giungere al Cielo basta la fede, che un’anima più nera della pece, purché creda di essere giustificata davanti a Dio, con ciò solo è monda più della neve; dopo d’avere insegnate queste belle dottrine, vengono col collo torto a deplorare lo scemamento delle buone opere e la facilità del peccare. È proprio l’ipocrisia dei Giudei, i quali non avevano scrupolo di uccidere Gesù, ma avevano scrupolo d’entrar nel pretorio nel dì festivo. – Ma perché vediate anche più chiaramente come v’ingannano con queste lustre di pietà, richiamate al pensiero quel che insegna la Cattolica Chiesa al nostro proposito. Nel peccato vi sono due cose da attendere, vi è la colpa la quale offende il Signore, vi è la pena di cui si rende meritevole chi commette la colpa. Ora la colpa secondo la dottrina Cattolica non si perdona se non se per mezzo del Sacramento di Penitenza o ricevuto da chi ne ha la possibilità, o almeno desiderato da chi non ha il mezzo di accostarvisi se pure con questo desiderio congiunga la contrizione. La pena poi o in tutto o in parte si condona nello stesso Sacramento secondo il più od il meno di contrizione che altri vi apporta, oppure resta a scontarsi in questa o nell’altra vita con penalità temporali. Ora notate bene, l’Indulgenza non è poi altro che una remissione o parziale o totale della pena dovuta al peccato, ma non mai della colpa: e però l’Indulgenza non può aver luogo se non dopo già pianto, già detestato, già scancellato il peccato dall’anima. In qual modo dunque può l’Indulgenza dar coraggio a peccare? Immaginatevi che alcuno vedendo un nuotatore che dal lido si avanza in alto mare prendesse a dir seriamente che per ciò è quegli sì ardito a gettarsi in alto, perché tiene poi in pronto una carrozza che lo condurrà alla riva, che cosa rispondereste voi? Fareste una risata solenne e gli direste che i cocchi non viaggiano sulle acque, che bisogna già essere a riva per potersene valere. Ma quando sentite un Protestante che vi dice sul serio che i Cattolici si fidano a peccare perché hanno pronta la remissione nelle Indulgenze voi dovete dire lo stesso. Con le Indulgenze non si rimettono i peccati, bisogna che questi siano già perdonati, perché possiamo con le Indulgenze ricevere la condonazione anche della pena ad essi dovuto. Epperò come quel nuotatore se non ha altri mezzi per tornare a riva che la carrozza può risolversi a far naufragio quando vuole, così quel peccatore che per salvarsi non volesse impiegare altro mezzo che le Indulgenze potrebbe risolversi ad andar dannato. Ora essendo tale la dottrina di S. Chiesa, che senso ha quella difficoltà che certi barbassori muovono con tanta sicumèra e presunzione? Nè è punto più vero quello che soggiungono che per occasione dell’Indulgenze si diminuiscono le opere buone: poiché per l’acquisto medesimo delle Indulgenze si prescrivono varie opere buone, come la preghiera, il digiuno, la limosina senza contare che è una opera molto buona l’acquisto stesso delle Indulgenze: poiché in esso vi è un esercizio di fede alla divina parola, vi è un atto sincero di umiltà nel riconoscersi meritevole di castigo dinanzi a Dio, vi è un desiderio di soddisfare la divina giustizia, vi è una glorificazione del sangue preziosissimo di Gesù in virtù del quale ci vengono condonate le pene da noi meritate. E ciò senza dir nulla dell’inculcare che fa perpetuamente la S. Chiesa che non ci contentiamo delle S. Indulgenze, ma che le congiungiamo con ogni sorta di buone opere. Convinti sopra di ciò non sanno tuttavia ancora ammutolire. Le Indulgenze dei Cattolici, ripigliano, fanno torto alla Redenzione di Nostro Signore Gesù Cristo. Ed in qual modo? Doppiamente, rispondono, e perché i Cattolici richiedono in esse che si facciano certe opere ingiunte quasi esse fossero ancor necessarie per la piena remissione delle colpe dopo la Redenzione, e poi perché i Cattolici alle soddisfazioni di Gesù aggiungono anche quelle della Madonna e dei Santi, quasi le prime non bastassero da sé sole. Ebbene, miei cari, io mi contento di rispondere a tutte le costoro difficoltà perché mi danno campo di spiegarvi meglio la dottrina di S. Chiesa. – In primo luogo avete da sapere che in ogni opera buona che noi facciamo, vi è un doppio valore: vi è il merito con cui acquistiamo la vita eterna, vi è la soddisfazione per cui purghiamo le nostre colpe. Il merito nasce da ciò che sono fatte per movimento e principio di carità; la soddisfazione da ciò che sono a noi laboriose e penali. Così lo insegna chiaramente la S. Scrittura, la quale ci fa sapere a cagion di esempio, che la limosina ci libera dal peccato,che lo estingue (Tob. IV; Eccli. III), che è quanto dire che soddisfa per esso, e nello stesso tempo che come opera buona e grata a Dio ci merita la vita eterna, come insegna Nostro Signore dicendo: Abbiatevi il Regno che vi fupreparato: poiché ebbi fame, e mi deste amangiare, ebbi sete e mi deste a bere (Matth. XXV). – In secondo luogo è da sapere che il merito è personale e proprio ad ognuno sì fattamente che non può cedersi a chicchessia, ed a questo risponderà il grado di gloria che ognuno avrà in Cielo: laddove la soddisfazione che non è poi altro che il pagamento di un debito può impiegarsi anche in favore di un altro. In quel modo che può un uomo ricco pagare per un suo amico i debiti che gl’impediscono il conseguimento di un pubblico impiego senza che possa tuttavia conferirgli il merito per quell’impiego. – In terzo luogo è da sapere che nella Chiesa il tesoro di queste soddisfazioni è infinito: perocché la passione di Gesù che principalmente Io forma è di valore infinito. Il valor della soddisfazione si toglie dalla dignità di chi soffre allo stesso modo che la gravità dell’offesa si toglie dalla dignità di chi è offeso. Ora essendo Dio quello che sofferse nella sua carne mortale, è d’infinita virtù la sua passione: tantoché essa varrebbe non solo per la salvezza di un mondo, ma per mondi innumerevoli se tanti ne esistessero e ne abbisognassero. – A formare tuttavia questo tesoro vi concorrono eziandio le soddisfazioni della Vergine e dei Santi che patirono più di quanto che fosse necessario allo sconto dei propri peccati. I Protestanti non possono soffrire che ciò si dica: ma si turino pur gli orecchi che ciò non conta, perché è evidente che è cosi. La B. Vergine certamente non commise mai peccato di alcuna sorta né mortale né veniale, eppure sofferse smisurati dolori ai pie della Croce. S. Giovanni Battista fu santificato sino dal sen materno, eppure praticò durissime austerità in vita, e poi diede il sangue per la giustizia. Gli Apostoli similmente e tanti Santi Martiri di vita illibatissima soffersero pene atroci prima della morte, e pure la sola morte sarebbe stata bastevole secondo la fede a soddisfare per tutte le loro colpe. Similmente tanti santissimi penitenti, e Vergini, e Confessori congiungendo una penitenza asprissima con una vita molto innocente più soddisfecero di quello che fosse richiesto ai loro falli. Certamente il S. Giobbe diceva, volesse il Cieloche le mie colpe fossero bilanciate colle peneche io soffro, come queste apparirebberoben più gravi di quelle(Job. VI, 1). Tutto ciò èinnegabile. Ora di tutte queste soddisfazioniviene a formarsene come un tesoro d’immensovalore, che è poi quello che la S.Chiesa ci applica colle indulgenze. – Domando io pertanto in primo luogoche torto fa a Gesù che ci si applichino lesoddisfazioni di Gesù per isconto dei nostripeccati? Anzi quale onore più grande puòfarsi alla Redenzione che quello di credereche il Sangue prezioso di Gesù ci ottengail perdono non solo della colpa, ma ancordella pena dovuta ai nostri peccati? Ma, dicono, i Cattolici vogliono che per ottenere questo perdono, noi ci mettiamo anche le nostre opere. O ascoltate dunque una volta per sempre, ed intendete bene la verità. In tutto quello che noi facciamo per vantaggio delle nostre anime in tutto trovano i Protestanti che noi facciamo un affronto a Gesù. Se ascoltiamo la S. Messa dicono che facciamo torto al Sacrifizio della Croce, se facciamo opere buone dicono che rendiamo inutili quelle di Gesù, se invochiamo la Madonna ed i Santi dicono che li anteponiamo a Gesù, se facciamo le opere ingiunte per l’acquisto delle S. Indulgente trovano che rendiamo inutile la Passione di Gesù. Ma il vero volete sapere qual è?La verità è che essi disonorano ed insultano altamente Gesù con tutte queste ragioni inique perché con esse disconoscono al tutto quel che sia la Redenzione. Imperocché la Redenzione che Gesù ha fatto di noi non consiste già in questo che abbia dispensato noi dal fare la parte nostra. Nulla meno. Il benefizio infinito della Redenzione consiste in ciò, che mentre noi non potevamo senza di essa far nulla che ci valesse a vita eterna, non credere, non sperare, non pentirci dei nostri peccati, non amare il Signore come si conveniva, Gesù ci ottenne col suo Sangue prezioso la grazia immensa di poter far tutto ciò in modo che ci valesse a salute. Ma dopo fattaci questa grazia, non solo non esclude la nostra cooperazione, ma la vuole, la comanda, la esige a qualunque costo. I santi Vangeli ci intimano che dobbiamo far penitenza, che dobbiamo digiunare, che dobbiamo pregare, che dobbiamo partecipare ai Sacramenti, che dobbiamo esercitare coi prossimi le opere di misericordia ed andate dicendo. E Gesù Cristo nel dì del giudizio allegherà contro i reprobi per condannarli la mancanza delle buone opere. come per rimunerare gli eletti addurrà qual titolo l’esercizio delle medesime. Bisogna aver perduto il senno per non intendere e peggio per impugnare questa verità. Che cosa direste voi di un contadino il quale sul pretesto di non fare torto alla divina Providenza che l’ha da sostentare non volesse più arare la terra, non seminare, non incalzare, non mietere, non riporre le sue provigioni? Direste che è un pazzo. La Providenza divina consiste in ciò che ci mantiene le forze per lavorare, che ci manda le piogge opportune, che ci fa sorgere il sole, i venti, e quanto è necessario al raccolto, ma non esclude, anzi suppone, anzi richiede anche il nostro lavoro, la nostra opera. Ora dite lo stesso nel nostro caso. La Redenzione di Gesù ci ha procurati tutti i mezzi necessari per fare il bene che senza di essa mai non avremmo avuti, ma non ci viene poi applicata se noi non facciamo anche la porte nostra. Volete saper chiaro una volta dove vada a parare quel sì iniquo magnificare che fanno i Protestanti la Redenzione? Ah non è amore verso Gesù, non è stima, non è riverenza verso il Sangue divino, è un pretesto che essi tolgono per esimersi da ogni obbligo di far penitenza, e di esercitarsi in opere buone. Ma il congiungere colle soddisfazioni di Gesù anche quelle della Madonna e dei Santi, non è poi il fargli qualche torto? Niente affatto, miei cari. Imperocché se noi le aggiungessimo quasi non fossero sufficienti quelle di Gesù, certo sarebbe un affronto; ma la Cattolica Chiesa mai non ha fatto questo, e ne avrebbe orrore. Le aggiunge perché riescono d’immensa gloria e di splendido trionfo allo stesso Gesù: mentre da esse si vede quel che Gesù ha potuto fare con la sua grazia nei suoi servi che li ha di tanto aiutati, di tanto fatti degni che potessero accumulare sì gran capitale di soddisfazioni che bastasse non solo a loro ma ancora ai loro fratelli. Se vedeste un Imperatore che ha dintorno tanti scudieri e sì ricchi che possano fare anche ad altri splendide largizioni, direste mai che questi con la loro grandezza fan torto all’Imperatore? Tutto all’opposto: perocché questi mostrano anzi più grande quel Monarca che ha potuto far essi sì grandi. Di che vi parrà anche chiaro come i Cattolici riconoscano quella gran verità che Gesù Cristo è l’unico nostro Redentore, l’unico Mediatore, il Salvatore unico di tutti gli uomini. Imperocché noi confessiamo con gran giubilo del nostro cuore che solo Gesù ci ha riconciliati col Padre celeste, solo Gesù ci ha meritate tutte le grazie, solo Gesù ci aiuta a far le opere buone, solo Gesù dà valore alle nostre soddisfazioni. E se in qualche cosa concorrono anche i Santi o intercedendo per noi, o facendoci parte delle loro soddisfazioni, tutto è vanto, onore, gloria, opera di Gesù il quale dopo di averli colle sue grazie fatti degni e di pregare e di offrire qualche soddisfazione per noi, si compiace nella sua misericordia di accettar quell’offerte e quelle preghiere. Ma finalmente, ripigliano, sia pure anche solo una pena temporale quella che si rimette con le Indulgenze, con quale autorità però la Chiesa esercita un tal diritto? Io vi potrei rispondere che se la Chiesa l’esercita, è questa una prova indubitata che ne ha l’autorità, perocché essendo essa infallibile non può eccedere nei suoi diritti né usurparsi un’autorità che non possieda. Tuttavia eccovi un’altra risposta. Vi ho detto sopra che nel peccato vi è da considerare la colpa e la pena. Ora dovete sapere che la S. Scrittura c’insegna che dopo rimessa la colpa non è sempre rimessa anche la pena. Cosi a cagion di esempio fu perdonato a David il suo peccato, ma tuttavia gli rimase a portar la pena della morte del suo figliuolo. Così furono perdonate ai Giudei le Idolatrie ed infedeltà che avevano commesse nel deserto per le preghiere di Mosè, ma tuttavia fu data loro per pena la morte temporanea nel deserto, di che si vede manifesto che nel peccato oltre il reato della colpa v’è eziandio quel della pena che non sempre si rimette col rimettersi della colpa. Appunto come avviene talvolta tra noi che alcuno il quale ha ricevuto dal suo prossimo danni ed ingiurie accorda il perdono al suo offensore, ma vuole però che gli rifaccia i danni che gli ha recati. Ora qua! è la potestà conferita da Gesù Cristo alla sua Chiesa? Forse soltanto quella di rimettere i peccati? No. Gesù Cristo dice ripetutamente che qualunque cosa essa legherà, qualunque scioglierà sarà sciolta o legata in Cielo. Non mette limiti, non appone condizioni: e siccome per l’applicazione dei meriti di Gesù rimette la colpa, così per l’applicazione delle soddisfazioni di Gesù rimette la pena, la quale è ancor essa un legame verissimo dei fedeli. E così di fatto l’ha poi sempre inteso e praticato la S. Chiesa. L’Apostolo S. Paolo rimette all’incestuoso sì noto di Corinto una tal pena in nome di Gesù Cristo come egli parla (2. Cor. II).I santi Martiri nei primi tempi, come il testificano S. Cipriano e Tertulliano, chiedevano, ed impetravano spesse volte dai Pastori legittimi della Chiesa che rimettessero una tal pena a quegli infelici che per timore dei tormenti avevano rinnegata la S. Fede nel tempo della persecuzione, e che poi erano tornati a penitenza: nei tempi susseguenti il Concilio di Nicea, quello di Ancira, quello di Laodicea suggeriscono il modo più prudente di accordare codeste indulgenze. Dai tempi di S. Gregorio in poi è sì noto l’uso delle Indulgenze che senza un’audacia estrema non può mettersi in dubbio da verun protestante. Ma v’è ancora più di tutto ciò. I Concili generali che sono la voce infallibile di tutta la Chiesa le autenticano in molti modi, il Concilio Claromontano riceve le S. Indulgenzedal Papa Urbano II. Il Concilio Lateranese da Pasquale II. Nell’altro Concilio Lateranese ed in quel di Lione mentre si riprendono quelli che abusavano a fini mondani delle Indulgenze se ne conferma il loro valore. In quel di Costanza si condanna l’errore dell’eretico Wicleffo che le impugnava. In una parola la S. Chiesa fino ai dì nostri ha sempre posseduta una tale autorità, e l’ha sempre esercitata. Ecco dunque dove sta fondato il diritto di S. Chiesa. Sta fondato sulle Scritture, sta fondato sulla Tradizione, sta fondato sull’infallibilità che Gesù ha concesso alla sua Chiesa, mercé la sua assistenza divina. E tutto ciò basti in risposta a quelli che disconoscono i diritti di S. Chiesa. Voi però non vi contentate di mantenerli con tutta la fermezza di vostra fede, passate anche ad accrescere sempre più in voi la stima di sì gran beni, ed abbiate sollecitudine quando la S. Chiesa ve li offre di acquistarli. I veri fedeli in ogni tempo guardarono sempre carissime le Indulgenze. Molti gran Santi della Chiesa fecero più volte il viaggio di Roma e della Palestina per guadagnare questi spirituali tesori. Quando i Sommi Pontefici incominciarono a pubblicare periodicamente ogni cento, e poi ogni cinquanta,e finalmente ogni venticinque anni i Giubilei, tutto il popolo Cristiano se ne commosse, e v’ha memoria che in certi tempi fino a centomila fedeli entravano ed uscivano ogni giorno dalle porte di Roma venuti da tutta la terra per acquistarli. Questa fu la Fede dei nostri Padri, questa sia la nostra ed a suo tempo si vedrà quanto si sia fidato sicuramente chi riposò sugli insegnamenti di S. Chiesa.
ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS.
[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e
meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte
testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più
rinomati da …]
Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,
CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.
ne sileas a me: nequando taceas a me, et assimilabor descendentibus in lacum.
[2] Exaudi, Domine, vocem deprecationis meæ, dum oro ad te, dum extollo manus meas ad templum sanctum tuum.
[3] Ne simul trahas me cum peccatoribus, et cum operantibus iniquitatem ne perdas me;
[4] qui loquuntur pacem cum proximo suo, mala autem
in cordibus eorum.
[5] Da illis secundum opera eorum, et secundum nequitiam adinventionum ipsorum.
[6] Secundum opera manuum eorum tribue illis, redde
retributionem eorum ipsis.
[7] Quoniam non intellexerunt opera Domini et in opera manuum ejus; destrues illos, et non aedificabis eos.
[8] Benedictus Dominus, quoniam exaudivit vocem deprecationis meæ.
[9] Dominus adjutor meus et protector meus; in ipso speravit cor meum, et adjutus sum:
[10]
et
refloruit caro mea, et ex voluntate mea confitebor ei.
[11] Dominus fortitudo plebis suæ, et protector salvationum christi sui est.
[12] Salvum fac populum tuum, Domine, et benedic hæreditati tuæ; et rege eos, et extolle illos usque in æternum.
[Vecchio Testamento secondo la Volgata
Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di
Firenze etc.
Vol. XI
Venezia, Girol.
Tasso ed. MDCCCXXXI]
SALMO XXVII.
Davide, in persona di Cristo,
congiunge la passione sua e la glorificazione, come nel salmo 21, del quale è
questo un compendio.
Salmo dello stesso David.
1. A te, o Signore, alzerò le mie grida:
Dio Mio, non istare in silenzio con me, affinché, tacendo tu, non sia io come
quelli che scendono nella fossa.
2. Esaudisci, o Signore, la voce delle suppliche
mentre io ti prego, mentre alzo le mie mani al tuo tempio santo.
3. Non mi prendere insieme coi peccatori
non mi sperdere con quelli che commettono
l’iniquità;
4. i quali parlano di pace col prossimo
loro, ma nei loro cuori covano il male.
5. Rendi a questi secondo le opere,
delle mani loro e secondo la malvagità delle loro macchinazioni.
6. Dà ad essi secondo le opere delle
mani loro; rendi ad essi la lor ricompensa.
7. Perché non hanno intese le opere del
Signore, né quello che ha fatto la mano di lui; tu gli distruggerai, e non gli
ristorerai.
8. Benedetto il Signore, perché ha
esaudito la voce della mia orazione.
9. Il Signore mio aiuto e mio
protettore; in Lui sperò il cuor mio, e fui sovvenuto.
10. E rifiorì la mia carne, ed io col
mio affetto a Lui darò laude.
11. Il Signore è fortezza del suo
popolo, ed è protettore della salvazione del suo Cristo.
12. Salva, o Signore, il popol tuo, e
benedici la tua eredità, e sii loro pastore e ingrandiscili fino all’eternità.
Sommario
analitico
Il sentimento più probabile e più
fondato è che questo salmo sia stato composto da Davide durante la rivolta di
Assalonne, allorché fu obbligato a fuggire da Gerusalemme, a risalire piangendo
il versante del monte degli ulivi, e Sadoc ed Abiathar portarono l’arca del
Signore nell’accompagnare Davide (II Re, XV), per cui Davide la
fece riposare nella città, giudicando indegno il possederla presso di lui.
Esaminando attentamente questo salmo, si vede che tutto si riporta a questa
circostanza dolorosa della vita del Re-Profeta. – 1° Davide grida verso il
Signore (1), e noi vediamo (II Re, XV, 23) che tutto il popolo
piange ad alta voce nell’accompagnarlo. – 2° Egli domanda a Dio di non restare
in silenzio, cioè di non rifiutare di rendergli oracoli a suo favore attraverso
il sommo sacerdote. – 3° Davide, camminando con la testa coperta da un velo,
somiglia più ad un morto che ad un vivo. – 4° Dal monte degli ulivi, egli
poteva facilmente levare le mani verso il tabernacolo (2). – 5° Egli allora era
ancora punito per il suo doppio crimine di omicidio ed adulterio, cosa che gli
faceva credere di essere coinvolto nel castigo riservato ai peccatori (3). – 6°
Achitophel, che gli aveva tenuto un linguaggio pacifico, si dichiarava contro
di lui. – 7° Egli prevede che Dio punirà Assalonne ed Achitophel come meritano.
– 8° Rende grazie a Dio per la sua liberazione futura ed esprime la speranza
certa di essere come richiamato alla vita e ristabilito sul suo trono. – 9° Raccomanda
a Dio il suo popolo che vedeva esposto ai pericoli più gravi, in mezzo alle
guerre civili. – Questo salmo che, nel senso spirituale, ha per oggetto nostro
Signore in croce che profeta la distruzione di Gerusalemme e, nella seconda
parte, celebra il trionfo della sua resurrezione, e pregando per tutta la sua
Chiesa, ottiene a tutti i Cristiani imploranti, tra le tribolazioni, il
soccorso e la misericordia di Dio.
I – Davide chiede a Dio di
venire in suo soccorso:
1° A causa della sua pietà che
manifesta: a) con le
sue grida, b) con la disposizione in cui si trova di ascoltare il responso del
Signore, c) con la sua umiltà che gli fa riconoscere che solo Dio può salvare
dalla morte (1), d) con la fiducia che gli fa sperare che Dio solo, verso il
quale tende la mani, può liberarlo dai suoi mali (2).
2° A causa dell’empietà dei suoi
nemici, con i quali egli chiede a Dio di non essere confuso (3): – a) sotto un linguaggio in
apparenza pacifico, essi nascondono i loro perfidi disegni (4); – b) essi
riceveranno il giusto castigo per le loro opere e per i loro pensieri criminali;
– c) il principio dei loro crimini, così come dei loro castighi, e del loro
odio, è che essi non sono entrati nell’intelligenza delle opere di Dio (7).
II. –Davide rende grazie a Dio per
ciò che si è degnato di esaudire: – a) dichiarandosi suo aiuto e suo
protettore, dandogli una nuova forza dopo le crudeli prove (9, 10), – b)
diventando la forza del suo popolo, e la protezione che salva il suo Cristo
(11).
III. – Egli prega Dio di compiere al più presto ciò
che ha dichiarato di fare per il suo popolo, – a) liberandolo dai pericoli in
mezzo ai quali si trova, – b) colmandolo delle sue benedizioni e dei suoi doni,
– c) dirigendolo nel preservarlo dal peccato, – d) ed elevandolo, con le virtù
e le sue grazie, fino all’eternità (12).
Spiegazioni e Considerazioni
I. — 1-7.
ff. 1, 2. – Niente di più negativo è l’attirarsi,
con le proprie infedeltà, il silenzio di Dio che minaccia di non ascoltare
coloro che rifiutano da se stessi di ascoltare quando Egli parla loro (Dug.).
– Un uomo privato del soccorso di Dio è simile ad un morto, non ha in sé i
principi della vita spirituale; le sue azioni più oneste non sono che sforzi
filosofici, e non delle opere cristiane e perciò meritorie del cielo. – La
preghiera è potente ed efficace quando le mani pregano insieme alla lingua, e le
opere insieme alle parole (Dug.).
ff. 3. – La pratica di alzare le mani
pregando è antica come la preghiera stessa. Essa indica ed esprime: – 1° che
l’anima vuole spiegare le ali per elevarsi verso il cielo pregando; – 2° che
essa si rifugia con viva fiducia nel seno di Dio come porto sicuro; – 3° che
offre a Dio tutto ciò che è, e tutto ciò che possiede; – 4° che essa ha il più
ardente desiderio di ottenere il soccorso che implora; – 5° che è preparata e
disposta ai combattimenti spirituali che Egli gli fa affrontare; – 6° che così esprime
ancora, come nota Tertulliano, l’innocenza delle opere; – 7° che infine rappresenta,
agli occhi del Padre eterno, l’immagine di Gesù Cristo crocifisso. – Il
torrente della malizia dei peccatori coinvolge sovente coloro che non resistono
nel principio; non si ha il coraggio di opporsi alla sua violenza. All’inizio
ci si contenta di dissimulare il male che si vuol credere di non poter
impedire; in seguito si familiarizza con esso; poi, anche se non lo si approva
interamente, però non lo si condanna. All’inizio ci si lascia andare; la
seconda volta, questa prima impressione si attenua, se ne forma l’abitudine, si
smorza il rimorso della coscienza, ed infine ci si invischia con i peccatori, e
ci si perde con coloro che commettono l’iniquità. – « Non permettete che io
faccia causa comune con quelli che parlano di pace nell’assemblea dei loro
fratelli, e che meditano il male nei loro cuori ». Per questi uomini, l’ideale
della pace è la tranquillità del disordine, è la piacevole soddisfazione delle
passioni, la gioiosità ininterrotta di tutto ciò che alletta l’orgoglio ed i
sensi.
ff. 4. – Il carattere dipinto qui dal Re-Profeta, uno dei più
comuni nel mondo, e dei più odiosi al Signore, è la maniera di agire di coloro
che, nel mondo, si definscono “gente onesta”. Mille sono le offerte di
servizio, mille le proteste di devozione la più sincera, mentre nel fondo del
cuore ci si nutre di pensieri di gelosia, di odio, di perfide intenzioni. Si
tratta dei processi di prudenza, di finezza, di politica, dell’uso del mondo; e
la Scrittura che è parola di Dio, le mette al rango dei crimini: dappertutto il
Signore minaccia delle sue vendette i furbi, i cuori doppi, i simulatori, e
dappertutto Egli fa i suoi elogi al candore, alla probità, alla semplicità (Berthier).
– Il tuo nemico, dice l’autore dell’Ecclesiastico, ha il dolce sulle labbra, ma
in cuore medita di gettarti in una fossa. Il nemico avrà lacrime agli occhi, ma
se troverà l’occasione, non si sazierà del tuo sangue. Se ti capiterà del male,
egli sarà là per primo e, con il pretesto di aiutarti, ti prenderà per il
tallone (Eccli. XII, 15-18).
ff. 5, 6. – Dio rende a ciascuno non secondo la sua
qualità, secondo la sua scienza, le sue ricchezze, gli onori, le dignità di cui
è rivestito, ma secondo le sue opere. Quando il male che il peccatore si
preparava a far soffrire agli altri ricade sulla sua testa, egli non fa che
ricevere la ricompensa delle opere delle sue mani. È dunque egli stesso che
prepara con la proprie mani il suo supplizio, e la giustizia di Dio non fa che
rendergli ciò che gli è dovuto (Duguet).
ff. 7. – In questo versetto, noi vediamo nello stesso
tempo la causa della disgrazia dei riprovati, l’estensione di questi malanni,
la durata di questa sventura, e sono pochi i testi dei Libri santi dai quali si
possa trarre una maggiore istruzione. La causa d questo sventura è quella di
non aver compreso le opere del Signore, le cose mirabili che ha fatto per la
creazione ed nel governo del mondo, e soprattutto il miracolo del suo amore
nella redenzione del genere umano. « Le perfezioni invisibili di Dio, come la
sua eterna potenza e la sua divinità, sono divenute visibili, dopo la creazione
del mondo, per tutto ciò che è stato fatto; così la sua eterna potenza e la sua
divinità, in modo tale da essere inescusabili ». (Rom. I, 20).
Gesù Cristo piangerà su Gerusalemme, perché essa non aveva conosciuto che lui
doveva dare la pace. Il risultato di questo disconoscimento, è la distruzione;
la durata di questa sventura è l’eternità (Berthier).
II. — 8-12.
ff. 8-10. – Felici coloro che, come Davide, dopo aver
pregato Dio, possono dirgli: « Siate benedetto per aver esaudito la mia
preghiera. » Solo una viva fede può dare questa certezza. Ma ancor più felice
colui che, dopo non aver ottenuto ciò che domandava, dice a Dio con sincera
riconoscenza: « siate benedetto per non aver esaudito la mia preghiera, perché
verso i vostri amici, voi considerate più i loro veri interessi che le loro
inclinazioni ed i loro desideri » (Duguet). – Quando sia
possibile rendere testimonianza al fatto che si considera Dio nostro aiuto e
nostro protettore, che si spera in Lui e non negli uomini, né nelle ricchezze,
si può aggiungere con certezza, come Davide, che nel presente si è stati
soccorsi da Lui, anche se la tribolazione dura ancora (Dug.). « …
la mia carne è come rifiorita ». La giovinezza dell’uomo, dice San Tommaso su
questo salmo, è spesso comparata nella santa Scrittura, ad un fiore, e con
ragione: perché come il fiore è presagio del frutto, così la giovinezza è il
presagio della vita che deve seguire. La carne sembra dunque rifiorire quando,
nella sua vecchiaia, essa sembra raggiante, perché l’uomo sembra in effetti
raggiante quando la sua anima è nella gioia, anche se sembra invecchiare nella
tristezza, « Voi lo vedrete, dice Dio in Isaia, e gioirà il vostro cuore, le
vostre ossa saran rigogliose come erba fresca » (Isaia LXVI, 14). Non sarà
che nella resurrezione che la nostra carne riprenderà tutto il fiore dell’età,
della salute, della gioia e della bellezza. Qui in basso, questa forza, questo
vigore sarebbe pericoloso.
ff. 11, 12. – Coloro che Gesù Cristo ha riscattato
con la sua morte e che si è acquistato con il suo sangue come sua eredità, sono
veramente la razza scelta, il sacerdozio reale, la nazione santa, il popolo di
Dio (I Piet. II, 9). – Questo popolo, ben diversamente dal popolo
giudaico che ha voluto imporre la sua giustizia alla giustizia di Dio, crede e
proclama che la sua forza viene da Dio solo, e che Dio solo può salvarlo,
benedirlo, condurlo, proteggerlo nel cammino della vita ed elevarlo fin nella
gloria dell’eternità.
