UN’ENCICLICA AL GIORNO TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO: S.S. LEONE XIII – “QUOD VOTIS”

Brevissima è questa lettera di approvazione dell’istituzione di una Università cattolica nell’Impero austriaco. Ma è evidente la soddisfazione del Pontefice Romano, Vicario di Cristo a capo della sua Chiesa, soddisfazione perchè sempre il suo desiderio di scuole cattoliche ha animato tutto il suo Pontificato a testimonianza dell’importanza che egli attribuiva in particolare all’insegnamento dei principii e della dottrina cattolica in particolare, come è ovvio, per gli aspiranti Sacerdoti. Di parere simile sono sempre stati anche i nemici della Chiesa e di Dio, ma in senso opposto. Seminare falsità, empie dottrine e mistificazioni filosofiche o teologiche è stata l’arma di cui si sono serviti per distruggere nella gioventù e nella civiltà umana il Cristianesimo, adducendo il principio della educazione laica e dell’insegnamento scolastico di stato, senza fare mai riferimento a valori che non siano liberisti, “democratici”, bensì tenacemente atei o contaminati da ogni vizio via via sempre più turpe e vergognoso, cominciando dagli insegnanti ignoranti (quelli del 18 politico agli esami  degli anni 70) ed asserviti alle logiche delle “conventicole” che hanno preso il sopravvento in ogni ambito, compreso quello clericale, o meglio, “finto clericale”. Questa lotta culturale fu combattuta con grande energia dai Pontefici degli ultimi secoli che vedevano sfuggire gran parte dei popoli dalla retta e tradizionale sapienza illuminata dalla fede divina, verso una deriva anticristiana ed infine francamente demoniaca. Oggi è palese il vero intento di questa apparente filantropia culturale gratuita dello Stato che ci ha portato alla totale anarchia in ogni ambito, dalla letteratura, alla filosofia, all’arte, alla scienza della morte e perfino alla scienza medica profana ed atea e per questo incapace di comprendere ogni male ed ogni stato patologico, attribuiti a fattori esclusivamente materiali e, per mascherare l’evidente ignoranza, dichiarati sconosciuti o “invisibili”, fattori che scaturiscono ovviamente dalle condizioni deplorevoli dell’anima.

QUOD VOTIS

ENCICLICA DI PAPA LEO XIII

SULLA PROPOSTA DI UNIVERSITÀ CATTOLICA

Ai nostri amati figli Antonio Giuseppe Cardinale Gruscha, Arcivescovo di Vienna, Giorgio Cardinale Kopp, Vescovo di Breslavia, Leone Cardinale De Skrbensky, Arcivescovo di Praga, Giovanni Cardinale Puzyna, Vescovo di Cracovia, e agli altri Venerabili Fratelli Arcivescovi e Vescovi d’Austria.

Amati Figli e Venerabili Fratelli, saluto e benedizione apostolica.

Con grande gioia annunciate ora che l’oggetto dei desideri dei vostri predecessori, a cui si è lavorato per molti anni, sta accelerando verso la sua felice conclusione. Infatti, tutto ciò che è necessario per la fondazione di un’Università Cattolica è quasi a portata di mano; è il vostro consenso che permette di dare gli ultimi ritocchi alla creazione di questa grande Istituzione di apprendimento. Abbiamo dovuto attendere più a lungo di quanto avremmo sperato, ma il suo completamento è giunto al momento giusto ed opportuno. Di conseguenza, diamo liberamente e con piena approvazione il nostro assenso ai vostri progetti, che di per sé sono lodevoli. Desideriamo sottolineare esplicitamente per iscritto la nostra grande gioia per questa notizia, dal momento che incoraggiamo la creazione e l’ampliamento delle scuole sacre ovunque. Inoltre, lo dichiariamo anche per incentivare i vostri fedeli ad affrettare la conclusione di una così grande impresa. Per quanto riguarda i dettagli, ve li confidiamo; non dubitiamo della generosità e dell’approvazione di coloro a vantaggio dei quali nascerà la desiderata Università. Non appena i dettagli relativi a questa istituzione saranno pronti, la Sacra Congregazione degli Studi dovrà comunicarceli: il suo compito, infatti, è quello di informarci su questi affari e di usare il suo potere di fissare le norme per le istituzioni cattoliche di apprendimento secondo le norme dei Sacri Canoni.

2. Nel frattempo testimoniamo a ciascuno di voi i Nostri felici e benevoli sentimenti, e imploriamo il favore divino sull’opera intrapresa, e impartiamo a tutti voi la benedizione apostolica.

Dato a Roma, presso San Pietro, il 30 aprile 1902, nel 25° anno del Nostro Pontificato.

DOMENICA VI DOPO PENTECOSTE (2023)

DOMENICA VI DOPO PENTECOSTE (2023)

Semidoppio. – Paramenti verdi.

Un solo pensiero domina tutta la liturgia di questo giorno: bisogna distruggere in noi il peccato con profondo pentimento e chiedere a Dio di darci la forza per non ricadervi. Il Battesimo ci ha fatto morire al peccato e l’Eucarestia ci dà la forza divina necessaria per perseverare nel cammino della virtù. La Chiesa, ancora tutta compenetrata del ricordo di questi due Sacramenti che ha conferito a Pasqua e a Pentecoste, ama parlarne anche « nel Tempo dopo Pentecoste ». – Le lezioni del 7° Notturno, quali si leggono nel Breviario, raccontano, sotto la forma di apologo, la gravità della colpa commessa da David. Per quanto pio egli fosse, questo grande Re aveva lasciato entrare il peccato nel suo cuore. Volendo sposare una giovane donna di grande bellezza, di nome Bethsabea, aveva ordinato di mandare il marito di lei Uria, nel più forte del combattimento contro gli Ammoniti, affinché restasse ucciso. Così, sbarazzatosi in questo modo di lui, sposò Bethsabea che da lui già aveva concepito un figlio. Il Signore mandò il profeta Nathan a dirgli: « Vi erano due uomini nella città, uno ricco e l’altro povero. Il ricco aveva pecore e buoi in gran numero, il povero non aveva assolutamente nulla fuori di una piccola pecorella, che aveva acquistata e allevata, e che era cresciuta presso di lui insieme con i suoi figli, mangiando il suo pane, bevendo alla sua coppa e dormendo sul suo seno: essa era per lui come una figlia. Ma essendo venuto un forestiero dal ricco, questi, non volendo sacrificare nemmeno una pecora del suo gregge per imbandire un banchetto al suo ospite, rapì la pecora del povero e la fece servire a tavola ». David sdegnatosi, esclamò: « Come è vero che il Signore è vivo, questo uomo merita la morte ». Allora Nathan disse: « Quest’uomo sei tu, poiché hai preso la moglie di Uria per farla tua sposa, mentre potevi sceglierti una sposa fra le giovani figlie d’Israele. Pertanto, dice il Signore, Io susciterò dalla tua stessa famiglia (Assalonne) una disgrazia contro di te ». David, allora, pentitosi, disse: Nathan: « Ho peccato contro il Signore ». Nathan riprese: « Poiché sei pentito il Signore ti perdona; tu non morrai. Ma ecco il castigo: il figlio che ti è nato, morrà ». Qualche tempo dopo infatti il fanciullo morì. E David umiliato e pentito andò a prostrarsi nella casa del Signore e cantò cantici di penitenza (Com.). « David, questo re cosi grande e potente, dice S. Ambrogio, non può mantenere in sé neppure per breve tempo il peccato che pesa sulla sua coscienza: ma con una pronta confessione, e con immenso rimorso, confessa il suo peccato al Signore. Così il Signore, dinanzi a tanto dolore, gli perdonò. Invece gli uomini, quando i Sacerdoti hanno occasione di rimproverarli, aggravano il loro peccato cercando di negarlo o di scusarlo; e commettono una colpa più grave, proprio là dove avrebbero dovuto rialzarsi. Ma i Santi del Signore, che ardono dal desiderio di continuare il santo combattimento e di terminare santamente la vita, se per caso peccano, più per la fragilità della carne che per deliberazione di peccato, si rialzano più ardenti alla corsa e, stimolati dalla vergogna della caduta, la riparano coi più rudi combattimenti; cosicché la loro caduta invece d’essere stata causa di ritardo non ha fatto altro che spronarli e farli avanzare più celermente» (2° Nott.). Da ciò si comprende la scelta dell’Epistola nella quale S. Paolo parla della nostra morte al peccato. Nel Battesimo siamo stati seppelliti con Cristo, la nostra vecchia umanità è stata crocifissa con Lui perché noi morissimo al peccato. E come Gesù dopo la Risurrezione è uscito dalla tomba, così noi dobbiamo camminare per una nuova via, vivere per Dio in Gesù Cristo (Ep.). E qualora avessimo la disgrazia di ricadere nel peccato, bisogna domandare a Dio la grazia di esserci propizio e di liberarcene (V. dell’Intr., Oraz., All., Secr.), ridonandoci la grazia dello Spirito Santo, poiché da Lui parte ogni dono perfetto (Oraz.). Poi bisogna accostarci all’altare (Com.) per ricevervi l’Eucaristia la cui virtù divina ci fortificherà contro i nostri nemici (Postcom.) e ci manterrà nel fervore della pietà (Oraz.), poiché il Signore è la forza del suo popolo che lo condurrà per sempre (Intr.). Per questo la Chiesa ha scelto per Vangelo la narrazione della moltiplicazione dei pani, figura dell’Eucaristia, che è il nostro viatico. La Comunione, identificandosi con la vittima del Calvario, non solamente perfeziona in noi gli effetti del Battesimo, facendoci morire con Gesù al peccato, ma ci fa trovare a santo banchetto la forza che ci è necessaria per non ricadere nel peccato e per « consolidare i nostri passi nei sentieri del Signore » (Offert.). E in questo senso S. Ambrogio, commenta questo Vangelo. Cristo disse: « Io non voglio rimandarli digiuni per paura che essi muoiano per via. Il Signore pieno di bontà sostiene le forze; se qualcuno soccomberà non sarà per causa del Signore Gesù, ma per causa di se stesso. Il Signore pone in noi elementi fortificanti; il suo alimento è la forza, il suo alimento è il vigore. Così, se per vostra negligenza, avete voi perduta la forza che avete ricevuta, non dovete incolpare gli alimenti celesti che non mancano, ma voi stessi. Infatti Elia, quando stava per soccombere, non camminò per quaranta giorni ancora, avendo ricevuto il cibo da un Angelo? Se voi avete conservato il cibo ricevuto, camminerete per quarant’anni e uscirete dalla terra d’Egitto per giungere alla terra immensa che Dio ha promesso ai nostri Padri.

Incipit

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Adjutórium nostrum in nómine Dómini.
R. Qui fecit cælum et terram.
Confíteor Deo omnipoténti, beátæ Maríæ semper Vírgini, beáto Michaéli Archángelo, beáto Joánni Baptístæ, sanctis Apóstolis Petro et Paulo, ómnibus Sanctis, et vobis, fratres: quia peccávi nimis cogitatióne, verbo et ópere: mea culpa, mea culpa, mea máxima culpa. Ideo precor beátam Maríam semper Vírginem, beátum Michaélem Archángelum, beátum Joánnem Baptístam, sanctos Apóstolos Petrum et Paulum, omnes Sanctos, et vos, fratres, oráre pro me ad Dóminum, Deum nostrum.
S. Misereátur nostri omnípotens Deus, et, dimíssis peccátis nostris, perdúcat nos ad vitam ætérnam.
R. Amen.
S. Indulgéntiam, absolutiónem et remissiónem peccatórum nostrórum tríbuat nobis omnípotens et miséricors Dóminus.
R. Amen.

V. Deus, tu convérsus vivificábis nos.
R. Et plebs tua lætábitur in te.
V. Osténde nobis, Dómine, misericórdiam tuam.
R. Et salutáre tuum da nobis.
V. Dómine, exáudi oratiónem meam.
R. Et clamor meus ad te véniat.
V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.

Introitus

Ps XXVII: 8-9 Dóminus fortitudo plebis suæ, et protéctor salutárium Christi sui est: salvum fac pópulum tuum, Dómine, et benedic hereditáti tuæ, et rege eos usque in sæculum.

[Il Signore è la forza del suo popolo, e presidio salutare per il suo Unto: salva, o Signore, il tuo popolo, e benedici i tuoi figli, e governali fino alla fine dei secoli.]

Ps XXVII: 1 Ad te, Dómine, clamábo, Deus meus, ne síleas a me: ne quando táceas a me, et assimilábor descendéntibus in lacum.

[O Signore, Te invoco, o mio Dio: non startene muto con me, perché col tuo silenzio io non assomigli a coloro che discendono nella tomba.]

Dóminus fortitudo plebis suæ, et protéctor salutárium Christi sui est: salvum fac pópulum tuum, Dómine, et benedic hereditáti tuæ, et rege eos usque in sæculum.

[Il Signore è la forza del suo popolo, e presidio salutare per il suo Unto: salva, o Signore, il tuo popolo, e benedici i tuoi figli, e govérnali fino alla fine dei secoli.]

Kyrie

S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Christe, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.

Gloria

Glória in excélsis Deo. Et in terra pax homínibus bonæ voluntátis. Laudámus te. Benedícimus te. Adorámus te. Glorificámus te. Grátias ágimus tibi propter magnam glóriam tuam. Dómine Deus, Rex cæléstis, Deus Pater omnípotens. Dómine Fili unigénite, Jesu Christe. Dómine Deus, Agnus Dei, Fílius Patris. Qui tollis peccáta mundi, miserére nobis. Qui tollis peccáta mundi, súscipe deprecatiónem nostram. Qui sedes ad déxteram Patris, miserére nobis. Quóniam tu solus Sanctus. Tu solus Dóminus. Tu solus Altíssimus, Jesu Christe. Cum Sancto Spíritu ✠ in glória Dei Patris. Amen.

Oratio

Orémus.

Deus virtútum, cujus est totum quod est óptimum: ínsere pectóribus nostris amórem tui nóminis, et præsta in nobis religiónis augméntum; ut, quæ sunt bona, nútrias, ac pietátis stúdio, quæ sunt nutríta, custódias.

[O Dio onnipotente, cui appartiene tutto quanto è ottimo: infondi nei nostri cuori l’amore del tuo nome, e accresci in noi la virtú della religione; affinché quanto di buono è in noi Tu lo nutra e, con la pratica della pietà, conservi quanto hai nutrito.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Romános. Rom. VI: 3-11

“Fratres: Quicúmque baptizáti sumus in Christo Jesu, in morte ipsíus baptizáti sumus. Consepúlti enim sumus cum illo per baptísmum in mortem: ut, quómodo Christus surréxit a mórtuis per glóriam Patris, ita et nos in novitáte vitæ ambulémus. Si enim complantáti facti sumus similitúdini mortis ejus: simul et resurrectiónis érimus. Hoc sciéntes, quia vetus homo noster simul crucifíxus est: ut destruátur corpus peccáti, et ultra non serviámus peccáto. Qui enim mórtuus est, justificátus est a peccáto. Si autem mórtui sumus cum Christo: crédimus, quia simul étiam vivémus cum Christo: sciéntes, quod Christus resurgens ex mórtuis, jam non móritur, mors illi ultra non dominábitur. Quod enim mórtuus est peccáto, mórtuus est semel: quod autem vivit, vivit Deo. Ita et vos existimáte, vos mórtuos quidem esse peccáto, vivéntes autem Deo, in Christo Jesu, Dómino nostro”.

[“Fratelli, quanti siamo stati battezzati in Gesù Cristo, siamo stati battezzati nella morte di Lui. Per il Battesimo siamo stati, dunque, sepolti con Lui nella morte; affinché a quel modo che Gesù Cristo risuscitò dalla morte, mediante la gloria del Padre, così, anche noi viviamo una nuova vita. Infatti, se siamo stati innestati a Lui per la somiglianza della sua morte, lo saremo anche per quella della Resurrezione; ben sapendo che il nostro vecchio uomo è stato crocifisso in Lui, affinché il corpo del peccato fosse distrutto, sicché non serviamo più al peccato. Ora, se siamo morti con Cristo crediamo che vivremo pure con Cristo; perché sappiamo che Cristo risuscitato da morte non muore più: la morte non ha più dominio su di Lui. La sua morte fu una morte al peccato una volta per sempre; e la sua vita la vive a Dio. Alla stessa guisa, anche voi consideratevi morti al peccato e viventi a Dio in Cristo Gesù Signor nostro”.]

NOVITÀ MONDANA E NOVITA’ CRISTIANA.

La novità è una delle sollecitudini, potremmo anche dire delle manie del giorno. Dalla donna vana, che cerca la novità della moda, al letterato ambizioso che cerca la novità dell’arte, all’uomo grave che vuole la novità in politica, novità si vuole su tutta la linea. Povere cose vecchie! e come siete screditate oggi! e come diventate vecchie e spregevoli rapidamente! Il Cristianesimo ha l’aria di non assecondare troppo questi fremiti di novità, queste ansie per la novità, il Cristianesimo colla santa immutabilità dei suoi dogmi, il Cristianesimo con la forza delle sue vetuste tradizioni. Qualcuno lo dipinge volentieri per metterlo alla berlina, tutto volto al passato, imbalsamatore di cadaveri. E certo il Cristianesimo non folleggia, come il mondo irrequieto, dietro la novità e le novità. Il mondo ha la mania di correre, muoversi, agitarsi, come un epilettoide: il mondo… il Cristianesimo, pacato senza essere ozioso, ha la preoccupazione ben più sacra di arrivare. Il suo ideale non è il nuovo, è il vero, è il bene. Diversità di temperamenti e di orientazioni. Ma nella epistola di quest’oggi ai Romani troviamo una frase che mostra la unilateralità di quella rappresentazione arcaica, la cui mercè altri vorrebbe far onta al Cristianesimo. « Camminiamo (dice San Paolo ai primi Cristiani) nella novità della vita… morti a ciò che c’è in noi di vecchio e di stantio…» La parola di San Paolo ci riporta per incanto ai giorni in cui il Vangelo apparve e fu una grande novità nel mondo… Novità assoluta, profonda di fronte al mondo pagano, novità, non allo stesso modo e nello stesso senso, ma novità anche di fronte al mondo giudaico. Aria nuova che irrompe in un ambiente chiuso parve il Vangelo ai Giudei, aria nuova in un ambiente chiuso, mefitico, così parve ai pagani il Vangelo. Novità la stessa unità di Dio, nonché è molto più il mistero della Trinità, mistero l’amore della Incarnazione, Redenzione, cose non mai più udite, cose contrarie a quelle che si erano udite fino allora. – E nuovi sentieri tracciava questa novità ideale alla vita della umanità. L’umanità operosa da secoli, colla sua operosità, aveva scavato false strade simili a quelle carreggiate che nel fango della strada mal fatta scavano i veicoli. Erano ormai antichi quei sentieri, infossati. Si chiamavano i sentieri dell’orgoglio, della voluttà, dell’egoismo: roba consolidata dal tempo, staremmo per dire dal tempo consacrata. C’era un tipo d’uomo fatto così, orgoglioso, sensuale, egoista, violento. Il Cristianesimo è venuto a scancellare, a disfare, a seppellire questo tipo in nome ed a vantaggio d’un altro tipo, altro in tutto e per tutto altro, diverso e perciò nuovo. E nuovo perché fresco, perché vivo davvero. Questa vita d’orgoglio, di sensualità, d’egoismo, era una parvenza di vita, una illusione: febbre più che vita vera e propria. Il febbricitante non s’accorge sempre della sua febbre, non se ne accorge subito: ma a poco a poco sì: l’organismo si strugge; si fiacca. Nostro Signore Gesù è venuto ad uccidere e vivificare; uccidere quella vecchia infelicissima incrostazione di cattive consuetudini ch’era la umanità, e far vivere su quelle rovine, di quelle rovine una umanità nuova… nuova di zecca, e nuova per sempre. Noi siamo, noi dobbiamo essere questa umanità, perennemente viva e fresca, perché perennemente buona, vittoriosa del male e sul male. Il Battesimo fa questa morte e questa vita nuova, ma dal battesimo in poi noi non dobbiamo invecchiare, tornando indietro, ringiovanire dobbiamo, andando avanti, andando in su « in novitate vite ambulemus ». E la nostra novità è la nostra giovinezza perenne.

[P. G. Semeria: Le epistole delle Domeniche, Op. naz. Per il mezzogiorno d’Italia, Milano, 1939. – Nihil obstat sac. P. De Ambroggi – Imprim. P. Castiglioni vic. Gen. Curia Ar.Mediolani, 1-3-1938]

Graduale

Ps LXXXIX: 13; LXXXIX: 1 Convértere, Dómine, aliquántulum, et deprecáre super servos tuos.

V. Dómine, refúgium factus es nobis, a generatióne et progénie. Allelúja, allelúja.

[Vòlgiti un po’ a noi, o Signore, e plàcati con i tuoi servi.

V. Signore, Tu sei il nostro rifugio, di generazione in generazione. Allelúia, allelúia]

Alleluja

Ps XXX: 2-3 In te, Dómine, sperávi, non confúndar in ætérnum: in justítia tua líbera me et éripe me: inclína ad me aurem tuam, accélera, ut erípias me. Allelúja.

[Te, o Signore, ho sperato, ch’io non sia confuso in eterno: nella tua giustizia líberami e allontanami dal male: porgi a me il tuo orecchio, affrettati a liberarmi. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia ✠ sancti Evangélii secúndum Marcum.

Marc. VIII: 1-9 In illo témpore: Cum turba multa esset cum Jesu, nec haberent, quod manducárent, convocatis discípulis, ait illis: Miséreor super turbam: quia ecce jam tríduo sústinent me, nec habent quod mandúcent: et si dimísero eos jejúnos in domum suam, defícient in via: quidam enim ex eis de longe venérunt. Et respondérunt ei discípuli sui: Unde illos quis póterit hic saturáre pánibus in solitúdine? Et interrogávit eos: Quot panes habétis? Qui dixérunt: Septem. Et præcépit turbæ discúmbere super terram. Et accípiens septem panes, grátias agens fregit, et dabat discípulis suis, ut appónerent, et apposuérunt turbæ. Et habébant piscículos paucos: et ipsos benedíxit, et jussit appóni. Et manducavérunt, et saturáti sunt, et sustulérunt quod superáverat de fragméntis, septem sportas. Erant autem qui manducáverant, quasi quatuor mília: et dimísit eos.

(In quel tempo: Radunatasi molta folla attorno a Gesú, e non avendo da mangiare, egli, chiamati i discepoli, disse loro: Ho compassione di costoro, perché già da tre giorni sono con me e non hanno da mangiare; e se li rimanderò alle loro case digiuni, cadranno lungo la via, perché alcuni di essi sono venuti da lontano. E gli risposero i suoi discepoli: Come potremo saziarli di pane in questo deserto? E chiese loro: Quanti pani avete? E risposero: Sette. E comandò alla folla di sedersi a terra. E presi i sette pani, rese grazie e li spezzò e li diede ai suoi discepoli per distribuirli, ed essi li distribuirono alla folla. Ed avevano alcuni pesciolini, e benedisse anche quelli e comandò di distribuirli. E mangiarono, e si saziarono, e con i resti riempirono sette ceste. Ora, quelli che avevano mangiato erano circa quattro mila: e li congedò).

Omelia

G. Colombo: Pensieri sui Vangeli e sulle feste del Signore e dei Santi; VI ediz. – Soc. Ed. Vita e pensiero.- Milano 1956).

LA PROVVIDENZA.

Si studiassero i miracoli di Cristo! Ognuno vi sentirebbe la voce di Dio — dice S. Agostino, — ognuno vi troverebbe un profondo insegnamento per la sua anima. Interrogamus ipsa miracula Christi; habent enim, si intelligantur, linguam suam. Quand’è così, rivolgiamo la nostra attenzione al miracolo che oggi il Vangelo ci ricorda, e raccogliamo la voce e l’insegnamento del Signore, in esso racchiuso. Gesù si trovò circondato da moltitudine grande, che per tre giorni lo seguì bramosa d’udire ogni parola che dicesse, di vedere ogni gesto che facesse. Allora il Signore disse ai discepoli raccolti vicino a Lui: « Sentite: io ho compassione di questo popolo che da tre giorni si trattiene con me, ed ora non ha più da mangiare. Con che cuore posso io rimandarli a casa digiuni, se molti venuti da lontano cadranno sfiniti lungo la strada del ritorno?… ».— « Maestro! — obiettarono i discepoli tristemente. — Siamo nel deserto e son quattro mila bocche… ».Ma Dio non udiva nemmeno questi dubbi umani e piccini. « Ditemi: avete con voi qualcosa? ».« Sette pani e scarsi pesciolini di companatico ». Oh Cristiani, com’è buono il Signore; non ha sopportato nemmeno che stessero in piedi; e come li vide comodamente seduti all’ombra e sulla fresca erbetta, diede a ciascuno pane e pesce a sazietà. A colazione finita, si raccolsero nientemeno chesette ceste di roba avanzata. Ed ora, secondo il consiglio di S. Agostino, interroghiamo il miracolo di Cristo per sentire che insegnamento ci dà. Migliaia d’uomini che per seguire Gesù abbandonano le loro case, senza pensare al vitto e alle altre mondane faccende; un Dio che, mosso a compassione di loro, provvede miracolosamente, sovrabbondantemente alla loro fame: tutto ciò non ci predica ad alta voce che la Provvidenza c’è e che nostro indispensabile obbligo è di confidare in Lei?

1. LA PROVVIDENZA C’È.

Troverete moltissimi Cristiani che, fino a quando tutto va bene, se la spassano allegramente: e non riflettono che ogni loro fortuna è dono della Provvidenza. Perciò non un pensiero mai di gratitudine per il Signore, non uno sforzo di corrispondenza a tante grazie, non un’offerta… Ma lasciate che la miseria bussi alla porte della loro casa; che la disoccupazione inaridisca le fonti d’entrata; che la malattia li costringa in un letto di sofferenze per settimane lunghe, che la morte strappi a loro dintorno qualche persona cara, allora si ricorderanno tosto della Provvidenza, ma per mormorare contro di essa, ma per calunniarla, ma per bestemmiarla, ma per negarla. « La Provvidenza perché non m’aiuta? che cosa ho fatto di male da meritarmi queste tribolazioni? son io solo peccatore su questa terra? O la Provvidenza è ingiusta o non c’è… ». La Provvidenza non c’è!? credono che uno Stato non si possa ben governare senza la saviezza e il consiglio di uno che lo diriga; credono che una casa non possa mantenersi senza la vigilanza ed economia d’un padre di famiglia; credono che una nave non possa navigare l’oceano senza l’attenzione e la perizia del pilota; eppure affermano che il mondo — questo grande stato, questa grande famiglia, questa nave immensa che solca gli spazi — possa andare avanti così, senza Provvidenza alcuna. Ma non è a codesta gente illogica e senza coerenza, che noi andiamo a chiedere se la Provvidenza esista. Ben altri ce ne fanno testimonianza sicura e autorevole. È Giobbe, privato di terra e di casa, senza più danaro né figli, senza nemmeno la salute e l’onore, che a Sofar, uno dei tre amici venuti a trovarlo, così afferma la Provvidenza: interroga le bestie e ti ammaestreranno, gli uccelli dei cieli e te lo mostreranno; parlane alla terra, ed essa ti risponderà e te lo spiegheranno i pesci del mare. Chi non sa che tutte queste cose le ha fatte la mano del Signore? Egli nel cui potere è l’anima d’ogni vivente e lo spirito d’ogni uomo formato di carne. (Giobbe, XII, 7-10). E il santo re Davide che, raccogliendo il suo popolo, diceva: «Son vecchio ormai, e dalla mia giovinezza ne sono passati degli anni!… eppure vi garantisco che un uomo giusto non lo vidi mai abbandonato, né vidi mai un suo figliuolo mendicare un tozzo di pane » (Salmi, XXXVI, 25). L’amabilissimo Gesù riprese l’invito di Giobbe e interrogò le bestie della terra e gli uccelli dell’aria. « Non v’angustiate per il vostro vivere: di quel che mangerete. Né per il vostro corpo: di quel che vestirete. Guardate gli uccelli dell’aria che non seminano, né mietono, né colmano granai, eppure il Padre celeste li nutre. Pensate i gigli come crescono, eppure né lavorano, né filano: or vi dico che nemmeno Salomone, in tutta la sua splendidezza, fu vestito mai come uno di essi… « Considerate i corvi che non hanno campi né granai, e di fame non muoiono, poiché Dio li mantiene… « Del resto cinque passerette non si possono comprare sul mercato con un solo quattrino? eppure neanche una di essa è dimenticata da Dio. Non temete dunque! voi costate assai più d’infiniti passeri… « Ma io vi dico che tanta e tale è la cura della Provvidenza per voi, che i vostri capelli sono contati fino all’ultimo, e non uno vi sarà tolto dal capo senza che Dio lo sappia… ». Dio!… Nessuno ha potuto mai dubitare della sua potenza e della sua sapienza. Ma Gesù ci ha svelato che Egli è misericordiosissimo, Gesù ha voluto che noi levassimo gli occhi e le mani a Lui e lo chiamassimo: — Padre! Padre nostro che sei in cielo…. Si può ancora essere increduli della Provvidenza, se Dio è nostro Padre? C’è un padre che a suo figlio dà uno scorpione, se gli domanda un pesce? a sua figlia dà un sasso, se gli domanda un pezzo di pane? Dunque la Provvidenza c’è. – 2. AFFIDIAMOCI A LEI. Una volta che Santa Caterina era assai tribolata, Gesù le apparì e disse: « Tu pensa a me! Io, sollecito d’ogni tuo cruccio, penserò a te ». Ecco il segreto per metterci nelle mani della Provvidenza. Quando le croci, le disgrazie, le persecuzioni ci fanno pressura d’ogni parte, dimentichiamole per un momento e mettiamoci a pensare seriamente al Signore; a pregarlo, ad onorarlo con opere buone, ad ubbidirlo nelle sue leggi, ed Egli, che tutto può, comincerà a pensare alle nostre croci, alle disgrazie nostre, alle persecuzioni che ci tormentano. Guardate i quattromila Giudei che seguirono il Maestro nel deserto: quando si accorsero d’aver fame e di non aver pane e di essere lontani d’ogni panettiere, forse che incominciarono a temere di morir affamati, e fuggirsene indietro, a bestemmiare contro il Figlio di Dio che li aveva ingannati? No: essi pensarono solo ad ascoltare la parola di Gesù, a imparare i suoi esempi; così furono provveduti di tutto e ne sopravanzò. Se Dio è con noi, chi potrà essere contro di noi? non la fame, non la miseria, non la malattia, non la calunnia, non la morte. Ricordate del resto che alla Provvidenza sapientissima è bastato un filo di ragno per difendere un santo da frotte di omini con lancia e spada. Uditelo l’esempio di S. Felice di Nola, di cui vi gioverà, nei momenti di sfiducia, il ricordarvi! Già da tempo era cercato a morte, ed egli costretto a fuggire da un luogo all’altro, era giunto a ripararsi in un nascondiglio tra le muraglie sfasciate. Era appena entrato che sopraggiunsero i nemici; ma intanto un ragno s’era calato da una crepa e distendeva i primi fili attraverso l’ingresso del rifugio di S. Felice. « Qui è impossibile sia entrato! — esclamarono. — Non vedete come sono intatti i fili del ragno? », E passarono via. E Felice fu salvo una volta ancora. Senza una illimitata fiducia nella Provvidenza, come vi spieghereste le imprese dei Santi, la loro forza, la loro serenità? S. Giovanni Crisostomo viveva abbandonato nelle braccia di Dio, come un bimbo sul seno materno. Si era fatto un motto di questo suo stato d’animo: « sia glorificato Iddio in ogni evento » e lo ripeteva con la stessa pace nei giorni più oscuri e nei più luminosi della vita. « Glorificate Iddio! » disse quando nell’entusiasmo del popolo lo consacrarono Vescovo. « Glorificate Iddio!» disse ancora quando le folle traevano al suo pulpito bramose d’ascoltarlo e gli stilografi raccoglievano velocemente ogni parola che cadesse dalla sua bocca d’oro. « Glorificate Iddio! » ripeté anche quando cacciato in esilio dalla perfida imperatrice Eudossia, volgendosi indietro vide la sua chiesa di S. Sofia, il suo palazzo ruinare in fiamme tra le urla del popolo e dei soldati. E quando, il 14 settembre 407, legato e malmenato mentre lo spingevano verso Pitio sul Mar Nero, fu sorpreso dai dolori di morte, raccolse le ultime forze e disse ancora: « Glorificate Iddio in ogni evento ». – Senza la fiducia nella Provvidenza, come S. Camillo de Lellis, S. Gerolamo Miani, S. Giovanni Bosco, il Cottolengo avrebbero potuto ricoverare e mantenerne migliaia di persone, migliaia di infelici? Leggete le loro storie: giungevano certe sere in cui il danaro mancava, il vestito mancava, la farina mancava: soltanto non mancava la fiducia nella Provvidenza. E la Provvidenza provvedeva farina, vestito, danaro. Considerate infine chi sono quelli che negano la Provvidenza: o sono i disperati incapaci di sopportare il peso della loro vita, incapaci di avere un po’ di coraggio per qualsiasi cosa buona, o sono gente che pone la propria fiducia in altri uomini. Scuotono il giogo di Dio, grande e paterno, per imporsi il giogo di omuncoli, gretti e invidiosi. Maledictus homo qui confidit in homine (Gerem., XVII, 5). –  Ho serbato, in ultimo, la difficoltà più grave: quella che ciascuno di voi aveva sulla punta della lingua e m’avrebbe già rivolto fin dal principio, se l’avesse potuto. « Se la Provvidenza c’è, perché allora mi ha messo in queste angosciose circostanze? Se Dio è padre, perché non m’aiuta? ». Dici bene: Dio è padre. Anzi è madre. Ma qualche volta anche le madri, per addestrare i loro bambini, fingono di abbandonarli, correndo a rimpiattarsi in qualche luogo vicino. E il loro cuore materno freme di gioia udendosi chiamare con tanta forza d’amore dalla loro creatura spaurita, e non tardano a volare ad essa, stringendosela fortemente, levarle dagli occhi con le dita le lagrime grosse. Così, mi pare, Dio fa talvolta con noi. Si nasconde, finge di abbandonarci nella solitudine: ma i nostri gemiti spauriti fanno fremere il suo Cuore misericordiosissimo. Coraggio; noi non lo vediamo: ma ci è vicino, e non tarderà a riabbracciarci più fortemente, a rasciugarci colle sue mani onnipotenti e materne le nostre lagrime grosse. « Oh se io avessi un segno — dirà forse qualcuno di voi, — se io avessi almeno un segno che mi rassicurasse che è proprio così, sentirei la forza necessaria a portare la mia croce, aspettando in tranquillità… ». E il segno l’avete: il Crocifisso. Guardate il Crocifisso. Se il Padre che è nei cieli ha lasciato il suo Unigenito morire inchiodato per nostro amore, forse che non avrà provvidenza di noi? — LA MISERICORDIA DI DIO. La Storia Sacra ci presenta spesso gli uomini stanchi in cammino. Ora sono gli Israeliti per quarant’anni vaganti verso una terra di beatitudine promessa: e Dio li sostentò di manna. Ora è il vecchio Profeta perseguitato che, spossato dalla fuga, si abbandona sulla terra, sotto un albero, aspettando la morte; e Dio lo confortò con pane e con vino. E nel Vangelo, due volte le turbe sono sorprese dalla fame nel deserto: e due volte Gesù le nutre di pane e di pesce. Questa gente in viaggio verso un arduo destino è un simbolo dell’umanità che ascende verso la salute eterna. Ma nessuno vi potrebbe giungere, se Dio non avesse misericordia di noi. Consideriamo le tre espressioni più grandi di questa divina misericordia: la pazienza col peccatore; la Confessione; la Comunione. – 1. LA PAZIENZA DI DIO COL PECCATORE. La vita del Venerabile Queriolet, contemporaneo di S. Vincenzo de’ Paoli, ne è la più bella prova: si direbbe inventata per questo se non fosse veramente testimoniata dai suoi biografi. Fino a 30 anni, quest’anima impetuosa aveva vissuto in una continua alternativa di Confessioni e di peccati. Poi fu preso da un tale odio satanico contro Cristo, che partì verso Costantinopoli per farsi maomettano. Dio l’aspettava sul cammino: in una foresta di Germania fu assalito dagli assassini, che uccisi i due compagni suoi, lui pure volevano finire. Davanti alla morte Queriolet tremò e fece voto alla Vergine di convertirsi se avesse potuto scampare. E scampò. Ma non si convertì: e non avendo potuto farsi maomettano, tornò in Francia e si fece ugonotto. Ma Dio lo rincorreva come il pastore dietro all’agnello che disvia. Una notte oscura di temporale è svegliato da un fragore scrosciante; il fulmine era caduto sulla sua casa ed abbruciava il tetto e il soffitto; pioveva dentro. Queriolet balza come una belva, stringe i pugni e bestemmia. Ma Dio non è sfiduciato, non è stanco di lui, lo persegue anche quando il più umile degli uomini già si sarebbe vendicato almeno col disinteressamento. A Loudun una povera donna sconosciuta lo ferma e gli dice: « Tu hai un voto senza compimento: ti ricordi la foresta di Germania quando ti volevano finire? ». Queriolet trema come in quel giorno tra le mani dei briganti. Come mai quella donna sapeva quello che egli a nessuno aveva svelato? Forse Dio suscitava quella donna per lui? Ma Dio, dunque, aveva ancora misericordia da chiamarlo così? Questo pensiero lo vinse: finalmente. E dopo alcuni anni Queriolet, risorto per non più cadere, meraviglia tutti con le sue virtù. Quel Dio che, agli angeli caduti una sola volta, non diede perdono, ha compassione dell’uomo ogni volta che lo vede traviare. Questo pensiero vinca pure ogni nostra diffidenza: in qualsiasi foresta di peccati ci fossimo smarriti, avessimo incappato anche nel demonio assassino d’anime, torniamo a Dio, Egli ci aspetta. – 2. LA MISERICORDIA DI DIO NELLA CONFESSIONE. I poeti antichi cantavano di una fontana misteriosa che gli dei avevano largito agli uomini: la fontana della giovinezza. I vecchi, quando v’entravano, lasciavano le rughe e gli acciacchi e riuscivano brillanti di giovinezza, cinti del diadema del loro ventesimo anno. Gli ammalati pallidi e stremati riuscivano col colore e col vigore della sanità. Oh, con quanto ardore i vegliardi tremuli si volgevano indietro, dal freddo orlo della tomba, sospirando a questa fontana misteriosa. Quante volte gli inquieti infermi dal loro letto vi sospiravano! Ma invano. Questa fontana zampillava solo nella mente dei poeti e distendeva le sue acque solo nei loro carmi. Quello però che gli dei falsi non avevano saputo dare ai loro amici, il nostro Dio vero l’ha preparato per i suoi nemici. Sì, l’uomo che col peccato, diventando nemico di Dio, diventa pure vecchio, rugoso, brutto e malato, ha nella Confessione una fontana di giovinezza che facendolo amico di Dio, lo rifà giovane e brillante. I Giudei avevano molta superbia per una vasca con cinque portici, a Betsaida. Talvolta lo Spirito scendeva a commuovere lo specchio dell’acqua: chiunque si fosse allora gettato dentro nel bagno, sarebbe stato guarito da qualsiasi male. Ma Dio è stato più misericordioso con noi: ci ha dato una vasca, dove, non appena in certe rare ore, ma sempre, facilmente ci guarisce dal male del peccato: la Confessione. S. Giovanni nella sua prima lettera afferma: « Il sangue di Gesù Cristo ci lava da ogni peccato » e nell’Apocalisse dice: « Ci ha lavati dai nostri peccati nel suo sangue ». Il romanziere francese, Paolo Bourget, prima della sua conversione scriveva « Mio Dio! se ci fosse qualche acqua salutare in cui annegare il ricordo di tutte le febbri malsane!… Ma quest’acqua non esiste ». Sì, sì! esiste. La Confessione – 3. LA MISERICORDIA DI DIO NELLA COMUNIONE. Ci fu una volta un figliuolo, che nonostante fosse idolatrato da suo padre, pure fuggì di casa, e con i suoi amici se ne andò in terra lontana. Fuori dallo sguardo paterno, senza freno e senza ritegno, commise ogni turpitudine, e accontentò il capriccio di ogni passione. Ma in quella terra lontana passò la carestia, e quel figliuolo fu sorpreso senza un soldo e senza un pane. E dovette girare di paese in paese, stracciato, lurido, famelico, cercando un mestiere. E trovò soltanto un uomo che gli fece fare il porcaio. E quel figliuolo fuggito da una ricca casa faceva il porcaio e aveva fame: di soppiatto allungava le mani nel trogolo e rubava le ghiande. Avrebbe desiderato, riempirsi il ventre anche con le ghiande che mangiavano i porci, e nessuno glie ne dava, neppure una manata. – Un giorno che la fame lo martoriava si ricordò che nella casa del suo ricco padre c’era pane bianco: tanto pane bianco. Si ricordò che tutti, perfino i servi ne potevano mangiare a sazietà… Non ne poté più. Buttò il suo bastone in mezzo ai porci che grugnivano e fuggì attraverso i prati lanciando un grido sublime. « Basta, tornerò da mio Padre ». Cristiani! quand’anche noi fossimo fuggiti dalla paterna casa di Dio verso la città dei peccati, quand’anche avessimo riempito la nostra anima col cibo dei porci e avessimo tuffato le nostre mani nel loro trogolo, gridiamo: « Basta! ». Il pensiero del Pane che la misericordia di Dio con tanta abbondanza distribuisce nella sua casa, il pensiero di questo Pane, che solo ci può sfamare, ci spinga a ritornare sopra un via di santità e di purezza. Dio ci aspetta nella Comunione: nella Comunione che è il segno supremo del suo amore. Nella Comunione ha voluto rimanere con noi: « le mie delizie sono tra i figli dell’uomo », Nella Comunione ha voluto sacrificare tutto per noi: la sua gloria divina, la sua maestà umana. E da infinito si fece piccolo come un boccone di pane. Nella Comunione ha voluto darci da mangiare la sua carne e da bere il suo sangue. – Meditando la misericordia di Dio, S. Caterina esclamava: « Oh, s’io potessì salire la vetta più eccelsa e di là gridare a tutto il mondo addormentato nei peccati: — O uomini! l’Amore non è amato! — ». Davvero. L’amore di Dio è troppo spesso un pretesto per abusare. E si abusa della sua pazienza, della Confessione e della Comunione.

