SALMI BIBLICI: “CONFITEMINI DOMINO, ET INVOCATE NOMEN EJUS” (CIV)

SALMO 104: “Confitemini Domino, et invocate nomen ejus”

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS.

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

[Canonico titolare della Chiesa di Soissons, Professore emerito di Scrittura santa e sacra Eloquenza]

TOME DEUXIÈME.

PARIS – LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR 13, RUE DELAMMIE, 1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

Salmo 104

Alleluja.

[1] Confitemini Domino, et invocate nomen ejus;

annuntiate inter gentes opera ejus.

[2] Cantate ei, et psallite ei; narrate omnia mirabilia ejus.

[3] Laudamini in nomine sancto ejus; lætetur cor quærentium Dominum.

[4] Quærite Dominum, et confirmamini; quærite faciem ejus semper.

[5] Mementote mirabilium ejus quae fecit, prodigia ejus, et judicia oris ejus.

[6] Semen Abraham, servi ejus; filii Jacob, electi ejus.

[7] Ipse Dominus Deus noster; in universa terra judicia ejus.

[8] Memor fuit in sæculum testamenti sui; verbi quod mandavit in mille generationes;

[9] quod disposuit ad Abraham, et juramenti sui ad Isaac;

[10] et statuit illud Jacob in præceptum, et Israel in testamentum æternum:

[11] dicens: Tibi dabo terram Chanaan, funiculum hæreditatis vestræ;

[12] cum essent numero brevi, paucissimi et incolæ ejus.

[13] Et pertransierunt de gente in gentem, et de regno ad populum alterum.

[14] Non reliquit hominem nocere eis; et corripuit pro eis reges.

[15] Nolite tangere christos meos, et in prophetis meis nolite malignari.

[16] Et vocavit famem super terram; et omne firmamentum panis contrivit.

[17] Misit ante eos virum; in servum venundatus est Joseph.

[18] Humiliaverunt in compedibus pedes ejus; ferrum pertransiit animam ejus;

[19] donec veniret verbum ejus, eloquium Domini inflammavit eum.

[20] Misit rex, et solvit eum; princeps populorum, et dimisit eum.

[21] Constituit eum dominum domus suæ, et principem omnis possessionis suæ;

[22] ut erudiret principes ejus sicut semetipsum, et senes ejus prudentiam doceret.

[23] Et intravit Israel in Ægyptum; et Jacob accola fuit in terra Cham.

[24] Et auxit populum suum vehementer, et firmavit eum super inimicos ejus.

[25] Convertit cor eorum, ut odirent populum ejus, et dolum facerent in servos ejus.

[26] Misit Moysen, servum suum, Aaron quem elegit ipsum.

[27] Posuit in eis verba signorum suorum, et prodigiorum in terra Cham.

[28] Misit tenebras, et obscuravit; et non exacerbavit sermones suos.

[29] Convertit aquas eorum in sanguinem, et occidit pisces eorum.

[30] Edidit terra eorum ranas in penetralibus regum ipsorum.

[31] Dixit, et venit cœnomyia, et ciniphes in omnibus finibus eorum.

[32] Posuit pluvias eorum grandinem, ignem comburentem in terra ipsorum.

[33] Et percussit vineas eorum, et ficulneas eorum, et contrivit lignum finium eorum.

[34] Dixit, et venit locusta, et bruchus cujus non erat numerus;

[35] et comedit omne foenum in terra eorum; et comedit omnem fructum terræ eorum.

[36] Et percussit omne primogenitum in terra eorum, primitias omnis laboris eorum.

[37] Et eduxit eos cum argento et auro, et non erat in tribubus eorum infirmus.

[38] Lætata est Ægyptus in profectione eorum, quia incubuit timor eorum super eos.

[39] Expandit nubem in protectionem eorum, et ignem ut luceret eis per noctem.

[40] Petierunt, et venit coturnix, et pane cœli saturavit eos.

[41] Dirupit petram, et fluxerunt aquae, abierunt in sicco flumina;

[42] quoniam memor fuit verbi sancti sui, quod habuit ad Abraham, puerum suum.

[43] Et eduxit populum suum in exsultatione, et electos suos in lœtitia.

[44] Et dedit illis regiones gentium, et labores populorum possederunt:

[45] ut custodiant justificationes ejus, et legem ejus requirant.

SALMO CIV

Titolo del Salmo è Alleluia “lodate il Signore”, come lo è degli altri due Salmi che seguono; poiché in questi si narrano i beneficii di Dio al suo popolo, pei quali è Dio degno di ogni lode. Presso gli Ebrei l’Alleluia è in finti del Salmo superiore. — Ma i LXX e la Chiesa, a ragione, lo pongono in capo dei Salmi suddetti.

Alleluja, (cioè) lodate il Signore,

1. Date lode al Signore, e invocate il suo nome; annunziate le opere di lui tra le genti.

2. Cantate la gloria di lui sugli strumenti di musica, raccontate tutte le sue meraviglie.

3. Gloriatevi nel santo nome di lui; sia nell’allegrezza il cuore di quelli che cercano il Signore.

4. Cercate il Signore, e fatevi forti; cercate mai sempre la sua presenza.

5. Ricordatevi delle meraviglie che egli fece: de’ suoi prodigi, delle leggi ch’ei pronunziò di sua bocca,

6. O voi seme di Abramo, servi di lui; o voi figliuoli di Giacobbe, gli eletti di lui.

7. Egli il Signore Dio nostro; i giudizi di lui sono noti a tutta quanta la terra.

8. Egli si è ricordato sempre della sua all’alleanza: della parola fermata da lui per mille generazioni.

9. Della parola ch’ei diede ad Abramo, e del giuramento suo ad Isacco.

10. Giuramento ch’ei confermò quasi legge a Giacobbe, e ad Israele qual patto sempiterno;

11. Dicendo: A te darò la terra di Chanaan, divisa come vostra eredità.

12. Benché e’ fossero in piccol numero, pochissimi di numero, e in essa stranieri:

13. E passarono da una nazione ad un’altra, e da un regno ad un altro popolo. (1)

14. Non permise che uomo facesse loro alcun male, e per essi castigò de’ re. (2)

15. Non toccate i miei cristi, e non malignate contro de’ miei profeti.

16. E chiamò sulla terra la fame, e tolse tutto il sostegno del pane. (3)

17. Mandò avanti di lui un uomo: Giuseppe fu venduto per ischiavo. (4)

18. Lo umiliarono inceppandogli i piedi; il ferro trapassò l’anima di lui,

19. fino a tanto che si adempisse la sua parola. La legge del Signore lo avea messo nel fuoco;

20. il re mandò a scioglierlo: il principe de’ popoli lo liberò.

21. Lo costituì padrone della sua casa, e principe di quanto ei possedeva.

22. Affinché egli sua sapienza comunicasse ai suoi grandi, e al senato di lui insegnasse prudenza. (5)

23. E Israele entrò nell’Egitto, e Giacobbe pellegrinò nella terra di Chain.

24. E (Dio) moltiplicò grandemente il popol suo, e lo rendette più forte de’ suoi nemici.

25. Ei cangiò il cuor di coloro, perché prendesser in odio il popol suo e facesser soverchieria a’ suoi servi.

26. Spedi il suo servo Mosè, e Aronne, cui pur egli elesse.

27. E pose nelle lor mani i suoi miracoli, e i prodigi da farsi nella terra di Cham.

28. Mandò le tenebre, e tutto fu oscurità; ed egli non rendette vane le sue parole. (6)

29. Cangiò in sangue le loro acque, e uccise i loro pesci.

30. La terra mandò fuora i ranocchi nelle più segrete stanze de’ regi stessi.

31. A una sua parola venner le mosche e i mosconi per tutto quanto il loro paese.

32. Mutò in grandine le loro pioggia: piovve sulla loro terra un fuoco divoratore.

33. E percosse le loro viti e le loro e fece in pezzi le piante delle loro re.

34. A una parola di lui venne la lo il bruco, ed erano senza numero;

35. E mangiaron tutta l’erba de’ lor reni, e mangiarono tutti i frutti dei loro campi.

36. E percosse tutti i primogeniti nel terra, le primizie di lor robustezza.

37. E menò via Israele coll’argento l’oro; e nelle lor tribù non era un malato.

38. Si rallegrò della loro partenza l’Egitto perché era sopraffatto dal timore che aveva di essi.

39. Stese una nuvola che li coprisse e fe’ che il fuoco gl’illuminasse di notte.

40. Chiesero e venner le quaglie; e li iniziò con pane del cielo.

41. Fendette la pietra, e scorser le sgorgaron fiumi in un luogo di siccità.

42. Perché  egli ebbe memoria di questa santa parola, detta ad Abramo suo servo.

43. E il suo popolo trasse fuora tutto esultante, e i suoi eletti pieni di allegrezza.

44. E diede loro i paesi delle nazioni, furon padroni delle fatiche dei popoli,

45. Affinché  osservino i suoi comandamenti e amino la sua legge.

(1) De gente in gentem, dalla Palestina in Egitto.

(2) Allusione al modo in cui Dio libererà Sara dalle mani di Abimelech e del faraone e Rebecca dalle mani di Abimelech.

(3) In ebraico: Omnem baculum panis, il pane è chiamato bastone, perché sostiene coloro che se ne nutrono, come il bastone sostiene coloro che vi si appoggiano.

(4) Egli fu gettato ai ferri finché non si fu compiuta la profezia che aveva fatto al gran panettiere, ed al gran coppiere del faraone.

(5) In modo tale che rese tutti I suoi principi dipendenti di Giuseppe, e Giuseppe formò in saggezza tutti gli anziani del faraone.

(6) Non exacerbavit, significa: Dio non ha annullato le sue parole.

(7) In tutte le tribù di Israele non si trovò un solo malato che fosse obbligato a restare in Egitto.

Sommario analitico

Questo salmo, che è come il seguito del salmo CIII, il salmista, dopo aver raccontato le meraviglie della creazione, mostra quelle della Provvidenza nel governo del popolo di Dio; il Profeta, ricorda la condotta paterna e provvidenziale di Dio nei riguardi del suo popolo. (I Paralip. ,XVI, 8-23) – [I primi quindici versetti di questo salmo si leggono nel primo libro dei Paralipomeni (XVI, 8-23); vi sono riportati come cantati alla traslazione dell’arca. È dunque probabile che siano stati composti da Davide stesso. Quanto al resto del salmo, non è certo che sia dello stesso periodo e dello stesso autore. Tuttavia, malgrado l’opinione di qualche esegeta che ne sposta la composizione a dopo la cattività, crediamo che l’uniformità dello stile sia una ragione per credere che sia interamente del medesimo autore.]

I. – Esorta gli israeliti a lodare, a celebrare Dio:

1° In parole, – a) per la confessione e la riconoscenza del suo sovrano ambito; – b) con l’invocazione del suo nome (1); – c) annunciando in pubblico le sue opere (2);

2° Nelle loro opere, – a) praticando delle virtù degne di lui; – b) applicandosi a cercare Dio con generosità (3, 4);

3° Nei loro pensieri: – a) conservando un vivo ricordo dei suoi benefici e dei suoi precetti (5).

II. – Gli fa conoscere le ragioni di questo dovere, che invita ad adempiere, che sono cioè i benefici di Dio:

1° Prima della loro entrata in Egitto: – a) l’alleanza fatta con Dio l’Onnipotente, con Abramo, Isacco e Giacobbe e la loro posterità, e la promessa che fece loro di donare la terra di Canaan (6-12); – b) la protezione con cui li ricoprì durante il loro viaggio (13-25); – c) la cura con la quale provvide alla sussistenza dei patriarchi durante la carestia, con la venuta di Giuseppe, la sua prigionia e la sua elevazione in Egitto (16-22);

2° Durante il loro soggiorno in Egitto: – a) la libertà che fu loro data dello stabilirsi in Egitto, la loro crescita, ed infine i prodigi operati da Mosè, la libertà che ottiene di uscire dall’Egitto con le ricchezze degli Egiziani (23-38);

3° Dopo la loro uscita dall’Egitto, – a) il loro viaggio miracoloso attraverso il deserto; – b) i prodigi operati in loro favore, la colonna di nubi e fuoco, il nutrimento che venne loro dal cielo, e l’acqua che zampillò miracolosamente dalla roccia, per la ragione di questi benefici passati e a venire, che è la promessa fatta ad Abramo (39-42);

4° Nella loro entrata nella terra di Chanaan: – a) Dio li mette in possesso di questa terra, tra i trasporti della più viva allegrezza (43-44). Il disegno di Dio, colmando così il suo popolo di benefici, era di renderlo fedele alle leggi che Egli gli donava (45).

Spiegazioni e Considerazioni (1)

I. — 1-5.

(1) N. B. Questo salmo ed i due seguenti, essendo per lo più una enumerazione dei benefici di Dio al suo popolo, dei suoi lamenti, della sua ingratitudine, della sua idolatria e dei suoi castighi che ne furono la giusta punizione, non hanno bisogno se non di un’analisi ragionata alla quale ci contentiamo di aggiungere qualche riflessione che sono un riassunto sommario della dottrina dei Padri.

ff. 1-5. – Tre sono i grandi oggetti dei nostri doveri: Dio, noi stessi, ed il nostro prossimo.  1° Noi dobbiamo offrire a Dio il tributo delle nostre lodi; 2° dobbiamo chiedergli le sue grazie; 3° dobbiamo far conoscere agli altri i doni di Dio. Noi compiamo il primo dovere con la fede, il secondo con la speranza, la terza con la carità. Aggiungiamo uno zelo puro e disinteressato, che non ci faccia cercare la nostra gloria, ma quella di Dio. Tale è il soggetto del salmo, come enunciano i primi tre versetti. – C’è una specie di gradazione in questo invito del Profeta: riconoscere dapprima la grandezza di Dio, e concepire delle idee sublimi della sua potenza, della sua maestà, della sua eternità, di tutto il suo essere. – Questo primo esercizio ci condurrà facilmente ad invocare il suo santo Nome, perché la conoscenza del bisogno che noi abbiamo della sua protezione ci porterà senza sforzo ad implorare il suo soccorso. Ma lo zelo della sua gloria e l’amore che dobbiamo ai nostri simili non ci permetteranno di mantenere il silenzio sulle opere della potenza divina; di là scaturisce l’obbligo di rendergli un culto pubblico nell’assemblea dei fedeli, di aggiungere i nostri canti di lode e le azioni di grazie a quelle dei ministri del santuario. – Alla lode succede ordinariamente l’invocazione, nella quale il peccatore forma come un fascio di tutto ciò che desidera; è così che l’orazione domenicale comincia con una breve lode a Dio, così concepita: « Padre nostro che sei nei cieli. » (S. Agost.). Glorificatevi non per le vostre virtù, né per il vostro coraggio, ma nel Nome di Dio che vi è stato predicato, secondo questa parla dell’Apostolo: « Chi si glorifica, si glorifichi nel Signore. » (I Cor., XI). – Nessuna vera gloria che c’è se non quella che si trova in Dio; nessuna vera gioia che quella che si gusta nel cercarlo (Dug.). – Che cos’è la faccia del Signore, se non la sua presenza? Ma che significa: « Cercate sempre il volto del Signore ? ». Con la parola “sempre”, il Profeta ha voluto dire che durante tutta la nostra vita quaggiù, come la viviamo dal momento in cui sappiamo che dobbiamo cercare Dio, noi dobbiamo cercarlo ancora dopo averlo trovato. Perché la fede lo ha già trovato, ma la speranza lo cerca ancora; e la carità che l’ha già trovato con la fede, cerca di possederlo con la visione nella quale Egli sarà sì pienamente trovato e che ci sarà sufficiente, e non avremo più da cercarlo. … Cercare il Signore significa che si ama il Signore, l’averlo trovato non ci impedirà di cercarlo ancora; ed al contrario, non facendo che accrescersi l’amore di Dio, la ricerca di Dio non farà che accrescersi pure, anche dopo che si sarà trovato (S. Agost.) – Nessuno si avvicina di più alla conoscenza della verità, di colui che comprende nelle cose divine in cui già ha fatto grandi progressi, ché restano ancora molte cose da cercare, da acquisire. (S. Leon, Serm. IX de Nativ.). – Per noi è un dovere cercare Dio sempre nelle nostre azioni senza far nulla senza la sua guida; di cercarlo sempre nella preghiera che deve essere continua, per essere uguale ai nostri bisogni; di cercarlo con il ricordo dei suoi giudizi e dei suoi benefici; di cercarlo sempre finché non godremo della chiara visione dei cieli. –  Noi dobbiamo sempre cercare la presenza di Dio ed applicarci con zelo perseverante affinché Dio ci conceda di gioire in sua presenza e non si allontani da noi. Durante questa vita, è la fede che cerca la presenza di Dio, la speranza che lo trova; ma è la carità che lo ottiene pienamente nella vita eterna, là dove l’amore della vera presenza non può né diminuire né estendersi. (S. PROSPER, in hunc psalm.).

II — 6-22.

ff. 6-22. – Il Profeta lascia l’entusiasmo ardente delle sue lodi e scende a parole proporzionate alla nostra intelligenza, per nutrire il nostro amore ancora debole e per così dire ancora da lattanti, per lo spettacolo delle meraviglie che Dio ha operato nei tempi. « o voi, razza di Abramo; o voi, figli di Giacobbe, ricordatevi delle meraviglie che Egli ha operato, dei suoi prodigi e dei giudizi della sua bocca. » Ma il salmista non vuole lasciar credere che egli si indirizzi alla sola nazione di Israeliti secondo la carne, senza comprendere di preferenza nella razza di Abramo i figli della promessa, piuttosto che i figli della carne (S. Agost.). – Questi figli di Giacobbe, che Dio ha cercato fin dall’eternità, e che sono i figli della promessa, sono soprattutto coloro che devono ricordarsi delle meraviglie che Dio ha operato, di ciò che Egli ha fatto e di ciò che fa tutti i giorni a favore degli uomini; dei prodigi di grazia che ha compiuto per farli uscire dal vero Egitto, che è il peccato; dei giudizi di giustizia e di misericordia che Egli esercita su chi gli piace. – Sono questi i sentimenti e le disposizioni dei veri Israeliti, che non hanno altro Dio che il Signore, e che adorano con profondo rispetto ed intera sottomissione, i giudizi che Dio esercita sulla terra quali essi siano. –  Dio non dimentica mai l’alleanza che ha concluso con gli uomini. La promessa di Dio non è soggetta a cambiamenti, come quelle degli uomini; essa non si affievolisce con la lunghezza dei tempi, ma si estende per tutte le età future. – Dio fa un giuramento, come per imporre a se stesso la necessità di eseguire ciò che ha promesso e di farne un decreto irrevocabile. – Terra di Canaan, eredità degli Israeliti, secondo la carne. – Felicità del cielo, vera terra dei viventi, eredità degli Israeliti secondo lo spirito. Piccolo gregge di eletti scelti nell’universalità delle nazioni, figura terribile del piccolo numero di coloro che devono possedere l’eredità del cielo. – La vita errante dei Patriarchi, è figura dei Cristiani che non hanno dimora fissa e stabile sulla terra, ove sono pellegrini e stranieri. (Dug. – Bellarm.). – Questa Chiesa antica era debole ed ancor giovane; dei pastori erranti ne erano i rappresentanti, e tuttavia Dio aveva con essa tutto il suo cuore, faceva riposare in essa tutte le sue speranze e far brillare per esse prodigi di ogni sorta. I castighi spaventosi con cui Dio puniva il re d’Egitto ed il suo popolo, quando da protettori degli Israeliti ne divennero i persecutori accaniti, sono i preludi ed i simboli degli spaventosi castighi che la giustizia divina ha fatto piombare sui numerosi persecutori che, secolo dopo secolo, hanno cercato di opprimere la Chiesa. – « Badate di non toccare coloro che sono consacrati con la mia unzione santa, e di esercitare malignità sui miei profeti. – Giudicare severamente i nostri fratelli è un disordine universalmente condannato da Dio; ma è condannabile in particolar modo quando ci attacchiamo alle potenze stesse; che noi osiamo giudicare da noi stessi coloro dai quali dipendiamo, coloro che Dio ha stabilito per condurci, che ci ha dato per pastori e maestri: i prelati ed i ministri della Chiesa. Perché? Perché in essi c’è un carattere che dobbiamo singolarmente rispettare e del quale non possiamo toccare senza ledere Dio fin nella pupilla del suo occhio, secondo questa parola di Zaccaria; « colui che vi tocca la pupilla del mio occhio. » (Zacc. II, 8). Ecco perché ci fa ancora questa divieto sì espressivo: non toccate coloro che sono gli unti del Signore, e guardatevi dall’esercitare su di essi la malignità dei vostri giudizi. Disordine essenziale opposto a questa subordinazione di cui Dio è l’Autore, e di conseguenza il conservatore ed il vendicatore, poiché, dal momento che censuro la vita e la condotta di chiunque sia al di sopra di me, mi elevo al di sopra di lui, mi faccio giudice del mio giudice, e pertanto inverto l’ordine in cui Dio mi ha posto, e mi espongo alle infelici sequele che l’Apostolo ci fa temere per una tale inversione. Disordine che indebolisce e che snerva; diciamo meglio: che rovina e che annienta l’obbedienza degli inferiori; perché è impossibile che questa facilità nel giudicare e nel giudicare male, non produca mano a mano un segreto disprezzo di colui anche di cui si giudica, e che questo disprezzo non faccia nascere la contraddizione, i lamenti, le rivolte dello spirito e del cuore; da ciò si arriva, anche nelle società più regolate, per lo più ad una obbedienza esteriore, un’obbedienza politica, un’obbedienza senza merito; perché questa non è un’obbedienza cristiana (Bourd. sur le jug. tém.). – « Essi sono passati da una nazione all’altra e da un regno all’altro. Egli ha chiamato la fame sulla terra, ha distrutto ogni forza del pane ». Non dimentichiamo l’esame dei termini impiegati dalla Sante Scritture: « Egli ha chiamato la fame sulla terra, » come se la fame fosse un personaggio o un corpo animato, o uno spirito capace di obbedire a colui che lo chiamasse, mentre che la fame non è che causa di distruzione provocata dalla mancanza di nutrimento, che diviene come una malattia per coloro che la provano … « Egli ha chiamato la fame, » nel senso che ha ordinato che la fame servisse, di modo che chiamare, significa nominare, e nominare significa dire, e dire significa ordinare; perché Egli ha chiamato la fame, « Egli che chiama le cose che non sono, come quelle che sono. » (Rom. IV, 17). Dio ha chiamato la fame. Vale a dire che ha fatto scoppiare questo flagello che già esisteva in una disposizione segreta della sua volontà (S. Agost.). – Fame spirituale delle anime tanto più spaventosa quando è meno sensibile. – Dio rimuove la forza del pane con la sua parola, quando permette che la verità sia annunciata in maniera sì umana, da divenire inutile a coloro che l’intendono. – « Egli ha mandato un uomo davanti ad essi. » Quale uomo? Giuseppe. Come lo ha inviato? « Giuseppe è venduto per essere schiavo. » Sicuramente questa vendita è stata il crimine dei fratelli di Giuseppe, e tuttavia Dio ha inviato Giuseppe in Egitto. Egli ci fa ben comprendere questa grande verità, che Dio estrae il bene dal male che gli uomini fanno, come gli uomini estraggono del male da ciò che di bene Dio fa … il ferro che secondo il Profeta, ha trapassato la sua anima, rappresenta la sofferenza di una dura necessità e l’afflizione di Giuseppe fino a che la sua parola fu compiuta e l’avvenimento fu giustificato dalla sua interpretazione dei sogni (S. Agost.). – Cosa delle più infelici, quella di Giuseppe, se si giudicano le sue prove con lo spirito del mondo; ma cosa molto felice se si giudicano con le regole della saggezza di Dio! – Noi vediamo nella missione di Giuseppe le caratteristiche principali della missione data ai pastori delle anime, al predicatore del Vangelo: – 1° bisogna che sia “inviato”, “misit”; – 2° egli deve camminare davanti agli altri con il buono esempio che da loro, “ante eos”; – 3° deve essere dotato di una forza poco comune, di una forza virile “virum”; – 4° deve essere umile, fino a diventare il servitore, lo schiavo di tutti, « in servum venundatus est Joseph »: – 5° deve avere una pazienza a tutta prova e sopportare, se Dio lo permette, i trattamenti peggiori e più rudi, « umiliaverunt in compedibus pedes ejus »; – 6° deve essere pieno di zelo e di fervore, « eloquiam Domini inflammavit eum »; – 7° deve considerarsi come posto alla testa della casa di Dio, « costituit cum Dominum domus suæ »: – 8° deve istruire tutti coloro che vi sono sottomessi, anche i re ed i grandi della terra, « ut erudiret principes sicut semetipsum ». – Sant’Ambrogio considera Giacobbe come il modello di tutti coloro che vogliono vivere felici sulla terra. – Che può mancare in effetti a colui che è sempre accompagnato dalla virtù? In quale situazione non sarà potente? In quale stato di povertà non sarà ricco? In quale oscurità non sarà brillante? In quale inazione non sarà laborioso? In quale infermità non sarà vigoroso? In quale debolezza non sarà pieno di forza? In qual solitudine non sarà accompagnato? Egli avrà per compagna la speranza di una vita felice; per vestito la grazia dell’Altissimo, per ornamento le promesse della gloria (S. AMBR., de Jacob et vita beata.). – « Egli cambiò il loro cuore affinché prendessero il suo popolo in odio ». Bisogna prendere questa parola alla lettera e credere che Dio cambia il cuore dell’uomo perché commetta il peccato? O forse questa non era una colpa, o una colpa leggera odiare il popolo di Dio ed eliminare l’inganno contro i suoi servi? Non senza dubbio, gli Egiziani non erano buoni prima di odiare il suo popolo; essi erano al contrario molto malvagi ed empi da portare facilmente invidia verso il benessere degli stranieri stabiliti presso di loro. Moltiplicando il suo popolo, Dio, per questo stesso beneficio, indusse questi malvagi all’invidia. In effetti l’invidia è l’odio del benessere degli altri; è così che Egli portò il loro cuore all’odio verso il suo popolo con l’invidia ed a sopraffare i suoi servitori con mille inganni. Non è quindi facendo del male, ma facendo del bene al suo popolo che egli eccitò all’odio il cuore degli Egiziani, già malvagi di per se stessi. Non ha pervertito un cuore retto, ma ha diretto verso l’odio per il suo popolo il loro cuore già di per sé malvagio, alfine da estrarre il bene dal male che essi avrebbero fatto (S. Agost.).   

III. — 23-45.

ff. 23-45. – La mirabile moltiplicazione del popolo di Dio nell’Egitto, è figura della Chiesa che agli inizi era ridotta a poche persone, e che il Signore ha moltiplicato al punto in cui la vediamo ora. – Impossibile era per i veri servi di Dio essere per lungo tempo d’accordo con gli Egiziani, cioè con i mondani: essi li odieranno sempre, perché non possono soffrire né le loro massime, né la loro condotta, e non mancheranno mai di trovare mille artifici per sopraffarli. Missione divina, quella di Mosè ed Aronne. – più una missione è nuova e straordinaria , più essa ha bisogno di essere confermata da miracoli straordinari. – Piaghe d’Egitto- (V. Ps, LXXXVIII). – Uscita trionfante degli Israeliti. – Uscire da una dura prova caricati di enormi ricchezze, qual inestimabile felicità! – Nessuna malattia corporale nelle tribù d’Israele; né alcuno che non sia malato nell’anima e in Israele ed anche tra i Cristiani. – Era per paura e non per coscienza e per amore, che gli Egiziani diedero la libertà agli Israeliti: immagine troppo fedele delle disposizioni di tanti Cristiani che non fanno nulla se non per timore interessato, sempre pronti a rivoltarsi contro Dio, senza mai cedere se non con colpi tanto sensibili, o almeno alle minacce della sua rigorosa giustizia. – « Il Signore fece uscire gli Israeliti con molto oro ed argento, » perché non erano ancora capaci di disprezzare il salario temporale, senza dubbio, ma legittimo, dovuto ai loro lavori. Ora, se gli Israeliti hanno ingannato gli Egiziani, prendendo loro dell’oro e dell’argento, non bisogna credere che Dio comandi simili trucchi a coloro il cui cuore è rivolto al cielo, o che li approvi se li mettono in opera. In effetti Dio, secondo queste parole, ha permesso piuttosto che prescrivere questa azione a questo popolo del quale vedeva il cuore e del quale conosceva l’avarizia. Tuttavia delle anime carnali potrebbero allegare come motivo di approvazione per la condotta degli Israeliti, che gli Egiziani non hanno sofferto per parte loro ciò che avrebbero meritato e che, se gli Israeliti hanno impiegato l’inganno, non hanno fatto altro che riprendere da uomini ingiusti il salario che era loro dovuto. Ma rispondiamo semplicemente che Dio si è servito tanto dell’ingiustizia degli Egiziani, che della debolezza degli Israeliti, per figurare e predire con questi fatti le cose che un giorno avrebbe compiuto. (S. Agost.). – Provvidenza di Dio su di un popolo nel deserto, benefici nuovi, ragione di questi benefici, e fine che Dio si proponeva; – la densa nube che Egli stende per proteggerli, è figura della fede e dei due rapporti che la caratterizzano: la sua oscurità e la sua luce. Essa è oscura perché ha Dio per oggetto; luminosa perché è data all’uomo; oscura perché l’uomo è limitato; luminosa perché è ragionevole; oscura per non confonderla con le verità che ingannano sotto i sensi; luminosa per distinguerla dall’errore; oscura alfine perché deve sottometterci, e luminosa, perché deve confonderci (Mgr. De Boulog. “sur la Foi”). – « E diede loro in possesso i paesi delle nazioni, e li fece entrare in possesso dei lavori dei popoli. » Come se noi comandassimo quale è il valore di questi beni dati agli Ebrei, e nel timore che non si pensi che questa felicità temporale accordata da Dio al suo popolo sia il sovrano bene, il Profeta ci porta di seguito alla ricerca del sovrano Bene, e ci segnala nel corpo del salmo, l’anima che vi si trova in qualche modo nascosta: « affinché – egli dice – essi riguardino le sue ordinanze piene di giustizia e ricerchino la sua legge. » Bisogna concludere che se i servi e gli eletti di Dio, figli della promessa, vera e legittima razza di Abramo ed imitatori della sua fede, ricevono da Dio i suoi beni terreni, non è perché sprofondino nel lusso, e si intorpidiscano in una colpevole sicurezza. Essi devono, al contrario, possedere questi beni che la misericordia divina ha preparato loro e nella ricerca dei quali potrebbero lasciarsi assorbire da laboriose preoccupazioni, in modo tale che si applichino alla ricerca di ciò che può loro procurare il Bene eterno, cioè che attendano ai suoi ordini e ricerchino la sua legge. (S. Agos.).

SALMI BIBLICI: “BENEDIC, ANIMA MEA, DOMINO: DOMINE” (CIII)

SALMO 103: “BENEDIC, ANIMA MEA, DOMINO: Domine”

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS.

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

[Canonico titolare della Chiesa di Soissons, Professore emerito di Scrittura santa e sacra Eloquenza]

TOME DEUXIÈME.

PARIS

LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR

13, RUE DELAMMIE, 1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

Salmo 103

Ipsi David.

[1] Benedic, anima mea, Domino: Domine

Deus meus, magnificatus es vehementer. Confessionem et decorem induisti,

[2] amictus lumine sicut vestimento. Extendens cælum sicut pellem,

[3] qui tegis aquis superiora ejus; qui ponis nubem ascensum tuum, qui ambulas super pennas ventorum;

[4] qui facis angelos tuos spiritus, et ministros tuos ignem urentem.

[5] Qui fundasti terram super stabilitatem suam, non inclinabitur in sæculum sæculi.

[6] Abyssus sicut vestimentum amictus ejus; super montes stabunt aquae.

[7] Ab increpatione tua fugient, a voce tonitrui tui formidabunt.

[8] Ascendunt montes, et descendunt campi in locum quem fundasti eis.

[9] Terminum posuisti quem non transgredientur; neque convertentur operire terram.

[10] Qui emittis fontes in convallibus; inter medium montium pertransibunt aquae.

[11] Potabunt omnes bestiæ agri; expectabunt onagri in siti sua.

[12] Super ea volucres caeli habitabunt; de medio petrarum dabunt voces.

[13] Rigans montes de superioribus suis; de fructu operum tuorum satiabitur terra;

[14] producens fœnum jumentis, et herbam servituti hominum: ut educas panem de terra.

[15] Et vinum lætificet cor hominis; ut exhilaret faciem in oleo, et panis cor hominis confirmet.

[16] Saturabuntur ligna campi, et cedri Libani quas plantavit;

[17] illic passeres nidificabunt, herodii domus dux est eorum;

[18] montes excelsi cervis, petra refugium herinaciis.

[19] Fecit lunam in tempora; sol cognovit occasum suum.

[20] Posuisti tenebras, et facta est nox; in ipsa pertransibunt omnes bestiæ silvæ;

[21] catuli leonum rugientes ut rapiant, et quærant a Deo escam sibi.

[22] Ortus est sol, et congregati sunt, et in cubilibus suis collocabuntur.

[23] Exibit homo ad opus suum, et ad operationem suam usque ad vesperum.

[24] Quam magnificata sunt opera tua, Domine! omnia in sapientia fecisti; impleta est terra possessione tua.

[25] Hoc mare magnum et spatiosum manibus; illic reptilia quorum non est numerus, animalia pusilla cum magnis.

[26] Illic naves pertransibunt; draco iste quem formasti ad illudendum ei.

[27] Omnia a te expectant ut des illis escam in tempore.

[28] Dante te illis, colligent; aperiente te manum tuam, omnia implebuntur bonitate.

[29] Avertente autem te faciem, turbabuntur; auferes spiritum eorum, et deficient, et in pulverem suum revertentur.

[30] Emittes spiritum tuum, et creabuntur; et renovabis faciem terrae.

[31] Sit gloria Domini in sæculum; lætabitur Dominus in operibus suis.

[32] Qui respicit terram, et facit eam tremere; qui tangit montes, et fumigant.

[33] Cantabo Domino in vita mea; psallam Deo meo quamdiu sum.

[34] Jucundum sit ei eloquium meum; ego vero delectabor in Domino.

[35] Deficiant peccatores a terra, et iniqui, ita ut non sint. Benedic, anima mea, Domino.

[Vecchio Testamento Secondo la Volgata Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

SALMO CIII.

Celebra Davide i beneficii di Dio nella natura: le meraviglie che Dio operò in cielo, nell’aria, in terra ed in mare.

Dello stesso David.

1. Benedici il Signore, o anima mia: Signore Dio mio, tu ti sei glorificato potentemente. (1)

2. Ti se’ rivestito di gloria e di splendidezza; cinto di luce come di veste. (2)

3. Tu stendi il cielo come un padiglione, e di acque cuopri la parte sua superiore. (3)

4. Tu che monti sopra le nuvole, e cammini sulle ali de’ venti. (4)

5. Che i tuoi Angeli fai (come) venti, e i tuoi ministri fuoco fiammante.

6. Tu che la terra fondasti sopra la propria stabilità: ella non varierà di sito giammai.

7. L’abisso quasi veste la cinge; s’innalzeranno le acque sopra de’ monti.

8. Alle tue minaccie elleno fuggiranno? Si atterriranno al tuono delle tua voce.

9. Si alzano i monti e si appianan le valli nei luoghi che tu loro assegnasti.

10. Fissasti un termine alle acque, cui elle non trapasseranno; e non torneranno a coprire la terra. (5)

11. Tu nelle valli fai scaturir le fontane, filtreranno le acque pel seno dei monti.

12. Con esse saranno abbeverate tutte le bestie dei campi; quelle sospirano gli asini salvatici, quando sono assetati.

13. Presso di esse abitano gli uccelli dell’aria: di mezzo a’ sassi fanno udire 1e loro voci.

14. Tu da’ superiori luoghi innaffi i monti: dei frutti, che son tuo lavoro, sarà saziata la terra;

15. Tu produci il fieno per le bestie e gli erbaggi in servigio degli uomini: (6)

16. Per trarre dalla terra il pane e il vino letificante il cuor dell’uomo, e perch’ei possa esilarar la sua faccia coll’olio, e col pane le sue forze corrobori.

17. Avranno a sazietà nutrimento gli alberi della campagna e i cedri del Libano, i quali egli piantò: ivi faranno i loro nidi gli augelli. (7)

18 La casa della cicogna sovrasta ad essi; gli alti monti servono di asilo a’ cervi, i massi agli spinosi.

19. Egli fece la luna per la distinzione dei tempi; il sole sa dove abbia da tramontare. (8)

20. Tu ordinasti le tenebre, e si fe’ notte; nel tempo di essa vanno attorno le bestie selvagge.

21. I leoncini ruggiscono bramosi di preda, da Dio chieggono il loro nutrimento.

22. Ma spunta il sole, ed essi si ritirano in truppa, e nelle tane loro si sdraiano.

23. Se ne va l’uomo alle sue faccende, e ai suoi lavori infino alla sera.

24. Quanto grandiose son le opere tue, o Signore! ogni cosa hai tu fatto con sapienza, la terra è piena di tue ricchezze.

25. Questo gran mare ò spazioso nelle sue braccia: in esso animali che non han numero.

26. Animali piccoli e grandi: ivi cammineranno le navi.

27. Ivi quel dragone, cui tu formasti perché vi scherzi; tutte le cose aspettan da te che tu dia loro sostentamento nel tempo opportuno.

28. Tu lo dai, ed elleno lo raccolgono; quando tu allarghi la mano, tutte le cose son ricolme di bene.

29. Ma quando tu rivolgi altrove la faccia, tutte le cose sono in turbamento; tu le privi di spirito, e vengon meno, e ritornano nella lor polvere.

30. Manderai lo spirito tuo, e saranno create; irinnovellerai la faccia della terra. (9)

31. Sia celebrata pei secoli la gloria del Signore: Si allegrerà il Signore nelle opere sue;

32. Ei che mira la terra, e la fa tremare; tocca i monti e gettan fumo.

33. Io canterò il Signore finche viverò; a Luii darò laude fino che io sarò.

34. Sieno accette a lui le mie parole; quanto a me, il mio diletto sarà nel Signore.

35. Spariscano dalla terra i peccatori e gli iniqui, talmente che più non sieno; benedici, anima mia, il Signore.

(1) Hengstenberg pensa che il primo semi-versetto di questo salmo sia stato staccato dal salmo precedente e posto a legare i due salmi.

