LA SUMMA PER TUTTI (15)

LA SUMMA PER TUTTI (15)

R. P. TOMMASO PÈGUES: LA SOMMA TEOLOGICA DI S. TOMMASO DI AQUINO IN FORMA DI CATECHISMO PER TUTTI I FEDELI

PARTE SECONDA

SEZIONE SECONDA

Idea particolareggiata del ritorno dell’uomo verso Dio.

 Capo XLIX  

La temperanza. – L’astinenza. – Il digiuno. – Vizio opposto: la gola.

1283. Quale è l’ultima delle grandi virtù morali che devono assicurare la perfezione della vita dell’uomo nel suo viaggio di ritorno verso Dio?

È la virtù della temperanza (CXLICLXX).

1284. Che cosa intendete per virtù della temperanza?

Intendo quella virtù che mantiene in tutte le cose la parte affettiva sensibile nell’ordine della ragione, affinché non si lasci andare illecitamente ai piaceri riguardanti più particolarmente il senso del tatto, negli atti necessari alla conservazione della vita corporale (CXLI, 1-5).

1285. Quali sono queste specie di piaceri?

Sono i piaceri della mensa e del matrimonio.

1286. Che nome prende la virtù della temperanza in materia di piaceri della mensa?

Si chiama astinenza o sobrietà (CXLVICXLIX).

1287. In che consiste l’astinenza?

Consiste nel regolare la parte affettiva sensibile rispetto al bere ed al mangiare, perché vi si comporti conforme a ciò che detta la ragione (CXLVI, 1).

1288. Quale è la forma speciale che può rivestire la pratica della virtù dell’astinenza?

È la forma del digiuno (CXLVII).

1289. Che cosa intendete per digiuno?

Intendo la rinunzia ad una parte di ciò che normalmente è richiesto per la propria alimentazione quotidiana (CXLVII, 1, 2).

1290. Ma non è cosa illecita questa?

No; al contrario il digiuno può essere cosa eccellente, perché serve a reprimere la concupiscenza, rende lo spirito più libero di attendere alle cose di Dio, e permette di soddisfare per il peccato (CXLVII, 1).

1291. Che cosa occorre perché il digiuno sia cosa buona ed eccellente?

Occorre che sia sempre regolato dalla prudenza e dalla discrezione, e non abbia mai a compromettere la salute o riuscire un ostacolo per i doveri del proprio stato (CXLVII, art. 1 ad 2).

1292. Ogni uomo che abbia l’uso di ragione è tenuto al digiuno?

Ogni uomo che abbia l’uso di ragione è tenuto ad una certa forma di digiuno o di

privazione proporzionata al bisogno della virtù nella vita morale; ma non al digiuno prescritto dalla Chiesa (CXLVII, 3-4).

1293. Che cosa intendete per digiuno prescritto dalla Chiesa?

Intendo una forma speciale di digiuno determinata dalla Chiesa, e prescritta a partire

da una certa età per certi giorni dell’anno (CXLVII, 5-8).

1294. In che cosa consiste questa forma speciale di digiuno?

Consiste nel fare un solo pasto propriamente detto nella giornata (CXLVII, 6).

1295. L’ora ed il momento di questo pasto sono cosa assolutamente fissa ed immutabile?

No; perché si può fare a mezzogiorno o la sera.

1296. Si può prendere qualche cosa fuori di questo pasto propriamente detto?

Sì; si può prendere qualche cosa la mattina sotto forma di leggerissimo anticipo,

e la sera sotto forma di colazione (Codice, can, 1251).

1297. Chi è tenuto al digiuno prescritto dalla Chiesa?

Tutti i Cristiani battezzati che hanno compiuto il loro ventunesimo anno, fino alla età di cinquantanove anni parimente compiuti (Codice, can. 1254).

1298. Che cosa occorre per non digiunare quando si è in queste condizioni?

Bisogna essere impediti da una manifesta ragione di salute o di lavoro; e nel dubbio occorre la dispensa della legittima autorità (CLXVII, 4).

1299. Chi può dare questa dispensa?

Praticamente basta chiederla al proprio superiore ecclesiastico immediato.

1300. Quali sono i giorni in cui si è obbligati al digiuno ecclesiastico?

Tutti i giorni di Quaresima, eccetto la domenica; il mercoledì, venerdì e sabato dei Quattro Tempi dell’anno; e le vigilie della Pentecoste, dell’Assunzione [commutata alla vigilia dell’Immacolata -ndr.-], di Tutti i Santi e del Natale. Se queste vigilie cadono in domenica non si è obbligati ad anticiparle (Codice, can. 1252).

1301. Non vi è una legge ecclesiastica per l’astinenza, distinta dalla legge del digiuno?

Sì; e questa legge consiste nell’obbligo di astenersi dalla carne e dal brodo di carne in tutti i venerdì dell’anno; e durante la Quaresima, il mercoledì delle Ceneri ed ogni sabato fino al mezzogiorno del Sabato Santo. Finalmente il mercoledì ed il Sabato dei Quattro Tempi (Codice, can. 1250-1252).

1302. Chi è tenuto alla legge dell’astinenza?

Tutti i fedeli che hanno compiuto il settimo anno di età (Codice, can. 1254).

1303. Qual è il vizio opposto alla virtù dell’astinenza?

È il vizio della gola (CXLVIII

1304. Che cosa intende per vizio di gola?

Intendo una propensione disordinata verso il bere ed il mangiare (CXLVTIII, 1:

1305. Questo vizio ha diverse specie?

Sì; perché questa tendenza disordinata al bere ed al mangiare può riferirsi alla natura dei cibi, alla loro qualità, alla loro quantità, alla loro preparazione, o anche al fatto stesso di prenderli senza attendere l’ora voluta, o mangiando con troppa avidità (CXLVIII, 4).

1306. La gola è un vizio capitale?

Sì; la gola è un vizio capitale, perché inclina ad uno di quei piaceri che sono di natura tale da provocare maggiormente il desiderio dell’uomo e farlo agire secondo essi (CXLVII, 5).

1307. Quali sono gli effetti della gola?

Sono la ebetudine dello spirito riguardo alle cose della intelligenza; la gioia insensata: la intemperanza di linguaggio, la scurrilità e la impurità (CXLVIII, 6).

1308. Sono vizi questi particolarmente lascivi; e perché provengono specialmente dalla gola?

Questi vizi sono particolarmente lascivi perché implicano maggiormente una diminuzione o una quasi assenza della ragione; e provengono dalla gola perché la ragione, quasi assopita e addormentata sotto l’azione delle smoderatezze di essa, non tenendo più il governo di una mano ferma, tutto nell’uomo declina (Ibid).

Capo L.

La sobrietà. – Vizio opposto: la ebrietà.

1309. Oltre l’astinenza, vi è un’altra virtù che aiuta l’uomo a prevenire tali effetti?

Sì; vi è la virtù della sobrietà (CXLIX)

1310. Che cosa intendete per virtù della sobrietà?

Intendo una virtù speciale, che ha per proprio oggetto di fare sì che l’uomo non usi se non come conviene, di ogni bevanda capace di inebriare (CXLIX, 1-2),

1311. Qual è il vizio opposto a questa virtù?

È il vizio di passare la misura nell’uso di tali bevande, fino a cadere in istato di ebrietà od ubriachezza (CL).

1312. Che cosa intendete per istato di ebrietà od ubriachezza?

Intendo uno stato fisico nel quale le bevande eccessive hanno fatto perdere l’uso della ragione (CL, 1).

1313. Tale stato di ebrietà od ubriachezza è sempre peccato?

Tale stato è sempre peccato quando uno vi è caduto per propria colpa, non cessando di bere eccessivamente allorché poteva e doveva diffidare della natura inebriante della bevanda (CL, 1).

1314. Che cosa si richiede perché questo stato sia peccato mortale?

Si chiede che sia stato previsto che sia stato previsto che l’eccesso della bevanda poteva cagionare la ubbriachezza, e si sia accettata questa. Possibile conseguenza, piuttosto che rinunziare al piacere trovato nella bevanda stessa (CI 2)

1315. Quando questo peccato diventa abitudine, come si chiama?

Si chiama vinolenza.

1316. La vinolenza è un vizio particolarmente lascivo e degradante?

Sì; la vinolenza è un vizio particolarmente degradante; perché priva scientemente l’uomo della ragione, mettendolo in modo più o meno ripetuto e frequente in uno stato inferiore anche a quello del bruto, che mantiene almeno sempre il suo istinto per regolarsi (CL, 3).

Capo LI.

La castità, – La verginità. – Vizio opposto: la lussuria.

1317. Accanto alla virtù dell’astinenza e della sobrietà, quale è altra grande virtù che forma una Specie a parte della temperanza?

È la virtù della castità (CLI).

1318. Che cosa intendete per virtù della castità?

Intendo quella perfezione della facoltà affettiva sensibile, che rende l’uomo padrone di tutti i moti che portano alle cose del matrimonio (CLI, 1).

1319. Nell’ordine della castità vi è una virtù speciale che ne è il coronamento e la più alta perfezione?

Sì; la verginità (CLIL),

1320. Che cosa intendete per verginità?

Intendo il fermo ed assoluto proposito santificato da un voto, di rinunziare per sempre ai piaceri del matrimonio (CLII, 1-3).

1321. Qual è il vizio opposto alla virtù della castità?

È la lussuria (CLII).

1322. In che consiste la lussuria?

La lussuria consiste nell’usare con azioni, con desideri o con pensieri voluti e compiacenti, delle cose che la natura ha ordinato alla conservazione della specie umana, contrariamente all’ordine naturale ed alla onestà che regola l’uso delle cose stesse, per il godimento che vi è annesso (CLIII, 1-3).

1323. Il vizio della lussuria ha varie specie?

Sì; questo vizio ha tante specie, quanti possono essere i disordini distinti nelle cose della lussuria (CLIV).

1324. Quali sono queste specie di disordine nelle cose della lussuria?

Sono la semplice fornicazione, direttamente opposta al retto ordine delle cose del matrimonio in ciò che riguarda il loro fine, cioè la procreazione e la educazione dei figli che verranno: il vizio contro natura, cosa più grave di tutte in questo ordine, che si oppone direttamente e totalmente al fine principale ed essenziale del matrimonio, cioè alla venuta stessa dei figli; l’incesto, l’adulterio, lo stupro ed il ratto, che si basano sull’abuso di persone prossime parenti, o maritate, o sotto la tutela del padre che si inganna o a cui si fa violenza; e finalmente il sacrilegio, che è l’abuso di persone consacrate a Dio (CLIV, 1-12).

1325. Il vizio della lussuria, in ciò che costituisce la sua base essenziale che si trova in ciascuna delle sue specie, e che non è altro che il godimento illecito dei piaceri annessi alle cose del matrimonio, è un vizio capitale?

Sì; la lussuria è un vizio capitale in causa di quello appunto che ha di particolarmente veemente nel proprio oggetto, per cui gli uomini vi si sentono estremamente inclinati (CLIII, 4).

1326. Quali sono le conseguenze della lussuria?

Sono l’accecamento dello spirito, la precipitazione, la inconsideratezza, la incostanza, l’amore di sé, l’odio a Dio, l’attaccamento alla vita presente, l’orrore della vita futura (CLIII, 5).

1327. Queste conseguenze della lussuria hanno tutte un carattere comune e particolarmente grave?

Sì; esse hanno tutte benché in diversi gradi questo di comune, che implicano l’assorbimento dello spirito da parte della carne; e ciò che forma la gravità speciale di ciascuna di esse e della lussuria che ne è la madre, è appunto questo, che l’uomo precipita dalla sua sovranità, per cadere al di sotto dei bruti animali privi di ragione (CLVIII, 5, 6).

Capo LII.

Virtù annesse alla temperanza: la continenza. – Vizio opposto: la incontinenza.

1328. Oltre alle virtù che hanno natura di specie rispetto alla temperanza, vi sono altre virtù che in relazione ad essa hanno natura di virtù annesse?

Sì; vi sono le virtù che imitano il suo atto, ossia il suo modo di agire, cioè la modeazione di ciò che per natura tende a trascinare, ma in materie meno difficili a padroneggiarsi; oppure che non toccano la perfezione del suo atto (CLV).

1329. Quali sono queste altre virtù?

Sono la continenza, la clemenza, la mansuetudine e la modestia (CLV -CLXX).

1330. Che cosa intendete per continenza?

Intendo quella virtù, imperfetta del resto nella sua ragione di virtù, che consiste nel preferire di non seguire i moti violenti della passione che trascinerebbe, ma che non si segue per un motivo di ragione (CLV, 1).

1331. Perché dite che è cosa imperfetta nell’ordine della virtù?

Perché la virtù perfetta suppone e tiene sottomessi i moti della passione, mentre la continenza non fa che resistere loro (Ibid.).

1332. Questa virtù imperfetta ha un vizio che le si oppone?

Sì: la incontinenza (CLVI).

1333. In che consiste la incontinenza?

Consiste in questo, che l’uomo cede alla violenza della passione ed in qualche modo se ne lascia guidare (CLVI, 1).

1334. Tra l’intemperante e l’incontinente chi pecca più gravemente?

L’intemperante; perché per la stessa ragione che la continenza è meno perfetta della temperanza nell’ordine della virtù, nell’ordine del vizio la incontinenza è meno perfetta, ossia meno malvagia, della intemperanza (CLVI, 3).

Capo LIII.

La clemenza e la mansuetudine. Vizi opposti: la collera, la crudeltà o ferocia.

1385. Che cosa intendete per clemenza e mansuetudine?

La clemenza e la mansuetudine sono due virtù, delle quali l’una modera e regola la punizione esterna perché non passi i limiti della ragione; e l’altra, il moto interno della passione che è la collera (CLVII, 1).

1336. La clemenza e la severità sono opposte tra loro, come pure la mansuetudine e la vendetta?

Niente affatto; perché non hanno lo stesso motivo, ed in certi casi e per motivi differenti tendono tutte a ciò che è secondo ragione (CLVII, 2 ad 1) x

1337. Quali sono i vizi opposti alla clemenza ed alla mansuetudine?

Sono la collera nel senso peccaminoso della parola; e la crudeltà, ossia ferocia (CLVIII, CLIX).

1338. Che cosa intendete per collera nel senso peccaminoso della parola?

Intendo un moto dell’appetito irascibile, diretto ad una vendetta ingiusta, oppure anche giusta ma con troppa eccitazione (CLVIII, 2).

1339. Vi sono diverse specie di collera?

Sì; ve ne sono tre specie: la collera degli «irritabili», che vanno in collera per un nonnulla; la collera degli «aspri», che conservano lungamente la memoria delle ingiurie; e la collera degli «intrattabili», che perseguono senza a indugio la esecuzione della vendetta (CLVIII, 5).

1340. La collera è un peccato capitale?

Si la collera è un peccato capitale, perché il suo oggetto è cosa alla quale gli uomini sono specialmente inclinati, cioè la vendetta ed il male, sotto la ragione di un bene giusto ed onesto (CLVIII, 6).

1341. 1341. Quali sono le conseguenze della collera?

Sono la indignazione, il gonfiamento del cuore, il clamore, la bestemmia; l’ingiuria e le risse (CLVII, 7).

1342. Può esservi un vizio opposto alla collera?

Sì; consiste nella mancanza del moto di collera quando la ragione lo comanda, e che deve essere effetto della giusta volontà di punire (CLVII, 8).

1343. Che cosa intendete per crudeltà, vizio che si oppone alla clemenza?

Intendo quella specie di « crudezza » d’animo, per la quale si è inclinati ad aumentare la pena oltre i giusti limiti stabiliti dalla ragione (CLXI, 1).

1344. E la ferocia che cosa sarà?

La ferocia è quel qualche cosa di selvaggio, di assolutamente inumano, per cui uno si diletta della pena o vi trova piacere sotto la sola ragione di male; è un compiacersi della sofferenza altrui, non sotto l’aspetto di giusto castigo, ma sotto il solo aspetto di pena e di sofferenza. La ferocia si oppone al dono della pietà (CLIX, 2).

1345. È cosa possibile questa?

Per quanto possa sembrare impossibile, la natura umana depravata può arrivare a tale eccesso; e si sono vedute nazioni intere, anche apparentemente le più civili, , trovare il loro supremo piacere in ciò che di più feroce avevano gli spettacoli dell’anfiteatro.

Capo LIV.

La modestia. – La umiltà. – Vizio opposto: l’orgoglio, il peccato di Adamo e di Eva, il naturalismo ed il laicismo.

1346. Quale è l’ultima delle virtù annesse alla temperanza?

È la modestia (CLX-CLXX).

1347. Che cosa intendete per modestia?

Intendo la virtù che consiste nel raffrenare e regolare la parte affettiva in cose meno difficili di quelle che sono oggetto della temperanza ed anche della continenza, della clemenza e della mansuetudine (CLX,1, 2)

1348. Quali sono le altre cose meno difficili a dominarsi, a moderarsi e regolarsi, quanto ai moti della parte affettiva che portano ad esse?

In ordine di decrescenza sono il desiderio della propria eccellenza, il desiderio di conoscere, i moti o le azioni esterne del corpo, e finalmente la divisa esteriore riguardo al modo di vestirsi (CLX, 2).

1349. Quali sono le virtù che regolano la parte affettiva in relazione a queste diverse cose?

Sono la umiltà, la studiosità e la diligenza nello studio, la modestia in senso stretto (CLX, 2).

1350. Che cosa intendete per umiltà?

Intendo quella virtù per la quale l’uomo, avuto riguardo al sovrano dominio di Dio, reprime in sè e regola l’aspirazione ad eccellere, in modo da non tendere a più di quello che gli appartiene o gli conviene, secondo il grado od il posto che Dio gli ha assegnato (CLXI, art. 1, 2).

1351. Che cosa segue da ciò nei rapporti dell’uomo con gli altri?

Ne segue che l’uomo non giudica essere dovuto a sè qualche cosa, considerato in se stesso ed in quanto si sottrae all’azione ed al dominio di Dio, perché da se stesso non ha niente se non il peccato. Al contrario giudica che tutto sia dovuto agli altri, nella misura stessa del bene che essi ricevono da Dio e che li fa sottostare al dominio di Lui. Che se si tratta di ciò che egli stesso ha da Dio, per cui esso pure sta sottomesso al dominio di Lui, non vorrà altro che ciò che gli compete, al suo posto e nel suo ordine, fra tutti gli altri esseri che parimente dipendono dal dominio di Dio (CLXI, 3).

1352. Dunque l’umiltà è una questione di stretta verità, ed è secondo verità che per essa l’uomo può e deve tenersi al di sotto di tutti gli altri?

Sì: l’umiltà è una questione di stretta verità; ed è secondo verità che per essa l’uomo può e deve tenersi al di sotto di tutti gli altri, nel senso che abbiamo precisato (Ibid.).

1353. Come si chiama il vizio opposto all’umiltà?

Si chiama orgoglio (CLXII).

1354. Che cosa intendete per orgoglio?

Intendo quel vizio speciale ed in certo modo generale, che in onta a Dio ed alla regola di subordinazione stabilita da Lui nell’opera sua e nel suo dominio, intende di dominare su tutti e di preferirsi a tutti, considerandosi a tutti superiore in eccellenza (CLXII, 1, 2).

1355. Perché dite che questo vizio è speciale ed in certo modo anche generale?

Perché ha un oggetto proprio e distinto che è la propria eccellenza; e l’amore e la ricerca della propria eccellenza, in onta a Dio ed alla regola da Lui stabilita, conduce l’uomo a commettere tutti gli altri peccati (Ibid.).

1356. È un gran peccato questo?

È il maggiore di tutti i peccati per il disprezzo di Dio che implica direttamente; e da questo lato costituisce la maggiore gravità di tutti gli altri peccati, per quanto gravi possano essere già di per se stessi (CLXII

1357. L’orgoglio è il primo di tutti i peccati?

Sì; l’orgoglio è il primo di tutti i peccati, perché, sempre in ragione del disprezzo di Dio che esso implica, perfeziona e completa la natura di peccato in tutti gli altri per cui l’uomo si allontana da Dio: dimodochè non può darsi alcun peccato grave che non implichi o non presupponga l’orgoglio, benché non sia sempre in se stesso, o rispetto al motivo che lo specifica, un peccato di orgoglio (CLXII, 7).

1358. L’orgoglio è un peccato capitale?

L’orgoglio è più che un peccato capitale; perché è il capo e come il sovrano di tutti gli altri vizi e peccati (CUXII, 8).

1359. I nostri primi genitori, nel loro primopeccato, peccarono di orgoglio?

Sì; nel loro primo peccato i nostri primi genitori peccarono di orgoglio, come in cielo avevano peccato di orgoglio gli angeli malvagi (CLXII, 1).

1360. Ma Adamo ed Eva, nel loro primo peccato, non peccarono piuttosto di gola o di disobbedienza o di vana curiosità di fronte alla scienza di Dio, e di mancanza di fede alla parola di Lui?

Tutti questi peccati che infatti possono trovarsi nel peccato dei nostri primi padri, non furono che una conseguenza del peccato di orgoglio, senza il quale nessun altro peccato poteva da essi commettersi (CLXIII, 1).

1361. Perché dite che senza il peccato di orgoglio nessun altro peccato poteva commettersi dai nostri primi padri?

Perché il loro stato di integrità faceva sì che in essi tutto fosse perfettamente sottomesso e subordinato, fintantoché il loro spirito fosse rimasto soggetto a Dio; ed il loro spirito stesso non poté sottrarsi a Dio che per un motivo di orgoglio, volendo attribuirsi una eccellenza. che non era affatto loro dovuta. (CLXII, 1, 2).

1362. Il peccato di naturalismo e di laicismo che oggi regna un poco dappertutto, specialmente dopo la Riforma protestante, la Rinascenza pagana, l’empia Rivoluzione del secolo decimottavo, non è esso pure specialmente un peccato di orgoglio?

Sì; ed è ciò che ne forma la eccezionale gravità; perché è una imitazione del disprezzo e della ribellione che furono prima il peccato di satana  degli angeli malvagi, e poi il peccato dei nostri primi padri.

Capo LV.

La studiosità. – Vizio opposto: la curiosità.

1363. Che cosa intendete per studiosità, che la seconda delle virtù annesse alla temperanza sotto il nome e la influenza della modestia?

Intendo quella virtù che modera nell’uomo conforme alla retta ragione, il desiderio di conoscere e di imparare (CLXVI, 1).

1364. E come si chiama il vizio opposto?

Si chiama curiosità (CLXVII).

1365. Che cosa è dunque la curiosità?

La curiosità è il desiderio disordinato di conoscere e di sapere ciò che non è di propria competenza, o che può essere pericoloso a sapersi, data la propria fragilità (CLXVII, 1, 2).

1366. Si può peccare facilmente di curiosità?

Sì; il peccato di curiosità si può commettere e si commette frequentissimamente nell’ordine di ogni cognizione in generale, come nell’ordine più speciale delle cognizioni che possono interessare i sensi e le passioni (CLXVII, art. 1, 2).

1367. Appartiene a questo peccato il desiderio smoderato di leggere soprattutto appendici e romanzi, e di assistere a feste profane e spettacoli, come teatri, cinematografi e cose simili?

Sì; tutto questo appartiene al peccato di curiosità, al tempo stesso che appartiene anche al peccato di sensualità e di lussuria; e non sarebbe mai troppo l’impegno messo a porvi rimedio.

Capo LVI.

La modestia esteriore.

1368. Quale è l’ultima delle virtù annesse alla temperanza, sotto il nome generale di modestia?

È la virtù speciale della modestia, che va sotto questo nome nel suo stretto senso (CLXVII – CLXX).

1369. Che cosa intendete per questa virtù?

Intendo quella finitezza di perfezione nelle disposizioni affettive del soggetto, per cui tutto nel suo esterno, si tratti dei suoi gesti e dei suoi movimenti, delle sue parole, del tono della voce, del vestito, del portamento, delle sue maniere ecc., è ciò che deve essere secondoché conviene alla persona, all’ambiente, allo stato, all’azione che si fa; cosicché niente stona e niente contrasta; e tutto, nell’esterno stesso del soggetto, apparisce in una somma e perfetta armonia. A questo titolo la virtù della modestia si collega con l’affabilità, l’amicizia e con la verità (CLXVIII, 1).

1370. Si deve attribuire alla virtù della modestia ciò che può avere attinenza col giuoco col divertimento e con la ricreazione, nella economia della vita umana?

Sì; e questa virtù prende allora un nome speciale, quello di « eutrapelia », virtù per la quale si scherza, ci si diverte e ci si ricrea come si conviene, evitando da un lato l’eccesso, e dall’altro il difetto contrario (CLXVIII, 2-4).

1371. La modestia comprende anche ciò che ha attinenza con la divisa esterna, cioè col vestito?

Sì; la modestia si estende anche a ciò che riguarda il vestito, cioè la divisa esterna, ed allora appunto prende in senso affatto stretto il nome di modestia (CLXIX).

1372. E che cosa fa la modestia a questo proposito?

Fa che il moto affettivo interno sia quello che deve essere rispetto alla divisa esterna, ossia al vestire; e per essa si conserva quella misura perfetta che esclude insieme troppa ricercatezza e la negligenza sconveniente (CLXIX, 1).

1373. Peccano specialmente contro la modestia le persone mondane che non osservano alcuna misura negli eccessi della moda, e possono divenire per questo occasione di peccato per gli altri?

Sì; queste specie di persone peccano specialmente contro la virtù della modestia, al tempo stesso che peccano anche contro la castità; e non sarebbe mai troppo il biasimo contro gli eccessi che in questo senso si commettono (CLXIX, 2).

Capo LVII.

Del dono corrispondente alla virtù della temperanza.

1374. Fra i doni dello Spirito Santo, ve ne è qualcuno che corrisponda alla virtù della temperanza?

Sì; vi è il dono del timore (CXLI, 1ad 3).

1375. Ma non si è detto prima che il dono del timore corrisponde alla virtù teologale della speranza?

Il dono del timore infatti corrisponde simultaneamente alla virtù teologale della speranza ed alla virtù cardinale della temperanza; ma non sotto il medesimo aspetto ed allo stesso titolo (Ibid.).

1576. In che consiste questa differenza?

Consiste in questo, che il dono del timore corrisponde alla virtù teologale della speranza in quanto ché l’uomo rispetta Dio direttamente per la sua infinita grandezza ed evita per questo di offenderlo. Corrisponde poi alla virtù cardinale della temperanza, inquantoché la riverenza ed il rispetto che ispira verso la grandezza di Dio, fa che si rifugga da ciò che inclina di più ad offendere Dio, vale a dire dai piaceri dei sensi (Ibid.).

1377. Ma la virtù della temperanza non porta già ad evitare tutto questo?

Sì; ma in misura incomparabilmente meno perfetta. Essa infatti non porta ad evitare ciò se non in una misura e secondo un modo che è frutto dell’uomo operante da sé alla luce della ragione o della fede; mentre il dono del timore lo fa evitare nella misura e secondo il modo che è frutto dello Spirito Santo stesso, movente personalmente l’uomo con la sua azione onnipotente, e conducendolo, in ordine al rispetto ed alla riverenza che gli ispira la Maestà divina, a riguardare come fango i piaceri sensuali e quanto con essi ha attinenza.

Caro LVIII.

Precetti relativi alla temperanza ed alle sue parti.

1378. Nella legge divina abbiamo qualche precetto che ha attinenza con la temperanza?

Sì; abbiamo nello stesso Decalogo due precetti che hanno attinenza con la virtù della temperanza (CLXX).

1379. Quali sono questi due precetti?

Sono il sesto ed il nono: «Non commetterai adulterio»; e «Non desidererai la donna del prossimo tuo ».

1380. Perché non si parla che di adulterio; e perché in materia di adulterio vi sono nel Decalogo due precetti distinti?

Perché di quanto ha attinenza con la temperanza l’adulterio è ciò che più interessa le relazioni dell’uomo col prossimo, specialmente dal punto di vista della giustizia, che è quello dei precetti del Decalogo. E se a questo proposito si danno due precetti distinti, si è per la importanza che vi è di frenare fino nella sua prima origine il gran male dell’adulterio (CLXX, 1).

1381. Fra i precetti del Decalogo ve ne è qualcuno che abbia attinenza con le parti della temperanza?

No; non esistono precetti che abbiano direttamente questa attinenza, perché dette parti non interessano affatto da se stesse i rapporti dell’uomo con Dio o col prossimo. Tuttavia le diverse parti della temperanza ne sono riguardate indirettamente a motivo dei loro effetti, sia nei precetti della prima tavola che in quelli della seconda. Infatti, a motivo dell’orgoglio, l’uomo non rende a Dio né al prossimo gli omaggi ed il culto che loro è dovuto; ed a motivo della collera, opposta alla mansuetudine, l’uomo se la prende con la persona del prossimo fino ad attentarne alla vita nell’omicidio (CLXX, 2).

1382. Per ciò che riguarda il lato positivo dei precetti relativi sia alla temperanza che alle sue divisioni, non sarebbe stato a proposito che fosse indicato nel Decalogo?

No; perché il Decalogo doveva contenere soltanto i primi precetti della legge divina applicabili a tutti gli uomini ed in tutti i tempi; e ciò che si riferisce al lato positivo di queste virtù, come l’astinenza, il modo esterno di parlare, di agire, di comportarsi etc., può variare assai secondo i diversi uomini, nei diversi tempi e nei diversi luoghi (CLXX, 1 ad 3).

1383. A chi appartiene determinare queste cose con speciale autorità, nella nuova legge?

Appartiene alla Chiesa di determinare su ciò, con opportuni precetti, la condotta dei fedeli.

1384. Nella spiegazione della divina legge contenuta nella Santa Scrittura si fa un invito speciale sotto forma di preghiera, di appoggiarsi al dono del timore in quanto corrisponde alla temperanza?

Sì; è il bellissimo testo del salmo CXVIII, vers. 120: « Confige timore tuo carnes meas: Il tuo timore, o Signore, reprima le ribellioni della mia carne».

Capo LIX.

Sufficienza delle virtù e loro compito. – Duplice vita: attiva e contemplativa; lo stato di perfezione. – La vita religiosa: le famiglie religiose nella Chiesa.

1385. Abbiamo ora la conoscenza sufficiente di tutte le virtù che l’uomo può essere chiamato a praticare per guadagnare il cielo, e dei vizi che deve fuggire per non esporsi a. perdere il paradiso e cadere nell’inferno?

Sì; noi abbiamo ora tale sufficiente conoscenza. Conosciamo infatti le tre grandi virtù della fede, della speranza e della carità, che permettono all’uomo di conseguire il suo ultimo fine soprannaturale come deve raggiungerlo su questa terra, affinché il fine stesso diriga e domini la sua vita morale. Conosciamo pure le altre quattro grandi virtù morali cardinali, che sono la prudenza, la giustizia, la fortezza e la temperanza con tutte le virtù annesse, considerate non soltanto nell’ordine naturale e sotto la ragione di virtù acquisite, ma più ancora nell’ordine soprannaturale e sotto la loro ragione di virtù infuse proporzionate alle virtù teologali, che permettono all’uomo di ordinare tutto come deve nella sua vita morale, sia riguardo agli altri sia riguardo a se stesso, per essere in tutte le cose in armonia col suo fine soprannaturale. Cosicché basta all’uomo di praticare tutte queste virtù in unione coi doni corrispondenti, per essere sicuro di conseguire la visione di Dio, che noi sappiamo dovere essere la sua felicità nel cielo per tutta la eternità: con questo solamente che se pecca contro una qualunque di queste virtù, bisognerà che con una nuova virtù di cui parleremo nella Terza Parte e che sarà la penitenza, soddisfaccia per il suo peccato, in unione con la soddisfazione di Gesù Cristo.

1386. La pratica di questo insieme di virtù e di doni che costituisce veramente la vita dell’uomo sulla terra, non può presentarsi sotto due forme distinte ed in qualche modo separate?

Sì: e queste due forme sono la vita contemplativa e la vita attiva (CLXXIX-CLXXXII).

1387. Che cosa intendete per vita contemplativa?

Intendo quella forma di vita in cui l’uomo, con l’anima libera dalle passioni viziose e dal tumulto delle azioni esteriori, sotto l’impulso dell’amore di Dio, passa il suo  tempo, nella misura del possibile su questa terra nella contemplazione di Dio in Se stesso e nelle opere sue, godendo della visione di Dio che egli ama, e trovando in tale fruizione di Dio la sua più alta perfezione, che lo fa vivere separato da qualsiasi altra cosa fuori di Dio (CLXXX, 1-8).

1388. Questa vita contemplativa suppone tutte le virtù? Sì; questa vita contemplativa suppone tutte le virtù e concorre a perfezionarle; ma essa stessa consiste in una certa azione propria ove intervengono tutte le virtù intellettuali e teologali, rimanendo sempre nel più alto grado alla mercè dell’azione personale dello Spirito Santo per mezzo dei doni (CLXXX, 2).

1389. E la vita attiva che cosa comprende?

La vita attiva comprende propriamente tutti gli atti delle virtù morali, e specialmente gli atti della virtù della prudenza; perché suo proprio oggetto è la disposizione in quelle stesse ed in quanto conviene all’ordine della vita presente, nelle necessità della vita terrestre, di tutte le cose che hanno attinenza con questa vita stessa (CLXXXI, 1-4).

1390. Di queste due vite quale è la più perfetta?

La più perfetta è incontestabilmente la vita contemplativa, perché è quella che dà su questa terra come una anticipazione del paradiso (CLXXXII, 1).

1391. Ciascuna di queste due vite, ossia la pratica delle virtù e dei doni che esse implicano, non possono trovarsi come in una duplice condizione tra gli uomini?

Sì; esse possono trovarsi secondo la condizione comune, oppure come poste in uno stato di perfezione.

1392. Che cosa intendete per istato di perfezione?

Intendo una certa condizione di vita per cui l’uomo si trova posto in modo stabile, permanente ed immutabile, fuori dei legami che lo rendono schiavo delle necessità della vita presente, e libero di attendere esclusivamente e con tutto se stesso alle cose di Dio e della divina carità (CLXXXIII, 1, 4).

1393. Questo stato di perfezione è la stessa cosa che la perfezione stessa?

No; perché la perfezione consiste in qualche cosa di interiore; mentre lo stato di perfezione di cui si parla consiste in una condizione di vita, considerata piuttosto in ordine ad un insieme di atti esteriori (CLXXXIV, 1).

1394. Si può avere la perfezione delle virtù e dei doni, ossia della vita della divina carità senza essere nello stato di perfezione; e viceversa, si può essere nello stato di perfezione senza avere la perfezione della carità?

Sì; queste due cose sono possibili (CLXXXIV, 4).

1395. Perché dunque ricorrere allo stato di perfezione?

Perché di per sé lo stato di perfezione facilita mirabilmente l’acquisto della perfezione stessa. Generalmente, infatti, la perfezione si trova nello stato di perfezione.

1396. Che cosa è dunque che costituisce lo stato di perfezione?

È il fatto di obbligarsi perpetuamente, sotto una certa forma solenne, alle cose che appartengono alla perfezione, in quanto riguardano l’ordinamento esteriore della propria vita (CLXXXIV, 4).

1397. Chi si trova dunque in questo stato di perfezione?

I Vescovi ed i Religiosi (CLXXXIV, 5).

1398. Perché i Vescovi sono nello stato di perfezione?

Perché essi dal momento che assumono l’ufficio ed il dovere pastorale, si obbligano a dare la propria vita per le pecorelle, e ciò avviene mediante la solennità della consacrazione (CLXXXIV, 6).

1399. Ed in quanto ai Religiosi, per che cosa si trovano nello stato di perfezione?

Perché essi si astringono, sotto forma di voto perpetuo, ad abbandonare le cose del secolo di cui potrebbero usare lecitamente, per attendere più liberamente alle cose di Dio. E ciò essi fanno con una certa solennità di professione o di benedizione (CLXXXIV, 5).

1400. Di questi due stati di perfezione quale è il più perfetto?

Quello dei Vescovi (CLXX.XIV, 7).

1401. Perché lo stato di perfezione dei Vescovi è più perfetto di quello dei religiosi?

Perché sta a questo ultimo, come chi dà, sta a chi riceve. I Vescovi infatti debbono per lo stato loro possedere la perfezione che i religiosi per lo stato loro tendono ad acquistare (CLXXXIV, 7).

1402. In qual modo i religiosi tendono per lo stato loro ad acquistare la perfezione?

I religiosi tendono per lo stato loro ad acquistare la perfezione, inquantoché essi per i tre voti di povertà, di castità e di obbedienza, si trovano nella felice impossibilità di peccare, e nella felice necessità di bene agire in tutte le cose (CLXXXVI, 1-10).

1403. Questi tre voti sono essenziali per lo stato di perfezione dei religiosi?

Sì; questi tre voti sono essenziali per lo stato di perfezione dei religiosi; cosicché senza di essi lo stato religioso non potrebbe esistere (CLXXXVI, 2-7).

1404. Può esservi diversità tra le famiglie religiose aventi tutte le condizioni essenziali dello stato religioso?

Sì; può esservi diversità tra le famiglie religiose aventi tutte le condizioni essenziali dello stato religioso (CLXXXVII).

1405. In che cosa consisterà la diversità delle famiglie religiose, quando tutte convengano nelle condizioni essenziali dello stato religioso?

Consisterà in questo, che essendovi diverse cose nelle quali l’uomo può votarsi totalmente al servizio di Dio, l’uomo può disporsi a questo in diverse maniere e secondo esercizi diversi (CLXXXVII, 1).

1406. Quali sono le due grandi forme di famiglie religiose?

Le due grandi forme di famiglie religiose sono quelle derivanti dalle due grandi condizioni di vita di cui abbiamo parlato: la vita contemplativa e la vita attiva (CLXXXVIII, art. 2-6).

1407. Vi sono dunque famiglie religiose di vita attiva ed altre di vita contemplativa?

Sì; vi sono famiglie religiose di vita attiva ed altre di vita contemplativa.

1408. Che cosa intendete per famiglie religiose di vita attiva?

Intendo quelle famiglie religiose dove la maggior parte delle azioni dei membri che le compongono, è ordinata a servire il prossimo per amor di Dio (CLXXXVII, 2). i

1409. E che cosa intendete per famiglie religiose di vita contemplativa?

È Intendo quelle famiglie religiose dove la totalità delle azioni dei membri che le compongono, è ordinata al servizio di Dio stesso (CLXXXVIII, 2 ad 2).

1410. Di queste due specie di famiglie religiose quali sono le più perfette?

Sono quelle di vita contemplativa; con questo nondimeno che le più perfette di tutte sono quelle di cui la parte principale è votata alla contemplazione delle cose divine, al culto ed al servizio di Dio in Se stesso, ma per riversare poi sul prossimo la soprammisura della loro contemplazione, ed attirare il prossimo stesso al culto ed al servizio di Dio (CLXXXVII, art. 6).

1411. La esistenza delle diverse famiglie religiose nella Chiesa ed in mezzo al mondo è un bene molto grande?

Niente di più prezioso che la esistenza delle diverse famiglie religiose nella Chiesa ed in mezzo al mondo. Perché oltre a formare i focolari scelti dove si praticano nella loro massima perfezione tutte le virtù, esse hanno per effetto di contribuire al più gran bene della umanità con le loro opere di carità e di apostolato, e con la loro vita di immolazione a Dio.

1412. Donde viene alle famiglie religiose nella Chiesa la loro eccellenza in ciò che riguarda la pratica di tutte le virtù. fino alla più alta perfezione?

Tale eccellenza viene loro dall’applicarsi ostensibilmente e per vocazione o di ufficio a camminare nella via dove ogni uomo deve camminare per praticare queste stesse virtù e conseguire la felicità del cielo.

Quale è la via fuori della quale non è possibile nessun cammino verso Dio con la pratica delle virtù?

Questa via non è altri che Gesù Cristo mistero stesso del Verbo fatto carne. Ora  ci resta di occuparci di Lui; e questo formerà la materia della nostra « Terza Parte ».

LA SUMMA PER TUTTI (16)

UN’ENCICLICA AL GIORNO, TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO: SS. PIO XII, “HAURIETIS AQUAS” (1)

Haurietis aquas è une delle più belle ed importanti lettere Encicliche del Magistero pontificio. Una scritto meraviglioso, ben ordinato e ricco di riferimenti dottrinali miscelati sapientemente con una linearità ed una verità che illustra mirabilmente questo culto che la Chiesa ha accolto ha accolto come doveroso omaggio all’amore di Cristo per gli uomini, ed indica a tutti i Cristiani ed all’umanità intera come elemento salvifico decisivo in vista dell’eterna beatitudine.  … « di fronte alla minaccia di gravi sciagure che già da molto tempo sovrasta, è urgente che si ricorra, per scongiurarle, all’aiuto di Colui che soltanto, ha la potenza per allontanarle. E chi altri potrà essere costui, se non Gesù Cristo. l’Unigenito di Dio? Poiché non c’è sotto il cielo alcun altro nome dato agli uomini, dal quale possiamo aspettarci d’essere salvati ». « A Lui dunque si deve ricorrere, che  è via, verità e vita ». Queste parole del grande Leone XIII, qui ricordate da S. S. Pio XII, risuonano balsamo dolce per i nostri cuori in un momento storico in cui tutta l’umanità sente di aver bisogno di un’ancora di salvezza per non soccombere sotto l’azione delle forse del male, che S. Giovanni nell’Apocalisse definiva come “bestia”, “falso profeta”, e “dragone”. Quest’ancora è il Cuore di Gesù che, unito a quello Immacolato della Vergine Maria, alla fine trionferà portando tutti i fedeli resistenti alle suggestioni del male ed al marchio della bestia, alla cena delle nozze dell’Agnello. Per poter meglio gustare la profondità teologica della lettera, assaporarne le delizie spirituali e poterla meditare al meglio, ne riportiamo una prima parte, ripromettendoci di completarne poi il testo alla prossima.

HAURIETIS AQUAS

S. S. PIO XII

LETTERA ENCICLICA SULLA DEVOZIONE AL SACRO CUORE DI GESÙ

(I)

Ai Venerabili Fratelli Patriarchi, Primati, Arcivescovi, Vescovi e agli altri Ordinari locali che hanno pace e comunione con la Sede Apostolica.

Venerabili Fratelli, salute e Apostolica Benedizione.

«Voi attingerete con gaudio le acque dalle fonti del Salvatore » . Queste parole, con le quali il profeta Isaia simbolicamente preannunziava le molteplici e abbondanti benedizioni di Dio, che l’era messianica avrebbe apportato, spontanee ritornano sulle Nostre labbra, allorché diamo uno sguardo ai cento anni che sono trascorsi da quando il Nostro Predecessore di imm. mem. Pio IX, ben lieto di assecondare i voti del mondo cattolico, si compiaceva di estendere e rendere obbligatoria per la Chiesa intera la Festa del Cuore Sacratissimo di Gesù. – Innumerevoli, infatti, sono le grazie celesti che il culto tributato al Cuore Sacratissimo di Gesù ha trasfuso nelle anime dei fedeli; grazie di purificazione, di sovrumane consolazioni, di incitamento alla conquista di ogni genere di virtù. – Noi pertanto, memori della sapientissima sentenza dell’apostolo S. Giacomo: « Ogni donazione buona e ogni dono perfetto viene dall’alto e scende dal Padre de’ lumi », a buon diritto possiamo scorgere in questo culto, divenuto ormai universale e ogni giorno sempre più fervoroso, il dono che il Verbo Incarnato, nostro Salvatore divino e unico Mediatore di grazia e di verità tra il celeste Padre e il genere umano, ha fatto alla Chiesa, sua mistica Sposa, in questi ultimi secoli della sua travagliata storia. Grazie a questo dono d’inestimabile valore, la Chiesa può agevolmente manifestare l’ardente carità che essa nutre verso il suo Divin Fondatore e corrispondere in più larga misura all’invito che l’evangelista S. Giovanni riferisce come rivolto da Gesù Cristo stesso: « Nell’ultimo gran giorno della festa, Gesù levatosi in piedi, diceva ad alta voce: “ Chi ha sete, venga da me, e beva chi crede in me. Come dice la Scrittura, dal ventre di Lui sgorgheranno torrenti d’acqua viva ”. Ciò Egli disse dello Spirito che dovevano ricevere i credenti in Lui. Agli uditori di Gesù non fu certamente difficile cogliere in quelle sue parole, che contenevano la promessa di una sorgente di «acqua viva » che sarebbe scaturita dal suo seno, una chiara allusione ai vaticini con i quali i profeti Isaia, Ezechiele e Zaccaria predicevano l’avvento del Regno Messianico, come pure alla tipica pietra che, percossa dalla verga di Mosè, versò acqua in abbondanza. – La carità divina ha in realtà la sua principale sorgente nello Spirito Santo, ch’è Amore personale sia del Padre che del Figlio in seno all’augustissima Trinità. – Ben a ragione quindi l’Apostolo, quasi facendo eco alle parole di Gesù Cristo, attribuisce allo Spirito Santo l’effusione della carità nell’animo dei credenti: « La carità di Dio si è riversata nei nostri cuori per lo Spirito Santo che ci fu dato ». – Questo strettissimo nesso, che secondo le parole della S. Scrittura intercorre tra la carità che deve ardere nei cuori dei Cristiani e lo Spirito Santo, ch’è Amore per essenza, ci manifesta in modo mirabile, Venerabili Fratelli, l’intima natura stessa di quel culto che è da tributarsi al Cuore Sacratissimo di Gesù. Se è vero, infatti, che questo culto, considerato nella sua propria essenza, è un atto eccellentissimo della virtù di religione, cioè un atto di assoluta e incondizionata sottomissione e consacrazione da parte nostra all’amore del Redentore Divino, di cui è indice e simbolo quanto mai espressivo il suo Cuore trafitto; è vero parimente, ed in un senso ancora più profondo, che tale culto è il ricambio dell’amore nostro all’Amore Divino. Poiché soltanto per effetto della carità si ottiene la piena e perfetta sottomissione dello spirito umano al dominio del Supremo Signore, allorché cioè gli affetti del nostro cuore in tal modo aderiscono alla divina volontà da formare con essa quasi una cosa sola, secondo che è scritto: « Chi aderisce al Signore forma un solo spirito con Lui ».

I.

Ma, mentre la Chiesa ha sempre tenuto in alta considerazione il culto al Cuore Sacratissimo di Gesù, così da favorirne in ogni modo il sorgere e il propagarsi in mezzo al popolo cristiano, non mancando altresì di difenderlo apertamente contro le accuse di Naturalismo e di Sentimentalismo; è da lamentare che non uguale onore e stima, sia nei tempi passati che ai giorni nostri, questo nobilissimo culto gode presso alcuni Cristiani e talvolta anche presso alcuni di coloro, che pur si dicono animati da sincero zelo per gli interessi della Religione Cattolica e per la propria santificazione. « Se tu conoscessi il dono di Dio ». Ecco, Venerabili Fratelli, il paterno monito che Noi, chiamati per divina disposizione ad essere custodi e dispensatori del tesoro di fede e di pietà, che il divin Redentore ha affidato alla sua Chiesa, Ci sentiamo in dovere di rivolgere a tutti quei Nostri figli; i quali, nonostante che il culto al Cuore Sacratissimo di Gesù, trionfando degli errori e della indifferenza degli uomini, abbia pervaso il Mistico Corpo del Salvatore, nutrono ancora dei pregiudizi a riguardo e giungono persino a ritenerlo meno rispondente, per non dire dannoso, alle necessità spirituali più urgenti della Chiesa e dell’umanità nell’ora presente. Taluni, infatti, confondendo o equiparando l’indole primaria di questo culto con le varie forme di devozione che la Chiesa approva e favorisce, ma non prescrive, lo stimano quasi come alcunché di superfluo, che ciascuno può praticare o no a suo arbitrio; altri, poi, stimano che questo stesso culto sia oneroso e di nessuno o ben modesto vantaggio specialmente per i militanti del Regno di Dio, preoccupati soprattutto di consacrare il meglio delle loro energie spirituali, dei loro mezzi e del loro tempo alla difesa e alla propaganda della verità cattolica, alla diffusione della dottrina sociale cristiana e all’incremento di quelle pratiche e opere di religione, che giudicano molto più necessarie per i tempi nostri; vi sono inoltre alcuni, i quali anziché riconoscere in questo culto un mezzo efficacissimo per l’opera di rinnovamento e di progresso dei costumi cristiani, sia degli individui che delle famiglie, vi vedono una forma di devozione pervasa piuttosto di sentimento che di nobili pensieri ed affetti, e perciò più confacente al femmineo sesso che alle persone colte. – Vi sono anche altri, i quali, ritenendo questo culto come troppo vincolato agli atti di penitenza, di riparazione e di quelle virtù che stimano piuttosto « passive », perché prive di appariscenti frutti esteriori, lo giudicano senz’altro meno idoneo a rinvigorire la spiritualità moderna, cui incombe il dovere dell’azione aperta e indefessa per il trionfo della fede cattolica e la strenua difesa dei costumi cristiani, in mezzo ad una società inquinata di indifferentismo religioso, incurante di ogni norma discriminatrice del vero dal falso nel pensiero e nell’azione, ligia ai princìpi del materialismo ateo e del laicismo. – Come non vedere, Venerabili Fratelli, lo stridente contrasto tra simili opinioni e le pubbliche attestazioni di stima per il culto al S. Cuore di Gesù, professate dai Nostri Predecessori su questa Cattedra di verità? Come giudicare inutile o meno adatta per l’epoca nostra quella forma di pietà, che il Nostro Predecessore di imm. mem. Leone XIII non esitò a definire: « pratica religiosa encomiabilissima »; e nella quale additava il rimedio a quegli stessi mali, individuali e sociali, che anche oggi, e indubbiamente in modo più vasto ed acuto, travagliano l’umanità? « Questa devozione, che a tutti consigliamo, asseriva Egli, sarà a tutti di giovamento ». Ed inoltre, aggiungeva questi ammonimenti ed esortazioni, che ben si addicono anche al culto verso il Cuore sacratissimo di Gesù: « Di fronte alla minaccia di gravi sciagure che già da molto tempo sovrasta, è urgente che si ricorra, per scongiurarle, all’aiuto di Colui che soltanto, ha la potenza per allontanarle. E chi altri potrà essere costui, se non Gesù Cristo. l’Unigenito di Dio? Poiché non c’è sotto il cielo alcun altro nome dato agli uomini, dal quale possiamo aspettarci d’essere salvati ». « A Lui dunque si deve ricorrere, che  è via, verità e vita».

Né meno degno di encomio e giovevole per fomentare la pietà cristiana riconosceva essere questo culto il Nostro immediato Predecessore di fel. mem. Pio XI, il quale nell’Enciclica Miserentissimus Redemptor affermava: «Non son forse racchiusi in tale forma di devozione il compendio di tutta la Religione Cattolica e quindi la norma della vita più perfetta, costituendo essa la via più spedita per giungere alla conoscenza profonda di Cristo Signore e il mezzo più efficace per piegare gli animi ad amarLo più intensamente e ad imitarLo più fedelmente? ».

