LO SCUDO DELLA FEDE (105)

Paolo SEGNERI S. J.:

L’INCREDULO SENZA SCUSA –

Tipogr. e libr. Salesiana, TORINO, 1884

CAPO XV.

L’uomo rimirando sé, viene, se vuole, in cognizione di Dio.

I . Due chiare testificazioni ha volute Dio della sua grandezza nell’universo. L’una dalla magnificenza dell’abitazione, che è il mondo. L’altra dalla bellezza dell’abitatore, che è l’uomo: Habet Deus testimonium, totum id quod sumus, et in quo sumus. Così parlò Tertulliano (In Marc. I. 1. c. 1 0): al cui verace sentimento arrendendoci, dopo aver noi già guardo ai bruti, in cui risiede, infallibile rispetto a Dio, da cui proviene come da sua cagion creativa. Negate Dio, o l’istinto rimane inesplicabile ricercata l’attestazione che della divinità ci vien fatta dal mondo grande, non possiam ricusare quella che ci vuol fare anche il mondo piccolo, qual è l’uomo. Senonchè, al guardare un composto così ammirabile, conviene che io qui subito mi ripigli. Mondo piccolo l’uomo nel mondo grande? Tutto al contrario. Anzi egli è il mondo grande nel mondo piccolo; mentre quanto il resto delle creature supera l’uomo nella vastità della mole, tanto l’uomo supera il resto delle creature nel valore della sustanza (Una sola creatura umana vale assai più che tutta l’immensurabil materia dell’universo, perché il pensiero di cui l’uomo va insignito, abbraccia e penetra tutta quanta la materia, mentre la materia non può penetrare, non che il diverso da sé, nemmeno se medesima): ed è però nell’universo, come la gemma nell’anello, cioè il pregio di tutta l’opera, e il fine a cui s i ordinò così bel lavoro.

I.

II. Ed oh così potessi io qui spiegare tutte le vele, ed ingolfarmi sino all’alto in un pelago, qual è questo, di maraviglie! Potessi favellare dell’anima ragionevole, immagine così espressa della divinità: e, se non tanto, potessi almeno discorrere delle sue potenze sensitive, interne ed esterne, e delle operazioni donate a ciascuna d’esse! potessi anche solo riferir meramente il numero, il posto, la proporzione, gli uffizi di quelle parti, le quali costituiscono il corpo umano? potessi tutte ad uno ad uno descrivere le tante ossa con cui si regge, i nervi, i muscoli, le membrane, le vene, le cartilagini, i canaletti, le viscere, le vesciche, gli umori, le giunture, i seni, gli spiriti, e tanto che v’è di più, non ancor terminato di enumerare dopo diligentissime notomie! Si scorgerebbe, che se mondo può dirsi l’uomo, può dirsi anche, in capo a tanti secoli, il mondo nuovo; mentre tuttora egli ha la sua terra incognita da scoprirsi. Ma solcar tanto mare non ci è permesso da più altri viaggi ben faticosi che ci rimangono a fare entro a pochi fogli. Dirò dunque in succinto, che la fabbrica sola del nostro corpo è sì prodigiosa, che Galeno (de usu part. I. 17. c. 3), dopo averla alquanto osservata in diciassette libri, soggiunse di aver con ciò formato un inno perpetuo di lode a Dio, il quale seppe disegnare, poté eseguire, e volle tanto pienamente diffondere la sua bontà sopra sì bel lavoro, composto di molte migliaia di pezzi, e pur congegnato con tale concatenazione, che par composto di un solo; ciascun dei quali contenendo in sé più miracoli, fa che l’uomo a torto stupisca della natura di altra opera, più che di quella, la quale egli rimira nel mirar sé: tanto in ciascuna parte di sé medesimo egli è un prodigio maggiore di qualunque altro. Et mìratur alia homo., cura sit ipse mirator magnum miraculum. (S. Aug. hom.32. ex 50). Certo almen è, che io niuno anatomista ho mai letto, niuno ne ho udito, che favellando dell’arte sua, non prorompa in esclamazioni, nate dalla evidenza con cui tal arte fa scorgere che v’è Dio. Udiamone fra tanti uno celebre per la fama, che fu medico illustre di Enrico quarto : Ingredere tu quisquis es, etiam athæe, così dice egli: Ingredere, quæso, sacram Palladis arcem, etc. An non etiam invitus exclamabis: O architectum admirabilem! o opificem inimitabilem! (Andr. Lauren. Hen. IV. Consil. et Medie. Hist. anat. I . 1. c. 6. Franc. Redi). E questo è il sentimento comune di tutti i professori di tale scienza, uno de’ quali ha detto a me, non trovarne per sé  medesimo verun’altra, la quale più di questa lo innalzi a Dio. Almeno parmi di potere tener per indubitato, non essere finora avvenuto mai, che un uomo insigne nella professione anatomica, sia ateista; convenendo per forza, che egli alla luce delle sue cognizioni sperimentali scorga evidentemente e veneri un nume provvido, perspicace, attentissimo, di cui mira stampate troppo sensibilmente le maestrie su qualunque minimo ordigno del corpo umano (Sono veramente splendide, e degne di essere lette segnatamente da’ giovani studiosi le pagine, nelle quali Cicerone dimostra l’esistenza di una mente divina dalla mirabile struttura del corpo umano, nel suo De natura deorum, lib. 2° cap. 54 e seg.).

III. Pertanto, giacche tal corpo né si può qui trascorrere tutto intero, né tutto intero è dovere che si tralasci, ci restringeremo a quel solo che di lui sempre abbiamo dinanzi agli occhi, non mai velato, che son le mani ed il volto: la cui considerazione, quantunque superficiale, e’ immerge in Dio, senza, per dir così, che ce ne avvediamo.

IV. Or quanto alle mani, due fini ebbe la natura in donarle all’uomo, uno prossimo, uno remoto. Il prossimo fu, perché egli potesse pigliare gli altri oggetti corporei a proprio talento, e adoperarli. Il remoto fu, perché  egli nelle mani avesse un istrumento di tutte le arti. Cominciam dal fine remoto, a cui come a superiore, dovea conformarsi il prossimo.

II.

V. Stimò Anassagora, che l’uomo, in grazia delle mani da lui godute, fosse dotato dalla natura di senno (Arist. de part. anim. I. 4. c. 20. Galen. de usu part. I . 1. c. 1). Nel che egli errò certamente: mentre non perché vi era la cetera fu fatto il suonatore, ma perché  v’era il suonatore fu fabbricata la cetera. Non fu però data la mente all’uomo, perché egli possedeva le mani: ma bensì furono date all’uomo le mani, perchè egli possedeva la mente. Tuttavia questo errore include un gran panegirico delle mani, mentre denota, essere sì stupendo il loro lavorio, che non un uomo del volgo, ma delle scuole, arrivò a potersi persuadere, benché falsamente, che in riguardo delle mani noi fossimo ragionevoli (La mano e la ragione nell’uomo hanno fra di loro una così intima e naturale attinenza, che basterebbe essa sola la struttura della mano a provare la superiorità specifica dell’uomo sul bruto, non che l’esistenza di un supremo infinito Artefice).

VI. Ora lasciando andar ciò, certo è, che come la ragione, al parer del filosofo, è virtualmente ogni cosa per conoscere, così la mano è virtualmente ogni cosa per operare (Arist. 1. c. Galen. de usu part. I. 1. c. 4). Ond’è che la natura, troppo fuor di ragione fu calunniata da chi si dolse, che, producendo ella tutti gli altri animali sì ben guerniti, l’uomo solo produca ignudo ed inerme. Che importa ciò, mentre all’uomo diede le mani, negate agli altri animali, di lui men degni? Quindi è, che gli altri non possono mai mutar abito, mutar armi, mutar nulla di ciò di cui li fornì là natura insieme col nascere; ma debbono così stare, così andare, così adagiarsi, così pigliare i lor sonni: laddove l’uomo può eleggersi a piacer suo e l’abito che vuole, e l’armi che vuole, e le può deporre: tutto in virtù delle mani.

VII. Chi può però dire di quanti beni le mani anche lo provvedano? Queste di alimento, queste di abitazione, queste di rendite, queste di agi, queste di amenità, e queste di infinite ricreazioni da lui godute, or nelle pesche, or nelle caccie, or ne’ conviti, or nei giuochi, or nelle sinfonie, or nelle scene, che se non fosser le mani, sarebbono tutte opere ignote al mondo.

VIII. Quinci in due stati può l’uomo considerarsi: in pace ed in guerra. In pace, che sarebbero tutte le arti proprie di un cuor tranquillo, senza la mano? Anzi neppur vi sarebbero. Non vi sarebbero le meccaniche, quali sono il tessere, il filare, il fabbricare, il cucire, ed altre infinite, che dalla mano hanno tutta la loro forma, benché sì varia. Non vi sarebbero le scientifiche, quali sono l’astronomia, l’architettura, la musica, l’anatomia, l’aritmetica, la geometria, la geografia, che dalla mano hanno tutti i loro istrumenti ammirabilissimi, e tutte anche le operazioni. E meno vi sarebbero ancora le imitatrici, quali sono il delineare, il dipingere, il fondere, l’intagliare, l’incidere, lo scolpire; arti di tutto sì debitrici alla mano. E per qual cagione una pittura, una scultura, una statua, si dicon essere di mano di Raffaello, del Bernini, del Buonarotti, o si negano essere di lor mano? se non perché quanto in tali opere è di stimabile al guardo, si attribuisce più quasi dissi alla mano dei loro valenti artefici, che alla mente.

IX. In guerra poi la mano fa che non solo l’uomo difendasi bravamente, ma ancor che offenda più di qualunque animale. Non ebbe pertanto egli bisogno di corna, come hanno i tori, perciocché di quelle ossa aguzze può molto più una spada di acciaio ch’egli abbia in pugno, un’asta, un arco, e più anche uno schioppo carico. Onde è, che i tori con la loro indomita fronte possono solo offendere da vicino, ma l’uomo con la mano quanto oltre arriva a sfogar lo sdegno! Che però neppure egli ha cagion d’invidiare i denti al cignale, il rostro allo sparviere, le branche allo scorpione, gli artigli all’aquila, le zanne orrende al leone. Che se dal leone è l’uomo superato in velocità, ecco che con la mano arriva l’uomo a soggettarsi il cavallo, sul quale assiso vince il leone nel corso. (Galen. de usu part. I. 1. c. 1). Quindi, lavorando mille armi negli arsenali, assolda egli, per dir così, fino i fulmini nelle bombe: ed arrivando sino a domar gli elementi con la sua mano, ora comanda all’oceano che gli sostenga, benché superbo, sul dosso possenti armate; ed ora imprigiona il fuoco dentro le mine, fino a costringerlo, se si vuole rimettere in libertà, dì servirgli in tal atto di guastatore, mandando all’aria, ove muraglie, ove massi d’immensa mole.

X. Tutte queste arti, o pacifiche, o bellicose (con tante ancora di più che potrebbero annoverarsi) che sarebbero all’uomo senza la mano? Sarebbero come un’aquila senza penne, inabile ad alzarsi un palmo da terra, non che a volare. Laddove col favor della mano a che non si son esse avanzate di perfezione? I soldati di Pirro, per dargli un vanto degno di quella velocità con la quale egli al tempo stesso arrivava, assaltava, abbatteva ogni suo nimico lo chiamarono un giorno col nome di aquila. Il che egli udendo: Sì, disse, soldati miei: mi contento dell’onor che mi fate con dirmi un’aquila, purché sappiate, che voi siete quell’ali su cui m’innalzo. Diansi pur dunque alla mente umana tutte quelle lodi più alte ch’ella si merita, purché confessisi, che le mani son l’ale per cui fa ella, che l’uomo sollevisi sopra gli altri animali, e signoreggi.

III.

XI. Quindi è che restaci a considerare ora il meglio, che è l’artifizio con cui le mani furono architettate dalla natura, affinché servissero all’uomo di esecutrici sì belle ne’ suoi disegni. E giacché questo altro non è che provare il secondo punto (cioè, quanto bene furono le mani adattate al lor fine prossimo, di pigliare, di stringere, di sforzare, di straportare altrove ciò che volessero) ecco che ad esse fu data in prima una figura bislunga, la quale vada a terminare in più parti, e sottili e fesse e flessibili a meraviglia: altrimenti non avrebber le mani potuto afferrare qualunque ragion di corpi, circolari, o concavi, o retti (che son le forme cui si riducono tutti), e molto meno avrebbero potuto afferrare i maggiori, o i minori di sé medesime, e malamente gli eguali. E perché molti ancora di tali corpi sono di mole o disadatta, o pesante, non solamente le mani, in riguardo di essi, furono due, ma furono tanto pari, tanto pieghevoli, e tanto bene inchinate ancor l’una all’altra, che si potessero aiutare insieme con somma facilità, come due sorelle carnali.

XII. Oltre a ciò, la division delle parti, cioè delle dita in cui la mano finisce, doveva essere con tal arte, che quando queste si congiungano insieme, la mano ci serva, come se ella fosse tutta d’un pezzo: e quando si disgiungano, ella ci serva, come se fosse di più. Per lo qual fine si richiese altresì che le dita fossero più di numero, ma non eguali di altezza, per potere al pari comprendere il poco e ‘1 molto: il poco, quale sarebbe un ago al sartore, con l’estremità dello prime due; il molto, quale sarebbe un’alabarda al soldato, con tutte insieme.

XIII. Né dovevano essere tutte disposte tali dita ad un modo: altrimenti se non vi fosse da lato il pollice, qual sarebbe la forza delle altre quattro? A premer bene una cosa, conviene premerla e di sopra e di sotto. Di sopra la premono l’altre dita, di sotto al tempo stesso la preme il pollice, dito però più corto sì, ma più grosso: più corto, perché agli altri non sia d’impaccio; più grosso, perché dovendo da sé solo valere al pari di tutti gli altri, sia più robusto. Quindi è, che come la mano non val più nulla, se perdute le altre quattro dita rimanga col solo pollice; così val poco, se perduto il pollice resti con l’altre quattro. Che però agli Egineti sì prodi in mare, fecero gli ateniesi tagliare il pollice, perché restassero atti a maneggiare il remo a loro piacere, ma non già l’asta. (Aelian. De Var. hist. 1, 2. c. 3).

XIV. E da che i corpi sferici, ad esser ben tenuti, non richiedono manco di cinque dita, cinque le dita sono, ma non son più, perché il sesto, siccome non necessario, sarebbe più d’incomodo a qualunque opera che di aiuto.

XV. Parimente dovevano le dita essere così tenere, così tonde, e così rinforzate in su l’estremo con l’unghie, quali in noi sono. Se non fossero tenere, non sarebbero istrumenti opportuni al tatto, tanto più valido, quanto più risentito: se non fossero tonde, non sarebbero tanto forti a tenere ciò che afferrano: e se non fossero rinforzate dall’ unghie, riuscirebbero inabili a ben tastare, specialmente le cose piccole, e a grattare, a graffiare, a scarnare ciò che sia d’uopo.

XVI. Di vantaggio non bastava alle dita poter piegarsi, affine di afferrare opportunamente ciò che volevano; ma dovevano ancora piegarsi tanto, che si adattassero a qualunque figura; e dall’altra banda non potevano senz’ossa fare gran forza; pertanto ecco che la natura, lavorandole a tal effetto d’ossa e di carne, ha divise ad un’ora l’ossa in più articoli, acciocché la man si potesse e spiegare in un attimo, e ripiegare senza fatica.

XVII. Tre sono gli articoli delle dita minori, perché se fossero più, non si distenderebbero tanto bene; e se meno, non abbraccerebbero ogni figura, ancora rotonda. E due sono gli articoli nel maggiore, cioè nel pollice, perché abbia maggior possanza a resistere quando preme. Ciascuno pòi di questi articoli è legato mollemente non meno che fortemente nella sua giuntura, affinché per qualunque sforzo non si sconvolga: essendo frattanto ciascuna giuntura ripiena di un umor pingue, che facilita il moto per ogni verso; come costumasi di tenere unte le ruote, perché in andare, più speditamente rivolgansi intorno l’asse.

XVIII. E dacché l’ossa non potevano muoversi da sé sole, la natura vi aggiunse i muscoli, provveduti né di tanta carne, dalla parte superior delle dita, che la mano riuscisse troppo pesante; ne di sì poca dalla parte inferiore, che, come emunta, riuscisse poco abile al palpeggiare.

XIX. Ai muscoli è convenuto poi di aggiungere i nervi, le vene, le arterie, le fibre, ed altri legami finissimi, intorno ai quali tante cose osserva Galeno, e tanto vi ammira la sapienza del loro compositore, che pare aver lui cambiate le parti di fisico in quelle di teologo, giungendo a riconoscere nella figura, nella fortezza, e nell’accrescimento dell’unghie stesse una provvidenza bastevole a svergognare qualunque incredulo.

IV.

XX. Ma frattanto interviene a me come ad un pescatore di perle, che mirando sott’acqua uno stuolo di margherite, che vanno a nuoto non sa quale si prendere avidamente, e quale lasciare: né tanto è allegro per la preda che stringe, quanto è afflitto per quella che scappagli dalla mano, angusta al bisogno. Altro libro che questo si converrebbe per discorrere degnamente di tali cose, senza pentirsi di averne impreso a trattare. Stando nondimeno in quel poco che ne ho accennato, vi sarà chi si possa persuadere, che mani lavorate con sì grande attitudine al loro fine, siano senz’arte? Anzi, come saranno giammai senz’arte, se esse son le immediate lavoratrici di quanto tutte le arti hanno in sé di utilità e di vaghezza, che pure è tanto? Quando fosse l’uomo però divenuto muto in predicar le glorie del Creatore, io son certo, che benché privo di lingua me lo darebbe chiaramente a conoscere, come sa fare ogni mutolo, con le mani.

XXI. E voi, che con tale occasione avete ormai scorto, che benefizio sia quello che il Creatore vi conferì con rendervi, in virtù di esse, spedito e sciolto a qualunque opera vostra, vi siete mai ricordato di ringraziarlo di sì gran dono? Figuratevi un poco, che sia di un uomo che nasce monco, o che monco in brieve diviene. Non è spettacolo fino agli stessi nemici di pietà somma? Come volete però, che un benefizio sì nobile, qual è questo, si debba al caso? Il caso (se vogliamo parlar così) il caso può levare ad uno le mani, con fare a cagion d’esempio, che quando egli scarica un archibuso, o un’artiglieria, se le stroppi miseramente; ma non può dargliele. Questo non è mai seguito a memoria d’uomo. Come dunque ritroverassi chi, invece d’impiegar le sue mani in tessere ogni dì novelli serti di gloria a chi gliele diede, le impieghi ingrato a strapparglieli dalla fronte?

SALMI BIBLICI: “CONFITEMINI DOMINO … DICAT NUNC ISRAEL” (CXVII)

SALMO 117: “CONFITEMINI DOMINO, DICAT NUNC ISRAEL”

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS.

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

[Canonico titolare della Chiesa di Soissons, Professore emerito di Scrittura santa e sacra Eloquenza]

TOME TROISIÈME (III)

PARIS – LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR 13, RUE DELAMMIE, 1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

Salmo 117

Alleluja.

[1] Confitemini Domino,

quoniam bonus, quoniam in sæculum misericordia ejus.

[2] Dicat nunc Israel:

Quoniam bonus, quoniam in sæculum misericordia ejus.

[3] Dicat nunc domus Aaron: Quoniam in sæculum misericordia ejus.

[4] Dicant nunc qui timent Dominum: Quoniam in sæculum misericordia ejus.

[5] De tribulatione invocavi Dominum; et exaudivit me in latitudine Dominus.

[6] Dominus mihi adjutor; non timebo quid faciat mihi homo.

[7] Dominus mihi adjutor; et ego despiciam inimicos meos.

[8] Bonum est confidere in Domino, quam confidere in homine.

[9] Bonum est sperare in Domino, quam sperare in principibus.

[10] Omnes gentes circuierunt me; et in nomine Domini quia ultus sum in eos.

[11] Circumdantes circumdederunt me, et in nomine Domini quia ultus sum in eos.

[12] Circumdederunt me sicut apes, et exarserunt sicut ignis in spinis; et in nomine Domini, quia ultus sum in eos.

[13] Impulsus eversus sum, ut caderem; et Dominus suscepit me.

[14] Fortitudo mea et laus mea Dominus; et factus est mihi in salutem.

[15] Vox exsultationis et salutis in tabernaculis justorum.

[16] Dextera Domini fecit virtutem, dextera Domini exaltavit me; dextera Domini fecit virtutem.

[17] Non moriar, sed vivam; et narrabo opera Domini.

[18] Castigans castigavit me Dominus, et morti non tradidit me.

[19] Aperite mihi portas justitiæ: ingressus in eas confitebor Domino.

[20] Hæc porta Domini, justi intrabunt in eam.

[21] Confitebor tibi quoniam exaudisti me, et factus es mihi in salutem.

[22] Lapidem quem reprobaverunt ædificantes, hic factus est in caput anguli.

[23] A Domino factum est istud, et est mirabile in oculis nostris.

[24] Hæc est dies quam fecit Dominus; exsultemus, et lætemur in ea.

[25] O Domine, salvum me fac; o Domine, bene prosperare.

[26] Benedictus qui venit in nomine Domini: benediximus vobis de domo Domini.

[27] Deus Dominus, et illuxit nobis. Constituite diem solemnem in condensis, usque ad cornu altaris.

[28] Deus meus es tu, et confitebor tibi; Deus meus es tu, et exaltabo te. Confitebor tibi quoniam exaudisti me, et factus es mihi in salutem.

[29] Confitemini Domino, quoniam bonus, quoniam in saeculum misericordia ejus.

[Vecchio Testamento Secondo la Volgata Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

SALMO CXVII.

Davide invita se stesso e il popolo di Dio, che ei figurava, a lodare Dio pei beneficii, principalmente per la pietra angolare di Cristo, che unisce in sé le due pareti, i due popoli, de Gentili e degli Ebrei.

Alleluja: Lodate Dio.

1. Date lode al Signore perché egli è buono perché la misericordia di lui è eterna.

2. Dica adesso Israele, come egli è buono, e come è eterna la sua misericordia.

3. Dica adesso la casa di Aronne come è eterna la sua misericordia.

4. Dicano adesso quei che temono il Signore, come è eterna la sua misericordia.

5. Nella tribolazione invocai il Signore, e mi esaudì con’larghezza il Signore.

6. Il Signore è mio aiuto; non avrò paura di quel che uomo si faccia contro di me

7. Il Signore è mio aiuto, e io non farò caso dei miei nemici.

8. Buona cosa ell’è il confidar nel Signore, piuttosto che confidare nell’uomo.

9. Buona cosa ell’è il confidar nel Sonore, piuttosto che confidare ne’ principi.

10. Mi assediarono tutte le genti; ma nel nome del Signore presi di esse vendetta.

11. Mi assediavano strettamente, ma nel nome del Signore presi d’esse vendetta.

12. Mi circondarono come uno sciame d’api, e si accesero come fiamma suol tra le spine; rna nel nome del Signore presi di esse vendetta.

13. Mi fu data la spinta, fui fatto sdrucciolare perché cadessi; ma il Signore mi resse.

14. Mia fortezza e mia lode il Signore, ed egli fu mia salute.

15. Voce di esultazione e di salute ne tabernacoli dei giusti.

16. La destra del Signore ha fatto gran cose: la destra del Signore mi ha esaltato; la destra del Signore ha fatto gran cose.

17. Non morrò, ma vivrò, e racconterò le opere del Signore.

18. II Signore mi ha castigato severamente; ma non mi ha dato alla morte.

19. Apritemi le porte della giustizia; entrato in esse, darò lode al Signore: questa è la porta del Signore: per essa i giusti entreranno.

20. Darò lode a te, perché mi hai esaudito, perché tu se’ mia salute.

21. La pietra cui rigettarono quei che edificavano, è divenuta testata dell’angolo.

22. Dal Signore è stata fatta tal cosa, ed ella è meravigliosa negli occhi nostri.

23. Questo è il giorno che è stato fatto dal Signore; esultiamo, e rallegriamoci in esso.

24 Salvami, o Signore; o Signore, concedi prosperità: benedetto lui che viene nel nome del Signore.

25. Abbiam dato benedizioni a voi, che siete della casa del Signore: il Signore è Dio, ed egli è a noi apparito.

26. Distinguete il giorno solenne co’ folti rami fino al corno dell’altare.

27. Mio Dio se’ tu, e a te io darò lode; mio Dio, se’ tu, e io ti esalterò.

28. Darò lode a te, perché mi hai esaudito, e sei mia salute.

29. Date lode al Signore, perché egli è buono, perché è eterna la sua misericordia.

Sommario analitico

In questo salmo, il Re-Profeta considera le diverse tribolazioni e le prove multiple attraverso le quali è passato Gesù-Cristo ed in seguito tutti i suoi fedeli servitori, la gloriosa resurrezione che ne è seguita ed ha coronato le sue sofferenze e, sotto l’impressione di questo magnifico spettacolo, nel nome stesso della Chiesa cristiana. [Questo salmo è stato composto per la processione solenne che i Giudei facevano con i rami in mano (27), l’ottavo giorno della festa dei tabernacoli. Quella di cui qui si tratta, è quella che coincise con la posa della prima pietra del secondo tempio (Esdr. III, 10, 11), o piuttosto quella in cui fu celebrata la dedicazione di questo tempio, la stessa forse della quale si è parlato (II Esdr., 8). Tutto il popolo condotto da uno dei suoi principali capi, si reca in processione sul monte Moriah cantando: « Confitemini, etc., » ed il seguito fino al versetto 18. Arrivati nei pressi del tempio, il capo chiede che le porte gli si aprano, (19); i sacerdoti che vengono rispondono dall’interno e si instaura un dialogo tra i sacerdoti, il popolo ed il suo capo (19-28). Dopo il v. 24, le porte si aprono, il popolo entra al canto dell’osanna, ed il cantico termina così come è cominciato (Le Hir.). È un dialogo tra il capo del popolo, i sacerdoti ed il popolo, benché gli interpreti non si accordino sulla distribuzione di questo dialogo (V, Distinction primitive des Psaumes en monologue et en dialogues.)

Il salmista:

I. – Invita a lodare la bontà e la misericordia di Dio (1)

1° Il popolo di Dio (2);

2° i sacerdoti (3);

3° Tutti coloro che temono il Signore (4);

II. – Ne dà le ragioni:

1° Dio lo ha esaudito in mezzo alle tribolazioni (5);

2° Gli ha dato un soccorso potente contro gli attacchi degli uomini e dei demoni (6, 7);

3° La sua speranza in Dio è stata più fruttuosa che se l’avesse messa negli uomini (8, 9);

4° gli ha dato la vittoria contro le persecuzioni dei suoi nemici più furiosi (10- 13);

5° lo ha salvato da una certa rovina, diventando sua forza e sua salvezza (13, 14).

III. – Descrive la felicità dei santi:

1° Essi si danno a trasporti di gioia e di allegria, in riconoscenza della salvezza che hanno ottenuto (15);

2° Essi saranno esaltati e glorificati da Dio stesso (16);

3° Dio darà loro l’immortalità nel cielo, dove lo loderanno per l’eternità (17-21).

 IV. – Celebra la gloria di Gesù-Cristo:

1° Dopo essere stato rigettato da coloro che costruivano l’edificio, è divenuto pietra d’angolo (22).

2° Questa mirabile opera è l’opera di Dio (23);

3° Il giorno in cui si è compiuta, è ora per fedeli un giorno di gioia e di allegrezza (24);

4° I fedeli lo celebrano con acclamazioni alla gloria del Salvatore (23, 26);

5° Essi gli consacrano questo giorno celebre per sempre, riconoscendolo e proclamandolo come loro Dio, rendono pubblico che essi sono stati salvati esclusivamente dalla sua grazia, ed invitano tutti gli uomini a lodare costantemente la sua bontà e la sua misericordia (27-29).  

Spiegazioni e Considerazioni

I. — 1-4.

ff. 1 – 4. – Il Profeta non poteva esortarci più vivamente e con meno parole, a lodare Dio, che non aggiungendo: « perché Egli è buono. » Io non vedo nulla di più inteso che questa parola così concisa, perché la bontà è talmente propria a Dio, che il Figlio di Dio, chiamato il “buon Maestro”, detta ad un Giudeo che credeva che Egli non fosse che un uomo, rispondendo: « Perché mi chiamate buono? Nessuno è buono se non Dio solo. (Marc. X, 17, 18). Cosa volevano dire queste parole, se non che: « per chiamarmi buono, comprendete che Io sono Dio. (S. Agost.). – E che! La casa di Israele che ha sofferto innumerevoli cattività, che è stata ridotta in schiavitù, condotta fino alle estremità della terra e che, nel Salmista, è stata messa alla prova tra mali senza fine? Si, certo, risponde il Salmista, nessuno può rendere migliore testimonianza dei benefici di Dio, perché nessuno ne ha ricevuto di più numerosi ed importanti: le loro stesse tribolazioni sono pure una prova della sua infinità bontà. (S. Chrys.). –  I Cristiani sono i veri figli di Israele, perché imitano la fede di questi santi Patriarchi e devono ora cantare – e per tutta l’eternità – le bontà infinite e le misericordie eterne di Dio. – Egli invita qui i sacerdoti a cantare le lodi di Dio, per farci vedere l’eccellenza del sacerdozio; perché più essi sono elevati al di sopra degli altri, più essi hanno anche ricevuto gloria da parte di Dio, non solo in ragione del sacerdozio stesso, ma per tutti gli altri privilegi che sono stati accordati loro. (S. Chrys.). – I Sacerdoti di Gesù-Cristo che hanno parte al suo Sacerdozio, ben più eccellente di quello di Aronne, sono obbligati per statuto a cantare non solo con il cuore, ma con la bocca le misericordie del Signore, ed annunziarle ai popoli. – «Tutti coloro che temono il Signore, dicano: “Egli è buono”. Ecco, in effetti, coloro che possono conoscere la sua misericordia e penetrare tutti i segreti della sua bontà, perché queste divine perfezioni non toccano coloro che sono occupati nei loro piaceri, coloro che non considerano le tribolazioni di questa vita come l’effetto della bontà e della misericordia di Dio, coloro che non riflettono mai sulla natura del vero bene e del vero male, coloro che non pensano affatto all’enormità dei loro peccati ed all’opposizione che c’è tra Dio ed il peccato, coloro infine, che vogliono giudicare la bontà di Dio con quella degli uomini. (S. Chrys.). – Noi dobbiamo lodare Dio a causa della sua misericordia, perché essa è continua ed incessante, perché essa è eterna, perché si spande in tutto l’universo, perché essa ci circonda da ogni parte. (Ps. XXXI,10).