IL CREDO

Offertorium

Orémus

Ps XVI: 5; XVI: 6-7 Pérfice gressus meos in sémitis tuis, ut non moveántur vestígia mea: inclína aurem tuam, et exáudi verba mea: mirífica misericórdias tuas, qui salvos facis sperántes in te, Dómine.

[Rendi fermi i miei passi sui tuoi sentieri, affinché i miei piedi non vacillino: porgi l’orecchio ed esaudisci la mia preghiera: fa risplendere le tue misericordie, o Signore, Tu che salvi quelli che sperano in Te.]

Secreta

Propitiáre, Dómine, supplicatiónibus nostris, et has pópuli tui oblatiónes benígnus assúme: et, ut nullíus sit írritum votum, nullíus vácua postulátio, præsta; ut, quod fidéliter pétimus, efficáciter consequámur.

[Sii propizio, o Signore, alle nostre suppliche, e accogli benigno queste oblazioni del tuo popolo; e, affinché di nessuno siano inutili i voti e vane le preghiere, concedi che quanto fiduciosamente domandiamo realmente lo conseguiamo.]

Præfatio

V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.
V. Sursum corda.
R. Habémus ad Dóminum.
V. Grátias agámus Dómino, Deo nostro.
R. Dignum et justum est.
de Spiritu Sancto
Vere dignum et justum est, æquum et salutáre, nos tibi semper et ubíque grátias ágere: Dómine sancte, Pater omnípotens, ætérne Deus: per Christum, Dóminum nostrum. Qui, ascéndens super omnes cælos sedénsque ad déxteram tuam, promíssum Spíritum Sanctum hodierna die in fílios adoptiónis effúdit. Quaprópter profúsis gáudiis totus in orbe terrárum mundus exsúltat. Sed et supérnæ Virtútes atque angélicæ Potestátes hymnum glóriæ tuæ cóncinunt, sine fine dicéntes:

[È veramente degno e giusto, conveniente e salutare, che noi, sempre e in ogni luogo, Ti rendiamo grazie, o Signore Santo, Padre Onnipotente, Eterno Iddio: per Cristo nostro Signore. Che, salito sopra tutti cieli e assiso alla tua destra effonde sui figli di adozione lo Spirito Santo promesso. Per la qual cosa, aperto il varco della gioia, tutto il mondo esulta. Cosí come le superne Virtú e le angeliche Potestà cantano l’inno della tua gloria, dicendo senza fine:]

Sanctus, Sanctus, Sanctus Dóminus, Deus Sábaoth. Pleni sunt cæli et terra glória tua. Hosánna in excélsis. Benedíctus, qui venit in nómine Dómini. Hosánna in excélsis.

Preparatio Communionis

Orémus: Præcéptis salutáribus móniti, et divína institutióne formáti audémus dícere:

Pater noster

qui es in cælis. Sanctificétur nomen tuum. Advéniat regnum tuum. Fiat volúntas tua, sicut in cælo et in terra. Panem nostrum quotidiánum da nobis hódie. Et dimítte nobis débita nostra, sicut et nos dimíttimus debitóribus nostris. Et ne nos indúcas in tentatiónem:
R. Sed líbera nos a malo.
S. Amen.

Agnus Dei

Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: dona nobis pacem.

Panem cæléstem accípiam, et nomen Dómini invocábo.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Ps XXVI: 6 Circuíbo et immolábo in tabernáculo ejus hóstiam jubilatiónis: cantábo et psalmum dicam Dómino.

[Circonderò, e immolerò sul suo tabernacolo un sacrificio di giubilo: canterò e inneggerò al Signore].

Postcommunio

Orémus.

Repléti sumus, Dómine, munéribus tuis: tríbue, quæsumus; ut eórum et mundémur efféctu et muniámur auxílio.

[Colmàti, o Signore, dei tuoi doni, concedici, Te ne preghiamo, che siamo mondati per opera loro e siamo difesi per il loro aiuto.]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (2)

ORDINARIO DELLA MESSA.

LO SCUDO DELLA FEDE (259)

LO SCUDO DELLA FEDE (259)

P. Secondo FRANCO, D.C.D.G.,

Risposte popolari alle OBIEZIONI PIU’ COMUNI contro la RELIGIONE (2)

4° Ediz., ROMA coi tipi della CIVILTA’ CATTOLICA, 1864

 CAPO II.

GIUSTIZIA DIVINA.

I. Che colpa hanno tanti bambini morti senza Battesimo per esser condannati all’ inferno?

II. Che colpa tanti Gentili a cui non fu predicata la fede?

III. Che colpa tanti che son nati nell’eresia?

Dopo la provvidenza divina nell’amministrare le cose di quaggiù, viene spesso intaccata la divina giustizia, quasi Dio punisse talvolta chi a loro avviso nol merita. Questa difficoltà vien mossa soprattutto rispetto alla salvezza eterna degli idolatri, degli scismatici, dei Protestanti e di quanti sono separati dalla Chiesa Vattolica. Ed a inuoverla non sono solo gli empii, i quali bestemmiano quel che.non conoscono, ma sono talvolta anche certi buoni, i quali vorrebbero qualche schiarimento per loro conforto e consolazione. – Che colpa hanno, domandasi in primo luogo, tanti Gentili per essere condannati all’inferno, se niuno finora ha loro predicato il Vangelo, oppure se i loro padri, a cui era stato predicato, l’hanno rigettato? Che colpa soprattutto può ritrovarsi nei bambini che muoiono senza Battesimo, perchè debbano essere condannati?

I. Per cominciare da quest’ultima difficoltà, essa nasce tutta dal modo, onde apprendono costoro le dottrine di santa Chiesa, rispetto ai bambini morti senza Battesimo. Or dunqùe, in che consiste la loro dannazione? Forse sono gettati in mezzo al fuoco, in mezzo ai tormenti? La santa Chiesa non ci ha mai obbligati ad ammettere una cotale dottrina, osserva il Balmes. Essa c’insegna che non saranno ammessi alla beatitudine, che consiste nella visione beatifica del Signore, ma poi è ben lontana dal sottoporli ai tormenti. Che anzi alcuni Teologi riprendono i parziali della contraria sentenza, ed insegnano invece che essi, sebbene privi della visione beatifica, pure saranno in uno stato di vita sì lieto, sì avventurato, che molto meglio per loro è l’aver l’esistenza in quel modo che non averla. – Quello che fa ad alcuni difficoltà è il sentir a dire che essi non avranno la visione beatifica, e par loro molto duro che i pargoli, incapaci come sono di peccato attuale, abbiano ad essere esclusi dalla gloria, sol perchè non fu cancellato in loro il peccato originale: ma a togliere in gran modo questa difficoltà e molte altre che sí potrebbero muovere in altri punti non dissomiglianti, giova richiamare alla mente alcune verità. Che cosa è la beatitudine eterna? Secondo la fede cattolica, essa è la visione intuitiva di Dio, la possessione beatificante di Dio. È questo uno stato naturale all’uomo? Non mai: esso è uno stato affatto soprannaturale, ai quale non si può pervenire senza un aiuto al tutto soprannatusale. Ora farebbe mai Iddio un torto ad una sua creatura, quando non l’elevasse a quello stato? Non gliel farebbe in eterno. Fa Iddio forse ma torto alle pietre, col non date loro, a cagion d’esempio, il non vivere come alle piante il sentire come dà agli animali? Certo no. Quando da ad un essere tutto quello che gli appartiene, secondo l’ordine in cui lo ha collocato, Iddio ha fatto abbastanza. Ma secondo questo ragionare, qual sarebbe la beatitudine che sarebbe conveniente all’uomo, se non fosse elevato ad uno stato soprannaturale? Sarebbe una beatitudine puramente naturale, proporzionata cioè a’ suoi sensi ed alla sua ragione, e questa sarebbe un ampio compenso di tutto quello che gli uomini avessero fatto per Iddio. Nè in ciò vi sarebbe alcuna durezza, alcuna ingiustizia, perché Iddio darebbe loro un premio proporzionato al loro merito. Un principe, a cagione di esempio, vuole premiare due suoi servi fedeli; che cosa fa? Uno il premia in modo al tutto straordinario, e perciò lo fa a sè collega nell’imperio. Un altro lo premia solo proporzionatamente ai suoi meriti, e gli dà dei feudi, delle onorificenze. Ora commette forse qualche ingiustizia verso questo secondo, a cui dà tutto quello che gli perviene, perchè a quel primo profonde doni più ampli? Niuno oserà affermarlo. Ora questo è quel che in qualche modo interviene nel nostro caso. Quelli che sono stati innalzati, mediante il Battesimo, ad uno stato soprannaturale, li premia in un modo al tutto straordinario, cioè colla sua visione beatifica: ai bambini morti senza Battesimo lascia una semplice partecipazione di beni naturali ed una naturale cognizione ed amor di Dio: Sibi (Deo) coniungentur per participationem naturalium bonorum et ita etiam de ipso gaudere poterunt naturali cognitione et dilectione 1.(1 S. Thom. in II S. D. S. 33, 9, 2 a. 2.). – Ma essi, dirà taluno, soffriranno per ciò che conosceranno di qual bene siano privi. Neppure questo, vi risponderà S. Tommaso, neppur questo ha luogo: poichè sebbene essi sapranno in genere che cosa sia beatitudine, non conosceranno punto quello che sia la beatitudine della visione beatifica: Cognoscunt quidem, beatitudinem in generali secundum communem rationem, non autem in speciali; e perciò non si dorranno della privazione di essa: Ideo de eius amissione non dolent. – Ma fino a qual punto si estenderà questa loro beatitudine? Questo è quello che nè io, nè altri vi saprà dire, poiché Dio non si compiacque di rivelarcelo. S. Tommaso, che è si cauto nel sentenziare, afferma che questi fanciulli potranno avere cognizione ed amor di Dio nell’ordine puramente naturale, e che potranno godere di questi beni che loro ha conceduto il Signore, ma non lo spiega più lungamente. Altri gravissimi Teologi, giovandosi della libertà che lascia la santa Chiesa in tal quistione, con maggiore o minore probabilità vanno discutendo qual esser possa; ed altri col Pighio, col Catarino, col Molina, col Salmerone pensano che abiteranno la terra già tutta purificata ed abbellita. Altri insegnano con S. Bonaventura, col Bellarmino, che saranno esenti da ogni dolore; altri collo Sfondrato, che meneranno vita felice e tranquilla in un naturale amore di Dio: naturali dilectione. Checché però ne sia di tutto ciò, certo è che la santa Chiesa non ci ha mai obbligati a tenere che essi provassero pene di senso. Che se è così, ché torto fa loro Iddio nel non cumularli di beni maggiori? È un bene sì fattamente gratuito la visione beatifica, che se Dio mai non lo avesse proposto ad alcuno, gli uomini, non che pretenderlo, non l’avrebbero neppur conosciuto. Qual diritto vi hanno adunque? E se non vi possono aver diritto, che torto fa loro Iddio quando loro lo dinega? Fingete che un principe avesse conceduto ad un povero popolano di desinare nel suo palazzo, avrebbe questi buon garbo a lagnarsi perché non è stato collocato alla mensa del principe stesso? Se già non diventa un obbligo la liberalità, se non diventa un’ingiustizia il beneficare dentro certi limiti, mai non si potrà riprendere la divina condotta.

II. E gl’idolatri? Cogl’idolatri eziandio il Signore non commette ingiustizia di alcuna sorta. Richiamate pertanto a mente alcune verità di gran rilievo. Prima di tutto non è da credere che tutti quei popoli, che vennero designati sotto nome di Gentili, fossero composti di soli idolatri: perocchè, sebbene questi fossero pur troppo molti, molti anche erano che ritenevano ancora la cognizione del vero Iddio. Prima del diluvio, secondo S. Tommaso ed i più gravi Teologi; non vi ebbe idolatria di sorta. E se dopo fa introdotta sventuratamente nel mondo, molti se ne preservarono. Ne abbiamo la prova nella persona del santo Giobbe e de’ suoi amici, e nel Centurione del Vangelo; ed è al tutto verisimile che, come essi credevano nel vero Iddio, così vi credessero molti altri, i quali od avevano conservate le tradizioni primitive, od avevano appreso a conoscere la verità dai Giudici sparsi in tanta parte di mondo, oppure, servendosi rettamente della ragione, dalle cose visibili avevano raggiunto le invisibili come parlano le sante Scritture. – In secondo luogo anche quelli che sono nati nell’idolatria, sono forse stati abbandonati da Dio, sì che non abbiano avuti i mezzi necessari per la salvezza? Nulla meno. Altra cosa è che non li abbiano avuto in quell’abbondanza che li ebbero alcuni popoli, altra cosa è che siano mancati loro quelli che al tutto erano necessarii. Niuno vi ebbe mai neppur tra loro che si sia dannato senza sua colpa. I Gentili ebbero in primo luogo la grazia necessaria per conoscere il vero Dio, e l’ebbero in tal misura che al tutto bastasse, perché conoscendolo il potessero glorificare. Il perché dove gl’idolatri sian fedeli alle grazie che Iddio lor fornisce, Iddio deve non al loro merito, ma alla sua fedeltà, il non privarli di quei mezzi ulteriori che si richiedono alla salvezza. Continua Egli pertanto ad illuminarli colle sue cognizioni, a fortificarli colle sue grazie, affinché sempre più progrediscano sino ad amarlo sopra ogni cosa, fino a pentirsi salutarmente dei loro peccati. Sappiamo però, soggiungono essi, che è necessario il Battesimo e la fede nel mediatore divino Gesù Cristo per giungere a salvamento. E questa come l’hanno? Non vi sgomenti neppur questa replica, perocchè essa non chiude per nulla la via della salute a chi voglia risolutamente salvarsi. – Imperocchè i sacri Dottori osservano all’uopo, che quanto alla cognizione del Mediatore, Iddio a molti l’ha rivelata espressamente, siccome fece col santo Giobbe che diceva: Io so che vive il mio Redentore. Che se non lo rivelò loro, ebbero pure del divin Mediatore, se non una fede esplicita, almeno una fede implicita nella divina Provvidenza, in quanto credevano Iddio essere liberatore degli uomini, secondo que modi che a lui sarebbon piaciuti (S. Thom.2. 2. q.2, a. 7.). Quanto al Battesimo poi, sebbene questo sia necessario, non è però necessario che sia ricevuto nel fatto, bastando che sia nel desiderio; e dove invincibilmente sia ignorata la necessità di esso, come avviene nei Gentili, si trova racchiuso un tal desiderio nell’atto per cui amano Dio sopra ogni cosa. il peichè è verissimo che anche i Gentili, sebbene non abbiano quei mezzi più abbondevoli di salute che abbiamo noi, non sono però privi di essi in modo che, mantenendosi fedeli a quelli che hanno, non possano giungere a salvamento. In una parola, Iddio in tutti i tempi. provvide agli uomini per siffatta guisa, che essi il potessero conoscere, conoscendolo glorificarlo: e quando essi dal canto loro facciano quel che possono, Iddio, che vuole sinceramente la salvezza di tutti, aggiunge loro quel che non possono.

III. Intorno ai protestanti ed agli scismatici è ancora più facile la risposta. Imperocchè è egli vero che la santa Chiesa insegni, come suppongono alcuni, che sieno tutti irreparabilmente dannati? Nulla meno. La santa Chiesa insegna bensì che fuori della vera Chiesa non vi ha salute: ma in un senso ben diverso da quello che essi credono. In due maniere può uno trovarsi fuori della cattolica Chiesa: può trovarvisi perché è nato nell’eresia e nello scisma senza. sua colpa; può trovarvisi perché da sè medesimo ha abbracciata l’eresia o lo scisma. Chi è nato sventuratamente in seno dell’errore non è colpevole finchè dura in esso con buona fede, cioè finchè non ha un dubbio serio, un dubbio grave intorno alle dottrine che egli ammette. Fino a tanto che è in buona fede, la santa Chiesa non lo considera come separato da sè altro che materialmente, e non insegna che per questo sia fuori della via della salute. Può e deve in questo caso il protestante e lo scismatico fare almeno quel tanto che in buona fede crede doversi fare; e siccome è entrato per la porta legittima del Battesimo, siccome ha una notizia almeno delle cose principalissime della santa fede, e siccome solo per ignoranza invincibile rifiuta le altre verità rivelate, così con quei mezzi che ha, dove se ne valga, potrà ancor esso giungere alla salute. È vero che questi mezzi sono per loro meno copiosi che pel Cattolico; è vero che il protestante non ha soprattutto il sacramento della Penitenza e la divina Eucaristia, coi quali si ottengono tanto più facilmente la giustificazione e le grazie divine: tuttavolta quando ne ignora invincibilmente la necessità, può supplirvi a quel modo con cui vi suppliscono anche i Cattolici, nel caso estremo di mancanza di confessore, coli’eccitarsi alla contrizione dei proprii peccati ed al perfetto amore di Dio sopra ogni cosa, e così impetrare il perdono e la salute. Che anzi, fondati sopra queste dottrine, noi Cattolici abbiamo fiducia che molti dei nostri cari fratelli, sventuratamente da noi divisi, convertendosi debbano un giorno riunirsi a noi nella patria, poichè la loro divisione da noi non è altro che materiale. Ma per fare questo avranno poi la grazia necessaria all’uopo? Indubitatamente l’hanno; poichè, siccome ognuno ha l’obbligo di sperare e di amare il Signore finché è in vita, e siccome ha l’obbligo di farlo quando giunge la saa ultima ora, il che non si può senza la grazia divina, così forza è che abbiano anche la grazia necessaria a quegli atti. Altrimenti ne seguirebbe, che si potrebbe commettere una colpa, mentre non si ha in propria mano il poterla evitare; il che sarebbe un assurdo tutto insieme ed una bestemmia contro la divina bontà. – Che se lo scismatico ed il protestante hanno con piena cognizione di causa abbracciato da sè l’eresia e lo scisma, oppure se dimorano in essa con mala fede, che è quanto dire con dubbii gravi e certi di essere nell’errore, che torto fa loro Iddio se li condanna, quando essi rigettano la verità conosciuta, oppure non la cercano quando si avveggono di non possederla? Allora essi chiudono gli occhi in faccia al lume onde Iddio li rischiara; allora si ribellano ai rimorsi che la coscienza in loro risveglia; allora non curano verità di somma importanza, quali sono le rivelate da Dio, e si rendono colpevoli di un gravissimo eccesso, e non è da maravigliare se Dio li condanni come infedeli e gravissimi peccatori. – Da ciò s’intende come debba esser presa quella sentenza, per cui si afferma non esservi salute fuor della Chiesa. Si vuol significare che non vi è salate per quelli che stanno fuor della Chiesa sapendo di esserne fuori o almen dubitandone; laddove non si considerano come fuori ogni qualvolta sono fuori solo materialmente. Se queste verità così semplici fossero note, cesserebbero tutte insieme le maggiori bestemmie che si avventino contro Dio, e le più nere calunnie onde si diffami la santa Chiesa. – Ne’ segue da questo che noi dobbiamo esser meno grati al Signore del benefizio inestimabile di essere stati collocati in seno alla Cattolica Chiesa. Imperocchè sebbene sia vero che chi tra gli eterodossi si trovi in buona fede, come abbiamo spiegato, sia in istato di potersi salvare, non può negarsi tuttavia che non sia in condizione molto pericolosa. Da una parte i tanti libri che si scrivono di religione, le relazioni che si hanno sì frequenti coi Cattolici, la luce che diffonde la romana Chiesa, gli errori sempre più gravi in che precipitano i protestanti, risvegliano facilmente dubbii e sospetti non leggeri negli animi, e così tolgono la buona fede: dall’altra parte l’arrendersi a questa luce e fare le opportune ricerche ed abbracciar poi la verità conosciuta, costa sempre una vittoria difficile sopra il rispetto umano, costa il rinnegare l’amor proprio in materia gravissima, costa il vincere mille timori del mondo, ed esige una fedeltà al Signore che pur troppo non è comune: ondechè le passioni umane impediscono molte volte -l’abbracciare col fatto quello che si è conosciuto esser vero. Laddove noi, senza dover superare nessun contrasto, ci troviamo in possesso, per una ineffabile misericordia divina, della verità, e possiamo con molta facilità giungere al termine avventurato dell’eterna salvezza. Di che, chi potrà mai ringraziare bastevolmente l’amorosa provvidenza del Signore, che di tanto ci ha senza nessun merito gratificati? – Inoltre sebbene sia vero che quegli tra gli eterodossi che sono in buona fede possano salvarsi per quanto appartiene alle credenze; tuttavia per giungere alla salute si richiede ancora la bontà della vita, che è quanto dire la fuga dal peccato grave o la contrizione di essi e la divina carità. Ora tutto ciò non riesce neppur sì agevole a noi Cattolici: eppur abbiamo troppo maggiori aiuti che essi non hanno: l’istruzione accurata del modo di pentirci, l’obbligo di esercitarci nella fede, nella speranza e nella carità; abbiamo il grande Sacrifizio dell’altare che ci impetra doni così eccellenti; abbiamo la facilità di ricuperare la grazia nel Sacramento di Penitenza; abbiamo l’aiuto pronto della Vergine benedetta e dei Santi da noi invocati; abbiamo tutte le grazie che la santa Chiesa ottiene a tutti quelli che partecipano i suoi riti, le sue cerimonie, le sue preghiere; abbiamo finalmente la fonte stessa di tutti i beni nella divina Eucaristia, alla quale unendoci noi, ci troviamo confortati a combattere le nostre passioni, animati a1 bene, alla virtù, alla vita soprannaturale della grazia. Ora se anche noi così aiutati sperimentiamo ancora sì difficile alla nostra debolezza il viver

bene, fate ragion di quel che sarà pei protestanti che non hanno tanti mezzi. Quanto dunque non è facile che chi non si perde per mancanza della fede, venga poi a perdersi per mancanza della vita cristiana! – E ciò per non dir nulla ancora di quei, protestanti più infelici (eppur son tanti) i quali, allontanandosi sempre più da Gesù Cristo e dalla Chiesa, sono caduti nel profondo di ogni male, nel rinnegar cioè con orribile razionalismo la divinità di nostro Signor Gesù Cristo e tutta la rivelazione; i quali sono protestanti di nome, ma nel fatto sono pagani al tutto: e non può sovrastare loro altra sorte che quella che spetta ai felloni che hanno rinnegato l’Autor della vita. Di che vede ognuno se sia o da rallentare lo zelo nel trarre alla verità quei meschini, o da essere meno riconoscenti a quel Dio sì buono, che per sua ineffabile misericordia ci ha posti in grembo alla Madre Chiesa. – Da tutto ciò nondimeno, dirà taluno, si ritrae sempre che Dio è aceettatore di persone, mentre con alcuni almeno è più liberale di grazie che non con altri. Ebbene qual risposta darò io a questa replica? Se chiamate accettatore di persone Iddio, perchè dispensa in copia i suoi doni ad uno più che ad un altro, io vi concederò che appunto è così. Sì, Iddio con alcuni è più liberale di grazie che non con altri. E che? Vorreste voi togliere a Dio creatore di tutti gli esseri, padrone supremo, quella libertà che pretendete voi, verme vilissimo della terra? E voi non pretendete di aver diritto di beneficare più un povero che un altro? Più una classe di persone che un’altra? Non siete voi accettator di persone, quando tra molti che vi sollecitano, scegliete di preferenza un servitore, un artigiano, un mercatante, un maestro di casa? Quando non fate agli altri Lui torto positivo, voi non credete di far loro ingiuria, solo perchè preferite quelli che vi danno più nel genio. E Dio, il quale è padrone in ben altro modo che non siete voi, supremo, assoluto, universale, indipendente, e, che più monta, d’infinita santità e sapienza, non potrà collocare maggiori doni in uno che in un altro, amare gli uni di preferenza agli altri? Che stranezza e che stravaganza è mai cotesta? – Inoltre se tra noi l’accettazione di persone è quasi sempre congiunta con qualche difetto, non è già così nel Signore. Quando noi anteponiamo gli uni agli altri nostri prossimi, il facciamo il più delle volte mossi da ragioni umane o di un amore disordinato o di un’avversione viziosa; spesse volte il facciamo in pregiudizio di chi avrebbe maggiori diritti sopra di noi, o per altri motivi suggeriti più dalla passione che dalla ragione. Ma in Dio infinitamente giusto e santo non possono cadere tali imperfezioni. Se Egli antepone gli uni agli altri, il fa con infinita sapienza, il fa con rettitudine infinita. Egli ha nella sua onnipotenza il diritto di farlo, nella sua sapienza il fine per cui farlo, nella sua bontà il modo di farlo convenientemmite. Mancherebbe ancora questa che l’uomo riducesse Dio alle sue norme e lo misurasse colla sua stregua!

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA DAGLI APOSTOLI A S.S. PIO XII (38): “LEONE XIII, 1887-1896”

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA DAGLI APOSTOLI A S.S. PIO XII (38)

HENRICUS DENZINGER

ET QUID FUNDITUS RETRACTAVIT AUXIT ORNAVIT

ADOLFUS SCHÖNMATZER S. J.

ENCHIRIDION SYMBOLORUM DEFINITIONUM ET DECLARATIONUM

De rebus fidei et morum

HERDER – ROMÆ – MCMLXXVI

Imprim.: Barcelona, José M. Guix, obispo auxiliar

(LEONE XIII, 1887- 1896)

Decreto del Sant’Uffizio “Post obitum”, 14 dicembre 1887.

Errori di Antonio ROSMINI-SERBATI

3201. 1 – Nell’ordine delle cose create si manifesta immediatamente all’intelligenza umana qualcosa che sia divino in sé, in quanto appartiene alla natura divina.

3202. 2 – Quando parliamo del divino in natura, con questa parola “divino” non intendiamo un effetto non divino di una causa divina; e non è nostra intenzione parlare di qualcosa che sarebbe divino per partecipazione.

3203. 3 – Nella natura dell’universo, dunque, cioè nelle intelligenze che vi si trovano, c’è qualcosa a cui si addica la denominazione di divino, non in senso figurato, ma in senso letterale. – È una realtà che non si distingue dal resto della realtà divina.

3204. 4 – L’essere indeterminato, che è indubbiamente noto a tutte le intelligenze, è quel divino che si manifesta all’uomo nella natura.

3205. 5 – L’essere, oggetto dell’intuizione umana, è necessariamente qualcosa dell’essere necessario ed eterno, della causa creatrice, determinante e finale di tutti gli esseri contingenti, e questo è Dio.

3206. 6 – Nell’essere che prescinde dalle creature e da Dio, cioè l’essere indeterminato, e in Dio, l’essere che non è indeterminato ma assoluto, l’essenza è la stessa.

3207. 7 – L’essere indeterminato dell’intuizione, l’essere iniziale, è qualcosa del Verbo, che l’intelligenza del Padre distingue dal Verbo non realmente, ma secondo ragione.

3208. 8 – Gli esseri finiti di cui è composto il mondo risultano da due elementi, cioè dal termine finito reale e dall’essere iniziale che conferisce a questo termine la forma dell’essere.

3209. 9 – L’essere che è oggetto di intuizione è l’atto iniziale di tutti gli esseri. – L’essere iniziale è l’inizio sia di ciò che sia conoscibile, sia di ciò che sia sussistente: è anche l’inizio di Dio, come è concepito da noi, e delle creature.

3210. 10 – L’essere virtuale e illimitato è il primo e il più semplice di tutti gli enti, così che ogni altro ente ne è composto, e l’essere virtuale è sempre e necessariamente uno dei suoi componenti. – (L’essere iniziale) è la parte essenziale di tutti gli enti senza eccezione, per quanto possano essere divisi dal pensiero.

3211. 11 – La quiddità (ciò che una cosa è) dell’essere finito non è costituita da ciò che è positivo in esso, ma dai suoi limiti. La quiddità dell’essere infinito è costituita dall’ente, ed è positiva; la quiddità dell’essere finito, invece, è costituita dai limiti dell’ente, ed è negativa.

3212. 12 – La realtà finita non è, ma Dio la fa essere aggiungendo la limitazione alla realtà infinita. – L’essere iniziale diventa l’essenza di tutto l’essere reale. – L’essere che agisce le nature finite, essendo congiunto con esse, è preso da Dio.

3213. 13 – La differenza tra l’essere assoluto e l’essere relativo non è la differenza tra una sostanza e l’altra, ma una differenza molto più grande: l’una è assolutamente l’essere, l’altra assolutamente il non-essere. Ma quest’altro è relativo. Per questo l’essere assoluto e l’essere relativo non sono un’unica sostanza, ma un unico essere; e in questo senso non c’è diversità di essere, ma unità di essere.

3214. 14 – L’essere iniziale, il primo elemento degli esseri finiti, è prodotto dall’astrazione divina; ma la realtà finita, o tutte le realtà di cui è fatto il mondo, è prodotta dall’immaginazione divina.

3215. 15 – La terza operazione dell’essere assoluto nel creare il mondo è la sintesi divina, cioè l’unione dei due elementi, l’essere iniziale, il principio comune di tutti gli esseri finiti, e la realtà finita, o meglio: le varie realtà finite, i diversi termini dello stesso essere iniziale. È attraverso questa unione che si creano gli esseri finiti.

3216. 16 – L’essere iniziale, messo in relazione dall’intelligenza mediante la sintesi divina, non come intelligibile ma come pura essenza, con i termini finiti reali, fa sì che gli esseri finiti esistano soggettivamente e realmente.

3217. 17 – Tutto ciò che Dio fa nel creare è porre l’intero atto dell’esistenza delle creature; questo atto non è quindi propriamente fatto, ma posto.

3218. 18. – L’amore con cui Dio ama se stesso anche nelle creature, e che è la ragione per cui decide di creare, costituisce una necessità morale che, nell’essere più perfetto, produce sempre il suo effetto.

3219. 19 – Il Verbo è quella materia invisibile da cui, come dice Sap 11,18, sono state create tutte le cose dell’universo.

3220. 20 – Non è ripugnante che l’anima si moltiplichi per generazione, in modo da essere concepita come un progresso dall’imperfetto, cioè dal grado sensoriale, al perfetto, cioè al grado intellettivo.

3221. 21 – Quando un essere diventa oggetto di intuizione per il principio sensitivo, per questo solo contatto, per questa sola unione, questo principio, che prima sentiva soltanto e che ora comprende, viene elevato a uno stato più nobile, cambia natura e diventa intelligente, sussistente e immortale.

3222. 22. – Non è impossibile concepire che per potenza divina sia possibile che l’anima intellettiva si separi dal corpo animato e che quest’ultimo continui ad essere animale, perché il principio animale, che prima era in esso come appendice, rimarrebbe in esso come base dell’animale puro.

3223. 23 – Allo stato naturale, l’anima del defunto esiste come se non esistesse; poiché non può riflettere su se stessa, né essere cosciente di sé, si può dire che la sua condizione è simile allo stato di tenebra perpetua e di sonno eterno.

