8 DICEMBRE 2020: FESTA DELLA IMMACOLATA CONCEZIONE DELLA SS. MADRE DI DIO, LA VERGINE MARIA

8 DICEMBRE, FESTA DELLA IMMACOLATA CONCEZIONE DELLA SS. MADRE DI DIO, LA VERGINE MARIA

Præclára custos Vírginum,

Intácta mater Núminis,

Cæléstis aulæ jánua,

Spes nostra, cæli gáudium,

Inter rubéta lílium,

Colúmba formosíssima,

Virga e radíce gérminans

Nostro medélam vúlneri.

Turris dracóni impérvia,

Amíca stella náufragis,

Tuére nos a fráudibus,

Tuáque luce dírige.

Erróris umbras díscute,

Syrtes dolósas ámove,

Fluctus tot inter, déviis

Tutam reclúde sémitam.

Jesu, tibi sit glória,

Qui natus es de Vírgine,

Cum Patre, et almo Spíritu,

In sempitérna sǽcula.

Amen.

[Inno {dal Proprio dei Santi}

Illustre custode delle Vergini,

Immacolata Madre di Dio,

porta della reggia celeste,

speranza nostra e gioia del cielo;

Giglio fra le spine,

colomba bellissima,

verga dalla cui radice germoglia

il rimedio alle nostre ferite;

Torre al dragone inaccessibile,

stella propizia ai naufraghi,

difendici dalle insidie

e guidaci colla tua luce.

Dissipa le ombre dell’errore,

rimuovi gli scogli pericolosi,

gli erranti fra tanti flutti

riconduci sulla via sicura.

O Gesù, sia gloria a te,

che sei nato dalla Vergine,

insieme col Padre e collo Spirito Santo,

per i secoli eterni.

Amen.]

Dal libro del Genesi

Gen III:1-5

1 Il serpente era il più astuto di tutti gli animali della terra che il Signore Dio aveva fatto. Ed esso disse alla donna: Perché Dio v’ha comandato di non mangiare di ogni albero del paradiso?

2 La donna gli rispose: Noi mangiamo del frutto degli alberi che sono nel paradiso

3 Ma del frutto dell’albero ch’è in mezzo al paradiso, Iddio ci ha ordinato di non mangiarne e di non toccarlo, affinché per disgrazia non moriamo.

4 Allora il serpente disse alla donna: No, che non morrete.

5 Ma Dio sa che in qualunque giorno ne mangerete, s’apriranno i vostri occhi: e sarete come dèi, conoscitori del bene e del male.

 … et eritis sicut dii, scientes bonum et malum.

6 Vide dunque la donna che il frutto dell’albero era buono a mangiare, e bello a vedere, e gradevole all’aspetto: e colse di quel frutto, e ne mangiò: e ne diede a suo marito, il quale pure ne mangiò.

7 Allora si aprirono gli occhi ad ambedue: ed avendo conosciuto d’essere nudi, intrecciarono delle foglie di fico, e se ne fecero delle cinture.

8 E udita la voce del Signore Dio che passeggiava nel paradiso alla brezza del pomeriggio, Adamo colla sua moglie si nascose dalla faccia del Signore Dio in mezzo agli alberi del paradiso.

9 Il Signore Dio chiamò Adamo, e gli disse: Dove sei?

10 Ed egli rispose: Ho udito la tua voce nel paradiso: ed ho avuto timore, essendo nudo, e mi sono nascosto.

12 Ed egli a lui: Ma chi t’ha fatto conoscere d’esser nudo, se non l’aver mangiato dell’albero di cui ti avevo comandato di non mangiare?

12 E Adamo rispose: La donna che m’hai dato per compagna, m’ha dato del frutto, e io l’ho mangiato.

13 Allora il Signore Dio disse alla donna: Perché hai fatto questo? Ed ella rispose: Il serpente m’ha ingannata, e io ne ho mangiato.

14 Allora il Signore Dio disse al serpente: Perché tu hai fatto questo, sei maledetto più di tutti gli animali e le bestie della terra: striscerai sul tuo ventre, e mangerai la terra tutti i giorni della tua vita.

15 Porrò inimicizia fra te e la donna, e fra la stirpe tua e la stirpe di lei ella ti schiaccerà la testa, e tu insidierai al suo calcagno.

Sermone di san Girolamo Prete

Sull’Assunz. della D. V. M.

Chi e quanto grande sia la beata e gloriosa sempre Vergine Maria ci è dichiarato dall’Angelo da parte di Dio quando dice: «Salve, piena di grazia; il Signore è con te: la benedetta tu sei fra le donne» Luc. 1,28. E conveniva che tali doni fossero assicurati alla Vergine, sì da essere piena di grazia lei, che ha dato la gloria ai cielo, il Signore alla terra, che ha fatto risplendere la pace, ha portato la fede alle Genti, un fine ai vizi, una regola di vita, una disciplina per i costumi. E veramente piena, perché mentre agli altri si dona con misura, in Maria invece discese tutta insieme la pienezza della grazia. Veramente piena, perché sebbene la grazia si trovò nei santi Padri e Profeti, non ci fu però nella sua pienezza; in Maria invece discese tutta la pienezza della grazia ch’è in Cristo, sebbene in maniera differente. E perciò dice: «La benedetta tu sei fra le donne»; cioè benedetta più di tutte le altre donne. Ond’è che tutta la maledizione attirata da Eva fu tutta tolta dalla benedizione di Maria. Di lei Salomone nella Cantica, quasi in sua lode dice: «Vieni, colomba mia, immacolata mia. Poiché l’inverno è già passato, la pioggia è cessata e sparita» Cant. II,10. E poi soggiunge; «Vieni dal Libano, vieni, sarai incoronata» Eccli. XXIV,5. – Non immeritatamente dunque si invita a venire dal Libano, significandosi per il Libano il candore. Ella infatti era risplendente per i molti meriti e virtù, e più candida della neve, più bianca per i doni dello Spirito Santo, e presentava in tutto la semplicità della colomba; poiché quanto è avvenuto in lei, è tutto purezza e semplicità, tutto verità e grazia; tutto misericordia e giustizia che venne dal cielo; e perciò immacolata, perché al tutto senza macchia. Ella infatti divenne madre, come attesta san Geremia, ma rimanendo vergine. «Il Signore, dice, farà una novità sulla terra una donna chiuderà in sé un uomo» Jerem. XXXI, 22. Novità veramente inaudita, novità delle virtù eccedente ogni altra novità, che un Dio (che il mondo non può contenere, e nessuno vedere senza morire) sia entrato nel seno d’una vergine come in un asilo, senza essere prigioniero di questa corpo; e tuttavia Dio vi sia contenuto tutto intero: e che ne sia uscito lasciando come dice Ezechiele) la porta del tutto chiusa (Ezech. XLIV, 2. Onde si canta di lei nella stessa Cantica «Orto chiuso, fonte sigillata, le tue emanazioni sono un paradiso» Cat. IV,12. Vero giardino di delizie, che aduna tutte le specie di fiori, e i profumi di virtù; e chiuso siffattamente, che né la violenza né l’astuzia possono forzarne l’entrata. Quindi fonte sigillata col sigillo di tutta la Trinità.

Dagli Atti di Papa Pio IX

Ora la vittoria della Vergine Madre di Dio nella sua Concezione sul crudelissimo nemico del genere umano, la quale le divine scritture, la venerabile tradizione, il sentimento perpetuo della Chiesa, l’accordo singolare dei vescovi e dei fedeli, come pure gli atti insigni e le costituzioni dei sommi Pontefici avevano già meravigliosamente illustrato, Pio IX Pontefice massimo annuendo ai voti di tutta la. Chiesa risolva di proclamarla solennemente col suo supremo e infallibile oracolo. Pertanto l’otto Dicembre dell’anno mille ottocento cinquantaquattro, nella basilica Vaticana, davanti a una immensa assemblea di Padri di santa Romana Chiesa, di Cardinali e di Vescovi anche di lontanissime regioni, plaudendo l’orbe intero, solennemente proclamò e definì:

La dottrina che tiene la beatissima Vergine Maria nel primo istante della sua Concezione essere stata, per singolare privilegio di Dio, preservata immune da ogni macchia di colpa originale, essere stata rivelata da Dio, e perciò doversi credere da tutti i fedeli fermamente e invariabilmente.

Omelia di san Germano Vescovo

Nella Presentazione della Madre di Dio.

Salve, o Maria, piena di grazia, più santa dei Santi, e più eccelsa dei celi, e più gloriosa dei Cherubini, e più onorevole dei Serafini, e venerabile più d’ogni altra creatura. Salve, o colomba, la quale e ci porti il frutto dell’olivo, e ci annunzi colui per cui siamo preservati dal diluvio spirituale ed è il porto della salvezza; le ali della quale risplendono come l’argento e il cui dorso come il fulgore dell’oro e dei raggi dello Spirito santissimo e illuminatore. Salve, amenissima e razionale paradiso di Dio, dalla sua benignissima ed onnipotente destra piantato quest’ oggi ad Oriente, esalante per lui il soave odore del giglio, e germogliante la rosa immarcescibile per la guarigione di quelli che avevano bevuto ad Occidente l’amarezza d’una morte disastrosa e funesta all’anima; paradiso, in cui fiorisce l’albero della vita per la conoscenza della verità, che dona l’immortalità a chi ne avrà gustato. Salve, edificio sacrosanto, immacolato, palazzo purissimo di Dio sommo Re, ornato d’ogni parte dalla magnificenza del medesimo Re Divino, palazzo che offre a tutti ospitalità e ristora con misteriose delizie; in cui si trova il talamo non manufatto dello Sposo spirituale e risplendente di svariato ornato; in cui il Verbo, volendo chiamare la umanità errante, si disposò alla carne, per riconciliare col Padre quelli che se ne erano allontanati di propria volontà. – Salve, monte di Dio fertilissimo e ombreggiato, nel quale fu nutrito l’Agnello ragionevole che portò i nostri peccati e infermità; monte, dai quale si rotolò, senza che nessuna mano la staccasse, quella pietra che frantumò gli altari degli idoli, ed è diventata testata dell’angolo «meravigliosa agli occhi nostri » Ps. CXVII, 22. Salve, trono santo di Dio, altare divino, casa di gloria, ornamento incomparabile, tesoro eletto, propiziatorio di tutto l’universo, e cielo che narra la gloria di Dio. Salve, urna formata d’oro puro, contenente la dolcezza più soave delle anime nostre, cioè Cristo, la vera manna. O Vergine purissima e degnissima di ogni lode ed ossequio, tempio consacrato a Dio eccedente in eccellenza ogni creatura, terra intatta, campo fecondo senza coltura, vigna tutta fiorita, fontana che spande acque abbondanti, vergine feconda, e madre senza conoscere uomo, tesoro asceso d’innocenza e bellezza tutta santa: colle tue accettissime e valide preghiere, grazie alla tua autorità materna, presso il Signore Dio e Creatore di tutto, il tuo Figlio generato da te senza padre terreno, degnati di prendere in mano il governo dell’ordine ecclesiastico e di condurci al porto tranquillo. – Rivesti splendidissimamente i sacerdoti di giustizia e dei sentimenti d’una fede provata, pura e sincera. I principi ortodossi, che ti hanno scelta, a preferenza d’ogni splendore di porpora o di oro e di margarite e pietre preziose, per diadema e manto e ornamento solidissimo del loro regno, dirigili nel loro governo tranquillamente e prosperamente. Abbatti e soggioga le nazioni infedeli che bestemmiano contro di te e contro il Dio nato da te; e conferma nella fede il popolo loro soggetto, affinché perseveri, secondo il precetto di Dio, nell’obbedienza e in una dolce dipendenza. Corona dell’onore della vittoria questa tua stessa città, la quale ti considera come l Signore m’ebbe con sé dall’inizio delle sue imprese, da principio, prima ancora che facesse cosa alcuna. Fin dall’eternità io sono stata costituita, ab antico, prima ancora che fosse fatta la terra. Non c’erano ancor gli abissi, ed io ero già concepita.sua torre e fondamento; custodisci, circondandola di fortezza, l’abitazione di Dio; conserva sempre il decoro del tempio; libera i tuoi lodatori da ogni pericolo e angoscia di spirito; dona la libertà agli schiavi, sii il sollievo dei viandanti privi di tetto e di ogni altro aiuto. Porgi la tua mano soccorritrice al mondo universo, affinché passiamo le tue feste nella gioia e nell’esultanza, e si terminino tutte, come questa che ora celebriamo, lasciandoci splendidi frutti in Gesù Cristo Re dell’universo e nostro vero Dio, a cui sia gloria e potenza insieme col Padre, il santo principio della vita, e collo Spirito coeterno, consustanziale e conregnante, ora e sempre e per i secoli dei secoli. Così sia.

SAN PIER CRISOLOGO

Sermone CXLII su missus est (Lc. 1. 26-30)

Avete udito oggi, fratelli carissimi, l’Angelo che trattava con Maria della redenzione dell’uomo; avete udito che si trattava di far ritornare l’uomo alla vita per quella medesima via per la quale era caduto. Si, si, tratta l’Angelo con Maria della salute, perché un altro angelo con Eva aveva trattato della rovina. Avete udito l’Angelo che con arte ineffabile costruiva il tempio della Maestà divina col limo della nostra carne. Avete udito che con mistero incomprensibile Dio è collocato in terra e l’uomo in cielo. Avete udito come in modo inaudito in un sol corpo si unisce Dio e l’uomo. Avete udito che con angelica esortazione la fragile natura della nostra carne è confortata a portare tutta la gloria della Divinità. Finalmente perché sotto tanto peso non soccombesse la sottile arena del nostro corpo in Maria e nella Vergine che avrebbe portato il frutto di tutto il genere umano non si spezzasse la tenue vèrga, una voce angelica per allontanare il timore, ecco precede dicendo: Non temere, Maria. Prima si annunzia la causa della dignità della Vergine nel nome stesso, perché Maria in ebraico significa Signora. L’Angelo dunque la chiama Signora, perché come genitrice del Dominatore lasci il timore e perché l’autorità stessa del suo Figlio obbliga a chiamarla Signora. Non temere Maria, perché hai trovato grazia. È vero, chi ha trovato grazia, non sa temere. Hai trovato grazia. Presso chi? Presso Dio. Beata colei che fra gli uomini sola avanti tutti meritò di udire queste parole: Hai trovato grazia. Quanta? Quanta aveva detto prima, cioè la pienezza della grazia. E veramente ebbe la piena grazia che con larga pioggia doveva inondare tutta la creatura. Hai trovato grazia davanti a Dio. Mentre dice questo ed egli stesso si meraviglia che solo una femmina o che tutti gli uomini per mezzo di una femmina abbiano meritato la vita, stupisce l’Angelo che Dio venga nelle angustie del seno verginale, mentre tutto il creato per Lui è troppo piccolo. Quindi è che l’Angelo indugia, segnala alla Vergine il merito, segnala la grazia, appena manifesta la causa, per prepararla lentamente, appena sopita la lunga trepidazione. Pensate, fratelli, con quanta riverenza, con quale tremore noi dobbiamo intervenire, assistere al mistero quando lo stesso Angelo non ne parla senza timore a chi ascolta con timore. – Ecco concepirai. Bene concepirai ciò che la carne ignora, ciò che la natura non ammette, di cui la nostra condizione non ha esempio. Concepirai. Chi pervenne al frutto prima di aver provato la fatica e il sudore della terra? Chi raccoglie i frutti prima di aver coltivata la pianta? Chi arrivò ad alcun punto senza percorrere strada? Chi fuori delle leggi di natura riceve incremento di natura? Beata dunque e veramente beata Maria, la quale fuori delle leggi della generazione, senza i fastidi dei dolori materni, pervenne a tanta gloria di maternità. – Beata chi accolse e conservò nel seno il pegno divino in modo che tutto l’esterno del corpo non se ne avvedesse. Beata Lei che ciò che ricevette dal cielo sul referto dell’Angelo, lo accolse nel segreto del suo pensiero. Entro la casa della Vergine il mistero celeste si svolge in modo che tutto rimanendo chiuso nulla trapela fuori. – Concepirai e partorirai un figlio. Chi entra ed esce senza lasciar segno dell’entrata e dell’uscita? Certo solo un Abitatore divino, non umano. E chi nel concepimento conserva vergine e nella nascita lascia vergine la madre, non è uomo terreno, ma celeste. Ceda dunque la legge della nostra carne, nulla rivendichi la natura, dove si introduce una legge celeste e per dar vita a progenie divina, per ossequio a Natura Divina. – Il discorso sul concepimento e sul parto non affatichi la vostra mente, né per leggerezza si commuoverà il Cristiano, poiché sono in campo insegne divine della potenza di Dio per dar vita a progenie celeste. – Concepirai e partorirai un figlio. Non disse «per te», ma disse « tuo » . Perché? Perché l’Essere santo sarà chiamato Figlio di Dio. O Vergine, la grazia ti rende madre, non la natura; la pietà volle che tu fossi chiamata madre, ciò che non consentiva l’integrità; ma nel tuo concepimento e nel tuo parto è cresciuto il pudore, è aumentata la castità, è stata confermata l’integrità e la verginità e tutte le virtù hanno perseverato. O Vergine, se per te tutto è salvo, che cosa hai dato? Se sei vergine, come sei madre? Se sei sposa, come genitrice? Colui che ha fatto sì che tutto ti fosse accresciuto, nulla ha permesso che fosse diminuito. Hai concepito il tuo Autore. Ha principio da te il Principio, è tuo figlio il tuo Padre, nella tua carne vi è il tuo Dio; per te Egli ha ricevuto la luce del mondo, dopo aver dato la luce al mondo. Avvisata dunque dall’Angelo, o Vergine, non presumere di chiamare chi nascerà tuo figlio, ma chiamalo Salvatore; perché la verginità non per sé

partorisce un figlio, ma partorisce un pegno al Creatore e l’integrità porta in seno il suo Signore, non una creatura, dicendo l’Angelo: E lo chiamerai Gesù; che nella nostra lingua vuol dire Salvatore. – Disse Maria all’Angelo: Come avverrà questo? Ecco Maria interroga. E chi interroga, dubita. Perché solo Zaccaria è ritenuto colpevole? Perché il conoscitore dei segreti non esamina le parole, ma osserva il cuore, e giudicò non che cosa avessero detto, ma che cosa sentivano nel loro cuore Maria e Zaccaria. Era infatti diverso il motivo delle due interrogazioni, era distinta la fattispecie. Zaccaria dubitò stando alle leggi della natura; dalla domanda si capisce che egli dichiara che non può avvenire ciò che Dio comanda; Zaccaria malgrado gli esempi antichi non accetta la fede; Maria senza esempio corre alla fede; questa si meraviglia del parto di una vergine, quello disputa di un concepimento coniugale. Giustamente costei parla, perché riconosce e confessa Dio disceso nel suo corpo; quello tacque finché, convinto, dal proprio corpo diede vita à quel Giovanni, che negava. – Come avverrà ciò? Perché? Perché non conosco uomo. O Donna, qual uomo cerchi? Quello che perdesti in paradiso? Restituisci l’uomo o donna, restituisci tu quello che hai perduto. Lascia la legge naturale, riconosci la legge del Creatore. Egli da te prenderà del tuo e farà un uomo; Egli che in principio ti fece e ti assunse dall’uomo. Non cercare l’uomo, cessi l’opera dell’uomo, perché a riparare l’uomo basta l’opera divina. Quindi è che Dio stesso viene a te, perché sei pentita di essere arrivata all’uomo; né carne a carne si avvicinerà, ma lo Spirito Santo discenderà in te. Perché ciò che nasce dalla carne è carne e ciò che nasce dallo Spirito è santo. Quindi chi nasce dallo Spirito, senza controversia è Dio, perché lo Spirito è Dio. – Lo Spirito Santo discenderà in te e la virtù dell’altissimo ti farà ombra. Fa ombra la potenza di Dio, perché la fragilità umana dovendo portare Dio non soccomba. La potenza dell’altissimo ti farà ombra. Il calore del nostro corpo non sa quanto protegga l’ombra della virtù divina; né cerca il segreto della mondana abitazione, colei che si vede circondata dal velo di superno splendore. Perciò l’essere santo che nascerà da te sarà chiamato Figlio di Dio. Nessuno qui prenda il termine « santo » in senso comune, ma in quel significato singolare, col quale si esclama in cielo: Santo, Santo, Santo il Signore Dio degli eserciti (Isaia VI, 5). – Si manda poi Maria da Elisabetta, la Vergine alla sterile, la giovane alla vecchia, affinché con pia gara prendano ambedue e ricevano ugualmente una la fede dalla novità, l’altra la virtù dalla necessità. – Ciò udito rispose Maria: Ecco l’ancella del Signore, si faccia a me secondo la tua volontà. Quella che è chiamata Signora dall’Angelo, si conosce e si confessa ancella. Perché l’anima devota in mezzo ai benefizi cresce in ossequio e in grazia, non in arroganza e superbia. Si faccia a me secondo la tua parola. Credendo alla parola giustamente concepisce il « Verbo ». In principio era il « Verbo » e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. (Giov. 1; 1). A tutto questo mistero giunse accettando il segreto della fede che ha udito. Quanto pecca l’eretico, che dopo le prove ancora non crede, mentre vede che Costei ha creduto tanto prima delle prove!

FESTA DELL’IMMACOLATA CONCEZIONE (2020)

FESTA DELL’IMMACOLATA CONCEZIONE (2020)

(Messale Romano di S. Bertola e G. Destefani, comm. di D. G. LEFEBVRE O. S. B; L. I. C. E. – R. Berruti & C. Torino 1950)

Doppio di 1a classe. – Paramenti bianchi.

Festa di precetto.

Avendo da tutta l’eternità deciso di fare di Maria la Madre del Verbo Incarnato (Ep.), Dio volle che dal primo istante del suo concepimento Ella schiacciasse la testa del serpente, e la circondò di un ornamento di santità (Intr.) e fece della sua anima, che preservò da ogni macchia, un’abitazione degna del suo figliuolo (Oraz.). La festa dell’Immacolata Concezione si celebrava nel sec. VIII in Oriente il 9 dicembre; nel sec. IX in Irlanda il 3 maggio e nell’XI sec. in Inghilterra l’8 dicembre. I benedettini con S. Anselmo, e i francescani con Duns Scoto (+ 1308) si dimostrarono favorevoli alla festa dell’Immacolata Concezione, celebrata dal 1128 nei monasteri anglo sassoni. Nel sec. XV papa Sisto IV, fece costruire nel Vaticano la cappella Sistina in onore della Concezione della Vergine. E l’8 dic. 1854 Pio IX proclamò ufficialmente questo grande dogma; interpretando la tradizione cristiana, sintetizzata dalle parole dell’Angelo: « Ave Maria, piena di grazia, il Signore è teco ». ( Vang.) « Sei tutta bella, o Maria, e macchia originale non è in te » dice con grande verità il verso alleluiatico. Come l’aurora, messaggera dei giorno, Maria precede l’astro che ben presto illuminerà il mondo delle anime. (Com.). Ella introduce nel mondo suo Figlio e per la prima volta si presenta nel ciclo liturgico. Domandiamo a Dio di « guarirci e di purificarci da tutti i nostri peccati » (Secr..e Post.), affinché siamo resi più degni di accogliere Gesù nei nostri cuori.

Incipit

In nómine Patris, ✠ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Is LXI: 10
Gaudens gaudébo in Dómino, et exsultábit ánima mea in Deo meo: quia índuit me vestiméntis salútis: et induménto justítiæ circúmdedit me, quasi sponsam ornátam monílibus suis.

[Mi rallegrerò nel Signore, e l’ànima mia esulterà nel mio Dio: perché mi ha rivestita di una veste di salvezza e mi ornata del manto della giustizia, come sposa adorna dei suoi gioielli.


Ps XXIX: 2
Exaltábo te, Dómine, quóniam suscepísti me: nec delectásti inimícos meos super me.

[Ti esalterò, o Signore, perché mi hai rialzato: e non hai permesso ai miei nemici di rallegrarsi del mio danno.]


Gaudens gaudébo in Dómino, et exsultábit ánima mea in Deo meo: quia índuit me vestiméntis salútis: et induménto justítiæ circúmdedit me, quasi sponsam ornátam monílibus suis.

[Mi rallegrerò nel Signore, e l’ànima mia esulterà nel mio Dio: perché mi ha rivestita di una veste di salvezza e mi ornata del manto della giustizia, come sposa adorna dei suoi gioielli.]

Oratio

Orémus.
Deus, qui per immaculátam Vírginis Conceptiónem dignum Fílio tuo habitáculum præparásti: quǽsumus; ut, qui ex morte ejúsdem Filii tui prævísa eam ab omni labe præservásti, nos quoque mundos ejus intercessióne ad te perveníre concédas.

[O Dio, che mediante l’Immacolata Concezione della Vergine preparasti al Figlio tuo una degna dimora: Ti preghiamo: come, in previsione della morte del tuo stesso Figlio, preservasti lei da ogni macchia, cosí concedi anche a noi, per sua intercessione, di giungere a Te purificati.]

Lectio

Léctio libri Sapiéntiæ
Prov VIII: 22-35
Dóminus possedit me in inítio viárum suárum, ántequam quidquam fáceret a princípio. Ab ætérno ordináta sum, et ex antíquis, ántequam terra fíeret. Nondum erant abýssi, et ego jam concépta eram: necdum fontes aquárum erúperant: necdum montes gravi mole constíterant: ante colles ego parturiébar: adhuc terram non fécerat et flúmina et cárdines orbis terræ. Quando præparábat coelos, áderam: quando certa lege et gyro vallábat abýssos: quando æthera firmábat sursum et librábat fontes aquárum: quando circúmdabat mari términum suum et legem ponébat aquis, ne transírent fines suos: quando appendébat fundaménta terræ. Cum eo eram cuncta compónens: et delectábar per síngulos dies, ludens coram eo omni témpore: ludens in orbe terrárum: et delíciæ meæ esse cum filiis hóminum. Nunc ergo, filii, audíte me: Beáti, qui custódiunt vias meas. Audíte disciplínam, et estóte sapiéntes, et nolíte abjícere eam. Beátus homo, qui audit me et qui vígilat ad fores meas quotídie, et obsérvat ad postes óstii mei. Qui me invénerit, invéniet vitam et háuriet salútem a Dómino.

[Il Signore mi possedette dal principio delle sue azioni, prima delle sue opere, fin d’allora. Fui stabilita dall’eternità e fin dalle origini, prima che fosse fatta la terra. Non erano ancora gli abissi e io ero già concepita: non scaturivano ancora le fonti delle acque: i monti non posavano ancora nella loro grave mole; io ero generata prima che le colline: non era ancora fatta la terra, né i fiumi, né i càrdini del mondo. Quando preparava i cieli, io ero presente: quando cingeva con la volta gli abissi: quando in alto dava consistenza alle nubi e in basso dava forza alle sorgenti delle acque: quando fissava i confini dei mari e stabiliva che le acque non superassero i loro limiti: quando gettava le fondamenta della terra. Ero con Lui e mi dilettava ogni giorno e mi ricreavo in sua presenza e mi ricreavo nell’universo: e le mie delizie sono lo stare con i figli degli uomini. Dunque, o figli, ascoltatemi: Beati quelli che battono le mie vie. Udite l’insegnamento, siate saggi e non rigettatelo: Beato l’uomo che mi ascolta e veglia ogni giorno all’ingresso della mia casa, e sta attento sul limitare della mia porta. Chi troverà me, troverà la vita e riceverà la salvezza dal Signore.]

Graduale

Judith XIII: 23
Benedícta es tu. Virgo María, a Dómino, Deo excélso, præ ómnibus muliéribus super terram,
[Benedetta sei tu, o Vergine Maria, dal Signore Iddio Altissimo, piú che tutte le donne della terra].

Judith XV: 10
Tu glória Jerúsalem, tu lætítia Israël, tu honorificéntia pópuli nostri. Allelúja, allelúja
[Tu sei la gloria di Gerusalemme, tu l’allegrezza di Israele, tu l’onore del nostro popolo. Allelúia, allelúia]

Cant. IV: 7
Tota pulchra es, María: et mácula originális non est in te. Allelúja.
[Sei tutta bella, o Maria: e in te non v’è macchia originale. Allelúia].

Evangelium

Sequéntia +︎ sancti Evangélii secúndum Lucam
Luc I: 26-28
In illo témpore: Missus est Angelus Gábriël a Deo in civitátem Galilææ, cui nomen Názareth, ad Vírginem desponsátam viro, cui nomen erat Joseph, de domo David, et nomen Vírginis María. Et ingréssus Angelus ad eam, dixit: Ave, grátia plena; Dóminus tecum: benedícta tu in muliéribus.
[In quel tempo: Fu mandato da Dio l’Àngelo Gabriele in una città della Galilea chiamata Nàzaret, ad una Vergine sposata ad un uomo della casa di David, di nome Giuseppe, e la Vergine si chiamava Maria. Ed entrato da lei, l’Àngelo disse: Ave, piena di grazia: il Signore è con te: Benedetta tu fra le donne.]

OMELIA

[G. Perardi, La Vergine Madre di Dio, Libr. del Sacro Cuore, Torino 1908]

L’Immacolata Concezione di Maria [V.]

Erano trascorsi circa quattro mila anni dacché Adamo, commesso il peccato, era stato scacciato dal Paradiso terrestre. Il mondo giaceva nelle più fitte tenebre religiose e morali. L’umanità aveva ormai compiuta la sua prova dolorosa: abbandonata a sé era precipitata nell’abisso di ogni male. Aveva cercato la scienza all’infuori di Dio; ed in luogo della scienza, che non aveva potuto raggiungere, era caduta negli errori più mostruosi. Aveva cercato la grandezza, contro Dio ed invece era precipitata nell’abisso d’ogni più ignominiosa depravazione, nell’abbrutimento d’ogni sozzura. – Contemplate l’umanità nei quaranta secoli dopo la sua uscita dall’Eden demeritato, e riconoscetela ancora, se vi è possibile! Quando uscì dal paradiso terrestre portò con sé un patrimonio prezioso di nozioni religiose e morali… Ed ora tutto è dissipato, tutto è perduto, tutto è sconvolto. Non conosce più Dio, non la sua origine, non il suo ultimo fine… e si deve quasi confessare che non ha più esatta la distinzione del bene dal male. – Rimane ferma la promessa del Liberatore, rimangono le profezie preannunziatrici, rimangono i simboli, le figure, rimane la sentenza fulminata contro il demonio. Ma intanto il demonio trionfa; si direbbe esser egli il padrone, il signore delle anime. – Il demonio! Oh! egli ben conosce le profezie. Sapeva esser ormai giunta l’ora in cui il Messia doveva nascere e nella sua folle superbia, aveva prese le precauzioni per impedirne la venuta. Baldassarre assediato in Babilonia aveva egli pure preso tutte le precauzioni per impedire l’entrata di Ciro liberatore: agguerrite le fortezze, disciplinati gli eserciti, invigilati i nemici, provveduta abbondantemente la città del necessario. Così il demonio aveva preso i suoi provvedimenti. Il Liberatore doveva venire per via di generazione; e questa anche nella discendenza dei Patriarchi era stata insozzata dalle suggestioni di satana. Il Figlio di Dio doveva nascere da una vergine; ma i pianti della figlia di Jefte (Giud. XI) hanno distolto le figlie d’Israele dalla via della verginità. Nessuna vergine per l’Emmanuele. È preannunziato che il Messia sarà un gran Re, che il suo trono sarà splendido come il sole, che il suo regno non avrà fine, ma il demonio è tranquillo: Erode regna in Gerusalemme e la potenza romana lo sostiene. È stato predetto che nascerà dalla stirpe di David; ma da parecchi secoli questa nobile famiglia è decaduta, ed i superstiti lavorano per vivere. La storia ricorda che Ciro penetrò in Babilonia — deviate le acque dell’Eufrate — pel letto del fiume rimasto asciutto. Iddio, per così esprimerci, devia la corrente nefasta del peccato originale, e per mezzo di Maria Immacolata verrà e salverà il genere umano. – L’Immacolata! Argomento bello e dolcissimo che richiama anche oggi la nostra considerazione. È un mistero, ma un mistero pieno di luce, un mistero che rischiara, conforta ed indirizza. Riflettiamo.

I. — I misteri della fede hanno questo di proprio che, incomprensibili nella loro natura, se ben si meditano al lume della ragione e della fede, ci si presentano d’una ragionevolezza che appaga la nostra mente sitibonda del vero. Tale è pure il mistero della Concezione Immacolata di Maria. La mente ed il cuore ci dicono che era cosa convenientissima che Maria fosse Immacolata nella sua Concezione. – Era cosa convenientissima che Maria fosse Immacolata nella Concezione. Poiché, trattando dei misteri di Maria, avremo spesso occasione di accennare a questa ragione di convenienza, giova qui ricordare un pensiero di sant’Agostino, che potremo applicare sempre, ogni qual volta dovremo appellarci a questa ragionevolezza che si manifesta nelle opere di Dio: « Sappi, dice il santo Dottore, che quanto ti avverrà di ritrovare più conforme alla retta ragione, Dio creatore di tutti i beni, lo ha certamente fatto »; ossia: Iddio opera in quel modo che appare più conforme ai dettati della ragione rettamente indirizzata. – Ora la nostra mente, illuminata dalla fede, ci suggerisce molte ragioni che mostrano conveniente la Concezione Immacolata di Maria. Un grande oratore francese, Bossuet, dice che vi sono proposizioni difficili, le quali per essere solidamente dimostrate, richiedono ogni sforzo del ragionamento e tutti gli espedienti dell’eloquenza; altre invece, al solo enunciarle, gettano nell’anima nostra una luce sì viva che sono abbracciate prima che dimostrate (Serm. I per la festa dell’Concezione di Maria). Che la Concezione di Maria sia Immacolata — così già osservava lo stesso Bossuet due secoli innanzi ch’essa fosse definita qual dogma di fede — che il suo diletto Figlio, onnipotente, l’abbia voluta preservare da quella peste comune che corrompe la nostra natura, profana le nostre facoltà, arreca la morte fino alle sorgenti medesime della vita, chi nol crederebbe? Chi mai ad un’asserzione sì plausibile, sì ragionevole, non presterebbe di buon grado il suo assenso?

1° La verità dell’Immacolata Concezione di Maria si collega a tutto il Cristianesimo; le radici e le tracce se ne ritrovano non solo nella tradizione, ma anche in tutto l’ordine e il concatenamento dei nostri più santi misteri; e voi vedrete che non si può rigettarla senza intaccare ciò che la fede ha di più intimo, ciò che il nostro cuore e la nostra mente hanno di più delicato e caro. Dall’eternità Iddio sceglie questa figlia della stirpe umana colpita di maledizione, per introdurre nel mondo il Liberatore; ed in previsione dei gloriosi destini di Lei l’associa al culto anticipato che l’umanità tributa al Figlio nel corso dei secoli precedenti la sua venuta, al culto dei simboli e delle figure ugualmente che al culto delle profezie, come abbiamo altra volta ricordato. Dopo Isaia e Geremia circolano fra i popoli voci misteriose: un nome di donna si unisce alla tradizione della venuta del Redentore sparsa per ogni dove. La Vergine madre riceve gli omaggi non solo del popolo eletto, Israele,  ma altresì delle sibille, dei druidi, dei poeti pagani, come ci attesta la storia dei popoli antichi. Maria dunque « è amata e prescelta da Dio da tutta l’eternità. Ella è preparata nei tempi insieme al suo Figlio e riceve unitamente a Lui il culto anticipato delle figure e degli oracoli. A questo succederà il culto di obbedienza e di amore che lo stesso Figlio di Dio renderà in persona con la propria presenza alla Madre sua; le lodi e le benedizioni dell’umanità cristiana, i cantici eterni degli Angeli e degli eletti. Catena mirabile, dite voi, le cui estremità si confondono entrambe nel seno della divinità! Non correte tanto nell’ammirare, o Signori. Se la Vergine profetizzata deve subire la legge comune, e al pari di ogni nato della stirpe umana, essere colpita dal peccato originale, ecco spezzarsi la catena, e dividersi in due parti disunite, ciascuna delle quali rimarrà collocata in una delle due ère che dividono il tempo, e allora nella economia divina noi non potremo più ravvisare, rispetto a Colei che Dio ha separato dal restante delle creature con tanti privilegi, questo che è il carattere rivelatore della sua perfetta sapienza: voglio dire l’unità. Infatti per quanto Egli sia pronto a purificare l’anima di Maria, riman però sempre vero che per un tempo Ella è contaminata, per un tempo Ella è odiosa al suo Creatore, per un tempo deve cessare ogni omaggio davanti a Lei, per un tempo vi è uno stacco fra l’èra di preparazione e l’èra di grazia » (Monsabré, L’Immacolata Concezione).

2° Maria è la Regina degli Angeli. Se Essa non fosse stata Immacolata nella sua Concezione, ecco quale assurda conseguenza ne verrebbe. Gli Angeli a Dio fedeli avrebbero per Regina non solo una creatura meno pura e perfetta di loro, una creatura sulla cui prima origine avrebbero in certo modo a piangere, ma essi, fedeli a Dio, avrebbero per Regina Colei che fu, sia pure per breve istante, schiava degli angeli ribelli a Dio. La ragione, la mente, il cuore protestano, si ribellano contro la supposizione di una tale possibilità che sarebbe aperta sconvenienza per tutto il cielo; e che perciò Dio non poteva permettere.