II. — 5-14.

ff, 5-7. – Il Salmista non dice: io ero degno di essere esaudito; egli non dice: io Gli ho presentato le mie buone opere, e nemmeno: io mi sono contentato di invocarlo e la mia preghiera è sufficiente per allontanare da me il malanno. (S. Chrys.). – Quando il demonio è padrone di un’anima, la serra e la tiene schiava; la protezione di Dio la strappa via e la mette in libertà. – Colui che è ben persuaso di essere nelle mani di Dio, che Dio regola tutto con la sua volontà, che Dio è più potente di tutti gli uomini, non teme ciò che l’uomo gli potrà fare. (Dug.). – Questo timore gli inspira non un orgoglioso, ma un generoso disprezzo dei suoi nemici. Quale elevazione di spirito, qual grandezza d’animo! Il Profeta si eleva al di sopra della debolezza umana, per  disprezzarne in seguito tutta la natura! … Notate che egli non dice: io sarò al riparo della prova, ma: « Io non temo ciò che l’uomo mi potrà fare; » vale a dire, io sarò senza paura in mezzo alle sofferenze, in mezzo anche ai miei nemici, esclamando con San Paolo: « Se Dio è con noi, chi sarà contro di noi? » (Rom. VIII, 31). Non sarà in effetti, il marchio di un’anima timida e pusillanime il temere i propri simili, quando è sicura dell’amicizia del suo Dio? (S. Chrys.).  

ff. 8, 9. – Ma se io disprezzo i miei nemici, anche il giusto, con tutta l’amicizia che ha per me, non esige che io metta in lui la mia fiducia; perché «… è meglio confidare in Dio che confidare nell’uomo. » Ed anche se potessi, ad un certo punto, chiamare questo amico, un buon Angelo, non mi verrebbe in mente di confidare in lui, perché nulla è buono, se non Dio solo (S. Agost.). – La speranza con la quale il mondo ingannatore sorprende l’imprudenza degli uomini o abusa della loro credulità, non è altra cosa, a ben intendere, che una illusione piacevole; e questo il filosofo lo aveva ben capito quando i suoi amici lo pregavano di definire la speranza, ed egli rispose in una parola: « … è il sogno di una persona che è sveglia. » Considerate in effetti, ciò che è un uomo gonfio di speranza. A quale onore non aspira? Qual funzione, quale dignità non concede a se stesso? Egli naviga già tra le delizie, e già ammira le sue grandezze future. Niente gli sembra impossibile; ma quando, avanzando nella carriera che si era proposto, vede nascere da ogni parte le difficoltà che lo arrestano ad ogni passo; quando la vita gli manca, come un falso amico, in mezzo a tutte le sue imprese; o, forzato dall’incontro delle cose, torna al suo senso stantio, e non trova nulla nelle sue mani di tutta quella grande fortuna di cui si prospettava una vaga immagine, cosa può giudicare da se stesso, se non una speranza ingannevole che lo cullava un giorno per un tempo della dolcezza di un sogno piacevole? … O speranza del secolo, sorgente infima di cure inutili e di folli pretese, vecchio idolo di tutte le corse di cui il mondo si ride e che tutti inseguono, non è di te che io parlo; la speranza dei figli di Dio non ha nulla in comune con gli errori. Imparate a capire la differenza dell’uno e dell’altro: « Ah! Veramente è meglio sperare in Dio che confidare nei grandi della terra. » Questa differenza consiste in questo punto, che la speranza del mondo lascia il possesso sempre incerto ed ancora molto lontano; mentre la speranza dei figli di Dio è così salda ed immutabile, che io non temo di assicurare che essa ci metta dinanzi il possesso della felicità che ci propone, e che costituisca un inizio della gioia. (BOSSUET, Panég. de Ste Thér.). – Non vi appoggiate agli uomini, perché essi verranno meno, prima o poi. L’uomo è debole, indiscreto, incostante, leggero, incline a rapportare tutto a sé. Il più piccolo capriccio lo allontana, il minimo interesse è sufficiente a trasformarlo in un nemico. Allora egli si mostra per ciò che è, egli vi amava, ma … per se stesso, per profittare di voi al bisogno. – Al di fuori di Dio e di ciò che è divino, dove trovare quaggiù un solido terreno per far riposare le nostre speranze? Gli uomini son tutti dei castelli di sabbia che cedono sotto i nostri piedi quando vogliamo appoggiarci ad essi; le cose umane son delle foglie, e quando noi contiamo sul suo colore verdeggiante, l’ultimo giorno d’autunno è già per esse arrivato. Ma l’anima che confida in Dio è incrollabile; essa riposa su di un terreno solido; e quando anche tutto venisse a mancarle dal lato terreno e sul mare alto delle agitazioni umane, essa trova una sicurezza assoluta sulla rocca dell’eternità  (Mgr LANDRIOT, Ste Comm., 431.)

ff. 10-12. – Quale è il mezzo per sfuggire a questo pericolo? Si tratta in effetti di venire alle mani, di dar battaglia a nemici che sono presenti; il profeta è letteralmente accerchiato, avvolto come in una rete, come in una trappola, e non a causa di uno, due o tre popoli nemici, ma per tutte le nazioni riunite. Tuttavia, tutti questi legami sono distrutti dalla fiducia in Dio. (S. Chrys.). –  « Esse mi hanno circondato come delle api, come la fiamma che avvolge un cespuglio. » Esse mi hanno  circondato come le api circondano un favo di miele, per togliere tutta la dolcezza che Gesù-Cristo aveva effuso nella sua anima. (S. Gerol.). – Queste api, immagine di uomini pericolosi i cui perfidi discorsi, distillano per noi il miele della adulazione, mentre che, alle nostre spalle, non sognano che di erigere crudeli insidie. Quante simili api hanno ronzato intorno al Signore durante i giorni della sua vita mortale! Quando i farisei  volevano sorprenderlo nelle sue parole: « Maestro – gli dicevano – voi siete la stessa verità, e non fate eccezione a nessuno. » (Matth. XXII, 16). Era la goccia di miele; ma nello stesso tempo scagliavano contro di Lui il pungiglione del loro odio, e giuravano di farlo morire. Parlando per bocca del suo Profeta, il Signore li aveva già descritti in questi termini: « essi mi hanno circondato come api. » (Mgr DE LA BOUILL. Symb. II, 413.). – Le api figurano la vivacità dell’azione, e le spine sono il simbolo di una collera estrema e di un furore che nulla può sopprimere. Chi può spegnere, in effetti, il fuoco che si attacca alle spine? E tuttavia, benché i miei nemici abbiano preso fuoco e siano caduti su di me con la violenza e la rapidità dell’incendio, non solo ho avuto paura di sfuggire loro, ma io le ho annientate. (S. Chrys.). – È il Signore stesso, il capo della Chiesa, che è stato circondato dai suoi persecutori, come le api circondano un favo di miele. In effetti, lo Spirito Santo descrive qui, sotto una forma ingegnosa, ciò che i Giudei hanno fatto senza saperlo; perché le api depositano il miele nell’alveare, e coloro che hanno perseguitato il Signore gli hanno dato per noi, senza saperlo, una dolce novella, facendolo soffrire, affinché gustassimo e sentissimo quanto il Signore è dolce. (Ps. XXXIII, 9); … perché Egli è morto a causa dei nostri peccati ed è resuscitato per nostra giustificazione (Rom. IV, 25), (S. Agost.). – Qual è il fedele servo di Dio che non possa dire che i nemici della salvezza lo investano incessantemente, che lo circondano come uno sciame di api su di un favo di miele, e attacca colui che vuole depredare i suoi alveari? Questa truppa di avversari non è anche come un fuoco che cada su spine secche, e che le consumi in un momento? Oltre le potenze dell’inferno che fremono incessantemente intorno a noi, quali tempeste si levano nel nostro cuore? Noi siamo, in effetti, circondati da tre tipi di nemici, che il Profeta sembra designare ripetendo tre volte che è stato circondato da assedianti. Ma la carne è il più pericoloso delle tre: 1° perché essa ci è unita con la più intima unione; 2° perché è una sete continua che non possiamo impedire; si può mettere in fuga il demonio ed il mondo, ma per la carne, per poterla vincere, non possiamo né metterla in fuga, né preservare per sempre dagli attacchi, ed è quando finge di essere in pace con noi, che è ancor più pericolosa. Sono questi attacchi della carne che ci vengono qui figurati dalle api e dal fuoco che si attacca alla spine. In effetti l’ape, come la carne, che nello stesso tempo ci dà il miele, ci punge con il suo pungiglione; l’ape facile ad irritarsi, raffigura la carne che si rivolta così facilmente contro lo spirito; l’ape, come la carne, pungendo con il suo pungiglione, si dà la morte. – Vendicarsi nel nome del Signore, è rimettere nelle sue mani tutte le ingiurie che si sono ricevute. Egli si è riservato la vendetta, Egli ha promesso che l’avrebbe fatta! 

ff. 13, 14. – Per darci un’idea della grandezza delle sue prove, il Profeta ci ha descritto la moltitudine dei suoi nemici, le loro minacce esterne, la vivacità dei loro attacchi, l’accanimento contro di lui; egli aggiunge ora che lo hanno fatto soffrire. Essi mi hanno assalito con tale impetuosità, che sono stati sul punto di cadere ed essere abbattuti; essi mi hanno spinto così violentemente che ne sono stato abbattuto, e hanno quasi buttato giù; ma nel momento in cui le mie ginocchia stavano per indebolirsi, o la mia caduta sembrava inevitabile, ed io non avevo più alcune speranza, Dio è venuto in mio soccorso. (S. Chrys.). – Dio lascia talvolta rovesciare i suoi eletti, fino ad essere sul punto di cadere, affinché l’uomo senta la propria debolezza, e non si attribuisca la vittoria, come una madre che lascia vacillare il proprio bimbo per insegnargli a camminare con maggiore precauzione. « Se il Signore non mi avesse dato il suo appoggio, per poco la mia anima non cadeva nell’inferno. » Se io dicevo: « i miei piedi sono vacillanti, la vostra misericordia, Signore, veniva a stabilizzarli. » (Ps. XCIII, 17, 18). Quali sono dunque coloro che cadono quando si spingono, se non coloro che hanno la pretesa di essere se stessi la loro forza e la loro gloria? Perché nessuno cade nella battaglia se non colui la cui forza e la glofia cadono egualmente. Colui, al contrario, di cui il Signore è la forza e la gloria, non cade più di quanto il Signore non cade. (S. Agost.). – « Il Signore è stato mia forza e mia lode, ed è diventato la mia salvezza. » Cosa significano queste parole: « Egli è stato la mia lode »? Egli è stato la mia gloria, il mio elogio, il mio ornamento, la mia luce; perché, non contento di togliere l’uomo da ogni pericolo, lo ha circondato di fulgore e di splendore, e lo vediamo aggiungere dappertutto la gloria e la protezione che salva. Queste parole racchiudono ancora un’altra verità: Dio sarà l’oggetto continuo dei miei canti, la mia voce è consacrata per sempre all’inno della riconoscenza, e tutto il mio dovere sarà ora quello di lodarlo. (S. Chrys.).

III — 15 – 21.

ff. 15, 16. – Quale differenza tra le case dei giusti e quelle dei peccatori: queste echeggiano troppo spesso di crisi di dissensi, di collera, di passione, di pianti, di mormorii, di rabbia, di disperazione; nella dimora dei giusti non si sentono che grida di allegria, canti di riconoscenza per la salvezza ricevuta da Dio (Duguet). – Ma qual è questa dimora dei giusti? Non è un luogo dove si possa pretendere di avere una permanente stabilità, è un padiglione, una tenda. Abramo e gli altri patriarchi eredi delle stesse promesse abitavano sotto delle tende, perché essi sapevano che questa vita non è che un viaggio, e che attendevano questa città che ha un fondamento saldo, di cui Dio stesso è il fondatore ed architetto (Heb. XI, 9, 10). – Linguaggio ben diverso tra quello degli orgogliosi e quello degli umili: gli orgogliosi si attribuiscono tutta la gloria del successo delle loro imprese, e dicono con insolenza: « è la nostra mano potente e non il Signore che ha fatto tutte le cose, » (Deuter. XXXII, 27);  gli umili dicono, con tanta riconoscenza ed umiltà. « La destra del Signore ha fatto esplodere la sua potenza, la destra del Signore mi ha elevato. » (Duguet). – È un atto di grande potenza elevare l’umile, divinizzare un mortale, estrarre la perfezione dalla debolezza, la gloria dalla soggezione, la vittoria dalla sofferenza, e produrre il soccorso per le stesse tribolazioni, affinché gli afflitti conoscano la vera salvezza che viene da Dio, rispetto a coloro che sono afflitti dalla vana salvezza che viene dall’uomo. Si, è un atto di grande potenza, ma perché ne sarete stupefatti? Ascoltate ciò che ripete il Profeta. Non è l’uomo che si è elevato, non è l’uomo che si è reso perfetto, non è l’uomo che si è dato la gloria, non è l’uomo che ha vinto, non è l’uomo che si è dato la salvezza, ma le destra del Signore che ha fatto un atto di potenza (S. Agost.).

ff. 17, 18. – C’è qui una professione autentica dell’immortalità dell’anima, e di una vita ben superiore a quella del corpo. – Questo santo trasporto del Profeta è quello di ogni anima che il mondo non ha incantato; è lo slancio generoso del fedele che vive della fede nelle promesse: « Io non morirò, io vivrò. » La terra ritorna alla terra, e lo spirito va verso Dio che lo ha fatto (Eccl, XII, 7). Il mio corpo deve dissolversi, ma il mio corpo non è mio, è tutt’al più il velo grossolano che nasconde il mio vero essere, e la morte non è per me che l’inizio della vita. (M. DE BOUL. Sur l’immortalité.).- Creato nel tempo, concepito nell’eternità, io sono creato per l’eternità, io non morrò, perché le opere di Dio non sono fatte per perire. La materia se non è giunta con l’anima, non è nulla. Essa è alla creazione, ciò che il mio vestito è al mio corpo, e questo corpo tutto da solo, non sono io; esso è il vestito che si usa e che cambia. Io ho cambiato più volte vestito, più volte di corpo. Dov’è il mio corpo dell’infanzia? Dov’è il fiore e la forza della mia giovinezza? Questo è morto, come morto è il profumo ed i suoni che hanno traversato le arie. Ne resta ciò che resta dell’erba dei tetti! La vera creazione, la creazione imperitura, è ciò che è l’immagine di Dio. È là che ha ricevuto la perfezione dalle origini, e non perirà. (L. VEUILL., Jésus~ChristIa Partie, p. 6.) – Dio castiga come un medico e non come un nemico. Sembra che il medico perseguiti il suo malato, ma egli non perseguita che la sua malattia. Egli odia la sua malattia, perché egli ama l’ammalato; e non fa soffrire colui che ama, se non per liberarlo dal male di cui soffre (Duguet).

ff. 19, 21. – Il Profeta parla qui di diverse porte, poiché si serve del plurale; egli aggiunge che una di queste porte è quella del Signore, e che i giusti vi entreranno. Ci sono dunque due porte, due templi, due case di Dio: la Chiesa ed il cielo. La Chiesa è la prima dimora dei Cristiani, ma in questa vita i giusti si trovano mescolati ai peccatori; bisogna attendere il momento in cui sarà detto ai giusti: « Entrate nel riposo delizioso del vostro padrone. » Felici – dice l’Apostolo prediletto – coloro che lavano la propria veste nel sangue dell’Agnello; essi avranno diritto sull’albero di vita, ed entreranno per le porte della città. Lungi da qui i cani, gli avvelenatori, gli impudichi, gli omicidi, gli idolatri, e chiunque ami e preferisca la menzogna (Apoc. XXII, 14, 15). È sufficiente, nel mio lungo esilio, « che io abbia abitato le tende del Cedar, e che sia restato in pace in mezzo ad uomini che odiano la pace. » (Ps. CXIX, 5). Io ho sopportato fino alla fine l’essere mescolato con i malvagi; ma « ecco le porte del Signore, per le quali entreranno i giusti. » (S. Agost.). – Bisogna quindi intendere queste parole delle porte del cielo, che restano chiuse ai malvagi e si aprono alla virtù, all’elemosina, alla giustizia. Ci sono le porte della morte, le porte della perdizione; ci sono le porte della vita, le porte strette e piccole. È perché ci sono più porte che il Salmista ci da il segno distintivo della porta del Signore, dicendo: « è qui la porta del Signore. » Qual è questo segno? È che non ci sono se non coloro che Dio punisce, prova, che entrano per questa porta, perché essa è ben stretta e ben chiusa. Se dunque essa è stretta, solo coloro che sono stati radunati dalla tribolazione potranno entrare per questa porta (S. Chrys.). – È veramente la porta del Signore, perché Egli solo la chiude, senza che nessuno la possa aprire, come Egli l’apre senza che nessuno la possa chiudere; perché Egli solo conosce i suoi eletti, Egli solo giustifica i peccatori, ed Egli solo prende cura di punirli per renderli giusti. (Dug.). – Il profeta spiega ciò che sta per dire: « … Io entrerò e renderò grazie al Signore, » perché, benché i giusti in questa vita indirizzino a Dio preghiere molto diverse e numerose, tuttavia queste preghiere possono riassumersi tutte in questa sola domanda: « Io ho chiesto una sola cosa al Signore, e non cesserò di richiederla: abitare nella casa del Signore tutti i giorni della mia vita; » ed il Salmista aggiunge per rendere più chiaro il suo pensiero: Voi che siete la mia speranza, Voi siete diventato la mia salvezza; Voi che siete il mio viatico, siete diventato la mia ricompensa. (Bellarm.). –  Se noi vogliamo che Gesù-Cristo ci apra un giorno le porte del cielo, apriamogli fin d’ora le porte del nostro cuore, affinché per Lui diventino le porte della giustizia. Ogni giorno Egli ci ripete: « Apritemi le porte della giustizia. » Le intendete dirvele nell’Apocalisse. « Ecco che Io sono alla porta e busso: se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, Io entrerò con lui, Io cenerò con lui, ed egli con me. » (Apoc. III, 20). – Aprite dunque a Gesù-Cristo le vostre porte, affinché Egli entri in voi; apritegli le porte della giustizia, aprite le porte della castità, aprite le porte della forza e della saggezza (S. Ambr. L. IV, de Fide, c. I). – Queste porte devono restare chiuse ad ogni altro, e nessuna creatura deve passarvi perché il Signore di Israele è entrato da questa porta. (Ezech. XLIV, 2).

IV. – 22-29.

ff. 22, 23. – Sono queste delle parole spiegate e consacrate da Gesù-Cristo stesso, e dagli Apostoli (Matth. XXI, 42; Marc. XII, 10; Luc. XX, 17; Act. IV; Rom. IX; Ephes. II). Gesù-Cristo è l’opera di Dio per eccellenza. È la principale pietra d’angolo, fondamento e legame della sua Chiesa, ove ha riunito nel suo corpo, e i Giudei che lo hanno rigettato, ed i Gentili che lo hanno crocifisso. – « La pietra che i Giudei hanno rigettata nel costruire, è divenuta la pietra d’angolo, » la pietra principale, il nodo ed il fondamento di tutto l’edificio. Questa pietra principale era il Cristo. Ora questa pietra doveva essere rigettata. Il Cristo doveva quindi essere rigettata; da chi, se non da coloro per i quali veniva? Non c’era stato nulla di meraviglioso che fosse ascoltato o ricevuto da coloro ai quali non parlava, come i Gentili; ma i Giudei, che dovevano costruire l’edificio principale, riprovarono questa pietra che diventa, con tale mezzo, la pietra d’angolo che unisce, in una sola costruzione, i Giudei ed i Gentili. « Ed è ciò che ci è sembrato meraviglioso ed un’opera che Dio solo poteva compiere. » (BOSSUET, Médit. Dern. Sem. XXXI jour.). – Questa non era un’opera umana, alcun essere privilegiato, sia pure tra gli Angeli, sia pure tra gli Arcangeli, poteva costituire la pietra che forma quest’angolo; era cosa impossibile per i giusti, i Profeti, gli Angeli, gli Arcangeli; Dio solo poteva operare questa meraviglia che gli appartiene e che gli è propria: a riunione dei due popoli in un’unica Religione. (S. Chrys.).

ff. 24. – « Questo è il giorno del Signore. » Questo giorno non deve intendersi come quello del corso ordinario del sole, ma per quello dei prodigi di cui è stato il teatro. Quando noi diciamo di un giorno che è cattivo, noi non vogliamo parlare del giorno misurato dal corso del sole, ma dei guai che la sua luce ha rischiarato. È così che il Re-Profeta chiama un giorno di felicità, quello che è stato testimone di avvenimenti felici, ed ecco il senso delle sue parole: Dio è l’Autore dei prodigi compiuti in questo giorno, e la sua mano possente era la sola capace di operarli (S. Chrys.). – Il giorno nel quale si è compiuto questo grande capolavoro è propriamente il giorno che il Signore ha fatto, come se, a paragone di questo giorno, il Signore non avesse fatto anche tutti gli altri, come se non avesse destinato che questo giorno nel manifestare la sua potenza, la sua saggezza, la sua bontà. – Queste parole sono anche applicate al giorno chiamato Domenica o “giorno del Signore”, giorno consacrato ai più grandi misteri delle operazioni divine, dice il Papa San Leone; giorno in cui il Padre aveva cominciato a manifestare la sua gloria con la creazione primordiale del mondo; giorno in cui il Figlio, con la sua Resurrezione, ha distrutto la morte ed aperto le sorgenti di una vita migliore; giorno in cui lo Spirito-Santo, discendendo sugli Apostoli, ha fondato definitivamente il regno spirituale ed eterno della Chiesa; giorno soprannaturale tanto superiore al “sabbat” primitivo, quanto la rivelazione cristiana è superiore alla rivelazione del primo giorno, tanto preferibile al sabbat giudaico quanto la nuova alleanza supera l’antica; giorno che ci dà, dice S. Ilario, tutta la realtà e la pienezza di ciò che l’antico sabbat non offriva che in figura ed in speranza; giorno che è l’inizio della creazione nuova, dice San Atanasio, come l’altro sabbat era la fine della creazione prima; giorno che il Signore ha fatto, e che sarà oramai quello che dobbiamo santificare con il riposo e con le sante gioie (Mgr PIE, Disc, et Inst. III, 388.) – Che questo giorno sia anche il nostro primo giorno, che questo giorno ci colmi di gioia; che questo giorno sia per noi un giorno di allegria e di santificazione, in cui diremo con Davide: « È questo il giorno fatto dal Signore; rallegriamoci e trasaliamo di felicità in questo giorno. » È il giorno della Trinità adorabile; il Padre vi appare con la creazione della luce, il Figlio con la sua rRsurrezione, e lo Spirito-Santo con la sua discesa. O santo giorno, o giorno felice, possa tu essere sempre la vera Domenica, il vero giorno del Signore per la nostra fedele osservanza, come Tu lo sei per la santità della tua istituzione!  (Bossuet, Elev. III, S, VII, E.)

ff. 25, 26. – « O Signore, salvatemi, fate prosperare il viaggio. » Poiché è il giorno di salvezza, salvatemi; affinché al ritorno dal nostro esilio lontano, saremo separati da coloro che odiavano la pace, e mentre noi siamo pacifici verso di loro, essi ci attaccano senza motivo: mentre noi parliamo loro piacevolmente, rendete prospero il viaggio del nostro ritorno, poiché Voi vi siete fatto nostra via. (S. Agost.). Esistono tre tipi di prosperità: le battaglie nella pienezza della vittoria: « Nella vostra maestà avanzate, siate felice e stabilite il vostro regno con la verità » (Ps. XLIV, 5); la prosperità della via, per la grazia che ci è accordata: « Il Dio che ci salva ci renderà felice la via in cui camminiamo, » (Ps. LXVII, 20); la prosperità della patria, in cui Dio ci ricolmerà di gloria. « l’Agnello che è in mezzo al trono sarà loro pastore, e li condurrà alle fontane di acqua viva, e Dio asciugherà dai loro occhi tutte le lacrime. » (Apoc. VII, 17). – I Giudei applaudirono a Gesù-Cristo entrando da Gerusalemme, e gridavano. « Benedetto Colui che viene nel nome del Signore, » e pochi giorni dopo ne chiesero la morte. Un grande numero di Cristiani credono che Gesù-Cristo sia venuto nel Nome di Dio, e non praticano ciò che è venuto ad insegnare. Non è dunque sufficiente dire. « Benedetto Colui che viene nel nome di Dio », bisogna chiedere perché Egli venga e cosa sia venuto ad insegnare. – Le benedizioni sono date qui, non dalla terra, ma dalla casa di Dio; è la Chiesa che ne è la depositaria, e le distribuisce nel Nome di Gesù-Cristo, che l’ha stabilita. Se si è fuori da questa casa, non si può aver parte alle sue benedizioni (Berthier).

ff. 27-29. – « Il Signore è Dio, Egli ha fatto brillare la sua luce su di noi. » Dio non ha potuto trattare in modo più sfavorevole le anime che i corpi, il mondo spirituale che il mondo fisico. È lo stesso Dio che effonde la luce sul firmamento spirituale, e che la versa con più profusione, su una creazione più elevata, su di un mondo più prezioso, il mondo delle anime. Il bagliore della verità: « Lo stesso Dio – dice San Paolo – che ha comandato alla luce di fendere le tenebre e di risplendere, lo stesso Dio risplende nei nostri cuori (II Cor. IV, 6); « la grazia di Dio nostro Signore si è manifestata a tutti gli uomini, per insegnarci a rinunziare all’empietà ed ai desideri del secolo, e perché noi vivessimo quaggiù con sobrietà, con giustizia e con pietà nell’attesa del gran Dio e nostro Salvatore Gesù-Cristo » (Tito, II, 11, 12). Questa festa solenne, queste tende ombreggiate da foglie d’alberi fino ai coni dell’altare, mi avvertono di considerare nella Religione come un celebrare una festa continua. Non si tratta di mettersi in pompa, di praticarvi esercizi di grande splendore: la Chiesa, in certi giorni, non dimentica di colpire gli occhi dei suoi figli con l’apparato delle sue cerimonie; ma il Cristiano, penetrato dalla grandezza dei misteri della Religione, li riverisce tutti i giorni nel segreto del suo cuore, nel silenzio della preghiera; egli entra, per così dire, nella nube del Signore, si nasconde all’ombra delle sue ali, vi offre un sacrificio perpetuo di azioni di grazie, si immola incessantemente sull’altare dell’amore divino. Le anime favorite da un dono di orazione concepiscono bene questa solennità perpetua, come un’oscurità misteriosa, questo altare sempre eretto nel loro cuore. In qualunque posto voi siate – diceva San Crisostomo – e pregate, voi siete un tempio, voi portate dappertutto il vostro altare. (Berthier). – Voi siete il mio Re ed il mio Dio, perché non è il peccato, ma Voi che regnate su di me. Voi siete il mio Dio, perché io non sono di coloro che hanno per loro Dio il proprio ventre ed i loro istinti grossolani; perché Voi siete la stessa virtù, ed io desidero avere tutte le virtù. È per questo che Voi siete il mio Dio, vale a dire la mia virtù (S. Gerol.). – La fine di questo salmo è pieno di sentimento: « O Signore, Voi siete il mio Dio! » Chi merita più di Voi le mie adorazioni e la mia riconoscenza? Voi mi avete esaudito, Voi mi avete liberato dai nemici che mi perseguitavano, Voi siete la bontà essenziale, e la vostra misericordia è senza limiti. L’essenza e le perfezioni di Dio, sono l’oggetto di questi versetti. Egli è l’Eterno, il Dio forte, il solo degno delle adorazioni di tutte le creature.  

SALMI BIBLICI: “LAUDATE DOMINUM, OMNES GENTES” (CXVI)

SALMO 116: “LAUDATE DOMINUM, OMNES GENTES”

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS.

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

[Canonico titolare della Chiesa di Soissons, Professore emerito di Scrittura santa e sacra Eloquenza]

TOME TROISIÈME (III)

PARIS – LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR 13, RUE DELAMMIE, 1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

Salmo 116

Alleluja.

[1] Laudate Dominum, omnes gentes,

laudate eum, omnes populi.

[2] Quoniam confirmata est super nos misericordia ejus, et veritas Domini manet in æernum.

[Vecchio Testamento Secondo la Volgata Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

SALMO CXVI

Invita il profeta la Chiesa, formata di Ebrei e di Gentili, a lodare Dio, per la sua misericordia in chiamare a salute i Gentili, e per la sua verità in mandare agli Ebrei il Messia secondo le promesse che ei fece non pei meriti loro, ma per sua misericordia. Le genti lodino Dio che diede ad esse il Cristo

Alleluja: Lodate Dio.

1.Nazioni, quante voi siete, date laude al Signore: popoli tutti, lodatelo.

2. Imperocché, la sua misericordia si è stabilita sopra di noi, e la verità del Signore è immutabile in eterno.

Sommario analitico

Questo salmo che sembra essere stato composto nella stessa epoca del precedente e del seguente, che sono entrambi dello stesso stile, dello stesso periodo e senza dubbio dello stesso autore, è un invito a lodare Dio. San Paolo lo cita come profezia della vocazione di tutti i popoli alla vera fede (Rom. XV, 11).

I. – Questo invito è fatto a tutte le nazioni, a tutti i popoli della terra, sia ai gentili che ai Giudei (1).

II. – Esso è fondato su due ragioni tratte dall’avvento di Gesù-Cristo, una è la misericordia di Dio estesa a tutti i Gentili; l’altra la verità ed il compimento delle promesse fatte al popolo Giudeo (2).

Spiegazioni e Considerazioni

I.1, 2.

ff. 1, 2. – È evidente a tutti che questo salmo è una profezia dello stabilirsi della Chiesa cristiana, e della predicazione del Vangelo, che si è esteso a tutta la terra. In effetti, non è solo una, o due o tre nazioni, ma la terra intera, è il mare che il salmista invita a lodare Dio (S. Chrys.). – L’Apostolo San Paolo, spiegando questo salmo ai Romani, lo cita come una profezia della vocazione dei Gentili: « Il Cristo Gesù si è reso manifesto prima al popolo circonciso, alfine di verificare la parola di Dio, e confermare le promesse fatte ai nostri padri; e quanto ai Gentili, essi devono glorificare Dio per la misericordia che ha loro concesso. » (Rom. XV, 11). In nessun altro popolo, oltre al giudaico, c’è stato uno scrittore che abbia annunziato che l’Uomo-Dio che si adorava tra questo popolo, sarebbe stato conosciuto da tutte le nazioni del mondo; presso nessun popolo, fuori dalla nazione giudaica, vi è una qualche tradizione costante che il Dio di questo popolo sarebbe stato un giorno il Dio che tutti le nazioni avrebbero adorato; presso alcun popolo; fuori dalla nazione giudaica, si sono conservati dei libri che facciano fede dei tre punti precedenti. Il Profeta ci mette tra le mani in questo salmo – il più breve di tutti – una dimostrazione della verità del Cristianesimo (Berthier). – Si trovano due motivi di lode che sono dovuti al Signore: la sua misericordia e la sua verità. Nell’esposizione del primo motivo, il Profeta non si separa dai Gentili; egli non dice « perché la sua misericordia si è soffermata su di voi », ma « su di noi », riconoscendo anche il bisogno che egli stesso aveva della misericordia. – Nell’enunciato del secondo motivo, si dice ancora qualcosa in comune a lui e a tutti i popoli: è che Dio si è mostrato fedele nelle sue promesse nei confronti di tutto il genere umano; ma egli insinua ancora una distinzione rispetto ai Giudei, i soli depositari delle promesse e dei libri che le contengono. – In Dio, in Gesù-Cristo, in noi che predichiamo il Vangelo – dice San Paolo – non c’è si e no; non c’è che un si, cioè che tutte le promesse di Dio si sono compiute in Gesù-Cristo, e che gli Apostoli di Gesù-Cristo sono fedeli nel rappresentare queste promesse ed il loro compimento (Berthier). – Nella vocazione e nella giustificazione di un peccatore, noi dobbiamo sempre adorare e lodare la verità di Dio e la sua liberalità, il compimento delle promesse che ha fatto a suo Figlio di dargli degli eletti, e la misericordia che ha fatto agli eletti dandoli a suo Figlio (Duguet)

APPARIZIONE A LA SALETTE 1846 (III)

LA SALETTE (III)

[Some account of the APPARITION OF THE BLESSED VIRGIN Of LA SALETTE London 1853]

Non sarà necessario il produrre estratti di altre numerose lettere e pubblicazioni apparse in Francia e altrove su questo evento; non resta che accertare se la verità del racconto dei bambini sia stata in qualche modo sostenuta da un’interposizione soprannaturale, cioè se siano stati fatti o meno dei miracoli. Di miracoli nell’ordine della grazia sarebbe facile citarne molti; come l’improvvisa conversione di peccatori incalliti e infedeli dopo aver visitato la montagna o dopo aver preso, contro la loro volontà, alcune gocce d’acqua dalla misteriosa sorgente. Una grande conversione c’è, e si manifesta a tutti: la completa riforma portata avanti in tutto il cantone e nel quartiere di Corps dalle parole di due bambini, che sono state più efficaci degli appelli infuocati di pastori zelanti e di missionari evangelici. Sì, tutto il Paese si è convertito; e le loro preghiere e le penitenze, insieme a quelle delle centinaia di migliaia di forestieri che hanno visitato il luogo, indubbiamente hanno evitato la punizione di cui la Santa Vergine ha minacciato il “suo popolo” nel caso non si fosse pentito. Di miracoli nell’ordine della natura, compiuti con l’uso dell’acqua di La Salette, accompagnati da una novena, i commissari ecclesiastici di Grenoble ne hanno ricevuto così tanti resoconti debitamente autenticati dalla testimonianza di medici, che è utile un esame molto rapido per fugare ogni dubbio su questo punto. Tra i tanti riportati nell’opuscolo di M. Rousselot, che non sono altro che una selezione tra i tanti di cui egli sia venuto a conoscenza, se ne noteranno qui solo due o tre, che si caratterizzano per la particolarità di portare con sé tutti i segni di autenticità richiesti.

I – Guarigione della Suora Saint Charles, del Convento di San Giuseppe, nella città di Avignone. Di seguito si riporta la dichiarazione della Superiora del convento : – « La suora Saint Charles è entrata nella nostra casa a diciassette anni e mezzo; la sua costituzione era molto delicata: poco dopo la professione la sua salute ha ceduto del tutto; e prima della fine del noviziato si era ridotta in uno stato gravissimo con dolori allo stomaco, frequenti vomiti sanguinolenti, dissenteria, febbre bassa e continua, che la tennero per più di otto anni sul letto di dolore. Durante questo periodo le è stato più volte somministrato ed ha ricevuto il Viatico. Tutti i medici che l’avevano visitata avevano dichiarato il suo stato senza speranza alcuna. Poteva ella alzarsi dal letto solo molto raramente, e solo per un tempo molto breve; non assisteva al santo Sacrificio della Messa più di cinque o sei volte all’anno al massimo; e poi lo sforzo che faceva era accompagnato da una tale stanchezza tanto da ridursi ad un grado estremo. Più di una volta è stato necessario portarla via in uno stato di completa incoscienza; per cui questo favore le è stato accordato solo in considerazione del suo ardente desiderio, e non per affliggerla troppo. Nel mese di dicembre 1846, i suoi sintomi si aggravarono molto; e noi ripetutamente ci aspettavamo di perderla ad ogni momento. Lo stato infiammatorio si diffuse alla gola e alla bocca; ingoiava con grande difficoltà. Quest’affezione presentava tutti i sintomi di un’ulcera: ne derivava un odore così corrotto da essere quasi insopportabile; un’abbondante espettorazione mista a sangue contribuiva ancora di più ad indebolirla e a rendere il suo stato deplorevole. Da questo periodo fino al 16 aprile non ha potuto assaggiare né pane né alcunché di solido; viveva alimentandosi solo di brodo, o di latte ed acqua, che poteva assumere solo in piccolissima quantità, anche se era costretta a bere spesso; perché, se non lo faceva, la sua gola collassava. Il 14 febbraio 1847 ricevette l’Estrema Unzione, ed il Viatico le fu somministrato due o tre volte nelle settimane successive. Tale era la condizione della sorella quando si cominciò a parlare dei miracoli provocati dall’uso dell’acqua di La Salette. Riconosco, a mia confusione, di non aver dato credito a tutte queste voci; ma avendo sentito parlare della guarigione di una suora del “Sacro Cuore”, ho sentito nascere in me una convinzione, e ho proposto una Novena alla nostra povera inferma. Per quanto grande fosse il desiderio che avevo della sua guarigione, avevo ancora di più in vista la gloria della Santa Vergine, la confermazione della sua apparizione ai due pastorelli e la conversione dei peccatori. Fu per questi motivi che tra le nostre sorelle malate, che allora erano molto numerose, scelsi la suora Saint Charles come colei che, essendo la più conosciuta in conseguenza della lunga durata della sua malattia, poteva meglio servire al fine che mi proponevo. Le comunicai la mia idea: lei mi sembrò, la prima volta, molto indifferente, e mi dichiarò che non aveva alcun desiderio di recuperare la sua salute, che le avrebbe solo impedito di tornare nell’eternità, e che preferiva morire, o rimanere nello stato in cui si trovava fino a quando sarebbe piaciuto a Dio. Le feci la stessa proposta più volte; ma trovandola sempre nelle stesse disposizioni, pensai che avrei dovuto usare la mia autorità. Ottenuta una piccola quantità d’acqua da La Salette, le dissi che non avrebbe dovuto considerare tanto se stessa quanto la gloria di Dio, e la maggior devozione verso la Santa Vergine, che ne sarebbe risultata da una guarigione, o da una straordinaria opera in suo favore. Le ordinai allora di unirsi alla Novena che la comunità avrebbe fatto per lei, e di prendere l’acqua che le avevo portato. Fu convinta fin dall’inizio che se avesse fatto questa Novena sarebbe stata guarita, e si sottomise nel farlo in obbedienza. Le feci anche indicare le preghiere e gli esercizi da seguire durante la Novena. Ogni giorno una delle suore si recava alla santa Comunione in spirito di riparazione per i peccati principali che la Vergine aveva indicato ai pastorelli, e con l’intenzione di ottenere la conversione dei bestemmiatori e dei profanatori della domenica. Abbiamo anche digiunato tre volte con la stessa intenzione; e ogni giorno abbiamo recitato la “Salve Regina”, tre Ave, con le invocazioni “O Maria concepita senza peccato etc. “, e “Mater admirabilis“. La Santa Vergine sembrava mettere la nostra fiducia a dura prova, perché la nostra povera sorella era sempre molto malata e sofferente. Il giovedì, al settimo giorno della Novena, ebbe uno svenimento, seguito da un’abbondante espettorazione di materia purulenta mescolata al sangue. Questo incidente ci ha molto allarmato. Vedendola in questo stato, le ho detto: « Penso che la Santa Vergine ti curerà portandoti in cielo ». Ella rispose: « Le mie malattie non indeboliscono la mia coscienza, e siccome ho solo altri tre giorni per soffrire, prego la mia buona Madre di non risparmiarmi; e ho grandi speranze di poter andare sabato alla santa Messa e di potermi comunicare ». In una parola, ha fatto tutti i preparativi necessari per farlo, e ha implorato che le venissero portati i suoi vestiti ed il suo velo, di cui non aveva fatto uso per molto tempo. Il venerdì 16 aprile, dopo aver trascorso una notte molto brutta, sputava ancora sangue al mattino. Monsignor de Prilly, Vescovo di Chalons, doveva celebrare la Messa nella nostra cappella alle sette. Per ottenere le indulgenze legate alla Messa del prelato, ho proposto per un giorno la Comunione generale, che doveva essere il sabato, per la fine della Novena. Questo cambiamento affliggeva molto la sorella Saint Charles, che era molto addolorata per non essere riuscita a unirsi quel giorno alla comunità, ed aveva paura di rimanere sola alla sua Comunione del mattino, che sarebbe stato, secondo lei, il giorno della sua guarigione. Mentre noi assistevamo alla Messa, lei faceva i suoi progetti e proponeva di chiedere al nostro confessore un’altra Comunione generale, per potersi presentare alla santa Mensa con tutte le sue sorelle ed essere più certamente accetta a Dio. La sua mente era abbastanza piena di quest’idea, quando all’improvviso si rese conto che era avvenuto in lei un totale cambiamento. Tutti i suoi mali cessarono improvvisamente, « … come se una mano invisibile li avesse portati via »: questa era la sua stessa espressione; non riconosceva più se stessa e non poteva credere a ciò che aveva vissuto. Si mise alla prova in vari modi, per essere sicura di non soffrire di un’illusione; e percependo di aver recuperato completamente le forze, non esitò a credere di aver ricevuto la grazia che le era stata chiesta e gridò: « Sono guarita! ». La sorella Saint Joseph, che era a letto nella stessa stanza, non capiva quello che diceva, e pensava, al contrario, che stesse peggiorando; era tanto più allarmata, perché in quel momento era sola e troppo malata per andare ad aiutarla. La sorella Saint Charles, sentendola piangere, si alzò dal letto e andò a consolarla. Lo stesso fece con la portinaia, che si prendeva cura del convento durante la Messa, e fu terribilmente spaventata nel sentire qualcuno correre nella stanza in cui aveva lasciato a letto, solo persone malate. Arrivò di corsa, senza fiato, e si sentì male. La suora Saint Charles la calmò, le diede qualcosa da bere, così come alla suora Saint Joseph, e assicurò loro che fosse guarita. Erano appena arrivati al Vangelo della Messa. La suora si è vestita di fretta e si è recata all’anticapella, dove ha ascoltato il resto della Messa in ginocchio e senza alcun sostegno. Quando lasciammo il coro, venne ad incontrarmi per abbracciarmi. Le ho detto che doveva tornare, per ringraziare la sua Benefattrice celeste. Mi rispose che lo aveva già fatto, avendo ascoltato gran parte della Messa e avendo recitato il “Te Deum“, ma che desiderava molto qualcosa da mangiare, perché aveva un grande appetito. Ho affrettato il passo e le ho detto di seguirmi, per provare le sue forze; lei ha camminato in fretta, ed è scesa le scale con la stessa velocità con cui l’ho fatto io. Le diedi un pezzo di biscotto, che mangiò quasi con avidità. In seguito entrò nella sala della comunità per abbracciare le suore, che rimasero stupefatte da questo avvenimento meraviglioso, e per ricevere la benedizione di Monsignor de Prilly. Questo santo prelato la esortò a ringraziare Dio e la sua beata Madre e ad essere molto fedele ai doveri del nostro santo stato. La mattina, ora, si pone in ginocchio in preghiera per un’ora, dopo di che si reca al lavoro, stira la biancheria per un tempo considerevole, segue subito tutte le osservanze della casa e si reca al refettorio, dove mangia la cena ordinaria della comunità. Lo stesso giorno, ricordando che le avevano preparato del brodo di carne, che non le era ormai più necessario, mi chiese il permesso di portarlo ad una povera ammalata che era tra le nostre mura e che noi assistevamo. Per andare da lei, era necessario salire una lunga e scomoda scala; la sorella lo fece con grande facilità. La fama di questo evento, che si diffuse presto all’esterno in città, attirò nel nostro convento una moltitudine di persone, che vollero accertarsi di persona della verità di un fatto così straordinario. Le nostre sale sono state affollate per molti giorni; e la fatica che tante visite devono aver causato alla suora, non è stata che una piccola ulteriore prova della sua forza. Lei ha sostenuto tutto questo in un modo che ci ha stupito, e non ne è stata affatto affranta, anche se è stata costretta a parlare quasi tutto il giorno. Soprattutto i medici non potevano credere ai loro occhi. Uno di loro, che veniva molto spesso, e che aveva seguito tutto l’andamento della malattia della sorella, mi aveva spesso detto: « Nel momento in cui meno te lo aspetti, la vedrai morire, perché non so cosa possa essere che la tenga ancora in vita ». Le ho parlato della novena che stavamo facendo, e gli avevo chiesto se avesse potuto fare un’attestazione nel caso in cui le nostre preghiere fossero state accettate. « Se sarà guarita – rispose – ti darò mille attestati, perché per lei tutto è inutile ». Mi affrettai ad informarlo di tutto ciò che era accaduto; e gli permisi di raccontare da se stesso, nella sua attestazione, di quale sia stata la sua sorpresa, la sua meraviglia, e le prove alle quali ha sottoposto la sorella per essere certamente sicuro della guarigione. Poiché la suora Saint Charles aveva potuto unirsi alla Novena solo in parte, aveva promesso di digiunare per tre giorni, nel caso fosse guarita; ha adempiuto al suo voto pochi giorni dopo, senza provare la benché minima stanchezza. Aveva anche fatto i digiuni dei giorni della quatempora e del giubileo, che avvenivano nello stesso periodo. Sono passati ormai quindici mesi da quando questa guarigione si è verificata; e da allora la suora Saint Charles continua a seguire gli esercizi della comunità, si alza alle cinque del mattino, e gode di uno stato di salute perfetto, considerando la delicatezza abituale della sua costituzione. Desidero che questo rapporto possa contribuire alla gloria di Dio, all’incremento della fede, e possa essere un eterno monumento della nostra gratitudine verso la nostra gloriosa Benefattrice, che ha concesso alla nostra comunità una prova così toccante della sua potente protezione. È con questa convinzione che firmo questo testimonianza, certificando che in essa non c’è nulla che non sia conforme alla più esatta verità.