3224. 24 – La forma sostanziale del corpo è piuttosto l’effetto dell’anima e il termine interno della sua operazione: per questo la forma sostanziale del corpo non è l’anima stessa. – L’unione dell’anima e del corpo consiste propriamente nella percezione immediata con cui il soggetto che ha l’intuizione di un’idea afferma il sensibile dopo aver avuto l’intuizione dell’essenza in esso.

3225. 25 – Una volta rivelato il mistero della Trinità, la sua esistenza può essere dimostrata con argomenti puramente speculativi, certo negativi e indiretti, ma comunque tali che con essi questa verità viene ricondotta alle discipline filosofiche e diventa una proposizione scientifica come le altre: perché se fosse negata, la dottrina filosofica della pura ragione non solo rimarrebbe incompleta, ma sarebbe annientata dalle oscurità che sorgerebbero da ogni parte.

3226. 26 – Le tre forme supreme dell’essere, cioè la soggettività, l’oggettività e la santità, o la realtà, l’idealità e la moralità, se le trasferiamo all’essere assoluto, non possono essere concepite altrimenti che come persone sussistenti e viventi, – Il Verbo, come oggetto amato e non come Verbo, cioè oggetto sussistente in sé conosciuto da sé, è la persona dello Spirito Santo.

3227. 27 – Nell’umanità di Cristo, la volontà umana fu talmente rapita dallo Spirito Santo ad aderire all’essere oggettivo, cioè al Verbo, che gli cedette interamente il governo dell’uomo, e che il Verbo assunse questo governo in modo personale unendosi così alla natura umana. Con ciò, la volontà umana ha cessato di essere personale nell’uomo, e mentre è persona negli altri uomini, rimane natura in Cristo.

3228. 28 – Secondo la dottrina cristiana, il Verbo, il carattere e il volto di Dio, è impresso nell’anima di chi riceve con fede il battesimo di Cristo. – Il Verbo, cioè il carattere impresso nell’anima, secondo la dottrina cristiana è l’essere reale (infinito) che si manifesta da sé, e che quindi riconosciamo essere la seconda persona della santissima Trinità.

3229. 29. – Non ci sembra una congettura estranea alla dottrina cattolica, che sola è verità, affermare che nel Sacramento eucaristico la sostanza del pane e del vino diventi la vera carne e il vero sangue di Cristo quando Cristo la fa diventare il termine del suo principio sensibile e la vivifica con la sua vita, quasi nel modo in cui il pane ed il vino sono transustanziati nella nostra carne e nel nostro sangue poiché diventano il termine del nostro principio sensibile.

3230. 30 – Una volta completata la transustanziazione, possiamo pensare che una parte del Corpo glorioso di Cristo sia incorporata a Lui, non separata da Lui e ugualmente gloriosa.

3231. 31 – Nel Sacramento dell’Eucaristia, in virtù delle parole, il Corpo ed il Sangue di Cristo sono presenti solo nella misura che corrisponde alla quantità (a quel tanto) della sostanza del pane e del vino che viene transustanziata: il resto del Corpo di Cristo vi è presente per concomitanza.

3232. 32 – Poiché chi “non mangia la carne del Figlio dell’uomo e non beve il suo sangue non ha vita in sé” (Gv VI,54), e tuttavia chi muore con il Battesimo di acqua, di sangue o di desiderio ottiene con certezza la vita eterna, si deve dire che a chi in questa vita non ha mangiato il corpo di Cristo, questo cibo celeste viene somministrato nella vita futura, nell’istante stesso della morte. – Per questo motivo, quando è sceso agli inferi, Cristo ha potuto comunicarsi anche sotto forma di corpo di Cristo. Pertanto anche i santi dell’Antico Testamento ha comunicato con le specie del pane e del vino per renderli idonei alla visione di Dio.

3233. 33 – Quando i demoni si impossessarono del frutto, pensarono di entrare nell’uomo se ne avessero mangiato; essendo il cibo mutato nel corpo animato dell’uomo, potevano liberamente entrare nell’animalità, cioè nella vita soggettiva di questo essere, e quindi disporne come si erano proposti.

3234. 34. – Per preservare la beata Vergine Maria dal peccato originale, era sufficiente che un minuscolo seme di uomo, forse trascurato dal diavolo, rimanesse incorrotto, e che da questo seme incorrotto, trasmesso di generazione in generazione, nascesse a suo tempo la Vergine Maria.

3235. 35 – Quanto più si presta attenzione all’ordine della giustificazione nell’uomo, tanto più preciso appare il linguaggio della Scrittura secondo cui Dio copre o meno certi peccati. – Secondo il Salmista, (Salmo XXXI,1), c’è differenza tra le iniquità che vengono perdonate e i peccati che vengono coperti: le prime sono colpe presenti e libere; i secondi, invece, sono i peccati non liberi di coloro che appartengono al popolo di Dio e che quindi non ricevono alcun danno.

3236. 36. – L’ordine soprannaturale è costituito dalla manifestazione dell’Essere nella pienezza della sua forma reale; l’effetto della sua comunicazione, o manifestazione, è il sentimento deformato che, a partire da questa vita, costituisce la luce della fede e della grazia, e che, completato nell’altra vita, costituisce la luce della gloria.

3237. 37 – La prima luce che rende l’anima intelligente è l’essere ideale; la seconda prima luce è anch’essa l’essere, non solo ideale, ma sussistente e vivente: questo nasconde la sua personalità e mostra solo la sua oggettività; ma chi vede la seconda (che è il Verbo), anche se come in uno specchio e in un enigma, vede Dio.

3238. 38 – Dio è oggetto della visione beatifica in quanto autore di opere ad extra.

3239. 39 – Le tracce di sapienza e di bontà che risplendono nelle creature sono necessarie a coloro che contemplano (il Cielo); riunite nell’esemplare eterno, sono quella parte di Lui che può essere vista da loro (che è loro accessibile), e costituiscono il soggetto delle lodi che i beati cantano a Dio per tutta l’eternità.

3240. 40 – Dal momento che Dio non può, neppure con la luce della gloria, comunicarsi completamente agli esseri, può solo rivelare e comunicare la sua essenza a coloro che contemplano (in cielo) secondo il modo che è appropriato alle intelligenze finite, cioè Dio si manifesta loro nella misura in cui sia in relazione con loro come loro Creatore, loro Provvidenza, loro Redentore e loro Santificatore.

3241. (Censura confermata dal Sommo Pontefice: (il Sant’Uffizio) ha giudicato che le proposizioni… sono da proscrivere e riprovare nel senso dell’autore, e con questo decreto generale le riprova, le condanna e le proscrive…

Lettera Enciclica “Libertas præstantissimus”, 20 Giu. 1888

Dignità dell’uomo in quanto libero.

3245. La libertà, nobilissimo dono di natura, proprio unicamente di creature dotate d’intelletto e di ragione, attribuisce all’uomo la dignità di essere “in mano del proprio arbitrio” e di essere padrone delle proprie azioni. Tuttavia è molto importante stabilire in che modo tale dignità debba manifestarsi, poiché dall’uso della libertà possono derivare grandi vantaggi ma anche grandi mali. Infatti è facoltà dell’uomo ubbidire alla ragione, seguire il bene morale, tendere direttamente al suo fine ultimo. Ma egli può anche deviare verso tutt’altri scopi e, perseguendo false immagini del bene, può turbare l’ordine prestabilito e precipitare in volontaria rovina.

3246. Nessuno predica più altamente né con più costanza asserisce la Chiesa che tiene per dogma. Né solo questo, ma contraddicendo agli eretici, la Chiesa recepisce il patrocinio della libertà e la rivendica per l’uomo come un grande bene da difendere.

La legge naturale.

3247. Perciò la causa prima della necessità della legge va ricercata, come in radice, nello stesso libero arbitrio dell’uomo, ossia nel fatto che le nostre volontà non siano in disaccordo con la retta ragione. Nulla si potrebbe dire o pensare di più perverso e assurdo che il considerare l’uomo esente da legge in quanto libero per natura: se così fosse, ne conseguirebbe che per essere libero dovrebbe sottrarsi alla ragione; invece è assai evidente che deve sottostare alla legge proprio perché libero per natura. Dunque la legge è guida all’uomo nell’azione, e con premi e castighi lo induce al ben fare e lo allontana dal peccato. Sovrana su tutto: tale è la legge naturale, scritta e scolpita nell’anima di ogni uomo, poiché essa non è altro che l’umana ragione che ci ordina di agire rettamente e ci vieta di peccare. Invero questa norma della ragione umana non può avere forza di legge se non perché è voce ed interprete di una ragione più alta, a cui devono essere soggette la nostra mente e la nostra libertà. La forza della legge infatti consiste nell’imporre doveri e nel sancire diritti; perciò si fonda tutta sull’autorità, ossia sul potere di stabilire i doveri e di fissare i diritti, nonché di sanzionare tali disposizioni con premi e castighi; è chiaro che tutto ciò non potrebbe esistere nell’uomo, se, legislatore sommo di se stesso, prescrivesse a sé la norma delle proprie azioni. Dunque ne consegue che la legge di natura sia la stessa legge eterna, insita in coloro che hanno uso di ragione, e che per essa inclinano all’azione e al fine dovuto: essa è la medesima eterna ragione di Dio creatore e reggitore dell’intero universo.

La legge umana.

3248. Quanto si è detto circa la libertà dei singoli uomini può essere facilmente riferito agli uomini tra loro uniti in civile consorzio. Infatti, ciò che la ragione e la legge naturale operano nei singoli uomini, del pari agisce nella società la legge umana promulgata per il bene comune dei cittadini. Tra le leggi degli uomini alcune riguardano ciò che per natura è bene o male; esse, corredate dalla debita sanzione, insegnano a seguire l’uno e a fuggire l’altro. Ma siffatte disposizioni non traggono origine dalla società umana, poiché come la stessa società non ha generato la natura umana, così del pari non crea il bene che conviene alla natura, né il male che ripugna alla natura; piuttosto precorrono la stessa società civile e sono assolutamente da ricondurre alla legge naturale e perciò alla legge eterna. Dunque i precetti di diritto naturale contenuti nelle leggi umane, non hanno solo la forza di legge umana ma soprattutto comprendono quell’autorità molto più alta e molto più augusta che proviene dalla stessa legge di natura e dalla legge eterna. In questo genere di leggi, il dovere del legislatore civile è comunemente quello di condurre all’obbedienza i cittadini, dopo aver adottato una comune disciplina, reprimendo i malvagi inclini ai vizi, affinché, distolti dal male, perseguano la rettitudine o almeno non siano d’impedimento e danno alla società.  – Invero, altre ordinanze del potere civile non derivano subito e direttamente dal diritto naturale, ma da più lontano e in modo obliquo, e definiscono varie questioni che la natura non ha definito se non in generale e in modo indeterminato. Così la natura comanda che i cittadini contribuiscano alla tranquillità e alla prosperità pubblica: ma quanto, come, in quali occasioni non è stabilito da natura, bensì dalla saggezza degli uomini. Ora, in queste particolari regole di vita suggerite dalla prudenza della ragione e introdotte dal legittimo potere, consiste la legge umana propriamente detta. Questa legge impone a tutti i cittadini di concorrere al fine indicato dalla società e vieta di abbandonarlo; la stessa legge, finché segue dolcemente e consenziente i dettami di natura, conduce alla rettitudine e distoglie dal male. Da quanto detto si comprende che sono tutte riposte nella eterna legge di Dio la norma e la regola della libertà dei singoli individui, non solo, ma anche della comunità e delle relazioni umane.

3249. Dunque nella società umana la libertà nel vero senso della parola, non è riposta nel fare ciò che piace, nel qual caso subentrerebbe il maggior disordine che si risolverebbe nella oppressione della cittadinanza, ma consiste nel vivere agevolmente in virtù di leggi civili ispirate ai dettami della legge eterna. D’altra parte la libertà di coloro che governano non risiede nel poter comandare in modo sconsiderato e capriccioso, il che sarebbe parimenti dannoso e deleterio per lo Stato: per contro, la forza delle leggi umane deve derivare dalla legge eterna e non deve sancire alcuna norma che sia estranea ad essa, fonte del diritto universale.

Libertà di coscienza e tolleranza.

3250. Inoltre si predica assiduamente quella che viene chiamata libertà di coscienza; la quale, se interpretata nel senso che a ciascuno è giustamente lecito, a piacer suo, di venerare o di non onorare Dio, trova la sua smentita negli argomenti svolti in precedenza. Ma può avere anche questo significato: all’uomo è lecito, nel civile consorzio, seguire la volontà e i comandamenti di Dio secondo coscienza e senza impedimento alcuno. Questa vera libertà, degna dei figli di Dio, che assai giustamente tutela la dignità della persona umana, è più forte di qualunque violenza e offesa, ed è sempre desiderata e soprattutto amata dalla Chiesa. Con costanza, gli Apostoli rivendicarono per sé una siffatta libertà…

3251. Tuttavia la Chiesa, con intelligenza materna, considera il grave peso della umana fragilità e non ignora quale sia il corso degli animi e delle vicende da cui è trascinata la nostra età. Per queste ragioni, senza attribuire diritti se non alla verità e alla rettitudine, la Chiesa non vieta che il pubblico potere tolleri qualcosa non conforme alla verità e alla giustizia, o per evitare un male maggiore o per conseguire e preservare un bene. Dio stesso provvidentissimo, infinitamente buono e potente, consentì tuttavia che nel mondo esistesse il male, in parte perché non siano esclusi beni più rilevanti, in parte perché non si conseguano mali maggiori. Nel governo delle nazioni è giusto imitare il Reggitore del mondo: anzi, non potendo l’umana autorità impedire ogni male, deve “concedere e lasciare impunite molte cose che invece sono punite giustamente dalla divina Provvidenza” . Tuttavia, come complemento a quanto detto, se a causa del bene comune e soltanto per questo motivo la legge degli uomini può o anche deve tollerare il male, non può né deve approvarlo o volerlo in quanto tale: infatti il male, essendo di per sé privazione di bene, ripugna al bene comune che il legislatore, per quanto gli è possibile, deve volere e tutelare. E anche in questo caso è necessario che la legge umana si proponga di imitare Dio il quale, nel consentire che il male esista nel mondo “non vuole che il male si faccia, né vuole che il male non si faccia, ma vuole permettere che il male si faccia, e questo è bene” . Questa affermazione del dottore Angelico contiene in sintesi tutta la dottrina sulla tolleranza del male.

3252. Da quanto si è detto consegue che non è assolutamente lecito invocare, difendere, concedere una ibrida libertà di pensiero, di stampa, di parola, d’insegnamento o di culto, come fossero altrettanti diritti che la natura ha attribuito all’uomo. Infatti, se veramente la natura li avesse concessi, sarebbe lecito ricusare il dominio di Dio, e la libertà umana non potrebbe essere limitata da alcuna legge. Ne consegue del pari che queste varie libertà possono essere tollerate se vi sia un giusto motivo, ma entro certi limiti di moderazione, in modo che non degenerino nell’arbitrio e nell’arroganza.

3253. Dove la tirannide opprima o sovrasti in modo tale da sottomettere la cittadinanza con iniqua violenza, o costringa la Chiesa ad essere priva della dovuta libertà, è lecito chiedere una diversa organizzazione dello Stato, in cui siaconcesso agire liberamente; i n questo caso non si rivendica quella smodata e colpevole libertà, ma qualche sollievo a vantaggio di tutti e si agisce così solamente perché non sia impedita la facoltà di comportarsi onestamente là dove si concede licenza al malaffare.

3254. Inoltre, non è vietato preferire un tipo di Stato regolato dalla partecipazione popolare, fatta salva la dottrina cattolica circa l’origine e l’esercizio del pubblico potere. Tra i vari tipi di Stato, purché siano di per se stessi in grado di provvedere al benessere dei cittadini, nessuno è riprovato dalla Chiesa; essa pretende tuttavia ciò che anche la natura comanda: che i singoli Stati si reggano senza recare danno ad alcuno, e soprattutto rispettino i diritti della Chiesa.

3255. La Chiesa non condanna una nazione che voglia essere indipendente dallo straniero o da un tiranno, purché sia salva la giustizia. Infine non rimprovera neppure coloro che propugnano uno Stato retto da proprie leggi, e una cittadinanza dotata della più ampia facoltà di accrescere il proprio benessere.

Res. S. Officio all’Arcivescovo di Cambrai, 14 (19) Ago., 1889.

Craniotomia.

3258. Le scuole cattoliche non possono insegnare con certezza che l’operazione chirurgica chiamata “craniotomia” sia lecita, come è stato dichiarato il 28 maggio 1884, così come qualsiasi altra operazione chirurgica che uccida direttamente il feto o la madre incinta.

Enciclica “Quamquam pluries“, 15 agosto 1889.

Il posto di San Giuseppe nell’economia della salvezza.

3260. Le ragioni e i motivi particolari per cui il Beato Giuseppe è comunemente ritenuto patrono della Chiesa, e che fanno sì che la Chiesa, da parte sua, si aspetti molto dalla sua protezione e dal suo patrocinio, sono il fatto che egli era lo sposo di Maria ed era ritenuto il padre di Gesù Cristo. Da questo derivavano tutta la sua dignità, la sua grazia, la sua santità ed il suo onore. Naturalmente, la dignità della Madre di Dio è così alta che nulla potrebbe essere più grande. Ma poiché tra Giuseppe e la Beata Vergine esisteva il vincolo del matrimonio, non c’è dubbio che più di ogni altro egli si avvicinasse a quella dignità suprema con cui la Madre di Dio supera di gran lunga tutte le nature create. Il Matrimonio è infatti la società e la relazione più intima di tutte, che per sua natura include la reciproca comunità dei beni. Perciò, dando Giuseppe alla Vergine come suo sposo, Dio non le ha certo dato solo un compagno per la vita, un testimone della sua verginità ed un custode del suo onore, ma anche, in virtù del patto matrimoniale stesso, una partecipazione alla sua eminente dignità. Allo stesso modo, egli è eminente tra tutti gli uomini per la sua altissima dignità perché è stato, per volontà divina, il custode del Figlio di Dio, considerato dagli uomini come il padre. Ne consegue che il Verbo di Dio era modestamente sottomesso a Giuseppe, che Egli obbediva alla sua parola e che gli tributava l’onore che i figli debbano tributare ai genitori.

3261. Ma da questa doppia dignità derivavano i doveri che la natura impone ai padri di famiglia, cosicché Giuseppe era il custode oltre che l’amministratore ed il legittimo e naturale difensore della casa divina di cui era il capo. Egli esercitò certamente questi uffici e funzioni per tutta la sua vita mortale. …

3262. Ora, la casa divina, che Giuseppe governava come con l’autorità del padre, conteneva le primizie della Chiesa nascente. Come la Vergine santissima è colei che ha dato alla luce Gesù Cristo, così è la Madre di tutti i Cristiani, che ha partorito sul monte del Calvario in mezzo alle supreme sofferenze del Redentore; e allo stesso modo Gesù Cristo è come il primogenito dei Cristiani, che per adozione e redenzione sono suoi fratelli.

3263. Queste sono le ragioni per cui il beato Patriarca considera particolarmente affidata a lui la moltitudine dei Cristiani di cui si compone la Chiesa, cioè questa immensa famiglia diffusa su tutta la terra sulla quale, in quanto sposo di Maria e padre di Gesù Cristo, possiede per così dire un’autorità paterna. È quindi molto naturale e degno del Beato Giuseppe che, come un tempo provvedeva a tutte le necessità della famiglia di Nazareth e la circondava con la sua protezione, ora copra e protegga la Chiesa di Cristo con il suo celeste patrocinio.

Risposta del Sant’Uffizio al Vescovo di Marsiglia, 30 luglio 1890.

Vino da Messa.

3264. In molte parti della Francia, specialmente nel Sud, il vino bianco usato per il Sacrificio incruento è così debole e senza forza che non può essere conservato a lungo, a meno che non vi si mescoli una certa quantità di spirito di vino (all).

Domande: 1. È consentita tale mistura? 2. E se sì, quanta di questa sostanza esterna può essere aggiunta al vino? 3. Se sì, deve essere spirito estratto dal vino puro o dal frutto della vite?

Risposta (confermata dal Sommo Pontefice il 31 luglio):

A condizione che l’acquavite (alcool) sia estratta dal prodotto della vite, e che la quantità di alcool aggiunta a quella contenuta per natura nel vino in questione non superi la proporzione del dodici per cento, e che la miscela sia fatta quando il vino è ancora giovane, non c’è nulla che impedisca di usare questo vino nel Sacrificio della Messa.

Lettera “pastoralis officii” ai Vescovi della Germania e dell’Austria. – 12 settembre 1890.

Duello.

3272. Le due leggi divine, sia quella che è stata proclamata dalla luce della ragione naturale, sia quella che è stata proclamata dalle Scritture composte sotto l’ispirazione divina, proibiscono formalmente che qualcuno, se non per una causa pubblica, ferisca o uccida un uomo, a meno che non sia costretto a farlo dalla necessità di difendere la propria vita. Ma chi chiede un combattimento privato o, se gli viene offerto, lo accetta, lo fa con lo scopo ed il tentativo, senza essere costretto da alcuna necessità, di strappare la vita all’avversario o almeno di ferirlo. Le due leggi divine vietano anche di esporre sconsideratamente la propria vita di fronte ad un pericolo grave e manifesto, quando nessun motivo di dovere o di carità magnanima inviti a farlo; e questa cieca temerarietà, con disprezzo per la vita, è chiaramente nella natura del duello. Ecco perché non può essere oscurità o dubbio per nessuno che chi si impegna privatamente in un combattimento singolo incorra nel crimine del sangue altrui ed esponga volontariamente la propria vita. Infine, non c’è flagello più contrario alla disciplina della vita sociale e più distruttivo dell’ordine pubblico di questa licenza concessa ai cittadini di farsi, di propria autorità e con le proprie mani, difensori del proprio diritto e vendicatori dell’onore che ritengono offeso.

3273. Anche per coloro che accettano un combattimento che viene loro offerto, la paura non è una scusa sufficiente, quando temono che se si rifiutano di combattere saranno comunemente considerati dei vigliacchi. Infatti, se i doveri degli uomini dovessero essere misurati in base alle false opinioni della folla, e non in base al criterio eterno di ciò che sia giusto e corretto, non ci sarebbe alcuna differenza naturale e genuina tra le azioni oneste e le azioni vergognose. Gli stessi saggi pagani sapevano e insegnavano che l’uomo forte e coraggioso dovrebbe disprezzare i giudizi fuorvianti della folla. Al contrario, è un giusto e santo timore che allontana l’uomo dall’omicidio iniquo, che lo spinge a preoccuparsi della propria vita e di quella dei suoi fratelli. Inoltre, colui che disprezza i vani giudizi della folla, che preferisce subire il colpo dell’insulto piuttosto che essere mai infedele al suo dovere, quest’uomo possiede chiaramente un’anima più grande e più elevata dell’altro che corre alle armi spinto dall’insulto. Per di più, se giudicato correttamente, egli è anche l’unico in cui risplende un solido coraggio, questo coraggio, dico, che è giustamente chiamato virtù, e che è accompagnato da una gloria che non è né fallace né ingannevole. Perché la virtù consiste nel fare il bene secondo ragione, e se non è basata sull’approvazione di Dio, ogni gloria è stolta.

EnciclicaOctobri mense“, 22 settembre 1891.

Maria mediatrice di grazie.

3274. Quando il Figlio eterno di Dio volle, per la redenzione e l’onore dell’uomo, assumere una natura umana ed a tal fine realizzare, per così dire, un’unione mistica con l’intero genere umano, non lo fece prima che la Madre prescelta avesse dato il suo libero consenso; Ella agiva, per così dire, nella persona del genere umano stesso, secondo la famosissima e verissima opinione dell’Aquinate: “Attraverso l’Annunciazione si attendeva il consenso della Vergine in nome dell’intera natura umana”. Per questo è lecito affermare con non minore verità e precisione che nulla di questo immenso tesoro di ogni grazia portato dal Signore – poiché “la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo” (Gv 1,17) – viene distribuito a noi, per volontà di Dio, se non attraverso Maria, così che, come nessuno possa giungere al Padre se non attraverso il Figlio, così, per così dire, nessuno possa giungere a Cristo se non attraverso la Madre….

3275. Dio ce l’ha donata come Colei alla quale, scegliendola come Madre di suo Figlio, abbia ispirato sentimenti veramente materni che non sono altro che amore e perdono; Gesù Cristo ce l’ha mostrata con la sua azione, volendo liberamente essere sottomesso a Maria e obbedirle come un figlio a sua madre. Così l’ha proclamata sulla croce, quando ha affidato l’intero genere umano alle sue cure e alla sua protezione nella persona del discepolo Giovanni (Gv XIX, 26ss; e così si è presentata, quando ha accettato con tutto il cuore l’eredità dell’immenso lavoro lasciato dal Figlio morente, e si è messa subito all’opera per compiere il suo dovere materno verso tutti.

Risposta del Sant’Uffizio all’Arcivescovo di Friburgo, 27 luglio 1892.

Cremazione dei cadaveri.

3276. Domande: 1. È lecito amministrare gli ultimi Sacramenti a fedeli che certamente non appartengano alla setta massonica e non siano guidati dai suoi principi, ma che, mossi da altri motivi, abbiano ordinato che i loro corpi siano bruciati dopo la loro morte, se non vogliono ritirare questo ordine?

3277. 2 È lecito offrire pubblicamente il Sacrificio della Messa, o anche applicarlo privatamente, per i fedeli che senza colpa siano stati bruciati, e anche accettare fondazioni a questo scopo?

3278. 3 È lecito collaborare alla cremazione dei corpi, sia dando ordini o consigli, sia assistendovi, come nel caso di medici, funzionari od operai che prestano il loro servizio in un crematorio? O questo è lecito almeno se viene fatto in caso di necessità e per evitare un grave pericolo?

4. È lecito dare i Sacramenti a coloro che collaborano in questo modo se non vogliono cessare la loro collaborazione o se dichiarino di non poterlo fare?

3279. Risposte: Per 1: Se dopo l’ammonizione rifiutano: no. Per stabilire se ci debba essere o meno un’ammonizione, si devono osservare le regole tramandate da autori collaudati, facendo attenzione soprattutto ad evitare lo scandalo.

Per 2. Per quanto riguarda l’applicazione pubblica della Messa: no. Per quanto riguarda l’applicazione privata: sì.

Per 3. non è mai permesso collaborare formalmente con un ordine od un consiglio. Tuttavia, la cooperazione materiale può essere tollerata di tanto in tanto, purché – 1. la cremazione non sia considerata come un segno di espressione della setta massonica, – 2. non vi sia contenuto nulla che esprima direttamente e unicamente il rifiuto della dottrina cattolica e l’approvazione della setta, e – 3. non sia stabilito che i funzionari e gli operai cattolici siano richiesti o chiamati a questo lavoro per disprezzare la Religione Cattolica. Anche se in questi casi devono essere considerati in buona fede, devono comunque essere sempre esortati a non cercare di collaborare alla cremazione. Per 4 – È stato chiarito in precedenza. E daremo il decreto del 15/12/1886.

Enciclica “Providentissimus Deus“, 18 novembre 1893.

Autorità per l’interpretazione della Sacra Scrittura.

3280. (Nel suo insegnamento, l’insegnante) farà riferimento alla traduzione della Vulgata, a proposito della quale il Concilio di Trento ha decretato che “nelle lezioni pubbliche, nelle discussioni, nella predicazione e nelle spiegazioni” debba essere ritenuta “autentica” (cf. 1506), e che sia raccomandata anche dalla prassi quotidiana della Chiesa. Tuttavia, si terranno in debito conto anche altre traduzioni che l’antichità cristiana abbia riconosciuto ed utilizzato, in particolare i primi manoscritti. Infatti, se il modo in cui la Vulgata esprime il fatto principale rivela chiaramente il significato ebraico e greco, quando qualcosa sia espresso in modo ambiguo, o meno preciso, sarà utile, come consiglia Agostino, “considerare le lingue precedenti”.

3281. .. Il Concilio Vaticano ha ripreso la dottrina dei Padri quando ha rinnovato il decreto del Concilio di Trento sull’interpretazione della Parola divina scritta e ha dichiarato che la sua volontà è che “nelle questioni di fede e di morale che riguardino lo sviluppo della dottrina cristiana, il vero significato della Sacra Scrittura debba essere assunto come quello che è stato ed è tenuto dalla nostra Madre, la Santa Chiesa, il cui compito è quello di giudicare il vero significato e l’interpretazione della Sacra Scrittura …”; e che, di conseguenza, a nessuno sia permesso di interpretare la Sacra Scrittura in modo contrario a questo significato, né all’unanime consenso dei Padri” (cf. 1507, 3007).

3282. Con questa saggia legge, la Chiesa non ostacola od intralcia in alcun modo l’erudizione biblica; al contrario, la protegge dall’errore e contribuisce potentemente al suo vero progresso. Infatti, ogni dottore privato vede aperto davanti a sé un vasto campo in cui, seguendo una direzione sicura, potrà, nel suo lavoro di interpretazione, lottare in modo notevole e con profitto per la Chiesa. Nei passi della Sacra Scrittura che attendono ancora una spiegazione certa e ben definita, può accadere, grazie ad un benevolo disegno della Divina Provvidenza, che il giudizio della Chiesa venga maturato, per così dire, da uno studio preparatorio; ma per i passi già definiti, il dottore privato potrà svolgere un ruolo altrettanto utile, sia spiegandoli in modo più chiaro alla folla dei fedeli o in modo più ingegnoso ai dotti, sia difendendoli con più forza contro gli avversari. …

3283. In altre materie si seguirà l’analogia della fede e si assumerà come norma suprema la Dottrina cattolica ricevuta dall’Autorità della Chiesa. …

3284 I santi Padri, che “dopo gli Apostoli hanno piantato, irrigato, edificato, nutrito e alimentato la santa Chiesa, che attraverso di loro si è sviluppata”, hanno la massima autorità ogni volta che tutti spieghino, in un modo, un testo della Bibbia riguardante la dottrina della fede e dei costumi: il loro accordo infatti sottolinea chiaramente che si tratti di una tradizione proveniente dagli Apostoli, secondo la fede cattolica. … (L’esegeta) non deve però pensare che la strada gli sia preclusa e che non possa, in presenza di una giusta causa, andare oltre nella sua ricerca e nelle sue spiegazioni, purché segua religiosamente il saggio precetto dato da Agostino di non discostarsi in alcun modo dal significato letterale ed evidente, a meno che non vi sia qualche motivo che gli impedisca di aderirvi o che renda necessario abbandonarlo. …

Risposta del Sant’Uffizio al Vescovo di Srinagar (India), 18 luglio 1894.

Battesimo dei figli di genitori infedeli.

3296. Domande (28 agosto 1886): 1 . I figli di infedeli possono essere battezzati se sono in pericolo (di morte), ma non in punto di morte?

2 . Si possono almeno battezzare questi bambini se non ci sia speranza di rivederli?

3. Se si può prudentemente ipotizzare di battezzare i figli di infedeli. E se si può prudentemente supporre che non sopravviveranno ad una malattia di cui sono attualmente affetti e che moriranno prima dell’età della discrezione?

4 . Possiamo battezzare i figli di non credenti che siano in pericolo (di morte) o in punto di morte, di cui dubitiamo che abbiano raggiunto l’età della discrezione e che non ci sia la possibilità di istruirli nelle realtà della fede?

Risposta: Per 1-3: sì; per 4: i missionari cercheranno di istruirli nel miglior modo possibile, altrimenti devono essere battezzati condizionatamente.

Risposta del Sant’Uffizio all’Arcivescovo di Cambrai, 24 luglio 1895.

Aborto.

3298. Spiegazione: Quando il medico Tizio fu chiamato da una donna incinta che versava in gravi condizioni, scoprì che la malattia che la metteva in pericolo di vita non avesse altra causa che la gravidanza stessa, cioè la presenza del feto nell’utero. Gli venne subito in mente che il modo per salvare la madre da una morte certa era quello di indurre un aborto, cioè di rimuovere il feto dall’utero. Questa era la strada che seguiva abitualmente, utilizzando mezzi e operazioni che non erano di per sé direttamente finalizzati all’uccisione del feto nel grembo materno, ma solo a far sì che, se possibile, il feto venisse al mondo vivo, anche se dovesse morire subito perché ancora totalmente immaturo. Ma dopo aver letto ciò che la Santa Sede ha risposto il 19 agosto 1988 all’Arcivescovo di Cambrai, “e cioè che non si possa insegnare con certezza” che un’operazione che uccide direttamente il feto sia lecita, anche se fosse necessaria per salvare la madre, Tizio ha dei dubbi sulla liceità delle operazioni chirurgiche con cui egli stesso ha talvolta indotto un aborto per salvare donne incinte gravemente malate. Domanda: Tizio chiede se possa tranquillamente eseguire di nuovo le suddette operazioni se si ripetono le circostanze di cui sopra.

Risposta (confermata dal Sommo Pontefice il 25 luglio): No, in base ad altri decreti, cioè quelli del 28 maggio 1884 e del 19 agosto 1889.

Risposta del Sant’Uffizio ad un Vescovo del Brasile, 5 agosto 1896.

Vino da messa.

3312. Presentazione … In questa regione l’uva è così debole e acquosa che per ottenere un vino passabile è necessario mescolare al mosto un po’ di zucchero preso da una pianta chiamata nella lingua locale canna de assugar (canna da zucchero). … Avendo letto… la risposta della Santa Romana e Universale Inquisizione del 25 giugno 1891, mi sono sorti alcuni dubbi:

Domanda: Il vino così prodotto può essere usato con sicurezza per il Santo Sacrificio della Messa?

Risposta (confermata dal Sommo Pontefice il 7 agosto): Al posto dello zucchero estratto dalla canna da zucchero, detta in lingua locale canna de assugar, si può aggiungere l’alcool, purché sia tratto dal frutto della vite e la sua quantità, aggiunta a quella che il vino in questione contiene naturalmente, non superi la proporzione del dodici per cento; questa miscela, tuttavia, deve essere fatta quando la cosiddetta fermentazione tumultuosa abbia cominciato a calmarsi.

Risposta del Sant’Uffizio all’Arcivescovo di Tarragona, 5 agosto 1896.

Vino da Messa.

3313. Domanda: 1. Il vino (da esportare), e in particolare il vino dolce, può essere conservato con l’aggiunta di acquavite di vino o di alcool, senza per questo cessare di essere un materiale adatto al Santo Sacrificio della Messa? 2. È lecito, per celebrare il Santo Sacrificio della Messa, usare vino ricavato da mosto che, prima della fermentazione del vino, sia stato concentrato mediante evaporazione sul fuoco?

Risposta (confermata dal Sommo Pontefice il 7 agosto): 1. purché… l’acquavite di vino sia stata estratta dal frutto della vite, e la quantità di alcool da aggiungere, insieme a quella che il vino in questione contiene naturalmente, non superi la proporzione del diciassette o diciotto per cento, e quando la miscela venga fatta quando la cosiddetta fermentazione tumultuosa abbia cominciato a placarsi, nulla impedisce che questo vino venga usato nel Sacrificio della Messa. Per 2. Questo è permesso a condizione che tale decozione non escluda la fermentazione alcolica e che la fermentazione stessa possa essere e sia ottenuta naturalmente.

Lettera “Apostolicae curae et caritatis“, 13 settembre 1896.

Ordinazioni anglicane.

3315. Nel rito di creazione e amministrazione di ogni Sacramento si distingue giustamente tra la parte cerimoniale e la parte essenziale, che siamo soliti chiamare materia e forma. Tutti sanno che i Sacramenti della Nuova Legge, in quanto segni sensibili ed efficaci di una grazia invisibile, devono significare la grazia che producono e produrre la grazia che significano (cf. 1310; 1606). Anche se questo significato deve essere trovato in tutto il rito essenziale, cioè nella materia e nella forma, esso attiene in particolare alla forma, poiché la materia è in parte indeterminata da sé, ed è la forma che la determina. E questo è ancora più evidente nel Sacramento dell’Ordine, dove, quando viene conferito, la materia, come appare in quel luogo, è l’imposizione delle mani; questa, naturalmente, non significa di per sé nulla di definito, ed è usata per alcuni ordini come per la Cresima.

3316. Ora, le parole che vengono usate ancora oggi dagli anglicani come forma propria dell’ordinazione presbiterale, cioè “Ricevi lo Spirito Santo”, sono ben lontane dal significare in modo definito l’ordinazione al sacerdozio o la sua grazia, e il potere che è principalmente il potere di “consacrare e offrire il vero corpo e sangue del Signore” (cf. 1771) in questo Sacrificio, che non è “la semplice commemorazione del sacrificio fatto sulla croce” (cf. 1753). È vero che a questa forma sisno state aggiunte in seguito le parole “per l’ufficio e la carica di presbitero”; ma ciò suggerisce piuttosto che gli anglicani stessi si siano accorti che questa forma precedente fosse difettosa e non adatta alla materia. Ma questa stessa aggiunta, supponendo che potesse dare alla forma il significato richiesto, fu introdotta troppo tardi, poiché era già passato un secolo dall’adozione dell’Ordinale Eduardianum, in quanto, essendosi estinta la gerarchia, non c’era più alcun potere di ordinare. …

3317. (Questo numero è suddiviso in 3 parti: 3317, 3317a, 3317b).