1. Il rispetto umano è una schiavitù. — 2. Il rispetto umano è una vigliacca debolezza. — 3. Il rispetto umano è uno scandalo. — 4. Che cosa vi è di disordinato nel rispetto umano. — 5. Donde viene il rispetto umano e necessità di disprezzarlo. — 6. Fa un atto di coraggio chi vince il rispetto umano.
1. IL RISPETTO UMANO È UNA SCHIAVITÙ.
— Quale atto più servile che quello di
ridurre e di costringere se medesimo alla necessità di conformare la propria
religione al capriccio altrui? di praticarla, non più secondo le norme del
Vangelo, ma secondo le esigenze degli altri? di non adempiere i propri doveri,
se non nella misura voluta dal mondo? di non essere Cristiano, se non a talento
di chi ci vede? S. Agostino condanna i savi del paganesimo, i quali mentre con
la ragione vedevano un Dio unico, per rispetto umano si piegavano ad adorarne
molti. E in forza di un altro rispetto umano, il Cristiano vigliacco non serve
al Dio che conosce e nel quale crede: quelli erano superstiziosi e idolatri;
questo diviene oggidì, per rispetto umano, infedele ed empio. Quelli, per non
esporsi all’odio dei popoli, praticavano all’esteriore quello che internamente
ripudiavano, adoravano quello che disprezzavano, professavano quello che
detestavano: — Colebant quod reprehendebant, agebant quod arguebant, quod culpabant
adorabant(DeCivit. Dei). E noi, per evitare le censure
degli uomini, per una vile dipendenza dalle vane usanze e dalle massime
corrotte del secolo, noi disonoriamo quello che professiamo, profaniamo quello
che riveriamo, bestemmiano, se se non con la bocca, con le opere, non già, come
diceva l’Apostolo, quello che ignoriamo, ma quello che sappiamo e riconosciamo.
I pagani contraffacevano i devoti, scrive Bourdaloue. e noi Cristiani ci
facciamo scimmie degli atei. La finzione di quelli non riguardava che false
divinità, e quindi non era più che una finzione; presso di noi al contrario, la
finzione riferendosi al culto del vero Dio, diventa un’abbominevole impostura (Sermon
sur lerespect hum.). Ora. il fare così non è un rendersi schiavi, e
proprio in quello in cui siamo meno scusabili, perché si tratta dell’anima e
dell’eternità?… Nati liberi, tali dobbiamo inviolabilmente mantenerci per
Iddio, cui si deve culto, fede, rispetto, adorazione, riconoscenza, amore…
2. IL RISPETTO UMANO È UNA VIGLIACCA
DEBOLEZZA.
— La notte della Passione del Salvatore,
la portinaia della casa di Caifa, disse a Pietro: « Non sei anche tu uno dei
discepoli di quest’uomo? ed egli rispose: No » — Dicit Petro ancilla ostiaria:
Numquid et tu ex discipulis es hominis istius? Dicit ille: Non sum
(IOANN. XVIII, 17). Ecco la debolezza vigliacca del rispetto umano. Qui si è
avverato, come si avvera sempre in simili casi, quel detto dei Proverbi: «
Chi teme l’uomo, non tarda a cadere » — Qui timet hominem, cito corruet(Prov.
XXIX , 25); e quell’altro del Salmista: « Non invocarono il Signore; quindi
tremarono di spavento dove non c’era punto nulla da temere » — Deum
non invocaverunt; illic trepidaverunt, ubi non erat timor(Psalm.
LII, 6). La persona che si lascia vincere dal rispetto umano, teme quello
che non è da temere, e non teme quello che bisogna temere… Che viltà, per
esempio, non osare dimostrarsi Cristiano per un semplice segno di croce! Il
segno del Cristiano non è forse la croce? Non è forse la croce, dice S.
Agostino, che benedice e l’acqua che ci rigenera, e il sacrifizio che ci nutrisce,
e la santa unzione che ci fortifica? (Tract. CXVIII, in Ioann.). Avete voi
dimenticato che della croce furono segnate le vostre fronti, quando foste
confermati dallo Spirito Santo? Perché segnarvela in fronte? Non forse perché
su la fronte è la sede del pudore? Sì certo; Gesù Cristo volle armare con la
croce, la nostra fronte contro quella falsa e misera vergogna del rispetto umano,
che ci fa arrossire di cose che gli uomini chiamano piccole, ma che sono grandi
innanzi a Dio. » Cosa indegna e vile è il rispetto umano, e non ve n’è altra
che tanto degradi, abbassi e disonori l’uomo… Colui che ne è schiavo, non
merita più il nome di uomo, ma il suo luogo è tra le banderuole che segnano la
direzione dei venti; poiché non sa fare altro che questo… Una tale persona è
sommamente spregevole… Che cosa è la che trattiene? un motto, un sarcasmo, una
beffa, un segno… Oh! che piccolezza di spirito, che viltà di cuore! Ne arrossiamo
noi medesimi in segreto, e non ci sentiamo l’animo di superare simili
bagattelle!… Cerchiamo pure di nascondere e di orpellare con altri nomi questa
fiacchezza, questa viltà, ma invano… Noi temiamo le censure del mondo, degli
increduli, degli empi, degli ignoranti, degli accidiosi, dei dissoluti… Noi
temiamo di acquistarci nome di spiriti deboli e pregiudicati, se pratichiamo la
Religione; e non vediamo che somma debolezza è non praticarla. Qual cosa più
vergognosa e più degradante, che la vergogna di comparire quello che si deve
essere? Siamo canzonati; ma cosa vi è di più frivolo che le beffe? Chi è che si
burla di noi? quale ne è il merito, il credito, la scienza, la virtù?… E noi
osiamo vantarci coraggiosi, di animo grande, di carattere generoso? Codardia
odiosa è il rispetto umano. Noi apparteniamo a Dio per tutti i titoli, per la
creazione, la redenzione, la santificazione, la conservazione, e arrossiamo di
servire Dio!… Il soldato si vergogna di servire il suo re! Di difendere la
patria!… Noi ci adontiamo della Religione, della virtù! cioè, ci vergogniamo
di essere creati ad immagine di Dio, di essere stati redenti col suo sangue;
noi arrossiamo di ciò che forma la gloria degli Apostoli, dei martiri, dei
dottori, dei pontefici, dei confessori, delle vergini. Noi abbiamo vergogna di
chiamare Dio nostro padre, di essere suoi figli, di lavorare alla nostra
salute, di andare al cielo! Quale stupidaggine e follia! o codarda debolezza, che
non merita né indulgenza, né perdono!
3. IL RISPETTO UMANO È UNO SCANDALO.
— Il rispetto umano è uno scandalo
ingiurioso a Dio, perché ne abbatte il culto… Scandalo che facilmente si
comunica, essendo gli uomini molto proclivi a dire ciò che odono…; a fare
quello che vedono farsi dagli altri… Ma è soprattutto uno scandalo affliggente,
dannosissimo nei ricchi, nei potenti, nei dotti.
4. CHE COSA VI È DI DISORDINATO NEL
RISPETTO UMANO.
— Primo disordine del rispetto umano: distrugge l’amore di preferenza che dobbiamo a Dio, il che è un annientare tutta la religione. Sacro dovere di ogni persona è preferire Dio alla creatura; ora, il rispetto umano fa anteporre la creatura al Creatore; e da ciò appunto questo vizio prende il suo nome che è disonorante come lo stesso vizio. Perché, infatti, lo chiamiamo rispetto umano? certamente non per altro motivo, se non perché ci fa preferire la creatura in vece del Creatore. Da un lato mi comanda Iddio, dall’altro mi comanda il mondo; ed io per non dispiacere alla creatura, a lei obbedisco a scorno di Dio e a detrimento della mia salute; con disprezzo di Dio e dei miei più sacri doveri… Per piacere all’uomo, divengo ribelle a Dio. E allora, addio Religione… – Secondo disordine del rispetto umano: getta l’uomo in una specie di apostasia. Quante irriverenze nel luogo santo, per paura di comparire ipocrita o bigotto!… L’altare non diventa forse, per lo schiavo del rispetto umano, l’ara del Dio sconosciuto?… non è anzi da lui disprezzato, disonorato, rinnegato? Gli Ateniesi onoravano il vero Dio senza conoscerlo; costui conosce il vero Dio, e lo dimentica, lo vilipende… Terzo disordine del rispetto umano: rende inutili le più preziose grazie di Dio. Un tale, per esempio, sente in se desideri e disposizioni ad una vita più ordinata, ma il rispetto umano li soffoca e riduce all’impotenza… Vorrebbe un altro convertirsi, confessarsi, accostarsi alla santa Eucaristia: pregare, santificale le feste, essere in una parola, veramente e apertamente e sinceramente virtuoso e fedele Cristiano; ma il rispetto umano lo trattiene, lo arresta, l’inceppa, lo impietrisce… Si vorrebbe fare il bene e adempiere tutti i doveri di buon Cristiano, ma si vorrebbe che il mondo non se ne accorgesse… Si esce di chiesa, si parte dalla predica ben persuasi, ben convinti, e risolutamente determinati a fare quello che si è udito, ma ecco il rispetto umano che fa barriera insormontabile alle buone risoluzioni, manda a monte ogni anche ottimo provvedimento già preso… E così tutte le più elette grazie cadono vane sotto il peso di questa vigliacca debolezza prodotta dal rispetto umano…
5. DONDE VIENE IL RISPETTO UMANO E
NECESSITÀ DI DISPREZZARLO.
— Il Vangelo, parlando dei progressi che faceva la dottrina di Gesù negli animi, dice che anche parecchi fra i primari e i maggiorenti dei Giudei credettero in Gesù Cristo, ma nota che non ne facevano professione esteriore, temendo che i farisei li scacciassero dalle sinagoghe; poiché stava loro più a cuore la lode degli uomini, che la gloria di Dio: — Ex principibus multi crediderunt in eum; sed propter pharisæos, non confìtebantur, ut e synagoga non eiicerentur. Dilexerunt enim gloriam nominimi magis quam gloriam Dei (IOANN. XII, 42-43). Ora tutti quelli che si lasciano guidare dal rispetto umano, non sono essi guidati da simili motivi?… O sì, questi sono la vera sorgente del rispetto umano!… Si temono le osservazioni, gli appunti, le critiche degli uomini!… Ora perché non abbiamo noi i sentimenti di S. Agostino e non diciamo con lui: « Fate pure di me quel giudizio che più vi garba; per me tutto il mio desiderio è che la mia coscienza non mi accusi innanzi a Dio (Senti de Augustino quidquid libet, sola me conscientia in oculis Dei non accuset – Contro, Secundin. 1. I, c. I ) » . – E necessità indeclinabile per il fedele, il calpestare il rispetto umano. « Bisogna credere col cuore per ottenere la giustificazione, scrive il grande Apostolo, ma per arrivare alla salvezza ci vuole la confessione della bocca » — Corde ereditar ad iustitiam, ore autem confessio fit ad salutem(Rom. X, 10); e al suo discepolo Timoteo inculcava che non si vergognasse di rendere testimonianza al Signore Gesù Cristo e non arrossisse di lui. Paolo, schiavo del medesimo Gesù; ma soffrisse con lui per l’Evangelo, secondo la forza che gliene veniva da Dio: — Noli erubescere testimonium Domini nostri, neque me vinctum eius; sed collabora Evangelio secundum virtutem Dei(II Tim., II, 8). Poi, parlando di se medesimo ai Galati poteva dire con la fronte alta: « Di chi cerco io l’approvazione? degli uomini o di Dio? Forse che mi studio di piacere agli uomini? Se piacessi ancora al mondo, non sarei servo di Dio? » — Modo hominibus suadeo; an Deo? An quæro hominibus piacere? Si adhuc hominibus placerem, Christi servus non essem(Gal. I , 10). – « No, dice altrove questo grande Apostolo, io non arrossisco del Vangelo » — Non erubesco Evangelium(Rom. I, 16); « e poco m’importa del giudizio che voi od altri facciate di me » — Mihi prò minimo est ut a vobis iudicer aut ab humano die(I Cor. IV, 3). Non meno chiaramente del discepolo, già aveva parlato il maestro, perché parole formali di Gesù Cristo sono le seguenti: « Se alcuno si vergognerà di me e della mia dottrina, il Figliuolo dell’uomo si vergognerà di lui quando verrà circondato della sua maestà e di quella del Padre, e degli Angeli santi » — Qui me erubuerit, et meos sermones, huno Filius liominis erubescet,cura venerit in maiestate sua, et Patris, et sanctorum angelorum (Luc. IX, 26). E poi di nuovo: « Chi mi avrà rinnegato dinanzi agli uomini, sarà pure rinnegato da me in faccia al Padre mio che è nei cieli » — Qui negaverit me coram hominibus, negabo et ego eum coram Patre meo, qui in cælis est (MATTH. X, 33). Ascoltiamo dunque l’avviso d’Isaia e non spaventiamoci dell’obbrobrio e delle bestemmie degli uomini: — Nolite timere opprobrium hominum, et blasphemias eorum ne metuatis (ISAI. L I , 7).
6. FA UN ATTO DI CORAGGIO CHI VINCE IL RISPETTO UMANO. — « È gloria grande seguire il Signore, dice il Savio; da lui si avrà lunghezza di giorni » — Gloria magna est sequi Dominum: longitudo dierum assumetur ab eo(Eccli. XXIII, 38). « Perché non rinnegarono il Cristo, scrive S. Agostino, passarono da questo mondo al Padre celeste: confessandolo, meritarono la corona di vita, e la tengono per sempre (Quia Christum non negaverunt, transierunt de hoc mundo ad Patrem; confitendo, coronam promerentes, et vitam sine fine tenentes– In Eccli.) ». Che cosa fece mai di così grande, il buon ladrone, domanda S. Giovanni Crisostomo, di andare così presto in cielo? Volete voi che vi dica in due parole la sua virtù? Udite: mentre Pietro rinnegava Gesù Cristo ai piedi della croce, allora egli lo confessava pubblicamente su la croce. Il discepolo non ebbe coraggio di sopportare le minacce di una vile fantesca; ma il ladrone vedendo intorno a sé tutto il popolo che urlava, schiamazzava, bestemmiava contro il Cristo, non tenne in nessun conto tutto quel baccano; non si fermò alle umiliazioni presenti del crocifisso, ma veduto tutto cogli occhi della fede, non badando alle illusioni esteriori, calpestando ogni rispetto umano, riconosceva nel paziente il Signore dei cieli, e a Lui sottomettendo le facoltà dell’anima sua, ad alta voce e senza paura di essere burlato, esclamava: Signore, ricordatevi di me, giunto che sarete al vostro regno (Homil. de Cruce et latrone). E in ricompensa della sua viva fede, del suo coraggio nel confessarlo in faccia a tutta la folla, senza badare a rispetto umano, ebbe la dolce ventura di udirsi rivolgere dalla bocca medesima di Gesù Cristo quelle consolanti parole: « Oggi sarai con me in paradiso — Hodie mecum eris in paradiso (Luc. XXIII, 43). La forza, la grazia, la salute, la gloria, stanno nel disprezzo del rispetto umano… Chi si mette sotto i piedi il rispetto umano, è padrone di sé, del mondo, di tutte le creature, del cielo, di Dio medesimo… Il Cristiano coraggioso non arrossisce mai di Dio, né della sua religione… In questo coraggio sta la vera gloria… Esso salvò la Maddalena, il pubblicano, il prodigo, il buon ladrone. Se essi avessero dato ascolto al rispetto umano, sarebbero tutti perduti; lo disprezzarono, sono lodati da Gesù e resi gloriosi… I Santi, i più eccellenti personaggi di tutti i secoli, tali divennero perché, disprezzando il rispetto umano, camminarono diritti alla loro via… Imitiamoli… « Se noi soffriamo con Gesù, dice S. Paolo, regneremo con lui; se lo rinneghiamo, anch’Egli ci rinnegherà » — Si sustiuebiinus et conregnabimus; si negaverimus et ille negabit nos(II Tim. I I , 12).« Essi ebbero timore di ciò che non dovevano temere, dice il Profeta,e il Signore spezzerà le ossa di quelli che cercano di piacere agli uomini;furono coperti di confusione, perchè Iddio li ha disprezzati » — lllic trepidaverunt ubi non erat timor, Deus dissipavit ossa eorum qui hominibus placent; confusi sunt, quoniam Deus sprevit eos(Psalm. LII, 6-7). Eccoun triplice castigo per quelli che si lasciano guidare dal rispetto umano perincontrare il genio del mondo: 1° il rompimento delle ossa, cioè la perditadella vita, della felicità, della pace, della salute; 2° la confusione, l’ignominia,la perdita della gloria; 3° il disprezzo di Dio e la riprovazione.
LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS.
[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e
meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte
testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più
rinomati da …]
Par M. l’Abbé
J.-M. PÉRONNE,
CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.
TOME PREMIER.
PARIS
LOUIS
VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR RUE DELAMMIE, 13
1878
IMPRIM.
Soissons, le 18 août 1878.
f ODON, Evêque de Soissons et Laon.
SALMO XXVI
[1] Psalmus David, priusquam liniretur.
Dominus illuminatio mea
et salus mea; quem timebo?
[2] Dominus protector vitæ meæ; a quo trepidabo?
[3] Dum appropiant super me nocentes, ut edant carnes meas,
[4]
qui
tribulant me inimici mei, ipsi infirmati sunt et ceciderunt.
[5] Si consistant adversum me castra, non timebit cor meum.
[6]
Si
exsurgat adversum me prælium, in hoc ego sperabo.
[7] Unam petii a Domino, hanc requiram, ut inhabitem in domo Domini omnibus diebus vitæ meæ,
[8] ut videam voluptatem Domini, et visitem templum ejus.
[9] Quoniam abscondit me in tabernaculo suo; in die malorum protexit me in abscondito tabernaculi sui.
[10] In petra exaltavit me, et nunc exaltavit caput meum super inimicos meos.
[11]
Circuivi,
et immolavi in tabernaculo ejus hostiam vociferationis; cantabo, et psalmum
dicam Domino.
[12] Exaudi, Domine, vocem meam, qua clamavi ad te; miserere mei, et exaudi me.
[13] Tibi dixit cor meum, exquisivit te facies mea; faciem tuam, Domine, requiram.
[14] Ne avertas faciem tuam a me; ne declines in ira a servo tuo.
[15]
Adjutor meus esto; ne derelinquas me, neque despicias
me, Deus salutaris meus.
[16] Quoniam pater meus et mater mea dereliquerunt me; Dominus autem assumpsit me.
[17] Legem pone mihi, Domine, in via tua, et dirige me in semitam rectam, propter inimicos meos.
[18] Ne tradideris me in animas tribulantium me, quoniam insurrexerunt in me testes iniqui, et mentita est iniquitas sibi.
[19] Credo videre bona Domini in terra viventium.
[20] Expecta Dominum, viriliter age, et confortetur cor tuum, et sustine Dominum.
[Vecchio Testamento secondo la Volgata
Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.
Vol. XI
Venezia, Girol.
Tasso ed. MDCCCXXXI]
SALMO XXVI.
Prima
che Davide fosse unto, la seconda volta, solennemente in re stando ancora in
esilio, ei compose questo salmo, in cui desidera il regno celeste, disprezzando
sia prosperità, sia avversità temporali.
Salmo di David,
prima che fosse unto.
1.
Il Signore mia luce e mia salute: chi ho io da temere?
2.
Il Signore difende la mia vita: chi potrà farmi tremare?
3.
Nel mentre che i cattivi mi vengon sopra per divorar le mie carni:
4.
Questi nemici miei, che mi affliggono, eglino stessi hanno inciampato, e sono
caduti.
5.
Quando io avrò contro di me degli eserciti attendati, il mio cuore non temerà.
6.
Quando si verrà a battaglia contro di me, in questa io porrò mia speranza.
7.
Una sola cosa ho domandato al Signore, questo io cercherò: che io possa abitare
nella casa del Signore per tutti i giorni della mia vita;
8.
Affine di vedere il gaudio del Signore, frequentando il suo tempio.
9.
Imperocché egli mi ha ascoso nel suo tabernacolo; nel giorno delle sciagure mi
pose al coperto nell’intimo del suo tabernacolo.
10.
Sopra di un’alta pietra mi trasportò, e adesso ha innalzata la mia testa sopra
dei miei nemici.
11.
Starò intorno a lui, immolando sacrifizi nel suo tabernacolo al suon delle
trombe; canterò e salmeggerò, lodando il Signore.
12.
Esaudisci, o Signore, la voce mia colla quale ti ho invocato; abbi misericordia
di me, ed esaudiscimi.
13. Con te parlò il cuor mio, gli occhi miei
ti hanno cercato; la tua faccia cercherò io, o Signore.
14.
Non rivolgere la tua faccia da me, non ritirarti per isdegno dal servo tuo.
15.
Sii tu mio aiuto: non mi abbandonare, e non disprezzarmi, o Dio mio salvatore.
16.
Perché il padre mio e la madre mia mi hanno abbandonato; ma il Signore si è
preso cura di me.
17.
Ponmi davanti, o Signore, la legge della tua vita; e per riguardo ai nemici
miei guidami pel diritto sentiero.
18.
Non abbandonarmi ai desiderii di coloro che mi perseguitano, dappoiché si son
presentati contro di me dei testimoni falsi, e l’iniquità s’inventò delle
menzogne.
19.
Credo che io vedrò i beni del Signore nella terra dei vivi.
20.
Aspetta il Signore, diportati virilmente, e prenda vigore il cuor tuo e aspetta
pazientemente il Signore.
Sommario
analitico
Davide prima della sua seconda
consacrazione, nel fuggire alla persecuzione di Saul, condannato a condurre una
vita errante, senza poter visitare il santo tabernacolo, e gemente nell’esilio,
rappresenta ogni uomo giusto provato dalle tentazioni della vita e dalle
persecuzioni del mondo, ritirato in spirito davanti al santo Tabernacolo, col desiderio
di dimorarvi sempre e rianimato nella fede dalle promesse del Signore e dai
beni invisibili della vita eterna. Malgrado tutti gli sforzi dei suoi nemici,
egli si dichiara senza timori, perché egli possiede Dio (1):
(1) Il carattere dei
giusti si manifesta qui in tutta la sua verità. Non si tratta qui della impassibilità
rigida né della sfida superba lanciata al dolore dal giusto degli stoici,
immortalati da Orazio. Qui ci sono le alternanze tra il coraggio e la paura, la
debolezza e la forza, di un’anima che dubita nella speranza e che spera nel
dubbio, pregando sempre senza cessare d’amare. Questa non è l’attitudine calma
e fiera di una personalità esaltata, né dell’orgoglio umano che si erge da solo
contro l’universo e si avvolge nel suo diritto come in un mantello, ma è il
contegno di un figlio davanti a suo padre, che in un istante è intrepido
davanti al pericolo da cui si sente minacciato, ed un istante dopo, gridando e
tremando, quando il male diventa imminente, si stringe presto contro il suo
protettore e lo invoca tra le lacrime:
I. – Come guida nei
combattimenti, in cui viene in suo soccorso: – 1) rischiarando la sua
intelligenza; – 2) fortificando la sua volontà (1); – 3)proteggendo tutte le
potenze della sua anima (2); – 4) distruggendo i nemici che sono: a) spudorati
e crudeli (3), b) numerosi e accaniti onde perderlo (4-6).
II. – Come asilo nel pericolo;
Dio gli offre il suo tabernacolo, ove egli trova: – 1° un’abitazione
stabile per tutti i giorni della sua vita (7); – 2° le delizie ineffabili nella
visita del suo tempio (8); – 3° una protezione sicura contro tutti gli assalti
dei nemici: a) Dio lo sottrae ai loro inseguimenti, b) lo protegge nel segreto
del suo tabernacolo, c) lo eleva e lo rende superiore a tutti i loro sforzi (9,
10); – 4° un mezzo facile per rendere a Dio il culto che Gli è dovuto: a)
frequentando il suo tempio e circondando i suoi altari, b) offrendogli vittime,
c) cantando le sue lodi, d) componendo salmi in suo onore (11). –
III. Come remuneratore dopo la
vittoria: – 1° nell’altra vita, mostrandosi a Lui faccia a faccia, cosa
che Davide chiede: a) con le sue preghiere e le sue grida (12), b) con le
affezioni e gli slanci del suo cuore, c) con lo zelo che egli mette nel
ricercare Dio, d) con gli sguardi ardenti che rivolge al cielo (13). – 2° in
questa vita, egli domanda a Dio: a) di dargli man forte contro i suoi nemici,
perché Dio è sempre stato il suo Salvatore (15), e Dio si è dichiarato suo
protettore quando veniva abbandonato da tutti (16); b) di dirigerlo nella via
dei suoi comandamenti, dandogli la sua legge che: 1) gli impedirà di errare, 2)
gli farà conoscere le trappole che gli tendono i suoi nemici (17), 3) lo
difenderà contro tutte le menzogne e le loro calunnie (18); c) di fortificare
il suo spirito ed il suo cuore: 1) con una fede perfetta nei beni futuri (19); 2)
con una speranza ferma e paziente; 3) con una carità che porta ad atti eroici,
alla pazienza nelle tribolazioni, all’attesa perseverante del Signore (20).
Spiegazioni e Considerazioni
I. — 1- 6.
ff. 1-6. – Ci sono tre grandi verità nei primi sei
versetti di questo salmo. Dio è nostra luce, Egli è l’autore della nostra
salvezza, Egli è il nostro unico protettore con il quale non abbiamo nulla da
temere. Senza la luce di Dio, noi saremmo nelle tenebre; senza la salvezza che
Egli ci ha meritato, noi saremmo tutti vittime della riprovazione eterna; senza
la forza che Egli ci dà, noi cadremmo nel niente della natura e nel niente del
peccato (Berthier). – Queste tre cose rendono un uomo intrepido,
invincibile contro tutte le avversità: – che Dio lo illumini, perché egli veda
ciò che è giusto; – che Dio lo guarisca e lo salvi, perché egli possa mettere
in esecuzione ciò che ha conosciuto essere giusto; – che Dio sia il suo
protettore, perché possa resistere a tutte le tentazioni (Ruffin).
– « Il Signore è la mia luce e la mia salvezza, di cosa avrò paura? » Egli mi
illumina affinché le tenebre spariscano, sicché io cammini saldo in piena luce:
cosa temerò? Perché Dio non ci dà affatto una salvezza per cui altri possa
sopraffarci; Egli non è una luce per cui altri possa avvolgerci nelle tenebre.
Dio ci rischiara, noi siamo illuminati; Dio ci salva, noi siamo salvati; se
dunque ci illumina e ci salva, è evidente che fuori da Lui non siamo che
tenebre e debolezza (S. Agost.). – Quale invincibile
fiducia deve dunque avere colui che sa dire: « Il Signore è protettore della
mia vita, davanti a cosa mai tremerò? ». Un imperatore è protetto da uomini
armati di scudo e non teme; un mortale è protetto da altri mortali e si sente
in sicurezza; ed il mortale protetto da un Difensore immortale dovrebbe forse
temere e tremare? – Ma quale baldanza, quale sicurezza non debba avere, comprendete
bene, colui che dice: « Quando anche fossero accampate intorno a me delle
armate, il mio cuore non tremerebbe! » Se i campi sono fortificati, sono essi
mai più fortificati di Dio? « Quand’anche una guerra scoppiasse contro di me »,
chi mi muove guerra? Può essa togliere la mia speranza? Può togliermi ciò che
da l’Onnipotente? Così come non si può vincere Colui che dà, così non mi si può
togliere ciò che Egli mi dà. Se si può togliere il dono, si può vincere colui
che dona (S. Agost.). – « Se Dio è per noi, chi sarà contro di
noi? » (Rom. VIII, 31). – Non c’è che una parola da dire … « Io
sono », e tutti i nostri nemici cadranno all’indietro.
II — 7-11.
ff. 7-11. – L’unico desiderio, l’oggetto unico del
Re-Profeta, è di abitare nella casa di Dio, di conversare con Dio, di gioire
delle dolcezze inseparabili dal servizio di Dio. Egli non divide affatto le sue
affezioni tra Dio e il mondo, tra Dio e le sue passioni; egli non riserva alcun
giorno all’ambizione, ai piaceri, alle cure nell’aumentare la sua fortuna, le
sue ricchezze, ma tutto è donato a Dio (Berthier). – L’unico
desiderio del Cristiano, è la ricerca unica alla quale tutti devono tendere.
C’è una sola cosa necessaria, e qual è questa unica cosa? … È abitare nella
casa del Signore. In questa vita passeggera ci si serve del termine di « casa »;
ma a propriamente parlare, non bisognerebbe servirsi se non del termine di «
tenda ». La tenda conviene al viaggiatore, al soldato in campagna, a colui che
combatte un nemico. Quando dunque noi abitiamo una tenda in questa vita, è
manifesto che abbiamo un nemico da combattere. Noi abbiamo quindi quaggiù una
tenda, ed in alto una casa (S. Agost.). – « … Tutti i giorni
della mia vita », non dei giorni che potrebbero finire, ma dei giorni eterni. I
giorni della vita presente sono piuttosto una morte che una vita, ma i giorni
della vita eterna sono come gli anni di Dio che non finiranno mai, questi
giorni non sono in realtà che uno stesso giorno che non tramonta mai (S.
Agost.). – Nelle abitazioni terrene gli uomini cercano diverse gioie e
piaceri vari; ognuno vuole abitare una casa nella quale nulla turbi la sua
anima, ma ove al contrario tutto lo rallegri, e se le cose che lo affascinano
vengono eliminate, vuole ad ogni costo cambiare casa … Ed il profeta ci dice
cosa desidera fare in questa casa: … contemplare le gioie del Signore. Che il
nostro cuore si elevi più in alto di tutte le cose ordinarie; che il nostro
spirito si elevi più in alto di tutti i pensieri che ci sono abituali e che
sono nati dai desideri del nostro corpo … Se arriva un pensiero che non ecceda
la nostra intelligenza, dite: la non c’è il cielo; perché se ci fosse il cielo,
io non sarei stato capace di concepire questa idea. È così che bisogna
desiderare il bene, ma quale bene? Il bene per il quale tutte le cose sono
buone, il bene dal quale deriva tutto ciò che è buono. Tale è la gioia del
Signore che noi saremo ammessi a contemplare senza che ci circonda nessuna
suggestione, senza che alcuna potenza si allontani da noi, senza che alcun
nemico vi si opponga (S. Agost.). – Perché il Signore ci fa
questa grazia nell’eternità? « … Perché nel giorno della sciagura Egli mi ha
messo al riparo nel segreto della sua dimora ». La vita presente forma i giorni
delle nostre avversità. Come Colui che mi ha guardato con misericordia mentre
ero lontano da Lui, non mi renderà felice quando sarò presso di Lui? Colui che
ha dato una tale dimostrazione di protezione al viaggiatore esiliato, lo
abbandonerà forse al termine del viaggio? (S. Agost.). – Gli
antichi favori di Dio ci danno il diritto di attenderne di nuovi. – Mentre agli
uomini, dopo aver ricevuto un beneficio, non bisogna subito chiederne un altro,
al fine di danneggiare il proprio credito e rendersi inopportuno; con Dio
invece, noi possiamo dire in tutta verità, … Egli mi proteggerà, perché Egli mi
ha già protetto. Dio aveva nascosto e protetto Davide nell’interno del suo
tabernacolo, perché lo aveva sottratto al furore dei suoi nemici, ed aveva
assicurata la sua anima contro tutti i danni ai quali questo santo re fosse
esposto. Questo segreto del tabernacolo è ancora aperto a tutti i perseguitati
e ai sofferenti. Nel tempo della tempesta, essi si ritirano nella presenza del
Signore, e ricorsi alla preghiera, ne escono non solo consolati, ma pieni di
forza contro tutti i nemici della salvezza (Berth., Applic. à l’Euch.).