3° Maria è Figlia diletta del divin Padre. Quando Dio Padre nei suoi eterni disegni stabilì che il mondo verrebbe salvato per l’Incarnazione del divino Figliuolo, che questo mistero si compirebbe nel seno di una Vergine per l’opera purissima dello Spirito Santo, adottò con adozione singolare e straordinaria a sua Figlia Colei che destinava ad essere prima la Madre venerata del suo Figlio e poi, per una misteriosa estensione, di tutti i figli della Chiesa, ed essere la Sposa del divino Spirito. – Quando Dio Padre destinava Maria a tanta grandezza, a nostro modo di esprimerci, vedeva in Lei qualche cosa di Gesù, un cominciamento di Gesù, e nella carne e nel sangue di questa Vergine la sorgente augusta dove lo Spirito Santo attingerebbe per formare la carne ed il sangue del Salvatore. « L’amore del Padre pel suo Figliuolo, l’eterno ed incomparabile oggetto delle sue compiacenze, si estese perciò da quel momento su Maria come sopra un cominciamento di Gesù Cristo e della santa Umanità del Redentore. La potenza di tale amore, e la liberalità delle sue profusioni dovettero, voi lo intendete, essere senza confini. Da ciò potete giudicare quanto l’adozione della Vergine fu eccellente, poiché procedeva da un amore così grande ed aveva un fine così sublime. Ogni dilazione della grazia avrebbe messa la piaga del peccato in quella santa anima, così pura che preferiva alla stessa maternità divina una verginità che si perde, quantunque senza peccato, nell’innocenza di un santo matrimonio. Maria fu perciò adottata da Dio Padre nell’istante medesimo in cui fu concepita: non vi fu, per Lei, tra la creazione e l’adozione, alcun intervallo. Ma una tale adozione, notatelo, è la grazia santificante, è la santità, è la giustizia che esclude il peccato; perciò l’adozione di Maria fu la Concezione senza macchia, la Concezione Immacolata. – « Inoltre è evidente che Dio Padre dovette compiacersi di far rivivere in Maria tutta la bellezza, tutta la purezza primitiva della sua immagine, disonorata dappertutto pel contagio comune; e che potendolo fare, Egli pose la sua gioia nel preservare Maria dal peccato, e nel crearla nella giustizia affinché tutte le inclinazioni di questa Figlia diletta essendo pure, e non avendo mai alcun germe macchiato l’amabile fiore della sua innocenza perfetta, Egli potesse riposare su Lei i suoi sguardi con amore e contemplarvi con compiacenza, come in uno specchio fedele, tutti i tratti della propria rassomiglianza alterata così profondamente dal peccato nel rimanente degli uomini. E come si riscontrerebbe in Maria questa rassomiglianza quando l’anima di Lei fosse stata macchiata dal peccato? Non vi sarebbe una ripugnanza manifesta? » (Dupanloup, Sull’Immacolata). – Osservate ancora: Dio creando Maria, la creò perché  divenisse Madre di Gesù. Quando Davide annunziò ai primari che Salomone era stato eletto per edificare con grande magnificenza il tempio di Gerusalemme, ricordò loro che si doveva preparare l’abitazione non ad un uomo, ma a Dio (I. Paralip. XXIX, 1). Quanto più dobbiamo credere che l’eterno Padre creando Maria perché fosse un giorno Madre di Gesù, dovette, diremo così, ornarla in modo divino perché aveva ad essere non la madre di una creatura, ma del Creatore! E perciò ben a ragione la Chiesa canta che Dio per la Concezione Immacolata di Maria preparò al suo Unigenito un albergo degno della divinità. — Così pure a nostro modo di esprimerci, Dio Padre associava Maria alla divinità destinandola a Madre di Gesù condividendo con Lei i diritti della Paternità sul Verbo divino. E non vi sarebbe ripugnanza nel pensare che l’anima di Maria non fosse stata sempre bella e pura, sempre santificata dalla grazia, ossia Immacolata?

4° Maria è Madre di Gesù, Madre di Dio. A nessuno dei figli degli uomini è dato scegliersi la madre. Ma se ciò fosse dato ad alcuno, certamente potendo sceglierla nobile, regina, potente, non la sceglierebbe plebea, schiava, meschina. Or il Figliuolo di Dio poté eleggersi, prepararsi la Madre; e non è fargli torto il pensare che, mentre poteva sceglierla tutta bella, tutta pura, tutta santa per la Concezione Immacolata, la volesse invece macchiata nell’anima, della colpa originale? – In questo caso l’umiliazione, l’obbrobrio di Maria, sarebbe stata umiliazione ed obbrobrio di Gesù medesimo. È assioma comune, ed è pure parola dello Spirito Santo, che l’onore e la gloria dei genitori si riflettono nei figliuoli ugualmente che il disonore. E per questo, come la corruzione del corpo di Maria nella tomba sarebbe risalita fino al suo divin Figlio e perciò Dio la volle assunta in cielo in corpo ed anima, egualmente, anzi più ancora, sarebbe ridondata a disonore del divino Figliuolo la corruzione dell’anima di Maria pel peccato originale, quando Dio non l’avesse preservata affatto immune. Potrei ricordare un detto di un gran re, Atalarico, che « vi sono delle condizioni di cose in cui i principi guadagnano quello che essi donano, quanto cioè la generosità torna a loro onore » (CASSIOD., Variar, lib. VIII, epist. XXIII). Tale è veramente il caso che noi studiamo. Se Gesù Cristo onora sua Madre volendola Immacolata, onora se stesso perché la Concezione Immacolata di Maria è più onorifica a Gesù che non a Maria medesima. – Per causa del peccato originale l’anima è in disgrazia di Dio, schiava del demonio. E Dio avrebbe potuto eleggersi per madre una donna in sua disgrazia, o tollerare che anche per un solo istante l’anima di Lei fosse soggetta ad un qualsiasi dominio del demonio? E poi: sapete voi che cosa vuol dire essere Madre di Dio? Essere Madre di Dio vuol dire sorpassare negli onori, nella gloria, nella santità gli Angeli, gli Arcangeli, i Cherubini, i Serafini del Cielo. Essere Madre di Dio significa salire alla più alta dignità, alla più sublime grandezza, ad una grandezza tale che, eccettuatane la grandezza infinita di Dio, non se ne può immaginare alcuna o maggiore o somigliante. Essere Madre di Dio significa essere stretta con Dio, coi vincoli più intimi e più cari, quali son quelli fra un figlio ed una madre, vincoli di autorità, per parte di Maria su Dio stesso. E io non saprei intendere come questo Figlio, infinitamente sapiente, onnipotente, Dio, avrebbe potuto permettere che la propria Madre anche per un solo istante fosse serva del demonio. È assurdo pensare che Dio dovesse, quasi confessando la sua incapacità, dire a Maria sua madre: Fosti in mia disgrazia, fosti soggetta al dominio del mio nemico. – Recatevi in ispirito a Betlemme: « Il Messia è nato, questo Figlio dell’Altissimo, questo Santo dei Santi: sua Madre si è chinata sul suo volto, palpitante di rispetto e di amore. Egli colle sue piccole mani, l’accarezza. Dagli occhi azzurri del Bambino fissi nella fronte materna, partono raggi divini. Quale estasi comune nel possesso di Gesù in Maria, e di Maria in Gesù. Ebbene se la Vergine non è stata Immacolata nella sua Concezione, se in Ella ha circolato qualche cosa della sozzura umana, non fosse che un giorno, un’ora, un solo secondo, vedo il demonio che allo spettacolo della tenerezza tra il Figlio e la Madre, passa nell’ombra, fa intendere un ghigno che è il suo canto di vittoria, e, principe delle tenebre e della bruttezza, getta a Cristo (ne avrebbe il diritto) questo insulto: Tua Madre fu già in mio potere, prima di essere tua io l’ho posseduta nella sozzura. Tale supposizione è intollerabile. Alla larga, o satana » (Lémann, La Vergine Maria, parte I, c. II).

5° Maria è sposa dello Spirito santo. Quando l’Arcangelo Gabriele scende, inviato da Dio, a Nazaret e si presenta a Maria la saluta: Ave gratia plena. Dopo un tale saluto, le annunzia che lo Spirito d’amore, dai cieli, dov’è dai secoli eterni legame di carità che unisce il Padre ed il Figlio, verrà quaggiù nel cuor suo e la virtù dell’Altissimo la coprirà dell’ombra stessa della maestà divina: Spiritus sanctus superveniet in te et virtus Altissimi obumbrabit tibi (Luc. I, 35): per questa misteriosa operazione della potenza e della purezza infinita, Maria diventò la Madre del Verbo fatto carne e portò nelle sue viscere l’Emanuel promesso fin dal paradiso terrestre. – Domando: Potrebbe darsi che in quell’anima che lo Spirito Santo doveva unire a sé coi nodi di una così bella alleanza, con legami così stretti, così dolci, così forti; in quell’anima che Egli doveva investire della santa sua maestà e della sua onnipotente virtù, avesse trionfato prima di tutto il demonio e che il peccato avesse preceduto lo Spirito d’amore nel cuore della sua sposa? Oh! A ragione esclama qui il grande mons. Dupanloup: « Si vorrebbe, dice, che nel cuore di Maria, in quelle viscere verginali che lo Spirito santo doveva, con un prodigio inaudito, fecondare, consacrare, quasi divinizzare, facendo loro concepire un Dio di guisa che Colui che doveva nascere da Maria sarebbe la santità stessa, … quod nascetur ex te sanctum: si vorrebbe dire che in quel cuore il demonio fosse stato primo padrone; pel primo avesse preso con le sue mani impure quel vaso ammirabile, preparato per così grandi meraviglie; pel primo vi avesse trionfato con orgoglio? No, no! Il più semplice buon senso vi ripugna allo stesso modo che la tradizione. A chi infatti si riuscirà a persuadere che i pensieri di Dio siano meno alti, le sue inclinazioni meno benevole, ovvero le sue convenienze meno delicate che quelle dei re della terra, i quali nulla risparmiano per nobilitare ed elevare fino a loro le spose che si scelgono? A chi si farà credere che lo Spirito d’ogni purezza, risoluto dall’eternità di fare di Maria la sua Sposa, abbia potuto lasciarla, anche per un solo istante, nella miseria della nostra comune condizione e nella bassezza del peccato?

6° L’amor di Dio non poteva permettere che la macchia del peccato originale deturpasse l’anima bella di Maria; l’amore di Dio la volle Immacolata. Difatti Iddio ha amato Maria più che non l’abbiano amata tutti gli Angeli e Santi insieme. Quanto hanno amato Maria i Santi! Con quali espressioni tenere ed amorose parlano di Maria! E noi stessi, non è vero che amiamo ardentemente Maria? Non è questo l’affetto più tenero, più ardente del nostro cuore? È possibile vivere senza amare Maria? Oh! non è figlio chi non ama la madre! È un bruto, anzi peggiore del bruto, perché l’animale bruto ama la madre. E non è, no, non è Cristiano chi non ama Maria. Non può aver sentimenti d’amore per Gesù chi non li ha per la Madre sua! Sì, noi amiamo Maria! E perché l’amiamo la vogliamo Immacolata! Se fosse stato in nostro potere, oh! come l’avremmo preservata dalla macchia originale! L’avremmo voluta tutta bella, tutta santa. E Dio che l’ha amata infinitamente più di noi, non avrebbe fatto ciò che avremmo fatto noi se lo avessimo potuto? Dio che è amore infinito, Dio che ama Maria in modo infinito? Bisogna rinnegare la ragione ed il cuore per ammettere — quand’anche la Chiesa non l’avesse definito come dogma di fede — la possibilità che Maria non fosse Immacolata. Oh! l’Immacolata è per noi l’ideale della bellezza spirituale, della santità.

7 ° Devoti cristiani, pensiamo che noi pure abbiamo partecipato in parte al dono di cui fu favorita Maria. Vi abbiamo partecipato quando, bambini forse di poche ore, di pochi giorni, fummo recati alla chiesa e le acque battesimali scorsero sul nostro capo. La grazia di Dio scese allora in noi; e l’anima nostra divenne tutta pura e bella, ed adorna della grazia santificante, figlia di Dio. Oh! ricordiamo con gioia, con riconoscenza, il nostro battesimo! Oh! se avessimo sempre conservato, come Maria, la bellezza spirituale dell’anima nostra! Riacquistiamola, se l’abbiamo perduta, e poi riguardiamola sempre come il più prezioso nostro tesoro, conserviamola con quell’amore con cui riguardiamo Maria Immacolata. Mi sia qui permessa una parola ai genitori. Quando Iddio vi fa dono d’un bambino, deh! non lasciate trascorrere tempo prima di recarlo alla Chiesa pel santo Battesimo! Pensate che si tratta di procurargli la più grande ventura, di renderlo figlio di Dio, di render tutta bella e santa l’anima sua, allontanare da lui il demonio, sottrarlo alla sua schiavitù, renderlo partecipe della bellezza spirituale dell’Immacolata.

II. Un pensiero ancora al privilegio di Maria Immacolata. È un privilegio unico, un privilegio grande, un privilegio divino. Unico. Ogni uomo che nasce in questa terra, porta in se stesso le rovine della colpa; anzi concepito in peccato ne porta dal primo istante di sua esistenza la macchia e la pena. Questa è la legge comune, contro cui non vale chiarezza di sangue, né potenza d’armi, né splendore di gloria. Tutti siamo figli della colpa. L’umanità ci passa dinnanzi come le onde dell’Oceano che di continuo s’incalzano e premono; tutte le generazioni portano in fronte il marchio della colpa originale: passano i patriarchi, i profeti, gli apostoli, i martiri, le vergini, i padri della Chiesa, gli uomini più insigni per santità, e tutti ripetono con Davide: « Io fui concepito nella iniquità, e nei peccati mi ha concepito la madre mia » (Ps. L, 6). Solo Maria è degna dell’inno trionfale della Chiesa: « Tota pulcra es, Maria, et macula originalis non est in te » ; è un privilegio, non raro, ma unico: è il prodigio di Dio santificatore. Grande. Oh! veramente grande è tal prodigio. Par di vedere l’anima di Maria nell’atto della Concezione. Uscita bella, santa e perfetta dalle mani di Dio, spiegava agile il volo per unirsi al corpicciuolo formatosi in seno ad Anna, quando la vide il principe degli abissi. Il superbo che da 40 secoli era avvezzo a trionfi, come prima la guardò già la contava tra le sue prede e quanto più celesti ne scorgeva i lineamenti e l’aspetto, tanto più godendo della nuova conquista, apriva le labbra per annebbiarla col pestifero suo soffio. Stavano intanto spettatori gli Angeli e i demoni, quelli infiorati di gigli pronti a cantare le glorie della bellissima creatura, questi ridendo del riso della superbia pronti a cantare le vittorie dell’inferno. L’anima di Maria intanto che già tutta palpitava di carità mentre stava per congiungersi al corpo si scontrò a faccia a faccia con quell’antico omicida. Senonchè mentre il superbo spalancava le fauci ingorde per appestarla, ella spiccò più lieve il volo, e lasciatasi cadere a piombo sull’empio, schiacciatogli il capo, avvintogli il collo se lo trasse sotto i piedi pesto e vinto. Dio la resse col suo braccio onnipotente, e quando vide il serpente infernale sotto il virgineo piede di Lei, le cinse di stelle il capo, le pose il sole qual veste, le sottomise sgabello ai piedi la luna. Oh! privilegio veramente grande, per cui Maria trionfò del peccato, del demonio! Divino! Sì, veramente divino perché Dio solo poteva operare in Maria e con Maria tale prodigio. Dio è legislatore assoluto, superiore a tutte le leggi: Dio solo aveva potenza di compiere un tale prodigio, e se l’atto era superiore alle forze umane e create era però degno di Dio. – La corruzione originale è come un torrente impetuoso che potenza umana non può arrestare nel suo corso. Ma non vi ha corrente così impetuosa che Dio non possa arrestare. Dio, che al cenno di Giosuè arrestò altra volta il corso delle acque del Giordano, e a sua richiesta fermò il sole, Dio che impedì per mezzo degli Angeli alle fiamme della fornace di Babilonia di offendere i tre fanciulli giudei. Dio medesimo arresta il corso della originale corruzione innanzi all’anima eletta di Maria. E perciò il trionfo di Maria Immacolata è il trionfo di Dio; la gloria dell’Immacolata, è gloria divina.

III. Potrà forse qualcuno osservare che noi diamo troppa importanza al dogma della Concezione Immacolata di Maria. No, o devoti Cristiani, noi non potremo mai dare a questo dogma l’importanza che merita, e ciò per due ragioni: perché è dogma fondamentale della nostra fede, e perché  segna il rimedio al male capitale del secolo nostro. Il razionalismo moderno nega tutto. La Concezione Immacolata di Maria ci ricorda le supreme verità che ci riguardano, la nostra origine, il nostro fine, la caduta dell’uomo in Adamo, la divinità di Gesù Cristo, la redenzione umana. Oh! meditiamo questo dogma così grande; e le verità più importanti della fede splenderanno allora alla nostra mente per illuminarla ed indirizzarla. Il mondo è superbia, e un fremito di ribellione agita le moltitudini insofferenti di autorità. Meditate l’Immacolata e troverete di che umiliarvi, pensando alla sventura originale. Il male ci colpì, ci avvilì prima ancora della nostra nascita. Quasi non eravamo ancora, e già eravamo vinti dal demonio. Piaga gravissima dell’età nostra è il sensualismo più abbietto: godere e non altro che godere; tale è il fine a cui molti mirano ai giorni nostri. Voi contemplate con raccapriccio il dilagare delle sfrenatezze del senso per cui non ci è dato di fare un passo nelle nostre città senza dover chinare la fronte vergognosa degli spettacoli, delle figure che le si presentano innanzi. Il dogma della Concezione Immacolata di Maria ci presenta nella Vergine corredentrice, Madre di Gesù e Madre nostra, il tipo ideale della bellezza spirituale, il trionfo dello spirito sul senso, ci addita il modello che dobbiamo proporci ad imitare nel nostro pellegrinaggio terreno. Ah! comprendiamo come sia stato beneficio speciale della Provvidenza che il dogma dell’Immacolata fosse definito nei tempi moderni, quando appunto di tale verità più abbisognavamo. Siamo pertanto devoti dell’Immacolata onde indirizzare la nostra mente per la via della fede, onde saper mortificare la superbia dello spirito, e mantenerci puri in mezzo al fango del mondo.

ESEMPIO. — La Medaglia miracolosa, che dall’anno 1832 tanto si diffuse fra i fedeli, rappresenta da una parte l’Immacolata Concezione della santa Vergine, e dall’altra la lettera M sormontata da una croce, con i sacri cuori di Gesù e di Maria al disopra. Fu, in una visione, mostrata ad una Figlia della carità, suor Caterina Labouré, consacrata a Dio in una delle comunità di Parigi, e morta il 31 dicembre 1876. Ecco i particolari storici di questa rivelazione secondo una lettera del 17 marzo 1834, scritta dal direttore stesso di questa figlia privilegiata: Verso la fine del 1836, questa pia figlia partecipò al suo direttore spirituale una visione avuta nella sua orazione. Aveva, come in un quadro, veduta la SS. Vergine, come è d’ordinario rappresentata sotto il titolo d’Immacolata Concezione, in piedi, colle braccia stese. Dalle sue mani uscivano raggi che la rapivano, e udì queste parole: Questi raggi sono il simbolo delle grazie che ottengo agli uomini. Attorno alla immagine leggevasi in caratteri d’oro questa breve invocazione: O Maria, concepita senza peccato, pregate per noi che ricorriamo a voi. Considerato questo quadro per alcuni momenti, le fu mostrato il rovescio del quadro stesso e vide la lettera M sormontata da una croce e, al disopra, i sacri cuori di Gesù e di Maria. Allora di nuovo si fece intendere la voce e le disse: Bisogna coniare una medaglia su questo modello, e le persone che la porteranno benedetta e indulgenziata, e con pietà diranno questa breve preghiera, saranno specialmente protette dalla Madre di Dio. Chiese se dovevasi mettere qualche iscrizione dalla parte ove trovavasì la lettera M, la croce ed i due cuori, come si vedeva dall’altra parte: e le fu risposto che no, giacché questi simboli parlavano abbastanza all’anima pia. Il prudente direttore prese questo racconto come illusione d’una pia immaginazione, e si contentò di magnificare in generale la divozione alla Santa Vergine. – Circa tre mesi dopo, la serva di Dio ebbe la medesima visione e dal suo direttore fu trattata nel modo stesso. Finalmente, dopo altri tre mesi, vide ed udì per la terza volta le medesime cose: ma questa volta la voce le disse di più che la Santa Vergine non era contenta che il direttore non si desse punto pensiero di far coniare questa medaglia. Allora il direttore sempre guardingo contro le illusioni, ma temendo d’opporsi ai disegni di Dio, che come a lui piace può esercitare la sua misericordia, andò a trovare l’Arcivescovo di Parigi, gli parlò delle tre visioni e della medaglia che si voleva con tanta insistenza. Il prelato rispose non esservi inconveniente alcuno nel far coniare quella medaglia, poiché era mirabilmente conforme alla fede ed alla pietà verso la Madre di Dio, e non poteva che contribuire a farla onorare. Dietro queste parole del venerabile Arcivescovo, il direttore non esitò più, e la medaglia fu coniata. – Questa medaglia cominciò subito a diffondersi presso le figlie della carità, che ne diedero ad alcuni infermi e moribondi ostinati nel non volersi confessare. Si ottennero guarigioni al tutto sorprendenti e non meno sorprendenti conversioni. Allora da tutte le parti si chiesero di tali medaglie, sicché dopo pochi mesi se ne erano spacciate più di 50 mila: e poco dopo si contavano a parecchi milioni quelle che circolavano soltanto nel Belgio, nella Francia e nell’Italia. Portiamo devotamente la Medaglia miracolosa, quale segno di fede nel dogma dell’Immacolata e di amore verso Maria; e questa Medaglia sarà lo scudo di difesa del nostro cuore, dell’anima nostra contro il demonio, sarà il pegno della protezione e delle benedizioni celesti su di noi.

CREDO …

IL CREDO

Offertorium

Orémus
Luc 1: 28
Ave, María, grátia plena; Dóminus tecum: benedícta tu in muliéribus, allelúja.

[Ave, o Maria, piena di grazia, il Signore è con te, tu sei benedetta fra le donne. Allelúia].

Secreta

Salutárem hóstiam, quam in sollemnitáte immaculátæ Conceptiónis beátæ Vírginis Maríæ tibi, Dómine, offérimus, súscipe et præsta: ut, sicut illam tua grátia præveniénte ab omni labe immúnem profitémur; ita ejus intercessióne a culpis ómnibus liberémur.

[Accetta, o Signore, quest’ostia di salvezza che Ti offriamo nella solennità dell’Immacolata Concezione della beata Vergine Maria: e fa che, come la crediamo immune da ogni colpa perché prevenuta dalla tua grazia, cosí, per sua intercessione, siamo liberati da ogni peccato].

Praefatio

de Beata Maria Virgine
Vere dignum et justum est, æquum et salutáre, nos tibi semper et ubique grátias ágere: Dómine sancte, Pater omnípotens, ætérne Deus: Et te in Conceptióne immaculáta beátæ Maríæ semper Vírginis collaudáre, benedícere et prædicáre. Quæ et Unigénitum tuum Sancti Spíritus obumbratióne concépit: et, virginitátis glória permanénte, lumen ætérnum mundo effúdit, Jesum Christum, Dóminum nostrum. Per quem majestátem tuam laudant Angeli, adórant Dominatiónes, tremunt Potestátes. Coeli coelorúmque Virtútes ac beáta Séraphim sócia exsultatióne concélebrant. Cum quibus et nostras voces ut admitti jubeas, deprecámur, súpplici confessióne dicéntes: Sanctus …

[È veramente degno e giusto, conveniente e salutare, che noi, sempre e in ogni luogo, Ti rendiamo grazie, o Signore Santo, Padre Onnipotente, Eterno Iddio: Te, nella Conceptióne immaculáta della Beata sempre Vergine Maria, lodiamo, benediciamo ed esaltiamo. La quale concepí il tuo Unigenito per opera dello Spirito Santo e, conservando la gloria della verginità, generò al mondo la luce eterna, Gesú Cristo nostro Signore. Per mezzo di Lui, la tua maestà lodano gli Angeli, adorano le Dominazioni e tremebonde le Potestà. I Cieli, le Virtú celesti e i beati Serafini la célebrano con unanime esultanza. Ti preghiamo di ammettere con le loro voci anche le nostre, mentre supplici confessiamo dicendo: Santo …]

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Ps LXXXVI: 3, Luc I: 49
Gloriósa dicta sunt de te, María: quia fecit tibi magna qui potens est.

[Cose gloriose sono dette di te, o Maria: perché grandi cose ti ha fatte Colui che è potente].

Postcommunio

Orémus.
Sacraménta quæ súmpsimus, Dómine, Deus noster: illíus in nobis culpæ vúlnera réparent; a qua immaculátam beátæ Maríæ Conceptiónem singuláriter præservásti.

[I sacramenti ricevuti, o Signore Dio nostro, ripàrino in noi le ferite di quella colpa dalla quale preservasti in modo singolare l’Immacolata Concezione della beata Maria].

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (2)

ORDINARIO DELLA MESSA

GNOSI: TEOLOGIA DI sATANA (51) LA VERA E LA FALSA FEDE -VI.-

LA VERA E LA FALSA FEDE –V.-

 (P. Gioacchino VENTURA: LE BELLEZZE DELLA FEDE, vol. II. Genova; Ed. Dario Giuseppe Rossi, 1867)

LETTURA VI.

LA CREDENZA DEI MAGI OVVERO LA VERITÀ E LA CERTEZZA DELL’INSEGNAMENTO DELLA FEDE.

§ X. – A somiglianza pure dei Magi, il cattolico, sostenuto dall’insegnamento della Chiesa, manifesta la certezza della sua fede coll’efficacia delle sue opere, e col resistere agli scandali che lo circondano. Felicità e pace di un figlio della vera Chiesa.

Ma la certezza che si ottiene dall’insegnamento cattolico, ancora meglio che da una fede nel suo linguaggio vivissima, si rende fra i Cattolici manifesta da una fede, come quella dei Magi, efficace o generosa nelle sue opere. E che cosa difatti, se non la certezza che abbiamo della verità dei misteri della fede, della forza delle sue grazie, dell’ampiezza delle sue ricompense, persuade tra noi quel disprezzo dei beni temporali e della vita presente, quelle virtù eroiche, quei sacrifici sublimi, quei prodigi di santità che fuori della Chiesa Cattolica si cercherebbero invano, e che l’idolatria, il maomettano, l’eretico nei momenti di un qualche lucido intervallo della loro ragione c’invidiano ed ammirano, senza poterli intendere, molto meno imitare? E una grande e profonda parola quella in cui la sacra Scrittura fa dire a Dio: IL MIO GIUSTO VIVE DI FEDE: Justus autem meus ex fide vivi! (Hebr. X). Imperciocché è appunto la certezza che la fede inspira, unita ai soccorsi soprannaturali che ottiene, che fa vivere sulla terra ad uomini ricoperti di una carne inferma e corrotta una vita angelica, celeste e divina. Essa è che doma le passioni più rivoltose, che contiene i trasporti più violenti, che sana le piaghe più inveterate e più profonde dell’umanità, e persuade la penitenza alla mollezza, l’annegazione all’amor proprio, la carità all’avarizia, la clemenza all’odio, l’umiltà all’orgoglio. Essa è che persuade al sacerdote, al religioso, alla verginella di soggiogare la più violenta delle inclinazioni della natura corrotta, ed immolarsi col sacrifizio continuo della castità più severa, alla gloria di Dio, al bene delle anime, al desiderio di una vita più perfetta in terra e più gloriosa nel cielo. Essa è che spinge il missionario cattolico ad abbandonare patria, parenti, amici, agi, onori, ricchezze; ed a traverso oceani tempestosi ed orridi deserti penetrare nelle contrade più barbare e più crudeli, in cerca di mostri a forme umane, per farli prima uomini e quindi Cristiani, senza altra speranza che quella di coronare una vita di apostolo, una vita di stenti, di privazioni, di croci, di sacrificj di ogni specie, colla morte di un martire. Essa è che anima tante illustri verginelle a fare un sacrificio della loro gioventù, delle loro comodità, della loro bellezza, per dedicarsi all’istruzione delle figlie del povero; ad apprestare nelle prigioni, negli ospedali, nei campi di battaglia, all’umanità inferma, colle lezioni della fede, tutti i soccorsi della carità. Essa è che ispira tante virtù modeste, ma grandi; ignote al mondo, ma note a Dio; virtù che nei paesi cattolici santificano l’interno delle famiglie e vi mantengono colla fede la santità, e coll’ordine la concordia, la pace e la felicità. Essa è infine che incoraggia tanta gente di ogni età, sesso e condizione, a non temere né i sarcasmi degli empj, né il disdegno dei mondani, né la persecuzione dei parenti, né la perdita dei beni, né i pericoli della vita per conservare la fede, per non violare il pudore, per pròfessar la pietà. In somma è questa fede certa che rifonde tutto l’uomo e lo trasforma; fortifica l’anima e la solleva sopra sé stessa e le ispira nobili idee, sublimi sentimenti, sacrificj generosi ed eroici; e riproduce in ogni tempo, in ogni luogo, all’ammirazione del cielo e della terra, lo spettacolo unico e proprio solo della Chiesa Cattolica, lo spettacolo grandioso e stupendo di tanti uomini che, circondati dalla seduzione o dall’ingiustizia di tutte le passioni, son giusti ed in mezzo a tanti esempi di una vita voluttuosa e da bruto, novelli Lot, menano una vita che imita la purezza degli Angioli e manifesta la santità di Dio: Justus autem meus ex fide vìvit. – Che più? simile a quella dei Magi, la certezza che viene dall’insegnamento cattolico si produce ancora per mezzo di una fede costante in faccia ai più grandi scandali capaci di scuoterla e di abbatterla. Vede l’anima veramente cristiana la sua fede combattuta da tanti miscredenti, sfigurata da tanti eretici, disonorata da tanti delitti, oppressa da tanti tiranni. Vede i confidenti non meno che i nemici, i figliuoli stessi non meno che gli estranei, i protettori non meno che i persecutori, con una infernale energia lavorare, dove di nascosto, dove in palese, a metterla in discredito ai dotti, in diffidenza ai governi, in odio al popolo; e disputarsi l’empio vanto di darle l’ultimo crollo o co’ tenebrosi maneggi della loro politica, o col veleno delle loro dottrine, o coll’obbrobrio dei loro costumi. Tutto ciò essa vede, e come si gloria in Dio delle nuove conquiste e della gloria della fede, così geme in silenzio innanzi a Dio e versa lagrime di dolore sulle sue perdite e sui suoi obbrobrj. Ma, al pari degli obbrobri di Gesù Cristo suo capo, che, rivelati a Mosè, come dice S. Paolo, servirono a corroborar la sua fede, invece d’indebolirla, gli obbrobrj e le sconfitte della fede, rattristano ma non iscandalizzano e non fan vacillare la fermezza della credenza dell’anima veramente cattolica. Questa fede, oscurata, annerita dai vapori dell’errore e delle passioni, come la sposa dei Cantici, non le sembra men bella: Nigra sum sed formosa; e quanto la vede più combattuta, tanto le sembra più solida e più verace. Sa essa l’anima fedele, e lo sa di certo che quello che crede è vero al di sopra di tutto ciò che è vero. Come dunque un nuovo vangelo annunziatole dai demonj convertiti in angioli di luce non basterebbe a sedurla, così non bastano a scuoterla, ad intimorirla tutti gli scandali presentatili da uomini convertiti in demonj. Questi scandali, al contrario, facendole sempre meglio conoscere la miseria di chi mal crede e peggio opera ed il vanto di ben credere e di operar bene, le rendono sempre più cara la stessa fede e ve la confermano. Non importa che lo scandalo le venga dalla parte da cui dovrebbe venire l’edificazione e il sostegno: la sua fede rimane costante a fronte delle apostasie degli stessi Cattolici, come quella dei Magi a fronte del disprezzo che mostrarono per Gesù Cristo i suoi stessi Giudei. – Al principio della rivoluzione francese, un ufficiale in Lione essendosi presentato ad un parroco per confessarsi, questo miserabile, che aveva fatto naufragio nella fede, guardando l’ufficiale dall’alto in basso con una sardonica meraviglia, se ne fece beffe, dicendo di non comprendere come mai un graduato e colto militare potesse essere sì pregiudicato e sì cieco da credere ancora alla confessione. « Tutto ciò, ripigliò l’ufficiale, nulla da un tanto scandalo scosso nella sua fede, tutto ciò, signore, non vi riguarda. Ditemi, siete voi sacerdote? avete dal vostro legittimo Vescovo la necessaria facoltà d’assolvere? » E rispondendo il parroco: « Sicuramente, » « Or bene, soggiunse l’ufficiale, compiacetevi di ascoltare la mia confessione e promettetemi da uomo d’onore di assolvermi, se me ne credete capace, coll’intenzione di fare ciò che fanno i ministri della vera Chiesa, e non v’imbarazzate del resto. Se voi lo avete dimenticato, io però ho la sorte di ricordarmi ancora, e so quello che vale l’assoluzione di un legittimo sacerdote, fornito della legittima potestà, qualunque sia per altro la sua opinione e la sua condotta: » Promise il parroco di fare, e fece quanto e come l’ufficiale desiderava. E questi, confessatosi coi sensi della più grande pietà, ritirossi lasciando il parroco non saprebbe dirsi se più confuso della propria miscredenza, o meravigliato di trovare in questo novello centurione una fede sì solida e sì sublime. – Questo bell’esempio di fede, che ci è stato raccontato da un degnissimo ecclesiastico francese il quale lo avea saputo dallo stesso militare, questo esempio, dico, nei tempi di libertinaggio, di apostasia e di errore, ad ogni istante si rinnova. – Ma le anime veramente cattoliche, che in tali tempi, come ha detto S. Paolo, meglio si manifestano, sanno che la vera fede è soggetta a quando a quando a simili vicende per parte dell’errore e delle passioni: ma sanno ancora che, simili al sole che non abbandona un emisfero se non per il luminare un altro, e non tramonta la sera se non per tornare a spuntare il dì appresso, la stella miracolosa della fede, vera luce del mondo, non perde una porzione del suo splendore visibile e della sua esterna testimonianza in certi tempi ed in certi luoghi, se non per tornare in altro tempo e in altro luogo a brillare di un nuovo lustro e riscuotere omaggi novelli, e che, dopo essersi nascosta per qualche tempo da profuga, tornerà a mostrarsi per regnare da regina. Perciò né i libertini che la discreditano, né gl’indifferenti che non la curano, né i rei costumi che la disonorano, né gli antichi fratelli che cadono, né gli stessi ecclesiastici che prevaricano, scuotono punto i veri Cattolici nella loro fede. Deplorano siffatti scandali, ma non li imitano; compiangono tanta cecità, e, lungi dal divenir ciechi essi pure, imparano a vederci anche meglio; studiandosi di mantenere la purezza della lor fede colla purezza della lor anima; per non essere ancor essi strascinati dalla licenza del vivere alla turpe e vergognosa necessità di non credere. Non solo però questi tempi di pubblici scandali, ma i giorni ancora di prova, di tentazioni e di combattimenti privati ai quali Iddio sottopone alle volte le anime di tempra forte e robusta, e dei quali si è poc’anzi fatta parola, questi giorni altresì non duran sempre: passano essi più o meno rapidamente, per dar luogo ai giorni più sereni e più lieti, ai giorni di ricompensa e di conforto, che la divina bontà concede ancora in questa vita alle anime elette, dopo che la tentazione, coll’averne purificata la virtù e provata la fedeltà, le ha fatte trovare degne di Dio. – La stella dei Magi; dopo essersi occultata per provare la fermezza della lor fede ed accrescerla, tornò a brillare più splendida ai loro occhi; così la luce divina, dopo di essersi per qualche tempo ecclissata per provare pure ad accrescere la fede delle anime veramente cristiane, ricomparisce nella lor mente più brillante e più chiara. I venti delle tentazioni cessando di agitare questa preziosa fiammella, essa getta un lume immobile, costante e sicuro. E poiché nelle cose di Dio la mente tanto vede di più quanto il cuore è più puro, avendo detto il Signore: Beati mundo corde quoniam ipsi Deum videbunt (Matth. V.); così dopo che il cuore, per la prova sofferta, è stato purificato da quelle resine carnali da cui si sollevano i vapori delle passioni, la mente, divenuta più sgombra e più chiara, ci vede meglio di prima. E chi può mai intendere, non che spiegare o descrivere con parole lo stato di pace, di quiete, di secreta gioja in cui entrata l’anima, si abbandona a vagheggiare le bellezze della vera fede? Videntes stellam gavisi sunt gaudio magno valde. Anche questo è un gran prodigio, è un gran mistero di fede, che moltissimi fra gli stessi Cattolici intendono poco, e gli eretici e i miscredenti non lo intendono affatto come gli uomini carnali, perduti nelle delizie dei sensi ed intenti a soddisfare il ventre che si hanno eretto in divinità, Quorum Deus venter est (Philip. III), non intendono come mai possa esser felice un cuore che assoggetta tutte le sue inclinazioni all’abnegazione evangelica; così gli eretici e i miscredenti, tutti occupati a ragionare e discutere, e che si sono fatti un idolo della loro ragione, non comprendono, nè possono comprendere come esser possa tranquilla e felice una mente che ha rinunziato ai propri lumi, al proprio giudizio per cattivarlo in ossequio della vera Fede. Ma che questo doppio mistero della grazia e della fede s’intenda, o non s’intenda, ciò nulla importa; il fatto sta che, tra i veri Cattolici, è certo e visibile. Poiché è certo e visibile presso di loro che siccome le anime veramente pure, lungi dall’essere infelici perché si privano degli sfoghi dei sensi, questi sfoghi anzi lor fanno orrore, e il sacrificio stesso della loro carne le consola, e l’incanto della purezza le rapisce e forma parte della loro interna felicità, così le anime veramente fedeli, lungi dal soffrire perché s’interdicono ogni raziocinio, ogni indagine in opposizione alla fede, ogni delirio della ragione, questo stesso sacrifizio della loro mente e del loro giudizio le appaga, le trasporta, e, facendole tranquille, le rende felici. – Imperciocché la felicità della mente consiste nell’ordine e nel riposo dei pensieri, come nell’ordine e nel riposo degli affetti consiste quella del cuore; ed opera della grazia divina si è l’ordinare la credenza, come sua opera è l’ordinare la carità: Ordinavit in me charitatem (Cantic. II) . Perciò la stessa grazia che rende facili i precetti di Dio, ne rende credibili i dommi; la stessa grazia che rende leggiero il peso della legge rende ancora soave e delizioso il giogo della fede. Ora siccome questa grazia ordinatrice non si dispensa che nella Chiesa, così solo nella Chiesa può trovarsi questo doppio ordine, questo doppio riposo, questa doppia felicità. – Solo del popolo della vera Chiesa si adempie la gran profezia: « Il mio popolo si assiderà nelle bellezze della pace, nei tabernacoli della fiducia, in seno ad un ricco ed abbondante riposo: Sedebit populus meus in pulchritudine pacis, in tabernaculis fiduciæ, in requie opulenta (Isa. XXXII). – Mirate quel tenero bambinello che ha preso sonno nelle braccia materne. Oh come è placido il suo respiro, perché  nulla teme il suo cuore! con quale abbandono di sé, con quale fiducia, con quale tranquillità e pace prolunga il suo riposo! oh come è bella la condizione dell’innocenza che dorme in seno all’amore! Or questa non è che un’immagine assai debole della intera sicurezza dell’anima cattolica nella verità della sua fede; dell’immensa fiducia con cui, intorno a ciò che crede, si abbandona nelle braccia della Chiesa, che a nome di Dio le parla de’ misteri di Dio: e vi si riposa con una pace profonda, con una tranquillità perfetta, sapendo che non può ingannarla, perché è sposa di Gesù Cristo, e non vuole ingannarla, perché è madre dei Cristiani; sicché il Cattolico solo può ripetere col Profeta: In pace in idipsam dormiam et requiescam, quoniam tu, Domine, singulariter in spe constituisti me (Psal. IV). – La vera Religione, a ben riflettervi, non è in fondo che amore. La fede è l’amore che docile ascolta, la speranza è l’amore che attende, la contrizione è l’amor che si duole, la preghiera è l’amor che desidera, la pratica del bene è l’amor che s’immola, la pietà e la divozione è l’amore che si trattiene con famigliarità e con confidenza coll’oggetto amato che è Dio, e tutto il culto cattolico non è che l’espressione dell’amore di Dio verso dell’uomo diretta ad eccitare, a mantenere, a cattivare l’amore dell’uomo verso Dio. Perciò il principale effetto della grazia della fede è d’infondere nell’anima una forza segreta, onde la volontà vuole ed ama di credere quello che crede; e domandando all’intelletto il sacrificio di acconsentire a ciò che esso non intende e supera la sua capacità, l’ottiene; e l’intelletto, sotto il peso di questo amore soprannaturale, si piega e si sottomette ai misteri rivelati con maggior fermezza di quello che se li avesse veduti. Perciò S. Paolo non solo il sentimento che ci solleva ad amare Iddio come sommo bene, ma quello pure che ci fa credere e sperare in Lui come somma verità, attribuisce alla secreta operazione dello Spirito Santo mediante la carità divina che, venendo egli in noi pel Battesimo, ha diffusa nei nostri cuori: Habemus accessum per fidem in gratiam istam, et gloriamur in spe gloriæ filiorum Dei..,. Spes autem non confundit: quia charitas Dei diffusa est in cordibus vestris per Spiritum Sanctum qui datus est nobis (Rom. V.). La vera fede adunque è più nel cuore che nell’intelletto; oppure è nell’intelletto insieme e nel cuore: nell’intelletto per farlo credere amando, nel cuore per farlo amare credendo; e se il principio ne è la grazia, la forma e l’alimento ne è l’amore. Una fede siffatta salvò Maddalena: giacché lo stesso dolcissimo Gesù, che la assicurò della sua salute pel merito della sua fede, Fides tua te salvum fecit (Luc. VIII), dichiarò altamente che questa fede sì grande di Maddalena avea preso da un grande e tenerissimo amore la sua forza, il suo abbellimento o la sua perfezione: Dilexit multum (ibid.). Ora dall’amore nasce la fiducia, dalla fiducia il riposo nell’oggetto amato. Egli è adunque perciò ancora che il Cattolico, in cui la fede non è effetto del convincimento di un freddo raziocinio umano, ma del sacro fuoco dell’amore divino, va incontro con vero trasporto alla parola di Dio, all’insegnamento divino manifestatogli per mezzo della Chiesa; lo riceve con una immensa fiducia e vi si adagia e vi si riposa coll’intelletto e colla volontà, colla mente e col cuore, come in un tabernacolo di sicurezza e di pace: Sedebit in tabernaculis fiducia, in pulchritudine pacis. Oh condizione felice! oh sorte avventurosa della coscienza cattolica! Ma per sempre meglio intenderne i vantaggi e il pregio, procuriamo di confrontarla colla condizione infelice, colla sorte deplorabile delle coscienze di coloro che sono fuori della vera Chiesa; giacché, come le tenebre fan meglio risaltare il pregio della luce, così le miserie dell’errore fan meglio apprezzare il vanto di conoscere e di professare la verità.