A Noi poi, non certamente meno che ai Nostri Predecessori, questa sublime verità è apparsa evidente e degna di approvazione; ed allorché iniziammo il Nostro Pontificato, nel contemplare il felice e quasi trionfale incremento del Culto al Cuore Sacratissimo di Gesù in mezzo al popolo cristiano, sentimmo il Nostro animo ricolmo di gioia e Ci rallegrammo degli innumerevoli frutti di salvezza che ne erano derivati a tutta la Chiesa; e questi Nostri sentimenti Ci compiacemmo di manifestare già nella prima Nostra Lettera Enciclica. I quali frutti, in questi lunghi anni del Nostro Pontificato — pieni di calamità e di angustie, ma anche ricolmi di ineffabili consolazioni — non sono andati diminuendo né per numero né per qualità né per bellezza, ma piuttosto aumentando. Infatti, varie sono state le opere felicemente iniziate allo scopo di favorire l’incremento sempre maggiore di questo stesso culto: associazioni cioè di cultura, di pietà e di beneficenza; pubblicazioni di carattere storico, ascetico e mistico pertinenti a tale scopo; pie pratiche di riparazione; e soprattutto crediamo degne di menzione le manifestazioni di ardentissima pietà promosse dall’Associazione dell’« Apostolato della Preghiera », al cui zelo si deve principalmente se famiglie, istituti e talvolta anche Nazioni intere si sono consacrate al Cuore Sacratissimo di Gesù; per le quali manifestazioni di culto non di rado, o mediante Lettere, o per mezzo di Discorsi, o anche servendoCi di Radiomessaggi, abbiamo espresso la Nostra paterna compiacenza. – Pertanto, commossi nel veder tanta copia di acque salutari, cioè di effusione celestiale di amore superno, che scaturendo dal Sacro Cuore del nostro Redentore, non senza l’ispirazione e l’azione del Divino Spirito, si è riversata su innumerevoli figli della Chiesa Cattolica, non possiamo astenerCi, Venerabili Fratelli, dal rivolgervi un paterno invito, affinché vi uniate a Noi nello sciogliere un inno di somma lode e di fervidissime azioni di grazie a Dio, largitore di ogni bene, esclamando con l’Apostolo: « A Lui che può far tutto, ben al di là di quel che noi domandiamo, o pensiamo, secondo la virtù che opera in noi, a Lui sia la gloria nella Chiesa, e in Cristo Gesù per tutte le generazioni nei secoli dei secoli. Amen ». Ma, dopo aver reso all’Altissimo le dovute grazie, Noi desideriamo con questa Lettera Enciclica di esortar voi e tutti gli amatissimi figli della Chiesa ad una più attenta considerazione di quei princìpi dottrinali, contenuti nella S. Scrittura, nei Ss. Padri e nei teologi, sui quali, quasi su solidi fondamenti, poggia il culto al Cuore Sacratissimo di Gesù. Siamo infatti pienamente persuasi che soltanto allorché, al lume della divina rivelazione, avremo penetrato più a fondo l’intima ed essenziale natura di questo culto, saremo in grado di convenientemente e perfettamente apprezzarne l’incomparabile eccellenza e l’inesauribile fecondità di ogni sorta di celesti grazie, e per tal modo trarre, dalla pia meditazione e contemplazione dei benefici da esso derivati, motivo a una degna celebrazione del primo centenario dell’estensione della festa obbligatoria del Cuore Sacratissimo di Gesù alla Chiesa universale. – Allo scopo, dunque, di offrire alle menti dei fedeli un pascolo di salutari riflessioni, grazie alle quali essi possano più facilmente comprendere la natura di questo culto e ricavarne più copiosi frutti, Noi ci soffermeremo anzitutto su quelle pagine dell’Antico e del Nuovo Testamento, che contengono la rivelazione e descrizione dell’infinita carità di Dio per il genere umano, la cui sublime grandezza mai potremo sufficientemente scrutare; poi accenneremo al commento che ce ne hanno lasciato i Padri e i Dottori della Chiesa; infine, procureremo di porre in evidenza il nesso intimo che intercorre tra la forma di devozione da tributarsi al Cuore del Redentore Divino e il culto che gli uomini sono tenuti a rendere all’amore che Egli e le altre Persone della Santissima Trinità nutrono verso l’intero genere umano. Stimiamo infatti che, una volta contemplati alla luce della S. Scrittura e della Tradizione i fondamenti e gli elementi costitutivi di questo nobilissimo culto, riuscirà più agevole ai Cristiani l’attingere « con gaudio le acque dalle fonti del Salvatore », apprezzare cioè tutta l’importanza che il culto al Cuore Sacratissimo di Gesù ha assunto nella Liturgia della Chiesa, nella sua vita interna ed esterna, ed anche nelle sue opere; per tal modo, sarà più facile ad essi raccogliere quei frutti spirituali, che segnino un rinnovamento salutare nei loro costumi, conforme ai voti dei Pastori del gregge di Cristo. – Se vogliamo in primo luogo ben comprendere il valore racchiuso in alcuni testi dell’Antico e del Nuovo Testamento in ordine a questo culto, occorre tener ben presente il motivo del culto di latria che la Chiesa tributa al Cuore del Redentore divino. Orbene, come voi ben sapete, Venerabili Fratelli, tale motivo è duplice. L’uno, cioè, che è comune anche alle altre sacrosante membra del corpo di Gesù Cristo, è costituito dal fatto che il suo Cuore, essendo una parte nobilissima dell’umana natura, è unito ipostaticamente alla Persona del Verbo di Dio; pertanto, esso è meritevole dell’unico e identico culto di adorazione con cui la Chiesa onora la Persona dello stesso Figlio di Dio Incarnato. Si tratta di una verità di fede cattolica, essendo stata solennemente definita nei Concili Ecumenici di Efeso e II di Costantinopoli. L’altro motivo, che appartiene in modo speciale al Cuore del Divin Redentore, e che perciò conferisce al medesimo un titolo tutto proprio a ricevere il culto di latria, risulta dal fatto che il suo Cuore, più di ogni altro membro del suo corpo, è l’indice naturale, ovvero il simbolo della sua immensa carità per il genere umano. « È insita nel Sacro Cuore, come osservava il Nostro Predecessore Leone XIII di imm. mem., la qualità di simbolo e di espressiva immagine dell’infinita carità di Gesù Cristo, che ci stimola a ricambiarlo col nostro amore ». – È fuor di dubbio che nei Libri Sacri non si hanno mai sicuri indizi di un culto di speciale venerazione e di amore, tributato al Cuore fisico del Verbo Incarnato, per la sua prerogativa di simbolo della sua accesissima carità. Ma questo fatto, se è doveroso apertamente riconoscerlo, non ci deve recar meraviglia, né in alcun modo indurci a dubitare che la carità, la quale è la ragione principale di questo culto, sia nell’Antico, che nel Nuovo Testamento, è esaltata e inculcata con immagini tali, da commuovere potentemente gli animi. Queste immagini, poiché sono contenute nei Libri Sacri che preannunziavano la venuta del Figlio di Dio, fatto uomo, possono considerarsi come un presagio di quello che doveva essere il più nobile simbolo e indice dell’amore divino, cioè del Cuore sacratissimo e adorabile del Redentore Divino. – Per quanto riguarda lo scopo della presente Lettera non crediamo necessario addurre molte testimonianze dei libri dell’Antico Testamento, nei quali sono contenute le prime verità divinamente rivelate; ma stimiamo sia sufficiente far rilevare che l’Alleanza stipulata tra Dio e il popolo eletto e sancita con vittime pacifiche — le cui leggi fondamentali, scolpite su due tavole, furono promulgate da Mosè e interpretate dai Profeti — fu un patto oltre che fondato sui vincoli di supremo dominio da parte di Dio e di doverosa ubbidienza da parte dell’uomo, consolidato e vivificato, anche dai più nobili motivi dell’amore. Infatti, anche per il popolo d’Israele la ragione suprema della sua obbedienza doveva essere non tanto il timore dei divini castighi, che i tuoni e le folgori sprigionantisi dalla vetta del Sinai incutevano negli animi, quanto piuttosto il doveroso amore verso Dio; « Ascolta, Israele: il Signore Dio nostro è il solo Signore. Amerai il Signore Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutte le tue forze. Queste parole che io oggi ti bandisco, staranno nel tuo cuore ». – Non deve pertanto meravigliare se Mosè e i Profeti, che a buon diritto l’Angelico Dottore chiama i « maggiori » del popolo eletto, ben comprendendo che il fondamento di tutta la Legge era riposto in questo comandamento dell’amore, hanno descritto tutti i rapporti esistenti tra Dio e la sua Nazione ricorrendo a similitudini tratte dal reciproco amore tra padre e figli, o dall’amore dei coniugi, piuttosto che rappresentarli con immagini severe ispirate al supremo dominio di Dio, o alla dovuta e timorosa servitù di noi tutti. – Così, ad esempio, Mosè stesso, nel celeberrimo suo cantico di liberazione del popolo dalla schiavitù dell’Egitto, volendo significare che essa era avvenuta per l’intervento onnipossente di Dio, ricorre a queste espressioni ed immagini, che riempiono l’animo di commozione: « Com’aquila che addestra al volo i suoi piccoli e vola sovr’essi, stese le sue ali (il Signore), sollevò Israele, e lo portò sulle sue spalle ». – Ma forse nessun altro tra i Profeti, meglio di Osea, manifesta e descrive con accenti veementi l’amore, mai venuto meno, di Dio verso il suo popolo Nel linguaggio infatti di questo eccellentissimo tra i Profeti minori per profondità di concetti e concisione di espressioni, Dio manifesta un tale amore verso il Popolo Eletto, cioè giusto e santamente sollecito, qual è appunto l’amore di un padre misericordioso e amorevole, o di uno sposo adirato per il suo onore offeso. È un amore, che, lungi dal venir meno alla vista di mostruose infedeltà e di ignobili tradimenti, prende sì da essi motivo per infliggere ai colpevoli i meritati castighi — non già per ripudiarli e abbandonarli a se stessi — ma soltanto allo scopo di vedere la sposa resasi estranea e infedele, ed i figli ingrati, pentirsi, purificarsi e tornare a riunirsi con Lui con rinnovati e più solidi vincoli di amore. « Quando era fanciullo Israele, io l’amai e dall’Egitto ho chiamato il figlio mio… Ed io ho fatto da balia ad Efraim; ho portato essi in braccio, ma non compresero la cura ch’io avevo di loro. Li ho attirati a me con attrattive piene d’umanità e con vincoli d’amore… Io sanerò le loro piaghe, li amerò spontaneamente, perché la mia collera si è da loro allontanata. Sarò come rugiada, e Israele fiorirà come giglio e dilaterà radici come il Libano ». – Accenti simili a questi risuonano sulle labbra del profeta Isaia, allorché, impersonando gli opposti sentimenti di Dio stesso e del Popolo Eletto, esce in queste espressioni: « Sion aveva detto: “ Il Signore mi ha abbandonato, il Signore si è scordato di me! ”. Potrà forse una donna dimenticare il suo bambino, da non sentire più compassione per il figlio delle sue viscere? e se pur questa lo potrà dimenticare, io non mi dimenticherò mai di te! ». Né meno commoventi sono le espressioni, con le quali l’Autore del Cantico dei Cantici, servendosi del simbolismo dell’amore coniugale, dipinge con vividi colori i legami di vicendevole amore, che uniscono fra loro Dio e la Nazione da Lui prediletta: «Come un giglio fra gli spini, così l’amica mia tra le fanciulle!… Io sono del mio diletto, e il mio diletto è per me, egli che pascola tra i gigli… Mettimi come un sigillo sul tuo cuore, come un sigillo sul tuo braccio, perché forte come la morte è l’amore, inesorabile come gli Inferi la gelosia: le sue fiaccole sono fiaccole di fuoco e di fiamme ». – Tuttavia questo tenerissimo, indulgente e longanime amore di Dio, che, pur sdegnandosi per le ripetute infedeltà del popolo di Israele, mai giunse a ripudiarlo definitivamente, benché siasi manifestato come veemente e sublime, non fu in sostanza che preludio di quell’ardentissima carità, che il Redentore promesso avrebbe riversato dal suo amantissimo Cuore su tutti, e che sarebbe dovuta divenire il modello del nostro amore e la pietra angolare della Nuova Alleanza. Solo infatti Colui che è l’Unigenito del Padre e il Verbo fatto carne « pieno di grazia e di verità », essendosi avvicinato agli uomini, oppressi da innumerevoli peccati e miserie, poté far scaturire dalla sua umana natura, unita ipostaticamente alla sua Divina Persona, « una sorgente di acqua viva », che irrigasse copiosamente l’arida terra dell’umanità e la trasformasse in giardino fiorente e fruttifero. – È nel profeta Geremia che si ha un lontano presagio di questo stupendo prodigio, che sarebbe stato l’effetto del misericordiosissimo ed eterno amore di Dio: « D’un amore eterno ti ho amato e perciò ti ho tirato a me pieno di compassione… Ecco che verranno giorni, dice il Signore, e io stringerò con la casa di Israele e con la casa di Giuda una nuova alleanza… Questa sarà l’alleanza che avrò stretta con la casa d’Israele dopo quei giorni, dice il Signore: Io metterò la mia legge nel loro interno e la scriverò nel loro cuore, e sarò il loro Dio, ed essi saranno il mio popolo…; perché farò grazia alle loro iniquità e del loro peccato non mi ricorderò più ».

II.

Ma soltanto dai Vangeli veniamo a conoscere con perfetta chiarezza che la nuova Alleanza stipulata tra Dio e l’umanità — di cui si erano avuti la prefigurazione simbolica nell’alleanza sancita tra Dio e il popolo d’Israele per mezzo di Mosè e il preannunzio nel vaticinio di Geremia — è quella stessa che è stata attuata mediante l’opera conciliatrice di grazia del Verbo Incarnato. Questa Alleanza è da stimarsi incomparabilmente più nobile e più solida, perché, a differenza della precedente, non è stata sancita nel sangue di capri e di vitelli, ma nel Sangue sacrosanto di Colui, che quegli stessi pacifici ed irrazionali animali avevano prefigurato come « l’Agnello che toglie il peccato del mondo ». – Ebbene, l’Alleanza Messianica, più ancora che l’antica, si manifesta chiaramente come un patto non ispirato da sentimenti di servitù e di timore, ma da quella specie di amicizia, che deve regnare nelle relazioni tra padre e figli, essendo essa alimentata e consolidata da una più munifica elargizione di grazia divina e di verità, conforme alla sentenza dell’Evangelista S. Giovanni: « E della pienezza di Lui tutti abbiamo ricevuto, e grazia su grazia. Perché la legge è stata data da Mosè; la grazia e la verità sono venute da Gesù Cristo ». – Introdotti con queste parole del «Discepolo prediletto da Gesù, quegli che durante la cena aveva posato il capo sul petto di Gesù »(28), nel mistero stesso dell’infinita carità del Verbo Incarnato, è cosa degna e giusta, equa e salutare, che noi ci soffermiamo alquanto, Venerabili Fratelli, nella contemplazione di così soave mistero, affinché, illuminati dalla luce che su di esso riflettono le pagine del Vangelo, possiamo anche noi esperimentare il felice adempimento del voto che l’Apostolo formulava scrivendo ai fedeli di Efeso: « Cristo dimori nei vostri cuori per mezzo della fede, e voi, radicati e fortificati in amore, siate resi capaci di comprendere con tutti i santi quali siano la larghezza e la lunghezza e l’altezza e la profondità, e intendere quest’amore di Cristo che sorpassa ogni scienza, affinché siate ripieni di tutta la pienezza di Dio ». – Il Mistero della Divina Redenzione, infatti, è propriamente e naturalmente un mistero di amore: un mistero, cioè, di amore giusto da parte di Cristo verso il Padre celeste, cui il sacrificio della Croce, offerto con animo amante ed obbediente, presenta una soddisfazione sovrabbondante ed infinita per le colpe del genere umano: «Cristo, soffrendo per carità ed ubbidienza, offrì a Dio qualche cosa di maggior valore, che non esigesse la compensazione per tutte le offese a Dio fatte dal genere umano ». Inoltre, il Mistero della Redenzione è un mistero di amore misericordioso dell’Augusta Trinità e del Redentore divino verso l’intera umanità, poiché questa, essendo del tutto incapace di offrire a Dio una soddisfazione degna per i propri delitti, Cristo, mediante le inscrutabili ricchezze di meriti, che si acquistò con l’effusione del suo preziosissimo Sangue, poté ristabilire e perfezionare quel patto di amicizia tra Dio e gli uomini, ch’era stato una prima volta violato nel Paradiso terrestre per colpa di Adamo, e poi innumerevoli volte per le infedeltà del Popolo Eletto. – Pertanto il Divin Redentore — nella sua qualità di legittimo e perfetto Mediatore nostro — avendo, sotto lo stimolo di una accesissima carità per noi, conciliato perfettamente i doveri e gli impegni del genere umano con i diritti di Dio, è stato indubbiamente l’autore di quella meravigliosa conciliazione tra la divina giustizia e la divina misericordia, che costituisce appunto l’assoluta trascendenza del mistero della nostra salvezza, così sapientemente espressa dall’Angelico Dottore in queste parole: «Giova osservare che la liberazione dell’uomo, mediante la passione di Cristo, fu conveniente sia alla sua misericordia che alla sua giustizia. Alla giustizia anzitutto, perché con la sua passione Cristo soddisfece per la colpa del genere umano: e quindi per la giustizia di Cristo l’uomo fu liberato. Alla misericordia, poi, poiché, non essendo l’uomo in grado di soddisfare per il peccato inquinante tutta l’umana natura, Dio gli donò un riparatore nella persona del Figlio suo. Ora questo fu da parte di Dio un gesto di più generosa misericordia, che se Egli avesse perdonato i peccati senza esigere alcuna soddisfazione. Perciò sta scritto: “Dio, ricco di misericordia, per il grande amore che ci portava pur essendo noi morti per le nostre colpe, ci richiamò a vita in Cristo” ». – Ma, affinché possiamo veramente, per quanto è consentito a uomini mortali, « comprendere con tutti i santi, quali siano la larghezza e la lunghezza e l’altezza e la profondità dell’arcana carità del Verbo Incarnato verso il suo celeste Padre e verso gli uomini macchiati di tante colpe; occorre tener ben presente che il suo amore non fu unicamente spirituale, come si addice a Dio, poiché « Iddio è spirito ». Indubbiamente d’indole puramente spirituale fu l’amore nutrito da Dio per i nostri progenitori e per il popolo ebraico; perciò, le espressioni di amore umano, sia coniugale che paterno, che si leggono nei Salmi, negli scritti dei Profeti e nel Cantico dei Cantici, sono indizi e simboli di una dilezione verissima ma del tutto spirituale, con la quale Dio amava il genere umano; al contrario, l’amore che spira dal Vangelo, dalle lettere degli Apostoli e dalle pagine dell’Apocalisse, dov’è descritto altresì l’amore del Cuore di Gesù Cristo, non comprende soltanto la carità divina, ma si estende ai sentimenti dell’affetto umano. Per chiunque fa professione di fede cattolica è questa una verità inconcussa. Il Verbo di Dio, infatti, non ha assunto un corpo illusorio e fittizio, come già nel primo secolo dell’era cristiana osarono affermare alcuni eretici, attirandosi la severa condanna dell’apostolo S. Giovanni: «Poiché sono usciti per il mondo molti seduttori, i quali non confessano che Gesù Cristo sia venuto nella carne. Questo è il seduttore e l’anticristo »; ma Egli ha unito alla sua divina Persona una natura umana individua, integra e perfetta, concepita nel seno purissimo di Maria Vergine per virtù dello Spirito Santo(36). Niente, dunque, mancò alla natura umana assunta dal Verbo di Dio; in verità, Egli la possedette senza alcuna diminuzione, senza alcuna alterazione, tanto nei suoi elementi costitutivi spirituali quanto nei corporali, vale a dire: dotata di intelligenza e di volontà, e delle altre facoltà conoscitive interne ed esterne; dotata parimenti delle potenze affettive sensitive e di tutte le loro corrispondenti passioni. È questo l’insegnamento della Chiesa Cattolica, sanzionato e solennemente confermato dai Romani Pontefici e dai Concili Ecumenici: « Integro nelle sue proprietà, integro nelle nostre »(37); « perfetto nella Divinità ed Egli stesso perfetto nell’umanità »; « tutto Dio (fatto) uomo, e tutto l’uomo (sussistente in) Dio ». Non essendovi allora alcun dubbio che Gesù Cristo abbia posseduto un vero corpo umano, dotato di tutti i sentimenti che gli sono propri, tra i quali ha chiaramente il primato l’amore, è altresì verissimo che Egli fu provvisto di un cuore fisico, in tutto simile al nostro, non essendo possibile che la vita umana, priva di questo eccellentissimo membro del corpo, abbia la sua connaturale attività affettiva. Pertanto il Cuore di Gesù Cristo, unito ipostaticamente alla Persona divina del Verbo, dovette indubbiamente palpitare d’amore e di ogni altro affetto sensibile; questi sentimenti, però, erano talmente conformi e consonanti con la volontà umana, ricolma di carità divina, e con lo stesso infinito amore, che il Figlio ha comune con il Padre e con lo Spirito Santo, che mai tra questi tre amori s’interpose alcunché di contrario e discorde. – Tuttavia, il fatto che il Verbo di Dio abbia assunto una vera e perfetta natura umana, e si sia plasmato e quasi modellato un cuore di carne, che, non meno del nostro, fosse capace di soffrire e di essere trafitto, questo fatto, diciamo, se non è visto e considerato nella luce, la quale emana non solo dall’unione ipostatica e sostanziale, ma anche dalla verità della umana Redenzione, ch’è, per così dire, il complemento di quella, potrebbe ad alcuni apparire « scandalo » e « stoltezza », come infatti tale sembrò « Cristo Crocifisso » ai Giudei e ai Gentili. Orbene, i Simboli della fede, perfettamente concordi con le Divine Scritture, ci assicurano che il Figlio Unigenito di Dio ha assunto la natura passibile e mortale in vista principalmente del Sacrificio cruento della croce, che Egli desiderava offrire allo scopo di compiere l’opera dell’umana salute. È questo del resto, l’insegnamento espresso dall’Apostolo delle genti: « Poiché sia chi santifica sia i santificati provengono tutti da uno; è per questo che non ha scrupolo di chiamarli fratelli dicendo: « Annunzierò il tuo nome ai miei fratelli ». E ancora: « Eccomi, io e i figlioli che Dio mi ha dato ». Poiché dunque i figliuoli partecipano del sangue e della carne, anch’egli ugualmente ne ebbe parte… « Ond’è ch’egli doveva in tutto essere fatto simile ai suoi fratelli, per diventare misericordioso e fedele sacerdote nelle cose divine, affinché fossero espiate le colpe del popolo. Perché appunto per essere stato provato lui e avere sofferto, per questo può venire in aiuto a quelli che sono nella prova ». – I Santi Padri, veridici testimoni della divina rivelazione, ben compresero, dietro il chiaro insegnamento dell’Apostolo Paolo, che il mistero dell’amore divino è in pari tempo il fondamento e il culmine sia dell’Incarnazione, sia della Redenzione. Infatti, nei loro scritti sono frequenti e luminosi i passi, nei quali si legge che lo scopo per cui Gesù Cristo assunse una natura umana integra e un corpo caduco e fragile come il nostro, fu appunto quello di provvedere alla nostra salvezza e di manifestare a noi nel modo più evidente il suo amore infinito, compreso quello sensibile. – San Giustino, quasi facendo eco alle parole dell’Apostolo, scrive: « Noi adoriamo ed amiamo il Verbo, nato dall’ingenito e ineffabile Dio; Egli in verità si è fatto uomo per noi, affinché, resosi partecipe delle nostre umane affezioni, recasse ad esse il rimedio ». San Basilio, poi, il primo dei tre Padri Cappadoci, afferma decisamente che gli affetti sensibili di Cristo furono ad un tempo veri e santi: « Benché sia a tutti noto che il Signore ha assunto gli affetti naturali per confermare la realtà dell’Incarnazione, vera e non fantastica; tuttavia Egli respinse da sé gli affetti disordinati, che inquinano la purezza della nostra vita, perché li ritenne indegni della sua incontaminata divinità ». Anche per San Giovanni Crisostomo, il più illustre decoro della Chiesa Antiochena, le emozioni sensibili, cui andò soggetto il Redentore divino, cooperarono mirabilmente a comprovare che Egli aveva assunto una natura umana integra sotto ogni aspetto: « Infatti, se Egli non fosse stato composto della nostra natura, non avrebbe pianto per ben due volte ». – Fra i Padri Latini meritano di essere ricordati coloro, che la Chiesa onora oggi tra i principali suoi Dottori. Così Sant’Ambrogio vede nell’unione ipostatica la sorgente naturale delle affezioni e commozioni sensibili, cui andò soggetto il Verbo di Dio fatto uomo: « Pertanto, poiché Egli assunse l’anima, ne assunse parimente le passioni; in quanto Dio, infatti, com’Egli era, non avrebbe potuto né turbarsi né morire »(46). Anche San Girolamo dall’esistenza in Cristo di quelle affezioni sensibili trae l’argomento più persuasivo per asserire ch’Egli aveva realmente assunto l’umana natura: Il Signor nostro, per manifestare che aveva veramente unito alla sua Persona la natura dell’uomo, soggiacque veramente alla tristezza. – Sant’Agostino poi con particolare insistenza rileva l’intimo nesso che esiste tra le affezioni sensibili del Verbo Incarnato e il fine dell’umana redenzione: « Ora il Signore Gesù assunse questi sentimenti della fragile natura umana, come la carne stessa che fa parte dell’inferma natura dell’uomo, e la morte dell’umana carne, non spinto da bisogno della sua condizione divina, ma stimolato dalla sua libera volontà di usarci misericordia; allo scopo, cioè, di offrire in se stesso il modello da imitare al suo corpo, che è la Chiesa, di cui si degnò di farsi capo, vale a dire, alle sue membra, che sono i suoi santi e i suoi fedeli; in modo che se ad alcuno di loro, sotto l’assalto delle umane tentazioni, accadesse di rattristarsi e soffrire, non per ciò stimasse di essersi sottratto all’influsso della sua grazia; e comprendesse che tali affezioni non sono di per sé peccati, ma solo indizi dell’ umana passibilità. Così il suo Mistico Corpo, simile ad un coro di voci che s’accorda a quella di chi dà l’intonazione, avrebbe imparato dal suo proprio Capo ». – Più concisamente, ma non meno efficacemente dei precedenti, manifestano la dottrina della Chiesa i seguenti testi di San Giovanni Damasceno: «Certamente, tutto Dio ha assunto tutto ciò ch’è in me uomo, e tutto si è unito a tutto, affinché arrecasse la salvezza a tutto l’uomo. Poiché, altrimenti, non avrebbe potuto essere sanato ciò che non fosse stato assunto ». « Cristo dunque, assunse tutti gli elementi componenti l’umana natura, affinché li santificasse tutti ». – È doveroso tuttavia riconoscere che né gli Autori sacri, né i Padri della Chiesa, sia nei testi riferiti che in molti altri simili, pur affermando chiaramente la realtà delle affezioni sensibili, che commovevano l’animo di Gesù Cristo, e pur mettendo in stretto rapporto l’assunzione dell’umana natura con lo scopo della nostra eterna salvezza prefissosi da Cristo, mai pongono in esplicito rilievo il nesso esistente tra quegli stessi affetti e il cuore fisico del Salvatore, così da indicare in esso espressamente il simbolo del suo amore infinito. – Ma, se gli Evangelisti e gli altri scrittori ecclesiastici non ci rivelano direttamente gli effetti vari che nel ritmo pulsante del Cuore del Redentore nostro, non meno vivo e sensibile del nostro, dovettero indubbiamente produrre le passioni del suo animo e il ridondante amore della sua duplice volontà, divina ed umana, essi mettono però in evidenza l’amore e tutti gli altri sentimenti con esso connessi, cioè: il desiderio, la letizia, la tristezza, il timore, l’ira, secondo che si manifestavano attraverso il suo sguardo, le parole, i gesti. E principalmente il Volto adorabile del Salvatore nostro dovette apparire l’indice e quasi lo specchio fedelissimo di quelle affezioni, che, commovendo in vari modi il suo animo, a somiglianza di onde che si ripercuotono sulle opposte rive, raggiungevano il suo Cuore santissimo e ne eccitavano i battiti. In verità, anche a proposito di Cristo vale quanto l’Angelico Dottore, ammaestrato dalla comune esperienza, osserva in materia di psicologia umana e dei fenomeni ad essi connessi: «Il turbamento prodotto dall’ira raggiunge anche le membra esterne; e soprattutto si fa notare in quelle membra, nelle quali più apertamente si riflette l’influsso del cuore, come negli occhi, nel volto e nella lingua ». – A buon diritto, dunque, il Cuore del Verbo Incarnato è considerato come il principale simbolo di quel triplice amore, col quale il Divino Redentore ha amato e continuamente ama l’Eterno Padre e l’umanità. Esso, cioè, è anzitutto il simbolo dell’amore, che Egli ha comune col Padre e con lo Spirito Santo, ma che soltanto in Lui, perché Verbo fatto carne, si manifesta attraverso il fragile e caduco velo del corpo umano, « poiché in Esso abita corporalmente tutta la pienezza della Divinità ». Inoltre, il Cuore di Cristo è il simbolo di quell’ardentissima carità, che, infusa nella sua anima, costituisce la preziosa dote della sua volontà umana e i cui atti sono illuminati e diretti da una duplice perfettissima scienza, la beata cioè e l’infusa. Finalmente — e ciò in modo ancor più naturale e diretto — il Cuore di Gesù è il simbolo del suo amore sensibile, giacché il corpo del Salvatore divino, plasmato nel seno castissimo della Vergine Maria per influsso prodigioso dello Spirito Santo, supera in perfezione e quindi in capacità percettiva ogni altro organismo umano. – Edotti allora dai Sacri Testi e dai simboli di fede della perfetta consonanza ed armonia regnante nell’anima santissima di Gesù Cristo, e dell’aver Egli diretto al fine della nostra Redenzione tutte le manifestazioni del suo triplice amore, noi possiamo con ogni sicurezza contemplare e venerare nel Cuore del Divin Redentore l’immagine eloquente della sua carità e il documento dell’avvenuta nostra redenzione, come pure quasi la mistica scala per salire all’amplesso di « Dio Salvatore nostro » . Perciò nelle parole, negli atti, negli insegnamenti, nei miracoli e specialmente nelle opere che più luminosamente testimoniano il suo amore per noi — come l’istituzione della divina Eucaristia, la sua dolorosa Passione e Morte, la donazione della sua Santissima Madre, la fondazione della Chiesa, la missione dello Spirito sugli Apostoli e su tutti i credenti — in tutte queste opere, ripetiamo, noi dobbiamo ammirare altrettante testimonianze del suo triplice amore; e meditare i battiti del suo Cuore, con i quali sembrò che Egli misurasse gli attimi di tempo del suo pellegrinaggio terreno, fino al supremo istante, in cui, come ci attestano gli Evangelisti: « Gesù, dopo aver di nuovo gridato con gran voce, disse: È compiuto. E chinato il capo, rese lo spirito ». Fu allora che il battito del suo Cuore si arrestò, e il suo amore sensibile rimase come sospeso fino all’istante della Risurrezione gloriosa. Unitasi quindi nuovamente l’anima del Redentore vittorioso  della morte al suo corpo glorificato, il Cuore suo Sacratissimo riprese il suo battito regolare e da allora non ha mai cessato né cesserà di significare, con ritmo ormai divenuto per sempre calmo e imperturbabile, il triplice amore che vincola il Figlio di Dio al suo celeste Padre e all’intera comunità umana, di cui è, con pieno diritto, il Mistico Capo.

[Continua …]

DOMENICA XIII DOPO PENTECOSTE (2021)

DOMENICA XIII dopo PENTECOSTE (2021)

La Chiesa ci fa leggere in questo tempo nel Breviario il principio del libro dell’Ecclesiaste: « Vanità delle vanità, dice l’autore sacro, tutto è vanità. Si dimentica ciò che è passato, e le cose che debbono ancora venire non lasceranno ricordi presso quelli che verranno più tardi. Io ho vedute tutte le cose che avvengono sotto il sole, ed ecco che sono tutte vanità e afflizione dell’anima. I perversi difficilmente si correggono e infinito è il numero degli insensati » (7° Nott.). « Dopo che Salomone poté contemplare la luce della vera sapienza, dice S. Giovanni Crisostomo, uscì in questa esclamazione sublime e degna del cielo: « Vanità delle vanità, tutto è vanità! ». A vostra volta, se volete, potete rendere simile testimonianza. È vero che nei secoli passati, Salomone non era tenuto a una diligente ricerca della sapienza, poiché l’antica legge non considerava vanità il godimento dei beni superflui; tuttavia, malgrado questo stato di cose, si può vedere quanto siano vili e dispregevoli. Ma noi, chiamati a virtù più perfette, saliamo a cime più alte, ci esercitiamo in opere più difficili. Che dire di più se non che ci è stato comandato di regolare la nostra vita su virtù celesti, che non hanno nulla di materiale e che sono tutta intelligenza? » (2° Nott.). Queste virtù celesti sono per eccellenza, le tre virtù teologali: « fede, speranza, carità » che l’orazione ci fa chiedere a Dio affinché noi « non amiamo se non quello che Egli ci comanda ». Ed è per questo motivo che la Chiesa fa leggere in questo giorno [‘Epistola di S. Paolo ai Corinti, che ha per oggetto la fede in Gesù Cristo, fede che agisce mediante la carità e che ci fa mettere, come già Abramo, la nostra speranza nel divino Salvatore. Infatti solo per questa fede operante e confidente, le anime coperte dalla lebbra del peccato vengono guarite come ci mostra il Vangelo. I dieci lebbrosi che rappresentano in qualche modo le trasgressioni fatte dagli uomini ai dieci comandamenti, scorgono il loro divino Medico e, ponendo subito in Lui ogni speranza:« Maestro, abbi pietà di noi! » gridano. La fede loro è operante,perché quando Cristo li mette alla prova dicendo: « Andate, mostratevi ai sacerdoti », essi vanno senza esitare e, andando, sono guariti. Ma questa guarigione è confermata da uno solo di quelli che tornò indietro per mostrare la sua riconoscenza a Gesù « Quando uno di essi si vide guarito, tornò sui suoi passi, glorificando Dio ad alta voce e cadendo con la faccia a terra ai piedi di Gesù, lo ringraziò ». Gesù allora gli disse: « Va, la tua fede ti ha salvato ». Questo mostra che è la fede in Gesù che salva le anime. Ora se è la fede in Gesù che salva le anime, la Chiesa ha precisamente da Gesù la missione di far penetrare nelle anime questa fede mediante la predicazione e la lettura. Questo passo del Vangelo ci indica anche l’espulsione dei Giudei che sono stati ingrati verso Colui che era venuto per guarirli, mentre i Gentili gli sono stati fedeli. Dei dieci lebbrosi infatti nove erano Giudei e uno solo non lo era, ed è a questo solo — che era Samaritano, e tornò indietro a ringraziare il Salvatore —che Gesù dice: La tua fede t’ha salvato. Da ciò si vede non essere soltanto ai figli d’Abramo secondo il sangue che è stata fatta questa promessa, ma ancora a tutti coloro i quali sono suoi figli perché partecipi della sua fede in Gesù Cristo. Infatti, è per questa fede che la promessa di vita eterna fatta ad Abramo si estende a tutti i popoli. Così l’Orazione della III Profezia del Sabato Santo dice che « col Battesimo, Dio, moltiplicando i figli della promessa stabilisce Abramo, suo servo, padre di tutte le genti secondo la profezia ». « Fate, soggiunge la quarta Orazione, che tutti i popoli della terra diventino figli d’Abramo e partecipino della grandezza toccata in sorte al popolo d’Israele». I Gentili occupano dunque il posto dei Giudei. « I nove, commenta S. Agostino, gonfi d’orgoglio, credevano di umiliarsi col ringraziare; e non ringraziando sono stati riprovati e rigettati dall’unità che si trova nel numero dieci (vi erano dieci lebbrosi), mentre l’unico che ringrazia è approvato dall’unica Chiesa. — Così per il loro orgoglio, i Giudei perdettero il regno dei cieli dove regna la più grande unità; mentre il Samaritano, sottomettendosi al re col suo ringraziamento, ha conservata l’unità del regno per la sua devozione. piena di umiltà» (Mattutino). I Giudei entreranno in massa nel regno dei cieli alla fine del mondo, allorché crederanno in Gesù, ed è a ciò cui fa allusione l’Introito quando essi chiedono che la loro esclusione dalla Chiesa non sia irrevocabile: « Ricordati, o Signore, della tua alleanza, non abbandonare le anime dei poveri alla fine.  Perché, o Dio, ci hai rigettati? Perché la tua collera si è accesa contro le pecore del tuo ovile? ». E la Chiesa chiede a Dio « d’essere propizio al suo popolo, e, placato dal sacrificio che gli viene offerto, di perdonare la sua ingratitudine » (Secr.). Quanto ai Gentili, essi dicono a Gesù che ripongono in Lui tutta la loro speranza (Off.) perché si è fatto loro rifugio di generazione in generazione (All.) e li nutre del suo pane celeste, come fece per gli Ebrei nel deserto, allorché dette la manna che conteneva ogni sapore ed ogni dolcezza (Com.).

Incipit

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Ps LXXIII: 20; 19; 23
Réspice, Dómine, in testaméntum tuum, et ánimas páuperum tuórum ne derelínquas in finem: exsúrge, Dómine, et júdica causam tuam, et ne obliviscáris voces quæréntium te.

[Signore, abbi riguardo al tuo patto e non abbandonare per sempre le anime dei tuoi poveri: sorgi, o Signore, difendi la tua causa e non dimenticare le voci di coloro che Ti cercano.]

Ps LXXIII: 1

Ut quid, Deus, reppulísti in finem: irátus est furor tuus super oves páscuæ tuæ?
[Perché, o Signore, ci respingi ancora? Perché arde la tua ira contro il tuo gregge?]

Réspice, Dómine, in testaméntum tuum, et ánimas páuperum tuórum ne derelínquas in finem: exsúrge, Dómine, et júdica causam tuam, et ne obliviscáris voces quæréntium te.

[Signore, abbi riguardo al tuo patto e non abbandonare per sempre le ànime dei tuoi poveri: sorgi, o Signore, difendi la tua causa e non dimenticare le voci di coloro che Ti cercano.]

Oratio

Orémus.
Omnípotens sempitérne Deus, da nobis fídei, spei et caritátis augméntum: et, ut mereámur asséqui quod promíttis, fac nos amáre quod præcipis.

[Onnipotente e sempiterno Iddio, aumenta in noi la fede, la speranza e la carità: e, affinché meritiamo di raggiungere ciò che prometti, fa che amiamo ciò che comandi.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti S. Pauli Apóstoli ad Gálatas.

[Gal. III: 16-22]

“Fratres: Abrahæ dictæ sunt promissiónes, et sémini ejus. Non dicit: Et semínibus, quasi in multis; sed quasi in uno: Et sémini tuo, qui est Christus. Hoc autem dico: testaméntum confirmátum a Deo, quæ post quadringéntos et trigínta annos facta est lex, non írritum facit ad evacuándam promissiónem. Nam si ex lege heréditas, jam non ex promissióne. Abrahæ autem per repromissiónem donávit Deus. Quid igitur lex? Propter transgressiónes pósita est, donec veníret semen, cui promíserat, ordináta per Angelos in manu mediatóris. Mediátor autem uníus non est: Deus autem unus est. Lex ergo advérsus promíssa Dei? Absit. Si enim data esset lex, quæ posset vivificáre, vere ex lege esset justítia. Sed conclúsit Scriptúra ómnia sub peccáto, ut promíssio ex fide Jesu Christi darétur credéntibus”.

[“Fratelli: Le promesse furono fatte ad Abramo ed alla sua discendenza. Non dice la scrittura: E ai suoi discendenti, come si trattasse di molti; ma come parlando di uno solo: E alla tua discendenza; e questa è Cristo. Ora, io ragiono così; un’alleanza convalidata da Dio non può, da una legge venuta quattrocento anni dopo, essere annullata, così da rendere vana la promessa. Poiché, se l’eredità viene dalla legge, non vien più dalla promessa. Ma Dio l’ha donata ad Abramo in virtù d’una promessa. Perché dunque la legge? È stata aggiunta in vista delle trasgressioni, finché non venisse la discendenza a cui era stata fatta la promessa, e fu promulgata per mezzo degli Angeli per mano di un mediatore. Ora non si dà mediatore di uno solo, e Dio è uno solo. Dunque la legge è contraria alle promesse di Dio? Niente affatto. Se fosse stata data una legge capace di procurarci la vita, allora, sì, la giustizia verrebbe dalla legge. Ma la Scrittura ha racchiuso tutto sotto il peccato, affinché la promessa, mediante la fede in Gesù Cristo, fosse data ai credenti»”.

UNO SGUARDO AL CROCIFISSO

S. Paolo aveva insegnato ai Galati che la giustificazione non dipende dalla legge di Mosè, ma dalla fede in Gesù Cristo, morto per noi in croce. Ma Gesù Crocifisso. dipinto tanto vivamente dall’Apostolo ai Galati, era stato ben presto dimenticato da essi, lasciatisi affascinare da coloro che insegnavano dover noi attendere la nostra salvezza dalla legge. S. Paolo, rimproverata la loro stoltezza, nota come Gesù, morendo sulla croce, maledetta dalla legge, libera i Giudei dalla maledizione, e conferisce a tutti, Giudei e Gentili, che si uniscono nella fede in Gesù Cristo, lo Spirito promesso. Passa poi a far osservare come vediamo nell’epistola di quest’oggi, che la promessa dei beni celesti, fatta ad Abramo e alla sua discendenza. cioè al Cristo, nel quale si sarebbero unite tutte le nazioni a formare un solo popolo, essendo incondizionata, fatta ad Abramo direttamente da Dio, e da Dio confermata, aveva tutto il carattere d’un patto irremissibile. Non poteva, quindi, venir indebolita o modificata dalla legge di Mosè venuta 430 anni dopo, con un contratto temporaneo. La legge, del resto, non escludeva la promessa, dal momento che essa non poteva giustificare e dare la vita, come fa la promessa. E neppure fu inutile; perché, facendo conoscere i numerosi doveri da compiere, senza porgere l’aiuto necessario, metteva l’uomo nella condizione di dover sperimentare tutta la propria debolezza e di sentir la necessità d’un Redentore; e di riconoscere, per conseguenza, che le celesti benedizioni non possono essere effetto della legge, ma della promessa, e che non si ottengono che con la fede in Gesù Cristo. Gesù Cristo, che morendo in croce, adempie le promesse fatte da Dio, sarà l’argomento di questa mattina. – Gesù Cristo Crocifisso, così presto dimenticato dai Galati, fermi la nostra attenzione.

 [A. Castellazzi: La scuola degli Apostoli – Sc. Tip. Vescov. Artigianelli, Pavia, 1920]

Graduale

Ps LXXIII:20; 19; 22.

Réspice, Dómine, in testaméntum tuum: et ánimas páuperum tuórum ne obliviscáris in finem.
[Signore, abbi riguardo al tuo patto: e non dimenticare per sempre le ànime dei tuoi poveri.]

Exsúrge, Dómine, et júdica causam tuam: memor esto oppróbrii servórum tuórum. Allelúja, allelúja
[V. Sorgi, o Signore, e difendi la tua causa e ricordati dell’oltraggio a Te fatto. Allelúia, allelúia].

Alleluja

Ps LXXXIX: 1
Dómine, refúgium factus es nobis a generatióne et progénie. Allelúja.

[O Signore, Tu fosti il nostro rifugio in ogni età. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia ✠ sancti Evangélii secúndum Lucam.
Luc XVII: 11-19


In illo témpore: Dum iret Jesus in Jerúsalem, transíbat per médiam Samaríam et Galilaeam. Et cum ingrederétur quoddam castéllum, occurrérunt ei decem viri leprósi, qui stetérunt a longe; et levavérunt vocem dicéntes: Jesu præcéptor, miserére nostri. Quos ut vidit, dixit: Ite, osténdite vos sacerdótibus. Et factum est, dum irent, mundáti sunt. Unus autem ex illis, ut vidit quia mundátus est, regréssus est, cum magna voce magníficans Deum, et cecidit in fáciem ante pedes ejus, grátias agens: et hic erat Samaritánus. Respóndens autem Jesus, dixit: Nonne decem mundáti sunt? et novem ubi sunt? Non est invéntus, qui redíret et daret glóriam Deo, nisi hic alienígena. Et ait illi: Surge, vade; quia fides tua te salvum fecit.” 
 

[“In quel tempo andando Gesù in Gerusalemme, passava per mezzo alla Samaria e alla Galilea. E stando por entrare in un certo villaggio, gli andarono incontro dieci uomini lebbrosi, i quali si fermarono in lontananza, e alzarono la voce dicendo: Maestro Gesù, abbi pietà di noi. E miratili, disse: Andate, fatevi vedere da’ sacerdoti. E nel mentre che andavano, restarono sani. E uno di essi accortosi di essere restato mondo, tornò indietro, glorificando Dio, ad alta voce: e si prostrò per terra ai suoi piedi, rendendogli grazie: ed era costui un Samaritano. E Gesù disse: Non sono eglino dieci que’ che son mondati? E i nove dove Sono? Non si è trovato chi tornasse, e gloria rendesse a Dio, salvo questo straniero. E a lui disse: Alzati, vattene, la tua fede ti ha salvato”]

OMELIA

DISCORSI DI SAN G. B. M. VIANNEY CURATO D’ARS

[Vol. IV, Marietti Ed. Torino-Roma, 1933

Visto nulla osta alla stampa, Torino, 25 Novembre 1931.

Teol. TOMMASO CASTAGNO, Rev. Deleg.

Imprimatur. C . FRANCISCUS PALEARI, Prov. Gen.

Proprietà della traduzione (23-XI-07-10- 29-XII-32-15).]

Sull’Assoluzione.

Quorum remiseritis peccata, remittuntur eis; et quorum retinueritis retenta sunt.

(JOAN. XX, 23).

Quanto è costato, F. M., al divin Salvatore il dar efficacia a queste parole: “Saranno rimessi i peccati a chi li rimetterete, e ritenuti a chi li riterrete! „ Ahimè! quanti tormenti, quanti obbrobri, qual morte dolorosa!… Ma noi siamo così ciechi, così grossolani, così poco spirituali, che la maggior parte di noi, crede che spetti solo al sacerdote concedere o rifiutare l’assoluzione, a suo piacimento. No, F. M., ci inganniamo assai: il ministro del sacramento della Penitenza non è che il dispensatoredelle grazie e dei meriti di Gesù Cristo (1 Cor. IV, 1) e non può dispensarli che secondo regole prescritte. Ahimè! da qual terrore deve esser preso un povero sacerdote, che esercita un ministero così formidabile, in cui corre grave pericolo di perder se stesso volendo salvare gli altri. Qual terribile rendiconto dovrà dare il sacerdote, quando verrà il dì del giudizio, e da Dio stesso gli verran messe davanti agli occhi tutte le assoluzioni impartite, per esaminare se fu troppo prodigo delle grazie del cielo o troppo avaro. Davvero, F. M., che è assai difficile adempiere sempre bene il proprio dovere!… Quanti sacerdoti, nel dì del giudizio, desidereranno non essere stati sacerdoti, ma semplici laici! Quanti fedeli pure si riconosceranno colpevoli, perché, forse, non pregarono mai Dio pei loro pastori, che si sono esposti al pericolo di perdersi per salvarli!… Ma se un sacerdote ha il potere di rimettere i peccati, ha pure quello di ritenerli; e S. Gregorio il Grande ci dice che un sacerdote deve esaminar bene le disposizioni del peccatore, prima di dargli l’assoluzione. Deve vedere se il suo cuore è cambiato, se ha davvero tutte le disposizioni, che deve avere un peccatore convertito. È quindi evidente che il ministro della Penitenza deve differire o rifiutare l’assoluzione a certi peccatori, sotto pena di dannare se stesso insieme col penitente. Vi mostrerò dunque, o vi insegnerò: 1° che cos’è l’assoluzione; 2° quali sono coloro ai quali si deve concederla o rifiutarla: argomento ben interessante, poiché trattasi della vostra salvezza o perdizione. Quanto l’uomo è fortunato, F. M., ma quanto altresì è colpevole! Dissi che è fortunato, poiché dopo aver perduto il suo Dio, il cielo e l’anima, può ancora sperare di trovar mezzi facili per riparare una perdita grande, quale è quella d’una felicità eterna. Il ricco che ha perduto le sue sostanze, spesso non può ricuperarle, malgrado ogni suo buon volere; ma se il Cristiano ha perduto la propria felicità eterna, può riacquistarla senza, per così dire, far fatica. Mio Dio! quanto amate i peccatori, poiché date ad essi tanti mezzi di ricuperare il cielo! Vi assicuro che siamo ben colpevoli disprezzando tutti questi mezzi, mentre possiamo con essi conseguire tanti beni. Avete perduto il cielo, amico mio, e perché volete vivere in tanta povertà? Mio Dio! l’uomo peccatore può davvero riparare la sua sventura!… e ha mezzi assai facili a sua portata!

I. — Se mi domandate che cos’è l’assoluzione, vi dirò che è una sentenza che il sacerdote pronuncia, in nome e coll’autorità di Gesù Cristo, e per la quale i nostri peccati vengono così rimessi, così cancellati, come se non li avessimo mai commessi, purché chi si confessa, abbia le disposizioni richieste dal Sacramento. Ah! F. M., chi di noi non vorrà ammirare l’efficacia di questa sentenza di misericordia? O momento felice per un peccatore convertito!… Appena il ministro ha pronunciato le parole: “Io ti assolvo, „ l’anima è lavata, purificata da tutte le sue lordure pel Sangue prezioso che scorre su di essa. Mio Dio! quanto siete buono col peccatore!… Inoltre, F. M., la povera anima nostra è strappata dalla tirannia del demonio e ristabilita nell’amicizia e nella grazia del suo Dio; riacquista la pace, quella pace sì preziosa, che forma tutta la felicità dell’uomo in questo mondo e nell’altro; le vien restituita l’innocenza, con tutti i diritti al regno di Dio, che i peccati le avevano rapito. Ditemi. F. M., non dobbiamo essere inteneriti e commossi sino alle lagrime alla vista di tante meraviglie? Avreste potuto pensare che ogni qual volta il peccatore riceve l’assoluzione gli siano accordati tutti questi beni? Ma tutto ciò non è dato e non dev’esser dato che a quelli che se lo meritano, cioè, che sono peccatori è vero, ma peccatori convertiti, che sentono dispiacere della loro vita passata, non solo perché hanno perduto il cielo, ma perché oltraggiarono Colui che merita d’essere infinitamente amato.