Lo stesso vale per la consacrazione episcopale. Non solo la formula “Ricevi lo Spirito Santo” è stata completata troppo tardi con le parole “per l’ufficio e la carica di vescovo”, ma, come diremo tra poco, anche queste parole devono essere intese diversamente dal rito cattolico. E non ha senso ricorrere alla preghiera del Prefazio Dio Onnipotente, poiché anche da essa sono state tolte le parole che designano il supremo sacerdozio. Naturalmente, non ha senso indagare qui se l’episcopato sia un complemento del sacerdozio o un ordine distinto da esso, o se quando venga conferito per saltum, cioè a un uomo che non è un sacerdote, abbia o meno un effetto. Ma è indubbio, come appare dalla stessa istituzione di Cristo, che (l’episcopato) è veramente parte del Sacramento dell’Ordine, e che è un sacerdozio in grado eminente; infatti, sia nel linguaggio dei Santi Padri che nel nostro uso liturgico, è chiamato il Supremo Sacerdozio, il vertice del sacro ministero. Ne consegue che poiché il Sacramento dell’Ordine e il vero Sacerdozio di Cristo sono stati completamente banditi dal rito anglicano, e di conseguenza nella consacrazione episcopale di quel rito il sacerdozio non venga in alcun modo conferito, nemmeno l’episcopato possa essere in alcun modo realmente e legittimamente conferito, tanto più che tra le funzioni primarie dell’episcopato c’è quella di ordinare i ministri per la Santa Eucaristia e il Sacrificio.

3317a. Per un giusto e pieno apprezzamento dell’Ordinale anglicano, al di là di ciò che sia stato criticato di alcuni suoi passaggi, non c’è nulla di più importante che considerare adeguatamente le circostanze in cui è stato composto e messo pubblicamente in vigore. Sarebbe troppo lungo passarle in rassegna tutte, né è necessario farlo: la storia di quel periodo mostra abbastanza chiaramente quale spirito animasse gli autori dell’Ordinario nei confronti della Chiesa Cattolica, quale sostegno cercassero dalle sette eterodosse e quale obiettivo perseguissero. Conoscendo bene il necessario legame tra fede e culto, tra la regola della fede e la regola della preghiera, essi distorsero in molti modi l’Ordinale della Liturgia in direzione degli errori dei novatori, con il pretesto di ripristinare la sua forma primitiva. Così, in tutto l’Ordinario, non solo non si parla espressamente di Sacrificio, di Consacrazione, di Sacerdozio, di potere di consacrare e di offrire sacrifici; ma anche le minime tracce di queste realtà, che ancora sussistevano nelle preghiere del rito cattolico non del tutto rigettate, sono state soppresse e cancellate con la cura di cui abbiamo parlato sopra.

3317b. Il carattere e lo spirito originario dell’Ordinario, come si dice, appaiono così di loro iniziativa. Ma poiché esso aveva compreso questo difetto fin dall’inizio, e non poteva in alcun modo essere valido per l’ordinazione, non poteva esserlo nemmeno nei tempi successivi, poiché rimaneva com’era. Invano hanno agito coloro che dal tempo di Carlo I si sono sforzati di ammettere qualcosa del Sacrificio e del Sacerdozio, ed hanno fatto un’aggiunta all’Ordinale; e altrettanto invano si sono sforzati alcuni anglicani che si sono riuniti ultimamente, e che pensano che lo stesso Ordinale possa essere giustamente compreso e ricondotto ad esso. Questi sforzi, diciamo, sono stati e sono vani, e anche per quest’altra ragione, che se nell’Ordinario anglicano, così com’è ora, certe espressioni contengono un doppio significato, non possono ancora assumere il significato che hanno nel Rito cattolico. Infatti, quando si adotta un Rito in cui, come abbiamo visto, il Sacramento dell’Ordine sia stato negato o distorto, e in cui sia stato ripudiato ogni riferimento alla Consacrazione e al Sacrificio, la formula “Ricevi lo Spirito Santo”, cioè lo Spirito che, con la grazia del Sacramento, viene infuso nell’anima, non ha più alcuna consistenza; e allo stesso modo le espressioni “per l’ufficio e la responsabilità di presbitero” o “di vescovo” e altre espressioni simili, non hanno più alcuna consistenza e rimangono come parole senza la realtà che Cristo ha istituito.

3318. A questo profondissimo difetto di forma è collegato un difetto di intenzione, anch’esso richiesto in modo necessario perché ci sia un Sacramento. La Chiesa non giudica il pensiero o l’intenzione, poiché si tratta di qualcosa di intrinsecamente interiore; ma nella misura in cui viene espressa, deve giudicarla. Quando, quindi, qualcuno, per conferire o amministrare un Sacramento, fa un uso serio e regolare del materiale e della forma richiesti, si ritiene, per questo stesso fatto, che abbia chiaramente inteso fare ciò che la Chiesa fa. È su questo principio che si basa la dottrina secondo cui si tratti di un vero Sacramento, anche quando sia stato conferito dal ministero di un eretico o di un non battezzato, purché sia stato conferito secondo il rito cattolico. Quando invece il rito viene modificato con l’intenzione nefasta di introdurne un altro non ricevuto dalla Chiesa, e di rifiutare ciò che la Chiesa fa e che, per istituzione di Cristo, fa parte della natura del Sacramento, allora è chiaro non solo che manca l’intenzione necessaria per il Sacramento, ma anche che ci sia qui un’intenzione contraria ed opposta al Sacramento.

3319. … (I consultori del Sant’Uffizio) furono unanimi nel riconoscere che la causa proposta era stata da tempo pienamente istruita e giudicata dalla Sede Apostolica… (Ma a Noi è sembrato bene) che ciò fosse nuovamente dichiarato in virtù della nostra Autorità… Perciò,… confermando e rinnovando (i decreti dei Pontefici nostri predecessori), pronunciamo e dichiariamo con la Nostra autorità, d’ufficio e con conoscenza certa, che le ordinazioni conferite secondo il rito anglicano sono state e sono assolutamente vane e del tutto nulle”.

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA DAGLI APOSTOLI A S.S. PIO XII (39a.): “Da LEONE XIII A PIO X, 1907”

GNOSI, TEOLOGIA DI sATANA (74): DEMOCRAZIA CRISTIANA= DEMONIOCRAZIA ANTICRISTIANA? (6)

LA DEMOCRAZIA CRISTIANA = DEMONIOCRAZIA ANTICRISTIANA? (6)

J. DELASSUS

L’ENCICLICA PASCENDI DOMINICI GREGIS e la DEMOCRAZIA

Alla Vergine Immacolata

GAUDE, MARIA VIRGO, CUNCTAS HÆRESES SOLA INTEREMISTI IN UNIVERSO MUNDO.

NIHIL OBSTAT: Insulis, die 26 decembris 1907.
H.QUILLIET, S. Th. Dr. Librorum Censor.
IMPRIMATUR: Cameraci, die 27 decembris 1907.
t FRANCISCUS, Arch.-Coadj. Cameracen

Société St. Augustin. “Desclée, De Brouwer et Cie

LILLE, 41, rue du Metz, 41.

Nella sua lettera a Temps sul tema dell’Enciclica Pascendi, M. Fonsegrive afferma di trovare in essa una conferma di ciò che aveva pensato di vedere nell’Enciclica ai Vescovi italiani: l’ingiunzione fatta da Pio X ai laici di tacere nella Chiesa: “Taceat mulier in Ecclesia“, si diceva già; taceat laicus, pronunzia Pio X. Nel pensiero di Pio X – aggiunge M. Fonsegrive dopo aver messo crudamente questa sentenza sulle labbra del nostro Santo Padre il Papa -.affinché la Chiesa sia ben ordinata è necessario che il clero sia imbevuto di sane dottrine, e questo è sufficiente. Il laico non avrebbe altro ruolo che quello dell’ascolto e dell’obbedienza. Chiunque sia e si proclami Cattolico, chiunque agisca in quanto tale, deve agire solo sotto l’impulso della Gerarchia o almeno sotto la sua direzione. E a questo proposito, nell’Enciclica c’è persino una frase molto rimarchevole che chiama una dottrina perniciosa, quella che “vuol fare dei laici nella Chiesa un fattore di progresso”. – Per dimostrare che M. Fonsegrive fa dire all’Enciclica dice ciò che essa non dice, è sufficiente sostituire la sua frase su cui egli impianta le sue lamentele, per non dire le sue recriminazioni. Questa frase si trova nel capitolo che tratta dell’evoluzione. Il Bulletin de la Semaine, il cui principale redattore è M. Fonsegrive, è il suo principale redattore, nell’analisi col quale fa precedere il testo dell’Enciclica, ha addirittura spostato questa frase. Egli l’ha data come appartenente alla seconda parte dell’Enciclica, quella che tratta delle cause del modernismo. In questa parte esa causa ancora più stupore di qui, nell’isolamento in cui si presenta. Così viene introdotta la frase incriminata. Pio X mostra come i modernisti concepiscano e presentino l’evoluzione del dogma. Essa risulta – essi dicono – da un conflitto tra due forze, una delle quali spinge verso il progresso mentre l’altra tende alla sua conservazione. La forza conservatrice è condivisa dalla Chiesa. La forza progressista è nelle coscienze individuali e soprattutto in coloro che sono a contatto più intimo con la vita. Voi vedete apparire Venerabili Fratelli -disse Pio X allora – questa dottrina perniciosa che vuole fare della laicità nella Chiesa un fattore di progresso”, o di evoluzione dogmatica. Questo progresso di cui certi laici vogliono fare dei fattori autorizzati, sarà quindi il risultato di una transizione tra la forza conservatrice, che è nella Chiesa docente, e la forza progressista che si trova nella massa dei fedeli. Quest’ultima farebbe pressione sui depositari dell’autorità fino a quando non arrivino a modificare i dogmi in loro custodia come richiesto dalle esigenze dello spirito dei tempi. Pio X non riconosce affatto questo diritto ai laici, che egli stesso non possiede, nessuno può sorprendersi, se non il modernista che vede con difficoltà ribattere delle pretese che nessuno al mondo può arrogarsi. – È quindi ingiusto affermare che Pio X rifiuti il laico e lo condanni al silenzio, o che imponga rudemente il silenzio nella Chiesa (La Chiesa non sarà mai laica. come vorrebbe la legge delle associazioni culturali, come vorrebbero i modernisti ed i democratici – Essa può incoraggiare le iniziative generose di uomini di fede e di cuore che formino con la loro luce, attraverso la loro devozione ed il loro valore, il baluardo più saldo del sacerdozio; essa può farne dei battaglioni di élite o soldati di avanguardia per le lotte di parole e di scritti; può glorificare la natura eroica dei loro sforzi. Anche questa sbornia di democrazia da cui è travagliata la nostra età, impura contraffazione dell’ideale evangelico, ha potuto, malgrado le sue illusioni ed il potere dissolvente di cui dispone, prolungare i suoi trastulli sotto lo sguardo indulgente della Chiesa, senza incorrere nei suoi anatemi. Ma il giorno in cui minacciò di invadere l’ordine spirituale, questo contagio secolare divenne un pericolo per la Chiesa e la Chiesa stessa dovette rompere il suo silenzio. Essa può tollerare per un certo tempo certi eccessi dello spirito secolare; ma laicizzarsi essa stessa non può. – Studi. Ademar D’ALES). Oggi, come ieri, il laico è ammesso alla collaborazione attiva nell’esporre e propagandare la verità religiosa. Ma questa verità, non è a lui che spetta creare, e neanche di farla evolvere; questo non appartiene a nessuno. Essa è ciò che è. Lo Spirito Santo l’ha posta all’interno della Chiesa. È lì nella sua interezza dal giorno della Pentecoste. Spetta al Magistero attingere a questo tesoro e presentarne le ricchezze. È questa l’opera del Dottore. – Nella Chiesa c’è un Dottore sovrano ed infallibile: il Papa. Il suo Magistero si esercita in forma positiva nelle Costituzioni Apostoliche, o in forma negativa con la condanna.degli errori. Le sue decisioni sull’una o sull’altra di queste due direzioni, non richiedono solo il rispetto esteriore, ma anche l’assenso interiore dello spirito. C’è poi la magisteto del Vescovo nella sua diocesi. Esso non è così assoluto, perché il Vescovo non gode dell’infallibilità ma, tuttavia, egli non può convenire sul fatto che un Cattolico possa muovere in pubblico critiche alla dottrina del suo Vescovo. È a Roma che deve portare, se necessario, le sue rimostranze e questo perché il Vescovo è, per diritto divino, Dottore nella diocesi a lui assegnata. Egli non è solo un Dottore di sorveglianza, per cui i Sacerdoti e di laici possano essere, accanto a lui, altri Dottori sui quali egli debba solo esercitare la sua vigilanza. I Sacerdoti e, a maggior ragione, i laici, non hanno ricevuto immediatamente da Dio, come il Vescovo, l’incarico di insegnare al popolo cristiano; essi non sono, come il Vescovo, i rappresentanti ufficiali e garanti della tradizione cattolica. La loro scienza, le loro funzioni conferiscono loro solo un diritto di ordine secondario. Ed è per questo che non li si debba accettare come guide e luci se non quando rimangano dipendenti dal loro Vescovo, egli stesso soggetto alla suprema autorità del Papa. Da ciò non consegue che i laici e, più forzatamente, i Sacerdoti nella Chiesa non possano collaborare all’esposizione della dottrina e persino contribuire allo sviluppo delle scienze sacre. Il lavoro dell’intelligenza, sui dati della rivelazione, costituisce la scienza teologica nelle sue varie branche. -Questa scienza si è sviluppata di epoca in epoca e può essere sempre migliorata. Non è monopolio di nessuno, e la Chiesa plaude volentieri a tutti gli sforzi che si fanno per comprendere meglio la verità, per manifestarla più chiaramente e per diffonderla più ampiamente: sia che questi sforzi siano fatti da Vescovi, Sacerdoti o da laici. Maa laici e Sacerdoti hanno, nell’episcopato e soprattutto nel Pontificato, giudici supremi dell’ortodossia della loro scienza a cui devono sottomettersi. Non hanno nulla da temere finché le loro investigazioni continueranno nella direzione impressa segnata dall’insieme della tradizione dottrinale del Cattolicesimo. Questa disciplina, se finalmente praticata correttamente dai Vescovi e dai loro greggi, attenuerebbe gradualmente queste deplorevoli differenze tra i Cattolici sui punti della dottrina che costituiscono la base della nostra vita religiosa e sociale. Produrrebbe questa concentrazione di menti nella verità essenziale della nostra salvezza. – È auspicabile che il voto che abbiamo formulato all’inizio di queste pagine si realizzi grazie alle misure adottate dal nostro Santo Padre il Papa nella sua Enciclica, in cui la fermezza della sua volontà è così ben combinata con la lucidità dell’intelligenza. – Dopo aver esposto il male che affligge molte menti in tutta la sua profondità e in tutta la sua estensione. Pio X ricorda come fossero state recepite le parole e le azioni di Leone XIII per opporvisi: ” Con aria affettata di sottomissione e di rispetto, presero le parole piegandole ai loro intenti; gli atti li applicatono a tutt’altro che a sé stessi”; poi, perché non si riproducendo un tale disordine Sua Santità dice: “Noi siamo giunti alla decisione di prendere, senza ulteriori ritardi, misure più efficaci. La prima di queste misure riguarda gli studi. Come Leone XIII, Pio X voleva ed ordinava che la filosofia scolastica, cioè la filosofia del buon senso, la filosofia dell’uomo del popolo, allo stesso tempo quella dell’uomo di genio, fosse alla base delle scienze sacre e che su questa base si elevarsi solidamente l’edificio teologico. La seconda riguarda i maestri: che ci sia escluso senza salvezza della posizione di direttore o di professore, chiunque, in un modo o nell’altro, che si dimostri imbevuto di modernismo, impedirne le pubblicazioni e se già edite, impedirne la lettura. Proibizione di seguirne i corsi nelle università civili. – La terza, i libri ed i giornali.. Per i libri, è dovere dei Vescovi, per quanto riguarda gli scritti modernisti, impedire la loro pubblicazione, e, se pubblicati ostacolarne la lettura. Che essi ricorrano per questo, se necessario, ad una proibizione solenne, anche se il libro può avere ottenuto l’imprimatur per mancanza di un esame sufficientemente accurato. È un precetto rigoroso stabilire in tutte le curie episcopali, censori, d’ifficio, incaricati di esaminare le opere da pubblicare. – Per quanto riguarda i giornali, ai membri del clero secolare o regolare è vietato assumere l’incarico di di giornali o riviste senza il permesso degli Ordinari; che a ogni giornale venga assegnato, per quanto possibile, un censore, il cui compito sarà quello di esaminare in tempo utile ogni numero pubblicato e, se c’è qualche idea pericolosa, di imporne la ritrattazione il più presto possibile. – Il quarto i congressi. Che i Vescovi non permettano più, o solo molto raramente, dei congressi sacerdotali. In questo caso, i Sacerdoti delle diocesi straniere non potranno intervenirvi senza un permesso scritto del loro Ordinario. Affinché queste misure possano avere effetto, il Nostro Santo Padre il Papa decreta che in ogni diocesi venga istituito senza indugio un Consiglio di Vigilanza che si riunisca ogni due mesi, in un giorno prestabilito, sotto la presidenza del Vescovo responsabile di sorvegliare, molto attentamente e tutti i segni e le tracce del modernismo, sia nelle pubblicazioni che nell’insegnamento e di prendere, per preservare il clero e i giovani, prudenti ma tempestivi ed efficaci provvedimenti. In particolare, dovrà avere l’occhio assiduamente e diligentemente aperto sulle istituzioni sociali e sugli scritti che trattano di questioni sociali (“Infine, raccomandiamo che il Consiglio di Vigilanza abbia assiduamente e diligentemente aperti gli occhi su tutte le istituzioni sociali e soprattutto sugli scritti che trattino di questioni sociali, al fine di vedere se ci sia qualche modernismo che si insinui, e se tutto sia in linea con le opinioni dei Sovrani Pontefici” – Enciclica Pascedi.). Infine, affinché queste prescrizioni non vengano a cadere nell’oblio, il Santo Padre desidera ed ordina che tutti gli Ordinari diocesani, un anno dopo la pubblicazione dell’Enciclica, e poi ogni tre anni, inviino alla Santa Sede una fedele e corroborata dal giuramento sull’esecuzione delle Ordinanze in essa contenute, nonché sulle dottrine correnti nel clero, e specialmente nei seminari e nelle altre istituzioni cattoliche. – Se un tale insieme di prescrizioni rimanesse senza l’efficacia desiderata, si dovrebbe disperare per sempre di vedere il ristabilirsi di un’unione di spiriti nella verità, e concludere con l’impossibilità di opporre un esercito cattolico, compatto e risoluto, all’armata infernale che ha giurato di distruggere la Chiesa fino alle sue ultime fondamenta. Avremmo ritenuto del tutto inutile scrivere e pubblicare queste pagine, se I capi della Democrazia Cristiana avessero accolto con favore l’Enciclica del Sovrano Pontefice con il rispetto e la sottomissione dovutigli. Purtroppo abbiamo visto che non è così. Vogliono mantenere i loro seguaci alla loro scuola, come dicono loro.. Questi discepoli devono sapere questo: ciò che questa scuola insegna, in molti e troppo spesso, si rivela essere ciò che è condannato dalla Santa Sede come eretico o che porta a tutte le eresie. È giusto che alla vigilia delle ultime battaglie che l’inferno si prepara a combattere contro di noi tutti debbano sapere a chi appartengono. In presenza dell’esercito del male, l’esercito del bene deve mostrarsi compatto. Come diceva recentemente l’Abate Dabry: “Da tanto tempo gli uomini sono separsti da differenze tanto profonde ed inconciliabili quanto quelle che oppongono l’uno all’altro il partito conservatore e lo spirito democratico, e sarebbe una perdita di tempo il voler associare ed unificare le energie”. (Vie catholique, n. 17 agosto 1907). – La sua conclusione è che tutti coloro che hanno uno spirito tradizionale debbano essere eliminati dal blocco che egli vuole formare. “Noi fonderemo alfine questo partito repubblicano-democratico, con l’unione democratica, il comitato radical-socialista ed i socialisti, che aiuterà la Repubblica a rompere, alle prossime elezioni, il nuovo sforzo della reazione”. (n. del 2 nov. 1907). Spetta ai democratici cristiani vedere se questo blocco arrida loro. Ma devono riconoscere con l’Abate Dabry, che è una perdita di tempo tentare di associare ed unificare le energie se l’associazione e l’unificazione non si facciano prima di tutto negli spiriti. L’Enciclica segna il radicamento di tutti i veri Cattolici nell’aderire alle verità di ieri e di domani. Che ognuno si schieri dalla sua parte. Chi si sente più democratico che Cristiano e che vuole rimanere tale, segua l’abate Dabry nel campo dei socialisti e dei modernisti di ogni denominazione. E chi è Cristiano prima di tutto e soprattutto vada dal Vicario di Nostro Signore Gesù Cristo e gli dica: “Da chi andremo se non da te? Tu solo hai parole di vita eterna!

GNOSI TEOLOGIA DI sATANA (69): DEMOCRAZIA CRISTIANA = DEMONIOCRAZIA ANTICRISTIANA? (1)

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA DAGLI APOSTOLI A S.S. PIO XII (37): “Da PIO IX (1872-1878) a LEONE XIII (1878-1886)

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA DAGLI APOSTOLI A S.S. PIO XII (37)

HENRICUS DENZINGER

ET QUID FUNDITUS RETRACTAVIT AUXIT ORNAVIT

ADOLFUS SCHÖNMATZER S. J.

ENCHIRIDION SYMBOLORUM DEFINITIONUM ET DECLARATIONUM

De rebus fidei et morum

HERDER – ROMÆ – MCMLXXVI

Imprim.: Barcelona, José M. Guix, obispo auxiliar

(da PIO IX, 1872-1878; a LEONE XIII, 1878-1886)

Risposta del Sant’Uffizio al Vicario Apostolico dell’Oceania Centrale, 18 dicembre 1872.

Fede e intenzione del ministro del Sacramento.

3100. Domande: 1. Il Battesimo amministrato da questi eretici (metodisti) è dubbio per mancanza di intenzione di fare ciò che Cristo ha voluto, se è stato espressamente dichiarato dal ministro, prima di battezzare, che il Battesimo non ha effetto sull’anima?

3101. 2. Un Battesimo così conferito è dubbio se la suddetta dichiarazione non sia stata fatta espressamente subito prima del conferimento del Battesimo, ma è stata pronunciata spesso dal ministro e questa dottrina è apertamente proclamata in quella setta?

Istruzione della Sacra Congregazione per la Propagazione della fede.

3102. Risposta: Questo dubbio è già stato affrontato in passato, ed è stato risposto a favore della validità del Battesimo, come si può vedere in Benedetto XIV, De synodis diocesanis l. VII, cap. VI, n. 9 dove troviamo quanto segue: “Il Vescovo si guardi dal considerare incerta e dubbia la validità di un Battesimo per la sola ragione che il ministro eretico da cui è stato conferito, non credendo che con il bagno di rigenerazione si tolgono i peccati, non lo abbbia conferito per il perdono dei peccati, e che quindi non abbia inteso eseguirlo come è stato stabilito da Cristo Signore…. “La ragione di ciò è chiaramente insegnata dal Cardinale Bellarmino, De Sacramentis in genere (1.I, c. 27, n. 13): dopo aver smascherato l’errore di coloro… che affermano che nel canone 11 della VII sessione, il Concilio di Trento (cf. 1611) ha definito che un Sacramento è valido solo se l’intenzione del ministro si riferisce non solo all’atto ma anche al fine del Sacramento, cioè se intende fare ciò per cui il Sacramento è istituito, aggiunge quanto segue: “… in tutto il Canone 11, il ministro non ha intenzione di fare ciò per cui è istituito. … in tutto il Canone 11, infatti, il Concilio non menziona il fine del Sacramento, e non dice che il ministro debba intendere fare ciò che è intenzione della Chiesa, ma ciò che la Chiesa fa. Ora, ciò che la Chiesa fa non significa il fine, ma l’azione…. “Per questo Innocenzo IV afferma nel De baptismo, (cap. 2, n. 9), che un Battesimo è valido se sia conferito da un saraceno che notoriamente crede che con l’immersione ci si bagni soltanto, purché intenda fare ciò che fanno gli altri che battezzano”. Conclusione della risposta: Per 1. no: perché nonostante l’errore sugli effetti del Battesimo, non è esclusa l’intenzione di fare ciò che fa la Chiesa. – Per 2. si risponde in 1.

Istruzione S. Congr. Propaganda fide, 1873.

Guadagni su un prestito.

3105. Conclusione (tratta da tutte le soluzioni citate nell’Istruzione): 1. In generale, si deve dire che non si possa ricevere nulla per un prestito in virtù del prestito, cioè direttamente e semplicemente a causa del prestito.

3106. (2) È lecito ricevere qualcosa in aggiunta al capitale se questo si aggiunge al prestito a titolo estrinseco, che non sia comunemente collegato e inerente al prestito per sua natura.

3107. (3) Se manca qualche altro titolo, come un guadagno che cessi, una perdita che si verifichi, e il pericolo di perdere il capitale o gli sforzi da fare per recuperare il capitale, il titolo di diritto civile da solo può anche essere considerato sufficiente in pratica, sia dai fedeli che dai loro confessori, che non sono quindi autorizzati a preoccupare i loro penitenti su questo argomento finché la questione rimanga in sospeso e finché la Santa Sede non l’abbia definita esplicitamente.

3108. (4). La tolleranza di questa pratica non può in alcun modo essere estesa fino a rendere l’usura onesta, per quanto lieve, nel caso dei poveri, o l’usura smodata che superi i limiti dell’equità naturale.

3109. 5. Infine, non è possibile determinare universalmente quale quantità di usura debba essere considerata smodata ed eccessiva, e quale giusta e moderata, poiché questa deve essere misurata in ogni caso particolare, tenendo conto di tutte le circostanze del luogo, della persona e del tempo.

Risposte al dispaccio circolare del Cancelliere Bismarck sull’interpretazione della costituzione “Pastor Æternus” del Vaticano I – gennaio-marzo 1875.

La giurisdizione del Papa e dei Vescovi.

a) Dichiarazione congiunta dei Vescovi tedeschi, gennaio-febbraio 1875.

3112. (Falsa dottrina) : Il dispaccio circolare afferma, a proposito delle decisioni del Concilio Vaticano: “Con queste decisioni il Papa è d’ora in poi in grado di arrogarsi in ogni diocesi i diritti episcopali e di sostituire il Potere Ppontificio a quello dei Vescovi locali”. “La giurisdizione episcopale viene assorbita da quella papale”. “Il Papa non esercita più, come in passato, alcuni diritti riservati e determinati, ma è depositario della piena e completa potestà episcopale”. “Il Papa sostituisce, in linea di principio, ogni Vescovo individualmente, e dipende solo dal Papa mettersi in pratica e in ogni momento al posto del Vescovo in relazione ai governi”. I Vescovi non sono più che suoi strumenti, suoi servitori senza alcuna responsabilità propria”; “sono diventati, nei confronti dei governi, i servitori di un Sovrano straniero, anzi di un Sovrano che, in virtù della sua infallibilità, è un Ssovrano perfettamente assoluto, più di quanto non lo sia il governo di qualsiasi monarca assoluto del mondo”. Tutte queste tesi sono prive di fondamento edd in netta contraddizione con il testo edd il significato delle decisioni del Concilio Vaticano, testo e significato pubblicati e dichiarati dal Papa, dall’episcopato e dai rappresentanti della scienza cattolica.

3113. (Retta dottrina): Indubbiamente le decisioni del Concilio attestano che la potestà di giurisdizione ecclesiastica del Papa è: potestas suprema, ordinaria et immediata, una suprema potestà di governo conferita al Papa da Gesù Cristo Figlio di Dio nella persona di San Pietro che si estende direttamente su tutta la Chiesa, di conseguenza su ogni diocesi e su tutti i fedeli, al fine di preservare l’unità della fede, della disciplina e del governo della Chiesa, e non è affatto una semplice attribuzione consistente in alcuni diritti riservati. Ma questa non è una dottrina nuova, è una verità riconosciuta della fede cattolica,… recentemente spiegata e confermata dal Concilio Vaticano… contro gli errori dei Gallicani, dei Giansenisti e dei Febroniani. Secondo questa dottrina della Chiesa Cattolica, il Papa è Vescovo di Roma, ma non di altre diocesi o città; non è Vescovo di Breslau, né di Colonia, ecc. Ma nella sua veste di Vescovo di Roma, è allo stesso tempo Papa, cioè pastore e capo supremo della Chiesa universale, capo di tutti i Vescovi e di tutti i fedeli, ed il suo potere papale deve essere rispettato ed ascoltato ovunque e sempre, e non solo in casi particolari ed eccezionali. In questa posizione, il Papa deve assicurarsi che ogni Vescovo compia il suo dovere nella piena misura del suo ufficio. Se un Vescovo è impossibilitato a farlo, o se si presenta una qualsiasi necessità, il Papa ha il diritto ed il dovere, non nella sua qualità di Vescovo della diocesi, ma in quella di Papa, di ordinare tutto ciò che sia necessario per l’amministrazione della diocesi sotto la sua responsabilità personale.

3114. Le decisioni del Concilio Vaticano non forniscono il minimo pretesto per affermare che il Papa sia diventato in tal modo un sovrano assoluto e, in virtù della sua infallibilità, un sovrano perfettamente assoluto più di qualsiasi monarca assoluto del mondo. In primo luogo, il potere ecclesiastico del Papa è essenzialmente diverso da quello su cui si estende la sovranità temporale dei monarchi; quindi i cattolici non contestano in alcun modo la completa sovranità del loro principe in materia civile. A parte tutto questo, il Papa non può essere definito un monarca assoluto nemmeno in materia ecclesiastica, perché egli stesso è soggetto alla legge divina ed è vincolato dalle disposizioni stabilite da Gesù Cristo per la sua Chiesa. Non può modificare la costituzione data alla Chiesa dal suo fondatore divino, proprio come un legislatore temporale può modificare la costituzione dello Stato. La costituzione della Chiesa è fondata in tutti i suoi punti essenziali su un’ordinanza divina e rimane al di fuori della portata dell’arbitrio umano.

3115. È in virtù di questa stessa istituzione divina, su cui poggia il papato, che viene istituito l’episcopato. Anch’egli ha i suoi diritti e i suoi doveri in virtù di questa istituzione, data da Dio stesso, che il Papa non ha né il diritto né il potere di cambiare. È quindi un errore completo credere che con le decisioni del Concilio Vaticano II “la giurisdizione papale assorba la giurisdizione episcopale”, che il Papa abbia “sostituito in linea di principio ogni singolo vescovo”, che i vescovi siano ora “solo strumenti del Papa, e suoi servitori senza responsabilità propria”… Per quanto riguarda questa (ultima) affermazione… non possiamo che respingerla con decisione. Non è nella Chiesa cattolica che si accetta il principio immorale e dispotico secondo cui l’ordine di un superiore si scarica senza alcuna responsabilità propria.

3116. Infine, l’affermazione che il Papa sia diventato, “in virtù della sua infallibilità, un sovrano perfettamente assoluto”, si basa su un’idea completamente falsa del dogma dell’infallibilità papale. Come ha dichiarato il Concilio Vaticano II in termini chiari e inequivocabili, e come risulta dalla natura stessa della questione, l’infallibilità si riferisce esclusivamente ad una qualità del Magistero del Sommo Pontefice, e questo potere si estende esattamente sullo stesso ambito dell’insegnamento infallibile della Chiesa, ed è legato al contenuto della Sacra Scrittura e della Tradizione, così come alle decisioni dottrinali precedentemente date dall’insegnamento della Chiesa. Nell’esercizio del potere del Papa non è cambiato assolutamente nulla.

3117. … Questa gloria della Chiesa è stata nuovamente mantenuta da voi, venerabili Fratelli, quando vi siete impegnati a spiegare il vero significato dei decreti del Concilio Vaticano, artificiosamente distorti in una circolare resa pubblica, e avete così impedito che i fedeli si formassero false nozioni e che un’odiosa falsificazione creasse un ostacolo alla libera scelta di un nuovo Pontefice. La vostra dichiarazione collettiva si distingue per la sua chiarezza e precisione, tanto da non lasciare nulla di intentato, da essere per Noi motivo di grande gioia e da non dover aggiungere nulla. Ma le false affermazioni di alcuni periodici richiedono da parte nostra una più solenne testimonianza di approvazione, perché, per mantenere le affermazioni da voi confutate nella suddetta circolare, hanno l’audacia di rifiutare di dare credito alle vostre spiegazioni, sostenendo che la vostra interpretazione dei decreti del Concilio fosse solo un’interpretazione attenuata e che non corrispondesse in alcun modo alle intenzioni di questa Sede Apostolica. Pertanto, ripudiamo formalmente questa perfida e calunniosa supposizione. La vostra dichiarazione riporta la pura dottrina cattolica e, di conseguenza, quella del Santo Concilio e di questa Santa Sede, perfettamente stabilita e chiaramente sviluppata da argomenti evidenti ed inconfutabili, in modo tale da dimostrare a qualsiasi uomo di buona fede che, nei decreti incriminati, non ci sua assolutamente nulla di nuovo o che cambi qualcosa nei rapporti che sono esistiti finora, o che possa fornire un pretesto per opprimere ancora di più la Chiesa…

Decreto del Sant’Uffizio del 7 luglio 1875.

b) Lettera ApostolicaMirabilis illa constantia” ai Vescovi della Germania, 4 marzo 1875.

La dottrina della transustanziazione nell’Eucaristia.

3121. Domanda: Si può tollerare una spiegazione della transustanziazione nella Santissima Eucaristia riassunta nelle seguenti proposizioni?

1. Come la ragione formale dell’ipostasi è di essere da sé, o di sostituirsi a sé, così la ragione formale della sostanza è di essere in sé e non di sostenersi, in modo attuale, in un altro come in un soggetto primario; le due cose infatti vanno distinte chiaramente: essere da sé (che è la ragione formale dell’ipostasi), ed essere in sé (che è la ragione formale della sostanza).

3122. 2. Pertanto, come la natura umana in Cristo non è un’ipostasi, poiché non sussiste da sé ma è stata assunta dall’ipostasi superiore, divina, così una sostanza finita – ad esempio la sostanza del pane – cessa di essere sostanza per il solo motivo, e senza alcun altro cambiamento in sé, di essere sostenuta soprannaturalmente in un’altra, in modo da non essere più in sé ma in un’altra come in un soggetto primario.

3123. 3. Ecco perché la transustanziazione o il cambiamento di tutta la sostanza del pane nella sostanza del Corpo di nostro Signore Gesù Cristo si può spiegare nel senso che il Corpo di Cristo, quando diventa sostanzialmente presente nell’Eucaristia, sostenga la natura del pane, che cessa di essere sostanza per la sola ragione, senza alcun altro cambiamento in sé, che non è più in sé, ma in un altro che la sostiene. Quindi, la natura del pane rimane, ma la ragione formale della sostanza cessa in esso; ed è per questo che non ci sono due sostanze, ma una sola: cioè quella del Corpo di Cristo.

3124. (4) Ne consegue che nell’Eucaristia la materia e la forma degli elementi del pane rimangono; ma esistendo in un altro in modo soprannaturale, non hanno più la ragione di una sostanza, ma la ragione di un accidente soprannaturale, non come se fossero attaccati al Corpo di Cristo nel modo degli accidenti naturali, ma solo perché sono sostenuti dal Corpo di Cristo nel modo che è stato detto.

Risposta. Così come è presentata qui, non può essere tollerata.

Istruzione del Sant’Uffizio al Vescovo di Nesqually (Seattle), 24 gennaio 1877.

Fede e intenzione del ministro del Sacramento.