(2) In ebraico: voi che fate delle acque i travi del vostro appartamento, cioè: voi che costruite con le acque il vostro appartamento superiore, al di sopra del firmamento. L’appartamento di sopra si trovava in tutte le case (III Re, XVII, 19), ed è per questo che viene paragonato al cielo, soggiorno di Dio, che è al di sopra del firmamento (D’Allioli).

(3) Questo versetto può ricevere due sensi: Voi che date ai vostri Angeli, dei quali vi servite per il compimento dei vostri ordini, la rapidità dei venti e la forza del fuoco; o secondo l’ebraico, Voi che fate dei venti i vostri messaggeri, e dei fulmini i vostri servitori. Benché il senso della Vulgata sia ammesso da un gran numero di interpreti, noi consideriamo il secondo come più verosimile ed in rapporto con il contesto.

(4) Super stabilitatem, sulle basi. La fermezza è la base della terra.

(5) Le anime selvagge, stanno qui per tutti gli animali in generale.

(6) L’olio, come tutte le sostanze grasse, dà lucidezza e bellezza.

(7) Gli aironi fanno il loro nido più che i passeri.

(8) In tempora. Egli ha fatto la luna, per fissare le epoche delle stagioni. In effetti le fasi ed i cambiamenti della luna presentano un mezzo molto comodo per la divisione del tempo; di là viene che i popoli antichi, come pure gli ebrei, avevano degli anni lunari (S’Alliou).

(9) Dio lascia perire gli essere che ha creato per un tempo, e con la stessa facilità con cui li ha lasciato perire, dà l’esistenza ad altri esseri, e rinnova la faccia della terra. – La Chiesa applica queste parole al rinnovo morale della terra per mezzo dello Spirito Santo.

Sommario analitico

Questo salmo, forse il più rifinito di tutti, a giudicare secondo le regole di una critica umana, è una delle più belle produzioni di Davide, al quale ci si può ricondurre con i Settanta, la Vulgata e la versione siriaca, per la magnificenza ed i colori dello stile.

Il Re-Profeta, abbracciando in un’unica visione le opere della creazione, contempla la sovrana saggezza di Dio, invita la sua anima a benedirlo, a lodarlo, a proclamarlo mirabile:

I. – Nel cielo:

1°  Nel cielo empireo, a) ove Dio ha il suo trono (1), b) ove è rivestito di luce come di un mantello (2);

2° Nel cielo degli astri: a) che ha spiegato come un padiglione sopra la terra. b) di cui ha ricoperto di acqua le altezze come di un rivestimento (3);

3° Nel cielo atmosferico nel quale: a) raduna le nubi sulle quali siede come un carro; b) agita i venti, sulla ali dei quali cammina (4); c) eccita le tempeste delle quali fa suoi messaggeri e suoi ministri (5).

II.– Sulla terra,

1° Egli considera la creazione prima:

a) Quando Dio l’ha stabilita sulle sue fondamenta (6);

b) quando ha circondato di acque le montagne come di un vestito, fino al momento in cui esse si sono retratte alla sua voce imperiosa (7, 8);

c) quando le montagne si sono elevate e le vallate discese nei luoghi loro fissati;

d) quando le acque, rispettando i limiti loro posti, non sono più tornate ad inondare la terra (9).

2° Le sorgenti e le fontane:  – a) esse scorrono dalle montagne nelle valli per bagnarle (10); – b disseteranno gli animali dei campi (11); – c) esse offrono sui loro bordi un dolce luogo di riposo agli uccelli del cielo (12);

3° la pioggia che feconda la terra: (13) – a) essa produce l’erba per le greggia, e le piante per servire agli uomini (14); – b) essa fa uscire dal seno della terra il pane come nutrimento per l’uomo, ed il vino per rallegrarlo, l’olio per far brillare il suo viso (15, 16); essa bagna ugualmente e fa crescere gli alberi dei campi, i cedri del Libano, ove gli uccelli, grandi e piccoli, fanno il loro nido, come le alte montagne lo sono per i camosci e le cime delle rocce servono di asilo ai ricci (17, 18).

4° la mirabile successione dei tempi: – a) Dio ha fatto la luna per presiedere la notte ed il sole al giorno; – b) Egli provoca le tenebre e la notte perché gli animali della foresta si riposino sulla terra (20); – c) alla notte succede il giorno perché gli animai si ritirino elle loro tane e l’uomo torni al suo lavoro; – d) il Profeta ammira le opere di Dio: 1) a causa della loro grandezza (21-23); 2) a causa della saggezza divina che riluce in esse; 3) a causa della loro moltitudine (24). 

III. – Nel mare

1° Egli considera la sua immensa estensione: – a) stende in lontananza le sue braccia: .- b) nel suo seno si muovono pesci senza numero, animali grandi e piccoli (25); – c) là vagano i vascelli, là è la balena che Dio ha creato per poter scherzare con essa (26).

IV. – Egli celebra la provvidenza di Dio che veglia sulla conservazione di tutte le sue creature, le quali dimorano nella più stretta dipendenza di Colui che le ha tratte dal nulla:

1° tutti questi esseri attendono il nutrimento da Dio, nel tempo stabilito (27, 28);

2° se volge il suo sguardo essi si turbano, spirano (29);

3° se invia il suo Spirito, rinascono a vita nuova (30, 31);

V. – Dopo aver considerato tutte queste meraviglie del cielo, dell’aria, della terra, del mare e la sovrana saggezza di Dio che brilla in ciascuna di essa,

1° egli conclude che bisogna rendere gloria a Dio per tutti i doni dei quali ci ha colmato, perché tutte le opere di Dio sono state fatte con tanta saggezza che Dio stesso si compiace, e le dirige con tanta potenza che con un solo sguardo fa tremare la terra e fumare le montagne (32).

2° Dopo questo invito a lodare il Dio, dichiara ciò che egli stesso farà: – a) canterà le lodi di Dio (33); – b) farà in modo che la sua lode gli sia gradita (34); – c) metterà in lui tutta la sua gioia, tutte le sue delizie; – d) egli predice la rovina dei peccatori e degli empi (35). 

Spiegazioni e Considerazioni

I. — 1-5.

ff. 1-5. – « Signore, mio Dio, Voi siete magnificamente glorificato. » Quale magnifico discorso annuncia questo inizio, discorso magnifico che non avrà altro scopo che lodare l’Autore di tutte le magnificenze. O Signore mio Dio, come siete stato magnificamente glorificato? Non siete sempre grande? Magnifico? Non siete perfetto, e potete mai divenire più grande? Potete essere indebolito e risentire di qualche diminuzione? E, ammettendo che si possano spiegare queste parole in questo senso: Signore mio Dio, Voi siete magnificamente glorificato da me! … che cos’è Dio glorificato da me magnificamente? Si ingrandisce forse con le mie lodi? No, così come anche pregando tutti i giorni che il Nome di Dio sia santificato, noi chiediamo che il vostro Nome, sempre santo in se stesso, sia santo tra gli uomini, per coloro agli occhi dei quali non è ancora santo Colui che è Santo da se stesso, in se stesso e nei suoi Santi … così colui che canta questo salmo, ha la visione dei benefici di cui Dio ha ricolmato il genere umano, che in precedenza negava la sua esistenza o almeno non ne conosceva la grandezza, ed esclama: « Mio Dio Voi siete magnificamente glorificato; » Vale a dire: io comprendo, come non ho mai compreso fino ad ora, quanto siete grande. Voi siete sempre grande, anche quando siete nascosto; ma ora Voi siete grande per me, perché la vostra grandezza esplode ai miei occhi (S. Agost.). – Questa luce di cui Dio è rivestito come da un abito, non è quella della quale è detto: « Dio è luce, ed in Lui non c’è alcuna tenebra, » ? (S. Joan I, 5) Questa luce inaccessibile che Dio abita, che nessuno ha mai visto e non può vedere; ma questa luce che brilla nelle sue pere e che è altronon è che la lode che continuamente canta tutta la natura al suo Creatore. Niente di più bello, di più splendente di questo concerto, di questa pubblica professione di lode che esce da tutta la creazione, che questo splendore di gloria e di luce che brilla in tutte le opere di Dio (Bellarm.). – « Egli ha steso il cielo come una tenda. » Il Profeta, con questo paragone ha voluto mostrare con quale facilità Dio operi: quanto facile per voi sia stendere una tenda, così per Lui è stato facile stendere l’immensa volta dei cieli. (S. Agost.). – Dio, Autore della luce, è tutta luce in se stesso; la luce è l’abito di cui si riveste; la luce che Egli abita è inaccessibile (I Tim. VI, 16) in se stessa, ma essa si estende, quando gli piace, sulle creature intelligenti, e si tempera per accomodarsi ad occhi deboli; Egli è bello ed abbellisce; Egli risplende e fa risplendere, illumina con la sua luce, oscura ed impenetrabile, conosciuta e sconosciuta insieme. (Bossuet, Elév. III, S. VII, E.).  – Acque materiali al di sotto del cielo, figura delle acque spirituali della grazia da cui fluiscono. – Dio è l’Autore di tutte le cose, è con il suo impulso che si muovono tutte le nubi e soffiano i venti. – Dio è l’anima e la vita della natura inferiore ed irragionevole, riempie la creazione con la sua presenza, percorre incessantemente tutte le parti, e le abbraccia tutte in una uguale sollecitudine ed eguale potenza. – “Nubi”, figura dei predicatori che effondono nelle anime la pioggia celeste della parola divina; “venti”, figura dello Spirito divino che soffia dove vuole e distribuisce i suoi doni e le sue grazie come vuole. – Sotto questo emblema dei venti, noi possiamo ragionevolmente comprendere le anime. Non che il vento sia un’anima, ma perché il vento è una cosa invisibile … Ma allora cosa sono le ali dei venti o le ali delle anime se non ciò che eleva verso il cielo? Le piume delle anime sono dunque le virtù, le buone opere, le azioni rette. Tutte queste piume sono contenute nelle due ali, perché due comandamenti comprendono tutti gli altri. Colui che ama Dio ed il prossimo ha un’anima provvista delle sue piume, le sue ali sono libere e nello slancio di un santo amore, ella vola verso il Signore (S. Agost.). Ma, in qualunque grado posseggano la carità, cos’è il loro amore in confronto a quello che Dio nutre per loro? L’amore di Dio verso di noi è dunque più grande del nostro amore verso di Lui, il nostro amore, ecco le nostre ali: « Ma Dio cammina sulle ali dei venti. » – Gli Angeli sono degli spiriti: in quanto spiriti, non sono degli Angeli: ma quando Dio li invia, essi diventano Angeli: il nome di Angelo è il nome del loro ministero, e non quello della loro natura. Voi domandate il nome che devono alla loro natura: essi sono spiriti; voi chiedete il nome che devono al loro ministero, essi sono degli Angeli: spiriti perché tali sono, Angeli per ciò che fanno. (S. Agost.). – Nel senso allegorico, Dio fa scelta di uomini spirituali per farne suoi Angeli, messaggeri e predicatori della sua parola, e ne fa fiamme ardenti, cioè uomini ferventi, per farne suoi ministri. (S. Prosp). – Ogni ministro di Dio, di spirito fervente, è dunque una fiamma ardente. Stefano non era ardente? Di qual fuoco bruciava? E qual fuoco non era egli stesso quando lo lapidavano ed egli pregava per coloro che lo lapidavano? (Act. VII, 59), (S. Agost.). – Gli Angeli, le creature più eccellenti uscite dalla mano di Dio, e sono anche le più pronte ad eseguire i suoi ordini, le più ferventi nel compiere i propri doveri che Egli impone loro. – Dunque, il merito più grande delle creature, è conformarsi alle volontà del Creatore (Berthier).

II. — 6-25.

ff. 6-9. – La terra è sostenuta dalla mano di Dio, essa non ha altri fondamenti se non la parola divina, altri appoggi se non la sua immutabile volontà. Essa si bilancia armoniosamente nello spazio; mirabili leggi di equilibrio la sostengono, senza appoggio apparente, nell’immensità. – Applicare a queste parole a questa terra sarebbe, io temo, entrare in una via senza uscita; perché, come dire che essa non sarà inclinata nei secoli dei secoli? … io comprendo dunque qui la Chiesa. Qual l’indistruttibile appoggio sul quale essa riposa, se non è il fondamento sul quale riposa, se non è il fondamento che essa ha ricevuto. Qual è il fondamento? « Nessuno, dice l’Apostolo, può porre altro fondamento che quello che è stato posto, il quale è il Cristo Gesù (I Cor. III, 11). È dunque in Lui che noi abbiamo un indistruttibile appoggio, e siccome siamo fondati su di Lui, non saremo ribaltati nei secoli dei secoli, perché nulla è più solido di questo fondamento. » (S. Agost.) – L’abisso copriva la terra fino al giorno in cui la voce del Signore gli comandò di riempire le cavità, ed allora apparvero le montagne e le vallate. Quale saggezza ha fatto sorgere le montagne dalle viscere della terra, e create le valle che ondulano ai loro piedi? Vedete, da un lato, queste montagne che servono alla terra da struttura portante, che sono per esse ciò che sono le ossa per il corpo umano, e che nascondono nelle nubi le loro cime innevate da neve eterna; ed ai loro piedi le valli fertili che riuniscono a migliaia nei loro contorni opulenti gli uomini che nutrono, durante i secoli, la loro inesauribile fecondità. – Le montagne e le vallate occupano il luogo che Dio loro ha fissato, eccellente figura della Chiesa, dove ogni fedele deve tenersi nella condizione in cui Dio l’ha posto, che sia elevato in onore come una montagna, o abbassato e modesto come una vallata. « Voi avete alle acque dei limiti che non lasceranno. » L’immensità del mare, che sembra in ogni istante minacciare le sue rive e che le rispetta sempre, manifesta principalmente all’uomo la potenza di Dio: «  Chi ha chiuso tra due porte il mare, quando erompeva uscendo dal seno materno, quando lo circondavo di nubi per veste e per fasce di caligine folta? Poi gli ho fissato un limite e gli ho messo chiavistello e porte e ho detto: « Fin qui giungerai e non oltre e qui s’infrangerà l’orgoglio delle tue onde » (Giob. XXXVIII, 8-12). – Imitiamo dunque le acque del mare, ci dice S. Ambrogio: Dio comanda alle acque di assemblarsi, ed esse si raccolgono; Egli dà lo stesso comando agli uomini ed essi non obbediscono. Imitiamo queste acque, e come esse si riuniscono per non essere che un unico mare, allo stesso modo, mediante una santa unione, non formiamo che una sola Chiesa. (Hexam. III, 1). – Regola inviolabile stabilita dalla Chiesa è conservare il deposito sacro della tradizione, di non oltrepassare i limiti antichi posti dai nostri padri (Prov. XXII, 28), ed evitare le novità profane che una falsa scienza cerca di introdurre tra i fedeli.

ff. 10-12. – Le cime dei monti coperte di neve e di ghiaccio diventano inesauribili riserve; i fiumi ed i ruscelli scorrono dalle loro riserve aeree; le fontane si formano e le acque vi sgorgano perpetuamente, per bagnare e fecondare la terra. I cieli diffondono le loro acque sulle montagne, questa acque scorrono e scendono fino a fondo valle: « Signore, Voi conducete le fontane nelle vallate, e fate scorrere le acque tra le montagne. » Le acque sgorgano dalle montagne, dice San Gregorio, perché le verità divine abbandonano gli spiriti superbi, ma l’acqua fluisce nelle vallate, perché gli umili ricevono volentieri la predicazione del Vangelo (Homél. Sur l’Ev.). – Le colline e le montagne sono come i rigonfiamenti della terra; le vallate e le pianure sono gli abbassamenti; non disprezzate questi abbassamenti; è di la che sgorgano le sorgenti (S. Agost,). – Acque materiali che abbeverano gli animali dei campi, figura delle acque celesti delle divine Scritture che dissetano coloro che sono santamente assetati. Che queste acque scorrano in mezzo alle montagne e passino; ma nel passare, beviamo di queste acque nella nostra strada perché la sete non ci faccia perire durante il cammino (S. Agost.). È sulle montagne che gli uccelli del cielo abiteranno. Ci sono certi uccelli che non abitano se non in montagna. Questo nome rappresenta certe anime spirituali. Gli uccelli del cielo sono le anime spirituali che volano nell’aria in piena libertà; questi uccelli si beano della sicurezza del cielo; pur tuttavia il loro nutrimento è sulle montagne, è là che essi abitano … Le montagne sono i profeti, gli Apostoli, tutti i predicatori di verità. Ogni uomo che vuole essere spirituale deve abitare queste montagne, e non seguire gli errori del proprio cuore; che si abitino e vi si portino volando. (S. Agost.). – Santi solitari, illustri penitenti che si ritirano in mezzo alle rocce, dove innalzano la loro voce, i loro sospiri ed i loro lamenti, che sono ascoltati da Dio, e che predicano la penitenza con la voce del loro esempio. (Duguet).

ff. 13-15. – « Voi bagnate le montagne di acque che cadono dall’alto. » Indipendentemente dai fiumi che bagnano le vallate, Dio spande le piogge del cielo per rinfrescare e fecondare i luoghi più elevati, e così la terra bagnata in ogni luogo, produce il nutrimento di tutto ciò che vive. (Bellarm.). – Queste montagne, nell’ordine della grazia, sono le figure delle anime elevate, che sono bagnate per prime dalle acque celesti che cadono dall’alto e le diffondono poi alla anime meno perfette ancora legate alla terra (Dug.). – Questa rugiada del cielo, riposandosi sulle montagne per discendere poi nelle valli in ruscelli abbondanti che li coprono di fertili messi, simbolo dell’effusione dei beni del cielo sui pontefici e sui sacerdoti del Signore, e mediante loro, sui popoli affidati alla oro sollecitudine. – Mirabile provvidenza di Dio che provvede abbondantemente al nutrimento degli animali, e condanna l’impazienza e l’inquietudine delle cure per le quali i Cristiani sono troppo sovente agitati. Dio produce l’erba, i legumi, le vivande che servono all’uso dell’uomo. La sua provvidenza è impegnata a fornire all’uomo il necessario, ma non le delizie della vita (Dug.). – Dio e non l’uomo, è l’autore di tutto ciò che la terra produce, benché l’uomo sia obbligato, per rendere fertile la terra a lavorarla, a seminarla, a piantare la vigna e gli alberi ed a potarli. È Dio, perché è Lui solo che dà il sole e la pioggia, la fecondità alla terra e la forza alle braccia dell’uomo; Egli potrebbe fare tutto immediatamente e senza  le cause seconde, e queste nulla potrebbero senza di Lui (Belarm.). – Noi non possiamo che ammirare questa saggezza provvidenziale di Dio, che fa produrre alla terra la vigna, dalla quale esce il vino che rallegra il cuore dell’uomo; l’olio che spande la gioia sul suo volto; il frumento soprattutto che sostiene le sue forze indebolite e che, come il più necessario all’uomo ci è dato con inesauribile munificenza. – Esso è un pane uscito dalla terra, benché disceso dal cielo: è Gesù-Cristo, Figlio di Dio nell’eternità e Figlio dell’uomo nei tempi, pane divino, corpo adorabile di Gesù-Cristo, che nutre non i corpi ma l’anima. La santa Scrittura nomina spesso insieme i due simboli eucaristici, il frumento ed il vino. Quando Isacco benedice Giacobbe che è la figura del Salvatore, esclama: « Che Dio ti conceda l’abbondanza del frumento e del vino. » (Gen. XXVII, 8). – Il vero Giacobbe, che è Gesù-Cristo, ha ricevuto in effetti, questa abbondanza di vino e frumento, ed egli lo ha sparso sui nostri altari. Quando Mosè annunzia al suo popolo che sarà stabilito nella terra promessa, « Dio vi ha fatto entrare, egli dice, perché si nutra del midollo del frumento e beva il sangue più puro dell’uva. » (Deuteron. XXVII, 14). E nella Chiesa, ogni giorno il popolo cristiano si nutre del fior del frumento divino e si disseta col sangue della vera vigna. Dove trovare in effetti il pane che fortifica ed il vino che rallegra, se non nella terra della vostra Chiesa, o mio Dio, ai piedi del Tabernacolo? – Il salmista dice qui che il vino rallegra il cuore dell’uomo ed allora: « date del vino a coloro che hanno il cuore triste. » (Prov. XXXI, 6). Questa verità dell’ordine naturale sussiste malgrado gli abusi della perversione umana, ed è una delle ragioni per le quali Gesù-Cristo ha preso il frutto della vigna per stabilire il Sacramento del suo amore, perché il vino, dice S. Tommaso, conviene meravigliosamente per esprimere l’effetto dell’Eucaristia, che è la gioia spirituale. – Si, c’è del vino che rallegra veramente il cuore e non sa che rallegrare il cuore. Ma, per timore che non pensiate che si tratti di un vino spirituale, ma vero, e di un pane ordinario, il Profeta spiega che questo pane è ugualmente spirituale. «Ed il pane – egli dice – fortifica il cuore dell’uomo. » Interpretate dunque questo pane come interpretate questo vino. (S. Agost.). – Nel frumento c’è il sostegno necessario, nel vino c’è il coraggio, la forza, la gioia, l’ubriacatura spirituale, il trasporto dell’anima di cui le effusioni erano figura nei sacrifici. « Con il vino, noi sacrifichiamo a Dio la gioia sensibile e la cambiamo nella santa gioia che ci dà il sangue inebriante e trasportante di Gesù-Cristo, che ispira l’amore che lo ha fatto versare. » (Bossuet, Méd. sur l’Ev.).

ff. 16-18. – Un uomo pieno di Dio, come era Davide, trova Dio in tutti gli oggetti che si presentano ai suoi occhi. Egli considera tutti gli alberi della campagna ed i cedri del Libano, non solo come opere della mano di Dio che li ha piantati, ma come essendo nutriti incessantemente per effetto di questa divina Provvidenza che, spandendo la pioggia sulla terra, disseta, per così dire, questi alberi con l’abbondanza della linfa e dei succhi che vi producono. (Dug.). – Provvidenza ammirabile, questa, di Dio che, senza il soccorso di nessun uomo, fa nascere, crescere questi grandi alberi che ci forniscono così inesauribili materiali per le nostre opere, e dove gli uccelli, grandi e piccoli, trovano un rifugio sicuro, e che prepara, sulle cime inaccessibili delle montagne, un riparo agli animali che l’uomo non potrebbe asservire ai suoi bisogni! Quale varietà di personaggi su questo gran teatro della natura, di cui il profeta sta per descrivere la magnificenza! « Voi guidate le fontane nelle valli e fate scorrere le acque tra le montagne. » Le montagne sono i grandi predicatori della parola, gli angeli sublimi di Dio. Essi sono elevati, non per forza propria, ma per grazia di Dio; essi sono delle vallate che ricevono umilmente le fonti. Ora, dice il Profeta, « Le acque discenderanno in mezzo alle montagne; » Cioè le predicazioni della parola di verità passeranno in mezzo agli Apostoli. Che significa in mezzo agli Apostoli? Chi dice in mezzo, dice “in comune”. Un « bene comune, »  del quali tutti vivono egualmente, è in mezzo a tutti; esso non mi appartiene in proprio, non appartiene personalmente né a voi né a me … Ascoltate come le acque scenderanno dalle montagne. Essi avevano in comune la stessa fede e nessuno di essi possedeva le acque come sua particolare proprietà. Se, in effetti, queste acque non sono in mezzo a tutti, esse diventano come una proprietà privata: io ho la mia, un altro la sua, ciò che io ho o un altro ha, non è in mezzo a noi, ma tale predicazione non sarà pacifica. Ascoltate ciò che diceva una montagna per fare scorrere le acque in mezzo alle montagne: « Che Dio vi doni di essere uniti nei sentimenti gli uni con gli altri. » (Rom. XV, 5). « Abbiate tutti i medesimi sentimenti e non vi siano divisioni tra voi. » (I Cor, I, 10). Ciò che io sento voi lo sentite; l’acqua scorre in mezzo a noi, io non ho niente che mi sia proprio, e voi non abbiate nulla che vi sia proprio. Che la verità non sia né mia proprietà, né vostra, affinché essa appartenga ugualmente a voi e a me … Discendendo le acque in mezzo alle montagne, non si avrà, sul soggetto delle acque, nessuna discordia tra le montagne, ma la pace che nasce da un comune accordo e l’unione della carità. Se qualcuno ebbe a predicare altra cosa, ebbe a predicare del suo proprio fondo e non del fondo comune a tutti … perché queste acque colino in voi, siate delle valli e mettete in comune tutto ciò che ricevete da Dio. Che le acque scorrano in mezzo a voi, … non le inviate a nessuno; bevete, saziatevi, e quando sarete sazi, fate scorrere queste acque spirituali. Che l’acqua data a tutti da Dio sia dappertutto glorificata, e non le menzogne particolari degli uomini (S. Agost.). – Dove scorrono le acque di preferenza? È nelle valli. Chi non vede che i torrenti che scendono con impetuosità dalle montagne, non si arrestano sui loro fianchi, ma cercano di scorrere nelle umili vallate. Così Dio resiste ai superbi e non è che agli umili che dona la sua grazia … così è nelle vallate che di preferenza piantiamo; è nelle vallate che la terra è grassa e feconda; è la che le piante crescono e si elevano, che le spighe si riempiono, chele messi producono il centuplo secondo queste altre parole del salmista (Ps. LXVI): « La vallate strariperanno di frumento ». così dappertutto la Scrittura fa l’elogio delle valli, dappertutto raccomanda l’umiltà (S. Bern. Serm. de S. Bened.). – « La cima delle montagne appartiene ai cervi. » I cervi sono i grandi, gli uomini spirituali che attraversano di corsa le spine dei cespugli e delle foreste. « Dio ha reso i miei piedi leggeri come quelli dei servi », dice il Profeta e mi stabilirà sulle alture (Ps. XVII, 34). Quelli che abitano sulla cima delle montagne, coloro che osservano i precetti più elevati, che meditano i misteri più sublimi, che salgono fino alle sommità delle scritture, e che si sacrificano in queste alte regioni, perché la cima delle montagne appartiene ai cervi. Ma che diventeranno gli animali più umili, le lepre debole e paurosa, il riccio coperto di spine, emblema del peccatore? Perché colui che pecca ogni giorno, anche se i peccati non sono i più gravi, è coperto di piccole spine, non può dunque elevarsi alla perfezione? Che mai? Questi uomini periranno? No. « … La pietra è il rifugio dei ricci. »  (S. Agost.). La pietra è dunque utile dappertutto ed a tutti: essa offre un rifugio al riccio, immagine del peccatore; essa serve di asilo alla colomba che rappresenta l’anima fedele; essa serve di base alla montagna, di cui i cervi occupano la sommità. Più siamo docili ai Comandamenti di Dio, più troveremo la nostra felicità ed il nostro riposo nel nasconderci e seppellirci nella più profonda cavità della pietra. 

ff. 19-23. La stessa saggezza provvidenziale di Dio elargisce all’uomo la successione del giorno e della notte. « Voi avete fatto la luna per discernere i tempi: avete insegnato al sole l’ora del suo tramonto; siete Voi che avete creato le tenebre da cui si forma la notte. » Dio ha fatto dunque la luna per il tempo che gli appartiene, la notte; il sole ha così conosciuto il suo tempo, il giorno, ed il tempo che deve lasciare alle tenebre tramontando. Ma il sole sorge e la Provvidenza ha voluto che tutti gli animali carnivori si rintanassero nelle loro caverne, per lasciare all’uomo ogni facilità onde portarsi ai suoi lavori ed alla coltura della terra. Ora, la notte è stata data alle bestie feroci, perché è il tempo delle insidie; il giorno all’uomo, come animale ragionevole; li insidie e le violenze gli sono state evitate. Egli deve vivere del lavoro legittimo delle sue mani (Bellarm.). – L’uomo è dunque il re del giorno, il sovrano del mondo e per diritto di nascita, e per diritto di natura. – Tutti coloro che cercano la loro vita nelle tenebre con gli inganni, con la furberia, con il furto, con la morte, invertono l’ordine della divina Provvidenza. « Egli ha diffuso le tenebre ed è venuta notte: è allora che le bestie delle foreste scivolano nell’ombra. » I leoncelli ruggiscono dietro la loro preda, sono cioè i tentatori dei quali si serve il demonio per cercare di divorarci. Essi non hanno indubbiamente che il potere determinato che è stato loro dato, ecco perché il salmista aggiunge: « Essi cercano il nutrimento che Dio ha loro destinato. » In questa notte del mondo, sì feconda di pericoli e piena di tentazioni, chi non viene preso dal timore, chi non trenerebbe fin nel midollo delle ossa, per paura di meritare di essere gettato in preda alla voracità di un nemico sì crudele? (S. Agost.). Il giorno è fatto per il riposo delle bestie feroci e per il lavoro dell’uomo; la notte è per il nostro riposo … è pertanto uno sconvolgimento ed un disordine fare, come molti fanno, del giorno la notte, e della notte il giorno (Dug.). – Le tenebre materiali, sono la figura delle spesse tenebre che, in un altro ordine di cose, l’eresia e l’empietà diffondono nel mondo. – Dio permette talvolta, in effetti, per punire le nazioni, che l’ateismo, l’empietà e gli errori più funesti, stendano su di quelle la loro ombra malefica, le ricoprano delle tenebre più spesse. Con il favore di questa profonda e spaventosa notte, tutti questi mostri indegni del nome di uomini, somiglianti essi stessi a bestie inferocite, delle quali invidiano la sorte e che sorpassano in ferocia, escono in folla dai ripari in cui si nascondono: simili a leoni affamati, essi si lanciano ruggendo sulla società per divorarla come una preda. Ma, Signore, prima che si siano saziati di carne, fate sorgere di nuovo il sole, fate brillare attorno ad essi la luce della Religione e della verità che essi credono spenta; spaventati nel rivedere il giorno, fuggano e si rintanino nelle loro caverne. L’umanità rientra allora nei suoi diritti, l’uomo dabbene riappare con fiducia, l’ordine rinasce e tutte le cose riprendono il loro corso (Maccart., Crime de l’incréd.).

ff. 24. – Dappertutto dunque appare, nelle opere della creazione, una saggezza divina, la sola capace di ordinare così perfettamente un così immenso insieme, di contenere una varietà così infinita in una unità tanto assoluta; in una parola di reggere con leggi così potenti e meravigliosamente appropriate, degli esseri così numerosi, così diversi ed in apparenza tanto opposti. « Quanto grandi e magnifiche, Signore, sono le vostre opere. » Questo è il grido di ammirazione che fa scaturire dall’anima la vista di queste grandi scene della natura. « Signore, Voi avete fatto tutto con saggezza. » Tutto ciò che Dio ha fatto, lo ha fatto nella sua saggezza, e lo ha fatto per la sua saggezza, e la saggezza di Dio è il suo Verbo eterno (S. Agost.). – La terra è piena dei beni di Dio, e quanti uomini tuttavia mormorano contro la Provvidenza e non hanno mai compreso che tutti i beni che sono nel mondo sono di Dio solo, e tutti i mali dei quali ci si lamenta, o non provengono da Lui, o sono beni previsti della sua saggezza, e che infine per ogni uomo che segue le luci della ragione e della fede, tutti i mali diventano dei beni. (Berthier).

III. 25 – 30

ff. 25, 26. – A questo quadro dell’immensità dei cieli, succede quello dell’immensità dei mari. Questo vasto mare, pieno di pesci di ogni specie e di ogni grandezza, che si trovano là tutti insieme, senza divisione, senza alcuna barriera che possa proteggere i piccoli contro i grandi, è stata concepita evidentemente su un altro piano diverso dalla terra, come nel mare non crescono né frutti, né grano, né altre piante nutritizie, e non si può dubitare che Dio non abbia voluto dare i piccoli pesci in preda ai grandi e che abbia acconsentito a che i piccoli si facciano una guerra continua e si divorino gli uni gli altri. Ma la sua Provvidenza ammirabile ha previsto nello stesso tempo, per la conservazione delle specie, una incredibile fecondità che non ha alcuna proporzione con la fecondità degli animali della terra e dell’aria. – « Un mare vaso e spazioso in cui i rettili abbondano. » Mare terribile, ci dice S. Agostino. In effetti in questa vita del secolo, le insidie ci circondano da ogni parte, e se non stiamo in guardia ci circonvengono facilmente. Chi dirà il numero delle tentazioni che strisciano come i rettili? Non lasciate che si impadroniscano di noi! (S. Agost.). – Confessiamolo, il cuore dell’uomo decaduto è come un campo in cui i rovi e le spine sono il prodotto naturale e spontaneo; là c’è il ricettacolo di tutti i mostri: « illic reptilia quorum non est numerus. » Io parlo dello stesso giusto: egli ha le sue ore cattive, in cui gli istinti perversi rialzano la testa, ove le più deplorevoli ispirazioni germinano nel suo cuore, in cui le blasfemie non so per quali gioie o per quale odio satanico vengono ad attraversare il suo spirito e talvolta a sfiorare la sua volontà (Mgr. Pie, ton. VII p.44). – La falsa coscienza è mare profondo ed orribile del quale si può ben dire che racchiuda rettili senza numero. Perché i rettili? Perché, come il rettile si insinua e striscia sottilmente, così il peccato scivola come impercettibilmente in una coscienza in cui sono entrati la passione e l’errore. E perché rettili senza numero? Perché, così come il mare, con una prodigiosa fecondità, è abbondante di rettili, di cui produce specie innumerevoli, e di ogni specie un numero infinito, così la coscienza erronea è feconda in ogni sorta di peccati che nascono da essa e si moltiplicano in essa. (S. Bern.). –  Altra figura della grandezza di Dio, è questo mostro marino, questa grande balena, che si diverte con il mare quando più è furiosa. – Questo dragone, nostro vecchio nemico, infiammato di furore e pieno di inganno nelle insidie che tende, è in mezzo al gran mare. « Là è il dragone che Voi avete fatto per servire da giocattolo ». Che il dragone sia al presente un vostro giocattolo, poiché quando è divenuto dragone, non ha altra sorte: decaduto per il suo peccato, dall’alto dei cieli dove dimorava, da Angelo divenuto demone, è stato relegato in questo grande e vasto mare. Voi credete che questo sia il suo regno, la sua passione. Molti in effetti dicono: perché il demone ha ricevuto un sì grande potere col quale domina questo mondo, ed è così forte e potente? Cos’è dunque la sua forza e la sua potenza? Egli non può niente se non ne abbia ricevuto il permesso. Vivete dunque nel modo che non gli sia permesso nulla contro di voi, o che, se gli è permesso di tentarvi, sia vinto e messo in fuga. (S. Agost.).

ff. 27-30. – Dio solo è padrone della vita, e solo Egli la dispensa a tutti gli esseri; solo, Egli, Creatore e vivificatore perpetuo del mondo, sostiene tutto con la parola della sua potenza, impedendo agli esseri di ricadere nel loro niente; se Egli apre la sua mano e ne lascia cadere gli alimenti, tutti vivono; se Egli volge lo sguardo e rifiuta ciò che sostiene la vita, tutti decadono e tornano nella polvere. – Ciò che è vero nell’ordine naturale, lo è infinitamente più nell’ordine della grazia. – Un Cristiano deve riconoscere che non può raccogliere se non quando Dio gli comunicherà i suoi doni, e che, se Dio ritira da lui il suo spirito, egli cadrà ben presto nella decadenza e tornerà nella polvere del suo niente e nella corruzione del suo peccato (Dug.). – « Voi inviate il vostro spirito e saranno nuovamente creati. » Voi toglierete il loro spirito ed invierete loro il vostro. « … Voi toglierete il loro spirito; » essi non avranno più il loro spirito. Li abbandonerete dunque? No, voi manderete il vostro Spirito ed essi saranno creati di nuovo, « … e rinnoverete la faccia della terra; » e la popolerete di uomini nuovi, che confesseranno che sono stati giustificati e che non sono giusti da se stessi, affinché la grazia di Dio sia in essi. (S. Agost.).