J. PINEAU, Superiora delle Sorelle di San Giuseppe ».

A questa lettera si aggiungono gli attestati di due medici che erano stati costantemente presenti nella malattia della sorella Saint Charles, e che di conseguenza conoscevano bene da tempo il suo caso. L’uno fornisce un dettagliato resoconto scientifico del suo disturbo, e dichiara che la sua guarigione è contraria alle leggi della natura. L’attestazione dell’altro è così formulata: « Il sottoscritto dottore in medicina, primario onorario dell’ospedale di Avignone, dopo trentasei anni di servizio attivo, dichiara che la guarigione imprevista ed inattesa da una condizione considerata, secondo le leggi della medicina, mortale, nella persona della suora Saint Charles, sopra citata, ad uno stato di perfetta salute di tutti i suoi organi e di tutte le loro funzioni, è stata operata istantaneamente, senza l’intervento di alcuna applicazione dell’arte, e che quindi è di natura prodigiosa. Rooms, D.M. ». – Durante la vacanza nella sede di Avignone, causata dalla morte dell’Arcivescovo, i tre Vicari generali che poi hanno diretto gli affari della diocesi, su richiesta del Vescovo di Grenoble circa il loro parere sul tema della guarigione della suora Saint Charles, hanno risposto come segue: « -1). La guarigione di questa suora, tanto completa quanto improvvisa, fu operata il 16 aprile 1847, ottavo giorno di una novena che la comunità stava facendo in onore di Nostra Signora di La Salette, per ottenere questa grazia. -2) I due medici che avevano curato la suora durante la sua malattia, e che da allora hanno reso rapporto della sua guarigione, sono degni di ogni credito. – 3) Il defunto Arcivescovo di Avignone era pienamente convinto che la sorella fosse stata guarita per miracolo. – 4). La suora Saint Charles continua a godere di buona salute e segue le regole ordinarie della comunità. Avignone, 23 giugno 1848 ».

II. Ad Avallon, nella diocesi di Sens, si è verificato un caso clamoroso di guarigione, dopo una novena fatta a Nostra Signora di La Salette, che da allora è stata autorevolmente dichiarata miracolosa dal Vescovo.

Il medico che l’ha assistita ha redatto una lunga e dettagliata dichiarazione rispetto alla sua malattia e alla successiva guarigione. Le sue dichiarazioni conclusive sono le seguenti:

« – 1). Per diciassette anni A. Bollenat rimetteva tutto i cibi solidi che ingoiava, e poteva solo con difficoltà digerire qualche cucchiaio di latte o di zuppa di carne. Negli ultimi tre mesi precedenti il 21 novembre, non ha praticamente ingerito nulla.

– 2). Per tre anni A. Bollenat non aveva mai potuto camminare; era rimasta seduta, riuscendo a malapena a fare qualche leggero movimento delle estremità inferiori.

– 3). Per dieci anni A. Bollenat non era stata mai n grado di sdraiarsi sul fianco sinistro; era stata anche quasi completamente privata del sonno.

– 4). Per diciannove anni i dolori allo stomaco, che erano alla fine diventati insopportabili, non erano mai cessati.

– 5). Da diciassette anni si apprezzava un enorme tumore sul fianco, e per molto tempo non avevo usato nessun tipo di rimedio né per guarire questo tumore né per fermarne lo sviluppo.

 – 6). Il 19 novembre 1847, Antoinette Bollenat presentava tutti i segni di morte imminente.

1. Il 21 novembre, alle sei di sera, senza alcuna transizione, senza che si manifestasse alcuna crisi, mangiò e digerì una zuppa solida, verdura e frutta.

2. Il 21 novembre A. Bollenat si è alzata dal letto, si è vestita ed ha camminato nella sua stanza.

3. Il 21 novembre A. Bollenat si è sdraiata sul fianco sinistro dormendo tutta la notte.

4. Dal 21 novembre non è residuato alcun dolore interno in nessuna parte del corpo.

5. Il 21 novembre il tumore è completamente scomparso; non c’è stata alcuna crisi, né alcuna fuoriuscita di materia liquida di alcun tipo dal tumore, né internamente né esternamente.

6. Il 21 novembre e i giorni successivi l’ho vista piena di salute.

Gagniard, D.M. »

Le autorità ecclesiastiche della diocesi hanno preso conoscenza di questo caso; e dopo un minuzioso esame, l’Arcivescovo ha rilasciato una dichiarazione sul caso in oggetto, in cui dice: « Dopo aver esaminato le prove dei vari testimoni e del medico curante; dopo aver esaminato la relazione presentata dalla Commissione incaricata di esaminare il caso; dopo aver ascoltato il parere del Consiglio Episcopale, e dopo aver invocato il santo Nome di Dio, dichiariamo, a gloria di Dio, e ad onore della Santissima Vergine, per l’edificazione dei Fedeli, che la guarigione di Antonietta Bollenat, avvenuta il 21 novembre 1847. dopo un Novena alla Santissima Vergine Madre di Dio, invocata sotto il nome di “Nostra Signora di La Salette”, presenta tutte le condizioni e tutti i caratteri di una guarigione miracolosa, e costituisce un miracolo del terzo ordine.

Dato a Sens, sotto la nostra mano, con il sigillo delle nostre braccia, e il contro sigillo del nostro Vicario generale e segretario privato, il 4 marzo dell’anno di grazia 1849. (Firmato)  MELLON, Arcivescovo di Sens. »

III. Nel grande seminario della diocesi di Verdun è avvenuta un’altra sorprendente guarigione nella persona di uno degli studenti.

« Il Vescovo gli ordinò di redigere un resoconto del suo caso, della sua malattia e della sua guarigione. In esso egli racconta come – secondo il parere dei suoi medici – tutta la sua costituzione era stata completamente debilitata, in parte a causa dei terribili attacchi nervosi e dei dolori a tutte le articolazioni di cui aveva sofferto, in parte a causa delle medicine che aveva assunto per alleviarli. Era stato costretto due volte a lasciare il seminario e, dopo aver ottenuto a casa qualche piccolo miglioramento delle sue sofferenze, vi era tornato per la terza volta. Egli continua: « Sono tornato il giorno stabilito; ma nuove e più terribili prove mi aspettavano in seminario. Dal 7 marzo le mie pene, invece di diminuire, aumentavano rapidamente, e mi costringevano continuamente a trattenere grida disperate, e solo il pensiero di Maria le ha fermate. Infatti questo mi faceva ricordare vivamente le sofferenze di suo Figlio, ed io mi nascondevo nelle sue ferite. Poi mi ha visto il medico al quale mostrai come fosse ridotta la mia gamba, in uno stato di atrofia e rigida come una sbarra di ferro; gli provai che non potevo fare un passo senza la più crudele delle sofferenze, e che il dolore saliva fino alle mie reni, e attraverso la spina dorsale fino alla testa. Mi disse, per tutta consolazione: « Ebbene, amico mio, dobbiamo aspettare il caldo; allora userò bagni alcalini aromatici; poi, se questo non dovesse servire a nulla, faremo qualcos’altro; e se anche questo dovesse fallire, allora … addio, mio caro. Quindi sono andato dal mio direttore per consolarmi nelle mie pene; perché la consolazione mi era necessaria. Sono stato felice di sentirgli esprimere un’idea che avevo a lungo meditato, ma che ero deciso a non menzionare per primo: egli ha proposto una Novena alla Madonna di La Salette. Il giorno dopo scrissi alla confraternita di Nostra Signora delle Vittorie a Parigi, di cui ero membro, per implorare le loro preghiere. Il primo aprile, domenica delle Palme, la nostra Novena è iniziata con l’offerta del santo Sacrificio, che molti Sacerdoti della città mi hanno applicato. Molte Comunioni sono state offerte secondo la mia intenzione da molte persone caritatevoli delle diverse comunità di Verdun, che hanno invocato specialmente Nostra Signora di La Salette. Nel frattempo le mie sofferenze continuavano esattamente come prima. Quel giorno, come in quelli precedenti, per rispettare la regola, andai a passare il tempo libero nel luogo dove si recava il resto della comunità. Scesi le scale con estremo dolore, sostenuto sulle braccia da un compagno di studi, al quale devo un debito di eterna gratitudine per la sua gentilezza nei miei confronti. Dopo un quarto d’ora di dolorosissimo esercizio fisico, provai una stanchezza in tutto il corpo. Ho dovuto fare grandi sforzi per rimontare la scala. Sono andato in cappella e vi sono rimasto solo cinque o sei minuti. Non era lì che Dio mi aspettava, ma in quella povera cella in cui avevo tanto sofferto. Finalmente ci arrivai, e mi gettai davanti all’immagine di Maria, alla quale tanto spesso avevo rivolto gli occhi. Pieno di fiducia in Maria, afferrai la sua immagine e caddi in ginocchio senza accorgermene. Per molto tempo mi era stato impossibile piegare la mia gamba irrigidita. Poi, afferrando il mio piccolo flacone di acqua di La Salette, l’ho premuto sulle labbra e, contemplando l’immagine di Maria, ho gridato: « O Maria! O Madre mia! sì, tu mi guarirai, e io mi consacro a te ». Poi sono caduto in uno stato di totale insensibilità, non pensavo più a nulla, non ricordo cosa abbia detto; ero come schiacciato sotto l’azione divina, che però non ho sentito. – Questo stato durò per circa sei o otto minuti; e dopo, riprendendomi da questo tipo di insensibilità, e senza sentire il cambiamento che era avvenuto in me, mi precipitai giù per una lunga scalinata per dire ancora una volta al mio compagno di studi: « Siate di buona coscienza, sarò guarito ». Più tardi, questo eccellente amico, che mi aveva curato così bene durante la mia malattia, mi assicurò che il mio passo e la mia espressione di condiscendenza lo avevano stranamente sorpreso; che non capiva le mie parole, e che diceva in tono basso a se stesso: « Sarai guarito? Ma lo sei già! ». Continuai senza preoccuparmi di lui, ma poco dopo incontrai un altro studente, che mi afferrò e gridò: « Sei guarito! ». Solo allora ho percepito il cambiamento che si era avvenuto in me. Mi resi conto della mia felicità, e andai in giro a proclamare la mia guarigione, non come se fosse in procinto, ma come se fosse realmente già accaduta. Io non ero lontano dalla cappella dove poco prima non avevo potuto pregare: ora mi sentivo irresistibilmente spinto lì. Durante il quarto d’ora che passai ai piedi dell’altare in ginocchio, senza sentire il minimo dolore, non so cosa dissi, né quale preghiera abbia rivolto al mio Salvatore. Andai prima dal mio direttore, che mi strinse tra le sue braccia, poi dal superiore, che si rifiutò di credermi, finché non udì la parola « La Salette ». Andai poi in refettorio così in fretta, che due compagni non riuscirono a stare al passo con me. Il mio stomaco, debilitato da tante malattie e sofferenze, ricevette senza disgusto e digerì facilmente il mio cibo, cosa che poi continuò a fare. All’uscita dal refettorio, ero circondato dalla comunità, che mi ha fatto dare tutte le prove della completa guarigione. Corsi, piegai la gamba, colpii violentemente il piede contro il terreno e feci tutto quello che mi chiesero durante tutta la ricreazione, che passai tra i miei compagni di scuola come se non fossi mai stato malato. Il giorno dopo, un’ora di cammino non mi ha affaticato minimamente. Quello stesso giorno, tre persone hanno esaminato la mia gamba e si sono convinte che aveva recuperato la vitalità che essa aveva perso. Posso affermare che prima della mia guarigione era almeno di due terzi più piccola dell’altra.

Manrm, chierico negli Ordini minori. Gran Seminario di Verdun, 26 luglio 1849 ».

Questa relazione, quando fu presentata al medico, fu da lui dichiarata esatta in tutti i suoi dettagli.  – Il superiore e i professori del seminario hanno fatto una dichiarazione sul caso, nella quale concludono dicendo: « Questa guarigione ha prodotto l’impressione più vivida in tutto il seminario, frequentato da più di cento studenti. I seminaristi la considerano un prodigio, la cui natura miracolosa si ammette senza dubbio. Noi stessi, dopo aver esaminato e ponderato attentamente le circostanze di questo evento, non vediamo come possa essere spiegato da cause puramente naturali ». Il Vescovo di Verdun, nella costatazione ufficiale della guarigione, dice: « Abbiamo visto senza sorpresa che gli studenti del nostro seminario attribuiscono all’unanimità la guarigione ad un intervento soprannaturale della Santa Vergine. >X< LOUIS, vescovo di Verdun.

Dato a Verdun, presso il Palazzo episcopale, agosto 1849 ».

IV. L’ultimo miracolo di cui si darà notizia è la guarigione di un ufficiale di stanza a Calais, avvenuta dopo una novena fatta a Nostra Signora di La Salette. M. Delattaignant, agente di dogana di Calais, quarantadue anni, ha deposto come segue: « Nel mese di maggio del 1848 ho scoperto che non riuscivo più a dormire regolarmente; nel mese di giugno non riuscivo a dormire affatto, uno stato che durò fino al lunedì della settimana di Pasqua del 1849. Ero in un continuo stato di sofferenza, senza conoscerne la causa. Mi consultai con i medici, che mi dissanguarono, e mi ordinarono delle correnti d’aria rinfrescanti, ma senza risultati soddisfacenti. L’idea del suicidio era continuamente presente nella mia mente, e mi pesava. Ero in un tale stato di agitazione nervosa, che a volte non avevo alcun potere sulle mie membra. Non volevo vedere nessuno. Quando si parlava di pazienza e di rassegnazione alla volontà di Dio, mi sentivo esasperato, convinto che non potevo guarire, che ero disgustato dalla vita, e più volte ho aperto il coltello per pugnalarmi, cosa che non facevo se non pensando a mia moglie e ai miei figli. Forse devo la mia conservazione alle mie preghiere, che non ho mai smesso di fare. Uno dei miei amici cominciò a farmi visita per incoraggiarmi ad avere fiducia in Dio, « Dio – dissi io – nella mia esasperazione, c’è un Dio buono? Se ci fosse, non mi farebbe soffrire così » Poi ho cominciato a piangere. Avevo perso del tutto la memoria e riuscivo a malapena a svolgere i compiti del mio ufficio. Non scrissi più alla mia famiglia. Le mie facoltà morali erano scomparse. Non avevo più alcun affetto nemmeno per mia moglie e per i miei figli. Se qualcuno mi avesse offerto una fortuna considerevole o un rango elevato, ai miei occhi non sarebbe stato assolutamente nulla. Tutto il mio essere era annientato. Di dolore fisico non ne sentivo nessuno in una parte più che in un’altra; ma il mio corpo svolgeva le sue funzioni con difficoltà. Il mio stomaco era molto dilatato. Avevo un appetito straordinario e insaziabile; niente mi faceva male, e mangiavo come quattro persone. Un giorno, mentre mangiavo, mi è venuta una tale crisi che ho lasciato l’impronta dei miei denti sul cucchiaio. Sono rimasto trentasei ore senza mangiare, senza riuscire a spiegarmi il perché, sperando così di morire di fame. Su suggerimento di un pio ecclesiastico ho fatto una novena alla Madonna di La Salette, ma senza alcun risultato. Poi ne iniziai un’altra; mia moglie e i miei figli fecero la Comunione per la mia intenzione. Alla fine di questa novena, il lunedì della settimana di Pasqua, ho assistito in modo meccanico alla Messa, e quel giorno sono caduto in un tale stato di irritazione che avrei voluto distruggermi; mia moglie si è gettata tra le mie braccia, abbiamo pianto insieme, e da quel momento sono guarito. Da allora non ho più avuto un solo momento di tristezza o di insonnia. Sto bene secondo i miei desideri. La mia memoria e le mie facoltà morali sono ritornate. La mia guarigione è stata istantanea, e senza alcuna transizione. Non attribuisco la mia guarigione a nessun rimedio umano; poiché, a parte alcune correnti d’aria rinfrescanti, per diversi mesi ho rifiutato ogni presidio medico. Ringrazio Dio e la sua benedetta Madre per la mia guarigione.

DELATTAIGNANTE.

Calais, 2 giugno 1849. »

La verità di questa deposizione è certificata da trentasei firme, tutte apposte in forma legale davanti al sindaco di Calais, con il sigillo della città. Tra queste firme ci sono quelle di sette sacerdoti. – Sarebbe facile moltiplicare la citazione di un gran numero di esempi di guarigioni miracolose tanto notevoli quanto quelle sopra menzionate. Questo, tuttavia, non sarà oramai più considerato necessario; la questione dell’apparizione non è più un argomento aperto di discussione da dimostrare con delle prove. La Chiesa si è pronunciata su di essa; e tutto ciò di cui il lettore avrà ora bisogno sarà un resoconto del modo in cui questo autorevole riconoscimento della sua verità sia stato fatto. Il primo maggio 1852, il Vescovo di Grenoble pubblicò una lettera pastorale in cui, dopo averne dichiarato l’accettazione universale in Francia, Belgio, Inghilterra, Germania e Italia, accordata ad una precedente lettera da lui inviata il 19 settembre dell’anno precedente, in cui dichiarava la verità dell’apparizione, annunciava che era allora suo dovere comunicare allo stesso modo l’erezione di una chiesa e di un presbiterio a Salette, e fissare per il 25 maggio la posa della prima pietra. Questo evento si svolse infatti il giorno stabilito. Nel seguente estratto del numero dell’Università del 1° giugno 1852, c’è il rapporto che ne fa il giornale locale del dipartimento: « Ieri si è svolta la cerimonia di posa della prima pietra del Santuario di La Salette. È stata una magnifica solennità, anche se il tempo è stato piuttosto poco clemente. Alla vigilia un gran numero di pellegrini è arrivato sulla scena dell’Apparizione e vi ha trascorso la notte. All’una del mattino c’erano già 2000 comunicanti; non c’erano abbastanza Sacerdoti per soddisfare il desiderio dei fedeli. Ma quando arrivò il giorno, lo spettacolo era ancora più imponente. Da tutte le parti arrivarono pellegrini che apparivano come se fossero usciti dalla montagna stessa. Nulla poteva essere, allo stesso tempo, più grandioso e più pittoresco di queste processioni, che arrivavano con striscioni esposti e canti di inni pii. Il numero di stranieri che erano concorsi a questa cerimonia è stato stimato essere più di 15.000 persone. L’entusiasmo più vivo si manifestava tra la moltitudine quando si vide arrivare il Vescovo di Grenoble, che, nonostante la sua veneranda età, non aveva esitato ad intraprendere le fatiche dolorose di un tale viaggio onde presiedere a questa cerimonia. Tutta la compagnia riunita si recò ad incontrare il venerabile prelato, e lo accolse con espressioni di profondo rispetto e di gioia; mille voci si levarono ad accoglierlo. È stato un momento molto toccante. Il volto di Mons. de Bruillard ha tradito le profonde emozioni della sua anima. In seguito la cerimonia è iniziata in mezzo alla profonda attenzione di tutti. Il ricordo di questa santa e imponente cerimonia non sarà mai cancellato dalla memoria di chi ne è stato testimone. Non è l’unica chiesa che sta per essere eretta sotto il patrocinio di Nostra Signora di La Salette: una in Bretagna e un’altra in Belgio sono già state annunciate essere in corso di costruzione.

Pensiamo di aver detto abbastanza per fornire al lettore una chiara documentazione delle circostanze dell’apparizione stessa, e anche delle prove scientifiche a sostegno della sua credibilità. Dal suo riconoscimento pubblico da parte del Vescovo di Grenoble, non è più necessario accumulare ulteriori prove a suo favore. Per più di cinque anni l’apparizione è stata oggetto di ogni tipo di obiezione, non solo da parte degli scrittori francesi, ma anche da parte di coloro che erano più ansiosi di crederlo vero, ma che pensavano fosse loro dovere cedere a nient’altro che ad una certezza. – Tutte le opposizioni, però, ora tacciono; è ormai un fatto approvato dalla Chiesa, che la Santa Vergine abbia scelto questi due pastorelli come portatori di un messaggio al « suo popolo », minacciandoli di vendicarsi di suo Figlio se non si pentiranno; ed è anche la convinzione di tutti, che il Vescovo nella sua lettera pastorale riconosca che le preghiere, le penitenze, e la vita riformata, che sono così largamente derivate da questo evento, siano state il mezzo per arrestare al braccio di nostro Signore e scongiurare il castigo minacciato ». In effetti, non è quasi possibile considerare le prove attraverso le quali la Francia sia passata dall’anno dell’Apparizione, il 1846, senza notare gli elementi di disordine e di confusione che sono stati ovunque percepibili, e senza al tempo stesso riconoscere chiaramente la .presenza di qualche misteriosa influenza, che fino ad ora ha calmato la formidabile eccitazione e ha trasformato tutto in bene. La Madre di Dio è la “Mater misericordiæ”, la Madre della misericordia; le sue interposizioni visibili, di cui si registrano diversi casi nella storia ecclesiastica, non sono mai state considerate come presagio di sventure, ma piuttosto come significative di un tempo prossimo di accettazione; ed è in tale luce che la sua gloriosa apparizione a La Salette è stata finora considerata dai fedeli. 

FINE.

[Ribadiamo qui, che la Congregazione dell’Indice non si è mai sognata di negare la veridicità dell’apparizione mariana de La Salette, come farfugliano ancora i satanisti modernisti o scismatici attuali, ma che la condanna riguardava solo un libricino in lingua francese che riportava in modo improprio i fatti dell’apparizione. Eccone ancora il testo:

DAMNATUR OPUSCULUM: « L’APPARITION DE LA TRÈS SAINTE VIERGE DE LA SALETTE ».

DECRETUM

Feria IV, die 9 maii 1923

In generali consessu Supremæ Sacræ Congregationis S. Officii Emi. ac R.mi Domini Cardinales fidei et moribus tutandis præpositi proscripserunt atque damnaverunt opusculum: L’apparition de la très Sainte Vierge sur la sainte montagne de la Salette le samedi 19 septembre 1845. – Simple réimpression du texte intégral publié par Melanie, etc. Société Saint-Augustin, Paris-Rome-Bruges, 1922; mandantes ad quo spectat ut exemplaria damnati opusculi e manibus fidelium retrahere curent.

Et eadem feria ac die Sanctissimus D. ST. D. Pius divina providentia

Papa XI, in solita audientia R. P. D. Assessori S. Officii impertita, relatam sibi Emorum Patrum resolutionem approbavit.

Datum Romæ, ex ædibus S. Officii, die 10 maii 1923.

Aloisius Castellano,

Supremæ S. C. S. Officii Notarius.]

PREDICHE QUARESIMALI (IV 2020)

[P. P. Segneri S. J.: QUARESIMALE – Ivrea, 1844, dalla stamp. Degli Eredi Franco – tipgr. Vescov.]

XXV. NEL MERCOLEDÌ DOPO LA QUARTA DOMENICA

“Responderunt parentes ejus, et dixerunt: scìmus quìa ille est filius noster, et quia cæcus natus est; quomodo autem nunc videat, nescimus; aut quis ejus aperuit oculos, nos nescimus.”

 Jo. IX, 20 et 21.

I. Scusi pur di voi chiunque vuole i due genitori di questo cieco evangelico, io non gli scuso. Dichiararsi di non sapere come un loro figliuolo abbia aperti gli occhi? Scimus quia cæcus natus est; quomodo autem nunc videat, nos nescimus. Tale dunque è la cura che di lui tengono? Tale la provvidenza? tale il pensiero? Ma finalmente questo cieco evangelico fu felice, perché chi aperse gli occhi a lui fu Gesù, che non poté però aprirglieli fuorché al bene. Il mal è, che a molti quel che apre gli occhi è il diavolo. Eppur chi è che vi pensi egualmente, che vi provveda? I padri lasciano che i figliuoli loro divengano spesso accorti più del dovere, iniqui, ingannevoli; e poi non temono di scusarsi con dire, che non san come abbiano mai fatto ad apprendere la malizia. Quis ejus aperuit oculos, nos nescimus. Ah che questa è scusa frivola, scusa folle; perché qual è il loro debito, se non questo, procurar che i loro figliuoli piuttosto se ne rimangano sempre ciechi, com’essi nacquero, ch’è quanto dire, in santa semplicità, in santa stoltezza; che non che aprano gli occhi per altra mano, che per quella onde apersegli il cieco d’oggi? – Ma quanto pochi sono coloro che apprendano questo debito, o che l’adempiano! I più non pongono in altro Io studio loro, che in aver prole. Qui impiegano i loro prieghi, qui indirizzano i loro pellegrinaggi; e poi, conseguita che l’hanno, non se ne pigliano sollecitudine alcuna, quasi che non averla non fosse male di gran lunga minore, che averla reproba. Sappiamo che alberi sterilissimi ancora hanno tanta gloria; ch’essi oggidì sono le delizie de’ gran giardini reali. Anzi nella scelta di varie piante, che fecero anticamente gli Dei profani, furono a bello studio anteposte le men fruttifere allo più fruttuose; e così Giove elesse la quercia. Apollo l’alloro, Nettuno il pino, Osiri l’ellera, Giunone il ginepro, Venere il mirto. Ma un albero che produca frutti cattivi, oh questo sì che da nessuno è voluto nel terren suo; né solamente non v’è  Dio che lo prezzi, ma né anche v’è rustico che lo curi. – Intendano dunque tutti questa mattina quanto grand’obbligo sia l’avere un figliuolo. Io certamente non terrò male impiegata questa mia qualunque fatica, se giungerò a dimostrare un tal obbligo a chi nol crede, ovvero non lo considera, e però cade in quegli abusi ch’io poi vi soggiungerò, non perché tra voi li supponga, ma perché non allignino ancor tra voi. Dunque uditemi attentamente.

II. E per cominciare dalla grandezza dell’obbligo, il quale più vivamente fa campeggiare la deformità degli abusi, io so benissimo che molti altri saranno ancora tenuti rendere stretto conto per l’anima di qualunque vostro figliuolo: e sono appunto i maestri, i quali gli esercitano nelle lettere; gli aii, i quali gl’indirizzano nei costumi; i confessori, i quali li regolano nella coscienza; i predicatori, i quali gli esortano alla pietà; ed i principi anch’essi, tanto secolari quanto ecclesiastici, i quali con le pubbliche leggi devon provvedere, forse più che ad ogn’altro, alla piccola gioventù, non altrimenti che i giardinieri alle piante più tenerelle. Ma se considererete intimamente, vedrete che molto più siete tenuti a procurare il loro bene voi soli, che gli altri tutti. E la ragione fondamentale si è, perché tutti gli altri sono tenuti a ciò per obbligazione introdotta dalla politica; ma voi per obbligazione inserita dalla natura. – E chi di voi non sa che è quella cagione, la quale ha generato un effetto, a quella parimente appartiensi il perfezionarlo, quanto ella può? Perocché ascoltate, giacché qui cade in acconcio una leggiadra dottrina di san Tommaso nel suo prodigioso volume contra i Gentili (1. 3. c. 122, etc.). Due sorte di effetti noi possiamo considerare: alcuni, i quali, tosto che nascono, portan seco tutta quella perfezione, della quale sono capaci; altri, che non la portano seco tutta, ma debbono andarla acquistando in progresso di tempo, ed a poco a poco. Della prima schiatta son tutti gl’inanimati; e però la loro cagione, ch’è come la loro madre, dopo averli già partoriti, non li ritiene con amore materno presso di sé, non gli alleva, non gli accarezza, ma incontanente lasciali in abbandono. Diamone gli esempj in due cose a tutti notissime, quali son l’acqua e il fuoco. Vedete voi la sorgente quando ha partorita l’acqua? vedete la selce quando ha partorito il fuoco? Nessuna di loro due ritiene punto il suo parto presso di sé; ma l’una lascia che l’acqua subito scorra, e ne vada al rivo, e l’altra lascia che il fuoco subito voli, e si appicchi all’esca: mercecchè né la selce, né la sorgente, con ritenere presso di sé le lor proli, potrebbero maggiormente perfezionarle. Ma negli effetti di qualunque modo animati avviene il contrario. Nascono questi tutti imperfetti, e però lunga stagione rimangono sotto la cura, e, per dir così, tra le braccia della lor madre, per venir da essa nutriti amorosamente e perfezionati. Vedesi prima ciò chiarissimamente ne’ pomi, ne’ fiori, nelle spighe nell’uve, ed in qualsivoglia altro frutto. Nascono questi piccoli, rozzi, scoloriti, agrestini, e così bisognosi di grandissima nutritura. Però mirate quanto tempo rimangono e i pomi attaccati al suo ramo, e i fiori alla sua cipolla, e le spighe al suo cesto, e l’uve al suo tralcio, ed ogni altro frutto in grembo della sua madre. Onde se mai vi ci sarete provati, avrete scorto ricercarsi molto più di violenza a strappar con la mano dalla sua pianta il pomo acerbo, che non il pomo maturo; quasi che malvolentieri il figliuolo partasi dalla madre, e malvolentieri la madre lasci il figliuolo, prima che abbisi finito questo di ricevere tutta la sua perfezione, e quella di dargliene. Ma meglio ciò si scorge ne’ bruti, i quali nascono imperfettissimi anch’essi. Tra questi del solo struzzolo si racconta, che abbandona dispettosamente i suoi parti dopo averli condotti a luce. Derelinquit, come abbiamo in Giobbe (39. 14), derelinquit ova sua in terra: che però quivi egli vien proposto da Dio per esempio e di stolidezza e di spietatezza, dicendosi orribilmente di questo uccello che duratur ad filios suos, quasi non sui; privavit enim eam Deus sapientia, nec dedit illi intelligentiam(Ibid. 16 et 17). Ma tutti gli altri bruti vedrete che mai non mancasi di una pietosissima educazione; questa unica differenza, avvertita tuttavia dal medesimo san Tommaso, ed è che alcuni animali vengono educati dalla madre sola, altri e dalla madre insieme e dal padre. Dalla madre sovvengono educati i cani, i cavalli, gli agnellini, i vitelli, ed altri animali lattonzoli. A provvedere questi di allevamento basta la madre con le sue poppe; e però il padre, come 1oro non necessario, per lo più non li cura e non li conosce. Il contrario avvien tra gli uccelli. Non è stato verun di loro dalla natura provveduto di latte, né di’ mammelle; e la ragione si fu, perché dovend’eglino esser agili al volo, sarebbe loro stato un tal peso di notabile impedimento. Devon però vivere, per dir così, di rapina; ed in questa parte ed in quella procacciare il sostentamento non sol per sé, ma ancora per le loro tenere famigliuole, le quali non sogliono essere meno ingorde che numerose. Ma come potrebbe supplire a tanto una debole femminella? Però al nutricamento delle colombe, delle tortorelle, delle pernici, e di altri simili uccelli, specialmente meno feroci, assiste anche il padre. Né solamente tutti i bruti provveggono i loro pargoletti di cibo, finché questi non possono procacciarselo da sé stessi; ma li sovvengono anche di ajuto, d’indirizzo e di documento, conforme i varj mestieri ch’hanno ad imprendere. Così lo sparviere ammaestra i suoi figlioletti alla caccia, così il delfino al nuoto, così la leonessa alla preda, così la gallina alla ruspa, e così l’aquila ai voli anche più sublimi: provocans ad volandum pullos suos (Deut. XXXII, 11). Eppure gli animali bruti non isperano comunemente dai loro parti veruna ricognizione né di opera, né di affetto; anzi terminati i dì necessarj all’educazione, né il generante riconosce più il generato, né il generato riconosce più il generante, ma si disgiungono, e ciascuno va dove più gli torna in profitto. Or se, non ostante ciò, allorché questi di fresco hanno partorito, assistono a’ loro parti con tanta sollecitudine, gli allattano, li provveggono, li difendono, e prestano loro tutti gli uffìzj di servitù più pietosa, chi non vede che questa legge di perfezionare, quanto maggiormente si possa, la propria prole, non è legge inventata solamente da instituzione politica o da reggimento civile, ma è legge entro a tutti i petti stampata dalla natura, e però dee dirsi che la natura parimente sia quella che no riecheggia l’osservanza dagli uomini? Anzi assai più la richied’ella dagli uomini, che da’ bruti. Perocché gli uomini da una parte nascono nel loro genere men perfetti (come Plinio considerò); nascendo i bruti vestiti, e gli uomini ignudi; i bruti calzali, e gli uomini scalzi; i bruti armati e gli uomini inermi. E d’altra parte nascon capaci di assai maggiori perfezioni; le quali perfezioni perché non si possono conseguir se non assai lentamente, però l’educazione degli uomini non si termina in pochi giorni, come quella de’ bruti, ma stendesi a molti lustri; anzi, secondo il dire di san Tommaso, a tutta la vita, per lunga ch’ella si sia; e così rende di sua natura insolubile il matrimonio. – Or deduciamo dalla dottrina bellissima di questo santo Dottore, angelico veramente più che mortale, deduciam, dico, come da premesse infallibili, la nostra principal conseguenza, e diciam così: se l’obbligo, che hanno i padri, di educare i loro figliuoli, è obbligo non positivo, ma naturale; non iscritto, ma innato; non umano, ma divino; chi non vede dunque che molto più strettamente siete tenuti a procurare il profitto loro voi stessi, di quel che a ciò sien tenuti i principi ed i prelati, i maestri ed i confessori, e gli aii e i predicatori, e qualunque altro direttor, che si trovi, de’ lor costumi, o sia egli ecclesiastico o secolare; perciocché questi sono tenuti a ciò per legge civile, la quale è meno strigliente; ma voi per istituzion naturale, la quale è di gran lunga più rigorosa?