§ XI. – Si entra a dimostrare che, fuori della Chiesa cattolica, non vi è CERTEZZA alcuna di fede. Da prima perché manca un’autorità divina. L’autorità politica, che fuori della Chiesa dispone della religione, non è altrimenti divina nel decretare i simboli di fede, ma umana o diabolica. Contradizione e castigo degli eretici, obbligati a far dipendere la loro fede dall’autorità secolare, essi che non vogliono riconoscere  l’autorità della Chiesa. Assurdità che vi sarebbe a riconoscere divina l’autorità degli eresiarchi; i loro stessi discepoli l’hanno ripudiata. La stessa Scrittura cessa di essere un’autorità divina pel Cristiano che crede di doverla interpretare a suo modo. – Il vero eretico non riconosce alcuna autorità divina, ma mette la propria ragione al di sopra di Dio stesso. Questo orribile peccato lo ha comune con Lucifero.

Abbiamo veduto che la certezza onde noi Cattolici siamo perfettamente tranquilli e sicuri nella nostra fede sopra tre motivi principalmente si fonda: . sull’autorità divina, interprete infallibile della divina parola; 2.° sull’interno ajuto della grazia della fede; . sull’esterna testimonianza dell’unità delle cattoliche credenze. Ora, poiché nessuno di questi tre motivi si trova nel sistema dell’insegnamento dell’eresia, egli è chiarissimo che l’eretico, veramente tale, non è e non può mai esser certo di quello che crede, e che fuori della cattolica Chiesa non vi è, né può esservi, in materia di religione, né vera certezza, né vera fede. – Non vi è da prima presso gli eretici un’autorità divina, interprete infallibile della divina parola. Accade nell’ordine religioso ciò che accade nell’ordine politico; giacché le stesse ne sono le leggi fondamentali, come lo stesso Dio ne è l’autore. Come la mancanza dell’autorità politica produce l’anarchia dei poteri nello stato, così la mancanza dell’autorità religiosa produce in religione la confusione delle credenze. E come l’anarchia dei poteri distrugge lo stato, così la confusione delle credenze alla lunga finisce col distruggere ogni religione. Come dunque la forza o il dispotismo politico può solamente mantenere un’apparenza di ordine in un popolo caduto nell’anarchia dei poteri, così la sola forza o il dispotismo religioso può, presso di un popolo caduto nella confusione delle credenze, mantenere un’apparenza di religione: Perciò non solo nei paesi maomettani e idolatri, ma ancora ne’ paesi cristiani, ma scismatici o eretici, è la podestà secolare, è la forza, è la spada che domina la religione. – Vi sono, è vero, vescovi ed arcivescovi nella chiesa anglicana, come vi è il santo sinodo nella così detta chiesa ortodossa. Ma quelli riconoscon per pontefice il re, o la regina col suo parlamento, questo l’imperatrice o l’imperatore col suo senato. Le stesse confessioni, gli stessi simboli legali, nei quali l’eresia e lo scisma han ridotto a certe formule l’errore, sebben foggiati da uomini di chiesa, è sempre l’autorità secolare che gli impone a tutti come leggi, che ne reclama l’esecuzione, e che al bisogno gli interpreta a seconda del suo interesse o del suo capriccio. Che anzi negli stessi stati, come la Prussia, l’Olanda, la Svizzera, in cui la supremazia religiosa della podestà politica non è un domma di religione, e perciò non é un diritto, è però ammessa ed esercitata di fatto; poiché infatti è il potere politico che decide nelle materie religiose, come nelle civili: che ordina le preghiere e i digiuni, come le imposte; che dispensa dai precetti del Vangelo, come dalle prescrizioni del codice civile; che regola le coscienze come le dogane, e dirige il culto come la polizia. – Qui due riflessioni si presentano naturalmente alla mente: la prima si è, la contradizione manifesta in cui l’eresia si trova con sé medesima. Poiché qual maggiore contraddizione di questa di rigettare l’autorità della Chiesa universale ed ammettere e sottoporsi all’autorità politica di un governo particolare in materia di religione? e di dire che l’autorità della Chiesa non è necessaria, mentre che l’eresia stessa altro mezzo non trova di perpetuare i suoi scismi e i suoi errori che quello d’insegnarli e d’imporli, coll’autorità sostenuta dalla forza? Qual contradizione più rivoltante di questa, di sostenere che Roma, che la Chiesa universale, riunita, per esempio, in Trento (in cui i più grandi talenti uniti a tutte le virtù fecero di quel Concilio l’assemblea la più santa, la più dotta, la più augusta, la più memorabile di quante mai ne abbia vedute la terra), non ha capito il Cristianesimo e vi si è ingannata: e che hanno ben capito e ci hanno solamente indovinato Costantinopoli, Pietroburgo, Vittemberga, Augusta, Londra, Ginevra ed i conciliaboli ivi raccoltisi sotto la protezione del soldato o del carnefice, e composti di frati apostati, di ecclesiastici incestuosi, d’ingiusti usurpatori, di fanatici sanguinarj, di artigiani falliti, di soldati rivoltosi, di femmine invereconde; in cui tutte le follie unite a tutte le turpitudini, e tutte le assurdità innestate a tutti i vizj, ne fecero le orge le più comiche insieme e le più scandalose di quante ne rammenti la storia delle umane ingiustizie e delle umane stravaganze? La seconda riflessione si è, che il castigo di Dio è visibile sopra questi popoli e sopra queste chiese ereticali o scismatiche, ribelli alla vera Chiesa. L’orgoglio che ha ricusato di sottomettersi al Vescovo dei Vescovi si vede ivi curvato innanzi ad un militare fortunato o alla sovranità religiosa in gonnella, e palparne le passioni e adorarne i capricci e subire dalla loro bocca profana la regola del credere e dell’operare, che ha sdegnato di ricever dalla bocca del Vicario di Gesù Cristo. Non han voluto sapere queste chiese degradate di esser guidate dal pastorale, e sono cadute sotto il regime dello scettro e della spada. La seta della romana tiara è sembrata lor troppo grave, e sono obbligati a gemere sotto il peso di una Corona di ferro. Rigettarono le bolle del Vaticano, ed invece devon piegare la fronte innanzi ai decreti di gabinetto, e ricevere dai parlamenti, invece dei concilj, dai tribunali laicali, invece delle sacre congregazioni, ed invece del concistoro romano, dal consiglio di stato la soluzione dei casi di coscienza e l’interpretazione del Vangelo. Sicché come la fede del Cattolico si riduce in fondo a questo semplice articolo, che comprende tutte le verità: « Io credo tutto ciò che crede la Chiesa; » così la fede del Cristiano, nei paesi in cui lo scisma e l’eresia è la religion dello stato, si riduce a quest’articolo, che comprende tutti gli errori, non escluso l’ateismo: « Io credo a ciò che ordina di credere il re, o l’imperatore. » – Di più, una delle prove più luminose, come si è di già veduto, che l’autorità pontificia insegnante è manifestamente divina si è che gli uomini d’ingegno, d’indole, di nazioni diverse, che per circa duemila anni l’hanno esercitata, appena si sono messi a sedere sulla cattedra di verità, dimenticando tutte le loro idee e le loro passioni, han parlato tutti lo stesso linguaggio. Poiché, senza un’assistenza divina sempre la stessa, era impossibile in tanta diversità di tempi, d’interessi, di opinioni, un accordo si costante, si uniforme, sì contrario alle condizioni dell’umanità e però ancora sì prodigioso. Ma immaginate che i sommi pontefici avessero insegnato il contrario gli uni dagli altri in materia di fede: non potendosi allora decidere chi di loro avesse insegnato il vero e chi il falso, non si potrebbe con sicurezza credere a nessuno. Or con molto più di ragione non si può credere ad alcuna delle autorità civili che si hanno usurpato il diritto di spiegare il Vangelo, e che si vedono interpretare questo Vangelo unico in mille maniere differenti e contrarie; giacché il Cristianesimo di Londra non è quello di Pietroburgo, il Cristianesimo di Berlino è condannato di eresia all’Aja, e quello di Ginevra in Atene è tacciato di empietà … Ma siccome sotto un Dio unico non vi è, né vi può essere che una stessa e medesima fede; una stessa e medesima legge, uno stesso e medesimo modo d’intenderla e di praticarla; e lo stesso Dio non può ispirare interpretazioni sì differenti e sì contrarie della sua stessa parola divina, uniforme ed immutabile: così è chiarissimo che queste autorità civili, che si hanno arrogato la supremazia religiosa, non sono ispirate dal Dio di verità, di pace e di concordia, ma dallo spirito di menzogna, di confusione e di disordine: e che non sono organi divini che insegnano le vie della salute, ma strumenti diabolici che strascinano le anime alla perdizione. – E poi, dopo che si è negato al Sommo Pontefice, capo della Chiesa universale, l’autorità divina di spiegare agli uomini il Vangelo, come è possibile il riconoscere investito di questa stessa autorità divina un fanciullo, od una donnetta, per diritto di nascita o per intrigo di rivoluzione, saliti al trono, o un ribaldo o uno straniero che vi si é fatta strada con una guerra ingiusta, o con una usurpazione felice? Il buon senso più volgare non ripugna di ammettere sì enorme stravaganza? – Credo perciò che quelli stessi cui la ribellione alla Chiesa ha conferito un diritto sì esorbitante e sì assurdo sulla religione dei loro popoli non prendano già in serio questa loro dignità; o che, come degli antichi auguri ci narra Cicerone, che incontrandosi tra via non potevano contenersi dal ridere e volgere essi stessi in burla l’assurdità del loro ministero, così questi pontefici di fabbrica umana non possono non farsi beffe del loro ridicolo pontificato. Checché sia però di loro è certissimo che chi ha fior di senno in capo fra i loro sudditi non crede che essi abbiano autorità in materia di fede, più di quella che un semplice privato ne ha in materia politica, e che l’ima autorità è tanto poco divina quanto l’altra è poco sovrana. Perciò gl’Inglesi protestanti, come vari di loro più sinceri ce lo han confessato, non riconoscono nel loro re-pontefice che la sola esterna rappresentanza della supremazia religiosa, cioè un’autorità puramente politica per mantenere l’esterna unità di una politica religione, qual è la chiesa anglicana, non mai però una vera autorità religiosa, molto meno divina, che abbia diritto di comandare la fede e legar le coscienze. Ciò che, in altri termini, significa che il re d’Inghilterra colla sua prerogativa di capo della religione anglicana e con tutti gli omaggi che a tal titolo riceve, non è più pontefice di quello che sia re un re da teatro; salvo la differenza che un re da teatro fa ridere, e questi pontefici di politica creazione, a cominciar da Nerone che fu pontefice a questo modo, han fatto più di una volta scorrere piogge di lagrime e torrenti di sangue. – Né minor violenza bisognerebbe fare all’intimo senso per riconoscere come inviati di Dio, ripieni del suo spirito e rivestiti di un’autorità divina gli eresiarchi, dalla cui viltà sacrilega i principi secolari han ricevuta la loro religiosa autorità. E mai credibile che Iddio, per illuminar la sua Chiesa e rimetterla sulla strada della verità, da cui gli eretici pretendono che si sia allontanata, tralasciate quelle anime sublimi ed eroiche che in tutti i tempi e precisamente nel secolo XVI suscitò nel Cristianesimo, un S. Gaetano Tiene, un S. Girolamo Emiliani, un S. Ignazio Lojola, un S. Filippo Neri, un S. Carlo Borromeo, un S. Francesco Saverio, un S. Camillo di Lellis, un S. Francesco Carracciolo, un S. Francesco di Sales, un S. Giuseppe Calasanzio, un S. Francesco Borgia, un S. Andrea Avellino, un S. Felice da Cantalice, un S. Pio V, un S. Pietro d’Alcantara, un S. Giovanni della Croce, un Sisto V, un Luigi da Granata, un Bartolomeo de’ Martiri, un Roberto Bellarmino, un Cesare Baronio, un Tomaso Moro, un Pietro Canisio e mille altri santi o venerabili uomini, di un zelo sì disinteressato, di una vita sì pura, di una carità sì eroica, di un ingegno sì vasto, e degnissimi perciò di ricevere in abbondanza lo spirito di Dio e di servire ai disegni della sua misericordia; che, tralasciati, dico, costoro, abbia voluto comunicarsi ad un Fozio l’ipocrita, ad un Giovanni Uss l’indiavolato, ad un Lutero l’incestuoso, ad un Calvino il sodomita, ad un Rotmano il crudele, ad un Arrigo VIII il poligamo, e ad altri uomini di simil tempra, autori di tutti gli scandali, rei di tutti i delitti, ed abbia voluto costituirli apostoli della verità, luce del mondo? In verità che la cosa è troppo assurti per potersi credere, troppo ridicola per potersi affermare. – E poi, se essi stessi questi eresiarchi si sono l’un l’altro scomunicati, anatematizzati, maledetti come apostoli di errore e corruttori della verità, e sì sono a vicenda regalati i titoli di asini, di porci, di diavoli in carne; come si farebbe a decidere chi fra loro ha avuto ragione e chi torto nel parlare cosi, chi è stato da Dio ispirato e chi dal demonio? non avendo potuto a tutti lo stesso Dio ispirare dottrine sì contradittorie da meritar l’una l’anatema dell’altra. Non è dunque più ragionevole e giusto il credere che. Eccettuata la sentenza onde si sono a vicenda condannati siccome eretici, poiché si sono in ciò renduti giustizia e si sono dati il nome che loro spetta, in tutto il resto l’inferno e non il cielo li ha ispirati? – Perciò i loro discendenti si vergognarono ben presto di tali antenati, e per fare obbliare al mondo di avere essi avuto questi mostri per loro guide e maestri, lasciati i nomi delle persone che ricordavano tanti delitti e tante infamie, chiesero alle cose il titolo onde distinguersi, e non si chiamarono più luterani, calvinisti, zwingliani, ma riformati, confessionisti, evangelici, protestanti, ortodossi. E con ciò han dato a conoscere al mondo che nemmeno essi stessi gli eretici riconoscono nei loro turpi patriarchi ombra di spirito di Dio, di missione divina, di divina autorità. – Ma la sacra Scrittura non contiene la parola di Dio? Credendo adunque, come gli eretici dicono credere alla Scrittura, non vengono essi a credere alla parola di Dio e sulla sua autorità? Sì, se col credere alla divina Scrittura credessero essi o potessero credere ad una autorità pure divina che infallibilmente la interpreti. Ma dove trovarla questa autorità fuori di quella della Chiesa Cattolica, che hanno rigettata? La logica dell’errore è così forte come quella della verità. Dopo che si è detto che la Chiesa cattolica o universale si è ingannata, non si può, senza contradizione, ammettere come infallibile l’autorità d’una chiesa particolare. Nessuna chiesa particolare adunque che ha fatto scisma dalla Chiesa universale si può essa stessa imporre come autorità divina ed infallibile ai membri che la compongono; ed è obbligata a lasciare ad ognuno la più ampia latitudine d’intendere la Scrittura come gli pare. Il principio protestante adunque: Che, in materia di religione cristiana, quello si deve ritenere per vero che sembrerà vero ad ognuno leggendo la Scrittura, è la conseguenza legittima, inevitabile, necessaria di ogni eresia che nega l’autorità della Chiesa cattolica, ed in questa conseguenza ogni eresia si risolve. Perciò ogni eresia, come la stessa parola Io indica, non è in fondo che opinione particolare e privata. – Gli eretici veramente tali non hanno dunque fede che nell’infallibilità loro personale, non ammettono altra autorità che la propria ragione. Ed egualmente impudenti e ridicoli che orgogliosi ed empj non arrossiscono di sostenere che può errare il Sommo Pontefice, il testimonio sincero della credenza cattolica, il custode del deposito della rivelazione, il dottore universale, principio e centro della cattolica unità; ma che non erra poi mai l’uomo privato, il zerbino, il militare, il bifolco, la donnicciola: che può ingannarsi colui che Gesù Cristo ha rivestito del ministero d insegnare; ma non s’inganna però mai colui che ha solo l’obbligazione di credere; che può traviare e addormentarsi il pastore, che ha l’incarico di guidare e di pascere; ma che cammina sempre dritta e sicura e che è sempre vigilante sopra sé stessa la pecora, che ha un incessante bisogno di essere guidata e pasciuta: che il maestro alle volte non intende bene la divina parola, ma che bene sempre la intende il discepolo; che è fallibile colui cui è stato detto da Gesù Cristo, la tua fede non fallirà giammai (Luc. XXII); ma è infallibile colui cui il Signore ha detto, bada bene che quello che tu credi un lume in te stesso può benissimo non essere altro che tenebre (ibid. 11). Quanto dire che osano di attribuirsi, ognuno in particolare, quella infallibilità che negano al capo dei fedeli, al corpo dei pastori, alla Chiesa universale, e con una stolida confidenza si appoggiano ad una fragile canna, dopo di avere abbandonata la quercia come non abbastanza solida e sicura. – Pertanto se, ammettendo la divinità delle Scritture riconoscessero la divina autorità che ha la Chiesa d’interpretarla, allora la loro fede, come la nostra, andrebbe a risolversi a terminare in Dio. Ma poiché, rigettata l’autorità della Chiesa, hanno adottato il principio di non ammettere per vero, se non ciò che a ciascuno parrà cero leggendo la Bibbia, come gli antichi filosofi han detto: Quello doversi tener per vero che sembra vero ad ognuno studiando la natura; ognuno di loro si è messo nella disposizione di non credere delle verità primitive o evangeliche né più né meno di quello che gli piacerà e come gli piacerà di crederlo, e di rigettar come falso, o disprezzare come indifferente, tutto ciò che nella rivelazione cristiana rimane al di fuori del circolo delle sue concezioni, de’ suoi giudizj, de’ suoi gusti, dei suoi capricci. In questo orribile sistema adunque, come lo ha benissimo avvertito Tertulliano, sebben l’uomo protesti di credere alla parola di Dio depositata nella Scrittura, pure non è la rivelazione divina che serve di regola alla ragione umana, ma la ragione umana che allarga o restringe, accetta o rigetta, e decide sulla rivelazione divina. Non è l’uomo che si assoggetta alla parola di Dio, ma è la parola di Dio che riman sottoposta al giudizio dell’uomo, Unusquisque arbitratu suo modulatur quod accepit (De præser.). L’ultimo motivo della sua credenza non è già Dio che ha parlato alla Chiesa, ma la propria ragione che ha deciso della parola di Dio, ed ove la fede del Cattolico, nella sua analisi, si risolve in quest’ultimo articolo: Io credo a Dio, la fede dell’eretico finisce in quest’altro: lo credo a me stesso. Quanto dire che l’uomo si erige e si forma un Dio di sé stesso. – L’eretico adunque, coerente a’ suoi principj, non solo non fonda la sua credenza sopra alcuna autorità divina, ma la stabilisce sopra il più grande dei delitti di cui l’umana intelligenza può farsi rea innanzi a Dio, sopra l’idolatria di se stesso. – Quest’orrendo delitto della ragione, che si fa un Dio di se stessa, l’eresia lo ha comune colla filosofia pagana. Degli antichi filosofi Cicerone, in persona di Balbo, afferma che, disprezzando sdegnosamente ogni autorità, tutto pretendevan decidere al tribunale della propria ragione, ed altro oracolo non ammettevano che il proprio giudizio: Tu auctoritates omnes contemnis, ratione pugnas … Suo unicuique utendum est judicio (De nat. deor.). E Seneca pure, alunno ed interprete della stessa scuola, il filosofo, dicea, abbandonato ai proprj pensieri, non acconsente, non crede che a se stesso, Philosophus, cognitionibus suis traditus, acquiescit sibi. Lungi adunque dal credere a Dio, non ammettevano Dio se non come ad ognuno sembrava bene di ammetterlo, o piuttosto se lo creava ciascuno a seconda del proprio capriccio, o delle proprie passioni. E siccome il Creatore è al di sopra della creatura, così questi stolidi e sacrileghi creatori di Dio non mancano di preferirsi a Dio stesso e di costituirsi dii dello stesso Dio. Poiché lo stesso Seneca in più luoghi ha bestemmiato « che il filosofo, pel merito della sua sapienza, è a Dio superiore; » benché, in quanto a lui stesso, per eccesso senza dubbio di modestia, contentossi di dirsi a Dio solamente eguale: Hoc mihi philosophia promittit, ut me Deo parem faciat. E per dirlo qui di passaggio, chi non ravvisa in questa sacrilega parola del pagano filosofo un eco fedele della parola sacrilega che Lucifero pronunziò di se stesso dicendo: « io mi farò somigliante all’altissimo Iddio. Similis ero Altissimo (Isa. XIV) , » e che ripeté quindi all’orecchio dei nostri progenitori, promettendo loro che sarebbero divenuti simili a Dio disubbidendo a Dio, Nequaquam moriemini, sed eritis sicut dii (Gen. II). Ora questa stessa orribile parola che, uscita dal fondo dell’abisso, risuonò prima nell’empireo, poi nell’Eden e infine nel mondo pagano con sì funesto rimbombo, si è ripetuta e si ripete ancora, con non minor danno, in quelle parti del mondo cristiano ove ha dominato e domina ancora l’eresia. Simon Mago, Manete, Montano, Maometto fra gli antichi, Lutero, Martino, Giorgio, Diderot e Rousseau, fra i moderni si sono apertamente attribuita l’ispirazione e l’infallibilità divina e si sono preferiti, lo dirò io?…. al medesimo Gesù Cristo. I loro discendenti non osano più altrettanto colle parole, ma l’osano coi fatti. Giacché che cosa è mai il principio protestante ammesso ed enunciato dai protestanti medesimi: Il protestantismo consiste nel credere come più piace e nel vivere come si crede? se non prendersi scherno di ogni rivelazione divina, opporre il proprio capriccio alla divina parola; è lo stesso che dire: « Che Dio abbia o no parlato, poco m’importa. Se ha parlalo, non ha diritto di impormi la sua parola per regola della mia intelligenza e della mia condotta. Che cosa poi abbia detto, non mi curo saperlo, giacché ho sempre diritto di far dipendere la mia credenza dal mio capriccio e la mia vita dalla mia credenza. « E non è questo un considerarsi eguale, anzi superiore a Dio stesso? È dunque la stessa parola di Lucifero, che collo stesso accento del sacrilegio ripercossa in faccia alla montagna dell’orgoglio ha un eco nel cuor dell’eretico. È Io stesso spirito di superbia luciferina che lo anima, che lo ispira, che lo regge, che lo acceca, che lo perde. Oh misera condizione dell’uomo alla scuola di un tal maestro, sotto il regime di un tal padrone, sotto l’ispirazione di siffatta divinità!

UN’ENCICLICA AL GIORNO TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO: S. S. PIO IX – “OPTIME NOSCITIS”

Questa breve lettera Enciclica del Santo Padre S. S. Pio IX, ci presenta un documento che fotografa, se così si può dire, una situazione idilliaca scaturita da una collaborazione fruttuosa tra l’Imperatore cristiano Francesco Giuseppe, e la Sede Apostolica, cioè tra governo civile e Chiesa Cattolica, a tutto vantaggio sociale e spirituale dei cittadini – cristiani e non – dell’Impero austro-ungarico. Si tratta di uno degli ultimi esempi di questa stretta benefica collaborazione tra il potere temporale e quello spirituale di una Nazione cristiana, prima del dilagare dell’empietà delle sette di perdizione che doveva poi degenerare in rovinose guerre e rivoluzioni, e peggio ancora, nell’apostasia dal Cristianesimo e l’istituzione di una cultura massonica atea, della separazione e della morte, di cui oggi raccogliamo i marci frutti con una umanità soggetta interamente al vizio, alla corruzione ed alla morte, quella del corpo e poi quella più funesta dell’anima. La soddisfazione del Pontefice si traduce poi nelle raccomandazioni finali rivolte ai Vescovi di quell’Impero cristiano …. « sarà ora vostro compito, Diletti Figli Nostri e Venerabili Fratelli, di consigliarvi fra Voi e di vigilare con molta attenzione affinché nelle vostre Diocesi sia custodito integro e inviolato il deposito della santissima Fede Cattolica, e si provveda con il più alacre e vigile zelo alla retta educazione dei chierici; sia custodita e protetta la disciplina del Clero, e sia ripristinata ove si sia allentata; si assegni l’incarico di parroci e gli altri benefici ecclesiastici soltanto ad idonei e stimati sacerdoti; si provveda alla sana educazione della gioventù; si pasca e si nutra il gregge affidato alla vostra cura con l’annuncio della divina parola, con salutari ammonimenti e con opportuni scritti; si convochino Sinodi … ». – Tutto questo passerà ovviamente totalmente inosservato nella falsa chiesa dell’uomo roncalli-montiniana, ed in quella tragicomica del conciliabolo e postconciliabolo, sostituitasi alla Chiesa Cattolica con l’intento dichiarato di  « … non custodire integro e inviolato il deposito della santissima Fede Cattolica », ma di sostituirlo con l’indefferentismo religioso pseudo-ecumenico e con un panteismo naturalista-ecologista di impianto mondialista e comunista, nel senso della setta protestante-anabattista travestita da fraticelli medievali, gli eretici difesi dal divin copione, il sodomita Dante Alighieri.

Pio IX

Optime noscitis

Voi ben sapete, Diletti Figli Nostri e Venerabili Fratelli, che il carissimo Figlio Nostro in Cristo Francesco Giuseppe, Imperatore d’Austria e Re Apostolico, ha presso Noi e questa Santa Sede molti titoli di merito per l’avita sua fede religiosa e per il vivo interesse verso la realtà cattolica; fin dall’esordio del suo regno, accogliendo con la massima compiacenza i nostri più che giusti desideri, non ha avuto nulla di più caro che dedicare i suoi pensieri e le sue premure alla difesa della libertà della Chiesa Cattolica nei suoi vastissimi territori, allorché Egli mise mano ad un’opera tanto salutare quando pubblicò il decreto del 18 aprile 1850 con somma gloria del suo nome e col più grande compiacimento di tutti i buoni. Da allora lo stesso piissimo Imperatore e Sovrano, assecondando con pietà filiale ogni giorno di più le Nostre richieste e giustamente conoscendo quanto la Chiesa Cattolica e la sua salvifica dottrina assicurino la vera felicità e la pace dei popoli, Ci chiese con insistenza di stipulare con Lui una Convenzione che Ci concedesse facoltà di consultare, con la Nostra Autorità Apostolica, gli ecclesiastici di tutto il suo Impero e di affrontare tutti i problemi di tutti i territori che di esso fanno parte.

Pertanto con grande gioia del Nostro animo, accogliendo assai volentieri i desideri piissimi di quel Sovrano, ritenemmo di dover affrontare con Lui la Convenzione e fummo pervasi da profonda consolazione dal momento che in virtù della stessa Convenzione e con l’aiuto di Dio potemmo rivendicare e proteggere nel migliore dei modi la libertà della Chiesa Cattolica e i suoi venerandi diritti, e potemmo sanare non poche e gravissime questioni ecclesiastiche nei vastissimi territori di quell’Impero. Di conseguenza, mentre Ci congratuliamo dal profondo dell’animo con il carissimo in Cristo Figlio Nostro e gli rivolgiamo meritate e amplissime lodi, poiché si gloria di aver professato e venerato con tanto amore la nostra santissima Religione e, con pari devozione, Noi e questa Cattedra di Pietro, vi scriviamo questa lettera, Diletti Figli Nostri e Venerabili Fratelli, con la quale vivamente sollecitiamo la insigne e provata vostra religiosità e il vostro zelo pastorale, affinché avvertiate il vantaggio di quella maggiore libertà di cui in tutte codeste regioni dell’Impero d’Austria la Chiesa cattolica deve fruire e godere, e vogliate adempiere con somma diligenza, con sommo impegno, con energia, tutti i doveri del vostro ministero per l’incremento, il decoro e la prosperità della stessa Chiesa e per la salute delle anime.

Sarà ora vostro compito, Diletti Figli Nostri e Venerabili Fratelli, di consigliarvi fra Voi e di vigilare con molta attenzione affinché nelle vostre Diocesi sia custodito integro e inviolato il deposito della santissima fede cattolica, e si provveda con il più alacre e vigile zelo alla retta educazione dei chierici; sia custodita e protetta la disciplina del Clero, e sia ripristinata ove si sia allentata; si assegni l’incarico di parroci e gli altri benefici ecclesiastici soltanto ad idonei e stimati sacerdoti; si provveda alla sana educazione della gioventù; si pasca e si nutra il gregge affidato alla vostra cura con l’annuncio della divina parola, con salutari ammonimenti e con opportuni scritti; si convochino Sinodi sia provinciali, sia diocesani, in modo che possiate provvedere ogni giorno di più al maggior bene dei vostri fedeli. In verità, Diletti Figli e Venerabili Fratelli, non riteniamo di dovervi spiegare ciò che principalmente riguarda alcuni articoli della stessa Convenzione che desideriamo siate Voi stessi ad eseguire e ad applicare, in modo da favorire sempre più, tra codesto Impero cattolico, la Chiesa e la Sede Apostolica, quella graditissima concordia da cui ridondano ogni sorta di beni sulla comunità cristiana e civile.

In primo luogo vi avvertiamo che nello stesso tempo in cui diffonderete le vostre lettere pastorali e altri atti, dovrete mandare una copia di essi al Cesareo, Apostolico e Regale Governo, per lo meno a titolo d’informazione; dovrete pure segnalare allo stesso Governo la data di convocazione dei Sinodi; per la stessa ragione dovrete far pervenire al Governo un esemplare degli atti sinodali non appena essi diventino di pubblico diritto allorché saranno divulgati. Per quanto riguarda i Sinodi Diocesani, abbiamo saputo che non pochi del Vostro Ordine Episcopale desiderano vivamente di essere investiti di quella facoltà che da Noi fu concessa al Vescovo Leodiense con il rescritto edito il 4 maggio 1851. Abbiamo intenzione di assecondare i desideri di coloro che a Noi chiederanno tale facoltà e che insieme esporranno attentamente le peculiari condizioni della propria Diocesi, in modo che Noi possiamo prendere quelle decisioni che riterremo più opportune per ciascuna Diocesi. Siccome abbiamo per certo che per codesto Governo cattolico nulla vi sarà di più degno che incoraggiare e favorire lo spirito religioso e la pietà, così, se lo stesso Governo avrà espresso il voto di riservare a sé quanto riguarda la forma e il metodo con cui i libri di religione sono scritti ad uso delle Scuole, così Voi dovrete regolarvi secondo tale desiderio, salvo sempre ed incolume il vostro diritto di giudicare la dottrina contenuta in quei libri. Usate ogni cura affinché agli inizi, ossia nelle Scuole elementari, per insegnare il catechismo siano adottati quei libri dai quali la gioventù impari la sola dottrina della Chiesa Cattolica e affinché in quei libri non avvenga correzione alcuna, salvo non sopraggiunga un grave motivo, e sempre dopo esservi consultati fra Voi. E poiché vi è noto e risaputo quale grande differenza corra tra il sacro e il profano, dopo esservi consultati, proponetevi con ogni cura di formare gli adolescenti chierici, fin dagli anni più teneri, alla pietà, ad ogni virtù e allo spirito sacerdotale; di istruirli seriamente soprattutto nelle lettere e nelle sacre dottrine, del tutto aliene da ogni pericolo di qualsivoglia errore, in modo che nei vostri Seminari sia accurata l’educazione ecclesiastica e prevalga quel metodo di ottimi studi che, valutate le circostanze degli eventi, dei tempi e dei luoghi, possa procurare il maggior profitto alla Chiesa e contemporaneamente il Clero possa risplendere di salutare e solida dottrina. Pertanto nello scegliere i professori o i maestri usate particolare diligenza e vigilanza, e non vogliate in alcun caso affidare il difficile incarico d’insegnare se non a uomini che per religione, pietà, integrità di vita, severità di costumi e per merito di sana dottrina siano in tutto eccellenti. È tuttavia possibile che, per le tristissime e a tutti note vicende, tra gli Ecclesiastici si trovi chi non è gradito alla Cesarea e Apostolica Sua Maestà e perciò, per rimuovere del tutto ogni difficoltà, avrete cura nel conferire i benefici sia nelle parrocchie sia ad altri ecclesiastici, di non scegliere per essi quei sacerdoti che sono meno accetti alla Cesarea e Apostolica Sua Maestà. E ciò potrete capire sia dalla stessa indole e condizione degli ecclesiastici, sia dai precedenti atti del Governo, sia usando altri idonei accorgimenti. Inoltre, per la stessa ragione, prima di scegliere i professori e i maestri del Seminario, è necessario che indaghiate accortamente e siate certi che la stessa Cesarea e Apostolica Maestà non abbia qualche prevenzione verso di essi per ragioni politiche. Infine vi stia sommamente a cuore vigilare continuamente affinché nelle funzioni ecclesiastiche e soprattutto nel sacrosanto sacrificio della Messa, nonché nella somministrazione dei Sacramenti si usino con pia e religiosa attenzione le formule della Chiesa, nella lingua di ogni rito già approvato da questa Sede Apostolica. E cercate assiduamente di evitare che per l’avvenire i Prelati inferiori ai Vescovi, celebrino le sacre funzioni con rito pontificale, salvo che non abbiano ottenuto uno speciale privilegio dalla stessa Santa Sede e a condizione che chi ha conseguito detto privilegio dovrà osservare scrupolosamente quelle disposizioni, che sono contenute sia nel decreto di Alessandro VII, Nostro Predecessore di degna memoria, pubblicato il 27 settembre 1659, sia nella lettera Apostolica di Pio VII, parimenti Nostro Predecessore di felice ricordo, che comincia con Decet Romanos Pontifices e che è stata scritta il 4 luglio 1823. Tenete presenti, Diletti Figli Nostri e Venerabili Fratelli, tutte le questioni che Vi abbiamo sottoposto; per certo non dubitiamo che, grazie alla vostra pietà e alla singolare e provata devozione verso Noi e verso questa Santa Sede, accoglierete con docili orecchie tutti i Nostri consigli e avrete cura di comprendere e di eseguire quanto vi abbiamo detto.

Frattanto non dimentichiamo di chiedere umilmente e insistentemente a Dio Ottimo Massimo che sempre effonda propizio i ricchi doni dalla sua bontà sopra di Voi, e benedica le vostre attività pastorali, le decisioni e gli affanni per cui la nostra santissima Religione e la sua Dottrina possano dilatarsi ogni giorno di più nelle vostre Diocesi e felicemente ovunque prosperino e fioriscano. E come auspicio di tutti i doni celesti e come testimonianza dell’ardente Nostro amore per Voi, impartiamo dal profondo del cuore l’Apostolica Benedizione a ciascuno di Voi, Diletti Figli Nostri e Venerabili Fratelli, e a tutti i Chierici di codeste Chiese e ai Laici fedeli affidati alla vostra cura.

Dato a Roma, presso San Pietro, il 5 novembre 1855, anno decimo del Nostro Pontificato.

DOMENICA II DI AVVENTO (2020)

DOMENICA II DI AVVENTO (2020)

Stazione a S. Croce in Gerusalemme.

Semid. Dom. privil. Il cl. – Paramenti violacei.