II. — Se desiderate sapere quando vi si debba differire o rifiutare l’assoluzione, eccolo: ascoltate bene, ed imprimetevelo nel cuore, affinché ogni volta che andrete a confessarvi possiate conoscere se meritate d’essere assolti o rimandati. Io trovo otto ragioni, che debbono indurre il Sacerdote a differirvi l’assoluzione; è la Chiesa stessa che ha dato queste regole, sulle quali il sacerdote non deve transigere; se le trascura, sventura a lui ed a quelli che dirige: è un cieco che fa da guida ad un altro cieco, tutti e due precipiteranno nell’inferno (Matt. XV, 14). E dovere del ministro di Dio di ben applicare queste regole, ed il vostro è di non mormorare quando vi si nega l’assoluzione. Se un sacerdote ve la rifiuta, è perché vi ama, e desidera davvero di salvar l’anima vostra; e voi non lo conoscerete che al dì del giudizio: allora vedrete che era solo il desiderio di condurvi al cielo che l’ha indotto a differirvi l’assoluzione. Se ve l’avesse accordata, come desideravate, sareste dannato. Non dovete adunque, F. M., mormorare quando un sacerdote non vi dà l’assoluzione; al contrario, dovete ringraziarne il buon Dio, ed adoperarvi con tutte le vostre forze per meritarvi questa fortuna. Vi dico, 1°, che non meritano l’assoluzione quelli che non sono abbastanza istruiti: il sacerdote non deve e non può darla a costoro senza rendersi colpevole, perché ogni Cristiano è obbligato di conoscere Gesù Cristo, i suoi misteri, la sua dottrina, le sue leggi ed i Sacramenti. S. Carlo Borromeo, Arcivescovo di Milano, ci dice espressamente che non si deve dar l’assoluzione a chi non conosce i misteri principali della nostra santa fede e gli obblighi particolari del proprio stato: “Specialmente, ci dice, quando si capisce che la loro ignoranza deriva dalla indifferenza per la propria salvezza.„ Le leggi della Chiesa proibiscono di dare l’assoluzione ai padri ed alle madri, ai padroni e padrone che non istruiscono i loro figli o domestici, o non li fanno istruire da altri intorno a ciò che è necessario per salvarsi; che non sorvegliano la loro condotta; che trascurano di correggerli dei loro disordini e difetti. Dirvi che non merita l’assoluzione chi non sa quanto è necessario per salvarsi, è come dicessi a qualcuno, che egli è nel precipizio, e non gli offrissi i mezzi di uscirne. Vi mostrerò dunque ciò che dovete sapere per uscire da questo abisso d’ignoranza: imprimetevelo bene nel cuore, affinché non si cancelli mai più, per insegnarlo ai vostri figli, e questi ad altri. Ripeto, F. M., quanto già vi dissi più volte: un Cristiano deve sapere il Pater noster, l’Ave Maria, il Credo, il Confiteor, gli atti di Fede, Speranza e Carità, i Comandamenti della legge di Dio, i precetti della Chiesa, e l’atto di Contrizione. E non intendo dire soltanto le parole; poiché bisognerebbe esser estremamente ignoranti per non saperle, ma occorre anche, se foste interrogati, che possiate dare la spiegazione di ogni articolo in particolare, chiarendone il significato. Questo vi si domanda, e non che sappiate soltanto le parole. Dovete sapere che il Pater noster è stato composto da Dio stesso; che l‘Ave Maria fu composta, parte dall’Angelo quando si presentò alla Ss. Vergine ad annunciarle il mistero dell’Incarnazione (Luc. I, 28), e l’altra parte dalla Chiesa; che il Credo fu composto dagli Apostoli dopo la discesa dello Spirito Santo, prima di disperdersi pel mondo; perciò avviene che in tutte le regioni del mondo è insegnata la medesima Religione cogli stessi misteri. Esso contiene il compendio di tutta la nostra santa Religione, il mistero della Ss. Trinità, cioè un Dio solo in tre Persone: il Padre che ci ha creati, il Figliuolo che ci ha redenti coi suoi patimenti e morte, e lo Spirito Santo che ci ha santificati nel Battesimo. Quando dite : “Credo in Dio Padre onnipotente, creatore, ecc.„ è come se diceste: Credo che l’eterno Padre ha creato tutte le cose, i nostri corpi e le nostre anime, che il mondo non è sempre stato, non durerà sempre, che un giorno tutto sarà distrutto… “Credo in Gesù Cristo ,, è come se diceste: Credo che Gesù Cristo, la seconda Persona della Ss. Trinità, si è fatto uomo, ha patito, è morto per redimerci, per meritarci il cielo, che il peccato di Adamo, ci aveva rapito. “Credo nello Spirito Santo, nella S. Chiesa cattolica, ecc. „ è come se diceste: Credo che v’è una sola Religione, che è quella della Chiesa, che Gesù Cristo stesso l’ha fondata, e le ha affidato tutte le sue grazie, che tutti coloro che non sono in questa Chiesa non si salveranno, e che essa durerà fino alla fine del mondo. Quando dite: “Credo nella comunione dei santi, „ è come se diceste: Credo che tutti i Cristiani si mettono vicendevolmente a parte del merito delle loro preghiere, di tutte le loro opere buone; credo che i santi che sono in cielo preghino Dio per noi, e che noi possiamo pregare per quelli che trovansi nelle fiamme del Purgatorio. Quando dite: “Credo nella remissione dei peccati, „ è come se diceste: Credo che vi è nella Chiesa di Gesù Cristo un Sacramento, il quale rimette ogni sorta di peccati, e che non vi sono peccati che la Chiesa di Gesù Cristo non possa rimettere. Dicendo; “Credo la risurrezione della carne, „ vogliamo dire che gli stessi corpi che abbiamo ora, un giorno risusciteranno, che le anime nostre si congiungeranno ad essi per andare insieme in cielo, se avremo la fortuna di aver servito bene il buon Dio, o per andare insieme all’inferno ad abbruciarvi per tutta l’eternità, se… dicendo: “Credo la vita eterna, „ è come se diceste: Credo che l’altra vita non finirà mai, che l’anima nostra durerà quanto Dio stesso, cioè senza fine. Quando dite: “D’onde verrà a giudicare i vivi ed i morti,„ è come se diceste: Credo che Gesù Cristo è nel cielo in corpo ed anima, e che Lui stesso verrà a giudicarci, a ricompensare chi avrà fatto bene, e punire chi l’avrà disprezzato. – Bisogna anche sapere che i Comandamenti della legge di Dio furon dati ad Adamo quando fu creato, cioè che Dio li scolpì nel suo cuore; e, dopo che Adamo peccò, Dio li diede a Mosè (Esod. XXXI, 18) scritti su tavole di pietra, sul monte Sinai. E questi stessi, Dio medesimo confermò quando venne sulla terra per salvarci. Inoltre dovete sapere i tre atti di Fede, Speranza e Carità. E intendo ancora che non dovete sapere semplicemente le parole: chi non le sa? Ma il senso di questi atti. La fede ci fa credere tutto ciò che la Chiesa ci insegna, quantunque non possiamo comprenderlo; ci fa credere che Dio ci vede, che veglia alla nostra conservazione, che ci premierà o ci punirà, secondo che avremo fatto bene o male; che v’è un cielo per i buoni, ed un inferno per i cattivi; che Dio ha sofferto ed è morto per noi. La speranza ci induce a fare tutte le nostre azioni coll’intenzione di piacere a Dio, perché verranno ricompensate durante un’eternità. Dobbiamo credere che né la fede né la speranza saranno più necessarie in cielo, o meglio, non vi sarà più né fede né speranza: non avremo più nulla da credere, perché non vi saranno più misteri; nulla da sperare perché vedremo quanto abbiamo creduto, e possederemo quanto abbiamo sperato; non vi sarà più che l’amore che ci consumerà per tutta l’eternità: e ciò formerà tutta la nostra felicità. – In questo mondo, l’amor di Dio consiste nell’amare il buon Dio al disopra di ogni cosa creata, nel preferirlo a tutto, anche alla nostra vita. Ecco, F. M., che cosa significa sapere il Pater noster, l’Ave Maria, il Credo, il Confiteor, i Comandamenti, i tre atti di Fede, di Speranza e di Carità. Se non sapete ciò, non conoscete quanto è necessario per salvarvi; bisogna almeno che. interrogati su quanto vi dissi, sappiate rispondere. E qui non è ancora tutto: bisogna che conosciate il mistero dell’incarnazione, e che cosa vuol dire la parola incarnazione. È necessario sapere che questo mistero ci propone da credere che la seconda Persona della Ss. Trinità ha preso un corpo come il nostro nel seno della Ss. Vergine Maria, per opera dello Spirito Santo. Noi onoriamo questo mistero il 25 di Marzo, giorno dell’Annunciazione, perché in tal giorno il Figliuol di Dio ha unito, ha congiunto la sua divinità alla nostra umanità; si è fatto uomo come noi, ad eccezione del peccato, e si è caricato di tutti i nostri peccati per soddisfare alla giustizia del Padre suo. Occorre sapere che Gesù Cristo è nato il 25 Dicembre, a mezzanotte, il giorno di Natale. Sapere che in tal giorno si dicono tre Messe per onorare le tre nascite di Gesù Cristo: la prima nel seno dell’Eterno Padre, sin dall’eternità; la seconda, quella corporale nel presepio, e la terza, quella nelle anime nostre colla santa comunione. Bisogna altresì sapere che nel Giovedì Santo Gesù Cristo istituì l’adorabile Sacramento dell’Eucaristia (Luc. XXII). La sera avanti la sua morte, circondato da’ suoi apostoli, prese del pane, lo benedisse, lo mutò nel suo Corpo. Prese del vino con un po’ d’acqua, lo mutò nel suo Sangue, e diede a tutti i sacerdoti, nella persona degli Apostoli, il potere di fare lo stesso miracolo ogni volta che pronunciassero le medesime parole: il che avviene nella santa Messa quando il sacerdote pronuncia le parole della consacrazione. Bisogna sapere che Gesù Cristo morì nel Venerdì Santo, e morì come uomo e non come Dio , perché come Dio non poteva morire; che risuscitò nel giorno santo di Pasqua, cioè che la sua Anima si riunì al Corpo; e che dopo essersi fermato quaranta giorni sulla terra salì al cielo nel giorno dell’Ascensione (Act. I, 3-9); che lo Spirito Santo discese sugli Apostoli il giorno di Pentecoste. Se venite interrogati e domandati quando furono istituiti i Sacramenti da Gesù Cristo o quando ebbero il loro effetto, cioè poterono comunicarci le grazie, dovete saper rispondere che fu solo dopo la Pentecoste. — Se vi si domandasse chi li ha istituiti, dovete sapere spiegare che Gesù Cristo solo poté farlo: non la Ss. Vergine né gli Apostoli. Dovete sapere quanti sono, quali gli effetti di ognuno, e quali disposizioni occorrono per riceverli; dovete sapere che il Battesimo cancella il peccato originale, cioè il peccato di Adamo, che noi tutti portiamo venendo al mondo; che quello della Confermazione ci vien conferito dal Vescovo, e ci dà lo Spirito Santo colla abbondanza delle sue grazie e de’ suoi doni; che quello della Penitenza lo riceviamo ogni qual volta ci confessiamo, e che mentre il sacerdote ci dà l’assoluzione, se siamo ben disposti, tutti i nostri peccati vengono rimessi. Nella santa Eucaristia riceviamo, non la Vergine Ss., né gli Apostoli od i santi, ma il Corpo adorabile ed il Sangue prezioso di Gesù Cristo. Col Figliuolo, in quanto Dio, riceviamo le altre Persone della Ss. Trinità, il Padre e lo Spirito Santo; e in quanto uomo, riceviamo appena il Figliuolo, cioè il suo Corpo e l’Anima uniti alla Divinità. — Il sacramento dell’Estrema Unzione è quello che ci aiuta a ben morire, ed è istituito per purificarci dai peccati commessi con tutti i nostri sensi. Quello dell’Ordine comunica agli uomini il medesimo potere che il Figlio di Dio diede a’ suoi Apostoli. Questo sacramento fu istituito quando Gesù Cristo disse agli Apostoli: “Fate questo in memoria di me (Luc. XXII, 19), ed ogni volta che pronuncerete queste parole opererete il medesimo miracolo.„ Il sacramento del Matrimonio santifica i Cristiani che si uniscono insieme, secondo le leggi della Chiesa e dello Stato. Vi è però una differenza tra il sacramento dell’Eucaristia e gli altri. Nell’Eucaristia riceviamo il Corpo adorabile ed il Sangue prezioso di Gesù Cristo, mentre negli altri non riceviamo che l’applicazione dei meriti del suo Sangue prezioso. Inoltre alcuni si chiamano Sacramenti dei morti, altri Sacramenti dei vivi. Ecco perché si dice che il Battesimo, la Penitenza ed alcune volte l’Estrema Unzione sono sacramenti dei morti: perché quando li riceviamo l’anima nostra è morta agli occhi di Dio per i peccati; questi sacramenti risuscitano l’anima nostra alla grazia; gli altri invece sono sacramenti dei vivi…, perché per riceverli bisogna essere in istato di grazia di Dio, cioè non aver peccati sull’anima. Si deve ancora sapere che quando Gesù Cristo ha sofferto sulla croce, né il Padre né lo Spirito Santo hanno sofferto o sono morti, ma solo il Figliuolo patì e morì, come uomo e non come Dio. Ebbene! F. M., se vi avessi interrogati, avreste voi risposto a tutto ciò? Ebbene, se non sapete quanto vi dissi, non siete istruiti sufficientemente per salvarvi. Ho detto che i padri e le madri, i padroni e le padrone debbono per salvarsi essere istruiti di quanto riguarda la loro condizione. Il padre, la madre, il padrone, la padrona devono conoscere tutti gli obblighi da adempiere verso i figli e domestici: devono cioè conoscere perfettamente la religione per insegnarla agli altri; diversamente sono poveri disgraziati e finiscono tutti all’inferno. Ahimè! quanti padri e quante madri, quanti padroni e padrone vi sono che non conoscono neppure la religione e che insieme ai lor figli e domestici marciscono in un’ignoranza crassa, e non aspettano che la morte per gettarsi nell’inferno! S. Paolo ci dice che chi ignora i propri obblighi merita d’essere ignorato da Dio (1Cor. XIV, 38) . Converrete con me, dunque, che tutte queste persone sono indegne di ricevere l’assoluzione, e che se hanno la disgrazia di riceverla, essa è un sacrilegio che viene a pesare sulla povera anima loro. Mio Dio! quanti vanno perduti per la loro ignoranza! Possiamo essere sicuri che questo solo peccato ne dannerà più che tutti gli altri insieme, perché una persona ignorante non conosce né il male che fa peccando, né il bene che perde: cosicché un ignorante è una persona perduta!

2° Dico inoltre che bisogna differire l’assoluzione a chi non dà segno di pentimento, cioè di dolore dei peccati commessi. Anzitutto, l’esperienza ci insegna che non dobbiamo affatto fidarci di tutte le promesse e proteste che si fanno. Tutti dicono che sono dolenti d’aver offeso il buon Dio, che vogliono correggersi davvero, e che si confessano appunto per questo. Il sacerdote, credendoli sinceri, li assolve: che avviene di queste risoluzioni? Eccolo: otto giorni dopo dimenticano tutte le promesse, e ” ritornano al vomito, „ (II Piet. III, 22), cioè alle loro cattive abitudini. Così tutte le proteste non sono certamente prove sufficienti di conversione. Gesù Cristo ci dice che “solo dal frutto si conosce l’albero;„ (Matt. XII, 33), così, solo dal cambiamento di vita si conosce se v’era la contrizione necessaria per essere degni dell’assoluzione. Quando si ha davvero rinunciato ai propri peccati, non basta piangerli, bisogna anche rinunciare, abbandonare e fuggire quanto può indurvici: cioè esser disposti a tutto soffrire piuttosto che ricadere nei peccati che abbiamo confessati. Si deve adunque vedere in noi un cambiamento completo, senza del quale non abbiamo meritata l’assoluzione, e v’è ragione di credere che abbiamo commesso un sacrilegio. Ahimè! come sono poco numerosi coloro in cui si vede questo cambiamento dopo ricevuta l’assoluzione!… Mio Dio! quanti sacrilegi adunque! … Ah! se almeno ogni trenta assoluzioni ve ne fosse una buona, il mondo sarebbe presto convertito! Non merita dunque l’assoluzione chi non dà sufficienti segni di conversione. Ma costoro, purtroppo, d’ordinario non ritornano più quando furon rimandati. Essi fanno ciò appunto perché non hanno intenzione di convertirsi, giacché diversamente invece di aspettare un’altra Pasqua, avrebbero fatto di tutto per cambiar vita, e riconciliarsi con Dio.

3° In terzo luogo dico che si deve rifiutare l’assoluzione a chi conserva odio, risentimento nel cuore, a chi rifiuta di perdonare o di fare i primi passi per riconciliarsi; cosicché, F. M., bisogna guardarsi dal ricevere l’assoluzione quando si ha qualche rancore contro il prossimo. Dopo aver avuto con esso qualche contrarietà, bisogna sentirsi così ben disposti a rendergli servizio, come se per il passato non aveste ricevuto da lui altro che bene. Se vi accontentate di dire che non gli volete male, ma che lo trascurate, che non lo salutate con garbo, che evitate la sua compagnia, preferendone altre, voi non lo amate quanto dovete, perché il buon Dio vi perdoni i vostri peccati. Dio vi perdonerà nella misura che voi perdonerete al prossimo, e sinché avrete risentimento nel cuore contro di esso, ciò che di meglio possiate fare è procurare di sradicarlo; poi riceverete l’assoluzione. So benissimo che si può, anzi si deve evitare ogni compagnia che possa esporci al pericolo di litigare con l’uno o con l’altro, e la famigliarità di coloro che continuamente mormorano dei vicini. Ecco come bisogna regolarsi con queste persone: frequentarle solo quand’è necessario; non volere loro male e neppure sparlarne; accontentarsi di pregare il buon Dio per loro. Ascoltate quanto ci dice Gesù Cristo nel Vangelo: “Se, mentre sei per presentare la tua offerta all’altare, ti ricordi che il fratello tuo abbia qualche cosa contro di te, o che tu l’hai offeso, lascia la tua offerta, e va prima a riconciliarti col fratello. „ (Matt. V, 23) — “Un giudizio severo, scrive S. Giacomo, è riservato a chi non avrà avuto misericordia col fratello. „ (Giac. II, 13). Voi comprendete ora, al par di me, o F. M., che ogni qual volta abbiamo animosità contro alcuno, non dobbiamo ricevere l’assoluzione, perché sarebbe come esporci a commettere sacrilegio, ciò che è la più grande di tutte le disgrazie.

4° Aggiungo in quarto luogo, che vanno trattati alla stessa maniera coloro che hanno recato qualche torto al prossimo e rifiutano di riparare il male fatto o nella persona o nella roba; non si può neanche dare l’assoluzione in punto di morte a chi ha dello restituzioni da fare, e ne lascia la cura agli eredi. Tutti i Padri della Chiesa dicono che non v’è perdono, né speranza di salvezza per chi tiene roba d’altri, e potrebbe, e non vuol restituirla.

5° In quinto luogo si deve ricusare l’assoluzione a coloro che sono nell’occasione prossima di peccato, e rifiutano di uscirne. Si chiama occasione prossima di peccato tutto quanto può indurci ordinariamente a commetterlo, come spettacoli, balli, danze, libri cattivi, conversazioni disoneste, canzoni oscene, pitture indecenti, abbigliamento immodesto, cattive compagnie, il frequentar persone di sesso diverso, le relazioni con persone colle quali già altra volta si è peccato, ecc. Così pure i mercanti che non sanno vendere senza mentire o bestemmiare, gli osti che danno da bere agli ubbriaconi, ovvero durante le sacre funzioni, o di notte: come anche i domestici sollecitati al male da qualcuno della casa. A tutti costoro il sacerdote non deve e non può, senza suo danno, dare l’assoluzione, a meno che promettano di lasciar tali abitudini e di rinunciare a tutto ciò che li può indurre al peccato, o ne offre loro occasione. Altrimenti, ricevendo l’assoluzione. fanno senza dubbio un sacrilegio.

6° In sesto luogo deve negarsi l’assoluzione agli scandalosi, che colle loro parole, con consigli ed esempi perniciosi inducono gli altri al peccato; tali sono i cattivi Cristiani che mettono in derisione la parola di Dio e chi l’annunzia, sia il loro pastore oppure altro sacerdote; che motteggiano la religione, la pietà e le cose sante; che fanno discorsi contrari alla fede od ai buoni costumi; che nelle loro case tengono veglie, danze profane, giuochi proibiti; che conservano pitture disoneste, indecenti, o libri cattivi; così pure le persone che s’abbigliano coll’intenzione di piacere, che coi loro sguardi e modi procaci fanno rimettere col cuore tante fornicazioni ed adulteri. Un confessore, dice S. Carlo, deve rifiutare l’assoluzione a tutti costoro, poiché sta scritto : “Guai all’uomo per colpa del quale avviene lo scandalo „. (Matt. XVIII, 7).

7° In settimo luogo si deve rifiutare l’assoluzione, ovvero differirla, ai peccatori abitudinari, che ricadono da lungo tempo nelle medesime colpe, e fanno nulla o ben poco per correggersi. Di questo numero sono coloro che hanno l’abitudine di mentire ad ogni momento, non se ne fanno scrupolo, si divertono anzi a dir menzogne per far ridere gli altri; quelli che mormorano facilmente del prossimo ed hanno sempre alcunché da dire sul suo conto; quelli che hanno spesso sulle labbra parole di giuramento con leggera offesa del nome di Dio; quelli che hanno l’abitudine di mangiare ad ogni ora, anche senza bisogno; che s’impazientano ad ogni momento, per un nonnulla; che mangiano e bevono eccessivamente; coloro che non fanno sforzo abbastanza per correggersi dei pensieri d’orgoglio, di vanità, o dei pensieri contrari alla purezza; infine si dovrà rifiutare l’assoluzione a tutti coloro che non accusano da sé i loro peccati, che aspettano, per così dire, che il confessore li interroghi. Non tocca al sacerdote, ma tocca a voi di confessare i vostri peccati; se il sacerdote vi fa qualche domanda è per supplire a quanto non avreste potuto conoscere. — Ahimè! a tanti si deve, per così dire, strappare i peccati dal fondo del cuore; e ve ne sono di quelli che disputeranno perfino col confessore, volendo provare che non hanno fatto un gran male. È evidente che costoro non son degni di ricevere l’assoluzione, e non hanno le disposizioni che necessariamente richiede questo Sacramento, perché non sia profanato. Tutti i Padri della Chiesa sono d’accordo su questo punto, che quando non vi è cambiamento, né emendazione in chi si confessa, la sua penitenza è falsa ed ingannevole. Il santo Concilio di Trento ci ordina di non dare l’assoluzione che a quelli nei quali si vede la cessazione dal peccato, l’odio e la detestazione del passato, il proposito e l’inizio d’una vita nuova. Ecco, F. M., le regole dalle quali un confessore non può allontanarsi senza perdere se stesso ed i penitenti. Ma vediamo ora le ragioni che si mettono innanzi, per indurre il confessore a dare l’assoluzione. – Gli uni dicono che il non dare l’assoluzione a chi si confessa frequentemente è distruggere la religione, far apparire troppo difficile il compiere quanto essa comanda; è scoraggiare i peccatori ed esser causa che abbandonino la via del bene; è lo stesso che mandarli all’inferno; che molti altri confessori sono più accondiscendenti; che si avrebbe almeno la consolazione di vedere in parrocchia far la Pasqua un gran numero di persone, le quali ogni anno tornerebbero volentieri a confessarsi; che pretendendo troppo, non si ottiene nulla. F. M., quelli che ragionano così sono: 1° coloro che non meritano l’assoluzione. Ma, amici miei, fin dal principio della Chiesa tutti i Padri hanno seguito questa regola: che bisogna assolutamente aver lasciato il peccato per ricevere degnamente l’assoluzione. Questo rifiuto non sembra duro che ai peccatori impenitenti; questa regola non può dispiacere che a coloro i quali non pensano a convertirsi. Che cosa si ricava, F. M., da queste assoluzioni precipitate? Lo sapete benissimo anche voi. Ahimè! una catena di sacrilegi. Appena assolti, ricadete negli antichi peccati; la facilità con la quale avevate ottenuto il perdono, vi ha fatto sperare che l’otterrete ancora, del pari, facilmente, ed avete continuata la medesima vita; mentre se vi si fosse rifiutata l’assoluzione subito, sareste rientrati in voi stessi, avreste aperto gli occhi sulla vostra disgrazia, dalla quale forse non vi libererete mai più. La vostra povera vita non è che una serie di assoluzioni e di ricadute. Mio Dio, quale sventura! Ecco dove vi conduce la dolorosa facilità di assolvervi. Non è piuttosto crudeltà darvi l’assoluzione, che rifiutarvela, quando non siete disposti a riceverla? S. Cipriano ci dice che un prete deve stare alle regole della Chiesa, ed aspettare che il penitente dia segni certi che il suo cuore è cambiato e che comincia a condurre una vita diversa da quella che menava prima di confessarsi, perché Gesù Cristo stesso, che è Dio e padrone della grazia, non ha accordato il perdono che ai veri penitenti: accolse il buona ladrone, la cui conversione era sincera, ma respinse il cattivo, per la sua impenitenza. Perdonò a S. Pietro, di cui conosceva il dolore, ma abbandonò Giuda, il cui pentimento era falso. Quale disgrazia pel sacerdote e pel penitente, se il confessore gli dà l’assoluzione quando egli non la merita! Se mentre il ministro dice al penitente: Io ti assolvo; Gesù Cristo invece gli dice: Io ti condanno… Ahimè! quanto il numero di costoro è grande, poiché sono pochi quelli che abbandonano il peccato dopo ricevuta l’assoluzione, e cambiano vita. Tutto questo è vero, soggiungerete voi: ma che si dirà di me, dopo avermi più volte visto a confessarmi, non vedendomi far la comunione? Si crederà ch’io conduca una vita scorretta; d’altra parte, conosco altri, più peccatori di me, che pure furono assolti: voi avete assolto il tale, che ha mangiato di grasso con me, che, al pari di me, andò in giorno di domenica … — La coscienza di colui non è la vostra: se egli ha fatto male, non si deve seguirlo. Forse, per salvar le apparenze, vorreste dannarvi commettendo un sacrilegio? Non sarebbe quella la maggiore sventura? Credete che vi si faccia osservazione, perché foste visto a confessarvi più volte senza comunicarvi. Ah! amico mio, temete piuttosto lo sguardo irato di Dio, alla cui presenza avete fatto il male, e non badate a tutto il resto. Dite che ne conoscete di più colpevoli di voi, che pure furono assolti. Che ne sapete voi? Forse è venuto un angelo a dirvi che Dio non li ha cambiati e convertiti? E quand’anche non fossero convertiti, volete far il male, anche voi, perché essi lo hanno fatto? Vorreste dannarvi perché gli altri si dannano? Mio Dio! quale spaventevole linguaggio! — Ma, soggiungono costoro, che non solo non sono convertiti, ma che non desiderano nemmeno di convertirsi, e soltanto bramano di salvare le apparenze, quando dovremo venire per comunicarci? non vorremmo attender troppo. — Quando dovrete venire a comunicarvi? Ascoltate S. Giovanni Crisostomo: egli stesso ci insegnerà quando dovrete venire. Forse a Pasqua, a Pentecoste, a Natale? No, vi dice. Forse in punto di morte? No, vi dice ancora. Quando adunque? Quando, vi dice, avrete rinunciato seriamente al peccato, e sarete risoluti di non più cadervi, coll’aiuto della grazia di Dio; quando avrete restituito ciò che non è vostro; quando vi sarete riconciliati col vostro nemico; insomma quando vi sarete convertito davvero. — Altri peccatori ci diranno: Se siete così severo, andremo da altri, che ci assolveranno. Sono già venuto tante volte; ho ben altro da fare che andar avanti ed indietro; torno da tanto tempo, vedo bene che non volete saperne di me. Del resto, che male ho dunque fatto? — Andrete a trovarne un altro, amico mio, siete padrone d’andar ove meglio vi piace; ma credete voi che un altro avrà volontà di dannarsi più che non l’abbia io? no, senza dubbio. Se egli vi assolve è perché non vi conosce abbastanza. Volete sapere chi è colui il quale parla in tal modo, e cerca altrove una assoluzione? Ascoltate e tremate. E colui che abbandona la guida che può condurlo a salvamento, per cercare un passaporto per andar diritto all’inferno. — Ma, mi direte, son già tante volte che vengo. — Ebbene, amico mio, correggetevi, e vi assolverò la prima volta che ritornerete. — E già gran tempo, direte, ch’io non ritorno. — Tanto peggio per voi solo, amico mio. Non ritornando più, camminate a passi da gigante sulla via dell’inferno. Vi sono alcuni così ciechi da credere che il confessore non li assolve perché porta loro astio. Senza dubbio, amico mio, egli è irritato con voi, ma solo perché vuole la salvezza dell’anima vostra. Per questo non vuol darvi una assoluzione, che lungi dal salvarvi vi dannerebbe per tutta l’eternità. — Ma, dite voi, che gran male ho dunque fatto? non ho né ammazzato né rubato… — Non avete ammazzato né rubato, dite? Ma, amico mio, l’inferno racchiude altri che non hanno né rubato, né ammazzato; non sono questi i due soli peccati che trascinano le anime all’inferno. Se io fossi così debole da darvi l’assoluzione quando non la meritate, sarei il carnefice della povera anima vostra, che ha costato tanti patimenti a Gesù Cristo. – Ascoltate, F. M., questo tratto di storia, che ci insegna quali sono gli effetti di queste assoluzioni precipitose, impartite quando il penitente non è disposto. S. Carlo Borromeo ci racconta che un ricco napoletano conduceva una vita niente affatto cristiana. Si indirizzò ad un confessore che passava per facile ed accondiscendente. Questo sacerdote, infatti, appena udito il penitente, gli diede l’assoluzione senza aver alcuna prova del di lui pentimento. Il gentiluomo, quantunque senza religione, meravigliato d’una facilità, che tanti confessori saggi ed illuminati non avevano avuto per lui, si alza bruscamente, e togliendo alcune monete di tasca: “Prendete, Padre, gli disse, ricevete questo denaro, e conservatelo sino a quando ci troveremo insieme nel medesimo posto. — Quando, ed in qual luogo ci ritroveremo? risposegli il sacerdote tutto meravigliato. — Padre mio, in fondo all’inferno, dove ci troveremo presto ambedue: voi per avermi data l’assoluzione, di cui ero indegno, ed io per essere stato così sciagurato di riceverla, senz’essere convertito. „ Che ne pensate di questo fatto, F. M.? Meditiamole insieme queste parole; abbiamo in esse motivo di tremare tutti. — Ma, direte dunque, quando si può ricevere l’assoluzione? — Appena sarete convertiti, appena avrete cambiato metodo di vita: quando pregherete il buon Dio che faccia conoscere al vostro confessore le disposizioni del cuor vostro; quando avrete adempiuto esattamente ciò il confessore vi avrà prescritto, e non mancherete di ritornare nel tempo che egli vi ha fissato. Raccontasi d’un peccatore, che si convertì in una missione, che dopo la sua confessione il sacerdote lo vide così ben disposto, che fece per dargli l’assoluzione. Il povero uomo gli disse: “Ecchè, Padre mio! a me l’assoluzione! ah! lasciatemi piangere un po’ i peccati, che ebbi la disgrazia di commettere: mettetemi alla prova, affinché possiate essere sicuro che il mio pentimento è sincero.„ Quel penitente nell’atto di ricevere l’assoluzione, credeva morir di dolore. Mio Dio! quanto sono rare disposizioni simili! Ma quanto lo sono anche le confessioni buone! – Concludiamo: non dobbiamo mai sollecitare il confessore a darci l’assoluzione, perché dobbiamo sempre temere di non essere preparati, di non essere, cioè, abbastanza convertiti. Domandiamo al buon Dio che ci converta mentre ci confessiamo, affinché i nostri peccati ci siano davvero perdonati. È la fortuna che vi auguro.

IL CREDO

Offertorium

Orémus
Ps XXXIII:15-16
In te sperávi, Dómine; dixi: Tu es Deus meus, in mánibus tuis témpora mea.

[O Signore, in Te confido; dico: Tu sei il mio Dio, nelle tue mani sono le mie sorti.]

Secreta

Popitiáre, Dómine, pópulo tuo, propitiáre munéribus: ut, hac oblatióne placátus, et indulgéntiam nobis tríbuas et postuláta concedas.

[Sii propizio, o Signore, al tuo popolo, sii propizio alle sue offerte, affinché, placato mediante queste oblazioni, ci conceda il tuo perdono e quanto Ti domandiamo.]

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Sap XVI: 20
Panem de cælo dedísti nobis, Dómine, habéntem omne delectaméntum et omnem sapórem suavitátis.

[Ci hai elargito il pane dal cielo, o Signore, che ha ogni delizia e ogni sapore di dolcezza.]

Postcommunio

Orémus.
Sumptis, Dómine, coeléstibus sacraméntis: ad redemptiónis ætérnæ, quǽsumus, proficiámus augméntum.

[Fa, o Signore, Te ne preghiamo, che, ricevuti i celesti sacramenti, progrediamo nell’opera della nostra salvezza eterna.]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (2)

ORDINARIO DELLA MESSA

I SERMONI DEL CURATO D’ARS “SULL’ASSOLUZIONE”

I SERMONI DEL CURATO D’ARS: “SULL’ASSOLUZIONE”

[DISCORSI DI SAN G. B. M. VIANNEY CURATO D’ARS Vol. IV, Marietti Ed. Torino-Roma, 1933

Visto nulla osta alla stampa. Torino, 25 Novembre 1931.

Teol. TOMMASO CASTAGNO, Rev. Deleg.

Imprimatur. C . FRANCISCUS PALEARI, Prov. Gen.

Proprietà della traduzione (23-XI-07-10- 29-XII-32-15).

Sull’Assoluzione.

Quorum remiseritis peccata, remittuntur eis; et quorum retinueritis retenta sunt.

(JOAN. XX, 23).

Quanto è costato, F. M., al divin Salvatore il dar efficacia a queste parole: “Saranno rimessi i peccati a chi li rimetterete, e ritenuti a chi li riterrete! „ Ahimè! quanti tormenti, quanti obbrobri, qual morte dolorosa!… Ma noi siamo così ciechi, così grossolani, così poco spirituali, che la maggior parte di noi, crede che spetti solo al sacerdote concedere o rifiutare l’assoluzione, a suo piacimento. No, F. M., ci inganniamo assai: il ministro del sacramento della Penitenza non è che il dispensatore delle grazie e dei meriti di Gesù Cristo (1 Cor. IV, 1) e non può dispensarli che secondo regole prescritte. Ahimè! da qual terrore deve esser preso un povero sacerdote, che esercita un ministero così formidabile, in cui corre grave pericolo di perder se stesso volendo salvare gli altri. Qual terribile rendiconto dovrà dare il sacerdote, quando verrà il dì del giudizio, e da Dio stesso gli verran messe davanti agli occhi tutte le assoluzioni impartite, per esaminare se fu troppo prodigo delle grazie del cielo o troppo avaro. Davvero, F. M., che è assai difficile adempiere sempre bene il proprio dovere!… Quanti sacerdoti, nel dì del giudizio, desidereranno non essere stati sacerdoti, ma semplici laici! Quanti fedeli pure si riconosceranno colpevoli, perché, forse, non pregarono mai Dio pei loro pastori, che si sono esposti al pericolo di perdersi per salvarli!… Ma se un sacerdote ha il potere di rimettere i peccati, ha pure quello di ritenerli; e S. Gregorio il Grande ci dice che un sacerdote deve esaminar bene le disposizioni del peccatore, prima di dargli l’assoluzione. Deve vedere se il suo cuore è cambiato, se ha davvero tutte le disposizioni, che deve avere un peccatore convertito. È quindi evidente che il ministro della Penitenza deve differire o rifiutare l’assoluzione a certi peccatori, sotto pena di dannare se stesso insieme col penitente. Vi mostrerò dunque, o vi insegnerò: 1° che cos’è l’assoluzione;

2° quali sono coloro ai quali si deve concederla o rifiutarla: argomento ben interessante, poiché trattasi della vostra salvezza o perdizione. Quanto l’uomo è fortunato, F. M., ma quanto altresì è colpevole! Dissi che è fortunato, poiché dopo aver perduto il suo Dio, il cielo e l’anima, può ancora sperare di trovar mezzi facili per riparare una perdita grande, quale è quella d’una felicità eterna. Il ricco che ha perduto le sue sostanze, spesso non può ricuperarle, malgrado ogni suo buon volere; ma se il Cristiano ha perduto la propria felicità eterna, può riacquistarla senza, per così dire, far fatica. Mio Dio! quanto amate i peccatori, poiché date ad essi tanti mezzi di ricuperare il cielo! Vi assicuro che siamo ben colpevoli disprezzando tutti questi mezzi, mentre possiamo con essi conseguire tanti beni. Avete perduto il cielo, amico mio, e perché volete vivere in tanta povertà? Mio Dio! l’uomo peccatore può davvero riparare la sua sventura!… e ha mezzi assai facili a sua portata!

I. — Se mi domandate che cos’è l’assoluzione, vi dirò che è una sentenza che il sacerdote pronuncia, in nome e coll’autorità di Gesù Cristo, e per la quale i nostri peccati vengono così rimessi, così cancellati, come se non li avessimo mai commessi, purché chi si confessa, abbia le disposizioni richieste dal Sacramento. Ah! F. M., chi di noi non vorrà ammirare l’efficacia di questa sentenza di misericordia? O momento felice per un peccatore convertito!… Appena il ministro ha pronunciato le parole: “Io ti assolvo, „ l’anima è lavata, purificata da tutte le sue lordure pel Sangue prezioso che scorre su di essa. Mio Dio! quanto siete buono col peccatore!… Inoltre, F. M., la povera anima nostra è strappata dalla tirannia del demonio e ristabilita nell’amicizia e nella grazia del suo Dio; riacquista la pace, quella pace sì preziosa, che forma tutta la felicità dell’uomo in questo mondo e nell’altro; le vien restituita l’innocenza, con tutti i diritti al regno di Dio, che i peccati le avevano rapito. Ditemi. F. M., non dobbiamo essere inteneriti e commossi sino alle lagrime alla vista di tante meraviglie? Avreste potuto pensare che ogni qual volta il peccatore riceve l’assoluzione gli siano accordati tutti questi beni? Ma tutto ciò non è dato e non dev’esser dato che a quelli che se lo meritano, cioè, che sono peccatori è vero, ma peccatori convertiti, che sentono dispiacere della loro vita passata, non solo perché hanno perduto il cielo, ma perché oltraggiarono Colui che merita d’essere infinitamente amato.

II. — Se desiderate sapere quando vi si debba differire o rifiutare l’assoluzione, eccolo: ascoltate bene, ed imprimetevelo nel cuore, affinché ogni volta che andrete a confessarvi possiate conoscere se meritate d’essere assolti o rimandati. Io trovo otto ragioni, che debbono indurre il Sacerdote a differirvi l’assoluzione; è la Chiesa stessa che ha dato queste regole, sulle quali il sacerdote non deve transigere; se le trascura, sventura a lui ed a quelli che dirige: è un cieco che fa da guida ad un altro cieco, tutti e due precipiteranno nell’inferno (Matt. XV, 14). E dovere del ministro di Dio di ben applicare queste regole, ed il vostro è di non mormorare quando vi si nega l’assoluzione. Se un sacerdote ve la rifiuta, è perché vi ama, e desidera davvero di salvar l’anima vostra; e voi non lo conoscerete che al dì del giudizio: allora vedrete che era solo il desiderio di condurvi al cielo che l’ha indotto a differirvi l’assoluzione. Se ve l’avesse accordata, come desideravate, sareste dannato. Non dovete adunque, F. M., mormorare quando un sacerdote non vi dà l’assoluzione; al contrario, dovete ringraziarne il buon Dio, ed adoperarvi con tutte le vostre forze per meritarvi questa fortuna. Vi dico, 1°, che non meritano l’assoluzione quelli che non sono abbastanza istruiti: il sacerdote non deve e non può darla a costoro senza rendersi colpevole, perché ogni Cristiano è obbligato di conoscere Gesù Cristo, i suoi misteri, la sua dottrina, le sue leggi ed i Sacramenti. S. Carlo Borromeo, Arcivescovo di Milano, ci dice espressamente che non si deve dar l’assoluzione a chi non conosce i misteri principali della nostra santa fede e gli obblighi particolari del proprio stato: “Specialmente, ci dice, quando si capisce che la loro ignoranza deriva dalla indifferenza per la propria salvezza.„ Le leggi della Chiesa proibiscono di dare l’assoluzione ai padri ed alle madri, ai padroni e padrone che non istruiscono i loro figli o domestici, o non li fanno istruire da altri intorno a ciò che è necessario per salvarsi; che non sorvegliano la loro condotta; che trascurano di correggerli dei loro disordini e difetti. Dirvi che non merita l’assoluzione chi non sa quanto è necessario per salvarsi, è come dicessi a qualcuno, che egli è nel precipizio, e non gli offrissi i mezzi di uscirne. Vi mostrerò dunque ciò che dovete sapere per uscire da questo abisso d’ignoranza: imprimetevelo bene nel cuore, affinché non si cancelli mai più, per insegnarlo ai vostri figli, e questi ad altri. Ripeto, F. M., quanto già vi dissi più volte: un Cristiano deve sapere il Pater noster, l’Ave Maria, il Credo, il Confiteor, gli atti di Fede, Speranza e Carità, i Comandamenti della legge di Dio, i precetti della Chiesa, e l’atto di Contrizione. E non intendo dire soltanto le parole; poiché bisognerebbe esser estremamente ignoranti per non saperle, ma occorre anche, se foste interrogati, che possiate dare la spiegazione di ogni articolo in particolare, chiarendone il significato. Questo vi si domanda, e non che sappiate soltanto le parole. Dovete sapere che il Pater noster è stato composto da Dio stesso; che l‘Ave Maria fu composta, parte dall’Angelo quando si presentò alla Ss. Vergine ad annunciarle il mistero dell’Incarnazione (Luc. I, 28), e l’altra parte dalla Chiesa; che il Credo fu composto dagli Apostoli dopo la discesa dello Spirito Santo, prima di disperdersi pel mondo; perciò avviene che in tutte le regioni del mondo è insegnata la medesima Religione cogli stessi misteri. Esso contiene il compendio di tutta la nostra santa Religione, il mistero della Ss. Trinità, cioè un Dio solo in tre Persone: il Padre che ci ha creati, il Figliuolo che ci ha redenti coi suoi patimenti e morte, e lo Spirito Santo che ci ha santificati nel Battesimo. Quando dite : “Credo in Dio Padre onnipotente, creatore, ecc.„ è come se diceste: Credo che l’eterno Padre ha creato tutte le cose, i nostri corpi e le nostre anime, che il mondo non è sempre stato, non durerà sempre, che un giorno tutto sarà distrutto… “Credo in Gesù Cristo ,, è come se diceste: Credo che Gesù Cristo, la seconda Persona della Ss. Trinità, si è fatto uomo, ha patito, è morto per redimerci, per meritarci il cielo, che il peccato di Adamo, ci aveva rapito. “Credo nello Spirito Santo, nella S. Chiesa cattolica, ecc. „ è come se diceste: Credo che v’è una sola Religione, che è quella della Chiesa, che Gesù Cristo stesso l’ha fondata, e le ha affidato tutte le sue grazie, che tutti coloro che non sono in questa Chiesa non si salveranno, e che essa durerà fino alla fine del mondo. Quando dite: “Credo nella comunione dei santi, „ è come se diceste: Credo che tutti i Cristiani si mettono vicendevolmente a parte del merito delle loro preghiere, di tutte le loro opere buone; credo che i santi che sono in cielo preghino Dio per noi, e che noi possiamo pregare per quelli che trovansi nelle fiamme del Purgatorio. Quando dite: “Credo nella remissione dei peccati, „ è come se diceste: Credo che vi è nella Chiesa di Gesù Cristo un Sacramento, il quale rimette ogni sorta di peccati, e che non vi sono peccati che la Chiesa di Gesù Cristo non possa rimettere. Dicendo; “Credo la risurrezione della carne, „ vogliamo dire che gli stessi corpi che abbiamo ora, un giorno risusciteranno, che le anime nostre si congiungeranno ad essi per andare insieme in cielo, se avremo la fortuna di aver servito bene il buon Dio, o per andare insieme all’inferno ad abbruciarvi per tutta l’eternità, se… dicendo: “Credo la vita eterna, „ è come se diceste: Credo che l’altra vita non finirà mai, che l’anima nostra durerà quanto Dio stesso, cioè senza fine. Quando dite: “D’onde verrà a giudicare i vivi ed i morti,„ è come se diceste: Credo che Gesù Cristo è nel cielo in corpo ed anima, e che Lui stesso verrà a giudicarci, a ricompensare chi avrà fatto bene, e punire chi l’avrà disprezzato. – Bisogna anche sapere che i Comandamenti della legge di Dio furon dati ad Adamo quando fu creato, cioè che Dio li scolpì nel suo cuore; e, dopo che Adamo peccò, Dio li diede a Mosè (Esod. XXXI, 18) scritti su tavole di pietra, sul monte Sinai. E questi stessi Dio medesimo confermò quando venne sulla terra per salvarci. Inoltre dovete sapere i tre atti di Fede, Speranza e Carità. E intendo ancora che non dovete sapere semplicemente le parole: chi non le sa? Ma il senso di questi atti. La fede ci fa credere tutto ciò che la Chiesa ci insegna, quantunque non possiamo comprenderlo; ci fa credere che Dio ci vede, che veglia alla nostra conservazione, che ci premierà o ci punirà, secondo che avremo fatto bene o male; che v’è un cielo per i buoni, ed un inferno per i cattivi; che Dio ha sofferto ed è morto per noi. La speranza ci induce a fare tutte le nostre azioni coll’intenzione di piacere a Dio, perché verranno ricompensate durante un’eternità. Dobbiamo credere che né la fede né la speranza saranno più necessarie in cielo, o meglio, non vi sarà più né fede né speranza: non avremo più nulla da credere, perché non vi saranno più misteri; nulla da .sperare perché vedremo quanto abbiamo creduto, e possederemo quanto abbiamo sperato; non vi sarà più che l’amore che ci consumerà per tutta l’eternità: e ciò formerà tutta la nostra felicità. – In questo mondo, l’amor di Dio consiste nell’amare il buon Dio al disopra di ogni cosa creata, nel preferirlo a tutto, anche alla nostra vita. Ecco, F. M., che cosa significa sapere il Pater noster, l’Ave Maria, il Credo, il Confiteor, i Comandamenti, i tre atti di Fede, di Speranza e di Carità. Se non sapete ciò, non conoscete guanto è necessario per salvarvi; bisogna almeno che. interrogati su quanto vi dissi, sappiate rispondere. E qui non è ancora tutto: bisogna che conosciate ilmistero dell’incarnazione, e che cosa vuol dire la parola incarnazione. È necessario sapere che questo mistero ci propone da credere che la seconda Persona della Ss. Trinità ha preso un corpo come il nostro nel seno della Ss. Vergine Maria, per opera dello Spirito Santo. Noi onoriamo questo mistero il 25 di Marzo, giorno dell’Annunciazione, perché in tal giorno il Figliuol di Dio ha unito, ha congiunto la sua divinità alla nostra umanità; si è fatto uomo come noi, ad eccezione del peccato, e si è caricato di tutti i nostri peccati per soddisfare alla giustizia del Padre suo. Occorre sapere che Gesù Cristo è nato il 25 Dicembre, a mezzanotte, il giorno di Natale. Sapere che in tal giorno si dicono tre Messe per onorare le tre nascite di Gesù Cristo: l a prima nel seno dell’Eterno Padre, sin dall’eternità; la seconda, quella corporale nel presepio, e la terza, quella nelle anime nostre colla santa comunione. Bisogna altresì sapere che nel Giovedì Santo Gesù Cristo istituì l’adorabile Sacramento dell’Eucaristia (Luc. XXII). La sera avanti la sua morte, circondato da’ suoi apostoli, prese del pane, lo benedisse, lo mutò nel suo Corpo. Prese del vino con un po’ d’acqua, lo mutò nel suo Sangue, e diede a tutti i sacerdoti, nella persona degli Apostoli, il potere di fare lo stesso miracolo ogni volta che pronunciassero le medesime parole: il che avviene nella santa Messa quando il sacerdote pronuncia le parole della consacrazione. Bisogna sapere che Gesù Cristo morì nel Venerdì Santo, e morì come uomo e non come Dio , perché come Dio non poteva morire; che risuscitò nel giorno santo di Pasqua, cioè che la sua Anima si riunì al Corpo; e che dopo essersi fermato quaranta giorni sulla terra salì al cielo nel giorno dell’Ascensione (Act. I, 3-9); che lo Spirito Santo discese sugli Apostoli il giorno di Pentecoste. Se venite interrogati e domandati quando furono istituiti i Sacramenti da Gesù Cristo o quando ebbero il loro effetto, cioè poterono comunicarci le grazie, dovete saper rispondere che fu solo dopo la Pentecoste. — Se vi si domandasse chi li ha istituiti, dovete sapere spiegare che Gesù Cristo solo poté farlo: non la Ss. Vergine né gli Apostoli. Dovete sapere quanti sono, quali gli effetti di ognuno, e quali disposizioni occorrono per riceverli; dovete sapere che il Battesimo cancella il peccato originale, cioè il peccato di Adamo, che noi tutti portiamo venendo al mondo; che quello della Confermazione ci vien conferito dal Vescovo, e ci dà lo Spirito Santo colla abbondanza delle sue grazie e de’ suoi doni; che quello della Penitenza lo riceviamo ogni qual volta ci confessiamo, e che mentre il sacerdote ci dà l’assoluzione, se siamo ben disposti, tutti i nostri peccati vengono rimessi. Nella santa Eucaristia riceviamo, non la Vergine Ss., né gli Apostoli od i santi, ma il Corpo adorabile ed il Sangue prezioso di Gesù Cristo. Col Figliuolo, in quanto Dio, riceviamo le altre Persone della Ss. Trinità, il Padre e lo Spirito Santo; e in quanto uomo, riceviamo appena il Figliuolo, cioè il suo Corpo e l’Anima uniti alla Divinità. — Il sacramento dell’Estrema Unzione è quello che ci aiuta a ben morire, ed è istituito per purificarci dai peccati commessi con tutti i nostri sensi. Quello dell’Ordine comunica agli uomini il medesimo potere che il Figlio di Dio diede a’ suoi apostoli. Questo sacramento fu istituito quando Gesù Cristo disse agli Apostoli: “Fate questo in memoria di me (Luc. XXII, 19), ed ogni volta che pronuncerete queste parole opererete il medesimo miracolo.„ Il sacramento del Matrimonio santifica i Cristiani che si uniscono insieme, secondo le leggi della Chiesa e dello Stato. Vi è però una differenza tra il sacramento dell’Eucaristia e gli altri. Nell’Eucaristia riceviamo il Corpo adorabile ed il Sangue prezioso di Gesù Cristo, mentre negli altri non riceviamo che l’applicazione dei meriti del suo Sangue prezioso. Inoltre alcuni si chiamano Sacramenti dei morti, altri Sacramenti dei vivi. Ecco perché si dice che il Battesimo, la Penitenza ed alcune volte l’Estrema Unzione sono sacramenti dei morti: perché quando li riceviamo l’anima nostra è morta agli occhi di Dio per i peccati; questi sacramenti risuscitano l’anima nostra alla grazia; gli altri invece sono sacramenti dei vivi…, perché per riceverli bisogna essere in istato di grazia di Dio, cioè non aver peccati sull’anima. Si deve ancora sapere che quando Gesù Cristo ha sofferto sulla croce, né il Padre né lo Spirito Santo hanno sofferto o sono morti, ma solo il Figliuolo patì e morì, come uomo e non come Dio. Ebbene! F. M., se vi avessi interrogati, avreste voi risposto a tutto ciò? Ebbene, se non sapete quanto vi dissi, non siete istruiti sufficientemente per salvarvi. Ho detto che i padri e le madri, i padroni e le padrone debbono per salvarsi essere istruiti di quanto riguarda la loro condizione. Il padre, la madre, il padrone, la padrona devono conoscere tutti gli obblighi da adempiere verso i figli e domestici: devono cioè conoscere perfettamente la religione per insegnarla agli altri; diversamente sono poveri disgraziati e finiscono tutti all’inferno. Ahimè! quanti padri e quante madri, quanti padroni e padrone vi sono che non conoscono neppure la religione e che insieme ai lor figli e domestici marciscono in un’ignoranza crassa, e non aspettano che la morte per gettarsi nell’inferno! S. Paolo ci dice che chi ignora i propri obblighi merita d’essere ignorato da Dio (1Cor. XIV, 38). Converrete con me, dunque, che tutte queste persone sono indegne di ricevere l’assoluzione, e che se hanno la disgrazia di riceverla, essa è un sacrilegio che viene a pesare sulla povera anima loro. Mio Dio! quanti vanno perduti per la loro ignoranza! Possiamo essere sicuri che questo solo peccato ne dannerà più che tutti gli altri insieme, perché una persona ignorante non conosce né il male che fa peccando, né il bene che perde: cosicché un ignorante è una persona perduta!