III. Ma s’è così (oh Dio!), che timore non dovreste aver dunque voi quando trascuriate una simile educazione? Perocché se tanto conto dovrà rendere il principe, se tanto il prelato, e se tanto qualsivoglia altri, per cui colpa succeda l’eterna perdizion del vostro figliuolo; qual ne dovrete render dunque voi, padri, quale voi, madri, se succeda per colpa vostra? Potrete voi punto sperar di discolpa, se quelli tanto riceveran di rimproveri? potrete voi punto impetrar di pietà, se con quei tanto si userà di rigore? E però san Giovanni Crisostomo (1. 3 contra vitup. vilse mon.), il quale intendea benissimo questo punto, si protestava a tutti i padri così: patres, educate fìlios vestros in disciplina, et in correptione Domini, come vi dice l’Apostolo (ad Eph. VI, 4). Si enim nos ipsi quoque vigilare jubemur, tamquam prò animabus illorum rationem reddituri, quanto magis ergo pater, qui genuit? Intendete, padri cristiani? quanto magis, ergo pater, qui genuit? – Voi avete dato lor l’essere; adunque voi molto più parimente siete tenuti a dar loro la perfezione, educandoli in disciplina, ch’è indurli al bene; et in correptione, ch’è ritirarli dal male; ovvero, giustar interpretazion più spedita di san Tommaso, in disciplina verberum, et in correptione verborum. Senza che, dare lor questa perfezione è a voi molto anche più facile, che ad ogni altro: conciossiachè essendo natural di tutti i figliuoli portare, più che ad ogni altro, a’ lor padri una gran riverenza ed un grande amore, venite per conseguente ad avere sopra di essi maggiore l’autorità. E chi non sa che con un consiglio opportuno, con una riprensione aggiustata, anzi con una parola mozza talvolta, con un cenno, con un gesto, con un’occhiata potete ottener da loro quei ch’altri non otterrebbe con lunghe prediche, e con iterati clamori? Non udiste mai di quel celebre Andrea Corsini? Era egli ne’ suoi primi bollori della gioventù libero, sregolato, disciolto; e però in vano si erano adoperati religiosi zelanti ed uomini pii affine di raffrenarlo. Ma che? quello che nemmeno poterono le parole sacerdotali, potò la voce materna. Pellegrina la madre, con un solo acconcio rimprovero, il rendé santo, e convertillo di un lupo di sfrenatezza in un agnellino di sommissione. Come dunque voi non dovrete rendere a Dio ragione assai rigorosa, se non verrete a valervi di autorità così rilevante? Aggiungete, che da voi dipendono essi nel vitto, da voi nel vestito, da voi nello spendere, da voi nell’ereditaro; onde con quanta facilità potete voi governarli a vostro talento, animandoli o rimunerandoli buoni, minacciandoli e gastigandoli scostumati! – Se dunque voi, non facendolo, mancherete al debito vostro, che scusa avrete? Eppur vi è di più: perché dovete considerare che voi avete i figliuoli vostri in custodia, quasi uccellini di nido, fin da’ primi anni, quando i loro animi sono appunto a guisa d’una creta pastosa, capace d’ogni figura; o di una cera molle, disposta a qualunque impronta. Se però essi, educati prima male da voi, non saranno in età maggiore più abili a ricevere i salutevoli insegnamenti de’ loro direttori più alti (dì chi sarà la colpa più principale, non sarà vostra? Vostra sarà, signori sì, sarà vostra. Pater enim, cum teverum acceperit filium, primque ac solus omnem ejusce instruendi facultatem nactus sìt, et bellissime illum, et facillime imbuere poterit, et moderavi; coi san Giovanni Crisóstomo favellò (l. 3 tra vitup. vitæ mon.). Adunque, se voi farete, a voi verrà attribuita la ma: colpa delle loro non correggibili inclinazioni. Anzi in vano tutti gli altri faticheranno per loro profitto, se voi punto manchiate al vostro dovere. Perciocché, a che vale che il principe tenga per allevamento de’ vostri giovani provveduto il suo stato di accademie insigni, di Convitti nobili, di collegj famosi, se voi li tenete quindi lontani? Ed i maestri come potranno affezionarli allo studio, se voi non ne mostrate premura? E gli aii come gli potranno addirizzar ne’ costumi, se voi non date lor braccio? Ed i confessori e predicatori ancor essi come potranno ottenere il loro profitto spirituale, questi con esortazioni pubblici quegli con ammonizioni private, se voi non ricercate giammai da’ vostri figliuoli consieno assidui alle prediche o come sieno frequenti alla confessione? – Vedesi adunque, per così dire, che tutte le obbligazioni, le quali in altri sono diramate e disperse, vengono ad unire in voi tutta la loro piena. E pertanto a voi si appartiene di tener su’ vostri figliuoli aperti più occhi, che non se ne finsero in Argo, quel provvidissimo re del Peloponneso; a voi tocca di avvertire ogni loro parola, a voi di moderare ogni loro gesto, a voi di certificarvi d’ogni lor moto: diligenze che, almeno tutte, non toccano a verun altra. Né basta che diate lor solamente la direzione, ma bisogna che ne ricerchiate ancora la pratica; e ciò non in un luogo solo, ma in tutti: in città, di fuori, in pubblico, in segreto, in comune, in particolare. Dovete osservar dove vadano, con chi trattino, diche gustino, a che inclinino; e giacché come disse il Savio, ex studiis suis intelligitur puer (Prov. 20. 11), dovete, se sia possibile, dovete, dico, procurare ancor di spiare quello a che pensino. Né crediate dirsi ciò per soverchia amplificazione; – anzi sappiate che questo appunto era quello ond’era sempre sollecito il santo Giobbe nel governo de’ suoi figliuoli: non sapere quali affetti pullulassero ne’ loro cuori, o qual pensieri covasse la loro mente. Quindi si racconta ch’egli bene spesso rizzavasi di buon’ora, diluculo, per offerire a Dio suppliche e sacrifizj a purgamento de’ loro interni difetti. Dicebat cnim: ne forte peccaverint filli mei, et maledixerint Deo in cordibus suis (Job 1. 5). Guardate sollecitudine! non dice labiis suis, non dice lingua sua, no; in cordibus suis; tanto tremava di qualunque lor colpa, non sol palese, ma occulta; non sol pubblica, ma segreta; non sol sicura, ma dubbia.

IV. Òr che dite voi dunque? Fate così? Adempite ancora voi con premura così gran parti? Siete egualmente solleciti ancora voi dell’integrità de’ vostri figliuoli, della loro innocenza, del loro profitto? Ahimè che voi ad ogni altra cosa pensate forse, che a questa, dice il Crisostomo. E perciò che fate? Attendete solo a rendere i vostri figliuoli più ricchi, più temuti, più nobili, più potenti; ma a rendergli parimente più virtuosi non attendete. Àlii militiam filiis suis provident, alti honores, alii dignitates, alii divitias; et nemo(oh deplorabilissima cecità!), et nemo filiis suis providet Deum (Hom. 55 in Matth.). Eppure di questo solo vi sarà chiesta ragione, o signori miei. Non vi sarà domandato quanto voi gli avrete lasciati più grassi di rendite, o quanto più illustri di cariche, o quanto più rispettati di parentele; ma quanto più riguardevoli di virtù. Di questo vorrà Dio venir soddisfatto in quel suo formidabilissimo tribunale. E voi che saprete rispondergli, mentre pure talora giungete a segno che, – per avanzar loro un vil danaruzzo, non vi curate di avventurare la loro eterna salute? E quante volte, se voi voleste spendere un poco più, potreste lor provvedere di custode più virtuoso, di disciplina più scelta, di direzione più profittevole; e voi nondimeno, per risparmiar quell’entrata, fate loro quel pregiudizio! Oh vergogna! Esclama san Giovanni Grisostomo (pigliato da me volentieri questa mattina per maestro in questa materia, da lui trattata, fra tutte le altre, a stupore), oh vergogna! Non si perdona a danaro per rendere il campo più fertile, l’abitazione più comoda, la cucina più lauta, la stalla più popolata, il cocchio più splendido; e per rendere un figliuolo più costumato si conta tanto a minuto! Anzi poco saria questo, cred’io, se non si giungesse anco a peggio; perocché per questa avarizia medesima spesso accade che se voi di due servitori ne avrete uno accorto e fedele, ed un altro scimunito e vizioso, darete al migliore la cura de’ vostri poderi, ed al peggior la custodia de’ vostri parti. E potrete voi scusarvi di tanta trascuratezza? Come scusarvi? Voi dunque non ardireste di consegnare il vostro cavallo ad un mozzo inetto, o la vostra greggia ad un pastorello infedele, o i vostri buoi a un bifolco disapplicato; e non temerete di porre un figliuol vostro medesimo nelle mani di un servitore vizioso, o di un pedagogo ignorante? Non ha scusa, o Cristiani miei, questo eccesso; no, non ha scusa: perché se l’interesse è quel che vi spinge ad antepor la roba alla prole, che si può dir di più empio, di più stolido, di più insano?  – Io per me certo, se mi credessi questa essere la principale cagione del mal governo usato verso dei giovani, tosto avrei desiderio con quell’antico filosofo di montare su la torre più alta della città, ed indi vorrei tonare, tempestare, e ripetere più d’una volta a gran voce: Quo tenditis, homines, quo tenditis, qui rei faciundae omne impenditis studium, filiis instituendis, quibus opes vestras relinquetis, exiguum, ac piane nullum? (Plut.de educai liberor.) Dove andate, olà, cittadini, olà, dove andate? vorrei dir io.Chi a procuratori per liti, chi a banchieri per cambj, chi a principi per favori, chia mercati per compere, chi ad uffìzj per interessi. E dove son rimasti frattanto i vostri figliuoli? se in mano di custodi veramente fedeli, benissimo; andate pure. Ma s’essi frattanto ritrovansi o in un ridotto di gioventù ad apprendere i vizj, odin una bisca di giuoco a trattare i dadi, o in un teatro d’oscenità a provare la parte, o in una contrada d’infamia a disfarsi in vagheggiamenti, o, se non altro in una villa di ozio a perdere inutilmente gran parte danno; se si trovano in tali luoghi, tornate indietro, vorrei dire, tornate, padri inumani; provvedete prima a’ figliuoli, e poi penserete alla roba. E non procurate cotesta roba per loro? Adunque qual insania maggiore, pensare alla roba, che dee servire a’ figliuoli, e non pensare a’ figliuoli, cui dee servire la roba? Così vorrei, credo, gridare, ad imitazion di quel filosofo di cui ragiona Plutarco (lbid); – Né mancherebbemi anche a questo proposito l’autorità del Boccadoro medesimo, il quale mi attesta che ciò sarebbe far come un folle ortolano, il quale solamente mirasse a raccor grand’acqua, onde alimentare le piante; ma non mirasse se quelle piante, che si hanno ad alimentare, sien belle o disformate, sien buoni o degeneranti. Questa ragione dunque degli altri vostri interessi, quantunque onesti, ai quali attendete, non potrà discolparvi presso di Dio, perché niun interesse dovreste avere più rilevante, che la perfetta educazion della prole da lui donatavi. E s’è così, qual altra discolpa dunque voi gli addurrete? Non sarete inescusabìlmente convinti di fellonia, di perfidia, di tradimento? – Che sarebbe di voi, se rimaneste convinti di non aver voi voluto dare a’ giovani vostri o poppa che gli allattasse bambini, o cibo che sostentasse gli adulti, o veste che coprisse gli ignudi, o letto che ricettasseli sonnacchiosi? Non rimarreste senza dubbio in tal caso mutolissimi alle difese? Eppure in tal caso avreste solo lasciato di provvedere alla parte più ignobile, qual è il corpo. Or che sarà lasciando di provvedere alla più signorile, qual è lo spirito? Che sarà se non li provvediate, potendo, di maestro buono, di servitore fedele, di confessore accreditato, di libri utili, d’indirizzi opportuni, di amicizie innocenti, di esempj, di consigli, di stimoli, di freni, di guide, e di tutti gli altri ajuti più necessarj al vivere cristiano? Filii tibi sunt? grida l’Ecclesiastico (VII. 25), erudi illos. Non dice, dita illos, evehe illos, extolle illos, no, erudi illos: perché questo è ciò che soprattutto ha da premervi, farli buoni.

V. Eppure piacesse a Dio che questo fosse l’unico vostro peccato, non procurar loro la salute de’ vostri giovani. Ve n’è un maggiore. E qual è? Procurar la loro rovina! Procurar la loro rovina! Signori sì, signore sì, procurar la loro rovina. Oh questo sì che sarebbe un eccesso sì abbominevole, che voi non potreste fiatare a giustificarvene; ed io, per detestarlo questa mattina come dovrei, vorrei avere un petto di bronzo ed una voce di tuono. Ma che? Non è forse frequente una simile iniquità? Ahimè! sarebbe desiderabile ch’oggi giorno alcuni padri non solamente lasciassero di educare i proprj figliuoli, ma che, appena nati, assettandoli in un cestello, simile a quello in cui fu riposto il bambinello Mosè, gli abbandonassero alla ventura in un lito, in una balza, in un bosco, tanto perverse son le dottrine che loro infondono, tanto scellerati i dettami. Utinam hoc tantum culpa csset (seguo a ragionar tuttavia eoa le autorevoli formule del mio eloquente maestro – Chrysost. 1. 3 centra vitup. vitæ monast.), utinam hoc tantum culpa esset, nihil utile parentes liberis consulere: possit id, quamquam gravissimum sit, aliquatenus tolerari. Nunc vero illos ad ea, quæ saluti suæ sunt adversissima, impellitis, et ac ti dedita opera liberos vestros perdere omni studio curetis, ita universa illos jubetis facere, quæ qui faciunt, salvi esse non possunt. – Volete chiaramente conoscerlo? State a udire. La legge evangelica, che voi dovreste istillar insieme col latte ne’ vostri pargoletti figliuoli, intuona a tutti i ricchi minacce orribili di eterna condannazione. Væ divitibus! (Luc. VI. 24) E voi all’incontro cominciate ad insinuare ne’ lor cuori infin da’ primi anni, che bisogna serbare la roba tenacemente, e che tutta la felicità dell’uomo consiste in aver piene le casse, colmi i granai, ridondanti le grotte. E talora  parlando da solo a solo col figliuol vostro, ancor tenerello: mira (gli dite), a tal mercatante, mira il tal canonico, mira il tal cavaliere: perché seppero accumular di molto danaro, vedi tu com’or sono giunti, quegli a fabbricar la tal villa, quegli a conseguire il tal beneficio, quegli a stabilir il tal parentado? Vogliamo credere che tu saprai mai giungere a tanto? E così voi fate formargli un’opinion del danaro tanto sublime, che non cred’esservi altro Dio su la terra maggior dell’oro. Più. – L’Evangelio dice, che bisogna seder nell’ultimo lato: recumbe in novissimo loco (Ib. XIV, 10). E voi a’ vostri giovani persuadete continuamente il contrario, suggerendo loro che non bisogna contentarsi mai dello stato in cui l’uomo nasce; ma che, a guisa de’ fiumi, bisogna sempre nel mondo acquistar paese, avvantaggiarsi, allargarsi. Più. L’Evangelio afferma, che convien condonare le offese fatteci: diligite inimicos vestros (Ib. 6. 27). E voi a’ vostri giovani insinuate perpetuamente l’opposto, dicendo loro che non bisogna dimenticarsi mai di un affronto che l’uom riceva; ma che, ad imitazion de’ molossi, bisogna sempre ad ognuno mostrare i denti, rispondere, ricattarsi. Ed oh quanti sono, che dicono a’ lor figliuoli: la nostra casa è sempre stata riverita e temuta al pari di ogn’altra. Ella ha avuti tanti senatori, tanti cavalieri, tanti capitani, tanti uomini famosi in pace ed in arme. Non sarai degno del casato che porti, se non saprai sempre farti usar tua ragione. Quindi godete che di buon’ora comincino a trattar l’armi, perché i gloriosetti si avvezzino tanti Marti; ed assai più voi fate loro di applauso quando li vedete caricar con man tenera una pistola, che quando li mirate aguzzar la penna. – E quelle buone madri ancor esse con quai dettami sogliono specialmente allevare le loro figliuole? Con quei dettami evangelici, i quali c’insegnano di schivare i lussi superflui e le pompe vane? Nolite solliciti esse corpori vestro quid induamini (Ib. XII. 22). Anzi tutto il contrario. Va, figliuola mia, dicon esse, va, di’ a tuo padre che tu vuoi vestir da tua pari. Digli che tu così ti vergogni di comparire; che cavi fuori del suo scrigno que’ nastri, que’ pendenti, que’ vezzi, quelle smaniglie; a1trimenti non isperare ch’io ti voglia più condur meco neppure a Messa. Quindi abbigliandole or con una sorte di gala, ed or con un’altra, le avvezzano di buon’ora ad indurir contra il freddo ostinatamente le spalle ignude, o fintamente coperte; insinuando che nella foggia del vestire bisogna sempre attenersi all’uso del secolo, e poi lasciare, che i predicatori si sfiatino a lor piacere e che si scatenino. Ecco, o signori miei, quali sono i bei documenti che molti padri, che molte madri oggi danno a’ loro figliuoli. – E così che ne segue? Ne segue che quegli animi ancora molli, ricevuta una tal sementa, comincino a poco a poco a gittare così profonde radici di fasto, di vanità, di ambizione, di audacia, d’interesse, e di ogni altra più sregolata affezione, che quando poi con gli anni acquistano forza, non v’ha più mano mortale che possa svellerne i velenosi rampolli: Adolescens juxta viam suam, ch’è quella via che lo porta più al mal che al bene, etiam cum senuerit non recedet ab ea (Prov. XXII. 6). E vi par che il vostro delitto sia delitto pertanto di leggier peso? Io credo pure che avrete udito ragionar mille volte di quell’Eli, gran sacerdote, il quale un dì divenne a Dio sì discaro, che fu in perpetuo privato e del sacerdozio e del tempio e delle facoltà e della vita e della prosapia, e giudicato con tanta severità, che quantunque sia opinione probabile ch’ei sia salvo per gli altri suoi singolarissimi meriti verso la religione, nondimeno Filone ebreo, san Gregorio Nazianzeno, santo Isidoro pelusiota, san Cirillo alessandrino, san Giovanni Grisostomo, san Pier Damiano, e più altri, inclinano a riputare ch’ei sia dannato; e san Cesario arelatense, e santo Efrem siro lo sentono chiaramente. Or perché incorse egli un giudizio così tremendo? Mi giova che l’udiate di bocca di. Dio medesimo. Eo quod noverat indigne agere filios suos, et non corripuerit eos, idcirco juravi domui Heli, quod non expietur iniquitas domus ejus victimis et muneribus usque in æternum (1 Reg. III. 13 et 14). La soverchia indulgenza ch’Eli mostrò verso i figliuoli viziosi,fu quella che trassegli addosso sì gran gastighi; e solamente per questo Iddio dichiarossegli sì sdegnato, che non sarebbono mai bastati a placarlo né sacrifizj, né vittime, né preghiere, se non quanto alla pena eterna, almeno quanto alla soddisfazione temporale. Sì? Ora udite e tremate, signori miei. Se questo infelice fu giudicato con tanta severità sol per non avere o ripresi con efficacia, o gastigati con rigidezza i figliuoli mentre peccavano, eo quod non corripuerit eos: ahimè!;che non dovranno temer dunque quei padri, i quali non solo non li ritraggon da’ vizj, ma ve gl’incitano con sì perniciosi dettami? Se non punire il peccato dispiacque tanto, che sarà il lodarlo?che sarà il promuoverlo? che sarà il persuaderlo? che sarà il farsene perversissimo autore? Potrà restare a questi infelici speranza di salvazione? Io non lo so; ma domandovi solamente: – se voi deste questi medesimi documenti viziosi, che abbiamo detti, ad un altro giovine, il qual non vi appartenesse per verun capo, ad un Giudeo, ad un Gentile, ad un Turco, quanto severo giudizio verreste nondimeno ad incorrere nel tribunale divino? Depravatori di giovani! depravatori di giovani! Non può mai dirsi quanto a Dio sieno odiosi. Che però dove leggiamo: capite nobis vulpes parvulas, quæ demoliuntur vineas (Cant. II. 15), san Girolamo insegna potersi egualmente leggere in questa forma (in Cant. hom. 4 in fine): Capite nobis vulpes, parvulas quæ demoliuntur vineas; sicché quella voce parvulas non tanto si riferisca alle volpi, quanto alle vigne: non tam et vulpes, quam ad vineas referatur. Perché queste sono le volpi più odiose a Dio, le volpi veterane, le volpi vecchie, le quali tanto più arditamente assaliscono parvulas vineas , la tenera gioventù, la sfiorano, la sterpano, l’assassinano. Queste sono le volpi che il Signore desidera, queste, queste, per farne alfin un macello. Capite nobis vulpes, parvulas quæ demoliuntur vineas. E però conchiudo così. Se tanto conto dovreste rendere a Dio, dando cattivi consigli a qualunque giovane, il qual or cominci a fiorire; che sarà dandoli ad un giovane vostro, ad uno, a cui siete per natura tenuti d’istituzione sì santa, d’istruzione sì salutare? Voi pensateci, ed io mi riposerò.

SECONDA PARTE

VI. Tornava il profeta Eliseo dal veder Elia, suo maestro, rapito in cielo sopra cocchio di fuoco: quando, cominciando a salire una collinetta per ire a Betel, ecco una gran turma di piccioli figlioletti, i quali in vederlo cospirarono tutti ad alzar la voce, e a gridare per beffa: su, vecchio calvo; su, vecchio calvo; cammina: ascende, calve: ascende, calve (4 Reg. II. 23). Eliseo, stupito di arroganza sì audace in età sì tenera, non poté contenere lo sdegno in petto rivoltandosi con occhio bieco a mirar quegl’insolentelli: siate (disse lor) maledetti in nome di Dio: maledixit eis in nomire Domini (lb. II. 24). Credereste? Appena egli ebbe parlato, che tosto uscirono dalla vicina boscaglia due terribilissimi orsi, e cacciandosi in mezzo di que’ fanciulli, quasi in un branco di sbigottiti agnellini, cominciarono in essi a lordar le zanne, a spiccar capi, a smembrar cosce, a sbranar busti a spolpar ossa, a squarciar ventri, a disseminare interiora; nè molto andò, che con orribil macello ne lacerarono insino a quarantadue. Egressique sunt duo Ursi de saltu, et laceraverunt ex eis quadraginta duos pueros (Ibid.). Se voi ne interrogate gl’interpreti, o miei signori, vi diranno che questi figliuoli non erano ancor capaci di gran malizia; perciocché afferma la Scrittura di loro, ch’essi eran pargoletti: pueri parvi. Che vuol dir dunque, che furon eglino non pertanto puniti sì atrocemente? Sapete perché? Per castigare in questa forma i lor padri che mal allevamento che andavano lor dando: ut parentes eorum in ipsis punientur, siccome attesta il Lirano, ed altri in gran numero. Cristiani miei, voi allevate ben spesso i figliuoli con poco timor divin: non è così? con libertà, con licenza, per timore che alfin non si scorga in essi più di bacchettonismo, per usare i termini vostri, che di bravura. Qual sarà pertanto il castigo che voi ne riceverete anche in questo mondo? Che un giorno ve li vediate giacere a’ piedi, finiti innanzi al lor tempo di morte anche ignominiosa. De patre impio, queruntur filii, quoniam propter illum sunt in opprobrio (Eccli. XLI. 10). Ma quando ancor vi campassero lungamente, non vi  potrebboero recar essi materie non meno gravi di tristezza, di ansietà, di amarezze, di crepacuori? Lacta filium, et paventem te faciet, dice l’Ecclesiastico (XXX, 9); lude cum eo, et contristabit te. Che disgusto fu quello di Agarre, quando per cagion d’Ismaele da lei nutrito con educazion troppo altiera, fu necessitata di andar raminga pe’ boschi! – Che disgusto fu quello di Davide, quando per cagion di Assalonne, da lui governato con verga troppo indulgente, fu costretto a vedersi crollare il trono! Ed il patriarca Giacobbe che disgusti anch’egli non ebbe per la sua Dina? Uditelo, che potrete impararne assai. Era il buon vecchio, pellegrinando, arrivato con tutti i suoi nel paese di Cana; e quivi in una campagna, ch’egli perciò comperossi da’ Sichimiti, piantati avea i padiglioni, ripartita la gente, accomodati gli armenti, per riposare (Gen. XXXIV). Quando ecco Dina, fanciulla di quindici anni, udendo, come afferma Gioseffo, che poco lungi tutte le donne di Salem concorrevano ad una festa, chiede al padre licenza di andare un poco opportunamente a vederle; giacche per altro le rincrescea di marcirsi lungamente prigione fra quelle tende. Quanto poco a Giacob sarebbe costato il raffrenare severo nella figliuola questa donnesca curiosità giovanile! Ma egli, troppo rimesso, non vuole affliggerla; e per non vederla più piangere e più pregare, le dice: va. Dina vada? Ahi povera figliuola! ahi povero padre! In quanto cieco laberinto vi andate ad intrigar da voi stessi, non lo sapendo! Proseguiamo il fatto, che in vero è terribilissimo. Uscì la vergine per vedere altre donne; ma per quanto ella andasse o raccolta o cauta, fu veduta da un uomo, il quale fieramente invaghitosene, la rapì, la disonorò; e siccome egli era per altro signore di gran portata, cioè il principe stesso de’ Sichimiti, chiamato Sichem, così di poi con lusinghe ancora piegolla a restargli in casa, ed a consentire alle sue legittime nozze. Vassi pertanto a Giacobbe (per la nuova del caso oltre modo afflitto), e si esibiscono le soddisfazioni maggiori che dar si possano ad uomini forestieri. Propone il Principe di voler dar egli alla sposa una ricca dote, offerisce regali, promette rendite, s’obbliga ad avere col popolo d’Israele, allora non grande, perpetua corrispondenza; e si contenta di dar loro a goder le sue terre stesse, le sue campagne, i suoi pascoli, i suoi poderi. Mentre si sta sul calor di questi trattati, ecco i figliuoli di Giacobbe ritornano dalla greggia; i quali, udito lo scorno della sorella, tengon prima fra loro un consiglio breve; conchiudono, stabiliscono: e di poi, covando nel cuore un’aspra vendetta, dicono a Sichem di approvare i partiti da lui proposti; ma che a ciò solo si frapponeva un ostacolo, ed era non poter essi tener commercio con uomini incirconcisi. Però accettassero, i Sichimiti d’accordo la loro legge, si circoncidessero tutti; e poi legherebbesi la bramata amistà, e si stringerebbero scambievoli parentadi. Che non può la smania di un animo innamorato? Accetta il Principe la condizione, la stipola, la rafferma; e tornato lieto in città, con varj pretesti la persuade concordemente anche a’ suoi. Ma che? giunto il terzo dì dopo il taglio (ch’è quando appunto il dolor d’ogni ferita suol essere più crudele), ecco due fratelli di Dina, Simone e Levi, se ne vengono armati nella città; e mentre gli uomini addolorati si giacciono tutti a letto, nulla sospettosi d’inganno, nulla abili alla difesa, ne cominciano a fare un orrendo scempio: uccidono fanciulli, uccidono attempati, uccidon decrepiti; siasi chi si vuole, s’è maschio, convien ch’ei muoja: ed indi a volo passati tosto in palazzo, assaltano furibondi l’odiato Principe, lo scannano, lo sfragellano; e tolta Dina, se la riportano a’ padiglioni paterni, prima vedovella che sposa. Né qui terminò tanta rabbia; perciocché di poi ritornati con tutto il grosso di lor famiglia, recarono alla città l’estremo sterminio; saccheggiarono case, spiantaron orti, desolarono torri; fecer tutte schiave le femmine, e le rapirono. Quinci usciti fuori in campagna, miser tutto il paese furiosamente a ferro ed a fuoco: non perdonarono a beltà di giardini, non a ricchezza di armenti, non a splendidezza di possessioni; a segno tale, che divulgatasi ne’ convicini la fama del caso atroce, tutti a rumore si sollevarono i popoli: arma, arma, perseguita i forestieri, ammazzali, ammazzali; ed eccoti Giacobbe in evidente pericolo di perire con tutti i suoi. Conviene precipitare, conviene partirsi; e se Iddio spezialmente nol proteggesse, qual dubbio c’è ch’ei già sarebbe perduto anche tra le grotte? Or avete sentito, o signori miei? Oh che imbarazzi, oh che confusioni, oh che risichi, oh che garbugli! E perché? Per la soverchia indulgenza di un padre tenero verso una figliuola vogliosa. E quante notti credete voi che Giacobbe vegliare ansioso dovesse su questo affare? Non sarebbe stato assai meglio dare a quell’amata fanciulla un disgusto breve, e lasciarla pregare, e lasciarla piagnere, che dover poi per cagion di essa riceverne un sì tremendo?

VII. Signori miei, questi successi sono registrati nelle divine Scritture, perché si sappiano; ed io però ve li narro, desiderando che voi vogliate, come si conviene, e apprezzarli, ed approfittarvene. Sì, sì, chiaritevi esser verissimo il detto di Salomone: puer, qui dimittitur voluntati suæ, confundit matrem suam (Prov. XXIX, l5). Ipadri sono i primi a provare i cattivi effetti della libertà conceduta a’ lor figliuoli (ch’è quello ch’io nella seconda parte ho preteso di dimostrarvi); e però accorti incominciate a raffrenarli a buon’ora, da’ primi passi, dalla prima puerizia, ed avvezzatevi presto a dir loro, no; non vi lasciando sì facilmente snervare da’ loro vezzi, quando essi bramano che diate loro sul collo la briglia lunga, fìlius enim remissus, come parlò l’Ecclesiastico (XXX. 8), evadet præceps. E non è certamente una gran vergogna chequesti tosto divengano sì assoluti padroni de’ vostri affetti, che solamente per non veder su’ lor volti una lusinghevole lagrimuzza, condiscendiate che vadano a commedie quantunque oscene, a festini quantunque liberi, a ricreazioni quantunque non costumate? – Voglio ben io che li amiate, signori sì; ma d’amor utile, non di amore dannoso. Quanto cordiale amore portava quella famosa regina Bianca al suo piccolo re Luigi! Eppure: ah Sire (gli ripeteva ogni giorno), prima io vorrei vedervi morire su queste braccia, che vedervi commettere un sol peccato. Or perché dunque non gli amate voi pure di amor sì maschio, giacché non mancano signore ancora private che l’hanno fatto, con albergare però nel cuore ancor elleno un tale all’etto, che non par degno di petto men che reale? Certo almen è che tali erano le parole che pur avea del continuo su la sua bocca una beata Umiliana, detta de’ Cerchi, chiara in Firenze unitamente e per sangue e per santità, qualor vedeva i suoi nobili fanciullini non solamente lontani ancor dal morire, come un Luigi, ma già già prossimi. Io non so piagnere, solea dire, o figliuoli, la vostra sorte; perciocché troppo più volentieri io rimiro ciascun di voi portar la sua stola candida al Paradiso, che restar quaggiù con pericolo di lordarla. Tanto la grazia può giungere a trionfare della natura in un cuore ancora di donna, e donna madre! Ma io m’immagino di avervi ormai tediati bastantemente, e però fìnisco. Solo vorrei che vi partiste di qui con questa persuasione vivissima nella mente intorno a’ giovani vostri, che quasi tutta dalle vostre mani dipende ordinariamente la loro salute, più che la salute de’ piccoli navicelli tra le tempeste non dipende da quella de’ lor nocchieri. – E perciò tolleratemi s’io vi dico, che quali li vorrete, tali saranno; se scorretti, scorretti; se santi, santi; perch’io sono certo di non dirvelo a caso. Sofìa, la madre del gran Clemente ancirano, desiderò che il figliuol suo fosse martire del Signore; e così da fanciulletto invogliandolo di un tal pregio con raccontargli frequentemente i trionfi degli altri famosi martiri, finalmente lo consegui. Moabilia, la madre del grand’Edmondo cantuariense, desiderò che il suo figliuolo mantenesse perpetua verginità; e cosi da fanciulletto animandolo a tal virtù, con avvezzarlo incessantemente a tormentare suo tenero corpjcciuolo, facilmente l’ottenne. Bramò Aleta, la madre di san Bernardo, che tutti e sei quei figliuoli maschi, ch’ell’ebbe, si consagrassero al divino servizio; e però gli andava nutrendo fin principio con cibi non da cavalieri, qual erano, ma da romiti, qual li desiderava; e riportò felicemente l’intento. Così la reina Valfrida desiderò di far santa la sua figliuola Editta, e la fece; così parimente fece il buon padre di sant’Ugone monaco, così la madre di santo Svibberto vescovo, così la madre di san Aicardo abbate, così la madre di santa Luggarda vergine; e finalmente, per quella poca osservazione ch’ho fatta nell’assiduo  rivolger de’ fasti sacri, io vi posso affermare con verità, che quasi tutti quei genitori, i quali desideraron di rendere la lor prole non solo salva, ma santa, e con una tale intenzione l’andaron sempre sollevando fin da’ primi anni, quasi tutti lo conseguirono. Adunque perché voi pure non procurate lo stesso, signori e signore mie? che vi ritiene? che vi sturba? che v’impedisce? Erudi fìliuìn tuum, ne desperes, dirò col Savio (Prov. XIX. 18). Deh per Dio che sarebbe provarsi un poco, se ancora a voi riuscisse sì buona sorte? – Oh qual felicità sarebbe la vostra, esser padre, esser madre di un figliuolo santo! Non invidiate alla gran madre de’ Maccabei quei suoi parti di tanta fama? non invidiate ad un’Elcana il suo Samuele? non invidiate ad un’Elcia la sua Susanna? Ma tutti questi se li formarono tali. Così fate voi parimente, né mancherà chi. però porti tra qualch’anno a voi pure una santa invidia.