Tutta la liturgia di questo giorno è piena del pensiero di Isaia, (nome che significa: Domini Salus: Salvezza del Signore), che è per eccellenza il profeta che annuncia l’avvento del regno del Cristo Redentore. Egli predice, sette secoli prima, che « una Vergine concepirà e partorirà l’Emanuele »  — che Dio manderà «il suo Angelo, — cioè Giovanni Battista — per preparare la via avanti a sé (Vang.) e che il Messia verrà, rivestito della potenza di Dio stesso, (I e III antif. dei Vespri) per liberare tutti i popoli dalla tirannia di satana. « Il bue — dice ancora il profeta Isaia — riconosce il suo possessore e l’asino la stalla del suo padrone; Israele non m’ha riconosciuto: il mio popolo non m’ha accolto » (I Dom. 1° Lez. ) — « Il germoglio di Jesse — continua — s’innalzerà per regnare sulle nazioni » (Ep.) e « i sordi e i ciechi che sono nelle tenebre (cioè i pagani) comprenderanno le parole del libro e verranno » (Vang.). Allora la vera Gerusalemme (cioè la Chiesa) « trasalirà di gioia » (Com.) perché i popoli santificati da Cristo vi accorreranno (Grad. All). Il Messia — spiega Isaia — « porrà in Sion la salvezza e in Gerusalemme la gloria » — « Sion sarà forte perché il Salvatore sarà sua muraglia e suo parapetto » cioè il suo potente protettore. Così la Stazione è a Roma, nella Chiesa detta di S. Croce in Gerusalemme, perché vi si conservava una grossa parte del legno della Santa Croce, mandata da Gerusalemme a Roma quando fu ritrovata.

Incipit

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

 Introitus

Is XXX: 30.
Pópulus Sion, ecce, Dóminus véniet ad salvándas gentes: et audítam fáciet Dóminus glóriam vocis suæ in lætítia cordis vestri.

[Popolo di Sion, ecco il Signore verrà a salvare tutte le genti: il Signore farà udire la gloria della sua voce inondando di letizia i vostri cuori.]

Ps LXXIX:2
Qui regis Israël, inténde: qui dedúcis, velut ovem, Joseph.

[Ascolta, tu che reggi Israele, tu che guidi Giuseppe come un gregge.]

Pópulus Sion, ecce, Dóminus véniet ad salvándas gentes: et audítam fáciet Dóminus glóriam vocis suæ in lætítia cordis vestri.

[Popolo di Sion, ecco il Signore verrà a salvare tutte le genti: il Signore farà udire la gloria della sua voce inondando di letizia i vostri cuori.]

Oratio

Orémus.
Excita, Dómine, corda nostra ad præparándas Unigéniti tui vias: ut, per ejus advéntum, purificátis tibi méntibus servíre mereámur:
[Eccita, o Signore, i nostri cuori a preparare le vie del tuo Unigenito, affinché, mediante la sua venuta, possiamo servirti con anime purificate:]

Lectio

Lectio Epístolæ beáti Pauli Apostoli ad Romános.
Rom XV:4-13.
Fatres: Quæcúmque scripta sunt, ad nostram doctrínam scripta sunt: ut per patiéntiam et consolatiónem Scripturárum spem habeámus. Deus autem patiéntiæ et solácii det vobis idípsum sápere in altérutrum secúndum Jesum Christum: ut unánimes, uno ore honorificétis Deum et Patrem Dómini nostri Jesu Christi. Propter quod suscípite ínvicem, sicut et Christus suscépit vos in honórem Dei. Dico enim Christum Jesum minístrum fuísse circumcisiónis propter veritátem Dei, ad confirmándas promissiónes patrum: gentes autem super misericórdia honoráre Deum, sicut scriptum est: Proptérea confitébor tibi in géntibus, Dómine, et nómini tuo cantábo. Et íterum dicit: Lætámini, gentes, cum plebe ejus. Et iterum: Laudáte, omnes gentes, Dóminum: et magnificáte eum, omnes pópuli. Et rursus Isaías ait: Erit radix Jesse, et qui exsúrget régere gentes, in eum gentes sperábunt. Deus autem spei répleat vos omni gáudio et pace in credéndo: ut abundétis in spe et virtúte Spíritus Sancti.

 “Tutte le cose che furono già scritte, furono scritte per nostro ammaestramento, affinché per la pazienza e per la consolazione delle Scritture noi manteniamo la  speranza. Il Dio poi della pazienza e della consolazione vi conceda di avere un medesimo sentimento fra voi, secondo Gesù Cristo. Affinché di pari consentimento, con un sol labbro, diate gloria a Dio, Padre del Signor nostro Gesù Cristo. Il perché accoglietevi gli uni gli altri come Gesù Cristo ha accolto voi a gloria di Dio. E veramente io affermo, Gesù Cristo essere stato ministro della circoncisione per la veracità di Dio, per mantenere le promesse fatte ai patriarchi: i gentili poi glorificare Iddio per la misericordia, siccome sta scritto: Per questo io ti celebrerò fra le nazioni e inneggerò al tuo nome. E altrove: Rallegratevi, o genti, col suo popolo. E ancora: “Quante siete nazioni, lodate il Signore, e voi, o popoli tutti, celebratelo. E Isaia dice ancora: Vi sarà il rampollo di Jesse e colui che sorgerà a reggere le nazioni, e le nazioni spereranno in lui. Intanto il Dio della speranza vi ricolmi di ogni allegrezza e pace nel credere, affinché abbondiate nella speranza per la forza dello Spirito santo. ,, (Ai Rom, XV, 4-13). –

L’intenzione di s. Paolo in questa lettera è di far essere certe controversie domestiche, che lo spirito di gelosia aveva suscitate tra i Giudei ed i Gentili convertiti alla fede. Quelli si gloriavano delle promesse che Dio aveva fatto ai lor padri, di dare il Salvatore, che sarebbe della loro nazione; questi rimproveravano ai Giudei la manifesta ingratitudine della quale si eran fatti colpevoli uccidendo il loro Redentore. S. Paolo dimostra agli uni come agli altri che essi devono tutto alla grazia ed alla misericordia del Salvatore.

Perché Dio è chiamato il Dio della pazienza, della consolazione e della speranza?

Perché fa sua longanimità verso i peccatori lo determina ad aspettare la loro conversione con pazienza; perché  da Lui viene questa consolazione interiore che sbandisce ogni pusillanimità; e fa insieme trovar gaudio nelle croci; perché Egli è che ci dà la speranza di pervenire, dopo questa vita a godere Lui stesso.

Aspirazione. O Dio di pazienza, di consolazione e speranza, fate che una perfetta rassegnazione al vostro santo volere versi la gioia e la pace nei nostri cuori, e che la Fede, la Speranza e la Carità ci rechino, con la pratica delle buone opere, al possedimento del bene a cui fummo creati, e che ci attende nell’eternità, se adempiremo fedelmente le condizioni alle quali ci è stato promesso.

Omelia I

[P. G. Semeria: Le epistole delle Domeniche, Op. naz. Per il mezzogiorno d’Italia, Milano, 1939.

(Nihil obstat sac. P. De Ambroggi – Imprim. P. Castiglioni vic. Gen. Curia Arch, Mediolani, 1-3-1938)]

Si deve o no leggere la Bibbia? Non ho bisogno, non dovrebbe esserci il bisogno di spiegarvi che cosa è la Bibbia, il libro religioso, giudaico-cristiano, perché una parte della nostra Bibbia, ci viene dagli Israeliti, il popolo Santo d’una volta e un’altra parte è nostra, proprio nostra, cristiana. Libro diverso dagli altri e agli altri superiore, perché divino in veste umana, divinamente ispirato, come con precisione tecnica, dicono i teologi. Il titolo, libro per eccellenza, dice da solo che cosa è da leggersi. I libri sono fatti apposta per essere letti, e da leggersi da parte di quelli che sono Cristiani. I libri di musica li leggono le anime musicali, il libro sacro devono leggerlo i Cristiani. Bisogna leggere la Bibbia. Ed è l’esortazione di San Paolo, quando dice ai fedeli del suo tempo: tutto ciò che si contiene nella Bibbia è stato scritto per nostra istruzione. Ma badiamo: la parola istruzione non ha sulla penna di San Paolo il valore che ha oggi. Istruire oggi significa parlare all’intelligenza dei lettori o degli uditori per soddisfarne la curiosità — curiosità nobile o frivola, ma curiosità sempre. I libri scientifici, sono il tipo del libro che tende a soddisfare la curiosità nobile, i romanzi, le novelle sono il tipo del libro che vuol soddisfare la curiosità volgare. San Paolo non vuole certo accomunare con questi libri scientifici o romantici il libro divino, Sacro, il libro dei libri della Bibbia. Più che di istruzione, quando siamo colla Bibbia, bisognerebbe parlare di edificazione spirituale. E infatti, continua San Paolo dicendo che la Bibbia è stata scritta per noi, per la nostra istruzione « affinché di pazienza e dì consolazione biblica si nutrano le nostre speranze ». Il che vuol dire che la Bibbia è il libro nutrificatore delle nostre speranze, un libro di consolazione, in mezzo alle tristezze della vita. Occorre però attenersi alle giuste norme prudenziali stabilite dalla Chiesa in questa lettura, affinché la parola divina, fraintesa, non si trasformi in veleno. Tutta la Bibbia è piena da cima a fondo d’una speranza, d’una grande e consolante speranza che sorresse per secoli e millenni quel popolo missionario (come lo chiamò il p. Lacordaire). È la speranza del Messia, del liberatore divino, del suo popolo e non del suo popolo solamente. Verrà fu la parola d’ordine dei Patriarchi, dei Profeti, della piazza e della reggia, del tempio e del foro: verrà. E voleva dire: verrà il Messia, verrà Lui e trasformerà ogni cosa. Spezzerà la catena della schiavitù per la libertà, getterà nelle tenebre il raggio vittorioso della Sua luce. Nei giorni più tristi, in mezzo alle condizioni umanamente disperate, quel popolo ripeteva pieno di fede la grande parola di quella speranza, e si rasserenava. Invece di abbattersi si rialzava; vinto materialmente ma ancora spiritualmente vincitore. Deportato sulle rive del Tigri e dell’Eufrate — fiumi di Babilonia — di un raggio di speranza faceva scintillare le sue lagrime. – Storia utile a rievocare in questa sacra stagione dell’Avvento, perché a quelle grandi speranze della Bibbia antica, risponde la speranza del Vangelo nuovo. Verrà, dissero per millenni gli Israeliti, tornerà, diciamo, da due mila anni e continueremo a dire chi sa per quanto noi Cristiani. Tornerà, ecco l’Avvento nuovo come nel verrà c’è tutto l’avvento antico. Tornerà, è forma di terrore per i nemici di Gesù Cristo e del Suo Vangelo, che, perciò, fanno di tutto per deprecare quel ritorno. Non lo vogliono, non lo credono. Ma noi lo vogliamo, noi Cristiani di tutte le generazioni. Il ritorno di Gesù per noi è il ritorno dell’amico caro al cuore, il ritorno del Giudice caro alla nostra coscienza. Quel ritorno significa la cessazione dei nostri dolori, il trionfo dei nostri ideali, la ricompensa delle nostre fatiche. Il Vangelo è pieno di questa idea, anzi, si riassume in questo annuncio: Gesù, il Messia, tornerà. È  anzi questa la buona novella, il Vangelo per eccellenza. Perché ciò che noi diciamo, tornerà, vuol dire: vive. E non vive lontano; è vicino. « Dominus enim prope est. » Il suo ritorno è sempre imminente. Tornerà colla Sua gloria, è presente con la Sua grazia. Così con questo spirito di fede e d’amore va letta la Bibbia, va meditato il Vangelo: il libro delle grandi e delle non fallaci, non vane speranze. – Per confortarci nella tristezza presente, per non lasciarci travolgere dalle tentazioni, che deprimono, dalle seduzioni che eccitano. Per i nostri separati fratelli protestanti la Bibbia è la maestra della fede, per noi è pure l’animatrice, la confortatrice delle grandi speranze.

Graduale

Ps XLIX: 2-3; 5
Ex Sion species decóris ejus: Deus maniféste véniet,
V. Congregáta illi sanctos ejus, qui ordinavérunt testaméntum ejus super sacrifícia.

[Da Sion, ideale bellezza: appare Iddio raggiante.
V. Radunategli i suoi santi, che sanciscono il suo patto col sacrificio. Alleluia, alleluia.]

Alleluja

Allelúja, allelúja,
Ps CXXI: 1
V. Lætátus sum in his, quæ dicta sunt mihi: in domum Dómini íbimus. Allelúja.

[V. Mi sono rallegrato in ciò che mi è stato detto: andremo nella casa del Signore. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia sancti Evangélii secúndum Matthaeum.
R. Gloria tibi, Domine!
Matt. XI:2-10

In illo tempore: Cum audísset Joánnes in vínculis ópera Christi, mittens duos de discípulis suis, ait illi: Tu es, qui ventúrus es, an alium exspectámus? Et respóndens Jesus, ait illis: Eúntes renuntiáte Joánni, quæ audístis et vidístis. Cæci vident, claudi ámbulant, leprósi mundántur, surdi áudiunt, mórtui resúrgunt, páuperes evangelizántur: et beátus est, qui non fúerit scandalizátus in me. Illis autem abeúntibus, coepit Jesus dícere ad turbas de Joánne: Quid exístis in desértum vidére? arúndinem vento agitátam? Sed quid exístis videre? hóminem móllibus vestitum? Ecce, qui móllibus vestiúntur, in dómibus regum sunt. Sed quid exístis vidére? Prophetam? Etiam dico vobis, et plus quam Prophétam. Hic est enim, de quo scriptum est: Ecce, ego mitto Angelum meum ante fáciem tuam, qui præparábit viam tuam ante te.  

“In quel tempo avendo Giovanni udito nella prigione le opere di Gesù Cristo, mandò due de’ suoi discepoli a dirgli: Sei tu quegli che sei per venire, ovvero si ha da aspettare un altro? E Gesù rispose loro: Andate, e riferite a Giovanni quel che avete udito e veduto. I ciechi veggono, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono mondati, i sordi odono, i morti risorgono, si annunzia ai poveri il Vangelo; ed è beato chi non prenderà in me motivo di scandalo. Ma quando quelli furono partiti, cominciò Gesù a parlare di Giovanni alle turbe: Cosa siete voi andati a vedere nel deserto? una canna sbattuta dal vento? Ma pure che siete voi andati a vedere? Un uomo vestito delicatamente? Ecco che coloro che vestono delicatamente, stanno ne’ palazzi dei re. Ma pure cosa siete andati a vedere? Un profeta? Sì, vi dico io, anche più che profeta. Imperocché questi è colui, del quale sta scritto: Ecco che io spedisco innanzi a te il mio Angelo, il quale preparerà la tua strada davanti a te” .

OMELIA II.

 (Discorsi di S. G. B. M. VIANNEY, Vol. I, Quarta edizione, C. ed. Marietti, Torino-Roma, 1933)

Sul rispetto umano

Beatus qui non fuerit scandalizatus in me.

[Beati coloro che non faranno di me soggetto di scandalo.]

Nulla è più glorioso e più onorevole per un Cristiano che portare il nome sublime di figlio di DIO, di fratello di Gesù-Cristo. Ma all’opposto nulla è più indegno che aver vergogna di manifestarlo nelle tante occasioni che si presentano. No, fratelli miei, non ci stupiamo di vedere degli ipocriti mostrare per quanto possono, un’esteriorità di pietà per attirarsi stima e lode degli uomini, mentre i loro poveri cuori sono divorati dal peccato più infame. Essi vorrebbero, questi ciechi, gioire degli onori che sono inseparabili dalla virtù, senza darsi pena di praticarla. Ma siamo ancor meno meravigliati nel vedere dei buoni Cristiani nascondere, per quanto lo possono, le loro buone opere davanti al mondo, per tema che la vanagloria non scivoli nei loro cuori e che i vani applausi degli uomini non facciano loro perderne il merito e la ricompensa. Ma fratelli miei, ove troveremmo una viltà più colpevole, un abominio più deplorevole della nostra: che, facendo professione di credere in Gesù-Cristo, avendo fatto i più sacri giuramenti di camminare sulle sue orme, sostenere i suoi interessi e la sua gloria, anche a discapito della nostra vita, siamo poi così codardi che alla prima occasione violiamo le promesse che gli abbiamo fatto sul sacro fonte battesimale. Ah! Sciagurati, cosa facciamo? Chi è Colui che rinneghiamo? Ahimè! Noi abbandoniamo il nostro DIO, il nostro Salvatore, per schierarci tra gli schiavi del demonio che ci inganna e che non cerca altro che la nostra perdita e la nostra eterna dannazione. Oh! Maledetto rispetto umano! Quante anime conduci all’inferno! Ma per farvi meglio vederne la viltà, vi mostrerò: 1° Quanto il rispetto umano, cioè la vergogna di operare il bene, oltraggi il buon DIO. 2° Come colui che lo commetta riveli uno spirito debole e limitato.

I. – Noi non parleremo, fratelli miei, di tutti quegli empi della prima classe che consacrano il loro tempo, la loro scienza e la loro povera vita a distruggere la nostra santa Religione, se lo potessero. Questi sciagurati non sembrano che vivere per annientare le sofferenze, i meriti della morte e della passione di Gesù-Cristo. Essi hanno utilizzato gli uni le loro forze, gli altri la loro scienza per infrangere questa pietra sulla quale Gesù-Cristo ha costruito la sua Chiesa. Ma questi insensati andranno a sfracellarsi contro questa pietra della Chiesa, che è la nostra santa Religione, che sussisterà sempre malgrado tutti i loro sforzi. – In effetti, fratelli miei, a cosa è servita tutta la furia dei persecutori della Chiesa, dei Neroni, dei Massimini,   dei Diocleziani e di tanti altri che hanno creduto con la forza delle armi, di giungere a torla di mezzo?  È tutto all’opposto: il sangue di tanti martiri non è servito, come dice Tertulliano, che a far fiorire la Religione più che mai, ed il loro sangue sembrava una semenza che ne producesse cento per uno. Sciagurati! Che vi ha fatto questa bella e santa Religione per perseguitarla tanto, Essa che sola può rendere l’uomo felice sulla terra? Ahimè! Quante lacrime e grida salgono ora dall’inferno ove riconoscono chiaramente che questa Religione, contro la quale si sono scatenati, li avrebbe condotti al cielo. Ma rimpianti inutili e superflui! – Vedete ancora questi altri empi che hanno fatto tutto ciò  che hanno potuto per distruggere la nostra santa Religione con i loro scritti, come un Voltaire, un Jean-Jacques Rousseau, un Diderot, un D’Alambert, un Volney e tanti altri, che non hanno trascorso la loro vita che a vomitare con i loro scritti tutto ciò che il demonio poteva loro inspirare. Ahimè! Essi hanno fatto del male, è vero; essi hanno perso delle anime, ne hanno trascinate con sé tante all’inferno; ma non hanno potuto distruggere la Religione come essi credevano; si sono sgretolati essi contro questa pietra. Ma non hanno infranto la pietra sulla quale Gesù-Cristo ha costruito la sua Chiesa e che dovrà durare fino al chiudersi dei secoli. Dove sono ora questi poveri empi? Ahimè! Nell’inferno, ove piangono la loro infelicità e quella di tutti coloro che hanno trascinato con sé. Nulla diciamo ancora, fratelli miei, di questi ultimi empi che, senza mostrarsi apertamente nemici della Religione, soltanto perché praticano ancora alcuna parte esterna, e che malgrado questo, li ascoltate di tanto in tanto escono in piccole facezie, per causa di esempio, sulla virtù o la pietà di coloro che non hanno il coraggio d’imitare. Ditemi, amico mio, che vi ha fatto questa Religione che avete ricevuto dai vostri avi che l’hanno praticata sì fedelmente sotto i vostri occhi, che tante volte vi hanno detto che essa solo poteva fare la felicità dell’uomo sulla terra e che, abbandonandola non potremmo essere che infelici? E dove pensate, amico mio, che la vostra piccola empietà vi condurrà? Ahimè! Amico mio, all’inferno, per piangere il vostro accecamento. Nulla diciamo ancora di quei Cristiani che non sono Cristiani che di nome; che fanno il loro dovere di Cristiani in un modo sì stomachevole che vi farebbero morire di compassione. Vedetene uno, nel tempo della sua preghiera fatta con noia, dissipazione, senza rispetto. Vedete là in chiesa senza devozione: l’Officio comincia sempre troppo presto e finisce sempre troppo tardi; il sacerdote non ancora è disceso dall’altare che essi sono già fuori. Non bisogna parlar loro della frequenza dei Sacramenti; se talvolta vi si accostano, è con una certa indifferenza che rivela che essi non comprendono affatto quel che fanno. Tutto ciò che ha riferenza con il servizio di Dio è fatto con disgusto spaventoso. DIO mio, quante anime perdute per l’eternità! O DIO mio! Quanto piccolo è il numero di coloro che entreranno nel regno dei cieli, perché ce n’è così pochi che fanno quel che devono per meritarlo. – Ma, voi direte ora: chi sono dunque coloro che si rendono colpevoli di rispetto umano? Fratelli miei, ascoltatemi un istante e lo saprete. Innanzitutto vi dirò con San Bernardo, che da qualsiasi lato consideriamo il rispetto umano, che è la vergogna di compiere i propri doveri di Religione a causa del mondo, tutto ce ne dimostra il disprezzo di Dio e delle sue grazie e l’accecamento dell’anima. Io dico in primo luogo, fratelli miei, che la vergogna di operare il bene, per il timore di essere disprezzati o scherniti da parte di qualche empio sciagurato, o da qualche ignorante, è un disprezzo orribile che facciamo della presenza del buon DIO, davanti al quale noi siamo, e che potrebbe subito gettarci all’inferno. Perché, fratelli miei, questi cattivi Cristiani vi scherniscono e gettano in ridicolo la vostra devozione? Ahimè! Fratelli miei, eccone la vera ragione: è che non avendo la forza di fare ciò che voi fate, vi prendono di mira perché risvegliate i rimorsi della loro coscienza; ma siate ben sicuri che nel cuore, essi non vi disprezzano, all’opposto vi stimano molto. Se essi hanno da prendere un buon consiglio, o domandare una grazia presso il buon DIO, non è a coloro che tengono la loro stessa condotta che faranno ricorso, ma a coloro che hanno schernito, almeno a parole. Voi avete vergogna, amico mio, di servire il buon DIO temendo di essere sprezzato? Ma, amico mio, rimirate dunque Colui che è morto appeso a questa croce, domandategli dunque se Egli ha avuto vergogna di essere disprezzato, e di morire in modo ignominioso su questa croce infame. Ah! ingrati che non siamo altri verso DIO, che sembra trovare la sua gloria nel rendere pubblico di secolo in secolo che Egli ci sceglie come suoi figli. O DIO mio! Quanto l’uomo è cieco e spregevole di temere un miserabile “che cosa si dirà”, e non temere di offendere DIO, sì buono. In secondo luogo, io dico che il rispetto umano ci fa disprezzare tutte le grazie che il buon DIO ci ha meritate con la sua morte e la sua passione. Si, fratelli miei, con il rispetto umano, noi annientiamo tutte le grazie che il buon DIO ci aveva destinate per salvarci. Oh! Maledetto rispetto umano, quante anime precipiti all’inferno! In terzo luogo: io dico che il rispetto umano dimostra il più deplorevole accecamento. Ahimè! non poniamo mente a quello che perdiamo! Fratelli miei, qual disgrazia per noi! Noi perdiamo il nostro DIO, che nulla può tenergli luogo. Noi perdiamo il cielo con tutti i suoi beni ed i suoi piaceri! Ma un’altra disgrazia è che noi prendiamo il demonio per nostro padre, e l’inferno con tutti i suoi tormenti come nostra eredità e nostra ricompensa. Noi cangiamo le nostre dolcezze e le nostre gioie eterne nei patimenti e nelle lacrime. Ah! amico mio, a cosa pensate? Quali non saranno i vostri rimorsi per l’eternità! Ah! mio DIO, vi si può pensare e vivere ancora come schiavi del mondo? – È vero, mi direte voi, che colui che teme il mondo per compiere i suoi doveri di Religione è ben infelice, poiché il buon DIO ci dice che colui che avrà vergogna di servirlo davanti agli uomini, non vorrà Egli riconoscerlo davanti a suo Padre nel giorno del giudizio. – Ma DIO mio, temere il mondo, perché dunque? Poiché noi sappiamo che bisogna assolutamente essere disprezzati dal mondo per piacere a DIO. Se  voi temevate il mondo, non occorreva diventare Cristiano. Voi sapete bene che sulle fonti sacre del Battesimo, avete prestato giuramento alla presenza di Gesù-Cristo medesimo, che rinunziavate al demonio e al mondo; che vi sareste impegnato a seguire Gesù-Cristo portando la sua croce, caricato di obbrobri e disprezzo. Se temevate il mondo ebbene! Rinunciate al vostro Battesimo e datevi a questo mondo che voi tanto temete di dispiacere. – Ma, voi mi direte, quand’è che agiamo per rispetto umano? Amico mio, ascoltatemi bene. È il giorno che siete stato alla fiera, o in una locanda in cui si mangiava carne in un giorno proibito e che vi si pregò di mangiare; voi accontentandovi di abbassare gli occhi e di arrossire, invece di dire che eravate Cristiano, che la Religione vi proibiva di mangiarla, voi ne avete mangiato come gli altri, dicendo: se  non faccio come gli altri, sarò dileggiato. – Sarete dileggiato, amico mio. Ah! certamente è un danno! Ah! mi direte, io farò peggio diventando la causa di tutti i cattivi discorsi che si diranno contro la Religione, che non ne farei mangiando della carne. Ditemi, amico mio, voi commettereste un male più grande? Se i martiri avessero temuto tutte queste bestemmie, tutti questi giuramenti, avrebbero rinunciato tutti alla loro Religione? È tanto peggio per coloro che operano il male. Ahimè!, fratelli miei, diciamo meglio, non è già abbastanza che altri disgraziati abbiano crocifisso Gesù-Cristo con la loro vita cattiva; occorre ancora che voi vi uniate ad essi per far soffrire Gesù-Cristo ancor di più? Voi temete di essere schernito? – Ah! Infelici, guardate Gesù-Cristo sulla croce e vedete ciò che ha fatto per voi. – Voi non sapete quando avete rinnegato Gesù-Cristo? È un giorno in cui, stando con due o tre persone, sembrava che non aveste mani, e che non sapevate fare il segno della croce, e stavate osservando se vi erano occhi su di voi e vi siete contentato di dire il vostro “Benedicite”, o l’Agimus nel vostro cuore, o che vi siete recati in un angolo per dirli. È quando, passando davanti ad una croce, faceste finta di non vederla o diceste che non è per noi che è morto il buon DIO. – Non sapete dunque quando avete avuto il rispetto umano? Fu un giorno in cui, trovandovi in una società, ove si pronunciavano parole turpi contro la santa virtù della purezza, o contro la Religione, voi non osaste riprendere quelle persone, e peggio, per il timore di essere dileggiato, avete sorriso. Ma, voi mi direte, … a ciò si è costretti, altrimenti saremmo fatti segno agli scherni. Voi, amico mio, temete di essere schernito? Fu pure questo timore che portò San Pietro a rinnegare il suo divin Maestro; ma la paura non impedì che commettesse un grave peccato, che egli pianse per tutta la vita. – Voi non sapete quando avete avuto il rispetto umano? È il giorno in cui il buon DIO vi ha dato il pensiero di andarvi a confessare i vostri peccati, sentivate di averne molto bisogno, ma pensaste che si getterebbe il ridicolo sopra di voi, e che sareste stato trattato da devoto. Un’altra volta vi cadde in pensiero di recarvi ad assistere alla santa Messa fra la settimana, e che potevate farlo; voi avete detto in voi stessi che si getterebbe il ridicolo sopra di voi e si direbbe:  È buona cosa per coloro che non hanno nulla da fare, per coloro che hanno con che vivere colle loro rendite. – Quante volte questo maledetto rispetto umano vi ha impedito di assistere al Catechismo, alla preghiera della sera? Quante volte, stando a casa a far qualche preghiera o qualche lettura di pietà, vi siete nascosto vedendo venire qualcuno! Quante volte il rispetto umano vi ha fatto violare la legge del digiuno o dell’astinenza non osando dire che voi digiunavate, o non mangiavate di grasso? Quante volte non avete osato dire il vostro Angelus davanti a tutti, o vi siete accontentati di dirlo nel vostro cuore, o siete usciti a recitarlo in luogo appartato? quante volte non avete fatto le preghiere al mattino o alla sera, perché vi siete trovati con persone che non le recitavano; e tutto questo per timore di essere derisi. Andate, poveri schiavi del mondo, raggiungete l’inferno nel quale sarete precipitati; voi avrete tutti il tempo di rimpiangere il bene che il mondo vi ha impedito di operare. Ah! mio DIO, quale triste vita conduce chi vuol piacere al mondo ed al buon DIO! No, amico mio, voi vi ingannate, oltre che a vivere sempre infelici, voi non giungerete mai al punto di piacere al mondo e al buon DIO; questo vi è impossibile come il mettere fine all’eternità. Ecco il consiglio che voglio darvi e così sarete meno infelici: o vi date tutto a DIO, o tutto al mondo; non cercate, non seguite che un solo maestro, ed una volta al suo seguito, non lo lasciate. Voi non vi ricordate ciò che Gesù-Cristo vi ha detto nel Vangelo? voi non potete servire DIO e il mondo con i suoi piaceri, e Gesù-Cristo con la sua croce. Non è vero che amerete di appartenere ora a DIO, ed ora al mondo? Parliamo più francamente: sarebbe necessario che la vostra coscienza, che il vostro cuore vi permettesse di sedervi al mattino alla santa tavola, e la sera di prender parte alla danza; una parte del giorno passarla in chiesa ed il resto frequentare le bettole e darsi ai giuochi; un momento parlare del buon DIO ed un altro uscire in parole turpi, o in calunnie contro il prossimo; una volta far del bene al vostro vicino, ed in un altro momento recargli ingiuria; in altre parole, che coi buoni opererete il bene, parlerete del buon DIO, con i malvagi, commetterete il male! – Ah! fratelli miei, quanto male ci fa commettere la compagnia dei malvagi! Quanti peccati eviteremmo se avessimo la sorte di fuggire le persone senza Religione. San Agostino scrive, che essendosi trovato diverse volte con dei malvagi, aveva vergogna nel non avere tanta malizia quanto loro, e per non essere biasimato, diceva anche il male che non aveva fatto. (Conf. lib. II, c. II, 7). Poveri ciechi! Quanto siete da compiangere! Qual triste vita!… oh! Maledetto rispetto umano che trascini tante anime nell’inferno. Oh! di quanti e quanti crimini sei la causa. Ah! qual grande disprezzo facciamo delle grazie che il buon DIO vuole concederci per salvarci. Ahimè! quanti che hanno cominciato la loro riprovazione col rispetto umano, perché a grado che hanno disprezzato le grazie che il buon DIO voleva loro concedere, la fede si è estinta in essi, a poco a poco hanno sentito meno la grandezza del peccato, la perdita del cielo, gli oltraggi che facevano a DIO con il peccato. Essi sono finiti per cadere in paralisi, vale a dire che essi non hanno riconosciuto lo stato miserando della loro povera anima; essi restano nel peccato e il maggior numero vi perisce. – Noi leggiamo nel Vangelo che Gesù-Cristo, nelle sue missioni, colmava di ogni sorta di grazie i luoghi pei quali passava. A volte c’era un cieco al quale ridonava la vista; a volte c’erano dei sordi che Egli faceva ascoltare: ora c’è un lebbroso che guarisce, là è un morto al quale rende la vita. Tuttavia vediamo che pochi sono quelli che rendono pubblici i benefici che ricevono, essi lo fanno solo nel momento in cui sono ai piedi di Gesù-Cristo. E donde proviene questo, fratelli miei? Essi temevano i Giudei, perché bisognava essere nemici o dei Giudei, o di Gesù-Cristo; quando stavano dietro a Gesù-Cristo essi lo riconoscevano, e quando erano con i Giudei, sembravano approvarli con il loro silenzio. Ecco precisamente ciò che facciamo noi; quando siamo soli, noi riflettiamo sui benefici ricevuti dal buon DIO, e non possiamo impedirci di testimoniargli la nostra riconoscenza d’essere nati Cristiani, di essere stati confermati; ma quando siamo con i libertini, sembriamo essere dei loro sentimenti applaudendo con i nostri sorrisi o il nostro silenzio, la loro empietà. Oh! Qual indegna preferenza, esclama San Massimo; ah! maledetto rispetto umano quante anime trascini all’inferno! Ahimè! fratelli miei, qual tormento non proverà una persona che vuol piacere e vivere in tal modo, come ne abbiamo un bell’esempio nel Vangelo. Noi vi leggiamo che il re Erode s’era invaghito, per amor profano, di Erodiade. Questa barbara cortigiana aveva una figlia che danzò davanti a lui con tanta grazia, che egli le promise la metà del suo regno. Ma l’infelice si guardò bene dal chiedergliela, ciò non bastava; essendo ella andata da sua madre a prender consiglio su cosa dovesse chiedere al re, la madre, più infame della figlia, le presentò un piatto: « Va, le disse, a chiedere al re che metta su questo piatto la testa di Giovanni Battista affinché tu me la porti; » e questo perché San Giovanni le rimproverava la sua vita cattiva. Il re, a questa domanda, fu preso da spavento, perché da un canto stimava Giovanni-Battista e gli spiaceva la morte di un uomo che era così degno di vivere. Cosa farà egli? Qual partito abbraccerà? Ah! sciagurato rispetto umano, cosa stai per fare? Il re non vorrebbe far morire San Giovanni-Battista; ma d’altro canto, egli teme che si rida di lui, poiché essendo re, non tenga la parola data. Andate, disse questo re infelice ad un carnefice, andate a tagliare la testa di San Giovanni Battista, io preferisco piuttosto lasciar gridare la mia coscienza che lasciar che si rida di me! Ma quale orrore! Quando comparve la testa nella sala, i suoi occhi e la sua bocca, benché chiusi, sembrano rimproverargli il suo crimine, e minacciarlo dei castighi più terribili. A questo spettacolo, egli fremette ed impallidì. Ahimè! quanto è  da compiangere colui che si lascia guidare dal rispetto umano. – È ancor vero che il rispetto umano non ci impedisce sempre di compiere delle buone opere. Ma quante buone opere delle quali il rispetto umano ci fa perdere il merito. Quante buone opere non faremmo se non sperassimo di esserne lodati e stimati dal mondo! Quante persone che non vengono in chiesa se non per rispetto umano, pensando che, dal momento che di una persona che non pratichi più la religione, almeno esternamente, non si ha più confidenza in essa, e si dice: Dove non c’è Religione, non c’è coscienza. Quante madri che sembrano aver cura dei loro figli solo per essere stimate agli occhi del mondo! Quanti si riconciliano con i loro nemici, perché temono che si perda la buona stima che si ha di essi! Quante persone non sarebbero così buone se non sapessero di essere lodate dal mondo. Quanti sono più riservati nelle loro parola e più modesti nella chiesa a causa del mondo! Oh! sciagurato rispetto umano, quante buone opere mandi a male che condurrebbero tanti Cristiani in cielo e che non faranno che spingerle nell’inferno. Ma – voi mi direte – torna molto difficile condursi in modo che il mondo non si immischi in tutto ciò che si fa. Ma, fratelli miei, noi non aspettiamo la nostra ricompensa dal mondo, ma solo da DIO: se siamo lodati, io so bene di non meritarlo, essendo peccatore; se mi si disprezza non c’è nulla di straordinario per un peccatore come noi che abbiamo tante volte disprezzato il buon DIO con i nostri peccati; noi non meritiamo miglior trattamento. Non ci ha forse detto Gesù-Cristo: beati coloro che saranno disprezzati e perseguitati! E tuttavia, chi sono coloro che vi disprezzano? Ahimè! Alcuni poveri peccatori che non hanno il coraggio di fare ciò che voi fate, che per nascondere un poco la loro vergogna, vorrebbero che foste come loro; è un povero cieco che, lungi dal disprezzarvi, dovrebbe trascorrere la sua vita a piangere la propria sventura. I suoi scherni vi dimostrano quanto è da compiangere o degno di compassione. Egli fa come un uomo che ha perduto lo spirito, che corre per le foreste, si rotola a terra, gettandosi nei precipizi e gridando a tutti quelli che lo vedono di imitarlo; egli ha un bel gridare, … lasciatelo fare, e compiangetelo, perché non conosce la sua disgrazia. Ugualmente, fratelli miei, lasciamo questi poveri sventurati gridare e insultare i buoni Cristiani; lasciate gli insensati nella loro demenza; lasciamo i ciechi nelle loro tenebre; ascoltiamo le grida e le urla dei riprovati; ma nulla temiamo; seguiamo la nostra strada; essi si fanno molto male, senza punto farcene, compiangiamoli e non ci curiamo di loro. – Sapete voi perché vi dileggiano? Perché vedono che li temete e che un nulla vi fa arrossire. Non è la vostra pietà che insultano, ma soltanto la vostra incostanza e la vostra viltà nel seguire il vostro Capo. Guardate la gente del mondo: con quale audacia seguono il loro capo; non si fanno gloria di essere libertini, ubriaconi, vendicativi, furbi? Guardate un impudico, teme forse di vomitare le sue parole sconce davanti al mondo? E questo perché? Fratelli miei, è perché sono costretti a seguire il loro maestro che è il mondo; essi non pensano e non cercano che di piacergli; hanno un bel soffrire, nulla li può arrestare. Ecco, fratelli miei, ciò che voi fareste se vorreste condurvi allo stesso modo. Voi non temereste né il mondo né il demonio; voi non cerchereste e non vorreste se non ciò che potrebbe piacere al vostro padrone che è DIO stesso. Convenite con me, che i mondani sono molto più costanti nei loro sacrifici che fanno per compiacere al loro padrone, che è il mondo, di noi nel fare ciò che dobbiamo fare per piacere al nostro padrone, che è il nostro DIO.

II. – Ma, ora, ricominciamo in altro modo. Ditemi, amico mio, perché voi insultate coloro che fanno professione di pietà? O, perché, meglio comprendiate, coloro che fanno preghiere più lunghe delle vostre, che frequentano più spesso i Sacramenti di quanto non lo facciate voi e che fuggono gli applausi del mondo? Di tre cose l’una, fratelli miei, o guardate queste persone come degli ipocriti, o voi insultate la pietà stessa, o infine siete pieni di rabbia per il fatto che essi valgono più di voi.

per trattarli come ipocriti bisogna che voi abbiate letto nel loro cuore, e che non vi siate perfettamente convinti che tutta la loro devozione sia falsa. Eh che! Fratelli miei, non sembra naturale che quando vediamo fare qualche buona opera da qualcuno, noi pensiamo che il loro cuore è buono e sincero? Secondo questo, vedete quanto il vostro linguaggio ed il vostro giudizio siano ridicoli. Voi vedete un buon esterno nel vostro vicino, e dite e pensate che la sua interiorità non valga nulla. Ecco, si dice, del buon frutto; certamente l’albero che lo porta è di buona specie, e voi ben lo giudicate. E se si tratta di giudicare delle persone dabbene, voi direte tutto il contrario: ecco del buon frutto; ma l’albero che lo porta non vale nulla! No, fratelli miei, no, voi non siete né ciechi, né insensati se ragionate in tal modo.