2° Dico inoltre che bisogna differire l’assoluzione a chi non dà segno di pentimento, cioè di dolore dei peccati commessi. Anzitutto, l’esperienza ci insegna che non dobbiamo affatto fidarci di tutte le promesse e proteste che si fanno. Tutti dicono che sono dolenti d’ aver offeso il buon Dio, che vogliono correggersi davvero, e che si confessano appunto per questo. Il sacerdote, credendoli sinceri, li assolve: che avviene di queste risoluzioni? Eccolo: otto giorni dopo dimenticano tutte le promesse, e ” ritornano al vomito, „ (II Piet. III, 22), cioè alle loro cattive abitudini. Così tutte le proteste non sono certamente prove sufficienti di conversione. Gesù Cristo ci dice che “solo dal frutto si conosce l’albero;„ (Matt. XII, 33), così, solo dal cambiamento di vita si conosce se v’era la contrizione necessaria per essere degni dell’assoluzione. Quando si ha davvero rinunciato ai propri peccati, non basta piangerli, bisogna anche rinunciare, abbandonare e fuggire quanto può indurvici: cioè esser disposti a tutto soffrire piuttosto che ricadere nei peccati che abbiamo confessati. Si deve adunque vedere in noi un cambiamento completo, senza del quale non abbiamo meritata l’assoluzione, e v’è ragione di credere che abbiamo commesso un sacrilegio. Ahimè! come sono poco numerosi coloro in cui si vede questo cambiamento dopo ricevuta l’assoluzione!… Mio Dio! quanti sacrilegi adunque! … Ah! se almeno ogni trenta assoluzioni ve ne fosse una buona, il mondo sarebbe presto convertito! Non merita dunque l’assoluzione chi non dà sufficienti segni di conversione. Ma costoro, purtroppo, d’ordinario non ritornano più quando furon rimandati. Essi fanno ciò appunto perché non hanno intenzione di convertirsi, giacché diversamente invece di aspettare un’altra Pasqua, avrebbero fatto di tutto per cambiar vita, e riconciliarsi con Dio.

3° In terzo luogo dico che si deve rifiutare l’assoluzione a chi conserva odio, risentimento nel cuore, a chi rifiuta di perdonare o di fare i primi passi per riconciliarsi; cosicché, P. M., bisogna guardarsi dal ricevere l’assoluzione quando si ha qualche rancore contro il prossimo. Dopo aver avuto con esso qualche contrarietà, bisogna sentirsi così ben disposti a rendergli servizio, come se per il passato non aveste ricevuto da lui altro che bene. Se vi accontentate di dire che non gli volete male, ma che lo trascurate, che non lo salutate con garbo, che evitate la sua compagnia, preferendone altre, voi non lo amate quanto dovete, perché il buon Dio vi perdoni i vostri peccati. Dio vi perdonerà nella misura che voi perdonerete al prossimo, e sinché avrete risentimento nel cuore contro di esso, ciò che di meglio possiate fare è procurare di sradicarlo; poi riceverete l’assoluzione. So benissimo che si può, anzi si deve evitare ogni compagnia che possa esporci al pericolo di litigare con l’uno o con l’altro, e la famigliarità di coloro che continuamente mormorano dei vicini. Ecco come bisogna regolarsi con queste persone: frequentarle solo quand’è necessario; non volere loro male e neppure sparlarne; accontentarsi di pregare il buon Dio per loro. Ascoltate quanto ci dice Gesù Cristo nel Vangelo: “Se, mentre sei per presentare la tua all’altare, ti ricordi che il fratello tuo abbia qualche cosa contro di te, o che tu l’hai offeso, lascia la tua offerta, e va prima a riconciliarti col fratello. „ (Matt. V, 23) — “Un giudizio severo, scrive S. Giacomo, è riservato a chi non avrà avuto misericordia col fratello. „ (Giac. II, 13). Voi comprendete ora, al par di me, o F. M., che ogni qual volta abbiamo animosità contro alcuno, non dobbiamo ricevere l’assoluzione, perché sarebbe come esporci a commettere sacrilegio, ciò che è la più grande di tutte le disgrazie.

4° Aggiungo in quarto luogo, che vanno trattati alla stessa maniera coloro che hanno recato qualche torto al prossimo e rifiutano di riparare il male fatto o nella persona o nella roba; non si può neanche dare l’assoluzione in punto di morte a chi ha dello restituzioni da fare, e ne lascia la cura agli eredi. Tutti i Padri della Chiesa dicono che non v’è perdono, né speranza di salvezza per chi tiene roba d’altri, potrebbe, e non vuol restituirla.

5° In quinto luogo si deve ricusare l’assoluzione a coloro che sono nell’occasione prossima di peccato, e rifiutano di uscirne. Si chiama occasione prossima di peccato tutto quanto può indurci ordinariamente a commetterlo, come spettacoli, balli, danze, libri cattivi, conversazioni disoneste, canzoni oscene, pitture indecenti, abbigliamento immodesto, cattive compagnie, il frequentar persone di sesso diverso, le relazioni con persone colle quali già altra volta si è peccato, ecc. Così pure i mercanti che non sanno vendere senza mentire o bestemmiare, gli osti che danno da bere agli ubbriaconi, ovvero durante le sacre funzioni, o di notte: come anche i domestici sollecitati al male da qualcuno della casa. A tutti costoro il sacerdote non deve e non può, senza suo danno, dare l’assoluzione, a meno che promettano di lasciar tali abitudini e di rinunciare a tutto ciò che li può indurre al peccato, o ne offre loro occasione. Altrimenti, ricevendo l’assoluzione. fanno senza dubbio un sacrilegio.

6° In sesto luogo deve negarsi l’assoluzione agli scandalosi, che colle loro parole, con consigli ed esempi perniciosi inducono gli altri al peccato; tali sono i cattivi Cristiani che mettono in derisione la parola di Dio e chi l’annunzia, sia il loro pastore oppure altro sacerdote; che motteggiano la religione, la pietà e le cose sante; che fanno discorsi contrari alla fede od ai buoni costumi; che nelle loro case tengono veglie, danze profane, giuochi proibiti; che conservano pitture disoneste, indecenti, o libri cattivi; così pure le persone che s’abbigliano coll’intenzione di piacere, che coi loro sguardi e modi procaci fanno rimettere col cuore tante fornicazioni ed adulteri. Un confessore, dice S. Carlo, deve rifiutare l’assoluzione a tutti costoro, poiché sta scritto : “Guai all’uomo per colpa del quale avviene lo scandalo „. (Matt. XVIII, 7).

7° In settimo luogo si deve rifiutare l’assoluzione, ovvero differirla, ai peccatori abitudinari, che ricadono da lungo tempo nelle medesime colpe, e fanno nulla o ben poco per correggersi. Di questo numero sono coloro che hanno l’abitudine di mentire ad ogni momento, non se ne fanno scrupolo, si divertono anzi a dir menzogne per far ridere gli altri; quelli che mormorano facilmente del prossimo ed hanno sempre alcunché da dire sul suo conto; quelli che hanno spesso sulle labbra parole di giuramento con leggera offesa del nome di Dio; quelli che hanno l’abitudine di mangiare ad ogni ora, anche senza bisogno; che s’impazientano ad ogni momento, per un nonnulla; che mangiano e bevono eccessivamente; coloro che non fanno sforzo abbastanza per correggersi dei pensieri d’orgoglio, di vanità, o dei pensieri contrari alla purezza; infine si dovrà rifiutare l’assoluzione a tutti coloro che non accusano da sé i loro peccati, che aspettano, per così dire, che il confessore li interroghi. Non tocca al sacerdote, ma tocca a voi di confessare i vostri peccati; se il sacerdote vi fa qualche domanda è per supplire a quanto non avreste potuto conoscere. — Ahimè! a tanti si deve, per così dire, strappare i peccati dal fondo del cuore; e ve ne sono di quelli che disputeranno perfino col confessore, volendo provare che non hanno fatto un gran male. E evidente che costoro non son degni di ricevere l’assoluzione, e non hanno le disposizioni che necessariamente richiede questo Sacramento, perché non sia profanato. Tutti i Padri della Chiesa sono d’accordo su questo punto, che quando non vi è cambiamento, né emendazione in chi si confessa, la sua penitenza è falsa ed ingannevole. Il santo Concilio di Trento ci ordina di non dare l’assoluzione che a quelli nei quali si vede la cessazione dal peccato, l’odio e la detestazione del passato, il proposito e l’inizio d’una vita nuova. Ecco, F. M., le regole dalle quali un confessore non può allontanarsi senza perdere se stesso ed i penitenti. Ma vediamo ora le ragioni che si mettono innanzi, per indurre il confessore a dare l’assoluzione. – Gli uni dicono che il non dare l’assoluzione a chi si confessa frequentemente è distruggere la religione, far apparire troppo difficile il compiere quanto essa comanda; è scoraggiare i peccatori ed esser causa che abbandonino la via del bene; è lo stesso che mandarli all’inferno; che molti altri confessori sono più accondiscendenti; che si avrebbe almeno la consolazione di vedere in parrocchia far la Pasqua un gran numero di persone, le quali ogni anno tornerebbero volentieri a confessarsi; che pretendendo troppo, non si ottiene nulla. F. M., quelli che ragionano così sono: 1° coloro che non meritano l’assoluzione. Ma, amici miei, fin dal principio della Chiesa tutti i Padri hanno seguito questa regola: che bisogna assolutamente aver lasciato il peccato per ricevere degnamente l’assoluzione. Questo rifiuto non sembra duro che ai peccatori impenitenti; questa regola non può dispiacere che a coloro i quali non pensano a convertirsi. Che cosa si ricava, F. M., da queste assoluzioni precipitate? Lo sapete benissimo anche voi. Ahimè! una catena di sacrilegi. Appena assolti, ricadete negli antichi peccati; la facilità con la quale avevate ottenuto il perdono, vi ha fatto sperare che l’otterrete ancora, del pari, facilmente, ed avete continuata la medesima vita; mentre se vi si fosse rifiutata l’assoluzione subito, sareste rientrati in voi stessi, avreste aperto gli occhi sulla vostra disgrazia, dalla quale forse non vi libererete mai più. La vostra povera vita non è che una serie di assoluzioni e di ricadute. Mio Dio, quale sventura! Ecco dove vi conduce la dolorosa facilità di assolvervi. Non è piuttosto crudeltà darvi l’assoluzione, che rifiutarvela, quando non siete disposti a riceverla? S. Cipriano ci dice che un prete deve stare alle regole della Chiesa, ed aspettare che il penitente dia segni certi che il suo cuore è cambiato e che comincia a condurre una vita diversa da quella che menava prima di confessarsi, perché Gesù Cristo stesso, che è Dio e padrone della grazia, non ha accordato il perdono che ai veri penitenti: accolse il buon la cui conversione era sincera, ma respinse il cattivo, per la sua impenitenza. Perdonò a S. Pietro, di cui conosceva il dolore, ma abbandonò Giuda, il cui pentimento era falso. Quale disgrazia pel sacerdote e pel penitente, se il confessore gli dà l’assoluzione quando egli non la merita! Se mentre il ministro dice al penitente: Io ti assolvo; Gesù Cristo invece gli dice: Io ti condanno… Ahimè! quanto il numero di costoro è grande, poiché sono pochi quelli che abbandonano il peccato dopo ricevuta l’assoluzione, e cambiano vita. Tutto questo è vero, soggiungerete voi: ma che si dirà di me, dopo avermi più volte visto a confessarmi, non vedendomi far la comunione? Si crederà ch’io conduca una vita scorretta; d’altra parte, conosco altri, più peccatori di me, che pure furono assolti: voi avete assolto il tale, che ha mangiato di grasso con me, che, al pari di me, andò in giorno di domenica … — La coscienza di colui non è la vostra: se egli ha fatto male, non si deve seguirlo. Forse, per salvar le apparenze, vorreste dannarvi commettendo un sacrilegio? Non sarebbe quella la maggiore sventura? Credete che vi si faccia osservazione, perché foste visto a confessarvi più volte senza comunicarvi. Ah! amico mio, temete piuttosto lo sguardo irato di Dio, alla cui presenza avete fatto il male, e non badate a tutto il resto. Dite che ne conoscete di più colpevoli di voi, che pure furono assolti. Che ne sapete voi? Forse è venuto un angelo a dirvi che Dio non li ha cambiati e convertiti? E quand’anche non fossero convertiti, volete far il male, anche voi, perché essi lo hanno fatto? Vorreste dannarvi perché gli altri si dannano? Mio Dio! quale spaventevole linguaggio! — Ma, soggiungono costoro, che non solo non sono convertiti, ma che non desiderano nemmeno di convertirsi, e soltanto bramano di salvare le apparenze, quando dovremo venire per comunicarci? non vorremmo attender troppo. — Quando dovrete venire a comunicarvi? Ascoltate S. Giovanni Crisostomo: egli stesso ci insegnerà quando dovrete venire. Forse a Pasqua, a Pentecoste, a Natale? No, vi dice. Forse in punto di morte? No, vi dice ancora. Quando adunque? Quando, vi dice, avrete rinunciato seriamente al peccato, e sarete risoluti di non più cadervi, coll’aiuto della grazia di Dio; quando avrete restituito ciò che non è vostro; quando vi sarete riconciliati col vostro nemico; insomma quando vi sarete convertito davvero. — Altri peccatori ci diranno: Se siete così severo, andremo da altri, che ci assolveranno. Sono già venuto tante volte; ho ben altro da fare che andar avanti ed indietro; torno da tanto tempo, vedo bene che non volete saperne di me. Del resto, che male ho dunque fatto? — Andrete a trovarne un altro, amico mio, siete padrone d’andar ove meglio vi piace; ma credete voi che un altro avrà volontà di dannarsi più che non l’abbia io? no, senza dubbio. Se egli vi assolve è perché non vi conosce abbastanza. Volete sapere chi è colui il quale parla in tal modo, , e cerca altrove una assoluzione? Ascoltate e tremate. E colui che abbandona la guida che può condurlo a salvamento, per cercare un passaporto per andar diritto all’inferno. — Ma, mi direte, son già tante volte che vengo. — Ebbene, amico mio, correggetevi, e vi assolverò la prima volta che ritornerete. — E già gran tempo, direte, ch’io non ritorno. — Tanto peggio per voi solo, amico mio. Non ritornando più, camminate a passi da gigante sulla via dell’inferno. Vi sono alcuni così ciechi da credere che il confessore non li assolve perché porta loro astio. Senza dubbio, amico mio, egli è irritato con voi, ma solo perché vuole la salvezza dell’anima vostra. Per questo non vuol darvi una assoluzione, che lungi dal salvarvi vi dannerebbe per tutta l’eternità. — Ma, dite voi, che gran male ho dunque fatto? non ho né ammazzato né rubato… — Non avete ammazzato né rubato, dite? Ma, amico mio, l’inferno racchiude altri che non hanno né rubato, né ammazzato; non sono questi i due soli peccati che trascinano le anime all’inferno. Se io fossi così debole da darvi l’assoluzione quando non la meritate, sarei il carnefice della povera anima vostra, che ha costato tanti patimenti a Gesù Cristo. – Ascoltate, F . M., questo tratto di storia, che ci insegna quali sono gli effetti di queste assoluzioni precipitose, impartite quando il penitente non è disposto. S. Carlo Borromeo ci racconta che un ricco napoletano conduceva una vita niente affatto cristiana. Si indirizzò ad un confessore che passava per facile ed accondiscendente. Questo sacerdote, infatti, appena udito il penitente, gli diede l’assoluzione senza aver alcuna prova del di lui pentimento. Il gentiluomo, quantunque senza religione, meravigliato d’una facilità, che tanti confessori saggi ed illuminati non avevano avuto per lui, si alza bruscamente, e togliendo alcune monete di tasca: “Prendete, Padre, gli disse, ricevete questo denaro, e conservatelo sino a quando ci troveremo insieme nel medesimo posto. — Quando, ed in qual luogo ci ritroveremo? risposegli il sacerdote tutto meravigliato. — Padre mio, in fondo all’inferno, dove ci troveremo presto ambedue: voi per avermi data l’assoluzione, di cui ero indegno, ed io per essere stato così sciagurato di riceverla, senz’essere convertito. „ Che ne pensate di questo fatto, F. M.? Meditiamole insieme queste parole; abbiamo in esse motivo di tremare tutti. — Ma, direte dunque, quando si può ricevere l’assoluzione? — Appena sarete convertiti, appena avrete cambiato metodo di vita: quando pregherete il buon Dio che faccia conoscere al vostro confessore le disposizioni del cuor vostro; quando avrete adempiuto esattamente ciò il confessore vi avrà prescritto, e non mancherete di ritornare nel tempo che egli vi ha fissato. Raccontasi d’un peccatore, che si convertì in una missione, che dopo la sua confessione il sacerdote lo vide così bendisposto, che fece per dargli l’assoluzione. Il povero uomo gli disse: “Ecchè, Padre mio! a me l’assoluzione! ah! lasciatemi piangere un po’ i peccati, che ebbi la disgrazia di commettere: mettetemi alla prova, affinché possiate essere sicuro che il mio pentimento è sincero.„ Quel penitente nell’atto di ricevere l’assoluzione, credeva morir di dolore. Mio Dio! quanto sono rare disposizioni simili! Ma quanto lo sono anche le confessioni buone! – Concludiamo: non dobbiamo mai sollecitare il confessore a darci l’assoluzione, perché dobbiamo sempre temere di non essere preparati, di non essere, cioè, abbastanza convertiti. Domandiamo al buon Dio che ci converta mentre ci confessiamo, affinché i nostri peccati ci siano davvero perdonati. È la fortuna che vi auguro.

LO SCUDO DELLA FEDE (170)

A. D. SERTILLANGES, O. P.

CATECHISMO DEGLI INCREDULI (VI)

[Versione autoriz. Dal francese del P. S. G. Nivoli, O. P. – III ristampa. S. E. I. – Torino 1944]

IV. — Il Cristianesimo cattolico.

c) Schizzo di un’apologia esterna.

D. Mi dicevi che la coerenza interna della dottrina cattolica e il suo adattamento alla vita non erano che una delle ragioni in suo favore. Che cosa avevano di sottinteso queste parole?

R. Io non ti faccio un trattato di apologetica; mi sono già, allontanato molto dal lavoro catechistico che mi sono proposto. Non ti posso tuttavia rifiutare alcune indicazioni sommarie. Per cominciare, citerò quel giudizio del Lacordaire che io noto in ogni coscienza: «Ogni uomo di buona fede si può convincere, con pochissima fatica, che il concatenamento dei fatti cristiani è al di sopra delle forze umane se si suppongono falsi, e ancora al di sopra delle forze umane se sono veri». In questa sola frase, il grande apologista dà la prova essenziale sulla quale s’innestano tutte le altre,

D. Che cosa intende il tuo autore per «il concatenamento dei fatti cristiani? ».

R. Si tratta di quell’immensa serie di avvenimenti, che, in passato, si estende da Abramo a Pio XI, e si mostra in grado di realizzare la sua pretensione di durare sino alla fine dei tempi.

D. Questa serie di fatti è continua e omogenea?

R. È continua, ma non omogenea; essa importa tre fasi: una fase di preparazione, che è il giudaismo; una fase di effettuazione, che è l’insieme dei fatti evangelici, e una fase di utilizzazione che è la nostra, cioè l’éra cristiana. Il giudaismo è un Vangelo nascosto; il Vangelo è un giudaismo spiegato; i tempi cristiani sono un Vangelo in azione, o per lo meno un saggio di applicazione laboriosa.

D. Tutta questa evoluzione ha dunque un centro?

R. Il centro o il perno di questa evoluzione è Cristo.

D. E che cosa deduci da questa constatazione?

R. Non sei tu colpito, prima di tutto, da un fenomeno storico di questa ampiezza: una forza all’opera dalle origini della storia fino a oggi; che sviluppa gli annali di Dio e la filosofia di Dio senza interruzione, senza lacuna e senza contradizione; che attraversa tutti i fatti umani senza intralciarli come senza confondervisi; che si crea una tradizione propria nel corso delle nostre tradizioni, una società a sé, una società perfetta e indipendente nel cuore delle nostre società; che suscita una vita la quale abbraccia l’altra e ne sposa tutte le forme, con la mira di elevarla al di sopra di se stessa e di portarla più avanti? È questa una cosa così ordinaria che non valga la pena di fermarci per domandare a noi stessi: Quale è questa forza? Il giudaismo, in quanto storia, sembra più prodigioso di tutti i prodigi particolari che vi si rilevano, e la fondazione del cristianesimo, la sua conservazione, il suo modo di evoluzione un prodigio più grande di tutti i miracoli di Gesù Cristo. Un tal movimento ha il carattere d’una vera creazione, d’una creazione dinamica. È un mondo che attraversa un mondo.

D. Gli storici non ne menzionano le cause?

R. Tutto ha delle cause; ma si dimentica di dire quello che ha causato codeste cause, organizzato il loro concorso e assicurata la loro efficacia, ad onta di tante cause contrarie. Vi sono anche cause che assicurano la grandezza degli imperi umani, delle imprese umane: mostrami un caso che a questo si possa paragonare, fosse pure lontanissimamente.

D. È una questione di grado.

R. Quando le cose arrivano a un certo grado, ti presentano un problema, come se alla bisca tu sbancassi tutti i giorni il tuo compagno di giuoco. Nel caso di cui parlo, tutte le leggi dell’equilibrio storico sono spiegate; il « ricominciamento eterno », senza perdere i suoi diritti sopra una materia che rimane materia umana, è al servizio di una continuità che lo domina. – Ascolta uno storico (Ernesto Lavisse): « Io storico, non so quello che avvenne il mattino di Pasqua; ma quello che ben so, è che, quel giorno, nacque un’umanità che non muore. Christus resurgens non moritur . Ascolta Ernesto Renan, poco sospetto: «L’avvenimento capitale della storia del mondo è quella rivoluzione per la quale le più nobili parti dell’umanità passarono dalle antiche religioni a una Religione fondata sull’unità, la Trinità, l’incarnazione del Figliuolo di Dio ». E se vuoi il commento, ecco Rémusat: «I casi fortuiti delle faccende umane non portano affatto tali risultati » E Bossuet: «È un’opera così grande, che se Dio non l’avesse fatta, Lui stesso la invidierebbe al suo autore ».

D. Ciò mi colpisce, ma non mi convince.

R. Godo di vederti difficile. Ma vi è altro. Questo immenso spiegamento offre, nel suo decorso, un carattere profetico; la sua continuazione è annunziata fino dal principio e ciascuna delle sue tappe è annunziata nella tappa precedente, diciamo meglio, per mezzo della tappa precedente, che non ha senso se non in essa.

D. I primi Cristiani annunziarono la fine prossima dei tempi, e credevano veramente di appoggiarsi in ciò sopra le parole di Gesù stesso; ebbene era un errore.

R. Era di fatto un errore; ma non era un errore religioso, e a proposito delle parole di Gesù, che avevano formalmente scartato questo problema, era una pura interpretazione. L’errore veniva precisamente da una persuasione religiosa dominante, unita a una mancanza di prospettiva riguardo al temporale. Gesù aveva predicato l’essenziale; i suoi discepoli, imbevuti dell’essenziale, lo schematizzavano così: ieri Adamo; ora Cristo; domani la reintegrazione del mondo in Dio. Che importa che questo domani fosse stato compreso in un modo più o meno stretto? Il fatto sta che lo schema è esatto. Il giudaismo è un lungo messianismo; il Vangelo è un annunzio formale dei tempi cristiani; alla sua volta il Cristianesimo profetizza gli ultimi tempi, e l’avvenire darà la risposta.

D. Chi può giudicarne prima?

R. Già ne abbiamo molti segni; ad ogni modo, oggi è certo che il fatto della Chiesa giustifica Cristo e il fatto di Cristo giustifica il giudaismo. Renan fu molto colpito da questi fatti, che altri « critici » preferiscono passare sotto silenzio.

D. Le profezie di cui parli sono veramente chiare?

R. Puoi leggere dovunque, nella più antica Bibbia, le visioni che riguardano l’avvenire, i testi sorprendenti dei profeti che annunziano per minuto la vita, la morte e l’opera di Gesù Cristo, come pure i suoi effetti, e trovi nel Vangelo l’annunzio della Chiesa, delle sue traversie e dell’opera sua sino alla fine dei tempi.

D. Si è preteso che i testi antichi relativi a Cristo s’incontrino con Lui per questa buona ragione che da essi si sono presi gli elementi della sua storia.

R. Ecco delle baie che non reggono all’esame. È certo che gli evangelisti hanno cercato i raffronti e forse hanno un po’ raffinato nella materia; certi loro raffronti sono forzati, altri discutibili. Ma ciò stesso prova la loro sincerità. Quando s’inventa, non si ha bisogno di raffinare così e di esaurire tutte le proprie risorse; si può lasciar correre; la fantasia è ubbidiente.

D. Secondo ciò sembrerebbe che il giudaismo e il Cristianesimo non siano che una sola e identica religione; tuttavia si oppongono l’una all’altra.

R. Si oppongono e si confondono con ragione, sotto diversi rapporti. Il giudaismo letterale e carnale si oppone al Cristianesimo, Religione spirituale; ma il giudaismo vero gli è identico, tenuto conto della differenza dei tempi. Il vero giudeo non era colui che si faceva circoncidere e compiva a Gerusalemme dei saorifizi materiali, ma colui che amava Dio con tutto il suo cuore e, coscientemente o no, per mezzo dei simboli della legge mosaica, si univa a Colui che è la salvezza degli uomini. Il vero Cristiano non è colui che va alla messa nei giorni festivi e scioglie i suoi voti; ma sì colui che ama Dio con tutto il suo cuore e, per mezzo dei simboli questa volta vivificanti della legge evangelica, si unisce a Colui che è il Salvatore degli nomini. Agli uni e agli altri, e per essi a tutti, Cristo può rivolgere le solenni parole del Deuteronomio: Prendo oggi come testimonio il cielo e la terra: ho posto davanti a voi la morte e la vita, affinché scegliate la vita, e amiate Dio, e gli ubbidiate; perché Dio è la vostra vita (Deut., XXX, 19).

D. Quale compito attribuisci tu a’ Giudei riguardo al Cristianesimo?

R. Essi ne son i testimoni. Attestano la continuità di cui io parlo. Accoliti involontari, essi presentano il Libro, e la luce dei fatti antichi, e l’incenso dei salmi. Vi recano un bello zelo; sono incomparabili conservatori dei nostri testi e delle nostre tradizioni; sono degli antichi che si vedono e fanno vedere degli antenati contemporanei, se posso dire così, dei morti che vivono. Sono dispersi da per tutto e sono una sola cosa; hanno altre patrie senza potere né voler rinnegare quella che ai divini disegni importa di conservare sussistente. Una tale testimonianza permanente, senza pari, senza sospetto, poiché depone contro di sé; questa testimonianza delle cose predette delle quali il testimonio rifiuta di vedere il compimento, ma conserva con amore i testi in cui i suoi profeti annunziano ciò stesso, cioè che egli sarà il nemico del compimento, benché amico della promessa, è un fenomeno provvidenziale sorprendente all’ultimo segno; esso, dicevo, commosse Renan, e strappa a Pascal la sua grande esclamazione: « È cosa ammirabile! ».

D. Ma perché i Giudei non credettero, perché non credono, dopo avere atteso quello che rifiutano?

R. Non è esatto che tutti non abbiano creduto. Le prime Chiese cristiane sono dei gruppi giudaici. In quel momento la divisione si fa tra i veri Giudei, che comprendono lo spirito della loro religione e lo riconoscono in Cristo, e i Giudei carnali, che disconoscono Cristo perché Egli non è carnale. Il seguito si spiega mediante la tradizione, e mediante la permanenza, in molti, di questo spirito carnale.

D. Dunque, secondo te, vi è qualche cosa di miracoloso nelle profezie successive di cui parli?

R. Una profezia è necessariamente un miracolo; nessuno sa naturalmente l’avvenire. Del resto a questo miracolo psicologico delle profezie si aggiunge il miracolo propriamente detto, il miracolo esterno, dei quali io non ritengo che il numero meglio attestato, il più impressionante, quello che forma attorno a Cristo una costellazione di fatti dolcemente luminosa come le nostre stelle.

D. L’idea dei miracoli mi urta.

R. Perché?

D. Per la sua stranezza, per la parte arbitraria che vi si insinua, per il disordine evidente che introdurrebbe nella trama delle cose, in opposizione con le leggi che studia la scienza e a scapito di tutte le nostre certezze.

R. Il miracolo non può apparire strano se non a una mente ancora lontana da Dio. Colui che vive abitualmente in presenza di Dio non si meraviglia di vedere che Dio fa qualche miracolo dal momento che Egli ha fatto tutto e tutto conserva. Nell’Enciclopedia, di solito antireligiosa, si trova questa lucida osservazione: « Supponi il nulla, e ti renderai conto che i fatti naturali e i fatti soprannaturali non tengono all’essere più gli uni che gli altri, non son più facili o più difficili a compiere gli uni che gli altri. Il rendere la vita a un morto è a Dio altrettanto facile quanto il conservarla a un Vivo ».

D. Ecco la facilità di ciò che è arbitrario.

R. È forse arbitrario che le leggi d’un ordine inferiore cedano alle leggi d’un ordine superiore? Ciò non si produce forse in tutta la natura, e la libertà umana non si oppone forse al determinismo nel nome dello spirito? Perché l’ordine soprannaturale non s’imporrebbe alle leggi naturali nel nome di fini superiori? Il funzionamento della natura è forse fatto per se stesso, e non deve se stesso allo spirito? Io direi volentieri con Hello che, turbando un ordine di fatti che ci opprime o che si oppone ai nostri fini spirituali, Dio non fa altro che «turbare il disordine »; difatti l’ordine è nella subordinazione della natura alla vita e della vita alle leggi morali che la regolano.

D. La mia impressione d’un ordine alla rovescia non è dissipata.

R. Aggiungo questo. Secondo nessun punto di vista vi è qui un «ordine alla rovescia », o disordine. Vi è solo un ordine nuovo, in ragione di un’inversione che orienta altrimenti i fenomeni e così fa capo ad altri risultati. Nessun agente naturale è per questo violentato né strappato alle sue proprie tendenze. Il miracolo scaturisce da Dio, ma è nella natura; «la sua trascendenza opera secondo modi immanenti » (MARCELLO SCHWOB).

D. Il determinismo nondimeno viene spezzato.

R. Niente affatto, se tu intendi di quel determinismo che è una legge della mente e una condizione di ogni scienza; perché il determinismo così inteso vuole soltanto che in date condizioni si produca un dato effetto. Aggiungi una condizione — qui l’intervento divino — lo stesso determinismo vuole che il risultato sia diverso. In quanto al determinismo naturale lasciato a se stesso, non ha niente d’intangibile; è un’abitudine dei fatti materiali; dunque, è inferiore allo spirito, del quale, per Enrico Bergson, esso rappresenta una meccanizzazione, una caduta; esso cede già davanti allo spirito umano: donde la libertà; cede anche davanti a Dio: donde il miracolo,

D. Ma che cosa diventa la certezza della scienza?

R. Sei tu certo di ciò che io farò domani? e perché saresti tu certo di ciò che farà o non farà Dio? Le certezze della scienza non hanno questo oggetto; esse hanno di mira ciò che io chiamavo or ora le abitudini dei fatti, i loro collegamenti spontanei, rivelatori d’una natura delle cose. Ma la natura delle cose si estende fino a Dio stesso; essa si dispone in gradi in tal modo che ciò che è natura per sé è soprannatura per rapporto a quello che esso domina e regge. Dio è soprannatura in modo assoluto; la sua volontà è la legge suprema, come la volontà dell’architetto è la legge della sua opera, come la volontà dell’acqua, se posso dire così, è la legge d’una turbina insieme immobile e che gira romoreggiando. Qui non c’è difficoltà se non per coloro a cui preme che la natura sia sola, senza che Dio la penetri. Ma questi partigiani non hanno più nulla a vedere coi diritti della scienza o con quelli del cosmo. Il miracolo non violenta affatto la natura; esso concorre con lei, e con ciò consacra le sue leggi.

R. E a che serve il miracolo?

R. A fare del bene e a fare della luce. I miracoli di Cristo sono tutti benefici, tutti rischiaranti.

D. Non dànno alla sua vita un’aria di leggenda atta a diminuire la sua azione, invece d’ingrandirla?

R. I miracoli di Cristo non hanno l’aria di leggenda; nessuno elemento di curiosità, di ostentazione o di puerilità ci si trova; essi si connettono strettamente al compito redentore. Gesù guarisce i corpi con quella stessa bontà che guarisce le anime; per il corpo Egli vuole arrivare all’anima, rendere autorevole la missione col suggello di Dio, rendere inescusabili i suoi negatori, e i suoi fedeli sicuri della loro prudenza, supplire per la durata della sua vita alle profezie non ancora compiute (come la sua sopravvivenza e quella dell’opera sua), combattere l’evidenza opprimente della sua umanità con uno splendore della sua divinità, allontanare lo scandalo dalle sue affermazioni trascendenti circa la sua Persona, prendendo il diritto di domandare, davanti a un paralitico: « Che cosa è più facile, dire: I tuoi peccati ti sono rimessi, o dire: Alzati e cammina? (Matteo, IX, 6).

D. I miracoli di Gesù Cristo non si spiegherebbero con la magia di una personalità meravigliosa?

R. La personalità di Gesù fu potente; ma ogni influenza ha dei limiti che ad ogni istante il Vangelo supera, e nessuno ha influsso sopra la morte. Del resto nella vita di Gesù vi sono dei miracoli ai quali la sua personalità è estranea.

D. Fai, dunque, allusione ai racconti dell’Infanzia. Ma queste storie di pastori e di magi non sono forse assai infantili?

R. Non vorrai giudicare infantile quella divina semplicità che tante grandezze compensano. È la sublimità propria del Vangelo l’aver messo insieme queste cose: le narrazioni di Betlemme, e il Discorso del Monte, il Gloria în excelsis e l’anatema contro i Farisei, l’officina di Nazaret e il Tabor; il presepio e la croce.

D. Ma queste narrazioni di miracoli non sarebbero state inserite dopo dai discepoli ingenui e zelanti?

R. Ciò si potrebbe supporre di qualche miracolo isolato; ma in generale essi fanno corpo con la Persona, con la dottrina e con la trama storica della vita; è impossibile ritirarli senza distruggere tutto.

D. Ma ancora, che cosa valgono questi testi e qual è la loro autorità?

R. Sotto l’aspetto della loro trasmissione, è riconosciuto che nessuno scritto dell’antichità offre tali garanzie critiche; e ciò, in grazia del gran numero di manoscritti prossimi agli originali, delle versioni primitive diverse, delle citazioni sparse e quasi immediate, delle edizioni scrupolose, ecc. In quanto agli stessi autografi, possono portare la data in media di una quarantina d’anni dopo la morte di Gesù; ma nota che lì non si tratta che della scrittura; prima vi è la testimonianza orale; vi sono quelli che hanno veduto e udito, e che attestano a costo della loro vita l’oggetto del loro messaggio. « Io mi fido di testimoni che si fanno sgozzare » (PASCAL).

D. Molti si sono fatti sgozzare per le loro credenze.

R. Non si tratta di credenze, ma di fatti, di tutta una vita di fatti.

D. Non vi sono nel Vangelo molte oscurità e contradizioni?

R. Esse sono minime, e provano la sincerità, l’indipendenza scambievole degli scrittori, fino a qual punto essi hanno «la passione del vero », come dice Origene. Con ciò, se lasciano del dubbio là dove i racconti non concordano, cioè in quanto all’accessorio, esse rinforzano la certezza là dove tutto concorda, cioè in quanto al principale. Sarebbe stato così facile, fuori del profondo rispetto del vero e delle fonti, il mettere d’accordo gli scritti!

D. Sai che si è arrivato a mettere in dubbio perfino la vita reale di Gesù Cristo.

R. È un eccesso estremamente oltraggioso di critici dilettanti. Ma se ve ne sono dei sinceri, coloro che qui dubitano hanno davvero perduto il senso del reale. Negli Evangelisti, la vita splende altrettanto e più che il misticismo; in essi tutto è profondamente umano, preso sul vivo dell’azione quotidiana, in connessione evidente con un ambiente e tempi storici determinatissimi, con uomini di carne ed ossa e con istituzioni positive che ogni sorta di minute particolarità fanno riconoscere. E tratti di realtà locale confermati dalla storia, dalla topografia, dalla psicologia e dall’esperienza si contano nel Vangelo a migliaia. Qui non si tratta di immaginazioni disparate. Le lacune dei racconti, le loro contraddizioni superficiali, l’opposizione apparente di certi tratti con lo scopo dei narratori, il carattere delle sconnessioni che nessun ritocco letterario corregge, la corsa allo spogliamento registrata nei fatti, ma non preparata, una moltitudine di affermazioni sconcertanti per il senso umano, ambigue, insospettabili, ingenuamente proposte tuttavia, come venienti da relatori che ti dicono: Ecco, noi non ne possiamo niente: mi sembra che sia già abbastanza per invalidare la supposizione d’una vita di Gesù tutta fabbricata di pezzi, e specialmente di pezzi, come si suppone, fuori di ogni realtà. Una tale supposizione è propriamente insensata. Ma c’è molto di più ancora. Ed è che la personalità di Gesù si rifiuta a ogni composizione letteraria o mistica, a ogni creazione spontanea e concertata all’infuori di un fatto storico, e di un fatto trascendente. Infatti, queste due cose sono legate insieme. Al Gesù del Vangelo è tanto impossibile l’essere solamente un uomo quanto il dileguarsi in fantasma.

D. Non sono sicuro di capire.

R. Mi spiegherò con gioia; perché il mio rispetto e il mio amore di questa sacra personalità mi rende dolcissimo il presentarla, se posso dire così, a chi mi può intendere. Domando solo che non dimentichiamo di raccoglierci.

D. Dici che la persona di Gesù non potrebbe essere una creazione della mente, che è necessariamente reale, e aggiungi: divinamente reale?

R. È così. Tu conosci questa brusca interrogazione di Pascal: «Chi ha insegnato agli Evangelisti le qualità di un’anima perfettamente eroica, per dipingerle così perfettamente in Gesù Cristo? ». Prendendo un esempio aggiunge: « Perché lo fanno debole nella sua agonia? Non sanno essi dipingere una morte costante? Sì; perché lo stesso S. Luca dipinge quella di S. Stefano più forte che quella di Gesù Cristo ». È un particolare; ma ve ne sono mille simili. Il carattere di Gesù nel Vangelo è elevato quanto lo può essere ideale d’uomo; la sua qualità morale permette di vedervi, se posso dire così, una forma umana degli attributi di Dio; ma, con ciò, questo carattere non ha niente di astratto; offre delle disparità che in una composizione o in un sogno collettivo sarebbero incomprensibili; in lui l’inatteso è un segno certo di autenticità, perché ce lo mostra radicato in realtà vive, che Egli stesso non esaurisce.

D. Bisognerebbe vedere questo.

R. Qui non posso far altro che fornire l’indicazione; ma tu verifica, e sarai colpito dall’evidenza. Nello stesso modo che la dottrina di Gesù non è una teoria, ma l’espressione della sua propria vita e della sua propria Persona, così la sua vita e la sua Persona, quali si presentano nei racconti evangelici, non sono costruzioni astratte, ma l’espressione di un ambiente in cui si manifesta un’anima, in cui si manifesta Iddio. Gesù è « una specie di giustizia animata », dice S. Tommaso d’Aquino; ma animato, alla base, significa corporale, misto alla natura, versato nella storia, come un prodotto di questo suolo così come del cielo. Ciò non si fabbrica punto in un gabinetto di lavoro, né scaldandosi in riunioni mistiche. Nessun vapore d’immaginazione ha questa densità cristallina, questi contorni spiccati, queste faccette in cui scherza una doppia chiarezza: quella di un’anima individuale infinitamente larga, ma tanto più consistente, e quella d’un ambiente di vita troppo complesso e obbiettivo da poterlo sognare. Qui, il concreto splende da per tutto ed è il miracolo! Trova tu altrove la perfezione dell’ideale nella realtà storica! « La grandezza emanata dalla persona di Cristo, scrive Goethe, è d’un genere divino tale, che mai il divino apparve così sopra la terra ».

D. Questo gran pagano non vuol forse dire che Gesù è divinamente uomo?

R. Lo credo; ma non mi basta. Perché ciò suppone contro i nostri sognatori una piena realtà storica, e offre una salda base per una prova di divinità.

D. Quest’ultimo punto mi tocca.

R. Ecco. Che Gesù sia « divinamente uomo », cioè più semplicemente, uomo perfetto, ciò suppone che in Lui nulla sia difettoso, né sotto l’aspetto dell’intellettualità, né in quanto alla condotta. Bisogna che i suoi nemici siano confusi, quando l’accusano sia di follia, sia di ambizione esasperata e satanica, proprio come quando lo dicono un beone o un seduttore. Ora confronta questa esigenza coi fatti, nella supposizione che Gesù sia semplicemente uomo. Ecco un riformatore che ti dice: « Ogni potere mi è stato dato in cielo e sopra la terra »; «il cielo e la terra passeranno, ma non passeranno le mie parole »; «Io sono la luce del mondo »; un Giudeo che, in un paese di teocrazia, si arroga il diritto di abrogare in qualche modo la legge del suo popolo e di fondare un avvenire sopra di se solo; un uomo che parla con autorità di ciò che ignorano gli uomini; che esige la credenza e il culto; che, mortale, pretende di risuscitare se stesso e di risuscitare gli altri; che crede di poter fissare, nel giorno del giudizio e già sopra la croce, la sorte eterna di chi lo confessa e ubbidisce a’ suoi precetti; in una parola, che in ciò e in mille altre cose si diporta come una personalità trascendente, e tu dici: È un uomo ideale? Ma io dico: Se non è che un uomo, egli è l’ideale della superbia o della divagazione, dell’esaltazione morbosa o dell’oltracotanza. Nei due casi bisogna voltargli le spalle, sia con ironia o con ira. Se questo non si fa, io stimo che non si possono scusare le sue parole e i suoi atti se non con l’adorazione.

D. Eppure Gesù non si disse Dio.

E. Questa parola cruda: «Io sono Dio », non rispondeva alle circostanze e non avrebbe procacciate le transizioni necessarie. Gesù dice quello che bisogna, giorno per giorno, per una progressiva educazione de’ suoi figli. Quando i suoi discepoli o i suoi miracolati vogliono precipitare le dichiarazioni, Egli li riprende; loro impone silenzio; alle volte pare che Egli stesso escluda perfino quello che rivendica, perché non è ancora venuto il momento e vi sono dodici ore nel giorno ». Riserva i misteri; ma pone nondimeno le premesse. Quello che non dice in termini propri, lo afferma equivalentemente, Dice se stesso figliuolo di Dio in un senso speciale ed unico; «Il Padre e io non formiamo che una sola cosa»; « Chi vede me, vede mio Padre ». Ha le creature spirituali al suo servizio. Giudica i vivi e i morti. Domanda che gli si sacrifichi tutto. Rimette i peccati e delega Egli stesso questo potere. Annunzia che manderà a’ suoi lo Spirito di Dio. Riceve senza rinviarli a Dio degli omaggi dovuti a Dio solo. Venne dal Padre sopra la terra. Si dice Signore di Davide, sedente alla destra del Signore Iddio. Lui solo conosce il Padre come il Padre conosce se Stesso, e tutti gli altri non conoscono il Padre se non per mezzo di lui. Tutto gli è stato rimesso nelle mani. Relativamente alla vigna umana, di cui Dio è il vignaiolo, è lui il Figlio, l’Erede per opposizione agli inviati apostoli o profeti. Davanti all’autorità suprema del suo paese e della sua religione, Egli pone quell’affermazione solenne, che porta seco la sua morte, cioè che Egli è il Cristo, Figliuolo di Dio vivo, e che verrà sopra le nubi del cielo alla destra della potenza di Dio.

D. Ma ha Egli veramente detto tutto questo, preteso tutto questo?

R. Ancora una volta, si potrebbe discutere sopra una data parola, come si potrebbe cavillare su un dato miracolo, e, secondo l’uso, distinguere tra i « sinottici » e « Giovanni », Ma se si prendono le cose nell’insieme, lealmente, tali quali si presentano, è impossibile negare che Gesù non si sia presentato come un personaggio sovrumano. E ciò non ci basta? Vorremmo noi, come certi gnostici, domandarci se Egli non fosse un eone? – La questione è questa: È Egli realmente sovrumano, o è il pazzo? È Egli sovrumano, o è il « seduttore » che denunziarono i pontefici chiedendo la sua morte? Perché bisogna ben confessarlo, se Gesù non è sovrumano, quindi avente autorità in tutto quello che disse, in tutto quello che fece, allora sono i farisei che hanno ragione; ed Egli meritò la sua sorte; gli fecero espiare con giustizia le sue sacrileghe impertinenze.

D. Eppure, Renan

R. Sostenne una scommessa, e non vi riuscì. Volle collocare «al sommo dell’umanità » un essere che Egli stesso descrive — in frasi graziose — come un allucinato e un mentitore. Lo incensa e lo beffeggia. Lo dichiara « divino » dolendosi amaramente della sua divinità e del suo onore nello stesso tempo. «Un essere miracoloso in un universo senza miracolo », dice Bernanos; un prodigio di umiltà e di orgoglio; un predicatore di Dio che « attira tutto a sé »; un dottore della rinunzia, tutta la dottrina del quale si fonda sullo spogliamento dell’io; e che spinge Lui stesso la sua ambizione fino a brigare — e ottenere — un culto universale. Ciò non regge.

D. Non sarebbe possibile un’altra interpretazione di questa vita e di questa personalità?

R. Vi è quella di Giulio Soury: Gesù figlio di alcoolico o di degenerato; quella di Binet-Sanglé: Gesù pazzo.

D. Parliamo seriamente.

R. Seriamente, tutte le interpretazioni naturali del fatto di Gesù Cristo sono state distrutte una dopo l’altra, distrutte l’una dall’altra; collettivamente si annullano, e il fatto di Gesù rimane.

D. Che impressione diretta ne avresti tu, facendo astrazione da’ tuoi dogmi?

R. Una tale astrazione è assai difficile; non si può garantire che la propria sincerità. Col benefizio di questa riserva, ecco quel che io penso.

D. Ti ascolto ardentemente.

R. Gesù si presenta come trascendente al primo sguardo. Si può credere al migliore Napoleone; «io m’intendo di uomini, e e ti dico che Gesù Cristo non era un uomo ». Questo equilibrio, quest’armonia di una condotta tanto eminente quanto semplice e di una parola tanto naturale quanto sublime; questo dono di essere in casa sua nei due mondi, di parlare delle cose terrene e delle cose celesti come ugualmente familiari, dei grandi oggetti e dei piccoli come dello stesso valore, come un uomo opulento parla di milioni, un generale di piazze forti, un capo di Stato di province; questa facoltà di non mai stupirsi, di essere all’altezza di tutto, di sciogliere ogni difficoltà e di dirimere ogni questione con un solo sprazzo di luce: ecco di che trasportarci in una sfera a parte; questo non è umanità corrente, e la parola eccezionale non mi basta. Gesù parla positivamente delle cose dell’altro mondo come un viaggiatore parla al forestiero delle istituzioni del suo paese; Egli dice quello che sa, quello che ha veduto, e che è per lui cosa di famiglia, quello che è Lui stesso, ed opera in conformità.

D. È qualcosa di sublime al modo di Socrate.

R. Che differenza! «La vita e la morte di Socrate sono di un uomo, dice Gian Giacomo Rousseau; la vita e la morte di Gesù Cristo sono di un Dio ». Per me è l’evidenza che parla. Leggi il Vangelo ingenuamente, fedelmente, non con quella fedeltà che consiste nel credere prima questo o quello, ma con la fedeltà anticipata che si deve alla verità quando la si cerca; leggilo con spirito religioso, cioè ponendoti internamente le questioni eterne e pronto ad ascoltare la risposta; leggi così, e di sé non senti la presenza di Dio.

D. Allora è una visione, non più storia.

R. Dico presenza di Dio, e dico anche realtà umana la più autentica. Ciò non è mitologia; non è teologia abbigliata di fatti; il reale spunta fuori; è il reale positivo che è « caduto dal cielo » (ALESSANDRO DUMAS figlio); la spiritualità più trascendente e il fatto più concreto sono qui inseparabilmente legati e si provano l’un l’altro; il loro incontro è più miracoloso dei miracoli che si vedono. Tutti i nostri quadri di realtà sono spezzati; la nostra mente è sorpassata; il nostro cuore è anelante, eppure questo ha l’accento del vero; è il suono del reale umano e il suono d’una voce divina.

D. Insomma, a’ tuoi occhi, Vangelo prova se stesso.

R. Esattamente, e oso dire che ci vuole una specie di cecità spirituale per non vedere.

D. Questa cecità è assai diffusa.

E. Ahimè! ci sono tante cose accecanti che noi non vediamo!

D. Almeno si sospettano, e questo sospetto si fa riconoscere.

R. È questo veramente il caso. Anche quando non si crede alla divinità di Cristo, la si sente, la si prova sotto la forma di una venerazione unica, alla quale nessuna personalità della storia potrebbe pretendere anche lontanamente. Dimmi, vi è un uomo del quale non si stimerebbe ridicolo il dire: Egli è Dio? Ma non si trova ridicolo dicendolo di Cristo. Coloro che negano la sua dottrina, ed anche, cosa strana, coloro che negano Dio, lo riconoscono di un ordine divino, gli attribuiscono, come Augusto Sabatier, « una specie di natura divina ».

D. Che significa questo?

R. Chiedilo al suo autore. Per conto mio, dico che una virtù esce da Cristo, come diceva egli stesso, ed essa guarisce le cecità del bestemmiatore.

D. Che cosa pensi della risurrezione di Gesù?

R. È il più grande de’ suoi miracoli, e il meglio attestato di tutti; perché gli altri hanno per sé la testimonianza degli uomini: questo invece vi aggiunge la testimonianza de’ suoi effetti.

D. Quali effetti?

R. Quelli che lo stabilimento della fede suppone. Ricorda quello che disse Ernesto Lavisse: «Io, storico, non so ciò che avvenne il mattino di Pasqua; ma quello che ben so è che quel giorno nacque un’umanità che non muore più». Una umanità perpetua, sorta da quella tomba, è qualche cosa! È un’attestazione del prodigio segreto. Infatti, se Gesù soccombette al suo compito, donde è partito quell’immenso movimento di cui viviamo ancora? Come si spiega che Gesù sia per noi diventato ogni cosa ed occupi tutto lo spazio, con la sua presenza o con la sua assenza; che la sua causa si confonda oramai con quella della Divinità sopra la terra, e che tutta un’umanità viva con questo morto, se la tomba non ce lo ha restituito?

D. Chi parla di vivere intimamente con lui!

R. Si vive intimamente con Gesù Cristo; Egli è per noi più che uno vivo, più che un uomo presente e che ci parla.

D. Come ciò?

R. È il miracolo della Chiesa, della grazia e dell’Eucaristia. Per la Chiesa, Cristo ci avvolge; per la grazia, abita nei nostri cuori; per l’Eucaristia, rende sensibile esternamente come internamente la sua divina presenza. Or tutto questo non è niente senza la risurrezione.

D. È possibile nutrirsi di ciò che, in sé, non è niente, quando dei secoli di tradizione lo consacrano.

R. Ma io parlo del punto di partenza; domando che cosa ha inaugurato il primo impulso e quale ne fu la molla. Che cosa è che ha messo in moto gli Apostoli e li fece riuscire? « Bisognava che qualche cosa fosse successo », dice Claudel, « Mentre Gesù era con essi, dice Pascal, Egli li poteva sostenere; ma dopo, se non è apparso loro, chi li ha fatti agire? ». Si erano veduti così deboli! fuori di ogni avvenimento sovrumano, come hanno fatto per trascinare tutta la terra nei loro movimenti?

D. I discepoli di Maometto sono diventati un grande popolo.

R. Sono diventati un grande popolo per la forza della scimitarra; il Cristianesimo si stabilì per l’idea e per il fatto. L’idea era la dottrina di Cristo, che convertì e trasformò in umanità nuova tutto il mondo civile d’allora; il fatto, garante della dottrina e che ne era inseparabile, era, in primo luogo, la risurrezione.

D. Pure sì dice comunemente, tra coloro che non credono, che la risurrezione fu supposta dopo, per il fatto d’un entusiasmo religioso.

R. Essa all’opposto è alla base di tutto. Senza di essa non si spiega niente. Non è un effetto della fede, ma la causa. La Chiesa poggia sulla pietra della tomba vuota.