3126. …la tua ampiezza sa che è una regola di fede che un Battesimo amministrato da qualcuno, sia esso scismatico o eretico, o anche non credente, debba essere considerato valido dal momento che i vari elementi con cui si compie il Sacramento, cioè la materia richiesta, la forma prescritta e la persona del ministro con l’intenzione di fare ciò che fa la Chiesa, concorrano nella sua amministrazione. Il risultato è che particolari errori professati, sia privatamente che in nome della Chiesa, non possano essere accettati [come invalidanti]. Coloro che lo amministrano, non possono influire sulla validità del Battesimo o di qualsiasi altro Sacramento… Inoltre… errori particolari da parte di coloro che lo amministrano non escludono di per sé e per loro natura l’intenzione che il ministro deve avere, cioè di fare ciò che fa la Chiesa (si fa riferimento alla risposta del Sant’Uffizio del 18 dicembre 1872. (vv. 3100 – 3102). Vostra Signoria vede dunque… che gli errori professati dagli eretici… non sono incompatibili con l’intenzione che i ministri dei Sacramenti sono tenuti ad avere riguardo alla necessità di questi Sacramenti, cioè di fare ciò che la Chiesa fa, o di fare ciò che Cristo ha voluto che fosse fatto; e questi errori non possono di per sé indurre una presunzione generale contro la validità dei Sacramenti in generale e del Battesimo in particolare, che sarebbe tale da stabilire da questo semplice fatto un principio pratico applicabile a tutti i casi, in virtù del quale il Battesimo dovrebbe essere conferito di nuovo, per così dire a priori.

LEONE XIII: 20 febbraio 1878-20 luglio 1903.

Decreto del Sant’Uffizio del 20 novembre 1878.

Battesimo conferito in modo assoluto e condizionato.

3128. Domanda: Il Battesimo deve essere conferito condizionatamente agli eretici che si convertono alla Religione Cattolica, indipendentemente dalla loro provenienza e dalla setta di appartenenza?

Risposta: No. Al contrario, nel caso di conversione di eretici, indipendentemente dal luogo di provenienza o dalla setta di appartenenza, si deve indagare sulla validità del Battesimo ricevuto nell’eresia. Se, dopo un esame caso per caso, risulta che non siano stati battezzati o che siano stati battezzati in modo nullo, devono essere battezzati in modo assoluto. Ma se, per ragioni di tempo e di luogo e per le indagini fatte, non si scopra nulla né di valido né di invalido, o rimanga un probabile dubbio sulla validità del Battesimo, allora devono essere battezzati segretamente sotto condizione. Se infine risulta che fosse valido, saranno ammessi solo all’abiura o alla professione di fede.

Enciclica “Quod apostolici muneris“, 28 dicembre 1878.

Diritti umani nella società.

3130. Secondo gli insegnamenti del Vangelo, l’uguaglianza degli uomini consiste nel fatto che, avendo tutti ricevuto la stessa natura, siano stati chiamati alla stessa altissima dignità di figli di Dio, nello stesso tempo che, essendo a tutti destinato un unico e medesimo fine, ciascuno debba essere giudicato secondo la stessa legge ed ottenere la punizione o la ricompensa secondo il suo merito.

3131. L’ineguaglianza del diritto e del potere, tuttavia, proviene dall’Autore stesso della natura “dal quale ogni paternità in cielo e in terra trae il suo nome” (Ef III,15). Ma i cuori dei principi e dei sudditi sono, secondo la dottrina ed i precetti cattolici, così strettamente legati dai doveri e dai diritti, che da un lato la passione per il potere è temperata, e dall’altro l’obbedienza è resa facile, ferma e molto nobile. …

3132. Se, tuttavia, dovesse accadere che il potere venga esercitato dai principi in modo avventato ed oltre misura, la dottrina cattolica non permette di insorgere contro di loro di propria iniziativa, per evitare che la tranquillità dell’ordine venga sempre più turbata e che la società ne risenta maggiormente. E quando le cose sono arrivate al punto in cui non sembra esserci altra speranza di salvezza, impara che il rimedio deve maturare attraverso i meriti della pazienza cristiana e le preghiere sincere a Dio. Ma se le leggi dei legislatori e dei principi decidono o ordinano qualcosa di contrario alla legge divina o naturale, la dignità e il dovere del nome cristiano ed il precetto dell’Apostolo insegnano che dobbiamo obbedire a Dio piuttosto che agli uomini (Atti V,29)….

3133. Per quanto riguarda la tranquillità pubblica e domestica, la saggezza cattolica, sostenuta dai precetti della legge divina e naturale, vi ha provveduto con molta prudenza attraverso ciò che sostiene ed insegna sul diritto di proprietà e sulla distribuzione dei beni che sono disposti per la necessità e l’utilità della vita. Infatti, mentre i socialisti presentano falsamente il diritto di proprietà come un’invenzione umana che ripugna all’uguaglianza naturale degli uomini e, sostenendo la comunità dei beni, pensano che non si debba sopportare la povertà con animo uguale e che si possano violare impunemente i beni ed i diritti di chi è più ricco, La Chiesa riconosce molto più utilmente e saggiamente che la disuguaglianza tra gli uomini, che sono naturalmente diversi per forza d’animo e di corpo, esista anche nel possesso dei beni, e comanda che il diritto di proprietà e di possesso, che deriva dalla natura stessa, sia mantenuto intatto e inviolabile per ogni persona. Sa infatti che il furto e la rapina sono stati condannati da Dio, autore e custode di ogni diritto, così che non sia permesso nemmeno guardare (desiderare) la proprietà altrui, e che i ladri ed i rapinatori sono esclusi, come gli adulteri e gli idolatri, dal Regno dei cieli (1 Cor VI,9ss.).

Enciclica “Aeterni patris“, 4 agosto 1879.

L’importanza della filosofia per rafforzare la fede.

3135. Certamente non attribuiamo alla filosofia umana una forza e un’autorità tali da ritenerla capace di respingere o distruggere tutti gli errori; come è stato grazie alla mirabile luce della fede, ottenuta non con parole persuasive di sapienza umana”, “ma dalla manifestazione dello Spirito e della potenza” (1 Cor II,4) che l’universo è stato restituito alla sua dignità originaria, così anche ora è soprattutto dalla virtù e dall’aiuto onnipotente di Dio che dobbiamo aspettarci… che le menti dei mortali tornino alla saggezza. Tuttavia, non dobbiamo disprezzare né trascurare gli aiuti naturali che sono stati messi a disposizione degli uomini da un favore della Sapienza divina…; e tra tutti questi aiuti, l’uso ben regolato della filosofia è certamente uno dei più eminenti. Non è invano che Dio abbia impiantato nella mente dell’uomo il lume della ragione, ed il lume aggiunto della fede non spegne né smorza il vigore dell’intelligenza: al contrario, lo perfeziona e, aumentandone la forza, lo rende capace di cose ancora più grandi.

3136. In primo luogo, se usata correttamente dai sapienti, la filosofia è in grado di spianare e rafforzare, per così dire, il cammino verso la vera fede e di preparare adeguatamente le menti dei suoi discepoli ad accogliere la Rivelazione. Infatti, nella sua estrema bontà, Dio non solo ha manifestato attraverso la luce della fede quelle verità che la mente umana non possa raggiungere da sola, ma ha anche manifestato alcune verità che non sono del tutto inaccessibili alla ragione, in modo che, confermate dall’Autorità divina, possano essere conosciute da tutti in un colpo solo e senza alcuna mescolanza di errore. È così che alcune verità, proposte per essere credute da Dio o legate alla dottrina della fede da legami molto stretti, sono state riconosciute, adeguatamente dimostrate e difese dai saggi delle nazioni pagane, illuminati solo dalla ragione naturale. Ora queste verità, note ai saggi delle nazioni pagane, è di grande utilità volgerle a vantaggio ed utilità della dottrina rivelata, per mostrare chiaramente che anche la sapienza umana, e persino la testimonianza degli avversari, danno il loro sostegno alla fede cristiana. …

3137. Ora che queste fondamenta sono state gettate molto solidamente (con l’aiuto della filosofia), l’uso costante e molteplice della filosofia rimane necessario se si vuole che la sacra teologia riceva e assuma la natura, la forma ed il carattere di una vera scienza. In questa disciplina, la più nobile di tutte, è infatti di estrema necessità che le molte e varie parti delle dottrine divine siano riunite in un unico corpo, che siano disposte con ordine, ognuna al proprio posto, e dedotte dai principi che le sono propri, che siano collegate tra loro da un legame adeguato ed infine che ognuna di esse sia confermata da argomenti appropriati ed incrollabili. Né si può ignorare o disdegnare questa conoscenza più esatta e più ricca delle realtà credute, e questa comprensione un po’ più chiara – per quanto è possibile – dei misteri della fede stessa, che Agostino ed altri Padri hanno lodato e cercato di raggiungere, e che lo stesso Concilio Vaticano (Costituzione sulla fede cattolica, cap. 4. cf. 3016) ha dichiarato essere molto fruttuosa. …

3138. Infine, è compito delle discipline filosofiche anche proteggere religiosamente le verità divinamente rivelate e combattere coloro che hanno l’audacia di attaccarle. In questo senso, è un grande elogio per la filosofia essere considerata un baluardo della fede e un solido baluardo della Religione. “È vero, come attesta Clemente di Alessandria, che la dottrina del Salvatore è perfetta e non ha bisogno di nulla, poiché è la forza e la sapienza di Dio. La filosofia greca, aggiunta ad essa, non rende più forte la verità, ma poiché rende impotente l’attacco dei sofismi e previene le insidie contro la verità, è a ragione che viene presentata come la palizzata ed il muro della vigna”

L’eccellenza del metodo scolastico e l’autorevolezza di Tommaso d’Aquino.

3139. Tra i Dottori scolastici domina e dall’alto, il loro principe e maestro di tutti, Tommaso d’Aquino, colui che, come osserva Cajetano, “per il fatto di aver venerato i santi Dottori al massimo grado, ottenne, per così dire, l’intelligenza di tutti loro”. Tommaso raccolse e riunì le loro dottrine come membra sparse di un corpo, e le distribuì in un ordine così mirabile e diede loro un tale sviluppo, che è giustamente considerato il difensore speciale e l’onore della Chiesa cattolica. …

3140. Mentre proclamiamo che tutto ciò che sia stato detto con saggezza, che sia stato inventato e pensato utilmente da chiunque, debba essere accolto volentieri e con gratitudine, vi esortiamo tutti… con urgenza, per la difesa e l’onore della fede cattolica, per il bene della società, per l’incremento di tutte le scienze, a ripristinare e propagare per quanto possibile l’aurea saggezza di san Tommaso. Diciamo la sapienza di San Tommaso: perché se qualcosa è stato ricercato con troppa sottigliezza dai Dottori scolastici o insegnato in modo troppo sconsiderato, se qualcosa è meno in accordo con le dottrine provate dei tempi successivi, o infine se si scopre che non abbia alcun tipo di probabilità, Noi non intendiamo che sia proposto per gli scopi del nostro tempo.

Enciclica “Arcanum divinae sapientiae” 10 febbraio 1880.

La natura del Matrimonio cristiano.

3142. (Tutta la tradizione insegna che) Cristo Signore ha elevato il matrimonio alla dignità di Sacramento e (che) ha fatto sì, allo stesso tempo, che gli sposi, circondati e rafforzati dalla grazia del cielo nata dai suoi meriti, giungano alla santità nel Matrimonio, e (che) è nel Matrimonio che Egli, con una mirabile somiglianza al modello che è la sua unione mistica con la Chiesa, ha perfezionato l’amore che è nella nostra natura ed ha unito più fortemente, con il vincolo della carità divina, la società, indivisibile per natura, dell’uomo e della donna. … Allo stesso modo abbiamo appreso dall’autorità degli Apostoli che questa unità e stabilità perpetua che e richiesta fin dall’inizio del Matrimonio, Cristo comandò che fosse santa ed inviolabile per sempre.

3143. Ma non è solo in questo che si dà la perfezione e la realizzazione cristiana. In primo luogo, infatti, la società coniugale è stata proposta come qualcosa di più alto e più nobile di ciò che esistesse prima, poiché il fine che le è stato assegnato non è solo quello di propagare il genere umano, ma di generare discendenti per la Chiesa, “concittadini dei santi e familiari di Dio” (Ef II,19)… In secondo luogo, vengono definiti i doveri di ciascun coniuge e descritti in modo esauriente i suoi diritti. I coniugi devono sempre ricordare che si devono reciprocamente il più grande amore, la costante fedeltà e l’assistenza inventiva eD assidua. L’uomo è il capo della famiglia e il capo della donna; tuttavia la donna, essendo carne della sua carne ed ossa delle sue ossa, deve essere sottomessa all’uomo e obbedirgli, non come serva ma come compagna, in modo che la sua obbedienza a lui non sia priva di dignità e di onore. Ma in colui che presiede come in colui che obbedisce, poiché entrambi sono un’immagine, l’uno di Cristo, l’altro della Chiesa, deve essere sempre la carità divina a governare il dovere. …

Il potere della Chiesa sul Matrimonio cristiano.

3144. Cristo, dunque, avendo così perfettamente rinnovato e risollevato il Matrimonio, ha consegnato e affidato alla Chiesa tutta la sua disciplina. La Chiesa ha esercitato questa potestà sul Matrimonio cristiano in tutti i tempi ed in tutti i luoghi, e lo ha fatto in modo tale da mostrare che questa potestà le appartenesse e che non fosse nata come una concessione degli uomini, ma che fosse stata divinamente concessa dalla volontà del suo fondatore. … In modo simile, è stato stabilito un diritto al Matrimonio uguale per tutti e uguale per tutti, abolendo l’antica distinzione tra schiavi ed uomini liberi; i diritti degli uomini e delle donne sono uguali; infatti, come ha detto Girolamo, “da noi, ciò che non è permesso alle donne non è permesso nemmeno agli uomini, ed è la stessa servitù nella stessa condizione”. E questi stessi diritti sono stati solidamente confermati dal fatto che la benevolenza è concessa in cambio e din virtù della reciprocità dei doveri; la dignità della donna è affermata e riconosciuta; al marito è vietato punire con la morte la moglie adultera e violare la fede giurata abbandonandosi alla passione e alla fornicazione. Ed è anche un fatto importante che la Chiesa abbia limitato il potere del padre di famiglia per quanto necessario, in modo che la giusta libertà dei figli e delle figlie che desiderino sposarsi non sia in alcun modo diminuita; che abbia decretato che non ci possano essere Matrimoni tra parenti e familiari entro certi gradi, in modo che l’amore soprannaturale degli sposi possa diffondersi su un campo più ampio; che ha cercato di tenere fuori dal Matrimonio, per quanto possibile, l’errore, la violenza e la frode; che ha voluto che fossero mantenuti intatti il santo pudore del letto nuziale, la sicurezza delle persone, l’onore del Matrimonio e la fedeltà ai giuramenti. Infine, ha consolidato questa istituzione divina con tale forza e con tale lungimiranza nelle sue leggi che non c’è giudice giusto che non riconosca che anche per questo motivo, per quanto riguarda il Matrimonio, la Chiesa sia il miglior custode ed il miglior difensore del genere umano…

3145. Né deve commuovere questa distinzione, così fortemente proclamata dai legisti regali, tra contratto e Sacramento, con l’intenzione di riservare alla Chiesa ciò che è sacramentale e di lasciare il contratto al potere e alla volontà delle autorità civili. Una tale distinzione, anzi una tale dissociazione, non può essere accettata, poiché si riconosce che, nel Matrimonio cristiano, il contratto non possa essere dissociato dal Sacramento e che, di conseguenza, non possa esistere un vero e legittimo contratto che non sia per ciò stesso un Sacramento. Infatti, Cristo Signore ha elevato il Matrimonio alla dignità di Sacramento, e il Matrimonio è il contratto stesso nel momento in cui viene stipulato secondo la legge.

3146. Inoltre, la ragione per cui il Matrimonio sia un Sacramento è che è un segno sacro che produce grazia e rappresenta l’immagine delle nozze mistiche di Cristo con la Chiesa. Ora, la forma e la figura di questo Matrimonio si esprimono nel vincolo dell’unione più intima che lega reciprocamente l’uomo e la donna, e che non è altro che il Matrimonio stesso. Ne consegue che ogni Matrimonio legittimo tra Cristiani sia di per sé un Sacramento. Nulla è più lontano dalla verità di un Sacramento che sia un ornamento aggiunto od una proprietà proveniente dall’esterno, capace di essere dissociato e separato dal contratto per volontà degli uomini.

Risposta della Sacra Penitenzieria, 16 giugno 1880.

La decisione è importante per il giudizio da dare sul metodo Knaus-Ogino.

3148. Osservanza dei periodi sterili.

Domanda: È lecito ricorrere al Matrimonio solo nei giorni in cui il concepimento è più difficile? Risposta: I coniugi che ricorrono al metodo suddetto non devono essere turbati, ed il confessore può – con cautela, però – suggerire ciò che comporti ai coniugi che hanno tentato invano di tenere lontani dal detestabile crimine dell’onanismo, in altro modo.

Enciclica “Diuturnum illud“, 29 giugno 1881.

Il potere nella società civile.

3150. Sebbene l’uomo abbia spesso cercato di liberarsi dalle catene del potere, spinto dall’orgoglio e dalla ribellione, non è mai riuscito a non obbedire a nessuno. La necessità stessa impone che in ogni associazione o comunità di uomini ci siano alcuni a capo… Tuttavia, è importante notare qui che coloro che dovrebbero essere a capo degli affari pubblici possano in certi casi essere eletti secondo la volontà ed il giudizio dei molti, senza che la dottrina cattolica si opponga o ripugni a questo. Con questa elezione, tuttavia, si designa il capo, ma non si conferiscono i diritti di sovranità; non si conferisce il potere, ma si decide da chi debba essere esercitato. Allo stesso modo, la questione dei regimi politici non viene sollevata qui, perché non c’è motivo per cui la Chiesa non debba approvare il governo di uno o di più, purché sia giusto e miri al bene comune. Per questo motivo, se la giustizia è salvaguardata, nulla impedisce ai popoli di darsi il regime politico che meglio si adatti o al loro ingegno, o alla morale e alle istituzioni dei loro antenati.

3151. Per il resto, per quanto riguarda il potere politico, la Chiesa insegna giustamente che esso derivi da Dio… Coloro che comprendono che la società civile nasce da un libero consenso degli uomini, facendo risalire a questa fonte l’origine del potere stesso, dicono che ognuno ha rinunciato al suo diritto e che tutti si sono posti volontariamente sotto il potere di colui al quale sono passati tutti i loro diritti. Ma è un grave errore non vedere ciò che è ovvio, cioè che gli uomini non sono una razza di solitari e che, prima di esprimere il loro libero arbitrio, sono nati per formare una comunità naturale; inoltre, il patto su cui si fa leva è chiaramente un’invenzione e una chimera, e non è in grado di dare al potere politico la forza, la dignità e la fermezza che la tutela del bene pubblico e l’interesse comune dei cittadini richiedono. Il potere avrà questo splendore e questa protezione universale solo se comprendiamo che emana da Dio come dalla sua fonte eminente e santissima…

3152. C’è un solo motivo per cui gli uomini non obbediscono: quando si chiede loro di fare qualcosa che è manifestamente contrario alla legge divina o naturale; infatti, per tutto ciò che è contrario alla legge naturale o alla legge di Dio, è altrettanto ingiusto comandare che fare. Per questo, se a qualcuno dovesse capitare di preferire l’uno o l’altro, cioè di trascurare o gli ordini di Dio o quelli dei governanti, deve obbedire a Gesù Cristo che ci chiede di “dare a Cesare quello che è di Cesare, a Dio quello che è di Dio” (Mt XXII,21), e di rispondere all’esempio degli apostoli: “Dobbiamo obbedire a Dio più che agli uomini” (Act V, 29)….

Decreto della Congregazione dell’Indice, 5 (10) dicembre 1881.

La libertà di attaccare le opere che sono state ritirate dalla procedura dalla Congregazione dell’Indice.

3154. Domande: (1) Le opere che sono state denunciate alla Sacra Congregazione dell’Indice e che sono state da essa ritirate dal procedimento, o che non sono state proibite, sono da considerarsi esenti da ogni errore contro la fede e i costumi?

3155. (2) In caso di risposta affermativa, le opere che sono state ritirate dalla Sacra Congregazione dell’Indice, o che non sono state proibite, possono essere attaccate sia filosoficamente che teologicamente senza incorrere nel rimprovero di temerarietà?

Risposta: (confermata dal Sommo Pontefice il 28/12) Per 1: no – Per 2: sì.

Enciclica “Humanum genus“, 20 aprile 1884.

Massoni.

3156. Simulare e voler rimanere nell’oscurità, incatenare uomini a sé come schiavi con i legami più stretti e senza un motivo sufficientemente dichiarato e, consegnandoli ad una volontà estranea, usarli per ogni sorta di crimini… È una pratica mostruosa che la natura delle cose non permette. Ecco perché la ragione e la verità stesse dimostrano che la società di cui stiamo parlando è contraria alla giustizia e all’onestà naturale. … Le indicazioni molto chiare che abbiamo citato sopra mostrano quale sia il fine ultimo dei loro disegni, cioè distruggere da cima a fondo l’intero ordine della Religione e degli affari pubblici a cui le istituzioni cristiane hanno dato origine, e stabilirne uno nuovo secondo la loro idea, i cui fondamenti e le cui leggi saranno presi in prestito dal cuore del naturalismo.

3157. Tutto ciò che abbiamo appena detto o che ci proponiamo di dire deve essere inteso in termini di setta massonica nel suo complesso, e nella misura in cui comprende le società ad essa collegate o alleate, ma non i suoi seguaci presi singolarmente. Tra di loro ci possono essere alcuni, e anche un buon numero, che, pur non essendo esenti da colpe per essersi affiliati a tali società, non partecipano essi stessi a queste attività dannose e non sono consapevoli del fine ultimo che stanno cercando di raggiungere. Allo stesso modo, è possibile che alcune di queste associazioni non approvino alcune conclusioni estreme che, poiché derivano necessariamente da principi comuni, sarebbero normalmente accettate se la turpitudine non fosse di per sé spaventosa per la sua orribile natura.

3158. Nessuno deve pensare che gli sia lecito, per qualsiasi motivo, aderire alla setta dei massoni, se la professione di fede cattolica e la sua salvezza hanno per lui il valore che dovrebbero avere.

Istruzione del Sant’Uffizio “Ad gravissima avertenda“, 10 maggio 1884.

Massoni.

3159. (3) Ma perché non ci sia spazio per l’errore quando si tratti di giudicare e distinguere quali di queste sette perniciose siano soggette a censura e quali solo a proibizione. È certo, innanzitutto, che una sentenza di scomunica è già stata pronunciata nei confronti delle sette massoniche e di altre dello stesso tipo che tramano contro la Chiesa ed i legittimi poteri, sia che lo facciano clandestinamente o apertamente, sia che richiedano o meno ai loro seguaci di prestare giuramento di segretezza.

3160. (4) Oltre a queste, sono proibite anche altre sette, che devono essere evitate a pena di gravi mancanze, tra cui soprattutto quelle che richiedono ai loro seguaci di prestare giuramento di segretezza e di obbedire in tutto ai loro capi occulti. Inoltre, è da notare che esistono alcune società che, sebbene non si possa stabilire con certezza se rientrino o meno tra quelle appena citate, sono comunque dubbie e piene di pericoli, sia per le dottrine che professano sia per il modo di agire seguito da coloro che si riuniscono sotto la loro guida e sono diretti da loro. …

Risposta del Sant’Uffizio al Vescovo di Poitiers, (28) 31 maggio 1884.

L’assistenza di un medico o di un confessore in un duello

3162. Domande: 1. Può un medico, su richiesta dei duellanti, assistere a un duello con l’intento di far cessare più rapidamente il combattimento, o semplicemente per medicare le ferite, per curare le piaghe, senza incorrere nella scomunica semplicemente riservata al Sommo Pontefice? 2) Può almeno, senza essere presente al duello, trovarsi in una casa vicina o in un luogo poco distante, stando molto vicino e pronto a esercitare il suo ufficio se i duellanti lo richiedono? 3) E un confessore nelle stesse condizioni?

Risposta: Per il punto 1. non può farlo ed è passibile di scomunica. Per i punti 2 e 3. Nella misura in cui questo è concordato, non può farlo nemmeno lui e incorre nella scomunica.

La Costituzione cristiana degli Stati *

[Dall’Enciclica “Immortale Dei“, 1 novembre 1885]

3168. Dz 1866 E così Dio ha diviso la cura del genere umano tra due poteri, quello ecclesiastico e quello civile, l’uno, a dire il vero, posto al di sopra delle cose divine, l’altro di quelle umane. Ognuno di essi è il più alto nel suo ordine; ognuno ha certi limiti entro i quali è contenuto, che sono definiti dalla natura di ciascuno e dallo scopo immediato; e quindi un’orbita, per così dire, è circoscritta, entro la quale l’azione di ciascuno si svolge per diritto proprio. . . . Tutto ciò che, dunque, nelle cose umane è in ogni modo sacro, tutto ciò che riguarda la salvezza delle anime o il culto di Dio, sia che sia tale per sua natura, sia che sia inteso come tale a causa del fine a cui è riferito, è interamente nel potere e nel giudizio della Chiesa; ma altre questioni, che l’ordine civile e politico comprende, sono giustamente soggette all’autorità civile, poiché Gesù Cristo ha ordinato: “Le cose che sono di Cesare, rendetele a Cesare; le cose che sono di Dio, a Dio” (cfr. Mt XXII,21). Ma a volte si presentano occasioni in cui anche un altro metodo di concordia è efficace per la pace e la libertà, cioè se i governanti della cosa pubblica e il Romano Pontefice concordano sulla stessa decisione in qualche questione speciale. In queste occasioni la Chiesa dà una prova eccezionale della sua devozione materna, quando, come è sua abitudine, mostra tutta l’affabilità e l’indulgenza possibili. . . .

3169. Dz 1867 Desiderare anche che la Chiesa sia soggetta al potere civile nell’esercizio delle sue funzioni è sicuramente una grande ingiustizia (nei suoi confronti) ed una grande imprudenza. Con questo atto l’ordine viene turbato, perché le cose che sono di natura vengono anteposte a quelle che sono al di sopra della natura; la frequenza delle benedizioni con cui la Chiesa riempirebbe la vita di tutti i giorni, se non fosse ostacolata da nulla, viene distrutta o certamente molto diminuita; e inoltre si prepara la strada per le inimicizie e le contese; e, quale grande distruzione esse portino a entrambi i poteri, la questione degli eventi lo ha dimostrato oltre misura. Tali dottrine, che non sono approvate dalla ragione umana e sono di grande importanza per la disciplina civile, i Romani Pontefici, Nostri predecessori, poiché comprendevano bene ciò che l’ufficio apostolico esigeva da loro, non permisero affatto di passare sotto silenzio. Così, Gregorio XVI, con la lettera enciclica che iniziava con “Mirari vos“, il 15 agosto 1832 [cfr. nota 1613 e segg.], con grande serietà di intenti colpì quegli insegnamenti che già allora venivano predicati, secondo i quali nel culto divino non si deve mostrare alcuna preferenza; che gli individui sono liberi di formare i loro giudizi sulla religione come preferiscono; che la coscienza di ciascuno è la sua sola guida; e inoltre che è lecito per ognuno pubblicare ciò che pensa, e anche fomentare la rivoluzione all’interno dello Stato. Sulle questioni della separazione tra Chiesa e Stato lo stesso Pontefice scrive così: “Non potremmo prevedere risultati più felici sia per la religione che per il governo civile dai desideri di coloro che desiderano che la Chiesa sia separata dallo Stato e che la mutua concordia tra le autorità civili ed ecclesiastiche sia interrotta. Infatti, è evidente che i cultori della libertà senza ostacoli temono quella concordia che è sempre stata benefica e salutare sia per gli interessi sacri che per quelli civili”. In modo non dissimile Pio IX, non appena se ne presentò l’occasione, annotò molte delle false opinioni che cominciavano a prevalere, e in seguito ordinò di raccoglierle affinché, in un mare così grande di errori, i cattolici potessero avere qualcosa da seguire senza sbagliare.

3170. Dz 1868 Inoltre, da questi precetti dei Pontefici si deve comprendere bene quanto segue: che l’origine del potere pubblico deve essere cercata in Dio stesso, non nella moltitudine; che la libera licenza di sedizione è in contrasto con la ragione; che è illegale per gli individui privati, illegale per gli Stati ignorare i doveri della religione o essere influenzati allo stesso modo dai diversi tipi (di religione); che il potere illimitato di pensare e di esprimere pubblicamente le proprie opinioni non è tra i diritti dei cittadini, e non è assolutamente da collocare tra le questioni degne di favore e sostegno.

3171. Dz 1869 Allo stesso modo, si dovrebbe comprendere che la Chiesa è una società non meno dello Stato stesso, perfetta nel suo genere e nel suo diritto; e coloro che detengono il potere più alto non dovrebbero agire in modo da costringere la Chiesa a servire e ad essere sotto di loro, o in modo da non permetterle di essere libera di gestire i propri affari, o in modo da toglierle uno qualsiasi degli altri diritti che le sono stati conferiti da Gesù Cristo.

3172. Dz 1870 Tuttavia, in materia di giurisdizione mista, è del tutto conforme alla natura, e anche ai piani di Dio, che non ci sia separazione di un potere dall’altro, ma chiaramente che ci sia concordia, e questo in modo conforme agli scopi strettamente correlati che hanno dato origine a entrambe le società.

3173. Dz 1871 Questo, dunque, è ciò che viene insegnato dalla Chiesa sull’istituzione e il governo degli Stati… Tuttavia, da queste affermazioni e decreti, se si vuole giudicare correttamente, nessuna delle varie forme di Stato è condannata in sé, in quanto non contengono nulla che sia offensivo per la dottrina cattolica, e possono, se sono saggiamente e giustamente applicate, preservare lo Stato nella sua migliore condizione.

3174. Dz 1872 Né è in alcun modo condannabile in sé il fatto che il popolo partecipi più o meno allo Stato; proprio questo, in certi momenti e sotto certe leggi, può non solo essere utile ai cittadini, ma addirittura essere un obbligo.

3175. Dz 1873 Inoltre, non sembra esserci alcun giusto motivo per accusare la Chiesa di essere indulgente e più che giustamente limitata dall’affabilità, o di essere ostile a quella libertà che è propria e lecita.

3176. Dz 1874 Infatti, se la Chiesa giudica che certe forme di culto divino non debbano essere sullo stesso piano della vera religione, non per questo condanna i governanti degli Stati che, per ottenere qualche grande benedizione o per prevenire un male,

3177. Dz 1875 pazientemente tollerano le usanze e i costumi in modo che ciascuno di essi abbia un posto nello Stato. Anche da questo la Chiesa si guarda soprattutto, che qualcuno contro la sua volontà sia costretto ad abbracciare la fede cattolica, perché, come consiglia saggiamente Sant’Agostino: “L’uomo non può credere se non di sua spontanea volontà”.

3178. Dz 1876 Allo stesso modo, la Chiesa non può approvare quella libertà che genera avversione per le leggi più sacre di Dio e mette da parte l’obbedienza dovuta all’autorità legittima. Perché questa è più vera licenza che libertà. E molto giustamente è chiamata “libertà di rovina” * da Agostino, e “mantello di malizia” dall’apostolo Pietro (1P 2,16); anzi, poiché è al di là della ragione, è vera e propria schiavitù, perché “chiunque commette il peccato, è servo del peccato” (Gv 8,34). D’altra parte, è autentica e da ricercare quella libertà che, dal punto di vista dell’individuo, non permette all’uomo di essere schiavo degli errori e delle passioni, padroni più abominevoli, se guida con saggezza i suoi cittadini nelle cariche pubbliche, amministra generosamente l’opportunità di aumentare i mezzi di benessere e protegge lo Stato dall’influenza straniera.

3179. Dz 1877 – Questa libertà, onorevole e degna dell’uomo, la Chiesa l’approva più di tutte, e non cessa di impegnarsi e di lottare per mantenerla sana e forte tra le nazioni. Infatti, tutto ciò che è di maggior valore nello Stato per il benessere comune; tutto ciò che è stato utilmente stabilito per frenare la licenza dei governanti che non consultano il bene del popolo; tutto ciò che impedisce alla più alta autorità di invadere impropriamente gli affari municipali e familiari; tutto ciò che è di valore per preservare la dignità, la persona dell’uomo e la qualità dei diritti tra i singoli cittadini, di tutte queste cose i documenti delle epoche passate testimoniano che la Chiesa cattolica è sempre stata o la scopritrice, o la promotrice, o la protettrice. Perciò, sempre coerente con se stessa, se da un lato rifiuta la libertà smodata, che per gli individui e gli Stati cade nella licenza o nella schiavitù, dall’altro abbraccia volentieri e con gioia le cose migliori che il giorno porta avanti, se contengono veramente la prosperità per questa vita, che è, per così dire, una sorta di percorso verso quell’altra vita che rimarrà per sempre.

Dz 1878 Pertanto, quando si dice che la Chiesa è invidiosa dei sistemi politici più recenti e ripudia indiscriminatamente tutto ciò che il genio di questi tempi ha prodotto, è una calunnia vuota e infondata. In effetti, essa ripudia le opinioni selvagge; disapprova lo zelo nefasto per le sedizioni, ed espressamente quell’abitudine mentale in cui si vedono gli inizi di un allontanamento volontario da Dio; ma poiché tutto ciò che è vero deve provenire da Dio, essa riconosce tutto ciò che ha a che fare con il raggiungimento della verità come una sorta di traccia dell’intelligenza divina. E poiché nell’ordine naturale non c’è nulla di vero che abroghi la fede negli insegnamenti trasmessi divinamente, ma molte cose che la confermano; e poiché ogni scoperta della verità può dare forza alla conoscenza e alla lode di Dio, di conseguenza tutto ciò che contribuisce ad estendere i confini della conoscenza lo farà sempre con piacere e gioia della Chiesa; e come è sua abitudine nel caso di altri rami del sapere, così favorirà e promuoverà anche quelli che riguardano l’indagine della natura.

Dz 1879 In questi studi la Chiesa non si oppone se la mente scopre qualcosa di nuovo; non si oppone al fatto che si facciano ulteriori indagini per le raffinatezze e le comodità della vita; anzi, come nemica dell’indolenza e dell’accidia, desidera soprattutto che i talenti dell’uomo portino ricchi frutti con l’esercizio e la coltivazione; fornisce incentivi a tutti i tipi di arti e di lavori; e dirigendo attraverso la sua influenza tutto lo zelo per queste cose verso la virtù e la salvezza, lotta per evitare che l’uomo si allontani da Dio e dalle benedizioni celesti con la sua intelligenza e la sua industria. . . .

Dz 1880 E così, in un corso di eventi così difficile, se i cattolici ci ascoltano, come dovrebbero, vedranno facilmente quali sono i doveri di ciascuno in materia di opinione e di azione. E, in effetti, nel formarsi un’opinione, è necessario comprendere e ritenere con un giudizio fermo tutto ciò che i Romani Pontefici hanno emanato e emaneranno, e professare pubblicamente ciascuno di essi ogni volta che l’occasione lo richieda. E per quanto riguarda in particolare le cosiddette libertà, tanto ricercate negli ultimi tempi, è necessario che ognuno si attenga al giudizio della Sede Apostolica e che abbia la stessa opinione che essa ha. Non bisogna lasciarsi ingannare dall’apparenza onorevole di queste libertà; bisogna considerare da quali fonti derivano e con quali sforzi vengono ovunque sostenute e promosse. L’esperienza sa bene quali risultati hanno ottenuto tali libertà nello Stato; ovunque hanno dato frutti che l’uomo buono e saggio giustamente deplora. Se uno Stato del genere esiste davvero o è immaginato nei nostri pensieri, che perseguita spudoratamente e tirannicamente il nome di cristiano, e questo tipo di Stato moderno viene confrontato con esso, di cui stiamo parlando, quest’ultimo può sembrare più tollerabile. Tuttavia, i principi su cui si basa sono certamente tali, come abbiamo detto prima, che di per sé non dovrebbero essere approvati da nessuno.

Dz 1881 Tuttavia, l’azione può riguardare gli affari privati e domestici o gli affari pubblici… Certamente nelle questioni private il primo dovere è quello di conformare la vita e la condotta con la massima diligenza ai precetti del Vangelo, e di non rifiutarsi di farlo quando la virtù cristiana richiede qualcosa di più che normalmente difficile da sopportare e sopportare. Inoltre, tutti dovrebbero amare la Chiesa come la loro madre comune; osservare le sue leggi con obbedienza; promuovere il suo onore e preservare i suoi diritti; e dovrebbero cercare di farla amare con uguale devozione da coloro sui quali hanno una qualche autorità.

Dz 1882 È anche nell’interesse pubblico prestare attenzione con saggezza agli affari dell’amministrazione comunale, e in questo sforzarsi soprattutto di fare in modo che si tenga conto pubblicamente della formazione della gioventù nella religione e nella buona condotta, in quel modo che è giusto per i cristiani. Da queste cose soprattutto dipende la sicurezza dei singoli Stati.