In secondo luogo, noi diciamo che voi schernite la pietà stessa: io non mi inganno; voi non insultate questa persona perché prega più a lungo o più spesso e con rispetto: no, non è per questo, perché anche voi pregate (almeno se non lo fate mancate ad uno dei vostri primi doveri). È forse perché frequenta i Sacramenti? Ma voi non siete venuti fino a questo giorno senza avvicinarvi ai Sacramenti, voi foste veduti al tribunale della penitenza, foste veduti assidervi alla sacra mensa. Voi non disprezzate dunque questa persona perché adempie meglio di voi i suoi doveri di religione; essendo perfettamente convinti del pericolo in cui siamo di perderci, e di conseguenza del bisogno che abbiamo di fare ricorso alla preghiera ed ai Sacramenti per perseverare nella grazia del buon DIO, perché dopo questo mondo non vi è più altro mezzo: bene o male bisognerà restarci per tutta l’eternità.

No, fratelli miei, non è tutto questo che ci molesta nella persona del nostro vicino: il fatto è che, non avendo il coraggio di imitarlo, non vorremmo avere l’onta della nostra viltà, ma vorremmo trascinarlo nei nostri disordini o nella nostra vita indifferente. Quante volte ci diciamo: a che servono tutte queste litanie, a che serve stare tanto in chiesa, andarvi così presto, ed il resto? Ahimè! fratelli miei, il fatto è che la vita delle persone di pietà che sono serie, è la condanna della nostra vita fiacca ed indifferente. È molto facile capire che la loro umiltà ed il disprezzo che hanno di se stesse, condanni la vostra vita orgogliosa, che non vuole soffrire nulla, che vorrebbe che tutti ci amassero e ci lodassero; non c’è dubbio che la loro dolcezza e la loro bontà per tutti, fa onta ai nostri trasporti ed alle nostre collere; è ben vero che la loro modestia, la loro riserva in tutti i loro portamenti condanna la nostra vita mondana e piena di scandali. Non è forse solo questo che ci tormenta nella persona del nostro prossimo? Non è questo che ci ferisce, quando sentiamo dire del bene delle altre persone di cui si narrano le buone azioni? Sì, senza dubbio la loro devozione, il loro rispetto per la Chiesa ci condanna e fa ombra alla nostra vita tutta leggera ed alla nostra indifferenza per la nostra salvezza. Come siamo naturalmente portati a scusare negli altri i difetti che abbiamo noi stessi, ugualmente siamo sempre portati a disapprovare negli altri le virtù che non abbiamo il coraggio di praticare: è quello che vediamo ogni giorno. Un libertino è contento di trovare un libertino che lo applaudirà nei suoi disordini; ben lungi dal distoglierlo, lo incoraggia piuttosto. Un vendicativo si rallegrerà di essere con un altro vendicativo per consultarsi insieme alfine di trovare il mezzo di vendicarsi dei loro nemici. Ma mettete una persona saggia con un libertino, una persona che è sempre pronta a perdonare con un vendicativo: tosto vedrete i malvagi scatenarsi contro i buoni. E questo perché? Fratelli miei, se non perché non avendo la forza di fare ciò che essi fanno, vorrebbero poterli trascinare dalla loro parte, affinché la loro vita santa non sia una censura continua per la loro. Ma se bramaste di comprendere l’accecamento di coloro che dileggiano le persone che meglio di loro adempiono ai doveri del Cristiano, ascoltatemi un istante. – Cosa direste di una persona povera che porta invidia a un ricco, se questo povero non è ricco perché non lo vuole? Non gli direste: amico mio, perché dite male di quella persona perché è ricca? Spetta a voi di esserlo, ed anche straricco se lo bramate. Allo stesso modo, fratelli miei, perché siamo portati a criticare coloro che sono più saggi? Essi non negano a noi di esserlo ed anche di più, se lo desideriamo. Coloro che praticano la religione, e che ci vanno innanzi, non ci impediscono di essere saggi, ed anche più saggi se lo vogliamo. – Io dico dunque che sono coloro che non hanno religione che disprezzano quelli che la professano …; io non mi inganno, non li disprezzano, fanno solamente sembiante di disprezzarli, perché nel fondo del loro cuore essi sono pieni di stima per essi; ne volete una prova? Eccola. Presso chi va una persona, anche senza pietà, per trovare qualche consolazione nelle sue pene, o qualche raddolcimento nei propri dolori o nelle proprie sofferenze? Credete voi che si recherà da un’altra persona senza religione come ella? No, amico mio, no. Ella sa bene che una persona senza religione non può consolarla, né dare buoni consigli. Ma ella andrà pure a trovare persone che un tempo ha dileggiato. Ella è molto ben convinta che non c’è persona saggia e timorosa di DIO, che non possa consolarla e lenire un po’ le sue pene. In effetti, fratelli miei, quanto volte noi, sopraffatti dall’affanno o da qualche altra miseria, ci siamo recati a trovare qualche persona savia, e dopo un quarto ora di conversazione ci siamo sentiti tutti cambiati e ci siamo ritirati dicendo: coloro che amano il buon DIO sono felici come anche coloro che gli sono intorno. Io mi desolavo, non facevo che piangere, mi disperavo. In un istante in cui sono stato con questa persona, mi sono sentito consolato. È vero tutto ciò che mi ha detto, che il buon DIO mi aveva permesso questo per il mio bene, e che tutti i Santi e le Sante avevano sofferto più di me, e che giovava assai più patire in questo mondo che nell’altro. E concludemmo col dire: se avrò qualche pena, presto vi tornerò per consolarmi. Oh! bella Religione, quanto coloro che seriamente vi praticano, sono felici, e quanto le dolcezze e le consolazioni che ci procura sono grandi e preziose! … – Ebbene! Fratelli miei, voi dunque vedete che schernite coloro che non lo meritano; voi dovete invece ringraziare infinitamente il buon DIO di avere tra voi qualche buona anima che sappia placare la collera di DIO, senza di che noi saremmo oppressi dalla sua giustizia. Ma, a ben considerare, ad una persona che fa bene le sue preghiere, che non cerca che di piacere a DIO, che ama rendere servizio al prossimo, che sa dare perfino il suo necessario per aiutarlo, che perdona volentieri a coloro che gli fanno ingiuria, non potete dire che fa del male, al contrario. Ella non è che ben degna di essere lodata e stimata dal mondo. È tuttavia questa persona che voi straziate; forse che non pensavate a ciò che dicevate? È ben vero, voi riflettete in voi medesimo; ella è più felice di noi. Amico mio, ascoltatemi ed io vi dirò ciò che dovrete fare: ben lontano dal colpevolizzarli, voi dovreste fare ogni sforzo per imitarli; unirvi ogni mattino alle loro preghiere ed a tutte le opere che fanno durante la giornata. Ma – direte – per fare ciò che esse fanno, c’è da farsi troppo violenza e troppi sacrifici da imporsi. Non tanti quanto voi dite! … è così malagevole recitare bene le vostre preghiere il mattino e la sera? È tanto difficile ascoltare la parola di DIO con rispetto, chiedendo al buon DIO la grazia di profittarne? È così difficile non uscir fuori durante le istruzioni? Non lavorare il santo giorno della Domenica? Non mangiare la carne nei giorni proibiti? E disprezzare i mondani che vogliono assolutamente perdersi? Se temete che vi manchi il coraggio, portate i vostri sguardi sulla Croce ove Gesù-Cristo è morto, e vedrete che non vi mancherà il coraggio. Vedete queste folle di martiri che hanno sofferto tutto ciò che non potrete mai comprendere, per timore di perdere le loro anime. Sono essi ora spiacenti, fratelli miei, di aver disprezzato il mondo ed i suoi “cosa si dirà”? Concludiamo, fratelli miei, dicendo quanto poche persone ci sono che servono veramente il buon DIO. Gli uni cercano di distruggere la Religione, se potessero, con la forza delle armi, come facevano i re e gli imperatori pagani; gli altri con le loro grida empie vogliono avvilirla e farla perdere se potessero; altri la dileggiano in coloro che la praticano, ed infine altri vorrebbero praticarla, ma hanno paura di farlo davanti al mondo. Ahimè, fratelli miei, quanto piccolo è il numero di quelli che sono fatti per il cielo poiché sono i soli che combattono vigorosamente il demonio e le loro inclinazioni, e che disprezzano il mondo con tutte i suoi scherni! Perché noi, non aspettiamo la nostra ricompensa e la nostra felicità che da DIO solo, perché amare il mondo che noi abbiamo promesso con giuramento di odiare e disprezzare per non seguire che Gesù-Cristo, portando la sua croce tutti i giorni della nostra vita? Avventurato colui, fratelli miei, che non cerca che DIO solo e disprezza tutto il resto! È la felicità che vi auguro … 

CREDO …

IL CREDO

Offertorium

Orémus
Ps LXXXIV: 7-8
Deus, tu convérsus vivificábis nos, et plebs tua lætábitur in te: osténde nobis, Dómine, misericórdiam tuam, et salutáre tuum da nobis.

[O Dio, rivolgendoti a noi ci darai la vita, e il tuo popolo si rallegrerà in Te: mostraci, o Signore, la tua misericordia, e concedici la tua salvezza.]

Secreta

Placáre, quǽsumus, Dómine, humilitátis nostræ précibus et hóstiis: et, ubi nulla suppétunt suffrágia meritórum, tuis nobis succúrre præsídiis.

[O Signore, Te ne preghiamo, sii placato dalle preghiere e dalle offerte della nostra umiltà: e dove non soccorre merito alcuno, soccorra la tua grazia.]

Comunione spirituale: COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Bar V: 5; IV:36
Jerúsalem, surge et sta in excélso, ei vide jucunditátem, quæ véniet tibi a Deo tuo.

[Sorgi, o Gerusalemme, e sta in alto: osserva la felicità che ti viene dal tuo Dio.]

Postcommunio

Orémus.
Repléti cibo spirituális alimóniæ, súpplices te, Dómine, deprecámur: ut, hujus participatióne mystérii, dóceas nos terréna despícere et amáre cœléstia.
[Saziàti dal cibo che ci nutre spiritualmente, súpplici Ti preghiamo, o Signore, affinché, mediante la partecipazione a questo mistero, ci insegni a disprezzare le cose terrene e ad amare le cose celesti.]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (1)

ORDINARIO DELLA MESSA

I SERMONI DEL CURATO D’ARS: SUL RISPETTO UMANO

(Discorsi di S. G. B. M. VIANNEY, Vol. I, Quarta edizione, C. ed. Marietti, Torino-Roma, 1933)

Sul rispetto umano

Beatus qui non fuerit scandalizatus in me.

[Beati coloro che non faranno di me soggetto di scandalo. (S. Matteo. XI, 6)]

Nulla è più glorioso e più onorevole per un Cristiano che portare il nome sublime di figlio di DIO, di fratello di Gesù-Cristo. Ma all’opposto nulla è più indegno che aver vergogna di manifestarlo nelle tante occasioni che si presentano. No, fratelli miei, non ci stupiamo di vedere degli ipocriti mostrare per quanto possono, un’esteriorità di pietà per attirarsi stima e lode degli uomini, mentre i loro poveri cuori sono divorati dal peccato più infame. Essi vorrebbero, questi ciechi, gioire degli onori che sono inseparabili dalla virtù, senza darsi pena di praticarla. Ma siamo ancor meno meravigliati nel vedere dei buoni Cristiani nascondere, per quanto lo possono, le loro buone opere davanti al mondo, per tema che la vanagloria non scivoli nei loro cuori e che i vani applausi degli uomini non facciano loro perderne il merito e la ricompensa. Ma fratelli miei, ove troveremmo una viltà più colpevole, un abominio più deplorevole della nostra: che, facendo professione di credere in Gesù-Cristo, avendo fatto i più sacri giuramenti di camminare sulle sue orme, sostenere i suoi interessi e la sua gloria, anche a discapito della nostra vita, siamo poi così codardi che alla prima occasione violiamo le promesse che gli abbiamo fatto sul sacro fonte battesimali. Ah! Sciagurati, cosa facciamo? Chi è Colui che rinneghiamo? Ahimè! Noi abbandoniamo il nostro DIO, il nostro Salvatore, per schierarci tra gli schiavi del demonio che ci inganna e che non cerca altro che la nostra perdita e la nostra eterna dannazione. Oh! Maledetto rispetto umano! Quante anime conduci all’inferno! Ma per farvi meglio vederne la viltà, vi mostrerò: 1° Quanto il rispetto umano, cioè la vergogna di operare il bene, oltraggi il buon DIO. 2° Come colui che lo commetta riveli uno spirito debole e limitato.

I. – Noi non parleremo, fratelli miei, di tutti quegli empi della prima classe che consacrano il loro tempo, la loro scienza e la loro povera vita a distruggere la nostra santa Religione, se lo potessero. Questi sciagurati non sembrano che vivere per annientare le sofferenze, i meriti della morte e della passione di Gesù-Cristo. essi hanno utilizzato gli uni le loro forze, gli altri la loro scienza per infrangere questa pietra sulla quale Gesù-Cristo ha costruito la sua Chiesa. Ma questi insensati andranno a sfracellarsi contro questa pietra della Chiesa, che è la nostra santa Religione, che sussisterà sempre malgrado tutti i loro sforzi. – In effetti, fratelli miei, a cosa è servita tutta la furia dei persecutori della Chiesa, dei Neroni, dei Massimini,   dei Diocleziani e di tanti altri che hanno creduto con la forza delle armi, di giungere a torla di mezzo?  È tutto all’opposto: il sangue di tanti martiri non è servito, come dice Tertulliano, che a far fiorire la Religione più che mai, ed il loro sangue sembrava una semenza che ne producesse cento per uno. Sciagurati! Che vi ha fatto questa bella e santa Religione per perseguitarla tanto, Essa che sola può rendere l’uomo felice sulla terra? Ahimè! Quante lacrime e grida salgono ora dall’inferno ove riconoscono chiaramente che questa Religione, contro la quale si sono scatenati, li avrebbe condotti al cielo. Ma rimpianti inutili e superflui! – Vedete ancora questi altri empi che hanno fatto tutto ciò  che hanno potuto per distruggere la nostra santa Religione con i loro scritti, come un Voltaire, un Jean-Jacques Rousseau, un Diderot, un D’Alambert, un Volney e tanti altri, che non hanno trascorso la loro vita che a vomitare con i loro scritti tutto ciò che il demonio poteva loro inspirare. Ahimè! Essi hanno fatto del male, è vero; essi hanno perso delle anime, ne hanno trascinate con sé tante all’inferno; ma non hanno potuto distruggere la Religione come essi credevano; si sono sgretolati essi contro questa pietra. Ma non hanno infranto la pietra sulla quale Gesù-Cristo ha costruito la sua Chiesa e che dovrà durare fino al chiudersi dei secoli. Dove sono ora questi poveri empi? Ahimè! Nell’inferno, ove piangono la loro infelicità e quella di tutti coloro che hanno trascinato con sé. Nulla diciamo ancora, fratelli miei, di questi ultimi empi che, senza mostrarsi apertamente nemici della Religione, soltanto perché praticano ancora alcuna parte esterna, e che malgrado questo, li ascoltate di tanto in tanto escono in piccole facezie, per causa di esempio, sulla virtù e o la pietà di coloro che non hanno il coraggio d’imitare. Ditemi, amico mio, che vi ha fatto questa Religione che avete ricevuto dai vostri avi che l’hanno praticata sì fedelmente sotto i vostri occhi, che tante volte vi hanno detto che essa solo poteva fare la felicità dell’uomo sulla terra e che, abbandonandola non potremmo essere che infelici? E dove pensate, amico mio, che la vostra piccola empietà vi condurrà? Ahimè! Amico mio, all’inferno, per piangere il vostro accecamento. Nulla diciamo ancora di quei Cristiani che non sono Cristiani che di nome; che fanno il loro dovere di Cristiani in un modo sì stomachevole che vi farebbero morire di compassione. Vedetene uno, nel tempo della sua preghiera fatta con noia, dissipazione, senza rispetto. Vedete là in chiesa senza devozione: l’Officio comincia sempre troppo presto e finisce sempre troppo tardi; il sacerdote non ancora è disceso dall’altare che essi sono già fuori. Non bisogna parlar loro della frequenza dei Sacramenti; se talvolta vi si accostano, è con una certa indifferenza che rivela che essi non comprendono affatto quel che fanno. Tutto ciò che ha riferenza con il servizio di Dio è fatto con disgusto spaventoso. DIO mio, quante anime perdute per l’eternità! O DIO mio! Quanto piccolo è il numero di coloro che entreranno nel regno dei cieli, perché ce n’è così pochi che fanno quel che devono per meritarlo. – Ma, voi direte ora: chi sono dunque coloro che si rendono colpevoli di rispetto umano? Fratelli miei, ascoltatemi un istante e lo saprete. Innanzitutto vi dirò con San Bernardo, che da qualsiasi lato consideriamo il rispetto umano, che è la vergogna di compiere i propri doveri di Religione a causa del mondo, tutto ce ne dimostra il disprezzo di Dio e delle sue grazie e l’accecamento dell’anima. Io dico in primo luogo, fratelli miei, che la vergogna di operare il bene, per il timore di essere disprezzati o scherniti da parte di qualche empio sciagurato, o da qualche ignorante, è un disprezzo orribile che facciamo della presenza del buon DIO, davanti al quale noi siamo, e che potrebbe subito gettarci all’inferno. Perché, fratelli miei, questo cattivi Cristiani vi scherniscono e gettano in ridicolo la vostra devozione? Ahimè! Fratelli miei, eccone la vera ragione: è che non avendo la forza di fare ciò che voi fate, vi prendono di mira perché risvegliate i rimorsi della loro coscienza; ma siate ben sicuri che nel cuore, essi non vi disprezzano, all’opposto vi stimano molto. Se essi hanno da prendere un buon consiglio, o domandare una grazia presso il buon DIO, non è a coloro che tengono la loro stessa condotta che faranno ricorso, ma a coloro che hanno schernito, almeno a parole. Voi avete vergogna, amico mio, di servire il buon DIO temendo di essere sprezzato? Ma, amico mio, rimirate dunque Colui che è morto appeso a questa croce, domandategli dunque se Egli ha avuto vergogna di essere disprezzato, e di morire in modo ignominioso su questa croce infame. Ah! ingrati che non siamo altri versi DIO, che sembra trovare la sua gloria nel rendere pubblico di secolo in secolo che Egli ci sceglie come suoi figli. O DIO mio! Quanto l’uomo è cieco e spregevole di temere un miserabile “che cosa si dirà”, e non temere di offendere DIO, sì buono. In secondo luogo, io dico che il rispetto umano ci fa disprezzare tutte le grazie che il buon DIO ci ha meritate con la sua morte e la sua passione. Si, fratelli miei, con il rispetto umano, noi annientiamo tutte le grazie che il buon DIO ci aveva destinate per salvarci. Oh! Maledetto rispetto umano, quante anime precipiti all’inferno! In terzo luogo: io dico che il rispetto umano dimostra il più deplorevole accecamento. Ahimè! non poniamo mente a quello che perdiamo! Fratelli miei, qual disgrazia per noi! Noi perdiamo il nostro DIO, che nulla può tenergli luogo. Noi perdiamo il cielo con tutti i suoi beni ed i suoi piaceri! Ma un’altra disgrazia è che noi prendiamo il demonio per nostro padre, e l’inferno con tutti i suoi tormenti come nostra eredità e nostra ricompensa. Noi cangiamo le nostre dolcezze e le nostre gioie eterne nei patimenti e nelle lacrime. Ah! amico mio, a cosa pensate? Quali non saranno i vostri rimorsi per l’eternità! Ah! mio DIO, vi si può pensare e vivere ancora come schiavi del mondo? – È vero, mi direte voi, che colui che teme il mondo per compiere i suoi doveri di Religione è ben infelice, poiché il buon DIO ci dice che colui che avrà vergogna di servirlo davanti agli uomini, non vorrà Egli riconoscerlo davanti a suo Padre nel giorno del giudizio. – Ma DIO mio, temere il mondo, perché dunque? Poiché noi sappiamo che bisogna assolutamente essere disprezzati dal mondo per piacere a DIO. Se  voi temevate il mondo, non occorreva diventare Cristiano. Voi sapete bene che sulle fonti sacre del Battesimo, avete prestato giuramento alla presenza di Gesù-Cristo medesimo, che rinunciavate al demonio e al mondo; che vi sareste impegnato a seguire Gesù-Cristo portando la sua croce, caricato di obbrobri e disprezzo. Se temevate il mondo ebbene! Rinunciate al vostro Battesimo e datevi a questo mondo che voi tanto temete di dispiacere. – Ma, voi mi direte, quand’è che agiamo per rispetto umano? Amico mio, ascoltatemi bene. È il giorno che siete stato alla fiera, o in una locanda in cui si mangiava carne in un giorno proibito e che vi si pregò di mangiare; voi accontentandovi di abbassare gli occhi e di arrossire, invece di dire che eravate Cristiano, che la Religione vi proibiva di mangiarla, voi ne avete mangiato come gli altri, dicendo: se  non faccio come gli altri, sarò dileggiato. – Sarete dileggiato, amico mio. Ah! certamente è un danno! Ah! mi direte, io farò peggio diventando la causa di tutti i cattivi discorsi che si diranno contro la Religione, che non ne farei mangiando della carne. Ditemi, amico mio, voi commettereste un male più grande? Se i martiri avessero temuto tutte queste bestemmie, tutti questi giuramenti, avrebbero rinunciato tutti alla loro Religione? È tanto peggio per coloro che operano il male. Ahimè!, fratelli miei, diciamo meglio, non è già abbastanza che altri disgraziati abbiano crocifisso Gesù-Cristo con la loro vita cattiva; occorre ancora che voi vi uniate ad essi per far soffrire Gesù-Cristo ancor di più? Voi temete di essere schernito? – Ah! Infelici, guardate Gesù-Cristo sulla croce e vedete ciò che ha fatto per voi. – Voi non sapete quando avete rinnegato Gesù-Cristo? È un giorno in cui, stando con due o tre persone, sembrava che non aveste mani, e che non sapevate fare il segno della croce, e stavate osservando se vi erano occhi su di voi e vi siete contentato di dire il vostro “Benedicite”, o l’Agimus nel vostro cuore, o che vi siete recati in un angolo per dirli. È quando, passando davanti ad una croce, faceste finta di non vederla o diceste che non è per noi che è morto il buon DIO. – Non sapete dunque quando avete avuto il rispetto umano? Fu un giorno in cui, trovandovi in una società, ove si pronunciavano parole turpi contro la santa virtù della purezza, o contro la Religione, voi non osaste riprendere quelle persone, e peggio, per il timore di essere dileggiato, avete sorriso. Ma, voi mi direte, … a ciò si è costretti, altrimenti saremmo fatti segno agli scherni. Voi, amico mio, temete di essere schernito? Fu pure questo timore che portò San Pietro a rinnegare il suo divin Maestro; ma la paura non impedì che commettesse un grave peccato, che egli pianse per tutta la vita. – Voi non sapete quando avete avuto il rispetto umano? È il giorno in cui il buon DIO vi ha dato il pensiero di andarvi a confessare i vostri peccati, sentivate di averne molto bisogno, ma pensaste che si getterebbe il ridicolo sopra di voi, e che sareste stato trattato da devoto. Un’altra volta vi cadde vi cadde in pensiero di recarvi ad assistere alla santa Messa fra la settimana, e che potevate farlo; voi avete detto in voi stessi che si getterebbe il ridicolo sopra di voi e si direbbe:  È buona cosa per coloro che non hanno nulla da fare, per coloro che hanno con che vivere colle loro rendite. – Quante volte questo maledetto rispetto umano vi ha impedito di assistere al Catechismo, alla preghiera della sera? Quante volte, stando a casa a far qualche preghiera o qualche lettura di pietà, vi siete nascosto vedendo venire qualcuno! Quante volte il rispetto umano vi ha fatto violare la legge del digiuno o dell’astinenza non osando dire che voi digiunavate, o non mangiavate di grasso? Quante volte non avete osato dire il vostro Angelus davanti a tutti, o vi siete accontentati i dirlo nel vostro cuore, o siete usciti a recitarlo in luogo appartato? quante volte non avete fatto le preghiere al mattino o alla sera, perché vi siete trovati con persone che non le recitavano; e tutto questo per timore di essere derisi. Andate, poveri schiavi del mondo, raggiungete l’inferno nel quale sarete precipitati; voi avrete tutti il tempo di rimpiangere il bene che il mondo vi ha impedito di operare. Ah! mio DIO, quale triste vita conduce chi vuol piacere al mondo ed al buon DIO! No, amico mio, voi vi ingannate, oltre che a vivere sempre infelici, voi non giungerete mai al punto di piacere al mondo e al buon DIO; questo vi è impossibile come il mettere fine all’eternità. Ecco il consiglio che voglio darvi e così sarete meno infelici: o vi date tutto a DIO, o tutto al mondo; non cercate, non seguite che un solo maestro, ed una volta al suo seguito, non lo lasciate. Voi non vi ricordate ciò che Gesù-Cristo vi ha detto nel Vangelo? voi non potete servire DIO e il mondo con i suoi piaceri, e Gesù-Cristo con la sua croce. Non è vero che amerete di appartenere ora a DIO, ed ora al mondo? Parliamo più francamente: sarebbe necessario che la vostra coscienza, che il vostro cuore vi permettesse di sedervi al mattino alla santa tavola, e la sera di prender parte alla danza; una parte del giorno passarla in chiesa ed il resto frequentare le bettole e darsi ai giuochi; un momento parlare del buon DIO ed un altro uscire in parole turpi, o in calunnie contro il prossimo; una volta far del bene al vostro vicino, ed in un altro momento recargli ingiuria; in altre parole, che coi buoni opererete il bene, parlerete del buon DIO, con i malvagi, commetterete il male! – Ah! fratelli miei, quanto male ci fa commettere la compagnia dei malvagi! Quanti peccati eviteremmo se avessimo la sorte di fuggire le persone senza Religione. San Agostino scrive, che essendosi trovato diverse volte con dei malvagi, aveva vergogna nel non avere tanta malizia quanto loro, e perché non essere biasimato, diceva anche il male che non aveva fatto. (Conf. lib. II, c. II, 7). Poveri ciechi! Quanto siete da compiangere! Qual triste vita!… oh! Maledetto rispetto umano che trascini tante anime nell’inferno. Oh! di quanti e quanti crimini sei la causa. Ah! qual grande disprezzo facciamo delle grazie che il buon DIO vuole concederci per salvarci. Ahimè! quanti che hanno cominciato la loro riprovazione col rispetto umano, perché a grado che hanno disprezzato le grazie che il buon DIO voleva loro concedere, la fede si è estinta in essi, a poco a poco hanno sentito meno la grandezza del peccato, la perdita del cielo, gli oltraggi che facevano a DIO con il peccato. Essi sono finiti per cadere in paralisi, vale a dire che essi non hanno riconosciuto lo stato miserando della loro povera anima; essi restano nel peccato e il maggior numero vi perisce. – Noi leggiamo nel Vangelo che Gesù-Cristo, nelle sue missioni, colmava di ogni sorta di grazie i luoghi pei quali passava. A volte c’era un cieco al quale ridonava la vista; a volte c’erano dei sordi che Egli faceva ascoltare: ora c’è un lebbroso che guarisce, là è un morto al quale rende la vita. tuttavia vediamo che pochi sono quelli che rendono pubblici i benefici che ricevono, essi lo fanno solo nel momento in cui sono ai piedi di Gesù-Cristo. E donde proviene questo, fratelli miei? Essi temevano i Giudei, perché bisognava essere nemici o dei Giudei, o di Gesù-Cristo; quando stavano dietro a Gesù-Cristo essi lo riconoscevano, e quando erano con i Giudei, sembravano approvarli con il loro silenzio. Ecco precisamente ciò che facciamo noi; quando siamo soli, noi riflettiamo sui benefici ricevuti dal buon DIO, e non possiamo impedirci di testimoniargli la nostra riconoscenza d’essere nati Cristiani, di essere stati confermati; ma quando siamo con i libertini, sembriamo essere dei loro sentimenti applaudendo con i nostri sorrisi o il nostro silenzio, la loro empietà. Oh! Qual indegna preferenza, esclama San Massimo; ah! maledetto rispetto umano quante anime trascini all’inferno! Ahimè! fratelli miei, qual tormento non proverà una persona che vuol piacere e vivere in tal modo, come ne abbiamo un bell’esempio nel Vangelo. Noi vi leggiamo che il re Erode s’era invaghito, per amor profano, di Erodiade. Questa barbara cortigiana aveva una figlia che danzò davanti a lui con tanta grazia, che egli le promise la metà del suo regno. Ma l’infelice si guardò bene dal chiedergliela, ciò non bastava; essendo ella andata da sua madre a prender consiglio su cosa dovesse chiedere al re, la madre, più infame della figlia, le presentò un piatto: « Va, le disse, a chiedere al re che metta su questo piatto la testa di Giovanni Battista affinché tu me la porti; » e questo perché San Giovanni le rimproverava la sua vita cattiva. Il re, a questa domanda, fu preso da spavento, perché da un canto stimava Giovanni-Battista e gli spiaceva la morte di un uomo che era così degno di vivere. Cosa farà egli? Qual partito abbraccerà? Ah! sciagurato rispetto umano, cosa stai per fare? Il re non vorrebbe far morire San Giovanni-Battista; ma d’altro canto, egli teme che si rida di lui, poiché essendo re, non tenga la parola data. Andate, disse questo re infelice ad un carnefice, andate a tagliare la testa di San Giovanni Battista, io preferisco piuttosto lasciar gridare la mia coscienza che lasciar che si rida di me! Ma quale orrore! Quando comparve la testa nella sala, i suoi occhi e la sua bocca, benché chiusi, sembrano rimproverargli il suo crimine, e minacciarlo dei castighi più terribili. A questo spettacolo, egli fremette ed impallidì. Ahimè! quanto è  da compiangere colui che si lascia guidare dal rispetto umano. – È ancor vero che il rispetto umano non ci impedisce sempre di compiere delle buone opere. Ma quante buone opere delle quali il rispetto umano ci fa perdere il merito. Quante buone opere non faremmo se non sperassimo di esserne lodati e stimati dal mondo! Quante persone che non vengono in chiesa se non per rispetto umano, pensando che, dal momento che di una persona che non pratichi più la religione, almeno esternamente, non si ha più confidenza in essa, e si dice: Dove non c’è Religione, non c’è coscienza. Quante madri che sembrano aver cura dei loro figli solo per essere stimate agli occhi del mondo! Quanti si riconciliano con i loro nemici perché temono che si perda la buona stima che si ha di essi! Quante persone non sarebbero così buone se non sapessero di essere lodate dal mondo. Quanti sono più riservati nelle loro parola e più modesti nella chiesa a causa del mondo! Oh! sciagurato rispetto umano, quante buone opere mandi a male che condurrebbero tanti Cristiani in cielo e che non faranno che spingerle nell’inferno. Ma – voi mi direte – torna molto difficile condursi in modo che il mondo non si immischi in tutto ciò che si fa. Ma, fratelli miei, noi non aspettiamo la nostra ricompensa dal mondo, ma solo da DIO: se siamo lodati, io so bene di non meritarlo, essendo peccatore; se mi si disprezza non c’è nulla di straordinario per un peccatori come noi che abbiamo tante volte disprezzato il buon DIO con i nostri peccati; noi non meritiamo miglio trattamento. Non ci ha forse detto Gesù-Cristo: beati coloro che saranno disprezzati e perseguitati! E tuttavia, chi sono coloro che vi disprezzano? Ahimè! Alcuni poveri peccatori che non hanno il coraggio di fare ciò he voi fate, che per nascondere un poco la loro vergogna, vorrebbero che foste come loro; è un povero cieco che, lungi dal disprezzarvi, dovrebbe trascorrere la sua vita a piangere la propria sventura. I suoi scherni vi dimostrano quanto è da compiangere o degno di compassione. Egli fa come un uomo che ha perduto lo spirito, che corre per le foreste, si rotola a terra, gettandosi nei precipizi e gridando a tutti quelli che lo vedono di imitarlo; egli ha un bel gridare, … lasciatelo fare, e compiangetelo, perché non conosce la sua disgrazia. Ugualmente, fratelli miei, lasciamo questi poveri sventurati gridare e insultare i buoni Cristiani; lasciate gli insensati nella loro demenza; lasciamo i ciechi nelle loro tenebre; ascoltiamo le grida e le urla dei riprovati; ma nulla temiamo; seguiamo la nostra strada; essi si fanno molto male, senza punto farcene, compiangiamoli e non ci curiamo di loro. – Sapete voi perché vi dileggiano? Perché vedono che li temete e che un nulla vi fa arrossire. Non è la vostra pietà che insultano, ma soltanto la vostra incostanza e la vostra viltà nel seguire il vostro Capo. Guardate la gente del mondo: con quale audacia seguono il loro capo; non si fanno gloria di essere libertini, ubriaconi, vendicativi, furbi? Guardate un impudico, teme forse di vomitare le sue parole sconce davanti al mondo? E questo perché? Fratelli miei, è perché sono costretti a seguire il loro maestro che è il mondo; essi non pensano e non cercano che di piacergli; hanno un bel soffrire, nulla li può arrestare. Ecco, fratelli miei, ciò che voi fareste se vorreste condurvi allo stesso modo. Voi non temereste né il mondo né il demonio; voi non cerchereste e non vorreste se non ciò che potrebbe piacere al vostro padrone che è DIO stesso. Convenite con me, che i mondani sono molto più costanti nei loro sacrifici che fanno per compiacere al loro padrone, che è il mondo, di noi nel fare ciò che dobbiamo fare per piacere al nostro padrone, che è il nostro DIO.

II. – Ma, ora, ricominciamo in altro modo. Ditemi, amico mio, perché voi insultate coloro che fanno professione di pietà? O, perché, meglio comprendiate, coloro che fanno preghiere più lunghe delle vostre, che frequentano più spesso i Sacramenti di quanto non lo facciate voi e che fuggono gli applausi del mondo? Di tre cose l’una, fratelli miei, o guardate queste persone come degli ipocriti, o voi insultate la pietà stessa, o infine siete pieni di rabbia per il fatto che essi valgono più di voi.

per trattarli come ipocriti bisogna che voi abbiate letto nel loro cuore, e che non vi siate perfettamente convinti che tutta la loro devozione sia falsa. Eh che! Fratelli miei, non sembra naturale che quando vediamo fare qualche buona opera da qualcuno, noi pensiamo che il loro cuore è buono e sincero? Secondo questo, vedete quanto il vostro linguaggio ed il vostro giudizio siano ridicoli. Voi vedete un buon esterno nel vostro vicino, e dite e pensate che la sua interiorità non valga nulla. Ecco, si dice, del buon frutto; certamente l’albero che lo porta è di buona specie, e voi ben lo giudicate. E se si tratta di giudicare delle persone dabbene, voi direte tutto il contrario: ecco del buon frutto; ma l’albero che lo porta non vale nulla! No, fratelli miei, no, voi non siete né ciechi, né insensati se ragionate in tal modo.

In secondo luogo, noi diciamo che voi schernite la pietà stessa: io mi inganno; voi non insultate questa persona perché prega più a lungo o più spesso e con rispetto: no, non è per questo, perché anche voi pregate (almeno se non lo fate mancate ad uno dei vostri primi doveri). È forse perché frequenta i Sacramenti? Ma voi non siete venuti fino a questo giorno senza avvicinarvi ai Sacramenti, voi foste veduti al tribunale della penitenza, foste veduti assidervi alla sacra mensa. Voi non disprezzate dunque questa persona perché adempie meglio di voi i suoi doveri di religione; essendo perfettamente convinti del pericolo in cui siamo di perderci, e di conseguenza del bisogno che abbiamo di fare ricorso alla preghiera ed ai Sacramenti per perseverare nella grazia del buon DIO, perché dopo questo mondo non vi è più altro mezzo: bene o male bisognerà restarci per tutta l’eternità.