D. Per te il Cristianesimo è dunque dimostrato?

R. È dimostrato quanto si possono dimostrare le cose morali.

D. È una restrizione?

R. Con ciò io intendo di eliminare delle esigenze assurde. Ogni ordine di conoscenza ha le sue prove, che corrispondono alla sua natura; i teoremi si provano matematicamente, le leggi scientifiche scientificamente, i fatti morali moralmente, e i fatti religiosi religiosamente.

D. Che cosa significa quest’ultima parola?

R. Essa sottintende un triplice concorso: quello di una saggia indagine, quello di una volontà retta, quello della grazia, senza le quali Dio non si può raggiungere.

D. Che cosa fare, con questo spirito?

R. Te lo dirò in generale, e te lo dirò per te stesso, se lo permetti, pronunziando le mie ultime parole.

— Attendo.

LO SCUDO DELLA FEDE (171)

LA SUMMA PER TUTTI (14)

LA SUMMA PER TUTTI (14)

R. P. TOMMASO PÈGUES

LA SOMMA TEOLOGICA DI S. TOMMASO DI AQUINO IN FORMA DI CATECHISMO PER TUTTI I FEDELI

PARTE SECONDA

SEZIONE SECONDA

Idea particolareggiata del ritorno dell’uomo verso Dio.

Capo XXXVII.

L’amicizia. – Vizi opposti: disdegno, adulazione.

1220. Vi è ancora un obbligo morale richiesto nella società degli uomini per il bene perfetto della società stessa, quantunque non richiesto col medesimo rigore di quello della riconoscenza, della vendetta e della verità?

Sì; è il dovere dell’amicizia (CXIV, 2).

1221. Che cosa intendete per amicizia?

Intendo una virtù per la quale l’uomo nei suoi rapporti con gli altri, si ingegna in tutto ciò che riguarda il suo esterno, si tratti delle sue parole come dei suoi atti, a comportarsi con essi come si conviene, per dare alla loro vita comune il più perfetto ornamento (CXIV, 1).

1222. È questa una virtù di gran pregio nei rapporti degli uomini tra loro?

Sì; è la virtù sociale per eccellenza, e si potrebbe chiamare come il fiore ed il profumo più squisito tanto della virtù della giustizia che di quella della carità.

1223. In che modo si può peccare contro questa virtù?

Si può peccare in due modi contro questa virtù: per difetto, preoccupandosi poco o non preoccupandosi affatto di ciò che può far piacere o dispiacere agli altri; per eccesso, abbandonandosi al vizio della adulazione o non sapendo mostrare esternamente quando occorre, la disapprovazione che possono meritare gli atti o le parole di coloro coi quali si vive (CXV, CXVI).

Capo XXXVIII.

La liberalità. – Vizi opposti: avarizia e prodigalità.

1224. Quale è finalmente la virtù che si riferisce alla giustizia particolare, destinata ad adempiere l’ultimo aspetto dell’obbligo morale annesso alle relazioni degli uomini tra loro?

È la virtù della liberalità (CXVII, 5).

1225. Che cosa intendete per tale virtù?

Intendo una disposizione dell’anima per la quale l’uomo non è attaccato alle cose esterne che concorrono alla utilità della vita degli nomini tra loro, se non in una misura così perfettamente ordinata, da essere sempre pronto a rinunziare a tali cose e specialmente al denaro che le rappresenta, per il meglio della vita sociale tra gli uomini (CXVII, 1-4),

1226. Questa virtù è molto grande?

Presa nel suo oggetto immediato che è il bene delle ricchezze è la infima tra le virtù: ma nelle sue conseguenze essa si nobilita con la dignità di tutte le altre virtù, perché può concorrere al bene di ciascuna di esse (CXVII, 6).

1227. Quali sono i vizi opposti a questa virtù?

Sono l’avarizia e la prodigalità (CXVIII, CXIX).

1228. Che cosa intendete per avarizia?

Intendo un peccato speciale costituito dall’amore smoderato delle ricchezze (CXVIII, art. 1, 2)

1229. È molto grave questo peccato?

Considerandolo in ordine al bene umano che esso guasta è l’infimo dei peccati, perché non snatura che l’amore dell’uomo per i beni esterni che sono le ricchezze; ma considerando la sproporzione dell’anima e delle ricchezze alle quali questo peccato fa che l’uomo si attacchi indebitamente, diviene il più vergognoso e più spregevole dei vizi; perché fa che l’anima si assoggetti a ciò che è più al di sotto di sé (CXVIII, 4, 5).

1230. Questo vizio è particolarmente pericoloso?

Sì; questo vizio è particolarmente pericoloso, perché l’amore delle ricchezze non termina in se stesso; e per accumularle si può arrivare a commettere ogni delitto contro Dio, contro il prossimo e contro se stesso (CXVIII, 5).

1231. L’avarizia è un peccato capitale?

Sì; l’avarizia è un peccato capitale, perché racchiude in sé o nel proprio oggetto una delle condizioni annesse alla felicità che ciascuno desidera, cioè l’abbondanza dei beni ai quali ognuno obbedisce (CXVIII, 7).

1232. Quali sono gli effetti dell’avarizia?

Sono la durezza del cuore che non sente più misericordia, la inquietudine, la violenza, l’inganno, lo spergiuro, la frode, il tradimento. Perché l’amore disordinato delle ricchezze può eccedere nel ritenerle, nell’acquistarle, nel desiderio di possederle, nel prenderle con violenza ed usando astuzia, nel discorso ordinario ed accompagnato dal giuramento; ed in via di fatto, riguardo alle cose e riguardo alle persone (CXVIII, 8).

1233. La prodigalità, che è l’altro vizio opposto alla liberalità, si oppone anche all’avarizia?

Sì: perché mentre l’avarizia eccede nell’amore e nella preoccupazione delle ricchezze, e non è abbastanza disposta ad utilizzarle donandole, la prodigalità al contrario non si preoccupa abbastanza di ciò che riguarda la custodia delle ricchezze stesse, ed ha troppa inclinazione a prodigarle (CXIX, 1, 2).

1234. Di questi due vizi qual è il più grave?

È l’avarizia; perché essa si oppone maggiormente al bene della virtù della liberalità, di cui la caratteristica è piuttosto il dare che il ritenere (CXIX, 3).

1235. Potreste, sotto forma di ricapitolazione, dirmi come sono ordinate e graduate le virtù annesse alla giustizia particolare, in ordine a coloro che ne sono l’oggetto?

Sì; ecco tutto in poche parole: In primo luogo viene la religione che riguarda Dio nel servizio e nel culto che gli si deve, per la ragione che Egli è il Creatore ed il Sovrano Signore e Padrone di tutte le cose. Quindi la pietà verso i genitori e verso la patria, per il grande benefizio della vita che dobbiamo loro; poi la osservanza, rispetto ai superiori in autorità, in dignità od in eccellenza, in qualunque ordine ciò possa essere. Poi la gratitudine o riconoscenza, riguardo ai nostri benefattori particolari; la vendetta, quando si tratta di malfattori o di coloro che hanno potuto nuocere in modo tale da reclamare la repressione del male. Finalmente la verità, la amicizia e la liberalità che dobbiamo usare con ogni essere umano, in ragione di noi stessi.

Capo XXXIX.

L’equità naturale o epicheia.

1236. Non avete detto che esiste anche una virtù annessa alla giustizia generale o legale?

Sì; ed è la virtù che possiamo chiamare col nome generale di equità naturale, e che si

chiama anche epicheia (CXX).

1237. Qual è il compito, ossia l’ufficio proprio di questa virtù?

Essa ha per proprio compito ed ufficio di rivolgere la volontà a cercare la giustizia in tutte le cose ed in tutti gli ordini al di fuori ed al di sopra di ogni testo di leggi e costumi esistenti tra gli uomini, quando la ragione naturale, in virtù dei suoi primi principi, dimostra che in un dato caso tal testi di leggi o tali costumi non possono né debbono applicarsi (CXX, 1).

1238. Questa virtù è molto preziosa?

Nell’ordine della giustizia e di tutte le virtù che regolano l’uomo nei suoi rapporti con gli altri, è la più importante e la più preziosa di tutte le virtù; perché in qualche modo le domina tutte e tutte le mantiene nell’ordine del bene sociale, in ciò che vi è di più profondo e di più essenziale (CXX, 2).

Capo XL

Del dono della pietà corrispondente alla giustizia e alle sue parti.

1239. Fra i doni dello Spirito Santo quale corrisponde alla virtù della giustizia?

Il dono della pietà (CXXI).

1240. In che cosa consiste precisamente il dono della pietà?

Consiste in una disposizione abituale della volontà, per la quale l’uomo è atto a ricevere l’azione diretta e personale dello Spirito Santo che lo innalza a trattare con Dio, considerato nei più alti misteri della sua vita divina, come con un Padre teneramente e filialmente onorato, servito ed obbedito; ed a trattare con tutti gli altri uomini e con tutte le altre creature ragionevoli, nei suoi rapporti con essi, in quanto lo richiede il bene divino e soprannaturale che li unisce tutti a Dio, come al Padre della grande famiglia divina (CXXI, 1).

1241. Si deve dire che il dono della pietà è quello che mette il suggello più perfetto ai rapporti esterni che gli uomini possono e debbono avere sia tra loro stessi che con Dio?

Sì: il dono della pietà è quello che mette il suggello più perfetto ai rapporti esterni che gli uomini possono o debbono avere sia tra loro stessi che con Dio. Esso è il coronamento della virtù della giustizia e di tutte le virtù annesse: e se ciascuno con questo dono mettesse in opera, corrispondendovi perfettamente, i moti e l’azione dello Spirito Santo, la vita degli uomini su questa terra sarebbe la vita di una grande famiglia divina, e come il pregustamento della vita degli eletti nel cielo.

Caro XLI.

Dei precetti del Decalogo relativi alla giustizia: i primi tre e gli ultimi quattro.

1242. La virtù della giustizia e le virtù annesse, col dono della pietà che le suggella, hanno dei precetti che vi si riferiscono?

Sì: sono tutti i precetti del Decalogo (CXXII, 1).

1243. Non si riferiscono che a queste virtù i precetti del Decalogo?

Sì; i precetti del Decalogo non si riferiscono che a queste virtù; e quelli che si riferiscono alle altre virtù son venuti dopo, come determinazioni o spiegazioni dei primi (CXXII, 1).

1244. Perché è avvenuto così?

Perché i precetti del Decalogo, essendo i primi precetti della legge morale dovevano riferirsi a ciò che immediatamente e per tutti ha manifestamente ragione di cosa dovuta od obbligatoria; e questo comprende i rapporti con gli altri, in quanto sono regolati dalla virtù della giustizia con le virtù annesse (CXXTI, 1).

1245. Come si dividono i precetti del Decalogo?

Si dividono in due parti chiamate le due tavole della legge.

1246. Che cosa comprendono i precetti della prima tavola?

Comprendono i primi tre precetti relativi alla virtù della religione, che regola i rapporti dell’uomo con Dio,

1247. Come sono ordinati questi tre precetti della prima tavola?

Sono ordinati in modo che i primi due escludono i due principali ostacoli che si oppongono al culto di Dio, vale a dire la superstizione, ossia culto dei falsi dei, e la irreligione, ossia mancanza di rispetto al vero Dio; il terzo poi stabilisce la parte positiva del culto del vero Dio (CXXII, 2, 8).

1248. Che cosa comprende questo terzo precetto del Decalogo?

Comprende due cose: astensione dalle opere servili, e la sollecitudine di attendere alle cose di Dio (CXXII, 4 ad 2).

1249. Che cosa si intende per astensione dalle opere servili?

Per astensione dalle opere servili si intende l’obbligo di sospendere un giorno per settimana, che attualmente è la domenica, e nei giorni di festa di precetto che sono per tutta la Chiesa il Natale, la Circoncisione, la Epifania, l’Ascensione, il Corpus Domini, la Immacolata Concezione, l’Assunzione, la festa di San Giuseppe, la festa dei Ss. Pietro e Paolo e la festa di Tutti i Santi, i lavori manuali che non sono necessari al mantenimento ed al buon ordine della vita materiale, o non richiesti da una urgente necessità (CXXII, 8 ad 3. – Codice, can. 1247).

1250. E la sollecitudine di attendere alle cose di Dio che cosa comprende?

Comprende in modo totalmente esplicito e sotto pena di colpa grave, l’assistenza al santo Sacrificio della Messa, nelle domeniche e nei giorni di festa sopra notati (CXXII, 3ad 4).

1251. Se in tali giorni non si può assistere alla Messa, siamo obbligati a qualche altro esercizio di pietà?

Non siamo obbligati in maniera determinata ad alcun esercizio di pietà; ma certissimamente sarebbe un mancare all’obbligo positivo di santificare tali giorni, lasciandoli passare senza dedicarsi ad alcun atto di religione,

1252. Che cosa comprendono i precetti della seconda tavola?

Comprendono i precetti relativi alla virtù della pietà verso i genitori, ed alla virtù della stretta giustizia verso il prossimo chiunque esso sia (CXXII, 5, 6).

Capo XLII

La fortezza: virtù e atto: il martirio. – Vizi opposti: la paura, l’insensibilità, la temerità.

1253. Quale è la terza virtù appartenente alle virtù cardinali, che segue la giustizia?

È la virtù della fortezza (CXXII-CXL).

1254. Che cosa intendete per virtù della fortezza?

Intendo quella perfezione di ordine morale della parte affettiva sensibile, avente per oggetto di resistere contro i più grandi timori e di moderare i moti più arditi di audacia, sfidando anche i pericoli di morte nel corso di una guerra giusta, affinchè l’uomo al loro sopraggiungere, non tradisca mai il proprio dovere (CXXIII, 1-6).

1255. Questa virtù ha un atto più speciale in cui manifesta tutta la sua eccellenza e tutta la perfezione?

Sì; l’atto del martirio (CXXIV).

1256. Che cosa intendete per atto del martirio?

Intendo quell’atto della virtù della fortezza per il quale, nella guerra particolare che si ha da sostenere contro i persecutori del nome cristiano e di tutto ciò che vi si riferisce, non si teme di accettare la morte per rendere testimonianza alla verità (CXXIV, art. 1-5).

1257. Quali sono i vizi opposti alla virtù della fortezza?

Sono: da un lato la paura che non resiste abbastanza davanti ai pericoli della morte, e la insensibilità di fronte al pericolo che trascura di evitare quando si deve evitare: dall’altro la temerità per la quale si va incontro al pericolo, contrariamente ad una giusta prudenza (CXXV-CXXVII).

1258. Dunque si può peccare per eccesso di valore?

Non si pecca mai per eccesso di valore: ma si può, sotto la pressione di una troppo forte arditezza non moderata dalla ragione, lasciarsi andare a degli atti che, non essendo di vero coraggio, del valore hanno la sola apparenza (CXXVII, 1 ad 2).

Capo XLIII.

Virtù annesse: la magnanimità. – Vizi opposti: la presunzione, l’ambizione, la vanagloria, la pusillanimità.

1259. Vi sono delle virtù che si collegano con la fortezza imitandone l’atto, ossia il modo di agire, ma in materia meno difficile?

Sì; da una parte vi sono la magnanimità e la magnificenza; dall’altra la pazienza, e la perseveranza (CXXVIII).

1260. In che cosa si distinguono queste due specie di virtù?

Le prime due si collegano con la fortezza in ragione di quello tra i suoi atti che affronta ciò che vi è di più difficile e di più arduo; mentre le altre due le si collegano in ragione dell’atto che resiste contro i più gravi timori (CXXVIII).

1261. Qual è l’oggetto proprio della – magnanimità?

È quello di rafforzare il moto della speranza per il compimento di grandi azioni, in quanto ne risultano grandi onori o grande gloria (CXXIX, 1, 2).

1262. Dunque nella magnanimità tutto è grande?

Sì: tutto è grande in questa virtù, ed essa è propria dei grandi cuori.

1263. Può esservi qualche vizio che le si oppone?

Sì; vi sono numerosi vizi che le si oppongono, sia per eccesso che per difetto.

1264. Quali sono i vizi che le si oppongono per eccesso?

Sono la presunzione, l’ambizione e la vanagloria (CXXX – CXXXII).

1265. Come si distinguono tra loro questi diversi vizi?

Si distinguono in questo,  che la presunzione induce a fare a fare delle azioni troppo grandi per le proprie forze e per il proprio valore; l’ambizione mira ad onori più grandi di quanto lo comportano il proprio stato ed i propri meriti;  la vanagloria cerca una gloria che non ha valore, o non è ordinata al suo vero fine, che è la gloria di Dio ed il bene degli uomini (Ibid.)

1266. La vanagloria è un vizio capitale?

Sì; la vanagloria è un vizio capitale, perché implica la manifestazione della propria eccellenza, che gli uomini cercano in tutto e che può condurli a molti errori (CXX.XII, 4).

1267. Quali sono gli effetti della vanagloria?

sono la iattanza, l’ipocrisia, la pertinacia, la contenzione e la disobbedienza (CXXXII,5)

1268. Qual è il vizio che si oppone alla magnanimità per difetto?

È la pusillanimità (CKXXIII).

1269. Perché la pusillanimità è un peccato?

Perché è contraria alla legge naturale che sprona ogni essere ad agire, in quanto la sua virtù ed i suoi mezzi lo rendono capace (CXXXIII, 1)

1270. È cosa dunque realmente biasimevole mettere in opera le virtù ed i mezzi di azione ricevuti da Dio, per diffidenza di se stesso o per non conveniente disposizione  verso gli onori e la gloria?

Si; è una cosa realmente biasimevole e bisogna ben guardarsi dal confonderla con la vera umiltà di cui presto parleremo (Ibid.)

Capo XLIV.

La magnificenza. – Vizi opposti: la grettezza e le spese eccessive.

1271. In cosa consiste la virtù della magnificenza?

Consiste in una disposizione della parte affettiva, che rafforza e regola il moto della speranza verso ciò che è arduo, nel dispendio richiesto per il compimento di grandi opere (CXXXIV, 1, 2).

1272. Questa virtù suppone grandi ricchezze e grandi occasioni di spese in vista del bene pubblico?

Sì; questa virtù suppone grandi ricchezze, che si ha occasione di spendere per tutto ciò che riguarda specialmente il culto divino ed il bene pubblico della città o dello Stato (CXXXIV, 3).

1273. Essa è dunque propriamente la virtù dei ricchi e dei grandi?

Sì; essa è propriamente la virtù dei ricchi e dei grandi.

1274. Quali sono i vizi opposti a questa virtù?

Vi è il vizio della grettezza in ciò che si fa, che porta l’uomo a restare al di sotto delle spese necessarie all’intrapresa dell’opera; ed il vizio della spesa eccessiva che porta a spendere senza ragione oltre la misura voluta dalla grandezza dell’opera stessa (CXXXV, 1, 2)

Capo XLV.

La pazienza. – La longanimità. – La costanza.

1275. Qual è la caratteristica della virtù della pazienza?

La caratteristica della virtù della pazienza è di sopportare in ordine al bene della vita futura, oggetto della carità, tutte le afflizioni che possono in ogni istante della nostra vita presente, esserci cagionate dalle contrarietà inerenti a questa vita stessa, e più specialmente dalle azioni degli altri uomini nelle loro relazioni con noi (CXXXVI), 1-3).

1276. La pazienza è la stessa cosa che la longanimità e la costanza?

No; perché se tutte e tre aiutano a  resistere contro le afflizioni di questa vita, la pazienza resiste soprattutto contro quelle cagionate a noi dalle contrarietà provenienti dai nostri rapporti quotidiani con gli altri nomini; mentre la longanimità resiste contro le afflizioni

causate dal ritardo nel conseguimento del bene che aspettiamo, e la costanza contro i disgusti che ci cagionano le diverse noie che possono sopraggiungere nel corso della pratica del bene (CXXXVI, 5).

Capo XLVI.

La perseveranza. – Vizi opposti: la mollezza e la pertinacia.

1277. Quali rapporti ha la perseveranza con le virtù di cui abbiamo parlato?

La perseveranza non riguarda le afflizioni, ma piuttosto il timore della fatica che

ci cagiona la sola durata prolungata della pratica del bene (CXXXVII, 1-3).

1278. La virtù della perseveranza ha dei vizi che le si oppongono?

Sì; sono la mancanza di resistenza, ossia la mollezza, per la quale si cede alla minima pena ed alla minima fatica; e la pertinacia per la quale ci si ostina a non cedere, quando invece sarebbe ragionevole farlo (CXXXVIII, 1, 2),

Capo XLVII.

Del dono della fortezza corrispondente alla virtù della fortezza.

1279. Vi è un dono dello Spirito Santo che corrisponde alla virtù della fortezza?

Si; è il dono che porta lo stesso nome, e si chiama appuntodono della fortezza (CXXXIX)

1280. Potreste spiegarmi in che cosa differisce il dono della fortezza dalla virtù dello stesso nome?

Sì; eccolo spiegato in brevi parole:  Come la virtù corrispondente, questo dono riguarda il timore ed in qualche modo l’audacia. Ma mentre il timore e l’audacia moderati dalla virtù della fortezza non riguardano che i pericoli che è in potere dell’uomo superare o subire, il timore e la confidenza dominati ed eccitati dal dono della fortezza riguardano i  pericoli ed i mali ed i mali che l’uomo non può assolutamente sormontare: quale è la stessa separazione che opera la morte da tutti i beni della vita presente, senza dare da sé il solo bene superiore che li compensa e li supplisce all’infinito, apportando ogni bene ed escludendo ogni male, cioè il conseguimento effettivo della vita eterna. Questa sostituzione effettiva della vita eterna a tutte le miserie della vita presente, malgrado tutte le difficoltà e tutti i pericoli che possono ostacolare il bene dell’uomo, compresa la morte che tutti li compendia, è opera esclusiva dell’azione propria dello Spirito Santo. Perciò soltanto a Lui appartiene di avviare effettivamente l’anima dell’uomo verso tale sostituzione, in modo che l’uomo abbia in Lui la fiducia ferma e positiva che gli fa sfidare il più grave di tutti i timori ed in qualche modo correre incontro alla morte stessa, non per soccombere ma per trionfarne. Ed è appunto per il dono della fortezza che l’uomo è così mosso dallo Spirito Santo; tantoché si potrebbe assegnare come oggetto proprio di questo dono, la vittoria sulla morte (CXXXIX,1).

Capo XLVIII

Dei precetti relativi alla fortezza.

1281. Vi sono dei precetti aventi relazione con la virtù della fortezza nelle legge divina?

Sì; e tali precetti sono dati come conviene. Perché specialmente nella legge nuova ove tutto è ordinato a fissare lo spirito dell’uomo a Dio, l’uomo è invitato sotto forma di precetto negativo a non temere i mali temporali, e sotto forma di precetto positivo a combattere senza posa il più mortale nemico che è il demonio (CXL, 1).

1282. Ed i precetti relativi alle altre virtù collegate con la fortezza, sono dati egualmente nella legge divina?

Sì; perché non si danno precetti affermativi, cioè primitivi, se non in riguardo della pazienza e della perseveranza, come appartenenti alle cose ordinarie della vita; in riguardo invece della magnificenza e della magnanimità, come rivolte a cose piuttosto all’ordine della perfezione, non si danno affatto precetti, ma semplici consigli (CXL, 2).

L’APOCALISSE INTERPRETATA DAL BEATO B. HOLZHAUSER (XIX)

L’APOCALISSE INTERPRETATA DAL BEATO B. HOLZHAUSER (XIX)

INTERPRETAZIONE DELL’APOCALISSE Che comprende LA STORIA DELLE SETTE ETÁ DELLA CHIESA CATTOLICA.

DEL VENERABILE SERVO DI DIO BARTHÉLEMY HOLZHAUSER

RESTAURATORE DELLA DISCIPLINA ECCLESIASTICA IN GERMANIA, OPERA TRADOTTA DAL LATINO E CONTINUATA DAL CANONICO DE WUILLERET,

PARIS, LIBRAIRIE DE LOUIS VIVÈS, ÉDITEUR RUE CASSETTE, 23 – 1856

LIBRO SESTO.

§ II

Della guerra che il diavolo ha condotto per mezzo di Maometto; e che farà di nuovo con l’anticristo.

CAPITOLO XIII. VERSETTI 1-10

Et vidi de mari bestiam ascendentem habentem capita septem, et cornua decem, et super cornua ejus decem diademata, et super capita ejus nomina blasphemiæ. Et bestia, quam vidi, similis erat pardo, et pedes ejus sicut pedes ursi, et os ejus sicut os leonis. Et dedit illi draco virtutem suam, et potestatem magnam. Et vidi unum de capitibus suis quasi occisum in mortem: et plaga mortis ejus curata est. Et admirata est universa terra post bestiam. Et adoraverunt draconem, qui dedit potestatem bestiæ: et adoraverunt bestiam, dicentes: Quis similis bestiæ? et quis poterit pugnare cum ea? Et datum est ei os loquens magna et blasphemias: et data est ei potestas facere menses quadraginta duos. Et aperuit os suum in blasphemias ad Deum, blasphemare nomen ejus, et tabernaculum ejus, et eos qui in caelo habitant. Et est datum illi bellum facere cum sanctis, et vincere eos. Et data est illi potestas in omnem tribum, et populum, et linguam, et gentem, et adoraverunt eam omnes, qui inhabitant terram: quorum non sunt scripta nomina in libro vitae Agni, qui occisus est ab origine mundi. Si quis habet aurem, audiat. Qui in captivitatem duxerit, in captivitatem vadet: qui in gladio occiderit, oportet eum gladio occidi. Hic est patientia, et fides sanctorum.

[E vidi salire dal mare una bestia, che aveva sette teste e dieci corna, e sopra le sue corna dieci diademi, e sopra le sue teste nomi di bestemmia. E la bestia che io vidi era simile al pardo, e i suoi piedi come piedi d’orso, e la sua bocca come bocca di leone. E il dragone le diede la sua forza e un grande potere. E vidi una delle sue teste come ferita a morte: ma la sua piaga mortale fu guarita. E tutta la terra con ammirazione seguì la bestia. É adorarono il dragone che diede potestà alla bestia: e adorarono la bestia, dicendo: Chi è simile alla bestia? E chi potrà combattere con essa? E le fu data una bocca che proferiva cose grandi e bestemmie: e le fu dato potere di agire per quarantadue mesi. E aprì la sua bocca in bestemmie contro Dio, a bestemmiare il suo nome, e il suo tabernacolo, e quelli che abitano nel cielo. E le fu dato di far guerra ai santi, e di vincerli. E le fu data potestà sopra ogni tribù, e popolo, e lingua, e nazione, e lei adorarono tutti quelli che abitano la terra: i nomi dei quali non sono scritti nel libro di vita dell’Agnello, il quale fu ucciso dal cominciamento del mondo. Chi ha orecchio, oda. Chi mena in schiavitù, andrà in schiavitù: chi uccide di spada, bisogna che sia ucciso di scada. Qui sta la pazienza e la fede dei Santi.]

I. Vers. 1. – E vidi una bestia che usciva dal mare, con sette teste e dieci corna, e dieci diademi sulle sue corna, e nomi di blasfemia sulle sue teste.

Vers. 2: – E la bestia che vidi era come un leopardo, e i suoi piedi erano come i piedi di un orso, e la sua bocca come la bocca di un leone. E il drago gli diede forza e grande potere. Questa bestia che sorge dal mare è l’impero di Maometto o l’impero dei Turchi di cui parla Daniele, nel capitolo VII, 7. Si dice che questa bestia sorga dal mare, perché il suo regno ha avuto origine tra i mari; infatti, Maometto era all’inizio il capo degli arabi. Questa bestia aveva sette teste, il che significa l’universalità dei re che governeranno questo impero fino alla consumazione dei secoli. Le sue dieci corna rappresentano l’universalità dei regni e delle province soggette a questo impero, e quelli che gli saranno ancora soggetti nel tempo dell’anticristo, come vedremo più avanti. I dieci re sono quelli tra i quali questo impero sarà un giorno diviso, ed essi lo distruggeranno per un certo tempo e lo consegneranno alla bestia; perciò è detto: E dieci diademi sulle sue corna, e nomi di bestemmia sulle sue teste…… Questi dieci diademi sono le corone reali. I nomi di blasfemia sono i titoli degli imperatori turchi che denotano un sorprendente orgoglio e contengono bestemmie contro la maestà, la gloria e l’onore di Dio, che solo è grande, onnipotente, di infinita saggezza, Creatore del cielo e della terra, e fondatore di tutti i regni. I nomi di blasfemia sono ancora le sette musulmane ed il Corano, cioè la legge di Maometto, in cui sono contenute falsità e bestemmie mostruose. Si dice che questi nomi di blasfemia siano su queste teste, perché tutti coloro che regneranno in questo impero saranno tutti animati dallo stesso spirito in favore di questa setta; la difenderanno con la violenza per impedire che perisca. Infine, i nomi di blasfemia sono la dottrina dell’anticristo, che sarà l’ultimo corno di questa bestia infernale, come vedremo nel capitolo XIV. E la bestia che vidi era come un leopardo, e i suoi piedi erano come quelli di un orso e la sua bocca come quella di un leone. Questa bestia è paragonata a un leopardo per la sua velocità, la sua potenza, la sua forza, la sua ferocia e la sua superbia; poiché durante il suo regno sarà molto rapace e molto crudele verso tutta la Cristianità; e lo sarà specialmente attraverso il suo ultimo corno, che sarà l’anticristo. E i suoi piedi erano come i piedi di un orso, a causa dell’estensione della forza e del suo impero, che sarà immenso, soprattutto sotto l’ultimo corno. Il carattere peculiare di questa monarchia era quello di invadere e occupare tutto; e quando i turchi assediavano una città, non risparmiavano nulla per prenderla, e revocavano l’assedio solo dopo averla presa con l’assalto, per continuare poi le loro devastazioni. Si dice che questo crudele e terribile impero ha piedi molto robusti e grandi, come quelli di un orso, perché doveva occupare regni, province, città, isole e ogni tipo di territorio, e perché l’anticristo calpesterà il Santo dei Santi e tutti gli oggetti sacri, come un orso furioso. E la sua bocca era come la bocca di un leone, perché questo impero farà a pezzi tutti i regni della terra, specialmente sotto l’ultimo corno (Dan. VII e segg.).- « Ho visto apparire una quarta bestia, che era terribile e stupefacente. Era straordinariamente forte; aveva grandi denti di ferro; divorava, faceva a pezzi e calpestava ciò che rimaneva con i piedi. Era molto diverso dalle altre bestie che avevo visto prima di essa; e aveva dieci corna. Ho guardato le sue corna e ho visto un altro piccolo corno che spuntava tra gli altri. Tre delle sue prime corna sono stati strappate dalla sua faccia. Questo corno aveva occhi come quelli di un uomo e una bocca che diceva grandi cose ….. Allora mi venne un gran desiderio di sapere cosa fosse la quarta bestia, che era molto diversa da tutte le altre e spaventosa oltre ogni dire: i suoi denti e le sue unghie erano di ferro; divorava e faceva a pezzi, e calpestava ciò che era sfuggito alla sua violenza. (Volevo anche indagare) sulle dieci corna che aveva sulla testa, e su un altro che gli venne di nuovo, in presenza del quale tre di queste corna erano cadute; e su questo corno che aveva occhi e una bocca che pronunciava grandi cose; e questo corno era più grande degli altri. E quando guardai attentamente, ecco che questo corno faceva guerra ai santi e aveva su di loro successo ……. La quarta bestia è il quarto regno, che sarà più grande di tutti i regni e divorerà tutta la terra, la calpesterà e la farà a pezzi. Ma le dieci corna di questi regni saranno dieci re; e un altro sorgerà dopo di loro, che sarà più potente del primo, e umilierà tre re. E parlerà con orgoglio contro l’Altissimo, e combatterà i suoi santi; e penserà di poter cambiare i tempi e le leggi, e saranno dati in mano sua per un tempo, e due tempi, e mezzo tempo. E interverrà il giudizio, affinché gli sia tolto il potere, e sarà battuto, fatto a pezzi e perirà per sempre. » Così questa bestia turca o monarchia romperà e divorerà tutto. L’universo ne sarà stupito, e diventerà lo scandalo e la rovina delle anime. E il dragone gli diede la sua forza e il suo grande potere. satana può comunicare la sua forza e il suo potere in due modi: anzitutto, con la sua assistenza, con i suoi cattivi consigli e producendo effetti soprannaturali: tale fu la potenza che diede a Maometto e al suo impero. Questo primo modo è estrinseco. Il secondo modo è intrinseco; e avrà luogo quando satana si rivestirà, per così dire, del corpo e dell’anima dell’anticristo, e diventerà tutt’uno con lui. Ora, Dio non ha ancora permesso a satana di fare questo, ma gli sarà concesso nel figlio della perdizione. Perciò lucifero, che è la creatura più orgogliosa che esista, cercando sempre nella sua gelosia di imitare la Divinità in tutte le cose, entrerà nell’anticristo, lo formerà, lo possiederà e si rivestirà, per così dire, del suo corpo e della sua anima, fin dal momento del suo concepimento, nel grembo materno. Egli sussisterà in lui in modo intrinseco e lo abiterà corporalmente, così che l’anticristo, che, secondo Daniele, (VII, 7), sarà una bestia terribile e meravigliosa, opererà incredibili prodigi grazie alla forza e al grande potere di lucifero da cui sarà posseduto. E allo stesso modo con cui il Verbo di Dio si unì veramente e ipostaticamente alla natura umana, e attraverso questa unione la Divinità comunicò agli uomini la forza ed il potere di fare miracoli per dimostrare che Egli è veramente il figlio di Dio; così satana cercherà di dimostrare con grandi prodigi che la divinità abita spiritualmente nell’anticristo; e riuscirà a convincere di questo quasi tutti gli uomini, ad eccezione di quelli i cui nomi sono iscritti nel libro della vita. Perciò è detto: Il drago gli darà la sua forza e il suo grande potere. Nessuno deve immaginare che io stia parlando in modo incoerente, confondendo la bestia con l’anticristo; perché i Profeti sono soliti, nei loro enigmi, presentare e comprendere sotto un’unica figura diverse cose che accadranno in tempi diversi, quando hanno qualche relazione tra loro. Ora, poiché Maometto e i suoi successori, e soprattutto l’anticristo che sarà l’ultimo complemento di tutte le predicazioni, hanno un obiettivo comune, che è quello di negare e distruggere il santo Nome di Gesù, è conseguente dire che tutti insieme non sono che un solo corpo morale ed una sola bestia. Ed è soprattutto all’anticristo che conviene propriamente questo nome della bestia, perché sarà il più malvagio e il più potente di tutti i monarchi turchi, e il suo impero sarà l’ultimo, il più grande ed il più potente; infatti, il suo regno tirannico riassumerà tutti gli altri. Egli infurierà e ruggirà come un leone contro il Santo Nome di Gesù; e calpesterà il Santo dei Santi come un orso. Infine, chi nega che Gesù Cristo, il Figlio di Dio, sia venuto sulla terra e si sia fatto carne come noi, è un anticristo, e tutti quelli che lo fanno costituiscono un solo corpo, di cui l’anticristo, il figlio della perdizione, è la testa e la coda. Da qui queste parole: (I. Jo., II, 18): « Come avete udito che l’anticristo deve venire, così ora ci sono molti anticristi », cioè che egli è venuto nelle sue membra e nei suoi prodromi, in attesa che venga di persona a consumare la prevaricazione.

II. Vers. 3E vidi una delle sue teste come ferita a morte; ma quella ferita mortale era guarita, e tutta la terra seguiva la bestia con ammirazione. Queste parole contengono un significato occulto e difficile. 1° Si dice che una delle sue teste fu come ferita a morte, cioè che la bestia riceverà una ferita mortale, poiché accadrà, infatti, che l’impero turco o l’impero di Maometto subirà una grande sconfitta e una rovina quasi completa al punto che sarà come annichilito, poiché ne rimarrà solo una parte, come un piccolo regno. Ma l’Anticristo rialzerà questo impero; poiché egli occuperà il suo trono e riparerà tutte le sue perdite, lo ingrandirà pure immensamente, molto più di quanto non sia mai stato prima. L’anticristo nascerà e avrà la sua origine nei resti di questo impero in rovina.  La stessa cosa si può vedere nelle profezie citate sopra, quando, Daniele, parlando con grande ammirazione di quel piccolo corno che sorgeva in mezzo alle dieci corna, aggiunge che aveva occhi come quelli di un uomo e una bocca che proferiva grandi cose, e che questo corno era più grande degli altri. 2 ° San Giovanni continua: Ma quella ferita mortale fu guarita. Questo è ciò che sarà realmente compiuto dall’anticristo, che restaurerà il regno delle nazioni che prima erano cadute quasi completamente in rovina. E questo regno dell’Anticristo sarà più grande di tutti gli altri regni della terra da quando il mondo ebbe origine. È ciò che dice Daniele, (VII, 23): « Il quarto regno sarà il più grande di tutti e divorerà tutta la terra e la calpesterà. » 3º Perciò San Giovanni aggiunge: E tutta la terra seguiva la bestia con ammirazione. Il significato di queste ultime parole è dunque che tutto l’universo, vedendo questo potere della bestia innalzato sopra tutte le potenze terrene, sarà nell’ammirazione più grande; gli uomini saranno come rapiti in estasi a causa dei suoi prodigi; e seguiranno la bestia, cioè la dottrina dell’Anticristo. Essi faranno ancora di più:

III. Vers. 4 Ed essi adorarono il drago, che aveva dato potere alla bestia, e adorarono la bestia, dicendo: Chi è come la bestia, e chi potrà combattere contro di lei? Queste parole sono collegate in modo meraviglioso con le precedenti; perché tutte le nazioni e i regni adoreranno lucifero incorporato all’anticristo, perché lo considereranno come la Divinità, e crederanno che la Divinità sia in lui, a causa del suo potere ed i grandi prodigi che opererà con l’aiuto di lucifero, e a causa della conoscenza, delle intuizioni e dei grandi prodigi che usciranno dalla sua bocca, e che gli saranno suggeriti dal principe dei demoni. Lucifero è davvero il principe dei demoni, perché è elevato al di sopra di tutti gli altri spiriti infernali per le qualità più perfette che gli angeli malvagi possano avere. Ed è con l’aiuto di questo potere sorprendente che il figlio della perdizione farà i più grandi prodigi. Il vero Dio, Creatore del cielo e della terra, permetterà questi prodigi per punire gli uomini che, in questi ultimi giorni, raggiungeranno il massimo di ogni prevaricazione. Perciò, quando gli uomini vedranno queste grandi meraviglie dell’anticristo, tutte le nazioni lo adoreranno come Dio e Messia. Perciò San Giovanni dice: Ed essi adoravano la bestia, come noi come noi stessi adoriamo il Figlio dell’Uomo a causa della sua divinità. – Chi è come la bestia e chi può combattere contro di essa? Queste parole significano un’apostasia universale con la quale gli uomini si separeranno dal Dio del cielo e della terra, e specialmente dal suo Figlio fatto carne Gesù Cristo; così che tutte le Nazioni, i Giudei e anche molti Cristiani, vedendo la potenza, la saggezza e le grandi meraviglie di questo mostro, saranno ingannati a causa della loro cattiveria e dei loro enormi peccati. Perché Dio li abbandonerà al loro senso reprobo. E tutti questi uomini sedotti diranno nella loro cecità: Chi è come la bestia e chi può combattere contro di lei? Queste parole contengono un’orribile bestemmia contro il Dio del cielo e contro il suo Cristo, cioè contro l’essenza e l’onnipotenza di Dio, il Creatore del cielo e della terra, la cui seconda Persona si è fatta uomo e ha abitato tra noi. Ora negli ultimi giorni, gli empi oseranno attribuire questi vantaggi divini al figlio della perdizione, a causa del potere sorprendente e dei grandi prodigi che Dio gli permetterà di mostrare; e adoreranno l’Anticristo come Dio e Messia, dicendo: Chi è come la bestia, e chi potrà combattere contro di lui? Queste parole sono dunque la più grande bestemmia di cui gli uomini possano essere colpevoli contro Dio del cielo e della terra, e contro il suo Cristo, e contro i Santi, i suoi servi, i suoi Profeti, i suoi Martiri, e contro tutto ciò che è più sacro, poiché suppongono che tutto ciò che esiste e viene da Dio sia inferiore a quello che viene da lucifero; cioè, inferiore alla bestia, che è la più grande mostruosità che sia mai esistita e che mai esisterà. Troviamo esempi di questa bestemmia nel faraone e soprattutto in Golia. (I. Reg, XVII).

IV. Vers. 5E gli fu data una bocca che glorificava e bestemmiava; e ricevette il potere di fare la guerra per quarantadue mesi. Questo passo e i seguenti esprimono il potere che Dio permetterà alla bestia di esercitare, e per il quale tutte le nazioni lo ascolteranno e lo adoreranno come Dio. 1° Si dice: E gli fu data una bocca che si glorificava e bestemmiava. Qui il Profeta designa la causa strumentale come principale, e questa causa è la grande saggezza e la sorprendente conoscenza che il dragone comunicherà all’anticristo, così che usciranno dalla sua bocca grandi cose, ammirevoli, plausibili in apparenza, misteriose ed elevate al di sopra di ogni intelligenza umana. E con questo ingannerà tutte le nazioni e farà loro credere di essere Dio e il Messia. E gli fu data una bocca che si glorificava e bestemmiava contro i misteri della Santa Trinità e dell’Incarnazione, contro la dottrina di Gesù Cristo e contro tutto il Nuovo Testamento. – Gli fu dato il potere di fare la guerra per quarantadue mesi. Questi quarantadue mesi sono il tempo del regno della bestia. Se applichiamo questo tempo all’impero turco, esso durerà tanti anni quanti sono i giorni in quarantadue mesi, dalla sua origine all’Anticristo; e se lo applichiamo al solo regno di questo figlio della perdizione, dobbiamo contare i giorni secondo il loro significato naturale; così che la durata di quest’ultimo regno sarà di tre anni e mezzo. Così l’impero turco durerà tanti anni quanto quello dell’anticristo durerà giorni, compreso il tempo in cui la bestia sarà come ferita a morte. Perché, benché la bestia sarà ferita a morte, cioè l’impero turco subirà una grande rovina, tuttavia non perirà del tutto, ma ne rimarrà un seme finché il figlio della perdizione verrà ad entrare nel regno a lui riservato.

Vers. 6. – 2 ° E aprì la sua bocca per bestemmiare contro Dio, per bestemmiare il suo Nome e il suo tabernacolo, e quelli che abitano nei cieli. Si dice che la bestia aprì la sua bocca, cioè che l’anticristo, che era stato silenzioso prima parlerà non solo da se stesso, ma anche per mezzo dei suoi falsi profeti e dei suoi falsi apostoli, e spargerà odio e bestemmia contro Dio. San Giovanni designa specialmente tre verità contro le quali saranno rivolte queste bestemmie: il suo Nome, il suo tabernacolo e coloro che abitano nei cieli. Così l’Anticristo bestemmierà 1° il Nome di Dio, che appartiene solo alla Divinità e non è adatto a nessun altro, né in cielo né in terra né all’inferno; e non permetterà più che gli si renda culto, come fanno i Cristiani; e proibirà persino di pronunciare questo santo Nome. Perché così il drago eserciterà il suo odio e il suo tradimento contro l’Altissimo, con il quale un tempo pretendeva di assimilarsi. 2°. Per tabernacolo si intende la natura umana di cui la Divinità si è rivestita, e alla quale si è unita ipostaticamente, continuando ad essere così unita in cielo e nella santissima Eucaristia. Ora è contro questo tabernacolo che l’anticristo, con i suoi, vomiterà bestemmie e ucciderà tutti coloro che lo adorano, o confessano che Dio si è fatto carne, e che Gesù di Nazareth, che fu crocifisso, è il Messia. 3° E quelli che abitano nei cieli; cioè gli Apostoli e i Martiri che hanno sofferto per il Nome di Gesù annunciandolo al mondo; allo stesso modo tutti i cristiani, e specialmente i maestri e i predicatori che vivranno allora nella Chiesa militante, che nella Scrittura viene spesso chiamata cielo. In una parola, la bestia bestemmierà contro tutti coloro che resistono alla sua perfidia e al suo potere. Questi saranno consegnati alle nazioni dall’anticristo e dai suoi seguaci, come Gesù Cristo ha predetto in Matteo XXIV, 9: « Allora vi consegneranno alla tribolazione e vi uccideranno; e sarete odiati da tutte le nazioni a causa del mio Nome. ». Vers. 7: E ricevette il potere di fare guerra ai santi e di vincerli. Questo è inteso dapprima per Enoch ed Elia (vedi cap. XI); poi è inteso per tutti coloro che resisteranno all’anticristo, ai suoi falsi profeti e ai suoi falsi apostoli. Infine, queste parole si applicano a tutti coloro che predicheranno e confesseranno il Nome di Nostro Signore Gesù Cristo crocifisso. È a tutti questi tempi che possiamo applicare di nuovo queste parole di San Paolo: « Noi predichiamo Gesù Cristo crocifisso, scandalo per i Giudei e stoltezza per i Gentili. Ma questa vittoria della bestia, che sorgerà dall’abisso contro i santi, cioè contro gli uomini giusti, pii e timorati di Dio, sarà solo temporanea e limitata a questa vita mortale. Questa consisterà in: a). I più raffinati prodigi ed imposture, e nel plauso della dottrina e della grande saggezza dell’anticristo, che i Giudei e tutte le nazioni crederanno all’unanimità. Gli uomini preferiranno questa dottrina a quella che Enoch ed Elia con tutti i santi predicheranno loro di comune accordo. b). Questa vittoria consisterà nella potenza e nel nerbo della guerra, nell’immensa estensione dell’impero dell’anticristo; e anche nell’empietà e nella perfidia delle nazioni e dei Giudei, che forniranno tutte le opportunità e tutti gli aiuti necessari per far sì che i fedeli siano massacrati come pecore. Perché, allora, nessuno potrà confessare e predicare impunemente il Nome di Nostro Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio. 3°. E gli fu dato potere su ogni tribù, popolo, lingua e nazione. Queste parole indicano il potere di questo regno. Questo potere sarà tale che non si è mai visto dall’inizio del mondo. Perché tutte le tribù, tutte le nazioni, tutte le lingue e tutti i popoli saranno soggetti all’anticristo. Comprendiamo da questo quale sarà la desolazione di questi giorni. Le tribù sono i resti dei Giudei, che si metteranno tutti d’accordo e si riuniranno da tutte le parti del mondo dove sono stati sparsi per diciotto secoli, e voleranno, per così dire, verso il figlio della perdizione, dal quale riceveranno potere e lo riconosceranno come il Messia. Si infurieranno con inspiegabile furore contro coloro che confessano e predicano il Nome di Nostro Signore Gesù Cristo come il vero Messia. Perché il loro furore, la loro perfidia e il loro potere saranno legati fino al tempo dell’anticristo. Ecco perché Gesù Cristo dice espressamente in San Giovanni (V, 43): « Io sono venuto nel nome del Padre mio, e voi non mi ricevete; se un altro viene nel suo proprio nome, lo riceverete ». Per popoli sono designati i Cristiani che faranno defezione in grandissima parte ad eccezione dei soli eletti, i quali saranno poco numerosi in proporzione alla massa di questi popoli; infatti, quasi tutti gli uomini si separeranno da Dio, il loro Creatore, e da Gesù, il loro infinitamente amabile Redentore, per abbandonarsi all’idolatria della bestia. Questo è ciò che il Salvatore stesso predice (Luca, XVIII, 8): « Ma quando il Figlio dell’uomo verrà, pensate che troverà la fede sulla terra? ». Con ogni lingua il Profeta ci fa capire che in quei tristi giorni non ci sarà nazione, né lingua sotto il sole, che non acconsentirà ad adorare la bestia e ad aderire al figlio della perdizione, abbandonando così Dio, loro Creatore infinitamente perfetto e loro amorevole Redentore. O terribile ingratitudine, che nessuna lacrima potrebbe deplorare abbastanza! Con tutte le nazioni ci è dato di capire che, come dall’inizio del mondo e dall’origine della Chiesa di Cristo, le nazioni orientali e settentrionali non hanno mai mantenuto a lungo la fede, e facevano continuamente guerra tra loro, come dimostra la storia; così, soprattutto verso la fine dei tempi, tutte queste nazioni si uniranno all’anticristo e saranno animate dal suo spirito e dal suo furore per sterminare il Cristianesimo, tanto facilmente saranno sedotte da dai falsi miracoli e dalle prodigiose menzogne della bestia!

Vers. 8– 4° Tutti gli abitanti della terra lo adorarono, tutti quelli i cui nomi non sono scritti nel libro dell’Agnello immolato dalla creazione del mondo. Questo versetto conferma che tutti i reprobi adoreranno la bestia e si separeranno da Dio il loro Creatore e da Cristo. Quelli i cui nomi sono scritti nel libro della vita sono gli eletti; e il libro della vita è la prescienza di Dio, il cercatore di cuori: prescienza con cui Dio ha organizzato il suo regno da tutta l’eternità, e ha voluto dare a ciascuno secondo le sue opere. Ecco perché l’apostolo San Paolo dice ai Romani, VIII, 30: « Quelli che conosceva nella sua prescienza, li ha anche predestinati ad essere conformi all’immagine del suo Figlio, perché Egli stesso sia il primogenito tra molti fratelli. E quelli che ha predestinato, li ha chiamati; e quelli che ha chiamato, li ha giustificati; e quelli che ha giustificato, li ha glorificati. » Questo libro della vita, secondo la nostra comprensione, è come il registro di un insegnante che annota tutti i progressi dei suoi alunni nella scienza e nella virtù, e che ne fa una lettura pubblica alla fine dell’anno scolastico. Poi ognuno di coloro che ne sono degni, salgono più in alto, o ricevono premi e lodi. Ora allo stesso modo Dio procederà alla fine del mondo al giudizio universale. Perché allora si dimostrerà che Egli non fa ingiustizia a nessuno, ma ricompensa ciascuno secondo le sue azioni: i buoni avranno come ricompensa il paradiso, e i malvagi avranno come castigo l’inferno, perché le loro opere li seguiranno, secondo le parole della stessa Apocalisse, (XIV, 13).Si può anche fare un paragone con un re che ha sconfitto i suoi nemici e ha ottenuto una vittoria decisiva su di loro; poi distribuisce ricompense ai cittadini e ai soldati che si sono comportati bene nel pericolo, e castiga o umilia quelli che sono stati vili o traditori della patria. L’Agnello immolato dalla creazione del mondo. Queste parole contengono la causa della morte e dell’immolazione di Gesù sulla croce; e questa causa sono i peccati della razza umana, peccati commessi fin dalla creazione del mondo, e per i quali Gesù Cristo è morto sulla croce, per riconciliare tutti gli uomini a Dio suo Padre. Questo è quanto profetizzato da Isaia, LIII, 4: « Egli ha infatti portato i nostri dolori, ha preso su di sé i nostri peccati. Sì, lo abbiamo considerato come un lebbroso, come uno colpito da Dio e umiliato. ». Se dunque il Padre ha voluto che il proprio Figlio, Dio come lui e con lui, fosse consegnato nelle mani degli empi e morisse di una morte crudele e ignominiosa per i nostri peccati, di che cosa ci si deve lamentare? Dovremmo allora stupirci tanto se gli empi e i tiranni prevalgono contro la sua Chiesa e contro noi stessi, poiché le loro persecuzioni non hanno altro risultato per noi, che il correggerci, giustificarci e farci arrivare più rapidamente alla felicità sovrana della vita eterna. Ecco perché Dio permette agli empi di prevalere nella vita presente, mentre i giusti e tutti coloro che mostrano zelo per la causa di Dio sono oppressi e soccombono sotto i colpi dei malvagi. Questo è ciò che Dio permetterà soprattutto al tempo dell’anticristo nei confronti di chiunque combatta per il Nome di Gesù Cristo, sia con le armi, per esempio, facendo parte dell’esercito dei Cristiani, o con la parola, o con qualche altro mezzo; perché allora i giusti soccomberanno al potere della bestia, e saranno immolati. È per far capire alla Chiesa e ai fedeli la verità di questo permesso divino, e per convincere tutta la società cristiana di questo, che il Profeta aggiunge:

Versetti 9 e 10. – Chi ha orecchi ascolti. Chi deve andare in cattività, andrà in cattività; chi ucciderà con la spada, morirà con la spada. Condurre in cattività e uccidere con la spada è la caratteristica dei soldati e dei guerrieri. Il significato di queste parole è dunque: Ogni re, principe o popolo cristiano che vuole resistere alla bestia con la forza delle armi soccomberà, sarà ucciso o condotto in cattività. La fine del mondo essendo prossima in questi tempi, Dio permetterà che tutti quei santi e coraggiosi soldati che combattono per la giustizia e la verità siano sconfitti e sacrificati come vittime, per completare il numero dei martiri. Così, in questi giorni di dolore, non ci sarà nessun potere e nessuna vittoria in cui sperare, tranne la più bella di tutte le vittorie, il trionfo del martirio. Perché nessun esercito sarà in grado di resistere contro l’esercito della bestia, e i Giudei saranno particolarmente potenti e numerosi, e si abbatteranno con particolare furia su tutti coloro che oseranno confessare il nome di Gesù Cristo crocifisso davanti a tutte le nazioni. Così, dunque, l’unica vittoria possibile per i Cristiani in quei giorni terribili sarà quella di essere sconfitti, perseguitati, tormentati e messi a morte, rimanendo fedeli, costanti e fermi, e sperando, contro ogni speranza, nella fede del Signore nostro Gesù Cristo. Perciò San Giovanni aggiunge: Questa è la pazienza e la fede dei santi. Gesù Cristo alludeva a quest’ultima e sorprendente desolazione dei Cristiani con un’allegoria, quando ordinò ai suoi discepoli, nella sua passione, di comprare delle spade; e quando anche, rivolgendosi a San Pietro, gli disse, (Matteo, XXVI, 52): « Rimetti la tua spada nel fodero, perché tutti quelli che usano la spada  periranno di spada. »

§ III.