Dz 1883 Allo stesso modo, è, in generale, benefico e opportuno che i cattolici estendano la loro attenzione oltre questo campo, per così dire, piuttosto ristretto, e prendano in considerazione lo stesso governo nazionale. Diciamo “in generale”, perché questi nostri precetti si applicano a tutte le nazioni. Ma in alcuni luoghi può accadere che non sia affatto opportuno, per ragioni importanti e giuste, prendere parte alla politica nazionale e diventare attivi negli affari politici. Ma, in generale, come abbiamo detto, essere disposti a non prendere parte agli affari pubblici sarebbe tanto sbagliato quanto non avere alcun interesse e non fare nulla per il bene comune, e anche di più, perché i cattolici, per monito della stessa dottrina che professano, sono spinti a portare avanti i loro affari con integrità e fiducia. D’altra parte, se rimarranno indifferenti, coloro le cui opinioni portano ben poche speranze per la sicurezza dello Stato si impadroniranno facilmente delle redini del governo. E questo sarebbe anche dannoso per la religione cristiana, perché coloro che sono mal disposti verso la Chiesa avrebbero il potere maggiore e quelli ben disposti minore.

Dz 1884 Pertanto, è molto chiaro che la ragione per cui i cattolici entrano negli affari pubblici è giusta, perché non vi entrano né dovrebbero farlo per questo motivo, per approvare ciò che al momento non è onorevole nei metodi degli affari pubblici, ma per trasferire questi metodi, per quanto si può fare, al vero e genuino bene pubblico, avendo in mente lo scopo di introdurre in tutte le vene dello Stato, come linfa e sangue più salutare, la saggezza e la virtù della religione cristiana. . . .

Dz 1885 Affinché l’unione delle anime non venga spezzata da accuse avventate, tutti devono comprendere quanto segue: Che l’integrità della fede cattolica non può assolutamente coesistere con opinioni che sfiorano il naturalismo e il razionalismo, la cui somma è quella di strappare le istituzioni cristiane dalle loro fondamenta e di stabilire la leadership dell’uomo nella società, relegando Dio al secondo posto.

Allo stesso modo, non è lecito seguire una forma di dovere nella vita privata e un’altra in quella pubblica; per esempio, in modo che l’autorità della Chiesa sia osservata nella vita privata e messa da parte in quella pubblica. Perché questo sarebbe unire l’onorevole e il vergognoso, e mettere l’uomo in conflitto con se stesso, quando invece dovrebbe essere sempre in accordo con se stesso, e non abbandonare mai in nulla o in alcun modo la virtù cristiana.

Dz 1886 Ma se si tratta semplicemente di metodi in politica, del tipo migliore di Stato, di ordinare il governo in un modo o in un altro, certamente, in queste materie, ci può essere un’onorevole differenza di opinione. Pertanto, un’opinione dissenziente nelle questioni che abbiamo menzionato da parte di quegli uomini la cui pietà è altrimenti nota, e le cui menti sono pronte ad accettare con obbedienza i decreti della Sede Apostolica, non può essere considerata, in giustizia, un peccato da parte loro; e un danno molto più grande si verifica, se si trovano di fronte all’accusa di aver violato o diffidato della Fede cattolica, cosa che, ci dispiace dirlo, è avvenuta più di una volta.

Dz 1887 Tutti coloro che sono soliti esprimere le proprie opinioni per iscritto, e in particolare chi scrive per i giornali, tengano presente questo precetto. In questa lotta per le questioni più importanti, non ci può essere posto per le controversie interne o per le rivalità di partito; tutti dovrebbero sforzarsi di preservare la religione e lo Stato, che è lo scopo comune di tutti. Se quindi in passato ci sono stati dissensi, essi devono essere cancellati con una sorta di oblio volontario; se finora ci sono state azioni avventate e dannose, coloro che ne sono in qualche modo responsabili devono fare ammenda con reciproca carità, e una sorta di speciale sottomissione da parte di tutti alla Sede Apostolica.

Dz 1888 In questo modo i cattolici otterranno due risultati molto eccellenti: uno, quello di affermarsi come aiutanti della Chiesa nel preservare e propagare la saggezza cristiana; l’altro, quello di dare alla società civile la più grande benedizione, la cui conservazione è minacciata da dottrine e passioni malvagie.

Risposta della Sacra Penitenzieria, 10 marzo 1886.

L’uso onanistico del matrimonio

3185. Spiegazione: Da una risposta data il 14 dicembre 1876 dalla Sacra Penitenzieria al rettore di una parrocchia della diocesi di Angers, si stabilisce che non è permesso incoraggiare l’errore di penitenti che molti chiamano in buona fede; né è permesso suscitare tale buona fede. Si stabilisce inoltre che i confessori non compiono il loro dovere se, quando un penitente si accusa solo di onanismo, mantengono un nobile silenzio, se, terminata la confessione dei peccati, lo esortano con parole generali, e se afferma di odiare ogni peccato mortale, gli danno la santa assoluzione. È inoltre stabilito che i confessori sono esenti da ogni rimprovero se (nei limiti della decenza… delle domande…) non tralasciano di rimproverare, come per qualsiasi altro peccato grave, il penitente che, spontaneamente o a seguito di un prudente interrogatorio, abbia confessato l’onanismo. … e che non lo assolvono se non ha dimostrato con segni sufficienti di provare dolore per l’accaduto e di essere deciso a non agire più in modo onanistico. – (Tuttavia, rimangono i seguenti dubbi)

3186. Domande: 1. Quando c’è il fondato sospetto che un penitente che tace totalmente sull’onanismo sia impegnato in un tale crimine, è allora lecito per il confessore astenersi da un interrogatorio prudente e discreto perché prevede che molti dovrebbero essere tratti fuori dalla loro buona fede e che molti diserterebbero i sacramenti? – O, al contrario, il confessore è tenuto a interrogare con prudenza e discrezione?

3187. (2) Il confessore che accerta, sia dalla confessione spontanea sia da un prudente interrogatorio, che il penitente è onanista, è tenuto ad ammonirlo sulla gravità di questo peccato, come fa per gli altri peccati mortali…, e a dargli l’assoluzione solo se è accertato con segni sufficienti che egli prova dolore per quanto è accaduto e che è deciso a non agire più in modo onanista?

segni sufficienti che egli provi dolore per ciò che è accaduto e che sia deciso a non agire più in modo onanistico? Risposta: Per 1. in linea generale, sì per la prima parte, no per la seconda – Per 2. in linea generale, sì per la prima parte, no per la seconda. Sì, secondo la dottrina di autori comprovati.

Decreto del Sant’Uffizio, 19 maggio 1886.

Cremazione dei cadaveri

3188. Domanda: (1) È lecito aderire a società il cui intento è quello di promuovere la pratica della combustione di corpi umani?

(2) È lecito ordinare la combustione del proprio corpo o di quello di altri? Risposta (confermata dal Sommo Pontefice) : Per 1. No, e se si tratta di società affiliate alla setta massonica, si incorre nelle sanzioni previste contro di esse. – Per 2. No.

Decreto del Sant’Uffizio, 27 maggio 1886.

Divorzio civile.

3190. Dichiarazione : Diversi vescovi di Francia hanno sottoposto alla Sacra Congregazione Romana e Universale dell’Inquisizione i seguenti dubbi: in una lettera indirizzata dalla Sacra Congregazione Romana e Universale dell’Inquisizione a tutti gli Ordinari di Francia in data 25 giugno 1885, riguardante la legge sul divorzio civile, si afferma quanto segue: “Tenuto conto delle gravissime circostanze degli avvenimenti, dei tempi e dei luoghi, si può tollerare che coloro che esercitano le funzioni di magistrati e di avvocati trattino, in Francia, cause matrimoniali, senza essere obbligati a rinunciare al loro ufficio” e si aggiungono delle condizioni, la seconda delle quali è la seguente: “Purché nel loro intimo siano preparati, sia per quanto riguarda il valore o la nullità del matrimonio, sia per quanto riguarda la separazione legale, sulla quale sono tenuti a giudicare, a non pronunciare, invocare, sollecitare o sostenere mai una sentenza contraria al diritto divino o ecclesiastico”.

3191. Domande: 1. È corretta l’interpretazione diffusa in Francia e anche nella stampa, secondo la quale un giudice che, in presenza di un matrimonio valido davanti alla Chiesa, disconosca completamente questo matrimonio vero e costante e, in applicazione del diritto civile, pronunci il divorzio, purché abbia l’intenzione interiore di rompere solo gli effetti civili e il contratto civile, e che siano gli unici a essere colpiti dai termini della sentenza? In altre parole: un non sia ritenuta contraria al diritto divino ed ecclesiastico?

3192. 2 – Dopo che il giudice abbia dichiarato l’esistenza di una causa di divorzio, può un sindaco – sempre tenendo conto solo degli effetti civili e del contratto – pronunciare il divorzio, anche se il matrimonio sia valido davanti alla Chiesa?

3193. 3 – Dopo aver pronunciato il divorzio, lo stesso può unire civilmente con altri il coniuge che cerca di contrarre una nuova unione, anche se il Matrimonio precedentemente contratto davanti alla Chiesa sia valido e l’altra parte sia ancora in vita?

Risposta (confermata dal Sommo Pontefice): No a 1, 2 e 3.

Decreto del Sant’Uffizio, 15 dicembre 1886.

Cremazione dei corpi.

3195. Quando si tratta di persone il cui corpo debba essere cremato non per volontà propria ma per volontà altrui, si possono compiere i riti ed i suffragi della Chiesa sia in casa che in Chiesa, ma non fino al luogo della cremazione, evitando ogni scandalo. Questo scandalo può essere evitato anche se si sa che la cremazione non sia stata scelta per volontà del defunto.

3196. Ma nel caso di coloro che abbiano scelto la cremazione per propria volontà, e che abbiano perseverato in questa volontà in modo certo e notorio fino alla morte, tenendo conto del decreto di mercoledì 19 maggio 1886 (cf. 3188), si deve procedere per loro a norma del Rituale Romanum, titolo “A chi è permesso dare sepoltura ecclesiastica? In casi particolari, tuttavia, qualora sorgano dubbi o difficoltà, si consulti l’Ordinario…”.

Risposta del Sant’Uffizio al Vescovo di Carcassonne, 8 maggio 1887.

Vino da Messa.

3198. Domanda: (Per prevenire il rischio di corruzione del vino, sono leciti i seguenti rimedi e quale si dovrebbe preferire?) 1 – Al vino naturale si aggiunge una piccola quantità di “eau-de-vie”; 2. Il vino viene riscaldato a sessantacinque gradi. Risposta. (Si deve) preferire il vino, come viene presentato al secondo [rimedio].

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA DAGLI APOSTOLI A S.S. PIO XII (38): “LEONE XIII, 1887-1896”

GNOSI, TEOLOGIA DI sATANA (73): DEMOCRAZIA CRISTIANA = DEMONIOCRAZIA ANTICRISTIANA ? (5)

LA DEMOCRAZIA CRISTIANA = DEMONIOCRAZIA ANTICRISTIANA? (5)

J. DELASSUS

L’ENCICLICA PASCENDI DOMINICI GREGIS e la DEMOCRAZIA

Alla Vergine Immacolata

GAUDE, MARIA VIRGO, CUNCTAS HÆRESES SOLA INTEREMISTI IN UNIVERSO MUNDO.

NIHIL OBSTAT: Insulis, die 26 decembris 1907.
H.QUILLIET, S. Th. Dr. Librorum Censor.
IMPRIMATUR: Cameraci, die 27 decembris 1907.
t FRANCISCUS, Arch.-Coadj. Cameracen

Société St. Augustin. “Desclée, De Brouwer et Cie

LILLE, 41, rue du Metz, 41, LILLE

All’indomani della pubblicazione dell’Enciclica, la Revue pratique d’Apologétique ha posto questa domanda: “La Chiesa sta scrivendo ai suoi figli. Qual è il loro atteggiamento nei confronti di questo messaggio?” Essa rispondeva: “I figli sottomessi della Chiesa, che non sono stati toccati dal fermento pernicioso, da cui alcune anime erano visibilmente afflitte, hanno ricevuto con gioia inesprimibile la parola così salda della loro Madre.

(La Revue pratique d’Apologétique avrebbe potuto aggiungere che il testo è stato accolto con ammirazione anche dai liberi pensatori. Ecco, ad esempio, cosa ne pensasse M. Georges Guy-Grand, negli Annales de la Jeunesse LAIQUE (ottobre 1907): “Questa ultima Enciclica è veramente un documento magistrale. Le menti logiche e gli uomini d’ordine devono sentire una vera gratitudine per il suo autore” – “Non si può fare a meno di ammirarla. C’è, in questa attitudine di assoluta intransigenza, un rigore razionale, un istinto di autoconservazione, un gusto per l’eroico che testimoniano una buona santità e soddisfano l’estetica geometrica…”. “Ecco degli insegnamenti che temprano i caratteri … Noi assistiamo in questo momento, in mezzo alla confusione spirituale ed alla dissoluzione morale, in cui stiamo lottando con veri e propri sforzi per ristabilire l’ordine nelle società e la chiarezza nelle menti. menti. Diffidiamo del sentimentalismo in tutte le sue forme: filosofia dell’ “azione”, filantropia, pietismo, carità; si vogliono qui ripristinare le categorie logiche, il sentimento del diritto ed il rispetto dall’autorità legittime. È il prolungamento delle Soyers Durs di Nietzsche. E senza dubbio i promotori di questo rinascimento razionale e sociale sostengono tesi radicalmente opposte, ma in fondo hanno le stesse affinità. M. Maurras, M. Soury, M. Sorel, i redattori dell’Enciclica, hanno uguale avversione per i Loisy, i Sangnier, i Buisson, i Jaurès e gli altri complessi. Loisy, ed altre menti complesse che nuotano nel torbido … Ammiriamo i personaggi, gli spiriti unilaterali, sono il sale di una società.” Non tutto quello che c’è scritto in questo articolo è da prendere sul serio. Ma quello che abbiamo qui è certamente degno di nota. – M. Paul Sabatier (protestante e librale protestante) ha scritto nel Times,un articolo in cui parla di Pio X come segue: “Il San Pietro vive nell’assoluto. Come il celebrante che, il giorno della processione del Corpus Domini, portando il sole dorato, dimentica tutto e vede solo l’ostia, va per la sua strada, ignaro di tutto, attento solo al dialogo che ha intrapreso con il suo Dio glorificato – così Pio X si muove verso il futuro, con una sicurezza forse unica negli annali del Papato”. Già ai tempi di San Paolo, tale condotta era una follia per alcuni, uno scandalo per altri. Noi sappiamo che ess è sapienza di Dio e potenza di Dio. Ce lo dice l’Apostolo, la storia conferma la sua parola. Sono passati diciannove secoli per dimostrare la veridicità di questa parola di San Giovanni: Haec est victoria qui rincit mundum, fides nostra. Ciò che ci fa trionfare sul mondo è la nostra Fede. In essa c’è la vittoria.).

Ma ci sono Cattolici per i quali la sottomissione è dolorosa. In generale, essi non fanno dichiarazioni pubbliche (Quando queste righe sono state scritte è comparso il Italia il Programma dei Modernisti.~. Sappiamo con quanta rapidità e vigore questo tentativo sia stato represso). Tuttavia, non sono completamente in silenzio; li si sente esprimere delle insoddisfazioni contro le quali vogliamo mettere in guardia i nostri lettori. – La Revue pratique d’Apologétique omette una terza categoria, quella dei pubblicisti, ai quali particolarmente incombeva il dovere di mettere l’atto pontificio sotto gli occhi dei loto lettori. Essi avevano professato nelle loro riviste, nei loro giornali, dottrine che il Santo Padre riteneva necessario condannare; la semplice lealtà li obbligava a mettere in guardia da ciò che essi avevano insegnato rispetto agli insegnamenti del Maestro della dottrina. Essi non hanno fatto altro, così facendo, che riprodurre ciò che avevano praticato al tempo di Leone XIII, all’epoca dell’Enciclica sull’America e di quella sulla Democrazia Cristiana. Sua Santità ha osservato che questo è anche il modo in cui essi trattano i seguaci dell’ortodossia in questo modo: Abbiamo a che fare con un avversario la cui erudizione e il cui vigore mentale lo rendono formidabile: essi cercano di di ridurlo all’impotenza, organizzando intorno a lui la congiura del silenzio.” – Altri hanno parlato. Noi ci fermeremo solo su colui la cui voce ha avuto maggiore risonanza su di noi, intendiamo il direttore della defunta La Quinzaine che aveva pubblicato uno dei manifesti più audaci e più clamorosi manifesti dei modernisti: Cos’è un dogma? L’audacia, per usare un eufemismo, della tesi esposta, non aveva potuto staccare i democratici cristiani da colui che considerano uno dei loro primi dottori. C’è motivo di temere che i loro occhi, offuscati dal pregiudizio, non abbiano visto, nell’articolo da lui pubblicato su il Temps, tutto quello che conteneva. Il 28 settembre egli scrisse in una lettera che il principale organo dei protestanti, pubblicò. Questa lettera sollevava osservazioni di diverso genere. Il signor Fonsegrive si è discolpato, dicendo: “Io non avevo da inquietarmi dell’opinione di Croix di ogni tipo e dei Nouvellistes di ogni genere, perché non mi rivolgevo ai loro lettori. Ho mostrato ad un pubblico di liberi pensatori le ragioni profonde dell’atto di Pio X. Ho creduto di fare ed ho fatto, nei confronti di questo pubblico, il lavoro di un apologeta. Rileggete il mio articolo da questo punto di vista. ” Quindi cosa sta dicendo, direttamente ai liberi pensatori, indirettamente ai Cattolici? Era urgente chiarire i contorni della fuggente dottrina i cui aspetti molteplici e vaghi esercitavano sulle menti la loro potente seduzione. Sembrava ovvio, nonostante l’apparente divergenza dei sistemi e delle posizioni anche tra i loro autori, che tutti erano l’espressione della stessa mente; e nel passare dall’uno all’altro, nonostante la diversità dell’opposizione tra le formule, ci si sentiva in una simile atmosfera come in una patria intellettuale comune. Ci deve essere stato, all’insaputa degli stessi autori, un asse comune che racchiudeva i loro diversi pensieri.; una volta scoperto questo asse, sarebbe stato possibile mettere a nudo le relazioni segrete dei vari sistemi e quindi dimostrare che tutti derivavano dagli stessi principi e che tutti conducevano alle stesse conseguenze anticristiane. Ecco ciò che è esatto e perfetto. Questo è ciò che abbiamo cercato, nelle pagine precedenti, di dimostrare, anche per i democratici cristiani. Ecco cosa lo è meno. Se gli autori modernisti sono stati reprensibili, tuttavia non tutto di loro è sembrato riprovevole; se, tra le loro formule, diverse ripugnavano al senso cattolico, diverse altre, ben comprese, non sembravano alterare la sostanza della fede e sembravano, al contrario, aprire prospettive eccitanti e grandiose; e infine, e soprattutto, il problema che si cercava di risolvere RIMANE IRRISOLTO. – E più avanti: Il Modernismo è stato uno sforzo per porre e risolvere prima di tutto il problema religioso. I modernisti sono condannati. Il Papa dichiara così, con la sua indiscutibile e indiscussa autorità che i modernisti non hanno trovato la soluzione al problema, ma IL PROBLEMA SUSSISTE. E l’Enciclica Pascendi non lo risolve, o meglio lo risolve solo in parte, dichiarando false soluzioni alle proposte. No, per il Cattolico sincero il problema non resta posto, il problema non rimane più in quanto problema, è risolto Roma locuta est, causa finita est. Ha ragione ancora il signor Fonsegrive quando dice: Era diventato necessario agire. Nessuno di coloro che conoscono lo stato d’animo dei seminari, degli studenti ecclesiaslici in Italia e in Francia, può negare all’Enciclica e il suo carattere di opportunità. Egli ha compiuto un’opera irreprensibile quando ha suggerito questi studi nei seguenti termini: “Tuttavia, tutto il clero, e attraverso la stessa Enciclica, saranno resi consapevoli delle dottrine moderniste, delle difficoltà che pretendevano di risolvere., le soluzioni che proponevano. I giovani studenti, in particolare, non potranno evitare di riflettere su queste questioni serie e vitali. Non importa quanto spesse siano i divisori che speriamo di stabilire, per quanto rigorose siano le misure di conservazione e per quanto Pio X possa essere obbediente, alcuni sottili soffi dell’atmosfera esterna non possono non penetrare negli istituti, nei seminari. I problemi che hanno dato origine al modernismo, anche nell’età della pace e del raccoglimento in cui stiamo per entrare, continueranno a sorgere, e nel leggere le proposte di condanna contenute nell’Enciclica, probabilmente a più di uno di questi giovani, certamente a più di uno dei loro insegnanti, anche tra I più umili ed i meno curiosi, forse era sufficiente sottoporre le formule ed apportare qualche correzione, o di introdurre qualche chiarimento, per perché diventassero ineccepibili… Gli autori modernisti trovano nelle loro dottrine qualcosa di cui sperare in un cambiamento delle idee sull’autorità in futuro. poiché, secondo loro, tutto è costantemente sulla via della variazione. Pertanto, i loro principi sono così plastici, che essi non li pongono solo per un momento in uno stato di inferiorità per poi far loro riacquistare immediatamente i loro vantaggi”. – Il signor Fonsegrive è in circolazione da molto tempo, insegnante in una scuola secondaria statale, sostiene di dirigere seminaristi e giovani ecclesiastici, cosa dico, curati, Vescovi ed Arcivescovi verso percorsi che condurrebbero l’uno all’altro, la Chiesa e il mondo, e che li porti a dare al volto dei secoli il bacio di Lamourette. Conosciamo i suoi libri: Lettere d’un Curato di campagna, Lettere di un Vescovo, ecc. ecc. Un anno fa, l’Enciclica ai Vescovi italiani lo fece uscire da un sogno: egli vide, con suo grande stupore che non competeva a lui indrottinare la Chiesa. Egli testimonia questo stato d’animo nel Diario dell’Abate Garnier (Peuple français, 6 settembre 1906). – Il Vaticano, sacro deposito dell’autorità, ha ricordato ai Vescovi italiani che ogni organixzaxione, ogni iniziativa che si proponga e che si definisca cattolica, deve essere coordinata, comandata e diretta dalla Gerarchia, dai Vescovi prima, dal Papa in seguito; che è solo a questa condizione che la dottrina sarà preservata da ogni alterazione e la condotta da ogni deviazione. La moltitudine dei fedeli costituisce il gregge cristiano, e sono solo i Vescovi ad avere la missione di condurre il gregge verso pascoli sani ed abbeverarlo alle acque pure della dottrina. – Leggendo questi gravi ammonimenti, molti di noi hanno provato una certa emozione. Sembrava che si disconoscesse la loro buona volontà e tutto ciò che era stato fecondo nei loro sforzi…. Se alcuni si sentono incapaci di ripetere senza mescolarvi qualcosa della propria anima, gli insegnamenti trasmessi, prima di lasciarsi trasportare dallo zelo che li spinge ad andare avanti, dovranno riflettere sulla grave sui gravi pericoli che possano derivare da un’audacia intempestiva, da originalità disordinata, da iniziative senza lo stato di grazia. E se, ricadendo su se stessi le loro ali sembrano loro pesanti, che si sentono di non poterne più, si diranno che l’insieme dell’azione complessiva non richiede che ogni attore abbia il primo ruolo, ma che ognuno svolga bene il suo ruolo; che il ruolo del laico è un ruolo umile, limitato alle proprie funzioni di figlio, padre e cittadino, e che l’apostolato più adatto a questo ruolo è quello di mostrare a tutti che, in silenzio, il ruolo consiste nel mostrare a tutti che il Cristiano è l’uomo che merita il rispetto del mondo per la nobiltà e bellezza della sua vita. – Queste parole non sono senza esagerazioni. L’Enciclica che le ha suscitate è stata datata 28 luglio. Nei primi giorni di giugno, il “Peuple Francais” si era appena riorganizzato ed aveva inserito nella sua lista dei redattori Ives Le Querdec (M. Fonsegrive) in compagnia dei signori Broeglin, Blondel, Bosseboef, Pierre Dabry, Paul Fesch, Felix Klein, Laberthonnière, Lemire, Naudet, Marc Sangnier, Sertillanges, ecc. ecc… Qualche mese prima, cominciava ad apparire il Bulletin de la Semaine, al quale M. Fonsegrive non è estraneo. Egli da anni dirigeva La Quinzaine. I suoi libri, le sue conferenze nei seminari mostrano senza dubbio che M. Fonsegrive desiderava esercitare un apostolato. Ma che tipo di apostolato? Un’eminente religioso, Dom Besse, ha detto di lui: “Egli è mirabilmente dotato per la capacità di esercitare sugli spiriti un’influenza profonda. Un uomo del suo valore avrebbe potuto servire per avvicinare i liberi pensatori alla Chiesa allontanati da essa dal pregiudizio e dall’ignoranza. Egli era, per così dire, ai margini del Cattolicesimo, e si trovava al posto giusto per invitare coloro che venivano dall’esterno ad entrarvi. Non era necessario più alcun apostolato. Per quanto riguarda la leggibilità del Cattolicesimo, M. Fonsegrive ha ben fatto dei segni; alcuni erano rivolti a persone esterne; ma i più numerosi ed i più più energici sono stati rivolti a uomini che, grazie alla loro fede e alla loro l’educazione, sono nel cuore della Chiesa. I giovani Sacerdoti, gli studenti del Seminario ed i Cattolici avevano tutte le sue preferenze.” Egli divenne un dirigente scolastico molto ascoltato. “Gli eccessi a cui molti dei suoi seguaci e dei suoi discepoli e sostenitori hanno dato luogo hanno fatto nascere delle inquietudini. La laicizzazione del clero, ed il suo metodo di insegnamento teologico e di apostolato, a cui hanno lavorato, è di natura tale da preoccupare nonostante lo sfarzo del decoro scientifico e sociale con cui lo si avvolge. Quando sono cominciarono ad emerse queste inquietudini, Fonsegrive si è mostrato indignato. Ecco, ad esempio, il modo in cui ha rimproverato i Sacerdoti che rifiutavano M. Loisy: “Sono sicofanti senza ingegno, senza talento, senza altra autorità se non se non quella che la loro vanità attribuisce a se stessi. Si percepisce, nel leggere certi articoli, la gioia che darebbe a certi uomini la caduta, l’eresia dichiarata di alcuni Cattolici, Sacerdoti, o laici, che a loro non piacciono. Simili a quegli uccelli che volano intorno alle case dove la morte sta per atterrare, urlano di piacere mentre aspettano il cadavere. Uccelli neri, uccelli immondi, non ne avremo abbastanza per la loro ingrata natura, pietà per la loro miseria, tristezza per la loro cecità (Mai si troverà, tra i difensori della verità un linguaggio così oltraggioso. Potremmo fare altre citazioni dallo stesso tipo, molto violente, una delle quali è rivolta al Fautore dell’Americanismo e la congiura anticristiana che mai aveva parlato di lui). Il signor Houtin ha semplicemente preso atto di un fatto che è ben noto a che osservano le idee e gli uomini del giorno, quando ha detto: :”M. Fonsegrive è uno dei leader più prudenti e più influenti del movimento per la riforma del Cattolicesimo. (Questioni bibliche al XXe siècle p. 79.). Inoltre, quale propaganda è stata fatta intorno al suo nome ed alla sua opera! Pio X, nella sua ultima Enciclica, ha sottolineato molto bene come i modernisti eccellano nel fare e disfare le reputazioni. Quando uno di loro apre le labbra, gli altri lo applaudono, invocando il progresso& della scienza.; se qualcuno ha la ventura di gridare… per le loro novità, per quanto mostruose possano essere, essi si abbattono a ranghi serrati su di lui; chi lo nega è chiamato ignorante, chi lo abbraccia e lo difende è invece esaltato. Abusati da essa, molti vanno da loro, che se si rendessero conto di ciò che sta accadendo si ritrarrebbero inorriditi. – Grazie all’audacia di alcuni, alla leggerezza ed all’imprudenza di altri, si è formata un’atmosfera pestilenziale che raggiunge ogni cosa, permea tutto e diffonde il contagio.

GNOSI, TEOLOGIA DI sATANA (74): DEMOCRAZIA CRISTIANA= DEMONIOCRAZIA ANTICRISTIANA? (6)

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA DAGLI APOSTOLI A S.S. PIO XII (36): “PIO IX, 1864-1870”

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA DAGLI APOSTOLI A S.S. PIO XII (36)

HENRICUS DENZINGER

ET QUID FUNDITUS RETRACTAVIT AUXIT ORNAVIT

ADOLFUS SCHÖNMATZER S. J.

ENCHIRIDION SYMBOLORUM DEFINITIONUM ET DECLARATIONUM

De rebus fidei et morum

HERDER – ROMÆ – MCMLXXVI

Imprim.: Barcelona, José M. Guix, obispo auxiliar

(PIO IX, 1864- 1870)

1° CONCILIO VATICANO (20° ecumenico)

8 dicembre 1869-20 ottobre 1870.

3a sessione, 1870: Costituzione dogmaticaDei Filiussulla fede cattolica.

Preambolo.

3000. Ma ora, in mezzo ai Vescovi di tutto il mondo che siedono e giudicano con Noi, riuniti nello Spirito Santo per nostra autorità in questo santo Concilio Ecumenico, e sostenuti dalla Parola di Dio, abbiamo deciso, dalla cattedra di Pietro, di professare e dichiarare davanti agli occhi di tutti la dottrina salvifica di Cristo, proibendo e condannando, in nome dell’Autorità affidataci da Dio, gli errori contrari a questa dottrina.

Cap. 1. Dio creatore di tutte le cose

Il Dio unico e perfetto, distinto dal mondo.

3001. La Santa Chiesa Cattolica Apostolica Romana crede e professa che esista un solo Dio vero e vivente, Creatore e Signore del cielo e della terra, onnipotente, eterno, immenso, incomprensibile, infinito nell’intelligenza, nella volontà ed in ogni perfezione; poiché è una sostanza spirituale unica e singolare, assolutamente semplice e immutabile; si deve affermare che sia distinto dal mondo nella realtà e nell’essenza, che sia perfettamente felice in sé e per sé, e che sia ineffabilmente elevato al di sopra di tutto ciò che è e può essere concepito al di fuori di lui (cf. 3021-3024).

L’atto della creazione: la sua perfezione, il suo fine e il suo effetto.

3002. Questo unico vero Dio, per la sua bontà e la sua “onnipotenza”, non per accrescere la sua beatitudine né per acquisire la sua piena perfezione, ma per manifestarla con i beni che concede alle sue creature, ha, nel più libero dei disegni, “tutto insieme”, dall’inizio dei tempi, ha creato dal nulla le due specie di creature, quella spirituale e quella corporea, cioè gli angeli e il mondo, e poi la creatura umana, che è composta da entrambi, spirito e corpo” (IV Concilio Lateranense: 800; in ciò che segue : (cf. 3022 e 3025).

La Provvidenza divina.

3003. Con la sua Provvidenza, Dio custodisce e governa tutto ciò che ha creato, “giungendo con forza da un capo all’altro del mondo e disponendo di tutte le cose con dolcezza” (Sap VIII,1). Anzi, “tutte le cose sono messe a nudo e scoperte davanti ai suoi occhi” Eb. IV,13), comprese quelle che la libera azione delle creature produrrà.

Cap. 2 Rivelazione

Il fatto della Rivelazione soprannaturale.

3004. La stessa santa Chiesa, nostra Madre, ritiene e insegna che Dio, principio e fine di tutte le cose, può essere conosciuto con certezza alla luce naturale della ragione umana a partire dalle cose create, perché “fin dalla creazione del mondo, ciò che è invisibile è stato reso visibile alla mente attraverso le sue opere” Rm 1,20 . Tuttavia, è piaciuto alla sua sapienza e bontà rivelare se stesso e i decreti eterni della sua volontà agli uomini con un altro mezzo, soprannaturale: “Dopo aver parlato molte volte e in molte forme ai nostri padri per mezzo dei profeti, ora ha parlato a noi per mezzo del Figlio” )Eb 1,1); (cf. 3021).

La sua necessità.

3005. È infatti grazie a questa Rivelazione divina che tutti gli uomini sono in grado, nella condizione attuale del genere umano, di conoscere facilmente, con ferma certezza e senza alcuna mescolanza di errore, ciò che nelle cose divine non è di per sé inaccessibile alla ragione. Non per questo, però, si deve dire che la Rivelazione è assolutamente necessaria, ma perché Dio, nella sua infinita bontà, ha ordinato l’uomo a un fine soprannaturale, cioè la partecipazione ai beni divini che sono assolutamente al di là di ciò che la mente umana possa cogliere. Infatti, “occhio non ha visto, né orecchio ha udito, né è entrato nel cuore dell’uomo ciò che Dio ha preparato per coloro che lo amano” (1 Cor 2,9; cf.3022-3023).

Le sue fonti.

3006. Questa Rivelazione soprannaturale è contenuta, secondo la fede della Chiesa universale affermata dal Santo Concilio di Trento, “nei libri scritti e nelle tradizioni non scritte che, ricevute dagli Apostoli dalla bocca di Cristo stesso, o trasmesse per così dire di mano in mano dagli Apostoli sotto la dettatura dello Spirito Santo, sono giunte fino a noi”. (cf.1501). Questi libri dell’Antico e del Nuovo Testamento, come enumerati nel decreto di questo Concilio e come si trovano nell’antica edizione latina della Vulgata, devono essere accettati come sacri e canonici nella loro integrità con tutte le loro parti. La Chiesa li ritiene tali non perché siano stati composti dall’opera del solo uomo e poi approvati dalla sua autorità, né solo perché contengono la Rivelazione senza errori, ma perché, scritti sotto l’ispirazione dello Spirito Santo, hanno Dio come autore e sono stati trasmessi come tali alla Chiesa (cf. 3024).

Il suo interprete: la Chiesa.

3007. Poiché alcuni hanno travisato il decreto che il santo Concilio di Trento, allo scopo di correggere le menti impudenti, ha emanato circa l’interpretazione della Sacra Scrittura, Noi dichiariamo, rinnovando questo stesso decreto, che la sua intenzione è che, nelle questioni di fede e di morale che riguardino lo sviluppo della dottrina cristiana, il vero significato della Sacra Scrittura deve essere quello che è stato ed è ritenuto dalla nostra Madre, la Santa Chiesa, il cui compito è quello di giudicare il vero significato e l’interpretazione della Sacra Scrittura; e che, di conseguenza, a nessuno è permesso interpretare la Sacra Scrittura in modo contrario a questo significato, né al consenso unanime dei Padri.

Cap. 3. La fede.

Che cos’è la fede.

3008. Poiché l’uomo dipende totalmente da Dio come suo Creatore e Signore, e poiché la ragione creata è completamente soggetta alla Verità increata, siamo tenuti a presentare per fede a Dio che si rivela, la piena sottomissione della nostra intelligenza e volontà (cf. 3021). Questa fede, che è l’inizio della salvezza dell’uomo (cf. 1532), la Chiesa Cattolica la professa come una virtù soprannaturale con la quale, preavvisati da Dio e aiutati dalla grazia, crediamo vere le cose che Egli ci abbia rivelato, non per la loro intrinseca verità percepita dalla luce naturale della ragione, ma per l’autorità di Dio stesso che rivela, che non può ingannare né se stesso né noi (cf. 2778, 3022). La fede, infatti, dice l’Apostolo, è la sostanza delle cose che si sperano e l’evidenza delle cose che non si vedono” (Eb XI,1).

La fede è coerente con la ragione.

3009. Tuttavia, affinché l’omaggio della nostra fede sia conforme alla ragione, (Rm XII,1) Dio ha voluto che gli aiuti interiori dello Spirito Santo fossero accompagnati da prove esteriori della sua Rivelazione, cioè fatti divini e soprattutto miracoli e profezie che, mostrando in modo impressionante l’onnipotenza di Dio e la sua sconfinata conoscenza, sono segni certissimi della Rivelazione divina, adatti all’intelligenza di tutti (cf. 3023-3024). È per questo motivo che Mosè ed i profeti, e soprattutto Cristo nostro Signore, hanno compiuto molti ed eclatanti miracoli ed hanno profetizzato; e, per quanto riguarda gli Apostoli, leggiamo nella Scrittura: “Quando furono partiti, predicarono dappertutto, mentre il Signore collaborava con loro e confermava le loro parole” (Mc. XVI,20). È anche scritto: “Abbiamo una parola profetica più forte, sulla quale fate bene a fissare la vostra attenzione come su una lampada che brilla in un luogo oscuro” (2Pt 1,19).