– Noi immoliamo un’ostia di giubilazione, un sacrificio di azione di grazia che
ci è impossibile spiegare con le nostre parole; noi l’immoliamo, ma dove? Nel
suo tabernacolo, nella Santa Chiesa. Cosa immoliamo dunque? Una gioia immensa
ed inenarrabile, che nessuna parola, nessuna voce può descrivere. Tale è
l’ostia di giubilazione. Ma dove la si cerca? Dove la si trova? Percorrendo
ogni cosa. « Io ho percorso ogni cosa, dice il Profeta, ed ho immolato nel suo
tabernacolo un’ostia di giubilazione ». Che il vostro spirito percorre la
creazione intera, ed ogni parte della creazione vi griderà: è Dio che mi fatto!
Ciò che vi affascina nell’opera, è vanto dell’operaio, e più percorrete
l’universo in tutti i sensi, più questo esame manifesta ai vostri occhi la
gloria del suo Autore. Voi considerate i cieli, essi sono le grandi opere di
Dio, voi considerate la terra, è Dio che ha creato queste numerose semenze,
questi germi di infinita varietà, questa moltitudine di animali. Percorrete i
cieli e la terra, non omettete alcunché: da ogni luogo, tutte le cose
proclamano davanti a voi il loro Autore, e le creature di tutte le specie sono
come tante voci che lodano il Creatore. Ma chi potrebbe dipingere la creazione
intera? Chi potrebbe farne l’elogio che merita? E se il linguaggio dell’uomo è
così ridotto all’impotenza quando si tratta delle creature di Dio, cosa può nei
riguardi del Creatore? La parola viene meno e all’uomo non resta che l’emozione
della sua gioia (S. Agost.).
III. — 12-20.
ff. 12. – Nella preghiera, soprattutto
nell’orazione, è il cuore che deve parlare, che deve dire, come si esprime il
Re-Profeta. È l’occhio dell’anima che deve cercare. Questo linguaggio del
cuore, è il solo degno di essere ascoltato da Dio. La preghiera vocale senza il
grido del cuore, non è che un suono che batte l’aria; ma il grido del cuore,
senza parole, è una vera preghiera, è il nodo del santo rapporto che l’uomo
deve intrattenere con Dio (Berthier).
ff. 13. Se la nostra gioia fosse posta nel
sole che rischiara questo mondo, non sarà il nostro cuore a dire: « Io ho
cantato la vostra lode »; per questo ci sarebbero gli occhi del nostro corpo.A Chi il nostro cuore dice: « … io ho cercato il vostro volto », se non
a Colui che possono vedere gli occhi del nostro cuore? Gli occhi del corpo
ricercano la luce del sole, gli occhi del cuore la luce di Dio. Ma voi volete
vedere questa luce che contemplano gli occhi del cuore, perché questa luce è
Dio stesso; perché Dio è luce, dice San Giovanni, e in Lui non ci sono tenebre
(Giov. I, 5). – Volete dunque vedere questa luce? Purificate
l’occhio che può contemplarla; perché sono beati coloro il cui cuore è puro,
perché essi vedranno Dio (Matt. V, 8). (S. Agost.).
ff. 14. – C’è una sorta di progresso nelle espressioni
di cui si serve il Profeta. Dio nasconde il suo volto quando cessa di irradiare
i raggi della sua luce; Egli monta in collera quando non parla più al cuore
dell’uomo, Egli lo abbandona quando lo lascia in preda alle sue passioni, Egli
lo allontana e lo rigetta quando lo prova senza ritorno, quando lo toglie cioè da
questo mondo per fargli provare le sue vendette nell’altra vita. I peccatori
non si accorgono del loro stato deplorevole se non al momento di questa ultima
catastrofe, e quando non c’è oramai più tempo per implorare la misericordia
divina (Berthier). – Non c’è altra terra dei viventi che il
cielo, non c’è altro libro dei viventi che il libro della predestinazione; ed
ancora, non c’è altro Dio dei viventi se non il vero Dio il cui regno è eterno
(Idem).
ff. 15. – Noi abbiamo domandato a Dio solo una cosa, di
abitare nella sua casa tutti i giorni della nostra vita, di contemplare le sue
delizie, di vederlo faccia a faccia. Noi siamo sulla strada per arrivare a
tanto; ma se Dio ci abbandona, la rovina ci assalirà lungo il cammino, e noi ci
arresteremmo senza camminare più: Voi siete il mio aiuto, non mi abbandonate,
etc. (S. Agost.).
ff. 16. – Il Re-Profeta si fa un figlio di Dio, fa di
Dio suo padre, fa di Dio sua madre. Dio è suo padre perché Egli lo ha creato,
perché lo chiama, perché gli da dei comandi, perché lo dirige. Dio è sua madre
perché lo tiene nelle sue braccia, lo nutre, lo allatta, lo porta nel suo seno.
« Mio padre e mia madre mi hanno abbandonato, etc. ». I genitori mortali hanno
generato dei figli, dei figli mortali sono succeduti ai genitori mortali,
affinché coloro che li hanno generato morissero; Colui che mi ha creato non
morirà affatto, ed io non mi separerò mai da Lui (S. Agost.). –È triste
l’abbandono in cui i genitori lasciano l’anima dei loro figli nell’età in cui
essi avrebbero tanto bisogno di essere illuminati, sostenuti, guidati meno
ancora che dalle istruzioni, bensì con degli esempi viventi di religione, di
pietà, di virtù. Quale gioia per noi aver ricevuto nel nostro Battesimo Dio
come padre, e per madre la Chiesa Cattolica, nel seno della quale noi siamo
stati posti, per apprendervi le verità della salvezza e le massime della vera
pietà! – Abbiamo lo spirito ed il cuore di un bambino celeste, staccato dalla
terra dalla sua nascita novella, animato dallo spirito di adozione divina, e da
una docilità, da una sottomissione assoluta a Colui che è il Padre degli
spiriti, affinché noi viviamo (Ebr. XII, 9). – È dall’abbandono
totale da parte delle creature, che appare la fede dei servitori di Dio. È
allora che l’uomo di fede esclama con S. Agostino: « … mi si tolgano le cose
che Dio mi aveva dato, ma non mi si tolga Dio che me le aveva date ». È allora
che Dio pure raccoglie i suoi servitori, e si dichiara Dio e Padre, il divino
amico dei solitari e degli abbandonati.
ff. 17. – Il Profeta desidera essere condotto
lungo le vie della giustizia, a causa dei suoi nemici. Il gran numero di nemici
invisibili che incessantemente tendono insidie per farci uscire dal sentiero
della giustizia che conduce dritto alla vita, è un motivo potente per chiedere
più ardentemente a Dio la sua luce alfine di farci conoscere la sua volontà e
la sua grazia per metterla in esecuzione.
ff. 18. – Come gli uomini sono liberati dalla
volontà di coloro che li affliggono? « perché i testimoni dell’iniquità si sono
levati contro di noi ». Siccome sono dei testimoni mendaci, se io sono legato
alla loro volontà, io mentirò con essi e diverrò come uno di loro, non
partecipando più alla vostra verità, ma alla loro menzogna. Al contrario,
quando essi esercitano secondo volontà il loro furore contro di me, e si
sforzano di ostacolare il mio cammino; se non mi abbandonate alla loro volontà
e conseguentemente mi offrirò ai loro desideri, io resterò fermo, sarò nella
vostra verità e l’iniquità avrà mentito a suo detrimento e non al mio (S.
Agost.). – Testimoni ingiusti, sono una tentazione pericolosa da cui si
può chiedere a Dio di essere preservati. Volendo perderci, questi testimoni di
iniquità perdono se stessi, e la loro menzogna ricade su di loro.
ff. 19. – È nei mali, nelle persecuzioni da cui il
Re-Profeta è assediato, che si trovano i pegni certi che lo rassicurano, per
un’altra vita, al possesso dei beni del Signore, per cui ha avuto una
conoscenza chiara e distinta dei beni eterni che contempla come se avesse
davanti agli occhi il cielo aperto; perché la sua ragione e la sua fede gli
dicono dal fondo all’anima che questi mali, queste persecuzioni, sono contrarie
ad ogni giustizia, dalla Provvidenza di Dio egli ebbe, per l’avvenire, un altro
stato in cui la sua innocenza fu riconosciuta e la sua pazienza glorificata (S.
Agost.). – Egli ritorna ancora alla sola cosa che ha domandato: dopo
questo pericolo, dopo questi travagli, dopo queste difficoltà, agitato,
affannato, sfinito tra le mani di quelli che lo perseguitano e lo affliggono, è
fermo e pieno di sicurezza, perché il Signore lo ha preso in adozione, perché
il Signore è suo aiuto, perché il Signore lo conduce, perché il Signore lo
dirige; dopo l’esame di tutte le cose e di questo sacrificio di giubilo, dopo i
trasporti della sua allegria, dei suoi gemiti nelle pene, infine respira ed
esclama: « Io credo fermamente che vedrò i beni del Signore ». O beni
deliziosi, immortali, incomparabili, eterni, immutabili! E quando vi vedrò, o
beni del Signore? Io vi vedrò, ma non sarà in questa terra dei mortali, ma
nella terra dei viventi (S. Agost.). – Non c’è altra terra dei
viventi se non il cielo, così come non c’è altro libro dei viventi che il libro
della predestinazione; e non c’è altro Dio dei viventi se non il vero Dio, il
cui regno è eterno.
ff. 20. – Dio differisce ma non negherà il compiersi
della sua promessa. « Attendere il Signore » … voi non attendete qualcuno che
possa ingannare, né che possa ingannarsi, o che non saprà prendere, per darlo,
ciò che ha promesso. Voi avete la promessa di colui che è Onnipotente, la promessa
di Colui che è infallibile, la promessa di Colui che è verace. « … Attendo il
Signore, agisco con coraggio ». A colui che lo insidia ha fatto perdere la
pazienza e lo fatto diventare debole come una donna, facendogli perdere ogni
vigore, « Attendo il Signore », e nell’aspettarlo, lo possederete, possederete
cioè Colui che aspettate. Desiderate qualcos’altro se potete mai trovare
qualcosa di più grande, di meglio, di più dolce! (S. Agost.).
[Discorsi di S. G. B. M. VIANNEY, curato d’Ars – Vol. I, Quarta ed. – Ed. Marietti, Torino-Roma, 1933]
Sul Matrimonio.
Quanto i Cristiani sarebbero felici, se avessero la sorte come questi due sposi fedeli che si recarono a pregare Gesù Cristo di assistere alle loro nozze per benedirle e per conceder loro le grazie necessarie alla loro santificazione! Ma no, pochissimi fanno quello che devono fare per impegnare Gesù Cristo a recarsi alle loro nozze per benedirle; all’opposto, sembra che si impieghino tutti i mezzi per impedirlo. Ah! quante persone dannate per non aver invitato Gesù Cristo alle loro nozze, quante persone che cominciano il loro inferno in questo mondo! Ah! quanti Cristiani che abbracciano questo stato colle stesse disposizioni dei pagani e forse son più colpevole! Diciamo, gemendo, che, di tutti i sacramenti non ve ne è alcun altro che sia tanto profanato. Sembra che non si riceva questo gran sacramento che per commettere un sacrilegio. Ah! se noi vediamo molti contrarre dei cattivi matrimoni, molti infelici, molti che colla maledizioni che si vomitano l’uno contro l’altro, veramente cominciano il loro inferno in questo mondo, non cerchiamone altra causa se non nella profanazione di questo sacramento. Ah! se di tutti i trenta matrimoni, ne occorressero tre soli che avessero ricevute tutte le grazie, sarebbe già molto. Ma che cosa ne conseguita da queste profanazioni, se non una generazione di riprovati? Mio Dio, possiamo noi pensarvi e non tremare, vedendo tante povere persone le quali non entrano in questo stato che per cadere nell’inferno? Qual è il mio disegno, M. F.? Eccolo. Dapprima di mostrare a coloro che hanno abbracciato questo stato, le colpe che vi hanno commesse, e poscia a coloro che pensano di abbracciarlo, le disposizioni che vi devono recare.