Dell’abominevole e idolatra antipapa, che lacererà la Chiesa d’Occidente, e farà sì che la prima bestia sia adorata.

CAPITOLO XIII. – VERSETTI 11-18 .

Et vidi aliam bestiam ascendentem de terra, et habebat cornua duo similia Agni, et loquebatur sicut draco. Et potestatem prioris bestiae omnem faciebat in conspectu ejus : et fecit terram, et habitantes in ea, adorare bestiam primam, cujus curata est plaga mortis. Et fecit signa magna, ut etiam ignem faceret de caelo descendere in terram in conspectu hominum. Et seduxit habitantes in terra propter signa, quae data sunt illi facere in conspectu bestiæ, dicens habitantibus in terra, ut faciant imaginem bestiæ, quæ habet plagam gladii, et vixit. Et datum est illi ut daret spiritum imagini bestiæ, et ut loquatur imago bestiæ: et faciat ut quicumque non adoraverint imaginem bestiæ, occidantur. Et faciet omnes pusillos, et magnos, et divites, et pauperes, et liberos, et servos habere caracterem in dextera manu sua, aut in frontibus suis: et nequis possit emere, aut vendere, nisi qui habet caracterem, aut nomen bestiæ, aut numerum nominis ejus. Hic sapientia est. Qui habet intellectum, computet numerum bestiae. Numerus enim hominis est: et numerus ejus sexcenti sexaginta sex.

[E vidi un’altra bestia che saliva dalla terra, e aveva due corna simili a quelle di un agnello, ma parlava come il dragone. Ed esercitava tutto il potere della prima bestia nel cospetto di essa: e fece sì che la terra e i suoi abitatori adorassero la prima bestia, la cui piaga mortale era stata guarita. E fece grandi prodigi sino a far anche scendere fuoco dal cielo sulla terra a vista degli uomini. E sedusse gli abitatori della terra mediante i prodigi che le fu dato di operare davanti alla bestia, dicendo agli abitatori della terra che facciano un’immagine della bestia, che fu piagata di spada e si riebbe. E le fu dato di dare spirito all’immagine della bestia, talché l’immagine della bestia ancora parli: e faccia sì che chiunque non adorerà l’immagine della bestia, sia messo a morte. E farà che tutti, piccoli e grandi, ricchi e poveri, liberi e servi abbiano un carattere sulla loro mano destra, sulle loro fronti. E che nessuno possa comprare o vendere, eccetto chi ha il carattere, il nome della bestia, o il numero del suo nome. Qui è la sapienza. Chi ha intelligenza, calcoli il nome della bestia. Poiché è numero d’uomo: e il suo numero è seicento sessanta sei.]

I. Vers. 11.E vidi un’altra bestia salire dalla terra, che aveva due corna come l’Agnello e parlava come il drago. Questa bestia che sorgerà dalla terra è un falso profeta, che dichiarerà che il figlio della perdizione è il Cristo, ed egli sarà il suo braccio, per mezzo del quale l’anticristo opererà cose sul popolo sia con segni che con la potenza delle sue armi. Perciò Daniele, (XI, 42), dice: « Ed egli stenderà la sua mano sulle terre. » Si dice che quest’altra bestia sorgerà dalla terra, perché l’Anticristo con la sua volontà eserciterà la sua tirannia in Oriente e tra i mari; quando il falso profeta sorgerà, prevarrà e imperverserà sulla terra ferma, che è vicina ai mari e sulla quale si trova ora l’Impero Romano, che racchiude nel suo seno gli stati della Chiesa. – Si dice che questa bestia avrà due corna simili a quelle dell’Agnello, perché sarà un Cristiano apostata e si eleverà in segreto ed in modo fraudolento. Egli riunirà i Giudei, che in quei giorni saranno molto numerosi ovunque, e saranno unanimi nel sostenerlo. Invaderà gli stati della Chiesa con una grande armata, occuperà la Sede pontificia, ucciderà l’ultimo Papa, il legittimo successore di San Pietro, e spargerà il sangue dei Cristiani, specialmente dei prelati, come acqua, nelle vicinanze di Gerusalemme. Allora la Chiesa sarà dispersa nelle solitudini e nei luoghi deserti, nelle foreste e sui monti e nelle fenditure delle rocce, perché il Pastore sarà colpito e le pecore saranno disperse. Perché sarà proprio come al tempo della Passione di Nostro Signore. E sembra che sia a questa circostanza dell’ultima desolazione che Gesù Cristo alludeva quando disse nella Sua Passione, (Matteo XXVI, 31): « Sta scritto: Io colpirò il pastore e le pecore del gregge saranno disperse. » Allora la Chiesa latina sarà lacerata e, ad eccezione degli eletti, ci sarà una defezione totale dalla fede. Questo falso profeta proclamerà il figlio della perdizione come il Cristo. È anche notato da San Giovanni che quest’altra bestia aveva due corna come quelle dell’Agnello, a causa della potenza che avrà, nel dire ed operare cose meravigliose e sorprendenti, come è scritto con verità, a proposito di Gesù di Nazareth, (Luca, XXIV, 19): « Che era un profeta potente in opere e parole davanti a Dio e davanti a tutto il popolo. » Ora, questi due poteri di Gesù Cristo di parlare e di operare erano come due corni, come abbiamo detto nel capitolo V; ed è con questi due corni che combatté e sconfisse i Giudei e le nazioni. Il falso profeta avrà dunque un potere più o meno uguale in apparenza, ma falso in realtà; poiché egli avrà questo potere non da Dio, ma dal dragone dell’abisso, e avrà il potere del dragone, e lo userà per ingannare e fuorviare gli abitanti della terra. Perciò si aggiunge: E che parlava come il dragone, cioè il dragone gli impartirà una tale saggezza ed astuzia nell’arte di parlare ed ingannare gli uomini, che è come se egli stesso conversasse nel mondo. Infine, questi due corni sono la legge e i profeti; e come questi contengono le più belle e numerose testimonianze della verità di Gesù Cristo di Nazareth crocifisso, quelle con cui il Signore stesso convinse i discepoli di Emaus che Egli è il Cristo Figlio di Dio, secondo San Luca, (XXIV, 27): « Cominciando da Mosè e continuando attraverso tutti i profeti, interpretò loro ciò che era stato detto di lui in tutte le Scritture »; così questo idolatra, il più scellerato di tutti, si servirà di queste due testimonianze, la legge e i profeti, e le metterà, per così dire, sulla sua testa come due corna, con le corna dei Profeti. Egli dimostrerà con prove false ma capziose, che il Cristo è venuto solo in questi giorni e non prima. Il Cristo, dirà, è il Redentore della nazione giudaica, il Dio delle nazioni; il Cristo è il Re di Gerusalemme. E confermerà queste affermazioni con tali prodigi, che la grande maggioranza dei Cristiani sarà sedotta da questo scandalo; e quasi tutti, ad eccezione degli eletti, che saranno pochi rispetto alla massa, faranno defezione e negheranno il nome di Gesù Cristo di Nazareth crocifisso. Ma prima di allora, i principali pastori di anime saranno stati allontanati dai loro greggi dalla persecuzione e dal martirio, secondo Daniele, (IX, 32 e segg.).

Vers. 12Essa esercitava tutto il potere della prima bestia in sua presenza; cioè, questa bestia avrà tutto il potere delle tenebre come il figlio della perdizione. Per mezzo di questo potere egli opererà prodigi e ingannerà tutte le nazioni; e quindi gli uomini crederanno che l’anticristo sia il Cristo recentemente venuto nel mondo. Infatti, questo falso profeta avrà lo stesso spirito del figlio della perdizione, e sarà soggetto a lui. Egli sosterrà il suo onore e la sua gloria contro ogni aspettativa con il più grande zelo. Da qui queste parole: Essa esercitava tutto il potere della prima bestia in sua presenza. Perché queste parole significano l’onore e la glorificazione che un uomo dà ad un altro uomo operando prodigi, per per esaltare la sua autorità di fronte al mondo; da cui segue: E fece sì che la terra e coloro che vi abitano adorassero la prima bestia la cui ferita mortale era stata guarita. Così questo apostata farà adorare dalla terra e da coloro che la abitano, prima bestia 1°. Sottomettendo al suo dominio, con la forza delle armi, molte terre. 2°. Con la persuasione, spronando gli uomini a rendere un vero culto al re di Gerusalemme come se fosse il vero Dio ed il Messia atteso. Ma come riuscirà a far cadere tanti popoli e nazioni, e gli stessi Cristiani, in tale follia e in simile crimine? Eccolo qui:

Vers. 13. – Farà grandi meraviglie, fino al punto di far cadere il fuoco dal cielo sulla terra davanti agli uomini.

Vers. 14. – Ed egli ingannò quelli che abitano sulla terra con i prodigi che gli fu dato di fare in presenza della bestia, ordinando a quelli che abitano sulla terra di erigere un’immagine alla bestia, che fu ferita con la spada e vive.

Vers. 15. – E gli fu dato di animare l’immagine della bestia e di farla parlare, e di uccidere tutti quelli che non avrebbero adorato l’immagine della bestia. Tutte queste cose si adempiranno alla lettera. Sono veramente spaventosi tutti i prodigi che Dio permetterà in quel tempo, come punizione per i peccati degli uomini e come la prova dei suoi eletti! Del resto, questo apostata farà questi prodigi in gran parte con il potere occulto del diavolo. Perché questi sarà allora più potente di quanto non sia mai stato dall’inizio del mondo. Ecco perché riuscirà a sedurre anche molti Cristiani. Per quanto riguarda questa immagine della bestia, questo è ciò che accadrà: Il Sacrificio continuo sarà soppresso su tutta la terra, tutte le Ostie consacrate saranno accuratamente cercate per essere calpestate, gettate nel fuoco, o per far loro subire altri oltraggi ancora più scandalosi. E i principali autori di questi scandali saranno soprattutto i Giudei che prevarranno ovunque. Essi distruggeranno gli altari, consegneranno alle fiamme i paramenti sacerdotali e gli ornamenti delle chiese. Anche le reliquie dei Santi saranno calpestate, i vasi preziosi saranno raccolti e destinati a diventare l’immagine della bestia, cioè dell’anticristo, re di Gerusalemme. Il demonio dimorerà in questi altari eretti in suo onore e per la sua adorazione. E queste immagini parleranno e daranno segni come se fossero vive! Tale sarà l’abominio della desolazione, di cui Gesù Cristo parla in San Matteo, (XXIV, 15): « Quando dunque vedrete l’abominio della desolazione, predetto dal profeta Daniele, etc. » In quei giorni, i Cristiani saranno ricercati e trascinati davanti agli altari della bestia per farla loro adorare, e per far loro riconoscere, con questo atto, che l’Anticristo è il Cristo, che è Dio che viene a visitare il suo popolo per raccoglierlo nella sua dispersione in mezzo alle nazioni, e che è venuto a liberare i Giudei dal giogo e dalla servitù dei Cristiani. Tutti coloro che rifiuteranno di adorarlo, saranno tormentati e messi a morte con i supplizi più raffinati e più orribili. Perché la bestia avrà il sopravvento ovunque. La potenza delle sue armi sarà tale che non ci sarà altra speranza di salvezza per i Cristiani, né altra vittoria da aspettarsi, se non i tormenti e la morte del martirio. Una debole immagine di questa persecuzione si trova in quella del re Antioco, (I, Macch.) che era egli stesso un vero prototipo dell’anticristo; ed anche nella tirannia di Diocleziano; ma l’Anticristo le supererà di gran lunga. Perché allora la Chiesa sarà dispersa come un libro strappato in mille pezzi e gettato nel fuoco. Leggete il I libro dei Maccabei e avrete un quadro vivido di questi ultimi giorni. Ricordate anche i tempi di Diocleziano e Massimiano, quando iniziarono a realizzare il loro piano di sterminio di tutto il Cristianesimo. Ma siate certi che in tutto questo troverete solo un’ombra o una figura di ciò che accadrà sotto il regno dell’anticristo. Da qui questo passo di San Matteo, (XXIV, 21): « La tribolazione allora sarà grande, come non lo è stato dall’inizio del mondo fino ad oggi, né lo sarà mai ». Questa persecuzione differirà soprattutto dalle precedenti in quanto sarà la più crudele e la più estesa, e ci sarà un’incredibile seduzione degli uomini con prodigi capaci di sorprendere gli stessi eletti, se fosse possibile. Inoltre, essa supererà tutte le precedenti per la defezione di quasi tutto l’universo; e questo a causa dei tormenti più raffinati, più lunghi e più dolorosi che possano essere immaginati. Gli uomini ne saranno terrorizzati, e per evitarli sacrificheranno le loro anime in adorazione della bestia. Perciò saranno pochi gli uomini che si ostineranno a confessare il Nome di Nostro Signore Gesù Cristo crocifisso. Da qui queste parole degli stessi empi, che San Giovanni profetizzò: Chi è come la bestia e chi potrà combattere contro di essa

Vers. 16. E per essa piccoli e grandi, ricchi e poveri, liberi e servi, porteranno il carattere della bestia nella loro mano destra e sulla loro fronte.

Vers. 17. – E nessuno potrà comprare o vendere se non colui che ha il carattere o il nome della bestia, o il numero del suo nome.

Vers. 18. – Qui sta la saggezza. Chi ha intelligenza calcoli il numero della bestia, perché è il numero di un uomo, e il suo numero è seicentosessanta e sei. Queste parole contengono 1° il supplizio della fame, con cui i Cristiani saranno condannati a morire. Infatti esse non potranno né comprare, né trovare il cibo necessario alla vita, a meno che non acconsentano ad adorare l’idolo o l’immagine della bestia. E siccome la fame è un tormento tanto più crudele quanto più lentamente uccide la sua vittima, questo mezzo sarà uno dei più efficaci tra tutti quelli che l’Anticristo ed i suoi seguaci useranno per costringere gli uomini ad adorare l’idolo dell’abominio. 2° Queste parole indicano anche la cessazione di tutti gli scambi ed i commerci per coloro che rifiuteranno di compiere questo atto di idolatria; e questo mezzo può essere annoverato tra i più potenti sul cuore e sulla volontà dell’uomo, come dimostra chiaramente l’esperienza di ogni giorno, soprattutto nella classe media. Perché non c’è nulla che gli uomini non tentino o non sacrifichino per far sì che i loro traffici e i loro commerci abbiano successo. Così si vede dunque, quanti uomini porterà alla defezione e all’idolatria questo mezzo. Per quanto riguarda il carattere della bestia, questo è quello che ne sarà: I re e i principi, in occasione e in ricordo della loro nascita, della loro ascesa al trono o di qualsiasi altro fatto degno di nota, fanno coniare delle medaglie d’oro, d’argento o di bronzo e vi fanno incidere i loro nomi, gli anni del loro regno e le insegne della loro regalità: ora l’anticristo farà qualcosa di simile, ma in un modo ancora più crudele; poiché tutti coloro che aderiranno alla sua dottrina dovranno portare il suo carattere: gli uomini della classe più elevata, sulla mano destra, e quelli della gente comune sulla fronte. Questo carattere sarà impresso sulla pelle per mezzo di un tatuaggio, come si vede sulle braccia di certi mercenari. E chiunque si presenta volontariamente o forzatamente per offrire incenso all’idolo della bestia, dovrà immediatamente subire questa operazione e ricevere sulla mano o sulla fronte, secondo la sua condizione, l’impronta della figura dell’idolo. Da quel momento in poi gli basterà mostrarlo per godere della completa libertà di vendere, comprare, viaggiare, fare i suoi affari, ecc. Mentre coloro che non portano questo segno non oseranno esibirsi in pubblico, né occuparsi delle cose più necessarie della vita. Perché chiunque non porti questo segno, se viene scoperto, sarà preso, maltrattato e trascinato davanti all’idolo, e se si rifiuteranno subiranno un orribile martirio. Questa sarà certamente una trappola ben piazzata; e affinché non fallisca il suo effetto, poiché tutto sarà sottomesso al potere della bestia, saranno eretti altari ovunque, nei porti, nelle città, nei luoghi pubblici o di commercio, lungo le strade, etc. Questi altari saranno sorvegliati da forze armate, in modo che tutti coloro che si presenteranno in pubblico per vendere, comprare o fare qualsiasi altro affare, e che  non hanno il carattere della bestia, saranno immediatamente condotti a forza davanti all’altare più vicino; e se non acconsentiranno a bruciare incenso e a ricevere il carattere della bestia, saranno mutilati e divorati da quella bestia feroce. Ora, l’eroismo dei veri Cristiani, in questi tempi di massima prova e desolazione immaginabile, sarà di morire per la fede e per l’amore di Gesù! Quanto sarà terribile questo martirio, ma quanto sarà glorioso! Con quale interesse i Santi del cielo contempleranno questa mirabile ed eroica lotta dei loro fratelli, in cui la pazienza della vittima lotterà con la ferocia della bestia! E quando il sangue della testimonianza avrà innalzato dalla terra al cielo una fragranza profumata, sarà come ingaggiata una nuova lotta tra i testimoni sulla terra e i testimoni in cielo. Perché mentre i Santi coroneranno in cielo il trionfo della vittima sulla crudeltà della bestia, gli empi, da parte loro, proclameranno sulla terra, con vociferazioni infernali, il trionfo della bestia sulla vita della vittima. O amore di Gesù, come siete potente! Per il vostro bene, il Cristiano passa dalla vita alla morte, e attraverso di Voi passa dalla morte alla vita! O che dolce momento per lo Sposo che contempla dal cielo la sua amata sposa nella sua costanza, la sua perseveranza, il suo amore e la sua vittoria sulla terra; è allora che le rivolgerà queste tenere parole dal libro dei Cantici, IV, 11: « Le tue labbra, o mia sposa, sono un favo da cui si distilla il miele; miele e latte sono sotto la tua lingua, e l’odore delle tue vesti è come l’odore dell’incenso….. Le tue piante sono un giardino di delizie….. La fontana dei vostri giardini è una fontana di acqua viva che sgorga dal Libano. Aquilone, ritirati; vieni, vento del mezzodì; soffia da ogni parte nel mio giardino, fa’ che esali tutte le sue fragranze. » – San Giovanni indica sei classi di uomini che la bestia costringerà a portare il suo carattere, che sono: I piccoli e i grandi, i ricchi e i poveri, i liberi e gli schiavi. Niente in questo libro è scritto senza ragione, e ogni parola contiene la saggezza. Con i piccoli si intendono i bambini che nasceranno in questo tempo, o che nasceranno e saranno battezzati poco prima; poiché il figlio della perdizione e i suoi falsi profeti aboliranno tutti i Battesimi fatti nel nome della Santa Trinità. Avranno cura di costringere tutti i bambini ed i giovani di entrambi i sessi a ricevere in fronte il carattere della bestia, e a rifiutare il Battesimo istituito da Nostro Signore Gesù Cristo di Nazareth. (Stiamo attenti a mettere tutti questi titoli, perché i Cristiani che leggeranno questo libro in quel momento, sentiranno l’importanza di non confondere il vero Cristo con il falso messia). Quanto ai bambini appena nati, sarà loro impedito di essere battezzati, sarà loro impresso il carattere della bestia sulla fronte, e tutti i genitori che saranno scoperti per aver battezzato i loro figli, saranno orribilmente massacrati. Da qui questa profezia di Gesù Cristo in San Matteo, (XXIV, 29): « Guai alle donne che sono incinte o che allattano in quei giorni. » – Per i grandi sono designati gli adulti, e per i ricchi si intendono i principi, i grandi e l’alta classe. I poveri indicano la classe comune di persone in generale. Gli uomini liberi sono i cittadini delle repubbliche di quel tempo. Infine, per schiavi si intendono i mercenari, i servi, le ancelle, in generale, i servi a pagamento e i lavoratori a giornata; perché tutti questi schiavi accetteranno il carattere e adoreranno l’immagine della bestia. – E nessuno potrà comprare o vendere, se non colui che ha il carattere o il nome della bestia, o il numero del suo nome. Tutte queste differenze di denominazioni si riferiscono allo stesso oggetto e allo stesso nome, ed ecco come: Questo carattere della bestia sarà, come è stato detto, un certo segno che i settari dell’anticristo porteranno sulla mano o in fronte. Ora questo segno si chiama carattere, perché sarà impresso sulla pelle e conterrà certe lettere di una certa lingua. Inoltre, questo segno è chiamato un nome, perché queste lettere esprimeranno e formeranno un nome, e questo nome sarà quello della bestia. Infine, questo segno designerà un numero, perché le lettere di questo segno, prese separatamente, significano o rappresentano numeri, e i numeri di ogni lettera sommati fanno 666 che è il numero del suo nome e il numero degli anni in cui nascerà. Qui sta la saggezza.  Chi ha intelligenza calcoli il numero della bestia; perché è il numero di un uomo, e il suo numero è seicentosessantasei. Qui San Giovanni provoca la mente umana a risolvere questo enigma. Bisogna sapere prima di tutto che questo libro dell’Apocalisse fu scritto da San Giovanni in lingua greca. Ora questa lingua non ha una parola che esprima questo numero 666; ma il nome greco αντεμος (= antemos), che è composto da due parole, significa 1° contrario, 2° che questa parola contiene, per le lettere di cui è formata, il numero666. Perché è come per i greci come per i latini: certe lettere significano un certo numero, e così l’interprete latino dell’Apocalisse non ha espresso questo nome secondo il suo significato; ma ne ha interpretato il numero, e per mezzo del nome αντεμος (= antemos), dice: E il suo numero è seicentosessantasei. Questo nome greco αντεμος (= antemos) è un aggettivo, ed è dato al figlio della perdizione per antonomasia, cioè designando la qualità o il modo di essere dell’anti Cristo, che sarà effettivamente contrario a Cristo e a tutto ciò che è proprio di Dio. Ecco perché il nostro Salvatore gli ha dato il nome di anti Cristo, un nome composto da ἀντἱ (= anti), che in latino significa contra, (contro), e κρἰσος (= krisos), che significa Messia, cioè promesso, Salvatore del mondo. Così, questo nome αντεμος (= antemos) non sarà il suo nome proprio. Ma il nome che usurperà sarà quello di Cristo; ed è a questo nome che ogni ginocchio si inchinerà davanti a lui sulla terra. Da qui questi ripetuti avvertimenti che il Salvatore ci rivolge, (Matth. XXIV, 23): « Se dunque qualcuno vi dice: ecco che il Cristo è qui o là, non credetegli; perché sorgeranno falsi Cristi e falsi profeti, e mostreranno grandi prodigi e segni, in modo da ingannare, se fosse possibile, gli stessi eletti. Ve lo dico in anticipo. Se vi dicono: Ecco, è nel deserto, non uscite. Eccolo nel luogo più remoto della casa, non credeteci. » Queste parole sono dette in un senso enigmatico (Questo deserto e questo luogo più remoto della casa possono essere intesi come Gerusalemme e la Giudea, che è un deserto che l’assenza del sole della fede ha reso secco; e Gerusalemme è davvero il luogo più remoto, e il centro della casa d’Israele. Infatti, quando San Giovanni Battista predicò la penitenza in Giudea, si dice che la sua voce era la voce di uno che grida nel deserto). – Questo carattere della bestia consisterà dunque in certe lettere ebraiche che saranno stampate sulla mano destra o sulla fronte degli uomini, e significheranno in greco κρἰσος (= krisos) e in latino Christus, il Cristo. Ora, poiché egli non sarà il Cristo, ma l’anticristo, come lo chiama il nostro Salvatore. Ecco perché l’interprete latino si è contentato di esprimere questo nome con il numero che queste lettere greche, addizionate insieme, costituiscono, e cioè: seicentosessantasei. Infatti, la lettera greca α = 1, ν = 50, τ = 300, ε = 5, μ = 40, ο = 70, ς = 200; e tutti questi numeri sommati fanno 666. Ora questo numero 666 è il numero di mesi che corrisponde a cinquantacinque anni e mezzo, ed è il numero degli anni della bestia, cioè il tempo della sua nascita e la durata della sua vita. Perché nel mezzo dell’anno di Gesù Cristo 1855 nel diciannovesimo secolo, l’anticristo nascerà, e vivrà cinquantacinque anni e mezzo. Ed è negli ultimi tre anni della sua vita e negli ultimi sei mesi, cioè per tre anni e mezzo, che infierirà con il più grande furore contro la cristianità, ed in accordo con il suo falso profeta, l’antipapa, sterminerà la Chiesa, disperderà il gregge di Gesù Cristo, vincerà e ucciderà tutti i fedeli con il potere datogli per quarantadue mesi su ogni tribù, popolo, lingua e nazione, per far guerra ai santi di Dio e vincerli nel tempo in cui egli siederà nella pienezza del suo regno. Così, dunque, nell’anno 1911, i giorni della bestia, cioè del maomettanismo, si compiranno; e il figlio della perdizione sarà ucciso a metà del cinquantaseiesimo anno della sua vita dal soffio, cioè dalla parola che uscirà dalla bocca di Gesù di Nazareth crocifisso. Allora il resto dei Giudei si convertiranno e diranno: « Benedetto colui che viene nel nome del Signore ». Allora il firmamento si dissolverà e si frantumerà con grande violenza; e il Cristo verrà a giudicare i vivi e i morti (Matth. XXIV, 36): « Ma nessuno conosce quel giorno e quell’ora, nemmeno gli angeli del cielo; solo il Padre mio li conosce », dice Gesù Cristo. (N. B.: Abbiamo tre rivelazioni importanti nella Chiesa – ovviamente tra quelle approvate dalle autorità ecclesiastiche canonicamente valide – che ci annunciano una dilazione concessa a satana dal buon Dio perché potesse realizzare i suoi piani distruttivi nei confronti della Chiesa e del Cattolicesimo: 1° il 24 aprile del 1820 quella della venerabile Anna Caterina Emmerick; 2° il 13 ottobre 1884 lo stesso annuncio fu fatto in visione a S.S. Papa Leone XIII; 3° la Vergine Maria lo riconfermò, il 13 ottobre 1917 nel corso dell’ultima apparizione a Fatima. Questo spiegherebbe i tempi riportati in anticipo di un secolo circa che il beato Holzhauser annunzia in questo capitolo – ndr. -).

L’APOCALISSE INTERPRETATA DAL BEATO B. HOLZHAUSER (XX)

LA SUMMA PER TUTTI (13)

LA SUMMA PER TUTTI (13)

R. P. TOMMASO PÈGUES O. P.

LA SOMMA TEOLOGICA DI S. TOMMASO DI AQUINO IN FORMA DI CATECHISMO PER TUTTI I FEDELI

PARTE SECONDA

SEZIONE SECONDA

Idea particolareggiata del ritorno dell’uomo verso Dio.

Capo XXVII.

Virtù annesse alla giustizia: la religione, la pietà, l’osservanza, la gratitudine, la punizione, la verità, l’amicizia, la liberalità e l’equità naturale.

1116. La virtù della giustizia ha essa pure alla sua dipendenza altre virtù che le si riferiscono, e sono per essa come altrettante parti annesse?

Sì; la virtù della giustizia ha queste specie di parti (LXXX, 1).

1117. Ma come ed in che cosa queste altre virtù si distinguono dalla giustizia propriamente detta?

Si distinguono in questo, che la giustizia propriamente detta ha per oggetto di rendere ad altri con perfetta uguaglianza ciò che è rigorosamente dovuto; mentre le altre virtù, benché si riferiscano agli altri come la giustizia, in ciò che hanno di comune con essa, hanno tuttavia il loro atto che tende a concedere una cosa non dovuta ad altri se non in senso largo, e non già a così stretto rigore che si possa richiedere in nome del diritto stabilito dalla legge davanti ai tribunali; oppure a non concedere se non in maniera necessariamente imperfetta ed al di sotto della uguaglianza assoluta, ciò che sarebbe rigorosamente dovuto (LXXX, 1).

1118. Quante sono le virtù che si riferiscono alla giustizia e quali sono?

Sono nove: la religione, la pietà, la osservanza, la gratitudine, la punizione, la verità, l’amicizia, la liberalità e la equità naturale (LXXX, 1).

1119. Potreste render ragione dell’ordine di queste virtù?

Sì; eccola in poche parole: Le prime otto si riferiscono alla giustizia particolare; la nona alla giustizia generale o legale. E delle prime otto ve ne sono tre — la religione, la pietà e la osservanza — che restano al di sotto della giustizia in senso stretto, non per mancanza di rigore in fatto di dovere, ma per impossibilità di raggiungere la ragione di uguaglianza nel compimento di questo dovere: la religione rispetto a Dio: la pietà rispetto ai parenti ed alla patria; la osservanza rispetto agli uomini virtuosi od agli elevati in dignità. Le altre cinque difettano da parte del dovere; perché esse non si basano affatto su qualche cosa di legalmente dovuto e che possa essere richiesto in giudizio davanti ai tribunali umani come determinato dalla legge, ma soltanto su ciò che è dovuto moralmente, e di cui la determinazione o il compimento è lasciato all’impulso virtuoso di ciascuno: cosa tuttavia richiesta per la onestà della vita umana è la buona armonia dei rapporti degli uomini tra loro, sia in maniera necessaria come l’oggetto della verità, della gratitudine e della vendetta; sia a titolo di perfezione e di miglioramento, come l’oggetto dell’amicizia e della liberalità (LXXX, 1).

Capo XXVIII.

La religione: sua natura.

1120, Che cosa è la virtù della religione?

La virtù della religione, così chiamata perché costituisce il legame per eccellenza che unisce l’uomo a Dio come a Colui che è per l’uomo la sorgente di ogni bene, è una perfezione della volontà che porta a riconoscere come si conviene la dipendenza dell’uomo da Dio, primo principio ed ultimo fine di tutto, sommamente perfetto in Se stesso e dal quale dipende ogni altra perfezione (LXXXI, 1-5).

1121. Quali saranno gli atti appartenenti a tale virtù?

Tutti quelli che di per sé tendono ad affermare la dipendenza dell’uomo da Dio rientrano nell’oggetto proprio della virtù della religione. Ma essa può anche ordinare a questo stesso fine gli atti di tutte le altre virtù; ed in questo caso essa fa di tutta la vita dell’uomo un atto di culto verso Dio (LXXXL, art. 7, 8).

1122. Come si chiamerà allora?

Si chiamerà santità, perché l’uomo Santo è precisamente colui, tutta la vita del quale è trasformata in un atto di religione (LXXXI. 8)

1123. La virtù della religione è particolarmente eccellente?

La virtù della religione è la più eccellente di tutte le virtù, fuorché delle virtù teologali (LXXXI, 6).

1124. Donde proviene questa eccellenza alla virtù della religione?

Le viene da questo, che tra tutte le virtù morali il cui proprio oggetto è di perfezionare l’uomo in tutti gli ordini della sua cosciente attività, in ordine al raggiungimento di Dio, quale la fede, la speranza e la carità ce lo fanno riguardare, nessun’altra virtù ha oggetto più prossimo a questo fine. Mentre, infatti, le altre virtù regolano l’uomo sia in se stesso che con le altre creature, la religione lo regola con Dio; essa fa sì che egli sia in relazione a Dio quello che deve essere, riconoscendo come deve la sua sovrana maestà, servendolo ed onorandolo con i suoi atti, come richiede di essere servito ed onorato Colui, la eccellenza del quale supera all’infinito ogni cosa ed in ogni ordine (LXXXI, 6).

Capo XXIX.

La religione: suoi atti interni: la divozione. – La preghiera: natura, necessità e formula. – Il PATER NOSTER, ossia l’Orazione Domenicale; efficacia.

1125. Qual è il primo atto della religione?

Il primo atto della religione è l’atto interno che si chiama devozione (LXXXII, 1, 2).

1126. Che cosa intendete per divozione?

Per divozione intendo un certo moto della volontà, per il quale questa si dona e dona tutto quello che nell’uomo da essa dipende, al servizio di Dio, riferendosi a Lui sempre ed in tutto con santa prontezza (LXXXII, 1, 2).

1127. Dopo la divozione qual è nell’uomo il primo atto applicato al servizio di Dio?

È l’atto della preghiera.

1128. Che cosa è l’atto della preghiera?

L’atto della preghiera, inteso nel senso più alto ed in quanto si rivolge a Dio, è un atto della ragione pratica per il quale, sotto forma di supplica, vogliamo indurre Dio a fare ciò che noi desideriamo (LXXXIII, E):

1129. Ma è cosa ragionevole e possibile questa?

Certamente; e niente sulla terra è più ragionevole o più in armonia con la nostra natura (LXXXIII, 2).

1130. Come dimostrate che è così?

Con queste considerazioni: Essendo noi esseri ragionevoli e coscienti, abbiamo altamente bisogno di acquistare coscienza di ciò che è Dio e di ciò che siamo noi. Ora, noi non siamo che miseria, ed Egli è la sorgente di ogni bene. Più noi dunque avremo coscienza della nostra miseria fino ai minimi particolari dei suoi bisogni, e che soltanto da Dio come dalla prima sorgente ci vengono i beni atti a rimediarvi, più saremo ciò che dobbiamo essere, vale. a dire ciò che la nostra. Natura richiede. E l’atto della preghiera è precisamente questo: tanto più è perfetto quanto più ci fa acquistare coscienza della nostra miseria e della bontà di Dio nel rimediarvi. Ancora, proprio per questo Dio nella sua misericordia ha voluto che pregassimo, determinando che certe cose non ci verrebbero concesse, se non per mezzo della domanda che gliene faremmo (LXXXII, 2).

1131. Dunque noi facciamo la volontà di Dio nella sua più alta perfezione, quando vogliamo indurlo con la preghiera a fare ciò che desideriamo?

Sì: noi facciamo nella sua più alta perfezione la volontà stessa di Dio, quando ci sforziamo di indurlo con la nostra preghiera a compiere quello che desideriamo, ogni volta che quello che desideriamo è per il nostro vero bene.

1132. Dio ci esaudisce sempre allora?

Sì: Dio ci esaudisce sempre, quando Gli domandiamo sotto l’impulso dello Spirito Santo ciò che è per il nostro vero bene (LXXXITI, 15).

1133. Vi è una formula di preghiera che ci assicura che noi domandiamo sempre il nostro vero bene?

Sì, è la formula della preghiera per eccellenza che si chiama il « Pater Noster », ossia Orazione Domenicale (LXXXIII, 9).

1134. Che cosa intendete con queste parole: «Orazione Domenicale? ».

Intendo la preghiera che ci ha insegnata Nostro Signore Gesù Cristo nel Vangelo.

1135. Potete dirmi questa preghiera?

Si: eccola: Padre nostro che sei nei cieli, sia santificato il tuo nome; venga il tuo regno; sia fatta la tua volontà, come in cielo così in terra. Dacci oggi il nostro pane quotidiano; e rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori; e non ci indurre in tentazione; ma liberaci dal male. Così sia.

1136. Questa preghiera contiene da sé sola tutte le preghiere, ossia tutte le domande che possiamo e dobbiamo rivolgere a Dio?

Sì; questa preghiera contiene da sé  sola tutte le preghiere, ossia tutte le domande che possiamo e dobbiamo rivolgere a Dio; e tutto quello che domanderemo a Dio si riferirà sempre, se domandiamo ciò che bisogna, ad una di queste domande del « Pater Noster » (LXXXII, 9).

1137. Ha ancora un altro pregio questa preghiera totalmente proprio?

Sì; e questo pregio consiste in ciò, che essa mette sulle nostre labbra, nello stesso ordine che debbono essere nel nostro cuore, tutti i desideri che dobbiamo avere (LXXXIII, 9).

1138. Potreste mostrarmi l’ordine delle domande dell’Orazione Domenicale?

Eccolo in breve: Di tutti i nostri desideri il primo deve essere che Dio sia glorificato, poiché la gloria di Dio è il fine di tutte le cose; ma subito e per cooperare noi stessi il più perfettamente possibile a questa gloria, dobbiamo desiderare di essere ammessi a parteciparne un giorno eternamente nel cielo, E tale è il senso delle prime due domande

del «Pater Noster» quando diciamo: « Sia santificato il tuo nome; venga il tuo regno ». Questa glorificazione di Dio in Se stesso e nostra in Lui, sarà un giorno il termine finale della nostra vita. Su questa terra e durante la nostra vita presente noi dobbiamo lavorare per meritare di esservi ammessi. Perciò noi non abbiamo che una sola cosa da fare: compiere in tutto, il più perfettamente possibile, la volontà di Dio; ed è ciò che domandiamo dicendo: « Sia fatta la tua volontà, come in cielo così in terra ». Ma per compiere questa volontà in modo perfetto abbiamo bisogno dell’aiuto di Dio che sostenga la nostra debolezza, sia in ordine alle necessità temporali sia in ordine a quelle spirituali. Noi domandiamo questo aiuto quando diciamo: « Dacci oggi il nostro pane quotidiano ». E ciò basterebbe se non avessimo da liberarci dal male che può essere un ostacolo, sia all’acquisto del Regno di Dio, sia al compimento della Sua volontà, sia alla sufficienza delle cose di cui abbiamo bisogno nella vita presente. Contro questo triplice male noi diciamo a Dio: Rimetti a noi i nostri debiti,  come noi li rimettiamo ai nostri debitori; e non ci indurre in tentazione; ma liberaci dal male (LXXXII, 9).

1139. Perché al principio di questa preghiera, noi diciamo: « Padre nostro che sei nei cieli » ?

Per eccitarci ad una confidenza senza limiti, poiché quegli a cui ci rivolgiamo è un Padre che regna nei cieli, ed ha tutto in Suo potere (LXXXII, 9 ad 5).

1140. Si deve recitare spesso questa preghiera del «Pater noster» ?

Si deve vivere continuamente del suo spirito e recitare poi di tempo in tempo, ed anche più spesso, secondo che le condizioni della nostra vita ce lo permettono (LXXXIII,

1141. Il meno che convenientemente si possa fare, in qualsiasi condizione ci si trovi è di non passare un giorno solo senza a dire questa preghiera?

Si, in qualsiasi condizione ci si trovi, il meno che convenientemente si possa fare è di non lasciar passare un giorno solo senza dire questa preghiera.

1142. Dobbiamo rivolgere a Dio solo le nostre preghiere?

Sì; dobbiamo rivolgere le nostre preghiere a Dio solo, come a Colui dal quale attendiamo ogni nostro bene; ma possiano rivolgerci a certe creature, per pregarle ad intercedere in nostro favore dinanzi a Dio (LXXXIII. 4).

1143. Quali sono le creature alle quali possiamo rivolgerci, per pregarle ad intercedere in nostro favore dinanzi a Dio?

Sono gli Angeli ed i Santi del cielo, ed i giusti che vivono ancora sulla terra (LXXXIII, 11)

1144. È cosa buona raccomandarsi anche alle anime sante e sollecitare le loro preghiere?

Sì; è cosa eccellente raccomandarsi alla pia intercessione delle anime sante e sollecitare le loro preghiere presso Dio.

1145. Fra tutte le creature ve n’è qualcuna che deve essere da noi invocata nelle nostre preghiere, a titolo del tutto speciale?

Sì; è la gloriosa Vergine Maria, Madre del Figluolo di Dio incarnato, Nostro Signore Gesù Cristo.

1146. Con qual nome è stata chiamata la Ss.ma Vergine Maria, in ragione di questa speciale missione che ha di intercedere per noi?

È stata chiamata la Onnipotente per intercessione.

1147. E che cosa si è voluto significare con queste parole?

Si è voluto significare che tutti coloro che per i quali Ella intercede presso Dio sono da Lui esauditi nelle loro preghiere.

1148, Vi è una formula di preghiera più particolarmente eccellente per domandare intercessione della Ss.ma Vergine Maria presso Dio?

Sì: è la preghiera dell’ « Ave Marta ».

1149. Potreste dirmi questa preghiera?

Si: eccola: Ave, o Maria, piena di grazia, il Signore è teco: tu sei benedetta tra le donne, e benedetto è il frutto del ventre tuo Gesù. Santa Maia, Madre di Dio, prega per noi peccatori, adesso e nell’ora della nostra morte. Così sia.

1150. Quando è bene recitare questa preghiera?

È bene recitarla il più spesso possibile, e specialmente dopo il «Pater noster » quando si recita in privato.

1151. Vi è un modo particolarmente bello di unire insieme queste due preghiere per assicurarne la efficacia?

Sì; è il santo Rosario.

1152. Che cosa intendete per il Rosario?

Intendo un modo di preghiera che consiste nel ricordare i quindici principali misteri della nostra Redenzione, e nel recitare, dinanzi al ricordo di ciascuno di essi, una volta il « Pater noster » seguito dall’« Ave Maria» ripetuta dieci volte, dopo di che si aggiunge: Gloria al Padre e al Figliuolo ed allo Spirito Santo, come era nel principio, e ora, e sempre, e mei secoli dei secoli. Così sia.

Capo XXX.

Atti esterni: l’adorazione, il sacrificio, i doni, le offerte per il culto, il voto, il giuramento, la invocazione del S, Nome di Dio.

1153. Dopo gli atti interni della divozione e della preghiera, quali sono gli altri atti della virtù della religione?

Sono tutti gli atti esterni ordinati di per sé ad onorare Dio (LXXXIV-XCI).

1154. Quali sono questi atti?

Vi sono anzitutto i gesti o movimenti del corpo, come le inclinazioni della testa, le genuflessioni, le prostrazioni e tutti gli altri atti che si comprendono sotto il nome generale di adorazione (LXXXIV).

1155. In che cosa consiste il pregio di tali atti?

Consiste in questo, che essi fanno contribuire il corpo stesso ad onorare Dio e possono, quando siano compiuti come si deve, costituire un grandissimo aiuto per meglio compiere gli atti interni (LXXXIV; 2).

1156. Soltanto il nostro corpo noi dobbiamo far servire ad onorare Dio nella virtù della religione?

Vi sono anche le cose esterne che possiamo offrire in omaggio a Dio sotto forma di sacrificio o di pio contributo (LXXXV – LXXXVII).

1157. Nella legge nuova vi è una sola forma di sacrificio nel senso stretto della parola, ed in quanto implica la immolazione della vittima?

Sì; è il santo sacrificio della Messa nel quale si immola, sotto le specie sacramentali del pane e del vino, Colui che dopo il sacrificio cruento della croce, è l’unica Vittima offerta ed accetta a Dio (LXXXV, 4).

1158. E un atto di religione accetto a Dio il contribuire secondo le proprie risorse ad assicurare ed accrescere il culto esterno, facendo offerte per il culto stesso e per il sostentamento dei suoi ministri?

Sì: tutto questo è un atto di religione e Dio lo riguarda con con gradimento speciale. (LXXXVI-LXXXVII). sad

1159 Si fa atto di religione soltanto donando a Dio per il suo culto od a vantaggio dei suoi ministri?

Si può fare anche atto di religione promettendo a Dio qualche cosa di natura accetta a Lui (LXXXVII).

1160. Come si chiama questa promessa?

Si chiama voto (LXXXVII, 1, 2).

1161. Quando si fa un voto si è obbligati a mantenerlo?

Sì; quando fa un voto si è obbligati a mantenerlo, salvo la impossibilità o la dispensa. (LXXXVIII, 3, 10).

1162. Vi è un’ultima specie di atti di religione?

Si; sono gli atti nei quali per onorare Dio si usa qualche cosa spettante a Dio stesso – (LXXXTX).

1163. Che cosa è che può riguardare Dio, e che noi possiamo utilizzare per onorarlo e rendergli omaggio?

Sono le cose sante ed il suo S. Nome.

1164. Che cosa intendete per cose sante?

Intendo tutto quello che ha ricevute da Dio, per mezzo della sua Chiesa, una consacrazione a o una benedizione particolare, come le persone consacrate a Dio, i sacramenti ed i sacramentali, quali sono l’acqua benedetta, gli oggetti di pietà ed anche i luoghi di culto (LXXXIX, Prologo).

1165. Come si può usare il S. Nome di Dio sotto forma di omaggio reso a Lui?

Si può usare il S. Nome di Dio sotto forma di omaggio reso a Dio stesso, chiamandolo in testimone di ciò che si afferma od invocandolo a modo di lode (LXXXIX-XCI).

1166. Con qual nome si indica l’atto di chiamare Dio in testimone di ciò che si afferma o si promette?

Si indica col nome di giuramento (LXXXIX, 1).

1167. Il giuramento è cosa buona e da raccomandarsi di per se stessa?

Il giuramento non è cosa buona se non in forza di una grande necessità, e non se ne deve usare che con la più estrema riserva (LXXXIX, 2).

1168. E l’adiurazione che cosa è?

L’adiurazione o scongiuro è un atto che consiste nell’appellare al s. Nome di Dio od a qualche cosa santa, per indurre qualcuno ad agire o non agire nel senso che vogliamo (XC, 1).

1169. È un atto permesso ?

Sì; quando è fatto con rispetto ed in quanto lo richiede la condizione degli esseri che scongiuriamo (Ibid.).

1170. È bene invocare spesso il S. Nome di Dio?

Sì; purché si faccia col più grande rispetto e sotto forma di lode (XCI, 1).

Capo XXXI.

Vizi opposti alla religione: la superstizione, la divinazione. – La irreligione: la tentazione di Dio, lo spergiuro, il sacrilegio.

1171. Quali sono i vizi opposti alla virtù della religione?

Vi sono due specie di vizi opposti alla virtù della religione: gli uni per eccesso, e vanno sotto il nome di superstizione; gli altri per difetto e si chiamano irreligione (XCII, Prologo).

1172. Che cosa intendete per superstizione?

Intendo quel complesso di vizi che consiste nel rendere a Dio un culto che non può essergli gradito, oppure nel rendere ad altri il culto che appartiene a Lui solo (XCII, XCIII, XCIV).

1173. Vi è un modo più specialmente frequente di questa ultima specie di vizi?

Sì; è il desiderio smoderato di conoscere il futuro o le cose occulte, per il quale ci si abbandona alle molteplici pratiche della divinazione e delle vane osservanze (XCV, XCVI).

1174. E la irreligione che cosa comprende?

La irreligione comprende due cose: il non trattare col conveniente rispetto le cose riguardanti il servizio ed il culto di Dio, e l’astenersi interamente da ogni atto di religione.

1175. Questo ultimo vizio è particolarmente grave?

Questo ultimo vizio è di una gravità estrema; perché implica il disprezzo e la dimenticanza sdegnosa di Colui al quale siamo più obbligati, e che ogni uomo ha il più stretto dovere di onorare e servire.

1176. Sotto quale forma speciale si presenta oggigiorno questo vizio?

Si presenta sotto la forma del laicismo.

1177. Che cosa intendete per laicismo?

Intendo quel sistema di vita consistente nel mettere Dio completamente da parte: sia in maniera positiva, cacciandolo dappertutto e perseguitando Lui o tuttociò che a Lui appartiene dovunque si trovi; sia in maniera negativa, non tenendo alcun conto di Lui nell’ordinamento della vita umana individuale, familiare e sociale.

1178. Donde proviene questo gran vizio del laicismo nella sua doppia forma positiva e negativa?

La forma positiva proviene dall’odio e dal fanatismo settario; la forma negativa da una specie di stupidità intellettuale e morale, nell’ordine metafisico e soprannaturale.

1179. Ci si deve opporre con tutte le forze al laicismo?

Non esiste dovere più grande che quello di opporsi con tutte le proprie forze al laicismo, e di combatterlo con ogni mezzo che sia in nostro potere.

1180. Quali sono gli altri vizi della irreligione?

Sono la tentazione di Dio e lo spergiuro, che vanno contro Dio stesso ed il Suo S. Nome; il sacrilegio e la simonia, che vanno contro le cose sante (XCVII-XCIX).

1181. Che cosa intendete per tentazione di Dio?

Intendo quel peccato contro la religione che consiste nel mancare di rispetto a Dio, facendo appello al suo intervento come per assicurarci della sua potenza, o in tali circostanze che non gli permettano di intervenire senza andare contro ciò che Egli deve a Se stesso (XCVII, 1).

1182. È un tentare Dio, quasi contando sopra un soccorso speciale da parte sua, quando non si fa da parte nostra ciò che è possibile fare?

Sì: è un tentare Dio il fare così, e si deve evitare con grande cura (XCVII, 1,2).

1183. Che cosa intendete per spergiuro?

Intendo quel peccato contro la virtù della religione, che consiste nell’appellarsi alla testimonianza di Dio per una cosa falsa, nel mancare di mantenerla dopo averla promessa (XCVII, 1).

1184. È un peccato che si collega con lo spergiuro l’appellare a Dio con la evocazione del suo S. Nome, per qualunque motivo ed in modo inconsiderato?

Sì; senza essere propriamente uno spergiuro, è una mancanza di rispetto verso il S. Nome di Dio, che si collega con lo spergiuro, e non sarà mai troppa la cura per evitarla.

1185. Che cosa intendete per sacrilegio?

Intendo la violazione delle persone, delle cose o dei luoghi rivestiti di una consacrazione o santificazione speciale, che li vota al culto ed al servizio di Dio (XCIX, 1).

1186. Il sacrilegio è un peccato grave?

Sì; il sacrilegio è un peccato grave, perché attentare alle cose di Dio è in qualche modo attentare a Dio stesso; e Dio riserva a questo peccato, anche su questa terra, i più grandi gastighi (XCIX, 2-4).

1187. Che cosa intendete per simonia?

Intendo quel peccato speciale di irreligione che consiste, imitando in ciò la empietà di Simon Mago, nel fare ingiuria alle cose sante trattandole come vili cose materiali, di cui gli uomini dispongono da padroni, vendendole e comprandole a prezzo di denaro (C, 1).

1188. La simonia è un grave peccato?

Sì; la simonia è un peccato grave che la Chiesa punisce con pene severissime (C, 6).

Capo XXXII.

La pietà verso i genitori e verso la patria.

1189. Dopo la virtù della religione, quale è la più grande delle virtù annesse alla giustizia?

È la virtù della pietà (CI).

1190. Che cosa intendete per virtù della pietà?

Intendo quella virtù che ha per oggetto di rendere ai genitori ed alla patria l’onore ed il culto loro dovuti per il grande benefizio dell’essere che ci hanno dato, con tutti i beni che lo seguono, lo conservano e lo completano (CI, 1-2).

1191. I doveri della pietà verso i genitori e verso la patria sono particolarmente santi?

Sì; dopo i doveri verso Dio non ve ne sono altri di più santi o più sacri (CI, 1).