FESTA DELL’ANNUNZIAZIONE – Messa (2020)

Santa Messa del 25 MARZO.

Annunciazione della Beata Vergine Maria.

Doppio di I classe. • Paramenti bianchi.

Oggi commemoriamo il più grande avvenimento della storia: l’incarnazione di nostro Signore (Vang.) nel seno di una Vergine. (Ep.) In questo giorno il Verbo si è fatto carne. Il mistero dell’incarnazione fa sì che a Maria competa il titolo più bello: quello di « Madre di Dio » (Or.) in greco « Theotocos »; nome, che la Chiesa d’Oriente scriveva sempre in lettere d’oro, come un diadema, sulle immagini e sulle statue. « Avendo toccato i confini della Divinità »  (Card. Cajetano, 2a 2æ p. 103, art. 4) col fornire al Verbo di Dio la carne, alla quale si unì ipostaticamente, la Vergine fu sempre onorata di un culto di sepravenerazione o di iperdulia: « II Figlio del Padre e il Figlio della Vergine sono un solo ed unico Figlio », dice San Anselmo. Maria è da quel momento la Regina del genere umano e tutti la devono venerare (Intr.). Al 25 marzo, corrisponderà, nove mesi più tardi, il 25 dicembre, giorno nel quale si manifesterà al mondo il miracolo che non è conosciuto oggi che dal cielo e dall’umile Vergine. La data del 25 marzo, secondo gli antichi martirologi, sarebbe anche quella della morte del Salvatore. Essa ci ricorda, dunque, in questa Santa Quarantena, come canta il Credo che « per noi uomini e per la nostra salute, il figlio di Dio discese dal cielo, si incarnò per opera dello Spirito Santo nel seno della Vergine Maria, si fece uomo, fu anche crocefisso per noi, patì sotto Ponzio Pilato, e fu seppellito e resuscitò il terzo giorno ». Poiché il titolo di Madre di Dio rende Maria onnipotente presso suo Figlio, ricorriamo alla sua intercessione presso di Lui (Or.), affinché possiamo arrivare per i meriti della Passione e della Croce alla gloria della Risurrezione (Postc).

Incipit

In nómine Patris, ✠ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Ps XLIV: 13, 15 et 16.
Vultum  tuum deprecabúntur omnes dívites plebis: adducántur Regi Vírgines post eam: próximæ ejus adducántur tibi in lætítia et exsultatióne.

[Ti rendono omaggio tutti i ricchi del popolo: dietro di lei, le vergini sono condotte a te, o Re: sono condotte le sue compagne in letizia ed esultanza.

Ps 44:2.
Eructávit cor meum verbum bonum: dico ego ópera mea Regi.
[Dal mio cuore erompe una fausta parola: canto le mie opere al Re.

Vultum tuum deprecabúntur omnes dívites plebis: adducántur Regi Vírgines post eam: próximæ ejus adducántur tibi in lætítia et exsultatióne.

[Ti rendono omaggio tutti i ricchi del popolo: dietro di lei, le vergini sono condotte a te, o Re: sono condotte le sue compagne in letizia ed esultanza.

Oratio

Orémus.

Deus, qui de beátæ Maríæ Vírginis útero Verbum tuum, Angelo nuntiánte, carnem suscípere voluísti: præsta supplícibus tuis; ut, qui vere eam Genetrícem Dei crédimus, ejus apud te intercessiónibus adjuvémur.

[O Dio, che hai voluto che, all’annuncio dell’Angelo, il tuo Verbo prendesse carne nel seno della beata Vergine Maria: concedi a noi tuoi sùpplici che, come crediamo lei vera Madre di Dio, così siamo aiutati presso di Te dalla sua intercessione.]

Lectio

Léctio Isaíæ Prophétæ.
Is VII: 10-15.
In diébus illis: Locútus est Dóminus ad Achaz, dicens: Pete tibi signum a Dómino, Deo tuo, in profúndum inférni, sive in excélsum supra. Et dixit Achaz: Non petam ei non tentábo Dóminum. Et dixit: Audíte ergo, domus David: Numquid parum vobis est, moléstos esse homínibus, quia molésti estis et Deo meo? Propter hoc dabit Dóminus ipse vobis signum. Ecce, Virgo concípiet et páriet fílium, et vocábitur nomen ejus Emmánuel. Butýrum ei mel cómedet, ut sciat reprobáre malum et elígere bonum.

[In quei giorni: Così parlò il Signore ad Achaz: Domanda per te un segno al Signore Dio tuo, o negli abissi degli inferi, o nelle altezze del cielo. E Achaz rispose: Non lo chiederò e non tenterò il Signore, E disse: Udite dunque, o discendenti di Davide. È forse poco per voi far torto agli uomini, che fate torto anche al mio Dio ? Per questo il Signore vi darà Egli stesso un segno. Ecco che la vergine concepirà e partorirà un figlio, il cui nome sarà Emmanuel. Egli mangerà burro e miele, affinché sappia rigettare il male ed eleggere il bene.]

Graduale

Ps XLIV: 3 et 5.
Diffúsa est grátia in lábiis tuis: proptérea benedíxit te Deus in ætérnum.
V. Propter veritátem et mansuetúdinem et justítiam: et dedúcet te mirabíliter déxtera
tua.
Ps XLIV: 11 et 12.
Audi, fília, et vide, et inclína aurem tuam: quia concupívit Rex speciem tuam.
Ps XLIV: 13 et 10.
Vultum tuum deprecabúntur omnes dívites plebis: fíliæ regum in honóre tuo.
Ps XLIV: 15-16.
Adducéntur Regi Vírgines post eam: próximæ ejus afferéntur tibi.
V. Adducéntur in lætítia et exsultatióne: adducántur in templum Regis.

[La grazia è riversata sopra le tue labbra, perciò il Signore ti ha benedetta per sempre,
V. per la tua fedeltà e mitezza e giustizia: e la tua destra compirà prodigi.
Ps 44: 11 et 12.
Ascolta e guarda, tendi l’orecchio, o figlia: il Re si è invaghito della tua bellezza.
Ps 44: 13 et 10.
Tutti i ricchi del popolo imploreranno il tuo volto, stanno al tuo seguito figlie di re.
Ps 44: 15-16.
Le vergini dietro a Lei sono condotte al Re, le sue compagne sono condotte a Te.
V. Sono condotte con gioia ed esultanza, sono introdotte nel palazzo del Re.]

Evangelium

Luc 1: 26-38.
In illo témpore: Missus est Angelus Gábriel a Deo in civitátem Galilææ, cui nomen Názareth, ad Vírginem desponsátam viro, cui nomen erat Joseph, de domo David, et nomen Vírginis María. Et ingréssus Angelus ad eam, dixit: Ave, grátia plena; Dóminus tecum: benedícta tu in muliéribus. Quæ cum audísset, turbáta est in sermóne ejus: et cogitábat, qualis esset ista salutátio. Et ait Angelus ei: Ne tímeas, María, invenísti enim grátiam apud Deum: ecce, concípies in útero et páries fílium, et vocábis nomen ejus Jesum. Hic erit magnus, et Fílius Altíssimi vocábitur, et dabit illi Dóminus Deus sedem David, patris ejus: et regnábit in domo Jacob in ætérnum, et regni ejus non erit finis. Dixit autem María ad Angelum: Quómodo fiet istud, quóniam virum non cognósco? Et respóndens Angelus, dixit ei: Spíritus Sanctus supervéniet in te, et virtus Altíssimi obumbrábit tibi. Ideóque et quod nascétur ex te Sanctum, vocábitur Fílius Dei. Et ecce, Elísabeth, cognáta tua, et ipsa concépit fílium in senectúte sua: et hic mensis sextus est illi, quæ vocátur stérilis: quia non erit impossíbile apud Deum omne verbum. Dixit autem María: Ecce ancílla Dómini, fiat mihi secúndum verbum tuum.

[In quel tempo: L’Angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nazaret, ad una Vergine sposata con un uomo della stirpe di Davide che si chiamava Giuseppe, e il nome della Vergine era Maria. Ed entrato da lei, l’Angelo disse: Ave, piena di grazia: il Signore è con te: benedetta tu tra le donne. Udendo ciò ella si turbò e pensava che specie di saluto fosse quello. E l’Angelo soggiunse: Non temere, Maria, perché hai trovato grazia davanti a Dio, ecco che concepirai e partorirai un figlio, cui porrai nome Gesù. Esso sarà grande e chiamato figlio dell’Altissimo; e il Signore Iddio gli darà il trono di Davide, suo padre, e regnerà in eterno sulla casa di Giacobbe, e il suo regno non avrà fine. Disse allora Maria all’Angelo: Come avverrà questo, che non conosco uomo ? E l’Angelo le rispose. Lo Spirito Santo scenderà in te e ti adombrerà la potenza dell’Altissimo. Perciò quel santo che nascerà da te sarà chiamato Figlio di Dio. Ed ecco che Elisabetta, tua parente, ha concepito anch’essa un figlio, in vecchiaia: ed è già al sesto mese, lei che era chiamata sterile: poiché niente è impossibile a Dio. E Maria disse: si faccia di me secondo la tua parola.]

Il Figliuolo di Dio, seconda Persona della santissima Trinità, il quale si fa uomo e prende nel seno della Vergine Maria un’anima e un corpo formati per opera dello Spirito Santo, è il mistero che adoriamo in questo giorno. Noi non comprendiamo questo mistero, ma lo crediamo. Si tratta ancora d’imitarlo in quello che possiamo, di lodarne Dio, e di approfittarne. – Vi sono principalmente due cose da imitarsi in questo mistero. Bisogna che noi cerchiamo di entrare, con una sincera e profonda umiltà, nel sentimento di Colui che essendo eguale al Padre suo, ed un medesimo Dio con lui, si annichilò prendendo la forma di servo col farsi uomo. Egli ha cominciato oggi l’umiliazione di quella obbedienza che spingerà fino alla morte di croce. Bisogna che ci sottoponiamo ed interamente ci consacriamo di buon’ora a Dio, per obbedire alla sua legge, e seguire in tutto la sua volontà, sull’esempio di Colui sull’esempio di Colui che entrando in questo mondo disse: Ecco che io vengo, voi mi avete formato un corpo; sta scritto in capo al libro che io farò la vostra volontà, o mio Dio! Io porterò la vostra legge in mezzo al cuore. – All’esempio di un Dio che si è fatto uomo per poter essere da noi imitato, torna bene qui l’unire in questo giorno l’esempio di quella che egli si scelse per Madre, e che trae da lui tutta la sua virtù e la sua gloria. – Proponiamoci, e meditiamo nel Vangelo di questo giorno la semplicità, la modestia, la fede, l’umiltà, la sottomissione agli ordini di Dio, e il perfetto abbandono alla santa provvidenza di lui, virtù che risplendono in Maria nella sua Annunziazione.

PREGHIERA

O Dio, che annientandovi nella vostra Incarnazione avete innalzata Maria alla dignità di vostra Madre, fatemi onorare degnamente la sua divina maternità, e meritare per l’imitazione delle sue virtù quella suprema felicità, che voi avete promessa a quelli, i quali come Ella porteranno in opera la vostra parola, quando diceste: Chiunque fa la volontà del Padre mio, che è nei cieli, è mio fratello e mia sorella e mia madre. Datemi parte, Signore, di quella singolare purità che chiamò i vostri sguardi sopra questa Vergine senza macchia, di quella profonda umiltà con la quale Ella vi concepì, di quella perfetta sommissione :he le fece sopportare i tormenti della vostra passione, di quell’amore sì forte e sì ardente che consumando la sua vita, la mise in possesso del premio eterno da Lei meritato. – Madre del Salvatore del mondo, che godete da lungo tempo il premio delle vostre virtù, rammentatevi che siete la Madre delle membra siccome del Capo, e che dopo di Lui, i figli dell’infelice Eva, divenuti vostri, aspettano dalla vostra potente intercessione gli aiuti dei quali abbisognano nel loro esilio; degnatevi adunque di domandare per me al vostro divin Figlio le grazie che mi sono necessarie, per imitarvi quanto può una creatura così imperfetta come io sono, affinché dopo aver partecipato in qualche modo ai vostri meriti, io possa sperar di partecipare anche alla vostra gloria ed alla vostra felicità.

OMELIA: https://www.exsurgatdeus.org/2020/03/25/festa-dellannunciazione-2020/

https://www.exsurgatdeus.org/2019/03/25/festa-dellannunciazione-2019/

https://www.exsurgatdeus.org/2018/04/09/festa-dellannunciazione-2018/

https://www.exsurgatdeus.org/2017/03/25/25-marzo-annunciazione-della-vergine-santissima/

Credo…

https://www.exsurgatdeus.org/2019/10/12/il-credo/

Offertorium

Orémus

Luc 1:28 et 42.
Ave, Maria, grátia plena; Dóminus tecum: benedícta tu in muliéribus, et benedíctus fructus ventris tui.

Secreta

In méntibus nostris, quǽsumus, Dómine, veræ fídei sacraménta confírma: ut, qui concéptum de Vírgine Deum verum et hóminem confitémur; per ejus salutíferæ resurrectiónis poténtiam, ad ætérnam mereámur perveníre lætítiam.

[Conferma nelle nostre menti, o Signore, Te ne preghiamo, i misteri della vera fede: affinché noi, che professiamo vero Dio e uomo quegli che fu concepito dalla Vergine, mediante la sua salvifica resurrezione, possiamo pervenire all’eterna felicità.]

Comunione spirituale

https://www.exsurgatdeus.org/2019/10/20/comunione-spirituale/

Communio

Is VII: 14.
Ecce, Virgo concípiet et páriet fílium: et vocábitur nomen ejus Emmánuel.

[Ecco, una vergine concepirà e partorirà un figlio: al quale si darà il nome di Emmanuel.]

Postcommunio

Orémus.
Grátiam tuam, quǽsumus, Dómine, méntibus nostris infúnde: ut, qui. Angelo nuntiánte, Christi Fílii tui incarnatiónem cognóvimus; per passiónem ejus et crucem, ad resurrectiónis glóriam perducámur.

[La tua grazia, Te ne preghiamo, o Signore, infondi nelle nostre anime: affinché, conoscendo per l’annuncio dell’Angelo, l’incarnazione del Cristo Tuo Figlio, per mezzo della sua passione e Croce giungiamo alla gloria della resurrezione.]

Ultimo Evangelio e preghiere leonine:

https://www.exsurgatdeus.org/2019/10/20/preghiere-leonine-dopo-la-messa/

Ringraziamento dopo la Comunione:

https://www.exsurgatdeus.org/2018/09/14/ringraziamento-dopo-la-comunione-2/

Ordinario: https://www.exsurgatdeus.org/2019/05/20/ordinario-della-messa/

FESTA DELL’ANNUNCIAZIONE (2020)

 [Sac. Dott. Emilio Campana,

Pro-delegato vescovile della diocesi e Professore di Teologia dogmatica del seminario di Lugano

MARIA NEL DOGMA CATTOLICO –

Torino, P. MARIETTI ed., 1909]

Libro I, parte III, Maria nel Vangelo:

CAPO III.

L’annunciazione dell’Angelo.

Sommario.

I . Si racconta colle parole stesse dell’Evangelo il fatto della annunciazione, che teologicamente è la base di tutta la grandezza di Maria, ma che noi dobbiamo esaminare con criteri storici. II. Maria ricevette la visita dell’Angelo, prima del suo matrimonio, quando era solo fidanzata con Giuseppe. — III. Il celeste messaggero è Gabriele; suoi rapporti coll’Incarnazione; forma e luogo in cui apparve. — IV. Perché l’annunciazione. — V. Perché il messaggio di un Angelo. VI. — Autenticità del colloquio passato tra Maria e l’Angelo. — Conazione della critica razionalista. — Logico concatenamento delle cose dette dall’Angelo. — VII. La psicologia di Maria nel grande dramma dell’Annunciazione: sua prudenza, sua umiltà, suo amore alla verginità, tua fede, sua obbedienza, sua ardente carità.

I. — L’Evangelo che ha taciuto della nascita e dell’adolescenza di Maria, d’un tratto ci parla di lei per dirci che un Angelo, l’arcangelo Gabriele, le apparve ad annunziarle che sarebbe diventata Madre di Dio. È il primo avvenimento che della vita di Maria conosciamo dai libri ispirati. Ce lo narra Luca nei termini seguenti: Il sesto mese (dacché Elisabetta aveva concepito Giovanni Battista) fu mandato l’Angelo Gabriele da Dio in una città di Galilea chiamata Nazareth, ad una vergine sposata ad un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe, e la vergine si chiamava Maria. Ed entrato da lei l’Angelo disse: Salute, o piena di grazia: il Signore è con te. Benedetta  tu fra le donne. — Ciò udendo ella sbigottì alle sue parole e pensava che specie di saluto fosse quello. E l’Angelo aggiunse: Non temere, Maria: che hai trovato grazia avanti a Dio; ecco, concepirai nel seno e partorirai un figlio, cui porrainome Gesù. Questo sarà grande e sarà chiamato Figlio dell’Altissimo, e il Signore gli darà il trono di David, suo padre, e regnerà in eterno sulla casa di Giacobbe, e il suo regno non avrà fine. — Allora Maria disse all’Angelo: Come avverrà questo mentre io non conosco uomo? — E l’Angelo le rispose: Lo Spirito Santo scenderà in te e la potenza dell’Altissimo t’adombrerà. Per ciò, quel che n’è generato santo, sarà chiamato figlio di Dio. Ed ecco Elisabetta, tua parente, ha concepito anch’essa un figlio nella sua vecchiaia; ed è questo per lei il sesto mese, detta sterile: che niente è impossibile avanti a Dio. — E Maria disse: Ecco l’ancella del Signore: si faccia di me secondo la tua parola. — E l’Angelo si partì da lei „ (S. Luca I, 26 seg.). Questo breve tratto dell’Evangelo contiene in germe tutta la teologia mariana. Tutto quello che di sublime si può e si deve dire di Maria, va attinto, come alla sua fonte inesauribile, al racconto dell’annunciazione che ci fa S. Luca. Perché fu subito dopo il colloquio con l’Angelo che Maria divenne Madre di Dio: fu per il modo con cui accettò di diventar Madre del Salvatore, che si trovò associata a Lui nell’opera della redenzione, e meritò il titolo di nostra Madre e Corredentrice. La chiave che dogmaticamente ci introduce nell’imponente edificio della dignità di Maria, sta nei suoi rapporti cristologici. Ebbene, questi rapporti si rannodano tutti al fatto dell’annunciazione. Ma quel che si può teologicamente cavare da questo fatto, già lo vedemmo altrove. Ora. noi dobbiamo esaminarlo con criteri storici.

II. — Dal punto di vista storico, importa anzitutto far rilevare che l’Angelo apparve a Maria prima che ella fosse definitivamente congiunta in matrimonio con Giuseppe, quando cioè era semplice fidanzata di lui. Questo risulta anzitutto dal significato ovvio, naturale e spontaneo della parola latina dessposatae della greca “imnesteumenen” ,a cui quella fedelmente corrisponde. Ma soprattutto ci risulta evidente confrontando quel che di Maria dice S. Luca, con quel che ce ne fa sapere S. Matteo! Dalla narrazione dell’annunciazione, e soprattutto della visita a S. Elisabetta che si legge in S. Luca, è fuor di dubbio che Maria divenne Madre di Dio subito dopo ch’ella disse all’Angelo: “Ecco la serva del Signore, si faccia di me secondo la tua parola.„ Ora S. Matteo ci dice a proposito: “La nascita di Gesù Cristo poi avvenne così: Maria, sua madre, sposata a Giuseppe, prima che fossero insieme, si trovò incinta di Spirito Santo. — Christi autem generatio sic erat; cum esset desponsata mater ejus Maria Joseph, antequam convenirent, inventa est in utero habens de Spirita Sancto „ Matth. I, 18. Quel antequam convenirent, getta troppa luce sul significato del desponsata, perché ci possa essere ancor dubbio. Maria dunque portava già in sé il Salvatore prima che coabitasse con S. Giuseppe; poiché tale è il significato della frase antequam convenirent. La parola convenire qui non può significare l’uso del coniugio, per il quale l’Evangelista usa il verbo cognoscere, ma indica semplicemente la coabitazione. Tale è pure il significato della frase originale greca  (“pris e suneltein aghios”). Essa dice letteralmente prima di unirsi a coabitare, prima di venire nella stessa casa. E che qui si debba ritenere il significato letterale, è confermato dall’avviso che l’Angelo, secondo S. Matteo, diede a Giuseppe, angustiato per lo stato in cui si trovava Maria, e che egli non sapeva spiegare. L’Angelo disse a lui: “Giuseppe, non esitare a prendere Maria in tua consorte. — Joseph, noli timere accipere Mariam conjugem tuam. „ Nel greco per accipere ci sta “paraladein”, che vuol dire letteralmente condurre a casa tua, cioè prendere in moglie, per consorte. – È dunque evidente che quando Maria concepì il Figlio di Dio, e quando fu visitata da Gabriele, che le dava un tanto annuncio, ella non stava ancora nella di Giuseppe. Abitava con lui nello stesso paese, ma in casa distinta. Che avesse ancora i suoi genitori?… Che fosse presso qualche prossimo parente che le faceva le veci dei genitori morti?… Sono domande a cui sarebbe inutile tentar di dare una risposta, perché  sarebbe sempre arbitraria. L’Evangelo non ci ha voluto dare informazioni su questo punto, ed a noi altro non resta che reprimere insoddisfatta la nostra curiosità. Ci preme però di mettere il lettore in guardia perché non pensi che il fidanzamento, lo sposalizio, presso gli Ebrei avesse quel medesimo valore che ha presso di noi. No!, presso gli Ebrei il vincolo che ne nasceva era molto più intimo, i diritti più. ampii. Il fidanzamento degli Ebrei aveva il valore del matrimonio rato presso i Cristiani. Gli sposi non coabitavano ancora, ma potevano trattarsi come marito e moglie. Se la sposa avesse mancato di fedeltà era dalla legge trattata come adultera, e viceversa se avesse avuto dei figli dal suo fidanzato questi non erano considerati come illegittimi. Il celebre rabbino Maimonide, del quarto secolo, che ben conosceva gli usi ebraici, scrive a proposito: Si sponsa in domo patris sui ex sponso concepisset, infans ut legitimus habebatur (De prohib. congr., cap. xv, n. 17). Per questo, lo stesso Maimonide dice che alla fidanzata ebrea si poteva con verità dare anche il titolo di moglie: Desponsata, tametsi nondum maritata, nec in domum viri introducta, illìus tamen est uxor (nel libro Ascetk, ossia La Donna). Il fidanzamento durava un anno, e passava in matrimonio coll’introduzione della sposa nella casa dello sposo; la quale introduzione ora si faceva solennemente, coll’invito cioè di molti amici, ai quali non si lasciava mancare lieta e copiosa mensa, ed ora si faceva tacitamente, senza fasto né  esteriori dimostrazioni. – Ammesso che Maria, quando fu salutata dall’Angelo, fosse semplice fidanzata di Giuseppe nel senso testé spiegato, si comprendono chiaramente tante cose, che a prima vista sembrano oscure. Si spiega, anzitutto, come Maria abbia potuto subito dopo lasciare Nazareth ed andare da Elisabetta senza essere accompagnata da Giuseppe. Che Giuseppe non sia andato da Elisabetta è fuor di dubbio. Lo dimostra il turbamento che provò quando si accorse della gravidanza di Maria, che non poteva in niuna maniera spiegare. Questa scoperta la fece certamente al ritorno di Maria in Nazareth. Se fosse andato anche lui dalla madre di Giovanni Battista, avrebbe inteso il saluto di lei a Maria, avrebbe inteso il Magnificat, avrebbe partecipato alle confidenze di Maria alla sua vecchia parente; per dir tutto in breve, lo stato della sua sposa non sarebbe più stato per lui ricoperto dall’impenetrabile velo del mistero. Giuseppe dunque non fu con Maria nelle regioni montuose, in montana; il che si comprende benissimo supposto che Maria ancora non coabitasse con lui. Si spiega ancora come la gravidanza di Maria non abbia suscitato in pubblico nessuna meraviglia, come il suo onore non ne fosse stato menomamente compromesso. Ella era legalmente fidanzata: dunque non c’era più nulla da obbiettare contro le condizioni in cui si trovava. In tutti doveva naturalmente formarsi la convinzione, che il frutto aspettato era il legittimo rampollo dello sposo Giuseppe. Questi però che sapeva di non aver mai usato i suoi diritti coniugali, ne restava meravigliato e turbato. Ma era il solo che poteva provare una simile impressione. In altri termini, il lettore si ricorda certamente quali siano state le ragioni per cui Dio volle la Vergine Maria, non

ostante il voto di verginità, unita in matrimonio con Giuseppe. Ebbene, quelle ragioni cominciavano ad avere tutto il loro valore dal giorno del fidanzamento di Maria.

III. — L’Angelo apparso a Maria fu Gabriele. Il suo nome etimologicamente vuoi dire forza di Dio, eroe di Dio. Non era questa, secondo la Scrittura, la prima apparizione da lui fatta ai mortali. Dal libro di Daniele risulta che si manifestò più volte a quel profeta, sotto forma di uomo alato, per istruirlo su varii punti, e, fra altro, per spiegargli il vero senso delle settanta settimane che dovevano trascorrere prima della venuta del Messia. S. Luca, nel capo medesimo in cui narra l’annunciazione a Maria, ci fa sapere che Gabriele era già prima apparso a Zaccaria, per annunciargli- che sarebbe diventato il padre del Precursore. Con Zaccaria si manifestò in questi termini: “Io sono Gabriele che sto in presenza di Dio„ (Luc. I, 19). Egli è dunque come Raffaele, del quale è detto nel libro di Tobia: “che è uno dèi sette spiriti che stanno davanti al trono di Dio„ (Tob. XII, 15). Stanno davanti al trono di Dio, s’intende, per ricevere e mandare ad esecuzione i suoi ordini. Per questo Gabriele si connumera tra gli arcangeli. S. Tommaso pensa che Gabriele non sia dell’ordine più sublime tra gli spiriti celesti, ma che sia sufficiente l’ammettere che ha il primo posto nell’ordine degli arcangeli, il cui officio è quello di annunciare agli uomini le cose di maggior importanza: Ad quartum dicendum, quod quidam dicunt Gabrielem fuisse de supremo ordine angelorum: propter quod Gregorius dicit: “Summum angelum venire dignum fuerat, qui summum omnium nuntìabat. „ Sed ex hc non habetur quod fxerit summus inter omnes ordines, sed respectu angelorum: fuit enim de ordine archangelorum: unde et Ecclesia eum archangelum nominat: et Gregorius ipse dicit in hom. de centum ovibus) quod “archangeli dicuntur qui summa annutiant „ satis est ergo credibile., quod sii summus in ordine archangelorum (III p., q. xxx, art. 2). Per la parte da lui avuta nell’annunciare i misteri riguardanti l’Uomo-Dio, Gabriele vien chiamato anche “l’Angelo dell’Incarnazione, „ ed è fuor di dubbio, come opportunamente fa osservare S. Gregorio, che il suo nome conveniva molto bene agli offici da lui compiuti. La Redenzione è certamente opera di potenza: è la manifestazione più bella dell’illimitato potere di Dio; era ben giusto quindi che il portare la novella di un tanto mistero fosse affidato all’angelo che si chiama la forza di Dio. Hoc nomen officio suo congruit. Gabriel enim Dei fortitudo nominatur. Per Dei ergo fortitudinem nuntiandus erat, qui virtutum Dominus, et potens in prœlio ad debellandas potestates aereas venlebat (S. Tho.). Gabriele apparve a Maria in forme d’uomo: questo è fuor di dubbio: altrimenti non si capirebbe più come sia “entrato _ da lei, come abbia materialmente “parlato „ con lei, come da lei si sia partito. „ Quale però sia stato precisamente l’aspetto assunto dall’Angelo, l’Evangelo propriamente non lo dice: a Daniele apparve alato; ma nel caso della Vergine si ritiene che non sia apparso in quest’atteggiamento. Il suo entrare e partire da Maria, è descritto da S. Luca con parole che fanno supporre nell’Angelo forme umane comuni. L’Arcangelo entrò dalla Vergine. Questo vuol dire che la salutò, e le annunciò il mistero dell’Incarnazione mentre Maria si trovava in casa: è troppo naturale il supporre che in quel momento fosse immersa nell’orazione e nella contemplazione dei divini misteri. Certo era sola. Di qui svanisce la leggenda diffusa presso gli Orientali, che Gabriele sia apparso a Maria mentre si trovava alla fontana per attingere acqua. Ciò urta col testo di S. Luca. Più strana ed infondata ancora è l’opinione di alcuni, che, per conciliare ogni cosa, ammettono una duplice apparizione: la prima alla fontana, la seconda in casa. E evidentemente contro la narrazione dell’Evangelo il duplicare l’annuncio dell’Angelo.

IV. — Perché Dio volle che il mistero dell’Incarnazione fosse prima annunciato che compiuto; e, di più, perché farlo annunciare da un Angelo? A queste due domanda risponde molto bene S. Tommaso nella terza parte della Summa Theologica, alla questione trentesima. Non si trattava certo di necessità assoluta. Iddio, padrone assoluto di ogni cosa, avrebbe potuto rendere Maria madre del suo Figlio anche senza inviarle nessun previo messaggio, anche senza aspettare il di lei consenso. Ma fu conveniente che Maria venisse prima edotta di ciò che stava per compiersi in lei, per quattro ragioni. La prima si fu per dar campo a Maria di prepararsi a ricevere degnamente in s’è il Verbo divino. Prima di concepire in sé materialmente il Figlio di Dio, era conveniente che lo concepisse spiritualmente, concentrando su di Lui in uno sforzo supremo tutti i suoi affetti, e tutti i suoi pensieri. Al Re dell’universo che entrava nel mondo, per quanto volesse da principio conservare l’incognito, era però troppo giusto che almeno la Madre sua facesse festa e rendesse grazie per tanta degnazione. Congruum fuit, dice S. Tommaso, B. Virgini  annuntiari quod esset Christum conceptura. Primo quidem ut, servaretur congruus ordo conjunctionis Filli Dei ad Virginem: ut scilicet priusmens ejus de ipso’ instrueretur, quam carne enm conciperet (l. c.). Poi, facendo questa rivelazione, Dio pensava a noi: Egli volle che Maria ne fosse diligentemente istruita, affinché ella poi, alla sua volta, fosse in grado di rendere davanti all’umanità una testimonianza inoppugnabile di questo mistero. In realtà, le informazioni che S. Luca ci dà sul modo con cui Dio s’incarnò, le ebbe appunto da Maria. Secundo, è sempre l’Angelico che parla, ut posset (Maria) esse certior testis hujus sacramenti, quando super hoc divinitus erat instructa. L’annunciazione fu conveniente anche, perché, come diremo tosto, fornì a Maria l’occasione di esercitare le più mirabili virtù. Tertio, ut voluntaria sui obsequii munera Deo offerret a quod se promptam obtulit, dicens: Ecce ancilla Domini. Infine, tenendo questa condotta, Dio ha mostrato una volta di più, come Egli ami trattare agni cosa secondo la sua natura, e come abbia sempre un delicato rispetto verso l’umano libero arbitrio. Ad un essere libero, l’amicizia, l’alleanza non, s’impone, ma convenienza vuole che si offra e si lasci alla libera accettazione. Coll’incarnazione Dio entrava in più intimi rapporti coll’umanità; era un indissolubile connubio che contraeva con lei. Ci voleva dunque la libera accettazione anche da parte dell’umanità. Questo libero consenso, in nome di noi tutti, lo diede Maria, rispondendo all’Angelo. Un’altra donna, col suo libero consenso all’angelo malvagio, ci aveva rovinati, Maria ci restituisce liberamente all’amicizia di Dio rispondendo a Gabriele. Quarto, ut ostenderetur esse quoddam spirituale matrimonium inter Filium Dei et humanam naturam. Et ideo per annuntiationem expectabatur consensus Virginis loco totius humanæ naturæ? (l. c., art. 1).

V. — Una volta decretato di manifestare a Maria il mistero dell’Incarnazione, prima di mettervi mano, nessuna maniera era più congrua o delicata per annunciarlo, che quella di incaricare di ciò un Angelo. Certo, Dio avrebbe potuto manifestarlo Lui direttamente; avrebbe anche potuto mandare a Maria un profeta. Ma questo secondo partito, l’intromissione cioè di un uomo, forse non sarebbe stata troppo decorosa, data la superiorità di Maria a tutto il restante dell’uman genere. Fu molto conveniente che di questo divino messaggio venisse incaricato un angelo, specialmente, secondo S. Tommaso, per tre ragioni. Anzitutto perché è la via ordinariamente seguita dalla divina Provvidenza, quella cioè di manifestare i suoi sovrannaturali disegni agli uomini per mezzo degli Angeli. E non vi sarebbe stato nessun motivo di fare un’eccezione per Maria. Ella, è vero, per un lato è superiore agli Angeli: è superiore a loro per dignità e santità; ma da un altro è inferiore ad essi: lo è per natura, e, mentre viveva quaggiù, lo era anche per condizione di viatrice. Anche Gesù Cristo, per la sua condizione di uomo e di viatore, fu per poco inferiore agli Angeli. Sentiamo S. Tommaso: Respondeo, dice nell’articolo secondo della questione citata, quod conveniens fuit Matri Dei annuntiari per Angelum divinæ incarnationis mysterium propter trio. Primo quidem ut in hoc etiam servaretur divina ordinatio, secundum quam mediantibus angelis divina ad homines perveniunt. E nella risposta ad primum soggiunge: Ad primurn ergo dicendum, quod Mater Dei superior erat angelis quantum ad dignitatem, ad quam divinitm eligebatur; sed quantum ad statum præsentis vitæ inferior erat angelis, quia et ipse Christus ratione passibilis vita, modico ab angelis minoratus est. – Di più, un angelo delle tenebre aveva col suo intervento iniziato l’opera della nostra caduta; era ben dunque conveniente che un altro angelo, un Angelo di luce, trattasse con un’altra donna per il nostro riscatto. Secundo, continua il santo Dottore, hoc fuit conveniensreparationi humanæ quæ futura erat per Christum; unde Beda dicit: Aptum humanai restauraiionis principium, ut angelus a Deo mitteretur ad Virginem partii consecrandam divino, quìa prima perditionis humanai fuit causa, cum serpens a diabolo mittebatur ad mulierem spiritu superbice decipiendam. „ Da ultimo un tal messaggero celeste era il meglio indicatoper presentarsi a colei che, diventando madre, non avrebbe cessatodi essere vergine. Vi hanno legami strettissimi tra la purezza angelica e la purezza verginale: vivete nel mondo conservandosempre illibato il candore verginale, e, più che umanadeve dirsi vita angelica. Tertio, così conchiude l’Angelico, quia hoc congruebat virginitati Matris Dei; unde Hieronymus dicit in sermone Assumptionis (è il discorso falsamente attribuito a lui): ” Bene angelus ad virginem mittitur quia semper est angelis cognata virginitas. Profecto, in carne, præter carnem vivere, non terrena vita est, sed cœlestis „ (l. c.).