I. — Nessuno dubita che noi possiamo salvarci in tutti gli stati che Dio ha creati, ciascuno in quello che Dio ci ha destinato, se noi vi rechiamo le disposizioni che Dio domanda da noi: di guisa che, se noi ci perdiamo nel nostro stato, segno è che non l’abbiamo abbracciato con buone disposizioni. Ma è vero che ve ne sono i quali presentano maggiori difficoltà degli altri. Noi sappiamo qual è quello che ne presenta di maggiori, è quello del matrimonio; e tuttavolta noi vediamo che è quello che si riceve con più cattive disposizioni. Quando si vuol ricevere il sacramento della confermazione, si premette un ritiro, si procura di farsi bene istruire, per rendersi degni delle grazie che vi sono annesse; ma per quello del matrimonio, dal quale dipende ordinariamente la felicità o l’infelicità di colui che lo riceve, lontano dal prepararvisi con un ritiro o con qualche altra buona azione, sembra che non si saranno mai accumulati abbastanza peccati sopra peccati per riceverlo, sembra che non si avrà mai commesso tanto male per meritare la maledizione del buon Dio, affine di essere infelici per il volgere di tutta la vita preparandosi un inferno per l’eternità. Quando si vuol abbracciare lo stato ecclesiastico, od entrare in un monastero, o restare nel celibato, si consulta, si prega, si compiono delle buone opere, affine di domandare a Dio la grazia di conoscere la propria vocazione; benché nell’ordine religioso tutto converga a Dio. tutto ci allontani dal male, nonostante ciò, si prendono molte precauzioni; ma per il matrimonio, nel quale è così difficile il salvarsi, o per meglio dire, nel quale tanti si dannano, dove sono le preparazioni che si premettono per domandare a Dio la grazia di meritare il soccorso del cielo che ci è così necessario per potere santificarci? Quasi nessuno vi si prepara, o vi si prepara in un modo così debole che il cuore non vi ha alcuna parte. Quando un giovane od una giovane cominciano a voler pensare a collocarsi, prendono le messe dall’allontanarsi da Dio, abbandonando la religione, la preghiera, i sacramenti. Gli abbigliamenti ed i piaceri prendono il posto della religione, e i peccati più vergognosi prendono il posto dei sacramenti. Essi battono questa via fino al momento di contrarre il matrimonio, nel quale la maggior parte consumano tre sacrilegi in due o tre giorni; vo’ dire profanando il sacramento della penitenza, quello dell’Eucaristia e quello del matrimonio, se il prete è tanto infelice da amministrar loro i due primi; io dico almeno la maggior parte, se non di tutti. Il più gran numero di Cristiani, vi recano un cuore mille volte più corrotto dal vizio infame dell’impurità, che un gran numero di pagani non oserebbero di commettere. Una giovane che desidera impalmarsi con un giovane, non ha più alcuna riservatezza. Ah! ella abbandona il buon Dio, e il buon Dio alla sua volta la abbandona; ella si getta a corpo perduto in tutto ciò che è più infame. Ah! che possono essere e che possono diventare queste povere persone che ricevono il sacramento del matrimonio in un simile stato, e quanti di questi infelici non lo rivelano neppure in confessione? O mio Dio, con qual orrore il cielo può e deve riguardare tali matrimoni! Ma che avviene di queste persone infelici? Ah! lo scandalo d’una parrocchia ed una sorgente di sventure per i poveri figli che nasceranno da essi! Che cosa si ascolta in questa casa? Nient’altro, se non giuramenti, bestemmie, imprecazioni e maledizioni. Quella giovane credeva che se poteva avere quell’uomo, o quell’uomo quella giovane, nulla sarebbe loro mancato; ma ah! dopo aver fondata la famiglia, quale cangiamento, quante lagrime, quanti patimenti, quanti gemiti! Ma tutto ciò a nulla giova. La sventura li ha incolti, ed è necessario restarvi fino alla morte, è necessario vivere con una persona che il più spesso non si può né vedere né udire; diciamo meglio, essi cominciano il loro inferno in questo mondo per continuarlo per tutta l’eternità. Ah! che il numero di questi matrimoni infelici, è grande! Tuttavolta, tutto ciò proviene dalla profanazione di questo sacramento. Ah! se si ponesse mente a quello che si fa abbracciando il matrimonio, i doveri da adempire e le difficoltà che vi si incontreranno per salvarsi, o mio Dio, più savia sarebbe la loro condotta! Ma la sventura del gran numero, è che hanno già perduto la fede quando lo abbracciano. D’altra parte, il demonio nulla omette per renderli indegni delle grazie che Dio loro concederebbe se fossero ben preparati. Il demonio, non solamente spera di averli nel suo potere, ma che anche i figli che nasceranno da essi saranno le sue vittime. Oh! che coloro che Dio non chiama a questo stato sono felici! Oh! quali azioni di grazie devono rendere a Dio di preservarli da tanti pericoli di perdersi! senza contar che saranno più vicini a Dio in cielo, che tutte le loro azioni saranno più accettevoli a Dio, e che la loro vita sarà più dolce, e la loro eternità più felice. Mio Dio, chi potrà ben comprendere ciò? Ah! quasi nessuno, perché ciascuno segue, non la propria vocazione, ma la tendenza delle proprie passioni. – Tuttavia, per quanto sia difficile salvarsi nello stato del matrimonio, e che il più gran numero, senza porvi mente un sol momento, saranno dannati, coloro che Dio vi chiama possono salvarvisi, se hanno la ventura di recarvi le disposizioni che Dio domanda da essi; Egli loro concederà coi sacramenti suoi le grazie che loro sono promesse. Ciascuno deve entrare dove Dio lo chiama, e noi possiamo dire che il più gran numero dei Cristiani si perdono perché non seguono la loro vocazione, ossia non domandandola a Dio o rendendosi indegni di conoscerla colla loro cattiva vita. Per mostrarvi che si può salvarsi nel matrimonio, se è Dio che chiama, ascoltate quello che ci dice S. Francesco di Sales, il quale essendo in collegio, si intratteneva un giorno con uno dei suoi compagni intorno lo stato nel quale entrerebbero. S. Francesco gli disse: io credo che il buon Dio mi chiami ad essere prete, io vi trovo tanti mezzi di santificarmi e di guadagnare delle anime a Dio, che al solo pensarvi mi sento il cuore ripieno di gioia; quanto mi troverei felice, se potessi convertire dei peccatori a Dio! Per tutto il volgere dell’eternità, io li sentirei cantare le lodi di Dio, li vedrei in cielo. L’altro gli disse: Io credo che Dio mi chiami nello stato del matrimonio e che avrò dei figli e che ne formerò dei buoni Cristiani e che io medesimo mi santificherò. Tutti e due seguirono una vocazione diversa, perché l’uno fu prete e Vescovo, e l’altro abbracciò il matrimonio, tuttavolta tutti due sono santi. Colui che contrasse il matrimonio ebbe dei figli e delle figlie; uno dei figli fu arcivescovo, ed è stato santo; un secondo religioso; un altro, presidente in una camera, il quale fece della propria casa quasi un monastero. Si levava di letto ogni giorno alle quattro ore del mattino, a cinque ore recitava la preghiera con tutti i suoi domestici, li istruiva ogni giorno. Parecchie delle sue figlie furono religiose; di guisa che, dice S. Francesco di Sales, che tutti, in quella famiglia, furono modelli di virtù nel paese dove soggiornavano. Voi vedete che, benché sia molto difficile di salvarsi nello stato del matrimonio, coloro che vi sono chiamati da Dio, se vi recano delle buone disposizioni, possono sperare di santificarvisi. Ma trattiamo in modo più diretto quello che riguarda questo sacramento.
II — Se io domandassi ad un fanciullo che cos’è il sacramento del matrimonio, egli mi risponderebbe: è un sacramento istituito da nostro Signor Gesù Cristo e che conferisce le grazie necessarie per santificare coloro che abbracciano il matrimonio secondo le leggi della Chiesa e dello Stato. Ma quali sono le disposizioni per ricevere le grazie che Dio comunica con questo sacramento? Eccole:
1° Di essere sufficientemente istruito dei doveri del proprio stato e delle miserie che in esso si provano; 2° di essere in stato di grazia, vo’ dire di avere premessa una buona confessione di tutti i propri peccati, con un vivo desiderio di non più commetterli. Se mi domandate perché è necessario essere in istato di grazia per ricevere questo sacramento, io vi risponderò: 1° Perché è un sacramento dei vivi; è necessario adunque che l’anima nostra sia esente da peccati; 2° Non essendo in istato di grazia, si commette un sacrilegio, eccetto che non siasi sufficientemente istruito. Coloro che vogliono ricevere degnamente questo sacramento devono essere istruiti sufficientemente per conoscere i loro doveri, e per insegnare ai loro figli quello che devono fare per vivere cristianamente. Se una persona che contrae il matrimonio non sa che cos’è il sacramento che riceve, chi l’ha istituito, quali grazie ci conferisce, e quali sono le disposizioni che dobbiamo recarvi, egli è certo che commette un sacrilegio. Ah! quanti sacrilegi nel ricevere questo gran sacramento, e quanti che abbracciano questo stato senza neppure sapere i principali misteri; vo’ dire, quale delle tre Persone divine si è fatta uomo! Essi non saprebbero solamente rispondervi che è la seconda Persona che ha preso un corpo ed un’anima nel seno della Ss. Vergine per l’opera dello Spirito Santo, e che fu il 25 marzo; che il 25 dicembre questo Gesù è venuto al mondo. Quanti che non sanno che è nato come uomo e non come Dio, perché come Dio è da tutta l’eternità. Quanti che non sanno che è il Giovedì santo che Gesù Cristo ha istituito il sacramento adorabile dell’Eucaristia, prendendo del pane, benedicendolo e cangiandolo nel suo corpo; e che poscia prese del vino e lo cangiò nel suo sangue, e che disse a’ suoi apostoli: “Tutte le volte che voi pronuncerete queste medesime parole, voi opererete lo stesso miracolo.„ Quanti che non sanno che fu il Giovedì santo che Gesù Cristo ha istituito i sacerdoti, dicendo loro queste parole: “Fate questo in memoria di me. Tutte le volte che voi pronuncerete le medesime parole, voi cangerete il pane nel mio corpo, il vino nel mio sangue.„ (I Cor. XI, 23-26). Forse alcuni ignorano il giorno che il buon Dio è morto, che è risuscitato e che è salito al cielo. Ciò vi meraviglia? Ah! ne occorrono più di due che non sanno quanto e come Dio ha sofferto, e come è morto; vo’ dire che non sanno che Dio ha sofferto ed è morto come uomo e non come Dio, perché come Dio non poteva né patire, né morire. Quanti che credono che le tre Persone della Ss. Trinità hanno sofferto e sono morte. Quanti non sanno che Gesù Cristo, come uomo, è più giovane della Ss. Vergine, e che, come Dio, è da tutta l’eternità! Quanti sarebbero stati bene impacciati, se, prima di maritarsi, si avesse loro domandato: Chi ha istituito i sacramenti, e quali sono gli effetti di ciascun sacramento in particolare, e quali sono le disposizioni che domanda ciascun sacramento? Quanti credono che è la Ss. Vergine e gli apostoli che hanno istituiti i sacramenti, e che non sanno veramente che è Gesù Cristo, e che Lui solo poteva istituirli e comunicar loro le grazie che vi riceviamo: vo’ dire, che il battesimo ci purifica dal peccato che noi rechiamo, nascendo, che è il primo sacramento che un Cristiano può ricevere, e che le acque per il battesimo sono state santificate quando S. Giovanni battezzò Gesù Cristo nel Giordano, che Gesù Cristo l’ha istituito, dicendo ai suoi apostoli: “Andate, istruite tutte le nazioni battezzandole nel nome del Padre, ecc. „ (Matth. XXVIII, 19). Quanti non sanno che sia lo Spirito Santo ch’essi ricevono nel sacramento della Confermazione, e che questo sacramento non può essere conferito che dai Vescovi, e che è necessario essere in istato di grazia per riceverlo! Quanti non sanno in qual momento essi ricevono il sacramento di Penitenza e non sanno che è quando si confessano e che loro si imparte l’assoluzione, e non tutte le volte che si confessano! Quanti non sanno che, nel sacramento dell’Eucaristia, essi ricevono il corpo, il sangue e l’anima di nostro Signore Gesù Cristo, e non ricevono né gli angeli né i santi! Quanti non sanno far la differenza tra il sacramento dell’Eucaristia e gli altri, vale a dire, che non sanno che, nel sacramento dell’Eucaristia, essi ricevono il corpo adorabile e il sangue prezioso di Gesù Cristo, invece che negli altri non riceviamo che l’applicazione dei meriti del suo sangue prezioso! Quanti non sanno conoscere, quali sono i sacramenti dei vivi e i sacramenti dei morti, e perché si danno loro questi nomi; essi non sanno che il Battesimo, la Penitenza e qualche volta l’Estrema-Unzione, sono i sacramenti dei morti, perché ci restituiscono la vita della grazia che abbiamo perduta col peccato, e gli altri sono chiamati sacramenti dei vivi, perché è necessario che non abbiamo nessun peccato sopra la coscienza quando vogliamo riceverli. Quanti altri non sanno quello che ricevono quando si fanno le unzioni sopra i loro sensi, e quale grazia questo sacramento dell’Estrema Unzione conferisce agli ammalati che lo ricevono degnamente, vo’ dire che essi non sanno che questo sacramento li purifica da tutti i peccati che hanno commesso coi loro sensi. Finalmente quanti altri hanno ignorato la grazia che conferiva il sacramento del matrimonio! Quanti altri che non sanno che i sacramenti non hanno avuto il loro effetto che dopo la Pentecoste. Ah! quanti sacrilegi! ah! quante persone maritate miseramente perdute! Tuttavia se voi ignorate queste cose, voi potete essere certi che tutti i sacramenti che avete ricevuti sono, vorrei dire, dei sacrilegi. – Una seconda ragione che deve persuaderci a ben prepararsi per ricevere tutte le grazie che conferisce questo gran sacramento, è che vi sono molte miserie da sopportare. Quante povere mogli che sono costrette di passare la loro vita con dei mariti di cui gli uni sono irascibili, i quali un nulla li fa montar in collera; somiglievoli a leoni, essi sono sempre ai loro fianchi, sono sempre a contese e spesse volte le maltrattano; essi non possono vederle a mangiare. Esse muoiono di crepacuore; è ben raro che passino un giorno senza versare delle lagrime; altre hanno dei mariti che mangiano tutto quello che hanno nelle bettole, mentre che una povera moglie perisce di miseria coi suoi figli nella casa. Quello che io dico dei mariti, lo dico parimente delle mogli. Quanti mariti che hanno delle mogli che non dicono loro mai una parola con dolcezza, che li disprezzano, che trascurano tutto ciò che vi è nella casa, che non fanno che contendere da mane a sera. Voi sarete d’accordo con me che per soffrire tutto ciò senza lagnarsi, in modo da renderlo meritorio per il cielo, occorre una grazia straordinaria. Ora, se voi aveste ricevuto tutte le grazie che vi conferisce questo sacramento, voi ne avreste un tesoro infinito per il cielo; le grazie che Dio vi ha preparato per salvarvi, che ha annesso alla vostra vocazione, vi renderebbero ciò sopportabile senza mandare alcun lamento. Ma donde proviene che l’uomo non può tollerare i difetti che egli scopre nella propria moglie, e che la moglie maledice ad ogni istante il proprio marito perché è un ubbriacone? Gli è perché queste persone non hanno ricevuto le grazie del sacramento del matrimonio; esse non possono essere che infelici nel volgere della loro vita e dannate dopo la loro morte. Ma una più grave sventura è che i loro figli loro rassomigliano. Ah! chi potrà dire a virtù di parole lo stato deplorevole dei figli che nascono da tali matrimoni? Voi li vedete quasi vivere come le bestie. Dapprima, i genitori non hanno mai saputo la loro religione, quindi non possono insegnarla ai loro figli. Ah! dei figli che hanno dieci o undici anni, e non sanno non solamente la loro preghiera, né una parola della loro religione; essi non hanno che giuramenti e cattivi discorsi in bocca. Ah! quante persone maritate e quanti figli perduti! almeno se non fossero maritate, si sarebbero perdute sole! Come la profanazione di questo sacramento popola l’inferno! Ma, mi direte voi, che cosa bisogna fare per abbracciare santamente questo stato? — Eccolo. Ascoltatelo attentamente, fortunati se ne approfittate! È necessario che il vostro matrimonio non sia contratto al modo dei pagani. Ecco i matrimoni dei pagani. Quando vogliono collocarsi, gli uni prendono una donna per averne dei figli ai quali lasciare il loro nome e i loro beni; altri perché hanno bisogno di una compagna per aiutarli nelle sollecitudini della vita; questi per la bellezza e le attrattive, ma pochissimi per la virtù. Dopo ciò, si prendono le debite cautele da una parte e dall’altra, si stipula il contratto, e si celebra il matrimonio, che è accompagnato da qualche cerimonia religiosa al loro modo; si imbandisce un gran banchetto, e si lascia un libero freno ad ogni sorta di gioie e di eccessi. Ecco il modo col quale procedono i pagani, vo’ dire coloro che non hanno come noi la ventura di conoscere il vero Dio. Se i vostri matrimoni non hanno niente di meglio, state sicuri che voi avete profanato questo sacramento; e, dopo ciò, risolvetevi a passare la vostra eternità nell’inferno. Non è dunque veramente che lo spirito di pietà che forma il matrimonio cristiano: è necessario dunque farlo in nome di Gesù Cristo, nell’intendimento di piacere a Lui e di seguire la propria vocazione, proporsi il salvamento dell’anima propria e null’altro. Non è dunque né l’interesse, né il desiderio di seguire l’inclinazione del proprio cuore che deve muovere un Cristiano a contrarre il matrimonio; ma quello di seguire la voce di Dio che vi chiama in questo stato, di educare cristianamente i figliuoli che piacerà a Dio concedervi. Ma in un affare così importante, nulla si deve fare con precipitazione, né mai omettere di consultare i propri genitori, e nulla conchiudere senza il loro consentimento. I genitori, non occorre dirlo, non devono costringere i loro figli ad unirsi con persone che non amano, perché non possono essere che infelici l’uno e l’altra. È necessario sempre scegliere persone che abbiano della pietà: voi dovete preferirle, quand’anche avessero poche ricchezze, perché voi siete sicuri che Dio benedirà il vostro matrimonio; invece che per coloro che non hanno religione, i loro beni periranno in breve tempo. Non conviene fare come molte che impalmano un uomo ubbriacone e cattivo soggetto, dicendo che, quando sarà maritato si correggerà; è vero l’opposto, e non diventerà che più cattivo, e voi passerete la vostra, vita in una specie d’inferno. Ah! questi matrimoni sono numerosi È colla preghiera e colle buone opere che voi dovete domandare a Dio di farvi conoscere colui o colei che Dio vi destina. Si dice che affinché un matrimonio sia ben fatto, vo’ dire felice, è necessario sia fatto in cielo prima di esserlo sopra la terra. Dapprima i giovani che vogliono meritare le grazie del matrimonio che Dio prepara a coloro che sperano di santificarvisi, non devono parlarsi da soli né il giorno né la notte, senza la presenza dei loro genitori, e non permettersi mai la più piccola famigliarità, né la più piccola parola indecente, senza di che sono sicuri di allontanare Dio dalle loro nozze, e se Dio non vi assiste, sarà il demonio. Ah! non ne occorre uno sopra duecento che osservi ciò. Si può egualmente dire che non occorre un matrimonio sopra duecento che sia veramente tale e nel quale la pace e la religione vi regnino, in modo che si possa dire che è una casa del buon Dio. All’opposto, ne occorrono che si trascinano per tre o quattro anni nelle danze, nei balli, nelle commedie, nelle bettole, che passano i tre quarti delle loro notti soli, a permettersi tutto ciò che il demone dell’impurità può loro inspirare. Mio Dio! sono costoro cristiani che devono portare sotto il velo del sacramento un cuore puro e libero da ogni peccato? Ah! chi potrà contare il numero dei peccati dei quali è coperto il loro cuore e la loro anima imputridita? Ah! come poter sperare che il buon Dio potrà, onnipotente quale Egli è, benedire tali matrimoni di persone che vivono nella imparità più infame chi sa da quanti anni? che non recitano forse le preghiere né il mattino né la sera? che hanno abbandonato i sacramenti da parecchi anni, o, se li hanno frequentati, non l’hanno fatto che per profanarli? Ah! come pretendere che il sangue adorabile di Gesù Cristo possa discendere sopra queste nozze per santificarle, e rendere le pene del matrimonio dolci e meritorie per il cielo? Ah! quanti sacrilegi, e quante persone maritate che andranno ad ardere negli abissi! Mio Dio, come i Cristiani conoscono poco la loro sventura e la loro perdita eterna! Ah! essi non abbandoneranno i loro delitti infami dopo le loro nozze; sempre le stesse infamie, e sempre battendo la via dell’inferno, nel quale ben presto cadranno. No, non entriamo nel particolare degli orrori che si commettono nel matrimonio, tutto ciò fa morire d’orrore. Abbassiamo il velo, che non si alzerà che nel gran giorno della vendetta, nel quale vedremo tutte queste turpitudini senza temere di contaminare la nostra immaginazione. Gente maritata, non perdete mai di vista che tutto si vedrà nel giorno del giudizio; ma ciò che ecciterà la meraviglia di una infinità di persone, è che cristiani si sieno permessi infamie simili. Facciamo punto.