1192. Quali sono i doveri della virtù della pietà verso i genitori?

Sono: il rispetto e la deferenza, sempre; la obbedienza quando si vive sotto la loro autorità; e l’assistenza in caso di bisogno (CI,2),

1193. Ed i doveri della pietà verso la patria quali sono?

Sono: il rispetto e la riverenza verso coloro che la personificano e la rappresentano; l’obbedienza alle leggi; ed il dono di sé fino al sacrifizio della propria vita, in caso di guerra giusta contro i suoi nemici.

Caro XXXIII.

L’osservanza verso i superiori.

1194. Vi è ancora una virtù oltre quella della religione e della pietà, che può richiedere la nostra obbedienza?

Sì; è la virtù della osservanza (CII).

1195. Che cosa intendete per la virtù della osservanza?

Intendo una virtù avente per oggetto di regolare i rapporti degli inferiori verso i superiori, fuori della superiorità e del dominio proprio di Dio, dei genitori e delle autorità che personificano e rappresentano la patria (CII, CIII).

1196. È la virtù della osservanza che regola i rapporti degli alunni verso i maestri, degli apprendisti verso i padroni e di tutti gli altri inferiori verso i loro superiori?

È la virtù della osservanza che regola i rapporti degli alunni verso: i maestri, degli apprendisti verso i padroni e di tutti gli altri inferiori verso i loro superiori (CIII, 3).

1197. La virtù della osservanza implica sempre la virtù di obbedienza?

No: la virtù di obbedienza non è richiesta dalla osservanza se non si tratta di superiori aventi autorità sui loro inferiori.

1198. Vi sono altri ordini di superiorità oltre a quelli che implicano autorità sugli inferiori?

Sì; per esempio la superiorità di talento, di genio, di ricchezze, di età, di virtù ed altre simili (CIII, 2).

1199. In tutti questi ordini ha luogo la pratica della virtù della osservanza?

Sì; la virtù della osservanza fa sì che l’uomo renda ad ogni dignità superiore, qualunque essa sia, gli onori dovuti; con questo però che essa rende tali onori prima ai superiori in autorità, a cui rende al tempo stesso il rispetto ed il servizio loro dovuto (Ibid.).

1200. È cosa importante questa per il bene della società?

Sì; è cosa importantissima per il bene della società; perché ogni società implica molteplicità ed in qualche maniera subordinazione; ed ogni subalterno deve praticare la virtù della osservanza, sotto pena di turbare la bellezza ed armonia che formano il pregio della vita degli uomini tra loro.

1201. Ogni uomo può avere da praticare la virtù della osservanza?

Sì; perché non vi è alcuno, sia pur superiore in un dato ordine, che non sia in ordine diverso inferiore ad altri (CIII, 2 ad 3).

Capo XXXIV.

La gratitudine o riconoscenza.

1202. Quale è la prima delle altre virtù annesse alla giustizia, avente per oggetto non uno stretto dovere impossibile a soddisfarsi pienamente, ma un certo dovere morale, ordinato tuttavia in modo necessario al bene della società?

È la virtù della gratitudine, ossia della riconoscenza (CVI).

1203. Qual è il compito di questa virtù?

Il compito di questa virtù è di farci riconoscere come conviene e contraccambiare tutti i benefizi di ordine particolare che possiamo aver ricevuto da qualcuno (CVI, 1).

1204. È una grande virtù questa?

Sì; perché il vizio contrario, la ingratitudine è cosa estremamente odiosa e riprovata da tutti gli uomini (CVII).

1205. Ci si deve impegnare nella virtù della gratitudine o riconoscenza, a rendere più di quello che si è ricevuto?

Sì: ci si deve impegnare a rendere più di quanto si è ricevuto, per imitare l’atto del proprio benefattore (CVI, 6).

Capo XXXV.

La vendetta o castigo.

1206. Vi è qualcosa da fare, dal punto Vista della virtù, contro i malfattori e tutti quelli che nuocciono, nella sfera della nostra vigilanza?

 Sì; una virtù speciale che è la premura della vendetta, deve guidarci a far sì che un dato male non rimanga affatto impunito, quando il bene di cui noi abbiamo la difesa richiede che il male stesso venga effettivamente punito (CVIII).

Capo XXXVI.

La verità. – Vizi opposti: la menzogna, la simulazione e l’ipocrisia.

1207. Qual è l’altra virtù del medesimo ordine richiesta non precisamente per riguardo agli altri, ma per riguardo a quegli stessi che agisce, per il bene della società tra gli uomini?

È la virtù della verità (CIX)

1208. Che cosa intendete per virtù della verità?

Intendo quella virtù che ci porta a mostrarci in tutte le cose per quelli che veramente siamo nelle parole e negli atti (CIX, 1-4).

1209. Quali sono i vizi opposti a questa virtù?

Sono la menzogna a e la simulazione, ossia l’ipocrisia (CX- CXII)

1210. Che cosa intendetete per menzogna?

Intendo il parlare od agire scientemente in modo tale da esprimere o significare ciò che non è (CX, 1).

1211. È cosa cattiva questa?

È cosa essenzialmente cattiva, che non può mai divenir buona per qualsivoglia fine

o pretesto (CX, 3).

1212. Ma si è sempre tenuti a dire o significare con le parole e con gli atti tutto ciò  che è?

No: non si è affatto tenuti a dir sempre o a significare tutto ciò che è; ma non si deve mai dire o significare quello che non è (CX, 3)

1213. Quante specie di menzogna vi sono?

Vi sono tre specie di menzogna: la menzogna giocosa; la menzogna officiosa; e la menzogna dannosa (CX, 2).

1214. In che cosa si distinguono queste tre specie di menzogna?

Queste tre specie di menzogna si distinguono in questo, che la menzogna giocosa, ha per iscopo di ricreare il prossimo; la menzogna officiosa quello di essergli utile, e la menzogna dannosa quello di nuocergli (CX, 2)

1215. Questa ultima menzogna è la più cattiva di tutte?

Sì: di tutte le specie della menzogna, la più cattiva è la menzogna dannosa: mentre infatti le altre due possono essere soltanto peccati veniali, questa è sempre di peccato mortale, non potendo essere veniale se non in ragione della leggerezza del danno che intende (CX, 4).

1216. Che cosa intendete per simulazione ed ipocrisia?

La simulazione consiste nel mostrarsi all’esterno della propria vita quello che non si è;

internamente; e la ipocrisia è una simulazione che tende a far passare per giusto e santo chi internamente non è tale (CXI, 1, 2)

1217. È obbligato uno, per non cadere in questi difetti, a manifestare esternamente ciò che in lui può esservi di cattivo o di meno buono?

Niente affatto; ed è anzi un dovere non lasciarlo apparire di fuori, sia per non nuocere a se stesso nella opinione degli altri, sia per non male edificarli o scandalizzarli. Ciò che la virtù della verità richiede è che non si tenda a dimostrare all’esterno della propria vita qualche cosa, sia in bene che in male, che non corrispondente alla realtà (CXI, 3,4).

1218. Si è tenuti per la virtù della verità ad astenersi da ogni segno di parole o di atti che si presterebbe ad una falsa interpretazione, oppure a prevenire questa falsa interpretazione?

No; non vi saremmo tenuti se non nel caso che la falsa interpretazione fosse di natura tale da cagionare un male che dovremmo evitare (CXI, 1).

1219. Si può peccare di menzogna, di simulazione o di ipocrisia in più maniere da costituire peccati significativamente distinti?

Sì; si può peccare andando oltre quello che è, ed abbiamo il peccato di iattanza; restando al di sotto di ciò che è, dando a pensare di non avere quello che si ha quando si tratta di bene, ed abbiamo il peccato di indebito occultamento (CXII, CXIII).

L’APOCALISSE INTERPRETATA DAL BEATO B. HOLZHAUSER (XVIII)

L’APOCALISSE INTERPRETATA DAL BEATO B. HOLZHAUSER (XVIII)

INTERPRETAZIONE DELL’APOCALISSE Che comprende LA STORIA DELLE SETTE ETÁ DELLA CHIESA CATTOLICA.

DEL VENERABILE SERVO DI DIO BARTHÉLEMY HOLZHAUSER

RESTAURATORE DELLA DISCIPLINA ECCLESIASTICA IN GERMANIA, OPERA TRADOTTA DAL LATINO E CONTINUATA DAL CANONICO DE WUILLERET,

PARIS, LIBRAIRIE DE LOUIS VIVÈS, ÉDITEUR RUE CASSETTE, 23 – 1856

LIBRO SESTO.


SUI CAPITOLI XII, XIII, XIV, XV

Di alcune rivelazioni speciali e particolari fatte a San Giovanni riguardo ai regni di Mahometto e dell’Anticristo, e anche sulle ultime piaghe e sull’ultimo trionfo della Chiesa, così come su altri particolari che la riguardano.

OSSERVAZIONE PRELIMINARE.

Dopo che San Giovanni ebbe ricevuto la rivelazione generale dei principali eventi di tutto il corso della Chiesa, fino alla consumazione dei secoli, Dio gli fece conoscere in particolare alcuni misteri speciali, segreti e nascosti, e tanto terribili quanto sorprendenti, che avrebbe permesso di verificare nelle varie età della Chiesa militante. Questi misteri si riferiscono specialmente ai regni di Maometto e dell’Anticristo, e molte altre cose che sono contenute nei capitoli seguenti, sotto varie figure ed enigmi.

SEZIONE I.

SUI CAPITOLI XII E XIII.

DELLA GUERRA CHE IL DIAVOLO HA FATTO E FARÀ ANCORA ALLA CHIESA MEDIANTE COSROE, MAOMETTO E L’ANTICRISTO.

La guerra descritta nei capitoli seguenti è la più crudele, la più violenta, ostinata e lunga che lucifero, il principe delle tenebre, abbia mai intrapreso per distruggere la Chiesa di Dio, ove mai fosse possibile. Ma le porte degli inferi non prevarranno contro di essa. Questa lotta accanita cominciò con l’orribile tiranno Cosroe, il quale, vinto da Eraclio, suscitò al suo posto un mostro ancor più orribile nella persona di Maometto, che si impadronì del trono dei Persi, ed estese considerevolmente il suo impero. Il regno di questo nemico ereditario ed implacabile. Che fece versare flutti di sangue ai Cristiani, continua a durare; e benché considerevolmente affievolita nell’età di consolazione della Chiesa, per mano dell’atteso Monarca, ne resterà nondimeno una porzione rinserrata in limiti stretti, fino a che venga il figlio della perdizione. Questi, con trame oscure, giungerà al prono di questo impero che farà rivivere, e che restaurerà al punto da sottomettere quasi tutto al suo potere. Allora lucifero si servirà di quest’ultimo e più potente sovrano di questo reame per mettere il colmo al suo furore contro la Chiesa di Dio. La guerra descritta nei capitoli seguenti, è la più crudele, la più violenta, ostinata e lunga che lucifero, il principe delle tenebre, abbia mai intrapreso per distruggere la Chiesa di Dio, ove mai fosse possibile. Ma le porte degli inferi non prevarranno contro di essa. Questa lotta accanita cominciò con l’orribile tiranno Cosroe, il quale, vinto da Eraclio, suscitò al suo posto un mostro ancor più orribile nella persona di Maometto, che si impadronì del trono dei Persi, ed estese considerevolmente il suo impero. Il regno di questo nemico ereditario ed implacabile. Che fece versare flutti di sangue ai Cristiani, continua a durare; e benché considerevolmente affievolita nell’età di consolazione della Chiesa, per mano dell’atteso Monarca, ne resterà nondimeno una porzione rinserrata in limiti stretti, fino a che venga il figlio della perdizione. Questi, con trame oscure, giungerà al prono di questo impero che farà rivivere, e che restaurerà al punto da sottomettere quasi tutto al suo potere. Allora lucifero si servirà di quest’ultimo e più potente sovrano di questo reame per mettere il colmo al suo furore contro la Chiesa di Dio.

§ 1.

La guerra che il demonio suscitò per mezzo di Cosroe contro la Chiesa.

CAPITOLO XII – VERSETTI 1-18

Et signum magnum apparuit in caelo: mulier amicta sole, et luna sub pedibus ejus, et in capite ejus corona stellarum duodecim: et in utero habens, clamabat parturiens, et cruciabatur ut pariat. Et visum est aliud signum in cælo: et ecce draco magnus rufus habens capita septem, et cornua decem: et in capitibus ejus diademata septem, et cauda ejus trahebat tertiam partem stellarum cæli, et misit eas in terram: et draco stetit ante mulierem, quæ erat paritura, ut cum peperisset, filium ejus devoraret. Et peperit filium masculum, qui recturus erat omnes gentes in virga ferrea: et raptus est filius ejus ad Deum, et ad thronum ejus, et mulier fugit in solitudinem ubi habebat locum paratum a Deo, ut ibi pascant eam diebus mille ducentis sexaginta. Et factum est prælium magnum in cælo: Michael et angeli ejus praeliabantur cum dracone, et draco pugnabat, et angeli ejus: et non valuerunt, neque locus inventus est eorum amplius in cælo. Et projectus est draco ille magnus, serpens antiquus, qui vocatur diabolus, et Satanas, qui seducit universum orbem: et projectus est in terram, et angeli ejus cum illo missi sunt. Et audivi vocem magnam in caelo dicentem: Nunc facta est salus, et virtus, et regnum Dei nostri, et potestas Christi ejus: quia projectus est accusator fratrum nostrorum, qui accusabat illos ante conspectum Dei nostri die ac nocte. Et ipsi vicerunt eum propter sanguinem Agni, et propter verbum testimonii sui, et non dilexerunt animas suas usque ad mortem. Propterea lætamini cæli, et qui habitatis in eis. Væ terræ, et mari, quia descendit diabolus ad vos habens iram magnam, sciens quod modicum tempus habet. Et postquam vidit draco quod projectus esset in terram, persecutus est mulierem, quæ peperit masculum: et datæ sunt mulieri alæ duæ aquilæ magnæ ut volaret in desertum in locum suum, ubi alitur per tempus et tempora, et dimidium temporis a facie serpentis. Et misit serpens ex ore suo post mulierem, aquam tamquam flumen, ut eam faceret trahi a flumine. Et adjuvit terra mulierem, et aperuit terra os suum, et absorbuit flumen, quod misit draco de ore suo. Et iratus est draco in mulierem: et abiit facere prælium cum reliquis de semine ejus, qui custodiunt mandata Dei, et habent testimonium Jesu Christi. Et stetit supra arenam maris.

[E un grande segno fu veduto nel cielo: Una donna vestita di sole, e la luna sotto i suoi piedi, e sulla sua testa una corona di dodici stelle: ed essendo gravida, gridava pei dolori del parto, patendo travaglio nel partorire. E un altro segno fu veduto nel cielo: ed ecco un gran dragone rosso, che aveva sette teste e dieci corna, e sulle sue teste sette diademi, e la sua coda traeva la terza parte delle stelle del cielo, ed egli le precipitò in terra: e il dragone si pose davanti alla donna, che stava per partorire, affine di divorare il suo figliuolo, quando l’avesse dato alla luce. Ed ella partorì un figliuolo maschio, il quale ha da governare tutte le nazioni con scettro di ferro: e il figliuolo di lei fu rapito a Dio e al suo trono, e la donna fuggi alla solitudine, dove aveva un luogo preparatole da Dio, perché ivi la nutriscano per mille duecento sessanta giorni. E seguì in cielo una grande battaglia: Michele coi suoi Angeli combatterono contro il dragone, e il dragone e i suoi angeli combatterono: ma non vinsero, e il loro luogo non fu più trovato nel cielo. E fu precipitato quel gran dragone, quell’antico serpente, che si chiama diavolo e satana, il quale seduce tutto il mondo: e fu precipitato per terra, e con lui furono precipitati i suoi angeli. – E udii una gran voce nel cielo, che diceva: Adesso è compiuta la salute, e la potenza, e il regno del nostro Dio, e la potestà del suo Cristo: perché è stato scacciato l’accusatore dei nostri fratelli, il quale li accusava dinanzi al nostro Dio dì e notte. Ed essi lo vinsero in virtù del sangue dell’Agnello, e in virtù della parola della loro testimonianza e non amarono le loro anime sino alla morte. Per questo rallegratevi, o cieli, e voi che in essi abitate. Guai alla terra e al mare, perocché il diavolo discende a voi con grande ira, sapendo di avere poco tempo. E dopo che il dragone vide com’era stato precipitato sulla terra, perseguitò la donna che aveva partorito il maschio: ma furono date alla donna due ali di gramde aquila, perché volasse lungi dal serpente nel deserto al suo posto, dov’è nutrita per un tempo, per tempi e per la metà d’un tempo. E il serpente gettò dalla sua bocca, dietro alla donna dell’acqua come un fiume, affine di farla portar via dal fiume. Ma la terra diede soccorso alla donna, e la terra aprì la sua bocca, e assorbì il fiume che il dragone aveva gettato dalla sua bocca. E si adirò il dragone contro la donna: e andò a far guerra con quelli che restano della progenie di lei, i quali osservano i precetti di Dio e ritengono la confessione di Gesù Cristo. Ed egli si fermò sull’arena del mare.]

I. Vers. 1E apparve un grande segno nel cielo: una donna vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi, e sul suo capo una corona di dodici stelle.

Vers. 2Portava un figlio nel suo grembo, e gridava nel suo dolore e provava tutta l’angoscia del parto. Sotto il tipo della donna che è descritto qui, si intende la Chiesa di Cristo sulla terra. Il Profeta la rappresenta giustamente come una donna, poiché è la sposa di Gesù Cristo e nostra madre, in quanto ci rende figli di Dio mediante il Battesimo. E apparve un grande segno, cioè la Chiesa, che è davvero un grande segno visibile in tutti i tempi e su tutta la terra, ed è contro questo segno che il figlio della perdizione si alzerà in modo speciale, a causa del nome di Nostro Signore Gesù Cristo, che egli bestemmierà, e che pochi uomini oseranno confessare sotto il suo regno di una orribile tirannia. Si dice che questo grande segno sia apparso in cielo, perché la Chiesa prende la sua luce dal cielo, una luce che la rende visibile a tutto il mondo. E sebbene sia sulla terra esposta alla furia delle persecuzioni e costantemente agitata e battuta dalle onde della tempesta che questo mondo solleva contro di essa, continua tuttavia a rimanere sotto la protezione del Dio del cielo, che le comunica i raggi del suo sole, e che non permetterà mai contro di essa altri mali se non quelli che la sua santa volontà e quella del suo Cristo giudicheranno utili o necessari. Infatti, Dio non è mai così vicino ai suoi che protegge, come quando sono in mezzo ai più grandi pericoli e mali. Questa Chiesa è paragonata ad un donna vestita di sole, perché Nostro Signore Gesù Cristo, che è il Sole di Rettitudine, la illumina costantemente, la sostiene e la rafforza con la sua assistenza divina; la glorifica e la circonda. La glorifica e la circonda con la sua protezione onnipotente. – San Giovanni l’annuncia sotto la figura di una donna vestita di sole, perché alla fine dei tempi, nei giorni delle sue più grandi tribolazioni, la Chiesa sarà più particolarmente assistita da Gesù Cristo, che ispirerà e rafforzerà i suoi eletti, che sono davvero pochi, per non soccombere. Con la luna sotto i suoi piedi, cioè l’orbe terrestre, che cresce e decresce come la luna, secondo che i Cristiani che ne fanno parte diminuiscano o si moltiplichino nel corso dei secoli. La Chiesa è rappresentata come se avesse la luna sotto i suoi piedi, a causa del potere che Gesù Cristo le ha dato su tutto il mondo, anche se, secondo la volontà di Dio, e secondo come Egli comunica la sua luce alla terra, il numero di coloro che gli obbediscono aumenta o diminuisce, secondo le circostanze dei tempi. Si nota soprattutto che questa luna è sotto i piedi della Chiesa; tuttavia, negli ultimi giorni i suoi piedi sfioreranno appena la terra, e Gesù Cristo, il Sole di Rettitudine, e la Sua Chiesa, che riflette la sua luce, saranno eclissati dagli abitanti dell’orbe. Perché allora saranno pochi gli uomini che confesseranno il suo santo Nome. I governanti della terra e quasi tutti i popoli che si oppongono alla luce di questo sole, copriranno la superficie dell’orbe come tante locuste, come la sabbia del mare o come le foglie degli alberi; e saranno gettati nell’inferno dall’ira dell’Agnello. E sul suo capo una corona di dodici stelle. Queste dodici stelle significano tutti i Santi che si alzeranno contro il torrente degli empi e combatteranno per la Chiesa e per il suo Cristo, come fecero gli Apostoli e gli altri Santi durante i primi secoli delle grandi persecuzioni. È di tutti questi santi che Daniele (XII, 3), dice: « Ora coloro che sono stati sapienti brilleranno come le luci del firmamento; e coloro che hanno istruito molti nella via della giustizia brilleranno come stelle nell’eternità. » Così questi Santi che combatteranno per la Chiesa alla fine dei tempi saranno la sua corona ed il suo ornamento sulla terra, come le stelle sono l’ornamento del cielo. E sul suo capo una corona di dodici stelle. Essa portava un figlio nel suo grembo, e gridava nel suo dolore, e provava tutta l’angoscia del parto. Queste parole si riferiscono alla terribile angoscia, al profondo dolore e ai grandi pericoli in cui la Chiesa militante e l’Impero Romano (che è anche rappresentato qui, in un altro senso letterale, dalla donna), sono stati immersi e continueranno ad essere immersi di fronte al drago, alla bestia ed al falso messia. Infatti l’imperatore Foca, uno dei principi più empi, malvagi ed effeminati del mondo, inondò l’impero con i suoi crimini. In seguito Cosroe, re dei Persiani, un tiranno crudelissimo ed i barbari al suo fianco, causarono un tale caos nel paese che lasciarono la Chiesa e l’Impero Romano a malapena sussistere.  L’Egitto, la Palestina, la Libia e Gerusalemme furono invase, e 90.000 Cristiani furono massacrati in queste orribili circostanze, che continuarono fino all’avvento di Eraclio. Questo principe, salito sul trono dell’Impero, si impadronì dell’Armenia e sconfisse l’esercito di Cosroe, che mise in fuga con una vittoria memorabile. – Dopo di che trionfò sui Persiani, che sconfisse in tre grandi battaglie, ed infine riconquistò la vera croce di Gesù Cristo dagli infedeli e la restituì alla Chiesa Cattolica.  Ora queste sono le ansie, i dolori, le difficoltà e questi i pericoli della Chiesa, che San Giovanni descrive sotto l’enigma di una donna in preda alle doglie del parto. Infatti, le quattro circostanze principali di queste prove della Chiesa di Cristo trovano la loro verifica figurata nel parto di una donna. a). Essa portava nel grembo un bambino, cioè Eraclio suo figlio e futuro imperatore. b). E gridò nel suo dolore e nelle sue tribolazioni. c). E sentì tutta l’angoscia, cioè il pericolo pressante che la minacciava. d). Essa provava tutta l’angoscia del parto, desiderando con timore e sollecitudine di partorire finalmente, con l’aiuto della misericordia divina, un figlio pieno di forza e di vita, cioè un buon Imperatore che la liberasse. Questo è infatti ciò che le fu concesso, anche se più tardi questo Imperatore cadde nell’eresia, fu abbandonato da Dio e perì miseramente, come vedremo più avanti. – 2° La Chiesa e l’Impero Romano hanno continuato, più o meno fino ad oggi, ad essere immersi nel dolore, nel pericolo e nell’angoscia dall’impero di Maometto, cioè l’impero dei Turchi, che i Cristiani devono considerare come una bestia molto feroce che non cesserà, a causa del suo istinto diabolico, di perseguitare la Chiesa ad oltranza. – 3º Questo pericolo e questa angoscia diventeranno estremi nei giorni dell’Anticristo, che sarà l’ultimo rappresentante di questo potere infernale, ma anche il più temibile e terribile, perché il serpente antico lo ispirerà nel consumare la sua rabbia e la sua vendetta. – Così l’enigma della donna nei dolori del parto non si riferisce ad un’unica epoca, ma a varie circostanze in cui Dio le darà sempre figli maschi forti e robusti, cioè, imperatori, re e principi che la difenderanno e proteggeranno essa e il suo Impero Romano dall’essere divorato da questa bestia crudele. Anche se l’impero turco è presentato nella storia con alcune modifiche, forma però, in realtà e nel suo insieme, un’unica monarchia, da Cosroe all’Anticristo, perché i suoi governanti hanno un obiettivo comune, che è lo sterminio del Cristianesimo e dell’Impero Romano.

II. Vers. 3E apparve un altro segno nel cielo: un grande drago rosso, con sette teste e dieci corna, e sette diademi sulle sue teste.

III. Vers. 4E la sua coda trasse la terza parte delle stelle del cielo, e le fece cadere sulla terra….. E un altro segno apparve in cielo. Questo segno è rappresentato in cielo, perché il drago dell’abisso con tutti gli empi osa salire verso le cose celesti per distruggerle. Ma qualunque siano i loro sforzi, sono sempre respinti e contenuti dal potere divino, e possono nuocere solo per quanto Dio permette. Un grande drago rosso, dice il testo latino, et ecce, ed ecco; queste parole sono piene di forza e richiamano tutta la nostra attenzione sull’orribile e terribile mostro che il Profeta sta per descrivere. Ed ecco un grande drago rosso, cioè Lucifero, il principe di tutti i demoni e di tutti i tiranni, contro il quale San Giovanni è attento a metterci in guardia, dicendo: Questo grande drago, il vecchio serpente, chiamato diavolo e satana, che inganna tutto il mondo, fu gettato sulla terra, e i suoi angeli con lui. Questo dragone è chiamato grande, a causa dell’immenso potere che Dio gli ha permesso di esercitare contro i santi, contro la Chiesa e contro l’Impero Romano, particolarmente al tempo di Cosroe, di Maometto e soprattutto dell’anticristo, che sarà l’epilogo e il rappresentante di tutti i tiranni, di tutti gli scellerati, di tutti i sortilegi e di tutti gli impostori. Quando un serpente cresce fino a raggiungere proporzioni mostruose, viene chiamato dragone. Ora è questo che si verificherà soprattutto nel figlio della perdizione; infatti, questo serpente diventerà molto grande con le sue vittorie, con la sua potenza, con le sue mostruose imposture, con la moltitudine dei suoi falsi miracoli e con la varietà e la raffinatezza dei suoi stratagemmi. Questo drago apparve rosso a San Giovanni, cioè il colore del sangue di cui si è macchiato a partire da Abele e dai primi martiri, fino all’ultimo dei Cristiani che questo mostro immolerà, per gelosia della gloria di Dio e del santo Nome di Gesù. È di questo drago che San Giovanni ci dice, VIII, 44: « Era omicida fin dal principio », perché non perseverò nella verità, e perse il posto che Dio gli aveva dato. Questo dragone è anche rosso, a causa del fuoco infernale in cui è tormentato con i suoi nei secoli dei secoli. Egli è anche rosso, a causa della sua antica gelosia, della rabbia e dell’invidia, che gli danno un colore livido, tanto arde dal desiderio di nuocere agli uomini e alla Chiesa di Cristo, cercando continuamente di divorare i Cristiani, e di rovinare i loro pii disegni e le loro buone opere, come i serpenti rossi ed i rospi, che sono considerati velenosissimi, cercano di nuocere agli uomini. Infine, è rosso, perché è e sarà, verso la fine dei tempi, molto astuto e fine, come ci avverte Gesù Cristo in San Matteo (XXIV, 24), « … in modo da sedurre gli stessi eletti, se fosse possibile ». Questo dragone apparve a San Giovanni con sette teste e dieci corna, e sette diademi sulle sue teste. Queste sette teste significano tutti i re, o piuttosto tutti i tiranni che regneranno nella monarchia turca fino alla fine. E con le dieci corna si intendono tutti i regni che saranno soggetti al potere del dragone. Si dice che questo dragone avrà o possiederà queste teste e queste corna, perché governa questi re e questi regni, e li spinge alla tirannia contro i Cristiani. Egli combatte con essi ed in essi, ed attraverso di essi infuria contro Gesù Cristo e la sua Chiesa. Si dice anche che avrà sette diademi sulla testa, perché la dignità reale continuerà a sussistere nella monarchia turca fino al figlio della perdizione, perché questo regno non sarà totalmente distrutto. Le dieci corna sono anche dieci re più o meno potenti che, verso la fine dei tempi, quando l’Impero Romano sarà distrutto, si incoroneranno da se stessi; ognuno di essi vorrà avere il proprio regno; ma il figlio della perdizione li vincerà e li sottometterà alla sua dominazione. Ed è così che otterrà una grande potenza, perché userà questi re come sue corna, per combattere e distruggere tutte le cose, come un animale la cui forza è nelle sue corna. E la sua coda portò via la terza parte delle stelle del cielo e le fece cadere sulla terra. Con la coda, comprendiamo le conseguenze di questa monarchia diabolica che ha trascinato via, in effetti, e coinvolto la terza parte delle stelle del cielo, cioè la Chiesa greca, che a poco a poco si separò dalla Chiesa romana, dopo essersi macchiata da vari errori, in occasione della setta di Maometto e sotto il giogo della monarchia turca. Questa Chiesa greca è rappresentata dalle stelle del cielo, perché fiorì prima, e brillò come le stelle, con un gran numero di Santi e dottori; tanto che dobbiamo riconoscerci noi stessi che quasi tutte le luci, e specialmente le più grandi della Chiesa di Cristo, hanno brillato soprattutto nella Chiesa primitiva e nella Chiesa greca. E li fece cadere sulla terra, perché la Chiesa greca fu dispersa, e così rimarrà nel suo triste stato sotto il dominio dell’impero turco, fino al tempo del figlio della perdizione. È vero che nella sesta epoca, quando questo impero turco sarà stato confinato in limiti più ristretti, la Chiesa greca sarà di nuovo unita alla Chiesa latina. Ma siccome questo periodo sarà di breve durata, rispetto alla durata di questo regno, questa riconciliazione con la nostra santa madre Chiesa non può essere considerata come costante e duratura. Inoltre, questa Chiesa greca sarà quasi la prima fra tutte quelle che, alla fine dei tempi, aderiranno al figlio della perdizione e ai suoi falsi profeti, e si rivolterà contro la donna vestita di sole, cioè contro la vera Chiesa di Gesù Cristo. Essa si impegnerà allora, secondo la sua vecchia abitudine diabolica, a riprodurre i suoi errori sulla natura del Figlio e della processione dello Spirito Santo, e adorerà e farà adorare sulla terra un falso salvatore del mondo e il più criminale degli impostori, l’anticristo. Allo stesso modo, con la coda sono designati i falsi Cristiani e i falsi profeti, che, come la coda di un drago, saranno pieni del veleno della dottrina più pestilenziale, e aderiranno a satana in modo inseparabile, seguendolo ovunque egli andrà, ed agendo secondo la sua volontà ed il suo potere che possiederà con il permesso di Dio. Ed essi inganneranno molti uomini, secondo la profezia di Gesù Cristo, (Matth. XXIV, 24): « Perché sorgeranno falsi Cristi e falsi profeti, e mostreranno grandi segni e prodigi, in modo da ingannare, se fosse possibile, gli stessi eletti. »  Perciò è detto: E la sua coda trasse la terza parte delle stelle del cielo e le fece cadere sulla terra. Per stelle del cielo si intendono anche i dottori, i religiosi e gli ecclesiastici anche della Chiesa latina, i quali, in questi ultimi giorni, vedendo che tutto sarà capovolto e che Dio apparirà come addormentato, ed anche come impotente a reprimere gli empi ai quali permetterà tutto, si scandalizzeranno, e si lasceranno sedurre dai prodigi dei falsi profeti, e faranno defezione. Si abbandoneranno ai piaceri della carne, si sposeranno e immergeranno i loro cuori negli amori illeciti e nella concupiscenza delle donne. Perché allora il celibato e la santa virtù della castità saranno considerati uno scandalo ed un oggetto di derisione. Si vedranno rinascere i tempi di Noè, quando tutta la carne aveva corrotto le sue vie; e allora Dio distruggerà l’universo, non più con l’acqua, ma con il fuoco. E li fece cadere sulla terra, perché questi apostati, uniti nel cuore e nella mente ai falsi profeti, aderiranno alla loro falsa dottrina e si metteranno all’opera per turbare, in modo orribile, la Chiesa di Cristo. Essi commetteranno grandi scandali, inganneranno i popoli e le nazioni, e perseguiteranno i loro fratelli e i loro superiori che non vorranno camminare nella via delle loro abominazioni. Da questo l’avvertimento che Gesù Cristo ci dà in San Matteo, (XXIV, 9): « Allora vi consegneranno alla tribolazione, vi uccideranno e sarete odiati da tutte le nazioni a causa del mio nome. E molti si scandalizzeranno, e tradiranno e si odieranno l’un l’altro. E molti falsi profeti sorgeranno e sedurranno molti. E poiché l’iniquità abbonderà, l’amore di molti si raffredderà. Ma chi persevererà fino alla fine sarà salvato. »

III. Vers. 5. – E quel drago stava davanti alla donna che doveva partorire, per divorare suo figlio appena partorito. E partorì un figlio maschio, che avrebbe dovuto governare tutte le nazioni con uno scettro di ferro e suo figlio fu portato a Dio e al suo trono. Questo stazionamento, in presenza e davanti alla donna, denota una violenza eccessiva e molto pressante, e una tirannia continua e sostenuta contro la Chiesa di Cristo e il suo Impero Romano; violenza che satana esercitò per la prima volta nella persona di Cosroe, re dei Persiani, che è un tutt’uno con satana. Per questo è chiamato il dragone in seconda e come uno strumento, perché ne era la coda e non aveva che un solo scopo, quello di distruggere il Nome di Gesù Cristo e della sua Chiesa. Lo stesso vale, a maggior ragione, per Maometto, e di conseguenza per il suo impero tirannico che durerà 1260 anni, e che sarà rinnovato dall’anticristo, il figlio della perdizione. Poiché è ammesso, una volta per tutte, come certo, che questa guerra così crudele e così lunga del dragone fu intrapresa e iniziata da Cosroe, e fu poi continuata per molto tempo da Maometto e dal suo impero turco, e finirà con l’Anticristo, che commetterà più crimini durante i giorni della durata del suo regno che tutti quelli che i precedenti avranno prodotto in tanti anni. Questi giorni sono indicati da Daniele e da San Giovanni, come abbiamo detto sopra. Del resto, ne parleremo più a lungo nel seguito. Tutti devono quindi sapere che sotto l’enigma del dragone, del grande capo e direttore degli empi, e sotto gli enigmi delle bestie e delle corna, delle teste, delle acque e delle donne, tutti gli abomini di questa guerra sono descritti dal Santo, che se ne stupisce lui stesso, perché sono davvero grandi e veramente stupefacenti le tribolazioni che rovineranno più o meno la Chiesa, e nelle quali gli eletti saranno provati come dal fuoco. Ecco perché il dragone, Cosroe, Maometto, tutti i successori della sua setta nell’impero turco, e anche il figlio della perdizione che sarà il loro complemento, sono tutti nemici dichiarati del santo Nome di Gesù e della sua Chiesa, e costituiscono un solo corpo morale, che è la bestia o il dragone. E questo dragone si arrestò davanti alla donna che doveva partorire. Queste parole significano la grande angoscia e il pericolo di perire in cui si trovavano la Chiesa e l’Impero Romano al tempo dell’imperatore Foca, sotto il cui regno Cosroe occupava una parte molto grande di quell’Impero. Infatti egli devastò tutte le chiese, trattò i fedeli in modo disumano e li fece massacrare crudelmente, si impadronì della città di Gerusalemme, dove 90.000 Cristiani furono passati a fil di spada, e portò via la vera croce del Salvatore. E se la misericordia di Dio non avesse dato alla Chiesa un potente liberatore nel suo figlio Eraclio, quel crudele tiranno, che si era ingrandito con tante depredazioni, e con tanti regni di cui si era impadronito, avrebbe forse finito per divorare tutto, come un dragone in furia. E questo dragone si fermò davanti alla donna che doveva partorire, per divorare suo figlio appena partorito. Cosroe, infatti, diventato insolente per le sue vittorie, voleva assolutamente divorare e distruggere Eraclio, quando salì sul trono dell’Impero, che aveva appena subito attacchi così violenti. Infatti, Cosroe, gonfio delle sue vittorie e pieno di fiducia nell’estensione del suo potere e nel valore dei suoi eserciti, rifiutò di concludere un trattato di pace con Eraclio, anche nei termini più umilianti per quell’imperatore.

IV. Essa mise al mondo un figlio maschio che avrebbe governato tutte le nazioni con scettro di ferro. Questi era Eraclio, che fu elevato all’Impero, e che mostrò veramente un vigore maschile, fin dall’inizio del suo regno. Egli represse l’insolenza di Cosroe con vittorie folgoranti, fece a pezzi molti dei suoi più formidabili eserciti, occupò la Persia, ripiantò la santa croce sul monte Calvario, e infine si dimostrò veramente degno di regnare su tutte le nazioni. E forse Dio gli avrebbe concesso questo vantaggio, se non si fosse allontanato da lui sostenendo l’eresia dei Monoteliti. Così dunque, quanto il felice inizio del suo regno fu gradito a Dio e alla Chiesa, ed utile all’Impero, tanto egli stesso divenne miserabile e odioso in seguito. Che i re, i principi e gli uomini potenti del mondo imparino da questo esempio cosa possono fare con l’aiuto e l’amicizia di Dio, e come, al contrario, diventano impotenti e miserabili allontanandosi da Lui. Che doveva governare tutte le nazioni con uno scettro di ferro. Con questo scettro di ferro si intende un potere molto grande e forte, che Dio ebbe dato a Eraclio per sottomettere al suo dominio, e per contenere nell’obbedienza e nella servitù, le nazioni barbare, se non si fosse separato da Lui, e se non avesse corrotto le sue vie cadendo nell’eresia. Ecco perché San Giovanni si esprime in modo condizionale e non assoluto: Che doveva governare, etc. – E suo figlio fu portato a Dio e al suo trono. Queste parole esprimono la protezione di Dio verso Eraclio, e i suoi eterni consigli contro i suoi nemici; e anche le brillanti vittorie e l’elevazione di questo principe al trono dell’Impero. Questi sono, infatti, doni che vengono da Dio, e che Egli distribuisce a suo piacimento. Si leggano, volendo, le guerre, le vittorie e gli atti pii di questo Imperatore, quando ancora difendeva la causa di Dio, e quando combatteva così valorosamente per la croce del suo Cristo, e vedremo chiaramente il dito di Dio nell’incoronazione di questo Imperatore, e nel suo brillante trionfo sui nemici più potenti e formidabili, con mezzi umani molto deboli. Ma poiché abbandonò le vie della giustizia e della verità, egli stesso fu abbandonato da Dio, ed in seguito soffrì ogni tipo di disgrazie e di miserie. La sua defezione diede alla bestia l’ingresso in uno dei regni più potenti, stabili e lunghi della storia del mondo, che si estende da Maometto fino all’anticristo. – Cosroe, diventato insolente per le sue vittorie, voleva assolutamente divorare e distruggere Eraclio, quando salì sul trono dell’Impero, che aveva appena subito attacchi così violenti. In effetti Cosroe, gonfio delle sue vittorie e pieno di fiducia nell’estensione del suo potere e nel valore dei suoi eserciti, rifiutò di concludere un trattato di pace con Eraclio, anche nei termini più umilianti per quell’imperatore.

IV. Essa mise al mondo un figlio maschio che avrebbe governato tutte le nazioni con scettro di ferro. Questi era Eraclio, che fu elevato all’Impero, e che mostrò veramente un vigore maschile, fin dall’inizio del suo regno. Egli represse l’insolenza di Cosroe con vittorie folgoranti, fece a pezzi molti dei suoi più formidabili eserciti, occupò la Persia, ripiantò la santa croce sul monte Calvario, e infine si dimostrò veramente degno di regnare su tutte le nazioni. E forse Dio gli avrebbe concesso questo vantaggio, se non si fosse allontanato da lui sostenendo l’eresia dei Monoteliti. Così, dunque, quanto il felice inizio del suo regno fu gradito a Dio e alla Chiesa, ed utile all’Impero, tanto egli stesso divenne miserabile e odioso in seguito. Che i re, i principi e gli uomini potenti del mondo imparino da questo esempio cosa possono fare con l’aiuto e l’amicizia di Dio, e come, al contrario, diventano impotenti e miserabili allontanandosi da Lui. Che doveva governare tutte le nazioni con uno scettro di ferro. – Con questo scettro di ferro si intende un potere molto grande e forte, che Dio ebbe dato a Eraclio per sottomettere al suo dominio, e per contenere nell’obbedienza e nella servitù, le nazioni barbare, se non si fosse separato da Lui, e se non avesse corrotto le sue vie cadendo nell’eresia. Ecco perché San Giovanni si esprime in modo condizionale e non assoluto: Che doveva governare, etc. – E suo figlio fu portato a Dio e al suo trono. Queste parole esprimono la protezione di Dio verso Eraclio, e i suoi eterni consigli contro i suoi nemici; e anche le brillanti vittorie e l’elevazione di questo principe al trono dell’Impero. Questi sono, infatti, doni che vengono da Dio, e che Egli distribuisce a suo piacimento. Si leggano, volendo, le guerre, le vittorie e gli atti pii di questo Imperatore, quando ancora difendeva la causa di Dio, e quando combatteva così valorosamente per la croce del suo Cristo, e vedremo chiaramente il dito di Dio nell’incoronazione di questo Imperatore, e nel suo brillante trionfo sui nemici più potenti e formidabili, con mezzi umani molto deboli. Ma poiché abbandonò le vie della giustizia e della verità, egli stesso fu abbandonato da Dio, ed in seguito soffrì ogni tipo di disgrazie e di miserie. La sua defezione diede alla bestia l’ingresso in uno dei regni più potenti, stabili e lunghi della storia del mondo, che si estende da Maometto fino all’anticristo. V. Vers. 6E la donna fuggì nel deserto, dove aveva un rifugio che Dio aveva preparato per lei, per esservi nutrita milleduecentosessanta giorni. Quando Dio vide che il Cristianesimo e l’Impero d’Oriente non potevano resistere, e che la stessa fede cattolica cominciava ad essere oscurata dal fumo dell’orgoglio e ad essere macchiata dal fango dell’arroganza di cui gli stessi fedeli erano colpevoli verso la Santa Sede; e quando vide le tenebre delle eresie e degli scismi insinuarsi gradualmente nella Chiesa, Egli la trasportò con il suo Impero Romano in Germania, la cui porzione principale era ancora sepolta negli errori del paganesimo. Dio, quindi, volendo mostrare clemenza verso la razza germanica, mandò loro grandi Santi, dell’ordine sempre celebre di San Benedetto, che successivamente la convertirono alla fede cattolica. Citiamo qui alcuni di questi nomi apostolici: San Goar convertì gli abitanti di Treviri; San Ruperto con i suoi compagni convertì la Baviera; San Primino convertì la Sassonia occidentale; San Gisleno fu l’apostolo dell’Austria. Le isole britanniche hanno ricevettero la luce della fede da San Riccardo, abate, Sant’Agostino, San Bonifacio e molti altri santi dottori. San Wilfrido convertì i popoli della Frisia, e San Chiliano quelli della Franconia. È così che l’intera razza alemanna si è trovata al centro della felicità e della luce della fede del Cristo con questi santi Apostoli e molti altri che Dio mandò ad essa. La bestia rabbrividì di rabbia. La Germania, che prima era considerata una vasta solitudine o un deserto, fu così fecondata dalla dottrina di questi santi Apostoli, e annaffiata dal sangue di molti di loro che suggellarono, con il martirio, le verità che predicavano. Perciò l’Apostolo dice: E la donna fuggì nel deserto; cioè, Dio portò la sua Chiesa in Occidente, e specialmente in Germania, che sono metaforicamente designate come il deserto: 1° Perché un deserto non è abitato, e non c’è vita sociale. 2° Perché i deserti sono di solito il ritrovo di bestie feroci. Ora la Germania e l’Inghilterra, cioè le isole britanniche verso il nord e l’Occidente, erano come piene di bestie feroci, cioè, di sacerdoti degli idoli e di idolatri, che fremevano di rabbia alla voce del Vangelo. In seguito, poiché la fede e il vero Dio non avevano ancora abitato ed illuminato queste regioni, il Profeta le chiama un deserto, dove la donna aveva un ritiro che Dio aveva preparato per lei, cioè aveva preparato queste regioni dell’Occidente a ricevere la fede cattolica, e di conseguenza la Chiesa di Gesù Cristo, rappresentata metaforicamente dalla donna, come è stato detto sopra. In effetti, Dio predispose la Germania e le parti occidentali dell’Europa a ricevere la fede cattolica attraverso le luci della sua grazia che riversò nei cuori, e attraverso le luci esteriori e sensibili dei suoi Apostoli. Per essere nutrita lì milleduecentosessanta giorni. Queste parole designano la durata effettiva del rifugio della Chiesa di Gesù Cristo in Occidente. E questa durata sarà di milleduecentosessanta anni, perché qui i giorni contano come anni, come spesso accade nella Scrittura. L’inizio di questo periodo risale all’origine della monarchia turca, e anche all’inizio della conversione degli inglesi e delle nazioni occidentali. Proprio come nell’Antico Testamento il popolo d’Israele aveva un nemico ereditario nei Gentili; così il popolo cristiano e la Chiesa di Cristo avranno sempre come avversari la nazione turca e tutti i popoli barbari della setta di Maometto fino alla fine dei tempi. Questa bestia riceverà infatti un grande colpo ed una profonda ferita dal grande Monarca che gli toglierà l’impero di Costantinopoli con gran parte del suo territorio. Ma l’anticristo, che sarà l’ottavo corno della bestia, curerà la sua ferita, e rafforzerà addirittura questa bestia in modo così considerevole, che occuperà quasi tutti gli Stati, e arriverà addirittura ad un grado supremo di elevazione tra tutti gli altri regni. – Ho detto che occuperà quasi tutti gli Stati; anzi, l’anticristo che sorgerà sul trono della monarchia turca, nelle terre dove il grande Monarca lo avrà relegato, ristabilirà il suo impero e lo renderà più potente che mai. E la donna fugge nel deserto….. per essere nutrita, cioè per essere mantenuta e conservata. Perché questo è ciò che Dio ha concesso alla Chiesa d’Occidente nella sua paterna bontà, e ciò che le concederà fino alla fine dei tempi, di poter conservare la sua fede con la predicazione del Vangelo e con gli esempi dei suoi Santi. In ogni epoca e tempo, Dio ha sempre mandato operai nella sua vigna per coltivarla; e così ha impedito che questa vigna o Chiesa perisse, specialmente nel terribile uragano dell’eresia di Lutero.

VI. Vers. 7. – E ci fu una grande battaglia in cielo, ecc. San Giovanni descrive con le seguenti parole la guerra che sorse, quando San Michele e gli angeli custodi si impegnarono a stabilire la Chiesa d’Occidente, ed il dragone, con gli angeli cattivi, fece tutti i suoi sforzi per opporvisi e persino per distruggerla. E ci fu un grande combattimento nel cielo. San Michele e i suoi Angeli combatterono contro il dragone, e il dragone con i suoi angeli combatteva contro di lui. San Michele è il protettore della Chiesa militante, e i suoi Angeli sono i guardiani delle chiese, dei regni e di tutta la Cristianità. San Michele è il principe e il capo di quelle migliaia di Angeli che combattono, secondo la volontà di Dio, contro il potere delle tenebre, per proteggere e conservare la Chiesa, che è più o meno estesa su tutta la terra, secondo le circostanze dei tempi, e che è affidata alla cura di questo Arcangelo. Il dragone, invece, è lucifero, il serpente antico, il diavolo e satana. I suoi angeli sono gli altri spiriti malvagi e reprobi che egli invia su tutta la superficie della sfera per distruggere la Chiesa ed il Nome di Cristo. – Così, mentre i primi si sforzavano di diffondere la fede cristiana in Europa, i secondi facevano del loro meglio per contrastarla e distruggerla, sollecitando le anime delle nazioni convertite a far defezione, ed eccitandoli alla sedizione, alla guerra, alla tirannia, alla persecuzione e all’odio contro i sacerdoti e gli Apostoli di Cristo. Inoltre, essi suscitarono falsi fratelli, i figli di Belial, nel seno della Chiesa con le eresie, in modo che questi potessero causare confusione e problemi tra i nuovi Cristiani con lo scandalo, per renderli odiosi alle altre nazioni che erano ancora nelle tenebre, e per impedire loro di convertirsi. Ma nonostante tutti questi sforzi tentati dal dragone e dai suoi angeli ribelli, né le sedizioni, né le guerre, né le defezioni, né lo spargimento di sangue dei martiri, né tante altre difficoltà di ogni genere potettero impedire la conversione della Germania e delle nazioni occidentali, perché quest’opera santa era sotto la protezione speciale di Dio, che si mostrava sensibile alle preghiere e ai sacrifici di tutti i santi Apostoli della Germania e di tutta l’Europa. Di modo che la potenza, le lotte, le fatiche, l’industria dei santi Angeli e l’estrema vigilanza prevalsero, e ottennero da San Michele un pieno trionfo. Ecco perché è detto nel testo, parlando dei primi:

Vers. 8. – Ma questi furono i più deboli, e il loro posto non si trovò più in cielo, cioè nella Chiesa della Germania e dell’Occidente, per impedire la nascita della Chiesa o per distruggerla dopo. Perché la fede cattolica fu stabilita e diffusa in tutta Europa dalla potenza e dalla pietà di Carlo Magno, verso l’anno 800.

Vers. 9. – E quel dragone, l’antico serpente, chiamato diavolo e satana, che inganna tutto l’universo, fu gettato a terra, e i suoi angeli con lui; cioè, satana e tutta la sua schiera furono scacciati, dispersi, emarginati e messi in fuga da San Michele e dai suoi Angeli, come un re è solito respingere un nemico che ha osato entrare nel suo regno. E questo dragone, il serpente antico, chiamato il diavolo e satana, che inganna tutto l’universo, ecc. San Giovanni spiega qui alla lettera cosa si deve intendere con questa parola il dragone per l’estensione della sua potenza, la sottigliezza e la penetrazione della sua intelligenza e la sua eccessiva astuzia, di cui troviamo un’idea in Genesi III, 15: « Io porrò inimicizia tra te e la donna, e tra la tua progenie e la sua progenie; essa ti schiaccerà il capo e tu le insidierai il calcagno. » Ora, questo passaggio non è da intendersi solo della beata Vergine Maria, ma anche della Chiesa contro la quale le porte dell’inferno non prevarranno.

VII. Questo dimostra quanto sia importante che i Vescovi, i prelati, i parroci e gli altri pastori di anime veglino sul gregge loro affidato, poiché lucifero, con migliaia di demoni, lavora a tutte le ore e senza tregua per la rovina delle anime. E questi pastori hanno tanti mezzi per garantire il loro gregge, poiché possiedono nello Spirito Santo l’alta intelligenza di tutte le cose, e poiché sono costituiti da Dio per governare. Infine, da quanto detto sopra, risulta quanta ammirazione, ringraziamento e fiducia meriti Nostro Signore Gesù Cristo da parte degli uomini che, sebbene accecati dal peccato, sono tuttavia protetti in modo molto paterno, in mezzo a tanti pericoli e trappole, dai santi Angeli che di conseguenza dobbiamo ricompensare con un tenero amore invocandoli. È solo dopo aver abbandonato la nostra carne mortale che vedremo chiaramente gli orribili pericoli che avremo corso e che non avremmo potuto evitare senza la speciale protezione dei santi Angeli. Ma dobbiamo anche essere sempre vigili, per non permettere al diavolo di entrare nei nostri cuori. Ecco perché S. Pietro, che è la colonna fondamentale della Chiesa di Cristo, ci dice (I Petr V, 8): « Siate temperanti e vigilanti. Il vostro nemico, il diavolo, come leone ruggente va in giro, cercando chi divorare; resistetegli saldi nella fede. » E il grande dragone …. fu gettato a terra, e i suoi angeli con lui. Con la terra, San Giovanni designa qui l’Impero e la Chiesa d’Oriente, di cui si diceva che si era fermato davanti alla donna, al tempo di Cosroe. Infatti, essendo stato cacciato e respinto dalla Chiesa d’Occidente, gli fu permesso di continuare la sua furia con i suoi in Oriente, a causa della malvagità e i peccati di quelle nazioni, e per punire, tramite Maometto e la monarchia turca, l’orgoglio, l’avarizia, l’ambizione, le eresie e gli scismi della Chiesa greca, che era stata così a lungo ribelle ai Pontefici Romani, come vedremo in seguito.