VI. Alla critica razionalistica il racconto che S. Luca ci dà dell’annunciazione dell’Angelo, riesce troppo molesto, preso così com’è, e si è data quindi la briga di rifarlo a suo piacimento. Non parliamo di quelli che più radicali, ma certamente più coerenti, sopprimono addirittura i due primi capi di S. Luca, il così detto Vangelo dell’infanzia. Abbiamo in vista solo coloro, che più pudibondi, ma d’un pudore illogico, e non privo di sapore comico, ammettono sì i racconti dell’infanzia, ma vogliono far sparire l’affermazione della verginità di Maria. Questo insigne privilegio della Madre di Dio brilla di luce meridiana nel colloquio che Ella ebbe con l’Angelo; ed è appunto contro questa luce che si fa ribelle la critica razionalista, e precisamente quella che vorrebbe passar per più moderata, e dare ai propri argomenti l’aureola di scientifici. Ecco come procedono: Il Kattenbusch propone di eliminare dal colloquio quattro parole che l’Evangelista mette in bocca a Maria, « Epei andra u ghinoskopoiché non conosco uomo]. Solo quattro parole!… – Harnack non si accontenta di così poco, che pur sarebbe già un arbitrio intollerabile. Per meglio e più sicuramente eliminare l’idea del concepimento virgineo di Gesù, sostiene che debbansi riguardare come interpolati i versicoli 34, 35. come pure l’appellativo di vergine dato a Maria in principio del racconto. Nel testo primitivo, dunque, secondo Harnack, non si leggevano queste parole: 34. Allora Maria disse all’Angelo: come avverrà questo, mentre io non conosco uomo? 35. E l’Angelo rispose: lo Spirito Santo scenderà in te e la potenza dell’Altissimo ti adombrerà. Per ciò quel che ne è generato santo sarà chiamato Figlio di Dio. Quali sono le ragioni che hanno indotto il Professore di Berlino, il quale del resto è meritamente celebrato per la sua erudizione, e che ragiona egregiamente solo quando il pregiudizio non gli fa ombra, quali sono, domandiamo, le ragioni su cui appoggia quest’asserita interpolazione? Se si trattasse di noi cattolici che volessimo sopprimere qualche testo molesto, ci si richiamerebbe agli antichi codici, e ci si imporrebbe per essi un sacro rispetto. E la cosa sarebbe giusta. Ma appunto perché questo criterio è giusto, va rispettato sempre. La questione dunque dell’interpolazione bisognerebbe giudicarla in base ai documenti, e non con semplici supposizioni speculative. Ma quelli che si vantano di essere i monopolizzatori del sapere positivo, questa volta trovano troppo volgare il piegarsi davanti ai codici. Preferiscono ragionare a priori; e del resto non possono far altro, perché neppure uno dei codici è dalla loro parte. Tutti riferiscono, come è al presente, il fatto dell’annunciazione. Quali sono dunque gli argomenti di Harnack? Egli li espose nel 1901 [in Luk]e li deduce tutti dall’esame dei versetti 34 e 35 in relazione col contesto, e si riducono ai seguenti: 1° Anzitutto vi sono in questo brano delle parole e precisamente delle particelle, che tradiscono la mano dell’ interpolatore. Vi è per esempio la particella “epei”,poiché, che non si trova in nessun’altra parte degli scritti di S. Luca; non nell’Evangelo, non negli Atti degli Apostoli. Vi è ancora un’altra particella “Sto”, perciò, che si trova più volte negli Atti degli Apostoli, ma nell’Evangelo solo un’altra volta, al capo VII, al versicolo 7, il quale del resto manca in alcuni codici, per esempio nel codice D e nei codici dell’Itala. Queste particelle dunque accusano dei ritocchi posteriori. Ma perché mai? Se questo criterio valesse qualche cosa, allora non resterebbe più nulla, si può dire, dell’Evangelo di S. Luca, poiché l’uso di parole e di espressioni singolari non s’incontra solo in questi due versetti, ma nel terzo Evangelo è frequente, e proprio in quei passi, dei quali è fuor di dubbio, anche a giudizio dell’ Harnack, l’autenticità. Fermiamoci per esempio al prologo, di cui Harnack difese l’autenticità nell’anno 1899, in una conferenza tenuta all’Accademia reale prussiana di scienze. — Nel brevissimo tratto dunque che costituisce il prologo — è un solo periodo — troviamo delle parole, che invano si cercherebbero in seguito nello stesso Evangelo. La stessa prima parola “epeidepes”-poiché, non si riscontra più in questa forma. Solo ricorre negli Atti, c. xv, v. 24, ma nella forma più breve “epeide”. Né questo ricorrere di singolari parole in S. Luca ci deve sorprendere, poiché egli, come lo attesta nel prologo, ha fatto uso di altri scritti, e può essere che qualche volta li riporti integralmente. E si sa che riportando passi altrui, uno scrittore si mette con ciò nell’occasione di usare parole che, del resto, non sono familiari nel suo stile personale. Questa prima obbiezione cade dunque da sé.

2° Ma Harnack insiste, e trova che se fossero genuini i versicoli 34 e 35, l’Angelo avrebbe parlato molto inabilmente: avrebbe commesso delle inutili ripetizioni, anzi sarebbe caduto in aperte contraddizioni, adir poco, e nel suo filo di ragionamento non avrebbe tenuto troppo calcolo del senso comune. Infatti, così ragiona Harnack:

a) Il buon ordine logico esige che il versicolo 36 venga subito dopo il pensiero espresso nei versicoli 31, 32, 33. In essi l‘Angelo promette aMaria che concepirà un figlio di cui dà i connotati: ecco,concepirai nel seno, ecc. Poi nel versicolo 36 usa la medesima espressione: ed ecco Elisabetta tua parente ha concepito, ecc. Lo stesso giro delle due frasi esige che si succedano immediatamente; e quindi i versicoli 34 e 35 sono ingombranti; separano troppo violentemente le due frasi; furono dunque interpolati e perciò debbono scomparire. Ma questa è davvero una fantasia bella e buona. Da quando mai le frasi identiche debbonsi succedere immediatamente? Del resto il versicolo 36 non è posto per spiegare i versicoli 31, 32, 33, ma per rispondere alla domanda di Maria, che chiedeva come mai potesse Ella diventare madre, mentre era in condizione di non poter moralmente violare la propria verginità.

b) Ma l‘Harnack insiste: ilcontenuto del verso 35 è una ripetizione dei versi 31 e 32.

31, 32. E d ecco tu concepirai epartorirai un figlio… Egli sarà grandee Figlio dell’Altissimo sarà chiamato;e il Signore Iddio gli darà il tronodi David suo padre.

35. Lo Spirito Santo verrà in tee la potenza dell’Altissimo ti adombrerà.Per ciò quel che vi è generatosanto, sarà chiamato Figlio di Dio.

Anzi, più che una semplice ripetizione, ci sarebbe in questi versi una reale opposizione, poiché, mentre nei versi 31, 32 il promesso è un figliuolo di Davide, che sarà nominato Figlio dell’Altissimo, nel versicolo 35 il promesso sarà invece nominato Figlio di Dio, perché generato da Dio. – Ma questa osservazione pure è priva di fondamento. Per quanto il versicolo 35 si presenti simile agli altri due 31, 32. in realtà contiene qualche idea di più: non è dunque una mera ripetizione, una biasimevole tattologia, ma una vera spiegazione data da un crescendo. Il chiamare che fa l’Angelo, nel versicolo 35, il promesso nascituro “Figlio di Dio, „ mentre prima 1’aveva qualificato per “figlio di Davide, „ non è una contraddizione, ma un vero crescendo. In realtà il promesso Messia, nella sua qualità di Uomo-Dio, era ad un tempo figlio di Davide, generato da Davide, e figlio di Dio, generato da Dio. Solo una sistematica ed aprioristica opposizione al mistero, può rendere oscuri questi concetti per loro natura così limpidi. c) Continua l’illustre opponente. Se non si sopprimono i versicoli 34, 35, l’argomento portato dall’Angelo nei versicoli 36, 37 diventa inefficace allo scopo. Le parole: « 36. Ed ecco Elisabetta la tua parente ha concepito anch’essa un figlio nella sua vecchiaia, e questo è il sesto mese per lei detta sterile;

37. perché niente è impossibile avanti a Dio, »

sono, secondo Harnack, bastantiad accertare che il figlio ch’ella concepirà naturalmente, saràil Messia. Ma allora devono venire immediatamente dopo ilversicolo 33, e si deve leggere: 33. e regnerà in eterno sulla casa di David ed il suo regno non avrà fine. 36. Ed ecco Elisabetta la tua parente, essa pure, ecc. Ma, posto dopo i versicoli 34, 35, ilversicolo 36 farebbe servire l’esempio di Elisabetta a dimostrarela possibilità del concepimento verginale. Il che sarebbeillogico, perché non è con un fatto minore che si deve provarela possibilità di un fatto più grande.

Rispondiamo: L’Angelo vuol illustrare la potenza divina; ne adduce come esempio un fatto già in corso, di carattere miracoloso. Questo fatto non è della grandezza dell’altro che sta per compiersi in Maria: ma tra tutti, è uno di quelli che più gli si avvicinano. Che offesa ne riceve di qui la logica? L’Angelo non ha inteso con ciò di dare un argomento apodittico: ha voluto semplicemente dare un’idea dell’onnipotenza divina, arrecando in mezzo un altro fatto miracoloso. Harnack, e nessun altro al mondo, avrebbe potuto fare diversamente.

d) L’ultimo argomento il critico-razionalista lo desume dalle parole di Maria: Come mai avverrà questo, poiché non conosco uomo? Egli osserva: 1° è strana questa meraviglia in una donna sposata; 2° queste parole di lei dimostrano incertezza e dubbio di fronte alle parole dell’Angelo, mentre in realtà credette, e della sua fede ne ebbe lode da Elisabetta; 3° questa risposta di Maria all’Angelo contraddice alla di lei indole taciturna, quale risulta dall’Evangelo. – Cominciamo da quest’ultima osservazione: Maria, secondo l’Evangelo, non deve poi ritenersi taciturna, come la vorrebbe far credere Harnack. Certo non era garrulamente loquace. Ma quanto sapesse sapientemente ed eloquentemente parlare a tempo debito, lo dimostra, se non altro, il Magnificat. E vero. l’Harnack attribuisce questo cantico inarrivabile ad Elisabetta e non a Maria; ma con qual fondamento lo vedremo in seguito. Le parole di Maria all’Angelo non sono indice di incredulità, ma manifestazione di sapiente prudenza. Ella si sentiva legata dal voto di verginità. Ora le si annunzia che diventerà madre. La cosa è troppo delicata perché Maria si accontenti senz’altra spiegazione. A lei importa di sapere come potrà, in seguito a quest’annunzio, rimaner fedele al voto con cui s’è legata a Dio. – Questo voto: ecco la vera causa che fa meravigliare Maria, quantunque sposata a Giuseppe, quando ella sente che dovrà diventar madre. Gli argomenti di Harnack dunque non hanno maggior consistenza della statua di Nabucco: basta un sassolino per mandarli in frantumi. Una mente ben più acuta ed assuefatta al maneggio della logica, di quello che lo possa essere qualsiasi razionalista, S. Tommaso d’Aquino, ha esaminato precisamente sotto l’aspetto della correttezza logica il colloquio avuto dall’Angelo con Maria, e lo ha trovato inappuntabile. Nessuno avrebbe mai potuto parlare con maggior ordine, e con un procedimento più razionale: tale è il giudizio che ne dà il S. Dottore. Di fatti, secondo S. Tommaso, si debbono distinguere nel discorso dell’Angelo tre punti, marcatamente differenti. Egli vuole anzitutto attirare a sé tutta l’attenzione della Vergine, la vuol istruire sul mistero che le annuncia, vuole avere da lei il consenso definitivo. Quanto al primo atto, per attirare cioè l’attenzione di Maria, l’Angelo la saluta in termini cosi elogiosi, che non potevano a meno di fare la più grande impressione su Maria tanto umile e sommamente schiva di pensare grandi cose di sé.Egli la saluta piena di grazia, e con ciò riconosce in Lei la disposizione a diventar Madre di Dio; le soggiunge che il Signore è con Lei, vale a dire che si compiace in Lei in una maniera tutta speciale, che l’assiste con una provvidenza singolarissima; termina il saluto preannunciando l’onore che a lei deriverà da questo singolare favore che gode presso Dio: Ella sarà benedetta fra tutte, cioè sopra tutte le donne. Per l’umiltà e la modestia verginale di Maria, c’era più che a sufficienza per rimanerne sbalordita: e l’Angelo opportunamente si ferma a rassicurarla. Insiste nel dirle che il favore di cui Ella gode non è fallace, perché è presso Dio; e per meglio dissipare i di lei timori stavolta la chiama col suo nome Maria (Beda, Curs. Script. Sac. del Migne). Guadagnata così 1’attenzione e la confidenza di Maria, l’Angelo passa ad esporle l’oggetto della sua ambasciata. Procede con quest’ordine: annuncia anzitutto a Maria che diventerà madre: Ecco concepirai nel seno, e partorirai unfiglio, cui porrai nome Gesù. — Poscia descrive i pregi e la dignità di questo figlio: Questo sarà grande, e sarà chiamato figlio dell’Altissimo, ed il Signore Iddio gli darà il trono di Davide suo padre, e regnerà in eterno sulla casa di Giacobbe, e il suo regno non avrà fine. Prese in sé, queste parole indicano abbastanza chiaramente che il futuro figlio di Maria era il Messia. Ma l’umiltà di Maria non le permetteva di credersi, così senza ulteriori spiegazioni, la vergine predetta dal profeta Isaia, e oppone all’Angelo con mirabile candore il proprio voto di verginità. Ciò dà occasione all’Angelo di spiegare meglio il proprio concetto, e parla quindi del modo con cui Ella concepirà: concepirai di Spirito Santo, per la virtù dell’Altissimo, e così manifesta in maniera evidentissima che il di lei Figlio sarà il Figlio di Dio. Lo Spirito Santo scenderà in te, e la potenza dell’Altissimo t’adombrerà. Per ciò quel che n’è generato santo, sarà chiamato Figlio di Dio. – ‘Angelo prima di partire deve avere il consenso della Vergine; e perché questo consenso sia più pieno e spontaneo, appoggia tutte le grandi cose, a cui Maria deve acconsentire sulla onnipotenza divina, la quale ha già operato un gran prodigio in Elisabetta, che è sul punto di diventar madre, non ostante la sua sterilità. Ma quello non è che una pallida figura (S. Tommaso dice quoddam figurale exemplum, ad III) di quanto sta per operare in Maria. Maria non può resistere alla volontà divina, e dà il suo consenso: Si faccia di me secondo la tua parola; e cosi la missione dell’Angelo ha un esito felice. – Il colloquio dunque succede col miglior ordine desiderabile e non c’è da far stralcio di nessun versicolo.

VII. — Ed ora s’impone un rapido sguardo alla psicologia di Maria, nell’atto di diventar madre di Dio, quale appare dal suo atteggiamento di fronte all’Angelo e dalle risposte a lui date. L’Evangelo ha cura di dirci che Maria, sentendosi salutata dall’Angelo, si sentì turbata: turbata est. Perché questo timore? Stando al testo della Volgata latina, si dovrebbe dire che rimase turbata soltanto al saluto dell’Angelo: le sue parole e non la sua presenza originarono questo turbamento. Di fatto il testo latino dice: Quæ cum audisset, turbata est in sermone ejus, et cogitabat qualis esset ista salutatio. Quindi è che molti spiegano che Maria non sia rimasta turbata dalla presenza dell’Angelo, adducendo per ragione che era assuefatta a quelle visite: “E ponete ben mente, scrive il P. Curci, essa si turbò alla parola, “epì, to logo”, in sermone, e ripensava che cosa volesse dire quel saluto: ma qui non si dice che si turbasse all’aspetto dell’Angelo, come era avvenuto a Zaccaria, e come vi dissi, destarsi comune e naturale lo sbigottimento nell’ uomo alla presenza di esseri così diversi da lui. Il perché non mi sembra da rigettare ciò che alcune anime pietose meditarono: che cioè, alla designata Regina degli angeli dovesse essere familiare l’apparimento di questo spirito celeste „ Ma, se ben si osserva il testo greco, si deve conchiudere che la presenza dell’Angelo in forma di uomo non fu estranea al turbamento della Vergine. Di fatto nel greco e così pure nel siriaco, al posto di quae, cum, audisset, si legge quæ cum vìdisset. E per questo S. Ambrogio dice espressamente: Ad virilis sexus speciem peregrinam turbatur aspectus Virginia (lib. I Off., c. XVIII). Ed a lui fa eco S. Gerolamo nella lettera settima a Leta, al capo quarto: Imitetur Mariam, quam Gabriel solam in suo cubiculo reperiti et ideo for san timore perterrita est, quia virum, quem non solebat, aspexit. E così possiam ritenere che Maria sia rimasta perplessa anzitutto all’aspetto insolito di un uomo che improvvisamente le apparve, ma soprattutto al sentire le sue parole ed il suo saluto. Pensa S. Bernardo, che al sentire quel linguaggio tanto per lei elogioso, Maria si sia sentita attraversare la mente dall’idea di un inganno diabolico, e che l’angelo delle tenebre volesse indurla in superbia (Serm. 3 super Missus), Questa congettura del Dottor Mellifluo però non garba a tutti. Il Serry, per esempio, la trova non concordante col testo evangelico, il quale dice che Maria pensava bensì qual specie di saluto fosse quello, ma non chi fosse il salutante. Ma l’osservazione del dotto Domenicano non è in realtà di quel peso che egli crede. Quando si dice che Maria era incerta e turbata intorno al saluto, niente vieta che sotto la denominazione di “saluto „ s’intendano tutti gli elementi che lo costituiscono, e, prima d’ogni altra cosa, colui che lo pronuncia. E così Maria, non mostrandosi facile a credere ad ogni spirito, ma volendo prima accertarsi della verità, ha dato un bell’esempio di prudenza. Maria fu con l’Angelo prudente, quanto Eva era stata con un altro angelo imprudente. Ma i dubbi quanto alla natura dell’apparizione non dovettero durar molto. Da tutto l’atteggiamento del suo misterioso interlocutore, dalla riverenza che mostrava pronunciando il nome di Dio, in forza di quel fiuto, di quel divino istinto che hanno le anime sante di distinguere le opere celesti de quelle diaboliche, Maria comprese ben tosto che chi le parlava era un messaggero di Dio. Ma il turbamento perseverava ancora. Non più sostenuto dalla prudenza, era però alimentato dall’umiltà. L’Angelo diceva senza dubbio grandi cose di lei: che era piena di grazia, che possedeva Dio in maniera singolare, che a lei era riservata una benedizione che la distingueva fra tutte le donne. Per Maria, che era assuefatta soltanto a pensare il proprio nulla, al di fuori dei benefizi divini, questo cumulo di lodi è di un peso schiacciante, poiché, come osserva S.Tommaso, non c’è cosa tanto sbalordiente per un animo veramente umile, quanto al sentire l’esaltazione dei propri pregi: animo humili nìhil est mìrabilius, quam audìtus suo? excellentio? ( III p., q. xxx, a. 4 ad 1). Anche qui, qual differenza tra Eva e Maria! Eva, al sentire dall’infernale ingannatore che sarà simile a Dio, messa a parte di ogni segreto, non può più resistere alla lusinga: la vanità e la superbia le fanno sentire dei fatali capogiri. Maria invece, che veramente è il compendio di tutte le divine meraviglie, non può sentire senza una profonda scossa di turbamento il proprio panegirico, che per quanto magnifico, èancora inferiore alla realtà. Ma vari Padri trovano che a suscitare in Maria questo turbamento, ad un sentimento di prudenza e di umiltà, se ne intrecciava un altro, quello del pudor verginale. Questo pudor verginale, che la turbò anzitutto per la semplice presenza dell’Angelo in forma umana, aumentò questa perplessità allorché Maria sentì che ella era benedetta fra le donne. La benedizione di una donna presso gli Ebrei, aveva un senso più determinato e specifico di quello che abbia fra noi. La benedizione di una donna, secondo il modo di giudicare degli Ebrei consisteva soprattutto nel dono della maternità. Quando l’Angelo dunque disse a Maria che sarebbe stata benedetta fra le donne, le faceva capire in termini abbastanza chiari, che avrebbe avuto una maternità straordinaria. Per questo Maria, conscia dei propri propositi di verginità, si mise a riflettere sul senso di questo saluto: cogitabat qualis esset ista salutatio. Le parole dell’Angelo le facevano intravedere, in un presentimento angoscioso, il pericolo di quel che essa aveva di più caro. Cosìpensano fra altri sant’ Agostino, Serm. 2 de Ann., e S. Gregorio Nisseno, Orat. de Christi Nativ. E l’osservazione si presenta da sola piena di giustezza e di ponderazione. Di fatto, quando l’Angelo si spiega meglio, e non lascia dubbio che davvero annuncia a Maria l’onore di un futuro Figlio, straordinario per dignità e grandezza, ella con mirabile semplicità, ma con franchezza premurosa gli oppone: Come avverrà questo, mentre io non conosco uomo? Già altre volte abbiamo avuto occasione di valutare tutta la portata di queste parole. Esse manifestano il grande amore di Maria per il candor verginale; più ancora, esse ci garantiscono che era preceduto in lei un vero e proprio voto di verginità. Di fatti, come ben osserva il P. Curci, perché quella domanda sia vera difficoltà, deve necessariamente importare: non conosco, ne posso conoscere uomo. Senza ciò la richiesta non ha nessun valore, come non l’avrebbe se si dicesse, che la tal fanciulla avrà un figlio cosi e cosi: tutti intenderebbero che lo avrà pel modo ordinario, onde si hanno i figliuoli. Se dunque questa via ordinaria non si poteva supporre in Maria Vergine, neppure nell’imminente e già conchiuso connubio, vuol dire che vi doveva occorrere un impedimento insormontabile. Or questo non poteva essere altro, che il voto di perpetua verginità, fatto da lei da bambina, ed il fatto di conservarla intatta con lo sposo castissimo, anche nel connubio: due punti a noi assicurati dalla Tradizione, e tenuti per fermissimi dal popolo cristiano, ed eziandio da. autori protestanti; ma mi è parso bello averli potuto inferire con facile discorso dalle parole stesse dell’Evangelo „ Maria dunque, parlando coll’Angelo, dimostra insieme ad una rara prudenza, ad una profondissima umiltà, un amore impareggiabile per la verginità. Ma importa qui mettere il lettore in guardia contro un’esagerazione, da cui non sono alieni alcuni brani del Bossuet, che riportammo altrove, ma che il Serry chiama imprudente ed inconsulta, e contro la quale non mancano in genere di protestare i migliori teologi. L’esagerazione consiste nel dire che Maria, messa nel bivio di rinunciare o alla verginità, o alla divina maternità a lei richiesta da Dio, avrebbe, per conservar quella, rifiutato questa. La cosa non è esatta, perché la verginità in urto alla volontà di Dio, cessa di essere virtù: e, benché consacrata prima con voto, questo voto evidentemente cessa allorché Dio manifesta i suoi desideri in contrario. Diremo adunque con più esattezza, che l’amore di Maria per la verginità fu cosi grande, che nemmeno l’idea della divina maternità le dissipava l’amarezza di doverla perdere. Una volta conosciuta la volontà di Dio, ella non avrebbe mancato di ossequiarvi, ma in pari tempo la verginità perduta avrebbe lasciato nel di lei cuore un rammarico incancellabile. Così ha creduto di dover interpretare i sentimenti di Maria S. Bernardo, quando nel Serm. 4 Super Missus, le mise in bocca queste parole: Sì oportuerit me frangere votum (per comando di Dio, s’intende), ut pariam talem filìum, gaudeo de filio, et doleo de proposito. – Infondata e da rigettarsi, benché soffulta dall’autorità di qualche Padre, per esempio di S. Agostino e di S. Proclo, l’idea che le parole di Maria “come avverrà questo, mentre io non conosco uomo, „ esprimano un atto di incredulità simile a quello di cui si rese reo Zaccaria, per cui lo stesso Gabriele lo punì rendendolo muto. In realtà, tra la risposta di Zaccaria e quella di Maria, ci passa una enorme differenza, Zaccaria aveva risposto: “Onde conoscerò io tal cosa? Che  io sono vecchio e mia moglie avanzata in età (Luc. I, 18). „ Ognuno capisce subito che qui Zaccaria non si limita ad esporre le proprie difficoltà, ed a domandare il modo con cui saranno superate, ma non senza un petulante ardimento vuol le prove dell’asserzione dell’Angelo, dicendo: “Onde conoscerò io tal cosa? „ Questo linguaggio tradisce troppo chiaramente la non modesta intenzione di volersi erigere a giudice di ciò che  l’Angelo gli disse. Le parole di Maria sono invece di persona che crede, ma che con semplicità domanda di essere istruita. Per questo, dice molto acutamente S. Ambrogio: Temperantìor est Mariæ responsio, quam verba sacerdotìs: hæc ait: QUOMODO EI ET ISTUD? Ille respondit: UNDE HOC SCIAM?Negat Me se credere, qui negat se scire: ista se facere profitetur, nec dubitat esse faciendum, quod quomodo fieri possit inquirit – Cfr. da S.TOMMASO (III p, q. xxx, art. 4, ad 2) – E che di fatto Maria abbia creduto, lo afferma lo stesso Evangelo riferendo le parole che a lei ebbe poscia a dire S. Elisabetta: “‘Beata quæ credidisti, quoniam perficientur ea quæ dieta sunt tibi a Domino. — Beata te che hai creduto, perché s’adempiranno le cose dette a te dal Signore „ (Luc. c. I, 45). S. Tommaso chiama quel sapore di dubbio, che a prima vista sembrano contenere le parole di Maria, non incredulità, ma ammirazione, e per questo l’Angelo addusse delle prove della sua affermazione, non per togliere la di lei mancanza di fede, ma semplicemente per dissipare la sua meraviglia: Talis dubitatio magìs est admirationis, quam incredulitatis: et ideo probationem Angelus inducìt, non ad auferendam infidelitatem, sed magìs ad removendam ejus admìratìonem (III p., q. xxx, art. 4 ad 2). Rimossa cosi ogni ammirazione dal suo animo, Maria diede il suo consenso alle richieste dell’Angelo, e lo fece in termini che hanno destato e desteranno ancora la meraviglia dei secoli. Dice: Ecco la serva del Signore, sì faccia di me secondo la tua parola! Queste parole sono di per sé il più eloquente ed impressionante elogio dell’umiltà di Maria e della sua prontezza nel servir Dio. Non ci soffermiamo a commentarle, perché  nessun commento raggiungerebbe la loro natural forza e limpidezza. E dietro questa solenne manifestazione di umiltà e di obbedienza, non è difficile intravedere il cuore di Maria ardente di una carità da altri non mai raggiunta. Da principio Maria, per umiltà, non pensò ch’ella fosse la vergine predetta dai profeti. Ora che l’Angelo s’è spiegato meglio, non ha più dubbio che il suo figlio, è il Figlio di Dio, il promesso Messia. E benché il mistero dell’umana redenzione non brillasse ancora davanti a Maria, illuminato in tutte le sue minute circostanze, pure, almeno in confuso, ella perita nelle Scritture, intravedeva che al Figlio da lei nascituro erano riservati grandi patimenti e grandi umiliazioni, a cui Ella pure sarebbe stata associata. Insieme ai futuri patimenti vedeva però anche gli alti onori che le erano riservati; è da supporsi che già in quel momento sapesse quel che pochi giorni dopo disse ad Elisabetta, che tutte le genti l’avrebbero chiamata beata. Ma in quel momento il suo pensiero non si fermò su queste visioni: se le attraversarono la mente, fu un passaggio rapido, che non lasciò traccia nelle parole della Vergine. Tutta la sua attività vitale era concentrata su Dio che veniva al mondo per salvarlo. Due soli oggetti allora fecero battere forte il suo cuore: Dio e la salute del mondo. Quanto a sé non pensò: abituata a dimenticarsi sempre, si dimenticò anche in quell’ora suprema, ed in uno slancio di carità, di cui noi possiamo solo da lontano intravedere la smisurata grandezza, disse la formola, che doveva essere l’esordio del trattato di pace tra il cielo e la terra: “Ecco la serva del Signore, si faccia di me secondo la tua parola! „ Queste parole sono il suggello di un amore che è superato solo dall’amor che ha Iddio, ma che non è uguagliato da nessun altro! Noi rinunciamo a descriverlo, perché  tenteremmo l’impossibile. L’idea di questo amore lascia l’impressione che si ha quando si affaccia ad un abisso. Per poco che si consideri, si capisce subito, che davanti alla carità di Maria, che dà il consenso all’Angelo, si è sulla soglia dell’infinito.

L’APPARIZIONE A LA SALETTE 1846 (II)

LA SALETTE (II)

[Some account of the APPARITION OF THE BLESSED VIRGIN Of LA SALETTE London 1853]

Qui non faremo altro che alludere alle numerose lettere che di tanto in tanto sono apparse scritte da ecclesiastici e da altre illustri personalità che avevano visitato quella che ora cominciava ad essere chiamata la “Montagna Santa”.