III. — Se voi ora mi domandate quali sono le condizioni richieste perché un matrimonio sia buono davanti a Dio e davanti agli uomini, ecco, due cose: che il matrimonio sia contratto secondo le leggi della Chiesa, senza di che il matrimonio sarebbe nullo, vo’ dire che le persone vivrebbero nel peccato; come due persone che convivono insieme senza maritarsi davanti alla Chiesa. La Chiesa ha promulgato le sue leggi, assistita, diretta dallo Spirito Santo. Se voi mi domandate che cosa sono gli sponsali: è la promessa che si fanno due persone d’impalmarsi. Dal momento che due persone si sono fidanzate, esse non devono restare nella stessa casa, senza commettere un grave peccato, per causa dei pericoli e delle tentazioni alle quali saranno esposte; perché il demonio tutto mette in opera per renderle indegne della benedizione del buon Dio che loro è promessa nel sacramento del matrimonio. – Per questo la Chiesa proibisce loro di abitare sotto il medesimo tetto nel tempo degli sponsali. Vi ho detto che non occorre sacramento per il quale si prendano tante precauzioni esterne, che si riceva con tanto apparato come quello del matrimonio. Dopo che il contratto è stipulato, per tre domeniche di seguito si pubblicano le persone che vogliono maritarsi, e ciò per due ragioni: la prima, per invitare i fedeli a pregare per loro, affinché Dio conceda loro le grazie che sono loro necessarie per abbracciare santamente questo stato. La seconda ragione, per scoprire gli impedimenti che potrebbero mettere ostacolo a questo matrimonio. I oasi nei quali la Chiesa proibisce il matrimonio si chiamano impedimenti; di questi impedimenti ve ne sono che rendono le nozze nulle, di guisa che persone che si fossero maritate con alcuno di questi impedimenti, e vedremo quali, non sarebbero maritate, la loro vita non sarebbe che una fornicazione continua. Ah! occorrono di questi infelici matrimoni, che fanno cadere le maledizioni del cielo con delle pene dovunque si trovano! Non occorre dire che la profanazione di questo sacramento e le colpe che si commettono nel matrimonio, non sieno la causa dei grandi mali coi quali Dio ci colpisce, e noi lo riconosceremo nel giorno del giudizio! – Noi diciamo dunque che vi sono degli impedimenti che si chiamano dirimenti; ecco quelli che si incontrano il più spesso. Il primo è la parentela, detta consanguineità, fino al quarto grado inclusivamente, vo’ dire che comprende il quarto grado e non il quinto; ciò si intende agevolmente. Quando si annuncia il matrimonio, se voi pensate che colui che lo pubblica non sappia ciò che i fidanzati gli nascondono, voi siete obbligati di manifestarlo a colui che l’ha pubblicato, altrimenti commettereste un grave peccato mortale, perché ne occorrono molti che lo nascondono per quanto lo possono, per timore di domandare la dispensa e che costi loro qualche cosa. Il secondo, è l’affinità, cioè che un vedovo non può sposare i parenti della defunta sino al quarto grado, né la vedova i parenti del defunto. Il terzo è la parentela spirituale, cioè che non si può contrarre matrimonio col figlio che si è levato al fonte battesimale, né col padre, né colla madre di questo figlio. Il quarto è l’onestà pubblica, vale a dire che, quando una persona è stata fidanzata con una persona, ella non può maritarsi né colla madre, né colla figlia, né colla sorella della persona colla quale era stata fidanzata. Ecco gli impedimenti che i fedeli possono conoscere facilmente, e quando si pubblica un matrimonio che si conoscesse essere in alcuno di questi casi, si è obbligati di manifestarlo, per non commettere un peccato mortale, e si mette nel caso di essere scomunicato, cioè rimosso dal seno della Chiesa. Ne occorrono alcuni altri che sono meno comuni, alcuni che sono segreti e infamanti, come l’adulterio e l’omicidio; coloro che ne sono colpevoli devono avvertire il loro confessore. Le leggi della Chiesa che proibiscono questi matrimoni sono sapientissime, sono tutte state dettate dallo Spirito Santo. Vi è ancora il voto semplice di castità, di sei mesi, di un anno, che sono impedimenti impedienti. Tuttavolta la Chiesa concede delle dispense imponendo qualche limosina a coloro che le domandano, ma non dimenticate mai che tutte le dispense che si domandano, e nelle quali non si espongono le cose quali sono, nulla valgono. Il Santo Padre non concede che alla condizione che ciò che si espone sia vero; di guisa che se ciò che noi esponiamo non è vero, cioè se voi recate delle ragioni che non sussistono o le amplificate, le vostre dispense nulla valgono, quindi il vostro matrimonio è nullo; vale a dire che non siete maritati e che avete commesso un sacrilegio ricevendo il sacramento del matrimonio, come tutti i sacramenti che poscia ricevete. Ah! quanto è grande il numero di questi infelici, e che dormono tranquilli, mentre il demonio loro scava un inferno eterno! Voi non dovete dunque mai recare delle ragioni che non sussistono, e se i vostri pastori non le trovano di peso guardatevi dal pressarli, dicendo che voi egualmente vivrete insieme. Ah! quante persone maritate miseramente perdute. Ma, mi direte voi, in qual modo si deve passare il tempo degli sponsali? — Ecco: Questo tempo è un tempo sacro che si deve passare nel ritiro, nella preghiera e nel praticare ogni sorta di buone opere per meritare che Gesù Cristo vi conceda, come agli sposi di Cana in Galilea, la grazia di assistere alle vostre nozze per benedirvi, concedendovi i soccorsi necessari per potervi santificare. È cosa buona e spesse volte necessaria il premettere una confessione generale, sia per riparare le cattive che fossero state fatte nel corso della vita, sia per rendersi maggiormente degni di ricevere questo sacramento, perché le grazie vi sono copiose, in proporzione delle disposizioni che vi si recano. Ditemi, M. F., è codesto il modo col quale si passa un tempo così prezioso come quello degli sponsali? Ah! non prendete per modello i pagani, i quali neppur fanno tutto ciò che il più gran numero dei Cristiani dei giorni nostri si permettono! Questi infelici Cristiani non sono contenti di aver trascinato quasi tutta la loro vita o almeno una parte notevole nel delitto e nell’infamia più nera! Sembra che non siasi fatto abbastanza il primo giorno dei loro sponsali: le danze, i balli, le bettole o la carne, se è giorno di magro. Non contenti di commettere il male soli, quasi temessero di non irritare abbastanza la giusta collera di Dio sopra di essi, affinché invece di benedirli li maledica, saranno tre o cinque persone; vale a dire secondo i loro mezzi: coloro che hanno da spendere ne invitano un numero maggiore, e coloro che ne hanno meno ne invitano un numero minore; ma sempre in proporzione di quanto hanno. Ne occorrono forse che perderanno le loro anime, contrarranno dei debiti passando i tre quarti della notte, senza contare il giorno, nelle bettole, ad abbandonarsi ad ogni sorta di eccessi; una parte trascinandosi per le vie, e fors’anco la sposa. — Ma, mi direte voi, ciò non vi riguarda, non è il vostro denaro che noi spendiamo; di nulla vi siamo tenuti. — No, certamente il vostro denaro non mi riguarda, ma mi riguardano le anime vostre delle quali Dio mi ha dato l’incarico. Or bene, ecco il principio del santo ritiro dei giovani che si sono fidanzati; ecco la loro preparazione per ricevere il sacramento del matrimonio. Non è tutto; il demonio non è ancora contento. Dopo di aver trascorsi alcuni giorni nello stravizzo essi passeranno tutto il resto del tempo a correre le case per annunciare gli sponsali. In ciascuna casa, essi, commetteranno, forse, tre o quattro gravi peccati per gli abbracciamenti che fanno o che permettono. — Ma, mi direte voi, è il costume. — Ah! i vostri costumi sono quelli dei pagani; come avete seguito fino a quest’ora l’andazzo dei pagani, è necessario continuare! Non ostante quello che voi direte, ciò non impedirà che, quando comparirete al tribunale di Dio per rendervi conto della vostra sciagurata vita, tutti gli abbracciamenti che avrete dati e ricevuti in questo tempo degli sponsali, non sieno peccati e la maggior parte, peccati mortali. — Oh! io non ne credo nulla. — Voi non ne credete nulla? È perché i vostri occhi sono un po’ turbati; ma non vi inquietate, il grande giudice li illuminerà! Il tempo degli sponsali si passa in questa dissipazione o piuttosto in questa catena di peccati, senza contare di ciò che avviene tra le donne. Mio Dio, sono costoro Cristiani o pagani? Ah! io non ne so nulla; solo io so che sono delle povere anime che il demonio trascina e divora fino a che le precipiti nelle fiamme. Arriva il tempo del matrimonio, non mancano più che tre o quattro giorni; si presentano al tribunale della penitenza senza pentimento e senza neppure il desiderio di condursi meglio. La prova ne è ben chiara: essi corrono ai piaceri, alle stesse danze, agli eccessi nel mangiare e nel bere; essi fondano le famiglie abbandonandosi a tutto ciò che il demonio può loro inspirare il giorno delle loro nozze, e ancor peggio se lo possono. Essi hanno ricevuto questo gran sacramento; ah! io m’inganno, essi hanno commesso un orribile sacrilegio, e mettono il suggello alla loro riprovazione passando, forse, un giorno o due in stravizzi. – Mio Dio, qual cosa pensare di questi poveri Cristiani? Che sarà di loro? Ah! voi li avete già abbandonati, perché nulla hanno omesso per costringervi a maledirli e a riprovarli. Ma, mi direte voi, non è permesso lo stare allegri in quel giorno? — Sì, certamente, ma rallegrarsi nel Signore. Voi direte quello che vorrete, non lascerete di render conto fino dell’ultimo soldo speso inutilmente; voi potete ridervene, ma la cosa è quale ve la dico. Un giorno noi lo vedremo, badate che non sia troppo tardi per voi. — Tutto ciò è molto difficile da credere, perché se noi operassimo male, il buon Dio ci punirebbe; tuttavolta noi vediamo molti i quali si divertono e gli affari dei quali prosperano. — Tutto ciò, invece di essere un buon segno, è la più grande di tutte le sventure. Sapete voi perché il buon Dio si conduce in tal modo? È perché Egli è giusto. Egli vi ricompensa di tutto il bene che avete operato, affinché dopo la vostra morte, non abbia che a gettarvi nell’inferno. Ecco la ragione per la quale sembra che vi benedica nonostante tutti gli orrori che avete commesso nei vostri sponsali e nelle vostre nozze, senza contare che tutti i peccati che coloro che avete invitati hanno commessi saranno a voi imputati, senza che essi medesimi sieno innocenti. Ah! la morte farà scoprire dei peccati là dove molti credevano non esistessero punto. Che cosa dovrebbe fare un Cristiano per ricevere degnamente questo sacramento? Sarebbe di prepararvisi con tutto il suo cuore, d’avere premessa una buona confessione, e di aver passato santamente il giorno dei suoi sponsali; e, quello che avrebbe potuto spendere, distribuirlo ai poveri, per attrarre sopra di lui le divine benedizioni. Il giorno delle loro nozze, che si rechino di buon mattino alla chiesa per implorare il soccorso e i lumi dello Spirito Santo, ricevendo la benedizione nuziale. Che il sangue di Gesù Cristo fluisca sopra le loro anime. Il giorno nel quale si saranno impalmati lo passino nella presenza di Dio, pensando quale sciagura sarebbe se profanassero questo giorno così santo. Dopo il loro matrimonio, essi devono recarsi da un confessore per farsi istruire, per non perdersi senza saperlo, o piuttosto affinché possano condursi come veri figli di Dio. Ah! dove sono i Cristiani che si conducano in questo modo? Ah! dove sono i coniugi che saranno salvi? Quanti che andranno perduti! Di coloro che vi rechino buone disposizioni, è esiguo il numero. Che cosa inferire da ciò? Che la maggior parte dei Cristiani abbracciano il matrimonio senza domandare a Dio le grazie che sono loro necessarie, vi recano un cuore ed un’anima contaminata di mille e mille peccati, e profanano questo sacramento; ciò che è la sorgente di sventure in questo mondo e nell’altro. Avventurati i Cristiani i quali entrano in queste buone disposizioni e vi perseverano fino alla fine! È quello che io vi desidero…
ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉSET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS.
[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e
meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte
testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più
rinomati da …]
Par M. l’Abbé
J.-M. PÉRONNE,
CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.
TOME PREMIER.
PARIS
LOUIS
VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR RUE DELAMMIE, 13
1878
IMPRIM.
Soissons, le 18 août 1878.
f ODON, Evêque de Soissons et Laon.
SALMO XXV
[1] In finem. Psalmus David.
Judica me, Domine, quoniam ego
in innocentia mea ingressus sum, et in Domino sperans non infirmabor.
[2] Proba me, Domine, et tenta me; ure renes meos et cor meum.
[3] Quoniam misericordia tua ante oculos meos est, et complacui in veritate tua.
[4] Non sedi cum concilio vanitatis, et cum iniqua gerentibus non introibo.
[5] Odivi ecclesiam malignantium, et cum impiis non sedebo.