IV. – 31-35.

ff. 31-35. – Il Profeta conclude questa magnifica numerazione dei prodigi del Signore sulla terra, nell’aria, nel cielo e nel mare, perché forma l’oggetto della prima domanda dell’orazione domenicale: « … sia santificato il tuo nome. » – « Che la gloria del Signore resti in eterno », non la vostra gloria, non la mia, non la gloria di tale o talaltro uomo. « Che la gloria del Signore, duri non per un tempo, ma per l’eternità. » (S. Agost.). – « Il Signore gioirà nelle sue opere. » A Dio solo appartiene gloriarsi delle sue opere, perché Lui solo fa opere perfette. All’inizio del mondo , « … Dio vide le cose che aveva fatto, ed esse erano molto buone, non solo ciascuna in se stessa, ma ancora e soprattutto nel rapporto che esse hanno le une con le altre, e con questa armonia e questa proporzione che le unisce totalmente insieme così da cospirare tutte al medesimo fine. » – « Il Signore gioirà nelle sue opere, » non nelle vostre opere, come se esse fossero vostre: perché se le vostre opere sono cattive, son fatte dalla vostra iniquità, se esse sono buone sono fatte dalla Grazia di Dio. (S. Agost.). – Tale è la potenza di Dio sulle creature, che al suo solo apparire la terra trema, al solo suo contatto, le montagne vacillano. – O terra, tu trionfi della tua bontà, ti attribuisci le forze della tua opulenza, ecco che il Signore ti guarda, … tu trema! Che Egli ti guardi e ti faccia tremare: meglio è il tremare con umiltà che il vanto dell’orgoglio. « Se Dio guarda la terra, la fa tremare, se tocca le montagne, ne fa uscire fumo. »  Le montagne erano orgogliose, si vantavano, Dio non le aveva toccate; Egli le tocca e ne fa uscire del fumo. Che cos’è questa fumata? È la preghiera offerta a Dio che le alte montagne, orgogliose della loro grandezza, non si degnano di indirizzare a Lui, (S. Agost.). –  1° Noi dobbiamo cantare dei cantici e dei salmi in onore di Dio; è ciò a cui ci esorta il Re-Profeta in un gran numero di questi salmi. È dai salmi religiosi che S. Agostino fu convertito e reso a Dio; è con gli inni sacri che Sant’Ambrogio ricondusse e mantenne in popolo cristiano nella vera fede; è con i santi cantici che San Crisostomo pose ostacolo ai progressi dell’eresia ariana. 2° Noi dobbiamo cantare questi cantici durante tutta la nostra vita: « Io canterò finché vivrò. » Confessate Dio prima della morte, perché i morti non lodano più utilmente il Signore, confessate Dio durante la vostra vita, confessatelo nella vostra forza e nella gloria; confessate Dio e glorificatelo nelle sue misericordie. » (Eccli. XVII, 20, 27). 3° Noi dobbiamo lodare Dio con il canto dei salmi: « Io canterò dei salmi in onore del mio Dio finché vivrò. » Davide è per noi un dolce compagno di viaggio, mentre percorriamo le strade varie di questa vita; – per come si adatta bene a tutte le età spirituali della nostra esistenza; – per come è in rapporto con tutti i gradi di perfezione ai quali noi possiamo elevarci in questa vita. Non c’è nessuna parte e nessuna circostanza della vita umana per la quale egli non riservi i suoi doni ed i suoi benefici. (S. Greg. di Nissa, Or. in Christ. Ascen.). 4° Noi dobbiamo cantare i suoi cantici santi con dolcezza e soavità. « Che la mia preghiera sia dolce al suo cuore. » 5° Infine, bisogna cantare questi divini salmi in maniera da trovarvi noi stessi del fascino, della dolcezza, della gioia. « Per me, io metterò la mia gioia nel Signore. » Ora, i Santi trovano la loro gioia nel Signore, intrattenendosi con Lui mediante l’intelletto, i santi desideri della volontà, esponendo i propri desideri interiori, rendendogli grazie per i suoi benefici, sedendosi alla sua tavola e prendendo parte al suo divino banchetto, dimorando sempre con Lui con l’unione stretta del loro spirito e del loro cuore. – « Io canterò tutta la mia vita al Signore. » Cosa canterà? Tutto ciò che è Dio, sarà l’oggetto dei suoi canti. Cantiamo tutta la nostra vita a gloria del Signore. La nostra vita attuale non è che speranza, la nostra vita a venire sarà l’eternità. La vita della vita mortale non è che una speranza, la nostra vita a venire sarà l’eternità. La vita della vita mortale è la speranza della vita immortale. « Io canterò al mio Dio finché vivrò; » e poiché io vivrò in Lui senza fine, finché io vivrò, io canterò al Signore. E quando avremo cominciato a cantare nella Città santa, non crediamo che dovremo fare altra cosa: tutta la nostra vita sarà un cantare a gloria di Dio (S. Agost.). – Vogliamo che le nostre parole, le nostre preghiere gli siano gradite? Facciamo in modo che le nostre opere siano loro conformi. Dio vuole essere onorato con le preghiere che escono dalla bocca, ma ancor più con quelle che escono dal cuore. – Cantare le sue lodi è un’occupazione santissima, dal momento che la vita le canta a suo modo (Dug.). – Zelo dei Santi che fa loro ardentemente desiderare che i peccatori, lontani dall’onorare Dio, e che lo disonorano con la sregolatezza dei propri costumi, cessino di essere peccatori e si convertano, o che siano cancellati da sopra la terra per non più insozzarla con la corruzione della loro vita. (Dug.).

SALMI BIBLICI: ” BENEDIC, ANIMA MEA, DOMINO, … ET OMNIA” (CII)

SALMO 102:“BENEDIC, ANIMA MEA, DOMINO, … et omnia”

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS.

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

[Canonico titolare della Chiesa di Soissons, Professore emerito di Scrittura santa e sacra Eloquenza]

TOME DEUXIÈME.

PARIS

LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR 13, RUE DELAMMIE, 1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

Salmo 102

Ipsi David.

[1] Benedic, anima mea, Domino, et omnia

quæ intra me sunt nomini sancto ejus.

[2] Benedic, anima mea, Domino, et noli oblivisci omnes retributiones ejus;

[3] qui propitiatur omnibus iniquitatibus tuis, qui sanat omnes infirmitates tuas;

[4] qui redimit de interitu vitam tuam, qui coronat te in misericordia et miserationibus;

[5] qui replet in bonis desiderium tuum: renovabitur ut aquilæ juventus tua.

[6] Faciens misericordias Dominus, et judicium omnibus injuriam patientibus.

[7] Notas fecit vias suas Moysi, filiis Israel voluntates suas.

[8] Miserator et misericors Dominus, longanimis, et multum misericors.

[9] Non in perpetuum irascetur, neque in aeternum comminabitur.

[10] Non secundum peccata nostra fecit nobis, neque secundum iniquitates nostras retribuit nobis.

[11] Quoniam secundum altitudinem cœli a terra, corroboravit misericordiam suam super timentes se;

[12] quantum distat ortus ab occidente, longe fecit a nobis iniquitates nostras.

[13] Quomodo miseretur pater filiorum, misertus est Dominus timentibus se.

[14] Quoniam ipse cognovit figmentum nostrum; recordatus est quoniam pulvis sumus.

[15] Homo, sicut fænum dies ejus; tamquam flos agri, sic efflorebit:

[16] quoniam spiritus pertransibit in illo, et non subsistet: et non cognoscet amplius locum suum.

[17] Misericordia autem Domini ab œterno, et usque in aeternum super timentes eum. Et justitia illius in filios filiorum,

[18] his qui servant testamentum ejus, et memores sunt mandatorum ipsius ad faciendum ea.

[19] Dominus in cælo paravit sedem suam, et regnum ipsius omnibus dominabitur.

[20] Benedicite Domino, omnes angeli ejus, potentes virtute, facientes verbum illius, ad audiendam vocem sermonum ejus.

[21] Benedicite Domino, omnes virtutes ejus, ministri ejus, qui facitis voluntatem ejus.

[22] Benedicite Domino, omnia opera ejus, in omni loco dominationis ejus. Benedic, anima mea, Domino.

[Vecchio Testamento Secondo la Volgata Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

SALMO CII.

Gli ineffabili beneficii di Dio (opera di sua misericordia) con quei che lo temono; beneficii che qui cominciano, e in cielo si compiono. Impotente il profeta a ringraziarne Dio, invita a lodarlo e ringraziarlo gli angioli e le creature tutte.

Dello stesso David.

1.Benedici, o anima mia, il Signore, e tutte le mie interiora (benedicano) il nome santo di lui; e non volere scordarti di alcuno de’ suoi benefizi.

3. Egli che perdona tutte le tue iniquità, che tutte sana le tue infermità.

4. Che riscatta la tua vita da morte ; e di misericordia ti circonda e di grazie.

5. Che sazia co’ beni suoi il tuo desiderio: si rinnovellerà come aquila la tua giovinezza. (1)

6. Il Signore fa misericordia, e fa ragione a tutti que’ che soffrono ingiuria;

7. Fe’ conoscere le sue vie a Mosè, le sue volontadi ai figliuoli d’Israele.

8. Il Signore misericordioso e benigno; paziente e misericordioso grandemente.

9. Non sarà irato per sempre, e non minaccerà eternamente.

10. Non ha fatto a noi secondo i nostri peccati, ne ci ha dato retribuzione secondo le nostre iniquità.

11. Imperocché, quanto è alto il cielo dalla terra, tanto egli ha fatta grande la sua misericordia verso di quei che lo temono.

12.Quanto è lontano l’Oriente dall’Occidente, tanto egli ha rimosso da noi i nostri peccati.

13. Come un padre ha compassione de’ figliuoli, cosi il Signore ha avuto compassione di quei che lo temono, perché egli conosce di che siamo formati.

14. Si è ricordato che noi siam polvere; i giorni dell’uomo son come l’erba; egli sboccerà come il fiore del campo.

15. Imperocché lo spirito sarà in lui di passaggio, ed ei più non sarà; e non discernerà più il luogo dov’era.

16. Ma la misericordia del Signore ab eterno, e fino in eterno sopra coloro che lo temono.

17. E la giustizia di lui sopra i figliuoli de’ figliuoli di quelli che mantengono la sua alleanza.

18. E dei comandamenti di lui si ricordano per adempirli.

19. Il Signore ha preparato in cielo il suo trono, e al regno di lui tutti saranno soggetti.

20. Benedite il Signore voi tutti, o Angeli di lui, possenti in virtù, esecutori di sua parola, obbedienti alla voce de’ suoi comandi.

21. Benedite il Signore, voi schiere di lui tutte quante; ministri di lui, che fate la sua volontà.

22. Voi opere di Dio, quante siete in qualunque luogo del suo impero, benedite il Signore; benedici il Signore, o anima mia.

(1). La giovinezza del popolo è il tempo della sua uscita dall’Egitto; al ritorno della seconda cattività, esso riprenderà forza e vigore come all’uscita dalla prima. – Con giustezza lo stato di natura nel quale l’uomo è privato della grazia soprannaturale, è comparato ai tempi della muta dell’aquila; così come lo stato soprannaturale dell’uomo rigenerato, è paragonato ai tempi in cui l’aquila riprende le sue piume, (Isai. XL, 31); e ci si esprime alla stessa maniera: con coloro che sperano in Jehovah, ringiovaniscono le loro risorse, rinnovano le loro piume come l’aquila (D’Alliom.).

Sommario analitico

Questo salmo, uno dei più belli, è per eccellenza il cantico delle misericordie del Signore. Esso svolge un’unzione deliziosa che ritempra l’anima della sua virtù e la rinnova con la sua gioia. Il Profeta, mettendo in luce le due grandi grazie della giustificazione e della glorificazione dei peccatori, si eccita alla lode, a ringraziare Dio per un sì grande beneficio (La composizione di questo salmo, secondo i moderni esegeti, deve essere ricondotta ai tempi che seguirono il ritorno dall’esilio; essi ne danno come indicazione e come prova i numerosi caldeismi (vv. 3, 4, 5), e le locuzioni che appartengono evidentemente ad uno stile più moderno. Soltanto – essi dicono – questo salmo è stato composto ad imitazione di quelli di Davide, di cui contengono numerosi frammenti – vv. 8, 10. È in tal senso che occorre spiegare l’iscrizione ebraica che l’attribuisce a Davide.

I. – Il salmista invita la sua anima a benedire il Signore, dal quale derivano, come dalla loro sorgente, queste due grazie; occorre far appello a tutte le potenze della propria anima, ed in particolare alla memoria, perché essi non dimentichino mai i benefici di Dio (1, 2)

II. – Egli, per eccitare maggiormente la sua riconoscenza, espone la grandezza dei beni ricevuti:

1° nella giustificazione: – a) il perdono di tutti i propri peccati; – b) la guarigione di tutte le proprie infermità (3); – c) la grazia della perseveranza, che gli impedisce di ripiombare nel peccato e nella morte (4);

2° nella glorificazione, di cui enumera i tre principali effetti: – a) la corona eterna che dà il giusto Giudice, ma che dobbiamo alle grazie che ci attira la sua misericordia; – b) il compimento di tutti i miei desideri; – c) le qualità gloriose che rinnoveranno i nostri corpi (5).

III. – Il Profeta indica le due sorgenti di questi benefici:

1° L’una che viene da Dio, cioè la sua misericordia, – a) che protegge i giusti nell’afflizione (6); – b) li illumina e li guida sulla via della salvezza, come ha guidato Mosè conducendo gli Israeliti nella terra promessa (7); – c) si esercita non una volta soltanto, ma in ogni circostanza, con una grande pazienza ed una grande longanimità (8); – d) appaga la giusta ira eccitata dai nostri peccati (9); e) che anche quando punisce, lo fa con bontà molto maggiore di quanto non meritino i nostri peccati;

2° L’altra che viene da noi, cioè il timore di Dio, e che è la seconda sorgente delle grazie divine: – a) all’inizio della conversione, essa rischiara i peccatori con una luce celeste  e mette in fuga le tenebre del peccato (11, 12); – b) proseguendo la conversione, Dio preserva con la sua misericordia paterna da ogni ricaduta i peccatori convertiti che ne temono; misericordia questa, loro necessaria: 1° a causa della natura dei nostri corpi composti di fango (13); 2) perché questo corpo che si corrompe, appesantisce l’anima (14, 15). – c) Alla fine Dio sostiene con la sua misericordia coloro che lo temono, per renderli eternamente felici (16), così come i loro discendenti se restano fedeli osservanti della sua legge (17, 18).

IV – Il Profeta, considerandosi incapace di rendere a Dio delle degne azioni di grazie, invita tutte le creature a supplire ciò che a lui manca:

1° Egli ammira e riverisce il Signore come un re la cui opera è al di sopra di ogni altra opera (19).

2° Invita gli Angeli a lodarlo, a benedirlo, a) a causa della potenza di cui li ha rivestiti (20), b) perché sono suoi ambasciatori e ministri (21);

3° Eccita tutte le creature ad associarsi alle sue lodi (22).

Spiegazioni e Considerazioni

ff. 1, 2. – Quante verità sono racchiuse in questi due primi versetti! Noi dobbiamo benedire e lodare Dio, perché è il nostro Signore e sovrano Padrone, ed a causa della sua santità. È la nostre anima che deve compiere questo dovere, e noi dobbiamo applicarci con tutte le nostre facoltà: l’intelligenza, la volontà, la memoria senza dimenticare mai alcuno dei suoi benefici. – « Dio è spirito, e coloro che lo adorano devono adorarlo in spirito e verità. » (Giov. IV, 23). – Il Profeta non si rivolge a ciò che è dentro il nostro corpo; io non penso che egli inviti le parti interne della nostra carne a fare udire la propria voce per benedire il Signore … i suoni della voce esteriore non si rivolgono che alle orecchie degli uomini. Dio ha delle orecchie ed il nostro cuore la sua voce. L’uomo si rivolge alle potenze interne del suo cuore perché benedicano il Signore, e dice loro: « Tutto ciò che è dentro di me, benedica il suo santo Nome. » Chiedetevi cosa c’è dentro di voi? È la vostra anima. Ciò che ha detto il Profeta: « O anima mia, benedici il Signore », è dunque la stessa cosa di quanto segue: « e che tutto ciò che è dentro di me benedica il suo santo Nome. » Il verbo benedire è sottinteso nel testo. Fate dunque sentire la vostra voce, se è un uomo che vi ascolta; quanto alla parola della vostra anima, essa non può mai mancare di essere ascoltata. Così mentre parole di benedizione escono dalla nostra bocca, noi cantiamo questo versetto del salmo: « Anima mia, benedici il Signore, e ciò che è in me benedica il suo santo Nome. » Noi abbiamo cantato anche per tutto il tempo conveniente  e abbiamo taciuto; dopo questo momento l’interno della nostra anima ha dovuto tacere e cessare di lodare il Signore? Che la nostra voce taccia o canti alternativamente secondo i momenti, ma che la parola della nostra anima non sia mai interrotta. Quando vi riunite nella chiesa per cantarvi degli inni, la vostra voce fa sentire le voci di Dio; voi li avete celebrati secondo il vostro potere, e vi siete ritirati; che la vostra anima faccia risuonare le lodi di Dio. Voi vi occupate di qualche affare, che la vostra anima lodi il Signore, voi prendete i vostri pasti, ascoltate ciò che dice l’Apostolo: « sia che mangiate, sia che beviate, fate tutto a gloria del Signore » (I Cor. X, 31). Io oso dirlo: quando dormite, che la vostra anima benedica il Signore. Non siate risvegliati al pensiero del male; non siate risvegliati da qualche patto di corruzione. La vostra innocenza, anche quando dormite, è la voce della vostra anima. – « La mia anima benedica il Signore, e tutto ciò che è in me, benedica il suo santo Nome » . Chi è colui che può così comandare alle sue facoltà interiori di benedire il Nome del Signore, se non colui che comanda da padrone ai pensieri che escono dall’intimo del suo spirito? Tra questi pensieri, gli uni sono cattivi, gli altri sono buoni. Colui dunque le cui facoltà interiori sono prossime a benedire il santo Nome di Dio, può in tutta confidenza invitare la sua anima a rendere a Dio le sue azioni di grazie.  (S. BAS., in Is. proph., cap. XXVI.). – Per benedire sempre il Signore, non dimenticate tutto ciò che vi ha reso. Se voi lo dimenticate, resterete silenzioso davanti a Lui. Ma voi non potete avere davanti agli occhi tutto ciò che il Signore vi ha reso quando vi fossero anche dei peccati. Non abbiate quindi davanti agli occhi il piacere che vi ha procurato il vostro peccato passato, bensì la condanna meritata a causa di questo peccato. La condanna viene da voi, la remissione viene da Dio. « Non dimenticate mai, dice il Profeta, tutto ciò che vi ha reso », non dato, ma “ reso”. Ogni altra cosa vi era dovuta ed il Signore vi ha reso ciò che non vi era dovuto. Ecco perché il Profeta dice: « Cosa renderò al Signore per tutto ciò che mi ha reso ? » (Ps. CXV, 12). Egli non dice « per ciò che mi ha dato , ma « per ciò che mi ha reso ». Voi gli avete reso il male per il bene; egli vi ha reso il bene per il male (S. Agost.).

II. — 3-5.

ff. 3, 4. – « È Lui che guarisce tutti i vostri languori. » Dopo la remissione dei vostri peccati, ecco un corpo portate pieno di infermità; è inevitabile che i desideri della carne che si levano in voi, ed i piaceri illeciti che vi suggeriscono vengono dal vostro stato di languore. Perché in voi si trascina ancora la debolezza della carne; la morte non è ancora assorbita nella vittoria; ciò che c’è in voi di corruttibile non è stato ancora rivestita di incorruttibilità (I Cor. XV, 53, 54). La vostra anima stessa, dopo che il peccato è stato rimesso, è ancora agitata da certe turbe; essa è ancora circondata dai pericoli delle tentazioni; ci sono ancora suggestioni dalle quali essa è attratta come ve ne sono delle altre che sono per essa senza attrazione, e talvolta dà il consenso a qualche suggestione che gli piace e si lascia sorprendere,. È là lo stato di languore, ma « … Dio guarisce tutti i languori. » Quando tutti i languori saranno guariti, siate senza timore. Essi sono grandi, voi direte; ma il Medico è più grande di esse. Per un Medico onnipotente, non ci sono languori incurabili; lasciate voi solo guarire, non respingete la mano del Medico; Egli sa cosa deve fare. Non vi rallegrate solo quando vi parla dolcemente, ma sopportatelo quando opera con il ferro in mano, sopportate il dolore del rimedio pensando alla salute che vi renderà. Vedete, fratelli, quali dolori sopportano gli uomini nelle malattie del corpo, per prolungare la loro vita di qualche giorno e poi morire, ed ancora questi pochi giorni sono incerti? … voi almeno, non soffrite per un incerto risultato: Colui che vi ha promesso la salute non può ingannarsi. Talvolta il medico si sbaglia, promettendo al malato la salute del corpo. Perché si sbaglia? Perché egli non ha creato questo corpo che cura. Ma Dio ha fatto il vostro corpo, Dio ha fatto la vostra anima: Egli sa come creare di nuovo ciò che ha già creato una volta, Egli sa come rifare ciò che ha fatto. Affidatevi  solo alle mani di questo Medico celeste, perché Egli odia colui che respinge il suo soccorso (S. Agost.). – Il peccato produce sei funesti effetti nella nostra anima: 1° ci rende nemici di Dio; 2° indebolisce e debilita tutte le forze della nostra anima; 3° rende l’uomo schiavo del demonio e della morte; 4° priva della corona del cielo; 5° lo spoglia di tutte le virtù e di tutti i beni della grazia; 6° per l’effetto deplorevole di abitudini colpevoli ed inveterate, riduce il peccatore ad una vecchiaia prematura. Ora, Dio, ispirando al peccatore i sentimenti di una vera penitenza, fa sparire tutti questi effetti del peccato: 1° lo riconcilia con Lui e lo reintegra nella sua amicizia; 2° guarisce tutte le sue piaghe, e lo riveste di una forza divina; 3° lo riscatta con il suo sangue dalla tirannia del demonio e dalla schiavitù del peccato e della morte; 4° gli rende i suoi diritti alla corona incorruttibile della gloria dei cieli; 5° gli rende tutte le ricchezze spirituali e fa rivivere tutti i meriti che aveva perso, pegno dei beni eterni che gli riserva; 6° lo trasforma in un uomo nuovo tanto in questa vita che nell’altra. – « … è Lui che guarisce ogni languore ». Quanti peccati abbiamo commesso, tanti languori ed infermità attaccano l’anima (S. Gir.). Quali sono questi languori? Sono le cupidigie malvagie, i desideri carnali, l’attaccamento a tutte le vanità del mondo; questi sono i languori che la misericordia di Dio guarisce in voi facendo di questo corpo di morte un corpo di vita, che Egli corona nelle sue bontà e nella sua misericordia. (S. Prosper). –  Non soltanto Dio ci rimette i nostri peccati, ma guarisce anche queste malattie dell’anima, questi mortali e perniciosi languori, queste concupiscenze dell’orgoglio, della carne e degli occhi, che sono restate in noi come la radice del peccato, infermità morali che Dio guarisce successivamente su questa terra, ma che non spariranno mai se non nell’altra vita. (S. Girol., S. Prosper.) – Il medico di tutte queste infermità è Gesù, Medico che ci ama: « Io guarirò le loro ferite, perché Io lo amo di vero amore, » (Osea, XIV, 5); Medico pieno di sollecitudine, che è sceso fino a noi, si è reso infermo per assicurare la nostra guarigione; Medico generoso che non risparmia nessun rimedio utile a guarirci; Medico paziente che sopporta i capricci, le imperfezioni, le infermità dei suoi malati (Isai. LIII, 4); Medico potente: tutto ciò che gli fa pietà lo salva; tutto ciò che si lamenta, lo guarisce: « Guaritemi, Signore, ed io sarò guarito per sempre; liberateci ed io sarò salvato » (Gerem. XVII, 14); Medico prudente e, quando necessario, severo; infine Medico universale. Qual peccato, noi pensiamo, non potrà essere rimesso, dacché il Signore è propizio in tutte le nostre iniquità? Quale languore, quale infermità non potrà Egli guarire, dacché il Signore guarisce tutti i nostri languori? Bisogna quindi rimandare a Caino colui che oserà dire: le mia iniquità è troppo grande perché possa essere rimessa; le mie infermità ed i miei languori troppo forti perché possano essere guariti (S. Fulgenzio, Ep. 7).

ff. 5. – Davide passa dai benefici della grazia a quelli della gloria. È Dio che, con Gesù Cristo, ci ha riscattato dalla morte dell’anima, dal peccato; dalla morte del corpo che è la sequela e la punizione del peccato, per trasportarci con Lui nella vita eterna. – Dio ci corona in questa vita con la vittoria che ci dà sul mondo, la carne e il demonio, secondo le parole di San Paolo: « Grazie a Dio che ci fa sempre trionfare in Gesù-Cristo » (II Cor. II, 14). – Egli ci corona ancora rendendo le nostre anime sue figlie, sue spose, eredi del suo regno eterno. « Voi siete – dice San Pietro – una razza scelta, sacerdozio regale. » (1 Piet. II). – L’anima riconciliata può dire con il Profeta Isaia: « Io mi rallegro nel Signore, la mia anima sarà rapita dalla gioia, il mio Dio mi ha preparato degli abiti di salvezza. Mi ha preparato la giustizia come sposa abbellita dalla sua corona, come sposa brillante di pietre. » (Is. LI, 10). – Egli ci corona soprattutto con una corona di gloria in cielo, corona che è nello stesso tempo corona di misericordia e corona di giustizia; corona di giustizia perché è data ai meriti; corona di misericordia perché non c’è alcun merito possibile senza la grazia, e che sia la prima grazia, quella della vocazione, quella della giustificazione, sia l’ultima grazia, quella della perseveranza finale, sono l’opera della sovrana misericordia di Dio. San Paolo la chiama una corona di giustizia che gli sarà resa dal giusto Giudice, (I Tim., IV, 8); ma egli riconosce che è pire una corona di misericordia quando proclama ad alta voce  che non è lui che fa il bene, ma la grazia di Dio con lui (I Cor., XV, 10). – Voi lottate, questo è evidente, e sarete coronati perché sarete vincitori; ma vedete chi per primo ha riportato la vittoria, e vi rende vincitore dopo di Lui: « Io ho vinto il mondo, dice il Signore, abbiate fiducia. » (Giov. XVI, 33). Quale ragione c’è di non aver fiducia, dacché Egli ha vinto il mondo? E non lo avremmo vinto noi stessi? Si, noi lo abbiamo vinto: vinto in noi stessi, noi trionfiamo il Lui. Egli vi corona dunque, perché Egli corona i suoi stessi doni e non i vostri meriti. (S. Agost.). – Ora voi sentite parlare di beni, e aspirate ad essi; voi sentite parlare di beni, e poi li sospirate e forse, quando peccate, siete ingannati dalla vostra alacrità nello scegliere tra questi beni; voi vi rendete colpevoli per non ascoltare il buon consiglio di Dio su ciò che dovete disprezzare o scegliere, e forse anche negligere di sapere, se non vi siate ingannati nella scelta del bene. Tutte le volte che peccate, voi cercate una sorta di bene, cercate una sorta di refezione interiore. Le cose che cercate sono forse buone, ma diverranno cattive per voi se abbandonate Colui che le ha fatte buone. O anima, cercate il vostro bene. Il bene di un altro è diverso dal vostro, e tutte le creature hanno un bene che le è proprio, nella conservazione della loro integrità e nella perfezione della loro natura; importa a tutti gli esseri imperfetti acquisire ciò che sia necessario alla propria perfezione. O anima, cercate il vostro bene. Ora, « nessuno è buono se non Dio. » (Matth. XIX, 17). Il Bene sovrano è il vostro bene. Che manca dunque a colui il cui sovrano Bene è il bene? Ci sono beni inferiori che sono buoni per altri esseri …sono tutti là i beni che cercate? Voi che siete legati al Cristo, qual piacere trovate ad essere compagno degli animali? Levate la vostra speranza fino a Colui che è il Bene dei beni (S. Agost.). – La comparazione del rinnovamento dell’uomo giustificato, e a maggior ragione glorificato, con il rinnovamento della giovinezza dell’aquila, è fondata sul fatto che l’aquila, tra tutti gli uccelli, ha gli occhi più penetranti, che costruisce il suo nido sui luoghi più elevati, che nel suo volo tiene sempre una direzione retta, che ha grande cura dei suoi piccoli, e che è l’immagine imperfetta dei giusti che, con gli occhi della fede, penetrano fino in cielo, vi stabiliscono fin da ora la loro dimora, hanno sempre un nuovo vigore, si levano sulle ali, come l’aquila, nel più alto dei cieli volano e non cadono mai nella debolezza. Come si rinnovano queste aquile? Con il rinnovo delle loro piumaggio, dice san Girolamo, affilando le loro unghie smusse, limando contro la pietra la lunghezza troppo grande del loro becco che impedisce di mangiare – dice S. Agostino – fissando i loro occhi sul sole per dare loro nuova forza. È a questa santa novità di vita alla quale ci invita fin da ora il grande Apostolo in più passi delle sue epistole: « Rinnovatevi all’interno dell’anima vostra. » (Ephes. IV, 23). « Benché in noi l’uomo esteriore si distrugga, nondimeno l’interiore si rinnova di giorno in giorni » (I Cor., IV, 16). « Spogliatevi dell’uomo vecchio e delle sue opere, e rivestitevi di questo uomo nuovo che per la conoscenza della verità, si rinnova secondo l’immagine di Colui che lo ha creato. » (Coloss., III, 9, 4). – « Se dunque alcuno è di Cristo, è una creatura nuova; il passato non è più, tutto è divenuto nuova creatura. » (II Cor., V, 47). –  È quel rinnovamento di vigore e di forza che predice il profeta Isaia: « … Colui che dà il vigore alle braccia indebolite, che riempie di forza i malati, ». L’adolescenza si consuma nei lavori, la giovinezza ha i suoi languori; ma coloro che sperano nel Signore avranno sempre un nuovo vigore; essi si leveranno sulle ali, come l’aquila; essi corrono e non cadranno mai affaticati (Isai. XL, 29-31). –  Nell’annunciarci che la nostra giovinezza si rinnoverà come quella dell’aquila, il Salmista ha profetizzato la grazia del Battesimo. L’aquila ringiovanisce in questo senso che, spogliandosi delle sue vecchie piume, si prepara delle penne nuove come di un rivestimento di gioventù, e sembra in effetti allora una giovane aquila, perché le sue ali, ancora inabili e senza esperienza, devono nuovamente, poco a poco, esercitarsi a volare. Allo stesso modo i nostri neofiti, quando si presentano al Battesimo, si spogliano della vetustà del peccato, e si rivestono di una santità nuova; essi sembrano rivivere ricevendo la grazia dell’immortalità. Come l’aquila ridiventa aquilotto, i neofiti ridiventano bambini … tuttavia notiamo che il Salmista non dice: la vostra giovinezza si rinnoverà come quelle delle aquile, ma come quella dell’aquila, perché non si tratta che di una sola aquila, quella la cui giovinezza si rinnova in noi, Gesù-Cristo Nostro Signore che, in effetti si è ringiovanito come l’aquila, nel giorno glorioso della sua Resurrezione (S. Ambr., Serm. in alb.). – In Gesù-Cristo solo noi possiamo ritrovare una giovinezza immortale, e Lui solo anche può donare alla nostra giovinezza l’appoggio e la forza di cui ha bisogno. Similmente all’aquila che, secondo la comparazione della Scrittura (Deut. XXXII, 11), spinge i suoi piccoli a volare, vola sopra di essi, stende su di essi le sue ali e li trasporta sulle sue spalle; Gesù vola sopra di noi, ricordandoci i suoi insegnamenti e le virtù sublimi; stende su di noi le sue ali quando fa sentire al nostro cuore il dolce calore del suo amore, e ci trasporta sulle sue spalle divine quando appoggiandoci su di esse, andremo a riposare nel soggiorno della gloria.    

III. — 6-18.

ff. 6, 7. – Fonte di tutti questi beni, sono la misericordia di Dio e non i nostri meriti. Non succede sempre che Dio in questa vita faccia giustizia a coloro che sono oppressi e punisca coloro che li opprimono; Egli tempera solo la violenza che si scatena contro di essi, attendendo che si faccia piena giustizia nell’ultimo giorno. – Questo è un effetto della misericordia di Dio e della protezione sui giusti di questa vita quando gli piace: Mosè ed i figli di Israele liberati dalle mani del faraone. (Dug.)

ff. 8-12. – « I Signore è pieno di tenerezza, etc. » Questi diversi nomi dati qui a Dio e con tanta verità, devono ispirare a coloro che hanno il cuore retto, una viva fiducia in Dio; la parola ebraica tradotta con “miserator”, che significa amare teneramente con il fondo delle viscere, esprime che Dio ha per noi un sentimento di tenerezza tutta paterna; la parola tradotta con “misericors” esprime la liberalità di Dio e l’abbondanza dei beni dei quali ci ricolma; la parola tradotta con “longanimis” esprime questa pazienza di Dio nel sopportarci, pazienza più grande di quella dei padri e delle madri nel sopportare i difetti, le mancanze e l’ingratitudine dei loro figli; la parola “multum misericors” significa questa suprema misericordia che ci chiama ad essere uguali agli Angeli e divenire figli di Dio, vedendolo come essi lo vedono, con la visione intuitiva (Bellarm.). – « Il Signore è pieno di longanimità, di estrema misericordia. » (Ps. CII, 8). Dove trovare tanta longanimità? Dove trovare tale abbondante misericordia? L’uomo pecca e non finisce di vivere; i suoi peccati si accumulano e la sua vita si prolunga. Tutti i giorni il Nome di Dio è bestemmiato, e Dio fa sorgere il sole sui buoni e sui cattivi. (Matth., V, 45). Da ogni canto ci richiama ad una vita migliore; da ogni parte ci richiama alla penitenza: Egli ci richiama con i benefici della creazione, ci richiama lasciandoci in vita, ci richiama con colui che legge le Scritture, con il predicatore che le spiega, ci richiama con i nostri pensieri interiori, ci richiama con i suoi “reprimenda” ed i suoi castighi, ci richiama con la dolcezza delle sue consolazioni, « Egli è pieno di longanimità e di misericordia. », ma badate bene di non abusare della longanimità e della misericordia divina, di ammassare su di voi, come dice l’Apostolo, un tesoro di collera per il giorno dell’ira (S. Agost.). – La collera e le minacce di Dio non sono eterne nei riguardi di coloro che Egli ama e che l’onorano essi stessi con un sentimento di filiale tenerezza; è lo sviluppo del primo attributo di Dio, di cui il Profeta ha parlato nel versetto precedente. – Sono quegli stessi termini con i quali Dio diceva al suo popolo per bocca del profeta Isaia: « Per un breve istante ti ho abbandonata, ma ti riprenderò con immenso amore. In un impeto di collera ti ho nascosto per un poco il mio volto; ma con affetto perenne ho avuto pietà di te, dice il tuo redentore, il Signore. » – Nei tre seguenti versetti, egli sviluppa il secondo Nome dato a Dio, il Nome di misericordioso. Invece di darci ciò che meritano i nostri peccati – e cosa merita il peccato se non la morte? (Rom. VIII) – invece del castigo Egli ci ha fatto dei doni: quelli della vita della grazia e la promessa dell’eternità. Il salmista ci mostra quanto questa misericordia sia reale nei benefici di cui ci ricolma e nei mali che allontana da noi, comparandola  a ciò che c’è di più reale e di più grande, la distanza che separa il cielo e la terra, e quella che separa l’Occidente dall’Oriente; misericordia tanto più elevata al di sopra dei nostri pensieri quanto più il cielo è elevato al di sopra della terra; ma questa misericordia non è che per coloro che lo temono. (Bellarm.). – 1° Il Salmista ci fa vedere qui la grandezza della misericordia divina: « Quanto i cieli sono elevati sopra la terra, etc. ». La misericordia di Dio è come i suoi pensieri: « I miei pensieri non sono i vostri pensieri, le mie vie non sono le vostre vie, dice il Signore. » – « Quanto i cieli sono elevati sopra la terra, tanto le mie vie ed i miei pensieri sono sopra i vostri pensieri. » (Isai. LV, 8, 9.). L’influenza della misericordia di Dio su di noi è qui comparata alla benigna influenza dei cieli sulla terra: come il cielo copre la terra e diffonde sull’uomo, nel tempo favorevole, i benefici di cui ha bisogno, tanto irrorando la terra con piogge fecondanti, sia elargendo una stagione dolce e benigna, sia temperando e purificando l’aria con dei venti favorevoli, così la misericordia del Signore sa proporzionare i suoi benefici ai bisogni della nostra fragilità. (Cassiod. In hunc Psalm.). – 2° La misericordia di Dio è forte, costante e stabile: « Egli ha fortificato, affermato la sua misericordia su coloro che lo temono. » – 3° La misericordia di Dio è nello stesso tempo pura e purificante: « Egli ha allontanato da noi le nostre iniquità. » « Chi è simile a Voi, o Dio che odiate l’iniquità, e che dimenticate i peccati del resto della vostra eredità? » (Michea, VII, 18). – 4° La misericordia di Dio è equanime, costante e stabile e si stabilisce su coloro che temono Dio. – Dio ci governa con amore; se punisce, questo avviene dopo tradimenti ripetuti, ed allora anche la sua giustizia mutua i tratti della sua misericordia, al punto che possiamo appena distinguere il castigo dall’amore. Egli perdona con una facilità senza eguali, fino a compromettere, per così dire la sua dignità reale con l’uso liberale con cui fa la sua prerogativa di grazia; il suo perdono non raggiunge i rigori dell’inchiesta o l’onta della convinzione, Egli accorda senza dirlo, senza farne mostra, senza avvertircene, senza riservarsi il merito dell’indulgenza, senza anche, come nel Battesimo e per i peccati dimenticati, che noi abbiamo coscienza della nostra colpevolezza; spesso Egli perdona prima che l’offesa sia completa; noi pecchiamo a metà, sicuri che saremo perdonati; … non ci tratta Egli secondo quanto meritano i nostri peccati, non ci ha reso secondo le nostre iniquità (FABER, Le Créât, et la créât., 168.)

ff. 13. – Dio è nostro padre, e noi siamo i suoi figli prediletti; figli pigri e prodighi, indegni di essere ancora chiamati suoi figli, e tuttavia suoi eredi, sempre oggetti della tenerezza paterna più prodiga. Quale madre ha mai vegliato sulla culla il suo primogenito con la sollecitudine che Egli ha per noi? Qual padre ha mai condiviso le pene dei suoi figli come ha fatto Dio, ed ha con loro abbondato dei suoi tesori senza imporre il minimo carico alla loro riconoscenza? Qual amore paterno resta un vero amore, punendo raramente con una mano tanto leggera ed una così forte ripugnanza? L’amore divino può forse giustificarsi con l’averci viziato con la sua indulgenza? Mai l’affezione di un padre ha forzato i suoi figli a piangere le proprie colpe lasciando loro vedere il danno che ne provocavano e raddoppiando le prove della sua tenerezza con la pazienza con la quale Dio ha cercato di toccare i nostri cuori induriti e a ricondurci umiliati, più di un amante, ai suoi piedi. Anche il rigore dei suoi castighi ci diventano cari, tanto li accompagna di favori e di nuove invenzioni del suo amore. O qual padre è Padre come Dio! (FABER, Le Créât, el la créât., 171). – Egli fa il duro quanto vuole, Egli è padre; ma Egli ci ha castigati, ci ha afflitto, ci ha annientati, Egli è padre … Figlio, se piangete, piangete con sottomissione a vostro padre; non lo fate con collera, non lo fate con il gonfiarvi di orgoglio. Questa sofferenza che vi fa piangere è un rimedio, non una pena; è una correzione e non una condanna (S. Agost.). – L’estraneo si limita ad una compassione tutta esteriore, tutta di parole, riguardo a colui che soffre; il nostro prossimo talvolta aggiungerà a questa compassione verbale quella che viene dal cuore; un amico non si contenterà di questa doppia compassione sterile, vi aggiungerà dei soccorsi affettivi; colui che ci è legato da legami di sangue, giungerà pure ad aiutarci di persona; ma un padre manifesta tutta insieme la tenera compassione con le sue parole, i suoi sentimenti, i suoi atti, considera le sofferenze di suo figlio come proprie, vorrebbe redimerle con il proprio sangue se non potesse liberalo che a questo prezzo. È ciò che letteralmente fa Dio col mistero dell’Incarnazione e della Redenzione (Valentia).