Una testimonianza di grande valore, tuttavia, dobbiamo rendere “a tutto tondo”, sia a motivo del carattere eminente del suo autore, sia per il modo accuratamente efficace e privo di pregiudizi in cui l’intero argomento è trattato. L’attuale Vescovo di Orleans, allora già molto noto nella Chiesa francese, Mgr. M. Dupanloup, scrive così ad un amico che aveva sollecitato la sua opinione sulla questione dell’apparizione: « Mio caro amico, ho seguito il suo consiglio e ho fatto una visita a La Salette. Sono appena tornato dal mio viaggio. Credo che sia vostro desiderio che vi comunichi, in tutta semplicità, il risultato delle osservazioni che ho fatto e delle impressioni che ne ho ricevuto. Innanzitutto, devo riconoscere che ho intrapreso questo pellegrinaggio senza alcuna inclinazione favorevole; non che voglia in alcun modo sminuire il merito dovuto alle numerose pubblicazioni apparse sull’argomento e che avevo attentamente studiato; ma tutto il tono di entusiasmo e di vivacità con cui quelle opere sono state scritte, mi aveva ispirato dei pregiudizi contro il fatto che fossero destinate a conservarsi. Ho passato quasi tre giorni tra Corps e La Salette: le impressioni personali che vi ho ricevuto sono state, devo dirlo, senza alcun fascino, quasi senza emozione. Sono tornato così come sono andato, senza provare alcun attaccamento alla scena; direi quasi senza interesse, almeno senza quell’interesse che nasce dall’entusiasmo. Eppure, più mi allontano dal luogo, e più mi metto a riflettere su tutto ciò che ho visto e sentito là, e più forte è la convinzione che la riflessione produce in me, e che mi assale in qualche modo contro la mia volontà. Non mi posso astenere dal dire a me stesso continuamente: « Non può essere che la fonte di Dio sia qui ». Tre circostanze in particolare sembrano offrire forti segni di verità: in primo luogo, la semplicità di carattere che i bambini hanno sempre mantenuto. In secondo luogo, le numerose risposte, assolutamente al di sopra della loro età e capacità, che hanno mostrato nei diversi interrogatori subiti. In terzo luogo, la fedeltà con cui hanno mantenuto i segreti che dicono siano stati loro conferiti. – Primo: L’immutata semplicità di carattere dei bambini. Ho visto questi due bambini. Il primo incontro che ho avuto con loro, ha suscitato in me un’impressione sgradevole; il ragazzino in particolare mi è stato fortemente sgradevole. Ho visto molti bambini nella mia vita, e ne ho incontrato pochi, quasi nessuno, che mi abbiano così poco attratto. Le sue maniere, i suoi movimenti, il suo sguardo, tutto il suo aspetto è ripugnante, almeno ai miei occhi. Una cosa che forse ha rafforzato la brutta impressione che mi ha dato è stata quella di avere una singolare somiglianza con uno dei ragazzi più sgradevoli e peggiori che abbia mai dovuto educare. Parlando così dell’idea che mi sono fatto di questo ragazzino, non pretendo di attaccare in nessun modo le impressioni più favorevoli che ha lasciato sugli altri. Voglio solo esprimere i miei sentimenti. Almeno, se la mia testimonianza sarà finalmente favorevole a questi bambini, sarà senza sospetti; certamente non sarà stato nulla di per sé a sedurmi. C’è una grande maleducazione in Maximin; il suo continuo svagare è davvero fuori dal comune; ha un’indole singolarmente leggera e fantasiosa, ma accompagnata da una tale maleducazione e finanche da occasionale violenza, che il primo giorno in cui l’ho visto non solo ero rattristato, ma anche così scoraggiato, che mi sono detto: « Perché sono venuto fin qui per vedere un bambino così? che follia ho mai commesso! » Ho avuto tantissimi problemi per impedirmi dall’intrattenere i sospetti più gravi. Quanto alla bambina, anche lei mi è apparsa a suo modo repellente. Il suo modo di fare, però, è, direi, migliore di quello del ragazzino; i diciotto mesi che ha passato con le Suore della Provvidenza al Corps, dicono, l’hanno un po’ formata. Nonostante ciò, però, mi è sembrata ancora una personcina imbronciata, sciatta, silenziosa, che non diceva mai niente, e quando rispondeva, si esprimeva semplicemente a monologhi: “sì” e “no”. Se dice qualcosa di più, nelle sue risposte c’è sempre una certa rigidità e una timidezza che deriva dall’essere imbronciata, e che non mette affatto a proprio agio. In una parola, dopo aver visto più volte ognuno di questi bambini, non ho trovato in loro nessun’attrattiva particolare legata alla loro età; non hanno, o almeno non sembrano averne, nessuna di quella pietà e di quel candore infantile che tocca e attira ed ispira fiducia. Il ragazzino in particolare l’ho osservato a lungo e spesso, soprattutto il giorno in cui è salito con me a La Salette. In quell’occasione abbiamo passato circa quattordici ore insieme. Egli venne a trovarmi alla locanda alle cinque del mattino; mi accompagnò alla montagna dell’Apparizione, e non ci separammo fino alle sette di sera. Sicuramente ho avuto tutto il tempo di guardarlo bene, di studiarlo attentamente e di esaminarlo a mio piacimento. E ho fatto del mio meglio per farlo. Non c’è stato un momento, devo dire, in cui non sia stato oggetto del mio più attento esame e, anzi, di una profonda diffidenza. Non c’è stato un solo momento in cui mi sia stato simpatico; ed è stato solo nel pomeriggio, quando si stava facendo tardi, che per gradi, per così dire mio malgrado, un’impressione favorevole si è impadronita di me. Quasi senza esserne consapevole, e contrariamente ai miei sentimenti personali, mentre osservavo e ascoltavo tutto ciò che vedevo e sentivo, ero costretto a esclamare: « Nonostante tutto sia così ripugnante in questi bambini, tutto ciò che dicono, tutto ciò che vedo e sento, è spiegabile solo sulla base della supposizione della verità della loro storia ». A Grenoble ero stato informato del modo in cui i bambini mi avrebbero recitato gli episodi della loro narrazione. Mi è stato detto che l’hanno vissuto come una lezione. Si aggiunse che si poteva trovare per loro una qualche attenuante, perché durante diciotto mesi avevano ripetuto la stessa storia così tante migliaia di volte, che non era da ipotizzare che sia diventata per loro una mera routine. Ero disposto a scusarli su questo punto, purché la routine e la recitazione non fossero assolutamente ridicole; ma l’impressione che avevo in mente era ben diversa da quella che avevo previsto. Anche se i bambini non mi piacevano affatto prima che raccontassero la loro storia, e continuavano ad essere ugualmente poco attraenti ai miei occhi anche dopo, devo riconoscere che hanno affrontato la recita con una semplicità, una gravità, una serietà ed un certo rispetto religioso, che, in contrasto con il tono volgare e abitualmente scortese del ragazzino ed il carattere solitamente cupo della bambina, mi hanno colpito particolarmente. Devo aggiungere pure che questo stupore si è costantemente rinnovato nell’arco di questi due giorni, soprattutto per quanto riguarda il ragazzino, che è passato, come ho già detto, un’intera giornata con me. L’ho poi messo perfettamente a suo agio, e gli ho permesso di prendersi tutte le libertà che gli sono piaciute; tutti i suoi difetti, tutte le sue maleducazioni, poi sono apparsi in modo molto discreto. Eppure, ogni volta che questo bambino maleducato è stato sollecitato, anche di soppiatto, a parlare del grande evento, c’è stato in lui uno strano, profondo ed istantaneo cambiamento; e lo stesso è stato per la giovane ragazza. Il ragazzino conserva ancora il suo sgradevole aspetto esteriore, ma ciò che era eccessivo nella sua maleducazione è ormai del tutto perduto. Diventano all’improvviso così gravi e seri; assumono, per così dire, involontariamente, qualcosa di così singolarmente semplice e ingenuo, così pieno di rispetto di se stessi, oltre che per il soggetto di cui parlano, da ispirare in chi li ascolta, e quasi impone loro, come una soggezione religiosa per le cose che raccontano, ed una sorta di rispetto per le loro persone. Ho vissuto costantemente e molto vivamente queste impressioni, senza perdere per un attimo, in prima persona, il mio sentimento di avversione per i bambini. Farò qui un’osservazione riferita a quanto ho appena detto. Quando parlano del grande evento di cui professano essere stati testimoni, o quando ci si rivolge a loro con riferimento ad esso, questo singolare rispetto per ciò che dicono si spinge così lontano, che quando accade che diano una di queste risposte, veramente stupefacenti e perfettamente inaspettate, che confondono i loro interlocutori, tagliano corto a tutte le domande indiscrete, e risolvono semplicemente, profondamente, e completamente, le più grandi difficoltà, e non assumono alcuna aria di trionfo. I loro esaminatori sono sbalorditi, ma essi da parte loro, rimangono inalterati. Sulle loro labbra non passa mai anche per un solo istante il benché minimo sorriso. Inoltre, essi non rispondono mai alle domande che vengono loro rivolte, se non nel modo più semplice e breve possibile. La loro semplicità è a volte rozzaa, ma l’esattezza e la precisione delle loro risposte lascia sempre senza parole. Appena la conversazione accenna al “grande evento”, sembrano non avere più nessuno dei difetti ordinari della loro età; soprattutto si può osservare come in quei momenti non siano affatto chiacchieroni e ciarlieri. In altre occasioni Maximin parla molto; quando è a suo agio, è un pettegolare continuo. Durante le quattordici ore che abbiamo trascorse insieme, mi ha dato una prova continua di questa sua qualità; mi ha parlato di tutto con una grande cascata di parole, facendomi domande senza ritegno, finanche ad essere il primo a darmi la sua opinione, e contraddicendo la mia. Ma rispetto all’evento di cui parla, rispetto alle sue impressioni, alle sue paure o alle sue speranze per il futuro, e tutto ciò che ha un riferimento all’Apparizione, non è più lo stesso bambino. Su questo punto non prende mai l’iniziativa nella conversazione, né commette alcuna pur minima colpa contro il buon costume. Non si addentra nel dettaglio mai più di quanto sia necessario per rispondere alla domanda che gli viene rivolta, alla quale risponde con grande precisione. Quando si è esaminato il segreto che gli è stato chiesto di custodire, ed abbia risposto agli interrogatori ai quali è stato sottoposto, tiene la lingua a freno. – Si è ansiosi, si desidera che si parli, che si fornisca qualche dettaglio, che si entri in qualche dichiarazione sui propri sentimenti in quel momento e dopo l’evento: non aggiunge una parola al di là della risposta necessaria. Presto riprende il filo della conversazione che la sua storia ha interrotto, parla con grande libertà di qualsiasi altro argomento, o se ne va. È certo che non hanno né l’uno né l’altra desiderio di parlare dell’evento che li ha resi così famosi. Da quanto ho potuto imparare sul posto, non parlano mai inutilmente dell’argomento con nessuno, né con i loro compagni, né con le Suore della Provvidenza che li educano, né con gli estranei. Quando vengono interrogati, rispondono; se si tratta della storia dell’evento che viene loro chiesto, lo ricordano semplicemente; se viene proposta una difficoltà, ne danno una soluzione chiara; non aggiungono nulla di superfluo, e allo stesso tempo non dicono null’altro. Non si rifiutano mai di rispondere alle domande che vengono loro poste, ma è impossibile far loro perdere di vista per un solo istante, in ciò che dicono, il giusto criterio di correttezza. Potete porre loro tutte le domande indiscrete che volete, non c’è mai alcuna indiscrezione nelle loro risposte. In effetti, la discrezione, la più difficile di tutte le virtù, è (solo su questo argomento) naturale per loro in misura inaudita. Spremendoli quanto si voglia, si trova in essi qualcosa di invincibile, che non riescono a spiegare nemmeno a se stessi, che abbatte tutti gli attacchi, e si fa beffe involontariamente e con sicurezza delle tentazioni più forti e difficili. Chi conosce bene i bambini e ne abbia studiato la natura, così leggera, instabile, vanitosa, chiacchierona, indiscreta, curiosa, e farà gli stessi esperimenti che ho fatto io, condividerà la mia meraviglia e il mio stupore, e si chiederà, se sia beffato  dai due bambini, o ci sia in gioco qualche potere superiore e divino. Aggiungo che negli ultimi due anni i due bambini ed i loro genitori sono rimasti poveri come prima. – Questo è un dato di fatto che ho verificato sufficientemente per mia soddisfazione, e che è più facile da dimostrare al di là di ogni dubbio. Qui riporto un’osservazione che ho già fatto, e cioè che i due bambini, e più in particolare Maximin, di cui ho visto molto più dell’altra, sembrano aver conservato, nonostante l’onore che hanno ricevuto e la celebrità che gli si attribuisce, una semplicità e, dirò, uno spirito di umiltà così profondo, che queste qualità appaiono loro del tutto naturali, e non si possono chiamare virtù acquisite. Sembra come se sia impossibile per loro essere diversi da quelli che sono; e tutto questo con una sorta di indifferente candore, che è abbastanza sorprendente quando li si vede da vicino e si riflette sui loro comportamenti. Il fatto è che non capiscono gli onori che hanno ricevuto e sembrano non avere la più pallida idea dell’interesse che susciti il loro nome. Hanno visto migliaia di pellegrini, 60.000 in un giorno, venuti in seguito alla loro storia sulla montagna di La Salette. E per questo non si sono dati delle arie, né alcuna importanza, né hanno mostrato alcuna presunzione nelle loro parole e nei loro atteggiamenti. Considerano tutto questo senza alcuno stupore, senza un riguardo, senza alcun riferimento a se stessi. E, in una parola, se quello che dicono è vero, guardano alla loro missione nella stessa luce in cui la Vergine stessa l’ha considerata. Ella non ha professato di far loro un onore; ha professato solo di scegliere per sé alcuni testimoni che dovevano essere al di sopra di ogni sospetto, con una semplicità così profonda, così completa, e così straordinaria, che nulla poteva esserle paragonabile, e che non poteva essere spiegata o compresa per mezzo di cause naturali; ed è riuscita perfettamente nella sua scelta. Questo è il primo segno di verità che scopro in questi bambini. – 2) Il secondo segno appare dalle numerose risposte, complessivamente al di sopra della loro età e capacità, che hanno dato liberamente nei diversi interrogatori a cui sono stati sottoposti. Va infatti osservato che mai, in una corte di giustizia, i colpevoli siano stati così tormentati con domande sul reato di cui sono accusati, come questi due poveri bambini contadini indagati per due anni sulla questione della visione che raccontano. Difficoltà spesso premeditate, a volte lungamente ed insidiosamente pianificate, hanno sempre ricevuto da loro risposte pronte, precise e chiarissime. È palpabile che sarebbero assolutamente incapaci di tale presenza di spirito se ciò che dicono non fosse vero. Sono stati condotti come malfattori nel luogo stesso dell’Apparizione, o dell’impostura, [se è impostura], e non sono mai stati sconcertati dalla presenza delle persone più illustri, né spaventati dalle minacce e dagli abusi, né sedotti dalle minacce e dai soprusi, né convinti dalle persuasioni e dalle carezze, né affaticati dagli esami più lunghi; inoltre, il ripetersi frequente di tutte queste prove non li ha mai indotti a contraddire né se stessi né l’altro. Non è possibile che due esseri umani abbiano l’aria di essere complici di una frode; e se fossero davvero tali, devono avere un genio come non si è mai conosciuto finora, per poter essere così costantemente uniformi nel loro racconto, e in accordo con se stessi e tra di loro, durante i due anni che hanno assistito, senza interruzione, a questo strano e rigoroso processo. A tutta questa coerenza si aggiunge il contrasto che deriva dalla loro maleducazione, dall’impazienza e da un certo broncio dell’umorismo, e nello stesso tempo, quando l’Apparizione è l’oggetto della conversazione, si passa ad una dolcezza di comportamento, ad una calma ed una presenza di spirito del tutto imperturbabili, e sono al servizio, con impenetrabile discrezione a tutti, genitori, compagni, conoscenti, a tutti coloro che hanno sempre conversato con loro. Vi darò ora alcune delle domande e delle risposte che mi vengono fornite, sia dai miei ricordi personali, sia dalle relazioni redatte in debita forma e depositate a Grenoble, di cui posso garantire l’autenticità. D. A Mélanie. La Signora, allora, le ha dato un segreto e le ha proibito di raccontarlo. Bene, benissimo; ma mi dica almeno se questo segreto si riferisce a lei o a qualcun altro.

Melanie. Chiunque sia la persona a cui si riferisce, Ella ci ha proibito di raccontarlo. D. Il tuo segreto è qualcosa che devi fare?

Melanie. Che sia qualcosa che debba fare o meno, non sono affari di nessuno: ci ha proibito di dirlo.

D. Non sei forse consapevole che Dio non ha rivelato il tuo segreto ad una santa suora ma ho preferito affidarlo a te?, … assicurarmi che tu dica la verità.

Melanie. Se questa suora lo conosce, può dirlo a voi. Io non lo dirò.

D. Devi però dire il tuo segreto al tuo confessore, al quale non devi nascondere nulla. Maximin. Il mio segreto non è un peccato; in confessione si è obbligati a dire solo i propri peccati.

D. E se dovessi dire il tuo segreto o morire?

Maximin (con fermezza). Morirei. Non lo direi.  

D. Se il Papa ti chiedesse il tuo segreto, tu saresti obbligato a dirglielo; perché il Papa è più grande della Santa Vergine.

Maximin. Il Papa è più grande della Beata Vergine! Se il Papa fa bene il suo dovere, sarà un santo, ma sarà sempre meno della Beata Vergine.

D. Ma forse è stato il diavolo a darti il tuo segreto?

Maximin. No, perché il diavolo non porta il crocifisso, e il diavolo non proibisce la bestemmia.

Melanie (alla stessa domanda). Il diavolo sa parlare bene, ma non credo che possa raccontare segreti del genere. Non proibirebbe di imprecare, non porterebbe una croce e non ordinerebbe alla gente di andare a Messa.

D. Non voglio chiederle il suo segreto. Ma questo segreto riguarda, senza dubbio, la gloria di Dio e la salvezza delle anime. Deve essere conosciuto dopo la sua morte; e questo è ciò che le consiglio di fare: scriva il suo segreto in una lettera, che lei stesso sigillerà, e farà recapitare nell’ufficio del Vescovo. Dopo la morte del Vescovo e di te stesso la lettera sarà letta, e così avrai mantenuto il tuo segreto.

Maximin. Ma qualcuno potrebbe essere tentato di togliere il sigillo alla mia lettera. Inoltre, non conosco coloro che entrano in questo ufficio. Allora dite: “Mettetegli la mano prima sulla bocca e poi sul cuore: Il mio migliore ufficio è qui”.

D. a Maximin: Tu desideri essere sacerdote: bene, dimmi il tuo segreto e io mi occuperò di te. Scriverò al Vescovo, che ti farà compiere i tuoi studi gratuitamente. R. Maximin. Se per essere sacerdote è necessario che io dica il mio segreto, vuol dire che non lo sarò mai.

D. a Melanie. Lei non capiva il francese e non andava a scuola; come poteva allora ricordare cosa le dicesse la Signora in quella lingua? L’ha detto tante volte?

R. Melanie. Oh, no; l’ha detto solo una volta, e io me lo ricordo perfettamente. E poi, anche quando non l’ho capito esattamente io stessa nel ripetere quello che ci ha detto, chi capiva il francese lo capiva; è stato sufficiente, anche quando non l’ho capito io stessa.

D. a Maximin La Signora l’ha ingannata, aveva previsto una carestia, eppure il raccolto è buono ovunque.

R. Maximin. Che importa a me? Mi ha detto così; sono affari suoi. A questa domanda i bambini hanno risposto in altre occasioni: « Ma forse hanno fatto penitenza? »

D. Sa che la signora che ha visto è al sicuro nella prigione di Grenoble?

R. Maximin. Era senz’altro un uomo intelligente quella che l’ha rapita.

D. La signora che ha visto non era che una nuvola luminosa e splendente.

R. Maximin. Ma una nuvola non parla.

D. Un sacerdote. Lei è un piccolo bugiardo, e non le faccio la morale.

R Maximin. Che cosa importa a me! Mi è stato chiesto di dirti questo, non di fartelo credere.

D. Un altro sacerdote. Guarda tu, io non ti credo, tu sei un bugiardo!

R. Maximin (con vivacità). Allora perché sei venuto fino a qui per interrogarmi?

D. Un prete. La signora è scomparsa in una nuvola.

R. Melanie. Ma non c’era nessuna nuvola.

D. Il curato insiste. Ma è molto facile circondarsi di una nuvola e scomparire.

R. Melanie (con vivacità). Potete allora, signore, circondarvi di una nuvola e scomparire?

D. Un Sacerdote. Non sei stanco di dover dire ogni giorno sempre la stessa cosa?

R. Maximin. E lei, signore, si stanca forse di dover dire Messa ogni giorno?

Risposte ancora più sorprendenti sono state date da loro spesso. M. Repellin, sacerdote, scriveva il 19 novembre 1847: « Ho chiesto alla bambina se la persona meravigliosa che aveva visto non fosse uno spirito maligno che voleva seminare il disordine nella Chiesa ». Mi rispose, come ha risposto agli altri: « Ma, signore, il diavolo non porta la croce ». Continuai: « Ma, figlia mia, il diavolo portò nostro Signore sulla cima del tempio e sulla cima di un’alta montagna, e così poteva ben portare la sua croce ». No, signore – disse lei, con una certa sicurezza, – No! Dio non avrebbe permesso che la sua croce fosse portata in quel modo: è sulla croce che è morto ».  Ma Egli stesso ha sofferto per esservi trasportato!. Ma è stato con la croce che ha salvato il mondo. La sicurezza di questa bambina, e il significato profondo di questa risposta, di cui probabilmente non ha percepito la bellezza, mi ha chiuso la bocca. In un’altra occasione si spiegò ancora più acutamente. Le dissero che il diavolo aveva portato il Signore in persona. « Sì – disse lei – ma Lui non era ancora glorificato ».

D. Il tuo Angelo custode conosce il tuo segreto?

R. Mélanie « Sì, signore ». C’è qualcuno, allora, che lo sa? « Ma il mio Angelo custode non è uno del popolo ».

Uno dei miei amici, due giorni prima del mio viaggio a La Salette, disse a Maximin: « Tutti noi che andiamo a La Salette, tutti dobbiamo obbedienza al Papa ». Ebbene, se il Papa ti dicesse: « Figlio mio, non devi credere a nulla, tu cosa gli diresti? » Il bambino rispose, con la massima dolcezza e rispetto: « Gli direi: vedrà! ». Queste sono alcune delle innumerevoli risposte di questi bambini. Non so se li giudicherete come me, ma sono sicuramente, a dir poco, molto sorprendenti; e questo stupore aumenterà dopo aver considerato le osservazioni che ho fatto su questi bambini e che ora vi presenterò. – 3). Non ho potuto fare a meno di riconoscere, nella fedeltà con cui hanno mantenuto il segreto che essi professano di aver ricevuto, un segno caratteristico della verità, e che sono due: possedere ciascuno un segreto, e questo da quasi due anni. Ognuno di loro ha un segreto distinto, l’uno non si è mai vantato di conoscere quello dell’altro. I loro genitori, i loro padroni, i loro curatori, i loro compagni, le migliaia di pellegrini, li hanno interrogati su questo segreto, e hanno chiesto loro di rivelarlo in qualche modo: a questo scopo sono stati fatti sforzi inesplorati; ma né motivi di amicizia, né interesse personale, né promesse, né minacce, né l’autorità civile o ecclesiastica, nulla ha potuto in alcun modo influenzarli su questo punto; e ora, dopo due anni di sforzi continui, non si sa nulla, assolutamente nulla. Io stesso ho fatto i più grandi tentativi di penetrare in questo segreto. Alcune singolari circostanze mi hanno reso capace di portare avanti i miei attacchi più di altri; per un momento ho persino pensato di esserci riuscito. È andata così: « Avevo portato, come ho detto, il piccolo Maximin sulla montagna con me. Nonostante la ripugnanza che questo ragazzo mi ispirava, non avevo mai cercato di essere gentile e amabile con lui, e avevo fatto tutti i tentativi in mio potere per cercare di aprirgli e di conquistare il suo cuore. Non ci ero riuscito molto bene. Ma arrivando in cima alla montagna, qualcuno che era lì gli ha dato due fotografie, una delle quali rappresentava la lotta del 24 febbraio per le strade di Parigi. In mezzo ai combattenti c’era un prete che aspettava i feriti. Il ragazzino pensò di vedere una certa somiglianza tra questo ecclesiastico e me; e sebbene gli dissi che si era completamente sbagliato, si convinse che ero io la persona rappresentata, e da quel momento mi mostrò un’amicizia più vivace e più aperta. D’allora in poi apparve del tutto a suo agio, e mi si mostrò molto familiare. Ne ho approfittato con entusiasmo, siamo diventati i migliori amici del mondo, senza però che lui smettesse di essere, allo stesso tempo, perfettamente sgradevole per me. Ora lui mi pendeva dal braccio, e non la smetteva per tutto il giorno; così scendemmo insieme dalla montagna. Gli preparai la colazione e cenammo insieme. Parlava di tutto con la massima cura e libertà, della Repubblica, degli alberi, della libertà, etc. etc.. Quando ho riportato la conversazione all’unico argomento che mi interessava, ha risposto, come ho detto, brevemente e semplicemente; tutto ciò che si riferiva all’apparizione della Beata Vergine era sempre come qualcosa di diverso nella nostra conversazione. Si è fermato subito pur nel completo fluire torrenziale delle sue chiacchiere. La sostanza, l’espressione, il tono, la voce, la precisione di ciò che poi mi ha detto, sono diventati all’improvviso singolarmente gravi e religiosi. Poi è passato ben presto a qualche altro argomento con tutta la libertà della conversazione familiare e vivace. Allora ripresi i miei sforzi e le più abili insinuazioni per approfittare di questa libertà ed apertura, e per fargli parlare di ciò che mi interessava, e più in particolare del suo segreto, senza che lui percepisse il mio intento ed il mio oggetto. Ho deciso di vedere chiaro in quest’anima, di coglierla in fallo, e di trarre la verità dal profondo del suo cuore, che lo fosse o no. Ma devo confessare che dal mattino tutti i miei tentativi erano stati sventati: nel momento in cui ho pensato di aver ottenuto qualcosa e di aver raggiunto il mio fine, tutte le mie speranze sono svanite; tutto ciò che pensavo di avere in mano è sfuggito all’improvviso, e una risposta del bambino mi ha rimandato nella mia incertezza. Questa riserva mi appariva così ordinaria in un bambino, dirò in qualsiasi essere umano, che senza fargli alcuna violenza morale, sarebbe stata ripugnante per la mia coscienza, volevo andare il più lontano possibile, e fare qualche ultimo sforzo per conquistarlo con qualcosa, e ottenere il suo segreto di sorpresa. Era il possesso di questo singolare segreto che mi stava particolarmente a cuore. Per sfondare con lui su questo punto, non ho risparmiato nessuna seduzione che mi sembrasse possibile. Dopo molti sforzi e tentativi assolutamente vani, una circostanza mi ha offerto un’opportunità che per un attimo ho pensato potesse avere successo. Avevo portato con me una borsa da viaggio, il cui lucchetto si apriva e si chiudeva con un trucchetto, che non richiedeva l’uso di una chiave. Siccome questo ragazzino è molto curioso, tocca tutto, guarda tutto, e sempre nel modo più puntiglioso, non ha mancato di esaminare la mia borsa da viaggio; e vedendomi aprirla senza chiave, mi ha chiesto come abbia fatto. Gli ho risposto che era un segreto. Mi ha pressato molto urgentemente per rivelarglielo. La parola segreto mi aveva ricordato il suo stesso mistero; e per approfittare della circostanza, gli dissi: « Figlio mio, questo è il mio segreto; tu non sei stato disposto a rivelarmi il tuo e io non ti dirò il mio ». Questo è stato detto per metà sul serio e per metà per scherzo. « Non è la stessa cosa – disse egli subito – perché a me è stato proibito di dire il mio segreto e a te non è stato proibito di dire il tuo ». La risposta era giusta. Mi considerai scoperto; e fingendo di non aver capito perfettamente, gli dissi con lo stesso tono: « Poiché non sei stato disposto a dirmi il tuo segreto, io non ti dirò il mio ». Lui ha insistito; ho fatto quello che potevo per eccitare la sua bramosia e la sua curiosità; ho aperto e chiuso il mio misterioso lucchetto senza che lui potesse capire il mio segreto. Mi spinsi al punto di tenerlo impaziente, smanioso e in attesa, per molte ore. Dieci volte in questo periodo il ragazzino è tornato impetuosamente alla carica. « Molto bene – gli dissi – ma dimmi anche il suo segreto ». A queste parole di tentazione, nel bambino riapparve nel suo carattere religioso, e tutta la sua curiosità sembrò svanire. Qualche tempo dopo, mi fece di nuovo pressione. Gli diedi la stessa risposta, e trovai sempre la stessa resistenza da parte sua. Vedendolo così, gli dissi finalmente: « Ma, figlio mio, visto che vuoi che ti dica il mio segreto, dimmi almeno qualcosa del tuo ». Non ti chiedo di raccontarmelo del tutto, ma dimmi, almeno, quello che puoi dirmi; dimmi, almeno, che sia una buona o cattiva notizia e non mi dirai il tuo segreto ». « Non posso », era l’unica risposta. Solo che, dato che eravamo così amici, ho notato che c’era un’espressione di rammarico nel suo rifiuto. Alla fine mi sono arreso e gli ho rivelato il segreto del mio lucchetto. Era incantato, saltava di gioia, apriva e chiudeva la borsa molte volte. « Vedete – gli dissi – io vi ho detto il mio segreto e voi non mi avete detto il vostro ». È apparso dispiaciuto per questo nuovo attacco, e per il tipo di rimprovero espresso nelle mie parole. Ora ho pensato che non avrei dovuto fare altri tentativi; e sono rimasto convinto, come tutti coloro che conoscono l’indiscrezione umana, e più in particolare quella dei bambini, che questo ragazzino aveva appena vinto una delle tentazioni morali più violente che si possano immaginare. Ben presto, però, ho ripreso la questione con un tono ancora più serio, e gli ho fatto subire un nuovo assalto. È andata così: Gli avevo dato delle foto che avevo scattato in cima alla montagna. Avevo solo un cappello di paglia molto brutto; ne comprai un altro per lui quando tornammo a Corps. Oltre a questo, mi offrii di dargli tutto quello che desiderava; mi chiese una camicetta, gli dissi di andare a comprarne una, che gli costava 48 dollari, e che pagai. Andò a mostrare le foto, la camicetta e il cappello a suo padre, e tornò per dirmi che suo padre era stato molto contento. Mi aveva già parlato con un certo affetto delle disgrazie e dei problemi di suo padre. Approfittai anche della recente morte di sua madre; e sebbene mi rimproverassi interiormente di aver fatto subire al ragazzo tali tentazioni, gli dissi: « Ma, figlio mio, se tu raccontassi solo quello che puoi dire sul tuo segreto, la gente farebbe molto per tuo padre ». Andai ancora più lontano, e gli dissi: « Io stesso – mio caro bambino – potrei procurargli molte cose, e riuscire a far sì che egli viva a casa con te in pace e felicità, senza volere nulla ». Perché sei così ostinato a rifiutarti di dire quello che puoi dire sul tuo segreto, quando questo solleverebbe tuo padre dai suoi problemi e lo consolerebbe? » In verità, la tentazione era forte. Il bambino mi ha creduto pienamente, ed io ero disposto a fare per lui tutto quello che gli avevo promesso. Lo vide chiaramente; ma rispose a tono basso: « No, signore, non posso ». Bisogna riconoscere che se avesse inventato una favola, non sarebbe stato difficile per lui fingere, e raccontarmi un segreto o altro in linea con la sua storia, quando i grandi vantaggi che ne sarebbero derivati sarebbero stati per lui, se me l’avesse raccontata. Non mi considerai però completamente sconfitto; e spinsi la tentazione ancora più in là, forse troppo in là, ma certamente fino al limite massimo. Giudicherete voi stessi, e forse darete la colpa a me. Avevo addosso, per cause accidentali, una grossa somma in oro. Mentre si aggirava per la mia stanza, guardando i miei bagagli e rovistando dappertutto, la mia borsa e quest’oro attirarono la sua attenzione; lo afferrò avidamente, tirò fuori i denari sul tavolo, e cominciò a contarne i pezzi, dividendoli in più lotti; poi si divertì a sistemare e riordinare continuamente questi piccoli cumuli d’oro. Quando l’ho visto così completamente preso dalla vista e dalla manipolazione di questi soldi, ho pensato che fosse giunto il momento di metterlo alla prova, e di mettere alla prova la sua veracità in modo infallibile. Gli dissi in tono amichevole: « Ebbene – figlio mio – tu mi dirai quello che potrai dirmi del tuo segreto, ed io ti darò tutto questo oro a te e a tuo padre. Te lo darei tutto, e subito: e non pensare che io lo voglia, perché non ho più soldi con cui continuare il mio viaggio ». Sono stato testimone di un fenomeno morale molto singolare, e ne sono ancora colpito mentre ve lo racconto. Il bambino era completamente assorbito da quest’oro: si dilettava a guardarlo, a toccarlo e a contarlo. All’improvviso, alle mie parole, si rattristò, abbandonò bruscamente la tavola e la tentazione e mi disse: « Signore, non posso ». Ho insistito: « Eppure c’è un modo per rendere felice tuo padre e te stesso ». Mi rispose ancora una volta: « No, non posso! »; e in un modo e con un tono così fermo, anche se molto semplice, che mi sentii sconfitto. Tuttavia, per non apparire così, aggiunsi, con un tono di scontento, disprezzo e ironia, « Ma forse non racconterai il tuo segreto perché non ne hai da raccontare: è tutto uno scherzo ». Non sembrava offeso da queste parole, ed anzi mi ha risposto in modo vivace: « Oh, ne ho solo uno infatti, ma non posso dirlo ». « Chi te l’ha proibito? » « La Beata Vergine ». Ho rinunciato allora a una gara senza speranza. Sentivo che il bambino aveva più dignità morale di me. Misi, con amicizia e rispetto, la mia mano sulla sua testa, e facendo il segno della croce sulla sua fronte, gli dissi: « Adieu, caro bambino: Spero che la Santa Vergine perdonerà il modo in cui ti ho pressato. Sii fedele per tutta la vita alla grazia che hai ricevuto ». E pochi istanti dopo ci siamo separati, per non rivederci più. – A simili interrogatori ed offerte la bambina ha risposto: « Oh, ne abbiamo abbastanza: non c’è bisogno di essere così ricchi ». Questo è il terzo segno di verità che ho osservato in questi bambini. E ora, cosa pensare di tutto questo? È verità, errore o impostura? Tutto questo non può essere spiegato ragionevolmente se non con una delle quattro seguenti supposizioni:  – 1). O si deve ammettere la verità soprannaturale dell’apparizione, la storia e il segreto dei bambini. Ma questo è molto grave, e porta con sé gravi conseguenze. Se ci dovesse essere un inganno, che un giorno dovesse essere scoperto, praticato da questi bambini o da altri, di quanti cuori religiosi non sarà stata ferita la sincerità? – 2). Oppure sono stati ingannati, e sono ancora vittime di qualche allucinazione. Ma chi ha fatto il viaggio a La Salette, e ha esaminato tutto, non esiterà ad affermare che questa supposizione è assolutamente ridicola e inammissibile. – 3). Oppure i bambini sono gli inventori di questa favola, che hanno imbastito essi stessi, e che sostengono da soli per due anni contro tutti, senza mai contraddirsi. Da parte mia, non posso ammettere neanche per un momento questa terza supposizione. La favola mi sembrerebbe più sorprendente della verità. – 4). O supponiamo, finalmente, che ci sia stato un qualche escamotage, un impostore nascosto dietro ai bambini, e che questi si siano prestati ad interpretare il personaggio che egli ha preparato per loro, e che ogni giorno insegna loro a rinnovare. Senza andare in fondo a questa domanda, come ha fatto M. Rousselot, risponderò solo che tutto ciò che precede ripugna a questa supposizione. L’inventore mi sembrerebbe, allo stesso tempo, molto abile a scegliere come attori e testimoni di un’impostura così straordinaria questi bambini, e molto abile ad insegnare loro come sostenere una tale parte per due anni davanti a due o trecentomila spettatori successivi, osservatori, investigatori, interrogatori di ogni genere, senza che questi bambini non si siano mai impegnati in nulla in nessun momento, senza che nessuno abbia scoperto questo impostore dietro le quinte, senza una sola indiscrezione da parte dei bambini che potesse far sospettare di qualcuno, e senza che nessun segno di frode si sia mai manifestato fino a questo momento. Non c’è nulla, quindi, da sostenere se non la prima supposizione, cioè la verità soprannaturale dell’insieme; che è, peraltro, molto fortemente confermata. 1) Dal carattere che i bambini hanno mantenuto immutato. 2). Dalle risposte, del tutto ben oltre la loro età e capacità, che hanno dato nei diversi interrogatori a cui sono stati sottoposti. 3). Dalla straordinaria fedeltà con cui mantengono il segreto che dicono sia stato loro confidato. Se fossi obbligato a pronunciarmi su questa rivelazione e a dire “sì” o “no”, e dovessi essere giudicato su questo argomento dalla rigorosa sincerità della mia coscienza, direi “sì” piuttosto che “no”. La prudenza umana e cristiana mi costringerebbe a dire “sì” piuttosto che “no”; e non credo di dover temere di essere condannato dal giudizio di Dio come colpevole di imprudenza e di precipitazione. Sempre tuo, DUPANLOUP. Gap, 11 giugno 1848. – La lettera che è stata appena consegnata è forse la prova più conclusiva che sia apparsa sul tema dell’Apparizione. Fu scritta da un personaggio noto in tutta la Francia per la sua grande capacità e sobrietà di giudizio, che si recò sul posto deciso a mettere alla prova la storia semplicemente secondo le regole della prudenza umana, con pregiudizi nei confronti dei bambini, che rimasero indifferenti, e con la volontà di formarsi un’opinione unicamente da ciò che egli stesso avrebbe potuto vedere e sentire. Egli afferma il suo credo senza alcun tipo di entusiasmo; ed è stato attento ad usare, nel dare il suo giudizio, i termini più sobri. –

[2. – Continua]

https://www.exsurgatdeus.org/2020/03/26/apparizione-a-la-salette-1846-iii/

SALMI BIBLICI: “CREDIDI, PROPTER QUOD LOCUTUS SUM” (CXV)

SALMO 115: “CREDIDI, propter quod locutus sum”

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS.

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

[Canonico titolare della Chiesa di Soissons, Professore emerito di Scrittura santa e sacra Eloquenza]

TOME TROISIÈME (III)

PARIS – LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR 13, RUE DELAMMIE, 1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

Salmo 115

Alleluja.

[1]  Credidi, propter quod locutus sum;

ego autem humiliatus sum nimis.

[2] Ego dixi in excessu meo: Omnis homo mendax.

[3] Quid retribuam Domino pro omnibus quæ retribuit mihi?

[4] Calicem salutaris accipiam, et nomen Domini invocabo.

[5] Vota mea Domino reddam coram omni populo ejus.

[6] Pretiosa in conspectu Domini mors sanctorum ejus.

[7] O Domine, quia ego servus tuus; ego servus tuus, et filius ancillæ tuæ. Dirupisti vincula mea:

[8] tibi sacrificabo hostiam laudis, et nomen Domini invocabo.

[9] Vota mea Domino reddam in conspectu omnis populi ejus;

[10] in atriis domus Domini, in medio tui, Jerusalem.

[Vecchio Testamento Secondo la Volgata Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

SALMO CXV.

Ringraziamento a Dio per la vita eterna, che Il profeta, in isperanza, già cominciò a posseder. Gli Ebrei perciò fanno di questo un Salmo solo con il precedente, che è sospiro della vita eterna. Rende grazie a Dio della sua liberazione . Conviene ai Martiri di Cristo.

Alleluja: Lodate Dio.

1. Credetti: per questo parlai; ma io fui umiliato oltremodo.

2. lo dissi nella mia perturbazione: tutti gli uomini son mendaci.

3. Che renderò io al Signore per tutte le cose che egli ha date a me?

4. Prenderò il calice di salute, e invocherò il nome del Signore. (1)

5. I voti da me fatti al Signore scioglierò alla presenza di tutto il suo popolo:

6. preziosa nel cospetto del Signore è la morte dei santi suoi. (2)

7. Perché io, o Signore son tuo servo; io tuo servo, e figliuolo di tua ancella. (3)

8. Tu hai spezzate le mie ritorte: a te sacrificherò ostia di lode, e invocherò il nome del Signore.

9. Scioglierò i voti fatti da me al Signore alla presenza di tutto il suo popolo,

10. nell’atrio della casa del Signore, in mezzo a te, o Gerusalemme.

(1) Il Profeta fa qui allusione alla coppa ove era il vino che nella oblazione accompagnava i sacrifici di azioni di grazie, ove al calice che si chiamava il calice di azioni di grazie, che il padre di famiglia prendeva e faceva passare in circolo durante i pasti che si tenevano in seguito all’oblazione dei sacrifici di azioni di grazie e dal quale si beveva per onorare e lodare Dio.

(2) La morte dei santi è cosa preziosa agli occhi del Signore, cioè, secondo il senso adottato da diversi interpreti, Egli non abbandona la loro vita alla mercé dei malvagi, perché noi non diamo facilmente ciò che è prezioso ai nostri occhi

(3) «  Io sono Vostro servitor e figlio della vostra serva. » Tutti i Giudei si glorificavano di essere figli di Abramo  (Giov. VIII, 33, 37, 39). Io sono il vostro servo, ancor più io sono nella vostra casa, e di una madre già vostra serva ella stessa; di conseguenza la vostra schiava ha una perpetuità come i figli degli schiavi che erano nati nella casa erano in perpetuo schiavi del loro padrone.