La fede, dono di Dio

3010. Sebbene l’assenso di fede non sia affatto un movimento cieco della mente, nessuno può dare il suo assenso alla predicazione del Vangelo nel modo richiesto per ottenere la salvezza “senza l’illuminazione e l’ispirazione dello Spirito Santo, che dà a tutti la sua unzione quando aderiscono e credono nella verità” (2° Concilio di Orange: cf. 377). Per questo la fede in sé, anche se non opera attraverso la carità, è un dono di Dio; e l’atto di fede è un’opera salutare, con la quale l’uomo offre a Dio stesso la sua libera obbedienza acconsentendo e cooperando alla grazia alla quale potrebbe resistere (cf. 1525 e segg.).

L’oggetto della fede.

3011. Aggiungiamo che tutto ciò che è contenuto nella Parola di Dio, scritta o trasmessa dalla Tradizione, e che la Chiesa propone di credere come divinamente rivelato, o con un giudizio solenne o con il suo Magistero Ordinario e Universale, è da credere per fede divina e cattolica.

La necessità della fede.

3012. Poiché “senza la fede è impossibile piacere a Dio” (Eb X,6) e condividere la condizione di suoi figli, nessuno è mai giustificato senza di essa e nessuno, se non ha “perseverato in essa fino alla fine” (Mt X,22 Mt XXIV,13 ), otterrà la vita eterna. Ma affinché si possa adempiere al dovere di abbracciare la vera fede e di perseverare costantemente in essa, Dio, per mezzo del suo unico Figlio, ha istituito la Chiesa e l’ha dotata di chiari segni della sua istituzione, affinché possa essere riconosciuta da tutti come custode e maestra della Parola rivelata.

Gli aiuti esterni e interni della fede.

3013. È infatti alla sola Chiesa Cattolica che si riferiscono tutti questi segni, così numerosi e così mirabili, che Dio ha disposto per rendere evidente la credibilità della fede cristiana. Inoltre, la Chiesa, a causa della sua mirabile propagazione, della sua eminente santità e della sua inesauribile fecondità in ogni bene, per la sua unità cattolica e la sua invincibile fermezza, è in se stessa un grande e perpetuo motivo di credibilità e una testimonianza inconfutabile della sua missione divina.

3014. Di conseguenza, la Chiesa stessa, “come un vessillo innalzato tra le nazioni” (Is XI,12), da un lato chiama a sé coloro che non hanno ancora creduto, dall’altro accresce nei suoi figli la certezza che la fede che professano poggi su un fondamento molto solido. A questa testimonianza si aggiunge l’aiuto efficace della grazia dall’alto. Il Signore, infatti, pieno di benevolenza, da un lato suscita e aiuta con la sua grazia coloro che sono nell’errore, affinché “giungano alla conoscenza della verità” (1 Tm II,4), e dall’altro conferma con la sua grazia coloro che ha fatto uscire dalle tenebre verso la sua meravigliosa luce (1 Pt II,9 – Col I,13), affinché perseverino in questa luce, senza abbandonare nessuno, a meno che non sia abbandonato Lui (cf. 1537. Pertanto, la condizione di coloro che hanno aderito alla verità cattolica attraverso il dono celeste della fede non è in alcun modo simile a quella di coloro che, guidati da opinioni umane, seguono una falsa religione; infatti, coloro che hanno ricevuto la fede sotto il Magistero della Chiesa non possono mai avere un giusto motivo per cambiare o mettere in discussione tale fede (cf. 3026). Perciò, rendendo grazie a Dio Padre, che ci ha resi degni di partecipare alla sorte dei santi nella luce (Col 1,12), non trascuriamo una così grande salvezza (Col 2,3), ma “con gli occhi fissi su Gesù, autore della nostra fede e che la conduce alla perfezione” (Heb XII,2), “manteniamo la testimonianza incrollabile della nostra speranza” (Heb. X,23).

Capitolo 4. Fede e ragione.

Due ordini di conoscenze.

3015. La Chiesa Cattolica ha sempre sostenuto e continua a sostenere che esistano due ordini di conoscenza, distinti non solo per il loro principio, ma anche per il loro oggetto. Per il loro principio, perché in uno è la ragione naturale e nell’altro la fede divina a conoscere. Per il loro oggetto, perché, oltre alle verità che la ragione naturale può raggiungere, ci viene proposto di credere ai misteri nascosti in Dio, che non possono essere conosciuti se non sono divinamente rivelati 3021. Per questo l’Apostolo, che testimonia che Dio sia stato conosciuto dai Gentili “per mezzo delle sue opere” (Rm 1,20), quando parla della grazia e della verità che ci vengono da Gesù Cristo (Gv 1,17), dichiara: “Noi annunciamo la sapienza di Dio in mistero, una sapienza nascosta che Dio ha predestinato prima di tutti i secoli per la nostra gloria, che nessuno dei dominatori di questo mondo ha conosciuto… Dio ce l’ha rivelata per mezzo del suo Spirito, perché lo Spirito penetra tutte le cose, anche le profondità di Dio” (1 Cor 2,7ss.). E lo stesso Figlio unigenito ringrazia il Padre per aver nascosto queste cose ai sapienti ed ai prudenti e per averle rivelate ai piccoli (Mt XI,25).

Il ruolo della ragione nello sviluppo della verità soprannaturale.

3016. Quando la ragione, illuminata dalla fede, cerca con attenzione, pietà e moderazione, arriva per dono di Dio ad una certa comprensione molto fruttuosa dei misteri, sia per analogia con le cose che conosce naturalmente, sia per i legami che collegano i misteri tra loro e con il fine ultimo dell’uomo; mai, però, è resa capace di penetrarli allo stesso modo delle verità che costituiscono il suo stesso oggetto. Infatti, i misteri di Dio, per la loro stessa natura, sono talmente al di là della comprensione del creato che, anche se sono stati tramandati dalla Rivelazione e accolti per fede, sono ancora coperti dal velo della fede, come avvolti da una certa oscurità, finché, in questa vita mortale, camminiamo lontani dal Signore, perché è per fede che camminiamo, non per vista (2Co X,6 s.)

Nessuna opposizione tra fede e ragione.

3017. Ma sebbene la fede sia al di sopra della ragione, non ci può mai essere un vero disaccordo tra la fede e la ragione, poiché è lo stesso Dio che rivela i misteri e comunica la fede, e che ha fatto scendere nella mente umana la luce della ragione: Dio non potrebbe mai negare se stesso, né il vero potrebbe mai contraddire il vero. Questa vana apparenza di contraddizione si verifica soprattutto quando i dogmi della fede non siano stati compresi ed esposti secondo lo spirito della Chiesa, o quando si prendono per conclusioni della ragione opinioni false. “Definiamo quindi completamente falsa ogni affermazione contraria alla verità della fede illuminata” (V Concilio Lateranense 1441).

3018. Inoltre, la Chiesa, che insieme all’ufficio apostolico dell’insegnamento ha ricevuto il comandamento di custodire il deposito della fede, ha da Dio il diritto ed il dovere di proscrivere la falsa “scienza” (1Tm VI,20), perché nessuno sia ingannato dal vano richiamo della filosofia (Col 2,8 – cf. 3022). Per questo motivo, tutti i Cristiani, saldi nella loro fede, non solo non hanno il diritto di difendere come legittime le conclusioni della scienza le opinioni note contrarie alla fede, soprattutto se siano state ripudiate dalla Chiesa, ma sono rigorosamente tenuti a considerarle piuttosto come errori ornati da qualche ingannevole apparenza di verità.

L’aiuto reciproco di fede e ragione.

3019. Non solo la fede e la ragione non sono mai in disaccordo, ma si aiutano a vicenda (cf. 2776; 2811). La retta ragione dimostra i fondamenti della fede e, illuminata dalla luce della fede, si dedica alla scienza delle cose divine. Quanto alla fede, essa libera e protegge la ragione dall’errore e le fornisce una ricchezza di conoscenze. Per questo motivo, la Chiesa non si oppone alle scienze umane e alle arti liberali; al contrario, le aiuta e le fa progredire in molti modi. Non ignora né disprezza i benefici che apportano alla vita umana; riconosce persino che, provenendo da Dio, il padrone delle scienze (1S 2,3), esse possano condurre a Dio, con l’aiuto della sua grazia, se usate correttamente. Non vieta certo a queste scienze di utilizzare, ciascuna nel proprio campo, principi ed un metodo che non siano necessariamente gli stessi. Pur riconoscendo questa legittima libertà, è molto attenta a garantire che non ammettano errori contrari alla dottrina divina, o che non oltrepassino i loro confini ed invadano o disturbino il dominio della fede.

Il progresso della scienza teologica.

3020. D’altra parte, la dottrina della fede rivelata da Dio non è stata proposta come una scoperta filosofica da far progredire con la riflessione umana, ma come un deposito divino affidato alla Sposa di Cristo per essere fedelmente custodito e infallibilmente presentato. Di conseguenza, il significato dei sacri dogmi che deve essere conservato in perpetuo è quello che la nostra Madre, la santa Chiesa, ha presentato una volta per tutte, e non è mai lecito discostarsene con il pretesto o in nome di una comprensione più avanzata. (cf. 3023). “L’intelligenza, la conoscenza e la sapienza crescano e progrediscano ampiamente e intensamente, per ciascuno come per tutti, per un uomo come per tutta la Chiesa, secondo il grado proprio di ogni epoca e di ogni tempo, ma esclusivamente nel loro ordine, nella stessa convinzione, nello stesso senso e nello stesso pensiero”.

Canoni.

1. Dio, creatore di tutte le cose.

Contro tutti gli errori riguardanti l’esistenza di Dio creatore.

3021. 1 Se qualcuno rifiuta di ammettere che esista un solo vero Dio, creatore e signore delle cose visibili e invisibili, sia anatema (cf. 3001).

Contro il materialismo.

3022. 2 Se qualcuno non si vergogna di affermare che non esista nulla al di fuori della materia, sia anatema (cf. 3002).

Contro il panteismo e le sue varie forme.

3023. 3. Se qualcuno dice che la sostanza o l’essenza di Dio e di tutti gli esseri è una sola e unica, sia anatema (cf. 3001).

3024. 4. Se qualcuno dice che le cose finite, corporee o spirituali, o almeno quelle spirituali, siano emanate dalla sostanza divina, o che l’Essenza divina diventi tutte le cose manifestandosi o evolvendosi, o infine che Dio sia l’essere universale o indefinito, che, determinandosi, costituisca l’universalità delle cose, distinte in genere, specie e individui, sia anatema.

Contro i panteisti e i materialisti, contro i Güntheriani e gli Hermesiani.

3025. 5 Se qualcuno non confessa che il mondo e tutte le realtà in esso presenti, spirituali e materiali, siano state prodotte da Dio nella totalità della loro sostanza, o se dice che Dio non abbia creato con una volontà libera da ogni necessità, ma anche necessariamente che ami se stesso, o se nega che il mondo sia stato creato per la gloria di Dio, sia anatema.

2. Rivelazione.

Contro coloro che negano la teologia naturale.

3026. 1 Se qualcuno dice che l’unico vero Dio, nostro Creatore e Signore, non possa essere conosciuto con certezza dalle sue opere attraverso la luce naturale della ragione umana, sia anatema. (cf. 3004).

Contro il deismo.

3027. (2) Se qualcuno afferma che sia impossibile o inutile per l’uomo essere istruito dalla Rivelazione divina su Dio e sul culto da rendere a Lui, sia anatema.

Contro il razionalismo illimitato.

3028. 3 Se qualcuno dice che l’uomo non possa essere innalzato da Dio a una conoscenza e ad una perfezione superiori a quelle che gli sono naturali, ma che possa e debba arrivare da solo, alla fine, al possesso del vero e del bene attraverso un processo di auto-rivelazione, sia anatema.

Contro la critica alla Bibbia da parte dei razionalisti.

3029. 4. Se qualcuno non riceve i libri della Sacra Scrittura come sacri e canonici, nella loro integrità e con tutte le loro parti, come enumerati dal Santo Concilio di Trento (cf. 1501-1508), o se nega che siano divinamente ispirati, sia anatema (cf. 3006).

3. La fede.

Contro l’autonomia della ragione.

3031. (1) Se qualcuno dice che la ragione umana sia così indipendente che Dio non possa esigere da essa la fede, sia anatema (cf. 3008).

3032. (2) Se qualcuno dice che la fede divina non sia distinta dalla conoscenza naturale che si possa avere di Dio e delle regole della morale e che, di conseguenza, non sia richiesto per la fede divina che si creda nella verità rivelata a causa dell’autorità di Dio che rivela, sia anatema (cf. 3008).

Contro il fideismo.

3033. 3 Se qualcuno afferma che la Rivelazione divina non possa essere resa credibile da segni esterni e che quindi gli uomini debbano essere condotti alla fede solo dalla loro personale esperienza interiore o da un’ispirazione privata, sia anatema (cf. 3009).

Contro l’agnosticismo e il mitologismo.

3034. 4 Se qualcuno afferma che i miracoli non possano esistere e che quindi tutti i racconti che ne parlano, anche quelli che si trovano nella Sacra Scrittura, debbano essere respinti come favole o miti, o che i miracoli non possano mai essere conosciuti con certezza né servano a provare effettivamente l’origine della Religione cristiana, sia anatema. (cf.3009).

Contro gli Hermesiani.

3035. 5 Se qualcuno dice che l’assenso alla fede cristiana non sia libero, ma sia necessariamente prodotto dagli argomenti della ragione umana, o che la grazia di Dio sia necessaria solo per la fede viva che opera attraverso la carità, (Galati V,6), sia anatema (cf. 3010).

3036. 6 Se qualcuno dice che i fedeli siano nella stessa condizione di coloro che non sono ancora arrivati all’unica vera fede, così che i Cattolici potrebbero avere un giusto motivo, sospendendo il loro assenso, per revocare il dubbio della fede che hanno ricevuto sotto il Magistero della Chiesa fino a quando non avranno completato la dimostrazione scientifica della credibilità e della verità della loro fede, sia anatema (cf. 3014).

4. Fede e ragione.

3041. (1) Se qualcuno dice che la Rivelazione divina non contenga alcun vero mistero propriamente detto, ma che tutti i dogmi della fede possano essere compresi e dimostrati dalla ragione opportunamente coltivata, a partire dai principi naturali, sia anatema (cf. 3015).

3042. (2) Se qualcuno dice che le discipline umane debbano essere trattate con tale libertà che, anche se le loro affermazioni si oppongono alla dottrina rivelata, possano essere riconosciute come vere e non possano essere proibite dalla Chiesa, sia anatema (cf. 3017 s.)

3043. 3. se qualcuno dice che sia possibile che ai dogmi proposti dalla Chiesa venga dato a volte, in seguito al progresso della scienza, un significato diverso da quello che la Chiesa abbia inteso e intenda tuttora, sia anatema (cf. 3020).

Epilogo.

3044. Per questo motivo, adempiendo al nostro Ufficio pastorale, supplichiamo tutti i fedeli di Cristo, specialmente coloro che esercitono una certa autorità o abbiano il compito di insegnare agli altri, e comandiamo loro, per amore di Gesù Cristo e con l’Autorità del nostro Dio e Salvatore, di mettere in atto gli sforzi del loro zelo per rimuovere ed eliminare questi errori dalla santa Chiesa Cattolica e per diffondere la luce della fede più pura.

3045. Ma poiché non è sufficiente evitare la perversità dell’eresia se non si sia anche molto attenti a rifuggire dagli errori, avvertiamo tutti i fedeli del dovere di osservare anche le costituzioni ed i decreti con cui la Santa Sede proibisca e vieti le opinioni perverse non esplicitamente menzionate nel presente documento.

4a Sessione, 18 luglio 1870: prima Costituzione dogmatica Pastor Æternus

Preambolo sull’istituzione e la fondazione della Chiesa.

3050. L’eterno pastore e custode delle nostre anime, (1 Pt II,25) per perpetuare l’opera salvifica della redenzione, decise di fondare la Chiesa, nella quale, come nella casa del Dio vivente, tutti i fedeli sarebbero stati uniti dal vincolo di una sola fede e di un solo amore. Per questo, prima di essere glorificato, pregò il Padre suo non solo per gli Apostoli, ma anche per coloro che avrebbero creduto in Lui a causa delle loro parole, affinché fossero tutti una cosa sola, come il Figlio e il Padre sono una cosa sola (Gv XVII,20-21). Come ha mandato nel mondo gli Apostoli che aveva scelto (Gv XV,19), come Lui stesso era stato mandato dal Padre (Gv XX,21), così ha voluto che nella sua Chiesa ci fossero pastori e maestri “fino alla fine dei secoli” (Mt XXVIII,20).

3051. Affinché l’episcopato sia uno e non diviso e affinché, grazie alla stretta e reciproca unione dei Pontefici, tutta la moltitudine dei credenti sia mantenuta nell’unità della fede e della comunione, ponendo san Pietro al di sopra degli altri Apostoli, stabilì nella sua persona il principio duraturo e il fondamento visibile di questa duplice unità. Sulla sua solidità sarebbe stato costruito il tempio eterno e sulla fermezza di questa fede sarebbe sorta la Chiesa, la cui grandezza doveva toccare il cielo.

3052. Poiché le porte dell’inferno, con l’intento di abbattere se possibile la Chiesa, si ergono da ogni parte con odio sempre crescente contro questo fondamento stabilito da Dio, riteniamo necessario per la protezione, la salvaguardia e la crescita del gregge cattolico, con l’approvazione del santo Concilio, proporre a tutti i fedeli la dottrina che essi debbano credere e sostenere, secondo l’antica e costante fede della Chiesa, riguardo all’istituzione, al carattere perpetuo ed alla natura del primato della Sede Apostolica, su cui poggia la sua forza e la solidità di tutta la Chiesa, e anche di proscrivere e condannare gli errori contrari, così perniciosi per il gregge del Signore.

Cap. 1 – L’istituzione del primato apostolico in San Pietro.

3053. Insegniamo e dichiariamo dunque che, secondo la testimonianza del Vangelo, il primato di giurisdizione su tutta la Chiesa di Dio fu promesso e dato immediatamente e direttamente da Cristo nostro Signore all’Apostolo san Pietro. Fu infatti solo a Simone, al quale era già stato detto: “Il tuo nome sarà Cefa” (Gv 1,42), dopo che egli lo aveva confessato dicendo: “Beato te, Simone, figlio di Giona, perché non te lo ha rivelato la carne ed il sangue, ma il Padre mio che è nei cieli; e Io ti dico che tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa. E tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato in cielo, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto in cielo” (Mt XVI,16-49). E fu solo a Simon Pietro che, dopo la sua risurrezione, Gesù conferì la giurisdizione di pastore e guida suprema su tutto il suo gregge, dicendo: “Pasci i miei agnelli, pasci le mie pecore” (Gv XXI,15-17).

3054. A questa chiarissima dottrina della Sacra Scrittura, così come è sempre stata intesa dalla Chiesa Cattolica, si oppongono apertamente le false opinioni di coloro che, pervertendo la forma di governo istituita da Cristo nostro Signore, negano che, a preferenza degli altri Apostoli, o di coloro che affermano che questo primato non sia stato conferito direttamente e immediatamente a san Pietro, ma alla Chiesa e, attraverso la Chiesa, a Pietro come suo ministro.

3055. (Canone) Se dunque qualcuno dice che l’Apostolo Pietro non sia stato istituito da Cristo nostro Signore come capo di tutti gli Apostoli e capo visibile di tutta la Chiesa militante; o che questo stesso Apostolo abbia ricevuto direttamente e immediatamente da Cristo solo un primato di onore e non un primato di vera e propria giurisdizione, sia anatema.

Cap. 2. La perpetuità del primato di San Pietro.

3056. Ciò che Cristo nostro Signore, capo dei pastori e supremo Pastore delle pecore, ha istituito nel santo Apostolo per la salvezza e il bene eterno della Chiesa, deve necessariamente, grazie allo stesso promotore, continuare ininterrottamente nella Chiesa, che, fondata sulla roccia, resterà salda fino alla fine dei secoli. “Nessuno dubita e tutti i secoli sanno che il santo e beato Pietro, capo e principe degli Apostoli, abbia ricevuto le chiavi del Regno da nostro Signore Gesù Cristo, Salvatore e Redentore del genere umano: finora e sempre, è lui che, nella persona dei suoi successori, i Vescovi della Santa Sede di Roma da lui fondata e consacrata dal suo sangue, vive, presiede ed esercita il potere di giudizio.

3057. Da quel momento in poi, chiunque succeda a Pietro su questa cattedra riceve, per istituzione di Cristo stesso, il primato di Pietro su tutta la Chiesa. “Così rimane ciò che la verità ha comandato, e San Pietro, sempre a guardia della solidità della pietra che ha ricevuto, non ha abbandonato il timone della Chiesa”. Questo è il motivo per cui “è sempre stato necessario che ogni Chiesa, cioè i fedeli di ogni luogo, si rivolgessero alla Chiesa romana a causa della sua priorità preminente”, affinché fossero una cosa sola in questa Sede dalla quale “i diritti della venerabile comunione” scaturiscono su tutti, come le membra unite al capo nell’assemblea di un corpo.

3058. (Canone) Pertanto, se qualcuno dice che non è per istituzione di Cristo o per diritto divino che San Pietro abbia, e per sempre, dei successori nel suo primato sulla Chiesa universale, o che il Romano Pontefice non sia il successore di San Pietro in questo primato, sia anatema.

Cap. 3. Potere e natura del primato del Romano Pontefice.

3059. Pertanto, basandoci sulla chiara testimonianza delle Sacre Lettere e aderendo ai decreti esplicitamente definiti sia dai nostri predecessori, i Romani Pontefici, sia dai Concili generali, rinnoviamo la definizione del Concilio Ecumenico di Firenze, che richiede ai fedeli di credere “che la Santa Sede Apostolica ed il Romano Pontefice hanno il primato su tutto l’universo e che il Romano Pontefice sia il successore del Beato Pietro, Principe degli Apostoli e vero Vicario di Cristo, capo di tutta la Chiesa, Padre e Maestro di tutti i Cristiani …”; e che a lui sia stato trasmesso da nostro Signore Gesù Cristo, nel beato Pietro, il pieno potere di pascere, dirigere e governare la Chiesa universale, come è contenuto negli atti dei Concili ecumenici e nei sacri Canoni” (cf. 1307).

3060. Pertanto insegniamo e dichiariamo che la Chiesa romana, per disposizione del Signore, possieda un primato di potestà ordinaria su tutte le altre, e che questa potestà di giurisdizione del Romano Pontefice, che è veramente episcopale, è immediata. I pastori di tutti i riti e gradi, così come i fedeli, sia individualmente che tutti insieme, sono tenuti al dovere di subordinazione gerarchica e di vera obbedienza, non solo nelle questioni di fede e di morale, ma anche in quelle che riguardano la disciplina ed il governo della Chiesa diffusa in tutto il mondo; in modo tale che, mantenendo l’unità di comunione e di professione di fede con il Romano Pontefice, la Chiesa sia un solo gregge sotto un solo supremo pastore (Gv X,16). Questa è la dottrina della verità cattolica, dalla quale nessuno può allontanarsi senza pericolo per la fede e la salvezza.

3061. Ma questo potere del Sommo Pontefice non impedisce in alcun modo il potere ordinario e immediato della giurisdizione episcopale con cui i Vescovi, istituiti dallo Spirito Santo (At XX,28) successori degli Apostoli, pascono e governano come veri pastori ogni gregge loro affidato. Anzi, questo potere è affermato, rafforzato e difeso dal Pastore supremo e universale, come dice San Gregorio Magno: “Il mio onore è l’onore della Chiesa universale. Il mio onore è la solida forza dei miei fratelli. Sono veramente onorato quando a ciascuno viene reso l’onore che gli sia dovuto”.

3062. Inoltre, da questo potere supremo che il Romano Pontefice ha di governare tutta la Chiesa, deriva per lui il diritto di comunicare liberamente, nell’esercizio del suo ufficio, con i pastori e le greggi di tutta la Chiesa per poterli insegnare e governare nella via della salvezza. Per questo condanniamo e riproviamo le opinioni di coloro che affermano che questa comunicazione del capo supremo con i pastori e il gregge possa essere legittimamente impedita, o che la sottopongono al potere civile, sostenendo che ciò che è deciso dalla Sede Apostolica o dalla sua autorità, per il governo della Chiesa, non abbiia forza né valore se non è confermato dal placet del potere civile.

3063. E poiché, in virtù del diritto divino del primato apostolico, il Romano Pontefice è il capo della Chiesa universale, insegniamo e dichiariamo inoltre che egli sia il giudice supremo dei fedeli e che, in tutte le cause che riguardino la giurisdizione ecclesiastica, ci si possa appellare alla sua sentenza. (cf. 861). Il giudizio della Sede Apostolica, a cui nessuna autorità è superiore, non deve essere messo in discussione da nessuno e nessuno ha il diritto di giudicare le sue decisioni (cf. 638-642). Pertanto, coloro che affermano che sia lecito appellarsi alle sentenze dei Romani Pontefici presso il Concilio Ecumenico come ad un’autorità superiore a quel Pontefice, si allontanano dalla via della verità.

3064. (Canone) Se poi qualcuno dice che il Romano Pontefice abbia solo un ufficio di ispezione o di direzione e non un pieno e sovrano potere di giurisdizione su tutta la Chiesa, non solo in materia di fede e di morale, ma anche in materia di disciplina e di governo della Chiesa diffusa in tutto il mondo, o che abbia solo la parte più importante e non la piena pienezza di questo potere supremo; o che il suo potere non sia ordinario o immediato su ogni Chiesa e su ogni pastore e membro dei fedeli: che sia anatema.

Cap. 4. Il magistero infallibile del Romano Pontefice.

3065. Che nel primato apostolico che il Romano Pontefice, come successore di Pietro, Principe degli Apostoli, ha ricevuto sulla Chiesa universale, sia inclusa anche la suprema potestà di Magistero, è ciò che questa Santa Sede ha sempre sostenuto, ciò che l’uso perpetuo delle Chiese conferma e ciò che i Concili ecumenici hanno dichiarato, specialmente quelli in cui l’Oriente si è incontrato con l’Occidente nell’unione della fede e della carità.

3066. Infatti, i padri del VI Concilio di Costantinopoli, seguendo le orme degli antichi, emisero questa solenne professione di fede: “La prima condizione di salvezza è l’osservanza della regola della retta fede (…). E poiché non è possibile trascurare la parola di nostro Signore Gesù Cristo che ha detto: “Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa” (cf. Mt XVI,18), quanto detto è provato dai fatti, poiché la Religione Cattolica è sempre stata mantenuta senza macchia dalla Sede Apostolica e la dottrina cattolica sempre professata nella sua santità. Non volendo quindi separarci in alcun modo da questa speranza e da questa fede (…), ci auguriamo di meritare di entrare nella comunione con voi che la Sede Apostolica predica, una comunione in cui risiede la solidità della Religione cristiana, completa e vera” (cf. 363-365).

3067. E con l’approvazione del II Concilio di Lione, i Greci professarono: “La santa Chiesa romana possiede anche un primato e un’autorità sovrani e completi su tutta la Chiesa Cattolica. Essa riconosce sinceramente e umilmente di averlo ricevuto, con la pienezza del potere, dal Signore stesso, nella persona del beato Pietro, capo degli Apostoli, di cui il Romano Pontefice è il successore. E come deve, prima di ogni altro, difendere la verità della fede, così le questioni che possono sorgere riguardo alla fede devono essere definite dal suo giudizio” (cf. 861).

3068. Infine, il Concilio di Firenze definì: “Il Romano Pontefice è il vero Vicario di Cristo, il capo di tutta la Chiesa. Padre e maestro di tutti i Cristiani; e che a lui è stata trasmessa da nostro Signore Gesù Cristo nel beato Pietro, la potestà plenaria di pascere, dirigere e governare la Chiesa universale” (cf. 1307).

3069. Nell’adempimento del loro ufficio pastorale, i nostri predecessori hanno lavorato instancabilmente per diffondere la dottrina salvifica di Cristo tra tutti i popoli della terra, e hanno vegliato con altrettanta cura alla sua autentica e pura conservazione ovunque fosse accolta. Per questo i Vescovi di tutto il mondo, a volte singolarmente, a volte riuniti in sinodo, secondo l’antica consuetudine delle Chiese e le forme dell’antica regola, hanno comunicato alla Sede Apostolica i particolari pericoli che sono sorti in materia di fede, affinché i danni causati alla fede siano riparati laddove non si possa permettere che essa venga meno. I Romani Pontefici, secondo le condizioni del tempo e degli eventi, a volte convocando Concili ecumenici o sondando l’opinione della Chiesa in tutto il mondo, a volte per mezzo di Sinodi particolari, a volte con altri mezzi forniti dalla Provvidenza, hanno stabilito che si tenesse ciò che, con l’aiuto di Dio, avessero riconosciuto conforme alle sacre lettere ed alle tradizioni apostoliche.

3070. Infatti, ai successori di Pietro non fu promesso lo Spirito Santo di far conoscere, sotto la sua rivelazione, una nuova dottrina, ma di custodire ed esporre fedelmente, con la sua assistenza, la Rivelazione trasmessa dagli Apostoli, cioè il deposito della fede. La loro dottrina apostolica è stata accolta da tutti i venerabili Padri, venerata e seguita dai santi Dottori ortodossi; essi sapevano perfettamente che questa Sede di Pietro sarebbe rimasta pura da ogni errore, secondo la promessa divina del nostro Signore e Salvatore al capo dei suoi discepoli: “Ho pregato per voi, perché non venga meno la vostra fede; e quando vi convertirete, rafforzate i vostri fratelli” (Lc XXII,32).

3071. Questo carisma di verità e di fede, perennemente indefettibile, è stato concesso da Dio a Pietro ed ai suoi successori in questa cattedra, affinché adempiano al loro alto Ufficio per la salvezza di tutti; affinché il gregge universale di Cristo, sottratto al cibo velenoso dell’errore, sia nutrito con la dottrina celeste; affinché, eliminata ogni occasione di scisma, la Chiesa sia conservata nell’unità e, stabilita sul suo fondamento, stia salda contro le porte dell’inferno.

3072. Ma poiché in questo momento, in cui è più richiesta l’efficacia salutare dell’Ufficio Apostolico, non mancano uomini che ne contestano l’autorità, riteniamo assolutamente necessario affermare solennemente la prerogativa che l’unigenito Figlio di Dio si è degnato di attribuire al Supremo Ufficio pastorale.

3073. Pertanto, aderendo fedelmente alla tradizione ricevuta fin dall’inizio della fede cristiana per la gloria di Dio nostro Salvatore, per l’esaltazione della Religione Cattolica e per la salvezza dei popoli cristiani, con l’approvazione del Santo Concilio, insegniamo che si tratti di un dogma rivelato da Dio:

3074. … quando il Romano Pontefice parla ex cathedra, cioè quando, adempiendo al suo Ufficio di Pastore e Dottore di tutti i Cristiani, definisca, in virtù della sua suprema Autorità Apostolica, che una dottrina in materia di fede o di morale debba essere sostenuta da tutta la Chiesa, egli gode, in virtù dell’assistenza divina promessagli nella persona di San Pietro, di quell’infallibilità di cui il divino Redentore ha voluto che fosse dotata la sua Chiesa quando definisca la dottrina sulla fede o sulla morale; di conseguenza, queste definizioni del Romano Pontefice sono irreformabili di per sé e non in virtù del consenso della Chiesa.

3075. (Canone) Se qualcuno, Dio non voglia, osasse contraddire la nostra definizione, sia anatema.

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA DAGLI APOSTOLI A S.S. PIO XII (37): “Da PIO IX (1872-1878) a LEONE XIII (1878-1886)

UN’ENCICLICA AL GIORNO TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO: S.S. LEONE XIII – “URBANITATIS VETERIS”

In questa breve lettera indirizzata ai Greci in unione con la Chuesa Cattolica, il Papa esprime la sua soddisfazione per l’iniziativa che mirava a costituire un Seminario cattolico ad Atene. Questa iniziativa è un esempio di vero ecumenismo, cioè l’accoglienza di ogni popolo, nazione o persona nell’ovile di Cristo, appunto la Chiesa Cattolica romana, guidata dal suo Pastore, il Vicario ddi Cristo. Questo termine oggi, per mezzo dei falsi profeti conciliabolari, asserviti alla setta massonica degli Illuminati, ha cambiato connotati e significato, indicando l’indifferentismo religioso ed il blasfemo “minestrone” dei culti (tipo incontri luciferini di Assisi), in realtà unificati poiché tutti militanti nell’esercito del demonio e sotto la bandiera di satana, il serpente antico, nemico di Dio e degli uomini, compresi quelli che lo adorano. Il vero ed unico Ecumenismo è quello per cui “ut sint unum” (Joan. XVII), in un’unica fede apostolica e sotto un solo Pastore custode del gregge di Cristo e del suo Corpo mistico, la Chiesa Cattolica.

URBANITATIS VETERIS

ENCICLICA DI PAPA LEO XIII

SULLA FONDAZIONE DI UN SEMINARIO AD ATENE

Agli Arcivescovi ed ai Vescovi della Chiesa latina in Grecia.

La Grecia, ornamento dell’antica civiltà e madre di tutte le arti, anche dopo tante disgrazie nelle sue vicende ed una così grande varietà di sventure, non è tuttavia invecchiata nella memoria e nell’ammirazione degli uomini. Infatti, nessuno è così incivile da non commuoversi riflettendo sulla sua grandezza e sulla sua gloria. Nel nostro caso, nel nostro spirito non c’è solo il ricordo unito all’ammirazione, ma un vero e proprio amore, e questo da molto tempo. Fin dalla nostra giovinezza abbiamo sempre ammirato la letteratura ionica e attica e soprattutto quella scienza che si occupa della ricerca della verità, nella quale gli insigni filosofi della vostra nazione hanno svolto un ruolo così influente che la mente umana non sembra essere stata in grado di progredire ulteriormente alla sola luce della natura. Quanto apprezziamo questa saggezza dei Greci risulta sufficientemente chiaro dalla diligente e molteplice sollecitudine esercitata dall’alto del Nostro Pontificato per ripristinare e far conoscere la filosofia del Dottore Angelico. Infatti, se coloro la cui formazione ed i cui insegnamenti sono stati seguiti per acquisire la saggezza ricevono giustamente gran parte della gloria dovuta ai saggi, giudichiamo che il vostro Aristotele abbia certamente ricevuto onore dal fatto che abbiamo onorato il beato Tommaso d’Aquino, facilmente il più eccezionale dei discepoli e dei grandi seguaci di Aristotele.

Padri e dottori greci degni di nota.

2. Inoltre, se vogliamo parlare di questioni cristiane, la pratica greca dei Sacramenti è sempre stata da Noi approvata: nelle cerimonie e nei riti sacri che la Grecia si preoccupa di conservare immacolati, così come sono stati ricevuti dai loro antenati, abbiamo sempre prestato riverenza a questa immagine di antica consuetudine e maestà unita alla varietà. E poiché è giusto ed opportuno che questi riti rimangano incorrotti come sono, abbiamo ripristinato la pianta originale e la forma incontaminata del Collegio Romano, intitolato ad Atanasio il Grande, per gli studenti di rito greco. Allo stesso modo, la riverenza dovuta ai Padri ed ai Dottori che la Grecia ha prodotto, e che per la benevolenza di Dio sono stati molti e grandi, non ha fatto che aumentare con il tempo. Praticamente fin dall’inizio del nostro Pontificato, abbiamo deciso di dare maggiore onore a Cirillo e Metodio. È stato nostro desiderio, guidati dalla devozione, far conoscere meglio da oriente a occidente le virtù e le opere di questi due uomini, affinché essi, meritevoli di un nome cattolico universale, siano più venerati dai Cattolici di tutto il mondo.

Papi di origine greca.

3. Inoltre, ci rallegriamo non poco dei Nostri predecessori ai quali la Grecia ha dato i natali e la stirpe, e spesso ricordiamo con quanta saggezza hanno aiutato e sostenuto la Chiesa cristiana nel suo cammino attraverso tempi duri e difficili. Con quale coraggio la maggior parte di loro, come Anacleto, Telesforo, Igino, dopo aver compiuto grandi fatiche, subirono il martirio. Anche se, a dire il vero, non ricordiamo quasi mai i Papi di origine greca senza dolore e nostalgia per la grande perdita causata dalle disgrazie dei secoli successivi. Ci riferiamo a quell’antica unione, priva di discordie, con cui Greci e Latini si tenevano insieme per il loro reciproco profitto, quando quella parte della terra che aveva prodotto Socrate e Platone forniva spesso i Sommi Pontefici.

Istituzione del Seminario.