ff. 14-16. – Noi non siamo soltanto limo, fango, perché il limo e il fango hanno ancora una certa consistenza che li fa resistere agli sforzi del vento, ma noi siamo più fragili, più inconsistenti del fango della strada, siamo una polvere lieve che il vento più leggero solleva e disperde. – Dio si è ricordato nella sua misericordia che l’uomo non è che polvere, e l’uomo non vuole ricordarsene. – Dio sa che, essendo stato tratto dal niente, noi tendiamo sempre verso il niente; e l’uomo non sa, o non vuol sapere, questa bassezza della sua origine. – Dio sa e vuole che noi sappiamo che questo corpo, formato di fango e di polvere, asservisce, appesantisce la nostra anima ed impedisce ad essa di elevarsi verso il cielo, e noi non cessiamo di aggiungerne altro, con una vita molle e sensuale, a questo sudditanza, a questa oppressione della nostra anima. – Dio sa infine e vuole che noi sappiamo che appassiamo come i fiori dei campi, non facciamo alcuna attenzione a questa brevità dei nostri giorni, e viviamo come se dovessimo essere eterni su questa terra. – Qual grande insegnamento ha voluto darci la divina Sapienza, stendendo ogni anno sotto i nostri passi queste praterie verdi e fiorite che non hanno mai cessato, fin dal giorno della creazione, di mostrare ai nostri occhi il loro tappeto erboso ed i mille piccoli fiori che lo tempestano? È questa – risponde S. Ambrogio – una immagine della vita umana ed un simbolo suggestivo della condizione della nostra natura. Essa figura la bellezza della carne. Lo splendore di questa bellezza appare sublime agli occhi carnali, e come il tappeto delle nostre praterie, non è tuttavia che una piccola erba; fiorisce presto, e sfiorisce ancora più rapidamente. Essa presenta tutte le apparenze di una vegetazione lussureggiante e piena di vita, ma è senza durata e non porta alcun frutto (S. Ambr. Hex. I). – Si può comparare al fiore, tutto lo splendore umano: ricchezza, potenza, onore, bellezza. Una casa, una famiglia intera si diffonde come il fiore. Quanto dura questo splendore? Molti anni, voi dite. Questo tempo vi sembra lungo, ma è breve davanti a Dio. Lo splendore dell’uomo passa come il fiore del fieno (S. Agost.). –  c’è là una perdita assoluta, c’è una morte completa. Ecco l’uomo che si gonfia di orgoglio, ecco l’uomo tutto pieno di vanità, ecco l’uomo che si eleva con tutta la sua fierezza! « Un soffio passerà su di lui e non se ne conoscerà più il luogo ove era ». Vedete morire ogni giorno qualcuno di questi superbi: ecco tutto ciò che sarà di essi, ecco quale sarà la loro fine. (S. Agost.). – « Quando un soffio passerà su essa, essa non sussisterà più ». Si riconosce ancor meglio il luogo che hanno occupato i fiori e le erbe della campagna di quanto si conosca il soggiorno in cui hanno abitato la maggior parte degli uomini. I fiori e le erbe gettano la loro semenza nello stesso luogo, ed al ritorno della primavera, li si vede in qualche modo rinascere. Se vi sono delle montagne, delle praterie, delle campagne che sono abitate nello stesso stato, almeno dopo il diluvio, ci si può assicurare che le stesse erbe e le stesse piante vi si sono perpetuate. Ma chi può dire ciò che siano divenuti gli antichi popoli? Chi può assicurare che i Persiani, i Greci ed i Romani di oggi discendano dalle nazioni che altre volte hanno portato questo nome? Non si sa che si sono fatti rimescolii senza numero? Chi può mostrare i palazzi che hanno abitato i padroni del mondo da tremila anni? Dove sono le spoglie mortali di questi uomini così potenti? Si conservano le tombe di alcuni che sono vissuti nei secoli meno lontani da noi; ma se le si aprono cosa si troverà? Forse della cenere, o qualche resto di ornamenti di metalli più duraturi di essi. Non è dunque il soffio dell’eternità dell’Altissimo che è passato su questi dei della terra, e che li ha resi come un nulla? O uomo – esclamava Sant’Agostino – spiegando questo versetto, pensate dunque a voi, abbassate il vostro orgoglio, meditate sulla vostra polvere. Se sperate qualcosa di meglio, voi non l’otterrete che per la grazia di Colui che, essendo il Verbo di Dio, ha preso la vostra carne, per dare consistenza a questo fiore passeggero del quale vi glorificate sì malamente. (Berthier).

ff. 17, 18. – A questa nativa fragilità dell’uomo, a questa brevità, a questo niente dei suoi giorni, il Salmista oppone l’estensione della misericordia di Dio, che comincia nell’eternità con la predestinazione e si perpetua per tutta l’eternità con la gloria dei cieli. Dio, che non ha bisogno di noi, ci ama tanto per chiamarci dalla polvere, che è la nostra origine, ad una felicità eterna che non è altro che il possesso di Lui stesso. – Ed è molto una riconoscenza eterna per un tale beneficio? (Bellarm.). – Notate che queste parole sono ripetute tre volte in sei versetti: « Su coloro che lo temono. » Voi che non lo temete e che non siete che fieno, sarete gettato con il fieno e bruciati con il fieno. (S. Agost.). – Pura misericordia è che Dio, con la sua bontà, voglia chiamare una giustizia a nostro riguardo con la promessa che ha fatto ai suoi servi, verso i quali è voluto divenire come il debitore. « E chi si ricorda dei suoi precetti per compierli ». Già siete disposto ad elevarvi e forse a recitarmi il Salterio che non conosco a memoria, ed anche a ripetermi tutta la legge a memoria. Sicuramente voi potete avere più memoria di me, più memoria di un tal altro giusto, se il giusto non conosce la legge parola per parola. Ma iniziate prima a osservarne i precetti. Come dovete osservarli? Nella vostra vita e non nella vostra memoria. « Coloro che conservano nella loro memoria i suoi Comandamenti, non per recitarli, ma per praticarli. » (S. Agost.). – Colui che sa ciò che deve fare e non lo fa, è colpevole di peccato. » (Giac. IV, 17). – E si diceva, come paragone: prendere degli alimenti e non digerirli, è una cosa pericolosa. Gli alimenti non digeriti generano cattivi umori, e corrompono il corpo invece di nutrirlo. È così che una grande scienza, gettata nello stomaco dell’anima, che è la memoria, non digerita dal fuoco della carità, non porta e non diffonde succhi vivificanti in tutte le membra dell’anima, cioè in tutte le sue facoltà e nella condotta esteriore della vita. (S. BERN., Serm. XXXVI, in Cant.). – I santi Padri hanno moltiplicato le comparazioni per mostrare che la conoscenza delle Scritture, della legge di Dio, non serve assolutamente a niente, senza la fedeltà nell’osservarne i suoi precetti. È un tesoro inutile, è una sorgente ove non vi abbeverate, è una officina da cui non prendete nessuno dei rimedi che vi sono offerti (S. Chrys.); è una tavola carica di pietanze da cui non prendete nulla (Orig.); è un giardino magnifico dal quale non cogliete alcun fiore (S. Chrys.); è un campo di una fecondità ammirevole dal quale non raccogliete nessun frutto. (Cassiod.).

IV. — 19-22.

ff. 19-22. – Chi ha preparato il suo trono nel cielo se non il Cristo? Colui che è disceso sulla terra e che è risalito in cielo, che è morto e resuscitato, e che ha elevato al cielo l’uomo che Egli ha preso, il Cristo ha preparato il suo trono in cielo. Il cielo è la sede del Giudice; voi che mi ascoltate, notate che Egli ha preparato il suo trono nel cielo. Che ciascuno faccia sulla terra ciò che vorrà, il peccato non resterà impunito, la giustizia non sarà senza frutto, perché il Signore, che è stato esposto agli insulti davanti al tribunale di un uomo che lo giudicava, ha preparato il suo trono nel cielo (S. Agost.). – Angeli del Signore, che siete potenti per forza, e che obbedite alla sua parola; armate del Signore, voi che siete suoi ministri ed eseguite le sue volontà, a voi, a voi sta di benedire il Signore. – In effetti tutti coloro che vivono male, anche quando la loro lingua osserva il silenzio, maledicono il Signore con il disordine della loro vita. A che serve che la vostra lingua canti un inno, se la vostra vita esala il sacrilegio? Vivendo male, voi avete eccitato alla bestemmia un gran numero di lingue. La vostra lingua non canta alcun inno, ma le lingue di coloro che vi vedono, proferiscono bestemmie. Se dunque volete benedire il Signore, praticate la sua parola, praticate la sua volontà (S. Agost.). –  Il Profeta invita tutte le potenze del cielo, tutte le opere di Dio, cioè il firmamento e tutti gli immensi globi che racchiude, a benedire il Signore ed annunziare le sue grandezze. Ma queste creature non possono nulla senza di noi; prive di ragione e di sentimento, esse non hanno cuore per amare Dio, né intelligenza per comprenderlo: esse eseguono i suoi ordini senza conoscenza e libertà. L’uomo solo, nell’universo, può ammirare ed esaltare la saggezza che regna in queste magnifiche opere, prestare una voce a tutte queste opere di Dio e, come profetizza Daniele, riunirle in un immenso concerto per benedire l’Onnipotente (Dan. III, 57-90).

SALMI BIBLICI: “DOMINE EXAUDI ORATIONEM MEAM, ET CLAMOR MEUS” – (CI)

SALMO 101: “DOMINE, EXAUDI ORATIÓNEM MEAM, ET CLAMOR MEUS”

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS.

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

[Canonico titolare della Chiesa di Soissons, Professore emerito di Scrittura santa e sacra Eloquenza]

TOME DEUXIÈME.

PARIS

LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR 13, RUE DELAMMIE, 1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

Salmo 101

Oratio pauperis, cum anxius fuerit, et in conspectu Domini effuderit precem suam.

[1] Domine, exaudi orationem meam, et clamor meus ad te veniat.

[2] Non avertas faciem tuam a me; in quacumque die tribulor, inclina ad me aurem tuam; in quacumque die invocavero te, velociter exaudi me. Quia defecerunt sicut fumus dies mei, et ossa mea sicut cremium aruerunt.

[3] Percussus sum ut fœnum, et aruit cor meum, quia oblitus sum comedere panem meum.

[4] A voce gemitus mei adhæsit os meum carni meæ.

[5] Similis factus sum pellicano solitudinis; factus sum sicut nycticorax in domicilio.

[6] Vigilavi, et factus sum sicut passer solitarius in tecto.

[7] Tota die exprobrabant mihi inimici mei, et qui laudabant me adversum me jurabant:

[8] quia cinerem tamquam panem manducabam, et potum meum cum fletu miscebam;

[9] a facie iræ et indignationis tuæ, quia elevans allisisti me.

[10] Dies mei sicut umbra declinaverunt, et ego sicut fœnum arui.

[11] Tu autem, Domine, in æternum permanes, et memoriale tuum in generationem et generationem.

[12] Tu exsurgens misereberis Sion, quia tempus miserendi ejus, quia venit tempus;

[13] quoniam placuerunt servis tuis lapides ejus, et terræ ejus miserebuntur.

[14] Et timebunt gentes nomen tuum, Domine, et omnes reges terræ gloriam tuam;

[15] quia ædificavit Dominus Sion, et videbitur in gloria sua.

[16] Respexit in orationem humilium et non sprevit precem eorum.

[17] Scribantur hæc in generatione altera, et populus qui creabitur laudabit Dominum.

[18] Quia prospexit de excelso sancto suo, Dominus de caelo in terram aspexit;

[19] ut audiret gemitus compeditorum, ut solveret filios interemptorum;

[20] ut annuntient in Sion nomen Domini, et laudem ejus in Jerusalem,

[21] in conveniendo populos in unum, et reges ut serviant Domino.

[22] Respondit ei in via virtutis suae: Paucitatem dierum meorum nuntia mihi:

[23] ne revoces me in dimidio dierum meorum, in generationem et generationem anni tui.

[24] Initio tu, Domine, terram fundasti, et opera manuum tuarum sunt cœli.

[25] Ipsi peribunt, tu autem permanes; et omnes sicut vestimentum veterascent.

[26]Et sicut opertorium mutabis eos, et mutabuntur;

[27] tu autem idem ipse es, et anni tui non deficient.

[28] Filii servorum tuorum habitabunt; et semen eorum in sæculum dirigetur.

[Vecchio Testamento Secondo la Volgata Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

SALMO CI

Orazione che deve usare il povero angosciato, principalmente pei commessi peccati, che formano la maggior miseria, e che debbe effondersi al cospetto di Dio, supremo giudice e padre di tutti. É salmo penitenziale.

Orazione del povero che è in tribolazione, e spande la sua tribolazione dinanzi al Signore.

1. Signore, esaudisci la mia orazione, e a te giungano le mie grida.

2. Non rivolger da me la tua faccia: in ogni giorno di mia tribolazione dà udienza alle mie parole. In qualunque giorno io t’invochi, tu esaudiscimi prontamente.

3. Imperocché i giorni miei quasi fumo sono svaniti; e le ossa mie si sono inaridite come legno combustibile.

4. Sono appassito com’erba, e il mio cuore si è inaridito: perché mi sono scordato di mangiare il mio pane. (1)

5. Pel gridare e pel sospirare mi è rimasta attaccata alle ossa la mia carne.

6. Son divenuto simile al pellicano del deserto; son divenuto simile al corvo notturno nel suo tristo albergo.

7. Passai senza sonno le notti, e fui simile all’uccello, che solo si sta sopra i tetti.

8. Tutto dì mi facevan rimproveri i miei nemici; e quei che già mi lodavano, congiuravano contro di me.

9. Perché in luogo di pane da mangiare, io ebbi la cenere, e la mia bevanda mescolai colle lacrime, (2)

10. Al veder l’ira tua e la tua indignazione; perocché tu, innalzandomi, mi gettasti per terra. (3)

11. I miei giorni son passati com’ombra, e io come erba seccai.

12. Ma tu, o Signore, duri in eterno, e di generazione in generazione va la ricordanza di te.

13. Tu svegliato avrai pietà di Sionne. Perché il tempo di averne pietà, il tempo è venuto.

14. Imperocché le rovine di lei sono care ai tuoi servi e la polvere di lei ameranno. (4)

15. E le genti temeranno il nome tuo, o Signore, la tua gloria tutti i re della terra. (5)

16. Imperocché il Signore edificherà Sionne, ed ivi sarà veduto nella sua gloria.

17. Egli ha avuto riguardo all’orazione degli umili, e non ha disprezzata la loro preghiera.

18. Scrivansi queste cose per la generazione futura; e il popolo, che sarà creato, darà lode al Signore;

19. Perché egli ha mirato dal suo santo cielo: il Signore dal cielo ha mirato sopra la terra,

20. Per udire i gemiti di quo’ che sono nei ceppi, per dar libertà a’ figliuoli degli uccisi.

21. Affinché predichino il nome del Signore in Sionne e le lodi di lui in Gerusalemme,

22. Quando i popoli si riuniranno insieme, e i re, per servire al Signore.

23. Disse a lui l’uomo nel corso di sua vegeta età: Fammi inteso del piccol numero de’ miei giorni.

24. Non non mi richiamare alla metà de’ miei giorni. Gli anni tuoi sono eterni.

25. Tu da principio, o Signore, fondasti la terra, e opera delle mani tue sono i cieli.

26. Eglino periranno, ma tu sei immutabile; ed essi invecchieranno tutti come un vestito.

27. E come un mantello li cangerai, e saranno cangiati; ma tu sei quell’istesso, e gli anni tuoi non verran meno.

28. I figliuoli de’ servi tuoi avran ferma sede, e la loro posterità sarà stabilita pei secoli.

(1) In ebraico, la parola tradotta con cremium, significa « luogo in cui brilla qualcosa », il focolare, o la pietra del focolare. – Noi preferiamo, con San Girolamo e Columella, intendere rami secchi o facili da bruciare, di cui ci si serve per accendere il forno.

(2) La particella “quia” non ha rapporto con ciò che precede e la si può prendere per idea. – Cahen pensa che si tratti qui della cenere che dalla testa del Profeta cadeva sul pane. Ma si può dire con verosimiglianza che la cenere è intesa qui per “lutto”, perché nel lutto, si dimorava seduti sulla cenere.

(3) Voi mi avete elevato per precipitarmi dall’alto con una caduta più crudele.

(4) I vostri servi amino finanche le rovine, le pietre, la polvere nelle quali è ridotta una città a loro sì cara.

(5) Per la comprensione di questo versetto e dei seguenti bisogna ricordare che il ritorno dalla cattività è considerato come precursore della venuta del Messia, e la conversione di tutti i popoli al culto del vero Dio.

Sommario analitico

Questo salmo può essere considerato come una preghiera che Davide penitente indirizza al Cristo a nome del popolo giudaico, o che questo popolo, prigioniero a Babilonia, indirizza al Verbo, conduttore particolare del popolo di Dio, per ottenere il ristabilirsi di Gerusalemme (1)

 [(1) Secondo qualche esegeta moderno questo salmo potrebbe essere stato composto alla fine della cattività di Babilonia, perché l’autore suppone che Gerusalemme sia distrutta (vv. 15, 18, 21, 22), ed il tempo fissato dal ritorno dalla cattività secondo Geremia, prossimo ad arrivare (v. 14). Tuttavia lo stile risente della decadenza della lingua; esso è poco elevato, il parallelismo ricade sulle parole (vv. 18-20) (Le Hir.). Nulla c’è di più malinconico di questo salmo, tutte le immagini e le metafore traspirano tristezza e lutto. In effetti si tratta delle rovine di Sion, delle pietre disperse di Gerusalemme, dei dolori e dell’esilio del popolo prigioniero, del sangue dei martiri non vendicato, dei loro figli proscritti, dell’asservimento della patria, della gloria di Dio eclissata tra le nazioni, di questa gloria eclissata tra le nazioni, di questa gloria che i re stranieri devono adorare, che i barbari devono temere, di questa gloria i cui amati sono eterni. –  Questi pianti sublimi, questi slanci di speranza, queste suppliche piene di pentimento ed amore, hanno fatto annoverare questo salmo tra i salmi penitenziali].

I. – Il salmista chiede a Dio:

1° che sia esaudito e che la sua preghiera abbia accesso fino a Lui nei cieli (1).

2° Che Dio getti su di lui uno sguardo favorevole (2) .

3° Che sia prontamente esaudito in qualunque giorno preghi.

II.- Come motivo gli espone il triste stato in cui è ridotto:

1° la brevità della sua vita;

2° la mancanza assoluta di forza e di grazie (3, 4);

3° l’abbandono e la solitudine in cui si trova (6, 7);

4° l’odio degli uomini, sia dei nemici che degli amici (8, 9);

5° la giusta ira di Dio contro di lui (8, 10);

6° la sua morte vicina (11).

III. – Coltiva la speranza che Dio verrà in suo soccorso, perché Egli è eterno e fedele alle sue promesse (12), e vede in estasi il compiersi di questa promessa con l’incarnazione in cui Dio fa apparire:

1° della sua misericordia, discendendo dal suo trono sulla terra, ai tempi annunciati dai Profeti (13, 14);

2° della sua gloria che brilla negli omaggi che hanno reso a Gesù-Cristo i re ed i popoli (15);

3° della sua potenza nell’edificazione della Chiesa, lo splendore dei miracoli e la conversione dei popoli (10);

4° della sua bontà, nell’accoglienza favorevole fatta alla preghiera degli umili (17).

IV. – Mostra la gratitudine del popolo cristiano verso Gesù-Cristo, e la gloria di cui ricolma i suoi eletti nel cielo:

1° Davide desidera che l’Incarnazione di Gesù-Cristo e le meraviglie di cui è la sorgente, siano scritte dai Profeti e dagli Evangelisti; – a) egli fa vedere il frutto di questa predizione scritta, la gloria di Dio e di Gesù-Cristo per mezzo dei Cristiani (18); – b) la materia di questa lode, è la bontà di Dio, che getta una sguardo favorevole sugli infelici figli di Adamo (19), – presta orecchio ai loro lamenti, – li libera dai loro lacci (20), – li eccita a lodare il nome del Signore (21), – li riunisce in un santo concerto per servire Dio (22). 

2° Il profeta introduce il popolo, parlando egli stesso a Dio: – a) chiede a Dio di conoscere il termine così breve della vita umana (23); – b) chiede il tempo sufficiente per fare penitenza dei propri peccati (24).

3° Egli loda Dio a motivo della sua immutabilità e della sua eternità, che fa risaltare in opposizione con la mutabilità e la mortalità delle creature:  – a) Dio le ha tratti dal nulla per dare loro l’essere (25); – b) esse sono sottomesse all’alterazione, al cambiamento (20); – c) Dio, al contrario, resta eternamente lo stesso (27); – d) Dio rende i suoi servi partecipi della sua immutabilità e della sua felicità (28). 

Spiegazioni e Considerazioni

I. —1, 2.

ff. 1, 2. – Tutte le qualità della preghiera sono racchiuse in questi due versetti: 1° la necessità: l’uomo senza il soccorso di Dio, non può uscire dalla schiavitù del peccato e per le vie ordinarie della Provvidenza, il soccorso celeste non è accordato che alla preghiera; 2° l’umiltà, l’uomo peccatore sente la sua miseria e si presenta così davanti a Dio come un povero spoglio di ogni risorsa se Dio non lo rimira con occhio favorevole: 3° il fervore: le istanze che fa il profeta o coloro in nome dei quali parla, sono vive, reiterate più volte, e messe sotto tutti i giorni più propri a toccare il cuore di Dio; 4° la costanza: egli si impegna a pregare durante tutto il corso delle tribolazioni, e, in questa vita, la morte solo è il termine delle nostre miserie; 5° la confidenza: egli osa chiedere a Dio di rendersi attento, di non voltare il suo sguardo, di accelerare il momento della sua visita (Berthier). –  Queste istanze così pressanti sono naturali nella bocca di un uomo infelice, che vede il tempo sfuggitigli e che teme di cadere per sempre nell’abisso, se non viene prontamente soccorso (Bellarm.). – Le preghiere sono più toccanti ancora quando si elevano dal seno di una nazione che si sente deperire. – I ritardi sono funesti per noi: tutti i momenti costano la vita a diversi tra noi, e tutti coloro che periscono, periscono senza risorse. La maledizione che abbiamo preferito alla salvezza che ci veniva offerta, consuma e divora tutto il nostro popolo. Aspettate che non vi lasci né germe né speranza per farla cessare? Odiatela o vedrete dopo la nostra perdita. (Duguet).

II. — 3-11.

ff. 3. – Che significa: « In qualunque giorno sono nella tribolazione? » Non è presentemente nella tribolazione? Egli parla così come rappresentante dell’unità del corpo della Chiesa; se un solo membro soffre, tutti i membri sono partecipi delle sue sofferenze (I Cor. XII, 26). Voi soffrite oggi, io soffro come voi; un altro è afflitto domani, io sono afflitto con lui domani; dopo questa generazione, i discendenti dei discendenti sono nella tribolazione; io la condivido con essi, fino alla fine dei secoli; qual siano coloro che soffrono nel mio corpo, io sono con essi nella tribolazione (S. Agost.). 

ff. 4, 5. – « I miei giorni sono dissipati come il fumo. » Quali giorni? Se si possono chiamare dei giorni; perché parlando di giorni, si intende parlare di luce, mentre i miei giorni sono dissipati come il fumo. “I miei giorni”, la successione dei tempi. Perché “come il fumo”, « se non rappresentare gli slanci dell’orgoglio. » Vedete il fumo, immagine del fumo, immagine dell’orgoglio: esso sale, si gonfia e svanisce, si dissipa dunque e non dura. (S. Agost.). –  Questi giorni che rendevo i miei giorni, quelli delle mie passioni, passandoli nel peccato, sottraendoli alla volontà di Dio, sono svaniti come il fumo; sono trascorsi neri e tenebrosi come esso, senza lasciare traccia se non in un crudele e pungente rimorso. (Bellarm.) – Le potenze dell’anima che lo sostengono, come le ossa sostengono il corpo, perdono il loro vigore e l’unzione di grazia, bruciate come sono dall’ardore della concupiscenza. (Dug.). – « Io sono battuto come il fieno. » Gesù-Cristo ci ha detto che il fieno dei prati brilla al mattino e la sera non è buono se non per essere gettato nella fornace. » Ma se la tempesta dal mattino si è abbattuta sul prato, se la grandine ha distrutto lo stelo che sosteneva il fiore, se il fieno è stato colpito, non durerà neanche dal mattino fino a sera. – Diverse sono le cause di questa siccità che il profeta compara al fieno esposto agli ardori del sole: 1° i falsi piaceri, che gettano nel languore e nella siccità delle cose divine e degli esercizi di pietà; 2° la privazione del cuore delle acque celesti della grazia, che provengono dalla preghiera e dalla parola divina; 3° l’allontanamento dalla divina Eucaristia, che è ancor più particolarmente il pane dell’anima che si dimentica di ricevere, e alla quale ci si avvicina senza le disposizioni dovute (Dug.). – « Perché ho dimenticato di mangiare il mio pane. » Un tale oblio si incontra ben raramente nel mondo fisico;  è invece ordinario nel mondo morale. Il vero pane dell’anima, è la verità, la verità che viene dal cielo e che tende al cielo. Ove sono coloro che cercano questo pane con un vero desiderio di trovarlo? Colui che l’avversità prova, che è obbligato a dedicarsi ai suoi penosi e continui lavori per sopperire ai bisogni propri e della famiglia, troppo spesso, in luogo di portare la propria croce con coraggio, fa della sua situazione un argomento contro la Religione (Rendu). – Dio, la sostanza per eccellenza, è il solo vero nutrimento della creatura ragionevole; così il peccatore che si allontana da Lui con la sua disobbedienza, cade nell’infermità, e non potendo prendere più questo nutrimento che doveva fare la sua gioia, lo si ascolta gridare: il mio cuore è stato come l’erba dei campi che si taglia: esso si è disseccato, perché io ho dimenticato di mangiare il mio nutrimento. (S. Agost.  De natur. et grat., c. XII). – E perfino nella prosperità, bisogna che il cuore umano sia ben al riparo sotto l’ombra delle ali di Dio, e ben umettato dalla rugiada divina della grazia, per non disseccare come l’erba dei campi e respingere come insipido il pane del cielo (Bellarm.). – Quante anime vediamo tutti i giorni indebolirsi per strada, lasciarsi andare alla disperazione ed a tutte le sue conseguenze più orribili, perché esse non hanno conosciuto questo principio di forza soprannaturale di cui il Cristiano dispone tutti i giorni nella divina Eucaristia! Quante anime deboli si trascinano nelle vuote ombre di un languore morale, perché avendo conosciuto il dono di Dio, se ne sono allontanate; esse hanno dimenticato di mangiare il loro pane, come dice il Profeta, e la loro anima è cadente, come il corpo dell’uomo che da molto tempo dimentica di assumere il proprio nutrimento (Mgr. Landriot- Euch., 3a Conf.). O uomo! Nutriti nuovamente del pane che avevi obliato! Dio stesso, che è il pane vivente, è disceso dal cielo. Mangia questo pane e vivrai (S. Aug.). – Divina Eucarestia, io medito ai vostri piedi queste belle parole del Santo Dottore; non è infatti che quando ho dimenticato di nutrirmi di Voi, che io sono stato colpito come il fieno ed il mio cuore si è disseccato? Io ho avuto la sventura di affidarmi alla vita presente come ad una gloria e ad una bellezza durevole, ed ho follemente pensato  che i piani o i sogni dell’orgoglio impedissero al fiore di svanire. Riconosco di essermi ingannato: solo la carne del Salvatore può ravvivare la mia, che si consuma ogni giorno, perché essa solo ha il segreto della resurrezione della vita. – O santa Eucarestia, io torno a voi con felicità, non dimenticherò più questo celeste alimento. Esso riparerà le mie forze, e farà circolare nel mio cuore una linfa immortale, ed il fieno disseccato dalla mia vita rifiorirà per l’eternità. (Mgr DE LA BOUILLERIE, Symbolisme, 459). – Alla voce dei miei gemiti, « le mie ossa si sono attaccate alla mia carne. » Alla voce che io comprendo, alla voce che io conosco, « alla voce dei miei gemiti e non alla voce dei gemiti di coloro verso i quali ho compassione; perché molti gemono, ed anche io gemo di ciò che essi gemono per una cattiva causa. Un uomo ha perso dei soldi ed egli geme; un altro ha perso la fede e non si lamenta. Ma io discerno tra essi il denaro e la fede, e gemo su colui che malamente geme a proposito. » Un uomo commette una frode e se ne rallegra. Dov’è il suo guadagno? Ove la sua perdita? Egli ha guadagnato del danaro, ed ha perso la giustizia. Ecco ciò che fa gemere colui che geme giustamente; ecco ciò che fa gemere colui che si avvicina al Cristo, nostro Capo, e che si attacca con rettitudine al Corpo di Cristo. Ma questo non è ciò che fa gemere gli uomini carnali, ed anche se non gemono, essi fanno sì che noi gemiamo su di essi; perché noi tutti non possiamo che disprezzarli, sia che non si lamentino, sia che si lamentino per una cattiva causa. (S. Agost.).

ff. 6-10. « Io sono divenuto simile al pellicano che abita in solitudine, come il gufo che si rifugia nei tuguri. Io ho vegliato ed ero come il passero solitario sui tetti. » Questi tre uccelli raffigurano le tre grandi categorie di penitenti: alcuni cercano la solitudine assoluta, come Santa Maddalena, Santa Maria Egiziaca, San Paolo primo eremita, Sant’Antonio, S. Ilarione, ed essi possono dire con il salmista: « Io mi sono allontanato, sono fuggito ed ho dimorato in solitudine. » (Ps. LIV). Là, in questi luoghi solitari, simili al pellicano che distrugge gli animali pericolosi e soprattutto i serpenti del deserto, si nutrono delle loro continue vittorie sul demonio. – Altri restano nel seno delle città, ma si rinchiudono in strette celle, come il gufo nel suo muro in rovina; essi riempiono la solitudine delle notte con il grido della loro penitenza, di questo grido che li sottrae al timore dei giudizi di Dio, ed essi ne santificano la durata con la successione dei loro cantici e dei loro inni spirituali. – Altri, forzati dai loro beni a restare in seno alla loro famiglia, o ai loro impieghi pubblici, abitano sui tetti come l’uccello solitario; vale a dire che oltrepassano il livello nel quale essi vivono, le folle e gli abitanti delle città. Essi sono nel mondo senza essere del mondo; essi si sottomettono agli affari, agli onori, alle ricchezze, ma non sono loro sottomessi, li dominano, ne dispongono, li distribuiscono, non permettono loro di prendere su di essi il minimo potere, conservando il cuore solitario e libero per il cielo. La missione di questi ultimi, è di vegliare e predicare sui tetti. Di vegliare sui pericoli loro e di chi li circonda, e nello stesso tempo di edificarli e parlare loro con le parole e con gli esempi. (Bellarm.). – Il passero vegliante e solitario sulla sommità dei tetti, è immagine dell’anima che si allontana fuggendo per stabilirsi nella solitudine. Esso ha fissato la sua dimora sul tetto, « al di sopra della dimora degli uomini », cioè al di sopra delle loro passioni e delle criminali cupidigie, ed avendo scelto questo rifugio, non lo lascia più, fedele all’avviso del Signore: « … colui che è sui tetti non scenda a prendere ciò che è nella casa. » Là, l’anima in alto e solitaria, aspira a Voi, o mio Dio! Di notte, essa vi desidera, ed al mattino veglia ancora attendendo l’ora della quale è scritto: (Matth. XXIV, 17) « Beato il servo che veglia, pronto a ricevere il suo padrone al momento del suo arrivo. » (Mgr DE LA BOUILL. Symb. II, 158). – Non vi meravigliate dunque se ho detto che il primo istinto che avverte un uomo toccato da Dio, sia quello di ritirarsi dal mondo. La stessa voce che ci chiama alla penitenza, ci chiama anche al deserto, cioè al silenzio, alla solitudine, al ritiro. Ascoltate questo santo penitente: « io sono – egli dice – simile al pellicano dei deserti, o un gufo dei luoghi solitari e rovinosi, io ho trascorso la notte vegliando, e mi trovo come un passero tutto solo sul tetto di una casa. » In luogo di questa aria sempre compiacente che il mondo ci ispira, lo spirito di penitenza ci mette nel cuore un non so che di rozzo e di selvaggio. Non è più quest’uomo dolce e galante che legava tutte le parti; non è più questa donna accomodante e compiacente, troppo abile mediatrice ed amica troppo affettuosa, che facilitava le sue segrete corrispondenze; non sono più questi espedienti, queste aperture, queste facilitazioni; si apprende un altro linguaggio, si apprende a dire no; a dire io non posso più; a ripagare il mondo con risposte negative, asciutte e vigorose! Non si può vivere più come gli altri, né con gli altri; non ci si vuole più avvicinare, non si vuol piacere, compiacere se stesso. Un peccatore che comincia ad avvertire il suo male, è disgustato contemporaneamente e dal mondo che lo ha deluso e da se stessi che si è lasciato prendere da un’esca sì grossolana.  Egli si ricorda ahimè dei tanti crimini commessi con malvagia compiacenza; egli non cerca più che di sottrarsi da questo sottile contagio che si respira con l’aria del mondo, nelle sue conversazioni, nei suoi costumi. Lontano dal mondo, lontano dalle compagnie, non ha più che Dio davanti ai suoi occhi per affliggersi in sua presenza, per dirgli dal fondo del cuore: « … io ho peccato contro di Voi, e nei vostri confronti soltanto », e voglio affliggermi alla vostra sola presenza; solo ed invisibile testimone dei miei singhiozzi e dei miei rimpianti, ascoltate la voce delle mie lacrime (BOSSUET, pour le 4me D. de l’Avent). – Il gufo nascosto nei recessi oscuri degli edifici è pure una delle immagini di cui si serve la filosofia di San Tommaso per aiutarci a concepire lo spirito umano nei suoi rapporti con la verità: esso è, rispetto alla verità, come l’uccello di notte davanti ad una luce molto viva. Questo è vero soprattutto dello spirito piombato nell’ombra della morte che avvolge i peccatori e, a questo titolo, questa spiegazione si riporta al nostro soggetto. Il vero Cristiano, illuminato dalla doppia luce della fede e della grazia, è il solo uomo della luce, il solo che, camminando nella grande luce della verità rivelata, giudica sanamente il valore delle cose, avanza senza mai deviare dal suo scopo, e profitta pienamente dei benefici del sole che lo illumina. E il peccatore, al contrario, ci sembra piuttosto simile alla civetta che « aprendo i suoi grandi occhi glauchi – ci dice Sant’Ambrogio – non avverte l’orrore delle tenebre e sembra non cominciare a vivere che nella notte più oscura. Appena si fa giorno, i suoi occhi abbagliati si offuscano e non vedono più nulla. » (Mgr DE LA BOUILL., Symb. II, 184). «… ah, continua lo stesso Padre, io parlo soprattutto degli occhi del cuore, che i sapienti del mondo aprono per non vedere, essi che fuggono lontano dalla luce, e brancolano nel buio, brancolano nella notte dei demoni, ed immaginano di aver contemplato tutte le altezza quando, con la loro bussola, hanno descritto dei cerchi del pianeta o misurato l’estensione dell’orizzonte. Ma ahimè! Privi della fede e colpiti da una cecità che ignorano, passano nella loro vita in un giorno splendente di Vangelo sotto i raggi luminosi della Chiesa, e non vedono nulla. Essi dilatano la loro bocca come se sapessero tutto; ma il loro occhio non è aperto se non per la vanità e si offusca davanti all’eternità. Le loro interminabili dispute non fanno, il più sovente, che tradire la loro ignoranza, e se cercano di prendere il loro volo in discorsi sottili, come il gufo, cadono e spariscono alla luce del giorno. »    (S . AMB., Hex. v., 24. de noct. avib., n° 86). –  « I miei nemici mi fanno ogni giorno continui rimproveri, e coloro che mi facevano delle lodi imprecavano contro di me. » È l’opposizione, il sollevamento del mondo sensuale ed egoista contro la vita di rinuncia, di abnegazione, di penitenza. – Mai questa legge di rinunzie, di mortificazione, di penitenza fu più misconosciuta che ai giorni nostri; mai si videro tanti uomini, tanti Cristiani che S. Paolo chiamava ai suoi tempi gemendo, « i nemici della croce di Gesù-Cristo », tanti uomini – aggiungeva – il cui ventre è loro dio, e per ventre non bisogna solamente intendere, dice un eloquente Vescovo dei nostri tempi (Mgr. Pie), il vizio odioso della golosità, agli eccessi del quale molti sanno sottrarsi, né tutti quegli appetiti grossolanamente bestiali che alcuni sanno moderare fino ad un certo punto, ma in generale, la vita molle e sensuale. L’attaccamento a tutto ciò che è piacevole alla carne, a tutto ciò che la Scrittura chiama “le delizie di questa vita” e, di conseguenza, la ricerca famelica di tutti i vantaggi temporali che procurano queste delizie. – Seguite questo torrente del secolo, datevi alla gioia ed ai piaceri, camminate nella via larga, passerete nel mondo per un uomo onesto, sarete lodato, stimato, applaudito; ma se cambiate vita, per tenere una condotta più regolare, per abbracciare la santa austerità della vita cristiana, sarete fatto oggetto di continui rimproveri, e coloro che vi davano lodi un tempo, saranno i primi a sommergervi con i loro insulti ed invettive, ad accusarvi – come diceva S. Agostino – di corrompere tutte le regole e pervertire i costumi del genere umano. – La preghiera, il digiuno, la vita austera, sono tre cose che il mondo non può soffrire, perché condannano il loro oblio di Dio, la loro sensualità, la loro mollezza. (Duguet). – Si pratica questa austerità per lenire la collera e l’indignazione di Dio. –  Dio aveva cominciato con l’elevare l’uomo ad una meravigliosa altezza, facendolo a sua immagine. L’uomo si è rivoltato contro il suo Creatore ed ha meritato di essere cacciato. Dio si è degnato di riparare a questa grande rovina; ha stabilito l’uomo in una condizione ancora più alta della precedente, rendendolo partecipe della natura divina. – Se dopo tali testimonianze di bontà, torniamo ad essere nuovamente ingrati, è la nostra stessa elevazione che ci abbaglia, e dimenticando la mano divina che ci sostiene, cadiamo da questa altezza e ci infrangiamo. « … Voi non mi avete elevato che per precipitarmi ed infrangermi. » Voi dunque, benché la vostra dignità sia elevata, non lasciatevi gonfiare dall’orgoglio, ma tremate ed umiliatevi sotto la mano potente che distrugge, quando gli piace, la testa dei grandi e dei suoi servi. Temete di gettare troppo tardi questo grido lamentevole: « … La vostra collera e la vostra indignazione mi hanno elevato per distruggermi. » È il posto più elevato che vi è toccato, ed esso non è il più sicuro; è il più glorioso ma non è il meno esposto.  (S. BERN. Epist. 238, ad Eug. n° 4). – Quanto grande è la sventura di un’anima che si separa da Dio! Quando si lascia rompere un vaso facendolo cadere, esso perde tutto, talmente che non gli resta nulla, né forma, né valore alcuno. Così è per colui che ha perso la grazia di Dio.

ff. 7-11. – « I miei giorni sono declinati come l’ombra. » I miei giorni, comparati all’ombra, non gli somiglino se non perché diventano più deboli, più languidi, fino a che non spariscono affatto. Le ombre crescono a misura che il sole discende all’orizzonte; ma esse si indeboliscono sempre più, di modo tale che quando quest’astro tramonta, non si riesce più a distinguerle. Ecco l’immagine del declino dei nostri giorni. La loro ombra decresce come l’ombra diminuisce di forza e di apparenza, e si spengono interamente al momento della morte. (Berthier). – Non attendete la morte per dire, con il movimento forzato da un inutile pentimento: « I miei giorni sono svaniti come l’ombra, » ma già da ora dite spesso a voi stesso: tutte le cose passeranno e svaniranno come l’ombra. Che cos’è dunque questa vita per la quale si ha tanto amore, per la quale solo si lavora? (Duguet). – I vostri giorni sembreranno non aver declino, se voi stessi non vi siete allontanato dal giorno vero; se voi ve ne siete allontanato, allora i vostri giorni sono declinati. Cosa c’è da meravigliarsi se i vostri giorni sono divenuti simili a voi? I vostri giorni son declinati, perché avete deviato dalla retta via, siete divenuti simili al fumo perché vi siete gonfiato d’orgoglio. In effetti, il profeta aveva detto più in alto: « I miei giorni sono svaniti come il fumo; » ed ora dice: « … i miei giorni sono declinati come l’ombra. » Da mezzo a quest’ombra, bisogna riconoscere il giorno; dal centro di quest’ombra bisogna percepire la luce, per non dire poi nei rimpianti tardivi di una infruttuosa penitenza: « A cosa è servito il nostro orgoglio? Ci ha portato queste ricchezze che sono per noi sì vane? Tutte queste cose son passate come un’ombra. » (Sap. X, 8, 9). Dite oggi: tutte queste cose passeranno come un’ombra affinché voi stessi non passiate come un’ombra. « I miei giorni son passati come un’ombra, ed io mi son seccato come il fieno. » Già il profeta aveva detto: « il mio cuore è stato colpito come il fieno, esso si è disseccato. » Ma il fieno rinverdirà, arrossato dal sangue del Signore. « Io mi sono disseccato come il fieno, » io, uomo, per aver violato la vostra legge, e per un giusto giudizio da parte vostra.  (S. Agost.)