VIII. Vers. 10E udii una gran voce nel cielo, che diceva: Ora è stabilita la salvezza del nostro Dio, e la sua potenza e il suo regno, e la potenza del suo Cristo. In queste parole seguono la gioia e la gratitudine della Chiesa trionfante per la conversione della Germania e delle contrade occidentali dell’Europa, perché è il carattere dei santi  gioire del bene e aborrire il male. E ho sentito una grande voce in cielo, dicendo, etc. Questa voce è la voce del vincitore, cioè di San Michele, che ritorna trionfalmente in cielo, dopo aver completato la sua spedizione bellica in qualità di generale in capo e protettore della Chiesa militante sulla terra. Ora la salvezza del nostro Dio è stabilita, e la sua potenza e il suo regno, e la potenza del suo Cristo. La salvezza viene da Dio, ed è concessa alle nazioni dalla loro conversione alla fede cattolica, senza la quale, dice San Paolo, è impossibile piacere a Dio ed ottenere la vita eterna. La potenza significa la grazia, le luci e i miracoli dello Spirito del Signore, che ha mandato operai santi e valorosi a queste nazioni, per farle uscire dalle tenebre e dall’ombra di morte in cui sedevano, e per condurle nella verità della fede e nell’ovile degli eletti. Il regno indica la sottomissione e l’obbedienza con cui queste nazioni cominciarono a servire Dio, il loro Creatore, e ad adorarlo, invece di servire gli idoli ed adorare i demoni, a cui erano stati miseramente sottoposti prima.La potenza di Cristo, infine, significa la giurisdizione acquisita dalla Chiesa militante su questi popoli e Nazioni. Questo potere è detto essere di Cristo, perché è stato Lui che l’ha acquisito per sé con il Suo prezioso sangue, per darlo poi alla Sua Chiesa sulla terra. Perché l’accusatore dei nostri fratelli, che li accusava giorno e notte davanti a Dio, è stato precipitato. – Vale a dire che il potere del dragone è stato proscritto e bandito dai cuori, così come l’idolatria, l’impostura e la falsità dalle quali queste Nazioni erano state precedentemente contaminate. Questo dragone è chiamato, dai Santi della Chiesa Trionfante, l’accusatore dei nostri fratelli, perché il suo innato orgoglio lo porta continuamente a rimproverare la fragilità umana e le imperfezioni della nostra natura corrotta davanti a Dio, come fece nei confronti di Giobbe (II). È così che satana, disprezzando l’estrema semplicità dei monaci che evangelizzavano la Germania, riteneva impossibile che Nazioni dotate di così grande prudenza umana, e popoli così barbari, bellicosi e potenti, si lasciassero distogliere dalla loro idolatria, per convertirsi alla voce di questi semplici monaci privi di ogni mezzo umano.

Vers. 11. – Ed essi lo hanno vinto per mezzo del sangue dell’Agnello e della testimonianza che hanno dato alla sua parola, e hanno disprezzato la loro vita fino alla morte. San Giovanni esprime qui la vittoria ed il trionfo che i servi e gli operai di Cristo, aiutati dalla sua grazia, hanno ottenuto su satana e i suoi angeli, portando gradualmente tutte le Nazioni alemanne e delle terre occidentali nell’ovile del buon Pastore. L’Apostolo attribuisce questa grande vittoria a tre cause principali, cioè: al sangue dell’Agnello, alla testimonianza che i martiri hanno dato alla sua parola, al disprezzo della vita fino a soffrire la morte. Perché è con il suo sangue adorabile che Cristo ha reso feconda la sua Chiesa. E fu con la predicazione del Vangelo che la fede si diffuse su tutta la terra. Il sangue dei martiri fu come un seme che moltiplicò i Cristiani; e questi divennero i tralci della vite del Signore. E hanno disprezzato la loro vita fino alla morte, cioè, si sono esposti per amore del santo Nome di Gesù e per la conversione delle anime, a tutti i disagi, le afflizioni, i pericoli della vita, e anche alla morte. (Vedere gli annali su questo argomento, dall’anno 600 all’anno 800).

Vers. 12. – Perciò rallegratevi, o cieli, e voi che abitate in essi. Queste parole esprimono la pace, la gioia, la felicità, la letizia e il riposo della Chiesa militante, così come le congratulazioni per la sua vittoria e il suo trionfo. È così che un re è solito congratularsi con la sua capitale e il suo regno, anche ordinando esultanze pubbliche, dopo aver seguito e disperso i nemici che si erano impadroniti di una parte dei suoi stati.

IX. Guai alla terra e al mare, perché il diavolo è sceso a voi con grande ira, sapendo che ha poco tempo. Queste parole annunciano una grande disgrazia per la Chiesa greca e per tutto l’Oriente. Questa disgrazia, infatti, si manifestò con molte tribolazioni e persecuzioni, e con una grande tirannia ed umiliante servitù da parte della setta di Maometto. Dio permise questi mali come punizione per l’indurimento della Chiesa greca e per i peccati delle Nazioni dell’Oriente. Il demonio è sceso a voi con grande ira. satana è il nemico implacabile e costante del genere umano, e se non riesce a fare del male agli uomini in nessuna parte del mondo, si arrabbia, si infuria e freme di rabbia. Ed è allora che si vendica fin dove Dio gli permette di farlo, e rovina e distrugge tutto. Ora, poiché satana aveva appena sperimentato una grande sconfitta, ed una vergognosa fuga nella Chiesa d’Occidente, disse nella sua rabbia: Matth. XII, 44: « Tornerò alla mia casa da dove sono uscito. » Sapendo che ha poche parole, mostra la nera invidia e l’inspiegabile ingratitudine del dragone contro il suo Creatore così buono, così amabile, così benefico, così misericordioso e così liberale, che creò lucifero dal nulla, e costituì lui e tutti i suoi angeli ribelli in grande potenza, saggezza e comprensione, e li dotò tutti di magnifiche qualità e brillanti prerogative. Nonostante questa generosità di Dio verso di loro, essi gli si sono ribellati contro; e ora il tempo sembrava loro troppo breve per soddisfare il loro desiderio sfrenato e la loro sete ardente di vendetta, sfogando la loro rabbia e la loro gelosia, e mostrando il loro orgoglio e la loro presunzione contro la bontà del loro Creatore e contro la razza umana la cui natura era unita al Verbo di Dio. Sapendo che ha poco tempo… Infatti, il tempo. In effetti, i tempi principali dell’Antico Testamento per perdere le anime, sono passati per lui; e nella legge della grazia è vincolato e limitato nel suo potere. E siccome il tempo per nuocere e per compiere la sua vendetta è molto breve in confronto all’eternità, in cui sarà incatenato con i suoi in orribili luoghi di tormento, il demone è pieno di grande rabbia, sapendo che ha poco tempo.

Vers. 13. – Ma il dragone, vedendosi gettato a terra, inseguì la donna che aveva dato alla luce un figlio maschio. Questo figlio maschio era l’imperatore Carlo Magno, che la Chiesa fece nascere e crescere nell’Impero Romano nell’anno 800 d. C. Fu il primo degli imperatori alemanni, e si dimostrò un ammirevole protettore della Chiesa latina e d’Occidente. Infatti, la difese, l’esaltò e propagò con tutte il suo potere. Per convincersene, si legga la storia del suo tempo. Ma il dragone, vedendosi gettato a terra, etc. Quando il dragone vide che non poteva impedire la conversione della Germania e delle Nazioni occidentali, perseguì la donna, cioè la Chiesa latina, suscitando nel suo seno turbolenze, sedizioni e partiti. È ciò che accadde sotto il Papa Leone III, che lo incoronò e lo dichiarò imperatore. Si dice anche che il dragone inseguì la donna, perché questo serpente è implacabile nella sua ira e gelosia contro il genere umano e contro la Chiesa di Cristo. E quando non riesce ad ostacolare la verità e la giustizia di Dio, non cessa di tentare e tormentare gli uomini, procurando loro ogni sorta di contrarietà e disgrazie. Questo è ciò che ogni Cristiano sperimenta fin troppo bene nelle sue crudeli e orribili tentazioni contro la fede, la purezza e le altre virtù. E l’autore di tutti questi mali è satana, che non può sopportare che noi viviamo piamente nel Signore.  Consoliamoci, dunque, se siamo messi alla prova da molte tentazioni, perché è un segno che siamo amici di Dio e che stiamo camminando nei sentieri della vita eterna.

Vers. 14. – E due ali di una grande aquila furono date alla donna, perché volasse nel deserto, nel luogo del suo ritiro, dove si è nutrita per un tempo, un tempo e mezzo, lontano dalla presenza del serpente. Questa grande aquila era Carlo Magno e tutti i suoi successori dell’Impero Romano; perché Carlo Magno portò quell’Impero in Occidente. Le due ali di quest’aquila sono tutti gli Stati di quel potere che fu così grande che si alzò come l’aquila nell’aria e dominava la terra d’Europa. Queste ali della grande aquila furono date alla donna, cioè alla Chiesa d’Occidente; e con queste ali questa Chiesa è sorta e continuerà a sostenersi per milleduecentosessanta anni, che sono un tempo, e tempi, e mezzo tempo. Perché mille anni è un tempo di dieci secoli, duecento anni è un tempo di due secoli, e sessanta anni sono circa mezzo tempo, o mezzo secolo, durante il quale la Chiesa d’Occidente continuerà ad esistere. Questi anni devono essere calcolati dall’inizio della setta di Maometto e dal momento in cui Dio ha trapiantato la sua Chiesa in Occidente. Così volò nel deserto, nel luogo del suo ritiro, dove si nutre per un tempo, e tempi, e mezzo tempo, lontano dalla presenza del serpente. Queste parole significano che la Chiesa di Cristo, che non è mai stata stabile in Oriente, prenderà il suo posto in Occidente, cioè nel deserto, e vi fisserà la sua dimora o sede, che manterrà per mille e duecento sessanta anni. E due ali di una grande aquila furono date alla donna, perché volasse nel deserto. Questo paragone è tratto dagli uccelli che vanno alla ricerca di foreste, alberi o altri luoghi adatti, che trovano soprattutto lungo le acque e in montagna, per viverci al sicuro dai cacciatori. È in questi luoghi di ritiro che amano fissare i loro nidi per deporre le uova e moltiplicarsi. E fu così che la Chiesa di Cristo, fuggendo dalla presenza del serpente in Oriente, volò a stabilire il suo ritiro in Occidente, dove si moltiplicò e generò milioni di fedeli per la vita eterna. Affinché volasse via nel deserto. Questo volo significa anche la libertà della Chiesa, una libertà che può essere paragonata agli uccelli che volano con le proprie ali. E così la Chiesa di Cristo godrà sempre della libertà di professare la fede cattolica, sotto le ali della grande aquila, cioè sotto il potere e la protezione dell’Impero Romano. Ed è con le ali di quest’aquila che essa volerà sempre, e continuerà a possedere il suo nido in Occidente, a moltiplicare lì la sua razza, secondo i disegni eterni della volontà divina. Perché tutti gli imperatori di questo Impero Romano saranno Cattolici fino all’ultimo. – Perché andasse nel deserto, cioè in Germania, il luogo del suo ritiro. Anche se le eresie e le defezioni hanno privato la Chiesa di una moltitudine di fedeli in Occidente, essa ha sempre conservato il suo luogo di ritiro che Dio le ha riservato, come si può vedere dalla storia delle Nazioni occidentali. Nel luogo del suo ritiro, lontano dalla presenza del serpente, perché verso la fine dei tempi, cioè sotto il regno dell’anticristo, la Chiesa avrà il suo luogo di ritiro in Occidente, e si nasconderà sulle montagne, nei luoghi aridi o deserti, e nelle fessure delle rocce. Ecco perché Gesù Cristo dice in San Matteo, XXIV, 16: « Allora quelli che sono in Giudea fuggano sui monti; e chi è in cima alla casa non scenda a prendere nulla dalla sua casa, e colui che è nei campi, non torni a prendere il suo vestito. »

Vers. 15. Allora il serpente gettò l’acqua come un fiume dietro alla donna per trascinarla in questo torrente. L’acqua che il serpente gettò dalla sua bocca come un fiume contro la donna è la grande tribolazione che lucifero suscitò contro la Chiesa latina con gli scismi che l’hanno divisa continuamente per 200 anni. L’acqua rappresenta i popoli e i loro numerosi eserciti che satana fece muovere dall’avarizia e dall’ambizione degli imperatori, per introdurre falsi papi e falsi vescovi nella Chiesa latina. Basta leggere le deplorevoli tragedie dell’undicesimo, dodicesimo e tredicesimo secolo, e si capirà cosa si intenda con le acque gettate contro la donna dal serpente. Si dice espressamente che il serpente gettò acqua come un fiume contro la donna, perché la tribolazione di questo scisma fu grandissimo e durò per lungo tempo. Come un fiume contiene molta acqua che scorre continuamente, così questi deplorevoli scismi della Chiesa latina dei secoli XI, XII e XIII, furono come un torrente di calamità, guerre e tribolazioni continue. Allora il serpente gettò acqua come un fiume contro la donna per trascinarla nel torrente, cioè per far sparire la fede di Gesù Cristo dalla Germania e dall’Occidente; ma Dio le venne in aiuto comprimendo sempre a tempo tutti questi scismi, finché alla fine furono completamente estinti. Ecco perché San Giovanni dice:

Vers. 16. – Ma la terra soccorse la donna, aprì il suo grembo e inghiottì il fiume che il dragone aveva fatto uscire dalla sua bocca. In effetti questi scismi non poterono mai prevalere, e quando questi scismatici combattevano contro la Chiesa e volevano costringerla con i loro eserciti ad accettare i loro vergognosi idoli, che introducevano ostinatamente nella sede pontificia e nelle sedi episcopali, queste armate perirono e i loro cadaveri furono inghiottiti e sepolti nel seno della terra. Fu con questo mezzo che la Chiesa recuperò il suo riposo e la sua stabilità; ed ecco perché:

Vers. 17 Il dragone si irritò contro la donna, cioè contro la Chiesa latina o d’Occidente, che è la più grande, la più estesa e la più popolosa. E il dragone era irritato con la donna, perché non riusciva mai a vincerla, per quanto provasse a nuocerle. Ed andò a combattere contro gli altri suoi figli che osservano i Comandamenti di Dio e che rendono testimonianza a Gesù Cristo. Gli altri figli di questa donna sono i Cristiani della Chiesa greca che sono sparsi in Oriente e che il drago, dopo la vergognosa sconfitta subita in Occidente, ha cominciato a perseguitare ad oltranza. Perciò è detto;

Vers. 18. – E si fermò sulla sabbia del mare. Queste parole ci mostrano questo dragone sulle rive del mare, immerso in una profonda meditazione dei mali che potrà immaginare per vendicarsi dei suoi nemici e per soddisfare la sua gelosia e la sua nera invidia. Questo è infatti ciò che ha fatto e ciò che continuerà a fare alla lettera, con la setta di Maometto, con la sua monarchia tirannica, e con gli scismi dei Greci.

L’APOCALISSE INTERPRETATA DAL BEATO B. HOLZHAUSER (XIX)

LA SUMMA PER TUTTI (12)

LA SUMMA PER TUTTI (12)

R. P. TOMMASO PÈGUES

LA SOMMA TEOLOGICA DI S. TOMMASO DI AQUINO IN FORMA DI CATECHISMO PER TUTTI I FEDELI

PARTE SECONDA

SEZIONE SECONDA

Idea particolareggiata del ritorno dell’uomo verso Dio.

Capo XVII

La giustizia: sua natura, – Il diritto: diritto naturale e positivo; privato e pubblico; nazionale ed internazionale; civile ed ecclesiastico, – Giustizia legale; giustizia particolare. – Vizio opposto.

1008. La virtù della giustizia che avete no minata, è la più importante fra le altre virtù dopo la virtù della prudenza ed in armonia con essa, come del resto debbono esserlo ancora tutte le altre virtù morali?

Sì; dopo la virtù della prudenza che occupa un posto a parte nell’ordine delle virtù morali, nessuna delle quali può esistere Senza di essa, la più importante fra tutte le altre

è la virtù della giustizia (LVII – CXXI).

1009. Che cosa intendete per virtù della giustizia?

Intendo quella virtù che ha per oggetto il giusto ed il diritto (LVII, 1).

1010. Che cosa volete dire dicendo che la giustizia ha per oggetto il diritto ed il giusto?

Voglio dire che essa ha per oggetto di far regnare tra gli uomini l’armonia dei rapporti, fondati sul rispetto dell’essere e dell’avere, che sono legittimamente propri di ciascuno (LVII, 1).

1011. E come si sa che l’essere e l’avere di ciascuno fra gli uomini è tale, e deve essere tale legittimamente?

Si sa da ciò che detta la ragione naturale di ogni uomo e da ciò che di comune accordo ha potuto determinare la ragione dei diversi uomini, o la ragione di coloro che hanno autorità di regolare i rapporti degli uomini stessi tra loro (LVII, 2-4).

1012. Come si chiama il diritto ed il giusto, fondato su ciò che detta la ragione naturale di ogni uomo? Si chiama diritto naturale (LVII, 2).

Si chiama diritto naturale.

1013. E come si chiama il diritto ed il giusto costituito da ciò che di comune accordo è stato determinato dalla ragione dei diversi uomini, o dalla ragione di coloro che hanno autorità per regolare i rapporti degli uomini tra loro?

Si chiama diritto positivo, che si divide in diritto privato e diritto pubblico, che alla sua volta può essere nazionale ed internazionale, secondoché si tratta di convenzioni private o di leggi del paese, o di leggi convenute e stabilite fra diverse nazioni (LVII, 2).

1014. Non si parla anche di diritto civile e di diritto ecclesiastico?

Sì; e questi diritti si distinguono secondoché si tratta di rapporti degli uomini tra loro, determinati dall’autorità civile o dall’autorità ecclesiastica.

1015. Il diritto che è oggetto della virtù della giustizia, riguarda soltanto i rapporti degli individui fra loro nella società, o riguarda anche i rapporti degli individui con la collettività?

Riguarda l’una e l’altra di queste due specie di rapporti (LVIII, 5-7).

1016. Come si chiama la virtù della giustizia che ha per oggetto il secondo diritto?

Si chiama giustizia legale (LVII, 5).

1017. E come si chiama la virtù della giustizia che riguarda il primo diritto?

Si chiama giustizia particolare (LVIII, 7).

1018. Vorreste dirmi ora, con una definizionemprecisa, che cosa è la virtù della giustizia?

La virtù della giustizia è quella perfezione della volontà dell’uomo, che lo porta a volere ed a procurare in tutto, spontaneamente, e senza mai desistere, il bene della società di cui fa parte su questa terra; e tutto ciò ancora a cui può aver diritto ciascuno degli esseri umani in rapporto con lui (LVII, 1).

1019. Come si chiama il vizio opposto a questa virtù?

Si chiama ingiustizia: ingiustizia che ora si oppone alla giustizia legale, non tenendo conto del bene comune che la giustizia legale richiede; ed ora alla giustizia particolare, attentando alla uguaglianza che la giustizia particolare ha per oggetto di mantenere tra i diversi uomini (LIX).

1020. In che cosa consiste propriamente questo ultimo peccato di ingiustizia?

Consiste nell’attentare scientemente e volontariamente al diritto altrui, vale a dire a ciò che la propria volontà ragionevole deve naturalmente volere, andando invece contro a questa volontà (LIX, 3).

Capo XVIII.

Atto della giustizia particolare: il giudizio.

1021. La virtù della giustizia ha un atto che le appartiene a titolo speciale, soprattutto come giustizia particolare?

Sì; è latto del giudizio che consiste precisamente nel determinare con esattezza e secondo equità ciò che conviene a ciascuno, sia che si faccia di ufficio nel rendere giustizia a parti in litigio, come conviene al giudice; sia anche che si faccia in ogni tempo e per tutti nell’apprezzare anche interamente l’essere l’avere di ciascuno conforme al diritto, in omaggio al diritto in se stesso (LX).

1022. Il giudizio, atto della virtù di giustizia, deve interpretare piuttosto in bene le cose dubbie?

Sì; quando si tratta del prossimo e dei suoi atti, giustizia vuole che mai ci si pronunzi sia internamente che esternamente, a modo di sentenza stabile e definitiva, in senso contrario, se rimane qualche dubbio a questo proposito (LX, 4).

1023. Quando, tuttavia, si dubita di cose che potrebbero nuocere a noi od agli altri, si può diffidare e mettersi in guardia?

Sì; la giustizia legale, la prudenza e la carità vogliono che se si tratta di un male da prevenire per noi o per gli altri, sappiamo difenderci o difendere gli altri, supponendo talora il male come possibile da parte di certi uomini, anche dietro semplici congetture e senza averne una certezza assoluta (LX, 4 ad 3).

1024. Vi sono però anche allora delle riserve da fare?

Sì: anche nel caso in cui può essere necessario di prendere le volute precauzioni, bisogna guardarci accuratamente, nel prenderle per sé o per gli altri, di concepire o di esprimere sulle persone un giudizio che sia loro sfavorevole (Ibid.).

1025. Potreste darmi un esempio?

Se per esempio io vedo un uomo dalla faccia sospetta, non ho il diritto di ritenerlo per un malfattore ed ancor meno di darlo come tale; ma se si aggira intorno alla mia casa o alla casa di miei amici, ho il diritto ed un po’ anche il dovere di vigilare, acciocché presso di me o presso di loro tutto sia perfettamente guardato e tenuto al sicuro.

Caro XIX.

Giustizia particolare; sue specie: giustizia distributiva; giustizia commutativa.

1026. La virtù della giustizia, considerata come giustizia particolare, comprende varie specie?

Sì; comprende due specie: la giustizia distributiva e la giustizia commutativa (LXI, 1).

1027. Che cosa intendete per giustizia distributiva?

Intendo quella specie di giustizia particolare che provvede al bene della equità nei rapporti degli uomini tra loro, considerati nell’ordine che ad essi dice come a sue parti la società che essi compongono (LXI, 1).

1028. E per giustizia commutativa che così intendete?

Intendo quella specie di giustizia particolare che provvede al bene della equità nei rapporti degli uomini tra loro, considerati da pari a pari in questa stessa società (UXI, 1).

1029. E se si considerassero gli uomini come parti ordinate al tutto nella società, quale sarebbe la giustizia che provvederebbe al bene della equità nei rapporti degli uomini di fronte al tutto?

Sarebbe la grande virtù della giustizia legale (LXI, 1 ad 4).

Capo XX.

Atto della giustizia commutativa: la restituzione.

1030. La giustizia commutativa ha un atto che le appartiene propriamente?

Sì; la restituzione (LXII, 1).

1031. Che cosa intendete per restituzione:

Intendo quell’atto per il quale si ristabilisce o si ricostituisce la eguaglianza esterna di un uomo ad un altro, nel caso che questa eguaglianza sia stata alterata per il fatto che uno dei due non ha ciò che gli appartiene (LXI, 1).

1032. Dunque la restituzione non implica sempre la riparazione di una ingiustizia?

No; perché essa è anche l’atto dell’uomo giusto che restituisce prontamente e con fedeltà scrupolosa ciò che appartiene ad altri, quando deve essere restituito.

1033. Potreste darmi in poche parole le regole essenziali della restituzione?

Sì, eccole quali le impone la equità naturale. Con la restituzione, ciò che ad alcuno manca o mancherebbe ingiustamente, gli è dato, o meglio gli è di nuovo reso. Ciò che deve essere restituito è la cosa stessa o il suo esatto equivalente,  niente di più e niente di meno, secondoché alcuno la possedeva già, sia in modo attuale che virtuale, anteriormente all’atto che ha modificato il possesso di quella cosa; con questa differenza che bisognerà tener conto di tutte le conseguenze che potranno essere derivate dall’atto stesso, continuando a modificare a pregiudizio del legittimo possessore la integrità di ciò che avrebbe posseduto senza la posizione di detto atto. La cosa deve essere restituita al suo possessore e non ad altri, a men che nella persona di altri si renda al primo. Colui che deve restituire è chiunque sia detentore della cosa, o chiunque si trovi essere stato causa responsabile dell’atto che ha alterata l’eguaglianza della giustizia. Nell’atto della restituzione non si deve apportare nessuna dilazione, escluso il solo caso di impossibilità (LXII, 2-8).

Capo XXI.

Vizi opposti alla giustizia distributiva: preferenza di persone. Alla giustizia commutativa: l’omicidio, la pena di morte, la mutilazione la verberazione, l’incarcerazione.

1034. Fra i vizi opposti alla virtù della giustizia, ve ne è qualcuno che si oppone al giustizia distributiva?

Sì; la preferenza delle persone (LXII]

1035. Che cosa intendete per preferenza persone?

Intendo il fatto di dare o rifiutare qualche cosa a qualcuno quando si tratta di bene, o di imporre qualche cosa a qualcuno se si tratta di cosa gravosa od onerosa nella società, considerando non ciò che può renderlo degno o meritevole di un tal trattamento, ma solamente perché egli è tale individuo o tale persona (LXIII, 1).

1036. Potreste dirmi quali sono i vizi Opposti alla virtù della giustizia, considerata come giustizia commutativa?

Tali vizi sono numerosi, e si dividono in due categorie (LXIV-LXX VII).

1037. Quali sono quelli della prima categoria?

Sono quelli che toccano il prossimo senza che la sua volontà vi abbia alcuna parte (LXIV-LXXVI).

1038. Qual è il primo di questi peccati?

È l’omicidio che tocca il prossimo per vie di fatto nel principale dei suoi beni, togliendogli la vita (LXIV).

1039. L’omicidio è un peccato grave?

L’omicidio è il più grave peccato contro il prossimo.

1040. Non è mai permesso attentare alla vita del prossimo?

Non è mai permesso attentare alla vita del prossimo.

1041. La vita dell’uomo è un bene che non è mai permesso di togliergli?

La vita dell’uomo è un bene che non è mai permesso di togliergli, salvoché non abbia meritato per qualche delitto di esserne privato (LXIV, 2, 6).

1042. E chi ha il diritto di togliere la vita a colui che per un delitto ha meritato di esserne privato?

La sola autorità pubblica nella società ha il diritto di togliere la vita a colui che per un delitto ha meritato di esserne privato (LXIV, art. 2).

108. Donde proviene questo diritto alla pubblica autorità?

Proviene dal dovere che ha di vegliare al bene comune nella società (LXIV, 2).

1044. Il bene comune della società fra gli uomini, può richiedere che qualcuno sia mandato a morte?

3 Sì; il bene comune della società fra gli uomini può richiedere che qualcuno sia mandato a morte: sia perché può non esservi altro mezzo pienamente efficace per frenare i delitti nel seno di una società; sia perché la coscienza pubblica può esigere questa giusta soddisfazione per certi delitti più particolarmente odiosi ed esecrandi (LXIV, 2).

1045 Soltanto per ragione di delitto un nomo può essere mandato a morte dall’autorità pubblica nella società?

Sì; soltanto per una ragione di delitto un uomo può essere mandato a morte dall’autorità pubblica nella società (LXIV, 6).

1046. Il bene o l’interesse pubblico non potrebbe qualche volta giustificare o legittimare la morte stessa di un innocente?

No; il bene o l’interesse pubblico non può mai giustificare o legittimare la morte di un innocente; perché il bene supremo nella società degli uomini è sempre il bene della virtù (LXIV, 6).

1047. Ed un privato che si difende o difende il proprio bene, non ha il diritto di uccidere colui che attenta a lui stesso od al suo bene?

No: un privato non ha mai il diritto di uccidere un altro che attenta a lui od al suo bene; salvo che si tratti della propria vita o della vita dei suoi, e che non vi sia assolutamente alcun altro mezzo di difenderla fuori di quello che cagiona la morte dell’assalitore. Bisogna però che anche allora quegli che si difende non abbia minimamente intenzione di uccidere l’altro, ma solamente di difendere la propria vita o quella dei suoi (LXIV, 7).

1048. Quali sono gli altri peccati contro il prossimo nella sua persona?

Sono la mutilazione che attenta alla sua integrità; la verberazione che ne turba la pace ed il benessere normale; e la incarcerazione che lo priva del libero uso della sua persona (LXV, 1-3).

1049. Quando sono peccati questi atti?

Tutte le volte che sono compiuti da chi non ha autorità sul paziente; oppure avendo autorità su di lui, non osserva la misura voluta nell’uso che ne fa (Ibid.).

Capo X.XII.

Del diritto di proprietà: doveri che porta seco. – Violazione di questo diritto: il furto e la rapina.

1050. Dopo i peccati che attentano al prossimo nella persona, qual è il più grave degli altri peccati che si commettono contro di lui per vie di fatto?

È il peccato che attenta ai suoi beni, ossia a ciò che possiede (LXVI).

1051. Un uomo ha diritto di possedere in proprio qualche cosa?

Sì: l’uomo può aver diritto di possedere qualche cosa in proprio e di amministrarlo come vuole, senza che gli altri abbiano ad intromettervisi contrariamente alla sua volontà (LXVI, art. 2).

1052. Donde proviene all’uomo questo diritto?

Gli deriva dalla sua stessa natura. Perché essendo un essere ragionevole e fatto per vivere in società, il suo stesso bene, il bene della sua famiglia ed il bene della società tutta intiera reclamano che questo diritto di proprietà esista fra gli uomini (LXVI, 1, 2).

1053. Come dimostrate che questi diversi beni reclamano la esistenza fra gli nomini del diritto di proprietà?

Si dimostra con questo, che la proprietà dei beni posseduti dall’uomo è una condizione di libertà per lui, come è per la famiglia il modo per eccellenza di costituirsi perfetta e di conservarsi attraverso i tempi nel seno della società. Nella società stessa la proprietà fa sì che le cose siano amministrate con maggior cura, in maniera più ordinata, con meno contrasti e meno controversie (LXVI, 2).

1054. Vi sono però dei doveri uniti al diritto di proprietà?

Sì; al diritto di proprietà sono uniti gravissimi doveri,

1055. Potreste dirmi quali sono i doveri inerenti al diritto di proprietà?

Sì; eccoli in poche parole: Vi è anzitutto il dovere di far fruttificare e migliorare i beni che si posseggono. Poi, nella misura che i beni si accresceranno nelle mani dei possessori, quando questi vi abbiano una volta prelevato ciò che fa loro personalmente bisogno per se stessi e per la loro casa, non è più loro permesso di considerarli come beni propri, escludendo dalla loro partecipazione la società degli uomini in mezzo ai quali essi vivono. È per essi un dovere di giustizia sociale di ripartire il meglio possibile il superfluo dei loro beni, o di facilitare intorno ad essi il lavoro degli altri, affinché le necessità dei privati siano sollevate ed il bene pubblico ne sia accresciuto. La ragione del bene pubblico autorizzerà lo Stato a prelevare sui beni dei privati tutto quello che giudicherà necessario od utile al bene della società. In questo caso i privati sono tenuti a conformarsi alle leggi emanate dallo Stato; ciò è per essi un obbligo di stretta giustizia. La ragione del bene dei privati o delle loro necessità non obbliga con lo stesso rigore riguardo alla sua determinazione. Non esiste a questo proposito una legge che obblighi sotto forma di legge positiva umana, determinando la possibilità di coazione per via giudiziaria. Ma la legge naturale conserva tutto il suo rigore; è un andare direttamente contro di essa in ciò che ha di più imprescrittibile, cioè nell’obbligo di volere il bene dei propri simili, a disinteressarsi dei loro bisogni quando si possiede il superfluo. Tale obbligo già rigoroso in forza della sola legge naturale, riveste un carattere del tutto sacro in forza della legge divino-positiva, soprattutto della legge evangelica. Dio stesso è intervenuto personalmente per corroborare e rendere più urgente, con le sanzioni di cui la avvalora, la prescrizione già da Lui scolpita nel fondo del cuore umano (LXVI, art. 2-7; XXXI, 5, 6).

1056. Se tali sono i doveri di coloro che posseggono verso gli altri uomini, quali sono i doveri di questi ultimi verso i primi?

I doveri degli altri uomini verso coloro che posseggono sono di rispettare i loro beni, e di non manometterli mai contrariamente alla loro volontà (LXVI, 5, 8).

1057. Come si chiama l’atto di manomissione dei beni di coloro che posseggono, contrariamente alla loro volontà?

Si chiama furto o rapina (LXVI, 3, 4).

1058. Che cosa intendete per furto?

Intendo il fatto di impadronirsi occultamente di un bene altrui (LXVI, 3).

1059. E per rapina che cosa intendete?

Intendo quell’atto che in luogo di procedere all’insaputa di colui che viene derubato, come nel furto, lo assale invece di fronte, togliendogli visibilmente e violentemente il bene che gli appartiene (LXVI, 4).

1060. Qual è il più grave di questi due atti?

La rapina è cosa più grave del furto; ma anche il furto, come la rapina, costituisce sempre di per sé peccato mortale; salvo che la cosa rubata non ne valga la pena (LXVI, 9).

1061. Bisogna astenersi quanto più è possi bile fra gli uomini, da tutto ciò che anche lontanissimamente avesse apparenza di furto?

Sì: è cosa sommamente importante per il bene della società, che gli uomini si astengano quanto più è possibile da tutto ciò che anche lontanissimamente avesse apparenza di furto in mezzo ad essi.

Caro XXIII.

Peccati contro la giustizia per mezzo di parole: nell’atto del giudizio: da parte del giudice; da parte dell’accusa; da parte dell’accusato; da parte del testimone; da parte dell’avvocato.

1062. Oltre ai peccati che si commettono contro la giustizia rispetto al prossimo per mezzo di atti, ve ne sono altri che si commettono rispetto a lui con parole?

Sì; e si dividono in due categorie: quelli che si commettono nell’atto solenne del giudizio, ossia in tribunale; e quelli che si commettono nell’ordinario della vita (LXVII-LXXVI).

1062. Qual è il primo peccato che si può commettere nell’atto solenne del giudizio?

È il peccato del giudice che non giudica secondo la giustizia (LXVII).

1064. E che cosa si richiede da parte del giudice perché giudichi secondo la giustizia?

Si richiede che egli consideri se stesso come una specie di giustizia vivente, che ha per ufficio nella società di rendere a ciascuno che ricorra alla sua autorità il diritto leso, nel nome stesso della società che rappresenta (LXVII, 1).

1065. Che cosa consegue da ciò per il giudice nell’adempimento del suo ufficio?

Ne consegue che un giudice non può giudicare se non coloro che sono di sua giurisdizione: e che nel libello della sentenza non può basarsi che sui dati del processo quali le parti espongono e stabiliscono giuridicamente davanti a lui: non potendo altrimenti intervenire se una delle parti non muove querela e domanda giustizia. Ma in questo caso deve sempre rendere integralmente questa giustizia, senza falsa misericordia verso il colpevole, qualunque sia la pena che debba pronunziare contro di lui, nel nome del diritto stabilito da Dio o dagli nomini (LXVII, 2-4).

1066. Qual è il secondo peccato contro la giustizia nell’atto solenne del giudizio, o in riferimento ad esso?

È il peccato di coloro che mancano al dovere di accusare, oppure accusano ingiustamente (LXVIII).

1067. Che cose intendete per dovere di accusare?

Intendo il dovere che incombe ad ogni uomo, che vivendo in una società e trovandosi

dinanzi ad un male che funesta questa stessa società, è obbligato a deferire al giudice l’autore di questo male perché ne sia fatta giustizia. Egli non è dispensato da tale obbligo, se non trovandosi nella impossibilità di stabilire giuridicamente la verità del fatto (LXVILI, 1).

1068. Quando è ingiusta l’accusa?

L’accusa è ingiusta quando la pura malizia fa imputare ad alcuno delitti falsi; Oppure se una volta impegnata non si prosegue come la giustizia richiede: sia che si tratti fraudolentemente con la parte avversaria, sia che senza motivo si desista dall’accusa (LXVII, art. 3).

1069. Quel è il terzo peccato contro la giustizia nell’atto del giudizio?

È il peccato dell’accusato che non si conforma alle regole del diritto.

1070. Quali sono le regole del diritto alle quali deve conformarsi l’accusato, sotto pena di peccato contro la giustizia?

Deve dire la verità al giudice, quando questi lo interroga in virtù della sua autorità; e non può mai difendersi usando modi fraudolenti (LXIX, 1, 2).

1071. Può un accusato, in caso di condanna, declinare il giudizio appellandosene?

Dal momento che un accusato non può difendersi in modo fraudolento non ha diritto di fare appello contro un giudizio giusto al solo scopo di ritardarne la esecuzione. Non può appellare se non trattandosi di ingiustizia manifesta; e bisognerà pure che usi del suo diritto nei limiti stabiliti dalla legge (LXIX, 3).

1072. Un condannato a morte ha diritto di resistere alla sentenza che condanna?

Un condannato a morte ingiustamente può resistere anche con la violenza, con la sola eccezione che si debba evitare lo scandalo. Ma se è stato condannato giustamente, deve subire il supplizio senza resistenza di sorta; potrebbe tuttavia fuggire se ne avesse il mezzo, perché nessuno è tenuto a cooperare al proprio supplizio (LXIX, 4).

1073. Qual è il quarto peccato che si può commettere contro la giustizia nell’atto del giudizio?

Si il peccato del testimone che manca al suo dovere (LXX).

1074. Come può mancare al proprio dovere un testimone nell’atto del giudizio?

Un testimone può mancare al proprio dovere nell’atto del giudizio, sia rifiutandosi di testimoniare quando è richiesto dall’autorità del superiore a cui è tenuto ad obbedire nelle cose appartenenti alla giustizia, oppure quando la sua testimonianza può impedire un danno ad alcuno; sia, con più forte ragione, facendo una falsa testimonianza (LXX, 1, 4).

1075. La falsa testimonianza resa in giudizio è sempre un peccato mortale?

La falsa testimonianza resa in giudizio è sempre un peccato mortale, se non sempre per la menzogna che qualche volta può essere veniale, sempre almeno per lo spergiuro ed anche per la ingiustizia, se va contro ad una causa giusta (LXX, 4).

1076. Qual è l’ultimo peccato che si può commettere

contro la giustizia nell’atto del giudizio?

È quello dell’avvocato che rifiuta il suo patrocinio in una causa giusta che non può essere difesa se non da lui, oppure che difende una causa ingiusta specialmente nell’ordine delle cause civili, o che esige una ingiusta retribuzione per il suo patrocinio (LXXI, :1, 3, 4):

Caoo XXIV.

Peccati di parole nell’ordinario della vita: l’ingiuria, la detrazione (maldicenza e calunnia), la sussurrazione, la derisione, l’imprecazione.

1077. Potreste dirmi quali sono i peccati di ingiustizia che si commettono contro il prossimo con le parole nell’ordinario della vita?

Sono la ingiuria, la detrazione, la sussurrazione, la derisione e la imprecazione (LXXII-LXXVI).

1078. Che cosa intendete per ingiuria?

L’ingiuria o insulto od oltraggio, detta anche rimprovero, biasimo e rabbuffo, prendendo queste ultime tre cose nel senso di un intervento indebito o ingiustamente offensivo; indica un intervento oltraggioso per il quale si offende nel suo onore e nel dovuto rispetto un individuo preso di mira, con i gesti che si fanno o con le parole che si dicono (LXXII, 1).

1079. È un peccato mortale questo?

Sì; quando si fanno dei gesti o si proferiscono parole di natura tale da: attentare gravemente all’onore di chi ne è l’oggetto, con la formale intenzione di attentare realmente a questo onore. La colpa non sarà leggera se non nel caso in cui di fatto l’onore del soggetto non ne sia seriamente menomato, oppure non vi sia la intenzione di attentarvi in maniera grave (LXXII, 2

1080. Esiste per ogni nomo uno stretto dovere nell’ordine della giustizia, di trattare gli altri, chiunque essi siano, con la riverenza ed il rispetto loro dovuti?

Sì; è questo per ogni uomo uno stretto dovere nell’ordine della giustizia, ed è della più grande importanza per la buona armonia delle relazioni che gli nomini devono avere tra loro (LXXII, 1-3).

1081. Su: che cosa si basa questo dovere, e quale è la sua importanza?

Si basa sul fatto che l’onore è uno dei beni ai quali gli uomini tengono di più. Anche il più meschino di loro, in quanto lo comporta la sua condizione; vuole e deve essere trattato con rispetto. Mancargli di riguardo con gesti o con parole è un offenderlo in ciò che ha di più caro (Ibid.).

1082. Bisogna dunque evitare con la più grande cura di dire o fare alcunché in presenza di qualcuno, che sia di natura tale da contristarlo o umiliarlo, oppure da essergli di fastidio in qualunque maniera sia?

Sì: bisogna evitare ciò con la più grande cura (Ibid.).

1083. Non è mai permesso agire diversamente?

Non è mai permesso Se non trattandosi di un superiore riguardo ad un inferiore, al solo fine di correggerlo quando veramente lo merita, ed a condizione di non farlo mai sotto l’impeto della passione e in modo eccessivo ed indiscreto (LXXJI, 2 ad 2).

1084. Ed a riguardo di quelli che mancano essi stessi di rispetto che cosa bisogna fare?

A riguardo di coloro che si rendessero colpevoli del peccato di ingiuria contro di noi, o di coloro il cui onore possa esserci affidato sia direttamente che indirettamente, la carità ed anche la giustizia possono richiederci di non lasciare impunita la loro audacia. Ma in questo caso bisogna osservare nella repressione tutte le forme che l’ordine del diritto richiede, e guardarci premurosamente di non fare noi stessi alcun torto (LXXII, 3).

1085 Che cosa si deve intendere per detrazione?

La detrazione, nel suo senso formale e preciso, implica la intenzione di attentare con parole alla reputazione del prossimo o di togliergli in tutto od in parte la stima di cui gode presso gli altri, quando non è alcuna giusta ragione di farlo (LXXIII, 1).

1086. È un peccato molto grave questo?

Sì; perché è un togliere ingiustamente al prossimo un bene più prezioso delle ricchezze   che gli si tolgono col furto (LXXIII, 2, 3).

1087 . In quante maniere si commette il peccato di detrazione?

Si commette direttamente in quattro maniere: imputando al prossimo cose false; esagerando ciò che può esservi in lui di difettoso; manifestando cose ignorate ed a lui sfarorevoli; attribuendogli intenzioni dubbie se non anche malvagie, che snaturano ciò che opera di bene (LXXII, 1 ad 3).

1088. Non si può nuocere al prossimo anche in altra maniera nel peccato di detrazione?

Sì; in maniera indiretta, negando il suo bene, tacendolo maliziosamente ed attenuandolo (LXXIII, 1 ad 3)

1089. Che cosa intendete per peccato di sussurrazione?

Intendo quel peccato che consiste nell’attentare al bene degli amici, proponendosi direttamente con parole equivoche e sleali di seminare la discordia tra coloro che sono uniti in una mutua confidenza dai legami dell’amicizia (LXXIV, 1).

1090 È molto grave questo peccato?

Di tutti i peccati di parole contro il prossimo questo è il più odioso, il più grave ed il più degno di riprovazione davanti a Dio e davanti agli uomini (LXXIV, 2).

1091. Che cosa si deve intendere per derisione?

La derisione o motteggio ingiurioso è un peccato di parola contro la giustizia, consistente nello schernire il prossimo rinfacciandogli qualità malvagie o difettose che lo inducano a perdere la confidenza in se stesso, nei suoi rapporti con gli altri (LXXV, 1).

1092.  È un peccato molto grave?

Certissimamente; perché implica un disprezzo di persone, che è disprezzo di persone, che è una delle cose più detestabili e più meritevoli di riprovazione (LXXV, 2).

1093. L’ironia verso gli altri è sempre derisione con la gravità che si è detto?

L’ironia può essere cosa leggera se si tratta di difetti leggeri e di leggeri mancamenti che si scherniscono per riderne, senza che lo scherno implichi disprezzo alcuno per le persone. Può anche non esservi nessun peccato, quando la cosa avviene per modo di innocente ricreazione e non si corre alcun rischio di mortificare chi ne è l’oggetto. Tuttavia si tratta di un modo delicatissimo di ricreazione, di cui non si deve usare che con somma prudenza (LXXV, 1 ad 1).

1094. L’ironia può essere qualche volta un atto di virtù?

Si; se è adoperata come si conviene e per modo di correzione da parte di un superiore verso un inferiore, oppure anche da uguale ad uguale per modo di caritatevole correzione fraterna.

1095. Che cosa richiede in simili casi l’uso dell’ironia?

Richiede sempre grandissima discrezione. Perché se può essere cosa buona che coloro i quali sono portati ad avere troppa confidenza in se stessi, siano ricondotti ad un più giusto sentimento del proprio valore, bisogna guardarsi bene di sopprimere tale confidenza in ciò che può avere di legittimo; senza di che ci si esporrebbe a Paralizzare ogni slancio ed ogni spontaneità, annientando oppure avvilendo con la eccessiva diffidenza che gli si ispira di se stesso, il soggetto della ironia, che ne diviene la vittima.

1096. In quali rapporti si trovano col vizio della imprecazione i quattro vizi della ingiuria, della detrazione, della sussurrazione e della derisione?

Tutti questi convengono nell’attentare con parole al bene del prossimo; ma mentre gli altri lo fanno per modo di proposizione o di male che si enuncia e di bene che si nega, la imprecazione lo fa per modo di male che si augura (LXXVI, 1, 4).

1097. È cosa essenzialmente cattiva questa?

Sì; è cosa essenzialmente cattiva ogni volta che si augura ad alcuno il male per il male; e di per sé un tale atto è sempre colpa grave (LXXVI, 3).

Capo XXV.

Peccati coi quali si inganna il prossimo e si abusa di lui: la frode e l’usura.

1098. Qual è l’ultima specie di peccati che si commettono contro la giustizia commutativa?

Sono i peccati con cui indebitamente si attira il prossimo consentire a cose di suo pregiudizio (LXXVII, Prologo).

1099. Come si chiamano questi peccati?

Si chiamano frode ed usura (LXXVII, LXXVIII).

1100. Che cosa intendete per frode?

Intendo quell’atto di ingiustizia che si commette nei contratti di compra o di vendita, per il quale ingannando il prossimo lo si induce a volere ciò che è un danno per lui (LXXVII).

1101. In quanti modi può avvenire il peccato di frode?

Questo peccato si può commettere in ragione del prezzo, inquantoché si compra una cosa per meno di quello che vale o si vende per più del suo valore; in ragione della cosa venduta, inquantoché essa non è ciò che sembrava, lo sappia o lo ignori il venditore; in ragione del venditore stesso che tace un difetto che conosce; ed in ragione del fine che

è la ricerca del guadagno (LXXVII, 1-4).

1102. Non si può mai, sapendolo, comprare una cosa a meno di quello che vale, o venderla per più del suo valore?

No; perché il prezzo della cosa che si vende o si compra deve sempre, nei contratti di compra o di vendita, corrispondere al giusto valore della cosa stessa; domandare di più o dare di meno sapendolo, è di per sé cosa essenzialmente ingiusta e che obbliga alla restituzione (LXXVII, 1).

1103. È contro la giustizia vendere una cosa per quello che non è, o comprarla diversa da quella che si crede?

Sì: vendere o comprare una cosa diversa da quella che sembrava, si tratti della sua specie, della sua quantità o della sua qualità, è contrario alla giustizia; ed è peccato e vi è obbligo di restituzione se si fa scientemente. Molto più tale obbligo di restituzione esiste, anche quando non vi è stato peccato, dal momento che ci si accorge di ciò che è veramente la cosa comprata o venduta (LXXVII. art. 2).

1104. Il venditore è sempre obbligato a manifestare i difetti della cosa che vende, in quanto li conosce?

Sì: il venditore è sempre tenuto a manifestare i difetti della cosa che vende, quando tali difetti da lui conosciuti sono occulti e possono essere per il compratore una causa di pericolo o di danno (LXXVII, 3).

1105. È permesso dedicarsi a compre e vendite sotto forma di negozio, soltanto a scopo di guadagno?

Il negozio per il negozio ha qualche cosa di ignobile e di contrario alla onestà della virtù; perché in quanto è da esso favorisce la sete del lucro che non conosce limiti, ma tende ad acquistare senza fine (LXXVII, 4).

1106. Che cosa ci vorrà dunque perché la mercatura divenga cosa permessa ed onesta?

Bisogna che il guadagno non sia inteso per se stesso, ma per un fine onesto. Così avviene quando il guadagno moderato che si cerca nella mercatura è diretto a sostenere la propria famiglia o ad aiutare gli indigenti; oppure si attende alla mercatura per una ragione di utilità pubblica affinché le cose necessarie alla vita non vengano a mancare alla propria patria o fra gli uomini, e si cerca il guadagno non come fine, ma come prezzo del proprio lavoro (LXXVII, 4).

1107. Che cosa intendete per peccato di usura?

Intendo quell’atto di ingiustizia consistente nell’abusare del bisogno in cui uno si trova, e nel prestargli del denaro, od altra cosa computabile a prezzo di denaro, ma che non ha altro uso che il consumo ordinato alle necessità del momento, obbligandolo a restituire questo denaro e questa cosa a data fissa con un soprappiù, a titolo di usura o prezzo dell’uso (LXXVII, 1, 2, 83).

1108. L’usura è la stessa cosa che il prestito ad interesse?

No; perché se ogni usura è un prestito ad interesse, ogni prestito ad interesse non è usura.

1109. In che cosa si distingue il prestito ad interesse dall’usura?

Il prestito ad interesse si distingue dall’’usura in questo, che vi si considera il denaro come capace di essere fruttifero, in ragione delle circostanze sociali ed economiche in cui oggigiorno vivono gli uomini.

1110. Che cosa occorre perché il prestito ad interesse sia permesso e non rischi di degenerare in usura?

Occorrono due cose: 1° che il tasso dell’interesse non superi il tasso legale o il tasso stabilito da una consuetudine ragionevole; 2° che i ricchi che abbondano del superfluo sappiano non mostrarsi esigenti verso i poveri che prendono in prestito non per fare un commercio di denaro, ma per il solo consumo e per far fronte alle necessità della vita.

Capo XXVI.

Degli elementi della virtù di giustizia: fare il bene ed evitare il male. – Vizi opposti: l’omissione e la trasgressione.

1111. Quando si tratta della virtù della giustizia, oltre alle sue diverse specie possiamo considerare ancora certi elementi che la costituiscono, come si è detto per la prudenza?

Sì; e questi elementi non sono altro che il fare il bene ed evitare il male (LXXIX, 1).

1112. Perché questi due elementi sono: propri della virtù della giustizia?

Perché nelle altre virtù morali, come la fortezza e la temperanza, non vi è da distinguerli, perché in esse il non fare il male si identifica col fare il bene; mentre nella virtù della giustizia, fare il bene consiste nel procurare che coi nostri atti regni la uguaglianza tra noi ed il prossimo; e non fare il male consiste nel non far niente che possa andar contro alla uguaglianza stessa tra noi ed il prossimo nostro (LXXIX, 1).

1113. Come si chiama il peccato contro il primo modo?

Si chiama omissione (LXXIX, 3).

1114. Ed il peccato contro il secondo modo come si chiama?

Si chiama trasgressione (LXXIX, 2).

1115. Di questi due peccati qual è il più grave?

In sè è più grave il peccato di trasgressione, benché una determinata omissione possa essere più grave di una trasgressione. Per esempio è più grave ingiuriare qualcuno che il non usargli il dovuto rispetto; ma se si tratta di un alto superiore, sarà più grave mancare al rispetto che gli è dovuto non rendendogli la testimonianza esterna che il rispetto richiede specialmente in pubblico, che non sarà un leggero segno di dispregio o una parola leggermente offensiva all’indirizzo di una infima persona nella società (LXXIX, 4).