No, fratelli miei, non è tutto questo che ci molesta nella persona del nostro vicino: il fatto è che, non avendo il coraggio di imitarlo, non vorremmo avere l’onta della nostra viltà, ma vorremmo trascinarlo nei nostri disordini o nella nostra vita indifferente. Quante volte ci diciamo: a che servono tutte queste litanie, a che serve stare tanto in chiesa, andarvi così presto, ed il resto? Ahimè! fratelli miei, il fatto è che la vita delle persone di pietà che sono serie, è la condanna della nostra vita fiacca ed indifferente. È molto facile capire che la loro umiltà ed il disprezzo che hanno di se stesse, condanni la vostra vita orgogliosa, che non vuole soffrire nulla, che vorrebbe che tutti ci amassero e ci lodassero; non c’è dubbio che la loro dolcezza e la loro bontà per tutti, fa onta ai nostri trasporti ed alle nostre collere; è ben vero che la loro modestia, la loro riserva in tutti i loro portamenti condanna la nostra vita mondana e piena di scandali. Non è forse solo questo che ci tormenta nella persona del nostro prossimo? Non è questo che ci ferisce, quando sentiamo dire del bene delle altre persone di cui si narrano le buone azioni? Sì, senza dubbio la loro devozione, il loro rispetto per la Chiesa ci condanna e fa ombra alla nostra vita tutta leggera ed alla nostra indifferenza per la nostra salvezza. Come siamo naturalmente portati a scusare negli altri i difetti che abbiamo noi stessi, ugualmente siamo sempre portati a disapprovare negli altri le virtù che non abbiamo il coraggio di praticare: è quello che vediamo ogni giorno. Un libertino è contento di trovare un libertino che lo applaudirà nei suoi disordini; ben lungi dal distoglierlo, lo incoraggia piuttosto. Un vendicativo si rallegrerà di essere con un altro vendicativo per consultarsi insieme alfine di trovare il mezzo di vendicarsi dei loro nemici. Ma mettete una persona saggia con un libertino, una persona che è sempre pronta a perdonare con un vendicativo: tosto vedrete i malvagi scatenarsi contro i buoni. E questo perché? Fratelli miei, se non perché non avendo la forza di fare ciò che essi fanno, vorrebbero poterli trascinare dalla loro parte, affinché la loro vita santa non sia una censura continua per la loro. Ma se volete bramaste di comprendere l’accecamento di coloro che dileggiano le persone che meglio di loro adempiono ai doveri del Cristiano, ascoltatemi un istante. – Cosa direste di una persona povera che porta invidia a un ricco, se questo povero non è ricco perché non lo vuole? Non gli direste: amico mio, perché dite male di quella persona perché è ricca? Spetta a voi di esserlo, ed anche straricco se lo bramate. Allo stesso modo, fratelli miei, perché siamo portati a criticare coloro che sono più saggi? Essi non negano a noi di esserlo ed anche di più, se lo desideriamo. Coloro che praticano la religione, e che ci vanno innanzi, non ci impediscono di essere saggi, ed anche più saggi se lo vigliamo. – Io dico dunque che sono coloro che non hanno religione che disprezzano quelli che la professano …; io non mi inganno, non li disprezzano, fanno solamente sembiante di disprezzarli, perché nel fondo del loro cuore essi sono pieni di stima per essi; ne volete una prova? Eccola. Presso chi va una persona, anche senza pietà, per trovare qualche consolazione nelle sue pene, o qualche raddolcimento nei propri dolori o nelle proprie sofferenze? Credete voi che si recherà da un’altra persona senza religione come ella? No, amico mio, no. Ella sa bene che una persona senza religione non può consolarla, né dare buoni consigli. Ma ella andrà pure a trovare persone che un tempo ha dileggiato. Ella è molto ben convinta che non c’è persona saggia e timorosa di DIO, che non possa consolarla e lenire un po’ le sue pene. In effetti, fratelli miei, quanto volte noi, sopraffatti dall’affanno o da qualche altra miseria, ci siamo recati a trovare qualche persona savia, e dopo un quarto ora di conversazione ci siamo sentiti tutti cambiati e ci siamo ritirati dicendo: coloro che amano il buon DIO sono felici come anche coloro che gli sono intorno. Io mi desolavo, non facevo che piangere, mi disperavo. In un istante in cui sono stato con questa persona, mi sono sentito consolato. È vero tutto ciò che mi ha detto, che il buon DIO mi aveva permesso questo per il mio bene, e che tutti i Santi e le Sante avevano sofferto più di me, e che giovava assai più patire in questo mondo che nell’altro. E concludemmo col dire: se avrò qualche pena, presto vi tornerò per consolarmi. Oh! bella Religione, quanto coloro che seriamente vi praticano, sono felici, e quanto le dolcezze e le consolazioni che ci procura sono grandi e preziose! … – Ebbene! Fratelli miei, voi dunque vedete che schernite coloro che non lo meritano; voi dovete invece ringraziare infinitamente il buon DIO di avere tra voi qualche buona anima che sappia placare la collera di DIO, senza di che noi saremmo oppressi dalla sua giustizia. Ma, a ben considerare, ad una persona che fa bene le sue preghiere, che non cerca che di piacere a DIO, che ama rendere servizio al prossimo, che sa dare perfino il suo necessario per aiutarlo, che perdona volentieri a coloro che gli fanno ingiuria, non potete dire che fa del male, al contrario. Ella non è che ben degna di essere lodata e stimata dal mondo. È tuttavia questa persona che voi straziate; forse che non pensavate a ciò che dicevate? È ben vero, voi riflettete in voi medesimo; ella è più felice di noi. Amico mio, ascoltatemi ed io vi dirò ciò che dovrete fare: ben lontano dal colpevolizzarli, voi dovreste fare ogni sforzo per imitarli; unirvi ogni mattino alle loro preghiere ed a tutte le opere che fanno durante la giornata. Ma – direte – per fare ciò che esse fanno, c’è da farsi troppo violenza e troppi sacrifici da imporsi. Non tanti quanto voi dite! … è così malagevole recitare bene le vostre preghiere il mattino e la sera? È tanto difficile ascoltare la parola di DIO con rispetto, chiedendo al buon DIO la grazia di profittarne? È così difficile non uscir fuori durante le istruzioni? Non lavorare il santo giorno della Domenica? Non mangiare la carne nei giorni proibiti? E disprezzare i mondani che vogliono assolutamente perdersi? Se temete che vi manchi il coraggio, portate i vostri sguardi sulla Croce ove Gesù-Cristo è morto, e vedrete che non vi mancherà il coraggio. Vedete queste folle di martiri che hanno sofferto tutto ciò che non potrete mai comprendere, per timore di perdere le loro anime. Sono essi ora spiacenti, fratelli miei, di aver disprezzato il mondo ed i suoi “cosa si dirà”? Concludiamo, fratelli miei, dicendo quanto poche persone ci sono che servono veramente il buon DIO. Gli uni cercano di distruggere la Religione, se potessero, con la forza delle armi, come facevano i re e gli imperatori pagani; gli altri con le loro grida empie vogliono avvilirla e farla perdere se potessero; altri la dileggiano in coloro che la praticano,, ed infine altri vorrebbero praticarla, ma hanno paura di farlo davanti al mondo. Ahimè, fratelli miei, quanto piccolo è il numero di quelli che sono fatti per il cielo poiché sono i soli che combattono vigorosamente il demonio e le loro inclinazioni, e che disprezzano il mondo con tutte i suoi scherni! Perché noi, non aspettiamo la nostra ricompensa e la nostra felicità che da DIO solo, perché amare il mondo che noi abbiamo promesso con giuramento di odiare e disprezzare per non seguire che Gesù-Cristo, portando la sua croce tutti i giorni della nostra vita? Avventurato colui, fratelli miei, che non cerca che DIO solo e disprezza tutto il resto! È la felicità che vi auguro … 

LO SCUDO DELLA FEDE (138)

P. F. GHERUBINO DA SERRAVEZZA

Cappuccino Missionario Apostolico

IL PROTESTANTISMO GIUDICATO E CONDANNATO DALLA BIBBIA E DAI PROTESTANTI (5)

FIRENZE DALLA TIPOGRAFIA CALASANZIANA 1861

DISCUSSIONE V.

Il Papa succede nel primato a S. Pietro, per successione di diritto divino.

31. Prof. Ammetto, dunque, perché innegabile, la Supremazia di S. Pietro secondo il senso cattolico, sopra tutta la Chiesa. Il Papismo però passa più oltre. Egli pretende che il suo Papa di Roma succeda per diritto, o istituzione divina nel primato a S. Pietro; il che in verun modo può ammettersi, e perché da un fatto particolare non può dedursi una regola generale, e perché S. Pietro mai è stato a Roma, e perché insomma, se anche vi fosse stato, la successione sarebbe sempre di umano diritto, non divino.

Bibbia. E incontrastabile, che S. Pietro doveva aver successori nel suo Primato, perché il sistema una volta stabilito da Gesù Cristo pel governo visibile della sua Chiesa, durar deve quanto la medesima Chiesa, siccome sta scritto: « Egli [Gesù] altri costituì Apostoli, altri profeti, altri pastori e dottori per lo perfetto adunamento de’ santi, per l’opera del ministero, per la edificazione del Corpo di Cristo: finché ei incontriamo tutti nella unità della fede, e della cognizione del Figliuolo di Dio. » (Efes. IV. 11. 12. 13.). Vale a dire, sino alla fine del mondo. – « Ed ho anche delle altre pecorelle, che non sono di quest’ovile, le quali ancora mi conviene addurre, e ascolteranno la mia voce, e sarà uno solo gregge e un solo pastore. » (Giov. X. 16,)  Anche questo vaticinio non poteva verificarsi durante la vita di S. Pietro; poiché non avrà perfetto compimento che verso la fine del mondo. Che poi per quel solo pastore non debba intendersi soltanto Gesù Cristo, ma anche un altro Capo visibile suo Vicario, e successore di S. Pietro, è cosa evidente da quanto fin qui ho detto a questo proposito, e tu stesso non puoi contradire se ritrattar non vuoi le tue antecedenti dichiarazioni. Che se brami conoscere in modo più chiaro e preciso questa gran verità, ascolta ancora S. Paolo. « In un solo spirito tutti noi siamo stati battezzati per essere un solo Corpo, o Giudei, o Gentili, o servi, o liberi…. Le membra sono molte, uno il corpo ;… E non può dire l’occhio alla mano: non ho bisogno dell’opera tua: e similmente il capo a’ piedi, non siete necessari, per me.1 » (I Cor. XII, 13 e segg.). Ecco dunque un Capo di tutto il corpo della Chiesa ben diverso da Gesù Cristo, perché è tale che non può dire a’ piedi, cioè neppure agli infimi membri, non siete neeessarj per me, non ho bisogno di voi.

2.° È incontrastabile che il Primato di S. Pietro passa ai successori tal quale egli lo ha ricevuto; ed essendo esso infallibilmente di diritto divino, perché istituito e conferito da Gesù Cristo, anche i successori lo hanno interamente di divino diritto, ossia non lo hanno, e non lo riconoscono che unicamente da Gesù Cristo. Il luogo scelto da S. Pietro per sede di esso Primato (supposto non ne abbia avuto comando da Dio) è certamente di umano diritto, ma non così la successione in chi succede nella Sede di Pietro, ovunque questa sia stabilita; perché tal successione è infallibilmente di diritto divino. Che poi S. Pietro non sia stato a Roma, e quindi il Papa non sia suo successore, come ti è noto?

32. Prot. S. Paolo scrivendo ai Romani non saluta S. Pietro, il che non avrebbe omesso di fare se fosse stato Pietro il Vescovo di Roma.

Bibbia. Meschinissima prova, perché non è che negativa. Infatti lo stesso S. Paolo scrivendo agli Ebrei non saluta S . Giacomo, scrivendo agli Efesini non saluta Timoteo: oserai dire perciò che il primo non fosse Vescovo di Gerusalemme, ed il secondo di Efeso? Ma poi, ascolta: « Dopo queste cose uscito (S. Paolo) di Atene venne a Corinto: e trovato un certo Giudeo per nome Aquila, nativo di Ponto, il quale era venuto di fresco dall’ Italia; … essendo che Claudio aveva ordinato che partissero da Roma tutti i Giudei, etc. » (Act. XVIII, 1,2). Dunque aveva dovuto partire anche S. Pietro. Ora chi ti assicura che quando S. Paolo scrisse a’ Romani, S. Pietro fosse già ritornato, o non piuttosto fosse tuttora assente, e perciò abbia lasciato di salutarlo?

Prot. Voi con tal modo di dire supponete che sia stato a Roma! Con quali prove?

Bibbia. Così scrive S. Pietro: « Vi saluta la Chiesa che è in Babilonia con voi eletti etc. » (I. di Pietr. v. 13. Nei frammenti agrari (romani) intitolati a Fausto, e Valerio VV PP, pp. p. 307, ediz. Di Vil. Goes, cosi sta scritto: « Circa urbem Babylonis Romæ maritimum fiet, etc. ». E a p. 266. « Contra urbis Babylonis Romam maritimi limites fient etc. » Dal che è manifesto che Roma anche presso i Romani aveva il saprannome di Babilonia). Ora essendo fuor di dubbio che gli Apostoli per Babilonia intendevano Roma pagana, come è chiaro dall’Apocalisse, Cap. XII. – è parimente fuor di dubbio che S. Pietro scrisse quella Lettera in Roma. A quella ne fece succedere un’altra, nella quale dice: « Essendo io certo che ben presto il mio tabernacolo ha da esser posto giù, secondo quello che lo stesso Signor nostro Gesù Cristo mi ha significato etc. » (II. Piet. I, 14) Onde è chiaro che S. Pietro non solamente è stato in Roma, ma che ivi è morto; e quindi che il Papa di Roma è il vero suo successore. Che se ancor non vuoi credere, dimmi almeno: chi è stato il primo fondatore della Chiesa di Roma?

33. Prot. È stato S. Paolo, e non altri. (Così, molti protestanti)

Bibbia. Oh! questa è bella !!! … S. Paolo nel principio della sua lettera ai Romani così dice loro: « Or io voglio, o fratelli, che non siavi ignoto come spesso feci proposito di venire da voi, per far qualche frutto anche tra voi, come tra le genti, ma sono stato sino a quest’ora impedito » Dunque prima che S. Paolo andasse a Roma, già era fondata e fioriva la Chiesa alla quale egli scrive: come, dunque, poteva averla fondata prima di esservi stato?

34. Prot. Tengo anch’io come voi; imperocché: « Se non vi fosse altra ragione che questa, aver, cioè, voluto Iddio render duratura la sua Chiesa visibile, ne seguirebbe per conseguente che cotesta Chiesa debba avere sulla terra un governo ecclesiastico universale. Per la qual cosa, se avvi realmente una Chiesa visibile, se esiste un governo ecclesiastico, il cui potere si estenda dall’uno all’altro punto della terra, è bene a ragione che questo governo si trovi in qualche luogo. Ora pare certissimo che Roma sopra tutte le altre città abbia questo vantaggio di esser la più atta a custodire nelle sue mura il Capo, e, a così dire, anche la fonte dell’intero governo della Chiesa Cristiana. » (Jac. Andreæ; Rationes a Deo petitæ: p. 24)

« La tradizione ci insegna, che Dio, per conservare la sua Chiesa nell’unità, ha stabilito una Cattedra, ed un’autorità superiore che vegli a mantenerla, la quale è quella della Chiesa di Roma (5 Nicole; Instruction X. sur le Symbole: § 10)

« Ben’è noto a ciascuno quella grande ed immortale idea che presenta la pietra angolare su cui ferma le sue basi il Papato. L’unione che si avvera tra ‘l cielo e la terra, le sensibili cose come mezzi, e le soprumane come fine: le sensibili, ad onore di Dio, le invisibili a gloria dell’uomo – sebbene tutto sia principalmente ordinato a gloria di Dio). Cotesta idea si poteva bene a ragione considerare come la leva dell’obbedienza dei popoli al sacerdozio, come l’idea fondamentale di Cristo medesimo, siccome quella per cui oggi non altrimenti che nel tempo che fu, si mantiene salda l’unità dell’antica Chiesa. Lungi da questo principio unificativo, essa sarebbe stata divisa ed infranta in un numero di sette e di partiti senza fine, tra i quali poi con grande difficoltà, se pure impossibile cosa non fosse, si sarebbe a mala pena trovato lo Spirito di Cristo. » (G. Chr. R. Maltei), Il potere e la dignità del principe: Heidelberga, 1843, p. 283).

« Siccome vi sono de’ Vescovi che presiedono a più Chiese, cosi il Romano Pontefice presiede a tutti i Vescovi. Non vi è uomo prudente a mio credere, che riprovi questa economica polizia. Laonde per ciò che spetta a questo articolo, della superiorità pontificia, non vi è contrasto. » (Melantone, lib. Epistolar. theologicar., Epist. 74, p. 244). « La Chiesa è un corpo, dunque molte singole parti la debbono comporre, e il Vescovo di Roma è quegli che ne ha la presidenza, e ne è il Capo. Il che si fonda sul modello di quel principato posseduto da Pietro sugli altri Apostoli, PER DIVINA ISTITUZIONE. Qual rimedio migliore contro gli scismi che l’unità in un solo che presegga? L’esperienza stessa lo ha dimostrato, quand’anche Cristo medesimo non l’avesse detto. Chi poi sarà tra i Cristiani che negherà essere stato S. Pietro tra i Romani? » (Ugo Grotius, Ad Consultationem Cassandri, 1642, p. 51.).

35.  « Le istorie ci insegnano che per due singolari ragioni la Chiesa Romana è sempre stata in fama e in gloria singolare. Primieramente perché essa mette capo in Roma ov’era la sede dell’impero, e poi, che è più, perché è stata fondata da Pietro e Paolo Apostoli Principi. » (A. Dreierus, De primate Petri, 1035, Thes. I .). « Tutte le storie affermano che Pietro è stato il primo Papa di Roma. » (Lutero, presso Tavardent, in notis ad Cap. 2, lib.. 3 S. Irenei), — « La presenza di Pietro in Roma è un fatto pieno di storica certezza. » (Bertholdt, Istruzione istorico-critica del V. e del N. Testamento, part. 5. p 2090.).

 « In forza di ciò più non contrasto che Pietro sia venuto, e sia morto in Roma.1 » (7 Calvino, libr. 4. Inst. Cap. 6, § 15).

« Pietro e Paolo godono un santissimo riposo in Roma, ove sono sepolti in pace. » (Berder, imiei pensieri sulla filosofia del genere umano, T. 3, p. 162) Non vi è nell’antica storia evento alcuno tanto incontrastabile per l’appoggio di dotti testimoni antichi e tanto tra sé consenzienti, quanto il fatto della venuta di S. Pietro in Roma.1 »(Schroch, Storia della Chiesa cristiana; part. 2, p. 155).

« Se tutto questo si vuol negare, gettiamo al fuoco ogni storia, e combattiamo qualunque verità; poiché né l’una, né l’altra varranno più a nulla. » (Rasnage, Annales eccl. Polit. Ad an. 62)

« Sarebbe indizio di somma stoltezza, e segno di non essere sano d’intelletto, il voler negare che Pietro abbia fermata la sua stanza in Roma, edificata quivi la Chiesa, e glorificata coll’effusione del suo sangue. » (G, Cave, Del Cristianesimo primitivo: cap. 5. )

« Che se alcuni protestanti, specialmente Spanhem, hanno voluto negare, ad esempio di certi avversari de’ Pontificii del medio evo, che S. Pietro sia mai stato in Roma, ciò fatto hanno per polemica di fazione. » (Gieseler, Manuale della Storia Ecclesiastica: T. I ed. 2, p. 89). Insomma

« La Chiesa Romana non solamente è Cattolica, ma inoltre è Capo della Chiesa Cattolica, e ben lo dimostra S. Girolamo in una sua Epistola diretta a S. Damaso. Non vi è chi lo ponga in dubbio. » ( Ugone Grozio, Append. Epist. 679).

IL SACRO CUORE DI GESÙ (37)

IL SACRO CUORE DI GESÙ

J. V. BAINVEL – prof. teologia Ist. Catt. Di Parigi;

LA DEVOZIONE AL S. CUORE DI GESÙ

[Milano Soc. Ed. “Vita e Pensiero, 1919]

PARTE PRIMA

CAPITOLO IV.

LE PROMESSE

Circola una piccola raccolta delle promesse fatte dalla beata Margherita Maria, in favore dei devoti del sacro Cuore e di tutti quelli che propagheranno questa divozione (Nel 1882 un cattolico americano fece tradurre questa raccolta in circa 200 lingue, e la fece stampare su di una graziosa immagine del sacro Cuore, che sparse con profusione in tutte le parti del mondo).

1. Io darò loro tutte le grazie necessarie al loro stato.

2. Io metterò la pace nelle loro famiglie.

3. Io li consolerò in tutte le loro afflizioni.

4. Io sarò il loro sicuro rifugio in vita e specialmetnte in morte.

5. Io spanderò le più abbondanti benedizioni sopra tutte le loro imprese.

6. I peccatori troveranno nel mio Cuore la fonte e l’oceano infinito della misericordia.

7. Le anime tiepide diverranno fervorose.

8. Le anime fervorose s’innalzeranno rapidamente a una grande perfezione.

9. Io benedirò perfino le case ove l’immagine del mio sacro Cuore sarà esposta e onorata.

10. Io darò ai sacerdoti il dono dì commuovere i cuori più induriti.

11. Le persone che propagheranno questa divozione avranno il loro nome scritto nel mio Cuore e non ne sarà mai cancellato (A queste undici promesse si comincia a unire, da qualche anno, quella che riguarda la comunione dei nove primi venerdì consecutivi, detta « la grande promessa »).

Quando e da chi fu fatta questa raccolta? Non saprei dirlo. Non se ne trova traccia nel Croiset, nel Gallifet, nel Nicollet o in altri. Queste promesse, pertanto, rispondono esattamente al pensiero della beata e alle sue parole. Non sono, però, tratte  testualmente dai suoi scritti e, una, la più precisa, se non la più importante, non vi si trova affatto. Bisogna dunque tornare ai testi della beata. Diremo in seguito qualche parola della « grande promessa ».

PROMESSE DIVERSE

Promesse speciali e promesse generali. Il linguaggio della beata. Testi precisi, soprattutto dal 1685.

I testi sono sì abbondanti che bisogna fare una scelta. Ve ne sono che riguardano persone o circostanze particolari. – Tutte le persone che parteciperanno alle vedute della beata, che le fanno del bene, che lavorano a propagare la sua cara divozione, sono oggetto di favori speciali, avuti o promessi con sicurezza. Prima di tutti, la Madre de Saumaise, la madre Greyfìé, suor Giovanna Maddalena Joly, il P. Croiset, ecc…. Di questi favori però non abbiamo nulla di particolare a dir qui, e ci limiteremo a parlare delle promesse generali, che si riferiscono alla divozione. Il linguaggio della beata sembra aver seguito su questo soggetto, una gradazione di sicurezza e di precisione. Sino dal principio, Gesù le ha fatto comprendere che spanderebbe le effusioni della sua grazia su tutti quelli che si interesserebbero a questa amabile divozione. Non è che a datare dal 1685 o dal 1686, che le promesse divengono più precise e più sicure. – La beata varia anche nella sua maniera di esprimersi. Ora ella parla, per così dire, in suo nome; ora in nome di Nostro Signore. Ciò dipende, in parte, dalle persone a cui son dirette le sue lettere. Quando esse non sono al corrente delle sue intime comunicazioni con Nostro Signore, è più riservata. Ma si direbbe che, qualche volta, ella dica ciò che ha nello spirito, senza avere specialmente in vista qualche promessa distinta di Nostro Signore.

(Si vede questo anche in una lettera alla Madre de Saumaise, 17 febbraio 1687. Con lei non ha da nascondere nulla. Nostro Signore « vuole che le parli alla buona, a cuore aperto, come una figlia con la sua buona Madre ». E, non pertanto, si riscontra nella sua parola come una fusione di due influenze; delle idee che le vengono, e dei lumi che riceve: « Ecco quel che mi viene in mente, a proposito del nostro Istituto: che il nostro Padre, San Francesco … abbia chiesto un sostegno … e che il sacro Cuore di Gesù gli è stato accordato. Ed è per l’intercessione della santa Vergine che egli ha ottenuto questo potente protettore. Quelle che si metteranno sotto questa amabile protezione, parteciperanno abbondantemente al tesoro delle sue grazie santificanti. Mi sembra di essermi fatta comprendere. Veda, mia cara Madre, come il mio miserabile cuore le svela semplicemente i suoi pensieri, per i quali però le chiedo il segreto, perché io non desidero che si dia qualche credito ai miei pensieri, né a quel che dico, che non è né rivelazione, né visione ». Lettera XIV (XV), t. II, p. 107 (143); G. XXXV, 295, CXI, 473. E chiaro, d’altra parte, che queste cose non si possono sapere che per mezzo di comunicazioni soprannaturali, e ci vengono presentate come tali sia qui (« mi sembra essermi fatta comprendere ») sia in molti altri luoghi. Vedere per esempio, la lettera XLV (XLV), t. II, p. 87 O24); G. LI, 324).

Che ella però parli in suo nome, o in nome di Gesù, la beata non fluisce di rivelare i vantaggi della sua cara divozione. Ma noi studiamo particolarmente le promesse; ed ecco, a questo proposito, qualche passaggio caratteristico. Ella scrive alla Madre de Saumaise, il 24 agosto 1685. Egli (il sacro Cuore) le (a lei stessa) ha fatto conoscere, di nuovo, la gran compiacenza che prende nell’essere onorato dalle sue creature e le sembra che Egli le promettesse che tutti quelli che sarebbero consacrati a questo sacro Cuore, non perirebbero e che, siccome Egli è la sorgente d’ogni benedizione, così le spanderebbe, con abbondanza, in tutti i luoghi dove fosse esposta l’immagine di questo amabile Cuore, per esservi amato e onorato. Così riunirebbe le famiglie divise, proteggerebbe quelle che si trovassero in qualche necessità, spanderebbe l’unzione della sua ardente carità in quelle comunità dove fosse onorata la sua divina immagine; e ne allontanerebbe i colpi della giusta collera di Dio, ritornandole nella sua grazia, quando ne fossero decadute; e che, finalmente, accorderebbe una grazia speciale di santificazione, di salute, alla prima persona che gli procurasse la gioia di far fare questa santa immagine » (Lettera XXXII (XXXIII), t. Il, p. 64 (101); G. XXXVI. 296). – Si trova cosa analoga in una lettera alla Madre Greytié, in un estratto citato dalle Contemporaines (Lettera XXXII (XXXIV), t. II, p. (250) ; 68 (105) ; cf. t. I , p, 221; G. XXXVII, 299; cf. t. I, p. 367. 2). E così pure in un altra lettera alla stessa, nel gennaio 1686. « Mi sembra che Egli mi abbia latto vedere che molti nomi vi erano scritti, (nel sacro Cuore) a causa del desiderio che hanno di vederlo onorato; e che, per questo, non permetterà che ne siano cancellati (Lettera XXXIV (XXXV), t. II, p. 70 (107); G. XL, 303. Ella aggiunge subito: « Però Egli non mi dice che i suoi amici non avranno nulla da soffrire; perché vuole che facciano consistere la loro maggior felicità a gustare le sue amarezze ». Si vede che ella non dimentica la via cristiana e perfetta.). – Ma in nessuna altra parte la beata è più esplicita che nelle sue lettere al P. Croiset. Il 10 agosto 1689, dopo avergli parlato « del gran numero di anime che questa divozione ritrarrà dalla via della perdizione, per rimetterle in quella della salute, aggiunge: « È quello che gli dà un così ardente desiderio d’esser conosciuto, amato e onorato dagli uomini, nel cuore dei quali brama ardentemente di stabilire, per questo mezzo, l’impero del puro amore, sì che promette grandi ricompense a tutti quelli che s’impegneranno a farvelo regnare…. Io mi vorrei struggere in rendimenti di grazie e in riconoscenza verso quel divin Cuore, per le grazie grandi che ci ha fatto volendo servirsi di noi per aiutarlo a farlo conoscere, amare e onorare; a ciò Egli ha annesso dei beni infiniti per tutti coloro che vi s’impiegheranno con tutto il loro potere, seguendo le sue ispirazioni. Egli rivela questo desiderio (d’esser conosciuto, amato ed onorato dagli uomini) come sì eccessivo, che promette a tutti coloro che si daranno e consacreranno a lui, per dargli questo gusto di rendergli e procurargli tutto l’amore, l’onore e la gloria che sarà in loro potere…. che non periranno mai, e che Egli sarebbe loro un asilo sicuro, contro tutte le insidie dei loro nemici, ma soprattutto nell’ora della morte, in cui li riceverebbe amorosamente nel suo divin Cuore, assicurando la loro salute, prendendosi cura di santificarli e di (farli) tanto grandi davanti il suo eterno Padre, quanto impegno metterebbero nel dilatare il regno del suo amore nei cuori; e che, come Egli è sorgente d’ogni benedizione, così ne spanderà abbondantemente in tutti quei luoghi dove verrebbe onorata l’immagine di questo sacro Cuore, perché il suo amore lo sollecita a distribuire il tesoro inesauribile delle sue grazie santificanti e salutari, nelle anime di buona volontà, cercando i cuori vuoti per riempirli con la soave unzione della sua ardente carità, per consumarli e trasformarli interamente in lui. Egli vuole spiriti umili e sottomessi, senz’altra curiosità che di compiere il piacer suo. Di più Egli con questo mezzo riunirebbe le famiglie che fossero divise, e proteggerebbe quelle che fossero in necessità; e spanderebbe la soave unzione della sua carità in tutte le comunità religiose, dove fosse onorato, e che si mettessero sotto la sua particolare protezione, ne terrebbe tutti i cuori uniti per non farne che un sol cuore col suo e distoglierebbe da loro la folgore della divina giustizia, restituendoli alla grazia, quando ne fossero decaduti… ». – Oh! Se mi fosse permesso di manifestare le ricchezze infinite che sono nascoste in questo prezioso tesoro, e di cui arricchisce e fa godere i suoi amici fedeli! Se potessimo comprenderlo, non ci risparmieremmo in nulla, per procurargli la gioia che Egli desidera con (tanto) ardore » (Lettres inédites, II, p. 87-91 ; riveduto su G. CXXXI, 526, 529).

– Qualcuna di queste promesse sono per gli zelatori; ma altre sono per tutti, e l’insieme mostra che ciascuno ha la sua parte in tutte, secondo la misura della sua divozione. – La beata vi ritorna nella sua lettera del 15 settembre 1689. Ella riguarda questa divozione come uno dei mezzi di cui questo divin Cuore vuol servirsi per « ritrarre un gran numero di anime dalla perdizione, distruggendo in esse l’impero di satana, per rimetterle, con le sue grazie, nella via della salute eterna, come mi sembra averlo Egli promesso alla sua indegna schiava; facendole vedere questa divozione, come uno degli ultimi sforzi del suo amore per gli uomini, affinché, manifestando loro, in un quadro particolare, il suo divin Cuore, trafitto d’amore per la loro salute, potesse assicurare la loro salvezza, non lasciando perir niente di tutto quello che gli sarebbe consacrato, per il gran desiderio che Egli ha d’essere conosciuto, amato e onorato dalle sue creature, affine di soddisfare, in qualche modo, l’ardente desiderio che ha il suo amore di espandersi, distribuendo loro, con abbondanza, le sue grazie santificanti e salutari; e sarà loro un asilo sicuro nell’ora della morte, per riceverle e difenderle dai loro nemici. Ma per questo, bisogna vivere in conformità delle sue sante massime ». Questo è per tutti. – Vediamo ora quello che riguarda gli zelatori. « Per coloro che s’impiegano a farlo conoscere e amare, oh! se potessi, se mi fosse permesso di esprimere quello che mi è stato dato a conoscere, delle ricompense che riceveranno da questo adorabile Cuore, direste, come me, che sono ben felici quelli che Egli impiegherà per l’esecuzione dei suoi disegni…. E la ragione, per cui non mi è permesso parlare delle ricompense che Egli promette a coloro di cui si servirà per questa santa opera, è perché lavorino, senza altro interesse che quello della sua gloria e in vista del suo amore (Lettres inédites, III, p. 117-118; riveduto su G. CXXXII, 540-547). – E un po’ più lungi : « Non vi è nulla di più dolce né di più soave, e insieme di più forte ed efficace, che la soave unzione dell’ardente carità di questo amabile Cuore, per convertire le anime più indurite e penetrare nei cuori più insensibili, per mezzo della parola dei predicatori e suoi fedeli amici, che Egli renderà come una spada ardente che farà liquefare, nell’amor suo, i cuori più agghiacciati »  (Lettres inédites, III, p. 128; riveduto su G. 553.). – E vi ritorna pure sotto altra forma.

« Questo divin Cuore è una sorgente perenne, ove sono tre canali che scorrono incessantemente: il primo di misericordia per i peccatori, sui quali si diffonde lo spirito di contrizione e di penitenza; il secondo di carità, e si estende a soccorrere tutti i miserabili, che si trovano in qualche necessità: e particolarmente per quelli che tendono alla perfezione, che vi troveranno, per la mediazione dei santi Angeli, di che vincere gli ostacoli; dal terzo scorrono l’amore e la luce per gli amici perfetti, che Egli vuole unire a sé, per comunicar loro la sua scienza e le sue massime, affinché si consacrino interamente a procurargli gloria, ciascuno a modo suo e la Santissima Vergine sarà la speciale protettrice di questi, per farli giungere alla perfezione (Lettres inédites. Ili, p. 129-130. riveduto su G. 554). – L’insieme di queste promesse non è così bene espresso in nessuna parte come in un frammento di lettera della beata a un Padre Gesuita, forse al P. Croiset. « Perché non posso io raccontare tutto quello che so di questa amabile devozione e scoprire a tutta la terra i tesori di grazie che Gesù Cristo racchiude in questo Cuore adorabile e che intende spandere su tutti quelli che la praticheranno!… I tesori di grazie e di benedizioni che questo sacro Cuore racchiude sono infiniti. Io non so che vi sia nessun altro esercizio di divozione, nella vita spirituale, che sia più efficace, per innalzare, in poco tempo, un’anima alla più alta perfezione e per farle gustare le vere dolcezze, che si trovano nel servizio di Gesù Cristo  ». – « Sì, lo dico con sicurezza, se si sapesse quanto questa divozione è gradita a Gesù Cristo, non si troverebbe un solo Cristiano, per quanto poco amore avesse per questo amabile Salvatore, che non la praticasse subito. Fate di tutto perché le persone religiose, in particolar modo, l’abbraccino; esse ne riceveranno tanto aiuto, che non abbisognerà altro mezzo, per ristabilire il primo fervore e la più esatta regolarità, nelle Comunità le men ben regolate, e per portare al colmo della perfezione quelle che vivono nella più esatta osservanza ». – « In quanto alle persone secolari, troveranno in questa amabile divozione tutti i soccorsi necessari al loro stato, vale a dire, la pace nelle loro famiglie, il sollievo nel loro lavoro, le benedizioni del Cielo in tutte le loro imprese, la consolazione nelle loro miserie; è proprio in questo sacro Cuore che troveranno un luogo di rifugio durante tutta la loro vita, e principalmente all’ora della morte. Ah! come è dolce morire dopo avere avuto una tenera e costante divozione al sacro Cuore di Gesù Cristo! ». – « Il mio divin Maestro mi ha fatto conoscere che coloro che lavorano alla salute delle anime, lavoreranno con successo e conosceranno l’arte di commuovere i cuori più induriti, purché abbiano una tenera divozione al suo sacro Cuore, e s’impegnino a ispirarla e stabilirla in ogni dove ». « Infine, è molto visibile che non vi è nessuno al mondo che non riceva ogni sorta di soccorso dal cielo, se ha per Gesù Cristo un amore veramente riconoscente, come si è quello che gli si dimostra, con la divozione al suo sacro Cuore » (Il testo è tolto dal Croiset, Abrégé, p. 57. Cf. Lettera CXXXI1 (CXXXIV), t. II, p. 285 (334). Contemporaìnes, t. I , p. 289 (317) ; G. CXLI, 622. Fra questi testi si riscontra qualche variante d’espressione).

II.

LA GRANDE PROMESSA (*)

Testo — Importanza — Carattere unico.

(*) Si veda : A. Hamon, Le exte de la grande promesse du Sacre Cœur negli Etudes, 20 giugno 1903, t. XCV, p. 854; X. M. LE BACHELET, La grande promesse du Sacre Cœur, ibid,, 5 agosto 1901, t. LXXXVIII, p. 385, con bibliografia; A. VERMEERSCH, La grande promesse du Sacre Cceur, Paris, 1903 (in Pratique et Doctrine de la Dévotion au Sacre Cceur de Jesus, Tournai, 2 a parte, c. 3, p. 555-594); A. Boidinhon, Les neuf premiers vendredis, nella Revue du clergé, -1903, t. XXXVI, p. 113; R. DE LA BÉGASSIÈRE, nell’articolo Coeur de Jesus ; X, nel Dictionnaire apologétique, Jangey-d’Alès, t, I, col. 582-583, Paris, 1909. Il R. P. DOMENICO GALEAZZI, S. I . ha consacrato alla questione un volume considerevole : De præcìpuo e promissis SS. Cordis Jesu, seu de novem communionibus. Dissertatio historica et theologica, Roma, 1910, 237 pagine in 12. Cf. Étudès, 5 gennaio 1911, t. 126, p. 108-110 (articolo del R. P. LE BACHELET, il quale, a mio parere, non tien più le posizioni prese negli Études, 5 agosto 1901, t. 88, p. 385, posizioni attaccate dal P. VERMEERSCH, Etudes, 5 giugno 1903, t. 95. p. 593 ; la dottrina del P. VERMEERSCH è la nostra). Più recentemente: La grande promesse du Cceur de Jesus, del P. GARCIA ESTÉBANEZ, S. J., studio storico, teologico e pratico. Tradotto dallo spagnolo, da un religioso dei Certosini, Paris, 1913.)

Rimane ancora una promessa che non abbiamo incontrata sin qui, sotto la penna della beata: « La grande promessa ». Se ne parla poco nei primi trattati sul sacro Cuore (Non l’ho veduto né nel CROISET, né nel GALLIFFET. Les Contemporaìnes ne fanno menzione; lo stesso, LANGEUT e NICOLLET), e non è che i n questi ultimi tempi che ha fissato, in modo speciale, l’attenzione dei teologi. Si direbbe che si aveva paura di parlarne, sia per non dar presa agli avversari, sia per non incoraggiare una sicurezza presuntuosa. Infatti, sarebbe scandalosa, per chi non crede all’amore; ma ben la comprendono tutti coloro che hanno compreso il sacro Cuore. Si trova in una lettera alla Madre de Saumaise, di data incerta. (Le editrici dicono: maggio 1688.) Non ne abbiamo più l’autografo, e la copia ha dovuto subire qualche ritocco, però solamente grammaticale. Ecco il testo pubblicato:

« Un giorno di venerdì, nel tempo della santa Comunione, Egli disse queste parole colla sua indegna schiava, se ella non s’inganna: Io ti prometto, nella eccessiva misericordia del mio Cuore, che il suo amore onnipotente accorderà, a tutti quelli che faranno la santa Comunione per nove primi venerdì del mese, consecutivi, la grazia finale della penitenza; essi non morranno nella mia disgrazia, né senza ricevere i sacramenti, e il mio divin Cuore si farà loro asilo sicuro nell’ultimo momento.  »

(Lettera LXXXII (LXXXIII), t. I I , p. 159 (195); G. LXXXVII, 397. Le Contemporaìnes dicono « eccesso di misericordia, invece di eccessiva misericordia »: nove primi venerdì d’ogni mese di seguito; la grazia della penitenza finale, non morranno nella mia disgrazia; egli si farà loro asilo sicuro, in quell’ultima ora. I , p. 291 (318); riveduto su G. 277, p. 261. Differenze, come si vede, puramente grammaticali. A. HAMON ha trovato, in un manoscritto gentilmente comunicato da DECHELETTE, il sapiente archeologo ucciso dal nemico or sono pochi mesi) un testo che sembra essere il testo stesso della beata. Non differisce, dal testo pubblicato, che in cose insignificanti. Il testo dunque, in sostanza, è sicurissimo). La promessa è assoluta, supponendo, solo evidentemente, le comunioni ben fatte e secondo le intenzioni del sacro Cuore. Ciò che vien promesso, non è la perseveranza nel bene, durante tutta la vita, e neppure (ciò risulta dal contesto, più che dal testo medesimo) la recezione degli ultimi sacramenti in ogni ipotesi; ma bensì la perseveranza finale, che implica la penitenza e gli ultimi sacramenti, nella misura necessaria. La promessa riguarda più direttamente i peccatori che le anime pie, e non fa che precisare, fissandola a una pratica determinata di divozione al sacro Cuore, ciò che la beata ha ripetuto, mille volte in generale, che i devoti del sacro Cuore, cioè, non periranno. – Si trovano, negli scritti della beata, delle promesse che hanno una certa analogia con la grande promessa, in favore di altre pratiche.