III. – 12 – 17

ff. 12-15. – Ma di Voi, Signore, che dire? « I miei giorni hanno declinato come l’ombra, ma Voi, Signore, dimorate in eterno . » Che l’eterno si degni di salvare colui che non deve durare che un tempo! Perché se sono decaduto, Voi non mi avete svegliato; Voi avete tutta la vostra forza per liberarmi, come l’avete avuta per umiliarmi. Ma Voi, Signore, dimorate in eterno, e la vostra memoria passerà da generazione in generazione. » La vostra memoria, perché Voi non dimenticate; dalla generazione, non in una sola generazione, ma « da generazione in generazione; » perché noi abbiamo ricevuta la promessa della vita presente e quella della vita futura. (S. Agost.). – Ogni grandezza umana si cancella, il mondo passa, la vita svanisce. Dio solo è eterno ed immutabile, ed il solo la cui memoria passerà a tutte le età. A chi dunque attaccarsi, ad una grandezza che sparisce in un momento? Ad un mondo che passa come un lampo, ad una vita che svanisce come l’ombra? No, a Colui che solo sussiste eternamente e le cui ricompense, non più della memoria, non passeranno mai (Duguet). – Indubbiamente noi non conosciamo i momenti fissati nei disegni di Dio, e per non avere pure misura certa da applicare ai tempi che Dio si è riservato, è inutile lavoro ed una curiosità condannevole gettarci nelle supposizioni di cui Egli ci nasconde i principi. Ma, qualunque sia l’intervallo tra la promessa ed il tempo in cui Dio la realizzerà, per quanto sconosciuto, non siamo meno certi che questo tempo sia demarcato nei suoi decreti in maniera fissa e precisa; questo tempo gli è sempre presente e niente potrà ritardarlo. – Questo tempo che Dio rende presente allo spirito del Profeta è quello dell’Apostolo che ha detto: « … Quando è giunta la pienezza dei tempi, Dio ha inviato suo Figlio. » ora è il tempo della pazienza di Dio, dell’orgoglio, dell’ingiustizia dei malvagi, delle sofferenze e delle umiliazioni dei giusti.  Ci sarà un altro tempo che Dio solo ha fissato, nel quale l’ingiustizia sarà distrutta ed i giusti sottratti all’oppressione. (Dug.). – In altri salmi, il Profeta, a nome del suo popolo, provato dai suoi nemici, aveva eccitato Dio a levarsi, a dissipare i suoi nemici, a metterli in fuga davanti al suo volto. Egli era andato anche più lontano: lo aveva interpellato e, in qualche modo rimproverato di non levarsi, che sembrasse dormire abbandonando il suo popolo fino alla fine (Ps. XLIII, 23). Ora, questo non è più l’accento del rimprovero, e neanche quello dell’apprensione e del dolore: è il tono dell’assicurazione, ed il linguaggio dell’affermazione: « Voi state per levarvi, Signore, abbiate pietà di Sion, perché è il tempo di averne pietà, sì, questo tempo è venuto. » Tutte le fasi dell’antico popolo di Dio figuravano, profetizzandoli, i destini del popolo cristiano. Nel camminare attraverso i secoli, c’è un giorno, un’ora in cui la Chiesa di Gesù-Cristo si ritrova posta in condizioni analoghe a tutte quelle attraversate dall’antico Israele. Ed è questa analogia, questa identità di situazioni che chiama oggi sulle nostre labbra il versetto quattordicesimo del salmo CI. Si, il tempo è arrivato, Signore, di aver pietà di Sion; questo tempo è giunto perché la crisi subirà dalla società cristiana sembra arrivata nel suo periodo più elevato; questo tempo è giunto, perché il rimedio proposto dagli empirici del quarto d’ora avrebbe per risultare di annientare le ultime risorse e le ultime possibilità di guarigione. (Mgr. Pie, t. VIII, p. 9). – « Perché le sue pietre sono state gradite ai vostri servi. » Quale pietre, le pietre di Sion!  Ma non c’è in Sion chi non sia una pietra. A chi appartengono coloro che non sono pietre? Che risponde il Profeta? « … Essi avranno pietà della sua polvere. » Riconosciamo dunque in Sion delle pietre, e riconosciamo in Sion della polvere. Il profeta non dice: essi avranno pietà delle sue pietre, ma: « i vostri servi si sono compiaciuti delle pietre, ed avranno pietà della sua polvere. » Le pietre di Sion sono i Profeti, sono gli Apostoli che dopo aver abbandonato le cure del secolo, si sono interamente dedicati a fondare la Chiesa. Ma i prevaricatori che si sono allontanati dal Signore e che hanno offeso il loro Creatore con azioni malvagie, sono tornati nella terra donde erano stati tratti; essi sono divenuti polvere, sono divenuti degli empi. Ma attendete, Signore, sopportateli, Signore, abbiate pazienza: che il vento non si alzi più e non spazzi questa polvere dalla faccia della terra. Che vengano i vostri servi, che vengano, che riconoscano le vostre parole nelle pietre di Sion; che abbiano pietà della sua polvere e che l’uomo sia formato a vostra immagine (S. Agost.). – I grande edificio della Chiesa cristiana, opera della mano di Dio, non può mai essere rovinato, ma più pietre possono separarsene. Coloro che restano sempre attaccati come pietre viventi di questo edificio, devono amare con una carità compiacente queste rovine e queste pietre morte, gemere per esse, ed avere una vera compassione per molti altri che, pur restando esteriormente uniti alla Chiesa con il carattere di Cristiano, ne sono separati dalla corruzione dei loro costumi. (Dug.). – Non è vero che se, per caso impossibile, gli uomini giungano a dimenticare, vengano a perdere il Vangelo portato da Gesù-Cristo sulla terra, le pietre che restano sul nostro suolo ce ne renderanno ancora tutta la sostanza? « Se questi tacciono, le pietre stesse grideranno (Luc. XIX, 40). È a questo titolo che lo studio dei monumenti o anche delle loro rovine cessa d’essere una passione di entusiasmo, una fantasia da uomo disoccupato, e diviene uno studio serio, pratico e religioso. Il salmista ci dice che se il tempio rovina, i servitori di Dio ne amino ameno le pietre: « Le sue pietre e le sue rovine sono state gradite ai vostri servi. » Si, c’è un odore di vita, un profumo di fede e di virtù, che esala da questi detriti. (Mgr PIE, Discours, etc., p. 167).

ff. 16, 17. – « E le nazioni temeranno il vostro Nome, Signore, e tutti i re della terra la vostra Gloria. » Il Compimento perfetto di queste parole era riservato alla venuta del Cristo; allora, nel momento in cui si è elevata la nuova Sion, i popoli della terra sono stati colpiti da un timore salutare, ed hanno onorato il Nome del Signore; nello stesso tempo, tutti i re hanno riconosciuto il Re dei re ed adorato la sua maestà. (Bellarm.). La costruzione della santa Sion è l’opera di tutti i secoli che sono trascorsi dopo Gesù-Cristo, e che trascorreranno fino alla fine del mondo. Questo edificio non sarà terminato che nell’ultimo giorno. Nell’attesa ciascuno di noi deve contribuirvi a porre la sua pietra come diceva Sant’Agostino. Non sarà più tempo di lavorare quando Gesù-Cristo verrà a fare la separazione delle pietre vive dalle pietre di scarto, e verrà in tutta la sua gloria per dare l’ultima mano a questo tempio eterno (Berthier). « Egli ha posto uno sguardo favorevole sulla preghiera degli umili. » È quanto si compie ora nella costruzione di Sion: coloro che la costruiscono pregano e gemono … se c’è qualcuno che abbia ancora altri sentimenti, se qualcuno avesse ancora fino al presente, altri pensieri, mangi cenere come pane. E mescoli la sua  bevanda con le proprie lacrime. Egli ancora è in tempo, finché Sion si elevi, finché ora le pietre si raccolgono nella sua costruzione. Quando l’edificio sarà definitivamente completato, quando la casa sarà dedicata, a cosa servirà accorrere, cercare un posto troppo tardi, pregare invano, battere inutilmente alla porta? (S. Agost.).  

IV. — 18-28.

ff. 18-22. – « Che questo sia scritto per le generazioni future, il popolo che sarà creato, celebrerà il Signore. » Affinché i Giudei non possano più rivendicare unicamente per essi il diritto di queste promesse, ed applicarle esclusivamente alla fine della cattività ed alla ricostruzione di Gerusalemme, lo Spirito Santo scriveva in termini eloquenti ciò che San Pietro, più tardi interpreterà in questi termini: « I Profeti hanno predetto la grazia che dovete ricevere. Fu loro rivelato che ciò non era per essi stessi, ma per voi, essi erano dispensatori di misteri che i predicatori del Vangelo vi hanno annunciato » (I Pietr. I) – Possa questa profezia compiersi per la generazione futura della nostra patria, di questa Francia sì crudelmente provata. Ah! Senza dubbio agli occhi dell’osservatore attento si manifestano segni certi di dissoluzione e di rovina prossima; ma anche segni più consolanti, presagi di resurrezione nelle opere sante che dopo più di mezzo secolo elevano sul suolo della Francia il loro florido stelo. Quali benedizioni non attireranno sulla Francia queste istituzioni di carità che qui è impossibile enumerare, come si è detto, e che hanno messo il dito sulle ombre stesse del bisogno, moltiplicato le mani per curare le cicatrici e le piaghe. Si, chiediamo che la generazione che cresce sia questo popolo nuovo creato per lodare il Signore, una nuova generazione di veri Cristiani e di veri francesi che riporterà la nostra nazione al primo posto tra tutti i popoli della terra. – Questo popolo che sarà creato, loderà il Signore che ha guardato la nostra valle di lacrime dall’alto del suo trono, non con sguardo inutile, ma discendendo tra noi, facendosi piccolo, conversando in mezzo a noi. Perché si è umiliato scendendo tra noi? Per ascoltare  da vicino le grida di coloro che il principe di questo mondo teneva prigionieri, e liberarli. Voi sapete quali sono coloro che sono stati uccisi e sapete quali sono i loro figli. La Chiesa è stata dapprima oppressa. Quando si tenevano prigionieri i Cristiani e li si mettevano a morte, ma, dopo questa persecuzione, il Nome del Signore è stato annunziato con una grande libertà in Sion, cioè nella Chiesa. (S. Agost.). – Quando Dio guarda dall’alto della sua santa dimora, i suoi occhi si abbassano con una compiacenza particolare sui figli di coloro che sono stati incatenati o massacrati per causa sua – e quando spiega la lunghezza del suo braccio – è per benedire e proteggere i figli di coloro che sono uccisi. I tempi giungeranno in cui coloro che la grazia avrà liberato, cominceranno a servire il Signore, e sarà allora che tutti i popoli, fino ad allora divisi, si fonderanno in un unico corpo, non avranno più che un solo Dio, un solo spirito, una sola fede, un solo Battesimo, un solo cuore ed una sola anima, e che gli stessi re si uniranno a questo coro unico della Chiesa, per farne parte. (Bellarm.). – « I popoli ed i re si assembleranno e si uniranno per servire l’Eterno. » Beato il popolo in cui il re e la nazione hanno uno stesso simbolo, una stessa dottrina, una stessa fede! Il Monarca e la Nazione si uniscono allora in un sublime concerto al servizio del Signore. In questo religioso abbraccio della potenza reale e della potenza popolare, la guerra civile è soffocata, i litigi domestici spenti, la questione del potere non è più una questione. Uniti davanti a Dio, il capo ed i soggetti restano strettamente abbracciati tra loro, e fanno regnare le felicità e la pace al seguito della Religione. (Mgr PIE, Discours, etc., I, 65). – Lo scopo per il quale Dio salva i prigionieri ed i figli di coloro che sono stati messi a morte, è alfine che essi annuncino il nome del Signore (Bellarm.). – Ed in effetti l’uso più santo della libertà si acquista con l’affrancamento dalla servitù del peccato e dalla dominazione del principe delle tenebre, è annunciare e far conoscere il Nome e la potenza di Dio nella vera Sion, che è la Chiesa, e rendere pubbliche le sue lodi in questa nuova Gerusalemme (Duguet).

ff. 23, 24. – « Fatemi conoscere il piccolo numero dei miei giorni. » È la Chiesa che risponde qui al Signore nella via della sua forza. Ha trovato risposta in se stessa? Ma cosa poteva esservi in essa, o quale voce essa aveva e per essa, se non la sola voce del peccato, la sola voce dell’iniquità? Ma quando è stata giustificata « … Essa gli ha risposto, » non per i suoi meriti, ma per la potenza di Dio. Ed in qual modo ha risposto: « Nella via della sua forza. » Questa via è il Cristo stesso … Cosa domanda essa a Dio? « Fatemi conoscere il piccolo numero dei miei giorni. » Che significano queste parole che mormorano contro me ed io non so quali uomini si sono separati da me? Essi osano dire che io sono stato e non sono più: « Annunciatemi il piccolo numero dei miei giorni. » Io non parlo di giorni eterni, che sono senza fine ed io vi sarò; no! io parlo dei giorni temporali; annunciatemi i miei giorni temporali e non l’eternità dei miei giorni; annunciatemi il tempo in cui sarò in questo mondo a causa di coloro che dicono: essa è stata, essa non è più. Il Signore glielo ha in effetti annunziato, e questa parola non è rimasta senza risposta. E chi me lo ha annunziato, se non la mia Via stessa? E come me lo ha annunziato? « … Ecco Io sono con voi fino alla consumazione dei secoli. » (Matth. XXVIII, 20), (S. Agost.). – È anche la via del profeta; rispondendo a Dio che gli aveva ordinato di vivere per la generazione futura gli diceva nel fiore e nella pienezza dell’età: Fatemi conoscere il piccolo numero dei miei giorni; fate che io sia ben persuaso della rapidità dei miei giorni, affinché, non essendo deviato dalla mia giovinezza e sorpreso dalla morte, io non sia più estromesso da questo popolo che sarà creato e vi loderà eternamente in Gerusalemme (Bellarm.). Grande grazia di Dio, è il ben considerare la brevità di questa vita, composta da un piccolissimo numero di giorni alfine di utilizzare tutti i momenti per l’eternità. – Non c’è nessuna disgrazia più funesta, pur tuttavia comune, che quella di essere tolto dal mondo a metà dei giorni che ci si riprometteva, in mezzo ad una vita leggera, dissipata, indifferente, criminosa, e senza aver fatto nessuna penitenza. – Cadere in questo stato nelle mani di Dio, qual cosa orribile, e chi potrebbe comprenderlo! Noi siamo perduti se Egli non ci richiami prima di essersi riconciliato con noi; non abbiamo alcuna speranza se pone termine ai nostri giorni prima che i giorni cattivi della vita passata siano espiati e riparati (Dug.). – Domandiamo a Dio di perdonarci il passato; domandiamogli soprattutto di proteggere l’avvenire, di moltiplicare nei nostri giorni l’occasione di opere buone, di non toglierci nel mezzo della nostra corsa, di essere immagine vivente di questo Dio eterno nella sua durata, di farci vivere per cancellare il male, per amarlo, per servirlo, per essere suo figlio sottomesso e fedele, per rendere ai nostri fratelli il bene che Egli ci ha fatto. – « I vostri anni si estendano in tutte le generazioni. »

ff. 25-28. – « In principio avete fondato la terra e i cieli sono l’opera delle vostre mani. » Ciò che conosciamo di più durevole in questo mondo è il cielo e la terra. Fin dalla creazione perseverano nello stesso stato; non cessano di spandere su di noi i beni che la Provvidenza ha messo nel loro seno. Tuttavia, questi grandi corpi, sì fedeli alle leggi che Dio ha loro imposto, invecchieranno, come dice il Profeta, cesseranno di essere ciò che sono, e la gloria di essere immutabile ed inalterabile, resterà in Dio solo, perché Lui solo è eterno. (Berthier). Tutto invecchia, uomini e cose; tutto anche cambia, si deforma, si rinnova, come aggiunge il Profeta, « mutabuntur,» il tempo dispone così per la sua opera la distruzione di una doppia potenza: cambia, poi ricostruisce sulle rovine cancellando fino all’ultima vestigia delle cose che sono state … Il tempo distrugge con la mano sinistra e costruisce con la mano destra, egualmente nemici nei due casi, poiché l’edificio che eleva non fa che spingere più avanti l’edificio che rovescia, e se fonda, è per distruggere ancora. (Lacordaire). «Tutti invecchieranno come un vestito, o Dio, Voi lo cambierete come ci si cambia di abito, e saranno cambiati; ma Voi resterete sempre lo stesso, I vostri anni non finiranno. » – Quand’anche l’uomo vivesse un gran numero di anni, non resterebbe mai un solo giorno nello stesso stato, perché ha la sua condizione mortale di essere continuamente soggetto alla legge del cambiamento, triste mutevolezza di cui Giobbe diceva: «  come un fiore spunta e avvizzisce, fugge come l’ombra e non resta mai nel medesimo stato. » (Giob. XIV, 2). Dio al contrario, che è il solo veramente eterno, veramente immortale, resta eternamente ciò che è, perché non c’è nulla in Lui di transitorio, niente che sia soggetto al cambiamento, niente che sia opposto alla sua eterna divinità (S. GRÉG., in hunc psalm.). « Ma Voi resterete sempre lo stesso. » Voi siete il solo sul quale il tempo non possa nulla, perché solo Voi siete l’eterno. E cosa fate per disfarvi dei vostri potenti avversari? Una sola cosa, il tempo. « … essi periranno, Voi resterete sempre lo stesso. » La tomba è il segno più vero, il più infallibile marchio per discernere ciò che è umano da ciò che è divino. – « La figura di questo mondo passa (I Cor. VII). Le cose che passano sono temporali, quelle che non passano sono eterne. » Noi vediamo la terra coperta di alberi, popolata di animali, abbellita da edifici; noi vediamo le acque scorrere e spesso diventare turbinose nel loro corso; vediamo l’atmosfera a volta brillante, a volte oscura; vediamo gli astri in continuo movimento: tutto questo passa ed avrà fine. « Noi aspettiamo nuovi cieli ed una terra nuova, secondo la promessa, dice S. Pietro (2 Ep. III). I cieli saranno cambiati quanto alla forma esteriore, Voi toglierete la loro immagine attuale per darne loro una nuova, così come l’uomo lascia un vecchio mantello per prenderne uno nuovo. Ma Voi, non cambierete mai, qualunque sia la durate del tempo. » (Bellarm.). –  Voi sentite parlare di vestiti, di mantello, e pensate che sia diverso per i corpi? Speriamo dunque che i nostri corpi siano cambiati, ma per Colui che era prima di noi e che sussiste dopo di noi, di cui riteniamo ciò che siamo e che saremo quando saremo cambiati: Egli stesso ci cambia e non è cambiato, ci fa e non è fatto, ci conduce e rimane. E come la carne ed il sangue comprenderanno questa parola: « Io sono colui che sono »? – « Ma Voi siete sempre lo stesso, ed i vostri anni non finiranno. » Ma noi, nei confronti di questi anni di Dio, cosa siamo, con i nostri anni strapazzati? Che sono questi brandelli di anni? Noi tuttavia non dobbiamo disperare, perché nella sua Maestà e nell’eccellenza della sua saggezza, Dio aveva detto: « Io sono colui che sono », e tuttavia per consolarci ci ha pure detto: « Io sono il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe. » (Es. III, 15). E noi siamo razza di Abramo (Gal. II, 29); e malgrado la nostra bassezza, benché siamo terra e cenere, noi speriamo in Dio. Noi siamo schiavi, ma nostro Signore si è degnato di prendere per noi la forma di uno schiavo (Filip., XVII, 7); noi mortali, Egli immortale, ha voluto morire e ci ha mostrato l’esempio della Resurrezione. Speriamo dunque di pervenire a questi anni stabili, nei quali non c’è il corso del sole che forma il giorno, ma nei quali tutto resta com’è, perché solo questo sarà veramente. (S. Agost.). – « I figli dei vostri servi vi abiteranno. » E dove? Se non negli anni che non finiranno mai. « E la loro razza sarà stabile per i secoli dei secoli, per il secolo eterno, per il secolo che sarà per sempre. » Il Profeta dice: « I figli dei vostri servi. » Non dobbiamo noi temere di non essere i servi di Dio e che i nostri figli non abitino il cielo, senza che noi stessi vi abitiamo? Ma se siamo al contrario i figli dei servi di Dio, i figli degli Apostoli, che diremo? Figli degli Apostoli, nati dopo di loro e gloriosi per essere loro successi, avremo la colpevole audacia di dire: Noi vi abiteremo e gli Apostoli non vi abiteranno? Lungi dalla nostra pietà filiale un tale pensiero! Lungi dalla fede dei figli! Lungi dall’intelligenza degli uomini fatti! (S. Agost.) – I servi di Dio, gli Apostoli, i loro figli, cioè i semplici fedeli e tutti coloro che saranno nati alla fede e che avranno perseverato nella grazia, perverranno alla felice immortalità della vita futura.

SALMI BIBLICI: “MISERICORDIAM ET JUDICIUM CANTABO TIBI” – (C)

SALMO 100: “MISERICORDIAMO ET JUDICIUM cantabo tibi”

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS.

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

[Canonico titolare della Chiesa di Soissons, Professore emerito di Scrittura santa e sacra Eloquenza]

TOME DEUXIÈME.

PARIS – LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR; 13, RUE DELAMMIE, 1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

Salmo 100

Psalmus ipsi David.

[1]  Misericordiam et judicium cantabo tibi, Domine; psallam,

[2] et intelligam in via immaculata: quando venies ad me? Perambulabam in innocentia cordis mei, in medio domus meæ.

[3] Non proponebam ante oculos meos rem injustam; facientes prævaricationes odivi, non adhaesit mihi

[4] cor pravum; declinantem a me malignum non cognoscebam.

[5] Detrahentem secreto proximo suo, hunc persequebar, superbo oculo, et insatiabili corde, cum hoc non edebam.

[6] Oculi mei ad fideles terræ, ut sedeant mecum; ambulans in via immaculata, hic mihi ministrabat.

[7] Non habitabit in medio domus meæ qui facit superbiam; qui loquitur iniqua non direxit in conspectu oculorum meorum.

[8] In matutino interficiebam omnes peccatores terræ, ut disperderem de civitate Domini omnes operantes iniquitatem.

[Vecchio Testamento Secondo la Volgata Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

SALMO C.

Narra Davide le sue buone opere (che confessa doni di Dio), ad ammaestramento dei successori, e in prima del figlio. Col suo esempio egli spiega quale debba essere il principe verso i famigliari, verso la casa privata e verso lo Stato.

Salmo dello stesso Davide

1. Della misericordia e della giustizia, a te canterò laude, o Signore.

2. Le canterò, e studierò la via dell’innocenza; quando fìa che tu venga a me?

Io camminava nell’innocenza del cuor mio, in mezzo della mia casa. (1)

3. Io non mi proponeva mai cosa ingiusta; odiai quei che prevaricavano.

4. Non ebbi dimestichezza con uomo di cuor depravato; non conobbi il maligno, che si allontanava dalla mia strada.

5. Il detrattore segreto del suo prossimo, questo io lo perseguitava.

Con uomo di occhio superbo e di cuor insaziabile, con questo io non mi poneva a mensa.

6. Gli occhi miei son rivolti agli uomini fedeli del paese per farli sedere presso di me; miei ministri eran quelli che camminavano nell’innocenza.

7. Non abiterà nella mia casa colui che ha il tratto superbo; colui che parlava iniquamente, non trovò grazia dinanzi a me.

8. Al mattino io toglieva dalla terra i peccatori, affine di sterminare dalla città di Dio tutti quelli che operano l’iniquità.

(1) Si sa che nell’ebraico il futuro equivale spesso all’imperfetto; ma qui quest’ultimo tempo turberebbe l’armonia del salmo e sarebbe dunque meglio conservare il futuro con San Gerolamo e gli ebraizzanti, senza i versetti 2, 3, 5.

Sommario analitico

In questo salmo che si riconduce comunemente al tempo in cui Davide fu riconosciuto re da tutte le tribù (Questo sentimento si appoggia sul versetto 8, in cui Davide dichiara che sterminerà dalla città, che non essere che quella di Gerusalemme, tutti gli scellerati), e può essere considerato come il modello riassuntivo dei doveri di un re verso il suo popolo, di un pastore verso il suo gregge, di un superiore, di un capo o un padre di famiglia, Davide espone ciò che è stato (2):

I. In rapporto a Dio:

1° Cercando la sua gloria con l’esercizio della misericordia e della giustizia (1).

2° Implorando il suo soccorso e cioè: – a) Cantando le sue lodi nei sentimenti tutti interiori; – b) comprendendo on la prudenza ciò che deve fare (2).

II. – In rapporto al prossimo:

1° Nella condotta generale della vita, a) conservando l’innocenza del cuore, b) dando l’esempio delle virtù alle persone della sua casa (2);

2° Nei consigli, – a) non proponendosi mai delle cose ingiuste; – b) abbassando i prevaricatori; – c) non prendendo mai cattivi consiglieri (3); – d) abbandonando quelli tra i suoi amici che fanno il male (4);

3° Nei rapporti familiari: – a) perseguendo i calunniatori, soprattutto i calunniatori occulti (5);

4° Alla mensa, – a) allontanando dalla sua tavola i superbi e le persone dominate dalla cupidigia (6);

III. – E più particolarmente in rapporto a coloro che egli associa alla sua amministrazione:

1° Scegliendo uomini fedeli per farli sedere a lui vicino;

2° prendendo come servitori coloro che sono senza macchia (7);

3° Allontanando dalla sua corte tutti gli orgogliosi e coloro la cui bocca proferisce l’iniquità (7);

4° Punendo i malvagi in tutto il suo regno e bandendoli da tutte le città del popolo. 

Spiegazioni e Considerazioni

I. – 1, 2.

ff. 1. – Questo salmo è propriamente il salmo dei re e di tutti coloro che governano sotto di essi, in proporzione dell’estensione del loro potere; è per essi un regolamento della condotta, un ordine di coscienza privato. Conviene ancora più particolarmente ai Vescovi ed a tutti i Superiori ecclesiastici, che Gesù-Cristo associa alla sua regalità spirituale, così come al suo Sacerdozio. È l’arte di governare in tutti i sensi, che il salmista intende cantare. – I semplici fedeli vi ritrovano abbondanti istruzioni per se stessi. Essi vi vedono quali cure adottare per sottrarsi ai danni delle conversazioni e degli esempi del mondo, per non legarsi che con gli amici di Dio, per camminare con sicurezza nella notte di questo secolo, e meritare di presentarsi pieni di giusta fiducia nel gran giorno dell’eternità (Berthier). –  Ciò che contiene il primo versetto di questo salmo, dobbiamo ricercarlo nel salmo intero: « Signore, io celebrerò nei miei canti la vostra misericordia ed il vostro giudizio, » che nessuno presuma l’impunità a causa della misericordia di Dio, perché il Signore esercita anche la giustizia; ma d’altro canto, nessuno di coloro che si sono cambiati e migliorati abbia terrore del giudizio di Dio, perché la misericordia precede questo giudizio. In effetti gli uomini nei loro giudizi, si lasciano talvolta vincere dalla misericordia, ed agiscono contro giustizia, e si ritrova in essi la misericordia, ma non la giustizia; e talvolta, volendo rendere un giudizio rigoroso, essi perdono la misericordia. Ma Dio, pur usando le bontà della sua misericordia, non perde la severità del suo giudizio, ed anche nella severità del suo giudizio, Egli non perde la bontà della sua misericordia. Che se noi vogliamo distinguere nell’ordine dei tempi la misericordia ed il giudizio, forse troveremo che il Profeta non li abbia posti senza motivo nell’ordine che ha seguito, non dicendo: il giudizio e la misericordia, ma: « la misericordia ed il giudizio ». Se noi dunque distinguiamo queste due cose nei tempi che sono loro propri, forse troveremo che il tempo presente è quello della misericordia, e che il tempo avvenire è quello del giudizio. Quando vedete i giusti e gli ingiusti guardare lo stesso sole, gioire della stessa luce, bere le acque della stessa sorgente, essere nutriti dalla stessa pioggia, essere ricolmi degli stessi frutti della terra, respirare la stessa aria, possedere ugualmente i beni di questo mondo, astenetevi dal credere che Dio sia ingiusto dando tutte le cose egualmente ai giusti ed agli ingiusti. È il tempo della misericordia: non è ancora quello della giustizia! In effetti se Dio non si risparmiasse dapprima con la misericordia, non troverebbe nessuno da coronare con il giudizio. È dunque il tempo della misericordia, cosicché la pazienza di Dio conduca i peccatori alla penitenza (S. Agost.). – Dove sono coloro che vogliono che ciò sia derogare alla perfezione della contemplazione, il legarsi agli attributi divini, ai quali, essi dicono, bisogna preferire la contemplazione della sua essenza? E non sanno essi più che Gesù Cristo, nella più alta orazione, che si sia degnato di manifestarci, dice: « Padre mio Santo, Padre mio giusto? » Chi sa cosa sia l’essenza di Dio? Ma chi non sa o non debba sapere ciò che è la sua essenza che si adora sotto il nome di santità e di giustizia? Celebriamo dunque senza fine questi due attributi. Diciamo con Davide: « O Signore io canterò a voi misericordia e giustizia, » perché è come dire, con Gesù-Cristo ed in Gesù-Cristo : « Padre mio santo, Padre mio giusto. » (Bossuet, Méd. s. l’Ev., 2 S. LXVII, j.). – Dal momento che mi affiderete il ministero della vostra santa parola, o mio Dio, io predicherò queste due verità senza mai separarle; la prima, che Voi siete un Dio terribile nei vostri giudizi; ed la seconda che Voi siete il Padre delle misericordie ed il Dio di ogni consolazione. Io non sarò mai così temerario da predicare la vostra misericordia senza predicare la vostra giustizia, perché io conosco le conseguenze pericolose che deriverebbero dall’empietà; Ma mi farò pure un crimine il predicare i rigori della vostra giustizia senza parlare nello stesso tempo delle dolcezze della vostra misericordia, perché la fede mi insegna – e Voi stesso me lo avete rivelato – che la vostra misericordia salva i peccatori, o meglio che la vostra sola giustizia non possa che dannarli e riprovarli. – Io coniugherò dunque l’una e l’altra insieme per poter dire sempre, come Davide: « Signore, io canterò la vostra bontà ed i vostri giudizi. » (Boud.,  Sévér. de la Pénitence). – Il Profeta sembra avvertirci che dobbiamo cantare le lodi di Dio con intelligenza ed applicarci a conoscere il senso dei salmi che cantiamo, affinché il nostro spirito non si smarrisca e non resti senza frutto, allorché non sia la sola bocca a soddisfare il dovere di lodare Dio (S. Ger.). – Quando la nostra voce salmodia i canti che non possiamo comprendere, associamo almeno l’intenzione della Chiesa, nostra madre: noi sappiamo bene che preghiamo, e Dio prende la nostra preghiera come prende la preghiera di un bambino. – « Io camminavo nell’innocenza del mio cuore, etc. » Davide comincia col dirci ciò che era ai suoi occhi ed gli occhi di Dio; egli ci dirà in seguito ciò che era agli occhi degli altri e del popolo. Io camminavo in questa via, portando l’innocenza nel mio cuore; il mio cuore, il mio pensiero, la mia azione, appartenevano al bene; io difendevo il mio cuore dai cattivi pensieri e dai desideri perversi; io sapevo che la vita e la morte escono dal cuore. « … dal centro della mia casa. » Non basta contentarsi di questa testimonianza interiore del proprio cuore; molti sono irreprensibili esteriormente, sulla pubblica piazza; ma nella loro casa, nel loro interno, si macchiano di tutte le iniquità (Bellarm.).

ff. 2. – Colui che ama l’iniquità non cammina più, perché non ha più da camminare. In effetti, ogni malizia è un ceppo, la sola innocenza dà il via; solo essa offre una via libera da percorrere. « Io camminavo nell’innocenza del mio cuore, al centro della mia casa. » Ciò che il Profeta chiama il centro della casa, è: o la Chiesa nella quale cammina il Cristo, o il suo cuore, perché il nostro cuore è la nostra casa interiore. In questo senso, il Profeta non farebbe che spiegare ciò che sta per dire: « nell’innocenza del mio cuore. » Che cos’è l’innocenza del suo cuore? Il centro della sua casa. Chiunque ha nel suo cuore una casa cattiva, ne è costantemente rigettato fuori; perché colui che è oppresso nel suo cuore da una cattiva coscienza, è come un uomo che dovrebbe fuggire dalla casa in cui l’acqua vi penetrasse, o il fumo la rendesse inabitabile; egli non vi potrebbe restare; così l’uomo il cui cuore non è in pace, non può abitare volentieri nel suo cuore. Tali uomini escono da se medesimi con tutti gli sforzi del loro spirito, si riversano all’esterno, si compiacciono delle cose esteriori che riguardano il corpo; essi cercano il riposo nelle frivolezze, negli spettacoli, nelle dissolutezze, in tutti i disordini. Perché cercano la felicità al di fuori di se stessi? Perché non c’è il bene dentro di essi, essi non hanno di cosa rallegrarsi nella loro coscienza (S. Agost.).