Sommario analitico

Il Salmista parla qui a nome di Dio prorompendo in un canto di riconoscenza, e promette di adempiere ai voti che ha fatto, durante l’esilio, al Dio che ha spezzato i suoi legami, ed offrirgli solennemente in Gerusalemme dei sacrifici di lode. In un senso più elevato, e secondo il sentimento più autorizzato e più probabile, parla anche a nome dei martiri perseguitati per la causa di Dio, e fa vedere:

I. – La loro fede prima del combattimento

1° La forza con la quale essi fanno professione di fede; 2° l’umiltà che fa loro accettare tutti gli oltraggi per la causa della fede (1);

3° Il dono della contemplazione che li eleva ai di sopra di tutte le cose della terra, e dà loro una conoscenza perfetta della vanità degli uomini (2).

II. – La loro costanza in mezzo al combattimento che:

1° Ha come fondamento il desiderio di rispondere ai benefici di Dio (3);

2° Scoppia nell’ardore che essi testimoniano nel bere il calice delle loro sofferenze (4);

3° Si appoggia sull’invocazione del Nome di Gesù in mezzo ai tormenti, e non sulla loro forza (4);

4° Promette di compiere i voti fatti a Dio (5).

5° Stima gloriosa la morte sofferta per il nome di Gesù-Cristo (6);

III. – La loro riconoscenza dopo il combattimento

1° Essi proclamano che Dio è loro Signore, offrendogli il loro sacrificio di lode, ed invocandone frequentemente il Nome (7,8);

2° Essi compiono le promesse che hanno fatto: – a) in presenza di tutto il popolo; – b) nel sagrato della casa di Dio; – c) in mezzo alla celeste Gerusalemme (9, 10).

Spiegazioni e Considerazioni

I. — 1, 2.

ff. 1, 2. – Il fuoco che avvolge un cuore non può restarvi rinchiuso per molto tempo; bisogna che faccia irruzione all’esterno e spanda le sue fiamme su ciò che lo circonda. Così, vedete la fede del Profeta, parlando a nome dei martiri; è un fuoco brillante che sfugge dal cuore con queste parole. « Io ho creduto, perciò ho parlato. » Cosa vogliono dire queste parole: « Io ho creduto, perciò ho parlato? » Il salmista  non aveva ancora detto nulla, ma ha fatto allusione al linguaggio interiore che aveva rivolto a se stesso, e che può tradursi così: Ricordando in me le calamità e gli infortuni dei giudei, questa intera distruzione e questo annientamento senza ritorno della loro nazione, lontano dal disperare il vedere per essi giorni migliori, io ne ho fatto l’oggetto delle mie speranze, e le ho annunziate, ne ho parlato pubblicamente, ne ho parlato sotto ispirazione della fede (S. Chrys.). – « Io ho veduto, perciò ho parlato. » Ecco la fede perfetta, perché non hanno una fede perfetta coloro che rifiutano di professare ciò in cui credono. E Davide non dice solamente: « Io ho creduto ed io ho parlato », ma dichiara che ha parlato perché ha creduto. (S. Agost.). – Necessità di professare esternamente la fede che abbiamo nel cuore: « bisogna credere con il cuore per ottenere la giustizia, e confessare con la bocca per ottenere la virtù. » (Rom. X, 10). « Giudicate se sia giusto davanti a Dio obbedire a voi piuttosto che a Dio (Act. X, 20). – Coloro che non professano la verità che credono, sono pure colpevoli e degni di riprovazione, come coloro che non credono la verità che hanno sulle labbra (S. Agost., S. Prosp.). – « Io ho creduto, ecco perché ho parlato. » Cosa ha creduto? La verità che ha enunciato nel versetto precedente (nell’ebraico, questo salmo è congiunto al precedente, cosa che si accorda molto bene con il suo soggetto). « Sarò gradito al Signore nella regione dei viventi. » Ecco ciò che ho creduto e che ho professato altamente. « Ma per me, io sono stato nella più profonda umiliazione. » O intelligenza profonda della divina parola! Io ho creduto – egli dice – che sarò gradito al Signore, che diventerò un angelo, che abiterò i cieli, che non mi sia mai inorgoglito; io non mi sono elevato, ma sono stato profondamente umiliato; perché se io entro nella regione dei viventi, è alla misericordia di Dio che sarò riconoscente. Per me, io mi ritengo essere terra e cenere … Io so che, secondo la condizione del mio corpo mortale, non sono niente; non c’è nessuna verità nella sostanza del mio corpo, non è se non come ombra e menzogna. (S. Gerol.) – « Io ho creduto, ed è per questo che ho parlato ». Spesso non c’è bisogno che di una parola ad un uomo al quale la reputazione, l’erudizione, il genio, la posizione, il carattere dà un certo credito nel mondo, per mantenere o per fortificare la fede e la religione negli spiriti prevenuti in suo favore e disposti ad ascoltarlo. È ciò che aveva così ben compreso il Profeta reale, e che noi stessi dobbiamo concludere, dicendo come lui: « Io ho creduto e non mi sono fermato là. » Io non ho cercato di dissimulare i miei sentimenti, né la mia credenza; io non ho avuto paura di esserne stato istruito e di aver conosciuto; ma nella persuasione che ne ho avuto e nella quale ancora sono, io devo questo omaggio alla verità e questa riconoscenza ai benefici del Maestro che me l’ha rivelato, io ne sono più esplicito nei miei discorsi e nella mia condotta (Bourd., Zèle pour l’honneur de la Rel.). Il salmo precedente comincia con « Io ho amato », e questo con: « Io ho Creduto »; il precedente con una ferma speranza di essere esaudito in conseguenza dell’amore, e questo con una confessione autentica della verità, come conseguenza della fede. Ecco tutta la religione. Sembrava essere sorprendente che il primo pensiero fosse l’amore, ma questo ci insegna una grande verità (spesso riprodotta in San Agostino), che il cuore non va mai verso la vera fede se non quando non sia inclinato dalla grazia, la quale tende sempre all’amore. (Berthier). – « Quanto a me, io sono stato umiliato all’eccesso. » In effetti egli ha sofferto numerose afflizioni a causa della parola di Dio che osservava fedelmente e che dispensava fedelmente, ed è stato oberato di umiliazioni, prove che temevano coloro che hanno preferito la gloria che viene dall’uomo alla gloria che viene da Dio. E cosa significano queste parole: « … Quanto a me? » se non che un uomo può essere ben umiliato da coloro che contraddicono la verità, ma non la verità che egli crede e che proclama? È quanto faceva dire all’Apostolo parlando delle sue catene: « Ma la parola di Dio non può essere incatenata. » (II Tim. II, 9). – Ugualmente il Profeta, figura dei santi testimoni, cioè dei martiri di Dio, ha detto: « Io ho creduto, ecco perché ho parlato, e quanto a me, io sono stato umiliato all’eccesso; ma ciò a cui ho creduto, la parola che ho predicato, non è stata umiliata. » – « Ed io ho detto nella mia estasi: » Egli chiama estasi lo spavento che avverte la debolezza umana alle minacce dei persecutori ed all’avvicinarsi delle sofferenze he causano i supplizi o la morte. (S. Agost.). – Io ho detto nel turbamento del mio spirito, nell’eccesso del mio dolore, nell’estremo del mio infortunio: « Ogni uomo è mendace. » Tale è in effetti la potenza della fede; essa è come un’ancora sacra che sostiene l’anima che vi si attacca, e questa potenza appare soprattutto quando in mezzo alle prove più difficili della vita, persuade colui che riceve le sue ispirazioni ad aspettare il compimento delle magnifiche speranze che essa gli dona, respingendo i ragionamenti umani che non possono che disturbarla.(S. Chrys.). – Ebbene il Profeta è rapito in estasi, per levarsi alla conoscenza della regione dei viventi, e questo è un pensiero da comparare con le grandezze di questa regione beata che gli avrebbe strappato questa confessione: tutto ciò che gli uomini raccontano della felicità umana non è che menzogna. Trasportato dal Signore nelle sfere elevate dello spirito in cui mi sono ritirato, e vedendo quanto sono falsi e mendaci i beni che gli uomini considerano solidi ed inalterabili, io ho detto: « ogni uomo che parla di felicità con umana compiacenza, e fa gran conto dei beni mortali e deperibili, è mendace. » (Euthym.). – Tutto è verità in Dio, tutto è menzogna nell’uomo! Egli inganna gli altri con la sua vita, le sue azioni, le sue parole; inganna se stesso con l’erranza dei suoi pensieri, la falsità dei suoi giudizi, e la sregolatezza dei suoi desideri. Egli sembra volere ingannare Dio con la sua ipocrisia, ma inganna se stesso; e così è mendace davanti a Dio e davanti agi uomini (Duguet). – Gli antichi dicevano: « L’errare è dell’uomo; » « … errare humanum est; » ed il salmista ha detto meno tristemente: « ogni uomo è mendace. » Anche quando è sincero, il maestro umano non cessa dall’essere ingannato dalla propria scienza. Egli sa l’indomani ciò che ignorava al la veglia; egli si riprende, si corregge, è tutto il progresso dell’uomo e tutto il cammino della scienza. (PerreyveEntret. sur l’Egl. Cath.). – È dunque vero che ogni uomo è mendace; ma d’altra parte questa parola è egualmente vera: « Io ho detto: voi siete tutti dei e figli dell’Altissimo. » Dio consola gli umili e li riempie non solo di fede per credere la verità, ma ancora di coraggio per la confessione, visto che perseverano nella loro sottomissione verso Dio, e che non imitano il demonio, uno dei principi del cielo, che non si è tenuto fermo nella verità, e che è caduto. Se in effetti, ogni uomo è mendace, essi cesseranno di essere mendaci quando cesseranno di essere uomini, perché saranno dei e figli dell’Altissimo. (S. Agost.). – Finché siamo uomini, noi siamo mendaci; quando diventiamo degli dei, cessiamo di mentire. Con la contemplazione delle cose divine, ci trasformiamo in dei; la nostra intelligenza si eleva all’altezza delle cose che essa contempla. Diventate santi e diventate Dio, per così dire, ed una volta che partecipate della natura divina, cessate di essere uomini e di essere mendaci (S. Gerol.).

II. – 3-6.

ff. 3-6. – Il Re-Profeta fa uscire il prezzo del beneficio, non solo dalla sua grandezza naturale, ma dall’indegnità di colui che lo riceve.  È in altri termini, la stessa verità che esprime in un altro salmo, quando dice: « Che cos’è l’uomo perché vi ricordiate di lui, ed il figlio dell’uomo perché vi degniate di visitarlo? » (Ps. VIII, 5). Ciò che raddoppia in effetti il prezzo dei benefici, è il loro valore intrinseco, ed il niente di colui che li riceve, e questa circostanza che ingrandisce il beneficio, deve aumentare anche la riconoscenza. Cosa renderò al Signore, « … che ha scelto l’uomo che non è che menzogna, misero e niente, per colmarlo di così gradi benefici? » (S. Chrys.). – Il salmista non dice: per tutto ciò che mi ha dato, ma: « Per tutto ciò che mi ha reso. » In cosa dunque l’uomo ha prevenuto Dio, perché si possano chiamare i benefici di Dio, non una donazione, ma una retribuzione? Cos’è dunque che ha prevenuto i benefici di Dio, da parte dell’uomo, se non il peccato? Dio ha dunque reso il bene per il male, Egli al quale gli uomini rendono il male per il bene. (S. Agost.). – Cosa render che sia degno del Signore per tanti benefici? Tutto ciò che potrò dargli mi viene da Lui, e gli restituisco dei beni piuttosto che donarglieli. Io non ho nulla che possa rendergli, se non spandere il mio sangue per Lui, essere martire per la sua gloria. È la sola cosa che possa offrirvi di degno, … darvi il mio sangue in cambio del sangue che Voi avete versato. Noi che siamo stati liberati, riscattati dal nostro Salvatore, siamo pronti a versare il nostro sangue per Lui … « Io prenderò il calice di salvezza ed invocherò il nome del Signore. » Nell’ebraico c’è: io prenderò il calice di Gesù, vale a dire del Salvatore. Qual è questo calice di Gesù? « Padre mio, se è possibile, che passi da me questo calice. » (Matth., XX). Ed ancora: « Potete voi bere questo calice? » per farci comprendere che il calice della sua passione è il martirio. È una gran cosa il martirio. Come è una gran cosa? Perché l’uomo vi rende a Dio ciò che ha ricevuto da Lui: Gesù-Cristo ha sofferto per lui, ed egli soffre per il Nome di Gesù-Cristo … Ma cosa c’è qui di simile? Un Dio ha sofferto per gli uomini, il Signore per i servi, il Giusto per i peccatori. Dov’è qui la similitudine? Ma siccome il servitore è qui nell’impotenza di rendere altra cosa al suo Signore, Dio, pieno di clemenza e di condiscendenza, riceve il martire come cosa uguale a ciò che Egli ha donato … Ma questo calice del martirio non dipende dalle mie forze; solo la grazia di Dio può rendermi capace di berlo. Io non posso dunque berlo se non dopo avere invocato il Nome del Signore, è Gesù che trionfa, è Gesù che viene coronato nel suo martirio. (S. Girol.). – Colui che parla in questo Salmo cerca dunque ciò che può rendere al Signore e non trova niente se non qualcosa che il Signore stesso gli abbia reso. « Io riceverò – egli dice – il calice di salvezza, ed invocherò il Nome del Signore. » O uomo, mendace per il tuo peccato, veridico per la grazia di Dio, elevato da questa stessa grazia al di sopra dell’uomo, chi ti ha dato il calice di salvezza che tu puoi, dopo averlo ricevuto ed invocando il suo Nome santo, rendergli per tutti i beni che Egli stesso ti ha reso? Chi? Se non Colui che ha detto: « Potete bere il calice che Io berrò? » (Matth. XX, 22); chi ti ha dato la forza di imitare le sue sofferenze se non Colui che per primo ha sofferto per te? (S. Agost.). – Il Profeta era già in quel tempo e prima della nascita del Messia, un vero Cristiano; tutti i sentimenti erano concordi ai principi del Cristianesimo, e benché non avesse sotto gli occhi la croce di Gesù-Cristo, l’abbracciava già con i suoi desideri, vi si attaccava con la fede che aveva nel Redentore (Berthier). – Siccome il martirio non è un atto che viene dall’uomo, dalla sua virtù, dalla sua forza personale, il Profeta aggiunge: « Ed invocherò il Nome del Signore, » affinché mi dia la grazia di berlo coraggiosamente (S. Gerol.). –  La Chiesa mette queste belle e calorose parole sulla bocca del Sacerdote che sta per consacrare e consumare l’ostia divina; essa le mette anche sulla bocca del fedele che sta per ricevere il Corpo e Sangue di Gesù-Cristo. In questi felici momenti in cui l’anima riceve Gesù-Cristo e si dà a Lui, essa si sente disposta a fare tutto, a soffrire tutto per piacergli e compiere la sua santa volontà, che è che quella che essa esprima ripetendo in quel momento questa nobile dichiarazione. (Rendu). – Questo sacrificio di lode e di azioni di grazie, il Profeta è disposto ad offrirla non in luogo segreto e ritirato, ma pubblicamente, alla vista di tutti, in presenza di tutto il suo popolo, ed anche di fronte ai suoi nemici, dovendo essere la morte il prezzo del suo coraggio, « perché la morte dei Santi è preziosa agli occhi del Signore; » Vale a dire che Dio attribuisce il valore più alto alla morte dei Santi, ricevuti per la gloria e la confessione del suo Nome sacro, come presso gli uomini si stimano le pietre preziose che ornano il diadema dei re, e di cui nulla saprebbe eguagliare il valore (Bellarm.). La morte dei suoi giusti è brillata tra i gioielli più preziosi della sua corona; Egli la considera come la più ricca di tesori che possiede per il diritto del suo amore creatore (Faber., Le Créât, et la créât.). la morte dei suoi giusti è brillata tra i gioielli più preziosi della sua corona; questa morte dei Santi è preziosa davanti a Dio, perché Egli l’ha riscattata con il prezzo del suo sangue, che ha versato prima per la salvezza dei suoi servi, affinché i suoi servi non esitassero a versare il proprio sangue per il Nome del loro Padrone, benché l’utilità della loro morte fosse per se stessi e non per il Signore (S. Agost.). Cosa c’è di più prezioso di una morte che procura questo inestimabile vantaggio che tutti i peccati siano rimessi ed i meriti portati al loro grado più alto (S. Agost., De civit. Dei, c. VII.). – Ciò che rende preziosa davanti a Dio la morte dei Santi, è talvolta la vita, talvolta la causa della morte, altre volte le due cose insieme. Nei confessori che muoiono nel Signore, è la loro vita che rende la loro morte preziosa; nei martiri che muoiono per il Signore, ne è talvolta causa la sola loro morte; talvolta e più spesso ne sono causa e la loro morte ed il merito della loro vita. La morte preceduta, preparata dal merito di una vita santa, è preziosa; più preziosa, la morte sofferta per la causa della fede; ben più preziosa, infine, la morte in cui queste due cause di merito si trovano riunite. (S. BERN. Serm. XXIV ex parv.). « La morte dei giusti è preziosa davanti a Dio. » Questa morte beata arriva in sua presenza: Egli vi presiede con la sua grazia, con i suoi Sacramenti, con le consolazioni che effonde nella loro anima; Egli non risparmia loro i dolori, inseparabili da ogni vita umana che stia per finire; è necessario che ciò che è successo a Gesù-Cristo, accada a loro, che sentano il peso della loro mortalità. Ma questo momento è breve, queste tribolazioni leggera a paragone dell’immensa felicità che è loro riservata (Berthier).

III. — 7-10.

ff. 7-10. –  « Voi avete spezzato le mie catene, Signore, » diceva Davide nei primi momenti della sua liberazione; così, nell’eccesso della gioia e del santo piacere che mi trasporta, il vostro calice non ha più nulla di amaro per me; i doveri più penosi della vostra legge santa, lungi dal sembrarmi onerosi, costituiscono tutta la mia consolazione e le mie delizie più care: « Io prenderò il calice della salvezza. » I discorsi degli uomini invece di abbattere la mia risoluzione, animano la mia fede, e non mi sembrano che discorsi vani e puerili. O Signore, quanto è consolante essere nel numero dei vostri servi, e come mi sembra essere più glorioso contare tra i miei ancestri una sola anima che abbia attrattiva per voi, che una lunga sequela di principi e di conquistatori: « Io sono vostro servo e figlio della vostra serva. » (MASSILL., sur l’inconst., etc.). – Bisogna essere, dice S. Agostino, non solo servi di Dio, ma i figli della serva di Dio, cioè la Chiesa, fuori della quale si invoca invano il Nome di Dio, e si soffre anche invano il martirio. – L’uomo è legato da quattro catene che Dio solo può rompere: quella del proprio corpo, da cui San Paolo desiderava sì ardentemente essere liberato; quella del peccato al quale, secondo lo stesso Apostolo, si obbedisce per la morte; quella della concupiscenza, che faceva gemere sì amaramente questo grande Apostolo; infine quella della tomba, che il profeta chiama i lacci dell’inferno. Dio rompe la prima di queste catene, e nessuno ha il potere, né il diritto di accelerare o ritardare il momento della sua liberazione. Gesù-Cristo ha rotto la seconda facendosi vittima del peccato; non si tratta dunque che di raccogliere i frutti di questo grande sacrificio. La terza non si rompe interamente se non al momento della morte, ma la grazia di Gesù-Cristo diminuisce il peso per l’anima fedele che lo invoca con fiducia. L’ultima non si romperà che nel giorno della resurrezione generale, e sarà l’effetto della onnipotenza di Colui che dà la morte e che vivifica. (Berthier). – Questo sacrificio di lode è comune sia ai martiri che ad ogni anima consacrata a Dio. I martiri lodano il Signore: così i religiosi e le anime consacrate a Dio, che cantano notte e giorno le lodi del Signore. Devono avere la stessa purezza, perché sono anche martiri in un senso vero; ciò che gli Angeli fanno nel cielo, i martiri lo fanno sulla terra (S. Gerol.). – L’obbligo di acquistarsi dei voti che si sono fatti, è qui ripetuto per farne vedere l’importanza, principalmente quando si sia ricevuto da Dio qualche favore o che si sia ottenuto ciò che gli si domandava. Occorre farlo davanti al mondo, particolarmente quando si è obbligati a dare il buon esempio, e farlo nella Chiesa Cattolica, che è la casa del Signore. – Noi abbiamo un Padre che è Dio, abbiamo una madre che è la Chiesa; l’uno e l’altra sono eterni, ed è per questo che ci hanno generato alla vita che non ha fine. (S. Agost.). – Colui che mangia l’agnello fuori dalla casa di cui Pietro è il fondamento, non può essere che un  profano; egli si perderà come tutti coloro che non furono nell’arca di Noè durate il diluvio (S. Gerol.). – Coloro che compiono questi doveri fuori dalla Chiesa Cattolica non compiono niente; gli eretici possono essere uccisi, ma non saranno mai coronati; la loro morte non è la corona della fede, ma il castigo della perfidia. (S. CIPRIANO, de Unit. Eccl.). – Quando Davide diceva: io offrirò i miei voti al Signore, ma li offrirò in presenza di tutto il suo popolo, nella cinta del suo tempio, in mezzo a Gerusalemme, pretendeva fare qualcosa di più grande grande di quanto avrebbe potuto formare nel segreto del suo cuore. Ed in effetti, un voto solenne è ben diverso da un voto particolare in segreto, perché la Chiesa accetta l’uno e non accetta l’altro, ratifica l’uno e non ratifica l’altro, obbliga se stessa nell’uno e non si obbliga nell’altro, circostanze ben rimarchevoli in materia di voto.  (BOURD., Alliance de l’âme relig. avec Dieu.)

UN’ENCICLICA AL GIORNO, TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO: S. S. PIO X – “TRIBUS CIRCITER”

Questa lettera enciclica di S. S. Pio X, DEL 1906, affronta il tema spinoso, per l’epoca, dei cosiddetti “mariaviti”, sacerdoti polacchi seguaci di una presunta mistica che, promuovendo un culto apparentemente cattolico, minava la sacra costituzione apostolica della Chiesa incitando alla separazione dai legittimi pastori e addirittura dalla Sede Apostolica. La vicenda andò avanti con alterne vicende, finché il Santo Padre si vide costretto ad assumere una posizione di intransigenza verso i ribelli alle legittime Autorità divinamente istituite. Quanta differenza con i comportamenti degli attuali usurpanti che, sotto un finto ed indulgete buonismo lasciano pseudo-sacerdoti ed ingannati fedeli alla mercé di lupi rapaci, falsi mistici propagatori di ancor più false rivelazioni sacrileghe, tutte a favore però – guarda caso – del modernismo della ovviamente falsa chiesa dell’anticristo o sinagoga di satana attualmente insediata nei sacri palazzi ed usurpante le diocesi di tutto l’orbe, con i risultati di scristianizzazione che tutti possiamo facilmente osservare. Qui viene ribadito il ruolo essenziale dei Vescovi nell’edificio ecclesiale, il cui fondamento portante, la pietra fondante, è il Santo Padre, il Vicario di Cristo, successore senza soluzioni di continuità del Beato Pietro, Principe degli Apostoli, la cui adesione dottrinale al Magistero ordinario universale, e l’indiscussa sottomissione disciplinare è condizione “sine qua non” e garanzia di salvezza eterna dell’anima. Ma attenzione, aderire scientemente, o pure con falsa o dubbia coscienza ad un illegittimo Vescovo di Roma, come ci ha avvertito fin da quando la Chiesa ha mosso i primi passi alla conquista del mondo, San Cipriano, significa essere fuori dalla Chiesa Cattolica e quindi – senza scampo – fuori dalla via della salvezza. Ma torniamo al nostro documento apostolico, redatto in inglese, e facciamone tesoro, come per tutto il Magistero pontificio:

TRIBUS CIRCITER

ENCICLICA DI PAPA PIUS X

SUI MARIAVITI O SACERDOTI MISTICI DELLA POLONIA

AI NOSTRI VENERABILI FRATELLI, GLI ARCIVESCOVI DI VARSAVIA E I VESCOVI DI PLOTSK E DI LUBLINO

Venerabili Fratelli, Salute e Benedizione Apostolica.

Circa tre anni fa questa Sede Apostolica è stata debitamente informata che alcuni sacerdoti, soprattutto tra il clero minore delle vostre diocesi, avevano fondato, senza il permesso dei loro legittimi Superiori, una sorta di società pseudo-monastica, nota come i Mariaviti o Sacerdoti mistici, i cui membri, a poco a poco, si sono allontanati dalla retta strada e dall’obbedienza che devono ai Vescovi “che lo Spirito Santo ha posto al governo della Chiesa di Dio”, e si sono vanificati nei loro pensieri.

2. Ad una certa donna, che essi hanno proclamato « santissima, meravigliosamente dotata di doni celesti, divinamente illuminata su molte cose, e provvidenzialmente donata per la salvezza di un mondo che sta per perire », non hanno esitato ad affidarsi senza riserve, e ad obbedire ad ogni suo desiderio.

3. Basandosi su un presunto mandato di Dio, si sono posti l’obiettivo di promuovere senza discriminazioni e di propria iniziativa tra la gente, numerosi esercizi di pietà (altamente lodevoli se giustamente eseguiti), specialmente l’adorazione del Santissimo Sacramento e la pratica della Comunione frequente; ma allo stesso tempo hanno mosso le più gravi accuse contro tutti i Sacerdoti e i Vescovi che si sono avventurati ad esprimere qualche dubbio sulla santità e l’elezione divina della donna, o hanno manifestato una qualche ostilità alla società dei Mariaviti. Un tale passaparola ha fatto sì che ci fosse motivo di temere che molti fedeli, nella loro illusione, stessero per abbandonare i loro legittimi pastori.

4. Così, su consiglio dei nostri venerati fratelli, i Cardinali dell’Inquisizione generale, abbiamo fatto emettere, come sapete, un decreto, in data 4 settembre 1904, che sopprimeva la suddetta società di sacerdoti e ordinava loro di interrompere assolutamente ogni rapporto con questa donna. Ma i sacerdoti in questione, nonostante avessero firmato un documento che esprimeva la loro sottomissione all’autorità dei loro Vescovi e che, come dicono di aver fatto, interrompevano in parte i loro rapporti con la donna, non riuscivano comunque ad abbandonare l’impegno e a rinunciare sinceramente all’associazione condannata. Non solo ne condannarono poi le esortazioni e le inibizioni, non solo molti di loro firmarono dichiarazioni audaci in cui rifiutavano la comunione con i loro Vescovi, non solo in più di un luogo incitavano gli illusi a scacciare i loro legittimi pastori, ma, come nemici della Chiesa, affermarono che essa è caduta dalla verità e dalla giustizia, e quindi è stata abbandonata dallo Spirito Santo, e che solo a loro, i sacerdoti mariaviti, è stato dato divinamente l’incarico di istruire i fedeli alla vera pietà.

5. Né questo è tutto. Qualche settimana fa due di questi sacerdoti sono venuti a Roma: Romanus Prochniewsky e Joannes Kowalski, quest’ultimo riconosciuto, in virtù di una sorta di delegazione della donna citata, come loro superiore da tutti i membri della Società. Entrambi, in una petizione da loro scritta, come asseriscono, per espresso ordine di Nostro Signore Gesù Cristo, chiedono al Supremo Pastore della Chiesa, o alla Congregazione del Sant’Uffizio a suo nome, di emettere un documento concepito in questi termini: « Che Maria Francesca (la donna sopra menzionata) è stata resa santissima da Dio, che è la madre di misericordia per tutti gli uomini chiamati ed eletti alla salvezza da Dio in questi giorni; e che tutti i sacerdoti Mariaviti sono incaricati da Dio di promuovere in tutto il mondo la devozione al Santissimo Sacramento e alla Beata Vergine Maria del Perpetuo Soccorso, libera da ogni restrizione della legge o del costume ecclesiastico o umano, e da ogni potere ecclesiastico e umano. . . »

6. Da queste parole eravamo disposti a credere che i sacerdoti in questione fossero accecati non tanto dall’orgoglio consapevole, quanto dall’ignoranza e dall’illusione, come quei falsi profeti di cui Ezechiele scrive: « Vedono cose vane e preannunciano menzogne, dicendo: Il Signore dice: “Il Signore non li ha mandati, mentre il Signore non li ha mandati”. Non avete visto una visione vana e pronunciato una divinazione menzognera: e voi dite: Il Signore dice: “Il Signore dice: mentre io non ho parlato” » (Ezechiele XIII. 6, 7). Li abbiamo dunque accolti con pietà, li abbiamo esortati a mettere da parte gli inganni della vana rivelazione, a sottomettere se stessi e le loro opere alla salutare autorità dei loro Superiori, e ad affrettare il ritorno dei fedeli di Cristo sulla via sicura dell’obbedienza e della riverenza verso i loro pastori; e infine a lasciare alla vigilanza della Santa Sede e delle altre Autorità competenti il compito di confermare quelle pie consuetudini che possono sembrare più adatte per il pieno incremento della vita cristiana, in molte parrocchie della vostra diocesi, e allo stesso tempo ammonire i sacerdoti che sono stati giudicati colpevoli di parlare in modo abusivo o sprezzante di pratiche ed esercizi devoti approvati dalla Chiesa. E ci consolava vedere i due sacerdoti, commossi dalla Nostra paterna bontà, gettarsi ai Nostri piedi ed esprimere la loro ferma volontà di realizzare i Nostri desideri con la devozione dei figli. Hanno poi fatto sì che ci venisse trasmessa una dichiarazione scritta che accresceva la Nostra speranza che questi figli ingannati abbandonassero sinceramente le illusioni del passato e tornassero sulla retta strada:

7. « Noi (queste sono le loro parole), sempre pronti a compiere la volontà di Dio, che ora ci è stata resa così chiara dal suo Vicario, revochiamo con grande sincerità e gioia la nostra lettera, che abbiamo inviato il 1° febbraio di quest’anno all’Arcivescovo di Varsavia, e nella quale dichiariamo di esserci separati da lui. Inoltre, professiamo con grande sincerità e gioia che desideriamo essere sempre uniti con i nostri Vescovi, e specialmente con l’Arcivescovo di Varsavia, per quanto Vostra Santità ci ordinerà di fare. Inoltre, poiché ora agiamo in nome di tutti i Mariaviti, facciamo questa professione di tutta la nostra obbedienza e sottomissione in nome non solo di tutti i Mariaviti, ma di tutti gli Adoratori del Santissimo Sacramento. Facciamo questa professione in modo speciale a nome dei Mariaviti di Plotsk che, per la stessa causa dei Mariaviti di Varsavia, hanno consegnato al loro Vescovo una dichiarazione di separazione da lui. Perciò tutti noi, senza eccezione, ci prostriamo ai piedi di Vostra Santità, professando sempre di nuovo il nostro amore e la nostra obbedienza alla Santa Sede, e in modo speciale a Vostra Santità, chiediamo umilmente perdono per ogni dolore che abbiamo causato al Vostro cuore paterno. Infine, dichiariamo che ci metteremo subito al lavoro con tutte le nostre energie per ristabilire immediatamente la pace tra il popolo e i suoi Vescovi. Possiamo affermare che questa pace sarà veramente ristabilita molto presto ».

8. E’ stato quindi di grande piacere molto per Noi il poter credere che questi nostri figli, così graziati, al loro ritorno in Polonia, avesseero subito dato attuazione alle loro promesse, e per questo ci siamo affrettati a consigliare a voi, Venerabili Fratelli, di accogliere loro e i loro compagni, ora che hanno professato tutta l’obbedienza alla vostra autorità, con eguale misericordia, e di ristabilirli legalmente, se i loro atti corrispondevano alle loro promesse, alle loro facoltà per l’esercizio delle loro funzioni sacerdotali.  – Ma gli eventi hanno ingannato le Nostre speranze, perché abbiamo appreso da recenti documenti che essi hanno di nuovo aperto le loro menti a rivelazioni false, e che dal loro ritorno in Polonia, non solo non hanno ancora mostrato a voi, Venerabili Fratelli, il rispetto e l’obbedienza che avevano promesso, ma che hanno scritto ai loro compagni una lettera del tutto contraria alla verità e all’obbedienza genuina.

9. Ma la loro professione di fedeltà al Vicario di Cristo è vana in coloro che, di fatto, non cessano di violare l’autorità dei loro Vescovi. Infatti « la parte di gran lunga più augusta della Chiesa è costituita dai Vescovi (come scriveva il Nostro Predecessore Leone XIII di santa memoria nella sua lettera del 17 dicembre 1888 all’Arcivescovo), in quanto questa parte, per diritto divino, insegna e governa gli uomini; quindi, chi resiste o rifiuta loro pertinentemente l’obbedienza, si separa distingue dalla Chiesa. D’altra parte, giudicare o rimproverare gli atti dei Vescovi non appartiene affatto ai privati – cosa che compete per giurisdizione solo a quelli più alti in autorità e soprattutto al Sovrano Pontefice, perché a lui Cristo ha affidato l’incarico di nutrire non solo i suoi agnelli, ma anche le sue pecore di tutto il mondo. Al massimo, in questioni di grave lamentela, è consentito riferire l’intero caso al Romano Pontefice, e questo con prudenza e moderazione, come richiede lo zelo per il bene comune, non con clamore o fraudolentemente, perché in questo modo si allevano, o certamente aumentano, i dissensi e le ostilità.

10. Oziosa e ingannevole è anche l’esortazione del sacerdote Johannes Kowalski ai suoi compagni in errore a favore della pace, mentre egli persiste nei suoi discorsi stolti e negli incitamenti alla ribellione contro i pastori legittimi e nella sfacciata violazione dei comandi episcopali.

11. Per questo motivo, affinché i fedeli di Cristo e tutti i cosiddetti sacerdoti mariaviti che sono in buona fede, non siano più traviati dalle illusioni della suddetta donna e del sacerdote Johannes Kowalski, confermiamo ancora una volta il decreto per cui la società dei mariaviti, fondata illegittimamente e invalidamente, è interamente soppressa, e Noi la dichiariamo soppressa e condannata, e proclamiamo che è ancora in vigore il decreto che vieta a tutti i sacerdoti, ad eccezione di quello che il Vescovo di Plotsk, nella sua prudenza, sostituirà come suo confessore, di avere qualsiasi cosa a che fare con la citata donna con qualsiasi pretesto.

12. Voi, Venerabili Fratelli, Vi esortiamo vivamente ad abbracciare con paterna carità i sacerdoti che avendo sbagliato, immediatamente e sinceramente si pentono, e a non rifiutarsi di richiamarli di nuovo, sotto la vostra direzione, ai loro doveri sacerdotali, quando si saranno stati debitamente dimostrati degni. Ma se essi, che Dio non voglia, dovessero rifiutare le vostre esortazioni e perseverare nella loro contumacia, sarà Nostra premura che siano trattati con severità. Studiate di ricondurre sulla retta via i fedeli di Cristo che ora si trovano ad operare sotto un’illusione che può essere perdonata; e promuovete nelle vostre diocesi quelle pratiche di pietà, recentemente o da tempo approvate in numerosi documenti della Sede Apostolica, e fatelo con tanta più alacrità ora che, con la benedizione di Dio, i sacerdoti tra di voi sono messi in grado di esercitare il loro ministero e i fedeli di emulare l’esempio di pietà dei loro padri.

13. Intanto, come pegno di favori celesti e come prova della Nostra paterna buona volontà, concediamo amorevolmente nel Signore la Benedizione Apostolica a voi, Venerabili Fratelli, e a tutto il clero e a tutto il popolo affidato alle vostre cure e alla vostra vigilanza.

Dato a Roma, a San Pietro, il quinto giorno di aprile, MDCCCCVI, nel terzo anno del Nostro Pontificato.