[6] Lavabo inter innocentes manus meas, et circumdabo altare tuum, Domine;
[7] ut audiam vocem laudis, et enarrem universa mirabilia tua.
[8] Domine, dilexi decorem domus tuæ, et locum habitationis gloriæ tuæ.
[9] Ne perdas cum impiis, Deus, animam meam, et cum viris sanguinum vitam meam;
[10] in quorum manibus iniquitates sunt, dextera eorum repleta est muneribus.
[11] Ego autem in innocentia mea ingressus sum; redime me, et miserere mei.
[12] Pes meus stetit in directo; in ecclesiis benedicam te, Domine.
[Vecchio Testamento secondo la Volgata
Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.
Vol. XI
Venezia, Girol.
Tasso ed. MDCCCXXXI]
SALMO XXV.
L’argomento è il medesimo del
salmo settimo: invocare Dio a testimonio della sua innocenza, e supplicarlo per
la sua liberazione.
Per la fine, salmo di David.
1. Sii tu mio giudice, o Signore, perché
io ho camminato nella mia innocenza; e sperando nel Signore, io non vacillerò.
2. Fa saggio di me, o Signore, e ponimi
alla prova; purga col fuoco i miei affetti e il mio cuore.
3. Imperocché sta dinanzi ai miei occhi la tua misericordia, e mi compiaccio della tua Verità.
4. Non mi posi a sedere nell’adunanza di
uomini vani, e non converserò con coloro che operano iniquamente.
5. Ho in odio la società dei maligni, e
non mi porrò a sedere cogli empi.
6. Laverò le mani mie tra gli innocenti,
e starò intorno al tuo altare, o Signore;
7. Affìn di udire le voci di laude e
raccontare le tue meraviglie.
8. Signore, io ho amato lo splendore
della tua casa, e il luogo dove abita la tua gloria.
9. Non sperdere, o Dio, cogli empi l’anima mia, né con gli uomini sanguinarii la vita mia.
10. Nelle mani loro sta l’iniquità: la
loro destra è ricolma di donativi.
11. Ma io ho camminato nella mia
innocenza; salvami tu, ed abbi pietà di me.
12. I miei passi furon sempre nella
diritta strada; te io benedirò, o Signore, nelle adunanze.
Sommario
analitico
Davide, esposto nel suo esilio presso
i Filistei alle calunnie di Saul e del suo seguito, che lo accusavano di alto
tradimento e di essersi rifugiato presso gli idolatri, per abbandonare il culto
del vero Dio per abbracciare il culto degli idoli, chiede a Dio di vendicarlo
da queste ingiuste accuse e di richiamarlo nella sua patria, ove potrà rendere
a Dio, nel suo tabernacolo, l’onore che Gli è dovuto. – In senso tropologico, è
la preghiera che può fare qualunque giusto che soffre ingiustamente le
persecuzioni dei malvagi. – L’uso che la Chiesa fa di questo salmo nella liturgia,
mostra che esso racchiude delle importanti istruzioni per coloro che Gesù
Cristo ha associato al suo sacerdozio.
I. – Egli si appella al
giudizio di Dio verso Saul, come re, non avendo superiori in terra, e si
appoggia:
1° su due buoni avvocati, la sua
innocenza e la sua speranza in Dio (1);
2° sul modo con il quale Dio esegue
il suo giudizio, in cui Egli prova, tenta, passa al crogiuolo i reni ed i cuori
(2);
3° sulle qualità del suo giudizio:
Egli è misericordioso, Egli è verace (3);
4° sulla bontà della sua causa, egli
non si è seduto nell’assemblea della vanità e non frequenterà coloro che
commettono l’iniquità (4,5).
II. – Egli promette a Dio la
più grande riconoscenza e si offre interamente a Dio, suo liberatore, se fa
trionfare la sua causa; egli offre il suo essere:
1° le sue mani, i suoi piedi (6);
2° le sue orecchie per ascoltare le
sue lodi, la sua bocca per lodarlo (7),
3° i suoi occhi per contemplare lo
splendore del suo tabernacolo, il suo cuore per amare la bellezza della casa di
Dio, e tutte le sue membra per riposare nel luogo ove abita Dio (8).
III. – Egli scongiura Dio di
liberarlo dalle persecuzioni di Saul (9) e ne riporta una duplice
ragione:
1° la perversità dei suoi nemici (9,
10);
2° la sua virtù che consiste in – a)
un’intenzione pura in tutte le azioni (11), – b) un grande zelo nel seguire il
retto cammino, – c) una grande riconoscenza per i benefici che ha ricevuto da
Dio (12).
Spiegazioni e Considerazioni
I. – 1-5.
ff. 1, 2. – Colui che cammina nell’innocenza e nella
semplicità di un cuore retto, si richiama volentieri a Dio, Giudice della sua
condotta, quando si vede attaccato dalle calunnie degli uomini. – La testimonianza
favorevole della coscienza, è un potente bastione contro tutti gli attacchi (Dug.).
– Se metto la mia speranza in un uomo, forse lo vedrò un giorno condurre una
via cattiva, allontanarsi dalle vie del bene che ha appreso o insegna nella
Chiesa, e seguire un cammino che lo spirito del male gli avrà insegnato, e
perché avrò messo la mia speranza in un uomo, venendo quest’uomo a cancellarsi,
la mia speranza si cancellerà con lui, e venendo a cadere quest’uomo, la mia
speranza cadrà con lui; ma poiché ho messo la mia speranza in Dio solo, io non
sarò deluso (S. Agost.). – Nulla di più proprio nel far conoscere
all’uomo il fondo del suo cuore, quando è nella prova, nella tribolazione,
nella violenza e nella persecuzione. « Bruciate i miei reni ed il mio cuore,
bruciate le mie potenze, bruciate i miei pensieri, per paura che io non pensi a
qualcosa di male. Ma come brucerete i miei reni ed il mio cuore? Con il fuoco
della tribolazione, con il fuoco della vostra carità, con il fuoco del vostro
spirito » (S. Agost.).
ff. 3. – « La vostra misericordia è davanti ai miei
occhi, etc. ». Io non ho messo le mie compiacenze in un uomo, ma in Voi, dentro
di me, ove penetrano i vostri sguardi. Io non mi inquieto se vado al di là ove
penetrano gli sguardi degli uomini (S. Agost.). – Non si appoggia
la nostra innocenza sui nostri sforzi, ma sulla misericordia divina, che deve
essere sempre presente al nostro spirito. Non c’è che la verità di Dio nella
quale noi possiamo riporre con sicurezza le nostre compiacenze; quel che si
chiama verità nel mondo è troppo soggetta all’errore e all’incostanza. –
Occorre amare la verità di Dio anche quando essa ci condanna.
ff. 4, 5. – Quattro sono i caratteri che presentano la
maggior parte di queste riunioni che la Scrittura chiama « mondo »: la vanità,
l’iniquità, la malignità, l’empietà. È una peste, un’influenza, un’atmosfera,
una pompa esteriore, una moda, un gusto, un incanto, un sistema insaziabile. Il
suo potere sull’uomo è terribile, la sua presenza universale, le sue seduzioni
incredibili. Noi viviamo in mezzo ad esso, lo respiriamo, agiamo sotto la sua
influenza, siamo ingannati dalle sue apparenze, e senza accorgercene, adottiamo
i suoi principi. – I dottori dell’iniquità danno lezioni pubbliche di
libertinaggio, ed attaccano apertamente i grandi princìpi della Religione.
Altri più sottili, tengono lezione senza dogmatizzare, non provano mai le loro
massime, ma le imprimono senza che vi si pensi. Si deve aver paura in questa
scuola, in queste riunioni, di tutto, dice Tertulliano, finanche dell’aria che
è infettata dai cattivi discorsi, dalle massime anticristiane e corrotte (De
Spect. XXVII). – Sedersi in queste assemblee di vanità, di iniquità, di
malignità, di empietà, è prender parte ai sentimenti di coloro che vi sono
seduti. Se voi non partecipate, benché presenti col corpo, voi non siete
affatto seduti con essi; se voi partecipate, benché assenti col corpo, voi
siete realmente seduti in queste assemblee. (S. Agost.). –
Bisogna quindi separarsi interamente dal mondo? « Vi è permesso, dice ancora
Tertulliano, vivere con il mondo, ma non di morire con esso. » – « Una cosa è
la vita di società, altra cosa è la corruzione e la disciplina. Allietatevi con
i vostri simili per società di natura, e potendo con quella di religione; ma
che il peccato non stabilisca legami, che la dannazione non entri nei vostri
rapporti. La natura deve essere comune ma non il crimine, la vita e non la
morte; noi dobbiamo partecipare agli stessi beni, e non associarci agli stessi
mali » (De idolatr. n. 14).
II. – 6-8.
ff. 6-8. – Tanto la compagina degli empi e dei
malvagi è piena di cose dannose, tanto quella delle persone di virtù e di pieta
è invece vantaggiosa. Niente è più potente nel portare al bene, che la
frequentazione di persone virtuose (Dug.). – Voi lavate le vostre
mani quando pensate alle vostre azioni con pietà ed innocenza sotto lo sguardo
di Dio, perché sotto lo sguardo di Dio è posto l’altare dove è venuto il
sacerdote che per primo si è offerto per noi. È l’altare del cielo; non c’è
nessuno che abbracci questo altare che non abbia lavato le mani in compagnia
degli innocenti. Quanto a questo altare visibile, ci sono molti che lo toccano,
benché indegni, e Dio soffre per un tempo che i suoi misteri ricevano questo
oltraggio (S. Agost.). – Tutte le volte che entriamo nel tempio
materiale, nell’assemblea visibile dei fedeli, figura della loro invisibile
unione con Dio nell’eternità, ci uniamo in spirito alla santa ed eterna
Gerusalemme, ove è il tempio di Dio, dove sono riuniti i Santi purificati e
glorificati che attendono pertanto nell’ultima resurrezione la loro perfetta
glorificazione, e la venuta ultimato dei loro fratelli che mancano ancora nella
loro santa società, e che Dio non cessa di radunare tutti i giorni (Bossuet,
Elév. XVIII: VII Elév.). – Volete ornare qualcosa che sia degna delle
vostre cure, ornate il tempio di Dio e dite con Davide: « Signore, io ho amato
la bellezza e il decoro della vostra casa, e la gloria del luogo ove Voi
abitate ». E come conclude? « Non perdete la vostra anima con gli empi »,
perché io ho amato i veri ornamenti e non mi sono lasciato sedurre da un vano
splendore (Bossuet, Trait. de la Conc.). – Il fine di intendere i
canti di lode, è il comprenderli: si tratta in effetti di intendere davanti a
Dio, e non udire solo dei suoni che molti sentono e pochi comprendono. Quanti
ci sono che ascoltano e sono sordi nei riguardi di Dio? Quanti hanno orecchie,
ma non quelle di cui Gesù ha detto. « Chi ha orecchie per intendere, intenda »?
(S. Agost.). – Ma cosa ci si deve proporre venendo in Chiesa: ascoltare
e cantare le lodi di Dio; comprendere la parola di Dio, metterla in pratica e
raccontare a se stessi le meraviglie di Dio (Dug.). – Il mondo
canta le gioie del mondo, e noi cosa cantiamo dopo aver ricevuto il Dono
celeste, se non le gioie eterne? Il mondo canta i suoi folli e criminali amori,
e noi cosa cantiamo, se non ciò che amiamo? (Bossuet, Médit. LXV journ.).
– La Chiesa è la casa di Dio, essa annovera ancora dei malvagi, ma la bellezza
della casa di Dio è nei buoni, è nei santi; è la bellezza stessa della casa di
Dio che io ho amato! Per sospirare poi la bellezza della vera casa di Dio, che
è il cielo. Si ama attendendo allo splendore ed al bagliore delle case della
terra, che sono le nostre Chiese, contribuendo con la propria persona o i
propri beni a preparare gli altari, a decorare i luoghi santi (Dog.).
– Quando si è donato a Dio tutta la propria anima con il bene, perché Egli
l’accresca, ed il male perché lo distrugga, non è ancor troppo offrire ai
templi, ove Egli si degna abitare realmente con noi fino alla consumazione dei
secoli, e alla rappresentazioni materiali che noi ci facciamo di Lui e dei suoi
Santi, tutto ciò che il genio delle arti può nobiliare, e tutto ciò che il seno
inesauribile della terra produce di più raro e prezioso (L. Veuvill. Rome
e Lor. I, 276.).
III. – 9-12.
ff. 9-12. – Il rapporto con gli empi è così pericoloso che
anche senza partecipare alle loro empietà, ci si può trovare coinvolti nei
castighi che Dio commina loro (Dug.). – È ugual crimine l’offrire o il ricevere dei
regali per invogliare a commettere ingiustizie. – I regali non sono solo l’oro
o l’argento o cose simili, ma anche mediante una lode si riceve un presente, e
in quest’ultimo caso, il più vano di tutti; perché si è tesa la mano per
ricevere l’attestato di una lingua estranea, e si è persa l’attestato della
propria coscienza (S. Agost.). – Si può intendere l’innocenza in
due maniere diverse. Noi diamo il nome di innocenza a questo allontanamento da
ogni peccato che si fa con un atto razionale, con una vigilanza perseverante,
con una meditazione profonda delle verità cristiane, che tagliano il vizio alla
sua radice. Noi chiamiamo così innocente, lo stato di un’anima che non ha fatto
ancora l’esperienza del male: felice stato che è privilegio dell’infanzia o
delle cure più vigilanti. Così, per esempio, un bambino non conosce l’orgoglio,
è estraneo ad ogni astuzia, ad ogni artificio. Ugualmente avviene per gli
abitanti della campagna che, nella loro semplicità, ignorano le astuzie delle
pratiche delle città e le frodi del negozio. Noi li chiamiamo innocenti, non
perché si sono allontanati dal male con un atto di lor buona volontà, ma perché
essi non hanno ancora né la conoscenza né l’esperienza del male. L’innocenza
propriamente detta è quella che Davide protesta a Dio in questo salmo: « Quanto
me, io ho camminato nell’innocenza » perché aveva allontanato dalla sua anima
ogni peccato con una lunga pratica di virtù alla quale Dio promette in eredità la
beatitudine (Ps. LXXXIII, 13): « Dio non priverà di beni coloro che
camminano nell’innocenza » (S. Basilio, Hom. in Pr. Prov.). –
Camminare nell’innocenza è un effetto grandissimo della Redenzione, ed una
grazia della quale dobbiamo essere riconoscenti al Salvatore, più che
dell’essere stati allontanati dal peccato. – Tutte le volte che ci siamo liberati
da qualche afflizione, possiamo dare a questa grazia il nome di redenzione,
perché l’abbiamo ottenuta, in effetti, a prezzo del sangue di Gesù Cristo,
nostro Redentore. – Il piede della ragione si è tenuto nella via retta della
verità senza deviare verso l’errore; il piede dell’affezione si è tenuto nella
via retta della carità senza cadere nella vanità; il piede dell’azione si è
tenuto nelle via retta della giustizia, senza deviare nelle vie dell’iniquità (Hug.).
– Davide qui non fa menzione che di un solo piede, perché colui che ha spento
nel suo cuore ogni desiderio dei godimenti del secolo, tiene già sospeso dalla
terra il piede che poggiava quando amava ancora il mondo (S. Greg.). – Quale soggetto
serio di riflessione per un Sacerdote che recita ogni giorno i sette ultimi
versetti di questo salmo, durante il santo Sacrificio! Quale non debba essere
l’innocenza di colui che sale tutti i giorni all’altare del Signore! Quale zelo
non debba egli avere per la casa di Dio, quale non debba essere il suo
allontanarsi dalla condotta dei peccatori! Quanto deve vegliare su se stesso
per perseverare, con la grazia di Dio, nella giustizia; quanto deve temere di
essere coinvolto nella sventura che minaccia gli empi!