II. — 3-6.

ff. 3. – Dopo aver considerato come l’atrio del palazzo ove abbiamo visto la misericordia, la giustizia, una gioia santa, una prudenza consumata, Dio stesso, presiedendo a tutto, ci ha fatto penetrare all’interno del palazzo. Ci resta ora da considerare Davide e tutto ciò che rappresenta, nell’esercizio delle loro funzioni pubbliche. Dall’innocenza del cuore, il Re-Profeta passa a quella degli occhi e delle mani. Egli ha allontanato i suoi occhi da ogni ingiustizia, sia nell’esercizio delle sue funzioni di giudice sovrano riguardo ai suoi soggetti, sia nella distribuzione degli impieghi e degli onori.

ff. 4. – Vegliare sui propri occhi, sul proprio cuore, sui propri passi, sono tre doveri essenziali nell’affare della salvezza. Il Profeta prende questi tre obblighi in un senso molto esteso. Non solo bada ai suoi occhi per allontanarli da oggetti criminosi, ma non soffre in sua presenza di nulla che possa compromettere la purezza della propria anima; egli evita allo stesso modo i discorsi o le azioni che possano essere sorgente di peccato; egli detesta tutti coloro che commettono l’ingiustizia (Berthier). – «Io non mi proponevo davanti agli occhi cose cattive o ingiuste. » Cosa significano queste parole? Io non lo amavo? In effetti, è costume il dire parlando di un uomo che ne ama un altro: non ho che lui davanti agli occhi; e di colui che si disprezza ci si lamenta ordinariamente in questi termini: egli non getta gli occhi su di me. Cos’è dunque aver davanti agli occhi? È amare. Cos’è non amare? È non essere là con il cuore. Di conseguenza, dicendo: « … io non avevo dinanzi agli occhi cose cattive, » il profeta ha detto: io non amavo cose cattive. Egli espone in seguito qual sia questa cosa cattiva ed ingiusta, dicendo: io ho odiato i prevaricatori. » Se camminate con il Cristo al centro della casa, cioè: se riposate nel vostro cuore, o se camminate nella Chiesa nella via pura e senza macchia, voi non dovete solo odiare i prevaricatori esterni, ma anche i prevaricatori che trovate al di dentro. Quali sono i prevaricatori? Coloro che odiano la legge di Dio, coloro che non la intendono e non la praticano son chiamati prevaricatori. Odiate coloro che sono colpevoli di prevaricazione; cacciateli lontano da voi. Ma voi dovete odiare i prevaricatori e non gli uomini. Voi vedete che un uomo prevaricatore ha due nomi: quello dell’uomo e quello del prevaricatore. Dio ha fatto l’uomo, e l’uomo si è fatto da se stesso prevaricatore; amate in lui ciò che Dio ha fatto, perseguite in lui ciò che egli stesso ha fatto, e ciò che Dio ha fatto viene fuori. (S. Agost.). –  Il più grande elogio che si possa fare di un uomo virtuoso, è dire che i malvagi non osano comparire in sua presenza. – Non ammettere alla nostra amicizia coloro il cui cuore è corrotto; non permettere loro di attaccarsi a voi. – Bisogna allontanarsi dalla loro compagnia quanto essi si allontanano da noi per i loro costumi, e trattarli come persone da non conoscere (Duguet). –  « Io non conoscevo colui la cui condotta maligna allontanava da me. » Che significa: « Io non lo conoscevo? » … Io non lo approvo, non lo lodavo, non mi piaceva … è in questo senso che Dio – che tutto conosce – dirà tuttavia a certi uomini alla fine dei secoli: « Io non vi conosco; » (Matt. VII, 23); io non vi riconoscono come conformi alla mia regola. Io conosco in effetti la regola della mia giustizia; voi non siete conformi a questa regola, voi avete deviano da essa, non siete retti. È in questo senso che il profeta dice qui: « … io non lo conoscevo. » – Il profeta parla così perché il malvagio, quando per caso incontra il giusto in un sentiero stretto, dice ciò che è scritto nel libro della Sapienza: « la sola sua vista ci è insopportabile, » (Sap. II, 15); e cambia il suo cammino per non vederlo. Ma quando non ci sono malvagi che vediamo e che ci vedono, che non solo non si allontanano da noi, ma corrono verso di noi, e talvolta vogliono farci essere asserviti al compimento delle loro iniquità, come si allontanano da voi? Costui si allontana da voi e non si unisce a voi. Che vuol dire: si allontana da voi? Non vi segue, e che vuol dire: egli non vi segue? Egli non vi imita. Di conseguenza queste parole: « … quando il malvagio si allontana da me, » significano; quando il malvagio non mi assomiglia, quando rifiuta di seguire le mie vie, quando rifiuta di vivere come me, egli che mi proponeva la sua imitazione, « … io non lo conosco, », non che quest’uomo mi era sconosciuto, ma che io non lo approvavo. (S. Agost.). – Ogni maldicenza è un gran male, ancor più la maldicenza fatta in segreto, che toglie a colui che ne è l’oggetto, il mezzo di giustificarsi. – Non solo noi non dobbiamo dare il nostro consenso, la nostra approvazione alla maldicenza, ma noi dobbiamo perseguire il suo autore, proponendoci un doppio fine, di non ascoltarlo volentieri e non permettergli una colpevole maldicenza. (S. Gerol.). – Lo Spirito Santo compara coloro che maledicono in segreto a dei serpenti che mordono senza fare rumore (Eccl. X). Essi chiedono il segreto a tutti, e non vedono – dice S. Crisostomo – che è proprio questo che li rende disprezzabili; perché domandare a colui al quale ho fatto confidenza della mia maldicenza che mantenga il segreto, è propriamente confessargli la mia ingiustizia; è come dirgli: siate più saggio e più caritatevole di me; io sono un maldicente, non lo siate anche voi; parlandovi di questa persona, io offendo la carità; non seguite il mio esempio! Così Davide, che fu un principe così illuminato, non aveva tanto orrore della maldicenza quanto del segreto della maldicenza. Io avevo pietà – egli diceva – di coloro che per il calore e la passione erompono in maldicenze, anche se oltraggiose ed atroci; ma se vedo qualcuno che ispira segretamente il veleno della sua malignità, mi sento animato dallo zelo dell’indignazione, e mi sembra che sia mio dovere il perseguitarlo e confonderlo. (Bourd.,  sur la Médis.). –  Perché dunque il Signore ha mangiato con gli orgogliosi? Io non dico con i pubblicani ed i peccatori, perché costoro erano umili, essi conoscevano la loro malattia e cercavano il medico; ma noi vediamo che il Signore ha mangiato con i farisei e gli orgogliosi. Perché dunque per bocca del profeta ci dice: « Io non prendevo i miei pasti con l’uomo dall’occhio superbo? » Perché dunque proporci ciò che Egli non fa, mentre ci esorta ad imitarlo? Noi ci asteniamo da questi tipi di rapporto con i nostri fratelli, quando invece è il caso di riprenderli, e noi non partecipiamo ai loro pasti perché si correggano. Noi mangiamo con degli estranei, con dei pagani, piuttosto che con coloro che sono dei nostri, se vediamo che essi vivono nel disordine, affinché arrossiscano e si correggano. È quanto noi facciamo spesso per la guarigione di altri; ma quanto agli estranei e agli empi, essi sono spesso seduti alla stessa nostra tavola (S. Agost.).

ff. 5. – Che vuol dire ancora questa parola del Profeta: « io non prendevo i miei pasti con l’uomo dall’occhio orgoglioso e dal cuore insaziabile? » Il cuore pio ha i suoi festini, il cuore superbo ha pure i suoi; perché facendo allusione alla maniera di cui si nutre il cuore orgoglioso come il Profeta ha detto: « il loro cuore insaziabile. » Di cosa si nutre il cuore insaziabile? Se è orgoglioso è invidioso; non può essere altrimenti. L’orgoglio è il padre dell’invidia; non può non generarla e sempre ne è accompagnata. Ogni orgoglioso è dunque invidioso; se è invidioso si nutre del male altrui. È ciò che fa dire all’Apostolo: « Ma se vi mordete e divorate a vicenda, guardate almeno di non distruggervi del tutto gli uni gli altri! (Galat. V, 15) » Voi vedete degli orgogliosi a tavola, astenetevi dal porvi accanto a loro; fuggite questo tipo di festini. Essi non possono provare che gioia per il male altrui, perché il loro cuore è insaziabile. Badate di non farvi coinvolgere nei loro festini, nei lacci del demonio (S. Agost.).

III. — 6-8

ff. 6. – Dovere indispensabile dei principi e di tutti i superiori, a qualunque ordine essi appartengano, è servirsi dei propri occhi per vedere le cose da se medesimi, perché ne renderanno conto a Dio. – Non potendo tutti vedere da se medesimi, essi pongono gli occhi su uomini di una probità ed una fedeltà riconosciuta (Dug.). Spesso non ci si preoccupa che della loro abilità, della loro fedeltà e non si vede che questi uomini, ai quali si affida una parte così importante dell’autorità sovrana, perdono gli altri e perdono se stessi con l’esempio di una vita depravata. – « Colui che marciava nella via pura e senza macchia mi ha servito. » Egli mi ha servito – egli dice – e non si è servito egli stesso. In effetti molti sono i ministri del Vangelo; ma essi lo sono per se stessi, perché cercano il proprio interesse e non quello del Cristo (Filipp. II, 24). Che cos’è dunque il servire il Cristo? È cercare gli interessi del Cristo! Tuttavia, quando dei malvagi annunziano il Vangelo, gli altri sono salvati, ma essi sono puniti. In effetti Egli, Gesù, ha detto: « Fate ciò che essi dicono e non fate ciò che essi fanno. » (Matt. XXIII, 3). Non temete dunque nulla anche quando ascoltate predicare il Vangelo da un malvagio. Guai a chi serve il Cristo per se stesso, ma accettate ciò che viene dal Cristo. (S. Agost.). – Davide considera come uno dei più grandi vantaggi del suo regno, vedere seduti anche presso di lui degli uomini giusti e fedeli; tra tutti i favori che aveva ricevuto dal Dio dei suoi padri, non erano le sue vittorie e le sue prosperità le cose da cui era più ammirato: era la virtù e la giustizia dei soggetti che presiedevano ai suoi consigli e che circondavano il suo trono, e la pietà dei Nathan e dei Cusai gli parve la caratteristica più sensibile della protezione del Signore su di lui, che non la conquista di Gerusalemme o le spoglie delle nazioni nemiche osannanti alla sua gloria. Un uomo giusto è un dono del cielo, ed i grandi soprattutto non saprebbero onorare troppo la virtù, perché la potenza non può dare loro che dei soggetti, ma la virtù sola dà loro degli amici fedeli e sinceri (Massill., Mélange des bons, etc.).

ff. 7, 8. – La casa di coloro che sono depositari dell’autorità non deve essere mai aperta a questi superbi, a questi insolenti che opprimono i deboli con le loro calunnie e le loro imposture. – Noi possiamo così riportare al cuore, ciò che è detto della casa. Colui che pratica l’orgoglio non ha abitato nel suo cuore; nessuno di coloro che gli somigliano non ha abitato nel mio cuore; l’orgoglioso non vi ha abitato, perché l’ingiusto non abita nel cuore di un giusto. Il giusto, anche quando sarà separato da voi da grandi distanze, abita con voi, se voi non avete che un cuor solo. (S. Agost.). –   

La preoccupazione di un re saggio, e di ogni uomo che Dio ha posto alla testa dei suoi simili, è quella di proteggere la vita dei buoni dagli attacchi, ed i loro costumi  dagli scandali dei malvagi. « Fin dal mattino – egli dice – prima che il male abbia gettato radici profonde, io facevo sparire dalla terra tutti coloro la cui vita era dannosa per i loro fratelli. – Fin dal mattino, mettevo a morte tutti i peccatori della terra. » Queste parole richiudono evidentemente un senso misterioso; perché il Profeta non vuole dire che egli lavava le sue mani ad ogni levarsi dell’aurora spargendo il sangue umano; questa interpretazione sarebbe tanto assurda quanto poco credibile. La città del Signore, è l’edificio spirituale che ogni uomo costruisce in se stesso; i peccatori della terra sono coloro dei quali il Salvatore ha detto: « … è dal cuore che escono i cattivi pensieri, le invidie, gli adulteri, le rapine, le false testimonianze ed altri vizi simili. » Colui che purifica il suo cuore scaccia con il pensiero di Dio, dall’edificio spirituale che egli costruisce, questi peccatori della terra che escono dalla carne terrestre e corrotta. I primi fuochi dell’aurora nascono in un’anima nello stesso tempo in cui una verità salutare comincia ad illuminare quest’anima ove occorre distruggere e sterminare tutti i pensieri colpevoli; perché se non si prende cura  di sopprimere questi primi movimenti che portano al male, il pensiero sarà ben presto seguito dall’atto cattivo. Così ad esempio, un pensiero di adulterio è uno di questi peccatori della terra; se non tagliate e non sterminate questo pensiero dalla vostra anima come con una spada, e non lo tranciate fin dal mattino, cioè appena si produce, esso vi condurrà lontano, e dal semplice pensiero del crimine, sarete condotto a consumare il crimine stesso (S. Basil., in Isai. V). – Questo ultimo versetto ci trasporta anche a questo grande e terribile giorno in cui Gesù-Cristo farà brillare sul mondo intero la sua misericordia e la sua giustizia. Il tempo di questa vita è come il tempo della notte rispetto all’altro mondo, ove tutte le cose apparirebbero come in pieno giorno. In questo tempo, Dio usa misericordia e risparmia i peccatori per invitarli a convertirsi; ma verrà il mattino, l’inizio dell’eternità in cui Egli ucciderà con il soffio della sua bocca e con l’arresto di una maledizione irrevocabile, tutti i peccatori della terra, ed impedirà che la sua città santa sia macchiata da nessuno di coloro che si troveranno colpevoli di iniquità. (S. Agost.)

SALMI BIBLICI: “JUBILATE DEO, OMNIS TERRA; SERVITE DOMINO”(XCIX)

SALMO 99: “JUBILATE DEO, omnis terra; servite Domino

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS.

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

[Canonico titolare della Chiesa di Soissons, Professore emerito di Scrittura santa e sacra Eloquenza]

TOME DEUXIÈME.

PARIS – LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR 13, RUE DELAMMIE, 1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

Salmo 99

Psalmus in confessione.

[1] Jubilate Deo, omnis terra; servite Domino

in lætitia. Introite in conspectu ejus in exsultatione.

[2] Scitote quoniam Dominus ipse est Deus; ipse fecit nos, et non ipsi nos; populus ejus, et oves pascuæ ejus.

[3] Introite portas ejus in confessione, atria ejus in hymnis; confitemini illi. Laudate nomen ejus,

[4] quoniam suavis est Dominus; in æternum misericordia ejus, et usque in generationem et generationem veritas ejus.

[Vecchio Testamento Secondo la Volgata Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

SALMO XCIX.

Invito al popolo di frequentemente lodar Dio che ci creò, che ci pasce, che è soave, che è misericordioso e verace.

Salmo di laude.

1. Canti con giubilo le Iodi quanta la terra, servite il Signore in allegrezza. Presentatevi al cospetto di lui con esultazione.

2. Sappiate che il Signore egli è Dio; egli ci ha fatti, e noi stessi non ci siam fatti da noi,

3. Voi suo popolo e pecorelle de’ suoi paschi, entrate nelle sue porte con canti di laude nella sua casa con inni, e rendete a lui grazie.

4. Lodate il suo nome, perché dolce è il Signore; eterna ch’è la sua misericordia, e la sua verità si mantiene per tutte le generazioni.

Sommario analitico

In questo salmo, che è una esortazione al culto del vero Dio,

I. – Il salmista invita tutta la terra ad adorare il vero Dio:

1° Con gli accenti della sua voce (1);

2° con le opere, servendolo con gioia (1) e ad aprendosi dinanzi a Lui nel trasporto dell’allegrezza (1);

3° Con i pensieri, riconoscendolo – a) come Dio e come Creatore (2); – b) come Re e come Pastore (8).

II. – A lodarlo come un Dio pieno di bontà:

1° Che ha aperto ai suoi eletti le porte del cielo (3);

2° Che ha elargito ad essi i tesori della sua bontà e della sua misericordia<,

3° Che mostra loro la sua verità nel mantenere le sue promesse di generazione in generazione (4). 

Spiegazioni e Considerazioni

I. — 1, 2

ff. 1, 2. – Tre gradi, o se si vuole, tre azioni sono in questo preambolo del salmo: « Cantare le lodi del Signore con gioia; servire il Signore in allegria; comparire alla presenza del Signore, o nel suo tempio santo, con i sentimenti di una soddisfazione perfetta. » Alcuna noia in questi santi cantici; nessun mormorio in questa servitù; nessun turbamento in questo commercio con Dio. Colui che vuole accordare l’amore del mondo con i doveri della Religione non comprenderà nulla degli inviti del Profeta; egli dirà, se è in buona fede, che la preghiera lo disgusta, che la fedeltà alle leggi i Dio lo preoccupa, che l’assiduità nel tempio santo lo affatica. Si, è così quando il cuore è vuoto di Dio e quando l’amore del mondo vi regna imperiosamente (Berthier). – Già tutta la terra loda Dio nel giubilo, e tutta la parte della terra che non ancora lo loda, lo loderà un giorno; perché la benedizione divina, spandendosi nell’universo, ribalta dappertutto l’empietà e dappertutto stabilisce la pietà; ma i buoni sono frammisti ai malvagi, vi sono malvagi su tutta la terra, come su tutta la terra vi sono degli uomini buoni; i malvagi gridano su tutta la terra mormorii, ed i buoni un grido di giubilo. –  Colui che è nel giubilo non pronunzia parole, ma esprime la sua gioia con suoni inarticolati. Ciò che fa intendere è l’accento di un’anima tutta penetrata di gioia, che esprime i suoi sentimenti quel tanto che può, incapace di contenersi essa stessa. L’uomo che è nella gioia, dopo essersi dapprima espresso, nel trasporto della sua allegrezza, con parole che non possono né dirsi né comprendersi, si lascia andare ben preso ad una sorta di crisi di benessere, senza frammiste parole. – Quando dunque, dobbiamo essere in questo giubilo al quale ci esorta il Salmista? Quando noi lodiamo ciò che non possono esprimere le parole umane. Noi consideriamo, ad esempio, la creazione intera, la terra, il mare ed il cielo e tutto ciò che essi contengono; noi sottolineiamo che ogni cosa ha la sua origine e le sue cause; noi osserviamo le meravigliose proprietà delle sementi, l’ordine delle nascite, la maniera di sussistere dei differenti esseri, il deperimento che le conduce alla morte, il corso dei secoli che si succedono senza turbamenti, le rivoluzioni delle stelle che sembrano andare da Oriente verso Occidente, il corso degli anni che si compie, la lunghezza regolare dei mesi e la durata delle ore, e in mezzo a tutte queste meraviglie, noi sentiamo che c’è un non so che di invisibile che si chiama spirito o anima, che in tutti gli esseri animati fa loro cercare il piacere, fuggire il dolore e conservare tra esse un certo legame di unità per la cura che prendono della loro conservazione; noi constatiamo infine che l’uomo porta in sé qualcosa di comune con gli Angeli di Dio, operazione che appartiene esclusivamente ad uno spirito e che non condivide con gli animali, come invece condivide con essi la vita, l’udito, la vista ed altre facoltà, ma che consiste nell’avere l’idea di Dio, operazione che appartiene esclusivamente al suo spirito, ed a discernere il bene dal male, come l’occhio distingue il bianco dal nero. In questa veduta d’insieme della creazione, l’anima si domanda: chi ha fatto tutte queste cose? Chi le ha create? Chi ha creato te stesso in mezzo a tutte queste cose? Cosa sono queste creature che tu esamini? Cosa sei tu che ti esamini? Chi è colui che ha fatto, e queste core che tu consideri e tu che esamini? Chi è? Di’, chi è? Ma per dirlo è necessario che il tuo pensiero lo concepisca; perché tu puoi concepire determinati pensieri e non poterli esprimere, ma tu non potrai mai esprimere ciò che il tuo pensiero non avrà potuto concepire. Il tuo pensiero si porti dunque verso di Lui, prima di dire chi è, e per concepirlo avvicinati a Lui; perché quando tu vuoi vedere un oggetto, per essere in grado di parlarne, tu ti avvicini per esaminarlo per timore di un errore se l’oggetto non è visto che da lontano. Ma dal momento che si vede con gli occhi corporali, e Dio non è percepito che dallo spirito, non è considerato e visto che dal cuore. E dov’è questo cuore per mezzo del quale lo si vede? « Beati, dice il Signore, coloro il cui cuore è piro, perché essi vedranno Dio. » (Matt. V, 8). Io ho esaminato, come ho potuto, tutta la creazione, ho osservato la natura corporea nel cielo e sulla terra, e la natura spirituale in se stessa … e tuttavia cosa posso comprendere da me stesso? Come potrei concepire ciò che è al di sopra di me? Tuttavia la vista di Dio è promessa al cuore dell’uomo, e perché io l’ottenga, Dio impone l’obbligo di operare per purificare il proprio cuore, perché la Scrittura dice: Preparatevi in modo da vedere ciò che voi amate, ancor prima di vederlo (S. Agost.). – « Servite il Signore nella gioia. » La gioia, l’allegria, la vera contentezza, sono la conseguenza naturale di una fede viva nell’esistenza, nella protezione, nell’onnipotente bontà di Dio. Ogni servizio è pieno di amarezza: tutti coloro che la loro condizione obbliga a servire, non lo fanno se non mormorando. Non temete il servizio di questo Padrone, egli non provocherà nessuna lamentela, nessuna irritazione; là nessuno chiede di essere venduto ad un altro padrone, tanto è dolce l’essere riscattati da Lui (S. Agost.). – Il Profeta si indirizza a voi che sopportate tutte le cose nella carità, e che gioite nella speranza: servite il Signore non nell’amarezza con spirito di mormorio, ma « nella gioia dell’amore; presentatevi davanti al suo volto con allegria. » È facile essere trasportati dalla gioia per qualche causa esteriore, ma è davanti a Dio che bisogna librarsi alla gioia. Questi trasporti siano meno quelli della vostra lingua piuttosto che quelli della vostra coscienza. (S. Agost.). – « Sappiate che il Signore è Dio. » La scienza di Dio è necessaria: 1° prima di determinarci a presentarci davanti a Dio, noi dobbiamo sapere ciò che Egli è; 2° la conoscenza di Dio è l’inizio della virtù; 3° essa è la gloria dell’anima fedele: « Il saggio non si glorifichi nella sua saggezza, il forte non si glorifichi che nella sua forza, il ricco non si glorifichi nella sua ricchezza; ma colui che si glorifica, dice il Signore, si glorifichi di conoscermi e di sapere che Io sono il Signore; » (Gerem. IV, 23, 24); 4° Essa è la luce che ci conduce al cielo: « La vita eterna consiste nel conoscervi, Voi, il solo e vero Dio, e Colui che avete inviato, Gesù-Cristo. » (Giov. XVII, 3). – Nessun Cristiano c’è che non sappia che il Signore è il vero Dio, il Creatore di tutte le cose, ed la maggior parte però agisce come se non ne fosse convinto. – « Egli ci ha fatti e non siamo noi che abbiamo fatto noi stessi. » – Cosa avete per gioire tanto? Qual motivo di inorgoglirvi? Un altro vi ha fatti, e voi vi vantate, vi glorificate vi elevate come se vi foste fatti da voi stessi. È vantaggioso che Colui che vi ha fatto vi renda perfetti. « … è Lui che ci ha fatti. » Noi non dobbiamo inorgoglirci, tutto il bene che è in noi, lo otteniamo dal nostro Creatore. Tutto ciò che abbiamo fatto in noi, è per noi materia di condanna, tutto ciò che Egli ha fatto in noi e per noi, è oggetto della corona celeste. (S. Agost.). – « Noi non ci siamo fatti da noi stessi; » dunque noi riteniamo da Dio tutto ciò che abbiamo da essere, e in ogni momento della nostra esistenza. Noi siamo l’opera di Dio, e non abbiamo in noi stessi alcun mezzo per conservare quest’opera; Colui che solo può conservarla è Colui che ha dato la prima esistenza. Conseguenza di questa verità, è vedersi incessantemente nell’essere di Dio e pensare a Lui unicamente come a Colui che ci ha fatti per Lui e al Quale dobbiamo tornare. – Noi siamo chiamati popolo di Dio, perché Dio è il nostro Re; noi siamo chiamati sue pecore, perché Egli è il nostro Pastore. Noi siamo sue pecore e ciascuno di noi è una pecora, e le sue pecore non fanno che una pecora. E quale non è per noi l’infinita tenerezza del nostro Pastore? Egli ha lasciato le novantanove sue pecore ed è sceso a cercarne la sola perduta; Egli la riporta sulle sue spalle (Luc. XV, 4, 5), riscattata dal suo sangue. Il pastore è morto come assicurazione per la sua pecora, ed è risuscitato e possiede la sua pecora: « Noi siamo il suo popolo e pecore del suo pascolo » (S. Agost.). 

II. — 3, 4

ff. 3, 4. – « Entrate nelle porte per la confessione. » Le porte sono l’inizio della casa, cominciate con la Confessione. Confessate che non siete voi che avete fatto voi medesimi, lodate Colui che dal Quale siete stati fatti; il vostro bene viene da Colui il cui allontanamento ha causato il vostro male. Che il gregge entri dentro le porte; che non resti al di fuori, esposto ai lupi. – E come entrerà: Con la Confessione. Confessatevi passando per le porte della casa, e quando sarete entrati nei suoi sagrati, confessate il Nome del Signore con i vostri canti di lode (S. Agost.). « Lodate il suo Nome perché il Signore è pieno di dolcezza, etc. » Tre sono gli attributi che il Profeta ci richiama incessantemente nei suoi cantici, e che si incatenano l’uno nell’altro; la dolcezza, la misericordia, la verità di Dio. Poiché Dio è pieno di dolcezza e di bontà, Egli è sempre portato a perdonare; perché Egli è misericordioso, promette il perdono dei peccatori; perché Egli è fedele e verace nelle sue promesse, rende in effetti le sue buone grazie al peccatore (Berthier). – « Lodate il suo Nome, perché il Signore è soave. » Non temete che vi manchi la forza nel lodarlo. Le lodi che voi Gli darete saranno come un nutrimento che mangerete: più lo loderete, più forza acquisterete, e più Colui che voi loderete diverrà un alimento soave. « La sua misericordia è eterna; » perché dopo avervi liberato, non cesserà di essere misericordioso, e l’effetto della sua misericordia sarà quello di proteggervi senza fine per la vita eterna (S. Agost.). – La misericordia e la verità di Dio sono eterne, perché Egli le esercita in questa vita e nel secolo futuro. I Santi non gioiscono della gloria che in virtù della misericordia che Dio ha avuto per la loro miseria, ed essi non sono coronati se non perché Egli aveva promesso loro questa corona. (Idem). « Verità di Dio che si intende in tutto il susseguirsi delle generazioni, » perché essa non cambia, è sempre la stessa, e sempre così sarà durante tutto il corso dei secoli, come una regola inflessibile per raddrizzare tutti coloro che si allontanano dalla sua divina rettitudine.  

SALMI BIBLICI: “DOMINUS REGNAVIT: IRASCANTUR POPULI” (XCVIII)

SALMO 98: “DOMINUS REGNAVIT: irascantur populi”

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS.

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

[Canonico titolare della Chiesa di Soissons, Professore emerito di Scrittura santa e sacra Eloquenza]

TOME DEUXIÈME. –PARIS; LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR 13, RUE DELAMMIE, 1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

Salmo 98

Psalmus ipsi David.

[1] Dominus regnavit: irascantur populi;

qui sedet super cherubim: moveatur terra.

[2] Dominus in Sion magnus, et excelsus super omnes populos.

[3] Confiteantur nomini tuo magno, quoniam terribile et sanctum est,

[4] et honor regis judicium diligit. Tu parasti directiones; judicium et justitiam in Jacob tu fecisti.

[5] Exaltate Dominum Deum nostrum et adorate scabellum pedum ejus, quoniam sanctum est.

[6] Moyses et Aaron in sacerdotibus ejus, et Samuel inter eos qui invocant nomen ejus; invocabant Dominum, et ipse exaudiebat eos;

[7] in columna nubis loquebatur ad eos. Custodiebant testimonia ejus, et præceptum quod dedit illis.

[8] Domine Deus noster, tu exaudiebas eos; Deus, tu propitius fuisti eis, et ulciscens in omnes adinventiones eorum.

[9] Exaltate Dominum Deum nostrum, et adorate in monte sancto ejus, quoniam sanctus Dominus Deus noster.

[Vecchio Testamento Secondo la Volgata Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

SALMO XCVIII.

Del regno di Cristo e della sua Chiesa, di cui furono tipi il regno di Davide, Il monte di Sion e l’Arca dell’Alleanza.

Salmo dello stesso David.

1. Il Signore già regna: fremano i popoli; regna quegli che siede su’ Cherubini: sia in agitazione la terra.

2. Il Signore è grande in Sionne; egli è eccelso sopra tutti quanti i popoli.

3. Dieno gloria al nome suo grande, perché egli è terribile e santo, e il. Re glorioso ama la giustizia.

4. Tu preparasti precetti rettissimi; esercitasti il giudizio e la giustizia nel popolo di Giacobbe.

5. Esaltate il Signore Dio nostro, e adorate lo sgabello de’ piedi suoi, perché è santo.

6. Mose e Aronne suoi sacerdoti; e Samuele un di quegli che invocavano il nome di lui. (1)

7. Invocavano il Signore, e questi gli esaudiva; dalla colonna di nubi ad essi parlava. Osservavano i suoi comandamenti, e le cerimonie da lui ad essi ordinate.

8. Signore Dio nostro, tu gli esaudivi; tu, o Dio, fosti ad essi propizio, benché tu facessi vendetta di tutte le loro mancanze. (2)

9. Esaltate il Signore Dio nostro, e adoratelo nel suo monte santo; perché santo egli è il Signore Dio nostro.

(1) Mosè è stato nello stesso tempo gran sacerdote e capo politico, Aronne solo gran sacerdote, e Samuele solo capo politico, benché diversi Padri gli abbiano attribuito il titolo di gran-sacerdote. Mosè fu sommo Sacerdote istituito da Dio per dare la consacrazione sacerdotale a suo fratello Aronne ed ai suoi figli.

(2) La seconda parte di questo versetto è suscettibile di un doppio senso: Voi punite tutte le loro colpevoli affezioni, o: Voi farete vendetta di tutte le ingiustizie commesse contro di loro. Il primo senso sembra più verosimile.

Sommario analitico

In questo Salmo, Davide, nell’occasione del trasporto dell’arca sulla montagna di Sion, contemplando Gesù-Cristo regnante nella sua santa Chiesa nell’alto dei cieli (3); questo salmo si compone di tre strofe, terminanti ciascuna con la parola Sanro. Le tre cose che sono nominate in successione sante sono: 1° il nome del gran re; 2° lo sgabello dei suoi piedi, l’arca, figura dell’umanità di nostro-Signore; 3° Infine il Re stesso (1-3, 4,5 – 6-9). Un gran numero di interpreti hanno visto in questa ripetizione un’allusione alla Trinità. – Questo salmo era probabilmente cantato a due voci con un coro. La prima voce esprime un recitativo (versetto 1,3 -6,7). La seconda indirizza la parla a Dio (3, 4); infine, il coro termina ogni strofa (5, 9).

I. – Esorta il popolo:

1° A riconoscere Gesù-Cristo come proprio Re, a) superiore agli Angeli, b) egualmente al di sopra degli uomini (1, 2);

2° ad adorarlo, perché Egli è grande, terribile, santo e giusto (3, 4);

3° ad adorare la sua stessa umanità e la sua presenza sull’altare (5).

II. – Egli insegna che Dio debba essere onorato nei Sacerdoti:

1° che hanno una dignità simile a quella di Mosè, di Aronne, di Samuele (6)

2° che espletano il medesimo ufficio (7);

3° che fanno come loro l’esperienza della misericordia e della giustizia divina (8);

III. – Egli dichiara che Dio debba essere adorato sulla sua santa montagna da tutti gli uomini, a causa della sua santità (9).

Spiegazioni e Considerazioni

I. — 1-5

ff. 1, 2. – « Il Signore ha regnato, dice dunque il Re-Profeta, che la terra gioisca, che le isole più lontane trionfino con piacere. » (Ps. XCVI, 1). Ecco un regno di dolcezza e di pace. Ma o Dio, cosa sento in un altro salmo ? (XCVIII, 1) « Il Signore ha regnato – dice lo stesso Profeta – fremano i popoli e si adirino, che la terra frema e sia scossa fino alle fondamenta. » Ecco questo regno terribile, questo regno di ferro e di rigore che un altro Profeta descrive con queste parole: « Io regnerò su di voi, dice il Signore, colpendovi con man potente e rovesciando la mia ira. » (Ezech. XX, 33). Dio non regna sugli uomini se non in due maniere: Egli regna sui peccatori convertiti, che si sottomettono a Lui volontariamente; regna sui peccatori condannati, perché si assoggettano a Lui malgrado se stessi. Là è un regno di pace e di grazia, qui un regno di rigore e di giustizia; ma dappertutto è un regno sovrano di Dio, perché si pratica ciò che Dio comanda, qui si soffre il supplizio che Dio impone; Dio riceve gli omaggi di quelli, e fa giustizia degli altri (Bossuet, Serm. p. le 3° D. de l’Av., 2e p.). – Il Signore ha regnato, che i popoli siano pieni di collera; » Colui che è seduto sui cherubini, sottinteso, ha regnato, « che la terra sia scossa. » È la ripetizione, in altri termini, di queste parole: « Che i popoli siano colmi di collera. » Cosa sono in effetti i popoli, se non la terra? Che la terra si irriti quanto vuole contro Colui che è seduto nel cielo. Ma il Signore è stato anche sulla terra, ha preso della terra, al fine di essere sulla terra. Egli si è rivestito della nostra carne ed ha voluto, Egli per primo, soffrire il furore dei popoli. Perché i suoi servi non avessero paura della collera dei popoli, Egli ha voluto soffrirla prima di essi; e poiché la collera dei popoli era necessaria ai suoi servitori perché fossero guariti e purificati di tutti i loro peccati dalle stesse tribolazioni, il Medico ha bevuto per primo l’amara bevanda perché il malato non temesse di berla. « Il Signore dunque ha regnato, che i popoli siano pieni di collera, » perché dalla stessa collera Dio sa trarre molto bene. I popoli entrano in furore ed i servi di Dio sono esercitati nella sofferenza (S. Agost.). – Istituzione della Chiesa malgrado le opposizioni e le persecuzioni dei Giudei e dei Gentili; sforzi impotenti che non servono che a mostrare la debolezza di coloro che osano attaccare Colui che è seduto sui Cherubini. I popoli non hanno vinto il Cristo che abita nella Chiesa, sia trionfante, sia militante,  – chiamata qui Sion – perché il Cristo è grande e sovrasta tutti i popoli in modo che nessuno possa resistergli (Dug. – Bellar.). –  Che l’uomo lo voglia o meno, egli resta e resterà soggetto a Dio. Se qualche indipendenza può affettare l’orgoglio individuale o l’orgoglio nazionale, Dio non abdica nel suo alto dominio sulle società … il mondo è stato creato per la sua gloria! La superbia dell’uomo non vi porrà ostacolo: « Il Signore ha regnato e regnerà malgrado lo scuotersi dei popoli; se gli viene proibito di regnare con il suo amore ed i suoi benefici, regnerà con la sua giustizia ed i suoi castighi. »  (Mgr PIE, Tom. VII, p. 380). – Dio è infinitamente grande, come gli uomini potranno giungere fino a Lui? Dio è infinitamente terribile, come potranno gli uomini trattare con Lui senza essere annientati da questa terrificante Maestà? Dio è infinitamente santo, come potranno gli uomini essere tanto puri da piacergli? Dio è infinitamente giusto, come potranno gli uomini sostenere la presenza di questo Giudice sovrano? Questioni insolubili, queste,  senza Gesù-Cristo, nostro Mediatore. È Lui che ci apre la strada che conduce a suo Padre; che invoca in nostro favore la misericordia, che spegne i fulmini della giustizia; che purifica i nostri cuori, e li fa entrare nell’alleanza del Santo dei santi; che ci prepara, con la remissione dei peccati, ad attendere senza timori il giorno delle vendette. (Berthier). – « Il Signore è grande in Sion, ed è elevato al di sopra di tutti i popoli. » Noi sappiamo che Sion è la città di Dio. Si chiama Sion la città di Gerusalemme; essa ha ricevuto questo nome, secondo gli interpreti, perché Sion significa: « Chi guarda lontano. » Questo nome esprime una visione, una contemplazione. Guardare lontano, significa guardare dall’alto, è guardare intorno a sé, o applicarsi attentamente a vedere. Ogni anima merita il nome di Sion, se si applica attentamente a vedere la luce che innanzitutto bisogna ricercare; perché se essa applica la sua attenzione a considerare la propria luce, cade nelle tenebre; ma se si applica a considerare la luce di Dio, essa è illuminata. Ora dal momento che è certo che Sion sia la città i Dio, cos’è la città di Dio, se non la santa Chiesa? In effetti gli uomini che si amano gli uni gli altri e che temono il loro Dio che abita in essi, formano la città di Dio; e come ogni città ha una legge di base, la legge di questa città è la carità, e la carità è Dio (Giov. IV, 8). Colui quindi che è pieno di carità, è pieno di Dio, ed il gran numero di coloro che sono ripieni di carità, compongono la città di Dio. Questa città di Dio si chiama Sion: dunque Sion è la Chiesa. Dio è grande in Sion! Siate in essa, e Dio non sarà fuori da voi. Ora, quando Dio sarà in voi, perché sarete in Sion, membro di Sion, cittadino di Sion, appartenente alla società del popolo di Dio, Dio sarà elevato in voi al di sopra di tutti i popoli, al di sopra dei popoli che ancora si irritano, o al di sopra dei popoli che in precedenza si irritavano. Pensate in effetti che essi si irritassero allora e non si irritino più adesso? Essi si irritavano allora; ma poiché erano molto numerosi, il loro furore esplodeva apertamente; ora essi sono un piccolo numero, il loro furore si nasconde. Tuttavia distrutta la loro audacia, anche la collera finirà (S. Agost.).

ff. 3-5. – « Che confessino la grandezza del vostro Nome. » il vostro Nome era piccolo nel tempo dei loro furori; esso è divenuto grande ora che lo confessano. In qual senso diciamo che il Nome di Cristo era piccolo prima che la grandezza del Cristo non fosse proclamata in tutto il suo splendore? Perché il suo Nome non era altro che la sua rinomanza. Il suo Nome era piccolo; ma ecco che diventa grande. Qual è la nazione che non abbia inteso il nome del Cristo? Che i popoli che in precedenza esercitavano il loro furore sul vostro Nome ancora piccolo, confessino dunque la gloria del vostro Nome divenuto grande. Perché? « Perché esso è terribile e santo. » È così che è predicato Colui che è stato umiliato, così è predicato Colui che è stato giudicato, affinché Egli venga un giorno in tutta la sua grandezza, affinché venga pieno di vita, affinché venga per giudicare nella sua forza. Egli risparmia i popoli che lo bestemmiano, perché la pazienza di Dio li attiri a penitenza. « Perché Egli è terribile e santo, e l’onore del re ama il giudizio. » Che i popoli lo temano dunque, al fine di correggersi; e badino, per una falsa presunzione della sua misericordia, ad abbandonarsi a se stessi ed a vivere nel disordine; perché Egli ama la misericordia, ma ama pure la giustizia. In cosa consiste la sua misericordia? Nel predicarvi al presente la verità, nell’esortarvi al presente alla conversione. È una piccola misericordia da parte sua, malgrado i disordini della vostra vita, il non avervi eliminato nel momento in cui peccavate, e perdonare i vostri peccati nel momento in cui voi meglio credete? È una piccola misericordia? E voi credete che sarà sempre il tempo della misericordia, in modo che nessuno sia punito? Non lo pensate! « Il suo nome è terribile e santo, e l’onore del re ama il giudizio. » Ora il giudizio sarebbe ingiusto e non sarebbe neanche un giudizio, se ognuno non ricevesse ciò che avrà meritato. « E l’onore del re ama il giudizio » (S. Agost.). – Dio prova che Egli ama la giustizia, non solo dando agli uomini le leggi rettissime ed adattissime a riformare i costumi, ma anche nell’emettere giudizi molto equilibrati. Pratichiamo dunque noi stessi la giustizia, agiamo secondo equità. Ma chi agisce secondo equità? Chi pratica la giustizia? L’uomo peccatore, l’iniquo, l’uomo perverso, l’uomo che ha allontanato la sua luce dalla verità? Che deve fare l’uomo? Convertirsi solamente a Dio, perché Dio produca in lui l’equità che egli è incapace di formare da se stesso e che non potrebbe che deformare. L’uomo può ferirsi, ma può guarire; egli può si ammalarsi quando vuole, ma non esce dalla malattia quando vuole. Se lo vuole, egli eccede i limiti della temperanza, con il freddo o con il caldo, ed egli si ammala nel giorno in cui vuole; ma quando è malato per una intemperanza, si alzi allora a suo piacimento! … egli che si è messo a letto quando ha voluto, si levi ora, se può, di propria volontà. Per diventar malato, non ha avuto bisogno che della propria intemperanza; per alzarsi ha bisogno del soccorso di chi possa guarirlo. Così, dunque, per peccare, l’uomo è autosufficiente, ma per essere giustificato non lo è: egli non può essere giustificato se non da Colui che solo è giusto. Affinché gli uomini si diano a Dio per essere sottomessi alla giustizia, il Profeta, dopo aver riempito i popoli di giustizia con queste parole: « Che essi confessino la grandezza del vostro Nome, perché Egli è terribile e santo, e l’onore del re ama il giudizio, » come se i popoli affranti gli domandassero in qual modo vivere nella giustizia, perché non possono possedere la giustizia da se stessi, il Profeta fa loro conoscere Colui che può dar loro la giustizia, e dice: « Voi avete preparato le regole dell’equità; voi avete stabilito il giudizio e la giustizia in Giacobbe. Noi dobbiamo in effetti possedere da noi stessi il giudizio, dobbiamo possedere la giustizia, Egli che ci ha fatto per formarli in noi. Come dobbiamo dunque possedere il giudizio e la giustizia? Voi possedete il giudizio, quando distinguete il bene dal male; voi possedete la giustizia quando seguite il bene e vi allontanate dal male. Discernendo, possedete il giudizio; agendo possedete la giustizia. « Allontanatevi dal male, » è detto in un altro salmo, e fate il bene, cercate la pace ed impegnatevi a perseguirla. » (Ps. XXXIII, 15). Voi dovete dapprima possedere il giudizio e poi la giustizia. Ma quale giudizio? Il giudizio di ciò che è male ed il giudizio di ciò che è bene. E quale giustizia? Quella di allontanarvi dal male e fare il bene. Ma voi non li possedete da voi stessi; vedete in effetti ciò che dice il Profeta: « Siete voi che avete stabilito il giudizio e la giustizia in Giacobbe. » (S. Agost.) – « Esaltate il Signore nostro Dio. » Esaltatelo veramente, esaltatelo come conviene. Lodiamo, esaltiamo chi ha fatto la giustizia che noi possediamo, e che l’ha costituita Egli stesso in noi; perché chi ha fatto in noi la giustizia, non è Colui che ci ha giustificati? … « Ed adorate lo sgabello sul quale riposano i suoi piedi. » Quando io chiedo qual sia questo sgabello dei piedi del Signore, la Scrittura mi risponde: « La terra è lo sgabello sul quale riposano i miei piedi. » Quale ansia per me! Io temo di adorare la terra per timore di essere condannato da Colui che ha fatto il cielo e la terra; d’altro canto, io ho timore di non adorare lo sgabello  sul quale riposano i piedi del mio Dio … In questa fluttuazione, io mi rivolgo al Cristo, perché è Lui che io qui cerco, ed io trovo come la terra possa essere adorata senza empietà; come senza empietà può essere adorato lo sgabello sul quale riposano i piedi del mio Dio. In effetti il Signore ha ricevuto la terra, la terra della sua carne; perché la sua carne è di terra, Egli ha ricevuto la sua carne dalla carne di Maria; e siccome ha vissuto quaggiù nella sua carne, Egli ci ha dato questa carne da mangiare per la nostra salvezza, e nessuna la mangia se non l’ha dapprima adorata (S. Agost.).