(Ecco secondo Le Contemporaines quelle che più vi si avvicinano: « Un giorno dell’Annunziazione, Nostro Signore mi fece conoscere che io dovevo onorare i suoi abbassamenti, con 24 Verbum caro, per onorare le ore che rimase nel seno verginale della sua santa Madre, promettendomi che quelli che vi fossero fedeli non morirebbero senza ricevere il frutto della sua incarnazione, per mezzo dei SS.mi » Sacramenti ». Vie et Oeuvres. t. 1, pag. 114 (143); G. n. III, p. 115. – Un altra pratica è pure raccomandata: « Egli mi disse, amorosamente, esser suo desiderio che ogni venerdì io lo adorassi per 33 volte sull’albero della croce, che è il trono della sua misericordia, prostrandomi umilmente ai suoi piedi e cercando di mettermi nella disposizione in cui era la SS.ma Vergine nel tempo della passione, offrendo tutto questo all’eterno Padre, con le sofferenze del suo divin Figlio per chiedergli la conversione dei peccatori induriti. In quanto a coloro che si manterranno fedeli a questa pratica Egli sarà loro favorevole nel punto della morte. » Vie et Oeuvres, t. I, p. 69 (100) ; G. n. 115 p. 116; ef. t. II, p. 154.). – Ma vi sono sempre delle differenze, di cui ecco la principale: negli altri casi niente indica che la grazia sia annessa a una pratica che venga fatta. Si potrebbe fare delle serie osservazioni consimili, a proposito di promesse di tal genere, che si trovano altrove; in santa Geltrude, per esempio. La conclusione sarà sempre, se non m’inganno, che la « grande promessa » è qualcosa di unico. Chi non vede, d’altronde, che non vi è qui un incoraggiamento a fare il male, ma una grazia ammirabile e un grande aiuto per fare il bene? Gesù non dice che salverà quelli che continueranno a peccare; ma che darà una grazia efficace per non peccare, una grazia onnipotente, per uscire, infine, dal peccato (2).

 (2) Ben inteso, l’asserzione della beata non ha qui, più che altrove, valore assoluto; ma garantisce, visto la sincerità del testimone, l’esperienza psicologica di una santa anima; e poiché abbiamo delle solide ragioni per credere alla missione soprannaturale della beata, possiamo concludere che queste stesse ragioni militano per la realtà della promessa. L’autorità della Chiesa, non è impegnata direttamente nella questione. Pertanto dal fatto che la Chiesa ha beatificato Margherita Maria e che presto la canonizzerà; dal fatto che l’esame dei suoi scritti non ha arrestato il processo canonico e che le autorità ecclesiastiche lasciano predicare « la grande promessa » ; dal fatto, infine, che la santità della beata implica praticamente la realtà della sua missione, si può dedurre legittimamente: 1° che nel pensiero della Chiesa una tal promessa non ha nulla di contrario alla fede o ai costumi; 2° che non è imprudente o temerario di credervi e di farvi appello per spingere alla pratica dei nove venerdì. – L’obiezione, tratta dal Concilio di Trento, sulla incertezza della salute eterna, non ha appiglio nel caso presente e neppur quella che vi si potrebbe trovare un incoraggiamento a peccare. Non vi è dunque ragione per attenuare il senso della promessa, come ha fatto qualche teologo che, spiegandola, ha quasi reso nullo il suo vero senso.

IL SACRO CUORE (38)

IL CATECHISMO CATTOLICO DEL CARDINAL GASPARRI (18)

CATECHISMO CATTOLICO A CURA DEL CARDINAL PIETRO GASPARRI (18)

PRIMA VERSIONE ITALIANA APPROVATA DALL’AUTORE 1932 COI TIPI DELLA SOC. ED. (LA SCUOLA) – BRESCIA

Brixiæ, die 15 octobris 1931.

IMPRIMATUR

+ AEM. BONGIORNI, Vie. Gen

APPENDICI

APPENDICE I .

(Dagli Atti del Concilio Vaticano)

SCHEMA di costituzione del Catechismo piccolo secondo le correzioni ammesse dalla Congregazione generale.

PIO VESCOVO SERVO DE SERVI DI DIO A PERPETUO RICORDO DEL FATTO CON APPROVAZIONE DEL SACRO CONCILIO

Compilazione e uso di un unico catechismo piccolo per tutta la Chiesa.

L’amorosa madre Chiesa, istruita dall’insegnamento e dall’esempio del suo sposo Gesù Cristo Salvator nostro, dedicò sempre straordinaria cura e diligenza ai fanciulli acciocché, nutriti col latte della celeste sapienza, fossero per tempo educati alla pietà in ogni sua manifestazione. Perciò il sacrosanto Sinodo di Trento non solamente incaricò i Vescovi di provvedere che ai fanciulli s’insegnassero con cura le nozioni fondamentali della fede e l’obbedienza tanto a Dio quanto ai genitori, (Sess. XXIV, c. 4, de Reform.) ma si assunse di più il compito di preparare un formulario e un metodo fisso per istruire il popolo cristiano già fin dai primi rudimenti della fede; perché lo seguissero in ogni diocesi coloro, che avessero mandato di legittimo pastore e maestro (id. id., c. 7, de Reform.; Catech. Rom. in Præf.). Siccome non poté essere compilato dallo stesso Santo Sinodo, questa Sede Apostolica, conformandosi a un voto di quello (id., XXV, Decret. De Indice librorum, Catechismo etc.), lo condusse felicemente al desiderato termine col pubblicare il « Catechismo per i parroci ». E non si contentò; ma, pel desiderio di rispondere più perfettamente all’intenzione de’ Padri tridentini, approvò anche, nell’intento che sempre poi fosse osservato un unico e ugual metodo nell’insegnare ed apprendere la dottrina cristiana, un piccolo catechismo, composto, per suo incarico, dal Ven. Card. Bellarmino; e lo raccomandò assai caldamente a tutti gli Ordinarii, ai parroci e agli altri, cui spetta il detto insegnamento (Clem. VIII, Brev. Pastoralis, 15 luglio 1598; Bened. XIV, Constit. Etsi minime, 7 febbr. 1742). Poiché si sa che non piccoli inconvenienti oggi derivano dal numero enorme de’ piccoli catechismi nelle diverse Provincie e Diocesi, Noi, coll’approvazione del Sacro Concilio, tenendo sott’occhio anzitutto il detto catechismo del Ven. Card. Bellarmino, poi anche quelli più diffusi tra il popolo cristiano, provvederemo che di Nostra autorità ne sia compilato uno nuovo in lingua latina, affinché tutti si servano di esso, togliendo di mezzo per l’avvenire le varietà de’ piccoli catechismi (In questo schema non è fatta menzione del piccolo catechismo, per quelli che, a norma del Decreto Quam singulari di Pio Pp. X, devono essere ammessi per la prima volta alla s. Comunione. Prima di tal decreto non si ammettevano d’ordinario i fanciulli alla prima Comunione, se non in età più avanzata secondo le varie usanze locali e, per prepararli convenientemente, s’adoperava il catechismo del Bellarmino, oppure altri somiglianti. Ma, dopo la pubblicazione del Decreto di Pio X, catechismi di tal sorta, com’è stato detto nel Proemio, servono per i fanciulli che, fatta la prima Comunione, continuano nello studio della dottrina cristiana, non per quelli, che — a norma del citato Decreto — sono ammessi per la prima volta alla santa Comunione.). A loro volta, nelle singole Provincie, i Patriarchi o gli Arcivescovi, udito prima il parere dei loro Suffraganei, consultati poi anche gli altri Arcivescovi della stessa regione e lingua, cureranno che quel testo sia fedelmente tradotto in lingua volgare. Ma in facoltà de’ Vescovi, purché sia sempre tenuto in uso il piccolo catechismo per la prima istruzione de’ fedeli, senza giunte di sorta, resterà il compilare più ampie lezioni di catechismo per maggior istruzione de’ fedeli e difesa contro errori, che eventualmente infestano i loro paesi. Però se vorranno pubblicare queste lezioni, non a parte, ma unitamente al testo del catechismo suddetto, ordiniamo che appunto il testo da noi prescritto apparisca da tali lezioni nettamente distinto.

(A questo scopo è pienamente idoneo il terzo nostro catechismo composto per gli adulti e per le persone colte; in esso difatti sono esposte più diffusamente le verità della dottrina cristiana. Da esso fu ricavato, senza mutar sillaba, il secondo catechismo de’ fanciulli, sicché, se vogliono col tempo formarsi miglior cognizione della dottrina cristiana, se la possano procurare più facilmente coll’uso del catechismo maggiore; lasciando facoltà agli Ordinari di svolgere più ampiamente, conforme ai vari bisogni locali, taluni punti della dottrina e di completarli coll’aggiunta di altri, come si spiega meglio nel Proemio.). – Finalmente raccomandiamo assai assai, come spesso fecero i nostri Predecessori, a quelli, che hanno incarico d’insegnare, l’uso del ricordato Catechismo ai parroci; perché poco gioverebbe che i fedeli mandassero a mente le formule del catechismo, se nel comprenderle non fossero guidati dalla viva voce del maestro, ognuno in proporzione della sua capacità; e a questo proposito è di somma importanza, che unico sia il modo d’insegnar la fede e comune la norma e la prescrizione di educare il popolo cristiano a tutte le pratiche di pietà (Catech. Rom. in Præf.).

APPENDICE II

DECRETO della S. Congregazione de’ Sacramenti circa l’età per ammettere alla prima Comunione eucarìstica.

Le pagine del Vangelo attestano splendidamente di quanto amore Cristo amò i piccoli quaggiù; difatti era sua delizia star con essi, soleva metter loro la mano sul capo, abbracciarli, benedirli. E si sdegnò del fatto che fossero allontanati da’ suoi discepoli, che rimproverò con queste severe parole: Lasciate che i pargoli vengano a me e non allontanateli, perché di essi è il regno di Dio (Marc, X, 13, 14, 16). – E quanto facesse conto della loro innocenza e candore di spirito, ben dimostrò quando, chiamato a sé un fanciullo, disse a’ discepoli: In verità vi dico, non entrerete nel regno de’ cieli, se non vi farete fanciulli. Chi dunque si fa umile come questo fanciullo, è più grande nel regno de’ cieli. E chi accoglierà in mio Nome un fanciullo come questo, è come se accogliesse me (Matt., XVIII, 3). Ciò ricordando, la Chiesa Cattolica, fin da’ suoi primordii, si diede premura di condurre a Cristo i fanciulli per mezzo della Comunione eucaristica, che costumò amministrare ad essi, anche lattanti; e ciò faceva, com’era prescritto in quasi tutti gli antichi libri rituali, fino al secolo XIII, in occasione del battesimo, e tal costume in taluni luoghi durò molto tempo; presso i Greci e gli Orientali dura anche al presente. E per evitare il pericolo che, specialmente i lattanti, rimettessero il pane eucaristico, fu costume a principio di amministrar loro l’Eucaristia soltanto sotto la specie del vino. E non solamente in occasione del battesimo, ma spesse volte anche di poi erano i bimbi rifocillati col cibo divino. Difatti come in talune chiese vi fu l’usanza di somministrare l’Eucaristia, subito dopo il Clero, ai bimbi, così altrove a loro si davano i frammenti residui alla Comunione degli adulti. – Più tardi nella Chiesa latina questa pratica andò in disuso e non più si ammisero alla sacra mensa i bambini, se non avevano un barlume almeno di raziocinio e una qualche nozione dell’Augusto Sacramento. Ora questa nuova disciplina, già fatta propria da taluni Sinodi particolari, fu confermata con solenne sanzione dal Concilio ecumenico Lateranense IV, dell’anno 1215, colla promulgazione del celebre canone XXI, dov’è prescritta la Confessione sacramentale e la sacra Comunione per i fedeli, che abbiano raggiunto l’età della ragione, con queste parole: « Ogni fedele dell’uno e dell’altro sesso, giunto agli anni della discrezione, confessi schiettamente da solo tutti i suoi peccati, almeno una volta l’anno, al proprio sacerdote e abbia cura, a norma delle sue forze, di sodisfare la penitenza ingiuntagli, ricevendo con divozione almeno in tempo di Pasqua il sacramento dell’Eucaristia, salvo che, per consiglio del proprio sacerdote, giudichi di astenersene durante qualche tempo e per motivo ragionevole ». – Il Concilio di Trento (Sess. XXI, de Communione, c. 4), senza riprovare affatto l’antica disciplina di somministrare l’Eucaristia ai bimbi, confermò il decreto Laterano e pronunciò la scomunica contro chi la pensi al contrario : « Sia scomunicato chi dirà che tutti e singoli i fedeli di Cristo, dell’uno e dell’altro sesso, non sono obbligati, giunti che siano agli anni della discrezione, di comunicarsi ogni anno, al meno a Pasqua, secondo il precetto di santa madre Chiesa » (Sess. XIII, de Eucaristia, c. 8, can. 9). Dunque, in forza del citato decreto Laterano, che vige tuttora, i fedeli di Cristo, appena giunti agli anni della discrezione, son obbligati d’accostarsi, almeno una volta l’anno, ai sacramenti della Penitenza e dell’Eucaristia. Ma nel calcolare quest’età della ragione, ossia della discrezione, col tempo s’introdussero non pochi errori e deplorevoli abusi. Chi ritenne di assegnare un’età della discrezione per il Sacramento della Penitenza e una differente per ricevere l’Eucaristia; e per la Penitenza età della discrezione giudicarono fosse quella, nella quale si è in grado di distinguere il bene dal male e perciò di commettere peccato; mentre che per l’Eucaristia si richiedeva più matura età, quando cioè si può avere più ampia conoscenza delle cose di fede e più matura preparazione. – Così, secondo le varie usanze locali e opinioni, fu stabilita, per ricevere la prima Comunione, qui l’età di dieci o dodici anni, là di quattordici o anche più, interdicendo frattanto la Comunione eucaristica ai fanciulli e a’ giovinetti minori dell’età prescritta. Questo costume, in forza del quale, col pretesto di salvar il decoro dell’augusto Sacramento, se ne tengon lontano i fedeli, fu cagione di molti inconvenienti e danni. Difatti avveniva che l’innocenza de’ fanciulli, tenuta lontano dall’amplesso di Cristo, non era alimentata da nessun succo di vita interiore; e ne veniva di conseguenza che, privata del più forte aiuto, la gioventù, circondata da tante insidie, perduta l’innocenza, precipitava ne’ vizi ancor prima d’aver gustato i sacri misteri. E sebbene sia vero che alla prima Comunione si premette un’istruzione più diligente e una più accurata Confessione sacramentale, benché purtroppo non dappertutto; tuttavia è dolorosa sempre la perdita della prima innocenza, che, col ricevere in età più tenera l’Eucaristia, forse poteva evitarsi. E non è meno da riprovare il costume diffuso in parecchi luoghi di proibire ai fanciulli, non ancor ammessi alla mensa eucaristica, la confessione sacramentale, oppure di non impartir loro l’assoluzione. Così accade che rimangano per lungo tempo e con gran pericolo nel laccio di peccati fors’anche gravi. E c’è di peggio. In taluni luoghi ai fanciulli, non ancor ammessi alla prima Comunione, si proibisce il Viatico, persino in pericolo urgente di morire, e così, morti e seppelliti col rito de’ bambini, non fruiscono de’ suffragi della Chiesa. Tali danni cagionano coloro, che insistono eccessivamente sulla necessità di preparazione straordinaria alla prima Comunione, non badando che tale precauzione scaturisce dagli errori giansenistici, che sostengono la santissima Eucaristia debba essere un premio, non una medicina per la fragilità umana. Certamente il Sinodo di Trento pensava l’opposto quando insegnò ch’essa è « contravveleno, grazie al quale ci liberiamo dalle colpe d’ogni giorno e ci preserviamo da’ peccati mortali » (Sess. XIII, de Eueharistia, c. 2); e questa dottrina fu di fresco dalla S. Congregazione del Concilio più severamente inculcata con decreto del 26 dicembre 1905, che apre a tutti, adulti e giovinetti, la porta della Comunione quotidiana, imponendo solamente due condizioni, lo stato di grazia e la retta intenzione della volontà. – E davvero non pare che ci sia motivo giusto, mentre in antico si porgevano ai bimbi anche lattanti i residui delle sacre specie, di esigere adesso una straordinaria preparazione da fanciulletti, che per gran fortuna vivono in istato di candore e innocenza originaria e hanno grandissimo bisogno, date le molte insidie e i pericoli odierni, di quel mistico cibo. Gli abusi, da noi lamentati, provengono dal fatto di non saper giustamente precisare qual sia l’età della discrezione, assegnandone una per la Penitenza, un’altra per l’Eucaristia. Invece il Concilio Laterano, poiché prescrive congiuntamente l’obbligo della Confessione e della Comunione, richiede un’unica e identica età per l’uno e l’altro Sacramento. Dunque, se per la Confessione si ritiene età della discrezione quella, nella quale si è in grado di distinguere il bene dal male, vale a dire si giunge a un certo uso della ragione, anche per la Comunione deve dirsi età della discrezione quella, nella quale si è in grado di distinguere il pane eucaristico dal pane comune, cioè di nuovo quando il fanciullo ha conseguito l’uso della ragione. E non diversamente intesero la cosa i principali interpreti del Concilio Laterano e i contemporanei. È noto infatti dalla storia della Chiesa che molti Sinodi e decreti vescovili, già fin dal secolo XII, cioè poco dopo il Concilio Laterano, ammisero alla prima Comunione i fanciulli di sette anni: e c’è di più una testimonianza di somma autorità, quella del Dottor d’Aquino, di cui leggiamo: « Quando ormai i fanciulli cominciano ad avere un qualche uso della ragione, sicché siano in grado di concepir devozione per questo Sacramento (l’Eucaristia), allora si può a essi conferire questo Sacramento » (Summ. Theol., III part., q. 80, a. 9, ad 3.). E il Ledesma spiega: «Affermo, per consenso universale, che si deve concedere l’Eucaristia a tutti quelli che hanno l’uso della ragione, per quanto precocemente l’abbiano quest’uso, sia pure che quel fanciullo conosca tuttora in confuso quel che fa » (2  (2 ) Istruzione per quei che debbono la prima volta ammettersi alla S. Comunione. Appendix XIII. p. 88.). Il Vasquez spiega quel passo medesimo così: « Una volta che il fanciullo è giunto a quest’uso della ragione, subito, per lo stesso diritto divino, è obbligato in modo che la Chiesa non lo può affatto liberare » (P. II, De Sacr. Euchar., n. 63). Così pure insegna S. Antonino, che scrive: «Ma quando (il fanciullo) è capace di dolo, cioè quando può commetter peccato mortale, allora è obbligato al precetto della Confessione e, per conseguenza, della Comunione » (P. III, tit. 14, c. 2, § 5), Anche il Concilio di Trento costringe a questa conclusione. Nella Sess. XXI, c. 4 ricorda che « i bambini ancor privi dell’uso di ragione non sono stretti da nessun obbligo alla Comunione sacramentale dell’Eucaristia »; e l’unica ragione assegnata è che non possono far peccato: « In verità — dice — non possono a quell’età perdere l’acquistata grazia di figli di Dio ». Dunque da qui si capisce il pensiero del Concilio che i fanciulli son tenuti dal bisogno e dall’obbligo della Comunione allorché posson perdere, col peccato, la grazia. E concordano con questi concetti le parole del Concilio Romano, celebrato da Benedetto XIII, il quale insegna che l’obbligo di ricevere l’Eucaristia comincia « dopo che i fanciulli e le fanciulle son giunti all’età della discrezione, cioè quella, nella quale son capaci di distinguere questo cibo sacramentale, che altro non è se non il vero corpo di Gesù Cristo, dal pane comune e profano; e sono in grado di accostarvisi colla dovuta divozione e riverenza (Istruzione per quei che debbono la prima volta ammettersi alla S. Comunione. Appendice XIII, p. 11). Orbene, il Catechismo Romano dice: « Nessuno, meglio del padre e del sacerdote, al quale confessano i peccati, può stabilire in qual’età sieno da concedersi a’ fanciulli i sacri misteri. A quelli spetta per l’appunto indagare e interrogare i fanciulli se hanno acquistato una qualche cognizione e possiedono il gusto di questo mirabile Sacramento » (P. II, De Sacr. Euchar., n. 63.). Insomma si deduce che l’età della discrezione per la Comunione è quella, nella quale il fanciullo sa distinguere il pane eucaristico dal pane comune e corporale in modo da poter presentarsi all’altare devotamente. Dunque non si esige una perfetta cognizione delle cose di .fede, poiché bastano alcuni elementi, cioè una qualche cognizione: né il pieno uso di ragione, poiché basta un uso iniziale, cioè un qualche uso di ragione. Perciò merita biasimo il differire, in questo caso, la Comunione e il fissare un’età troppo avanzata per riceverla; tutto ciò la Sede Apostolica spesse volte ha condannato. Per es., Pio Papa IX di f. m., con una lettera del Card. Antonelli ai Vescovi di Francia in data 12 marzo 1866, riprovò severamente l’uso invalso in certe diocesi di protrarre la prima Comunione a età troppo avanzata e, per di più, prestabilita. Dal canto suo la Sacra Congregazione del Concilio il 15 marzo 1851 corresse un capitolo del Concilio Provinciale di Rouen, nel quale si proibiva di ammettere i fanciulli alla Comunione prima dei dodici anni. E così s’è espressa questa sacra Congregazione per la disciplina de’ Sacramenti in una causa di Strasburgo del 25 marzo 1910: trattandosi se potevano essere ammessi alla Comunione giovinetti di dodici o di quattordici anni, rispose che « fanciulli e fanciulle, giunti agli anni della discrezione o all’uso della ragione, si devono ammettere alla sacra mensa ». – Dopo avere maturamente considerato tutto ciò, questo Sacro Dicastero per la disciplina de’ Sacramenti, nell’adunanza generale del 15 luglio 1910, decise di stabilire, affinché i suddetti abusi vengano del tutto rimossi e i fanciulli s’uniscano a Gesù Cristo fin dai teneri anni e ne vivano la vita e vi trovino protezione contro i pericoli della corruzione, la norma che segue per la prima Comunione de’ fanciulli, norma da osservarsi dappertutto:

I. – L’età della discrezione sia per la Confessione sia per la Comunione è quella, nella quale il fanciullo comincia a ragionare, cioè verso il settimo anno, tanto al di sopra quanto al disotto. Da questo tempo comincia l’obbligo di sodisfare ad ambedue i precetti della Confessione e della Comunione.

II- Per la prima Confessione e la prima Comunione non è necessaria la piena e perfetta conoscenza della dottrina cristiana. Però il fanciullo dovrà poi, gradualmente, imparare tutto il catechismo secondo la sua capacità.

III. – La conoscenza della religione richiesta in un fanciullo, affinché si prepari come conviene alla prima Comunione, è tale ch’egli capisca, secondo la sua intelligenza, i misteri di fede necessari per necessità di mezzo e che distingua tra pane eucaristico e pane comune e corporale, sicché s’accosti alla Ss. Eucaristia colla devozione, che comporta l’età stessa di lui.

IV. – L’obbligo del precetto di confessarsi e comunicarsi, che pesa sul fanciullo, ricade principalmente su coloro, che devono averne cura, cioè  sui genitori, sul confessore, sugl’istruttori e sul parroco. Spetta poi al padre, o a chi ne fa le veci, e al confessore, secondo il Catechismo Romano, ammettere il fanciullo alla prima Comunione.

V. – Si diano premura i parroci di preparare e far la Comunione generale de’ fanciulli uno o più volte l’anno e di ammettervi non soltanto i novellini, ma pure gli altri, che, col consenso de’ genitori o del confessore, come s’è detto sopra, già per la prima volta hanno ricevuta la Comunione. Per gli uni e per gli altri sien premessi alcuni giorni d’istruzione e di preparazione.

VI. – Deve aver ogni sollecitudine, chi ha cura dei fanciulli, che dopo la prima Comunione i medesimi fanciulli s’accostino spesso alla S. Mensa e, se possibile, anche ogni giorno, come desiderano Gesù Cristo e la madre Chiesa, e che ciò facciano con quella divozione dell’anima, che comporta l’età. Anche rammenti chi ha tal cura il gravissimo dovere, cui è tenuto, di provvedere che i fanciulli stessi continuino a intervenire alle pubbliche lezioni di catechismo, o almeno suppliscano in altro modo all’istruzione religiosa de’ medesimi.

VII. – Si deve riprovare assolutamente l’usanza di non ammettere alla Confessione, o di non assolvere mai i fanciulli, quando son giunti all’uso della ragione. A tal fine gli Ordinarli locali curino di togliere radicalmente questo abuso, ricorrendo anche ai provvedimenti suggeriti dal diritto.

VIII. – È deplorevolissimo l’abuso di non somministrare il Viatico e l’Estrema Unzione ai fanciulli dopo l’uso della ragione e di seppellirli col rito de’ bambini. Gli Ordinarli locali procedano severamente contro coloro, che continuino in questo abuso.

Il S.mo Signor Nostro Pio Papa X , nell’udienza del sei corrente mese, approvò tutte queste deliberazioni prese dai Padri Cardinali di questa Sacra Congregazione e ordinò che il presente decreto sia pubblicato e promulgato. Comandò inoltre agli Ordinarii di portare a conoscenza il decreto medesimo, non soltanto de’ parroci e del clero, ma anche del popolo, a cui volle che sia letto ciascun anno durante il tempo del precetto pasquale, in lingua vernacola. Di più i medesimi Ordinari dovranno riferire alla S. Sede, ogni quinquennio, insieme con tutte l’altre informazioni della diocesi, anche dell’osservanza di questo decreto. – Non ostante qualsiasi disposizione in contrario. Dato in Roma, dalla residenza di questa stessa Congregazione il giorno 7 del mese di Agosto dell’anno 1910.

D. CARD. FERRATA, Prefetto.

F . Giustini, Segretario.

IL CATECHISMO CATTOLICO DEL CARDINAL GASPARRI (19)

GNOSI: TEOLOGIA DI sATANA (50)- LA VERA E LA FALSA FEDE -V-

LA GNOSI, TEOLOGIA DI sATANA -50-

LA VERA E LA FALSA FEDE –IV.-

 (P. Gioacchino VENTURA: LE BELLEZZE DELLA FEDE, vol. II. Genova; Ed. Dario Giuseppe Rossi, 1867)

LETTURA VI.

LA CREDENZA DEI MAGI OVVERO LA VERITÀ E LA CERTEZZA DELL’INSEGNAMENTO DELLA FEDE.

§ VII. – Bello spettacolo che presenta la Chiesa cattolica! mantenendo essa sola nella loro purezza tutte le cristiane verità in faccia a tutte le sette degli eretici, che non hanno insegnalo che errori. Fuori della vera Chiesa non si trovano verità pure e semplici. Gli eretici, anche in quelle che han conservate, vi han mescolato l’errore; e colla vera fede han perduto persino il vero linguaggio delle cose divine. Il discepolo della fede è l’allievo della ragione.

A fronte però di queste orribili devastazioni di tutte le verità rivelate, di tutte le credenze dell’umanità, di tutti i sentimenti della natura, che la ragione, gelosa di comandar sola nell’impero dell’intelligenza, ha ammassate da circa due mila anni nel mondo cristiano: a fronte di tanti errori, di tanti delirj, di tante assurdità, di tante stravaganze sognate dall’orgoglio e spacciate con un sì imperturbabile sangue freddo dalle cattedre di pestilenza dell’eresie; a fronte delle dottrine turpi, licenziose, libertine, degradanti, omicide, inventate e predicate dalle passioni per iscancellar dalla terra, coll’ultima traccia del vero, l’ultimo avanzo di giustizia, di probità, di pudore: quanto è bello per noi il mirare il magnifico edificio della verità cattolica ergere immobile e sicura la maestosa sua fronte sulla pietra che lo stesso Gesù Cristo gli ha dato per fondamento nella persona di S. Pietro e de’ suoi successori (Matth. XVI), cui ha commesso il deposito di una fede indefettibile (Luc. XXII); ed ha costituiti maestri ed interpreti infallibili della verità! Quanto è bello, in faccia alle migliaja di sette che si son chiamate o si chiamano cristiane, il mirare la sola Chiesa Cattolica conservare pure ed intatte, senza mescolanza di errore, sine erroris miscela, tutte le verità primitive del genere umano e tutte le verità del Cristianesimo, senza che la malizia umana possa mai corrompere la sorgente divina da cui scorrono nel giardino della Chiesa a rinfrescare le nostre intelligenze, a confortare e ricercare il nostro cuore! Quanto è bello il vederla insegnare con tutte le verità tutte le virtù! poiché come nulla nei suoi dommi sente l’errore, così nulla nelle sue leggi favorisce il vizio: ma come in essa tutto è vero, così tutto è santo e tutto tende a reprimere le passioni, a sollevar levar l’uomo alla virtù più perfetta. Questo pregio singolare ed unico della Chiesa Cattolica è stato finalmente conosciuto, con un sentimento di santa invidia, anche dalla più dotta scuola delle chiese protestanti. Mentre noi andiamo scrivendo queste pagine, risuona altamente per tutta l’Europa l’importante confessione che la forza della verità ha strappata dal cuore dei più famosi professori dell’università protestante di Oxford, il più fermo baluardo della chiesa anglicana, che, per la bocca del dottor Newman, han detto: « la Chiesa romana è la sola che ha conservate intatte le dottrine del Cristianesimo. » Oh bell’omaggio degli stessi maestri dell’errore renduto alla sola Religione di verità, e che mentre è di un augurio prezioso per loro, indicandone il facile e non lontano ritorno, è ancora un argomento di gran consolazione per noi! O anime veramente cattoliche, che sentite il pregio della vera fede, perché in essa solamente si trovan le vere consolazioni del tempo e le legittime speranze dell’eternità, aprite il cuore alla riconoscenza verso Iddio che, avendovi fatto nascere in questa Chiesa, unica depositaria del vero, vi ci ha conservato. Miseri noi! che saremmo noi fuori di questa Chiesa ed estranei al suo insegnamento? Che sapremmo noi di Dio e dell’uomo, se non fossimo cristiani? Che cosa ce ne potrebbe dire di vero, di sicuro la filosofia pagana, se noi non avessimo altra scuola che la sua per sapere che cosa siam noi, a che siam venuti in questo mondo, chi è il Dio che ha diritto alla nostra servitù, al nostro amore? Che cosa ce ne potrebbe dire essa, che, dopo aver impiegati dieci secoli a decifrar questi enimmi, ed aver promesso al mondo di scoprire la vera sapienza, ai tempi di S. Paolo non avea ancora, dopo tante ricerche, trovato che l’errorr, il dubbio e la stoltezza? Sapientiam quærunt, et stulti facti sunt. – Senza la scuola della Chiesa, che sapremmo noi di vero e di sicuro intorno alla Trinità, a Gesù Cripto, alla sua Religione? Quello che ne han saputo gli eretici, che, sdegnando il cattolico insegnamento, hanno coi proprj lumi interpretato la Scrittura. Ma a quale scuola andremmo noi? A quella di Lutero o a quella di Calvino? Consulteremmo i puritani o gli anglicani? i quaccheri o i metodisti? i riformatori o gli evangelici? gli scismatici d’Occidente o le servili sette dell’Oriente? i libertini inglesi o i panteisti francesi? Dove troveremmo noi meschini la verità che è una. che tutte le sette si arrogano, e perciò stesso provano che non è in alcuna di loro? Vi sono è vero delle nozioni di Dio, della Trinità, di Gesù Cristo in tutte le sette che si dicono cristiane. Ma come le più belle piante, trasportate in cattivo terreno e sotto un clima malsano, presto degenerano e si disseccano; così le stesse verità cattoliche, trapiantate, sul terreno limaccioso e palustre, esposte all’alito pestilenziale dell’eresia, si sono presto alterate e corrotte. Sicché quelle stesse verità che gli eretici han rubate a noi, han portato via nel separarsi da noi, non le conservano e non le credono come noi. Tante sono le idee erronee che vi mescolano, le false conseguenze che ne deducono, le detestabili applicazioni che ne fanno! – Come un insetto velenoso, passando sopra d’un vaghissimo fiore, lo appesta, e ne altera l’odore e la natia bellezza; così l’eresia altera e guasta tutte le verità che discute, tutte le virtù che raccomanda. Svolgete i libri dei teologi dell’eresia; considerate come parlano dei dommi, che pur dicono di aver comuni con noi: è impossibile, coll’ajuto di questi libri, il formarsi un’idea chiara e precisa di quello che si deve credere intorno ai più grandi misteri della Religione cristiana. I termini ne sono sì vaghi, le frasi si tortuose, le espressioni si ambigue, i sensi sì varj. le esposizioni sì oscure e sì incoerenti, che la teologia protestante intorno ai misteri sembra fatta per imbrogliare la mente, confonderla o disgustarla della fede nei cristiani misteri. No, un teologo protestante, un eretico, richiesto a rispondere sopra una verità cristiana, non mai ne darà un’idea chiara e precisa che possa farne conoscere 1’errore contrario. Quando Osìandro, vivente ancora Lutero, pubblicò la sua orribile dottrina intorno alla giustificazione, quattordici chiese ereticali, fondate da Lutero medesimo, trattarono Osiandro da eretico. Ma volendo far conoscere in che la dottrina di Osiandro era erronea e stabilire intorno a questo domma la verità cattolica stessa materia: ciò che, lungi dal definire la questione, non servì che ad imbrogliarla di più; il perché le quattordici chiese che pretesero di combattere Osiandro e trattarlo come un eretico, non intendendosi più fra di loro, si divisero tosto in quattordici sette diverse e, trattandosi l’una e l’altra da eretica, presero a combattersi anche fra loro. – Al contrario, appena la vera Chiesa, nel concilio di Trento, parlò su questo stesso argomento, essa lo fece con tanta precisione, con tanta uniformità, con tanta chiarezza, che la verità cattolica intorno al domma della giustificazione brillò di nuova luce agli occhi dei veri fedeli, e tutti gli errori contrarj furono scoperti, confutati e distrutti. Ma non è dato all’errore il parlare il linguaggio schietto, sincero, chiaro e sicuro della verità. Come chi vive lontano dalla propria patria finisce col perderne ancora il natio linguaggio; così gli eretici, coll’essere usciti dalla Chiesa, la vera patria dei fedeli qui in terra, ne han perduto il linguaggio, e non sanno più parlare cattolicamente delle stesse cattoliche verità che han ritenute. Ma, ripetiamolo ancora: in faccia a questa impotenza degli eretici di parlare la verità, quanto è bello il vedere nella Chiesa Cattolica i dotti e i teologi proporre, dimostrare tutti i dommi rivelati con una precisione di linguaggio, con una esattezza di espressione, con una uniformità di senso, che è impossibile il non riconoscervi alla prima lettura la cattolica verità così pura e scevra di errore come fu da Dio stesso rivelata! che anzi è ancora più bello il sentire i laici stessi, le donne, i giovanetti, tanto solo che siano stati istruiti nel catechismo, formati alla scuola della predicazione cattolica e delle cattoliche letture, il sentirli, dico, enunciare idee giuste, chiare, precise intorno alla trinità di Dio, all’incarnazione del Verbo, al numero ed alla efficacia dei sacramenti, all’estensione ed alla forza della legge divina, alla pratica ed ai pregi della vera virtù, all’origine, alla condizione dell’uomo, allo stato dell’anima nella vita presente e nella vita futura! Che cosa diviene la scienza orgogliosa del teologo protestante, a che vale la sua pretesa erudizione biblica, scienza solo negativa, scienza di confusione e d’incertezza, in faccia alla fede umile, ma positiva: chiara, certa, precisa di un vero figlio della Chiesa? Messi a confronto, questi due allievi, l’uno della scuola dell’inquisizione umana, l’altro della rivelazione divina, l’uno non sa che negare, mentre l’altro afferma; l’uno discorre, l’altro crede. E perché il parlare la verità non è dato all’erudizione, ma alla fede; 1’uno, con tutta la sua dottrina, balbetta da fanciullo; l’altro, coll’ajuto della sua fede, parla da uomo; e la vera scienza si trova in fondo dalla parte dov’è la verità.

§ VII – Si passa a discorrere del quarto ed ultimo carattere dell’insegnamento della fede, la sua certezza. I agi, istruiti alla scuola della rivelazione divina, conobbero i più grandi misteri non solo senza errore, ma ancora senza dubbiezza. Prove della fermezza e della costanza della loro fede.