4. Continuate a esercitare abilmente il vostro dovere episcopale, come del resto fate: lavorate affinché chiunque obbedisca alla vostra sacra autorità sia ogni giorno più consapevole di ciò che richiede la professione della fede cattolica, e impari dal vostro esempio ad unire il giusto amore per la patria con l’amore e lo zelo per la propria santa fede. Da parte nostra, saremo zelanti nel difendere, preservare e rafforzare il Cattolicesimo in mezzo a voi con tutto il lavoro e lo sforzo possibili. Conosciamo bene il grande ruolo svolto per la protezione della morale, per la disciplina civile e per la gloria stessa del nome cattolico dall’educazione delle anime e dalla pratica delle arti della mente. Per questo motivo, alcuni anni fa abbiamo fondato ad Atene un collegio in cui i giovani Cattolici potessero avere l’opportunità di dedicarsi alle lettere e, in particolare, di imparare la lingua che per mano di Omero e Demostene ha prodotto tanto splendore. Di recente, la vostra lettera congiunta del 9 settembre sollecita l’introduzione di qualcosa di simile, che si occupi dell’educazione dei giovani chierici. Avete il nostro consenso e la nostra approvazione; di sicuro riteniamo molto utile e opportuno che la casa delle lettere di Atene, di cui abbiamo parlato, sia accessibile anche agli studenti di cose sacre. Lì essi potranno dedicarsi alla pratica di studi umani più raffinati, e non sarà loro permesso di entrare in contatto con la teologia o la filosofia prima di aver appreso a fondo la lingua e la letteratura ancestrale nella propria città. In questo modo proteggeranno meglio la dignità della loro vocazione e svolgeranno più utilmente il loro ministero. Perciò abbiamo accolto volentieri il vostro suggerimento di istituire un seminario di questo tipo per i giovani chierici di rito latino, ma di nascita greca, e per gli altri orientali di lingua greca.

Sostegno alla Grecia da parte degli ex Pontefici

5. Inoltre, se riflettete brevemente, scoprirete la stessa benevolenza nei Nostri predecessori e in Noi stessi, che non hanno mai trascurato nulla di ciò che era in loro potere e che sembrava essere di beneficio per la vostra nazione. Così, come testimonia la storia, Pio V, appartenendo a quell’alleanza di principi cristiani che trionfò così magnificamente nelle Isole Echinadi, volle non solo difendere l’Italia ma anche liberare tutta la Grecia. A tal fine il santissimo Pontefice si adoperò per lo stato ed il benessere della Grecia. E se la speranza sfuggiva sia all’uomo che alle sue imprese, tuttavia si trattava certamente di una grande impresa piena di amore, e non fu colpa sua se non ebbe successo. Inoltre, in tempi molto più recenti, quando i vostri padri stavano lottando per cacciare un padrone straniero e rivendicare i propri diritti, gli Stati romani offrirono un rifugio sicuro a tutti coloro che all’epoca erano disposti ad abbandonare il suolo natio. Né potevano essere accolti in modo più aperto di quanto non lo fossero da Pio VII, il quale fece in modo che i territori da lui governati fossero aperti ai rifugiati e fu inoltre ansioso di venire in loro aiuto con ogni risorsa ed in ogni modo. Questi eventi vengono ricordati ora per nessun’altra ragione se non quella di rivelare da questo abituale modo di agire la natura fraterna della benevolenza e i veri desideri del Pontificato romano. Le opinioni preconcette, che eventi deplorevoli del lontano passato hanno impiantato in modo così forte, non lasceranno gradualmente, e con l’aiuto di Dio, il posto alla verità? A coloro che giudicano con equità ed integrità deve apparire la vera natura delle cose, ossia che i popoli orientali non hanno nulla da temere se l’unione con la Chiesa romana venisse ripristinata: la Grecia non perderebbe nulla della sua dignità, della sua fama e di tutti i suoi ornamenti; anzi, la sua gloria ne verrebbe rafforzata non poco. L’età di Costantino non era carente per quanto riguarda lo stato florido della nazione. Cosa mancava ai tempi di Atanasio o di Crisostomo? Eppure, in quei tempi l’autorità del Pontefice Romano era ritenuta sacra da tutti. Sia l’Oriente che l’Occidente, con l’accordo e il profitto delle anime di entrambi, gli prestavano fedeltà come al legittimo successore del beato Pietro e, di conseguenza, al supremo Sovrano della Chiesa cristiana.

6. Noi, intanto, continuiamo, per quanto è possibile e doveroso, a raccomandare tutta la vostra nazione al comune Salvatore di tutti, Gesù Cristo, non invano, come confidiamo, attraverso l’avvocatura della Vergine Madre di Dio, che i Greci hanno sempre onorato con speciale venerazione e che hanno chiamato con grande verità e fascino “sempre Santa”.

7. Come presagio dell’aiuto divino e a testimonianza della Nostra benevolenza, impartiamo con grande amore nel Signore la Benedizione Apostolica a voi, Venerabili Fratelli, al clero e al vostro popolo.

Dato a Roma in San Pietro, il 20 November 1901, 25° anno del nostro Pontificato

DOMENICA V DOPO PENTECOSTE (2023)

DOMENICA V DOPO PENTECOSTE (2023)

(Messale Romano di S. Bertola e G. Destefani, comm. di D. G. LEFEBVRE O. S. B; L. I. C. E. – R. Berruti & C. Torino 1950)

Semidoppio. – Paramenti verdi.

La liturgia di questa Domenica è consacrata al perdono delle offese. La lettura evangelica mette in risalto questa lezione non meno che quella d’un passo delle Epistole di S. Pietro, la cui festa è celebra in questo tempo: infatti la settimana della V Domenica di Pentecoste era in altri tempi detta settimana dopo la festa degli Apostoli. – Quando David riportò la sua vittoria su Golia, il popolo d’Israele ritornò trionfante nelle sue città e al suono dei tamburi cantò: « Saul ha ucciso mille e David diecimila! ». Il re Saul allora si adirò e la gelosia lo colpì. Egli pensava: « Io mille e David diecimila: David è dunque superiore a me? Che cosa gli manca ormai se non d’essere re al mio posto? » Da quel giorno lo guardò con occhio malevolo come se avesse indovinato che David era stato scelto da Dio. Così la gelosia rese Saul cattivo. Per due volte mentre David suonava la cetra per calmare i suoi furori, Saul gli lanciò contro il giavellotto e per due volte David evitò il colpo con agilità, mentre il giavellotto andava a conficcarsi nel muro. Allora Saul lo mandò a combattere, sperando che sarebbe rimasto ucciso. Ma David vittorioso tornò sano e salvo alla testa dell’esercito. Saul allora ancor più perseguitò David. Una sera entrò in una caverna profonda e scura, ove già si trovava David. Uno dei compagni disse a quest’ultimo: « È il re. Il Signore te lo consegna, ecco il momento di ucciderlo con la tua lancia ». Ma David rispose: « Io non colpirò giammai colui che ha ricevuto la santa unzione e tagliò solamente con la sua spada un lembo del mantello di Saul e uscì. All’alba mostrò da lontano a Saul il lembo del suo mantello. Saul pianse e disse: « Figlio mio, David, tu sei migliore di me ». Un’altra volta ancora David lo sorprese di notte addormentato profondamente, con la lancia fissata in terra, al suo capezzale e non gli prese altro che la lancia e la sua ciotola. E Saul lo benedisse di nuovo; ma non smise per questo di perseguitarlo. Più tardi i Filistei ricominciarono la guerra e gli Israeliti furono sconfitti; Saul allora si uccise gettandosi sulla spada. Quando apprese la morte di Saul non si rallegrò ma, anzi, si stracciò le vesti, fece uccidere l’Amalecita che, attribuendosi falsamente il merito di avere ucciso il nemico di David, gli annunciò la morte apportandogli la corona di Saul, e cantò questo canto funebre: « O montagne di Gelboe, non scenda più su di voi né rugiada, né pioggia, o montagne perfide! Poiché su voi sono caduti gli eroi di Israele, Saul e Gionata, amabili e graziosi, né in vita, né in morte non furono separati l’uno dall’altro » (Bisogna riaccostare questo testo a quello nel quale la Chiesa dice, in questo tempo, che S Pietro e S. Paolo sono morti nello stesso giorno). – Da tutta questa considerazione nasce una grande lezione di carità, poiché come David ha risparmiato il suo nemico Saul e gli ha reso bene per male, così Dio perdona anche ai Giudei; non ostante la loro infedeltà, è sempre pronto ad accoglierli nel regno ove Cristo, loro vittima, è il Re. Si comprende allora la ragione della scelta dell’Epistola e del Vangelo di questo giorno: predicano il grande dovere del perdono delle ingiurie « Siate dunque uniti di cuore nella preghiera, non rendendo male per bene, né offesa per offesa » dice l’Epistola. « Se tu presenti la tua offerta all’altare, dice il Vangelo, e ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia la tua offerta davanti all’altare, e va prima a riconciliarti con tuo fratello ». — David, unto re di Israele dagli anziani a Ebron, prende la cittadella di Sion che divenne la sua città, e vi pose l’arca di Dio nel santuario (Com.). Fu questa la ricompensa della sua grande carità, virtù indispensabile perché il culto degli uomini nel santuario sia gradito a Dio (id.). Ed è per questo che l’Epistola ed il Vangelo ribadiscono che è soprattutto quando noi ci riuniamo per la preghiera che dobbiamo essere uniti di cuore. Senza dubbio la giustizia di Dio ha i suoi diritti, come lo mostrano la storia di Saul e la Messa di oggi, ma se esprime una sentenza, che è un giudizio finale, è soltanto dopo che Dio ha adoperato tutti i mezzi ispirati dal suo amore. Il miglior mezzo per arrivare a possedere questa carità è d’amare Dio e di desiderare i beni eterni (Or.) e il possesso della felicità (Epist.) nella dimora celeste (Com.), ove non si entra se non mediante la pratica continua di questa bella virtù.

Incipit

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Adjutórium nostrum in nómine Dómini.
R. Qui fecit cælum et terram.
Confíteor Deo omnipoténti, beátæ Maríæ semper Vírgini, beáto Michaéli Archángelo, beáto Joánni Baptístæ, sanctis Apóstolis Petro et Paulo, ómnibus Sanctis, et vobis, fratres: quia peccávi nimis cogitatióne, verbo et ópere: mea culpa, mea culpa, mea máxima culpa. Ideo precor beátam Maríam semper Vírginem, beátum Michaélem Archángelum, beátum Joánnem Baptístam, sanctos Apóstolos Petrum et Paulum, omnes Sanctos, et vos, fratres, oráre pro me ad Dóminum, Deum nostrum.
S. Misereátur nostri omnípotens Deus, et, dimíssis peccátis nostris, perdúcat nos ad vitam ætérnam.
R. Amen.
S. Indulgéntiam, absolutiónem et remissiónem peccatórum nostrórum tríbuat nobis omnípotens et miséricors Dóminus.
R. Amen.

V. Deus, tu convérsus vivificábis nos.
R. Et plebs tua lætábitur in te.
V. Osténde nobis, Dómine, misericórdiam tuam.
R. Et salutáre tuum da nobis.
V. Dómine, exáudi oratiónem meam.
R. Et clamor meus ad te véniat.
V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.

Introitus

Ps XXVI: 7; 9 Exáudi, Dómine, vocem meam, qua clamávi ad te: adjútor meus esto, ne derelínquas me neque despícias me, Deus, salutáris meus.

[Esaudisci, o Signore, l’invocazione con cui a Te mi rivolgo, sii il mio aiuto, non abbandonarmi, non disprezzarmi, o Dio mia salvezza.].

Ps XXVI: 1 Dóminus illuminátio mea et salus mea, quem timébo?

[Il Signore è mia luce e mia salvezza, chi temerò?]

Exáudi, Dómine, vocem meam, qua clamávi ad te: adjútor meus esto, ne derelínquas me neque despícias me, Deus, salutáris meus.

[Esaudisci, o Signore, l’invocazione con cui a Te mi rivolgo, sii il mio aiuto, non abbandonarmi, non disprezzarmi, o Dio mia salvezza.].

Kyrie

S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Christe, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.

Gloria

Glória in excélsis Deo. Et in terra pax homínibus bonæ voluntátis. Laudámus te. Benedícimus te. Adorámus te. Glorificámus te. Grátias ágimus tibi propter magnam glóriam tuam. Dómine Deus, Rex cæléstis, Deus Pater omnípotens. Dómine Fili unigénite, Jesu Christe. Dómine Deus, Agnus Dei, Fílius Patris. Qui tollis peccáta mundi, miserére nobis. Qui tollis peccáta mundi, súscipe deprecatiónem nostram. Qui sedes ad déxteram Patris, miserére nobis. Quóniam tu solus Sanctus. Tu solus Dóminus. Tu solus Altíssimus, Jesu Christe. Cum Sancto Spíritu ✠ in glória Dei Patris. Amen.

Oratio

Orémus.

Deus, qui diligéntibus te bona invisibília præparásti: infúnde córdibus nostris tui amóris afféctum; ut te in ómnibus et super ómnia diligéntes, promissiónes tuas, quæ omne desidérium súperant, consequámur.

[O Dio, che a quanti Ti amano preparasti beni invisibili, infondi nel nostro cuore la tenerezza del tuo amore, affinché, amandoti in tutto e sopra tutto, conseguiamo quei beni da Te promessi, che sorpassano ogni desiderio.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Petri Apóstoli. 1 Pet III: 8-15.

“Caríssimi: Omnes unánimes in oratióne estóte, compatiéntes, fraternitátis amatóres, misericórdes, modésti, húmiles: non reddéntes malum pro malo, nec maledíctum pro maledícto, sed e contrário benedicéntes: quia in hoc vocáti estis, ut benedictiónem hereditáte possideátis. Qui enim vult vitam dilígere et dies vidére bonos, coérceat linguam suam a malo, et lábia ejus ne loquántur dolum. Declínet a malo, et fáciat bonum: inquírat pacem, et sequátur eam. Quia óculi Dómini super justos, et aures ejus in preces eórum: vultus autem Dómini super faciéntes mala. Et quis est, qui vobis nóceat, si boni æmulatóres fuéritis? Sed et si quid patímini propter justítiam, beáti. Timórem autem eórum ne timuéritis: et non conturbémini. Dóminum autem Christum sanctificáte in córdibus vestris.”

[Carissimi: Siate tutti uniti nella preghiera, compassionevoli, amanti dei fratelli, misericordiosi, modesti, umili: non rendete male per male, né ingiuria per ingiuria, ma al contrario benedite, poiché siete stati chiamati a questo: a ereditare la benedizione. In vero, chi vuole amare la vita e vedere giorni felici raffreni la sua lingua dal male e le sue labbra dal tesser frodi. Schivi il male e faccia il bene, cerchi la pace e si sforzi di raggiungerla. Perché gli occhi del Signore sono rivolti al giusto e le orecchie di lui alle loro preghiere. Ma la faccia del Signore è contro coloro che fanno il male. E chi potrebbe farvi del male se sarete zelanti del bene! E arche aveste a patire per la giustizia, beati voi! Non temete la loro minaccia, e non vi turbate: santificate nei vostri cuori Gesù Cristo”].

LA PACE

Anche l’Epistola di quest’oggi è tolta dalla I. lettera di S. Pietro. È naturale che, scrivendo ai Cristiani dispersi dell’Asia minore, tenga sempre presente la condizione in cui si trovano: sono pochi fedeli tra numerosi pagani, e sono sotto la persecuzione di Nerone. Come devono diportarsi? Devono vivere in stretta unione fra di loro, mediante la misericordia, la compassione, la condiscendenza; essendo stati chiamati al Cristianesimo a render bene per male, affinché abbiano per eredità la benedizione celeste. Non trattino con la stessa misura quelli che fanno loro del male. La vita felice è per chi raffrena la lingua, evita il male e procura di aver pace con il prossimo. Del resto i giusti non sono abbandonati dal Signore, e nessuno può loro nuocere, se sono zelanti del bene. Quanto alla persecuzione, beati loro se hanno a soffrire qualche cosa per la Religione cristiana. Siano, quindi, calmi, senza ombra di timore: onorino, invece, e temano Gesù Cristo. Anche noi, dobbiamo procurare di vivere una vita felice, per quanto è possibile tra le miserie e le persecuzioni di questo mondo. Sforziamoci di vivere in pace, ciò che ci è possibile con l’aiuto di Dio, anche tra le tempeste di quaggiù.

[A. Castellazzi: La scuola degli Apostoli – Sc. Tip. Vescov. Artigianelli, Pavia, 1929]

Graduale

Ps LXXXIII: 10; 9

Protéctor noster, áspice, Deus, et réspice super servos tuos,

[O Dio, nostro protettore, volgi il tuo sguardo a noi, tuoi servi]

V. Dómine, Deus virtútum, exáudi preces servórum tuórum. Allelúja, allelúja.

[O Signore, Dio degli eserciti, esaudisci le preghiere dei tuoi servi. Allelúia, allelúia]

Alleluja

Ps XX: 1

Alleluja, alleluja Dómine, in virtúte tua lætábitur rex: et super salutáre tuum exsultábit veheménter. Allelúja.

[O Signore, nella tua potenza si allieta il re; e quanto esulta per il tuo soccorso! Allelúia].

Evangelium

Sequéntia sancti Evangélii secúndum Matthæum.

Matt. V: 20-24

“In illo témpore: Dixit Jesus discípulis suis: Nisi abundáverit justítia vestra plus quam scribárum et pharisæórum, non intrábitis in regnum coelórum. Audístis, quia dic tum est antíquis: Non occídes: qui autem occídent, reus erit judício. Ego autem dico vobis: quia omnis, qui iráscitur fratri suo, reus erit judício. Qui autem díxerit fratri suo, raca: reus erit concílio. Qui autem díxerit, fatue: reus erit gehénnæ ignis. Si ergo offers munus tuum ad altáre, et ibi recordátus fúeris, quia frater tuus habet áliquid advérsum te: relínque ibi munus tuum ante altáre et vade prius reconciliári fratri tuo: et tunc véniens ófferes munus tuum.”

(In quel tempo: Gesù disse ai suoi discepoli: Se la vostra giustizia non sarà stata più grande di quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel Regno dei Cieli. Avete sentito che è stato detto agli antichi: Non uccidere; chi infatti avrà ucciso sarà condannato in giudizio. Ma io vi dico che chiunque si adira col fratello sarà condannato in giudizio. Chi avrà detto a suo fratello: raca, imbecille, sarà condannato nel Sinedrio. E chi gli avrà detto: pazzo; sarà condannato al fuoco della geenna. Se dunque porti la tua offerta all’altare e allora ti ricordi che tuo fratello ha qualcosa contro di te, lascia la tua offerta all’altare e va prima a riconciliarti con tuo fratello, e poi, ritornato, fa la tua offerta).

Omelia

(G. Colombo: Pensieri sui Vangeli e sulle feste del Signore e dei Santi; VI ediz. – Soc. Ed. Vita e pensiero.- Milano 1956).

IL PERDONO

Qual è il comandamento più difficile della nostra santa Religione? Non la verginità. Gesù l’ha insegnata ma non l’ha imposta a tutti. Le anime generose sono libere di consacrarsi a Dio attraverso questo occulto martirio. Non la povertà. Se Gesù dalla montagna disse che i poveri son beati, non comandò però che tutti vendessero la loro roba per distribuire il danaro ai poveri e ritirarsi poi negli eremi o nei conventi. Il comandamento più difficile del Cristianesimo è l’amore dei nemici. Questo è per tutti: non solo i frati, non solo le monache, ma tutti devono amare e perdonare ai loro nemici. Gesù diceva alle turbe: « Avete sentito che bisognava amare il prossimo e si poteva odiare il nemico; ma Io vi dico: amate i vostri nemici, beneficate quelli che vi odiano, pregate per i vostri persecutori e calunniatori. Se la vostra giustizia sarà solo come quella dei farisei che amano gli amici e odiano i nemici, non entrerete mai nel paradiso. E quand’anche venite all’altare, con nelle mani un dono e con nel cuore un astio, tornate pure indietro che la vostra supplica non sarà ascoltata fin tanto che non avrete pace col vostro fratello ». Vade reconciliari fratri tuo. E non dice Cristo: … reconciliari inimico tuo perché tra i Cristiani, figli del medesimo Dio di carità, non dovrebbe esistere nemmeno la parola nemico, ma solo quella di fratello. Se alcuno nel suo cuore nutre un rancore, consideri come l’esempio di Dio, l’esempio dei Santi, il nostro guadagno stesso ci spingono a perdonare. – 1. L’ESEMPIO DI DIO. Un re volle un giorno tirare i conti con i ministri. E cominciò da uno che gli doveva mille talenti; ma il poveretto non aveva nemmeno il becco di un quattrino. Il re, come era legge, comandò che fosse venduto lui, la sua donna, i suoi figli, la sua roba. Lo sventurato si buttò a terra, s’aggrappò ai ginocchi del sovrano, e tra i singhiozzi giurava che gli avrebbe reso fino l’ultimo soldo, purché avesse avuto pazienza d’aspettare. Il re, che aveva un cuor d’oro, non solo pazientò un poco, ma sempre: e gli condonò tutto il debito. Quel ministro fece un salto di gioia e uscì. Combinazione volle che incontrasse un suo collega che gli doveva una somma di denari. Vederlo, saltargli addosso, fu la medesima cosa. E tenendolo per la strozza gli urlava negli orecchi: « Pagami, che è ora ». Quel servo, soffocato e nero in quella morsa, gemeva: « Porta pazienza e vedrai che ti pagherò proprio tutto ». Ma il ministro lo fece imprigionare (Mt., XVIII).  Questa limpida parabola del Signore ci presenta come in uno specchio l’esempio della generosità di Dio e della grettezza umana. Estote misericordes sicut et Pater vester misericors est (S. Lc., VI, 36). Siate misericordiosi come Dio. Come Dio che pendente dalla croce, schernito e scarnificato, stende le sue braccia per stringere in un palpito d’amore i suoi crocifissori e grida: « Padre, perdona! ». Solo Dio poteva dare quest’esempio. E ce lo diede affinché gli uomini imparassero. Ma se gli uomini non l’impareranno, neppure a loro verrà perdonato. – 2. L’ESEMPIO DEI SANTI. Perché l’esempio di un Dio non sembrasse a taluni troppo lontano dalla natura nostra piccina, il Signore suscitò i Santi a praticare il comandamento dell’amore più sublime. E Santo Stefano, lapidato fuori le mura della città, congiunse le mani e pregò per quelli che l’uccidevano. E Sant’Ambrogio, per molti anni, diede il vitto ad uno che l’aveva aggredito. E san Carlo perdonò all’uomo brutale che aveva sparato contro di lui mentre pregava la Vergine nella cappella. E sublime è pure il perdono di S. Giovanna d’Arco, la fanciulla venuta di Lorena a salvare la Francia dagli Inglesi. La povera Giovanna, dopo aver levato l’assedio d’Orléans, dopo aver condotto Carlo VII di trionfo in trionfo fino all’incoronazione di Reims, fu disprezzata, abbandonata e tradita. Dio ormai le significava che la sua missione era compiuta: solo, mancava il supremo sacrificio della vita. A Compiégne fu fatta prigioniera, venduta agli Inglesi, che la condannarono al rogo. Ed apparve sulla piazza a Rouen a solo diciott’anni condannata a morire e non tremava: e non venne nessun francese a salvarla, e non venne il re a salvarla; il re banchettava lontano senza un palpito di compassione per la fanciulla venuta di Lorena a salvare la Francia e la corona. Quando le fiamme avvolsero in una tormentosa aureola quelle membra innocenti, ella alzò gli occhi pieni di speranza, e gridò a voce alta che perdonava al re, ai Francesi, ed anche agli Inglesi che la bruciavano. Si isti et istæ cur non ego? Ma io non posso vincere la ripugnanza che sento a perdonare a quella persona …  » — Esagerazione, risponde S. Gerolamo, Dio non comanda cose impossibili. Ma quella persona mi ha fatto del male! ». — Non c’è bisogno di perdonare a quelli che ci fanno del bene. « Ma cosa dirà il mondo? ». — Dirà che siete un Cristiano. « Ma il mio onore? ». — Il vostro onore è nell’obbedienza a Dio.  « Ma quella persona non merita il mio perdono! ». — L’ha meritato Gesù Cristo. Non dobbiamo perdonare perché meritano il nostro, perdono, ma perché Gesù Cristo l’ha detto: Ego autem dico vobis: diligite inimicos vestros. « Ma approfitterà del mio perdono per diventar peggiore ».— Sia pure: ma voi diventate migliore. – 3. IL NOSTRO GUADAGNO. Plinio racconta che Druso, tribuno della plebe, odiava Quinto Cepione; andava lungo il Tevere meditando la vendetta; voleva ucciderlo, voleva coprirlo di calunnie. E l’odio l’accecò: volle bere il veleno, pensando che tutto il popolo avrebbe imputato la sua morte a Quinto, e ne avrebbero fatto giustizia sommaria. Chi non perdona è stolto come Druso, e ingoia la sua condanna: una triplice condanna. La condanna da parte di Dio, perché viola il suo comando principale. Mihi vindicta (Ebr., X, 30). La condanna da parte di Cristo, perché rifiuta il distintivo dei suoi discepoli: hoc conognoscent omnes quia discipuli mei estis. (Giov., XIII, 35). La condanna da parte di noi stessi, ed ogni volta che preghiamo ripetiamo la condanna: Dimitte nobis sicut et nos dimittimus (Mt., VI, 12). E Dio dirà: De ore tuo, te iudico. – Dopo che Giuseppe ebbe sepolto le ossa del vecchio padre sulla terra di Chanaan, ritornò in Egitto con i fratelli. Ma questi cominciarono a temere: « Chi sa dicevano, che morto il padre, non si abbia a ricordare dell’antica ingiuria e non voglia renderci tutto il male che abbiamo fatto? » (Genesi, L, 14-17). E, tremando, gli mandarono a dire: « Tuo padre, morendo, ti chiamava per nome per scongiurarti di perdonare ai tuoi fratelli… È tuo padre morente che ti prega… » Giuseppe, al ricordo del padre morto, scoppiò in lacrime, e disse: « Non temete, io nutrirò voi e i vostri figli ». Cristiani, che nel cuore, forse da anni, nutrite un astio, o un odio, o una vendetta contro il vostro prossimo, perdonate! È Gesù Cristo morente che ve lo manda a dire. — SCRIBI E FARISEI « In verità in verità vi dico che se la vostra giustizia sarà appena come quella degli Scribi e dei Farisei, non entrerete nel Regno dei Cieli ». Queste parole, in una forma così solenne e chiara, furono pronunciate da Gesù alle turbe ed ai discepoli che lo circondavano per sentirlo. Ma perché questa condanna d’insufficienza alla giustizia degli Scribi e dei Farisei? Per due motivi che raccomando alla vostra attenzione: 1) perché curavano soltanto le apparenze; 2) perché dicevano e non facevano. – 1. CURAVANO SOLTANTO LE APPARENZE. In una delle sue prediche, S. Antonio di Padova raccontava questo episodio. Una giovane figliuola commise un giorno un peccato molto grave che la gettò in uno stato indicibile d’amarezza, di confusione, di inquietudine. « Come avrò io il coraggio di raccontare questa nefandezza al mio confessore? Che penserà di me? Che dirà egli? ». Intanto si confessa senza dire tale colpa: si accosta sacrilegamente alla santa Comunione, lacerata da terribili rimorsi. Si trova come in un inferno. Agitata giorno e notte dai rimproveri della coscienza e dal timore di dannarsi, per esserne liberata si dà alle lagrime, ai digiuni, alla preghiera… ma invano! La memoria dei suoi sacrilegi le sta sempre nel cuore come una lama che tremi nella piaga. Le viene il pensiero di entrare in convento, farsi monaca ed ivi fare una confessione generale; e infatti vi entra e comincia la Confessione. Ma tosto assalita dalla vergogna, accenna alla sua colpa in una maniera così indeterminata che il confessore non poté capir nulla. La sua agitazione divenne insopportabile, ed implacabile, per quanto facesse di penitenze e di preghiere. E tutte le sue consorelle la stimavano per una santa; a lei ricorrevano per consigli e direzione e finalmente la elessero loro superiora. Continuando in questa vita ipocrita, fu sorpresa da grave malattia e ridotta in fin di vita. Poteva confessarsi, almeno allora, ma non lo fece per la maledetta vergogna di farsi conoscere così come era. Qualche giorno dopo la sua morte, stando le religiose in orazione per lei, apparve loro in sembianze orribili e disse: « Mie sorelle, non pregate per me; io sono dannata all’inferno per aver sempre taciuto un peccato commesso nell’età di diciotto anni e per essermi tante volte accostata sacrilegamente alla santa Comunione ». Che cosa le era giovata tutta l’ammirazione e la stima delle sue consorelle? Cosa le era fruttato l’essere stata eletta superiora con quei sacrilegi sull’anima? E che importa a noi apparire esternamente buoni, zelanti della legge di Dio, quando nel cuore avessimo il peccato, l’inclinazione sempre assecondata al vizio? Anche le tombe all’esterno sono sontuose, forse artistiche e di grande valore: ma a che serve questa arte per colui che vi è sepolto? Vi accontentereste voi di un piatto all’esterno molto bello, pulito, elegante, ma poi nell’interno sporco e ributtante? E allora stiamo attenti a quello che passa nell’intimo del nostro cuore, altrimenti siamo Scribi e Farisei. – 2. DICEVANO E NON FACEVANO. «Fate pure tutto quello che vi diranno gli Scribi e i Farisei: essi sono i successori di Mosè nell’insegnare la Legge. Ma non fate come essi sogliono fare, perché dicono e poi non fanno » (Mt., XXIII, 1.3). Altro difetto che Gesù rimprovera a questa gente e che non vuole sia commesso dai suoi è la incoerenza, la disuguaglianza tra quello che dicevano e quello che poi di fatto mettevano nella pratica. Ci raccontano S. Epifanio e S. Girolamo, che vissero fra i Giudei, che ancora ai loro tempi c’erano di questi Farisei che continuando le consuetudini dei loro antenati, scrivevano sopra piccole strisce di pergamena le parole della Legge e poi le applicavano alle vesti perché spesso il loro sguardo leggesse i voleri di Dio e perché li avessero a disposizione per dirli agli altri. Ma a che servivano questi accorgimenti esteriori, quando non sapevano praticare i precetti appresi e fatti apprendere agli altri? Anche i demoni dell’inferno conoscono molto bene tutti i Comandamenti di Dio! Si presentò, una volta, ad un vecchio anacoreta un giovane tutto pieno di desiderio di perfezione, per chiedergli che dovesse fare per divenire perfetto: « Devi imitare — rispose seriamente il vecchio — i cani da caccia! Quando scorgono una lepre non si accontentano di abbaiare, di far capire che hanno visto la selvaggina, ma la rincorrono con tutta forza, non badano a difficoltà della strada, né si danno pace finché l’abbiano raggiunta. Allo stesso modo devi fare tu riguardo alla santità: tendere ad essa… finché non l’abbia conseguita; così e solo così potrai essere perfetto ». E S. Marciano solitario, sorpreso un giorno nella sua spelonca da un cacciatore, ed interrogato da lui, cosa mai facesse là dentro solo ed ozioso: « E tu — rispose — cosa fai? ». « Io, come vedi, prendo le lepri e i cervi: mia occupazione è la caccia ». « Ed io, in questo luogo, vado a caccia del mio Dio, né mai cesserò dall’inseguirlo finché non l’abbia raggiunto in possesso eterno ». Conoscere, dire e poi non fare è il mestiere dei Farisei condannati da Gesù; è il mestiere, per usare, in senso inverso, il paragone forse troppo rude, ma tanto chiaro di quel padre del deserto, di quei cani da caccia che abbaiano quando vedono la lepre o il cervo, ma non fanno un passo per raggiungerli. Paragonateli pure così a quei genitori che dicono ai figliuoli di andare alla Chiesa per la S. Messa e per la Dottrina cristiana e loro per i primi non vanno. Fin quando i figli sono piccoli ubbidiranno, perché temono la forza ed il castigo; ma lasciateli crescere ancora qualche anno e capiranno subito che se i genitori per i primi non fanno quello che dicono, è segno che forse si può anche non ubbidire ed accontentare i propri comodi. Anche le nostre campane chiamano il popolo alla Chiesa, mentre esse non vanno: ma le campane non hanno l’anima da salvare. Sulle strade quante volte voi trovate le pietre che dicono al passeggero dove si può andare, da una parte o dall’altra, ma sono forse dei secoli che dicono la stessa cosa e non hanno mai fatto un passo. Ma dalle pietre non si pretende di più. Dagli uomini invece il Signore ha il diritto di richiedere le azioni. « Non colui che dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma chi fa la volontà del Padre ». –  Per lo stanco pellegrino che attraversa il deserto il vedere da lungi le palme che si innalzano magnifiche verso il cielo è una festa di gioia. In mezzo alle sabbie infuocate, sotto un cielo bronzeo, esse parlano di frescura e di ristoro. E sono e dànno davvero ombra confortatrice le foglie ampie e folte, e sono davvero ristoro i frutti gustosi e nutrienti. Proprio come la palma ha da essere il Cristiano. Deve avere belle le foglie delle apparenze e delle parole, ma soprattutto deve essere « ricco dei frutti delle opere buone. » Iustus ut palma florebit (Ps. XCI,.13).

IL CREDO

Offertorium

Orémus

Ps XV: 7 et 8. Benedícam Dóminum, qui tríbuit mihi intelléctum: providébam Deum in conspéctu meo semper: quóniam a dextris est mihi, ne commóvear.

[Benedirò il Signore che mi dato senno: tengo Dio sempre a me presente, con lui alla mia destra non sarò smosso.]

Secreta

Propitiáre, Dómine, supplicatiónibus nostris: et has oblatiónes famulórum famularúmque tuárum benígnus assúme; ut, quod sínguli obtulérunt ad honórem nóminis tui, cunctis profíciat ad salútem.

[Sii propizio, o Signore, alle nostre suppliche, e accogli benigno queste oblazioni dei tuoi servi e delle tue serve, affinché ciò che i singoli offersero a gloria del tuo nome, giovi a tutti per la loro salvezza.]

Præfatio

V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.
V. Sursum corda.
R. Habémus ad Dóminum.
V. Grátias agámus Dómino, Deo nostro.
R. Dignum et justum est.
de Spiritu Sancto
Vere dignum et justum est, æquum et salutáre, nos tibi semper et ubíque grátias ágere: Dómine sancte, Pater omnípotens, ætérne Deus: per Christum, Dóminum nostrum. Qui, ascéndens super omnes cælos sedénsque ad déxteram tuam, promíssum Spíritum Sanctum hodierna die in fílios adoptiónis effúdit. Qua própter profúsis gáudiis totus in orbe terrárum mundus exsúltat. Sed et supérnæ Virtútes atque angélicæ Potestátes hymnum glóriæ tuæ cóncinunt, sine fine dicéntes:

[È veramente degno e giusto, conveniente e salutare, che noi, sempre e in ogni luogo, Ti rendiamo grazie, o Signore Santo, Padre Onnipotente, Eterno Iddio: per Cristo nostro Signore. Che, salito sopra tutti cieli e assiso alla tua destra effonde sui figli di adozione lo Spirito Santo promesso. Per la qual cosa, aperto il varco della gioia, tutto il mondo esulta. Cosí come le superne Virtú e le angeliche Potestà cantano l’inno della tua gloria, dicendo senza fine:]

Sanctus, Sanctus, Sanctus Dóminus, Deus Sábaoth. Pleni sunt cæli et terra glória tua. Hosánna in excélsis. Benedíctus, qui venit in nómine Dómini. Hosánna in excélsis.

Preparatio Communionis

Orémus: Præcéptis salutáribus móniti, et divína institutióne formáti audémus dícere:

Pater noster

qui es in cælis. Sanctificétur nomen tuum. Advéniat regnum tuum. Fiat volúntas tua, sicut in cælo et in terra. Panem nostrum quotidiánum da nobis hódie. Et dimítte nobis débita nostra, sicut et nos dimíttimus debitóribus nostris. Et ne nos indúcas in tentatiónem:
R. Sed líbera nos a malo.
S. Amen.

Agnus Dei

Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: dona nobis pacem.

Panem cæléstem accípiam, et nomen Dómini invocábo.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Ps XXVI: 4 Unam pétii a Dómino, hanc requíram: ut inhábitem in domo Dómini ómnibus diébus vitæ meæ. 

[Una cosa sola chiedo e chiederò al Signore: di abitare nella casa del Signore tutti i giorni della mia vita].

Postcommunio

Orémus.

Quos cœlésti, Dómine, dono satiásti: præsta, quæsumus; ut a nostris mundémur occúltis et ab hóstium liberémur insídiis.

(O Signore, che ci hai saziato col Dono celeste; fa che siamo mondati dalle nostre occulte mancanze, e liberati dalle insidie dei nemici.)

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (2)

ORDINARIO DELLA MESSA