II —6-8.

ff. 6-8. – Nulla c’è di più potente, di più efficace, dell’esempio dei Santi. Anche il Profeta, volendo ispirare al suo popolo ed ai Sacerdoti l’amore per la preghiera, per la virtù, propone loro l’esempio dei loro pii ancestri, Mosè, Aronne e Samuele, esauditi nelle loro preghiere, non soltanto a causa della loro santità personale, ma soprattutto perché essi osservavano le leggi ed i precetti che Dio aveva loro dati.- Mezzo infallibile perché Dio faccia ciò che vogliamo, è fare noi stessi ciò che Egli vuole. « Non è colui che si contenta di dire Signore, Signore che sarà esaudito, ma colui che fa la volontà di Dio. » (Dug.). – « Dio parlava loro da una colonna di nubi; » ma questa colonna non era che una figura. Noi possediamo Colui che queste ombre annunciavano, noi adoriamo lo sgabello dei suoi piedi. Dio ci ha parlato e ci parla ancora per mezzo del Figlio suo. La nostra fede è più luminosa di quella di Mosè, di Aronne e di Samuele. Dio, per sua provvidenza, diceva l’Apostolo agli Ebrei convertiti alla fede, ha disposto qualcosa di meglio per noi che per questi grandi uomini. Guardiamoci dal non ascoltare Colui che ci parla, dal rigettare il Mediatore della nuova alleanza, il cui sangue perla molto meglio di quello di Abele (Hebr. XII). – « Essi conservavano le sue testimonianze ed i comandamenti che Egli aveva loro dato. » Il Profeta lo dice e non c’è da negarlo. Erano dunque essi senza peccato? E com’è possibile? Quando essi custodivano i suoi comandamenti, custodivano le sue testimonianze. Vedete come Dio vuol formarci, così che noi non presumiamo della nostra giustizia, come se essa fosse perfetta. Ecco Mosè ed Aronne che sono nel novero dei suoi Sacerdoti; ecco Samuele che è uno di coloro che invocano il suo Nome. Dio parlava loro dal seno di una colonna di nubi; Egli li esaudiva, perché essi custodivano i suoi comandamenti; e tuttavia il Profeta prosegue in questi termini: « O Signore, nostro Dio, voi siete stato loro propizio. » Dio non è detto propizio se non riguardo ai peccati; è quando Egli perdona che si dice propizio. E cosa aveva dunque da punire in tali Santi, per essere loro propizio e perdonarli? Egli è stato propizio rimettendo loro i peccati e propizio nel punirli; perché, cosa leggiamo poi? « Voi siete stato loro propizio e li avete puniti nelle loro affezioni. » Vedete ciò che il Profeta vuole qui insegnarci. Dio è irritato contro colui che non punisce dei suoi peccati, ed è veramente propizio per colui al quale, non solo rimette i peccati che gli impedirebbero di acquisire la vita futura, ma ancora a colui al quale infligge dei castighi, affinché cessi di compiacersi nel suo peccato … « Voi li avete puniti nelle loro affezioni. » Sicuramente il Profeta ha voluto parlare così delle colpe che Dio vedeva nei loro cuori e che gli uomini non conoscevano; perché essi vivevano in mezzo al popolo di Dio, ma nessuno aveva un lamento da portare contro di essi … Ma Dio conosceva forse in essi qualcosa da purificare; perché ciò che sembra perfetto agli uomini è ancora imperfetto agli occhi della divina Perfezione … Questi Santi vivevano sotto l’occhio di Dio, in apparenza senza colpa alcuna, in una perfezione simile a quella degli Angeli; ma Dio sapeva ciò che mancava loro, ed Egli puniva finanche le minime colpe. Ora Egli li castigava non per la collera, ma per la misericordia; Egli li castigava per perfezionare un’opera iniziata, e non per condannare un’opera rigettata. Dio li ha dunque puniti di tutte le loro colpe. E come li ha puniti? Io cerco di capire come essi siano stati puniti, ma nell’ordine delle cose umane, io non trovo niente; ma se io mi riporto a ciò che so che soffrono i servi di Dio, io vedo che sono stati puniti ogni giorno. Leggete e vedete i castighi che li hanno colpiti, ed avanzate nella via del Signore, sopportate anche questi castighi. Tutti i giorni essi soffrivano le contraddizioni del popolo; tutti i giorni essi dovevano soffrire coloro che vivevano nell’iniquità, ed erano obbligati a vivere in mezzo a coloro dei quali riprendevano tutti i giorni i disordini. Tale era la loro punizione! Per colui che non è avanzato ancora nella pietà, questa punizione sembra leggera; perché l’ingiustizia degli altri vi tortura per la lontananza che avete dalla vostra giustizia (S. Agost.). 

III. — 9.

ff. 9. – Qual è questa santa montagna ove dobbiamo rendere le nostre adorazioni a Dio? È la Chiesa di Gesù-Cristo, questa montagna elevata al di sopra di tutte le altre, dove è piaciuta al Signore abitare fino alla fine dei secoli; questa montagna, visibile a tutto l’universo, che si eleva dalla terra al cielo per condurvi sicuramente coloro che non fanno altro che strisciare quaggiù; questa montagna della Chiesa unica, della Chiesa Cattolica, la sola che si possa chiamare santa e fuori dalla quale non si può sperare di essere salvati, nei riguardi soprattutto delle cose dell’eternità, secondo questa risposta che Sant’Agostino dà ad un pagano: « Non vi glorificate del fatto che se implorate pioggia, Dio vi manda la pioggia, perché Dio la fa cadere sui giusti e sugli ingiusti. » Egli vi ha esaudito per le cose temporali ma non vi esaudirà per le cose eterne, a meno che voi non lo adoriate sulla sua santa montagna. (Sacy)

SALMI BIBLICI: “CANTATE DOMINO, CANTICUM NOVUM, QUIA” (XCVII)

SALMO 97: “CANTATE DOMINO canticum novum, quia …”

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS.

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

[Canonico titolare della Chiesa di Soissons, Professore emerito di Scrittura santa e sacra Eloquenza]

TOME DEUXIÈME.

PARIS – LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR 13, RUE DELAMMIE, 1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

Salmo 97

Psalmus ipsi David.

[1] Cantate Domino canticum novum, quia

mirabilia fecit. Salvavit sibi dextera ejus, et brachium sanctum ejus.

[2] Notum fecit Dominus salutare suum; in conspectu gentium revelavit justitiam suam.

[3] Recordatus est misericordiæ suæ, et veritatis suæ domui Israel. Viderunt omnes termini terræ salutare Dei nostri.

[4] Jubilate Deo, omnis terra; cantate et exsultate, et psallite.

[5] Psallite Domino in cithara; in cithara et voce psalmi;

[6] in tubis ductilibus, et voce tubæ corneæ. Jubilate in conspectu regis Domini;

[7] moveatur mare, et plenitudo ejus; orbis terrarum, et qui habitant in eo.

[8] Flumina plaudent manu, simul montes exsultabunt

[9] a conspectu Domini, quoniam venit judicare terram. Judicabit orbem terrarum in justitia, et populos in æquitate.

[Vecchio Testamento Secondo la Volgata Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

SALMO XCVII

Predice Davide, come nel Salmo 95, la venuta prima di Cristo a salvare, e la seconda a giudicare il mondo.

Salmo dello stesso David.

1. Cantate al Signore un cantico nuovo, perché mirabili cose egli ha fatto.

2. Ha destra di lui e il suo braccio santo si operarono la salute.

3. Il Signore ha manifestata la sua salute; ha rivelata la sua giustizia agli occhi delle nazioni.

4. Si è ricordato della sua misericordia e della sua verità a favor della casa d’Israele.

Gli ultimi confini della terra hanno tutti veduto la salute del nostro Dio.

5. Canti con giubilo laude a Dio tutta quanta la terra; cantate ed esultate al suono de’ musicali strumenti.

6. Cantate cantici al Signore sopra la cetra, sulla cetra e sul saltero, al suono di trombe di metallo, e di buccine.

7. Cantate con voci di giubilo alla presenza del Signore che è Re; sia in movimento il mare e tutto quello che lo riempie, la terra tutta e quelli che l’abitano.

8 I fiumi batteranno le mani, i monti eziandio esulteranno dinanzi al Signore; perché egli è venuto a governare la terra.

9. Egli governerà la terra con giustizia e i popoli con equità.

Sommario analitico

In questo salmo, in cui il salmista celebra le vittorie del Messia, le sue due venute e l’entrata di tutti i popoli nella sua Chiesa.

I. – Egli espone i motivi di questo nuovo cantico:

1° Le meraviglie che Dio ha operato (1);

2° La salvezza donata alla terra da Gesù-Cristo (2);

3° La giustizia, la misericordia e la verità di Dio manifestate a tutti gli uomini (3);

II. – Indica la doppia maniera con cui devono ottemperare a questo dovere:

 1° Con la gioia del cuore, i cantici ed i trasporti dell’allegria (4);

2° Con gli accordi uniti di tutti gli strumenti musicali (5, 6);

III. Invita la terra, il mare, i fiumi, le montagne ad associarsi a questo cantico, a questa gioia comune, ed offre loro come motivo, che Dio è il Giudice dell’universo, che Egli deve giudicare secondo le regole della giustizia e dell’equità 7-9).

Spiegazioni e Considerazioni

I. — 1-3

ff. 1-3. – L’uomo nuovo conosce questo cantico, l’uomo vecchio non lo conosce; l’uomo vecchio è la vita antica, l’uomo nuovo è la vita nuova; la vita antica ci viene da Adamo, la vita nuova si forma nel Cristo (S. Agost.). – Le cose meravigliose che costituiscono la materia di questo cantico nuovo sono i misteri dell’Incarnazione, della vita, della morte e della Resurrezione del Salvatore, tutte meraviglie nuove e che non si erano mai viste prima. L’uomo salvato, l’uomo vincitore del peccato, l’uomo riscattato dalla morte eterna, l’uomo ristabilito nella primitiva giustizia, l’uomo associato per sempre alla santità, alla felicità, alla gloria del suo Dio, è una tal grande meraviglia, una sì eccellente grazia, un beneficio sì generale, che si concepisce facilmente come il Profeta chiami la natura intera a condividere i suoi sentimenti di riconoscenza e di amore. (Duguet). – L’oggetto di questo nuovo cantico è Gesù-Cristo crocifisso, meraviglia inaudita fino ad allora. Un nuovo prodigio, richiede un cantico nuovo. È l’uomo che ha sofferto, ma ha cantato in onore a Dio; Egli ha sofferto come uomo, ma come Dio ci ha salvati (S. Gerolamo). – L’umiltà, le sofferenze, l’obbedienza fino alla morte, e fino alla morte in croce, sono state le armi delle quali Gesù-Cristo si è servito per salvarci, « … la sua destra ed il suo braccio santo. » (Idem). – « Perché il Signore ha compiuto meraviglie. » Quali meraviglie? « La sua destra ed il suo braccio hanno operato una guarigione di per sé. » Qual è questo braccio santo di Dio? Nostro Signore Gesù-Cristo! Ascoltate Isaia: « Chi ha creduto alla nostra parola, e a chi il braccio del Signore è stato rivelato? » (Isai. LIII, 1). Il braccio santo di Dio e la sua destra sono dunque le stessa cosa. Nostro Signore Gesù-Cristo è dunque la destra ed il braccio di Dio; ecco perché Egli ha operato guarigione di per sé, perché molti sono guariti per essi, e non per Dio. Quanti hanno desiderato la salute del corpo e la recuperano da Lui; essi sono stati guariti da Lui e non sono guariti per Lui? Come sono stati guariti da Lui senza essere guariti per Lui? Quando essi hanno recuperato la salute, si gettano nella dissolutezza; malati, essi erano casti; guariti diventano adulteri; malati non fanno torto a nessuno; guariti usano le forze che sono tornate per attaccare ed opprimere gli innocenti: essi sono guariti non per Dio. Chi è colui che è guarito interiormente? Colui che per la sua fede è guarito nel cuore e trasformato in un uomo nuovo, di modo che la sua carne mortale, che languiva quaggiù un tempo, recupera da se stessa alla fine la salute più perfetta. Facciamoci dunque guarire per Dio. Ma al fine di essere guarito per Lui, bisogna aver fiducia nella sua destra: « … perché la sua destra ed il suo braccio hanno operato la nostra salvezza per Lui stesso. » (S. Agost.). – « … secondo la rivelazione del mistero taciuto per secoli eterni, ma rivelato ora e annunziato mediante le scritture profetiche, per ordine dell’eterno Dio, a tutte le genti perché obbediscano alla fede … » (Rom. XVI, 25, 26). – A chi Dio ha fatto conoscere il suo Salvatore? A qualche parte dell’universo, o all’universo intero? Egli non lo ha fatto conoscere solo ad una parte dell’universo. Nessuno ci inganni, nessuno menta, e nessuno dica. « Egli è qui, Egli è là. » (Matt. XXIV, 23). Colui che dice: « Egli è qui, Egli è là, » non mostra che porzioni della terra. A chi il Salvatore fa conoscere il Salvatore? Ascoltate: « Egli ha rivelato la giustizia al volto delle nazioni. » Di Lui in effetti è stato detto: « Nella carne verrà il Salvatore inviato da Dio; » (Luc. III, 6); e di cui Simeone ha detto ricevendolo tra le sue mani: « I miei occhi hanno visto il Salvatore che viene da Voi, che avete preparato davanti alla faccia di tutti i popoli (Luc. II, 29, 30). – « Egli si è ricordato della sua misericordia e della sua verità. » Quando ha fatto le sue promesse, è stato preso da compassione; siccome ha realizzato la misericordia promessa, la verità ha seguito la sua misericordia; la misericordia è stata messa davanti alle promesse  e le promesse sono state seguite dalla verità (S. Agost.). – « Ricordatevi – dice San Paolo – che il Cristo Gesù si è dedicato dapprima al popolo circonciso, alfine di verificare la parola di Dio e confermare le promesse fatte ai nostri padri. Quanto ai gentili, essi devono glorificare Dio per la misericordia che ha fatto loro; » (Rom. XV); perché questa promessa era fatta alla casa di Israele e non alle nazioni, benché dovessero parteciparvi. Dio ha dato Gesù-Cristo ai gentili per pura misericordia; Egli lo ha dato ai Giudei per misericordia e per compiere le sue promesse. (Rom. XV, 9). – Tutti i confini della terra hanno visto la salvezza di Dio, perché il Salvatore ha riscattato tutto – dice S. Agostino – offrendo un prezzo così grande per questo riscatto.

II. — 4 – 6

ff. 4-6. – Questo è un Cantico di azioni di grazie e di riconoscenza al Signore per il grande beneficio della Redenzione. – Misterioso è il significato dei quattro strumenti con l’aiuto dei quali dobbiamo lodare Dio. Si possono qui vedere le quattro virtù cardinali: l’Arpa, simbolo della prudenza: essa deve far risuonare sullo stesso accordo varie corde differenti; così la prudenza è una virtù che fa tendere e camminare varie diverse circostanze verso lo stesso scopo. – Il salterio, composto da dieci corde, richiama la giustizia, che consiste soprattutto nel compimento dei dieci comandamenti di Dio. La tromba, fatta di ferro battuto e che divenuta, sotto i colpi di martello, uno strumento armonioso, è un simbolo della fortezza che dalle tribolazioni fa uscire il suono dolce e soave della pazienza. Infine, la temperanza, dominando il corpo e mostrandosi superiore, con la sua fermezza e la sua forza, alla carne inferma, così come lo è il corno più duro, diviene come una tromba spirituale che fa udire i suoni più dolci. (S. Agost.). – Questo giubilo dello spirito e del cuore al quale ci invita il profeta è: 1° il segno di una fede viva e solidamente stabilita, verità che l’Apostolo san Pietro esprime in questi termini: « Voi credete in Lui, e ora senza vederlo credete in Lui. Perciò esultate di gioia indicibile e gloriosa, mentre conseguite la mèta della vostra fede, cioè la salvezza delle vostre anime. » (I Piet. I, 9); 2° questa gioia del cuore aumenta la speranza che mettiamo in Dio solo, e getta via tutte le speranze della terra; 3° la gioia del cuore; quando essa ha per oggetto Dio, scalda e sviluppa la carità, perché essa dilata il cuore, lo infiamma, lo apre interamente a Dio perché possa formarlo, modellarlo, e con la forza di questa soavità celeste, lo unisca strettamente a Dio affinché non possa mai più separarsene.

III. — 7-9

ff. 7-9. – Figura ordinaria dei profeti, ed in particolare del salmista, è animare le cose più insensibili e farle prendere parte sia alla gioia che al dolore che avvertono le creature intelligenti. Come i fiumi applaudiranno con le mani? Che vuol dire applaudire con le mani? È un gioire agitandosi, applaudire è rallegrarsi, applaudire con le mani è rallegrarsi agitandosi. (S. Agost.). – Le opera dei Santi sono la lode di Dio; sono le opere e non la bocca che lodano veramente il Cristo. Egli non ascolta la voce, ascolta solo le opere (S. Girol.). – Quali sono questi fiumi? Coloro dei quali Dio ha fatto fiumi dando loro lo Spirito-Santo come acqua salutare: « Se qualcuno ha sete – dice il Signore – venga e beva. Se qualcuno crede in me, dal suo seno zampilleranno fiumi di acqua viva, » (Giov. VI, 37-39). Questi fiumi sgorgano dalla fonte stessa di Gesù-Cristo. È Lui che ne è la fonte, noi siamo i fiumi, i Santi sono i fiumi. Coloro che sono inferiori ai Santi sono dei semplici ruscelli; altri sono torrenti, coloro che hanno l’acqua per un certo tempo, e poi seccano ai primi venti della tentazione. Non c’è che un solo fiume: tanti Santi, tanti fiumi; ma questi fiumi non si oppongono tra loro, sono i fiumi di Gesù Cristo che escono da una stessa fonte e tra i quali regna l’accordo più perfetto. (S. Girol.). – « Le montagne esulteranno di gioia alla presenza del Signore, perché viene, viene a giudicare la terra. » le montagne sono i grandi: Dio viene a giudicare ed essi se ne rallegrano. Ma vi sono altre montagne che tremano per la paura, quando Egli verrà a giudicare la terra. Ci sono dunque montagne buone e montagne malvagie. Le buone montagne sono elevate nello spirito, le malvagie sono gonfie di orgoglio. « Le montagne trasaliranno di gioia alla presenza del Signore, perché viene a giudicare la terra: Egli giudicherà tutto l’universo secondo giustizia, ed i popoli secondo equità. »Gioiscano dunque le montagne, perché non giudicherà ingiustamente. Forse, se il giudice doveva essere qualche uomo agli occhi del quale la coscienza non può essere aperta, gli innocenti stessi avrebbero tremato, nell’attendere da Lui una ricompensa gloriosa, o temere il castigo di una condanna; ma quando verrà Colui che non può essere ingannato, gioiscano le montagne, e si rallegrino in sicurezza: Egli effonderà su di esse la sua luce e non le condannerà … Ma se le montagne sante si rallegreranno, le montagne ingiuste tremeranno di terrore. Si correggano esse, e gioiscano. È nel vostro potere decidere in qual modo attendere il Cristo.  Egli ritarda a venire, per non dovervi condannare quando verrà (S. Agost.). – Sotto questa immagine sì ardita, dei fiumi che battono le mani, delle montagne che sussultano di gioia, il salmista vuol rappresentare le nazioni, emozionate dalla presenza del Giudice supremo dell’universo. Si felicitano nel vedere infine arrivare il regno della giustizia e dell’equità. Il solo pensiero che il Signore viene a giudicare la terra è sufficiente perché tutte le nazioni siano ricolme di gioia. Esse hanno visto per tanto tempo trionfare il crimine, i buoni soffrire, gli empi beffarsi! Esse aspettavano di vedere l’iniquità confusa e l’ordine ristabilito dappertutto. Il Signore viene … esse si rassicurano; è certo allora che tutta la giustizia sarà fatta, che ogni equità sarà stabilita (Rendu). – Dio, che ha comunicato alla creazione inanimata il movimento e l’inclinazione a servire i suoi eletti, chiamerà il cielo e la terra al discernimento del suo popolo. (Ps. XLIX). Essi non mancheranno di accorrervi da una parte per combattere con Lui gli insensati (S. Agost.), ma anche più espressamente per applaudire e rendere omaggio ai suoi figli. Sarà un giubilo universale: il mare e tutto quanto esso contiene, l’universo e tutti coloro che lo abitano saranno in movimento; i fiumi batteranno le mani e le montagne esulteranno di gioia alla vista del Signore, perché sarà venuto a giudicare la terra.  « Venite, benedetti del Padre mio, possedete il regno preparato fin dall’inizio. » Come se dicesse: mio Padre non ha fatto nulla se non in vista di voi; la creazione del mondo non era che un preparativo della grande opera nella quale la gloria dei Santi sarà l’ultima realizzazione, e quando posava i primi fondamenti dell’universo, preparava già questo regno (Mgr. Pie, DISC, et Instr. t. VIII, 227).  

SALMI BIBLICI: “DOMINUS REGNAVIT; EXSULTET TERRA” (XCVI)

SALMO 96: “DOMINUS REGNAVIT; exsultet terra”

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS.

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

[Canonico titolare della Chiesa di Soissons, Professore emerito di Scrittura santa e sacra Eloquenza]

TOME DEUXIÈME.

PARIS

LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR 13, RUE DELAMMIE, 1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

Salmo 96

[1] Huic David, quando terra ejus restituta est.

    Dominus regnavit; exsultet terra; lætentur insulæ multæ.

[2] Nubes et caligo in circuitu ejus; justitia et judicium correctio sedis ejus.

[3] Ignis ante ipsum præcedet, et inflammabit in circuitu inimicos ejus.

[4] Illuxerunt fulgura ejus orbi terrae; vidit, et commota est terra.

[5] Montes sicut cera fluxerunt a facie Domini; a facie Domini omnis terra.

[6] Annuntiaverunt cæli justitiam ejus; et viderunt omnes populi gloriam ejus.

[7] Confundantur omnes qui adorant sculptilia, et qui gloriantur in simulacris suis. Adorate eum omnes angeli ejus.

[8] Audivit, et lætata est Sion; et exsultaverunt filiæ Judæ, propter judicia tua, Domine.

[9] Quoniam tu Dominus altissimus super omnem terram; nimis exaltatus es super omnes deos.

[10] Qui diligitis Dominum, odite malum; custodit Dominus animas sanctorum suorum, de manu peccatoris liberabit eos.

[11] Lux orta est justo, et rectis corde lætitia.

[12] Lætamini, justi, in Domino, et confitemini memoriæ sanctificationis ejus.

[Vecchio Testamento Secondo la Volgata Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

SALMO XCVI

Nell’occasione che Davide ricuperò il regno toltogli da Assalonne, ei predice la restituzione perfetta della Chiesa dopo l’ultimo giudizio, quando Cristo regnerà pacifico su d’ogni creatura.

Salmo di David, quando la terra di lui fu ristorata.

1. Il Signore è nel suo regno: esulti la terra, le molte isole si rallegrino. (1)

2. Intorno a lui una nube caliginosa: reggono il trono di lui la giustizia ed il giudizio.

3. Precederà innanzi a lui il fuoco, e abbrucerà all’intorno tutti i suoi nemici.

4. Lampeggiarono le sue folgora per tutto il giro della terra: le vide, e fu scossa la terra.

5. I monti come cera si liquefecero alla presenza del Signore: alla presenza del Signore, si liquefece tutta la terra.

6. Hanno annunziata i cieli la giustizia di lui, e han veduta tutti i popoli la sua gloria.

7. Sien confusi tutti coloro che adorano scolpite immagini, e dei lor simulacri si gloriano.

8. Adoratelo voi tutti, o Angeli di lui: udì Sionne e n’ebbe allegrezza. Ed esultarono le figliuole di Giuda per ragione dei tuoi giudizi, o Signore. (2)

9. Imperocché tu il Signore altissimo sopra tutta la terra; tu sei oltre modo esaltato sopra tutti gli dèi.

10. Voi che amate il Signore, odiate il male: il Signore è custode dell’anime dei suoi santi, ei le libererà dalle mani del peccatore.

11. È nata pel giorno la luce, la letizia per quei che hanno il cuore retto.

12. Rallegratevi nel Signore, o giusti; e celebrate la memoria della sua santità.

(1) « Il Signore regna o ha regnato, » è l’espressione usata per acclamare l’avvento di un re (II Re XV, 10; Ps. LXVII, 18, 19; Isa. LII, 7). Le isole, le coste del Mediterraneo, i paesi lontani ai quali i Giudei non arrivavano se non traversando il mare.

(2) Le figlie di Giuda, le città o gli abitanti della Giudea che erano per Sion ciò i figli sono per la loro madre. 

Sommario analitico

In questo salmo, che quasi tutti gli interpreti intendono letteralmente come le due venute del Messia, nelle quali Egli viene: 1) per convertire la terra, 2) e poi per giudicarla,

I. – Il Profeta invita tutta la terra a mabifestare la propria gioia a causa del regno del Signore (1), di cui espone le diverse qualità e i diversi effetti, è:

1° Regno invisibile, « una nube tenebrosa; »

2° Regno fondato sulla giustizia (2),

3° Regno che, malgrado la sua oscurità, è accompagnato dal bagliore di un fuoco vendicatore, davanti al quale i suoi nemici, figurati dalle alte montagne, fonderanno come cera (3-5);

4° Regno pubblico ed universale, del quale i cieli annunziano la giustizia e di cui i popoli vedranno e renderanno pubblica la gloria (6);

5° Regno infine che avrà per effetto la rovina dell’idolatria, la gioia di Sion e delle figlie di Giuda, gioia il cui principio sarà la grandezza eccezionale di Dio (7-9).

II. – Il Profeta, indirizzandosi ai fedeli che Egli suppone pieni di amore per Dio:

1° li esorta a provare questo amore con l’odio del peccato;

2° anima la loro fiducia e assicura loro la protezione di Dio sui suoi servi (10);

3° assicura loro il godimento dei beni designati dalla luce e dalla gioia, esigendo come condizione la giustizia e la rettezza di cuore, ed invitando di conseguenza i giusti ad unirsi al Signore (11, 12)

Spiegazioni e Considerazioni

I. — 1-9.

ff. 1. – « Il Signore ha regnato. » Colui che si è presentato dinanzi al giudice, colui che è stato colpito da pugni, coperto di sputi, coronato di spine, Colui che è stato frustato, Colui che è stato sospeso sulla croce, che è stato insultato mentre era sulla croce, che è morto sulla croce, Colui che è stato trafitto da un colpo di lancia, che è stato sepolto … è resuscitato. « Il Signore ha regnato. » Che i regni scatenino i loro furori finché potranno, che potranno fare al Re di tutti i regni, al Padrone di tutti i re, al Creatore di tutti i secoli? È dunque disprezzabile per essersi fatto così obbediente e così piccolo? Egli si è fatto umile per essere compreso da noi. « Il Signore ha regnato, esulti la terra per l’allegria. Che tutte le isole gioiscano. » – Ed in effetti la parola di Dio non è stata predicata solo sul continente, ma pure nelle isole che sono in mezzo al mare; esse sono egualmente piene di Cristiani, esse sono piene di servi di Dio, perché il mare non ostacola Colui che ha fatto il mare. La parola di Dio non potrebbe penetrare forse là dove penetrano i navigli? Le isole dunque sono piene di fedeli. Sotto il nome di isole si può ancora comprendere, in senso figurato, tutte le chiese … Perché chiamarle isole? Perché i flutti di tutte le tentazioni ruggiscono intorno ad esse; ma anche perché un’isola può essere battura da ogni lato dai flutti furiosi senza essere distrutte, e come essa piuttosto può distruggere i flutti da cui è assalita e non è da essi distrutta, così anche le chiese di Dio, moltiplicate in tutto l’universo, hanno sofferto le persecuzioni degli infedeli frementi contro di esse da ogni parte; ora ecco che le isole sono in piedi ed il mare calmato. (S. Agost.). – Dio regna manifestandosi al mondo mediante il suo unico Figlio. Da questo momento, le tenebre spariscono, l’idolatria cade, il principe delle tenebre è detronizzato, non c’è più che un solo Re tra i Giudei e le nazioni: questo Re è Gesù-Cristo, il cui impero inizia quaggiù e si perpetua nell’eternità … Questo regno si estende all’interno di ogni fedele: Gesù-Cristo deve regnare su ciascuno dei membri della grande famiglia dei Cristiani, e ciò che opera in tutto il corpo, deve operarsi in ciascuno dei suoi membri. – Ricevere il regno di Gesù-Cristo con riconoscenza ed amore, sono due sentimenti inseparabili della gioia interiore (Berthier). –  Per chi Dio è « circondato da nubi ed oscurità? » Le nubi e l’oscurità sono per gli empi che non l’hanno compreso; la giustizia ed il giudizio per i fedeli che hanno creduto in Lui. In effetti i primi, in ragione del loro orgoglio, non l’hanno visto; gli altri, per la loro umiltà, hanno meritato di essere diretti. – Ecco queste nubi e questa oscurità, ed ecco la giustizia ed il giudizio. Il Signore stesso ha detto: « Io sono venuto in questo mondo per giudicare, affinché coloro che non vedono vedano, e coloro che vedono divengano ciechi, » (Giov., IX, 39), vale a dire che coloro che credono di vedere, che si reputano saggi, che credono di non aver bisogno di rimedio, divengano ciechi e non comprendano. E che vuol dire: « che coloro che non vedono, vedano? » Che coloro che confessano la loro cecità meritano di essere illuminati. Che Dio sia dunque circondato da nubi ed oscurità per coloro che Lo hanno misconosciuto, mentre per coloro che si sono confessati ed umiliati, « … la giustizia ed il giudizio dirigono il suo trono. » Il Profeta considera il trono di Dio coloro che hanno creduto in Lui; perché Egli si è fatto di essi un trono, perché la sapienza risiede in loro, ed il Figlio di Dio è la Sapienza di Dio. (I Cor. I, 24). « L’anima del giusto è la sede della Sapienza, » dice lo Spirito Santo; coloro dunque che hanno creduto nel Signore sono divenuti giusti; giustificati dalla fede, sono divenuto trono di Dio; Egli siede in essi, giudica attraverso di essi e li dirige.

ff. 2-4. – È della grandezza di Dio essere circondata da oscurità e da nubi, e coprirsi e nascondersi nella condotta del mondo, affinché sia insieme conosciuto e sconosciuto agli uomini; conosciuto agli umili che adorano Colui che è al di sopra dei loro lumi, e che sovente meritano per questo di essere illuminati, e sconosciuto ai superbi che vogliono sottomettere la condotta di Dio alle regole dei loro ragionamenti (Dug.). –   Malgrado l’oscurità da cui le vie del Signore sono spesso ricoperte in rapporto agli omini, ricordiamoci però che la giustizia ed il giudizio sono il sostegno del suo trono. – Io non penso qui che si tratti qui del fuoco nel quale saranno precipitati gli empi dalla sentenza dell’ultimo Giudizio; il profeta infatti parla di un fuoco che camminerà davanti al Signore, prima che venga a giudicarci: il fuoco eterno non verrà che dietro di Lui e Costui deve precederlo. Qual è dunque questo fuoco? Noi possiamo considerarlo come un castigo per i malvagi, e come uno strumento di salvezza per gli eletti. Come può essere un castigo per i malvagi? Perché, quando il Cristo è stato predicato, la nazioni si sono irritate ed hanno scatenato delle persecuzioni: la loro collera è stata un fuoco che ha consumato i persecutori piuttosto che i perseguitati … Come questo fuoco è uno strumento di salvezza per coloro che il Cristo ha riscattato? Il Signore ha detto: « Io sono venuto a portare il fuoco sulla terra. » (S. Luc. XII, 19). Egli vi porta il fuoco come vi porta la spada (S. Matt. X, 34). Egli ha portato la spada per dividere, ed il fuoco per bruciare; ma l’una e l’altro sono utili alla nostra salvezza, perché la spada della sua parola ci ha separato da ogni cattiva relazione … Noi siamo dunque stati separati da ciò che eravamo; ma la spada, colpendo ha diviso e non ha ucciso; è in questo modo che il fuoco ha agito. Gli uomini che hanno avuto fede in Gesù-Cristo hanno bruciato di ardore ed hanno ricevuto la fiamma della carità. Ecco perché lo Spirito-Santo, quando venne inviato agli Apostoli, apparve loro sotto forma di lingue di fuoco (Act. II, 3). Infiammati da questo fuoco, essi cominciarono ad espandersi nel mondo, e lo infiammarono, ed a bruciare intorno ad essi i nemici del Signore. Quali erano questi nemici? Coloro che, avendo abbandonato Dio che li aveva fatti, adoravano gli dei che essi stessi avevano fabbricato. Questo fuoco li brucia e, rimasti malvagi, li consuma; se invece sono buoni, serve a vivificarli. (S. Agost.). – « Le sue folgori hanno brillato su tutta la terra. » Perché hanno brillato? Per dare la fede agli uomini. Da dove partono queste folgori? Dalle nubi! Quali sono le nubi di Dio? I predicatori della verità! Voi apprezzate nel cielo una nube cupa ed oscura, che porta in essa un non so che di celato nel suo seno. Se una folgore scaturisce da questa nube, una splendida luce si spande all’istante. Nostro Signore Gesù-Cristo ha inviato gli Apostoli, i suoi predicatori, come delle nubi; essi appaiono uomini ordinari e sono disprezzati come si disprezzano le nubi, quando le si guardano, fino a quando non diffondono stupore e terrore. Essi non erano all’inizio che uomini deboli, ignoranti, sprovvisti di qualsiasi scienza, sconosciuti a tutti; ma in loro c’era un fuoco che scaturendo da essi, doveva illuminare (S. Agost.).