Il quarto ed ultimo carattere dell’insegnamento della vera fede, del quale ci rimane ora a trattare, si è, secondo la dottrina di S. Tomaso, d’ingerire negli animi una somma fiducia ed una somma certezza delle cose che s’imparano a questa scuola divina, e di essere perciò non solo, come si è veduto, esente di errore e veridico, ma ancora fermo e costante da escludere ogni incertezza, ogni dubbio,  FIXA CERTAMINE, ABSQUE DUBITATIONE ET ERRORE. – Or questo suo magnifico carattere, questo privilegio meraviglioso, questa efficacia tutta divina spiegò l’insegnamento della fede la prima volta che da Dio stesso fu messo in opera coi gentili nella persona dei Magi. Questi fortunatissimi uomini, perché istruiti appunto per via di rivelazione e di fede, non solo conobbero, non solo crederono nella loro integrità, nella loro purezza, le più grandi verità, i più sublimi misteri, ma ebbero altresì di ciò che crederono e di ciò che conobbero una certezza piena, assoluta e perfetta. Tutto ciò chiaramente deducesi dalla confidenza, dalla vivezza, dalla generosità, dalla costanza e dalla tranquilla sicurezza della lor fede. Qualcosa difatti, se non una persuasione, un convincimento profondo, poté da prima ispirare a tre uomini, di professione filosofi, di condizione monarchi, tanto coraggio e tanta fiducia da abbandonare senza indugio i loro regni, i loro popoli, le loro patrie, le loro famiglie, le loro ricchezze, i loro agi, le loro delizie, ed intraprendere nel cuore dell’inverno, in contrade straniere e nemiche, un difficile e disastroso viaggio, di cui era indefinita la lunghezza, perché ne era il termine ignoto? Imperciocché, veduta appena la stella, docili e pronti alla voce del prodigio e molto più all’interior movimento della grazia, eccoli mettersi in cammino come all’azzardo, giacché sul principio non sapevano se la stella che loro avea fatto da apostolo, lor servirebbe ancora di guida; ma pure con una ferma credenza che era veramente nato il Messia, e con una fiducia inalterabile che lo avrebbero in fine trovato. Ma non abbiamo noi bisogno di argomentare la fermezza della fede de’ Magi, mentre Iddio stesso ce l’ha fatta conoscere, mettendola ad una prova difficile e delicata. Appena essi metton piede nelle contrade della Giudea, ecco tutto ad un tratto scomparire al loro sguardo la stella miracolosa che era stata fino allora guida si fedele e motivo di tanta consolazione nel loro cammino. Ora, altri uomini che i Magi, al vedersi all’improvviso abbandonati dal segno celeste in lontano paese, senza sapere se dovevano battere a destra o volgere a sinistra, se andare innanzi, o ritornare addietro, si sarebbero perduti di animo, si sarebbero stimati illusi, avrebbero accusato sé stessi dicendo: « Oh stoltezza che è stata la nostra! Come mai, re e filosofi, abbiamo potuto con tanta precipitanza cedere ad un’illusione ottica, prendere uno scherzo di luce, un fenomeno naturale per un portento celeste, ed uno scaldamento di fantasia per una rivelazione divina? Che re? che Messia? che Dio è quello di cui ci siamo impegnati di andare in cerca? Eccoci, dopo avere in tredici giorni coi nostri dromedarj percorsa la distanza di mille miglia, e sostenuti i disagi di un penoso cammino a traverso i deserti, eccoci in un paese straniero, nei dominj di un re barbaro, senza scorta, senza guida, senza difesa. Ah! siamo stati troppo insensati e troppo ciechi. Ea trista comparsa che faremo nel ritornare fra i nostri popoli, senza avere raggiunto lo scopo del nostro viaggio, e le secrete beffe dei saggi con cui vi saremo accolti, non ci puniranno mai abbastanza della nostra leggerezza e della nostra imprudenza. » – Cosi avrebbero, senza dubbio, giudicato e parlato uomini in cui la fede nella nascita del Messia non fosse stata fermissima. Ma i Magi non giudicarono, non parlarono così. Col cessare di balenare ai loro occhi la stella, non è un solo istante scossa la loro fede. Non vedono più il segno, ma non perciò credono men di pria il suo significato. Una volta che han conosciuto Gesù Cristo, più nol dimenticano. Quanto più si vedono abbandonati tanto confidan di più; e quanto più si sentono desolati, tanto più amano. Non temono di essersi ingannati sulla natura della stella e sullo scopo della sua apparizione; non dubitano un sol momento che divina fu la luce che aveva illuminata la loro mente, e divine pur le voci che avevano sentite nel loro cuore. Non si accusano di leggerezza nell’aver fatta, senza bastevoli indizj, una mossa sì straordinaria e sì solenne. Non si scoraggiano, non si pentono, non danno addietro, non rimangono un solo istante incerti sul partito da prendere; ma pieni di confidenza entrano in Gerusalemme e pubblicano per tutte le vie come certissima la nascita del Messia, e cercano e chieggono, con una pia importunità a quanti incontrano, il luogo ove poterlo trovare: Venerunt Hierosolymam dicentes: Ubi est qui natus est rex Judæorum? Oh belle parole! oh confessione preziosa, che annunzia una fede non men viva che ferma e immobile! Non dicono già: « Secondo i nostri calcoli ci sembra che dovrebbe esser nato il Messia. La stella che abbiamo veduto ci è parsa esser quella che Balaam nostro antenato ha predetto che doveva spuntar col Messia ed indicarne il nascimento. « Ma coll’accento di una persuasione intera e perfetta dicono: » Il Messia è nato: Natus est rex Judæorum. La stella che abbiamo veduta è certamente la sua, vidimus stellam ejus: e lo scopo della nostra venuta non è già di chiarirci coi proprj occhi della verità del mistero, ma di rendergli omaggio e di adorare il Dio che è nato uomo per la salute degli uomini: Natus est rex Judaorum, et venimus adorare eum. O Giudei, non vi cerchiamo noi adunque se sia o no veramente nato questo Salvatore divino. Noi lo sappiamo di certo. Intorno a ciò la nostra fede non ci ha ingannati. Miracolosa veramente è stata la stella che abbiam veduta, divina veramente è stata la rivelazione che abbiam avuta: Vìdimus stellam ejus, natus est. Ma la stella che ce ne ha manifestata la nascita non ci ha però indicato il luogo dove ritrovarlo.Questo luogo vogliamo solo da voi conoscerlo qual sia. Perciò siamo venuti tra voi. Voi avete tra le mani le Scritture,gli oracoli, le profezie che parlan di lui, non potete ignorare quest’angolo fortunato della terra in cui è nato il Re del cielo. Voi lo sapete con certezza, voi soli potete istruircene; e noi non possiamo conoscerlo se non da voi. Deh ditecelo per pietà, dov’è? dove è esso mai? ubi est? ubi est? Deh. un indizio che cel discopra, una parola che ce lo mostri, un segno che ce lo additi! Noi siamo premurosi, se nol sapete,di offrirgli, coi donativi che gli abbiamo recati, tutti noi stessi. Il cuore ci balza in seno di santa impazienza di darci a Lui per suoi servi e suoi adoratori; « venimus (cum muneribus) adorare eum. ». Ma la fede dei Magi quanto è ferma e viva, tanto è generosa:ed oh il bel coraggio che loro ispira! Imperciocché dove mai levan essi la voce e predicano la nascita del Re de’ Giudei: natus est rex Judæorum? In Gerusalemme, nella metropoli stessa della Giudea, sotto gli occhi di Erode, che perla via degli intrighi i più tenebrosi e dei più grandi delitti si era usurpata col titolo l’autorità di re dei Giudei. Dire dunque, in tal luogo ed in faccia ad un tal re: «Dov’è ilRe dei Giudei che è nato? » poteva sembrare lo stesso che dire:« Colui che qui regna, non è di questo popolo il legittimo re. Noi sappiamo che è nato il Re legittimo dei Giudei, e cerchiamo sapere dov’è, pronti a riconoscerlo ed adorarlo. » Ora ci voleva egli di più per risvegliar le paure, per accendere. il furore della politica usurpatrice dei regni, assai più furibonda e crudele dello stesso fanatismo di religione? Come mai adunque, dice l’Imperfetto, tenere un siffatto linguaggio? Non sanno i Magi chi è Erode che regna in quella contrada?Non intendono che chi ha immolato il proprio fratello all’ambizione del regno non la perdonerebbe ad uomini estranei, nell’impegno di conservarlo? Sono re essi stessi:non conoscono adunque la legge conservatrice della pace e dell’ordine di ogni impero, che chiunque, vivente ancora il re d’uno stato, si mette a proclamare e si protesta prontoa riconoscere un altro re dello stato medesimo è punito dell’ultimo supplizio, come complice e ministro di un tiranno? Sì, uomini in cui il vanto della sapienza è in proporzione della nobiltà della nascita, dell’elevatezza del rango, sanno ed intendono tutto ciò molto bene. Si sono pure accorti che questa novella della nascita di un nuovo re, portata da essi re forestieri, venuti con gran pompa da remote contrade, eda essi pubblicata nella città regina con un tuono di tanta asseveranza e di tanta certezza, ha messo in timore Erode e la città tutta in iscompiglio: Turbatus est Herodes et omnis Hyerosolima cum illo. Veggono bene il pericolo che il coraggio e la franchezza del loro parlare può attirar sopra di loro dalla parte di un monarca geloso e crudele, di un sinedrio invidioso,di una città tumultuante e inquieta. Intendono bene che, stranieri, soli, senza forza, senza eserciti, entrati di già nella città capitale, si sono essi stessi messi a discrezione di un re che nella sua brutalità non conobbe mai discrezione,e che nulla avrebbe potuto garantirli dal furore di colui di cui, colla libertà del loro parlare, parevano accusare l’ingiustizia, l’usurpazione, la tirannia. Ma i Magi intendono altresì che Iddio non per altro gli ha condotti in Gerusalemme se non perché vi pubblichino la nascita del Messia e, gentili che sono, facciano da predicatori ai Giudei. Sentono di avere una missione da Dio. e tutti i pericoli che possono lor venire dagli uomini non li arrestano dal compirla. Intenti a secondare i disegni del Re del cielo, la loro fede dimenticai riguardi suggeriti dalla politica verso un re della terra.Tema e si agiti quanto e come vuole Erode e gli abitanti di Gerosolima. divenuti pei loro vizj un popolo degno di un tal monarca: i Magi non temono né la gelosia del tiranno usurpatore, né la malignità degli scribi, né  il furore del popolo.La solitudine in cui si trovano non li disanima, la presenza del pericolo non li conturba, il timor della morte non li arresta; e non cessano di ripetere per le pubbliche vie la nascita del nuovo re de’ Giudei; non ristanno dal chiedere, dall’insistere che lor si dica dove trovarlo, per poterlo riconoscere ed adorare: Dicentes, Ubi est rex Judæorum? venimus adorare. Oh fede generosa, fede magnanima,fede sublime! non hanno ancora veduto questo re Messia, e già lo confessano! non sanno ancora bene di Lui, e son pronti a morire per Lui! non ne sono ancora discepoli, e se ne fanno i primi apostoli, i primi evangelisti; felici se la crudeltà del tiranno vorrà farne altresì i primi martiri! Trionfatrice dei pericoli, la fede dei Magi si tenne ferma all’urto ancora più potente degli scandali. Noi considereremo a parte nella seguente lettura il delitto e l’infame condotta de’ Giudei in questa circostanza solenne. Per ora ci giova osservare che il loro iniquo procedere fu una terribile pietra d’inciampo alla fede dei Magi. Imperciocché, dopo di aver loro indicato il luogo della nascita del Messia, la sinagoga giudaica non si diede alcun pensiero di cercarlo, di rendergli omaggio, come ne aveva il dovere; essa che non esisteva. che per Lui, per prepararne le vie , per sperimentarne la prima i beneficj, come era stata la prima a riceverne le promesse. Quale scandalo adunque per questi poveri gentili l’indifferenza che mostran pel Messia i suoi stessi Giudei! Quale scandalo per questi stranieri la noncuranza che pel Messia mostrò lo stesso suo popolo! Quale scandalo per questi laici il disprezzo che pel Messia mostrarono i suoi sacerdoti! Parea che a tal vista i Magi avessero dovuto dire fra loro: « Come può mai essere veramente il Messia, il rede’ Giudei colui di cui andiamo in cerca, se i Giudei stessi,che da tanti secoli lo attendono, non fanno alcuna attenzione alle parole con cui ne abbiamo, loro annunziato la nascita, e nessun si muove, nessun si dà pensiero di verificarla? Essi ci han detto il luogo in cui il Messia deve nascere secondo le profezie. Come sanno il luogo, così ancora sanno senza dubbio il tempo di questo nascimento. Poiché dunque punto non badano alle nostre parole, bisogna dire ch’essi non credono venuto il tempo in cui il Messia deve nascere, e che quello di cui noi cerchiamo, non è altrimenti il Messia. E poi è possibile che il Messia, il Re de’ Giudei, come si è rivelato a noi stranieri e gentili, non si sia prima rivelato a’ suoi Giudei, cui è stato promesso? Eppure qui nessuno Sa nulla di un nascimento che deve cangiare la condizione di tutto un popolo, ed il primo avviso vi si riceve da noi. Possibile che noi, idolatri, intendiamo i misteri del vero Dio meglio di coloro che ne sono i soli adoratori veraci, che ne hanno in deposito le profezie e gli oracoli, e ne sono legittimi interpreti? Non è più facile il credere che noi ci siamo lasciati illudere dal fenomeno della stella di quello che i Giudei si siano ingannati intorno al mistero del Messia di cui trovami solamente fra loro i veri sacerdoti e i veri profeti?Ma no; i Magi la discorron ben altrimenti, e nel Giudeo che addita loro i l luogo della nascita del Messia senza darsi alcuna premura di ritrovarlo egli stesso, e che resta volontariamente nelle tenebre nel momento che presenta agli altri la luce, in questo Giudeo, dico, i Magi distinguono il sacerdote dall’uomo; il sacerdote depositario della rivelazione divina dall’uomo soggetto alle passioni umane; il sacerdote che parla sotto la ispirazione celeste dall’uomoche opera sotto l’influenza infernale; il sacerdote organo dello Spirito Santo che per la bocca di lui manifesta la verità che illumina, dall’uomo organo del demonio che per la di lui condona presenta uno scandalo che seduce. Ascoltano adunque docili ciò che loro si dice, ma non si lasciano punto scuotere da ciò che alla loro presenza si fa. Praticano ciò che odono, e non badano a quel che vedono. Profittano della preziosa lezione che ascoltano, ma non si fermano all’esempio funesto che ricevono. La parola del Giudeo li illumina, ma la sua condotta non li perverte. Lasciano il Giudeo occupato a leggere curiosamente la Scrittura, e si affrettano di andare a tributare al Dio della Scrittura un’adorazione umile e fedele. E questo scandalo, il maggiore di quanti iMagi ne hanno finora ricevuto, lungi dal render loro sospetta la rivelazione della stella, ve li conferma: lungi dal far vacillare la loro fede bambina, la corrobora; lungi dallo spegnere il loro fervore, lo accende. Oh forza, oh efficacia della certezza che la fede ispira! Finalmente, l’ultimo effetto e l’ultima prova insieme della certezza della fede dei Magi si è la calma, la pace perfetta con cui vi si riposano. Una sola cosa rimaneva loro a sapere: il luogo della nascita del Messia; e questa sola domandano: Ubi est qui natus est? Sul rimanente delle verità sante, dei sublimi misteri che sono stati ben rivelati, la loro mente è perfettamente tranquilla, il loro cuore è sicuro. Perciò non muovono dubbj, non raddoppiano interrogazioni, non intavolano dispute, non istanno ad argomentar coi Giudei, e. discutere con Erode, ma si abbandonano con una immensa fiducia alle manifestazioni ineffabili che Dio si è degnato loro di fare certissimi che tutto ciò che essi sanno, tutto ciò che essi credono, è vero. Ricevuta adunque la sola risposta, il solo oracolo che erano venuti a cercare in Gerosolima, abbandonano senza indugio questa città infedele in preda al suo accecamento ed al suo orgoglio, e si avviano a Betlemme,senza alcuna sollecitudine, senza alcun dubbio sull’esito fortunato del loro viaggio: Qui cum audissent regem abierunt.Ma se la fede dei Magi non ha più bisogno di ammaestramenti,di lezioni, di guide per ritrovare Gesù Cristo, e perciò essi non le cercano, non le domandano; il loro cuore però puro e retto ben è degno di ricevere dalla bontà di Dio consolazione e conforto. Ecco dunque, usciti appena da Gerusalemme, mostrarsi loro più brillante di pria la stella miracolosa che li avea guidati nella Giudea. Rei vederla, iloro cuori balzarono di una tenerissima gioja. L’espressione dell’evangelista indica un’allegrezza immensa, un trasporto,un eccesso di allegrezza: Videntes stellam gavisi sunt gaudio magno valde. Li precede la stella; ed essi, pieni di sorpresa,di fiducia e di amore, l’ammirano e la lodano, la vagheggiano e la seguono: ed essa li illumina e li consola, li guida e li sostiene, stella antecedebat eos e fa loro sentire che sono presso alla meta del loro cammino, all’oggetto de’ santi loro trasporti. Affrettano adunque il passo, raddoppiano gli sforzi; e tale si è il piacere che si ripromettono di ritrovarsi. nell’abitazione ed alla presenza del Salvatore che son venuti di sì lontano a cercare, tale la gioja di cui questa speranza li colma che quasi più non distinguono tra l’essere di già alla grotta e l’andarvi: Gavisi sunt gaudio magno valde.

§ IX. –  Magi crederono con certezza, perché la loro fede ebbe per fondamento: 1.° l’autorità divina; 2.° una rivelazione uniforme; 3.° il soccorso della grazia. Questi stessi tre motivi di credere trova il Cattolico nell’insegnamento della Chiesa, che lo rendono certissimo nella sua fede. Bel prodigio che la grazia della fede opera nel vero cattolico, la cui credenza, a somiglianza di quella dei Magi, è ferma nelle sue prove e vivissima nei suoi trasporti. L’uomo carnale, il freddo razionalista non intendono nulla di questo prodigio. Lo deridono, ma saranno un giorno derisi essi stessi.

Ma non ha nulla di strano tanta certezza nei Magi, che si manifesta con una fede si confidente, sì viva, sì generosa, sì costante, sì tranquilla e sì lieta. I Magi da prima riconobbero la voce e la parola di Dio tanto nella luce della stella che parlò ai loro occhi quanto nel discorso della sinagoga che parlò alle loro orecchie. In tutte e due queste testimonianze, tutte e due miracolose (giacché non era meno miracolosa l’esistenza della sinagoga, sola posseditrice del vero in mezzo alle tenebre degli errori del mondo spirituale, di quello che l’apparizione della stella nella oscurità della notte del mondo corporeo), in tutte e due, dico, queste testimonianze venerarono una autorità divina che a nome di Dio lor parlava di Dio. Credettero adunque a Dio ed alla sua parola; e la parola di Dio, infallibilmente verace, cattiva l’intelletto che illumina, ingerisce una fiducia ed una somma certezza. In secondo luogo essi ricevettero una rivelazione uniforme: giacché come tutti videro egualmente il prodigio della stella ed udirono egualmente l’oracolo della sinagoga, così egualmente intendettero l’uno e l’altro linguaggio, gli diedero il medesimo senso, lo crederono al medesimo modo, presero le stesse risoluzioni, si assoggettarono agli stessi sacrifici, alle stesse pratiche; c sebbene fossero essi filosofi, ed i pastori ignoranti, pure in Betlemme si trovarono a credere le stesse verità, ed in uno stesso luogo si trovarono riuniti nello stesso spirito e nella stessa fede. Or quest’accordo meraviglioso e perfetto, onde i Magi ed i pastori, di patria, di linguaggio, d’ingegno, di costumi e di religione diversi, tutti in un punto si trovarono della stessa opinione e dello stesso sentimento sulle verità che avevano conosciute, toglieva a ciascuno in particolare qualunque dubbio o timore che i suoi sensi, la sua fantasia, o il suo giudizio avesse potuto ingannarlo, e Io rendeva certo che ciò che aveva conosciuto era la verità. Così la fede comune ed uniforme di tutti corroborava la fede di ciascuno in particolare; e ciascuno in particolare si sentiva ancora più forte e credeva ancora colla fede di tutti. Terzo finalmente, come si è più volte notato nel corso di questo libro, i Magi, all’apparire del segno, ne chiesero la spiegazione non alla umana scienza, ma all’illustrazione divina. Lo stesso amoroso Signore, da cui l’umile preghiera è sicura di ottenere ancora più che non chiede non contento di averli per diverse guise illuminati colla sua luce, li rendette ancora certi colla sua grazia; e nel dare alla loro mente la cognizione dei suoi misteri, ne diede loro ancora nel cuore la fede, la fede teologica, la fede divina. – Ora questi stessi Ire motivi che rendettero certi i Magi nella lor fede son quelli che rendono il Cattolico certissimo nella sua. Poiché come il Cattolico ha comune coi Magi la stessa fede, così ne ha con essi comuni i motivi e gli ajutì. E Iddio, nell’avere stabilita la fede dei Magi su questi fondamenti, volle fin d’allora figurare, predire ed indicare le fondamenta della credenza cattolica, dell’insegnamento della vera fede. – Infatti il Cattolico, nel credere che fa alla Chiesa, crede primieramente ad una autorità divina che Dio stesso ha fatta depositaria delle sue dottrine ed ha incaricata d’insegnarle. La Chiesa non foggia altrimenti a suo capriccio i dommi da credere, né i doveri da praticare; ma ci ripete esattamente quello che Dio le ha rivelato. Il Dio che pose la sua divina parola sulla bocca profana e sacrilega di un Balaam, un indovino impostore; che ve la conservò santa e pura, e ne la fece uscire sincera ed intatta; molto più conserva pura e santa la sua parola nella bocca del suo legittimo vicario e nel corpo dei pastori ch’esso ha stabiliti pel governo della sua Chiesa (Act. 22) ed ha rivestiti di un carattere sacro ed augusto, come sono auguste e sante le funzioni cui li destina. – Che cosa infatti, ci attesta mai la storia del cattolico insegnamento? Ci attesta che dalla bocca di uomini d’indole, d’ingegno, di studi, di costumi, di nazione diversi, che per diciannove secoli si sono succeduti sulla cattedra di S. Pietro e sulle sedi delle chiese particolari, e che uniti al lor capo, han parlato ai popoli per istruirli nella scienza di Dio, non è caduta mai alcuna parola profana ed erronea, ma al contrario da essi tutte le verità han ricevuto la loro spiegazione, la loro conferma, tutte le virtù il loro incoraggiamento, tutti gli errori la loro censura, tutti i vizj la loro condanna. Or questo fatto unico, che uomini soggetti ai moti delle passioni, agli allucinamenti della ragione, come tutti gli altri, non abbiano in tanti secoli, in mezzo all’urlo di tante dottrine, insegnalo mai nulla di contrario alla virtù ed alla verità; questo prodigio del Dio redentore, che conserva sempre pura la fede nella sua Chiesa, assai più grande, agli occhi di chi sa comprenderlo, del prodigio onde il Dio creatore conserva sempre viva la luce nell’universo, è una prova visibile e palpabile che l’autorità della Chiesa insegnante è divina. Credere adunque all’insegnamento della Chiesa Cattolica non è credere all’uomo, ma allo stesso Dio, che parla in questa Chiesa, e di cui questa Chiesa non è che l’ineffabile interprete e l’organo fedele. Quel beato fanciullo cristiano adunque di cui parlano le ecclesiastiche istorie, che, nulla spaventato dalle minacce di essere arso vivo nello stesso rogo in cui viva già sotto ai suoi occhi ardeva la sua propria madre, mostrossi come un prodigio di sapienza insieme e di coraggio; poiché confessò costantemente da una parte Gesù Cristo per vero Dio, e dall’altra, interrogato dal tiranno come sapesse che Gesù Cristo era Dio, franco rispose: « Io lo so perché me lo ha detto mia madre, a mia madre lo ha detto la Chiesa, alla Chiesa lo ha detto lo stesso Iddio. » Or ecco dove si risolve in fine la fede cattolica: io credo in Dio e per Iddio: io credo a Dio sulla testimonianze della stessa sua parola infinita, manifestatami per l’organo di una autorità infallibile; e la verità di Dio è l’ultimo motivo della mia fede. – Ora Iddio è verità infinita, e però degno di una fede infinita, come è degno di un infinito amore, essendo bene infinito. Ma finito, come io sono, non essendo capace di cosa alcuna infinita, faccio ciò che mi è possibile; gli rendo ciò che solo è in mia facoltà di rendergli e di che la sua bontà è paga a segno che non esige nulla di più dalla mia debolezza; lo credo al di sopra di tutte le verità, come lo amo al di sopra di tutti i beni. Presto una fede somma alla sua parola; come una somma ubbidienza alla sua legge; cioè una fede che mi fa credere il simbolo al di sopra di tutto ciò che vi è di più certo; ed una ubbidienza che mi fa amare il decalogo al di sopra di tutto ciò che è più degno di amore. In secondo luogo, credere all’insegnamento della Chiesa è credere ad un insegnamento uniforme, costante, invariabile. – Come Cattolico, io so che la mia fede è precisamente la stessa di quella che per quattromila anni fu professata in figura e in aspettazione da tutti i patriarchi, da tutti gli uomini del mondo antico, veri adoratori del Dio vero, da Adamo, cui fu la prima volta rivelata, sino a Gesù Cristo, che questa stessa rivelazione si degnò di rinnovare, di perfezionare, di compiere; che la mia fede è precisamente la stessa di quella che dalla venuta di Gesù Cristo nel mondo, per circa duemila anni, han sempre tenuta e insegnata tutti i pontefici, tutti i concilj, tutti i santissimi Padri, tutti i dottori, tutti i Vescovi, tutti i sacerdoti, tutti i fedeli che sono vissuti e sono morti nel grembo, della vera Chiesa; che se io potessi interrogare le loro ceneri, ed essi mi potessero rispondere, io vedrei attestata e confermata la mia fede da centinaja di migliaja di milioni di testimoni, quanti sono tutti coloro che han professata la fede cattolica e si sono riposati in seno alle sue dolci speranze; ed essi tutti mi assicurerebbero che io non credo né più né meno di quello che han creduto essi stessi, e di quello che per duemila anni si è creduto da tutti, in tutti i tempi e in tutti i luoghi: Quod semper, quod ubique, quod ab omnibus. – E gran cosa! Nessun protestante, come più innanzi vedrassi, è sicuro che quello che esso crede sia da altri allo stesso modo creduto. Ma io, come Cattolico, so ancora che quello che io credo, così appunto come lo credo io, lo credono altresì duecento milioni di Cattolici sparsi sulla superficie del pianeta. Sono essi di patria, di nazione, d’indole, di costumi, d’ingegno e di linguaggio diversi: pure io so di certo che essi, in comune ed in particolare, professano precisamente i medesimi dommi e la medesima legge che professo io stesso. Io so, che nella Chiesa cattolica, quello che insegna un Vescovo lo insegnano ancora tutti i Vescovi; quello che predica un sacerdote lo predicano tutti i sacerdoti: quello che un Cristiano professa di credere lo credono e lo professano al modo istesso tutti gli altri Cristiani, perché tutti hanno studiato alla medesima scuola. Divisi essi in tanti popoli e nazioni diverse, separati da sì enormi distanze di terra e di mare, credon tutti precisamente lo stesso. Dall’orto e dall’occaso, dal settentrione come dal mezzogiorno, da tutti i punti dello spazio come in tutti i momenti del tempo dal seno dell’ immensa comunione CATTOLICA O UNIVERSALE si solleva verso il ciclo lo stesso omaggio degl’intelletti che ripetono in diverse lingue lo stesso simbolo, come si offre da tutti, in diversi riti, lo stesso ed unico sacrificio. Pertanto, portando il mio pensiero nel passato, rivolgendolo al presente, so di certo che quello che credo io è stato sempre così creduto e così ancora si crede. Come il soldato in battaglia è coraggioso e forte non solo per la sua privata forza e pel suo privato coraggio, ma ancora pel coraggio e per la forza dell’esercito di cui fa parte, ossia per la forza del tutto; così come Cattolico, io credo, non solo per la grazia della fede che ho ricevuta io stesso, ma ancora per la grazia della fede sparsa nel cuore di tutti gli altri fedeli. Credo colla fede di tutta la Chiesa di cui sono figliuolo. Ciò è a dire che la fede di sessanta secoli, di moltissime migliaia di milioni di uomini, la fede di tutta la terra, la fede della Chiesa passata e presente cui appartengono li riunisce nella mia mente, e la solleva: nel mio cuore, e lo ingrandisce; aggiunge alla forza della parte quella del tutto; corrobora sempre più il mio assenso, e lo colloca sopra una base di una infinita certezza e lo conferma e lo sostiene e lo nobilita e lo perfeziona. – Finalmente, Dio è fedele, provvido e pietoso; non abbandona alla sua natia miseria l’uomo che cerca di elevarsi a Lui, di unirsi a Lui per mezzo di una fede e di un amore soprannaturale e perfetto. Si piega verso dell’uomo con bontà, gli stende dal cielo una mano amorosa, e come fortifica il nostro cuore disposto ad amarlo, così solleva il nostro intelletto desideroso di riconoscerlo. Grande al certo e sorprendente si è lo sforzo dell’intelligenza umana! che a verità soprannaturali, misteriose, profonde, incomprensibili, che non si vedono, presta un assenso più vigoroso, più intimo, più costante, più perfetto di quello che è possibile di prestare alle verità naturali le più semplici, le più ovvie, le più facili ad intendersi e che si vedono. Ma come può essere altrimenti? subito che l’insegnamento della vera fede, che produce il miracolo di un assenso sì meraviglioso. sì appoggia ad una autorità divina. Dio stesso, si fortifica dall’uniformità dell’assenso della Chiesa universale, e, quello che è più si sostiene per un soccorso, gratuito si. ma soprannaturale e divino. Sicché il prodigio di un intelletto debole che crede alla parola infinita al di sopra di ogni altra verità è l’effetto della grazia e dell’abito della fede divina; come il prodigio di un cuore sì corrotto che ama la infinita bontà al di sopra di tutti i beni è l’effetto della grazia o dell’abito della divina carità, grazie ed abiti che nel Battesimo si ricevono. È dunque Dio, onde l’uomo, secondo una frase del Profeta, si solleva come ad un cuore alto, così ad un’alta intelligenza, sino a Dio stesso; affine che questo Dio, per quest’atto della sua potenza e del suo amore, sia sempre meglio conosciuto e glorificato: Accedet homo ad cor altum, et exaltabitur Deus (Psal. LXIII). E se l’uomo crede con tanta disinvoltura, come fanno i veri fedeli, misteri cotanto superiori all’intelligenza umana; come, se pratica con tanta felicità, alla maniera dei veri giusti, virtù cotanto superiori all’umana debolezza, ciò accade perché è corroborato da una forza tutta divina e perché è forte, direi quasi della stessa forza di Dio ed amante del suo medesimo amore. – Fondata però la certezza cattolica sulle stesse basi di quella dei Magi, eccola produrre i medesimi effetti e manifestarsi per gli stessi prodigi di una fede somma, viva, generosa. costante e tranquilla. – Mirate il vero Cattolico: allevato egli alla scuola della rivelazione, di cui Gesù Cristo è l’autore, e depositaria ed interprete la Chiesa, è più certo della verità di ciò che crede che della verità di ciò che sente, di ciò che tocca, di ciò che vede. La testimonianza della Chiesa non solo esclude ogni dubbio dal suo animo, sine dubitatione, ma vi produce una certezza fermissima, immutabile intorno alle verità rivelate, fixa certitudine; una certezza mille volte più piena, più completa, più perfetta di quella che vi produce la testimonianza dei proprj sensi intorno alle cose sensibili, la testimonianza del proprio intelletto intorno ai primi principj delle cose intellettuali, la testimonianza dell’intimo senso intorno ai fatti interni. Nessun dubbio seriamente tale, che lasci l’anima nella tema che l’opposto di ciò che crede possa esser vero, si solleva mai dal fondo della sua ragione. Il vero Cattolico erede in Dio, come il vero giusto lo ama: con tutto il proposito di un cuore fedele, ex toto corde; con tutta l’energia di un’anima generosa, ex tota anima; con tutta la pienezza di un assenso di un intelletto soggiogato dalla forza dell’evidenza, ex tota mente; con tutte le forze che è possibile riunire per prestare un’adesione somma, intima, profonda e perfetta, ex totis viribus. Direbbesi in certo modo che la fede, per l’anima veramente fedele, perde le sue tenebre misteriose. Quello che crede per effetto della grazia, lo tiene per così certo e reale come quello che potrebbe Dio fargli vedere per un raggio anticipato della sua gloria. – Narrasi di S. Enrico imperatore che, invitato a vagheggiar Gesù apparso in forma di bambino al di sopra di una ostia consacrata, ricusò di andarvi, dicendo che la sua fede non aveva bisogno di questa sensibile testimonianza per credere alla presenza reale di Gesù Cristo nell’Eucaristia, e che la fede di questo miracolo non avrebbe in lui accresciuta una fede incapace di accrescimento. Or questi sentimenti generosi, queste nobili disposizioni del cuore di sì santo personaggio, esprimono presso a poco i sentimenti e le disposizioni del cuore dei veri figli della Chiesa. Hanno essi tale certezza della verità di ciò che credono che non ne possono avere una maggiore, e che la grazia può bensì accrescere e perfezionare la loro fede, ma gli esterni argomenti non possono aggiungervi nulla di più; e perciò vi prestano tutta l’adesione, lutto l’assenso di che sono capaci: Absque dubitatione, fixa certitudine. Alcune volte Iddio, per accrescere il merito e purificar la virtù degli uomini veramente fedeli, permette che soffrano orribili tentazioni contro la fede. Questa luce divina, come la stella dei Magi e pel medesimo fine, si ecclissa, si nasconde, non brilla più del suo usato splendore nelle loro menti, non appresta l’usato conforto ai loro cuori. In preda a mille dubbi, a mille agitazioni, a mille incertezze, in cui non sanno abbastanza distinguere tra il soffrire la tentazione e l’acconsentirvi, tra il combatterla e il soccombervi, sembra loro di aver poco meno che perduta la fede, di essere stati abbandonati da Dio, come i Magi al vedersi abbandonati dalla stella. Ma queste tentazioni e questi dubbj siccome sono senza colpa, così sono per lo più senza pericolo. La luce della fede si è allora occultata sotto del moggio (Matth. V.), si è riconcentrata nel fondo della loro anima, si è nascosta, ma non si è estinta. Non la veggono essi più, non la sentono; eppure è la sua forza che li sostiene, è il suo calore che li infervora. Gli assalti del tentatore, simili a quelli che un nemico impotente dà agli esterni ridotti di una fortezza, e che lasciano la cittadella in sicuro, gli assalti del tentatore, dico, rimangono al di fuori del recinto del loro cuore: e la pena che sentono nel provarli, e gli sforzi che raddoppiano per respingerli, e la preghiera e l’ajuto celeste che implorano per trionfarne, mentre sono una prova della fermezza della loro fede, l’accrescono, la fortificano e la perfezionano; giacche come lo ha detto Gesù Cristo a S. Paolo, la virtù in mezzo ai pericoli del combattimento si fortifica. si perfeziona e trionfa: Nam virtus in infirmitate perficitur  (II Cor. XII). E difatti, oh come allora è più umile lo spirito, il cuore più raccolto, la preghiera più fervente! Ed è una cosa veramente ammirabile per chi ha occasion di osservarla e lume per intenderla il vedere queste anime veramente cristiane, in mezzo alle angustie, alle pene, ai timori del loro cuore, lungi dal cercare nei trastulli del mondo un compenso o un sollievo, distaccarsene ancor di vantaggio; e quanto sono più desolate di spirito, tanto più abborrire le lusinghe della carne, attaccarsi di più alla pratica del bene in un tempo che sembra fatto per disgustamele, e per quella strada, onde parrebbe che dovessero allontanarsi da Dio, stringersi sempre più a Dio, e mostrarsi quanto più desolate, tanto più fervorose e fedeli. La ragione di ciò si è, perché queste anime non desiderano già, ma temono che la fede, che loro è si cara, possa loro divenire sospetta. Paventano adunque perché amano; e le loro grandi paure e le loro grandi agitazioni sono grandi atti di amore; e l’amore di Dio è ciò che solleva ed unisce di più l’anima a Dio. Il filosofo profano, vero animale di gloria, che si applaudisce nel secreto del suo orgoglio di saper tutto, e non sa poi nulla di ciò che più è necessario a sapersi, il freddo razionalista, l’inetto sofista, elle non sa che cosa sia credere e perciò ignora ancora che cosa sia amare; costoro non intendono nemmeno i termini di questo linguaggio di fede: mollo meno intendono il fenomeno, il mistero di un’anima interiore che ama di più la sua fede e vi si fortifica; Dio che ne è l’autore, e vi si abbandona, a misura che vede questa fede più combattuta nella sua mente, e questo Dio più severo e che par che più si allontani dal suo cuore. Non intendono né il prodigio di una fede, tormento insieme e delizia dell’anima in cui risiede: né l’eroismo della stessa anima che questo stato medesimo di tanta ambascia preferisce a tutto ciò che il mondo può offrirle di più piacevole e di più lusinghiero. Ma che cosa la carne ha mai capito e potrà mai capire giammai dei secreti dello spirito, e l’orgoglio delle meraviglie della fede? – Mentre però è fermissimo nella sua adesione e nelle sue prove, la fede dell’anima veramente cristiana è ancora vivissima ne’ suoi trasporti. Quello che crede misterioso e lontano par che lo vegga chiaro e presente, come quello che spera pare che lo possegga. Entrate in una chiesa cattolica nel tempo dell’adorazione delle quarant’ore; mirate la calca di gente di tutte le età, di tutte le condizioni, di tutti i sessi, e perciò sì varia agli occhi degli uomini, e di cui frattanto la professione della medesima fede forma un sol cuore innanzi a Dio. Consideratene la compostezza nel portamento, il raccoglimento profondo, l’atteggiamento devoto; uditene le fervide preci, i colloqui confidenti, le aspirazioni amorose, i santi trasporti: e resterete indeciso se costoro credono al gran mistero che adorano o non piuttosto lo veggano; se essi s’intertengono col Dio nascosto sotto il velo del sacramento, o col Dio svelato nella sua gloria; se questo sia il mistero di fede per eccellenza, o non piuttosto quello della visione; e se questo mistero fa esercitare eroicamente o piuttosto mirabilmente corrobori ed avvivi la loro fede. Certo, che, se Gesù Cristo, invece di essere nell’Eucaristia velato sotto le specie del pane allo sguardo corporeo, e noto solo all’occhio della mente illuminato dalla fede, si trovasse assiso sull’altare in una maniera visibile e manifesta; il raccoglimento ed insieme la famigliarità, la confidenza e il rispetto, l’amore e la tenerezza del suo popolo a stento potrebbero essere maggiori. – La stessa vivezza di fede si scorge nei veri Cattolici rispetto agli altri misteri della religione. Ne parlano non come di cose misteriose, lontane e celesti, ma come di cose chiare, manifeste, visibili e presenti sopra la terra. Quindi quel linguaggio ammirabile proprio dei veri Cattolici, in cui Dio e i suoi attributi, Gesù Cristo e i suoi misteri, la Vergine e i santi, gii angioli e la loro protezione, i dommi del paradiso, del purgatorio, dell’inferno, ritornano in ogni istante: linguaggio in cui chi lo sa intendere ravvisa tradotta e manifestata al di fuori nella sua integrità e nella sua purezza la fede del cuore; ma una fede facile, spontanea, sicura, disinvolta, passata, dirò così, in natura; ma sì viva che s’avvicina gli Oggetti lontani, che toglie quasi il loro velo ai misteri, e considera come presenti, visibili, popolari, comuni, terrestri, i più grandi segreti del cielo. Oh grande, oh prodigioso effetto della certezza della fede Cattolica, degno dell’ammirazione del vero filosofo! Ma in questo ancora gli uomini che pensan col ventre o vivon di orgoglio non intendono nulla. E perché  non l’intendono e disperano d’intenderlo, si appigliano all’insensato e comodo partito di deriderlo; chiamano imbecillità, superstizione uno dei più certi miracoli dello spirito di fede; ed attribuiscono alla debolezza dell’uomo ciò che è l’opera della potenza di Dio. Ma che importa a noi ciò che essi dicono? Sappiamo noi ciò che crediamo, e come lo crediamo; ed un giorno la nostra semplicità, al presente derisa, comparirà quello che è veramente, sublime sapienza; ed al contrario, la sapienza orgogliosa dei nostri censori sarà ridotta al silenzio e data all’universo in ispettacolo di obbrobrio; convinta rea di volontaria follia, di profonda impostura, e come tale tremendamente punita!