ff. 5, 6. – Le montagne fondono come cera davanti alla faccia del Signore. » Quali sono queste montagne? Gli orgogliosi! Ogni grandezza che si eleva contro Dio ha tremato davanti alle azioni del Cristo e dei Cristiani, ed ha finito col soccombere; e quando considero l’espressione del Salmista: « essa è fusa, » non si potrebbe trovare un’espressione più giusta. Cosa è diventata l’elevazione delle potenze? « Le montagne sono fuse come cera davanti al Signore. » Il Signore è stato come un fuoco davanti ai superbi, ed essi si sono fusi come cera davanti al suo volto, dopo essere rimasti insensibili nella loro durezza, fino a che questo fuoco non si è avvicinato ad essi. Ogni elevazione si è appianata; non c’è nessuno che osi bestemmiare il Cristo. Il pagano non crede in Lui, ma almeno non lo bestemmia; questa pietra non ha ancora ricevuto la vita, ma almeno è stata vinta la durezza della montagna (S. Agost.). – Quali cieli hanno annunziato la sua giustizia? Quelli che sono divenuti il suo trono; perché come Dio ha il suo trono nei cieli, ugualmente ha il suo trono negli Apostoli e nei predicatori del Vangelo. E se volete, anche voi sarete un cielo. Volete essere un cielo? Cacciate la terra dal vostro cuore purificato. Se voi siete esenti da ogni cupidigia terrestre, se potete dire con verità che avete il vostro cuore in alto, voi sarete un cielo; se avete iniziato a gustare le cose del cielo e non le cose della terra, non siete divenuto un cielo? Voi portate la vostra carne, ma con il cuore siete un cielo, perché la vostra vita è già nei cieli (Filipp. III, 20). –  In questa qualità, anche voi annunziate il Cristo. Qual è in effetti il fedele che annunzia il Cristo? Tutta le Chiesa predica dunque il Cristo ed i cieli annunziano la sua giustizia perché tutti i fedeli che cercano di guadagnare a Dio gli increduli e che lo fanno con carità, sono dei cieli: Dio fa risuonare per essi le minacce del suo giudizio, e colui che è incredulo trema, si spaventa e crede (S. Agost.). 

ff. 7-9. – Niente sottolinea di più la corruzione e la degradazione dell’uomo che il peccato, per mezzo del quale si perde Dio per cose inanimate. Ma c’è un’altra idolatria non meno criminale, non meno insensata, e che si guarda senza inorridire, è quella che fa preferire la creatura al Creatore; idolatria tanto più dannosa perché difficile da guarire, perché coloro che ne sono colpevoli non ne hanno alcuna vergogna. – Se gli Angeli adorano il Messia, il Messia è Dio: è il ragionamento di San Paolo nel primo capitolo della sua epistola agli Ebrei. Gli Angeli si gloriano di adorare Gesù-Cristo e di obbedirgli, e l’uomo, che è loro inferiore, ne rifiuterebbe adorazioni ed obbedienza? – Gioisce la Chiesa, che è la vera Sion, quando Gesù-Cristo è riconosciuto ed adorato dagli angeli della terra. – « Sion l’ha inteso ed ha gioito. » Cosa ha inteso Sion? Che tutti gli Angeli del Signore lo adorano. Che cos’è che Sion ha inteso e di cui si è rallegrata? « Che i gentili avevano ricevuto la parola di Dio. » – « E le figlie di Giuda hanno esultato di allegria, a causa dei vostri giudizi, Signore. » Quali giudizi? Che Dio non fa eccezione di persone … che in ogni nazione ed in tutti i popoli, chiunque serve Dio gli è gradito; (Att. X, 34, 35); « perché Egli non è solo il Dio dei Giudei, ma anche quello dei Gentili. » (Rom. III, 29). Vedete se non è per questo che le figlie di Giuda hanno giubilato di allegria: « a causa dei vostri giudizi, perché Voi siete il Signore Altissimo che regnate su tutta la terra, » non solo sulla Giudea, non solo su Gerusalemme, non solo su Sion, ma « su tutta la terra. » – « Voi siete infinitamente elevato sopra tutti gli dei, » non solo al di sopra degli idoli, ma pure al di sopra di tutti i giusti. E questo è ancora poco: Egli è elevato al di sopra di tutti gli Angeli; da dove viene in effetti questa parola: o Angeli del Signore adoratelo tutti? » – « Egli è infinitamente elevato al di sopra di tutti gli dei. » – Figlie di Giuda, tutte consacrate a Dio, piene di gioia nella meditazione dei giudizi di Dio, nei quali non vedono nulla che non sia giusto, santo e consolante. – Grandezza di Dio, potenza sovrana che lo mette al di sopra di tutte ciò che di più elevato c’è sulla terra! (Duguet).

ff. 10,11. – Ecco il compendio della dottrina della salvezza. L’essenziale di questa dottrina è l’amare Dio; ma siccome ci si può fare delle illusioni su questo amore, ecco il marchio che ci farà conoscere se esso sia reale in noi. Interroghiamoci sul sentimento che abbiamo nei riguardi del peccato, e di tutto ciò che porta al peccato. (Berthier). – « Voi che amate il Signore, odiate il male. » Il Cristo merita che non amiate nel contempo Lui e l’avarizia. Voi l’amate, dovete pertanto odiare ciò che Egli odia. Un uomo è vostro nemico: egli è ciò che voi siete, voi siete stati creati da uno stesso e solo Creatore, in un sola e stessa condizione, e tuttavia se vostro figlio parla a questo nemico, se va nella casa di questo nemico, se ha rapporti assidui con lui, desideratelo, perché egli ha rapporto con il vostro nemico. E questo perché? Perché sembra giusto che gli diciate: tu sei l’amico del mio nemico e pretendi di aver parte al mio bene! Riflettete dunque, fratelli miei. Voi amate il Cristo; ora l’avarizia è nemica del Cristo; perché dunque avere rapporti con essa? Io non dico solamente: perché avere rapporti con essa; io dico, perché servirla? Perché il Cristo vi fa numerosi comandi, voi non ne eseguite alcuno; l’avarizia vi da i suoi ordini e voi l’obbedite all’istante. Il Cristo vi comanda di vestire il povero, voi non ne fate nulla; l’avarizia vi comanda di ingannare, e voi le obbedite. Se è così, voi siete dominati dall’avarizia, non potete avere parte all’eredità del Cristo. Ma direte voi, io amo il Cristo! Voi che amate il Cristo, odiate il male: « voi che amate il Signore odiate il male! » (S. Agost.). – Ma quando noi avremo cominciato  ad odiare il male, noi saremo perseguitati. Cosa può togliervi il persecutore? Rispondete. Perché siete Cristiano per acquistare l’eredità eterna, o per gioire dalla felicità terrena? Interrogate la vostra fede, stendete la vostra fede sul cavalletto della vostra coscienza, sottomettetevi alla tortura da voi stessi, per timore del giudizio di Dio, ditemi a chi avete dato la vostra fede e perché l’avete data. Voi mi dite. Io ho dato la mia fede a Cristo! Ebbene, cosa vi ha promesso il Cristo se non ciò che ha mostrato nella sua Persona? Egli è morto, Egli è resuscitato, Egli è asceso al cielo. Volete seguirlo? Imitate la sua passione, attendete il compiersi delle sue promesse. Che potrà dunque rapirvi il persecutore, quando avrete cominciato ad odiare il male, per il fatto di amare il Signore? Cosa vi toglierà? Il vostro patrimonio? Vi toglierà il cielo? Ma sia: chi vi toglie ciò che Dio vi ha dato? Nessuno vi toglierà Dio, se non lo togliete voi a voi stesso, se lo fuggite. (S. Agost.). – Forse voi risponderete: io non mi sono mai preoccupato del mio patrimonio: « Il Signore me lo ha dato, il Signore me lo ha tolto; » io posso dire « è stato fatto come è piaciuto al Signore, » (Giob. I, 21); ma io temo che il persecutore mi uccida. In effetti è a questo che si limita il suo potere! Ascoltate dunque queste parole del salmo che vi consolano: « il Signore custodisce le anime dei suoi servi. » Il Profeta, dopo aver detto più in alto: voi che amate il Signore, odiate il male, » per paura che voi non temiate, se odiate il male, che colui che ama il male non vi faccia morire, aggiunge immediatamente: « Il Signore custodisce le anime dei suoi servi. » Ascoltatelo, Egli che custodisce le anime dei suoi servi e vi dice: « non temete coloro che uccidono il corpo, ma che non possono uccidere l’anima. » Supponiamo che colui che abbia su di vi il maggior potere possibile, abbia ucciso il vostro corpo; cosa vi ha fatto? Ciò che ha fatto anche al vostro Signore. Poiché aspirate a possedere ciò che possiede il Cristo, se temete soffrire ciò che il Cristo ha sofferto? Egli è venuto sulla terra per assumere la vostra vita temporale piena di miserie e sottomessa alla morte. Voi temete di morire, io lo comprendo bene, se voi potete non morire; ma se ciò non potete evitare secondo la condizione della vostra natura, perché non soffrirlo volentieri per la vostra fede? Che il vostro nemico che vi minacci, vi tolga questa vita, Dio vi donerà un’altra vita; perché è Lui che vi ha dato questa vita mortale, che non può esservi tolta se Egli non vuole; ma se Egli vuole, che vi sia rapita, Egli ne ha un’altra da darvi: non temete di lasciarvi spogliare per Lui. Rifiutereste di perdere un vestito a pezzi? Ebbene, Egli vi darà un mantello di gloria. Di quale mantello mi parlate?  « È necessario infatti che questo corpo corruttibile si vesta di incorruttibilità e questo corpo mortale si vesta di immortalità. » (I Cor. XV, 53). La vostra carne stessa non perirà. Il vostro nemico può esercitare contro di voi il suo furore, fino ad uccidervi; oltre questo, egli non ha potere sulla vostra anima, né sulla vostra carne; perché, se disperde gli elementi di questa carne, non vi impedirà di resuscitare (S. Agost.). – Ma forse voi direte: io perderò la luce di cui godo; « la luce si è levata sul giusto. » Quale luce temete di perdere? Temete di essere piombato nelle tenebre? Non temete di perdere la luce, o piuttosto temete che nei vostri sforzi per non perdere questa luce passeggera, non perdiate la vera luce. In effetti, quel che temete di perdere, vediamo a chi è stato dato e con chi esso vi è comune. Non ci sono solo i buoni a vedere questo sole, perché Dio fa levare il sole sui buoni e sui malvagi, e cadere la sua pioggia sui giusti e sugli ingiusti? (S. Matt. V, 45). Questa luce gli ingiusti la vedono come voi, i ladroni la vedono come voi, gli impudichi la vedono come voi, gli animali, le mosche, i vermiciattoli la vedono come voi. Quale luce Dio riserva al giusto, poiché accorda anche a questi essere malvagi o infermi la luce che noi vediamo? Ma la luce del giusto, i martiri hanno meritato di vederla per la fede; perché coloro che hanno disprezzato la luce della vita presente, ne hanno vista un’altra che hanno desiderato, mentre hanno disdegnato la prima. « La luce si è levata sul giusto e la gioia sugli uomini dal cuore retto. » Non crediate che essi fossero nell’angustia quando vivevano nelle catene: la prigione era spaziosa per i fedeli e le catene leggere per i confessori della fede; coloro che predicavano il Cristo in mezzo alle torture erano sulla gioia sui cavalletti. « La luce si è levata sul giusto. » Quale luce si è levata sul giusto? Quella che non si leva sull’ingiusto; un’altra luce si leva, per ordine di Dio, sui buoni e sui malvagi. Ben altra è la luce che si leva sul giusto, ed è questa luce che non gli sarà mai tolta e per la quale i malvagi diranno alla fine dei secoli: « Noi ci siamo dunque allontanati dal cammino della verità e la luce della giustizia non ha brillato per noi, ed il sole non si è levato per noi. » (Sap. V, 6), (S. Agost.).

ff. 12. – « Giusti, esultate nella gioia. » Forse qualche fedele, ascoltando queste parole, pensa a dei festini, prepara delle coppe, attende il tempo delle rose, perché è detto: « Giusti, datevi alla gioia. » Ma vedete ciò che segue. « Nel Signore. » Voi attendete la primavera per darvi alla gioia, ma voi possedete il Signore che fa la vostra gioia. Il Signore è sempre con voi, Egli non viene in questo o in quel tempo, … lo possedete durante la notte, lo possedete durante il giorno. Sia retto il vostro cuore, e costantemente gioirete in Lui; perché la gioia che dà il mondo non è la vera gioia. Ascoltate il profeta Isaia: « la gioia non è per l’empio, dice il Signore. » (XLVIII, 22, e LVII, 21). Ciò che gli empi chiamano gioia non è la gioia. Quale gioia conosceva Colui che riprovava la gioia degli empi? Crediamo nella sua parola: Egli era uomo, conosceva i due tipi di gioia; Egli sapeva bene, poiché era  uomo, ciò che è la gioia del vino, ciò che è la gioia della tavola, ciò che è la gioia dei piaceri; Egli conosceva tutte queste gioie, mondane e voluttuose, e conoscendole dice con fiducia: « la gioia non è per l’empio. » Ma questi non è un uomo, è il Signore che lo ha detto:  Secondo la verità del Signore, la gioia non è per l’empio … « giusti, esultate nella gioia nel Signore, e glorificate la memoria della sua santità. » Voi che già vi date alla gioia nel Signore, voi che già gioite della felicità nel Signore, confessate il suo Nome, perché se Egli non volesse, noi non potremmo gioire in Lui. In effetti il signore stesso ha detto: « Vi ho detto queste cose perché abbiate pace in me e voi avrete tribolazione nel mondo… “. (S. Giov. XVI, 33). Se voi siete Cristiani aspettatevi di essere tribolati in questo mondo, non sperate in tempi più tranquilli e migliori, sarebbe come ingannarvi. Che nessuno si riprometta dunque ciò che il Vangelo non promette: ecco giungere i tempi più felici: io farò questo, io comprerò quello. Vi giova unicamente ascoltare Colui che non saprebbe ingannare e non ha mai ingannato nessuno, che vi ha promesso la gioia, non quaggiù, ma in Lui; e quando le cose presenti saranno passate, sperate di regnare eternamente con Lui, per timore che volendo regnare quaggiù, non troviate la vera gioia né sulla terra, né in cielo. (S. Agost.).

SALMI BIBLICI: “CANTATE DOMINO CANTICUM NOVUM” (XCV)

SALMO 95: “CANTATE DOMINO canticum novum”

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS.

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

[Canonico titolare della Chiesa di Soissons, Professore emerito di Scrittura santa e sacra Eloquenza]

TOME DEUXIÈME.

PARIS -LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR 13, RUE DELAMMIE, 1878 IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

Salmo 95

Canticum ipsi David, quando domus ædificabatur post captivitatem.

[1] Cantate Domino canticum novum,

cantate Domino omnis terra.

[2] Cantate Domino, et benedicite nomini ejus; annuntiate de die in diem salutare ejus.

[3] Annuntiate inter gentes gloriam ejus, in omnibus populis mirabilia ejus.

[4] Quoniam magnus Dominus, et laudabilis nimis; terribilis est super omnes deos;

[5] quoniam omnes dii gentium daemonia; Dominus autem cœlos fecit.

[6] Confessio et pulchritudo in conspectu ejus; sanctimonia et magnificentia in sanctificatione ejus.

[7] Afferte Domino, patriæ gentium; afferte Domino gloriam et honorem;

[8] afferte Domino gloriam nomini ejus. Tollite hostias, et introite in atria ejus;

[9] adorate Dominum in atrio sancto ejus. Commoveatur a facie ejus universa terra;

[10] dicite in gentibus, quia Dominus regnavit. Etenim correxit orbem terræ, qui non commovebitur; judicabit populos in aequitate.

[11] Lætentur caeli, et exsultet terra: commoveatur mare et plenitudo ejus;

[12] gaudebunt campi, et omnia quæ in eis sunt. Tunc exsultabunt omnia ligna silvarum

[13] a facie Domini, quia venit, quoniam venit judicare terram. Judicabit orbem terræ in æquitate, et populos in veritate sua.

[Vecchio Testamento Secondo la Volgata Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

SALMO XCV

Davide compose questo Salmo nel trasporto dell’arca (1 Paralip., c. 16). Esdra che raccolse in un libro i Salmi, lo intitolò da cantare nella riedificazione del Tempio dopo la cattività. Intenzione primaria di Davide e dello Spirito Santo è la predizione del regno di Cristo (la sua Chiesa), da propagarsi in tutto il mondo.

Cantico dello stesso David, quando la casa si edificava dopo la cattività.

1. Cantate al Signore un nuovo cantico; terra tutta, canta il Signore!

2. Cantate il Signore, e benedite il nome di lui; annunziate ogni giorno la salute recata da lui.

3.Annunziate la gloria di lui tra le genti, e le sue meraviglie a tutti i popoli.

4. Imperocché il Signore è grande e grandemente laudabile; egli è terribile sopra tutti gli dèi.

5. Imperocché tutti gli dèi delle genti sono demoni; ma il Signore ha creati i cieli.

6. La gloria e lo splendore sono intorno a lui; la santità e la magnificenza nel suo santuario.

7. Presentate al Signore, voi famiglie delle nazioni, presentate al Signore gloria ed onore; presentate al Signore gloria, qual conviensi al suo nome.

8. Prendete le ostie, ed entrate nell’atrio di lui; adorate il Signore nel santo atrio di lui.

9. Dinanzi a lui stia in timore e tremore tutta quanta la terra; dite tra le nazioni: Il Signore ha preso possesso del regno.

10.Imperocché egli ha emendata la terra, la quale non sarà smossa; egli giudicherà i popoli con equità.

11. Rallegrinsi i cieli, ed esulti la terra; il mare sia in movimento con tutte le cose ond’egli è ripieno; tripudieranno le campagne e tutto quello che in esse si trova.

12. Allora esulteranno tutti gli alberi delle selve dinanzi al Signore, perché è venuto; perché venuto egli è a governare la terra.

13.Governerà la terra con equità; governerà i popoli secondo la sua verità.

Sommario analitico

Qui, come in diversi Salmi precedenti, l’oggetto differisce essenzialmente dall’occasione. In effetti non c’è nulla che abbia precisamente rapporto con il trasporto dell’arca, o con la ricostruzione del tempio, o con il ritorno dalla cattività, mentre vi si vede chiaramente indicata la vocazione dei gentili al regno del Messia. Il salmista invita dunque i ricchi, tutto il popolo, a venire ad adorare il Signore (1).

I. – Egli li invita a celebrare le sue lodi.

1° Cantando un cantico nuovo in suo onore:

2° Benedicendo il suo nome (1);

3° Annunciando la salvezza che porta alla terra (2, 3).

II. – Ne dà i motivi:

1° La grandezza di Dio e la sua eccellenza infinita al di sopra di tutti quelli che portano sulla testa il nome di dei (4, 5);

2° La sua bellezza, la sua santità, la sua magnificenza (6).

III. – Li invita ad onorarli con degli atti:

1° Egli invita le famiglie delle nazioni ad entrare nei sagrati del tempio per offrirvi il sacrificio della nuova legge (7-9);

2° Ne dà i motivi: le leggi sante del Signore, l’equità incorruttibile del Giudice sovrano (9, 10);

3° Descrive gli sforzi della venuta del Salvatore. b) la gioia del cielo e della terra per il presente (11, 12); b) la sovrana equità e la verità del giudizio futuro (13, 14).

(1) L’analogia dello stile di questo salmo e del seguente con quello di Isaia e di Asaf, li fanno ricondurre da qualche interprete ai tempi di Ezechia. Essi sembrano composti tanto per le grandi solennità di Pasqua e dei Tabernacoli, tanto si possono rapportare alla gloria delle due venute del Messia.

Spiegazioni e Considerazioni

I. — 1-3.

ff. 1, 2. – I cantici dell’antico popolo di Dio non si cantano fuori dalla terra promessa. « Come potremmo cantare i cantici del Signore in terra straniera? » dicevano gli Israeliti  prigionieri a Babilonia. Se dunque il salmista esorta tutte le nazioni a cantare le lodi del Signore, è perché questi cantici non devono essere limitati al culto della sinagoga, che non saranno di conseguenza dei cantici appropriati ad una nuova Alleanza; è l’amore – dice S. Agostino – che canta il cantico nuovo. (Berthier). – La cupidigia della carne canta ciò che è vecchio, l’amore di Dio canta ciò che è nuovo.  Cantando sotto l’ispirazione della cupidigia voi non canterete se non ciò che è vecchio, e quando anche la vostra bocca pronunciasse le parole del cantico nuovo, la lode non è bella sulla bocca del peccatore (Eccli. XV, 9). Vale più l’essere l’uomo nuovo, ed osservare il silenzio, che essere l’uomo vecchio e cantare; perché se voi siete l’uomo nuovo e tacete, le orecchie degli uomini non vi ascolteranno, ma il vostro cuore non sarà da meno nel cantare il cantico nuovo, e questo cantico arriverà fino alle orecchie di Dio, che ha fatto di voi un uomo nuovo. Voi amate e osservate il silenzio: ora l’amore stesso è una voce, è il cantico nuovo. Ascoltate la prova che è il cantico nuovo: « Io vi do, dice il Signore, un comandamento nuovo, che cioè vi amiate gli uni gli altri. » (Giov. XIII, 31), (S. Agost.). – Il cantico della gioia del secolo – dice sant’Agostino – è un linguaggio straniero che abbiamo appreso nel nostro esilio; » è il cantico dell’uomo vecchio che, cacciato dal suo Paradiso, cerca una miserabile consolazione. Se avete in voi stessi lo spirito di Gesù, non cantate più il cantico dei piaceri del mondo … cantate a Dio un cantico nuovo, cantate a Dio il cantico della nuova alleanza, cantico di allegria spirituale e di giubilo divino: « Lode a Dio, » lode a Dio nei beni, lode a Dio nei mali; lode a Dio quando ci colpisce, lode a Dio quando ci incorona, lode a Dio quando ci punisce: è il cantico dell’uomo nuovo, è quello che deve risuonare nel fondo dei nostri cuori; questo deve essere il nostro cantico: Amen, Alleluja, in questo consumazione, in questa riduzione di tutte le linee al loro centro, di tutte le creature al loro principio (Bossuet, III Serm. P. le jour de Pâques). – Tutta la terra canta dunque il cantico nuovo, ed è là che è costruita la casa di Dio … è là in effetti che ciò che era vecchio è stato gettato via, per far posto a ciò che è nuovo. E come, ciò che era vecchio è stato gettato via? Il Signore ha detto . « In verità, in verità non resterà qui pietra su pietra che non sia distrutto. » (Matt. XXIV, 2). In effetti, le pietre riunite per la nuova costruzione che si costruisce dopo la cattività, sono ammassate in una sola tutto per la carità, che non c’è più pietra su pietra, ma che tutte le pietre non sono che una sola pietra. Non ve ne stupite: è la il risultato del cantico nuovo, cioè del nostro rinnovo per mezzo dell’amore. L’Apostolo vi esorta ad appartenere a questa costruzione, ci racchiude in questa unità, e ci attacca indissolubilmente quando ci dice: « Cercate di conservare l’unità di spirito con il legame della pace. » (Efes. IV, 2, 3). Là dove si trova l’unità di spirito, non c’è che una pietra, ma una pietra unica, fatta da un gran numero di pietre. Ma con qual mezzo, fatta da un gran numero, essa diviene unica? Con il mutuo supporto dell’amore. La casa del Signore nostro Dio si costruisce, dunque, si costruisce; se essa si fa, essa si eleva: tale è l’opera delle nostre parole, tale è l’opera delle sante letture, tale è l’opera della predicazione del Vangelo nell’intero universo; perché questa casa si costruisce ancora oggi. Essa è grandemente accresciuta, ha riempito numerose nazioni, tuttavia non le possiede ancora tutte; accrescendosi, essa si è annesse un gran numero di nazioni, e deve possederle tutte. Così c’è contraddizione da parte di coloro che si glorificano di appartenervi, quando dicono. Già essa è in decremento. Essa cresce ancora, ci sono ancora delle nazioni che non hanno abbracciato la fede e che tutte l’abbracceranno (S. Agost.). – « Cantate al Signore, benedite il suo nome; annunciate con zelo, di giorno in giorno, la salvezza che viene da Lui. » Come si ingrandisce l’edificio? Il Profeta dice: « Annunziate con zelo, di giorno in giorno, la salvezza che viene da Lui; » che sia predichi ogni giorno. Così di giorno in giorno, egli dice, la casa si eleva; la mia casa – dice il Signore – si accresca, e come se gli operai gli dicessero: Dove ordinate che sia costruita? Dove volete che si ingrandisca? sceglieteci un luogo compatto, un luogo spazioso, se volete che noi costruiamo una vasta casa; dove ci ordinate di annunziare con zelo, di giorno in giorno, la salvezza che viene da Voi? Il Profeta mostra loro il luogo ove essi devono costruire: « Annunziate la sua gloria, vi dice, tra le nazioni, la sua gloria, non la vostra. O voi che costruite, annunziate con zelo la sua gloria tra le nazioni. Se pretendete di annunziare la vostra gloria, voi cadrete; se annunziate la sua gloria, voi stessi vi collocate nell’edificio elevandolo (S. Agost.). – Sembra che non ci siano che gli Apostoli e gli operai evangelici che possano annunziare le meraviglie della salvezza a tutti i popoli della terra. Ma chiunque conosca bene la costituzione della Chiesa, vede senza difficoltà che tutto è comune in questa santa società; che le opere più segrete contribuiscono alla propagazione del Vangelo ed alla santificazione di tutti i popoli; che le preghiere del solitario appoggiano la predicazione del ministero della parola, che Dio accorda sovente più alle lacrime di una vergine cristiana rinchiusa nella sua cella, che agli sforzi dello zelo più attivo. Tutti possono annunciare Gesù-Cristo con il buon odore delle virtù. L’edificio della Chiesa – dice sant’Agostino – si costruisce con l’unità di spirito, si consolida con i legami della carità, si eleva sui fondamenti dell’umiltà. « Annunziate la gloria di Dio, » dice il Profeta, non la vostra. Colui che costruisce per la sua gloria, non lavora per la casa di Gesù-Cristo, che è la Chiesa universale … occorre annunciare Gesù-Cristo e le sue meraviglie di giorno in giorno, perché la corona non è data che alla perseveranza. (Berthier). 

II.—4-6.

ff. 4-6. – Le quattro ragioni date dal Profeta, sono: – 1° che Dio è il Signore dei signori, che Egli è grande in assoluto, sia che se ne consideri la potenza, la saggezza, la bontà, la distesa della sua dominazione, l’abbondanza delle sue ricchezze, e tutte le altre cose che contribuiscono a rendere grandi; – 2° che Egli è degno di ogni lode, perché la sua eccellenza è ineffabile ed incomprensibile; – 3° perché Egli è formidabile, al di sopra di tutte le potenze della terra, o di tutti i demoni, – 4° è Egli che ha fatto i cieli, ed in questa parola sono compresi tutti i cieli, non solo quelli in cui si svolgono gli altri, ma anche quelli in cui abitano gli Angeli ed i Santi, quelli ove si trovano riuniti tutti gli eletti per gioire tutti insieme della eterna presenza di Dio, perché il Signore è grande ed infinitamente degno di lode. » – Qual è questo Signore grande ed infinitamente degno di lode, se non il Cristo? Vi sapete con certezza che Egli è apparso sulla terra in forma umana; voi sapete con certezza che è stato concepito nel seno di una donna; voi sapete che Egli è nato dal suo seno; sapete che è stato allattato e portato in braccio; che è stato circonciso, che una vittima in sacrificio è stata offerta per Lui, che è cresciuto; che è stato infine flagellato, coperto di sputi, coronato di spine e crocifisso; … che Egli è morto ed è stato trafitto da un colpo di lancia. Voi sapete che Egli ha sofferto tutti questi supplizi e tuttavia è grande ed infinitamente degno di lodi. Guardatevi dal disprezzare la sua piccolezza, e comprendete la sua grandezza. Egli si è fatto piccolo, perché voi siete piccolo; comprendete la sua grandezza e sarete grande con Lui (S. Agost.). – Ciò che in uomo sarebbe un difetto considerevole, è una grande perfezione in Dio. L’uomo immagina spesso di avere dei grandi vantaggi che in effetti non ha, e merita di essere rimproverato, e Dio non vede davanti a Lui che soggetti di gloria e di lodi, e che merita di essere adorato. Dio è dappertutto santo e magnifico; ma è principalmente in cielo, nel luogo suo santo che farà brillare la sua santità e la sua magnificenza (Dug.) – Diffidate – dice sant’Agostino – spiegando queste parole nel senso topologico della confessione dei peccati: queste due cose non si separano davanti a Dio, la confessione del peccato e la beltà dell’anima; è in queste due parole, prosegue lo stesso dottore, che voi apprendete tutto in una volta, a chi potete piacere, e come potete piacergli. A chi potete piacere: è al vostro Dio; per dove potete piacergli: per la confessione del vostro peccato (BOURDALOUE, Sur la confession.). – Amate la bellezza, volete essere bello? Confessatevi. Il Profeta non vi dice: la bellezza e la confessione, ma « la confessione e la bellezza. » Voi siete sporco, confessatevi per essere bello; voi siete peccatore, confessatevi per essere giusto. Voi avete potuto macchiarvi, non potete rendervi bello (S. Agost.).

III. — 7 – 14.

ff. 7-9. – Tutta l’economia del culto divino è descritto in questi versetti: adorare il Signore, celebrare le sue grandezze, cantare la gloria del suo Nome, rendersi assiduo nel suo tempio. Offrirgli sacrifici puro e graditi ai suoi occhi; infine soddisfare questi doveri in unione con tutti i popoli (Berthier). – Il Profeta fa allusione all’uso che avevano i Giudei di portare le vittime al tempio, quando vi salivano per adorarlo. Ma poiché qui sono evidentemente in questione nazioni pagane chiamate a far parte della Chiesa di Gesù-Cristo, bisogna vedere in queste vittime, le vittime spirituali di cui S. Pietro parla nella sua prima epistola (II), e che sono la contrizione del cuore, la confessione dei peccati, la preghiera, il digiuno, l’elemosina, etc. Ma il testo del salmo riguarda tutti i popoli, e facendo menzione del sacrificio in cui non si utilizzava che fior di farina, è certo che il Salmista ha pure in vista il Sacrificio dei Cristiani, il Sacrificio in cui il pane ed il vino sono cambiati in corpo e sangue di Gesù-Cristo. – « Adorate il Signore nel suo tabernacolo, » cioè nella Chiesa Cattolica, perché è là che vi è il suo santo tabernacolo. Nessuno dica: « il Cristo è qui, il Cristo è la, perché si leveranno falsi profeti. » (Matt. XXIV, 23) Dite loro questo: « Non resterà pietra su pietra che non sarà distrutta. » Voi mi chiamate vanamente alla vostra muraglia imbiancata, io adoro il mio Dio nel suo santo tabernacolo. (S. Agost.).

ff. 10-13. – Il Profeta, che ha già eccitato i predicatori della parola di Dio ad annunziarla al mondo intero, ed il mondo intero a riceverla, freme ora ed esorta non solo gli uomini, ma ancora tutta la natura, a ricevere il Messia con timore e rispetto. – Il regno del Signore, così dolce e gradevole per i suoi amici, è altrettanto terribile e spaventoso per i suoi nemici. – Il regno di Gesù-Cristo che, avendo trovato tutta la terra nella corruzione e nel peccato, nella confusione e nell’incostanza, ha reindirizzato, con la verità del suo Vangelo e la sua grazia, i costumi degli uomini, ed ha talmente rafforzato la Chiesa, che è la terra dei veri Israeliti, che fino alla fine del mondo sarà indistruttibile per tutte le potenze del mondo e dell’inferno, (Dug.). (È qui che diversi Padri latini hanno letto: « regnavit a ligno », dizione che la Chiesa ha consacrato ed inserita in uno dei suoi inni). –  Le stesse creature inanimate, dice san Paolo, non possono soffrire di vedersi soggette, malgrado esse, alle profanazioni dei peccatori; i cieli vedono che gli uomini studiano i loro corsi con tanta cura, senza darsi pena di studiare i mezzi propri per possederli un giorno; la terra si rattrista nell’essere un soggetto continuo di guerre tra re e popoli, e di contese tra i particolari, e vedere che non si pensa che ad essa, invece di pensare al cielo; il mare porta con pena tutti i navigli con ricchi carichi che non servono altro che a soddisfare l’avarizia degli uomini; le campagne e tutto ciò che esse contengono si dolgono nell’essere rifornimento del lusso e della sensualità degli uomini: tutte queste creature sono assoggettate, loro malgrado, alla vanità. Gli uomini, invece di riportarle a Dio come pur esse desiderano, fanno loro violenza riconducendole a se stesse.  Dice infatti il grande Apostolo: « essa infatti è stata sottomessa alla caducità – non per suo volere, ma per volere di colui che l’ha sottomessa – e nutre la speranza di essere lei pure liberata dalla schiavitù della corruzione, per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio. » (Rom. VIII, 21), (Duguet). – I cieli sono i predicatori, e la terra gli uditori. « Che il mare, con tutto ciò che contiene, sia scosso. » Quale mare? Il secolo! Il mare, con tutto ciò che contiene, è stato scosso: il secolo intero si è sollevato contro la Chiesa nel momento in cui si ingrandiva e si levava come un edificio in tutto l’universo. Questo traballare, il Vangelo lo ha predetto: «Vi consegneranno ai sinedri, sarete percossi nelle sinagoghe, comparirete davanti ai governatori ed ai re a causa mia, per render testimonianza davanti a loro. » (Marc. XIII, 9). Il mare è stato scosso: ma come poteva il mare vincere Colui che ha fatto i cieli? – « Le campagne con tutto ciò che contengono, sono entusiaste per la gioia. » Gli alberi delle foreste sono gli infedeli, … perché anch’essi gioiscono? Perché sono stati staccati dall’olivo selvatico ed innestati sull’olivo verace (Rom. XI, 17). Allora tutti gli alberi della foresta saranno nell’allegria; perché i grandi alberi, i cedri, i cipressi sono stati tagliati ed i loro legni incorruttibili sono stati trasportati per la costruzione della casa. Essi erano alberi della foresta, prima di essere innestati e produrre olive (S. Agost.). – « Tutti gli alberi delle foreste trasaliranno alla vista del Signore perché è venuto, perché è venuto a giudicare la terra. » Il Signore è venuto una prima volta, e verrà di nuovo più tardi; è venuto una prima volta nella sua Chiesa, sulle nubi. Quali sono le nubi che l’hanno portato? Gli Apostoli, i predicatori, di cui San Paolo ha detto: « Noi fungiamo da ambasciatori per Cristo,  ambasciatori per Cristo, come se Dio esortasse per mezzo nostro. Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio. » (II Cor. V, 20). – Ecco le nubi sulle quali Egli è venuto, senza parlare della sua venuta ulteriore, quando verrà a giudicare i vivi ed i morti … Egli è venuto una prima volta, portato dai suoi predicatori, ed ha riempito tutta la terra. Cerchiamo di non resistere alla sua prima venuta, per non dover terrorizzarci alla seconda … Pratichiamo ciò che ci raccomanda l’Apostolo: « … coloro che piangono, come se non piangessero e quelli che godono come se non godessero; quelli che comprano, come se non possedessero; quelli che usano del mondo, come se non ne usassero appieno: perché passa la scena di questo mondo. » (I Cor. VII, 29-32). San Paolo vuole vederci esenti dalle preoccupazioni di tutte queste cose. Colui che è esente da preoccupazioni attende con sicurezza l’avvento del suo Signore; perché che cos’è questo amore di Cristo, con il quale si teme la sua venuta? Non ne arrossiamo? Noi lo amiamo e temiamo la sua venuta! Ma è certo che lo amiamo? O non amiamo il nostro peccato più di Lui? Odiamo allora i nostri peccati ed amiamo Colui che deve venire a punire i peccati. Egli verrà, che lo vogliamo o non … Egli verrà, e non ne sapete il momento, e poco importa che lo ignoriate se vi trova preparati. –  Il giudizio di Dio è pieno di equità, non conforme ai giudizi ed alle ide che gli uomini si formano. Essi lo fanno a modo loro, sulla terra, un Dio tanto paziente ed insensibile come chiedono le loro passioni, che soffre tutti e disdegna di giudicare coloro che ha creati capaci di buona o cattiva scelta; ma nel grande giorno, essi saranno giudicati, non secondo la loro verità, ma secondo la sua, “in veritate sua”. – « Egli giudicherà l’universo intero secondo l’equità ed i popoli secondo verità. » Egli giudicherà l’universo intero e non una parte dell’universo, perché non ne è stato riscattato solo una parte. Egli deve giudicare la totalità, perché Egli ha pagato il riscatto della totalità. « Egli giudicherà secondo equità, secondo verità. » Perché voi siete ingiusto, il Giudice non sarà giusto? Perché voi siete mendace, Colui che è la verità non sarà veritiero? Se voi volete che Egli usi misericordia verso di voi, siate misericordioso prima che Egli venga; Se si è ommesso qualche torto verso di voi, rimettetelo e date nella vostra abbondanza. E da chi avete ciò che avete, se non da Lui? Donare del vostro, sarebbe elargire; ma dare del suo, è una restituzione. « Cosa avete in effetti che non abbiate ricevuto? » Ecco le vittimi gradite a Dio: la misericordia, l’umiltà, la confessione, la pace, la carità. Offriamole ed attenderemo con sicurezza la venuta del Giudice che giudicherà l’universo secondo l’equità, ed i popoli secondo la sua verità (S. Agost.).